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Un nuovo mobile riscoperto del faber lignaminis ... - Copetti Antiquari

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Claudio Mattaloni<br />

<strong>Un</strong> <strong>nuovo</strong> <strong>mobile</strong> <strong>riscoperto</strong> <strong>del</strong><br />

<strong>faber</strong> <strong>lignaminis</strong><br />

Mattia Deganutti<br />

Edizione<br />

COPETTI ANTIQUARI


Claudio Mattaloni<br />

<strong>Un</strong> <strong>nuovo</strong> <strong>mobile</strong> <strong>riscoperto</strong> <strong>del</strong><br />

<strong>faber</strong> <strong>lignaminis</strong><br />

Mattia Deganutti<br />

Edizione<br />

COPETTI ANTIQUARI


Fotografi e: Claudio Mattaloni<br />

Progetto: Nadia Cella<br />

Stampa: Novembre 2006<br />

La Tipografi ca srl - ThinkPrintLink<br />

Tel. + 39 0432.561302_Campoformido_Udine<br />

www.tipografi ca.it_info@tipografi ca.it<br />

Tutti i diritti di questa pubblicazione sono riservati.<br />

2


Prefazione<br />

Esercito la professione <strong>del</strong>l’antiquario da ventisei anni e negli ultimi sette mi sono avvalso <strong>del</strong> formidabile<br />

impulso che mio fi glio Ernesto, terminati gli studi scientifi ci a Firenze, ha trasmesso alla nostra<br />

attività.<br />

La sua scelta, fatta in assoluta autonomia, da un lato ha portato nel nostro quotidiano nuove conoscenze<br />

e prospettive, dall’altro ha creato i presupposti affi nchè la mia esperienza non andasse perduta.<br />

Per questi motivi mi ritengo un padre e un antiquario molto fortunato.<br />

Ora è con grande orgoglio che presentiamo, in concomitanza con l’apertura <strong>del</strong>la nuova galleria<br />

antiquaria in Udine, questo straordinario <strong>mobile</strong> <strong>del</strong> maestro Mattia Deganutti.<br />

In tanti anni non abbiamo mai avuto l’opportunità di acquisire una Sua opera; ci siamo dovuti<br />

accontentare di ammirare quelle conservate nelle più importanti chiese <strong>del</strong>la regione.<br />

Siamo profondamente innamorati <strong>del</strong> nostro lavoro: per noi il momento più “esaltante” non è quello<br />

in cui si realizza la vendita ma quello in cui si scopre, come in questo caso, un autentico capolavoro<br />

per di più strettamente legato alla storia e all’arte <strong>del</strong> Friuli.<br />

Il suo ritrovamento ha poi avuto il merito di farci conoscere il prof. Claudio Mattaloni, che da profondo<br />

esperto <strong>del</strong>le opere <strong>del</strong> maestro Deganutti, con grande entusiasmo e competenza ha contribuito in<br />

maniera determinante alla realizzazione di questa pubblicazione.<br />

Infi ne un particolare ringraziamento a quanti - studiosi, collezionisti, amici - ci sono stati vicini in<br />

tutti questi anni contribuendo alla nostra crescita e maturazione.<br />

Giorgio ed Ernesto <strong>Copetti</strong><br />

3


Cenni sulla biografi a di Mattia Deganutti<br />

Note biografi che di un friulano dagli esordi curiosamente giotteschi<br />

Fare aderire, quasi a ricalco, i leggendari esordi <strong>del</strong> giovane Giotto - notato dal maestro Cimabue mentre,<br />

di guardia a un gregge, disegnava con straordinaria abilità su una pietra - a un altro artista operante oltre<br />

quattro secoli dopo, potrebbe sembrare atto di presunzione. Ma potrebbe anche essere chiara spia <strong>del</strong><br />

valore a questi attribuito.<br />

L’ introduzione nel mondo <strong>del</strong>l’arte di Mattia Deganutti, operante non con il pennello ma con la sgorbia,<br />

è descritta popolarmente e con vasti riscontri orali proprio nella medesima scansione giottesca: un guardiano<br />

di pecore ancora bambino, che seduto ai bordi <strong>del</strong>la strada conducente al santuario di Castelmonte<br />

inganna il tempo incidendo un pezzo di legno con una innata perizia, tanto stupefacente da far decidere<br />

a casuali e lungimiranti osservatori di avviarlo, senza indugio, all’istruzione e all’attività artistica. Entrato<br />

nella bottega di <strong>faber</strong> <strong>lignaminis</strong> da apprendista, ne uscirà come colui che, altra analogia con il pittore<br />

toscano, rivoluzionerà il mondo <strong>del</strong>la produzione a lui contemporanea.<br />

Tanto impalpabile, ignota e impossibile da verifi care è l’antica genesi di questo fe<strong>del</strong>e calco giottesco<br />

curiosamente adattato a un artista friulano, altrettanto è fermamente sicura, veritiera e documentabile<br />

l’affermazione che quanto prodotto dalle sue abilissime mani ha rinnovato profondamente l’arte lignea<br />

in ambito regionale.<br />

Ancoriamo la nostra fi gura ad alcuni dati biografi ci probanti. Mattia Deganutti è nato a Cialla di Prepotto<br />

(Udine) nel 1712 e, dopo una formazione professionale di quasi certa derivazione veneziana, verso il<br />

1740 apre bottega a Cividale <strong>del</strong> Friuli, città in grado di offrire prospettive lavorative interessanti e in<br />

posizione comoda da raggiungere per i committenti, rispetto all’ameno ma discosto e isolato luogo natio.<br />

Nel 1748 il suo laboratorio è ubicato in borgo S. Pietro e, dopo vari spostamenti, nel 1770 si stabilisce<br />

nella contrada <strong>del</strong> Duomo (attuale via Stellini), nella posizione che non abbandonerà più, con le fi nestre<br />

di levante che si aprono sulla strapiombante forra <strong>del</strong> Natisone, il tortuoso fi ume dalle verdi acque.<br />

Mattia è il primo di otto fi gli e con alcuni membri <strong>del</strong>la sua vasta famiglia i rapporti non saranno sempre<br />

amorevoli. In particolare, troviamo consistenti tracce <strong>del</strong>la rivalità col fratello Andrea, giustifi cabili in<br />

quanto svolge la medesima professione, nella stessa città, aprendo bottega a poche decine di passi dalla<br />

sua casa, praticamente li separa solo il ponte di pietra, che la tradizione ha denominato ‘<strong>del</strong> Diavolo’ ed<br />

infatti passano la vita a scornarsi. I loro tesi rapporti migliorano col trascorrere degli anni, tanto che con<br />

specifi che disposizioni testamentarie Mattia lascerà ad Andrea pochissimi denari, rispetto ad altri parenti,<br />

4


ma gli affi derà le cose più preziose da lui possedute: gli strumenti di lavoro, assieme a una pila di libri ‘di<br />

architetura’ e un fascio di progetti per assemblare i suoi mobili.<br />

Pur di avere il privilegio di possedere un suo pezzo, committenti di ogni genere sono disposti a lunghe<br />

attese e, soprattutto, ad allentare parecchio i cordoni <strong>del</strong>la borsa. Per agiati personaggi o facoltosi enti ciò<br />

non costituisce un problema, ma non manca chi è costretto ad affrontare protratti sacrifi ci, documentati<br />

da atti notarili, come i componenti di interi villaggi che concordemente suddividono gli sforzi e attuano<br />

ogni sorta di risparmio comunitario - come rinunciare a gustarsi le allettanti secchie colme di vino e le<br />

saporite minestre lasciate per testamento alla loro chiesa quale dispensa annuale al popolo - pur di racimolare<br />

il cospicuo gruzzolo di ducati necessario a saldare le sue salate fatture.<br />

I copiosi introiti sono accortamente fatti fruttare dal Deganutti con oculati investimenti fi nanziari e, in<br />

minor misura, con acquisti immobiliari. Mattia non prende moglie e pare trascorrere la sua lunga vita<br />

perennemente a bottega con la sgorbia in mano, abbandonandola solo nei brevi istanti necessari a reggere<br />

la penna d’oca per fi rmare negli studi notarili una lunghissima sequela di compravendite e di atti<br />

per investimenti assortiti. Vive, spartanamente, con la sua fe<strong>del</strong>e serva Dortea in una casa tutto sommato<br />

modesta, di certo aliena dai lussi, agi e comodità che avrebbe potuto agevolmente permettersi, fi no a<br />

chiudere gli occhi sull’ultimo, rosseggiante tramonto rifl esso nel fi ume Natisone che scorre lento sotto<br />

alla sua dimora, il 21 maggio 1794.<br />

Firma autografa di Mattia Deganutti.<br />

5


Veleni, trofei e affi late accette<br />

Benestante, forse potremmo pure dire ricco sfondato. Parsimonioso, forse fi no a sfi orare la taccagneria,<br />

Mattia Deganutti – stavolta non forse ma sicuramente – è invidiatissimo dai suoi colleghi. Propone i<br />

suoi innovativi mobili e fa sprofondare tutti gli altri nell’obsolescenza, pur alzando le parcelle a livelli<br />

impensabili ha sempre la coda davanti alla bottega, segna 60… 70… 80… tacche sulla stecca <strong>del</strong>la sua<br />

vita e non accenna a deporre la sgorbia, sfornando pezzi monumentali che arredano chiese e dimore in<br />

ogni dove, la sua produzione varca i confi ni regionali concludendo affari anche a Capodistria e chissà<br />

dove diavolo (quello <strong>del</strong> magnifi co ponte di Cividale) ancora… Insomma, ce n’è per far uscire fi otti di<br />

rancorosa bile a una marea di marangoni, come infatti puntualmente avviene.<br />

Qui la storia, com’è avvenuto per i suoi esordi poc’anzi rimembrati, si trascolora nuovamente in leggenda.<br />

Sul fi lo dei ricordi, appesi alla memoria di generazioni che li hanno sospinti sino a noi, apprendiamo<br />

<strong>del</strong>la materializzazione di acerrime gelosie professionali in veri e propri attentati alla sua – evidentemente<br />

troppo ingombrante – vita. Per fermare una buona volta quel magico scalpello che con i suoi inarrivabili<br />

virtuosismi sta scassando i buoni affari a tutti, ci si affi da ad un mezzo discreto, pratico, pulito: il veleno.<br />

Ma il sistema che tanta effi cacia aveva dimostrato in altre epoche e in altri contesti (famiglia Borgia docet)<br />

con il Deganutti fallisce clamorosamente, per la sua inaspettata capacità di renderlo innocuo con decotti<br />

e impiastri medicamentosi, preparati con erbe spontanee raccolte nei pressi <strong>del</strong>la casa natia. Il perpetuarsi<br />

nei racconti degli abitanti di Cialla di questi – si presume fantasiosi – fatti, indica il ruolo rivestito dal<br />

Deganutti quale catalizzatore <strong>del</strong>le leggende metropolitane <strong>del</strong> tempo.<br />

Con lo stesso fi ltro possiamo leggere il fi orire di una gustosa anedottica sulle sue straordinarie doti<br />

professionali. Particolarmente citata nel ramo parentale giunto fi no a noi, con diverse varianti, è la partecipazione<br />

<strong>del</strong> nostro ‘eroe’ a un impegnativo concorso, indetto tra i migliori artisti <strong>del</strong> legno. Gli altri<br />

concorrenti si portano appresso elaborate composizioni, mentre il nostro Friulano si presenta brandendo<br />

solamente una accetta dal fi lo scintillante. Al momento di esibire alla qualifi cata giuria la sua bravura,<br />

lestamente si denuda un polpaccio, alza l’affi latissima lama e, senza guardare in basso vibra un vigoroso<br />

colpo in direzione <strong>del</strong>l’arto, sfi orandolo con millimetrica precisione, come evidenzia una sottile striscia<br />

di pelle perfettamente rasata. Lo scontato fi nale <strong>del</strong>la singolare esibizione è, ovviamente, la piena vittoria<br />

<strong>del</strong>la prestigiosa competizione.<br />

6


<strong>Un</strong>’inarrivabile sgorbia. Considerazioni sulla produzione deganuttiana<br />

L’ avvio <strong>del</strong>la sua attività produttiva provoca un duplice effetto: estatico nei committenti e drammatico<br />

nei concorrenti, che d’un tratto si scoprono inadeguati, stilisticamente attardati e vincolati pigramente ai<br />

moduli seicenteschi, resi anacronistici dai superbi mobili <strong>del</strong> Deganutti, strutturati con calibrato equilibrio<br />

compositivo e armoniche proporzioni, fondendo in un sapiente amalgama decorativo gli effetti<br />

fi ammati <strong>del</strong>la liscia radica con virtuosi ornamenti ad intaglio, realizzati con maestria inimitabile.<br />

A lui si deve l’introduzione nella terra friulana <strong>del</strong>lo stile Tardo Barocco e poi, evolvendo ulteriormente<br />

la sua arte, propagando i virtuosi stilemi di un fantasioso Rococò.<br />

La copiosa e prolungata produzione <strong>del</strong> Deganutti si dirama in due branche principali, l’arredo chiesastico<br />

e quella <strong>del</strong> mobilio civile.<br />

Mattia introduce la sua qualifi cata attività in un periodo particolarmente favorevole, in quanto nella seconda<br />

metà <strong>del</strong> Settecento si assiste a un generale rinnovamento degli edifi ci sacri, coinvolgente anche gli<br />

arredi e le dotazioni liturgiche. Non essendoci rivali in grado di proporre opere di alto livello – troviamo<br />

solo rari esempi di fraseggi barocchi, in gran parte mormorati da marangoni in botteghe udinesi, comunque<br />

lontani dall’inarrivabile, fl uente prosa declamata a suon di intagli dal nostro di Cividale – in breve<br />

si colloca al vertice tra gli artigiani suoi contemporanei, stimolando il rinnovamento <strong>del</strong>la statica produzione<br />

locale. Dalla sua mente e dalle sue mani uscirà un nutrito assortimento tipologico, comprendente<br />

monumentali armadi di sacrestia, confessionali, stalli, banchi, cassepanche, cattedre, cassoni d’organo,<br />

pulpiti, porte interne, portali e oggettistica minore, in grado di rispondere a ogni esigenza.<br />

A questo vasto campionario, oltre ai lavori di committenza pubblica come quelli realizzati per la Magnifi<br />

ca Comunità di Cividale, si aggiunge il pregiato mobilio di destinazione civile.<br />

Tutti i pezzi sono accomunati da caratteristiche tecniche e strutturali che conferiscono loro funzionalità,<br />

robustezza e, visto le loro ottime condizioni a oltre due secoli dalla costruzione, anche il pregio <strong>del</strong>la<br />

durata.<br />

7


Il legno più usato è il noce, essenza molto presente nell’ebanisteria di pregio, coniugato al tiglio per gli<br />

ornamenti meno in vista. Per le strutture interne e a uso di funzione impiega un variato assortimento di<br />

abete, larice, pino, castagno e cirmolo; la radica è quella ottenuta dal noce ferrarese, il più pregevole per<br />

le venature ampie e la ricchezza di sfumature.<br />

L’ assemblaggio <strong>del</strong>le parti – limitando al massimo colla e chiodi metallici – risulta effettuato con un<br />

sapiente gioco di incastri, in grado di unirle effi cacemente e fortemente; al contempo, l’incastro consente<br />

lo svolgimento <strong>del</strong>la prolungata fase di assestamento senza <strong>del</strong>eteri bloccaggi che possono causare<br />

fessurazioni e deformazioni <strong>del</strong> legno, materia viva. Di esso, Deganutti pare conoscere perfettamente i<br />

segreti racchiusi nelle sue fi bre, piegandole con apparente docilità ai suoi intenti costruttivi e al suo estro<br />

artistico.<br />

Il repertorio decorativo attinge a piene mani, e non poteva essere altrimenti, allo stile Luigi XV, privilegiando<br />

le infi nite evoluzioni che si possono far originare dal motivo di curve e controcurve, coniugate<br />

alle frementi volute e al segno caratteristico di questa età, la conchiglia, che ne conferisce la denominazione<br />

più nota di rococò, appunto dal vocabolo francese rocaille. Pur perseguendo un’ornamentazione<br />

fantasiosa e coinvolgente, riesce a mantenere esenti i mobili da un eccessivo, debordante appesantimento,<br />

a non sopraffarli di pance, a evitare lo stordimento per overdose di riccioli.<br />

Nella fase fi nale <strong>del</strong> suo durevole e serrato percorso produttivo – lavorerà praticamente fi no alla morte,<br />

che lo coglierà ottantaduenne –, asciugando e raffi nando la fremente esuberanza dei suoi partiti decorativi,<br />

che piacevano tanto alla committenza da chiederne repliche protratte per decenni, mostra di saper<br />

condensare in tratti più contenuti e pacati la sua innata eleganza compositiva.<br />

Il suo itinerario artistico si snoda in oltre cinquanta località, che conservano almeno duecento opere.<br />

A quanto sinora noto, vanno via via aggiungendosi ulteriori aggiornamenti e ampliamenti <strong>del</strong> già corposo<br />

catalogo, grazie a inedite attestazioni archivistiche e, nei casi più fortunati, a nuovi rinvenimenti<br />

di esemplari, come quello – felicissimo – <strong>del</strong> <strong>mobile</strong> scoperto da Giorgio <strong>Copetti</strong>, cui è dedicata questa<br />

pubblicazione.<br />

8


La committenza di mobilio civile<br />

La produzione chiesastica <strong>del</strong> Deganutti ha svelato gran parte <strong>del</strong>le sue caratteristiche grazie alla vastità<br />

di pezzi presenti in edifi ci sacri. Più ermetico si è rivelato il settore <strong>del</strong> mobilio civile, per una assai meno<br />

estesa serie di ritrovamenti, anche per oggettive diffi coltà di ricerca. È quindi con particolare piacere che<br />

si saluta ogni suo pezzo inedito, foriero di nuove informazioni e di ulteriori stimoli ad approfondire lo<br />

studio di questo artista, per troppo tempo noto al mondo <strong>del</strong>l’arte solo attraverso una manciata di esili<br />

dati biografi ci e rarefatte cognizioni.<br />

Verso la metà <strong>del</strong> Settecento, con l’affermarsi <strong>del</strong> Rococò si assiste ad una diversa concezione <strong>del</strong>la casa.<br />

Dalla sequenza di immensi saloni passanti, diffi cili da arredare appropriatamente e quindi apparentemente<br />

spogli, dalle grandiose sale che devono far emergere il prestigio <strong>del</strong> proprietario proporzionalmente<br />

alla loro cubatura, di forte impatto ma in realtà inibenti una effettiva comodità - basti pensare<br />

all’impossibilità di riscaldarle a una temperatura confortevole - si passa ad ambienti raccolti, di dimensioni<br />

ridotte ma molto più agevoli e comodi. Questi si possono dotare di mobilio appropriato alle diverse<br />

funzioni loro attribuite, come salotti privati, stanze da conversazione, salottini da gioco… Entrano allora<br />

in azione le prestazioni degli artigiani/artisti che, con le loro abilità specifi che di decoratori, stuccatori,<br />

quadraturisti, arredatori ecc., li trasformano in siti non solo accoglienti, ma che pure palesano rango<br />

e lignaggio <strong>del</strong>l’abitatore. Anche i mobilieri, ovviamente, detengono il loro ruolo in questo particolare<br />

processo creativo.<br />

In Friuli le dimore patrizie non si rivestono <strong>del</strong> magniloquente sfarzo che si può osservare in altre regioni,<br />

in quanto gli esiti sono rapportati alle disponibilità fi nanziarie <strong>del</strong>la committenza ma anche al loro<br />

interesse ad investire, sostanzialmente, in immagine, aderendo a uno dei cardini <strong>del</strong> Rococò. Il <strong>nuovo</strong><br />

stile, infatti, esalta grandemente il superfl uo, attribuendo accentuato valore agli elementi puramente<br />

decorativi. Dettami che qui non fanno facile breccia, contrastando con l’indole <strong>del</strong>la nobiltà e borghesia<br />

locale, generalmente più avvezza alla concretezza e avvedutezza che alla futilità.<br />

9


La produzione di arredamenti civili di Mattia Deganutti annovera sale da pranzo, caminiere, appliques,<br />

tavolini, librerie e credenze. Tra queste ultime, gli esemplari sinora noti consistono in quella collocata<br />

nella sala da pranzo <strong>del</strong>la villa de Claricini-Dornpacher a Bottenicco, nell’elegante coppia di credenze<br />

nel palazzo cividalese Pontotti-Brosadola - superstiti di un arredo ben più ampio, asportato durante le<br />

reiterate, caotiche occupazioni militari <strong>del</strong>la prima guerra mondiale e salvate solo in quanto profondamente<br />

incassate a muro - e nel pezzo commissionato dai nobili cividalesi de Portis, venduto alla fi ne<br />

<strong>del</strong>l’Ottocento e salpato per sconosciuti lidi.<br />

Questa ristretta rassegna trova motivo di ampliamento con il superbo pezzo descritto in queste pagine.<br />

Credenza Deganutti nel palazzo Pontotti - Brosadola (Cividale). Credenza Deganutti già a palazzo de Portis (Cividale).<br />

10


La nuova scoperta <strong>del</strong>l’antiquario <strong>Copetti</strong>, ovvero la chiusura <strong>del</strong> cerchio<br />

Va sottolineato come gli imperscrutabili disegni <strong>del</strong> fato abbiano tracciato per il pregevolissimo <strong>mobile</strong><br />

un particolare percorso. Infatti il laboratorio <strong>del</strong> Deganutti, concordemente ritenuto il più abile mobiliere<br />

e intagliatore settecentesco che abbia operato nella terra friulana, era collocato esattamente di<br />

fronte all’attuale bottega <strong>del</strong>l’antiquario Giorgio <strong>Copetti</strong>, in prossimità <strong>del</strong> ponte <strong>del</strong> Diavolo. Ignoriamo<br />

il committente che nel Settecento ha attinto alle capacità di Mattia per arredare la sua dimora con questo<br />

straordinario pezzo, né si conosce la strada che lo ha poi condotto fi no in Lombardia. Qui è stato<br />

recentemente individuato dall’antiquario cividalese, che con una decisiva virata ha impresso una nuova<br />

traiettoria al destino di questo prezioso elemento d’arredo.<br />

Dopo oltre cinquanta lustri, il <strong>mobile</strong> è stato così ricondotto al luogo <strong>del</strong>la sua originaria produzione.<br />

All’estremità <strong>del</strong> ponte <strong>del</strong> Diavolo a Cividale <strong>del</strong> Friuli si fronteggiano la bottega antiquaria <strong>Copetti</strong> e il sito dov’era ubicata nel ‘700<br />

la bottega <strong>del</strong> Deganutti.<br />

11


Descrizione <strong>del</strong> <strong>mobile</strong><br />

In questo eccellente esemplare il Deganutti palesa di aver potuto sbrigliare appieno la sua inventiva<br />

senza tener conto dei binari, funzionali e decorativi, entro cui era tenuto a procedere negli arredamenti<br />

chiesastici. Già osservando i tre pezzi conosciuti di credenze era individuabile la libertà che il costruttore<br />

seguiva nella loro realizzazione, mostrando ognuno proprie peculiarità. Ad esempio, la credenza Pontotti<br />

- Brosadola incassata a muro si presenta di colorazione chiara con profi lature marrone degli specchi e,<br />

pur non potendo escludere interventi successivi, ciò rappresenta un unicum nel catalogo <strong>del</strong> Deganutti.<br />

La credenza con alzata di Bottenicco affi da invece alle fi lettature mistilinee e a un fastigio affi ancato da<br />

statuine a tutto tondo la sua sobria decorazione. Del <strong>mobile</strong> de Portis possiamo conoscere le caratteristiche<br />

grazie a una rara e provvidenziale fotografi a, che evidenzia soluzioni particolari, come l’anta mediana<br />

inclinata e un partito decorativo di notevole esuberanza. Il <strong>nuovo</strong> pezzo individuato dall’antiquario<br />

<strong>Copetti</strong> mostra di superare questi, già apprezzabilissimi, esiti.<br />

Il <strong>mobile</strong>, in legno e radica di noce, è strutturato con una parte inferiore a cassettiera, su cui si eleva un<br />

corpo tripartito, a leggero aggetto, culminante in una cimasa che racchiude un elemento a specchio. È<br />

diffi cile designarlo con un termine specifi co, non è propriamente una semplice credenza, potremmo<br />

farlo aderire alla categoria dei trumeaux veneziani - ricordiamo che quasi sicuramente il nostro Mattia<br />

si è formato artisticamente nella città lagunare - rispetto ai quali manca il tipico piano inclinato. Per il<br />

suo altissimo livello esecutivo, è stato sicuramente creato come <strong>mobile</strong> di rappresentanza, destinato a<br />

sottolineare nel salone più elegante <strong>del</strong>la dimora lo status <strong>del</strong> committente, disposto ad allentare parecchio<br />

i cordoni <strong>del</strong>la borsa, di certo assai più sgonfi a dopo aver saldato il conto, notoriamente salato, <strong>del</strong><br />

Deganutti.<br />

Mobile a due corpi in legno e radica di noce, <strong>del</strong> maestro lignario friulano Mattia Deganutti operante nella seconda metà <strong>del</strong> Settecento.<br />

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Il corpo inferiore<br />

Il <strong>mobile</strong> a due corpi - defi nizione abbastanza neutra che si ritiene pertinente a questo esemplare - poggia<br />

su sei massicci piedi, sagomati ad elementi curvi contrapposti, con riccioli terminali. La loro presenza<br />

rappresenta di per sé una novità, in quanto le altre credenze note, e tutti gli armadi chiesastici, ne sono<br />

sprovvisti, poggiando con la liscia cornice inferiore direttamente sul pavimento.<br />

Con il loro accorto posizionamento - in corrispondenza <strong>del</strong>la sinuosa bombatura - le due coppie di piedi<br />

anteriori contribuiscono a sottolineare le sovrapposte sporgenze e inoltre conferiscono una sorta di levità<br />

all’insieme, creando una fascia di vuoto sotto al corpo.<br />

Particolare dei piedi sagomati ad elementi curvi contrapposti.<br />

14


Corpo inferiore con cassettiera a quattro elementi.<br />

15


La cassettiera<br />

La cassettiera è composta da quattro elementi sovrapposti, sviluppati su tutto il fronte. Ogni cassetto ha<br />

una fascia centrale rettilinea cui si affi ancano, lateralmente, accentuate bombature convesse. Queste non<br />

sono collocate all’estremità, ma in una posizione tale da far spegnere la convessità a un livello più arretrato<br />

<strong>del</strong>la parte mediana lineare, conferendo così un movimento di maggiore effetto all’intera parte basale,<br />

che vede la rigidità <strong>del</strong>le linee rette ammorbidita e stemperata dalle contigue, seducenti curve.<br />

La parte bombata di ogni cassetto ospita una specchiatura curvilinea, lastronata in radica.<br />

16


Ogni singolo cassetto ha una<br />

specchiatura a medaglione allungato<br />

in posizione mediana,<br />

lastronata in radica di noce, dai<br />

cui apici prendono avvio intagli<br />

su fondo accuratamente bulinato,<br />

lavorazione questa che troviamo<br />

frequentemente presente anche<br />

su portelli di confessionale e ante<br />

di armadi, particolarmente negli<br />

iniziali decenni produttivi <strong>del</strong><br />

Deganutti. <strong>Un</strong> listello liscio verticale<br />

è posto a separazione dalla<br />

decorazione laterale, che avvolge<br />

la parte convessa con una specchiatura<br />

curvilinea, anch’essa lastronata<br />

in radica di noce, sapientemente<br />

fatta aderire alla parte<br />

bombata, ove trova collocazione<br />

la maniglia in ottone. Il conferire<br />

alla radicatura un consistente<br />

ruolo nel complesso <strong>del</strong>l’orchestrazione<br />

decorativa è tipico <strong>del</strong><br />

primo ventennio di produzione<br />

<strong>del</strong> nostro ebanista, che in seguito<br />

maturerà una tale esperienza<br />

negli intagli da affi dare loro la<br />

maggioranza o anche la totalità<br />

<strong>del</strong>le sue sinfonie composte sulla<br />

punta <strong>del</strong>la sgorbia.<br />

La cassettiera ha accentuate<br />

bombature convesse alle due estremità.<br />

17


Le decorazioni a curve e controcurve terminalmente si sfrangiano o si condensano in asimmetrici riccioli;<br />

la superfi cie <strong>del</strong>la bande sfrangiate è ulteriormente elaborata praticandovi minute incisioni a decorso<br />

parallelo.<br />

Il sistema di chiusura usualmente adottato dal Deganutti consiste nel disporre le serrature in modo che<br />

ognuna blocchi due cassetti e ciò si trova applicato anche in questo <strong>mobile</strong>, per cui <strong>del</strong>le quattro buchette<br />

per chiavi - tutte con le medesime placchette in ottone -, due sono fi nte. <strong>Un</strong>a serratura è applicata al<br />

secondo cassetto e da questa un’unica lamella si alza sino a infi larsi nella base <strong>del</strong> primo, chiudendolo e<br />

lo stesso accade per il quarto che cela il meccanismo agente anche sul cassetto sovrastante.<br />

I fi anchi <strong>del</strong>la cassettiera offrono una ulteriore superfi cie da impreziosire con i dinamici, capricciosi arabeschi<br />

lignei, che ad ogni angolo assumono forme diverse per contornare le specchiature mistilinee, pure<br />

esse lastronate in radica, con un amalgama di fi ammature simmetriche. Accanto, sulla parte più aderente<br />

al muro, è posta una fascia con motivo ad alveoli, assimilabile al ‘nido d’ape’ ma dalle celle più allungate;<br />

è contornata dall’accurata bulinatura e alle due estremità si sfrangia in larghi intagli asimmetrici.<br />

18<br />

Le superfi ci contigue alle specchiature sono decorate con intagli a curve e controcurve.


Particolari <strong>del</strong>le decorazioni sui cassetti, fatte risaltare<br />

dal fondo accuratamente bulinato.<br />

20


Dettaglio dei lavori a sgorbia sul<br />

fi anco <strong>del</strong>la cassettiera.<br />

21


22<br />

Bocchetta da chiave in ottone.


Capricciose volute<br />

asimmetriche si<br />

rincorrono sul fronte<br />

dei cassetti,<br />

arricchiti anche dai<br />

medaglioni<br />

con radiche.<br />

25


Particolare <strong>del</strong>la decorazione ad elementi sfrangiati che circondano una sagoma a motivi alveolati.<br />

26<br />

I fi anchi <strong>del</strong>la cassettiera hanno una specchiatura mistilinea lastronata in radica,<br />

intagli e, aderente alla parete, una fascia con fi tto motivo ad alveoli.


Il bancone<br />

Il bancone segue fe<strong>del</strong>mente il perimetro <strong>del</strong>la base sottostante, con un bordo sporgente. Nel corso di<br />

restauri, è emerso che il Deganutti realizzava i bordi con noce detto ‘di cuore’, più resistente all’usura, in<br />

quanto la parte è sottoposta allo sfregamento più che in altre posizioni.<br />

La colorazione calda ed uniforme all’epoca <strong>del</strong>la costruzione era conferita con l’applicazione di un mordente<br />

rossiccio ottenuto dal mallo dei frutti, poi con il trascorrere <strong>del</strong> tempo la tonalità acquisita appare<br />

propria <strong>del</strong> legno di noce. La lucidezza <strong>del</strong>la superfi ci, tuttora pienamente apprezzabile, è stata ottenuta<br />

con ripetute applicazioni di apposita cera ‘per fregare’, denominazione che troviamo annotata nei libri<br />

contabili di bottega.<br />

28<br />

Sul lucido bancone dal perimetro mistilineo si eleva l’elaborata alzata, con ali laterali e cimasa.


Il livello segreto<br />

Nel corpo <strong>del</strong> bancone è inserito il livello dei cassetti ‘segreti’, quasi invisibili se le due sottili fessure verticali<br />

non ne svelassero la presenza a un occhio allenato. Il basso cassetto che si mimetizza nel piano è una<br />

costante prerogativa in pressochè tutti gli armadi di sacrestia - si tratta di oltre quaranta pezzi - costruiti<br />

da Mattia Deganutti, ma qui se ne trovano tre: uno centrale, lungo quanto la parte rettilinea dei sottostanti<br />

cassetti e due laterali, che ricalcano perfettamente la bombatura sottostante e il bordo sovrastante.<br />

Il tiretto centrale è apribile solo dopo la sua preventiva sbloccatura, operazione consentita agendo dal<br />

vano centrale <strong>del</strong>l’alzata, nella cui parte posteriore si può sollevare un’asta di ferro che si infi la in un<br />

anello, pure metallico, <strong>del</strong> cassetto. <strong>Un</strong>a volta tolto il cassetto centrale, è possibile accedere al secondo<br />

livello, cioè a due meccanismi - uno per lato, inseriti nello spessore dei travetti di intelaiatura in apposite<br />

nicchie onde non ostacolare lo scorrimento dei cassetti grandi - in grado di sbloccare i due cassettini<br />

laterali, come appena detto posti esattamente in corrispondenza <strong>del</strong>la bombatura.<br />

Va sottolineato che ai meccanismi, semplici ma ingegnosi, indispensabili per sbloccare i vani ‘segreti’ dei<br />

due corpi si accede solo dal vano centrale, a sua volta chiuso da una robusta portella dotata di serratura<br />

che muove una doppia asta, a spostamento verticale. Questo gioco, che possiamo assimilare alle ‘scatole<br />

cinesi’ in quanto si compone di procedure consequenziali in vani diversi, deve essere concepito in fase di<br />

progettazione e messo in atto, con accuratezza e precisione, al momento <strong>del</strong>l’assemblaggio.<br />

30


Anticipiamo che anche il corpo superiore è dotato di sistemi di apertura particolari, relativi al basso<br />

tiretto centrale e alle due strette ante convesse. Il primo è bloccato da una lamella metallica che viene<br />

fatta scendere dalla base <strong>del</strong> vano centrale, ove si individua anche un piccolo foro circolare che, molto<br />

probabilmente, ospitava una barretta in grado di impedire il movimento <strong>del</strong> tiretto sagomato di sinistra;<br />

un evidente segno di sfregamento nella sua superfi cie interna, in esatta corrispondenza <strong>del</strong> foro soprastante,<br />

confermerebbe questa ulteriore chiusura. Solo il tiretto di destra, quindi, appare di libero accesso<br />

nell’intero <strong>mobile</strong>.<br />

Le ante laterali, invece, si possono sbloccare muovendo il gancio metallico che le chiude, tirando una<br />

cordicella collegata a un sistema a molla; quest’ultima mostra di avere tuttora movimenti elastici permettendo<br />

rapidi fi ssaggi ad opera <strong>del</strong> gancetto, da infi larsi in un apposito anello.<br />

Tali peculiarità confermano l’utilizzo di questi mobili come contenitori ‘di sicurezza’ anche per oggetti<br />

preziosi o documenti, impedendo la libera apertura dei vani. Le difese particolari si ritrovano pure negli<br />

armadi di sacrestia <strong>del</strong> nostro ebanista - per celare argenteria e vasi sacri - che mostrano analoghe strategie<br />

di protezione, applicate però solo a uno o due stipi. Nel <strong>mobile</strong> in esame, su tredici vani complessivamente<br />

disponibili, sette sono quelli con meccanismi particolari di chiusura, cinque sono dotati di<br />

serratura e uno solo permette la sua libera apertura.<br />

31


Il corpo mediano con alzata<br />

L’ alzata ha alla base una fascia che ospita tre cassetti, uno centrale rettilineo e due ai fi anchi, a sagomatura<br />

concava. Il fronte dei tre tiretti ha una lavorazione ad alveoli, con pomello circolare liscio, in ottone,<br />

circondato da volute lignee; la lavorazione alveolata ha piena analogia con quella applicata al monumentale<br />

armadio <strong>del</strong>la terza sacrestia <strong>del</strong> duomo di Udine, datato con sicurezza al 1781. La coppia di tiretti<br />

laterali, una volta estratti, mostra un perimetro mistilineo, richiedente notevole perizia costruttiva.<br />

32<br />

Giochi di frementi linee curve dalle repentine contorsioni si propagano sull’anta e sul corpo centrale.


La parte centrale è aggettante, con lati concavi, dotata di portella incerneriata a destra con due ban<strong>del</strong>le<br />

in ferro, terminanti ad apice cuoriforme e con serratura.<br />

Il medaglione è specchiato con lastronatura in radica dalle fi ammature simmetriche, perimetrato da<br />

intagli su fondo bulinato a comporre vibranti contorsioni rococò, con un plastico gioco di rimandi che<br />

si rincorrono; superiormente le cornici si uniscono a stringere in un abbraccio di due riccioli il motivo<br />

a fogliame stilizzato. Puntuali riscontri <strong>del</strong> partito decorativo che impreziosisce questa parete si hanno,<br />

particolarmente, su schienali di stalli, come ad esempio quelli a Gradisca di Sedegliano <strong>del</strong> 1759, a Corno<br />

di Rosazzo partoriti nel 1773 e i coevi a Trivignano Udinese.<br />

34<br />

La parte centrale <strong>del</strong>l’alzata è occupata dall’ampia portella, sottostante alla quale si trova un basso tiretto.


Duttili intagli si inseguono, refrattari alla simmetria, anche negli spazi che separano la cornice <strong>del</strong>l’anta da<br />

quella terminale. Il particolare svolgersi degli intagli, il loro repentino assottigliarsi ed espandersi nelle torsioni<br />

che compiono, fanno ritenere - anche su parere dei restauratori che hanno operato in suoi mobili - che<br />

il Deganutti avesse concepito e fatto realizzare <strong>del</strong>le sgorbie particolari, a suo esclusivo uso.<br />

Le ante laterali sono concave, dalle specchiature rivestite in radica, perfettamente applicata anche sulla<br />

concavità e tuttora in piena aderenza; hanno piccoli pomelli in ottone a fi ori quadripetali. La separazione<br />

tra la parete centrale diritta e la contigua laterale concava è sottolineata da una fascia verticale cesellata<br />

con un motivo ‘a squama di pesce’, sinora inedito e che quindi spicca, oltre che per l’accuratezza compositiva,<br />

anche per il suo carattere di unicità.<br />

Come prima descritto, le due strette ante laterali si aprono solo azionando dall’interno un particolare<br />

sistema a molla.<br />

<strong>Un</strong>a fascia verticale con motivo a squama, inedito nel repertorio ornamentale sinora noto <strong>del</strong> Deganutti, decorre lungo il corpo centrale.<br />

36


Particolare <strong>del</strong>la parte basale <strong>del</strong>la portella, fi nemente intagliata.<br />

Con il cangiare <strong>del</strong>la luce, le decorazioni assumono una corposa tridimensionalità.<br />

38<br />

Scorcio <strong>del</strong>le elaborate decorazioni che si succedono in calibrata sequenza sul <strong>mobile</strong> scoperto dall’antiquario <strong>Copetti</strong>.


Trama ad alveoli sul fronte di un tiretto, dotato di liscio pomolo in ottone contornato da linee asimmetriche.<br />

40


Volute a nastro con torsioni sul proprio asse, che palesano la notevole perizia di Mattia Deganutti nel maneggiare la sgorbia.<br />

41


Le bande laterali<br />

Il corpo mediano è completato con vigorose bande laterali, dalle curve decise che, stemperate dagli esili<br />

elementi che fuoriescono guizzando nel tortuoso itinerario, si prolungano rincorrendosi fi no alla cornice<br />

superiore, liscia e digradante a più livelli. Il loro decorrere ha analogia con le bande che si trovano sul<br />

confessionale posto dal 1742 nella chiesa di San Giovanni Battista di Remanzacco, inoltre in quelle, a<br />

scala ridotta, sull’alzata <strong>del</strong>la coppia di oratori che correda l’armadio <strong>del</strong>la chiesa di San Michele a Segnacco<br />

di Tarcento e, ancora, <strong>del</strong>l’edicola d’armadio nell’edifi cio sacro di S. Martino a Torreano.<br />

42<br />

Su ogni lato, accanto allo sportello concavo è posta una banda laterale dai croccanti intagli di vigorosa e scultorea plasticità.


L’alzata con specchio<br />

La fascia di coronamento <strong>del</strong> <strong>mobile</strong> esordisce con una struttura lineare, via via assottigliandosi e acquistando<br />

duttilità si evolve in una arricciatura che abbraccia morbidamente il <strong>del</strong>icato specchio. Questo si<br />

presenta con caratteristiche e aspetto che lo fanno ritenere collocato originariamente dalle mani <strong>del</strong>l’artista,<br />

di forma ovale a quattro deboli lobi e perimetrato da una plastica cornice a due strati parzialmente<br />

sovrapposti, fi ttamente incisi; la curvatura <strong>del</strong>le lobature riprende il raggio <strong>del</strong>la sottostante portella<br />

mediana.<br />

Sopra allo specchio è posata una cornice modanata a gradino che pare ondeggiare per sospingere in<br />

alto il fastigio traforato, cui è affi data la conclusione apicale <strong>del</strong> <strong>mobile</strong>. La sua trama vegetale ‘a giorno’<br />

conferisce una nota di aerea leggerezza, con i fragranti elementi simmetrici che trovano riscontro nella<br />

caminiera <strong>del</strong>la sala da pranzo <strong>del</strong>la villa de Claricini Dornpacher a Bottenicco (Moimacco), anch’essa<br />

racchiudente specchi dai curvi contorni.<br />

Due vasi acroteriali posti su zoccolo liscio suggellano, con la loro simmetria, la parte sommitale; sono a<br />

tutto tondo nella parte verso l’osservatore, lisci nel retro in quanto aderenti alla parete. Appartengono<br />

al tipo detto ‘acqua <strong>del</strong>la vita’ e recepiscono le fl uenti volute <strong>del</strong>le ali sottostanti, slanciandole e proiettandole<br />

verso l’alto, attraverso i pennacchi centrali, eruttati come lo scoppio fi nale di un rutilante fuoco<br />

d’artifi cio che vede il suo incontenibile movimento prendere l’abbrivio sin dai piedi basali.<br />

44<br />

La cimasa racchiude uno specchio dai morbidi contorni, su cui si eleva un fastigio traforato a elementi fi tomorfi .


Considerazioni fi nali<br />

Basandosi su raffronti stilistici e sul ricco, esuberante partito decorativo, sull’applicazione <strong>del</strong>la radica<br />

in ampie superfi ci, constatando l’assenza sia <strong>del</strong> motivo a ‘C’ intrecciate diffuso nei primi mobili e sia di<br />

ovoli e intagli ‘a palmetta’ caratterizzanti l’ultimo suo operato, si può riportare il <strong>mobile</strong> alla fase centrale<br />

<strong>del</strong>la produzione deganuttiana, da collocare intorno il decennio 1770 -1780.<br />

L’ esemplare si dimostra un funzionale e capace contenitore, dalla massiccia monumentalità frazionata<br />

in una calibrata sequenza di ammirevoli porzioni, che accolgono la pregiata radica e sono dissodate da<br />

fantasiosi intagli. Questi, tracciati amalgamando sapientemente i migliori ingredienti suggeriti dal sapido<br />

ricettario rococò, si rifrangono sulle sue ampie superfi ci, raccordandone e amplifi candone il godimento<br />

estetico.<br />

Nell’insieme, questo <strong>mobile</strong> a due corpi si può indicare come il più suntuoso e superbo esempio <strong>del</strong>la capacità<br />

compositiva, abilità costruttiva e inesausto estro decorativo <strong>del</strong> <strong>faber</strong> <strong>lignaminis</strong> Mattia Deganutti.<br />

46<br />

Il capace <strong>mobile</strong> <strong>del</strong> Deganutti offre tredici vani, sette dei quali sono dotati<br />

di ingegnosi sistemi di chiusura, azionabili solo con particolari manovre.


Per approfondimenti su vita, opere e catalogo completo di questo artista:<br />

MATTALONI CLAUDIO, Mattia Deganutti maestro lignario 1712-1794, Pasian di Prato (Udine) 1999.<br />

Dimensioni <strong>del</strong> <strong>mobile</strong>, in centimetri:<br />

lunghezza 142 (163 nella parte posteriore <strong>del</strong> bancone)<br />

altezza totale 251 (101 base e 150 alzata, compresa di fastigio apicale)<br />

larghezza 75.

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