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Pannello n°1 - Nuovo sito del Liceo Costa

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La mostra è stata realizzata dagli allievi <strong>del</strong>la III C <strong>del</strong> <strong>Liceo</strong> Classico “L.<strong>Costa</strong>“<br />

<strong>del</strong>la Spezia nell’ambito <strong>del</strong>l’approfondimento tematico svolto sotto la guida <strong>del</strong> Prof.<br />

Paolo Galantini, in collaborazione con la Prefettura <strong>del</strong>la Spezia ed i Comuni di<br />

Castelnuovo Magra e Rocchetta Vara, con il sostegno <strong>del</strong>la sede INAIL <strong>del</strong>la Spezia<br />

Molicciara, località La Miniera<br />

Carrello in galleria pronto per essere caricato di lignite<br />

Miniere di Luni - Pozzo Carbonera<br />

Un piccatore abbatte il filare di lignite<br />

4 Dicembre 1948 inaugurazione a Colombiera <strong>del</strong> monumento ai minatori<br />

L’atto di morte di Otello Bugliani trascritto sui registri di stato civile <strong>del</strong> comune di Massa riporta<br />

come giorno <strong>del</strong> decesso il 16 settembre 1956. Ma Otello Bugliani è morto, insieme ad altri 261<br />

minatori, 135 italiani, a seguito <strong>del</strong> gravissimo incidente verificatosi nel pozzo St Charles <strong>del</strong>la miniera<br />

Bois du Cazier a Marcinelle (Belgio) l’8 agosto 1956. Era emigrato nell’estate <strong>del</strong> 1948 a Charleroi e<br />

dal 26 agosto di quello stesso anno cominciò a lavorare in miniera a Marcinelle. Giuseppe Passarino<br />

nel suo “Le miniere di lignite nella piana di Luni. 200 anni di vicende umane e minerarie in Val di<br />

Magra” lo indica come “ex minatore di Luni”. Nel corso <strong>del</strong>l’incontro avvenuto il 13 ottobre 2012<br />

presso il <strong>Liceo</strong> <strong>Costa</strong> <strong>del</strong>la Spezia, la Signora Patrizia D’Annibale, nipote di Otello, così ha ricordato<br />

l’esperienza lavorativa <strong>del</strong> nonno:“Dopo la guerra, mio nonno non aveva un’occupazione stabile, lavorava dove<br />

capitava, spesso a giornata prendeva lavoro nelle aziende agricole <strong>del</strong>la zona, nei cantieri edili, o dove capitava”.<br />

Nominata carbone di sasso dal Jervis (1874) la lignite <strong>del</strong>la Magra è xiloide (conserva<br />

la natura <strong>del</strong> legno) talora picea, a frattura concoide, colore da bruno fino a nero<br />

lucente e nell’aspetto è piuttosto simile al litantrace.<br />

L’attività <strong>del</strong>la miniera risale a circa un secolo. Venne iniziata nel 1860 da una<br />

compagnia inglese che la gestì per 30 anni. Dopo un periodo di completa inattività<br />

venne ripresa all’inizio <strong>del</strong>la prima guerra mondiale dalla “Società Anonima Mineraria<br />

di Luni”, appartenente al Gruppo Montecatini, e da questa gestita fino al 1935, anno<br />

in cui la concessione fu rilevata dalla “Società Anonima Unione Cementi Marchino”,<br />

che commercializzava il prodotto verso terzi ma utilizzava la lignite soprattutto<br />

come combustibile per l’attività di grandi cementifici dalla stessa gestiti in Casale<br />

Monferrato (AL).<br />

La carenza di combustibili conseguente alle sanzioni internazionali contro l’Italia<br />

ed allo scoppio <strong>del</strong>la Guerra assicurò un intenso sfruttamento <strong>del</strong> giacimento, non<br />

sempre secondo la buona tecnica mineraria: come evidenzia Luigi Passarino (Le<br />

miniere di lignite <strong>del</strong>la Piana di Luni) “Imperativo era produrre e con le vicende<br />

<strong>del</strong>la Seconda Guerra Mondiale, a fronte <strong>del</strong>le necessità belliche nessuno si occupò<br />

<strong>del</strong>la sicurezza <strong>del</strong>la miniera e neppure <strong>del</strong> modo i cui erano condotti i lavori”. I<br />

lavoratori passarono da 93 nel 1936 a 500 nel 1939.<br />

Nel 1943, l’attività <strong>del</strong>la miniera passò sotto il controllo <strong>del</strong>le forze germaniche<br />

e nonostante le gravi difficoltà nel reclutare manodopera e reperire il materiale<br />

occorrente per la manutenzione dei pozzi, ancora nel secondo semestre <strong>del</strong> 1944<br />

rimase molto attiva, proseguendo la coltivazione secondo la logica <strong>del</strong> massimo<br />

sfruttamento e senza razionalità tecnica a tutto discapito <strong>del</strong>la sicurezza. Al momento<br />

di ritirarsi i tedeschi asportarono i motori degli argani e fecero saltare alcune cabine<br />

elettriche bloccando completamente la produzione.<br />

Tra il 1935 ed il 1948 furono 35 i morti in incidenti nella miniera. Particolarmente<br />

gravi furono quello occorso il 5 agosto 1942 con la morte di Giovanni Finotello e<br />

l’esplosione di gas grisou al pozzo n.1, il 19 agosto 1945, che costò la vita a 11 operai<br />

ed il ferimento ad altri 8.<br />

E’ nel contesto di questa tragedia che il 30 settembre 1945, a seguito <strong>del</strong>le pressioni<br />

dei minatori, venne concluso un accordo provvisorio sull’orario di lavoro a 6 ore<br />

per turno e la creazione di un quarto turno in modo da equilibrare i costi con un<br />

aumento <strong>del</strong>la produzione. In questo modo gli operai potevano integrare il reddito<br />

con il lavoro in agricoltura. A dicembre 1945 erano attivi, nella miniera di Sarzanello<br />

solo 3 pozzi dei 5 esistenti, con 480 minatori impiegati.<br />

Non abbiamo trovato documenti che testimonino la presenza di Otello<br />

Bugliani tra questi.<br />

Su segnalazione <strong>del</strong>la Commissione di Fabbrica Miniere di Sarzanello, il 4 gennaio<br />

1946, Pietro Beghi, Prefetto reggente su nomina <strong>del</strong> Comitato di Liberazione<br />

Nazionale, chiedeva alla Società Unione Cementi Marchino di riaprire i pozzi chiusi<br />

per contribuire allo sforzo <strong>del</strong>la ricostruzione ed alleviare la disoccupazione. La<br />

Società dichiarava l’impossibilità a provvedere perché ostacolata dalle prescrizioni di<br />

sicurezza emanate dal Corpo <strong>del</strong>le Miniere, a seguito <strong>del</strong> tragico incidente di agosto<br />

in particolare per la necessaria ventilazione <strong>del</strong>le gallerie.<br />

Altre difficoltà nell’incremento <strong>del</strong>la produzione erano connesse al costo elevatissimo<br />

Otello Bugliani<br />

minatore<br />

da Luni a Marcinelle<br />

storie di miniere e di emigrazione<br />

Otello Bugliani<br />

Massa 6 Settembre 1913 - Marcinelle 16 Settembre 1956<br />

dalle miniere “Sarzanello” in Luni di Castelnuovo Magra<br />

<strong>del</strong>l’autotrasporto per consegnare il prodotto estratto e la mancanza di carri ferroviari<br />

che a condizioni più vantaggiose, considerata la vicinanza <strong>del</strong>la stazione di Luni,<br />

avrebbero consentito tale operazione a costi competitivi.<br />

Il Prefetto intervenne su entrambe le questioni e il 5 settembre 1946 si recò<br />

personalmente a visitare la miniera. Come riportato da “Il cavatore” , organo <strong>del</strong>la<br />

Camera <strong>del</strong> Lavoro di Carrara, “giunse che era già notte, ma non mancò all’appuntamento<br />

dato”.<br />

Secondo l’autore <strong>del</strong>l’articolo firmato “il minatore di turno” , l’indisponibilità <strong>del</strong>l’azienda<br />

ad effettuare gli investimenti necessari all’incremento <strong>del</strong>la produzione sarebbe da<br />

riferire alla volontà di eliminare il turno di sei ore in galleria rispetto alle otto pagate:<br />

“è cosa elementare che in tutte le miniere <strong>del</strong> mondo, benchè gli operai rimangano<br />

nel sottosuolo otto ore per ogni turno non è possibile rimanere al lavoro continuo<br />

più di cinque ore e perciò i minatori di Luni riuscirono a riconquistare tale orario<br />

di lavoro che in dette miniere era già in vigore fino dal 1919, che solo il fascismo<br />

riportò ad otto ore.” Una motivazione politica e non solo economica avrebbe<br />

peraltro determinato quella posizione in quanto voleva contrastare l’iniziativa <strong>del</strong>le<br />

Organizzazioni Sindacali che chiedevano di introdurre per tutti i settori industriali<br />

l’orario di sei ore per combattere la disoccupazione.<br />

La Società Marchino, il 27 settembre 1946, segnalava un costo per tonnellata estratta<br />

doppia rispetto al prezzo stabilito dalla commissione interministeriale, determinato<br />

tra l’altro da un’eccedenza di circa 100 unità, dal mancato incremento <strong>del</strong>la produttività<br />

che avrebbe dovuto corrispondere alla riduzione <strong>del</strong>l’orario di lavoro a sei ore per<br />

turno, ed al contrario una produzione minore <strong>del</strong> 36%, dai costi per l’armamento<br />

<strong>del</strong>le gallerie.<br />

Su sollecitazioni <strong>del</strong> Prefetto Oscar Moccia, nel frattempo subentrato a Beghi, le<br />

parti si incontrarono e definirono modalità operative ed organizzative in grado di<br />

consentire gli auspicati interventi.<br />

La questione <strong>del</strong>l’orario di lavoro, tuttavia, continuò a mantenere alta la tensione,<br />

soprattutto a seguito <strong>del</strong>la firma <strong>del</strong> contratto nazionale che fissava il turno di otto<br />

ore. Nel gennaio 1947 la Camera di Commercio <strong>del</strong>la Spezia evidenziò che la Società<br />

Marchino, contravvenendo alle disposizioni sulla distribuzione <strong>del</strong>la lignite alle<br />

aziende industriali, riservava tutto il prodotto, invece <strong>del</strong> 50 per cento previsto, per<br />

le proprie esigenze, determinando difficoltà alle fornaci in quel periodo impegnate<br />

al massimo nella ricostruzione <strong>del</strong> patrimonio edilizio distrutto dalla guerra. Al<br />

riconoscimento a marzo <strong>del</strong>le ragioni <strong>del</strong>la Marchino con la riserva <strong>del</strong> 90 per cento<br />

<strong>del</strong>la produzione (fatto salvo un quantitativo di 500 tonnellate per le esigenze di<br />

Massa e La Spezia), corrispose - su richiesta <strong>del</strong> Prefetto - la sospensione <strong>del</strong>la<br />

pretesa <strong>del</strong>la stessa al ripristino <strong>del</strong>l’orario di lavoro.<br />

E’ nel gennaio 1948 che si addensano nubi minacciose sulla miniera di Luni.In una<br />

lettera <strong>del</strong> 10 gennaio, il Prefetto Moccia chiede alla Marchino conferma o meno<br />

<strong>del</strong>le “voci incontrollate che indicano come imminente la chiusura <strong>del</strong>la miniera”.<br />

La Marchino risponde il 27 gennaio di non avere in corso provvedimenti al propo<strong>sito</strong>.<br />

“La valigia di cartone” è di Federico Anselmi<br />

Otello Bugliani rappresenta così il trait d’union tra la più significativa esperienza mineraria <strong>del</strong>la provincia<br />

<strong>del</strong>la Spezia costituita dal complesso dei giacimenti di lignite esistente nei comuni di Castelnuovo<br />

Magra e Ortonovo, e la tragedia di Marcinelle, presa a riferimento per la “Giornata nazionale <strong>del</strong><br />

Sacrificio <strong>del</strong> lavoro italiano nel mondo” (DPCM 1 dicembre 2001)<br />

Il 31 marzo 2005 gli è stata conferita la Medaglia d’oro al merito civile con la seguente motivazione:<br />

“Lavoratore emigrato in Belgio, in seguito al tragico incendio verificatosi nella miniera di carbone<br />

di Marcinelle, rimaneva bloccato insieme ad altri 135 connazionali, in un pozzo a più di mille metri<br />

di profondità sacrificando la vita ai più nobili ideali di riscatto sociale. Luminosa testimonianza <strong>del</strong><br />

lavoro e <strong>del</strong> sacrificio degli italiani all’estero, meritevole <strong>del</strong> ricordo e <strong>del</strong>l’unanime riconoscenza <strong>del</strong>la<br />

nazione tutta”.<br />

Evidenzia tuttavia che “l’attuale grave crisi in cui versa l’industria in generale e quella lignitifera<br />

in particolare fa prevedere la necessità di seri e gravi provvedimenti, data la grande affluenza sul<br />

mercato nazionale di combustibili esteri che hanno sensibilmente sconvolto l’equilibrio economico<br />

degli indici di produzione e di vendita”.<br />

Ma la situazione precipita. Il 9 febbraio 1948 con un appunto riservato al Prefetto,<br />

la Marchino dopo avere descritto la gravissima situazione di mercato in cui si trova,<br />

aggravata dalla cattiva qualità <strong>del</strong> cemento prodotto con l’impiego <strong>del</strong>la lignite di<br />

Sarzanello, annuncia la decisione di evitare la sospensione totale <strong>del</strong>le lavorazioni<br />

ma di mantenere in forza solo 186 operai a fronte di una forza presente di 580.<br />

Il Prefetto convince l’Azienda a non dare corso unilateralmente alla procedura di<br />

licenziamento collettivo ma di informare preventivamente la Commissione Interna.<br />

Adempimento che pone in essere il 21 febbraio 1948 ricevendo la netta opposizione<br />

<strong>del</strong>la CI.<br />

E’ in questi giorni che forse Otello Bugliani matura la scelta di emigrare.<br />

Il 10 marzo il Prefetto chiede di sospendere la procedura per non aggravare la<br />

situazione <strong>del</strong>l’ordine pubblico in relazione alla gravissima crisi occupazionale ed<br />

al periodo preelettorale ed “evitare di mettere sul lastrico tante famiglie”. In quella stessa<br />

data viene così raggiunto un accordo tra le parti per la riduzione, a decorrere dal 1<br />

marzo, <strong>del</strong>l’orario settimanale di lavoro a 24 ore per tutte le maestranze, godendo<br />

per le rimanenti <strong>del</strong> trattamento di cassa integrazione.<br />

Già con il pagamento dei salari di marzo si registrano ritardi ed a fronte <strong>del</strong>la protesta<br />

<strong>del</strong>la Commissione Interna la Marchino risponde di riservarsi “di inviare i fondi per i<br />

salari solo quando potrà procurarseli e fino a quando potrà”. Il 9 aprile il Direttore <strong>del</strong>l’Ufficio<br />

Minerario rassicura sull’intervenuto accreditamento <strong>del</strong>le somme sufficienti a pagare<br />

i salari di marzo.<br />

Il 21 maggio 1948, la società Marchino, scaduta la tregua preelettorale, riprende<br />

la procedura di licenziamento per almeno 300 operai. Per facilitare la scelta e<br />

l’allontanamento <strong>del</strong> contingente indicato, l’Azienda propone di concedere a coloro<br />

che si dimetteranno volontariamente entro il 31 marzo un premio di 35.000 lire ai<br />

capi famiglia, 30.000 lire ai celibi e 25.000 lire alle nubili.<br />

L’11 giugno 1948, grazie al fattivo interessamento dei Prefetti di La Spezia e di<br />

Apuania, viene raggiunto un accordo tra le parti con la fissazione di un premio più<br />

elevato per incentivare le dimissioni volontarie di almeno 300 operai, ridotti a 286 il<br />

15 luglio 1948.<br />

Qualche mese dopo, Otello Bugliani, coniugato con una figlia, partiva per il<br />

Belgio. Per molti italiani, l’emigrazione rappresentò una possibilità di riscatto dalla<br />

miseria. Così viene rappresentata la situazione in una lettera al Prefetto <strong>del</strong>la Spezia<br />

<strong>del</strong>la Commissione Interna <strong>del</strong>le Miniere di Sarzanello, datata 18 gennaio 1949:<br />

“Nel mese di maggio 1948, la Soc. con l’attenuante <strong>del</strong>l’impossibilità di smaltire il prodotto <strong>del</strong>la<br />

nostra miniera perché inferiore in calorie e per l’arrivo nei porti italiani di carbone di provenienza<br />

estera e di migliore qualità, in parte anche da noi a quel tempo riconosciuto tale, ci siamo trovati<br />

ad accettare un licenziamento di n. 285 operai, ciò che è stato fatto nostro malgrado, se questo<br />

provvedimento può, in qualche modo essere stato giustificato, oggi noi assistiamo invece ad un fatto<br />

reale, cioè che, mentre gli operai minatori disoccupati cercano lavoro e mentre gli stessi si rendono in<br />

miniera per comperare il carbone per i suoi usi famigliari, si sentono rifiutare il lavoro, ed anche il<br />

carbone in quanto questo è stato limitato a 25 kg a famiglia, i piazzali sono completamente vuoti<br />

e molte sono le richieste di carbone, sia per uso famigliare, che industriale”.<br />

Cernitrici 1940<br />

Lampada di sicurezza<br />

In prossimità di un fronte di avanzamento<br />

Minatori, 1948<br />

Sostituzione di una “gamba”, palo di sostegno <strong>del</strong>le gallerie Ispezione di un fronte di avanzamento Risalita dal pozzo n°5<br />

Le fotografie relative alle miniere di Luni sono sate messe a disposizione da Tommaso Malfanti<br />

Otello Bugliani.indd 1 19/10/12 10:41


La mostra è stata realizzata dagli allievi <strong>del</strong>la III C <strong>del</strong> <strong>Liceo</strong> Classico “L.<strong>Costa</strong>“<br />

<strong>del</strong>la Spezia nell’ambito <strong>del</strong>l’approfondimento tematico svolto sotto la guida <strong>del</strong> Prof.<br />

Paolo Galantini, in collaborazione con la Prefettura <strong>del</strong>la Spezia ed i Comuni di<br />

Castelnuovo Magra e Rocchetta Vara, con il sostegno <strong>del</strong>la sede INAIL <strong>del</strong>la Spezia<br />

La crisi degli impianti carboniferi belgi è evidenziata dai dati seguenti ed è<br />

dovuta ad una progressiva perdita di competitività rispetto al petrolio e ai<br />

suoi derivati, nonché ai più bassi costi nello sfruttamento <strong>del</strong>lo stesso minerale<br />

rilevabile in altri Paesi extraeuropei. Le direzioni dei bacini carboniferi<br />

<strong>del</strong> Belgio cercarono di contrastare questa tendenza <strong>del</strong> mercato attraverso<br />

investimenti per migliorare la produttività degli impianti provvedendo alla<br />

contemporanea chiusura di altri, ma fu tutto inutile.<br />

Nel 1984 chiuse il “Roton”, l’ultima miniera <strong>del</strong>la Vallonia, a cui seguì<br />

quella di Zolder, l’ultima <strong>del</strong> Limburgo, la cui chiusura, prevista per il<br />

1996 fu, ancora una volta per ragione di costi, anticipata al 30 settembre<br />

1992. In questo modo aveva termine l’attività estrattiva in Belgio.<br />

L’emigrazione italiana<br />

L’Italia è stata diffusamente interessata dal fenomeno<br />

<strong>del</strong>l’emigrazione: si stima che tra il 1861 e il 1985 almeno 25<br />

milioni di nostri connazionali abbiano lasciato il Paese in cerca di<br />

lavoro, prevalentemente diretti verso gli Stati Uniti, l’Argentina<br />

e il Brasile per quanto concerne l’emigrazione transoceanica;<br />

la Francia, la Germania, la Svizzera, la Gran Bretagna e il<br />

Belgio per quanto riguarda l’emigrazione europea. Se fino al<br />

1876 l’Italia settentrionale dava fino all’85% <strong>del</strong>l’emigrazione<br />

annuale, a partire dalla sciagurata guerra doganale con la Francia<br />

si registrò una sempre più accentuata inversione di tendenza<br />

che condusse al triste primato <strong>del</strong> Mezzogiorno, accresciutosi<br />

ulteriormente durante l’Età giolittiana. Dopo la prima guerra<br />

mondiale, l’emigrazione riprese vigore, tanto che nel solo<br />

1920, ben 350.000 italiani si trasferirono negli USA. Le cose<br />

in seguito cominciarono però a cambiare, non tanto per scelte<br />

governative interne, quanto perché le leggi sull’immigrazione<br />

cominciarono a prevedere l’introduzione <strong>del</strong>le quote: nel 1921<br />

gli USA fissarono un contingente massimo di 40.000 unità<br />

riservate all’Italia, destinate a calare ulteriormente anno dopo<br />

anno. Altri paesi seguirono l’esempio americano, in particolare<br />

a seguito <strong>del</strong>la crisi economica <strong>del</strong> ’29 e questo spiega così<br />

la forte decrescita che si registrò fino al secondo conflitto<br />

mondiale.<br />

L‘emigrazione in Belgio: uomini contro carbone<br />

Se gli anni che vanno dal 1945 al 1950 sono per definizione gli<br />

anni <strong>del</strong>la ricostruzione di un Paese che la guerra aveva ridotto<br />

ai suoi minimi termini, l’elevata disoccupazione che pure si<br />

registrava e il peso insopportabile e la miseria spinsero molti<br />

connazionali a riprendere quello che Pietro Germi definisce in<br />

uno dei suoi film più riusciti “il Cammino <strong>del</strong>la Speranza”.<br />

Fu così che l’emigrazione riprese campo incoraggiata anche da<br />

precise scelte di governo come si evince dal protocollo italo-<br />

belga siglato a Roma il 23 giugno 1946 che “scambiava” forza-<br />

lavoro italiana con carbone belga a cui fece seguito la legge 16<br />

dicembre 1947 n.1663.<br />

Per ogni scaglione di 1000 operai italiani che avrebbero lavorato<br />

nelle miniere il Belgio avrebbe esportato verso l’Italia: 2500<br />

tonnellate mensili di carbone se la produzione sarà inferiore a<br />

1700.000 tonnellate; 3500 mensili se la produzione sarà compresa<br />

tra 1.700.000 e 2.000.000 di tonnellate; 5000 tonnellate mensili<br />

se la produzione sarà superiore a 2.000.000 di tonnellate.<br />

Per ripristinare i livelli di estrazione <strong>del</strong> carbone scemati durante<br />

il conflitto da 30 a 13,5 mln di tonnellate annue, le Società<br />

minerarie belghe stimarono di far affluire almeno 50.000<br />

lavoratori italiani in contingenti di 2000 unità settimanali.<br />

Dalla Spezia nel 1948, l’anno in cui Otello Bugliani lasciò<br />

l’Italia - come indicato in un rapporto <strong>del</strong> Prefetto al Ministero<br />

<strong>del</strong> Lavoro <strong>del</strong> 19 febbraio 1949 - espatriarono, a seguito di<br />

richiesta di manodopera, 333 “lavoratori di miniera”. Nello stesso<br />

anno emigrarono 125 lavoratori meccanici ed agricoli verso la<br />

Francia, 115 lavoratori edili per l’Argentina. Ottanta lavoratori,<br />

inoltre, con contratti di lavoro individuali, raggiunsero la<br />

Svizzera, la Svezia, l’Inghilterra e la Cecoslovacchia.<br />

La disoccupazione in provincia era così elevata che il Prefetto “in<br />

considerazione <strong>del</strong>le particolari condizioni di disagio di questa popolazione<br />

che ha ben modeste possibilità di lavoro” segnalò l’opportunità di<br />

“assegnare a questa provincia un maggiore contingente di lavoratori da<br />

inviare all’estero e particolarmente in America, verso cui si orienterebbe<br />

la maggioranza dei lavoratori”.<br />

Il reclutamento<br />

Il reclutamento <strong>del</strong>la mano d’opera veniva bandito con<br />

appositi manifesti colorati di rosa per renderne più appetibile<br />

il contenuto.<br />

Le quote frazionate per impianto venivano stabilite dai singoli<br />

datori di lavoro belgi che le inoltravano al Ministero <strong>del</strong> Lavoro<br />

italiano che le ripartiva quindi ai vari Uffici di collocamento<br />

provinciali, presso le quali operavano Commissioni consultive<br />

per l’emigrazione dei lavoratori.<br />

I candidati in genere non dovevano avere più di 35/40 anni<br />

e di preferenza dovevano essere iscritti agli Uffici medesimi<br />

nelle apposite liste di disoccupazione. Esisteva tuttavia anche<br />

un sistema parallelo di reclutamento sul posto, a chiamata<br />

diretta, che permetteva un ulteriore margine di discrezionalità<br />

e di sfruttamento.<br />

Dal verbale <strong>del</strong>la Commissione <strong>del</strong>la Spezia, in data 24 marzo<br />

1948 si rileva la decisione di lasciare la più ampia possibilità di<br />

espatrio alla manodopera non qualificata, escludendo in linea<br />

di massima la partenza di personale specializzato con qualifica<br />

di muratore di 1^, ferrariolo, carpentiere in legno, fonditore,<br />

di contenere entro determinati limiti per non pregiudicare<br />

l’industria locale l’espatrio di elettricisti, autisti, bobinatori,<br />

saldatori elettrici, meccanici in genere, montatori e carpentieri<br />

in ferro.<br />

Visite mediche<br />

Dopo aver sostenuto una prima visita medica presso l’ufficio<br />

sanitario <strong>del</strong> Comune di residenza ed una seconda presso<br />

l’Ufficio Provinciale <strong>del</strong> lavoro che certificasse l’adattabilità dei<br />

candidati ai lavori di fondo, gli aspiranti idonei venivano inviati<br />

a Milano al Centro per l’Emigrazione in Belgio e sottoposti<br />

ad ulteriori esami in appositi locali siti nei sotterranei <strong>del</strong>la<br />

Stazione Centrale. Qui erano sistemati in stanzoni freddi<br />

(oppure troppo caldi) dotati di letti a castello di 3/4 piani in<br />

precarie condizioni igieniche, con un vitto inadeguato. Secondo<br />

Fedechar la selezione dei lavoratori doveva garantire che questi<br />

ultimi fossero, oltre che “elementi tecnicamente capaci” e fisicamente<br />

adatti al tipo di lavoro al quale erano destinati anche adeguati<br />

all’ambiente in cui avrebbero dovuto vivere e confacenti a<br />

“rappresentare degnamente” i lavoratori italiani all’estero.<br />

Molti lavoratori agricoli che avevano partecipato all’occupazione<br />

<strong>del</strong>le terre vennero rinviati come “indesiderabili”. Superati anche<br />

questi controlli, insieme a quello di polizia italo -belga, venivano<br />

finalmente avviati ai convogli.<br />

Otello Bugliani venne una prima volta dichiarato non<br />

idoneo in quanto affetto da scarlattina (forse nel marzo<br />

1948). La visita venne ripetuta 5 mesi più tardi e ottenuta<br />

l’idoneità richiesta partì per il Belgio nell’estate <strong>del</strong>lo<br />

stesso anno.<br />

Il trasferimento<br />

Il viaggio poteva durare anche 52 ore in carrozze con i sedili di<br />

legno prive di riscaldamento; al momento <strong>del</strong>l’arrivo i lavoratori<br />

venivano spesso “scaricati” su binari destinati alle merci e quindi<br />

avviati ai diversi “Charbonnages” su autocarri utilizzati per il<br />

trasporto di carbone.<br />

Il medico <strong>del</strong>la miniera provvedeva all’ultimo controllo e quindi<br />

avveniva l’assegnazione <strong>del</strong>l’attrezzatura (il cui costo veniva<br />

trattenuto dal primo salario) e <strong>del</strong>l’alloggio.<br />

Gli alloggi<br />

Otello Bugliani<br />

minatore<br />

da Luni a Marcinelle<br />

storie di miniere e di emigrazione<br />

alla Miniera Bois du Cazier - Marcinelle (Belgio)<br />

Il Protocollo (art. 3) e il Contratto tipo di lavoro (art.9),<br />

prevedevano dei “convenienti alloggi”.<br />

Quando il Belgio firmò il Protocollo conosceva molto bene le<br />

capacità disponibili degli alloggi: non avrebbe potuto, infatti,<br />

alloggiare i 50.000 operai che aveva richiesto, poiché la Fédéchar<br />

(Federazione carbonifera <strong>del</strong> Belgio) aveva comunicato i posti<br />

letto disponibili e cioè 9590 per celibi e 431 per famiglie.<br />

Fédéchar, infatti, aveva comunicato al Capo Gabinetto <strong>del</strong><br />

Ministro <strong>del</strong> Carbone, in data 6 maggio 1946, che le possibilità<br />

di alloggio al 2 maggio 1946 erano le seguenti:<br />

Campina 1.435 celibi e 160 famiglie<br />

Centro 2.045 celibi e 110 famiglie<br />

Charleroi 2.706 celibi e 91 famiglie<br />

Liegi 1.591 celibi e 38 famiglie<br />

Mons 1.810 celibi e 91 famiglie<br />

Totale 9591 celibi e 431 famiglie, cioè 10.022 minatori.<br />

E per gli altri 40.000 non era previsto assolutamente niente:<br />

dovevano cavarsela come meglio potevano. Il problema degli<br />

alloggi, per il Belgio, era dunque una vera vergogna, rimasta<br />

tale per molti anni.<br />

Esistevano vari tipi di alloggi. Oltre ai rinomati “corons”, c’erano<br />

i falansteri in lamiera ondulata, le baracche in legno e le famose<br />

cantine, che nonostante tutto erano una soluzione tra le migliori.<br />

Erano vecchie costruzioni <strong>del</strong>le miniere chiuse negli anni ’30<br />

e trasformate in cantine. Qui potevano alloggiare anche 60-<br />

70 operai celibi. In alcune, gli operai si facevano da mangiare<br />

da soli, in altre c’era la mensa preparata dal cantiniere che si<br />

occupava pure <strong>del</strong>le pulizie e di lavare le lenzuola, ma non la<br />

biancheria intima personale. Gli operai dormivano stipati in<br />

grandi dormitori comuni a volte con letti a castello. Si capiscono<br />

bene le difficoltà quando si tiene presente che si effettuavano<br />

regolarmente i tre turni di lavoro. Gli operai pagavano una<br />

quota stabilita per vitto e alloggio al cantiere.<br />

Si era istaurata, in alcune cantine, una abitudine quanto mai<br />

particolare. A ritirare la busta-paga alla miniera, non era il<br />

minatore ma il cantiniere. Questi tratteneva quello che gli<br />

spettava per il vitto, l’alloggio, le pulizie, ecc... e il resto lo<br />

consegnava all’operaio, il quale non sapeva mai esattamente<br />

quale fosse il suo vero salario guadagnato e le spese incontrate.<br />

Doveva dar unicamente fiducia al cantiniere. Per fortuna non<br />

ci sono mai stati reclami in campo.<br />

Passare dai falansteri alle baracche di legno era un miglioramento<br />

riconosciuto e ricercato nonostante avessero il pavimento in<br />

terra battuta o in cemento. I campi di baracche erano stati<br />

improvvisati, alla meno peggio, per i prigionieri di guerra<br />

e costretti a lavorare nelle miniere. Le baracche erano state<br />

rabberciate in qualche modo e assegnate poi ai minatori italiani.<br />

Ecco come le descrive un trevisano che abitava nel famoso<br />

campo di ClosRiveaux a Maurage, vicino ai prigionieri russi.<br />

“Arrivati alla baracca hanno designato a tutti la stanza. La baracca<br />

aveva 4 letti per stanza ed era una di quelle lasciate libere dai prigionieri.<br />

La stanza era abbastanza grande e i letti erano uno vicino all’altro, si<br />

aveva un armadio per tutti e quattro, non troppo grande. Anzi quando<br />

sono arrivato <strong>del</strong> campo di baracche era ancora occupato dai prigionieri.<br />

Per andare al gabinetto, bisognava percorrere 50 m fuori, all’aria aperta.<br />

I gabinetti erano tutti in fila e dietro c’era un canale d’acqua. Abitava in<br />

una baracca e andavo a mangiare vicino ai prigionieri, in un’altra baracca<br />

dove avevano riservato un gran salone e là ci davano da mangiare”.<br />

Il lavoro in miniera<br />

“La valigia di cartone” è di Federico Anselmi<br />

Un altro emigrante, Davide Gialdi, così descrive il suo avvio<br />

alla miniera:<br />

“Il 5 dicembre ero già al lavoro alla miniera numero 24 di Marcinelle al<br />

turno <strong>del</strong> mattino. Il primo giorno mi dissero di seguire un capo (eraun<br />

italiano). Già sull’ascensore, che scendeva velocissimo, presi paura. Una<br />

volta arrivato al fondo percorsi a piedi circa tre chilometri in galleria.<br />

Nessuno ci aveva spiegato a cosa andavamo incontro. Pian piano vedevo<br />

davanti a me sparire gli altri ad uno ad uno e mi sembrava di essere<br />

rimasto da solo al buio. Non sapevo che in realtà ognuno era entrato in<br />

“taglia” al posto che gli era stato assegnato. All’inizio mi misero a fare<br />

il manovale a spingere il carbone sul “bac” che era una specie di canale<br />

di metallo che, azionato da stantuffi, spingeva in avanti il carbone a<br />

strattoni. Dopo circa due mesi e mezzo ho chiesto di passare minatore a<br />

cottimo. Lavoravo a 830 metri di profondità. Il mio numero di medaglia<br />

era il 276. Ho lavorato in taglie alte da 80 a 50 centimetri: a volte facevo<br />

fatica ad entrarci coricato e neppure la lampada ci entrava diritta.<br />

In taglia prima di cominciare a lavorare, ci facevano arrivare sul “bac” il<br />

materiale necessario ad armare: i “bil”, gli “sclemp”, le gambe di ferro, i<br />

puntelli ecc. ecc. Questo materiale arrivava velocemente e bisognava stare<br />

molto attenti a non essere colpiti.<br />

Dopo 20 giorni di lavoro ero già pronto per rientrare in Italia: l’ascensore<br />

che in un minuto scendeva a 800 metri di profondità, la paura dei crolli,<br />

una polvere che non si vedevano neppure le lampade, il frastuono <strong>del</strong><br />

“motopiq” e <strong>del</strong> carbone trasportato sui “bac”... ma nessuno di noi voleva<br />

cedere per primo. Inoltre faticavo anche a guadagnare qualche soldo: prima<br />

la paga da manovale era molto bassa poi, come minatore a cottimo, essendo<br />

inesperto guadagnavo poco. Con quello che spendevo per la “cantina” non<br />

mi rimaneva quasi nulla e invece avrei voluto mandare qualcosa alla mia<br />

famiglia che ne aveva bisogno.<br />

Ho fatto il primo mese con un solo paio di scarpe che usavo sia in miniera<br />

che fuori: avevo sempre i piedi neri! I primi soldi che mandai a casa<br />

furono 1.500 franchi che mi aveva prestato il cugino di Adriano Biffi<br />

e che corrispondevano ad una discreta somma: se non ricordo male circa<br />

20.000 lire <strong>del</strong>l’epoca.<br />

Poi pian piano la situazione è migliorata: mi sono comprato un paio di<br />

scarpe e un vestito. Riuscivo a mandare a casa regolarmente una parte di<br />

quello che guadagnavo. Mia madre prima di spendere qualcosa, oltre lo<br />

stretto necessario per vivere, mi scriveva: comprò una stufa, un letto, dei<br />

materassi e il resto cercava di metterlo da parte.<br />

I miei compagni di lavoro erano italiani (mi ricordo dei bergamaschi ma<br />

anche diversi cremonesi che erano arrivati qualche mese prima), greci,<br />

polacchi e belgi. Fino alla metà <strong>del</strong> 1948 c’erano anche dei prigionieri<br />

di guerra tedeschi. Per un po’ di tempo ho lavorato con due di loro. Ho<br />

lavorato anche con un russo (si chiamava Victor) prigioniero di guerra<br />

perché era stato collaborazionista.<br />

Si lavorava sei giorni alla settimana. Alla festa andavamo a caffè, al<br />

cinema o a fare due passi a Charleroi dove compravamo <strong>del</strong>la cioccolata e<br />

soprattutto <strong>del</strong>le banane che vendevano ad ogni angolo a poco prezzo.<br />

Nell’agosto <strong>del</strong> 1949 decisi di ritornare in Italia: il lavoro in miniera era<br />

pessimo e non si guadagnava quello che speravo. Finito il servizio militare<br />

incontrai ancora molte difficoltà a trovare un lavoro e così, dopo la solita<br />

trafila di occupazioni saltuarie, decisi di andare di nuovo in Belgio: era<br />

l’agosto <strong>del</strong> 1955.<br />

Questa volta partii con Carlo Ballerini e Guglielmo Goffredi. Lavoravo<br />

sempre nella zona di Charleroi, in una miniera nella località di Fontaine<br />

l’Eveque. Ero già più esperto e in questa seconda occasione fumeno dura.<br />

Rimasi fino al gennaio <strong>del</strong> 1957 e poi decisi di smettere definitivamente.”<br />

Otello Bugliani giunge a Marcinelle nell’estate <strong>del</strong> 1948 e il<br />

26 agosto comincia la sua attività di “abbatteur” al Bois du<br />

Cazier. Dopo aver seguito la solita trafila per l’alloggiamento<br />

(cantine, baracche) nel 1951 riesce a procurarsi una stanza<br />

con uso di cucina, in una vecchia casa vicino alla miniera.<br />

Così la moglie e la figlia possono finalmente raggiungerlo<br />

e la famiglia può riunirsi.<br />

Nel 1953, alla scadenza <strong>del</strong> contratto quinquennale<br />

puntualmente onorato Otello cerca in tutti i modi di tornare<br />

in Italia, ma invano perché non trova alcuna offerta di<br />

lavoro, malgrado che anche i parenti avessero cercato di<br />

aiutarlo nella ricerca.<br />

Così, per disperazione, per bisogno, come tanti altri, non<br />

ebbe alternative e firmò un secondo contratto quinquennale,<br />

purtroppo l’ultimo perché la morte lo avrebbe colto nel<br />

drammatico incidente <strong>del</strong>l’8 agosto 1956.<br />

Infortuni ed incidenti<br />

E’ sempre Davide Gialdi: “Non ho mai subito dei seri infortuni.<br />

Una volta ero salito in cima ad una taglia per finire di armare in un<br />

punto dove c’era il “grisou”: mi sentii mancare i sensi ma fortunatamente<br />

scivolai verso il basso in un punto dove di “grisou” non ce ne era. Questo<br />

gas era pericoloso non solo per le esplosioni ma anche perché procurava<br />

l’asfissia. In questo modo era morto un mio compagno di lavoro originario<br />

<strong>del</strong> Lago di Garda. Al rientro in Italia io e Adriano Biffi andammo a<br />

trovare i suoi genitori.<br />

I tre anni di lavoro in miniera (sempre in taglia) mi hanno procurato una<br />

silicosi <strong>del</strong> 26%.”<br />

Un’insidia notevole era rappresentata dalla silicosi detta anche<br />

“malattia <strong>del</strong> minatore”, causata da un tasso di polvere molto<br />

alto inalato costantemente nelle vie respiratorie. Certo l’uso<br />

<strong>del</strong>la maschera avrebbe dovuto prevenire tale patologia ma è<br />

pur vero che non sempre il suo utilizzo era compatibile con<br />

il caldo eccessivo e con la scomoda posizione che i lavoratori<br />

mantenevano nelle parti più basse <strong>del</strong> fondo, per cui molti non<br />

la usavano, continuando ad utilizzare solo il fazzoletto intorno<br />

alla bocca.<br />

E’ il fazzoletto che Oreste Bugliani ha al collo nel<br />

fotomontaggio composto in ricordo <strong>del</strong>la tragedia di<br />

Marcinelle.<br />

Quanto la miniera sia <strong>del</strong>eteria per la salute risulta chiaramente<br />

dalla tabella malattie professionali contratte all’estero.<br />

I dati forniti dalla sede INAIL <strong>del</strong>la Spezia, aggiornati al<br />

dicembre 2011, evidenziano quanto segue:<br />

Italia<br />

n.1257 rendite dirette per silico-asbestosi<br />

(di cui 1.154 contratte nelle miniere di carbone in Belgio)<br />

n.2.191 rendite ai superstiti per silico asbestosi<br />

(di cui 2.007 contratte nelle miniere di carbone in Belgio)<br />

Provincia <strong>del</strong>la Spezia<br />

n.6 rendite dirette per silico asbestosi<br />

(di cui 5 contratte nelle miniere di carbone in Belgio)<br />

n.16 rendite ai superstiti per silico-asbestosi<br />

(di cui 12 contratte nelle miniere di carbone in Belgio)<br />

E dire che per andare a lavorare nelle miniere <strong>del</strong> Belgio i<br />

lavoratori dovevano essere tutti riconosciuti in ottima salute,<br />

sani come pesci.<br />

Che nel 1995 siano complessivamente rientrati in Italia oltre<br />

40.000 titolari di una pensione belga vuol dire che nonostante<br />

tutto sono abbastanza numerosi quelli che hanno potuto<br />

realizzare il sogno di tornare a casa.<br />

Otello Bugliani.indd 2 19/10/12 10:41


La mostra è stata realizzata dagli allievi <strong>del</strong>la III C <strong>del</strong> <strong>Liceo</strong> Classico “L.<strong>Costa</strong>“<br />

<strong>del</strong>la Spezia nell’ambito <strong>del</strong>l’approfondimento tematico svolto sotto la guida <strong>del</strong> Prof.<br />

Paolo Galantini, in collaborazione con la Prefettura <strong>del</strong>la Spezia ed i Comuni di<br />

Castelnuovo Magra e Rocchetta Vara, con il sostegno <strong>del</strong>la sede INAIL <strong>del</strong>la Spezia<br />

Antefatto<br />

Il pozzo numero 1 <strong>del</strong>la miniera di Marcinelle era in funzione dal 1830, ma la sua<br />

manutenzione era ridotta al minimo necessario, e funzionava come condotta per<br />

l’entrata <strong>del</strong>l’aria. Il pozzo numero 2 invece ne costituiva la via d’uscita. Vi era, inoltre,<br />

un terzo pozzo in costruzione, che aveva <strong>del</strong>le gallerie che lo collegavano agli altri<br />

due pozzi, le quali però erano state murate per diverse ragioni. Ciascun pozzo aveva<br />

due ascensori “gabbie”, mossi da due potenti motori posti all’esterno <strong>del</strong>la miniera e<br />

da due grandi molette poste su dei tralicci.<br />

L’aerazione era assicurata da grandi ventilatori.<br />

Occorre sottolineare che quasi tutte le strutture all’interno <strong>del</strong>la miniera erano in<br />

legno.<br />

Grafico <strong>del</strong>l’estrazione al Cazier l’8 Agosto 1956 “La Nouvelle Gazette”<br />

Otello Bugliani<br />

minatore<br />

da Luni a Marcinelle<br />

storie di miniere e di emigrazione<br />

Marcinelle 8 agosto 1956. La “catastròfa”<br />

Corso degli eventi<br />

Così viene ricostruito l’incidente nel “Rapport d’Enquete”<br />

8 agosto 1956<br />

7.56 Antonio Iannetta al livello 975 dopo aver caricato l’ultimo carrello e<br />

aver dato il via alla rimonta, lascia il posto di lavoro, alla ricerca di altri<br />

carrelli pieni.<br />

8.00 Mauroy, l’ascensorista in superficie, telefona a Vaussort (l’aiutante di<br />

Iannetta) perché l’ascensore serve al piano 765. Mauroy e Vaussort<br />

prendono un accordo previsto dai protocolli di lavoro: per due viaggi<br />

l’ascensore sarà libero e Mauroy può far muovere l’ascensore senza il via<br />

libera <strong>del</strong> livello 975, ma ciò avrebbe significato che per due turni il<br />

piano 975 non avrebbe potuto caricare.<br />

8.05 L’ascensore A arriva al piano 765 per essere caricato, B è a 350 m, nel<br />

pozzo.<br />

8.07 A, carico rimonta in superficie, B ridiscende a 975. Iannetta era intanto<br />

tornato sul posto di lavoro.<br />

8.10 L’ascensore A arriva in superficie, il B al livello 975. Ignaro (o incurante)<br />

<strong>del</strong> fatto che quell’ascensore gli fosse vietato, Iannetta inizia a caricare<br />

i vagoncini pieni. Il meccanismo che frena i carrelli si inceppa. I vagoncini<br />

si ritrovano sporgenti fuori dal montacarichi. Mauroy è nel protocollo<br />

di lavoro ascensore libero, e farà partire l’ascensore quando saranno stati<br />

scaricati i carrelli al livello 765.<br />

8.11 Il montacarichi riparte, i carrelli che sporgono strusciano contro le pareti<br />

<strong>del</strong> pozzo, tranciando di netto un cavo elettrico e un tubo per l’olio, che<br />

erano adiacenti. Scoppia l’incendio, alimentato dal condotto di aerazione.<br />

8.25 Iannetta risale in superficie e da’ l’allarme.<br />

8.30 Votquenne e Matton provano a scendere senza equipaggiamento, ma<br />

devono rinunciare a causa <strong>del</strong> fumo.<br />

8.58 Arriva la prima squadra di soccorso equipaggiata con respiratori e<br />

Votquenne e uno dei soccorritori fanno un secondo tentativo. Arrivano<br />

a 1035 ma non riescono a uscire dall’ascensore in quanto sono saliti sul<br />

terzo compartimento <strong>del</strong>la gabbia, fino a 3,15 metri più in alto <strong>del</strong> piano<br />

di uscita.<br />

9.10 I cavi degli ascensori <strong>del</strong> pozzo 2 cedono, rendendo il pozzo inutilizzabile.<br />

9.30 Due persone tentano di aprirsi un varco nel diaframma che collega il<br />

pozzo nuovo con il pozzo interessato dall’incendio.<br />

10.00 Calicis decide di separare i due cavi <strong>del</strong> pozzo 1, ciò permetterà di servirsi<br />

<strong>del</strong>l’ascensore. Il lavoro finisce alle 12.00.<br />

12:00 Calcis, Galvan e altri uomini scendono fino a 170 metri, ma un tappo di<br />

vapore impedisce loro di continuare.<br />

13.15 Gonet, al livello 1035, lascia un messaggio su una trave di legno.<br />

“Indietreggiamo per il fumo verso 4 palmi. Siamo circa cinquanta. E’ l’una<br />

e un quarto. Gonet” Il messaggio sarà ritrovato dai soccorritori il 23 agosto.<br />

15.00 Una spedizione scende attraverso il primo pozzo e scopre tre sopravvissuti.<br />

Gli ultimi tre furono scoperti più tardi, da un’altra spedizione.<br />

22 Agosto, ore 3.00<br />

Uno dei soccorritori, dopo la risalita, dichiara in italiano: “Tutti cadaveri”.<br />

I soccorritori<br />

I primi a prestare soccorso, a cercare eventuali sopravvissuti furono proprio i loro<br />

compagni che, appena smontati dal turno che si era chiuso alle sei, poco dopo le<br />

otto, quando il fumo nero <strong>del</strong>l’incendio cominciò a levarsi, erano già lì, pronti a<br />

rituffarsi nelle viscere incandescenti di quell’inferno.<br />

Se i loro disperati tentativi furono vani è dalla loro generosità, dal loro altruismo,<br />

dalla loro abnegazione silenziosa che dobbiamo trarre l’insegnamento più grande:<br />

quello <strong>del</strong>la solidarietà che lega indissolubilmente gli esseri umani tra loro e che fa<br />

percepire l’altro come una parte di noi stessi. Insieme ad altri uomini coraggiosi,<br />

andarono avanti giorno e notte, prima di arrendersi, con turni che prevedevano tre<br />

ore di lavoro e tre ore di riposo.<br />

Il lavoro di ritrovamento dei corpi proseguì per mesi, il pietoso riconoscimento<br />

dei resti mortali di quelli che un tempo erano stati uomini forti e pieni di vita fu un<br />

compito straziante, eppure indispensabile, perché la morte doveva essere attestata<br />

affinché la burocrazia facesse il suo corso.<br />

Fu solo dopo questa operazione che le vedove e gli orfani poterono fare ritorno ai<br />

loro paesi, riportando quello che rimaneva dei loro cari alle stesse terre da cui erano<br />

partiti, pieni di dignità e di speranza cercando di sfuggire alla miseria con la forza e<br />

il coraggio <strong>del</strong>le loro giovani vite.<br />

“La valigia di cartone” è di Federico Anselmi<br />

Un doloroso ritorno<br />

Ricorda ancora la nipote di Otello Bugliani: “Mia nonna e mia madre se ne<br />

tornarono a casa ancora più’ sole e disperate di quando erano partite cinque<br />

anni prima per raggiungere il nonno, per alleviargli quella solitudine che nei<br />

tre anni passati lassù dal suo arrivo aveva cercato di riempire ammazzandosi<br />

di lavoro...”<br />

Nulla sarebbe più stato come prima, il loro futuro sarebbe stato segnato per sempre<br />

da quella mancanza irreparabile, il vuoto di quella assenza non sarebbe mai più stato<br />

colmato e persino il ricordo di quella polvere di carbone, che inesorabilmente si<br />

depositava su ogni cosa, in ogni momento di quella povera vita passata in quell’unico<br />

vano <strong>del</strong>la loro casa vicino alla miniera, appariva ora come qualcosa di struggente a<br />

cui ancorarsi.<br />

“Mia madre aveva fatto la scuola in Belgio fino a quella che per noi oggi sarebbe<br />

la terza media, ma, tornata a casa, fu “retrocessa” in quarta elementare...”<br />

Ecco, questa cosa ci ha profondamente colpiti ed anche indignati: possibile che<br />

non ci sia stato modo di mostrarsi più sensibili nei confronti di una ragazzina che<br />

aveva perduto il padre in una circostanza così tragica e che faceva ora fatica doppia<br />

a parlare la lingua dei suoi genitori?<br />

Quanta indifferenza c’è stata nei confronti di tutte queste persone? Poteva forse<br />

bastare una semplice pensione a pagare il debito che il nostro Stato aveva nei loro<br />

confronti? Ancora una volta, evidentemente, si pensava che con i soldi - pochi, per<br />

altro - si potesse mettere a posto ogni cosa.<br />

I tardivi riconoscimenti<br />

Dopo tanti anni di silenzio, bisognerà attendere il 2001 per vedere moralmente<br />

riconosciuto il Sacrificio di questi lavoratori attraverso l’istituzione <strong>del</strong>la Giornata<br />

Nazionale <strong>del</strong> Lavoro Italiano nel Mondo. Dopo la visita di Stato a Marcinelle<br />

compiuta dal Presidente <strong>del</strong>la Repubblica Carlo Azeglio Ciampi l’anno successivo,<br />

alla presenza dei Reali <strong>del</strong> Belgio, nel 2005 il Capo <strong>del</strong>lo Stato concesse la Medaglia<br />

d’Oro al Merito civile ai famigliari dei caduti <strong>del</strong> Bois du Cazier.<br />

“Mia nonna ricorda con gratitudine quel gesto, che certo non poteva restituirle<br />

il marito, ma che contribuiva ad alleviare quel senso di solitudine e quasi di<br />

abbandono che l’aveva accompagnata per tutta la vita.”<br />

Nel 2012 il Bois du Cazier, insieme alle altre tre storiche miniere <strong>del</strong> Belgio (Grand<br />

Hornù, Bpois-Du-Luc e Blengy Mine) è stato inserito dall’UNESCO nel Patrimonio<br />

Mondiale <strong>del</strong>l’Umanità.<br />

Una riflessione conclusiva...<br />

A conclusione di questo nostro lavoro, comprendiamo che senza un’autentica giustizia<br />

sociale non si potrà mai parlare compiutamente di Diritti <strong>del</strong>l’Uomo e di rispetto<br />

per la Dignità che è dovuto ad ogni essere umano.<br />

Come recita la nostra Costituzione (artt. 1 e 4) il lavoro è un fondamentale dirittodovere<br />

irrinunciabile, perché senza di esso non solo non esiste futuro, ma lo stesso<br />

presente si riduce a ben misera cosa.<br />

A noi tutti spetta perciò il compito di adoperarsi affinché la disoccupazione sia<br />

combattuta come il peggiore dei mali, affinché non vi sia più sfruttamento <strong>del</strong>l’uomo<br />

sull’uomo, affinché ciascuno possa dare il meglio di sé senza essere costretto a farlo<br />

a mille chilometri dalla propria terra, in condizioni di sicurezza tali da non mettere<br />

mai a repentaglio la propria vita, perché morire per lavorare - cosa che purtroppo<br />

accade ancora - rappresenta qualcosa che non possiamo accettare né ora né mai.<br />

Per non dimenticare<br />

Nella frazione di Veppo, in comune di Rocchetta di Vara, un monumento realizzato<br />

nel 1982 ricorda l’Emigrante:<br />

“Per altra terra<br />

ma non col cuore<br />

lasciarti Veppo<br />

in lontano<br />

e vivevi tra noi”<br />

A Castelnuovo Magra una stele di marmo è così dedicata:<br />

“I minatori di Luni<br />

a imperituro ricordo<br />

eressero nel giorno IV-XII-MCMXLVIII<br />

ai compagni morti”<br />

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