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Giovanni Ventimiglia Identità maschile in questione E gli uomini ...

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E <strong>gli</strong> uom<strong>in</strong>i?<br />

<strong>Giovanni</strong> <strong>Ventimi<strong>gli</strong>a</strong><br />

<strong>Identità</strong> <strong>maschile</strong> <strong>in</strong> <strong>questione</strong><br />

Sono ormai diversi decenni che il femm<strong>in</strong>ismo sferra attacchi alla cultura maschilista e<br />

patriarcale de<strong>gli</strong> uom<strong>in</strong>i.<br />

Gli attacchi sono pers<strong>in</strong>o contraddittori fra loro. Donna Haraway <strong>in</strong> America accusa la logica<br />

<strong>maschile</strong> di dualismo, Adriana Cavarero, <strong>in</strong>sieme a molte altre, l’accusa, al contrario, di monismo. Il<br />

maschio sba<strong>gli</strong>erebbe: a) perché ragiona dividendo la realtà <strong>in</strong> poli opposti (Haraway); b) perché<br />

ragiona unificando i poli opposti <strong>in</strong> un unico universale (Cavarero e il pensiero della differenza<br />

sessuale).<br />

La prima cosa che viene da dire è: donne decidetevi! La seconda, e più profonda, è: uom<strong>in</strong>i,<br />

decidetevi pure voi… a reagire!<br />

Perché <strong>gli</strong> uom<strong>in</strong>i non reagiscono, <strong>in</strong>tendo evidentemente dire “filosoficamente”, a questi attacchi<br />

filosofici? Perché esiste una filosofia delle donne sulle donne e non ne esiste una de<strong>gli</strong> uom<strong>in</strong>i su<strong>gli</strong><br />

uom<strong>in</strong>i? Perché <strong>gli</strong> uom<strong>in</strong>i devono leggere le descrizioni della loro logica e delle loro pratiche, nelle<br />

descrizioni, quasi mai benevole, che ne fanno le donne?<br />

Società patriarcale o matriarcale?<br />

La domanda prelim<strong>in</strong>are da porre con franchezza è la seguente: c’è bisogno di uom<strong>in</strong>i? C’è<br />

bisogno di una cultura e addirittura di una filosofia “<strong>maschile</strong>”? Detto <strong>in</strong> altri term<strong>in</strong>i: la nostra società<br />

non è ancora, nonostante qualche vittoria del femm<strong>in</strong>ismo, profondamente patriarcale e maschilista? Il<br />

problema è di dare più spazio alla cultura femm<strong>in</strong>ile e qui si parla – si potrebbe obiettare – addirittura<br />

di fondare una filosofia “<strong>maschile</strong>”! Non è <strong>in</strong> fondo tutta la filosofia “maschilista”, a com<strong>in</strong>ciare dal<br />

l<strong>in</strong>guaggio che utilizza?<br />

Anzitutto bisogna dire che la filosofia ha parlato f<strong>in</strong>o ad oggi un l<strong>in</strong>guaggio, piuttosto, neutro ed<br />

universale, non <strong>maschile</strong>. Parla da qualche decennio anche un l<strong>in</strong>guaggio femm<strong>in</strong>ile, con la filosofia<br />

delle donne sulle donne, ma non parla ancora un l<strong>in</strong>guaggio <strong>maschile</strong>.<br />

In secondo luogo bisogna notare che, se <strong>in</strong> superficie la nostra società – parlo almeno di quella<br />

italiana – è ancora per molti versi maschilista e patriarcale, per altri versi, a livello di psicologia del<br />

profondo, è radicalmente matriarcale.


In proposito condivido le analisi de<strong>gli</strong> studiosi junghiani sulle culture mediterranee. Provo a<br />

riassumerle.<br />

Se c’è una tesi su cui diversi studi delle donne sulle donne concordano questa è quella che<br />

<strong>in</strong>dividua nella cura e nella capacità di relazioni personali uno dei tratti caratteristici della femm<strong>in</strong>ilità,<br />

di contro alla propensione per i rapporti legali, anonimi ed impersonali tipica de<strong>gli</strong> uom<strong>in</strong>i.<br />

Ebbene, <strong>in</strong> Italia, prevalgono i rapporti personali o il senso oggettivo della legge, che non fa<br />

preferenze per nessuno? Se uno <strong>in</strong> Italia deve fare un esame si chiede: sono preparato, conosco le<br />

materie dell’esame? O si chiede: chi conosco?<br />

Si tratta del tema della Grande Madre mediterranea. Una presenza <strong>in</strong>combente della madre,<br />

collegata all’assenza del padre, fa sì che nei fi<strong>gli</strong>, e poi anche ne<strong>gli</strong> adulti “matrizzati”, prevalga la<br />

consapevolezza di non essere uguali a<strong>gli</strong> altri, ma di essere unici, privilegiati, dei. Per la mamma,<br />

<strong>in</strong>fatti, i fi<strong>gli</strong> non sono uguali a<strong>gli</strong> altri ma mi<strong>gli</strong>ori. Nasce e si sviluppa, di conseguenza, la società dei<br />

fi<strong>gli</strong> di una stessa madre, delle confraternite, dei mammasantissima, che si considerano mi<strong>gli</strong>ori di tutti,<br />

si aiutano fra di loro <strong>in</strong> tutto, anche <strong>in</strong> barba alla legge. Non prevale la logica del merito, ma quella<br />

dell’amico fraterno, a cui si deve sia quello che è giusto, sia quello che giusto non è.<br />

In uno dei libri più <strong>in</strong>teressanti che ho letto sulla cultura siciliana (La Grande Madre Mafia.<br />

Psicoanalisi del potere mafioso), che <strong>in</strong> realtà è anche, più <strong>in</strong> generale, sulla cultura italiana, Silvia Di<br />

Lorenzo cita la reazione del primo analista junghiano venuto a lavorare <strong>in</strong> Italia più di quaranta anni fa:<br />

“Qualsiasi regola, legge, o pr<strong>in</strong>cipio la Grande Madre cerca di trasformarlo <strong>in</strong> rapporto personale,<br />

attraverso il quale, come è noto, <strong>in</strong> Italia si può raggiungere quasi tutto”.<br />

Ritorno, dunque, stavolta con meno dubbi di prima, alla domanda: la società <strong>in</strong> cui viviamo è<br />

maschilista e patriarcale o matriarcale? Mi sembra, anche solo <strong>in</strong> base a questi brevi cenni, che si possa<br />

rispondere: superficialmente patriarcale ma profondamente matriarcale.<br />

Quale uomo?<br />

Chiarito che, forse, di uom<strong>in</strong>i e della loro cultura “legale” e “oggettiva” (come direbbe Carol<br />

Gilligan), ci sarebbe effettivamente bisogno, chiediamoci ora: quale tipo di uom<strong>in</strong>i?<br />

La <strong>questione</strong> non è per nulla semplice almeno per due motivi: anzitutto perché, come è noto,<br />

l’avvento del femm<strong>in</strong>ismo ha disorientato profondamente i maschi; <strong>in</strong> secondo luogo perché le<br />

tecnologie (da<strong>gli</strong> elettrodomestici per i lavori domestici, alle leve per i lavori pesanti, f<strong>in</strong>o alle<br />

tecnologie riproduttive), hanno messo <strong>in</strong> crisi i modelli culturali antichi di donne e uom<strong>in</strong>i.<br />

Modelli culturali<br />

Il primo luogo <strong>in</strong> cui viene spontaneo andare a cercare il <strong>maschile</strong> è la cultura.<br />

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Ora, nel panorama attuale, <strong>in</strong>vero un poco desolato, di proposte “culturali” relative al genere <strong>maschile</strong>,<br />

ne r<strong>in</strong>traccio tre (avvertendo f<strong>in</strong> da ora che si tratta di proposte spesso unite fra loro): l’uomo “maschio<br />

100x100”; l’uomo “jolly” e, <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, il “gentiluomo”.<br />

Il maschio 100x100 (ovvero il femm<strong>in</strong>ile fuori di sé)<br />

Come è noto ormai pers<strong>in</strong>o dalle pag<strong>in</strong>e dei giornali, stanno nascendo e sviluppandosi da qualche<br />

anno, anche <strong>in</strong> Italia, movimenti “maschili” e “neo-maschilisti”, contro quello che viene def<strong>in</strong>ito il<br />

“nazi-femm<strong>in</strong>ismo” del Terzo Millennio”. I nomi dei siti spiegano me<strong>gli</strong>o delle mie parole di che cosa<br />

si tratti: www.maschio100x100.com; www.uom<strong>in</strong>i3000.it; www.maschiselvatici.it.<br />

In alcuni casi si combattono batta<strong>gli</strong>e sacrosante, come quella promossa dai “maschi selvatici” a<br />

favore del diritto dei padri ad opporsi alla volontà abortiva della propria mo<strong>gli</strong>e, al f<strong>in</strong>e di far nascere il<br />

proprio fi<strong>gli</strong>o (diritto che non viene contemplato <strong>in</strong> quasi nessun ord<strong>in</strong>amento giuridico occidentale).<br />

Mi sembra tuttavia che, al di là, delle dichiarazioni più o meno morbide, il punto debole,<br />

psicologico e filosofico, di tali proposte culturali, risieda nella denigrazione delle donne e nella ricerca<br />

di un modello <strong>maschile</strong> mitico – l’eroe, il guerriero, il samurai.<br />

Il femm<strong>in</strong>ile, <strong>in</strong> altre parole, è concepito quasi sempre come qualcosa di “esterno” all’uomo, con<br />

cui e<strong>gli</strong> ha spesso una relazione conflittuale. Mi piacerebbe chiedere a questi maschi notizie delle loro<br />

rispettive madri. Non mi meravi<strong>gli</strong>erei se fossero figure molto positive, idealizzate, amatissime. Questo<br />

spiegherebbe il loro rapporto strutturalmente conflittuale con le altre donne, sempre <strong>in</strong>adeguate nel<br />

confronto con mammà.<br />

Il “Jolly” (ovvero il femm<strong>in</strong>ile dentro di sé)<br />

Chiamo così quell’uomo che, al contrario del maschio “100x100”, sa di avere dentro di sé, per<br />

così dire, tanto una dimensione <strong>maschile</strong> che una femm<strong>in</strong>ile. Solo che, si dice, quella <strong>maschile</strong>, seppure<br />

non esclusiva, è – di solito – preponderante. Appellandosi vagamente a Jung e al taoismo, si concepisce<br />

un uomo politicamente corretto <strong>in</strong> grado di svolgere diversi compiti, da quelli tradizionalmente riservati<br />

a<strong>gli</strong> uom<strong>in</strong>i, per esempio il giudice, a quelli tradizionalmente riservati alle donne, per esempio<br />

l’<strong>in</strong>fermiere o la baby sitter. Si tratta del modello culturale più diffuso nella nostra società. Lo chiamo<br />

“uomo jolly”, perché permette di usare l’uomo per qualunque tipo di lavoro, <strong>maschile</strong> o femm<strong>in</strong>ile che<br />

sia, a secondo della necessità.<br />

Dal punto di vista del problema filosofico della cosiddetta “gender theory”, si può riassumere tale<br />

modo di pensare nella formula: il genere (femm<strong>in</strong>ile o <strong>maschile</strong>) è legato al sesso ma non troppo.<br />

Considero qui il genere femm<strong>in</strong>ile, perché è quello che permette di comprendere me<strong>gli</strong>o la teoria<br />

dell’uomo jolly. Da un lato, si sostiene, il genere femm<strong>in</strong>ile è legato al corpo sessuato femm<strong>in</strong>ile,<br />

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perché solo l’esperienza femm<strong>in</strong>ile della maternità, con tutto quanto essa comporta, permette di<br />

sviluppare que<strong>gli</strong> atteggiamenti di cura, pazienza, empatia, attenzione all’altro, rapporti personali, tipici<br />

del “genere” femm<strong>in</strong>ile. Dall’altro lato, però, si sostiene che tali atteggiamenti tipicamente femm<strong>in</strong>ili<br />

non sono legati <strong>in</strong> modo esclusivo ai corpi sessuati femm<strong>in</strong>ili ma, anzi, si ritrovano anche nei corpi<br />

sessuati maschili, risultando poi addirittura preponderanti nell’uomo baby sitter. Insomma: il genere è<br />

legato al sesso ma non troppo.<br />

Ora, nonostante sia alla moda, tale modello mi sembra nascondere almeno due errori filosofici,<br />

che chiamo: essenzialismo dei generi ed essenzialismo fra i generi. Si concepiscono l’essenza del<br />

genere femm<strong>in</strong>ile e del genere <strong>maschile</strong> come essenze separate dai corpi (essenzialismo dei generi) e,<br />

<strong>in</strong> più, come essenze separate nello stesso corpo, separate <strong>in</strong> casa (essenzialismo tra generi).<br />

Considero l’essenzialismo dei generi. Se le caratteristiche essenziali del genere femm<strong>in</strong>ile non si<br />

ritrovano <strong>in</strong> modo esclusivo <strong>in</strong> <strong>in</strong>dividui sessualmente femm<strong>in</strong>ili ma, al contrario, <strong>in</strong> tutti <strong>gli</strong> uom<strong>in</strong>i, ne<br />

segue che il corpo sessuato non è essenziale al genere femm<strong>in</strong>ile. Ciò significa, <strong>in</strong> altre parole, che il<br />

genere (<strong>in</strong> questo caso femm<strong>in</strong>ile ma il discorso vale evidentemente anche per il genere <strong>maschile</strong>) si<br />

def<strong>in</strong>isce e si costituisce a presc<strong>in</strong>dere dal corpo sessuato. Quest’ultimo, di conseguenza, risulta<br />

accidentale rispetto al genere. È una posizione dualista di tipo platonico.<br />

La cosa appare tanto più strana, se si considera che le caratteristiche tipicamente femm<strong>in</strong>ili sono<br />

state desunte, come si è detto sopra, <strong>in</strong> modo aristotelico, cioè a partire da una precisa ontologia del<br />

corpo femm<strong>in</strong>ile. Nate da un corpo di donna, quelle caratteristiche f<strong>in</strong>iscono per svolazzare per l’ampio<br />

cielo, vivendo a presc<strong>in</strong>dere da un corpo di donna (dal momento che cadono <strong>in</strong>differentemente <strong>in</strong> corpi<br />

femm<strong>in</strong>ili e maschili). Nascono aristoteliche e muoiono platoniche.<br />

Il fatto è che, se le quelle caratteristiche non possono più vantare una relazione esclusiva con i<br />

corpi femm<strong>in</strong>ili, allora sono costrette a confessare la loro orig<strong>in</strong>e non già corporea ma culturale! E<br />

voilà, ecco f<strong>in</strong>iti dritti <strong>in</strong> quell’errore che proprio la teoria dell’uomo jolly avrebbe voluto evitare.<br />

Infatti, come ha <strong>in</strong>segnato già da qualche anno Margaret Mead, le culture umane, a differenza dei<br />

corpi maschili e femm<strong>in</strong>ili, sono molto diverse fra di loro a proposito di questi discorsi. Di conseguenza<br />

non è possibile far riferimento alla cultura – quale poi, solo la nostra occidentale? – per def<strong>in</strong>ire<br />

l’essenza del <strong>maschile</strong> e del femm<strong>in</strong>ile. Al contrario, non si può evitare di far riferimento alla<br />

differenza morfologica dei corpi maschili e femm<strong>in</strong>ili, che si ritrova <strong>in</strong>vece <strong>in</strong> modo trasversale <strong>in</strong> tutti<br />

i paesi e <strong>in</strong> tutte le culture. Allora però, di nuovo: se <strong>gli</strong> atteggiamenti tipicamente femm<strong>in</strong>ili non sono<br />

culturali ma legati al corpo femm<strong>in</strong>ile, come mai poi si possono ritrovare anche nei corpi maschili?<br />

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Considero adesso l’essenzialismo fra i generi. Esso consiste nell’idea che i due generi o essenze,<br />

femm<strong>in</strong>ile e <strong>maschile</strong>, convivano nello stesso corpo rimanendo diversi. Lo si vede ogniqualvolta si<br />

<strong>in</strong>terpretano, per esempio, l’<strong>in</strong>fermiere o il baby sitter, come uom<strong>in</strong>i che non hanno vergogna di<br />

assumere ruoli “femm<strong>in</strong>ili”, che accettano, si sostiene, la parte femm<strong>in</strong>ile di se stessi.<br />

Mi sembra si nasconda <strong>in</strong> questo modo di pensare un’idea “solida” del femm<strong>in</strong>ile e del <strong>maschile</strong>,<br />

tanto “solida” che il femm<strong>in</strong>ile, anche quando abiti un corpo <strong>maschile</strong> (mettiamo sempre il baby sitter)<br />

rimane tale e quale. Insomma: se vuole prendersi cura dell’altro, l’uomo deve diventare un poco donna,<br />

giacché la cura è stata attribuita, per essenza, al femm<strong>in</strong>ile. Il giorno che l’uomo si stancasse di fare il<br />

“giudice” e volesse spendersi per <strong>gli</strong> altri, <strong>in</strong>staurare relazioni personali, provare empatia e quant’altro,<br />

ebbene, quel giorno, lo vo<strong>gli</strong>a o no, sarebbe, secondo la teoria dell’uomo jolly, più femm<strong>in</strong>ile!<br />

Il gentiluomo (ovvero il gentil uomo)<br />

Mi domando a questo punto: non esiste un modo <strong>maschile</strong> di prendersi cura dell’altro? Il<br />

“cavaliere”, una volta, non si prendeva forse cura, da uomo, del debole e della donna? E quando un<br />

uomo, oggi, porge il braccio – gentilmente – ad una donna nell’atto di scendere le scale, sta vivendo la<br />

parte femm<strong>in</strong>ile di sé, abdicando per un attimo alla sua mascol<strong>in</strong>ità o è del tutto uomo e, al tempo<br />

stesso, del tutto gentile?<br />

Sto cercando di dire che il femm<strong>in</strong>ile, ammesso che sia mai esistito e che esista ancora, cioè la<br />

cura, il dono di sé, i rapporti personali, l’empatia, etc., sono vissuti da un uomo <strong>in</strong> un modo tutto<br />

<strong>maschile</strong> (e viceversa). Quando si trovano <strong>in</strong> corpi maschili (o femm<strong>in</strong>ili) quelle caratteristiche non<br />

sono “solide” ma “liquide” e, di conseguenza, non restano separati <strong>in</strong> casa, per così dire, ma si<br />

mescolano, si fondono, dando luogo ad atteggiamenti gentili e amorevoli, tipicamente e orig<strong>in</strong>almente<br />

maschili e ad atteggiamenti di giustizia, relazioni “oggettive”, tipicamente e orig<strong>in</strong>almente femm<strong>in</strong>ili.<br />

Avviene come per i colori: il rosso unito al giallo forma l’arancione, unito al bianco forma il rosa.<br />

Mi sembra, al contrario, che la cultura e la pratica delle gender theory abbiano sp<strong>in</strong>to i sessi ad<br />

imitarsi, piuttosto che a vivere a partire da sé. Oggi il maschio che decidesse di dedicarsi a<strong>gli</strong> altri non<br />

ha che la donna come suo modello e, viceversa, la donna che volesse esercitare la giustizia, non trova<br />

che l’uomo come modello da imitare.<br />

Ora, i modelli antichi della dama e del cavaliere gentiluomo – seppure sorpassati – <strong>in</strong>dicano che,<br />

al contrario, è possibile a<strong>gli</strong> uom<strong>in</strong>i essere responsabili, prendersi cura della propria terra, della propria<br />

donna, dei deboli, dei propri amici, del proprio popolo andando a combattere <strong>in</strong> prima fila per<br />

difenderli, <strong>in</strong> un modo del tutto <strong>maschile</strong>. L’attenzione all’altro, la gentilezza de<strong>gli</strong> uom<strong>in</strong>i cavalieri,<br />

oggi tanto richiesta dalle donne!, è cosa del tutto diversa dall’attenzione all’altro, dalla cura, di un<br />

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uomo-tenero che accudisce <strong>in</strong> casa i bamb<strong>in</strong>i. Nulla di male nell’uno e nell’altro caso, ma è evidente<br />

che il primo è “virilmente” gentile, il secondo (quello che Bly chiama uomo-tenero) sta imitando<br />

modelli femm<strong>in</strong>ili.<br />

A salvarci, forse, è ancora il desiderio: come dicono alcune <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i sociologiche, le donne che<br />

hanno <strong>in</strong> casa un marito-tenero-alla-pari desiderano ardentemente un selvatico gentiluomo.<br />

Conclusione ed <strong>in</strong>izio<br />

Il desiderio fisico, le fantasie sessuali, possono, essere un buon punto di partenza nella ricerca del<br />

<strong>maschile</strong> perché, seppure <strong>in</strong>fluenzate dalla cultura, mi sembrano più vic<strong>in</strong>e al corpo di quanto non lo<br />

siano alcune teorie costruite a tavol<strong>in</strong>o, compresa quella del gentiluomo, più vic<strong>in</strong>e, <strong>in</strong>somma, ad un<br />

uomo – aristotelico – <strong>in</strong> cui l’io ed i suoi desideri abbiano a che fare con il corpo.<br />

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