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La ricerca archeologica nell’ager Brundisinus:
lo scavo della villa di Giancola
di A. Cocchiaro * , P. Palazzo ** , C. Annese *** , G. Disantarosa **** , D. Leone ***
Archaeological research in the ager brundisinus: excavations at the villa of Giancola
In the ager Brundisinus, in the Giancola area, along the east bank of the canal by the same name, a few hundred metres
north of the Minucia-Traiana road and about a kilometre south of the well-known kilns that produced commercial amphorae
for the transport of wine and oil, structures relative to the production sector of a rural villa have been unearthed dating back
to the late Republican age. The kilns and the villa seem to gravitate towards one and the same fundus, the first owner of
which has been identified, thanks to the profusion of a great number of potter’s marks on the amphorae, as Visellio, a dominus
presumably not of local origin. The productive activities associated with the name Visellio, although relevant to and
having a strong impact on the Brindisi economy, can be restricted to a limited span of a few decades, those in the middle of
the first half of the first century B.C.
During the second half of the same century a slump is registered in the productive activity of the site; there is a revival of
this activity with the Giancola kilns in the Augustan age and this coincides with the arrival on the scene of other personages
taking over the production of amphorae, and likewise the management of the fundus, from Visellio. These personages are
from a new social order, most certainly liberti; among whom we may remember Gneo Petronio Sostrato and Lucio Marci
Saturnino.
On the evidence of the data deduced from the analysis of the material found in the course of the archaeological research,
in particular from the findings inside the lacus, we may assume that the villa continued to be lived in the first two centuries
of the Roman Empire and that the productive sector ceased to function towards the end of the II and the beginning of the III
century A.D. The study of the material has revealed, moreover, that the site went on being used, though it is hard to establish
whether inside of the same villa, or of another structure of the late Ancient Roman period; here too it is a case of voluntarily
amassed objects presented in the form of a proper rubbish dump, with pottery findings datable between the end of
the IV and the beginning of the VI century A.D.
Key-words:
La prima e fondamentale conoscenza delle testimonianze
archeologiche relative all’ager Brundisinus
si deve innanzitutto alle campagne di ricognizione
topografica condotte da Cesare Marangio che, nel
1975 giunse, sulla base dei dati allora disponibili, ad
una definizione storico-topografica del territorio di
pertinenza della colonia latina di Brundisium e del
successivo municipium sino al periodo tardoimperiale
romano 1 .
Dal 1984 al 1991 la Libera Università di Amsterdam
e l’Università di Siena, nell’ambito di distinti
progetti scientifici, hanno condotto prospezioni di superficie
in estese aree del territorio brindisino: i dati
archeologici di tali indagini sono, però, ancora complessivamente
inediti e, pertanto, resta ancora oggi
* Soprintendenza Archeologica della Puglia.
** Dipartimento di Scienze dell’Antichità, Università di
Bari; paolapalazzo@tiscali.it.
*** Dipartimento di Scienze Umane, Università di Foggia;
c.annese@unifg.it; da.leone@unifg.it.
valido il panorama storico-archeologico complessivo
dell’ager delineato da Marangio, panorama al quale
devono aggiungersi i dati acquisiti con l’attività di tutela
svolta dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici
della Puglia. Lo stesso Marangio 2 ipotizzava che
la deduzione coloniale a Brindisi non fosse stata accompagnata
da una suddivisione del territorio; oggi
si può ritenere, invece, sulla base di nuove acquisizioni
archeologiche, che l’organizzazione dell’ager,
possa ricondursi proprio alle prime fasi di vita della
colonia, corrispondenti al periodo in cui fu sicuramente
realizzato il già programmato prolungamento
della via Appia da Taranto a Brindisi 3 .
La suddivisione del territorio, che è oltremodo
difficile riscontrare su basi aerotopografiche, per le
**** Dipartimento di Studi Classici e Cristiani, Università di
Bari.
1 Marangio 1975.
2 Ivi, 124.
3 Uggeri 1983, 179-227.
1

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trasformazioni agrarie ed i grandi lavori di bonifica
dei canali che nel corso del tempo hanno profondamente
modificato il territorio, fu quindi verosimilmente
impostata sul decumanus maximus costituito
dal tracciato della via Appia da Taranto a Brindisi;
non si può però escludere l’esistenza nell’intero territorio
di orientamenti diversi, che potrebbero essere
stati dettati sia dai caratteri geomorfologici della pianura
brindisina, solcata da vari canali, un tempo in
gran parte navigabili, sia dalla presenza di un’altra
via di notevole importanza strategica, la Minucia di
oraziana memoria, poi ricalcata dall’Appia Traiana 4 .
Nel territorio brindisino si possono distinguere
due aree maggiormente interessate da solchi torrentizi:
quella corrispondente al tratto costiero a nord di
Brindisi, compreso tra Torre Guaceto e Torre Testa,
nel quale sfociano il Canale Reale, il Canale di Apani
e il Canale di Giancola, e quella che interessa il tratto
costiero dall’ansa portuale di Brindisi a Torre Specchiolla.
Nel Porto interno di Brindisi si versano il Canale
Cillarese e il Canale Palmarini-Patri, rispettivamente
nel Seno di Ponente e nel Seno di Levante; nel porto
esterno sfociano il “Fiume” Piccolo e successivamente
il “Fiume” Grande, il Canale Foggia di Rau, il
Canale il Siedi, il Canale della Foggia, il Canale del
Cimalo, il Canale Pilella e il Canale Infocaciucci 5 .
Il corso del Canale Reale potrebbe aver separato il
territorio del municipium di Brindisi da quello di Oria
(a S ed O) e di Ostuni (a N), mentre il Canale Infocaciucci,
a Sud, può aver costituito parzialmente il confine
naturale con il municipium di Lupiae.
Recentemente proprio il territorio a S del Canale
Infocaciucci è stato interessato dal tracciato del metanodotto
Brindisi-Trepuzzi. L’attività di controllo dei
lavori, estesa su un’area più ampia di quella interessata
dal tracciato, non ha fatto rilevare la presenza di
siti rurali: questo dato induce a ritenere che tale porzione
territoriale fosse destinata ad ager publicus non
assegnato, sino al territorio proprio del municipium di
4 Ivi, 229-264.
5 Per le caratteristiche geomorfologiche, cfr. Novembre
1971, 57.
6 Il territorio attraversato dal Canale Infocaciucci è stato
oggetto, negli anni ottanta, di ricognizioni condotte dalla Libera
Università di Amsterdam, nell’ambito delle ricerche in
concessione condotte a Valesio.
2
A. Cocchiaro - P. Palazzo - C. Annese - G. Disantarosa - D. Leone
Lupiae 6 . Nel’ambito degli stessi lavori per la realizzazione
del metanodotto, nel settore territoriale attraversato
in età romana imperiale dalla ‘Traiana Calabra’
7 , certamente più antica dell’intervento imperiale
del 109 d.C., si sono individuati due siti rurali di età
tardorepubblicana: uno nei terreni circostanti Masseria
Colemi, sulla sponda del canale Fiume Grande, e
l’altro nei terreni di pertinenza di Masseria Taverna,
tra questa e il corso del Canale Foggia di Rau. In quest’ultimo
sito sono stati individuati, a circa m 28 di
distanza l’uno dall’altro, due pozzi la cui eccezionalità
consiste nella tipologia costruttiva: sono, infatti,
entrambi realizzati con una serie di anelli in argilla
sovrapposti con imboccatura costituita da un anello
con orlo aggettante del tipo dei dolia 8 .
A S dell’Appia, nel tratto fra Mesagne e Brindisi,
fra questa e il corso del canale Palmarini-Patri, poco
distante dal vicus tardoantico attestato a Masseria
Masina, sorto con molta probabilità non lontano dal
sito di una villa tardorepubblicana, in contrada Matagiola
9 , si è documentata la tecnica di età romana di
drenaggio dei terreni a scopo agricolo, che utilizzava
detriti ceramici interrati.
Nel territorio compreso fra il Canale Reale e la
via Appia 10 , nel corso dei lavori per la realizzazione
del metanodotto Bernalda-Brindisi, in contrada Epifani
e nei pressi di Masseria Argiano, sono state per
la prima volta rilevate tracce archeologiche della limitatio
del territorio e, proprio all’incrocio determinato
da due limites, si è individuata un’estensione di
terreno caratterizzata dalla presenza in superficie di
fittili architettonici e materiale ceramico che copre un
arco cronologico vasto, dall’età repubblicana all’età
imperiale romana.
Presso Masseria Buffi, nel corso delle ricognizioni
superficiali effettuate parallelamente al tracciato
del metanodotto, prima ancora dell’ apertura delle
piste, è stato rintracciato il sito di un altro insediamento,
esteso su una superficie di m 2 11.000, come
indica la concentrazione di materiale archeologico.
7 Uggeri 1983, 265-290.
8 Pozzi con questa tipologia costruttiva sono gli unici al momento
attestati nell’area del territorio brindisino; un confronto
diretto si ha con pozzi di età ellenistica rinvenuti in Grecia. Si
veda sull’argomento Lang 1968, 5-8, figg. 5, 8,11, 46.
9 Volpe 1994, 69-80.
10 Cocchiaro 2000, 96-100.

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La ricerca archeologica nell’ager Brindisinus: lo scavo della villa di Giancola
La ceramica rinvenuta documenta che l’insediamento
agricolo perdurò sino all’età imperiale romana avanzata,
probabilmente all’interno di un esteso latifondo
in cui l’attività prevalente doveva essere cerealicola.
L’insediamento rurale, di cui è attestata una fase della
prima età imperiale, testimoniata dalla presenza di
frammenti di terra sigillata orientale A, è probabilmente
situato all’ interno di una maglia della suddivisione
agraria del territorio. Si deve rilevare come,
suggestivamente, all’incrocio delle due stradine interpoderali
che delimitano l’estensione di terreno interessata
dai resti archeologici, sorga un’edicola funeraria,
fatto riconosciuto altrove, agli incroci di limites,
come sopravvivenza odierna della sacralità dei
confini. Al fine di salvaguardare l’area da inevitabili
danneggiamenti nel corso dei lavori di trasformazione
agraria e per adottare le più opportune misure di
tutela si sono eseguiti saggi stratigrafici che hanno
confermato, secondo le previsioni, l’importanza del
sito dal punto di vista storico-archeologico. I limitati
fondi del bilancio statale non hanno consentito di
estendere ulteriormente l’area di scavo, ma i dati acquisiti
sinora documentano, comunque, che le strutture
murarie conservate in fondazione si estendono
con regolarità e facevano parte di un insediamento
agricolo ben più esteso e ulteriormente attestato dalle
presenze di fittili architettonici sulla superficie del
terreno. In relazione con gli ambienti evidenziati si
sono individuati solo dei residui di livelli di crollo
delle coperture: i lavori di trasformazione agraria
condotti nei secoli hanno intercettato e notevolmente
compromesso i resti archeologici. Ne sono prova una
macina e i pezzi di pavimentazione in opus spicatum
e di intonaco idraulico, rinvenuti fra i cumuli di detriti
della Masseria e appartenenti sicuramente ad una
vasca per la raccolta dell’acqua distrutta dai lavori
agricoli in passato.
I siti rurali noti di età tardorepubblicana romana
che costellavano l’ager Brundisinus rispondono tutti
ai requisiti che secondo M. Porcio Catone nel II secolo
a.C., nel trattato De agri cultura, doveva avere una
proprietà terriera per essere produttiva e per abbattere
i costi dei trasporti: «Nelle vicinanze devono trovarsi
una città prospera e il mare o un fiume navigabile,
11 Uggeri 1983, 336-348.
12 Cocchiaro 1998, 105-118.
oppure, in mancanza di questi, una strada davvero
buona con un traffico intenso». La continuità di occupazione,
o rioccupazione, di molti insediamenti
sino alla tarda età imperiale, deve essere attribuita
proprio alla favorevole geomorfologia del territorio
ed alla rete stradale, costituita da viae publicae e
dalla sopravvivenza dei tracciati che avevano collegato
i centri messapici tra loro e con il mare Adriatico.
In età tardoantica un’alta densità di popolamento
nel territorio brindisino si registra proprio lungo le
maggiori direttrici viarie. Si confrontino il già citato
insediamento a Masseria Masina e soprattutto i dati
offerti dal territorio a sud di Brindisi, compreso tra la
via Appia a N e la direttrice viaria nota come Limitone
dei Greci a S 11 . Questa via in età imperiale romana
costituiva una valida alternativa all’Appia per raggiungere
Otranto, il cui porto aveva soppiantato in
importanza quello di Brindisi. Dal 1975 alcuni siti dislocati
lungo questa arteria, già indicati da Cesare
Marangio, sono stati interessati da interventi di scavo
che ne hanno definito i caratteri e la cronologia: si
vedano i risultati delle indagini a Malvindi (in agro di
Mesagne) 12 , a Masseria Crepacore (in agro di Torre
Santa Susanna) 13 , dove si è definita l’occupazione del
sito dall’età ellenistica al IV d.C., e nell’area in cui
sorge il Tempietto di San Miserino (in agro di Sandonaci)
14 , dove si è accertata l’edificazione dell’edificio
fra il IV e VI secolo d.C., nel sito di una villa romana
preesistente. L’insediamento già segnalato nel 1975 a
Masseria Falco (in agro di Sandonaci), che rivelava
una frequentazione tra il II e il IV sec. d.C., è stato invece
nel 2001 irrimediabilmente compromesso da
imponenti lavori di trasformazione agraria.
In tale sintetico panorama archeologico di grande
importanza appare la scoperta, avvenuta nel 1998,
della residenza rurale connessa agli impianti per la
produzione di anfore di Giancola, a brevissima distanza
dalla sponda orientale del canale omonimo. La
scoperta, avvenuta in seguito a lavori di spianamento
per la trasformazione agraria del terreno, è stata seguita
da un’indagine, limitata rispetto all’intera area
di circa 2 7000 sulla quale doveva estendersi l’intero
complesso rurale, ma di particolare interesse per il dato
cronologico relativo alla continuità di occupazione del
13 Maruggi 1999.
14 Matichecchia 1997.
3

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sito in età imperiale, come testimonia il rinvenimento
di una statua di Bacco, databile fra la tarda età adrianea
e la prima età antonina. L’ultima fase di occupazione
del sito in età tardoantica, avvenuta in un arco cronologico
compreso fra la fine del IV secolo e gli inizi del VI
secolo d.C., è stata sicuramente favorita dalla strategica
posizione lungo il percorso dell’Appia Traiana. Non si
può escludere, infatti, sulla base delle conoscenze attuali,
che dopo la stazione di ad Speluncas, individuabile
presso l’odierna Torre Santa Sabina 15 , i viaggiatori
trovassero qui, forse nelle strutture di un vicus, la possibilità
di sostare. Analoga funzione si è riconosciuta per
gli insediamenti di Masseria Masina, posto lungo l’Appia
fra Mesagne e Brindisi, e per il complesso in località
Malvindi, situato lungo il Limitone dei Greci.
Si auspica che tutti i dati relativi all’ager Brundisinus,
sia quelli già editi o acquisiti con gli interventi di
scavo e tutela della Soprintendenza, sia quelli delle
Università che hanno operato nel territorio, vengano
georeferenziati e messi in relazione tra loro in una carta
archeologica che possa essere la base per uno studio
complessivo dell’organizzazione dell’ager, dalla fondazione
della colonia di Brundisium al periodo tardoantico
e sotto ogni profilo. Tale carta archeologica, è
ovvio, potrà costituire anche lo strumento per la pianificazione
territoriale degli interventi da parte degli enti
locali ed essere, inoltre, alla base delle azioni di tutela
cui la Soprintendenza per i Beni Archeologici è istituzionalmente
preposta.
A.C.
Giancola: la villa
L’area archeologica di Giancola (fig. 1), nota sin dal
secolo scorso per la segnalazione di grandi quantità di
materiale ceramico, prevalentemente anforario, fra cui
molte anse bollate e scarti di fornace, è stata oggetto di
indagini di scavo condotte dal 1988 al 1990, grazie ad
un progetto di collaborazione tra il Museo Archeologico
Provinciale, la Soprintendenza per i Beni archeolo-
15 Travaglini, 1994, 101-113.
16 I primi risultati delle indagini sono resi noti in Manacorda
1990, Manacorda, Palazzo 1989 e 1990, Manacorda, Palazzo,
Cocchiaro 1991.
17 Una sintesi dei dati preliminari è esposta nel recente Ma-
4
A. Cocchiaro - P. Palazzo - C. Annese - G. Disantarosa - D. Leone
1. - Stralcio dalla tavoletta IGM 1:25.000 con l’ubicazione
del sito di Giancola.
gici della Puglia e l’Università di Siena 16 . Le ricerche
svolte sul sito, dirette da Daniele Manacorda, hanno
permesso di individuare e riportare alla luce, a poche
centinaia di metri dalla sponda orientale del canale e a
circa un chilometro dalla linea di costa e dall’approdo,
le strutture relative ad un insediamento artigianale, i cui
impianti produttivi furono attivi tra il I sec. a.C. ed il I
sec. d.C. Come si evince dalle edizioni preliminari dei
contesti indagati 17 , l’indagine stratigrafica ha consentito
la ricostruzione della vita dell’insediamento stabilendo
almeno tre fasi di vita degli impianti, a partire dalla
più antica, collocabile nella tarda età repubblicana, una
intermedia di età augustea ed un’ultima di prima età
imperiale. Nella fase più antica (fig. 2), quella di impianto
dell’insediamento, la proprietà delle fornaci di
Giancola viene attribuita a Visellio, personaggio sulla
cui origine si è ampiamente discusso 18 ; il suo nome
nacorda 2004; sull’argomento si veda inoltre Id. 1994, 4-7,
38-46; Id. 2001; Id. 2003; Manacorda, Cambi 1994.
18 Manacorda ha prospettato la possibilità di un’origine arpinate
e di una parentela con Cicerone, ma non viene esclusa
neanche un’origine locale. Sull’argomento si veda Manacorda
1990, 383-384; Manacorda 1994, 4-5; Silvestrini 1996, 35.

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2. - Insediamento di Giancola: prima fase di vita degli impianti.
compare su di un numero elevatissimo di anse, spesso
associato a quello dei suoi schiavi, se ne contano
26 19 , impegnati, con ruoli e compiti differenti, nella
produzione di materiale ceramico, per lo più anfore
da trasporto, a destinazione prevalentemente olearia,
la cui distribuzione ha interessato, nella tarda età repubblicana,
l’ambito dell’intero mercato mediterraneo
dell’Oriente e dell’Occidente 20 .
A Giancola le attività artigianali legate alla produzione
di anfore erano verosimilmente connesse con le
esigenze commerciali derivanti dal tipo di produzione
agricola a carattere intensivo che si sviluppava all’interno
della proprietà entro cui gravitavano gli
stessi impianti produttivi. L’inserimento del complesso
artigianale di Giancola all’interno di un fundus
agricolo, è stato uno degli obiettivi e dei risultati di
quattro anni di indagini topografiche che, a partire
dal 1990, sono state condotte sul sito, nell’ambito di
un progetto di ricerca sulla romanizzazione dell’agro
brindisino promosso dall’Università di Siena 21 . I risultati
di quanto emerso dalla ricognizione sono illustrati
con una ricostruzione, elaborata da chi ha condotto
le indagini (fig. 3), nella quale vengono definiti
19 Sull’argomento si veda da ultimo Manacorda 2003, 301-
305, tab. 1.
20 Per una diffusione dei bolli di Visellius e degli schiavi a lui
riconducibili si vedano i riferimenti bibliografici in Manacorda
1990, 382 nota 23 e Cipriano, Carre 1989, 95-96.
21 I risultati della ricognizione condotta dall’équipe di ar-
i presunti confini della proprietà attribuita a Visellio,
in età tardo-repubblicana.
All’interno del fundus risulterebbero attivi anche
altri impianti produttivi, quelli individuati a Marmorelle,
nell’entroterra, lungo il corso dello stesso Canale
Giancola, riportati alla luce durante le indagini
archeologiche condotte sul sito nel 1991 e 1993 dalla
Soprintendenza per i Beni archeologici della
Puglia 22 . Le anse bollate rinvenute a Marmorelle con
i nomi impressi di Visellio e dei suoi schiavi costituiscono
la prova inequivocabile di una produzione
anforaria anche su quel sito, ad opera di personaggi
legati allo stesso proprietario degli impianti di Giancola
ed attivi nella stessa epoca 23 .
Una conferma di quanto segnalato dalle ricerche
di superficie, circa l’esistenza, nell’ambito della stessa
proprietà in cui gravitavano gli insediamenti di
Giancola e Marmorelle, di una villa, fulcro delle attività
agricole del fundus, si è avuta nel corso di due
brevi campagne di scavo svolte sul sito nel 1998
dalla Soprintendenza per i Beni della Puglia 24 ; in
quell’occasione furono riportate alla luce le strutture
relative al settore produttivo di una villa romana, ubicata
lungo la sponda orientale del canale, poche cen-
cheologi dell’Università di Siena, diretti da F. Cambi, sono
sintetizzati in Cambi 2001.
22 Palazzo 1991; Ead. 1994a.
23 Palazzo 1993; Ead. 1994b.
24 Palazzo 1999; Cocchiaro 2003.
5

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3. - Giancola: ricostruzione delle proprietà nel I sec. a.C.
(Cambi 2001, fig. 5).
tinaia di metri a nord dell’antico tracciato viario della
Minucia-Traiana e circa un chilometro a sud dell’insediamento
artigianale di Giancola.
Lo scavo ha nel complesso evidenziato le strutture
perimetrali, ricavate all’interno del banco argilloso,
di un grande vano rettangolare orientato secondo
l’asse maggiore in senso Nord Est-Sud Ovest e mancante
del lato corto meridionale, non rinvenuto, ma
sicuramente conservato al di sotto del terreno agricolo
ed affiorante a tratti nei punti dove l’aratro è sceso
maggiormente in profondità, riportando in superficie
grosse pietre smosse (fig. 4). All’interno del recinto
(cella vinaria), destinato alla conservazione del vino,
sono stati rinvenuti 19 contenitori infossati (dolia
defossa) dislocati singolarmente lungo i muri, ma
anche a gruppi di tre e quattro unità al centro dell’ambiente
ed in prossimità della vasca (lacus), siste-
6
25 Si veda da ultimo Manacorda 2004,
A. Cocchiaro - P. Palazzo - C. Annese - G. Disantarosa - D. Leone
mata a ridosso del muro perimetrale settentrionale.
La vasca (fig. 5), di forma rettangolare, ricavata anch’essa
nel banco argilloso, ha pareti realizzate con
blocchi di pietre locali legati da malta e rivestiti di
uno spesso strato di resistente intonaco idraulico. Le
pareti presentano spigoli interni arrotondati con cordoli
convessi alla base poggianti sul pavimento in
cocciopesto. L’accesso alla vasca era consentito da
almeno cinque gradini di cui quattro perfettamente
conservati e ricoperti anche essi di intonaco idraulico.
In posizione quasi centrale è posto al centro dell’ambiente
un pozzetto circolare, poco profondo, utilizzato
per la raccolta dei residui del mosto fermentato
all’interno della vasca. Non è stata riscontrata alcuna
traccia sul terreno di elementi strutturali relativi
ad altri ambienti riconducibili al settore produttivo
della villa; qualche elemento in più ci viene tuttavia
fornito dalla ricognizione che ha registrato sul sito la
presenza di intonaci, anche dipinti, e pavimenti in
opus signinum.
Le ricerche condotte sul sito di Giancola hanno riscontrato
che le attività produttive legate al nome di
Visellio, benchè rilevanti e di fortissimo impatto per
l’economia brindisina, possono essere circoscritte ad
un arco di tempo limitato ad alcuni decenni, compresi
nella prima metà del I sec. a.C. 25 . Sembrerebbe, infatti,
che nel corso della seconda metà del I sec. a.C.,
le fornaci di Giancola cessino di produrre anfore per
Visellio, registrando una fase di crisi legata probabilmente
ai rivolgimenti causati dagli anni delle guerre
civili. La ripresa di queste attività si ha in età augustea
e coincide con la comparsa di altri personaggi
che si sostituiscono a Visellio nella produzione di
manufatti ceramici e nella gestione del fundus 26 .Si
tratta di personaggi di nuova estrazione, verosimilmente
liberti; difficile dire se producessero e bollassero
anfore per proprio conto o per conto dei loro ex
padroni. In questa nuova fase produttiva le anfore si
differenziano sotto il profilo tipologico da quelle di
produzione viselliana, compaiono infatti contenitori
vinari di forma simile alla cd. Lamboglia 2 e di tipo
Dressel 2/4. I bolli impressi sulle anfore di nuova
produzione restituiscono, assieme a pochi nomi servili,
quelli di Gneo Petronio Sostrato e Lucio Marcio
Saturnino (fig. 6).
26 Manacorda 2001, 229-232; Id. 2003, 300-301.

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5. - Giancola: planimetria e sezione della vasca.
4. - Giancola: planimetria del settore
produttivo della villa.
7

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A
B
6.- Bolli di Lucio Marcio Saturnino e Gneo Petronio Sostrato
impressi su anse di anfore brindisine provenienti dal
sito di Giancola.
7. - Bolli di Lucio Marcio Saturnino impressi su orli frammentari
di dolia rinvenuti all’interno della vasca.
8
A. Cocchiaro - P. Palazzo - C. Annese - G. Disantarosa - D. Leone
Il passaggio di proprietà nella gestione degli impianti
si registra anche nella conduzione delle attività
agricole e produttive della villa; a conferma di ciò abbiamo
un importante dato epigrafico rappresentato
dal bollo di Marcio Saturnino, impresso su due orli
frammentari di dolia (fig. 7), rinvenuti nella terra di
riempimento della vasca quando l’impianto non era
più in funzione. È possibile così ipotizzare che Lucio
Marcio Saturnino si sia sostituito a Visellio nella gestione
dell’intero fundus rilevando sia le fornaci che
la villa, anche se è giusto ricordare che l’attribuzione
a Visellio della proprietà della villa è basata solo su
ipotesi, per le quali mancano sinora dati di conferma.
La continuità di frequentazione dell’insediamento
e, presumibilmente, delle attività dell’impianto produttivo
della villa, nei primi due secoli dell’impero, è
un’ipotesi avanzata sulla base dei pochi dati ricavati
dallo studio dei reperti rinvenuti nel corso delle due
brevi indagini archeologiche condotte sul sito 27 . È
bene ricordare, a questo proposito, che gli interventi
di scavo sono stati concentrati su di un’area molto limitata
e particolarmente danneggiata da imponenti
lavori agricoli di sbancamento e livellamento, che
hanno determinato un abbassamento della quota originaria
del terreno; di conseguenza le strutture pertinenti
all’impianto della villa sono state quasi totalmente
asportate e di esse si conservano soltanto le
fondazioni dei muri. In tutta l’area indagata non è rimasta
alcuna traccia di piani pavimentali e all’interno
della cella si conservano i resti delle estremità inferiori
dei corpi globulari dei dolia infossati. L’unico
contesto intaccato limitatamente in superficie dallo
sbancamento agricolo, è quello relativo al riempimento
del lacus, che ha restituito reperti di varia natura
attribuibili, come vedremo più avanti, a due distinti
ambiti cronologici, riconducibili a due diverse
fasi di frequentazione del sito.
Sulla base dei dati ricavabili dall’analisi dei materiali
e dalla ricostruzione della natura stessa del
primo strato di accumulo dei reperti, si può ipotizzare
27 Lo scavo della villa è avvenuto in due fasi; un primo intervento
d’urgenza risale alla primavera del 1998 ed in quella
prima occasione furono parzialmente documentate le strutture
emergenti della cella vinaria e scavato solo una parte del riempimento
della vasca, US 28. In una successiva ripresa dei lavori,
nell’autunno dello stesso anno, fu completata la rimozione dello
strato US 28 e terminata la documentazione dell’area indagata.

21 Cocchiaro 15-11-2005 8:42 Pagina 9
8. - Iscrizione.
che la villa abbia avuto una continuità di vita nei primi
due secoli dell’Impero e che l’impianto produttivo
abbia smesso di funzionare sul finire del II-inizi III
sec. d.C.; quindi la vasca, non più in uso, venne riutilizzata
come deposito e direttamente sul pavimento furono
riposti blocchi parallelepipedi squadrati di calcare,
una statua marmorea raffigurante Bacco, di tarda
età adrianea, prima età antonina 28 , assieme a pochi reperti
ceramici, fra cui frammenti di dolia, anfore da
trasporto e vasellame di uso domestico, databili fra la
tarda repubblica ed il III sec. d.C. Di notevole interesse
il frammento epigrafico in marmo (alt. cm 12; largh.
cm 10; spess. cm 2; misura lettere: ll. cm 1-2: 4 ). Presenta
lettere eleganti con ombreggiatura regolare, separate
da larghi punti triangolari (fig. 8).
[---] M. f.[---]
[---]co [---]
------
La ricerca archeologica nell’ager Brindisinus: lo scavo della villa di Giancola
28 Cocchiaro 2003, 26-27, figg. 48-50; Marinazzo 2003, 28.
29 Ringrazio Marina Silvestrini per la lettura e l’inquadramento
cronologico dell’epigrafe.
30 Il materiale d’importazione rappresenta quindi il totale del
vasellame fine; infatti, non sono state individuate imitazioni di
ceramiche fini da mensa, peraltro ben documentate in tutta l’Apulia
et Calabria (vedi da ultimo Leone, Turchiano 2002, 136;
Annese 2000, 303 e Greco, Lapadula 2004, 22-24; al contrario,
sono discretamente attestate imitazioni di ceramiche africane da
cucina (cfr. Leone infra).
Nella prima riga della formula onomastica rimane
solo il patronimico; nella 2 a riga le lettere terminali di
una parola: si può pensare ad un cognomen al caso dativo:
ad es. Prisco o Flacco. Il frammento, su base paleografica,
è inquadrabile in età protoimperiale 29 .
Ad una frequentazione tarda del sito, difficile stabilire
se nell’ambito della stessa villa, rioccupata, o di
un’altra struttura insediativa di impianto tardoantico, è
da attribuire il secondo e più consistente livello di riempimento
documentato all’interno della vasca. Si tratta
anche in questo caso di un accumulo volontario, che si
configura come un vero e proprio immondezzaio, e che
ha restituito reperti ceramici databili fra la fine del IV e
gli inizi del VI sec. d.C. (vd. infra).
La classificazione preliminare dei materiali ed una
prima generica datazione del contesto scavato è stata
fornita da Erminia Lapadula e Tommaso Bertoldi; lo
studio specifico delle classi ceramiche è stata affidata a
Caterina Annese, Giacomo Disantarosa e Danilo
Leone, ai cui contributi si rinvia per un resoconto più
analitico.
P.P.
Giancola: i materiali
Ceramiche fini da mensa
Questa classe rappresenta una percentuale ridottissima
(9,8% in base al computo numerico dei frammenti
e 2,6% in base al peso) nei ritrovamenti ceramici
(fig. 9). Essa è costituita esclusivamente da terra sigillata
africana (TSA) di produzione tunisina; nell’esame
del contesto è stata compresa anche la ceramica da
fuoco africana (CFA), che, pur non rientrando funzionalmente
nella categoria del vasellame fine, costituisce
un materiale d’importazione di alta qualità rispetto
alle ceramiche da cucina di produzione locale 30 . Si
tratta di 85 frammenti, corrispondenti a 21 vasi circa 31 .
31 La quantificazione rende conto del numero minimo di
esemplari identificati; solo in alcuni casi il computo, basato sulla
somma delle percentuali degli orli, è stato possibile poiché la porzione
di orlo conservata era inferiore al 5%. I dati relativi alle attestazioni
delle ceramiche fini da mensa e da fuoco africane sono
stati strutturati in due tabelle riassuntive, articolate nelle seguenti
voci: produzione, forma, tipo, numero minimo di esemplari, cronologia
ed indicazione delle tavole; i disegni sono in scala 1:2.
32 La forma Hayes 14 è documentata a San Giorgio Brindisi
(Valente 1996, 39, tav. I, n. 2), Alezio (Giannotta 1981, 227,
9

21 Cocchiaro 15-11-2005 8:42 Pagina 10
tav. 60, nn. 2-8), Cutrofiano (Greco, Lapadula 2004, 20),
Otranto (Giannotta 1992, 49, fig. 3:1, n. 198; Zezza 1983, 235,
tav. 101, n. 0.30; De Mitri 2004, 1126) e Leuca (Giardino
1978, tav. 70, B 106). Il tipo B è documentato in una villa nei
pressi di Oria (Yntema 1993, nn. 127, 164, 251, 297), a Torre
10
A. Cocchiaro - P. Palazzo - C. Annese - G. Disantarosa - D. Leone
9. - Ripartizione delle classi di materiale ceramico calcolate in percentuale
sul numero/peso complessivo dei frammenti
10. - Ripartizione delle ceramiche africane fini da mensa calcolate in percentuale
sul numero/peso complessivo dei frammenti.
11. - Ripartizione tra le differenti aree di produzione delle ceramiche africane
calcolate in percentuale sul numero/peso complessivo dei frammenti.
La sigillata africana (fig. 9, 11). I prodotti
delle fabbriche della Tunisia settentrionale
costituiscono il 72%-83% dei rinvenimenti
di ceramiche fini da mensa
d’importazione africana (compresa la ceramica
da cucina), mentre solo il restante
il 28%-17% proviene dalla Tunisia centrale
(fig. 10).
Alla più antica produzione della Zeugitana
rimandano le coppe carenate Hayes
14 B 32 . La sigillata africana A, peraltro
ben documentata nel salento tra la fine II e
la prima metà III secolo (Otranto, Alezio,
Leuca, Valesio, Oria, San Giorgio-Brindisi)
è da intendersi come residuale nel contesto
in esame, rappresentando solo l’
8%/3% (fig. 11).
Anche la produzione AD è rappresentata
da una sola forma, la scodella Hayes
31 33 . La sigillata africana AD, abbondantemente
attestata tra le ceramiche fini da
mensa africane provenienti dall’area del
porto di Brindisi, a Torre Santa Susanna
ed Oria - Muro Maurizio 34 , è presente
anche in vari siti del basso salento, quali
Supersano, Cutrofiano, Valesio, Otranto 35 .
Ben più documentata è la produzione
C, rappresentata dalle grandi scodelle
Santa Susanna-chiesa di San Pietro (Maruggi
1999, 26), Valesio (Yntema 1987, 96, fig. 36.4;
Yntema 1995, 274-275, fig. 152, n. 24) ed Alezio
(Giannotta 1981, 227, tav. 60, n. 5); in Apulia ad
Agnuli–Mattinata (D’Aloia 1999a, 278, tav. II, n.
3), nella villa di Fioravanti a Vieste (Cannarozzi,
Mazzei, Volpe 1997, 200, fig. 5, n. 21) e ad Herdonia
(Annese 2000, 291, tav. I, 5; Rizzitelli
2000, 280).
33 La forma è documentata in AD in Calabria, a
Torre–Santa Susanna (Maruggi 1999, 27), Supersano
(Melissano 2004, 48-49, fig. 6, n. 10), Cutrofiano
(Melissano 1990, 276), Otranto (De Mitri
2004, 1128) ed in Apulia ad Herdonia (Rizzitelli
2000, 275; 280), Bovino (Mazzei 1994, 312, fig.
535) e Venosa (Marchi, Sabbatini 1996).
34 Vedi rispettivamente D’Andria 1997, 117;
Maruggi 1999, 27; Yntema 1993, 124, fig. 63, n.
218.
35 Vedi rispettivamente Melissano 2004, 48-49, fig. 6, n.
10; Greco, Lapadula 2004, 20 e Melissano 1990, 276; 286;
Yntema 1995, 275, fig. 152, n. 26; Giannotta 1992, 49, fig.
3:1, n. 200 e De Mitri 2004, 1126, 1128.

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La ricerca archeologica nell’ager Brindisinus: lo scavo della villa di Giancola
Hayes 50, che costituiscono la forma maggiormente attestata
nel sito; sono presenti, nella produzione C 3 , il
tipo Hayes 50, n. 55 36 ed il tipo Hayes 50B, nn. 56-
59 37 . Il confronto con altri contesti salentini sembra
confermare l’ampia capillarità della diffusione di questa
scodella e gli indici piuttosto elevati della sua presenza
38 , peraltro già abbondantemente ed alquanto diffusamente
verificati in tutta l’Apulia et Calabria 39 . Alla
produzione D, invece, sono da riferire le scodelle
Hayes 50B, n. 60, presenti anche a Brindisi - San Giorgio,
Otranto, Cutrofiano, Soleto 40 .
Tra le produzioni della Byzacena va segnalato un
frammento, pertinente ad una forma aperta (probabilmente
una coppa), decorato a rilievo applicato; il motivo
risulta di difficile lettura: si riconosce forse il panneggio
di una figura umana. Questa produzione in
36 Il tipo è documentato anche ad Herdonia (Annese 2000,
291, tav. II, n. 18; Rizzitelli 2000, 280, tav. I, n. 9).
37 Il tipo è presente anche a San Giorgio-Brindisi (Valente
1996, 47) e sempre in C 3 ad Otranto (Giannotta 1992, 51, fig.
3:1, n. 207 e Zezza 1983, 240); è attestato inoltre in Apulia a
Metaponto (Giardino 1983, 21-22), Herdonia (Leone 2000,
394, tav. I, n. 1; Rizzitelli 2000, 280, tav. I, nn. 8-9; Turchiano
2000, 347, tav. I, n. 1), Canosa (Cassano et al. 1985, 506),
Agnuli (D’Aloia 1999a, 278, tav. II, n. 4) e Siponto (D’Aloia
1999b, 406-407).
38 La forma è documentata in C e D in tutti i contesti editi
del salento: nel brindisino a Torre Santa Susanna (Maruggi
1999, 27), Oria - Muro Maurizio (Yntema 1993, 127, fig. 64,
n. 226) e Campo Adriano (Boesma, Yntema 1987, 15, fig. 15
n. 10), Valesio (Yntema 1995, 275, fig. 152, nn. 27-28); è presente,
inoltre, a Cutrofiano (Melissano 1990, 267, 277, 286-
287; tavv. 109, 112, 114, nn. 21, 86, 137, 139; Greco, Lapadula
2004, 20), Alezio (Giannotta 1981, 229, tav. 61, n. 20), Supersano
(Melissano 2004, 49, fig. 6, n. 11), Otranto (De Mitri
2004, 1126, 1128; Giannotta 1992, 49-51, nn. 205-206) e
Leuca (Giardino 1978, 152, tav. 70, B 115).
39 Al riguardo si veda Annese 2000, 288; Leone, Turchiano
2002, 859; da ultimo si rimanda a Volpe et al. c.s.
40 Cfr. rispettivamente Valente 1995-1996, 48, tav. II, n. 7;
De Mitri 2004, 1126, 1129 (variante n. 61) e Giannotta 1992,
51; Greco, Lapadula 2004, 20 e Melissano 1990, 286, tav.
114, n. 139; Van Compernolle 1994, 342, fig. 20. In Apulia il
tipo è presente ad Herdonia (Annese 2000, 291, tav. II, n. 20;
Leone 2000, 394, tav. I, n. 3; Rizzitelli 2000, 280; Turchiano
2000, 347, tav. I, n. 3); Siponto (D’Aloia 1999b, 407), Metaponto
(Giardino 1983, 21, tav. 11, n. 7).
41 Giannotta 1992, 51, fig. 3.2, n. 210. Per l’Apulia vedi
Leone, Turchiano 2002, 862.
42 Cfr. tipi analoghi in salento ad Otranto (Giannotta 1992,
51, fig. 3:1, n. 215) e Valesio (Yntema 1995, 274, fig. 152, n.
29); in Apulia ad Herdonia (Annese 2000, 291, tav. II, n. 22),
Posta Crusta (Leone 2000, 394, tav. I, n. 4) ed Agnuli (D’Aloia
1999a, 278, tav. II, n. 6).
C 3 /C 4 , inquadrabile cronologicamente tra III e IV secolo,
è attestata anche ad Otranto 41 .
Una più ampia varietà di forme giunge dalla Tunisia
settentrionale tra il IV ed il V secolo: si tratta, delle
già citate Hayes 50B, delle scodelle Hayes 58 B,
nn. 9 42 ed 11 43 , Hayes 59 A, n. 1 44 ed Hayes 61A, n.
21 45 ; si registra, inoltre, un esemplare attribuibile forse
alla poco diffusa coppa Holwerda 1936, tav. VI, n.
658 46 , un mortaio caratterizzato da impasto grossolano
e vernice opaca.
È inquadrabile cronologicamente tra IV e V secolo
anche lo schema decorativo (stili Ai–Aii) impresso
a stampo sul fondo della scodella Hayes 59
A 47 : si tratta di un motivo a stella costituito da rami
di palma (tipo Hayes 4), circoscritto da una fascia
più ristretta priva di decoro e da una seconda fascia
43 Il tipo è presente anche ad Otranto (Giannotta 1992, 51,
fig. 3:1, n. 216); in Apulia ad Herdonia (Annese 2000, 291,
tav. II, n. 23; Rizzitelli 2000, 280; Turchiano 2000, 347, tav. I,
n. 5) e Siponto (D’Aloia 1999b, 407).
44 La scodella è documentata ad Egnathia (D’Andria
1977, 78), Oria - Muro Maurizio (Yntema 1993, 124, fig.
63, n. 217), Cutrofiano (Melissano, 267, tav. 109, n. 24;
Greco, Lapadula, 20) ed Herdonia (Annese 2000, 291, tav.
II, n. 25).
45 Lo stesso tipo è attestato a San Giorgio-Brindisi (Valente
1995-96, 54, tav. III, n. 11); la scodella Hayes 61 costituisce,
insieme alla Hayes 50, una delle forme più documentate nell’area
in esame: il tipo A è presente a Taranto (D’Andria 1977,
78), Oria–Muro Maurizio (Yntema 1993, 127, fig. 63, n. 224),
Valesio (Yntema 1995, 74, n. 30), Cutrofiano (Melissano
1990, 287 tav. 114, n. 141; 267, tav. 109, n. 25 e Greco, Lapadula
2004, 20), Supersano (Giannotta 1990, 301, 306; tav.
121, n. 1; Melissano 2004, 49, fig. 6, n. 12); Otranto (De Mitri
2004, 1129, 1134, fig. 5, n. 4); in Apulia è presente ad Herdonia
(Annese 2000, 291, tav. II, n. 27; Leone 2000, 394, tav. I,
n. 5; Turchiano 2000, 347, tav. I, n. 9); Agnuli (D’Aloia
1999a, 278), Canosa (Cassano et al. 1985, 506), Siponto
(D’Aloia 1999b, 407).
46 La forma, che sembra richiamare la coppa di più piccole
dimensioni Lamboglia 4/36B in A 2 e la scodella Hayes 45C n.
16 in C/E, è caratterizzata da un largo orlo ricurvo non decorato,
facente funzione di listello rispetto ad un labbro distinto da
un a lieve scanalatura; essa è nota in contesti africani di metàfine
IV sec. (Cartagine) ed italiani degli inizi del V sec.
(Roma, Ostia, Porto Torres); al riguardo vedi Atlante I, 108,
tav. L, nn. 2-3. È interessante segnalare come a S. Stefano Rotondo–Roma
(Martin 1989, 479) l’associazione della stessa
coppa con le scodelle Hayes 50 in C ed Hayes 59, forme entrambe
documentate a Giancola, fissi la chiusura del contesto
a poco dopo il 400.
47 La scodella presenta sulla parete esterna delle nervature
singole impresse nell’argilla ancora fresca e rilevabili anche
all’interno.
11

21 Cocchiaro 15-11-2005 8:42 Pagina 12
Produzione Forma Tipo NMI Cronologia Tavole
Tab 1.
più esterna caratterizzata da singole rosette impresse
(tipo Hayes 44B) 48 . (tab.1)
La ceramica da fuoco africana (fig. 9, 11). La ceramica
da cucina d’importazione africana rappresenta
una percentuale estremamente ridotta della totalità
dei reperti ceramici (1,5%-0,5%); si tratta soprattutto
di casseruole a patina cinerognola (Ostia II, fig. 310 =
Hayes 198 49 ) e politura a bande (Hayes 23 B, n. 23 =
Lamboglia 10 A 50 ), di una scodella polita a strisce (attribuibile
genericamente alla forma Hayes 181, nn. 2,
12-13 = Ostia I, fig. 15 51 ) e di piatti/coperchi ad orlo
annerito (Hayes 196 A/B, n. 5 52 ; Hayes 182, n. 3 53 ).
48 Per i motivi a stampo cfr. Hayes 1972, 232, fig. 38i; 238,
fig. 41h.
49 Lo stesso tipo è attestato ad Herdonia (Annese 2000, 336,
tav. XXII, nn. 7-8).
50 La forma è documentata a Torre Santa Susanna–Brindisi
(Maruggi 1999, 27); Oria-Muro Maurizio e Li Castelli (Yntema
1993, 127, fig. 63, n. 221; 158, fig. 83, n. 340); Taranto–Isola di
San Pietro (D’Andria, Mastronuzzi 1999, 101, n. 67) e nel basso
salento a Cutrofiano (Melissano 1990, 287-288, tav. 115, nn.
151, 155; 278, tav. 112, n. 92; da ultimo vedi Greco, Lapadula
2004, 20); Alezio (Giannotta 1981, 228-229, tavv. 60-61, nn. 15-
18); Supersano (Melissano 2004, 49, fig. 6, nn. 13-14); Vitigliano
(Belotti 1994, 260); Otranto (Giannotta 1992, 57, fig. 3:3, nn.
254-256; De Mitri 2004, 1126, 1129); Masseria Ramanno-Lecce
(Valchera, Zampolini Faustini 1997, 151-154); Leuca (Giardino
1978, 51, tav. 70, B 109-111). In Apulia è presente ad Herdonia
(Annese 2000, 336, tav. XXII, n. 9; Leone 2000, 394, tav. I, n. 13;
Rizzitelli 2000, 281), Canosa (Cassano et al. 1985, 506), Agnuli
(D’Aloia 1992-1993, 95, tav. 10, n. 33), Fioravanti (Cannarozzi,
Mazzei, Volpe 1997, 201, fig. 5, n. 24).
12
A 2
AD
C 3
C 3
C 3 /C 4
D 1
D 1
D 1
D 1
D 1
Coppa Lamboglia 3b=
Hayes 14B
Scodella Hayes 31,
nn.1,4
Scodella-piatto
Lamboglia 40
bis= Salomonson
C1=Hayes 50A, nn 1-45
Scodella-piatto
Lamboglia 40
bis= Salomonson
C1=Hayes 50A, nn 1-45
Forma aperta non id.
decorata a
rilievo applicativo
Scodella
Hayes 50B, n.60
Scodella
Hayes 32/58
Scodella Lamboglia 51,
51A=Hayes 59A,
nn. 9, 16-17;65, n.2
Scodella
Hayes 61, nn. 1, 4, 7, 18
Coppa Holwerda 1936,
tav. Vi, n. 658
Hayes 14B, n. 11
Hayes 14B, n. 8
Hayes 31, n. 4
Hayes 50, n. 55
Hayes 50B, nn. 56, 59
Non id.
Hayes 50B, n. 60
Hayes 58B, n. 9
Hayes 58B, n. 11
Hayes 59, nn. 1
Stampo: stili
A(i-ii)=Dekor I.1I.2
Hayes 61, n. 21
Atlante forme ceramiche
I, tav. L, n.3
1
1
1
2
2
1
2
1
1
1
1
1
Metà II/inizzi- metà
III sec. d.C.
Perima metà III
300-400
350-400+
IV secolo
350-400+
290/300-375
290/300-375
320/350-420
325-400/420
320-440
12,1
12,2
12,3
12,4
12,5
12,6-7
12,8
12,9
13,10-11
132,121
Gli esemplari di Hayes 23B, insieme alle Hayes
196 e 197, cui sembrano rimandare anche alcuni
frammenti di pareti non identificate, costituiscono le
forme più diffuse di ceramica africana da cucina nel
salento 54 . L’african spiral burnisched ware (ASB),
prodotta nella Tunisia centrale, invece, è attestata in
percentuali assai ridotte, come ad Otranto e Valesio.
Casseruole a patina cenerognola o politura a bande e
scodelle polite a strisce rappresentano anche le
tipologie di ceramiche da fuoco d’importazione africana
più imitate in tutta l’Apulia et Calabria.
Pur nella estrema limitatezza del dato statistico 55 è
51 Cfr. esemplari analoghi a Valesio (Yntema 1995, 288-289),
Cutrofiano (Greco, Lapadula 2004, 20), Alezio (Giannotta 1981,
221), Otranto (Giannotta 1992, 57, fig. 3.3., n. 258; De Mitri
2004, 1126, 1129); in Apulia ad Agnuli (D’Aloia 1992-1993, 99,
tav. 10, n. 36), Bovino (Mazzei 1994, 318, fig. 557), Herdonia
(Annese 2000, 336, tav. XXII, nn. 7-8; Leone 2000, 394, tav. I, n.
8; Rizzitelli 2000, 281), Carpino (Volpe 1988, 95, tav. XX, n. 19).
52 Cfr. esemplari dello stesso tipo a Cutrofiano (Greco, Lapadula
2004, 20), Vitigliano (Belotti 1994, 260) ed Agnuli (D’Aloia
1992-1993, 108, tav. 11, n. 42). Il coperchio Hayes 196 è attestato
anche ad Otranto (De Mitri 2004, 1126; Giannotta 1992,
57, fig. 3:4, n. 262).
53 Il tipo è presente a Valesio (Yntema 1995, 289, fig. 262,
n. 51), Otranto (Giannotta 1992, 57, fig. 3:4, nn. 260-261; De
Mitri 2004, 1126), Alezio (Giannotta 1981, 231, tav. 61, n.
28), Metaponto (Giardino 1983, 21) ed Agnuli-Mattinata
(1992-1993, 105, tav. 11, n. 40).
54 Per le imitazioni delle casseruole africane Hayes 196, nel
contesto in esame, si rimanda a Leone infra.
55 Va segnalata la quasi perfetta corrispondenza fra il nu-

21 Cocchiaro 15-11-2005 8:42 Pagina 13
12. - Sigillata africana.
13

21 Cocchiaro 15-11-2005 8:42 Pagina 14
13. - Sigillata africana (10-12); Ceramica da fuoco africana (13-16).
possibile proporre un quadro di carattere generale sulla
circolazione delle ceramiche fini da mensa e da cucina
d’importazione nell’area in esame, e più in generale,
tentare una ricostruzione delle dinamiche economiche
che connotarono in età tardoantica il tratto meridionale
della costa adriatica, ed in particolare l’ager
mero minimo di individui ed il numero massimo di esemplari
identificati sulla base di orli, piedi e fondi decorati, equivalenza
tipica dei materiali di riempimento di contesti chiusi, quali
pozzi e cisterne.
56 A tal proposito occorre rilevare l’assenza di ampie sintesi
sulla circolazione delle merci in età tardoantica in questa parte
della Puglia adriatica; scarse risultano, inoltre, le pubblicazioni
di contesti coevi, fatta eccezione per le ceramiche provenienti
dalle indagini di scavo condotte ad Egnathia (vedi
14
Brundisinus. Si tratta ovviamente di semplici ipotesi
di lavoro che andranno integrate con i risultati dell’analisi
dei contenitori da trasporto e delle ceramiche
comuni e che potranno essere confermate solo dal
confronto con altri contesti urbani e rurali di questo
comparto della regione 56 .
D’Andria 1977, 75-89 e da ultimo Cassano et al. 2004, 73-
81), Valesio (Yntema 1995, 265-293), Torre Santa Susanna
(Maruggi 1999, 19-36) e per i materiali provenienti dalle ricognizioni
nel territorio di Oria (Yntema 1993); sull’argomento
si veda ora il quadro proposto da M. Aprosio in questo volume.
Per quanto riguarda le stratigrafie urbane, forme di sigillata
africana D, inquadrabili cronologicamente nel IV secolo
d.C, sono segnalate nell’area dell’atrio della Cattedrale in
piazza Duomo a Brindisi (vedi Cocchiaro 1988, 170-171).

21 Cocchiaro 15-11-2005 8:42 Pagina 15
La ricerca archeologica nell’ager Brindisinus: lo scavo della villa di Giancola
Le ridotte quantità di ceramiche fini da mensa
d’importazione attestate nel sito di Giancola testimoniano
un mercato dominato dalle produzioni locali,
presenti con indici piuttosto elevati 57 .
Nel panorama delle importazioni risultano prevalenti
le produzioni africane C (25%/12%), ed in misura
maggiore D (52%/66%), mentre non sono documentate
quelle a carattere regionale C/E ed E 58 ; si
tratta di forme caratteristiche del IV-inizi V secolo,
riconducibili nello specifico alle produzioni C 3 e D 1.
Piuttosto significativa è l’assenza di ceramiche
fini da mensa di provenienza orientale, a fronte dei
pur ridotti indici di presenza di anfore provenienti
dall’Egeo e dall’Asia Minore e dell’attestazione in
ceramica comune da mensa e da fuoco di forme affini
tipologicamente a quelle di produzione orientale
(area greco-egea) 59 .
Il sito, infatti, supera la soglia del V secolo, fase
di massima diffusione sui mercati occidentali della
Late Roman C ware, giunta in concorrenza con le ceramiche
africane nei vari porti della Apulia et Calabria
e diffusasi attraverso viabilità principali e secondarie
anche in siti dell’interno a partire dalla metà del
V 60 . Il dato non si presta a facili interpretazioni in
considerazione anche della natura piuttosto esigua
del contesto esaminato; tuttavia è interessante sottolineare
come la sigillata di Focea, pur essendo ben documentata
negli altri porti della Puglia meridionale
57 Vedi Leone infra.
58 Le sigillate A ed A/D, come si è già detto, sono da intendersi
come residuali nel contesto in esame.
59 Vedi Disantarosa e Leone infra.
60 Sull’argomento vedi Volpe et al. cs. La Late Roman C
Ware è ben testimoniata sulle coste adriatiche della Calabria
ad Egnathia (D’Andria 1977, 79-80; Cassano et al.
2004, 74), ad Otranto (Giannotta 1992, 59-61; Zezza 1983,
252-253) e nel suo territorio a Giurdignano – loc. Centoporte
(Arthur 1998, 513-514), mentre risulta scarsamente attestata
sulla costa ionica, come a Torre San Giovanni di
Ugento (notizia da Giannotta 1992, 59), e nell’immediato
entroterra, dove è comunque documentata ad Alezio (Giannotta
1981, 229), Cutrofiano (Melissano 1990, 271-272,
289-290; Greco, Lapadula 2004, 21) e Vitigliano (Belotti
1994, 260).
61 Ancora nel II-III secolo d.C. i rapporti con determinate
aree del Mediterraneo orientale dovevano essere piuttosto
intensi, come documenta il rinvenimento fra i materiali del
cortile del vescovado di un consistente nucleo di piatti e
scodelle di produzione greca ed orientale (area siro - palestinese
ed Asia Minore); vedi al riguardo D’Andria 1997,
117-118.
(Taranto, Egnathia ed Otranto), nonché in Apulia a
Bari, Siponto e nel sito costiero di Agnuli-Mattinata,
risulti stranamente assente tra i materiali del porto di
Brindisi 61 ; inoltre, fra i contesti brindisini editi dell’interno,
solo il sito di Muro Maurizio nel territorio
di Oria ha restituito ridotte quantità di ceramiche fini
orientali tarde 62 .
Il mancato arrivo di LRC ware a Giancola, come
nel vicino sito di San Giorgio–Masseria Masina 63 ,
potrebbe essere stato determinato, piuttosto che da
una presunta incapacità di penetrazione in aree più
interne della regione 64 , da una minore ricettività, in
questa fase, del porto di Brindisi a vantaggio di quello
di Otranto 65 . Come documenta l’Itinerarium Burdigalense
(It. Burd, 609), infatti, tra III e IV secolo,
sembra cessare la preminenza portuale di Brindisi nei
rapporti con l’Oriente, mentre emerge in misura maggiore
l’importanza del porto di Otranto; ancora nel V
secolo fra gli scali adriatici meridionali il ruolo di
Brindisi non è esclusivo, ma continua ad essere condiviso
con altri centri 66 .
Il quadro che sembra delinearsi per le ceramiche
da cucina non è molto differente dalle linee di tendenza
proposte per quelle fini da mensa: infatti, le
importazioni dall’oriente risultano pressoché assenti
anche fra le ceramiche comuni da fuoco 67 ; esse sono
quasi esclusivamente rappresentate da produzioni locali
ed in percentuali minori africane, confermando
62 Per Oria vedi Yntema 1993, 127, fig. 64, n. 227; per ulteriori
aggiornamenti cfr. M. Aprosio in questo stesso volume.
63 Vedi Valente 1995-96. Il contesto ceramico di San
Giorgio (forse in vicus? al riguardo cfr. Volpe 1994) offre
molti elementi di confronto: i materiali provenienti dal
riempimento di una vasca, affine per tipologia a quello di
Giancola, confermano, per una fase compresa tra il III ed il
V secolo, il dominio della stesse forme di sigillata africana
C e D, l’assenza di sigillate orientali e di imitazioni di ceramiche
fini da mensa africane, le ridotte quantità di ceramica
africana da cucina.
64 Come per la Puglia settentrionale e centrale, anche per il
salento va sfumata l’ipotesi di una divaricazione fra siti costieri
e siti dell’interno (vedi al riguardo Annese 2000; Leone,
Turchiano 2002 e da ultimo Volpe et al. c.s.).
65 Cfr. De Mitri 2004, 1137; in generale sui porti della Calabria
si rimanda ad Auriemma, Volpe 1998, 206-207.
66 Al riguardo si veda Baldini, Lippolis 1997, 331-332.
67 L’analisi autoptica degli impasti ed il confronto morfologico
sembra suggerire un origine orientale solo per pochi
esemplari di ceramiche di uso comune da fuoco e da mensa
(vedi Leone infra).
15

21 Cocchiaro 15-11-2005 8:42 Pagina 16
Produzione Forma Tipo NMI Cronologia Tavole
Patina cenerognola
Patina cenerognola
e politura a bande
Patina ceberognola
Politura a bande
Politura a bande
Orlo annerito
Orlo annerito
Tab 2.
per la metà del III e gli inizi prima metà del V secolo
d.C., arco cronologico cui sembrano rimandare le ceramiche
esaminate, l’inserimento di Giancola nell’ambito
di flussi commerciali provenienti soprattutto
dalla Tunisia settentrionale 68 . (tab. 2)
C.A.
Le anfore
Tra i reperti archeologici ceramici rinvenuti
negli strati di riempimento del lacus vinarius della
villa di Giancola è stato possibile documentare una
discreta quantità di frammenti di anfore e di un
anforisco-fritullus (300 frr./35,487 gr.) (figg. 9, 14,
15), il cui esame parziale era stato effettuato in oc-
68 I dati vanno valutati in relazione all’esiguità del campione
analizzato. Si tratta ovviamente di un quadro provvisorio,
basato sui pochi contesti editi dell’area, e quindi suscettibile di
variazioni e revisioni.
69 Per maggiori approfondimenti sul percorso didattico
della mostra si veda Marinazzo 2003 e in particolare per la
villa di Giancola e le relative strutture adibite ai processi di
trasformazione del vino Cocchiaro 2003, 25-27. La schedatura
delle anfore è stata effettuata privilegiando le parti più indicative
per la definizione della tipologia (orli, anse, fondi). Per la
descrizione macroscopica dei campioni degli impasti è stata
considerata la scheda proposta nel volume di Panella, Fano
1977, 144-148. Per le tavole e i grafici sono grato a A. Giudiceandrea;
la documentazione grafica dei reperti è stata realizzata
in parte da chi scrive, con la collaborazione di N. Mangialardi,
e da V. Acquafredda. Le forme delle anfore sono state
riconosciute facendo riferimento agli studi tipologici noti e nel
16
Casseruola
Ostia II, fig. 310=
Hayes 198
Casseruola
n.id
Casseruola
Hayes 197?
Casseruola
Lamboglia 10A =
Hayes 23B
Scodella
Ostia I, fig. 15 =
Hayes 181, nn. 2,
12-13
Piatto/Coperchio
Hayes 182
Piatto/Coperchio
Hayes 196
Ostia III, fig. 108
N.id
N.id
Hayes 23B, n.23
Non id.
Hayes 182, n. 3
Hayes 196 A/B, n. 5
1
1
1
1
1
1
1
320-440
/
Metà II-fine IV
inizi V sec. d.C.
Metà II-fine IV
inizi V sec. d.C.
Seconda metà II -
prima metà III sec. d.C.
Seconda metà II -
prima metà III sec. d.C.
Metà II - metà III
sec. d.C.
13,13
13,14
casione della mostra «Viaggio nella terra del vino»
realizzata nel 2003 presso il Museo Archeologico
Provinciale “F. Ribezzo” 69 .
Coerentemente con il quadro dei rinvenimenti
effettuati precedentemente nel sito di Giancola 70 sono
state documentate le cosiddette anfore “brindisine”,
ascrivibili ai tipi Apani II (fig. 18.2) e III (fig.
18.3-6) della tipologia individuata dalla Palazzo 71 .
Il periodo immediatamente successivo alla guerra
sociale segna l’apice della produzione e diffusione
delle anfore olearie “brindisine”, momento in cui,
alla piccola proprietà contadina si sostituiscono le
grandi proprietà terriere 72 . Il limite cronologico più
tardo per questo contenitore è dato dall’età augustea,
momento in cui si registra una contrazione del-
caso specifico del lacus vinarius di Giancola sono state utilizzate
queste abbreviazioni tipologiche: Almagro (Almagro
1955), Agora (Robinson 1959); Apani (Palazzo 1989); Dressel
(Dressel 1879 e 1899), Forlimpopoli (Aldini 1978; Maioli,
Stoppioni Piccoli 1989); Keay (Keay 1984), Lamboglia (Lamboglia
1955); Late Roman Amphora – LRA (Riley 1981).
70 Per la bibliografia relativa agli scavi e agli studi interpretativi
di questo sito, si veda Cocchiaro, Palazzo supra.
71 Una classificazione tipologica basata su caratteri
morfologici ed epigrafici è stata effettuata da P. Palazzo: i tipi
Apani I-VIII. Si veda: Palazzo 1988, 109-117; Palazzo
1989, 548-553 e da ultimo Palazzo, Silvestrini 2001, 57-107.
Si veda anche: Volpe 1995, 237. Un quadro completo con
relativa bibliografia è in http://www.dscc.uniba.it-
/Anfore/Index.htm.
72 Manacorda 1990, 390-391 e da ultimo Id. 2001, 229-240.
/
13,15
/
13,16
13,17

21 Cocchiaro 15-11-2005 8:42 Pagina 17
La ricerca archeologica nell’ager Brindisinus: lo scavo della villa di Giancola
14. - Ripartizione delle produzioni delle anfore calcolata in
percentuale sul numero totale dei frammenti
la produzione, destinata nell’ultima fase a soddisfare
un mercato interno 73 .
Testimonianze di età tardorepubblicana sono fornite
anche da un orlo attribuito, per le caratteristiche morfologiche,
al tipo ‘di Metaponto’ (fig. 18.1), contenitore
che si distingue anche per il colore arancio o nocciola
dell’impasto, ricchissimo di inclusi calcarei medi e
grandi (e radi micacei), che conferiscono un aspetto
grossolano 74 .
L’unica attribuzione relativa alla forma Lamboglia 2
(fig. 18.7), anfora vinaria prodotta lungo tutta la costa
occidentale dell’Adriatico 75 nel periodo di tempo compreso
tra la fine del II sec. a.C. e la fine del I sec. a.C., è
rappresentata da un frammento di ansa che potrebbe essere
messo in relazione con la stessa produzione di que-
73 D. Manacorda individua i motivi del declino nell’avvio
delle produzioni picene e nord-adriatiche di anfore e nella
crisi della Regio II relativa alle colture specializzate a favore
della cerealicoltura e della pastorizia (Cipriano, Carre
1989, 73; Manacorda 1988, 105; Id. 1994, 49-52; Cambi
2001, 363-390; Manacorda 2001b, 391-410). Per un quadro
sulla dinamica dei cambiamenti del paesaggio agrario in Puglia
e in particolare in Daunia nell’età della romanizzazione
si veda: Volpe 1990, 46-81; Grelle, Volpe 1994, 15-81; Volpe
2001, 315-361. Importanti dati che supportano questa interpretazione
sono forniti dai risultati delle ricognizioni effettuate
nel territorio brindisino: Yntema 1986, 3-26; Burgers
1992, 284-288; Id. 1994, 113-114; Id. 1997, 129-133;
Aprosio, Cambi 1997, 177-180 e da ultimo il contributo di
M. Aprosio all’interno di questo volume.
74 La produzione è riconducibile a Metaponto e ad Eraclea;
la circolazione di questa anfora ha un raggio ampio, che comprende
il territorio salentino ionico e adriatico (Gallipoli,
Vaste, Leuca, Torre dell’Orso, Torre S. Gregorio) e l’area siracusana.
Vedi Giardino 1990, 113, fig. XVII; De Siena, Giardino
1994, 201, fig. 3, con relativa bibliografia; Auriemma
1998a, 129-131, tav. X.
75 Per i riferimenti bibliografici da ultimi si vedano Pasavento
Mattioli 2000, 108; Cipriano, Ferrarini 2001, 53; Non-
15. - Ripartizione delle produzioni delle anfore calcolata in
percentuale sul peso complessivo dei frammenti.
sta tipologia di contenitori nel territorio di Brindisi e del
Salento 76 .
Sempre ad area adriatica rimanda un frammento del
fondo piatto dell’anfora di Forlimpopoli, (fig. 18.8) 77 ;
una lettura recente dei dati relativi alla diffusione di
quest’anfora considera più accreditata la circolazione di
tipologie fortemente standardizzate sul piano tecnico e
morfologico provenienti dai principali centri di produzione
(Forlimpopoli, Ravenna, Rimini) più che da centri
piceni e di Spello 78 . Anfore di Forlimpopoli sono documentate
per il relitto di Punta Patedda, sulla costa
brindisina e tra il materiale recuperato dallo scavo
dello stesso porto di Brindisi 79 .
La percentuale più alta di frammenti di anfore non
identificate rientra nel gruppo delle anfore di pro-
nis 2001, 480-490; Panella 2001, 195-196. Non si escludono,
inoltre, imitazioni anche sull’altro versante della penisola,
come indicherebbero alcuni esemplari recuperati nel relitto
della Madrague de Giens, con impasti di tipo ‘vesuviano
’(Empereur, Hesnard 1987, 33).
76 La Lamboglia 2 corrisponderebbe al tipo Palazzo I (Palazzo
1989). Per recuperi subacquei lungo la costa brindisina
si rimanda al catalogo di Marinazzo 1994, 140 (Torre Santa
Sabina), 149 (Brindisi–Porto medio), 154 (Capo di Torre Cavallo),
155 (Punta della Contessa). Una sintesi con relativa bibliografia
dei relitti rinvenuti lungo la costa salentina è in Auriemma
1995b, 8; Ead. 1997b, 229-230.
77 Si tratta di anfore prodotte in area emiliana, di cui si conoscono
finora le fornaci di Forlimpopoli, sulla via Aemilia,
(cfr. Ostia I, 451; Ostia IV, 440-441) a Rimini e nel suo territorio
e a Sant’Arcangelo (cfr. Ostia I, 452; Ostia IV, 442): Aldini
1978; Id. 1981, Id. 1989; Maioli, Stoppioni Piccoli 1989;
Panella 1989, 147-149; Stoppioni 1993.
78 Per la produzione, la tipologia, la cronologia, la diffusione
e la capacità delle anfore di Spello (Ostia II, 521; Ostia III,
369-370) si veda: Lapadula 1997, 127-156.
79 Per Punta Patedda, a nord di Brindisi: Volpe, Auriemma
1998, 209 e per i ritrovamenti ceramici dal porto di Brindisi:
D’Andria 1997, 118.
17

21 Cocchiaro 15-11-2005 8:42 Pagina 18
16. - Attestazioni delle anfore di produzione africana calcolata
in percentuale sul totale dei frammenti e sul peso complessivo.
duzione italica (fig. 17) (44,20% del numero e il
29,00% del peso dei frammenti), ipoteticamente riconducibili
sulla base delle caratteristiche degli impasti
ad una serie di contenitori di piccole dimensioni,
di probabile produzione locale o di ambito
adriatico. Morfologicamente i tipi individuati a
Giancola presentano anse con un andamento per lo
più rettilineo con curvature in corrispondenza degli
attacchi, sezioni circolari, ovali e a nastro, lievi
scanalature longitudinali (fig. 20.9-14); la defini-
80 Restando in ambito adriatico possono essere segnalati alcuni
contenitori a fondo piatto di media età imperiale. Per una sintesi
delle tipologie note con riferimenti bibliografici si veda: Villa
1994, 345-346 e Cipriano, Ferrarini 2001, 80-81. Un esempio
è costituito dai contenitori denominati ‘Grado I’, che facevano
parte del carico della nave affondata nei decenni centrali del II secolo
d.C. vicino a Grado. Si veda Auriemma 2000 con bibliografia
precedente; Fabrini, Marengo 2002, 115-130; Forti, Marengo
2003, 280-287 e Forti 2004, 101-123.
81 Riguardo la produzione e la provenienza dei questi oggetti
è prematuro trarre conclusioni non avendo a disposizione
i risultati delle analisi degli impasti e dei contenuti. Le caratteristiche
macroscopiche del campione prelevato dall’esemplare
18
A. Cocchiaro - P. Palazzo - C. Annese - G. Disantarosa - D. Leone
17. - Attestazioni delle anfore di produzione italica calcolata
in percentuale sul totale dei frammenti e sul peso complessivo.
zione tipologica di questi contenitori anforari si sta
delineando sempre più in quest’ultimo periodo 80 .
Allo stesso ambito produttivo rimanda l’unico
esemplare di anforisco 81 (fig. 18.9). Questa categoria
di oggetti, genericamente definiti “vasetti ovoidi e piriformi”
sulla base della loro forma, è al centro di dibattiti
da parte degli archeologi che cercano di interpretarne
la funzione. Essi sono morfologicamente caratterizzati
dalla strozzatura del collo, dall’espansione
della pancia, dall’assenza di anse e da un piede di
dimensioni ridotte tale da non consentire un appoggio
stabile; di fattura e di impasto grossolani, spesso,
come nel caso dell’esemplare rinvenuto a Giancola,
presentano sul ventre e sul collo una serie di scanalature
a spirale più o meno profonde. Varie sono le ipotesi
sulla loro funzione 82 . Più comunemente si ritiene
che fossero utilizzati come chiusura delle anfore: in-
rinvenuto a Giancola sono associabili ad argille di estrazione
italica. Un riferimento alla produzione tirrenica per questi oggetti
è in Panariti 2001, 447, 1-3.
82 Tra i vari utilizzi vi è quello di ‘fritilli’ o bossoli per il
gioco dei dadi come è confermato dal rinvenimento nella necropoli
romana di Bevagna, in Umbria, di un esemplare con
un dado incastrato al suo interno (Egidi 1983, 283-286). Non
viene escluso il loro utilizzo come balsamari o come portaprofumi
tenuti in piedi in appositi sostegni (Pavolini 2000, 375-
378) o come unguentari utilizzati nei rituali funerari (cfr.
esemplare scoperto nell’edificio 26 della necropoli della via
Ostiense: Panariti 2001, 447).

21 Cocchiaro 15-11-2005 8:42 Pagina 19
La ricerca archeologica nell’ager Brindisinus: lo scavo della villa di Giancola
18. - Anfore di produzione italica: 1. Anfora di Metaponto; 2. Apani II; 3-6. Apani III; 7. Lamboglia 2; 8. Anfora di Forlimpopoli;
9. Anforisco; 10-13. Keay LII. Anfore di produzione africana: 14. Tripolitana I; 15. Africana II; 16. Dressel 30; 17-
19. Keay XXV. – Scala 1:5.
19

21 Cocchiaro 15-11-2005 8:42 Pagina 20
seriti al rovescio nei tappi di sughero, legno o di altro
materiale, essi dovevano facilitare l’estrazione del
tappo oppure garantire la chiusura dei contenitori una
volta incastratasi nel collo 83 . Collegata a questa ipotesi
è la teoria che prevede un loro impiego all’interno dei
colli di anfora come cucurbitula, cioè come ventose,
per aspirare l’aria e consentire la conservazione dei
contenuti sotto vuoto 84 . Il frammento rinvenuto a Giancola
trova confronti tipologici e cronologici nel territorio
pugliese con gli esemplari provenienti dalle stratigrafie
della villa produttiva del sito di Vagnari, 85 da
Herdonia 86 e da un contesto funerario di Casalene, nel
territorio di Bovino 87 .
Il III secolo rappresenta un periodo di stasi per
quanto riguarda la produzione e la circolazione
delle anfore italiche: il monopolio mediterraneo
delle merci italiche lasciò il posto ai prodotti provinciali
(spagnoli e africani soprattutto) che si andavano
affermando dal I secolo. Una ripresa produttiva
si avverte a partire dagli inizi del IV secolo
con la fabbricazione di un contenitore, di piccole
dimensioni e a fondo piatto, identificabile con il
tipo Keay LII, in alcune zone del Bruttium e della
Sicilia, due regioni con un ruolo importante per i
rifornimenti annonari della capitale 88 . A Giancola
sono stati rinvenuti un fondo (fig. 18.10), un orlo
(fig. 18.13) e un ansa (fig. 18.12) attribuibili a questa
tipologia di anfore vinarie 89 . Un ulteriore esemplare
di Keay LII, di cui si conserva solo parte del
83 Pavolini 1980, 993-1020. Disegni ricostruttivi in Caratale,
Toffoletti 1997, 21; Maniscalco 1998, 73, figg. 90-91.
84 Rodriguez, Almeida 1974, 813-818.
85 Per il sito di Vagnari si veda: Small et al. 1998, 337-371;
Small 2000, 331-337; Small 2001, 34-53 e Small c.s.
86 De Stefano c.s.
87 Per il confronto tipologico Blundo 1994, 280, 283.
88 Per una sintesi sulle produzioni e i commerci nella Calabria
tardoantica: Sangineto 1991, pp. 749-757. Per i contesti tardoantichi
e altomedievali a Roma in cui è stato registrata la presenza
della Keay LII si rimanda a Panella 1999; Saguì 2001.
89 Per gli esemplari rinvenuti con tracce di pece sulla superficie
interna si veda: Bonifay, Villedieu 1989, 135; Arthur 1989,
134-135; Carignani, Pacetti 1989, 5-16. L’anonimo autore
dell’Expositio totius mundi, 53 ricorda, nella metà del IV secolo,
come la Calabria fosse produttrice ed esportatrice di vinum multum
et optimum; Panella 1993, 647-648, nota 137 con riferimento
alle fonti letterarie.
90 In generale sui tituli picti sulle anfore: Fiaccadori 1983; Rodríguez
Almeida 1984; Id. 1989; Blazquez Remesal, Rodríguez.
1994; Arata 1994, 477-496; Carreras Monfort, Funari 1998;
20
A. Cocchiaro - P. Palazzo - C. Annese - G. Disantarosa - D. Leone
collo con l’attacco delle due anse (fig. 18.11), presenta
nella parte inferiore un titulus pictus (fig. 21)
di colore rosso, realizzato con un pennello a testa
piatta non sottile, con le lettere eseguite in maniera
alquanto lineare 90 . A causa dei processi deposizionali
la scritta si presenta con un colore evanido e
quindi risulta di difficile lettura e interpretazione 91 .
Il grado di frammentarietà dei reperti di Giancola
non permette di fissare una datazione puntuale, se non
in maniera generica tra V e VI secolo. La presenza in
questo sito di Keay LII va comunque messa in relazione
con le anfore della stessa tipologia che costituivano
il carico dell’imbarcazione affondata presso Lido Marini
(Salve, Lecce) e con ulteriori ritrovamenti subacquei
(Torre Mozza-Torre Pali) che permettono di delineare
con ulteriore precisione il quadro della circolazione e
della diffusione di quest’anfora nel territorio della Puglia
92 .
Le produzioni dell’Africa settentrionale sono invece
rappresentate dal 63,0% e 69,7% rispettivamente
sul numero e sul peso totale dei frammenti (fig. 16).
Le più antiche importazioni dalle province africane di
olio e garum sono confermate oltre che dalla presenza
di una Tripolitana I (fig. 18.14), contenitore vinario
la cui circolazione è attestata a partire dal I fino al IV secolo
d.C. 93 , da un esemplare di Dressel 30, anfora della
Mauretania Cesariensis finalizzata allo smercio di una
produzione vinaria, tra il III e il IV secolo 94 (fig. 18.16).
Le dimensioni ridotte e l’assenza di bolli ascrivono
Blazquez, Remesal, Rodríguez 1999; Panella 2002, 625.
91 Un tentativo di lettura farebbe protendere verso l’individuazione
di caratteri greci (? ? ?). Le lettere presentano un’altezza
compresa tra cm 3,5 cm e cm 1,8. La larghezza delle lettere è la
seguente: ? = 1,3 cm; ? = 2,8 cm; ? = 1,5 cm. La distanza delle anse
è pari a cm 2,3. La prima e l’ultima lettera sono state realizzate
con tre tratti mentre l’omicron centrale con un tratto continuo.
92 Auriemma 1995a, 7; Ead. 1997b, 233-234; Volpe, Auriemma
1998, 210; Ead. 1998b, 753-760. Anfore Keay LII e
similis sono state rinvenute a Canosa (Cassano, Laganara,
Volpe 1985, 510; Agnuli – Mattinata (Volpe et al. 1998, 723-
724; Casavola, 1999); Herdonia (Annese 2000, 296-297),
San Giusto (materiali inediti in corso di studio da parte di chi
scrive) e nel Salento (Arthur, De Mitri, Lapadula c.s.).
93 Arthur 1982, 61-72; Empereur, Hesnard 1987, 35-36; Ostia
III, 568-571; Panella 1977, 147-148 con riferimenti alle fonti;
Mattingly 1988. Per la diffusione Auriemma 1997a, 140-142.
94 Lequément 1980: le anfore provenienti da questa regione
sono in genere rivestite di pece. L’ipotesi del trasporto di
olio è sostenuta da Laporte 1976-78, 140-144 e da Ben Lazreg
et al. 1995, 141-142.

21 Cocchiaro 15-11-2005 8:42 Pagina 21
19. - Anfore di produzione africana: 1-13. Keay XXV; 14-17. Spatheia. – Scala 1:5.
21

21 Cocchiaro 15-11-2005 8:42 Pagina 22
l’anfora rinvenuta a Giancola alla produzione tarda, che
segue la prima generazione di questi contenitori caratterizzata
da dimensioni maggiori, e identificabile con le
Dressel 30/Keay IB 95 , prodotte nelle medesime officine
di Tubusuptu (odierna Tiklat, sulle coste orientali dell’Algeria)
a partire dal IV e diffusi fino agli inizi del V
secolo 96 . Recuperi sottomarini effettuati in località Punta
Penne e a Torre San Gennaro (San Pietro Vernotico)
e rinvenimenti nell’area portuale di Brindisi 97 , confermano
i dati sulle rotte di cabotaggio lungo la costa pugliese
per lo smercio dei prodotti africani trasportati da
questa anfora; queste derrate in un secondo momento
raggiungevano anche le località dell’entroterra 98 .
Con indici molto bassi è attestata anche l’Africana
IID, che conteneva olio, olive o salsamenta 99 (fig.
18.15). L’esemplare documentato in questo contesto
trova confronto con i tipi documentati ad Aquileia,
Gricignano, nella laguna veneta ed in Puglia (Herdonia,
Paduano – Mola, Otranto, Posta Crusta, San
Giorgio, San Giusto, Vagnari) 100 . Si segnala, inoltre,
un collo di Africana II tra i materiali del relitto di
Torre Chianca 101 .
A partire dal III secolo, ma con un grande impulso
nel IV, è documentato un alto picco di valori - 41,8
% sul numero e 66,7% sul peso dei frammenti della
produzione africana – (fig. 16) per le cosiddette anfore
“cilindriche di medie dimensioni”/Keay XXV 102
che in questo contesto risultano le più variegate dal
punto di vista della forma degli orli (a corolla più o
meno svasati con le parti terminali a sezione triangolare
o arrotondata – fig. 18.17-19; fig. 19.1, 3-4),
delle anse (‘a orecchia’ con profili variabili, che si
impostano sul collo cilindrico e tronco-conico e
sulla spalla stretta – fig. 19.12-13) e dei puntali (a
95 Keay 1984, 95-96.
96 Panella 2001, p. 207.
97 Marinazzo 1994, 146, 157 e D’Andria 1997, 118.
98 Esempi di siti rurali in cui è stata rinvenuta la Dressel 30
sono San Giusto e località Tratturo dei Prugni nella Valle dell’Ofanto
(Goffredo in questo volume).
99 Auriemma 1997a, 138 e in particolare note 60-65; Lequément
1975; Ben Lazreg et al. 1995, 122-123, 125.
100 Si veda per Aquileia: Donat 1994, tav. 65, fig. 13; per
Gricignano: Bencivenga 1987, 399, fig. 3; per la laguna veneta:
Toniolo 1987, 111, fig. 23; per Herdonia: Annese 2000, 296;
Turchiano 2000, 347; De Stefano c.s.; per Otranto: Arthur
1992, 201, fig. 7.1; per San Giorgio: Valente 1995-1996, tav.
XIX, 40; per Mola-Paduano: Casavola 2002, 65; per Posta Crusta:
Leone 2000, 395; per Vagnari: Disantarosa c.s.
22
A. Cocchiaro - P. Palazzo - C. Annese - G. Disantarosa - D. Leone
da più ridotte dimensioni, sono presenti con un numero
assai scarso di frammenti, ed in associazione ad
anse e pareti attribuibili alla generazione dei “contenitori
cilindrici di grandi dimensioni” 105 , documentati
anch’essi con indici irrisori 106 (fig. 20.2-4). Le caratteristiche
principali di quest’ultime anfore sono la
maggiore capacità rispetto ai tipi precedenti e un’ampia
differenziazione morfologica degli orli. Tra questi
è stato possibile attribuire un frammento al tipo
Keay XXXV B 107 (fig. 20.2), rinvenuto di frequente
con tracce di impeciatura nei contesti della metà del
V secolo 108 . La continuità nelle esportazioni di queste
anfore (Keay XXV, spathia e contenitori cilindrici di
grandi dimensioni), è attestata in tutto il Mediterraneo,
come sembrano confermare numerosi contesti dell’Apulia
et Calabria 109 .
La facies archeologica del V-VI secolo nel settore
produttivo della villa di Giancola è inoltre caratterizzata
dalla presenza di anfore provenienti dal Mediterraneo
orientale 110 . Si tratta di Late Roman 1 (fig. 20.5-6) e Late
fittone con restringimenti o espansioni della parte
terminale – fig. 19.2, 5-10). Due frammenti appartenenti
a questo gruppo di contenitori presentano rispettivamente
un bollo anepigrafe di forma circolare,
posizionato nella zona centrale tra l’attacco superiore
delle due anse (fig. 19.1), ed un’incisione curvilinea
a forma di ‘S’ con una linea trasversale centrale,
localizzata sul puntale e realizzata con uno
‘stilo’ quando il contenitore doveva essere capovolto
in fase di essiccazione (fig. 19.2). Entrambi risultano
di incerta interpretazione 103 .
Relativamente alla stessa area produttiva, gli
spathia 104 (fig. 19.14-17; fig. 20.1), simili dal punto
di vista della forma alle Keay XXV, ma caratterizzati
101 Si tratta di una navis lapidaria che trasportava colonne
di marmo caristo: Borricelli, Zaccaria 1995, 151-152.
102 Keay 1984, distribuisce le ventinove varianti del suo
tipo XXV (A-Z4) all’interno di tre sottotipi.
103 Il bollo circolare presenta un diametro di cm 2 cm ed è
posizionato a cm 6 dall’orlo. La linea circolare di incisione è
larga 2 mm. L’altezza del segno inciso curvilineo a forma di S
è pari a 4,3 cm e la linea trasversale a cm 1,9. La larghezza del
solco di incisione varia tra mm 2,5 e mm 0,5. Le ipotesi interpretative
potrebbero essere riferite al contenuto, alla produzione
o a indicazioni metrologiche.
104 Per la discussione terminologica e per la bibliografia relativa
cfr. Ostia IV, 211-221. Molte sono le differenze nella
morfologia degli orli di questi contenitori di cui S.J. Keay ha
definito almeno 13 diverse varianti (Keay 1984, 212-219, tipo

21 Cocchiaro 15-11-2005 8:42 Pagina 23
20. - Anfore di produzione africana: 1. Spathion; 2. Keay XXXV; 3-4. Contenitori Cilindrici di Grandi Dimensioni. Anfore di
produzione orientale: 5-6. Late Roman Amphore 1; 7. Late Roman Amphore 2. Anfora di produzione lusitana: 8. Almagro 51
A-B. Anfore non identificate: 9-14. produzione italica; 15. produzione africana; 16-17. produzione orientale; 18. produzione
non identificata. Scala 1:5.
23

21 Cocchiaro 15-11-2005 8:42 Pagina 24
Roman 2 (fig. 20.7), contenitori vinari e oleari, che non
raggiungono le percentuali attestate per le coeve produzioni
africane 111 , e di alcuni esemplari non identificati
ma attribuibili per gli impasti utilizzati alla stessa area
produttiva (fig. 20.16-17). Le LRA 1 e 2 sono state segnalate,
in contesti subacquei nell’area delle secche di
Ugento 112 , mentre esemplari isolati sono stati rinvenuti
nel Porto Piccolo di Bari 113 . A Brindisi nel 1985, durante
uno scavo della Soprintendenza Archeologica della Puglia,
in ambienti ipogei in via Santa Chiara, è stato rinvenuta
la parte superiore di una LRA 1 con un titulus pictus
che forniva indicazioni circa il contenuto di aceto
dell’anfora 114 . Inoltre, frammenti di LRA 1 e 2 erano tra
i resti del carico di bronzi, destinati alla rifusione, rinvenuti
a Punta del Serrone; tali contenitori, probabilmente
pertinenti alla dotazione di bordo, forniscono un punto
di riferimento per i traffici e le attività commerciali in
questa zona durante il periodo tardoantico 115 .
Al tipo Almagro 51 A-B (Fig. 20.8), di produzione
lusitana, attestato dalla fine del III sec. fino
alla metà del V sec. d.C., è attribuibile probabilmente
un orlo con tracce di pece sulla superficie in-
XXVI A-M). Si veda inoltre Villa 1994, 389-390; Keay 1998,
148 e Pacetti 2000, 479; Panella 2001, 209-210.
105 Un panorama riassuntivo su queste anfore è presentato
da Peacock, Williams 1986, 158-165; Panella 1993, 647; Villa
1994, 390-392; Panella 2002, 633-635. Per la cronologia si
veda: Keay 1998, 141-155; Saguì 2002, 7-42.
106 Dal computo sono risultati il 2,1% del numero e l’1,4%
del peso dei frammenti di produzione africana.
107 L’anfora Keay XXXV si distingue in due sotto tipi A e
B per le varianti dei profili degli orli. Entrambi sono attestati
nel carico del relitto Dramont E (Pomey et al. 1987-1988, 40-
41, fig. 43 A e B).
108 La cronologia del tipo B è definita dalle numerose attestazioni
in contesti della fine del IV sec.-metà del VI sec.: relitto di
Skerki Bank (Freed 1994, 30-33); Marsiglia (Bourse: Bonifay
et al. 1998, 115); Tarragona (Vila-romà: Remolà-Abellò 1989,
261-263); Cartagine (Bir el Knissia: Freed 1993, 86).
109 Tipi simili sono in: Moreno Cassano 1975, tav. 12; Cassano
et al., 75-76 (Egnazia); in Boldrini 1999, 417-418 (Siponto);
in Disantarosa c.s (Vagnari); in Valente 1995-1996, 115-116,
tav. XX (San Giorgio); in Volpe et. al. c.s (Bari); in Casavola
1999 e Volpe et al. 1998, 724 (Agnuli); in Cannarozzi, Mazzei,
Volpe 1997, (Fioravanti–Vieste); in Volpe 1985, 215-226;
Volpe et al. c.s. (Canosa) e in Casavola 2002, 65 (Mola-Paduano);
in Annese 2000, 295, Turchiano 2000, 347; Leone 2000,
395 (Herdonia); Arthur, De Mitri, Lapadula c.s. (per i siti del Salento),
in Biffino et al. 1996, (San Giusto); in Giardino, Auriemma,
Lapadula 2000, (Metaponto).
110 L’area interessata da queste produzioni è molto vasta e
24
A. Cocchiaro - P. Palazzo - C. Annese - G. Disantarosa - D. Leone
terna, caratterizzato da un impasto ceramico compatto,
duro e di colore beige scuro 116 .
L’analisi dei contenitori da trasporto, mezzo privilegiato
per la conoscenza della diffusione delle
derrate alimentari nel territorio in esame, non può
prescindere dal grado di rappresentatività dei resti.
Sono, infatti, da considerarsi residui i frammenti riferibili
alle produzioni tardo repubblicane e primoimperiali
(Anfore ‘brindisine’, Lamboglia 2, del
tipo di Metaponto e l’anforisco), mentre il computo
e le statistiche relative alle anfore più tarde di produzione
italica, africana, orientale e lusitana propongono
di fissare tra la fine del IV e gli inizi del V
secolo il periodo in cui la vasca venne destinata a
diventare il ricettacolo dei rifiuti che si determinarono
nell’area.
Per meglio inquadrare gli scambi commerciali
di questo sito vanno considerati fattori di natura
geografica, quali la vicinanza ad un corso d’acqua
(il canale Giancola) e la collocazione a breve distanza
da tracciati stradali di rilievo come la via
Appia 117 e da approdi marittimi 118 . Proprio l’analisi
dei contenitori da trasporto consente l’inserimento
comprende regioni diverse, che vanno da quella egeo-turca e
istro-pontica a quelle siriaco-palestinese ed egizia.
111 Per la LRA 1 e LRA 2 si veda Villa 1994, 401-405, con bibliografia
essenziale. In questo sito sono rappresentate dal 9,3%
e dal 5,1% rispettivamente sul numero dei frammenti e sul peso
complessivo.
112 Auriemma 1998, 210.
113 Disantarosa 2004, 5-6.
114 Andreassi 1986, 383; Id. 1993, 643. Per lo studio del titulus
pictus si rimanda a Romano 2001, 171-188 e Ead. 2003,
161-163.
115 Per i ritrovamenti subacquei a Punta del Serrone: Sciarra
Bardaro 1978, 15; Andreassi 1992; Cocchiaro 1994, 183-185;
Ead. 1995, 145; Ead. 1996, 147; Ead. 1999, 27, 29.
116 Si veda da ultimo una sintesi con bibliografia precedente
in Mayet 2001, 277-293. Confronti del frammento in questione
sono con gli esemplari rinvenuti nelle stratigrafie della domus B
di Herdonia (Annese 2000, 295). Per il commercio di prodotti
dell’area Betica: Liu, Domergue 1990. Anche se manca tuttora
una chiara valutazione delle attività commerciali dell’area portoghese
in epoca tardoantica, si veda per la distribuzione delle manifatture
per la lavorazione delle sostanze ottenute a base di
pesce in Peacock, Williams 1986, 37-39, fig. 135.
117 Per la Via Appia in Puglia con bibliografia precedente
cfr. D’Andria 1997b, 95-102.
118 Una analisi degli approdi minori nel Salento attraverso il
contributo della ricerca archeologica subacquea è in Auriemma
2001, 415-429; Auriemma 2004, 11-24.

21 Cocchiaro 15-11-2005 8:42 Pagina 25
21. - Anfora Keay LII con titulus pictus. 22. - Ripartizione tra le varie classi di ceramiche comuni
calcolate in percentuale sul numero/peso complessivo dei
frammenti.
di Giancola in un ambito economico-commerciale delineato,
a partire dalla fine del III fino al VI secolo d.C.,
da quattro flussi principali: quello relativo all’area
adriatica e ionica, quelli provenienti dall’area nordafricana
e orientale e infine quello della Lusitania. Va sottolineato
come alla scarsa presenza di anfore di produzione
orientale e ispanica si contrapponga una significativa
presenza di anfore nord-africane e italiche tardoimperiali.
Il commercio delle merci trasportate in
questi contenitori verosimilmente doveva essere controbilanciato
dall’esportazione di prodotti quali tessuti
e lane, ricavate dall’allevamento delle greggi e dal
grano 119 . Gli stessi dati si ricavano dall’analisi dei contenitori
da trasporto provenienti dalla cisterna del vicino
insediamento rurale di San Giorgio-Masseria Masina
120 e dalle notizie fornite dalle fonti letterarie che forniscono
indizi sulla coltivazione dei cereali nelle campagne
brindisine e sulla funzione svolta dal porto per la
commercializzazione delle derrate alimentari 121 .
G.D.
Le ceramiche comuni
Il numero complessivo dei reperti in ceramica comune
emersi dallo scavo del riempimento della vasca
(fig. 9) non consente una valutazione statistica attendibile;
tuttavia nonostante i limiti provenienti dallo
119 Esempi anche in siti della regione settentrionale della
Puglia: Volpe 1996, 321-366.
120 Per il sito in generale cfr. Volpe 1994a, 69-78 e Volpe
1994b, 107-109. Per lo studio del materiale: Valente 1995-
1996, in part. per le anfore 104-125.
121 Per il periodo tardoantico una raccolta e analisi delle
fonti letterarie sull’economia della Puglia è in Volpe 1996,
393-421; sul porto di Brindisi si veda Baldini Lippolis 1997,
334; al riguardo cfr. Annese supra.
122 Non si può non rilevare una evidente lacuna negli studi
sulle ceramiche tardoantiche per questa area della Puglia; l’assenza
di pubblicazioni su contesti ceramici di questo periodo, infatti,
dopo il primo contributo di D’Andria del 1977 su alcuni
scarso indice quantitativo della classe ceramica e isolati
i reperti residui appartenenti a produzioni più antiche,
nel complesso si sono riscontrate caratteristiche
tecnologiche e morfologiche omogenee 122 .
Sono state individuate, sulla base degli orli, 22 tipi
certi anche se solo in 4 casi è stato possibile ricostruire
forme intere; l’alto indice di frammentarietà non permette
di poter risalire alle altezze complessive dei
contenitori e più in generale di definire esattamente la
forma dei corpi 123 .
Tra le forme individuate prevalgono quelle chiuse
pari a 14 esemplari, le forme aperte sono rappresentate
da 10 esemplari.
Ceramica comune acroma e dipinta. Le caratteristiche
tecniche di lavorazione e di cottura e le affinità
mineralogiche fra i manufatti in ceramica comune
acroma e dipinta (fig. 22) consentono di ipotizzare la
loro appartenenza, ad eccezione di un esiguo nucleo
di esemplari, ad un’unica produzione che include un
ampio repertorio di forme: olle, anforette, brocche.
Fra le forme aperte di sicura tradizione più antica
si segnalano due recipienti pseudo-cilindrici di grandi
dimensioni (fig. 23.1) caratterizzati da orlo ovoidale,
provvisto di una larga tesa rientrante e di una
sporgenza all’interno, da lunghe pareti, più o meno
svasate. Utilizzati come pitali (secchi igienici) o
grandi catini per lavare 124 , contenitori simili sono at-
esemplari tardoantichi provenienti dagli strati tardoromani di
Egnazia (D’Andria 1977, 75-89) e uno studio preliminare dei
materiali ceramici rinvenuti durante le recenti indagini nel foro
di Egnazia (Cassano et al. 2004, 73-81), impedisce di tracciare
un valido quadro di sintesi sulla circolazione delle merci (per
un’analisi dettagliata delle produzioni ceramiche tardoantiche in
Apulia si veda: Annese 2000, 286-294; Leone 2000, 387-432;
Turchiano 2000, 343-384 e da ultimo Leone, Turchiano 2002,
857-890). In tal senso dal contesto preso in esame si possono
trarre indicazioni morfologiche utili per una caratterizzazione tipologica
di questa classe sia pur ad un livello ancora embrionale.
123 I disegni sono in scala 1:3, eccetto i tipi 2 e 3 in scala 1:5.
124 Vegas 1973.
25

21 Cocchiaro 15-11-2005 8:42 Pagina 26
23. - Ceramiche comuni: acrome e dipinte (1-9); ceramiche da fuoco (10-15).
26

21 Cocchiaro 15-11-2005 8:42 Pagina 27
La ricerca archeologica nell’ager Brindisinus: lo scavo della villa di Giancola
testati a Luni 125 in contesti di IV-V sec. d.C.; ad Herdonia
esemplari analoghi provengono da latrine i cui
materiali sembrano non superare il III sec. d.C. 126 ;
allo stesso ambito cronologico sono riconducibili i
recipienti documentati ad Agrigento 127 , ad Ostia 128 e
in Spagna a Pollentia 129 .
La ceramica dipinta costituisce il 4% del vasellame
ritrovato, con forme chiuse prevalentemente
destinate a contenere liquidi e documentate in una
discreta varietà tipologica e dimensionale. Le
forme meglio rappresentate sono le anforette e le
brocche. Le prime presentano in genere un orlo diritto
o leggermente svasato, a profilo arrotondato
(fig. 23.4 in versione acroma; fig. 23.5), su cui si
impostano direttamente anse a nastro o a metà altezza
del collo. L’assenza di esemplari conservati
interamente non consente di verificarne l’altezza,
tuttavia grazie all’ampia diffusione di contenitori
molto simili è possibile ipotizzare le dimensioni intorno
ai 30-40 cm 130 .
I manufatti risultano ornati da pennellate in vernice
rossa disposte in maniera apparentemente caotica
sull’orlo e sulle anse, con soluzioni che negli esemplari
esaminati non si ripetono mai uguali, mentre è
frequente la presenza della dipintura in alcuni casi
con colore più denso sulle superfici interna ed esterna
dell’orlo e sulle anse.
I due esemplari di Giancola trovano confronti
assai stretti per forma e tecnica di stesura della vernice
con anforette documentate a Posta Crusta (Ordona)
131 e in contesti lucani del IV-prima metà del VI
d.C. 132 ; in particolare il tipo 4 presenta caratteristiche
stringenti con un esemplare proveniente da S. Giaco-
125 Luni II, 598.
126 Annese, De Felice, Turchiano 2000, 252-253; Annese
2000, 319, tipo 16.
127 Carra Bonacasa 1995.
128 Ostia I, 95, figg. 419-429; Ostia III, 449-450.
129 Vegas 1973, 41, fig. 13,2.
130 I diametri degli orli sono compresi tra cm 7-10. Cfr.
Leone, Turchiano 2002, 881-884 con ampia bibliografia.
131 Leone 2000, 403, tipo 23, tav. VI.
132 S. Pietro in Tolve (Di Giuseppe 1994); Malvaccaro (Capano
1987, tav. 2, n. 12); S. Giovanni di Ruoti (Freed 1982, fig. 6,
n. 1); Calle (Di Giuseppe 1998, 741, fig. 6, n. 1).
133 Per San Giacomo si veda Albarella et al. 1993, 175, fig. 9,
n. 41; San Giorgio: Valente 1995-96, 77, tav. VIII, n. 24.
134 Arthur 1994a, 204, fig. 95, gruppo 94; la brocca presenta
mo degli Schiavoni e da San Giorgio, nell’ager Brundisinus
133 .
Tra le brocche invece, oltre al tipo dipinto con
orlo diritto a fascia (fig. 23.6), che presenta evidenti
affinità con un gruppo di brocche documentate a
Napoli e a Carminiello ai Mannesi fra la metà del V
e il VII sec. d.C. 134 , si segnalano a titolo esemplificativo
due contenitori morfologicamente molto simili
per caratteristica degli impasti e delle decorazioni,
verosimilmente appartenenti ad una koinè produttiva
diversa dal contesto preso in esame 135 . I recipienti
presentano orlo indistinto diritto a sezione quadrangolare
(fig. 25) e circolare (fig. 26), alto collo leggermente
inclinato verso l’esterno, ansa a nastro con
scanalatura centrale impostata immediatamente sotto
l’orlo, fondo piano. Dal punto di vista decorativo il tipo
fig. 25 conserva una fitta serie di scanalature parallele
che si sviluppa sulla superficie esterna del vaso, mentre
il tipo fig. 26 dipinto (5YR 5/6-5/8) è connotato da una
decorazione ad onda costituita da una unica fila di tacche
quadrate o oblunghe realizzate con bastoncello o
rotella combinata con una sequenza di scanalature che
completa la parte inferiore del corpo ceramico. L’associazione
tra forma e sintassi decorativa sembra caratterizzare
in modo specifico questo reperto soprattutto
sulla base dei confronti con manufatti coevi simili
morfologicamente 136 .
Nel complesso si tratta di vasi morfologicamente
riconducibili ad un orizzonte cronologico compreso
tra il IV e la metà del V, la cui peculiarità decorativa
consiste nel proporre anche contemporaneamente
moduli appartenenti ad archetipi diversi (associazione
filare di tacche e sequenza di scanalature).
un ambito di diffusione non diverso da quello delle anforette: San
Giovanni di Ruoti (Freed 1982, fig. 6, n. 1), Metaponto (D’Andria
1976, tav. XXXVIB, n. inv. 120630), Rutigliano (Salvatore
1982, fig. 1981, fig. 1a).
135 I due recipienti, sottoposti a restauro integrativo con tecnica
‘a sottosquadro’ e attualmente esposti nel Museo Provinciale
F. Ribrezzo di Brindisi, non sono stati riprodotti graficamente a
causa della loro estrema fragilità. In questo contributo si presenta
una versione fotografica. Misure: tipo 1, h. cm 30,4, sez. ansa
cm 1,8; tipo 2, h. cm 22,3, diam. cm 8,5, spess. ansa cm 1,5.
136 In Campania sono documentate fornaci che producevano
manufatti molto simili dal tardo IV secolo. A Carminiello ai
Mannesi il tipo è attestato in contesti della metà del V (Arthur
1994, 199, tipo 86, fig. 94). La produzione di anfore e brocche a
superficie corrugata costituirà uno degli elementi caratterizzanti
della cultura materiale bizantina.
27

21 Cocchiaro 15-11-2005 8:42 Pagina 28
24. - Ceramiche comuni da fuoco (16-20).
È possibile individuare una serie di confronti che
indicano come possa esserci stata una provenienza
dall’area orientale o, a livello imitativo, una mediazione
più diretta con produzioni ceramiche di origine
egea ampiamente attestate per tutta l’età imperiale
fino almeno alla metà del V d.C. 137 .
Completa il panorama delle forme chiuse la brocca/bottiglia
(fig. 23.7) con orlo indistinto, collo diritto
fittamente scanalato e dipintura applicata con
ampie pennellate sulla superficie esterna e sull’orlo;
il tipo di Giancola presenta analogie, soprattutto nel
collo scanalato, con brocche documentate in Apulia
nella fattoria di Posta Crusta e a Herdonia in strati di
fine IV-metà del V d.C. 138 .
I bacini con orlo a tesa rientrante e pareti curvilinee
137 L’ipotesi sembra confermata dal confronto stringente con
un gruppo di brocche provenienti dal riempimento di un pozzo
dell’agorà di Argo e datato agli inizi del V secolo (Ivantchik
2002, 354-355, type 3, fig. 28-29).
138 Cfr. Leone 2000, 403-412, tipo 28, tav. VII; Turchiano
2000, 356-357, tipo 8, tav. III. Esemplari simili sono stati rin-
28
A. Cocchiaro - P. Palazzo - C. Annese - G. Disantarosa - D. Leone
rappresentano l’elemento caratterizzante della ceramica
acroma; in particolare si segnala un esemplare interamente
conservato (fig. 23.2), a vasca profonda con fondo
apodo, contraddistinto da una solcatura sulla superficie
esterna e da una linea di demarcazione nel punto di
attacco dell’orlo con la parete. Le aree di produzione del
tipo sono state individuate in Africa proconsolare anche
se manufatti simili di probabile fabbricazione locale sono
attestati in Campania; prodotti probabilmente già dal
III sec. d.C., bacini analoghi sono presenti in contesti di
V-VI sec. a Napoli 139 , Cartagine 140 , a Porto Torres in
Sardegna 141 . Il tipo 3 (fig. 23.3), pur non avendo dei
confronti morfologici puntuali, può essere messo in relazione
con un gruppo di manufatti analoghi attestati in
età tardoantica in Campania e in area apula, nell’ager
venuti a Cartagine dove pare siano databili al V prima metà
del VI sec. d.C. (Fulford, Peacock 1984, 205).
139 Arthur 1994, 194-199, tipo 75.
140 Fulford, Peacock 1984, 193, 195, n. 4.1.
141 Villedieu 1984, 151, fig. 128.

21 Cocchiaro 15-11-2005 8:42 Pagina 29
La ricerca archeologica nell’ager Brindisinus: lo scavo della villa di Giancola
Herdonitanus 142 . La presenza di ciotole è modesta e non
si riscontra un’eccessiva variazione tipologica (fig. 23.8
e 9); tra esse la coppa con orlo rientrante ed arrotondato
costituisce il tipo meglio rappresentato (fig. 23.8). Realizzate
con gli stessi impasti utilizzati nei bacini, nelle
brocche e nelle anforette, queste ciotole richiamano formalmente
tipologie ampiamente diffuse nel periodo romano
e tardoantico, generalmente collocate in un periodo
oscillante tra la fine del II e gli inizi del VI sec. d.C.,
come testimoniano i materiali rinvenuti in associazione
e i confronti provenienti da contesti cronologicamente
coevi 143 .
All’interno delle produzioni in dipinta le forme
chiuse, bottiglie, brocche e anforette assumono le
funzioni dei contenitori di importazione. A tal proposito
un probabile indizio del trasporto di vino in questi
vasi di età tardoantica è dato dalla presenza di un
frammento di parete dipinto in rosso-bruno pertinente
ad un’anforetta con rivestimento interno in pece 144 .
Ceramica da fuoco. La quasi totalità della ceramica
da cucina (22% del totale, fig. 22) risulta costituita
da olle e tegami di produzione locale con argille grigio-marrone
ricche di scisti cristallini.
La presenza in meno del 50% dei materiali di
tracce di esposizione diretta o indiretta al fuoco, suggerisce
una polifunzionalità d’impiego per la preparazione
e la cottura degli alimenti.
La forma più rappresentata è quella dell’olla che
presenta una modesta variabilità formale dell’orlo 145 :
sono documentati infatti due esemplari a tesa con
ansa ad orecchia impostata immediatamente sotto
l’orlo (fig. 23.10 e 11) e fondo con bottone centrale
142 In Campania: Arthur 1994, 198, fig. 91, tipo 75; a Posta
Crusta: Leone 2000, 400, tipo 5, tav. IV; Ordona: Annese 2000,
318, tipo 14. La forma generale sembra esistere almeno dal III
sec. d.C. a Ostia e a Tarragona (Rüger 1968, tav. 16, n. 18), mentre
esemplari da Cartagine sono attestati tra la metà del V e gli
inizi del VI d.C. (Fulford, Peacock 1984, 193-195, n. 4.1).
143 Questo tipo di coppa è presente con strette analogie ad
Angera (Angera romana II, 141, tipo 1, tav. 56, nn. 1-2) in
contesti tardo-repubblicani e primo-imperiali; è documentato
inoltre a Posta Crusta (Leone 2000, 401, tipo 9, tav. IV), a
Calle (Di Giuseppe 1994, 14, fig. 4, n. 5), a San Giorgio, Brindisi
(Valente 1995-96, 71, tav. VI, n. 11), tutti in contesti tardoantichi.
144 L’esempio di Giancola non è isolato; anche a Posta Crusta
è documentata la pratica di rivestire di pece l’interno di forme
vascolari di uso comune. Cfr. Leone 2000, tipo 29, tav. VII.
145 Gli esemplari presi in esame sono caratterizzati da impa-
(fig. 23.12), cui seguono i più frequenti orli estroflessi,
corpo globulare scanalato e non in tre varianti (fig.
23.13, 14 e 15). I diametri all’orlo si attestano prevalentemente
sui valori medio piccoli con misure comprese
tra 13 e 16 cm. Lo spessore delle pareti è piuttosto
sottile (in media 0,6 cm).
In particolare il tipo 15 con orlo estroflesso ingrossato
esternamente, con corpo ovoidale trova alcuni
confronti che rimandano a produzioni del Mediterraneo
orientale, molto probabilmente originari dell’area
egea, con una circolazione a partire dal II-III
sec. d.C. 146 .
In generale questi contenitori trovano una ampia
diffusione geografica e cronologica sia in Puglia sia
in area egeo-orientale tale da poter pensare in alcuni
casi ad una importazione proprio da queste regioni;
non è da escludere tuttavia una produzione locale,
confermata tra l’altro dal rinvenimento nel sito rurale
di San Giusto di una fornace della metà del V sec.
d.C. che produceva contenitori morfologicamente
molto simili 147 .
Tra le forme aperte si segnalano due tegami (fig.
24.16) caratterizzati da ampia apertura, parete bombata,
orlo arrotondato e ingrossato (cm 26) e tracce di steccatura
sulla superficie: utilizzati per cuocere carni e verdure
e impiegati sulla tavola come piatti da portata,
sono documentati, con un ampio raggio di diffusione in
contesti tardoromani e sembrano richiamare la forma
Hayes 181 in ceramica africana da cucina 148 .
All’interno del panorama tipologico della ceramica
da fuoco di produzione locale, infine, è documentato
un gruppo di casseruole che imitano le forme più
diffuse dei contenitori da cucina africani databili a
sti di colore marrone, a granulometria abbastanza fine, con
molti inclusi di mica brillante, bianchi, giallastri, neri, tutti di
piccole e piccolissime dimensioni.
146 Ad Atene (metà del III sec. d.C.), Robinson 1959; a
Cnosso, Hayes 1983, 96-169; a Tocra, Tolmeita, Cirene, Gsar
Tecasis, Dura Europos, Kytera e Hadrianopolis, Riley 1979.
147 Numerosi inoltre i confronti con l’area medio-adriatica
della Penisola (Abruzzo e Molise). Cfr. Leone, Turchiano
2002, 876-880; Gliozzo et al. 2005a e 2005b con ampia bibliografia.
L’olla di Giancola potrebbe essere collocata cronologicamente
tra la metà del V e gli inizi del VI sec. soprattutto
alla luce dei confronti con casi molto simili documentati a
Otranto (Semeraro 1992, 66-67, tipo 326, fig. 4:3).
148 Un numero consistente di tegami morfologicamente simili
con i relativi coperchi è documentato a Ordona (Turchiano
2000, tavv. V-VI, tipi 1, 2, 3) e a Posta Crusta (Leone
2000, tav. XI, tipi 1, 2).
29

21 Cocchiaro 15-11-2005 8:42 Pagina 30
partire dalla metà del II sec. d.C. alla fine del IV-inizi
V sec. d.C. Quattro recipienti con orlo a profilo circolare,
superfici interne ed esterne convesse, corpo approssimativamente
cilindrico sembrano rifarsi alla
forma Hayes 197 (fig. 24.17, 18 e 19) e al tipo Ostia
III, fig. 108 (fig. 24.20); in un caso (tipo 19) il profilo
dell’orlo è bifido, provvisto della scanalatura per l’alloggiamento
del coperchio. Abbastanza comuni in
contesti campani di fine IV sec. d.C., dove le numerose
varianti potrebbero indicare l’esistenza di
diverse officine locali 149 , casseruole simili, nella
versione lucidata a stecca, sono documentate in numerosi
siti della Puglia settentrionale, dove gli
studi in corso confermano una diffusione capillare
in contesti di fine IV-inizi V secolo 150 .
Il quadro che sembra emergere da questa analisi,
per quanto limitato a un numero di frammenti relativamente
basso, permette tuttavia di formulare alcune
considerazioni di carattere generale la cui lettura va
integrata con i dati provenienti dallo studio dei materiali
importati. Isolati gli elementi probabilmente residuali,
attribuibili al I-III sec. d.C. (pitali), risultano
ampiamente attestate le produzioni locali di età tar-
149 Carsana 1994, 254-258, gruppo 12, figg. 108-109.
150 Ordona (Annese 2000; Turchiano 2000), Posta Crusta
(Leone 2000), San Giusto (Biffino et al. 1998, 266-267) e in numerosi
siti della valle del Celone e della valle dell’Ofanto individuati
nel corso di campagne di ricognizione. Si avvicinano
inoltre a esemplari presenti a Luni da contesti con materiale da-
30
A. Cocchiaro - P. Palazzo - C. Annese - G. Disantarosa - D. Leone
25. - Brocca acroma scanalata. 26. - Brocca dipinta.
doantica, rappresentate tra l’altro dalle forme maggiormente
diffuse in contesti coevi dell’Apulia.
Gli elementi analizzati convergono nell’ascrivere
il contesto in esame in un orizzonte cronologico
compreso tra la metà del IV e la metà del V-inizi VI
secolo d.C.
La limitata incidenza dei prodotti da mensa importati
in rapporto ai coevi manufatti locali potrebbe
essere letta come spia della maggiore competitività
delle produzioni locali, qualitativamente ormai
elevate e in grado di soddisfare il mercato regionale
con una distribuzione sempre più capillare; allo
stesso modo è da porre in maniera problematica
l’assenza di manufatti in ceramica dipinta che imitano
vasellame importato, pur ampiamente diffusi
in coevi contesti dell’Italia meridionale 151 .
Va precisato, tuttavia che il dato in controtendenza di
Giancola va stimato in rapporto al campione preso in
esame. I recenti studi infatti, pur confermando per i siti
costieri una presenza costante di vasellame importato, i
cui indici tra V e VI secolo continuano ad essere alti, documentano
per contesti urbani e rurali posti nell’entroterra,
ma ben collegati tramite la viabilità principale ai
tabile in prevalenza al IV sec. d.C. (Luni II, tav. 270, nn. 1-2); a
Cartagine databili dal tardo VI all’inizio del VII d.C. (Riley
1981, Cistern 1977.2, Deposit XXIX, fig. 7, n. 51).
151 In ambito regionale le imitazioni delle sigillate africane
sono presenti sia nelle zone costiere sia nelle aree interne; sul
problema delle imitazioni si veda da ultimo Volpe et al. c.s.

21 Cocchiaro 15-11-2005 8:42 Pagina 31
La ricerca archeologica nell’ager Brindisinus: lo scavo della villa di Giancola
maggiori centri di approvvigionamento e smistamento,
una presenza non trascurabile di prodotti esteri 152 .
Infine è interessante notare come anche la ceramica
di uso comune, al pari del recipienti da mensa
importati e delle anfore, evidenzia l’inserimento della
villa di Giancola, posta tra l’altro all’interno di un’articolata
viabilità sia terrestre sia marittima 153 , nei circuiti
commerciali che si sviluppavano nell’Adriatico
e nel Mediterraneo.
In questo quadro i legami più diretti con l’Oriente
e in particolare i contatti culturali con l’area egea si ri-
152 Ad Herdonia e a San Giusto ad esempio, a fronte di un incremento
di vasellame di produzione locale, sembra non registrarsi
una variazione negli indici di attestazione di sigillate di
importazione, peraltro mai documentate con valori molto alti rispetto
alle ceramiche locali. Cfr. Volpe et al. c.s.
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(tipi 14 e 15) e dei vasi da mensa, tra i quali le brocche
scanalate (figg. 25-26) che come si è detto mostrano
notevoli affinità morfologiche con le produzioni
del territorio greco e in particolare con materiali
provenienti da Argo e Atene. Il dato, che necessita di
ulteriori approfondimenti, sembra in ogni caso confermare
quanto già evidenziato per altri siti della Puglia
adriatica, come per esempio la villa di Agnuli o le
città di Egnazia e Otranto 154 .
D.L.
153 Si veda supra il contributo di A. Cocchiaro.
154 Cfr. per Agnuli (Volpe et al. 1998, 723-734), per Egnazia
(Cassano et al. 2004, 73-81), Otranto (Semeraro 1992, 63-78).
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