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Scarica PDF - Patrick Fogli

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Aspetti che, per comodità, potremo definire della attendibilità “intrinseca”.<br />

- L’altra forma di verifica è quella “esterna” e concerne il capitolo cd. dei “riscontri”.<br />

Anche qui è nota la sterminata produzione dottrinale e la cospicua produzione giurisprudenziale volta a definire<br />

e precisare il “riscontro”.<br />

Non è certo il caso di passare in rassegna tutti gli orientamenti formatisi, nel tempo, sul punto. Qui preme<br />

sottolineare qual’è l’orientamento che appare senz’altro preferibile e già accolto dalla giurisprudenza di<br />

legittimità e di merito: riscontro è qualsiasi elemento (esterno alle dichiarazioni del collaboratore) che costituisca<br />

conferma alle dichiarazioni di costui.<br />

Il riscontro può venire, quindi, dalle dichiarazioni di un teste, di un consulente, ma anche di un altro<br />

collaboratore. Quello che conta è che attenga al tema probandum e che sia realmente significativo.<br />

Non è possibile spendere molte parole sulla significatività del riscontro, giacché essa va valutata,<br />

necessariamente, in relazione alle dichiarazioni cui si riferisce: anche un riscontro apparentemente marginale può<br />

assumere, nell’economia del discorso, un significato risolutivo (es: il colore di un oggetto che poteva essere noto<br />

solo a persone determinate).<br />

Occorre ribadire, invece, a gran voce (perché l’argomento è stato trattato dai difensori di tutti gli imputati), che<br />

“riscontro” può senz’altro essere costituito dalla dichiarazione di un altro collaboratore.<br />

In questo senso è, innanzitutto, il dettato normativo, che non fa distinzione tra riscontri. Ma è soprattutto la<br />

logica, che descrive percorsi in grado di assicurare persino la certezza nella viscida materia che ci occupa.<br />

E’ evidente, infatti, che vi sono situazioni in cui l’accordo tra i dichiaranti è impossibile, così come è<br />

impossibile che uno ripeta le dichiarazioni dell’altro. E ciò accade molto più spesso di quanto i difensori suddetti<br />

abbiano mostrato di ritenere.<br />

Vi sono casi, infatti (e sono spesso, si vedrà, i casi di questo processo), in cui le dichiarazioni dei vari<br />

collaboratori sono venute mentre costoro erano in carcere, in luoghi diversi, e mentre non potevano essere note<br />

(perché coperte ancora dal segreto istruttorio) all’uno le dichiarazioni dell’altro. In questo caso la convergenza<br />

delle dichiarazioni è segno, certo, della veridicità delle stesse, giacché le parole in libertà non si incontrano mai<br />

con altre parole in libertà (è un dato statistico di assoluta sicurezza).<br />

Ciò è vero in generale, ma lo è a maggior ragione nei racconti complessi, lunghi, circostanziati, che abbracciano<br />

lunghi periodi e molte persone (come sono, quasi sempre, i racconti dei collaboratori principali di questo<br />

processo). In questo caso, addirittura, si può dire di più: di fronte a racconti di tal fatta l’accordo è impossibile,<br />

spesso, anche a persone libere e comunicanti tra loro.<br />

Non si vede come costoro possano infatti concordare, memorizzare e ripetere alla stessa maniera, prima ancora<br />

di conoscere le circostanze specifiche su cui verranno esaminati e contro esaminati, i racconti che hanno le<br />

caratteristiche sopra descritte (questo non è un dato statistico, ma un dato logico di assoluta evidenza).<br />

Anche nel caso delle dichiarazioni congiunte, quindi, si tratta di accertare il grado di concordanza e di<br />

discordanza delle stesse; le circostanze in cui sono state rese; i rapporti tra i dichiaranti; le forme e i tempi della<br />

collaborazione di costoro; ecc.<br />

Per nessun motivo è possibile teorizzare l’irrilevanza della pluralità delle dichiarazioni, giacché significherebbe<br />

buttare a mare, immotivatamente e pur puro preconcetto, un contributo conoscitivo che spesso ha i caratteri della<br />

sicura affidabilità ed è, in molti casi, insostituibile.<br />

Ciò avviene, quasi sempre, nell’accertamento delle responsabilità dei capi delle organizzazioni criminali e degli<br />

autori morali dei delitti (i riscontri “obbiettivi” sono, qui, casi scolastici, mai visti nella pratica).<br />

In questi casi il giudice non può disporre, quasi sempre, che delle dichiarazioni dei soggetti intranei<br />

all’organizzazione criminale. Propugnare, in via di principio, l’irrilevanza di queste dichiarazioni significa<br />

gettare le basi teoriche per assicurare a costoro l’impunità.<br />

L’argomento, comunque, verrà ripreso trattando i mandanti delle stragi. Per ora basti sottolineare che nessun<br />

argomento di ordine logico o giuridico consente di restringere il concetto di riscontro ai dati obbiettivi introdotti<br />

nel processo da non collaboratori.<br />

- Occorre anche ribadire (rispetto a quanto è già stato affermato dalla giurisprudenza) che, per definire la<br />

posizione del singolo imputato, non sono affatto necessari, sempre e in ogni caso, i riscontri cd

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