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Il gatto e i suoi simboli - Edizioni Scientifiche Magi

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Claudio Widmann<br />

<strong>Il</strong> <strong>gatto</strong><br />

e i <strong>suoi</strong> <strong>simboli</strong>


Indice<br />

<strong>Il</strong> <strong>gatto</strong> e i <strong>suoi</strong> <strong>simboli</strong><br />

I BREVE PROFILO IDENTIFICATIVO 9<br />

Origini storico-mitologiche – Caratteristiche anatomiche e<br />

fisiologiche – Aspetti etologici – Trasfigurazioni <strong>simboli</strong>che<br />

II UN’IMAGO MAGNIFICATA DI NARCISISMO 31<br />

Autoreferenzialità al limite dell’alterigia – Introversione al limite<br />

dell’indifferenza – Indipendenza al limite dell’insubordinazione<br />

– Autosufficienza al limite del disadattamento<br />

II UNA TENEBROSA FIGURA D’OMBRA 53<br />

Vitalità istintuale – Ombre di distruttività – Tossicità demonica<br />

– Animalità e mostruosità – La taverna dei ribelli<br />

IV UNA SEDUCENTE FIGURA D’ANIMA 79<br />

Femminilità, felinità – Animali d’affezione – Sensualità femminea<br />

– Femminilità sinistre<br />

V UN ANIMALE-GUIDA VERSO L’ALTROVE 103<br />

<strong>Il</strong> guardiano della soglia – <strong>Il</strong> soccorritore – L’iniziatore –<br />

La guida<br />

VI IL NOME SEGRETO DEL SÉ 129<br />

Dove andare o chi diventare? – <strong>Il</strong> mito personale – <strong>Il</strong> nome<br />

segreto – E quindi?<br />

Glossario 143<br />

Bibliografia 161<br />

7


I<br />

BREVE PROFILO IDENTIFICATIVO<br />

Origini storico-mitologiche<br />

Una leggenda che descrive l’origine del mondo per opera<br />

di due creatori racconta che, al momento di formare gli<br />

animali, Sole creò il leone e Luna creò il <strong>gatto</strong> (Valerianus,<br />

ed. it. 1625, p. 173). Questo racconto non coglie solo la comune<br />

appartenenza dei due animali alla specie dei felini,<br />

suggerisce anche che il <strong>gatto</strong> è un leone in piccolo, una belva<br />

di dimensioni ridotte ma dalle qualità ferine. «È la tigre<br />

dei poveri diavoli», ironizza Teophile Gautier.<br />

<strong>Il</strong> fulvo <strong>gatto</strong> dipinto da Ligabue appartiene alla serie<br />

delle sue belve pittoriche e una varietà di leggende sottolinea<br />

che il <strong>gatto</strong> partecipa alla natura e all’essenza dei grandi<br />

felini. Una di questa narra che nell’arca di Noè c’erano i<br />

topi, ma non i gatti, che ancora non erano stati inventati. I<br />

topi si riprodussero tanto rapidamente da infestare l’imbarcazione<br />

e Dio diede l’incarico al leone di porre rimedio<br />

alla cosa. <strong>Il</strong> leone guardò i minuscoli animali, troppo piccoli<br />

e sfuggenti per la sua mole e sternutì (forse fu lo stesso<br />

Noè a farlo starnutire, carezzandogli la testa) e dalle sue<br />

narici uscirono due gatti, un maschio e una femmina. Anche<br />

in questa leggenda il <strong>gatto</strong> è della stessa natura del leone,<br />

ha la sua stessa vocazione e il suo stesso corredo istintuale;<br />

solo le sue dimensioni sono più ridotte. È opportuno<br />

muovere dalla natura ferina del <strong>gatto</strong> per entrare nella logica<br />

del suo essere e per addentrarsi nella simbologia della<br />

sua figura.<br />

9


Claudio Widmann<br />

La storia del <strong>gatto</strong> è antica. Inizia due milioni di anni fa,<br />

quando tra i felini si differenzia il felis sylvestris, che è l’antenato<br />

diretto del <strong>gatto</strong> contemporaneo. Per un tempo<br />

enorme questo animale rimane esclusivamente selvatico: si<br />

avvicina agli insediamenti umani soltanto verso il 2000<br />

a.C., nelle regioni della Nubia e dell’Egitto. Anche se testimonianze<br />

archeologiche rinvenute a Cipro dovessero arretrare<br />

gli inizi del suo inurbamento al 7000 a.C., la proporzione<br />

tra il periodo di selvatichezza e quello di vita domestica<br />

non cambierebbe di molto; la comunanza con l’uomo<br />

rimane storicamente tardiva e il <strong>gatto</strong> resta l’animale di più<br />

recente domesticazione.<br />

Dopo essersi avvicinato agli insediamenti abitativi, il<br />

<strong>gatto</strong> entra in relazione profonda con l’uomo; dopo pochi<br />

secoli, in Egitto è già elevato al rango di divinità. Verso il<br />

1250 a.C., difatti, un papiro recita: «<strong>Il</strong> nome del dio che veglia<br />

su di te è miw». Miw è voce onomatopeica che allude<br />

al miagolio e, nella lingua egizia, è nome comune di <strong>gatto</strong>.<br />

Appena un paio di secoli più tardi (verso il 1000 a.C.) il generico<br />

dio-miw prende la fisionomia precisa di una dea<br />

chiamata Bastet. In questo processo di deificazione, il <strong>gatto</strong><br />

assume qualità propriamente archetipiche e specializza<br />

alcune connotazioni, tra cui l’aspetto femminile e le qualità<br />

ferine. La dea Bastet, difatti, oltre a essere squisitamente e<br />

graziosamente femminea, è anche sorella di Sekhmet, una<br />

dea a testa di leonessa, frequentemente ritratta con il muso<br />

arrossato dal sangue delle sue prede. Immagine tremenda<br />

della Grande Madre Terribile.<br />

<strong>Il</strong> culto di Bastet si diffuse prevalentemente nelle regioni<br />

del delta, in particolare a Bubasti (l’attuale Tell Basta, a<br />

circa 50 km dal Cairo), ma quando questa città divenne capitale<br />

dell’Egitto (950 a.C.), la venerazione della dea-gatta<br />

e la popolarità del <strong>gatto</strong> conobbero un evidente incremento.<br />

Ne è testimonianza il fatto che un faraone, al momento<br />

del suo insediamento, prese il nome del <strong>gatto</strong>; si tratta del<br />

faraone Pa-Miw, in carica dal 773 al 767 a.C.<br />

10


<strong>Il</strong> <strong>gatto</strong> e i <strong>suoi</strong> <strong>simboli</strong><br />

La scrittura geroglifica, sia della parola miw sia della<br />

parola bastet, presenta caratteristiche compatibili con la fisionomia<br />

del <strong>gatto</strong>. <strong>Il</strong> geroglifico miw ( ) si compone di<br />

un segno che rappresenta la brocca del latte, un giunco e<br />

un pulcino di quaglia (Foulkner, 1999); talvolta al posto<br />

del geroglifico della brocca viene impiegato quello della civetta<br />

e questo fatto è interessante, perché gatti, civette e altri<br />

tipi di gufo presentano similitudini di forma, comportamento<br />

e significato <strong>simboli</strong>co degne di approfondimento.<br />

La brocca del latte induce a riflettere che con l’avvicinarsi<br />

alle comunità umane il latte entra caratteristicamente nella<br />

dieta del <strong>gatto</strong> domestico; lo storico Diodoro Siculo (ed.<br />

1547) testimonia che il <strong>gatto</strong> veniva nutrito con pesci del<br />

Nilo o con latte in cui si inzuppava del pane. Quasi certamente<br />

il <strong>gatto</strong> continuava a catturare autonomamente uccelli<br />

come le quaglie e altri piccoli animali: alcuni papiri lo<br />

ritraggono in agguato nei canneti di giunco. La sua duplice<br />

natura di animale domestico e selvatico insieme risuona,<br />

dunque, nella grafia arcaica del suo nome e si imprime ancora<br />

oggi nella sua alimentazione.<br />

<strong>Il</strong> geroglifico bubasti ( ), la città dove si sviluppò il culto<br />

del <strong>gatto</strong>, è composto da un segno che raffigura un utensile<br />

(un trespolo) e da uno che raffigura la pagnotta, due oggetti<br />

che appartengono alla vita organizzata dell’uomo; il<br />

geroglifico della dea-gatta bastet ( ) è del tutto eguale,<br />

ma raddoppia il segno del pane e potrebbe riconfermare la<br />

relazione tra il <strong>gatto</strong> e le collettività umane. A distinguere<br />

Bubasti da Bastet non è tanto la grafia, quanto il suffisso<br />

determinativo, che la scrittura geroglifica è solita aggiungere<br />

alle parole per facilitarne la comprensione; il determinativo<br />

di Bubasti è quello dei centri abitati ( ) mentre quello<br />

di Bastet (come quello di Miw, come quello di Sekhmet) è<br />

un leone ( ). La natura felina e la qualità ferina del <strong>gatto</strong><br />

vengono, così, evidenziate sia nel suo nome sacro di divinità<br />

sia nel suo nome comune di animale. Cogliere negli antichi<br />

geroglifici la doppia relazione del <strong>gatto</strong> con la dimen-<br />

11


Claudio Widmann<br />

sione selvatica dei giunchi e delle piccole prede da un lato e<br />

con quella domestica del latte e del pane dall’altro non è<br />

un’interpretazione <strong>simboli</strong>ca (parrebbe forzosa nel metodo<br />

e sarebbe discutibile nei contenuti), ma è un espediente per<br />

sottolineare che egli appartiene a entrambe le dimensioni,<br />

quella selvatica e quella domestica.<br />

Questo animale è detto domestico, ma in realtà non è<br />

mai stato addomesticato; si è avvicinato all’uomo motu<br />

proprio. Per probabili ragioni di sopravvivenza scelse autonomamente<br />

di approssimarsi agli stanziamenti umani e<br />

vi si insediò sempre più stabilmente; non venne catturato<br />

dall’uomo, piegato ai <strong>suoi</strong> fini e utilizzato per i <strong>suoi</strong> vantaggi.<br />

Nel processo di domesticazione del <strong>gatto</strong> manca<br />

quell’opportunismo utilitaristico che indusse l’uomo a catturare<br />

altri animali, a costringerli alla cattività, a plasmare<br />

il loro comportamento in modo da renderlo compatibile<br />

con le proprie esigenze e con il proprio stile di vita. Non a<br />

caso, inizialmente, il <strong>gatto</strong> viene ritenuto un animale inutile;<br />

la sua abilità nel catturare topi e piccoli roditori è un<br />

«effetto collaterale» rivelatosi utile solo in un secondo momento,<br />

niente più che un vantaggio secondario della prossimità<br />

tra <strong>gatto</strong> e uomo. <strong>Il</strong> <strong>gatto</strong> in sé godeva inizialmente<br />

di scarsa considerazione e addirittura veniva confuso con<br />

altre bestie che frequentavano le abitazioni umane; nella<br />

lingua dei greci, per esempio, è semplicemente un ailourus,<br />

un «muovi-coda» che condivide questa denominazione con<br />

animali come la donnola e ancora nel XVI secolo è indicato<br />

come «eluro» insieme a donnole, martore e non meglio<br />

definiti «murileghi». Ne deriva che non è sempre facile stabilire<br />

se certe narrazioni, per esempio le favole di Esopo, si<br />

riferiscano al <strong>gatto</strong> o alla donnola.<br />

La tesi del mai avvenuto addomesticamento del <strong>gatto</strong><br />

viene sostenuta in biologia e narrata nelle leggende. Una di<br />

queste racconta che, in una notte di gelo, la tigre chiese al<br />

suo «fratello» <strong>gatto</strong> di cercare un modo per scaldarsi. Lui<br />

andò in perlustrazione e trovò che le case dell’uomo ave-<br />

12


<strong>Il</strong> <strong>gatto</strong> e i <strong>suoi</strong> <strong>simboli</strong><br />

vano un focolare centrale in cui ardeva il fuoco. Ne sottrasse<br />

un tizzone e lo portò alla tigre, ma l’idea di una casa<br />

con focolare, vicino al quale acciambellarsi, si insinuò prepotente<br />

in lui; quel giorno decise di lasciare la selvatichezza<br />

della tigre e di avvicinarsi alle case dell’uomo. R. Kipling<br />

raccontò questo avvicinamento in una delicata storia per<br />

bambini: <strong>Il</strong> <strong>gatto</strong> che se ne andava da solo (ed. it. 1994).<br />

Al tempo in cui tutti gli animali erano selvaggi, il più<br />

selvaggio di tutti era il Gatto; «egli se ne andava da solo e<br />

tutti i luoghi erano uguali per lui» (ibidem, p. 9). Acquattato<br />

a distanza, vide prima il Cane Selvaggio e poi il Cavallo<br />

Selvaggio e infine la Mucca Selvaggia avvicinarsi alla<br />

casa degli uomini e promettere i loro servigi alla Donna in<br />

cambio di un osso arrosto o di erba fresca tutto l’anno.<br />

Quando nella Caverna degli umani vide la luce del fuoco e<br />

fiutò l’odore del latte appena munto, si avvicinò anche lui,<br />

ma la Donna lo anticipò, dicendo che non aveva più bisogno<br />

né di servi né di amici. «Io non sono un amico e non<br />

sono un servo», rispose lui, «io sono il Gatto che se ne va<br />

da solo, ma desidero entrare nella Caverna» (ibidem, p.<br />

23). Senza promettere obbedienza e senza offrire servigi,<br />

strappò alla Donna una triplice promessa: se avesse pronunciato<br />

per tre volte parole di elogio nei <strong>suoi</strong> confronti,<br />

lui avrebbe potuto entrare nella caverna, sedere presso il<br />

fuoco e bere il latte tiepido tre volte al giorno «per sempre,<br />

per sempre, e per sempre». La Donna accettò il patto, ritenendo<br />

che non si sarebbe mai trovata a doverlo onorare,<br />

ma una prima volta il Gatto intrattenne il Bambino della<br />

Donna, facendolo giocare mentre lei era indaffarata; una<br />

seconda volta placò il pianto del Bambino, facendo mille<br />

acrobazie con un piccolo arcolaio d’argilla e lo addormentò<br />

con la ninna-nanna delle sue fusa; una terza volta<br />

catturò un topolino, «salvando» la Donna che era balzata<br />

sullo sgabello della Caverna per il terrore. Ogni volta la<br />

Donna ebbe per lui parole di elogio e fu costretta a mantenere<br />

una dopo l’altra le sue tre promesse, concedendo al<br />

13


Claudio Widmann<br />

Gatto di entrare nella Caverna, di avere un posto accanto<br />

al fuoco e di ricevere una razione quotidiana di latte. Da<br />

quella volta egli divenne il vero padrone della casa, «il solo<br />

ad abitarla tutta quanta, dallo studio alla dispensa, dalla<br />

cantina al tetto» (Rajberti, 1845 p. 58). Ma ad ogni concessione<br />

della Donna ogni volta ribadì: «Tuttavia io sono<br />

ancora il Gatto che se ne va da solo e tutti i luoghi sono<br />

uguali per me». E ancora oggi, quando si alza la luna e<br />

scende la notte, il Gatto esce per umidi Boschi Selvaggi o<br />

vaga sui Tetti Selvaggi della città, selvaggio e solo.<br />

Al di là delle leggende, rimane il dato biologico che il<br />

<strong>gatto</strong> è l’unico, tra gli animali domestici, che allo stato brado<br />

non è organizzato in modo sociale. A differenza di cavalli,<br />

pecore, mucche, maiali, cammelli, elefanti e asini, il<br />

<strong>gatto</strong> selvatico vive solo e nel corso dei millenni affinò uno<br />

stile di vita tendenzialmente solitario e irriducibilmente indipendente.<br />

Contemporaneamente, la convivenza con l’uomo<br />

non ha (ancora?) introdotto trasformazioni radicali nel<br />

suo assetto genetico e non ha modificato in maniera sostanziale<br />

la sua vita emotiva, l’espressione dell’affettività e<br />

la comunicazione con l’uomo.<br />

La genesi della convergenza tra <strong>gatto</strong> e uomo costituisce<br />

la premessa per comprendere una delle sue proprietà più tipiche,<br />

quella di essere una belva in miniatura, e una delle<br />

sue caratteristiche <strong>simboli</strong>che più salienti, quella di mettere<br />

a contatto la sofisticata civilizzazione umana con la pura<br />

selvatichezza animale. Profondo conoscitore di gatti, Victor<br />

Hugo espresse questo concetto dicendo che Dio ha dato<br />

all’uomo il <strong>gatto</strong> perché avesse il piacere di carezzare la tigre.<br />

Per l’uomo civilizzato, sempre più distante dalla natura<br />

e dalle sue paradossali complessità, il <strong>gatto</strong> costituisce<br />

un’occasione immediata e tangibile per ricordare cosa significhi<br />

davvero vivere in contatto con la natura esterna e<br />

rimanere fedeli alla propria natura interna.<br />

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