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DI Repubblica - La Repubblica

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Domenica<br />

<strong>La</strong><br />

DOMENICA 6 LUGLIO 2008<br />

Esce anche in Italia “Con Hugo”,<br />

il libro che la figlia Silvina Pratt<br />

ha dedicato al grande disegnatore<br />

Un uomo sensibile e fuggiasco,<br />

affascinante e ingombrante,<br />

prigioniero della sua fame di libertà<br />

Corto<br />

Maltese<br />

mio padre<br />

di <strong>Repubblica</strong><br />

MICHELE SERRA<br />

persona più libera che io abbia mai conosciuto».<br />

Così Milo Manara sul suo amico<br />

e maestro Hugo Pratt, nato a Rimini nel<br />

1927, vissuto nel mondo (Etiopia, Venezia,<br />

Baires, Londra, New York, Parigi, più gli in- «<strong>La</strong><br />

finiti viaggi per ovunque), morto in Svizze-<br />

SILVINA PRATT<br />

Che cosa non sappiamo della vita di Hugo Pratt, il<br />

creatore di Corto Maltese? Lui l’ha raccontata, a<br />

volte inventata, sempre mitizzata. Altri hanno cercato<br />

di stabilirne la cronologia puntigliosa o di<br />

diffonderne la leggenda avventurosa. Quello che so<br />

della vita di mio padre è nei miei ricordi — la<br />

ra nel 1995. Quattro figli da due mogli, più altri incogniti frutti profondità della memoria. Quello che ignoro della biografia di<br />

delle sue scorrerie d’amore lungo il pianeta Terra, almeno uno mio padre è nei libri — la superficie delle cose.<br />

dei quali non è carnale e merita di essere citato perché rivela mol- Hugo è davvero un amante della vita avventurosa o non è piutto<br />

della sua sconquassante generosità: in Amazzonia riconobbe tosto l’avventura che gli corre continuamente dietro, contro la<br />

il bambino (non suo) di una ragazza india, a lui sconosciuta, so- sua volontà? Credo che preferisse trascorrere tre giorni alla rilo<br />

per farle avere dei fondi governativi… dunque probabilmencerca di aneddoti e storie nei suoi libri, piuttosto che partire per<br />

te esiste, nel sub-continente, un ragazzo indio di cognome Pratt il giro del mondo.<br />

(origine bretone), non figlio di Hugo eppure segnato, come un L’avventura e gli avventurieri si sono ricongiunti a lui nella sua<br />

personaggio di Corto Maltese, dal fantastico meticciato tipico leggenda. <strong>La</strong> realtà talvolta è più terra terra. Come quando si è re-<br />

del pennino del Maestro…<br />

cato sulla tomba di Stevenson sull’isola di Apia, nell’Oceano Pa-<br />

Se ho voluto iniziare questa difficile ricognizione su Pratt con cifico. Mi ha raccontato che non ce la faceva, il sentiero era trop-<br />

la frase — perfetta — di Manara, è perché la parola “libertà” po ripido, gli mancava il fiato. Ha finito per sorvolare la tomba<br />

esprime lo smisurato Hugo, e la sua opera, come nessun’altra. dello scrittore in elicottero...<br />

(segue nelle pagine successive)<br />

(segue nelle pagine successive)<br />

la società<br />

L’America e i bambini in carriera<br />

ALEXANDER STILLE<br />

la memoria<br />

Le vite parallele di Churchill e Gandhi<br />

FEDERICO RAMPINI<br />

cultura<br />

Gli amori di carta di Cesare Pavese<br />

NELLO AJELLO e MASSIMO NOVELLI<br />

spettacoli<br />

L’Inferno secondo Zeffirelli<br />

LEONETTA BENTIVOGLIO<br />

l’incontro<br />

Lorenzo Jovanotti, ragazzo cresciuto<br />

GIUSEPPE VIDETTI<br />

<strong>Repubblica</strong> Nazionale<br />

ILLUSTRAZIONE HUGO PRATT/ COLLEZIONE PARTICOLARE SILVINA PRATT / © CONG SA, LUSANNE


28 LA DOMENICA <strong>DI</strong> REPUBBLICA DOMENICA 6 LUGLIO 2008<br />

la copertina<br />

Genitori e figli<br />

MICHELE SERRA<br />

SILVINA PRATT<br />

(segue dalla copertina)<br />

Libertà cercata costi quello che costi, libertà come<br />

miraggio e come ossessione, libertà imposta a se<br />

stesso e inflitta agli altri, libertà di artista tanto celebrato<br />

quanto dissoluto (ai figli non ha lasciato eredità,<br />

se non il suo monumentale ricordo), libertà<br />

politica che gli costò qualche ridicola accusa di “fascismo”,<br />

lui innamorato della cultura ebraica, antirazzista fino<br />

al midollo, anarchico, odiatore di ogni pensiero massificato. Infine,<br />

libertà umana inflitta agli altri, e a se stesso, con una determinazione<br />

quasi disperata, dividendo con chi amava e lo ha<br />

amato l’intero prezzo della solitudine e degli abbandoni.<br />

Questo Pratt privato, affascinante quanto ingombrante, sensibile<br />

quanto fuggiasco, emerge con intensità quasi straziante<br />

dal libro della figlia Silvina, pubblicato in Francia tre anni fa e ora<br />

tradotto in italiano. Libro dolcissimo, intenso, intimo, gremito di<br />

fotografie e disegni, spasmodico tentativo di una figlia di ridare<br />

“il posto giusto” a cotanto padre, e a se stessa, attraverso una collazione<br />

di ricordi, impliciti rimproveri, dichiarazioni d’amore,<br />

lucide confidenze sulla difficoltà estrema di mantenere intatto<br />

un rapporto intermittente, frantumato, difficilissimo.<br />

Pratt non sopportava che lo si chiamasse papà, dal concetto<br />

di famiglia era terrorizzato quanto era attratto dalla necessità di<br />

un baricentro affettivo che lo confortasse al ritorno dalle sue infinite<br />

partenze, il classico marinaio che cerca il porto per rifuggirne<br />

subito, irrequieto, febbrile, imprendibile. Pratt spedisce<br />

moglie e figli in altre città, avamposto della sua smania di cambiare,<br />

sperimentarsi altrove, e il raggiunge solo mesi dopo. Pratt<br />

quando c’è monopolizza la scena, canta, suona, disegna, parla,<br />

mangia, beve, racconta, discute, ride, riceve amici, si fa massaggiare<br />

i piedi, quando non c’è apre un vuoto pari alla sua colossale<br />

presenza. Egoista, si direbbe banalmente, se il suo ego seduttore,<br />

coinvolgente anzi travolgente, il suo fascino di grande viaggiatore<br />

e di artista indiscusso, non soverchiasse perfino quella<br />

parola: il mondo pullula di egoisti silenti e sfuggenti, di egoismi<br />

che non lasciano traccia, che feriscono solo per viltà. Non così il<br />

padre di Jonas, Lucas, Marina e Silvina Pratt, che di tracce (e di<br />

cocci, di dolori, di gioie, di figli) ha disseminato il suo viaggio.<br />

Tanto che il libro, che avrebbe potuto intitolarsi Senza Hugoper<br />

quante sono le mancanze di Pratt nei confronti dei suoi, si chiama<br />

al contrario Con Hugo, rivendicando in ogni pagina, quasi in<br />

ogni riga, la potenza e la fertilità dell’uomo, la sua presenza magnetica<br />

anche quando scompariva senza dare notizia di sé. Il<br />

classico “neanche una cartolina”.<br />

«Per seguire la sua vocazione di vita, le sue chiamate — racconta<br />

ancora Milo Manara — non si peritava di mollare lì chiunque<br />

e qualunque cosa. Famiglie, persone, amici. Credo di essere<br />

stato uno di quelli che lui sopportava meglio, perché conoscevo<br />

a fondo il suo carattere, i suoi modi cangianti, e capivo di<br />

dovermene andare un istante prima che me lo dicesse lui. Ave-<br />

(segue dalla copertina)<br />

Mio padre era uno con la parlantina sciolta,<br />

sempre pronto ad abbellire la verità. Voleva<br />

trasformare e correggere ogni cosa, il suo<br />

nome, il suo passato, la sua famiglia, le sue<br />

origini, i suoi figli. <strong>La</strong> realtà doveva apparirgli<br />

troppo scialba. <strong>La</strong> realtà della minuscola<br />

bottega di pedicure di suo nonno e l’odore di piedi. <strong>La</strong><br />

realtà di tutti quegli adulti stipati nell’appartamento di famiglia<br />

a Venezia, tutte quelle donne, sua madre, le zie, la nonna,<br />

e tutti quegli uomini che vanno e vengono nelle loro<br />

uniformi militari. A tavola,<br />

gli adulti e lui, il<br />

solo bambino, che si<br />

rifugia nel suo mondo<br />

grazie ai fumetti americani,<br />

un altro mondo,<br />

un mondo ancora<br />

da scoprire. [...]<br />

Mi raccontava che<br />

un giorno sua madre<br />

aveva buttato<br />

nella spazzatura i<br />

suoi fumetti e i suoi<br />

disegni infantili. Di<br />

fronte alla sua collera,<br />

gli aveva chiesto<br />

se preferisse<br />

essere piccolo nel<br />

mondo dei grandi<br />

o grande nel<br />

mondo dei piccoli.<br />

Hugo aveva<br />

risposto senza<br />

esitazioni:<br />

«Grande nel<br />

mondo dei piccoli!» [...]<br />

Imparare a nuotare.Prima di tutto c’è il sentiero tra le “canne”,<br />

gli alti bambù. Il calore toglie il fiato e la luce è abbacinante.<br />

Si sente il canto dei grilli, facciamo lo slalom tra le pozzanghere<br />

di fanghiglia quasi secca nelle quali si dimenano i<br />

girini. Raccogliamo queste piccole creature nere per vederle<br />

trasformarsi in rane grigie, ma nel giro di qualche giorno le<br />

rondini vi planano sopra. Questo sentiero non è più lungo di<br />

Travolgente, appassionato, geniale. Ma anche assente,<br />

ossessionato dalla noia, sempre in fuga. In un libro<br />

di ricordi, Silvina Pratt parla del padre. Di come nacque<br />

“Una ballata del mare salato”, di come lui disegnava<br />

tavole in bianco e nero che lei colorava. Di come<br />

fu difficile lasciarlo andare via per sempre<br />

va terrore di una cosa soltanto: la noia. Appena una situazione<br />

gli risultava deprimente, stagnante, poco espressiva, inutile alla<br />

sua ispirazione artistica, prendeva e se ne andava. Credo che<br />

solo un artista possa capire questa smania così monopolizzante,<br />

questa obbedienza esclusiva alla propria arte. Viveva solo per<br />

salvaguardare la sua opera, e dunque l’artista che la animava».<br />

«Era affascinante e insopportabile. Durissimo. Possedeva diplomazia<br />

in dose zero, era capace di essere il più socievole degli<br />

amici, il più travolgente degli showman, e appena dopo chiudersi<br />

del tutto, respingere chiunque. Era come il mare, il mare<br />

che lui ha tanto disegnato, lo stesso fascino e la stessa imprevedibilità,<br />

calmo e ospitale e un attimo dopo cupo e pericoloso».<br />

Pratt era stato adolescente in Etiopia, figlio della colonizzazione<br />

fascista. Ma evidentemente si era lasciato segnare, in quel<br />

frangente, da volti, costumi, lingue e suoni che l’artista saprà trasformare,<br />

con miracoloso talento, in una sorta di cosmopolitismo<br />

umanitario modernissimo, quasi visionario nella capacità<br />

di intrecciare nelle sue storie tutte o quasi le razze, le religioni, le<br />

credenze politiche del pianeta. Tutte le sue storie sono incroci<br />

di culture, crocevia di razze, faccia a faccia tra i formidabili pro-<br />

Un uomo condannato<br />

alla libertà<br />

tra viaggi e ritorni<br />

fili, gli sguardi taglienti che Pratt tracciava sulla pagina.<br />

Corto Maltese, il suo eroe marinaio pubblicato e tradotto in<br />

quasi tutte le terre del mondo da lui raggiunte via mare, è «figlio<br />

di una gitana andalusa e di un marinaio bretone, nato a Malta e<br />

trascinato in <strong>La</strong>guna». Pure se entro i confini epici (e dunque non<br />

retorici) del romanzo d’avventura, Corto non ha altra chiave se<br />

non questa: il mondo è uno e gli uomini si rassomigliano anche<br />

quando si odiano e si combattono. L’afflato che li unisce è l’insaziabile<br />

bisogno di scoprire e di scoprirsi. Di partire e tornare.<br />

Di vivere.<br />

Quando Pratt, negli anni Settanta, avverte il pregiudizio politico<br />

contro il vitalismo di Corto (e suo), e si rende conto che il fumetto<br />

avventuroso è considerato un genere “d’evasione”, l’esatto<br />

opposto dell’“impegno”, non fa una piega. Non partecipa<br />

al dibattito su se stesso. Si limita a fare osservare agli intimi che<br />

gli basta e gli avanza l’Ulisse di Dante, «fatti non foste a viver come<br />

bruti, ma per seguir virtute e canoscenza», per considerare<br />

il viaggio e l’avventura come un genere «rivoluzionario, addirittura<br />

eversivo». E quanto all’“evasione”, faceva notare beffardo<br />

che la parola era ottima perché gli suggeriva piuttosto la fuga dal<br />

carcere, e la sete di libertà.<br />

Manara ricorda qualche breve discussione, subito troncata<br />

Una vita con Corto Maltese<br />

una decina di metri, ma è tutto il nostro mondo.<br />

Abbiamo le pinne ai piedi e Hugo ci trascina dove noi non<br />

tocchiamo. Per prendere fiato, di tanto in tanto ci aggrappiamo<br />

a lui, alla sua grande pancia, alle braccia ricoperte di<br />

lentiggini. [...] Poi Hugo rientra tutto solo nel suo grande studio<br />

al pianoterra, per starsene tranquillo e disegnare. Per<br />

quanto i miei ricordi riescano a portarmi indietro nel tempo,<br />

so che mio padre è un disegnatore, mi sembra di averlo sempre<br />

saputo. Devo avere due o tre anni. [...] Lo vedo seduto davanti<br />

alla pagina in corso di realizzazione, affonda il pennello<br />

in un vasetto di vetro. Sul tavolo ci sono dei pennini e l’inchiostro<br />

di china. Si sente un sottofondo musicale, come in<br />

sordina. Lui non parla, è concentrato sul suo lavoro. Sta disegnando<br />

la prima tavola di Una ballata del mare salato.<br />

Corto è attaccato a una zattera naufragata in mezzo all’immensità<br />

dell’oceano. Il mio primo ricordo di mio padre<br />

disegnatore. [...]<br />

Lo chiamai “papà”<br />

solo una volta<br />

Disse: non azzardarti<br />

Papà. Noi non lo chiamiamo mai “papà”, nessuno dei suoi<br />

figli l’ha mai chiamato “papà”. Personalmente, faccio un<br />

tentativo verso i quattro o cinque anni. Sono per strada con i<br />

miei amici sotto la nostra abitazione. Hugo mi chiama per<br />

dirmi di tornare a casa. Gli rispondo: «Sì, PAPÀ». Lui non dice<br />

niente, ma si volta di scatto, come se avesse preso la scossa.<br />

Saliamo le scale di marmo, tre piani, senza una parola. Arrivati<br />

a casa, finalmente mi risponde. Se mi azzardo di nuovo<br />

a chiamarlo “papà”, giura di trattarmi come una vecchia<br />

cornacchia puzzolente davanti a tutti!<br />

Avrei dovuto insistere!<br />

Per un “figlio della lupa”, nipote del fondatore del movimento<br />

fascista a Venezia, probabilmente è meglio diventare<br />

un “duro” il più presto possibile. Figlio unico, maschio, circondato<br />

da donne di carattere, Hugo nutriva una grandissima<br />

ammirazione per gli uomini di famiglia. [...] Soldato adolescente,<br />

partito per la guerra in Africa, ha visto suo padre imprigionato<br />

e poi, malato, morire in un campo. Hugo aveva solo<br />

sedici anni quando ha lasciato la terra d’Africa senza suo<br />

padre. [...]<br />

da Pratt, con giovani estremisti che gli contestavano il presunto<br />

disimpegno politico: per lui l’avventura era in sé una dichiarazione<br />

politica, presupposto di una condizione umana libera e<br />

aperta al nuovo, agli orizzonti sconosciuti, alle persone ignote.<br />

Sempre Manara annota in margine (e condivido senz’altro) che<br />

molti dei critici di allora di Pratt, all’epoca ferrei tutori dell’ideologia<br />

comunista, sono poi tranquillamente approdati alla destra<br />

e al potere. Un lungo viaggio anche quello, chissà se Pratt lo<br />

avrebbe voluto e saputo disegnare…<br />

Le fotografie (tante) del libro di Silvina ci mostrano un uomo<br />

di notevole bellezza, appesantito dalle infinite mangiate e bevute<br />

(al ristorante — ricorda la figlia — dopo avere finito la cena<br />

sosteneva che bisognava cominciare daccapo). Nonostante la<br />

pesantezza e i bagordi, il volto riesce ancora a rammentare i tratti<br />

giovanili, virili e regolari, da attore cinematografico, che Pratt<br />

in qualche modo provò a riportare sulla carta attribuendoli a<br />

Corto, che lui riteneva essere «un incrocio tra me e Burt <strong>La</strong>ncaster,<br />

il solo che potrebbe interpretarlo al cinema». Il suo alter ego<br />

disegnato, per dire il vero, accentuava, di Pratt, l’aria latina. Molti<br />

volti dei suoi personaggi erano «presi dalla vita», a cominciare<br />

da Anna della Giungla (uno dei suoi primi eroi) che era visibilmente<br />

ispirata alla seconda moglie (la madre di Silvina) Anne<br />

Frognier, una adolescente belga che Hugo, già sposato, conobbe<br />

a Buenos Aires, innamorandosene per la vita anche se con<br />

l’intermittenza nevrotica del suo andirivieni per il mondo.<br />

Rimarrebbe da spiegare qualcosa del talento artistico di uno<br />

dei più grandi disegnatori del secolo scorso, che ha influenzato<br />

fortemente decine di disegnatori (in Italia, oltre a Manara, certamente<br />

l’Andrea Pazienza meno satirico e più pensoso). Manara<br />

lo definisce «un sottrazionista». Nel senso che la sua pagina,<br />

anno dopo anno, periodo dopo periodo, si libera lentamente<br />

dei chiaroscuri e degli ornamenti delle tavole giovanili, fino ad<br />

assumere una misteriosa, ineffabile purezza. Il Pacifico, l’ultimo<br />

Pacifico di Corto, è appena una linea, un orizzonte, eppure<br />

contiene il mare, il sole e il cielo per intero. I suoi volti — soprattutto<br />

i suoi profili — sono una specie di miracolo di semplicità,<br />

una linea appena che scorre dai capelli al mento eppure indica<br />

perfettamente un prototipo razziale, un carattere, uno sguardo<br />

sulla Terra.<br />

Molto del suo meglio nacque nella casa di Malamocco, estremità<br />

del Lido, racchiusa tra il mare aperto e la laguna, quasi appoggiata<br />

sugli scogli, una prua, un invito al viaggio. Silvina Pratt<br />

ricorda quell’appartamento con pagine tra le più intense, il senso<br />

di mare e di sconfinatezza, il senso di casa e di raccoglimento.<br />

I due sensi che diedero movimento e anima a Hugo Pratt e alla<br />

sua opera, quello della partenza e quello del ritorno, l’eterna<br />

odissea, il mare che accoglie e respinge, l’amore che aspetta, la<br />

miracolosa, dolorosa pazienza femminile. I cassetti con le fotografie<br />

che tanto tempo dopo una donna (una moglie, una figlia)<br />

raccoglie e vivifica. Infinite Penelopi sorreggono il viaggio di<br />

Ulisse, cercando anche senza l’illusione di trovarlo un bandolo,<br />

uno scopo, una direzione in quella linea sottile, infinita, che<br />

chiamiamo orizzonte.<br />

Con Hugo si hanno sempre impressioni talmente mutevoli<br />

che sembra di essere sulle montagne russe. Il rosso e il<br />

nero, il caldo e il freddo, dalla felicità all’aridità. [...] Con i suoi<br />

occhi blu di ferro, acuti come scalpelli, che ti scandagliano e<br />

trafiggono il cuore, Hugo riesce a far abbassare lo sguardo altrui<br />

e può anche far piangere per un sì o per un no. È consapevole<br />

del suo ascendente sugli altri e non se ne rallegra, anzi,<br />

a volte ne è addirittura furioso e triste. [...]<br />

In viaggio.Mi ricordo di un lungo viaggio con la famiglia. Devo<br />

avere a malapena una decina d’anni, sono le vacanze estive,<br />

ci troviamo in macchina e guida la mamma. Percorriamo<br />

la costa spagnola, attraversiamo l’Andalusia per poi terminare<br />

il nostro periplo in Portogallo. Ricordo le autostrade sotto<br />

il sole. <strong>La</strong> sera ci fermiamo in alberghi con piscina. A Cordoba<br />

la piscina è sul tetto dell’hotel. Nuotiamo sotto il sole<br />

ormai al tramonto ma ancora caldo; degli uccelli ci planano<br />

intorno e le campane di una chiesa suonano a distesa. Uno<br />

di quei momenti che non si possono dimenticare… Sempre<br />

a Cordoba, Hugo ci fa cercare la statua del filosofo arabo Maimonide.<br />

Tocchiamo la sua babbuccia e ciascuno di noi esprime<br />

un desiderio. Sulla costa portoghese mi ricordo di un<br />

enorme castello bianco costruito sul bordo di una falesia a<br />

picco sulle scogliere. È un ristorante. Di gran classe.<br />

<strong>La</strong> sala è vuota, come se stesse aspettando solo il nostro arrivo<br />

per animarsi. I camerieri in divisa bianca vengono subito<br />

ad accoglierci e sono pieni di premure. Io ordino delle cozze.<br />

Le mangio con le mani e per Hugo è un’onta terribile, in<br />

un ambiente tanto signorile! Lui può permettersi di tutto al<br />

ristorante: può scoreggiare, ruttare, fare qualsiasi cosa per<br />

metterci a disagio o far ridere i presenti, ma io no, neanche<br />

per sogno! Sua figlia deve mangiare con la delicatezza di una<br />

principessa…<br />

In effetti, ricordo che disegna principesse, marchese e ogni<br />

sorta di altri personaggi. Sono in bianco e nero perché io possa<br />

colorarli. Cerco di non uscire dai contorni e lui è particolarmente<br />

attento alle mie scelte cromatiche… I viaggi fatti insieme<br />

restano nei miei ricordi come bolle di felicità. In quei<br />

momenti nostro padre è tutto per noi. Ogni giorno. Ogni ora.<br />

Dirige le operazioni, ci vuole mostrare delle cose, condividerle<br />

con noi, desidera che amiamo quello che lui ama. [...]<br />

Arrivederci.Prima di sprofondare nel coma, le ultime parole<br />

che mi ha detto sono state: «Non ti preoccupare, tuo padre<br />

sarà sempre al tuo fianco…». Questa frase è senza dubbio la<br />

cosa più importante e concreta che mi abbia lasciato, quella<br />

che mi permette di battermi ancora oggi, nonostante tutto.<br />

Arrivederci.<br />

(© Marsilio Editori Spa, Venezia)<br />

<strong>Repubblica</strong> Nazionale


DOMENICA 6 LUGLIO 2008<br />

IL LIBRO<br />

Con Hugo Il creatore<br />

di Corto Maltese<br />

raccontato dalla figlia,<br />

è il libro di Silvina Pratt<br />

edito da Marsilio (256<br />

pagine,16 euro)<br />

e corredato da un ricco<br />

apparato di disegni<br />

inediti e foto private<br />

(alcuni riprodotti<br />

nelle pagine). Il volume<br />

sarà in libreria l’8 luglio<br />

e verrà presentato<br />

lo stesso giorno<br />

alle 18.30<br />

a Venezia al Museo<br />

di Ca’ Rezzonico<br />

FOTO COLLEZIONE PARTICOLARE SILVINA PRATT / © CONG SA, LUSANNE<br />

LE FOTO<br />

Le foto<br />

di queste pagine<br />

che ritraggono<br />

Silvina da bambina<br />

e Hugo Pratt<br />

con i figli<br />

provengono<br />

dalla collezione<br />

particolare<br />

Silvina Pratt /<br />

© Cong SA,<br />

Lusanne<br />

LA DOMENICA <strong>DI</strong> REPUBBLICA 29<br />

I <strong>DI</strong>SEGNI<br />

Il disegno di copertina è Silvina<br />

disegnata da Pratt; qui accanto,<br />

ancora Silvina vista dal padre e uno schizzo<br />

di donna del ’74; a sinistra in basso,<br />

altri disegni di Pratt sempre tratti dal libro<br />

Con Hugo. Per tutte queste immagini<br />

© Cong SA, <strong>La</strong>usanne. In alto a sinistra,<br />

un ritratto di Pratt fatto dal figlio Jonas<br />

(Collezione particolare Silvina Pratt /<br />

© Cong SA, <strong>La</strong>usanne)<br />

Il disegno grande è Corto Maltese<br />

<strong>Repubblica</strong> Nazionale


30 LA DOMENICA <strong>DI</strong> REPUBBLICA DOMENICA 6 LUGLIO 2008<br />

la società<br />

Vita americana<br />

ALEXANDER STILLE<br />

NEW YORK<br />

<strong>La</strong> follia comincia subito dopo<br />

il lieto evento. «A quale<br />

scuola materna lo manderai?»,<br />

ti senti già chiedere. C’è<br />

gente che mette i figli in lista di attesa per<br />

l’asilo appena nati. E non è una pura leggenda<br />

metropolitana. Ho fatto domanda<br />

per iscrivere mio figlio a una scuola materna<br />

molto gettonata con undici mesi di<br />

anticipo, ma era già troppo tardi. Un mio<br />

collega è andato assieme alla moglie a vedere<br />

ben quindici asili diversi per essere<br />

certo di scegliere bene. E non stiamo parlando<br />

di scuola vera e propria: all’asilo i<br />

bambini non imparano a leggere e a scrivere,<br />

per lo più giocano. <strong>La</strong> selezione avviene<br />

attraverso una cosiddetta “intervista”.<br />

Il bimbo di tre anni viene fatto “giocare”<br />

una mezz’ora sotto gli occhi del<br />

personale dell’asilo. Il clima generale<br />

porta il genitore a pensare che se il figlio<br />

non frequenterà il nido giusto, l’asilo giusto<br />

e poi le elementari giuste non riuscirà<br />

mai a entrare a Harvard o a Yale o in una<br />

delle università che sono garanzia di un<br />

futuro brillante.<br />

<strong>La</strong> competizione per l’ammissione alle<br />

materne e alle elementari migliori è<br />

spietata sia nel pubblico che nel privato.<br />

I costi di questa corsa agli armamenti nel<br />

campo dell’istruzione sono sbalorditivi.<br />

Per mandare un figlio ad una buona materna<br />

privata tre ore al giorno si spendono<br />

12mila dollari. <strong>La</strong> scuola vera e propria,<br />

a partire dai cinque anni, è molto più<br />

cara: oggi come oggi la retta media si aggira<br />

sui 30mila dollari l’anno, 32mila per<br />

le elementari alla Dalton School, una delle<br />

migliori e più “in” di New York. Le famiglie<br />

fanno sacrifici enormi, vivono in<br />

tre stanze per riuscire a pagare 50mila<br />

dollari l’anno di retta.<br />

In una certa misura questa straordinaria<br />

competizione è un sottoprodotto culturale<br />

della fase di capitalismo selvaggio<br />

che stiamo vivendo, caratterizzata da<br />

crescenti ineguaglianze, salari in stagnazione<br />

o in calo e incredibili, stratosferici<br />

guadagni per pochi. Ad esempio nel 2007<br />

il reddito dei contribuenti più ricchi (l’un<br />

per cento del totale) è arrivato a 1,2 milioni<br />

di dollari, con un incremento annuo di<br />

circa 139mila dollari, pari al quattordici<br />

per cento, mentre il reddito del novanta<br />

Bambini in carriera<br />

per cento della popolazione ha subito un<br />

calo reale. I trecentomila americani più<br />

ricchi hanno incassato quanto centocinquanta<br />

milioni di contribuenti meno abbienti,<br />

raddoppiando la loro quota di<br />

reddito nazionale rispetto al 1980.<br />

È proprio questa realtà sociale, caratterizzata<br />

da una feroce competizione e<br />

da una fortissima polarizzazione tra<br />

“vincenti” e “perdenti” che a mio parere<br />

scatena la follia collettiva attorno all’educazione<br />

e all’istruzione dei figli. L’istruzione<br />

ha un ruolo cruciale nelle prospettive<br />

economiche di un individuo. Nel<br />

1980 un laureato guadagnava solo circa il<br />

trenta per cento in più rispetto a un diplomato.<br />

Aveva senso allora decidere di<br />

andare a lavorare subito dopo le superiori<br />

e iniziare a guadagnare quattro anni<br />

prima rispetto a un universitario. Ma oggi<br />

che le fabbriche chiudono e si è passati<br />

a un’economia post-industriale, basata<br />

sulla conoscenza, la laurea può rendere<br />

molto di più. Oggi un laureato guadagna<br />

il sessanta per cento in più di chi ha<br />

iniziato a lavorare dopo il diploma. I laureati<br />

in legge, medicina, ingegneria e economia<br />

guadagnano fino a cinque volte<br />

tanto.<br />

Tutto ciò fornisce una patina di razionalità<br />

a una cultura dell’infanzia sempre<br />

più folle. Sulle paure e le speranze dei genitori<br />

di oggi è nata una vera e propria industria.<br />

<strong>La</strong> corsa verso l’eccellenza inizia<br />

già nell’utero e si fa sempre più agguerrita.<br />

Qualche anno fa venne messo in commercio<br />

il BabyPlus, un sistema mirato a<br />

inviare suoni al feto nel grembo materno.<br />

«Il sistema sonoro BabyPlus avvia un<br />

processo di apprendimento graduale<br />

basato su ritmi naturali dell’ambiente<br />

del bambino», spiega il sito web del produttore<br />

e promette «tappe di sviluppo<br />

più precoci, maggiori capacità cognitive,<br />

tempi di attenzione più lunghi» e «una<br />

precoce maturazione scolastica». Per<br />

non parlare della Baby Einstein, produttrice<br />

di dvd per bebè di pochi mesi, nata<br />

nel 1997 e oggi colosso miliardario. Circa<br />

BRAVI SCOLARI<br />

Qui sopra, alzabandiera in una scuola elementare del New Mexico. In alto, nella foto grande,<br />

preghiera in una scuola elementare di Dallas, Texas; a destra, dall’alto: genitori e figli al liceo<br />

di Toms River, New Jersey; scolara alla lavagna in una scuola elementare di Oklahoma City<br />

un terzo dei bambini americani ha guardato<br />

i suoi video dai titoli lusinghieri:<br />

Baby Mozart, Baby Bach, Baby Van Gogh.<br />

Questa fiorente industria si basa sul discutibile<br />

presupposto scientifico che i<br />

bambini nei primi tre anni di vita siano<br />

particolarmente sensibili agli influssi<br />

esterni. Bisogna approfittare di questa<br />

“finestra” aperta per puntare all’eccellenza<br />

futura. Una volta chiusa, il destino<br />

è inevitabilmente la mediocrità. Peccato<br />

che questa tesi abbia basi fragili o decisamente<br />

errate. Nel 1993 due ricercatori<br />

scoprirono il cosiddetto “effetto Mo-<br />

È la fortissima<br />

polarizzazione sociale<br />

tra “vincenti”<br />

e “perdenti”<br />

a scatenare la lotta<br />

zart”: un piccolo numero di studenti si dimostrò<br />

più brillante in un test dopo aver<br />

ascoltato Mozart. Si trattava però di studenti<br />

universitari, la musica quindi non<br />

aveva avuto un impatto sulla formazione<br />

del cervello; altri studi, alcuni degli stessi<br />

autori, non hanno registrato lo stesso esito<br />

riproducendo l’esperimento. «Non<br />

esistono dati scientifici a indicare che l’ascolto<br />

di Mozart renda più “intelligenti” i<br />

neonati», ha dichiarato Frances Rauscher,<br />

uno degli autori del primo studio.<br />

In realtà uno studio condotto dall’American<br />

Pediatric Association ha dimostrato<br />

che, contrariamente a quanto sostenuto<br />

dalla Baby Einstein, mostrare video<br />

a bambini di età inferiore ai due anni è<br />

nocivo. Non sorprende che questi video<br />

pubblicizzati come mezzo per creare dei<br />

piccoli geni in realtà non sono altro che<br />

una nuova baby-sitter elettronica.<br />

Parallela alla competizione per le<br />

scuole migliori fiorisce l’industria delle<br />

attività extrascolastiche: musica, calcio,<br />

danza, scacchi, taekwon-do e così via.<br />

«Non ne posso più», mi ha detto tempo fa<br />

la mia amica Martha, «tutti i nostri soldi<br />

vanno a finire nella retta scolastica, nonostante<br />

i sussidi che riceviamo. E poi c’è<br />

la lotta per le lezioni di piano, di pattinaggio<br />

sul ghiaccio, di danza classica. Sto riflettendo<br />

se andarmene da New York solo<br />

per sfuggire a tutto questo».<br />

Visto che ormai è considerato necessario<br />

stimolare al massimo i bambini per<br />

ottimizzarne lo sviluppo cognitivo, l’infanzia<br />

e i giochi di una volta non esistono<br />

più. Già a tredici-quattordici anni i ragazzi<br />

sono dei semi-professionisti, impegnati<br />

a costruirsi un curriculum per gli<br />

esami di ammissione al college. Mio nipote<br />

ha diciannove anni ed ha superato il<br />

Sat (l’esame che normalmente si fa a diciassette<br />

anni per entrare all’università)<br />

a soli tredici anni. Durante i quattro anni<br />

delle superiori ha partecipato a tre diversi<br />

“campi” estivi, gestiti dalle università.<br />

Un’estate l’ha passata a Oxford ad approfondire<br />

il tema dittatura e democra-<br />

<strong>Repubblica</strong> Nazionale


DOMENICA 6 LUGLIO 2008<br />

450 costo medio in euro<br />

di un figlio alla scuola<br />

materna in Italia<br />

zia. Fortunatamente non si è trasformato<br />

in un mostro e le sue fatiche sono state<br />

premiate con l’ammissione alla Columbia<br />

University.<br />

Nell’era della globalizzazione e di Internet<br />

le migliori scuole e università della<br />

costa est degli Stati Uniti attraggono<br />

studenti da tutto il Paese e da tutto il mondo,<br />

rendendo la competizione per entrare<br />

ancora più agguerrita. Quasi il venti<br />

per cento degli studenti delle scuole superiori<br />

americane spende dai quattrocento<br />

ai duemila dollari per frequentare<br />

corsi particolari, mirati ad alzare il punteggio<br />

per i temuti Sat. È nata una vera e<br />

propria industria di insegnanti pagati per<br />

250 costo medio in euro<br />

di un figlio alla scuola<br />

elementare in Italia<br />

aiutare gli studenti a prepararsi agli esami<br />

di ammissione al college. Un reportage<br />

del New York Times ha raccontato gli<br />

sforzi di una famiglia per garantire al figlio<br />

l’ammissione all’Università della<br />

Pennsylvania. Fieri del suo punteggio altissimo,<br />

hanno scoperto che era il punteggio<br />

medio degli ammessi.<br />

Per la folle competizione accademica<br />

non basta che gli studenti eccellano nelle<br />

materie di studio, devono anche costruirsi<br />

un “profilo”, una storia personale<br />

attraverso attività extrascolastiche che<br />

li renda candidati “interessanti”, e li metta<br />

in luce tra gli studenti migliori. Così c’è<br />

chi già dalle superiori fa assistenza ai<br />

FOTO MAGNUM/CONTRASTO<br />

A New York la follia comincia subito dopo il lieto evento<br />

I genitori sono indotti a pensare che se il figlio<br />

non frequenterà il nido giusto, l’asilo giusto<br />

e poi le elementari giuste, non riuscirà mai a entrare<br />

a Harvard o a Yale. <strong>La</strong> competizione è spietata,<br />

i costi per le famiglie sono sbalorditivi<br />

110-360<br />

spesa in euro per il corredo<br />

scolastico di un figlio<br />

alle elementari in Italia<br />

1700 costo medio in euro<br />

di un figlio in prima<br />

media in Italia<br />

Quarant’anni fa<br />

le matricole volevano<br />

una filosofia di vita<br />

Oggi invece<br />

un lavoro ben pagato<br />

400 costo medio in euro<br />

di un figlio in seconda<br />

o in terza media in Italia<br />

bambini svantaggiati, suona il flauto in<br />

un gruppo musicale professionistico, va<br />

a ricostruire le case per le vittime dell’uragano<br />

di New Orleans oppure impara lo<br />

spagnolo lavorando per le associazioni a<br />

difesa dei diritti umani in Guatemala. <strong>La</strong><br />

figlia sedicenne di una mia cugina ora è in<br />

Malawi per un progetto di microcredito<br />

destinato alle donne povere. Il prossimo<br />

anno sarà in collegio in Sud Africa. Alla<br />

base c’è un reale interesse da parte della<br />

ragazza, ma di certo queste esperienze le<br />

serviranno ad emergere tra compagni di<br />

università di altissimo livello.<br />

Gli studenti devono mostrare aspirazioni<br />

idealistiche in un mondo sempre<br />

• BORSE, NON C'È LUCE IN FONDO AL TUNNEL<br />

<strong>La</strong> crisi è esplosa l'estate scorsa, ma dopo un anno non siamo ancora alla fine. Tutte le nubi sul futuro dei mercati<br />

• POLONIA, LA TIGRE D'EUROPA<br />

Il pil cresce a ritmi cinesi, l'inflazione è stata debellata: un paese stabile che attira sempre più capitali esteri<br />

• TV, RALLENTA LA “PAY” E SU INTERNET NON DECOLLA<br />

<strong>La</strong> pubblicità è pronta a spostarsi sul nuovo media ma l'offerta di Iptv è ancora limitata<br />

• MPS E UNIPOL, LA FINE DELLA FINANZA ROSSA<br />

Siena esce da Finsoe, ora i destini sono separati. I progetti della banca e della compagnia<br />

Nel numero in edicola domani con<br />

LA DOMENICA <strong>DI</strong> REPUBBLICA 31<br />

800 costo medio in euro<br />

di un figlio al primo anno<br />

delle superiori in Italia<br />

più dominato dal denaro e dalla pressione<br />

economica. <strong>La</strong> rivista degli studenti di<br />

Harvard indica che circa il cinquanta per<br />

cento dei giovani laureati è intenzionato<br />

a entrare nel mondo della finanza. Quarant’anni<br />

fa il primo obiettivo delle matricole<br />

era acquisire una «filosofia di vita»,<br />

mentre l’aspirazione a un lavoro ben<br />

retribuito era all’ultimo posto. Oggi i valori<br />

si sono invertiti.<br />

È sorprendente quanti ragazzi intelligenti,<br />

interessanti e idealisti si incontrino<br />

nei campus americani, peccato che debbano<br />

sostenere pressioni così straordinariamente<br />

intense.<br />

Traduzione di Emilia Benghi<br />

<strong>Repubblica</strong> Nazionale


32 LA DOMENICA <strong>DI</strong> REPUBBLICA DOMENICA 6 LUGLIO 2008<br />

la memoria<br />

Leader allo specchio<br />

Uno apostolo della non violenza, l’altro vincitore<br />

della guerra mondiale. Uno simbolo del dialogo, l’altro<br />

paladino della superiorità europea. Plasmarono le loro<br />

nazioni e cambiarono il pianeta. Si incontrarono una volta,<br />

non si capirono mai. Una nuova biografia parallela<br />

li avvicina. Attraverso gli errori che commisero<br />

Il Mahatma e Sir Winston<br />

uniti solo nella sconfitta<br />

GRANDE ANIMA<br />

Mohandas Karamchand Gandhi (1869-1948)<br />

Èdifficile immaginare due vite parallele<br />

e al tempo stesso così diverse.<br />

Da una parte l’apostolo della<br />

non violenza; dall’altra un vincitore<br />

della Seconda guerra mondiale.<br />

Uno è il simbolo del dialogo<br />

fra le religioni e della tolleranza multietnica,<br />

l’altro è un paladino della superiorità europea.<br />

Per il primo la libertà è un dono di Dio;<br />

per il secondo è il valore supremo della civiltà<br />

occidentale. Gandhi e Churchill si sono visti<br />

di persona una sola volta, brevemente, nel<br />

1906 a Londra: un incontro fugace e insignificante.<br />

Hanno passato il resto della loro vita<br />

a non capirsi, a combattersi a distanza, cercando<br />

di trascinare la storia del Novecento in<br />

direzioni opposte.<br />

Mohandas Karamchand Gandhi nasce<br />

nel 1869 in una piccola città di provincia del<br />

Gujarat, a nord di Bombay, da una famiglia<br />

della casta dei banias(mercanti). Da bambino<br />

cresce coccolato dagli affetti familiari, ha<br />

una mamma devota che pratica lunghi digiuni<br />

e meticolosi riti nei templi induisti. In<br />

un ambiente impregnato di spiritualità,<br />

molti conoscenti e amici di famiglia sono<br />

giainisti, appartengono a una religione che<br />

insegna il vegetarianesimo e il rispetto di tutti<br />

gli esseri viventi: i fedeli più rigorosi si coprono<br />

la bocca con una mascherina per non<br />

inghiottire inavvertitamente dei moscerini.<br />

Secondo le consuetudini, all’età di tredici<br />

anni i genitori lo sposano con una bambina<br />

di loro scelta, figlia di un commerciante.<br />

Più giovane di cinque anni, nel 1874 Winston<br />

Leonard Spencer Churchill vede la luce<br />

in un ambiente che è davvero l’altra estremità<br />

del mondo. Nasce nel palazzo più grande<br />

d’Inghilterra dopo la dimora reale, il castello<br />

di Blenheim: 187 stanze. Tra i suoi avi<br />

annovera il primo duca di Marlborough, il<br />

generale le cui vittorie all’inizio dell’Ottocento<br />

hanno contribuito a costruire l’Impero<br />

britannico. A differenza di Gandhi il piccolo<br />

Churchill ha un’infanzia infelice. È trascurato<br />

dalla madre, impegnata con troppi<br />

amanti. Il padre Randolph è un politico brillante<br />

e ambizioso che ricambia la sconfinata<br />

ammirazione di Winston con il disprezzo,<br />

abbandona il figlio in collegio, e da vecchio<br />

viene distrutto dalla sifilide.<br />

GANDHI<br />

2 OTTOBRE 1869<br />

Nasce a Porbandar,<br />

una città di pescatori<br />

nell’attuale Gujarat,<br />

in India, Mohandas<br />

Karamchand Gandhi<br />

<strong>La</strong> famiglia è di religione<br />

giainista, ma il padre<br />

è induista<br />

1881<br />

All’età di tredici anni<br />

Ghandi sposa,<br />

con un matrimonio<br />

combinato secondo<br />

la tradizione indù,<br />

Kasturba, sua coetanea<br />

Avranno quattro figli,<br />

tutti maschi<br />

FEDERICO RAMPINI<br />

Churchill, nonostante<br />

la sua lucidità, non riuscì<br />

a capire Gandhi e lo definì<br />

“un avvocaticchio<br />

che si atteggia a fachiro”<br />

Il padre dell’indipendenza<br />

indiana si dimostrò<br />

incredibilmente ingenuo<br />

nei confronti del nazifascismo<br />

Agli ebrei tedeschi consigliò<br />

di “dimostrare che la forza<br />

di soffrire è un dono di Dio”<br />

Le strade di Gandhi e Churchill si avvicinano<br />

— senza veramente incrociarsi — per<br />

la prima volta in un paese lontano dall’India<br />

e dall’Inghilterra. È in Sudafrica che Gandhi<br />

fa carriera come avvocato e scopre la sua prima<br />

vocazione politica: difendere i diritti civili<br />

della minoranza indiana, immigrati colpiti<br />

dalle discriminazioni e dall’apartheid.<br />

Nella guerra dei Boeri (1899-1902) Gandhi<br />

aiuta gli inglesi creando un corpo di volontari<br />

indiani per soccorrere ai feriti. È la stessa<br />

guerra in cui Churchill si distingue per il<br />

suo eroismo militare combattendo in un<br />

reggimento di cavalleria degli ussari di Sua<br />

Maestà. Da lì si trasferisce in India, dove<br />

riempie i tempi morti della guarnigione studiando<br />

la storia dell’antica Roma di Gibbon,<br />

la storia inglese di Macaulay, e L’origine delle<br />

specie di Darwin.<br />

Per la prima volta oggi uno studioso si cimenta<br />

con il confronto tra due icone così<br />

universali e antitetiche, scrivendone le biografie<br />

incrociate. Arthur Herman ha appena<br />

pubblicato Gandhi and Churchill(editore<br />

Bantam, Londra e New York). Il sottotitolo<br />

è: L’epica rivalità che distrusse un impero<br />

e diede forma alla nostra epoca. Herman<br />

prende in contropiede la tradizione agiografica.<br />

Castiga il vizio di interpretare queste<br />

due vite nel modo più scontato, cioè partendo<br />

dall’apice della gloria per illuminare<br />

tutto il percorso dei due personaggi. Lui fa il<br />

contrario. Il massimo dell’attenzione la dedica<br />

alle loro sconfitte. Perché gli insuccessi<br />

di Gandhi e quelli di Churchill sono collegati<br />

fra loro. I due sono entrati in rotta di collisione<br />

anche per le loro speculari rigidità,<br />

l’incapacità di dialogare e di trovare dei<br />

compromessi. Forse furono simili proprio<br />

in questo: ebbero in comune una tenacia<br />

che sconfinava nell’ostinazione, visioni<br />

grandiose e profetiche che potevano diventare<br />

ossessive, monomaniacali. Dei loro<br />

trionfi sapevamo già quasi tutto. Sono giganti<br />

della storia che hanno plasmato due<br />

nazioni. Il loro irriducibile antagonismo è<br />

meno esplorato. I loro errori oggi ci incuriosiscono<br />

di più.<br />

Churchill è ricordato per la sua lucidità nel<br />

capire il pericolo nazista, la forza con cui trascina<br />

l’Inghilterra — per un tempo da sola —<br />

1885<br />

A diciassette anni,<br />

tre anni dopo la morte<br />

del padre, Gandhi parte<br />

per Londra per studiare<br />

da avvocato presso<br />

lo University College<br />

dove si laurea<br />

con facilità<br />

1893<br />

Tornato in India, Gandhi<br />

è incaricato di seguire<br />

una causa in Sudafrica<br />

Qui si batte contro<br />

l’apartheid e a difesa<br />

dei diritti degli indiani<br />

Fonda il Natal Indian<br />

Congress<br />

a resistere contro la travolgente avanzata<br />

delle potenze dell’Asse, per l’abilità che dispiega<br />

nel convincere Roosevelt a far scendere<br />

in campo l’America. È anche un notevole<br />

scrittore, premio Nobel della letteratura<br />

nel 1953 per la sua storia della Seconda<br />

guerra mondiale. Ma non riuscirà mai a capire<br />

Gandhi, che gli ispira solo irritazione. Lo<br />

definisce «un avvocaticchio che si atteggia a<br />

fachiro, una figura comune in Oriente». Per<br />

tutta la sua vita resta convinto che l’Impero<br />

britannico è una forza benefica, un pilastro<br />

di stabilità su cui fondare l’ordine internazionale,<br />

un maestro di progresso per i popoli<br />

dominati. Rifiuta l’idea dell’indipendenza<br />

indiana: «Non sono diventato primo ministro<br />

per presiedere allo smantellamento<br />

dell’Impero britannico». Bisogna aspettare<br />

che gli elettori inglesi lo caccino all’opposizione<br />

dopo la vittoria contro Hitler: l’India<br />

diventa sovrana nel 1947 quando a Londra<br />

governano i laburisti. Con un errore di valutazione<br />

storica che oggi sembra incredibile,<br />

Churchill ha una ripugnanza identica verso<br />

il nazismo, lo stalinismo e il gandhismo. Gli<br />

sembrano avere una caratteristica in comune,<br />

quello scatenamento di movimenti di<br />

massa che nel Novecento sconvolgono l’ordine<br />

costituito.<br />

Ispirandosi all’interpretazione di Gibbon<br />

sul ruolo della religione nella caduta<br />

dell’Impero romano, Churchill diffida della<br />

spiritualità a cui fa appello Gandhi. Nell’Impero<br />

britannico vede un potere disciplinante,<br />

che può portare modernità e libertà<br />

attraverso regole e istituzioni collaudate.<br />

È l’unico statista mondiale a non<br />

esprimere le sue condoglianze per l’assassinio<br />

del Mahatma nel 1948. Quell’uccisione<br />

gli appare, scrive Herman, «solo un morto in<br />

più nella lunga catena di stragi» provocate<br />

dal fanatismo religioso. Malgrado il suo<br />

acume di studioso della storia, Churchill<br />

non si rende conto che un suo errore ha accelerato<br />

i tempi della decolonizzazione:<br />

nella Prima guerra mondiale la sua decisione<br />

di lanciare l’offensiva di Gallipoli contro<br />

la Turchia ha alienato alla Gran Bretagna<br />

l’appoggio della minoranza musulmana in<br />

India, gettandola (per un po’) nelle braccia<br />

di Gandhi. <strong>La</strong> pervicace opposizione all’in-<br />

1903 - 1913<br />

Adotta per la prima<br />

volta la strategia<br />

della protesta<br />

non violenta. Ottiene<br />

il riconoscimento<br />

di importanti diritti<br />

per gli indiani<br />

in Sudafrica<br />

PREMIO NOBEL<br />

Winston Leonard Spencer Churchill (1874-1965)<br />

dipendenza indiana lo ha indebolito perfino<br />

in Inghilterra, rendendolo meno credibile<br />

quando negli anni Trenta lancia profetici<br />

avvertimenti contro il pericolo del riarmo<br />

tedesco.<br />

Gli errori storici di Gandhi non sono meno<br />

gravi. Il suo pacifismo gli fa velo al punto<br />

di trasformarsi in una folle ingenuità di<br />

fronte al nazifascismo. Quando insiste perché<br />

i soldati inglesi lascino l’India nel cuore<br />

della Seconda guerra mondiale, non capisce<br />

che spianerebbero la strada al ricongiungimento<br />

delle forze tedesche e giapponesi,<br />

consegnando a Hitler il petrolio del<br />

mondo arabo. Durante i bombardamenti<br />

della Luftwaffe su Londra lancia agli inglesi<br />

un appello sconcertante: «Invitate Hitler e<br />

Mussolini a prendersi quei Paesi che considerate<br />

vostri. <strong>La</strong>sciate che s’impadroniscano<br />

della vostra bella isola. Gli darete la terra<br />

ma non le vostre menti né le vostre anime».<br />

Agli ebrei tedeschi perseguitati dal nazismo<br />

consiglia di «dimostrare con calma che la<br />

forza di soffrire è un dono di Dio, e la dignità<br />

umana convertirà i persecutori». Anche agli<br />

etiopi aveva suggerito di non resistere contro<br />

le truppe italiane, fino ad accettare lo<br />

sterminio, «perché tanto a Mussolini non<br />

serve conquistare un deserto». Se l’India<br />

fosse caduta nelle mani dei giapponesi —<br />

che ci arrivarono molto vicini, in Birmania e<br />

a Singapore — la storia della guerra mondiale<br />

poteva cambiare. Hitler da parte sua<br />

aveva le idee chiare su Gandhi. Nel 1938,<br />

prima che esplodessero le ostilità, aveva offerto<br />

un consiglio disinteressato a Lord Halifax<br />

sul modo migliore per trattare il movimento<br />

indipendentista indiano. «Fucilate<br />

Gandhi per primo — aveva detto il Führer —<br />

e se non basta fucilate una dozzina di leader<br />

del suo partito del Congresso. Se ancora<br />

non basta fucilatene duecento. E andate<br />

avanti così, finché l’ordine sarà ristabilito».<br />

Le vite di Gandhi e Churchill si concludono<br />

su fallimenti paralleli. Le battaglie a cui<br />

tenevano di più non sono quelle in cui hanno<br />

trionfato. Per Churchill l’ambizione più<br />

grande era tenere unito l’Impero britannico,<br />

che invece si disintegrò in pochi anni dopo<br />

la sconfitta di Hitler. Per Gandhi il traguardo<br />

era l’affermazione dell’amore uni-<br />

1920 - 1932<br />

Lotta per un’India<br />

indipendente e unita,<br />

lo fa attraverso<br />

la disobbedienza civile,<br />

la non cooperazione,<br />

uno sciopero generale<br />

E infine organizza<br />

la marcia del sale<br />

15 AGOSTO 1947<br />

Svanisce il sogno<br />

di Gandhi. Il Paese<br />

viene diviso in due Stati:<br />

l’India, a maggioranza<br />

indù, e il Pakistan,<br />

a maggioranza<br />

musulmana<br />

È la “partizione”<br />

30 GENNAIO 1948<br />

A 78 anni Gandhi<br />

viene assassinato<br />

a Nuova Delhi<br />

da Nathuram Godse,<br />

un fanatico indù,<br />

mentre sta andando<br />

a pregare<br />

nel suo giardino<br />

<strong>Repubblica</strong> Nazionale


DOMENICA 6 LUGLIO 2008<br />

CHURCHILL<br />

30 NOVEMBRE 1874<br />

Nasce a Woodstock,<br />

nell’Oxfordshire,<br />

da padre aristocratico<br />

inglese e madre<br />

americana, Sir Leonard<br />

Winston Churchill<br />

Spencer. Trascorre<br />

l’infanzia in Irlanda<br />

1893<br />

Dopo aver studiato<br />

presso la celebre scuola<br />

di Harrow, Churchill<br />

è ammesso alla scuola<br />

di Sandhurst dove<br />

si dedica alla carriera<br />

militare. Diventa<br />

ufficiale dell’esercito<br />

1899<br />

Partecipa come ufficiale<br />

e inviato del Morning<br />

Post alla guerra<br />

del Traansval<br />

in Sudafrica. Catturato<br />

dai Boeri, evade<br />

e si guadagna<br />

la prima notorietà<br />

1900<br />

Churchill lascia<br />

la carriera militare<br />

e si dedica alla politica<br />

Viene eletto come<br />

deputato conservatore<br />

di Oldham. Ma<br />

negli anni seguenti<br />

si avvicina ai liberali<br />

1908<br />

È nominato ministro<br />

del Commercio<br />

nel governo liberale<br />

di Herbert Henry<br />

Asquith. Sposa<br />

Clementine Hozier<br />

e diventa ministro<br />

dell’Interno<br />

1940 - 1944<br />

COVER STORY<br />

L’immagine grande<br />

è un’illustrazione<br />

di Achille Beltrame<br />

sulla Domenica<br />

del Corriere<br />

che documenta<br />

la resistenza<br />

non violenta<br />

indiana contro<br />

l’occupazione<br />

britannica; in alto<br />

a destra, insieme<br />

ad alcune<br />

memorabilia<br />

dell’impero<br />

britannico,<br />

due delle copertine<br />

che Time dedicò<br />

ai due leader<br />

politici, a Gandhi<br />

il 31 marzo 1930<br />

e a Churchill<br />

il 6 gennaio 1941<br />

Churchill diventa primo<br />

ministro nel 1940<br />

Il Paese resiste<br />

all’attacco tedesco<br />

e, ottenuto l’aiuto<br />

americano, esce<br />

vincitore dalla Seconda<br />

guerra mondiale<br />

1945<br />

LA DOMENICA <strong>DI</strong> REPUBBLICA 33<br />

IL LIBRO<br />

Lo storico Arthur Herman ha appena<br />

pubblicato Gandhi and Churchill<br />

(Bantam, 681 pagine, 30 dollari) Il sottotitolo<br />

è: L’epica rivalità che distrusse un impero<br />

e diede forma alla nostra epoca<br />

È una biografia parallela dei due maggiori<br />

protagonisti della caduta dell’egemonia<br />

britannica e del nuovo ordine mondiale<br />

versale: dovette assistere impotente alla<br />

tragedia della Partizione, la secessione del<br />

Pakistan voluta dai leader islamici, i terribili<br />

pogrom fra le comunità indù, musulmane<br />

e sikh che fecero quasi due milioni di vittime.<br />

In un certo senso l’uno e l’altro furono<br />

prigionieri di una visione idealizzata del<br />

passato: per Churchill la missione civilizzatrice<br />

dell’Impero britannico, il «fardello<br />

dell’uomo bianco»; per Gandhi il mito dell’India<br />

ancestrale fondata sull’economia<br />

dei villaggi, l’autarchia, il rifiuto dello sviluppo<br />

economico. Il Mahatma avrebbe eliminato<br />

volentieri il telegrafo, la ferrovia e gli<br />

ospedali. Quell’anti-modernismo fu ripudiato<br />

dal suo allievo politico Nehru, il primo<br />

capo di governo dell’India indipendente;<br />

oggi non si riconosce in quell’aspetto della<br />

visione gandhiana neppure il Dalai <strong>La</strong>ma.<br />

I due grandi rivali come reagirebbero nel<br />

vedere l’India del Ventunesimo secolo<br />

campionessa di crescita economica, capace<br />

di conquistarsi uno status da grande potenza?<br />

È un gioco ingeneroso attribuire giudizi<br />

sul presente a chi non c’è più. Ma sulla<br />

base di quel che sappiamo di loro, il più contento<br />

forse sarebbe Churchill: nel boom indiano<br />

potrebbe scorgere anche i segni positivi<br />

dell’eredità britannica. Gandhi probabilmente<br />

troverebbe quest’India troppo<br />

americanizzata, succube del materialismo<br />

e della seduzione del denaro.<br />

Nonostante la vittoria<br />

bellica, Churchill<br />

non viene confermato<br />

primo ministro<br />

<strong>La</strong> richiesta di riforme<br />

sociali porta<br />

nelle elezioni politiche<br />

alla vittoria dei laburisti<br />

1951 - 1965<br />

Sarà ancora primo<br />

ministro dal’51 al’55<br />

Nel’53 diviene Sir<br />

e ottiene il Nobel<br />

per la letteratura grazie<br />

agli scritti sulla guerra<br />

Muore a Londra<br />

il 24 gennaio 1965<br />

<strong>Repubblica</strong> Nazionale


34 LA DOMENICA <strong>DI</strong> REPUBBLICA DOMENICA 6 LUGLIO 2008<br />

CULTURA*<br />

Un archeologo-bibliofilo ha raccolto volume<br />

dopo volume la collezione dell’autore di “<strong>La</strong>vorare<br />

stanca”. Come un’autobiografia per pagine lette<br />

e annotate, che mostra la passione per la letteratura d’oltreoceano<br />

e la ribellione ai temi imposti dal fascismo al potere. Una mostra<br />

e un catalogo, nell’anno del centenario, celebrano quell’avventura<br />

Amori di carta nella biblioteca perduta<br />

MASSIMO NOVELLI<br />

TORINO<br />

Gli antichi Romani pensavano<br />

che nel nome di una<br />

persona fosse indicato il<br />

suo destino. Ci si può credere<br />

o meno, però nel caso di Claudio Pavese<br />

il nomen omen non fa una grinza. È<br />

un gentile signore di Torino che, dopo essersi<br />

occupato per un certo periodo di comunicazione<br />

aziendale, ha scelto di diventare<br />

soltanto ciò che sentiva di essere:<br />

uno che ama i libri e che li colleziona, in<br />

particolare i testi delle case editrici italiane<br />

di cultura che hanno operato nella<br />

parte nobile del Novecento. Tutto questo<br />

con una predilezione speciale per l’Einaudi<br />

dei tempi eroici e per lo scrittore<br />

che della casa dello Struzzo è stato il simbolo<br />

e, in virtù di un’omonimia fatale,<br />

porta il suo stesso cognome: Cesare Pavese.<br />

Più che di collezionismo preferisce<br />

parlare di «archeologia editoriale», ossia<br />

di un lavoro con cui, «libro dopo libro, restauro<br />

dopo restauro», da una trentina<br />

d’anni cerca di «ripristinare vere e proprie<br />

avventure editoriali», andando a<br />

scovare i suoi tesori cartacei da rigattieri,<br />

oscuri librai ed esosi antiquari, in scantinati<br />

e in magazzini polverosi.<br />

Ed è esattamente un’avventura editoriale<br />

quella che l’archeologo-bibliofilo, la<br />

cui raccolta si aggira sui duemila libri e<br />

comprende pressoché tutte le collane<br />

storiche einaudiane, ora ha ricostruito<br />

insieme a Franco Vaccaneo, direttore del<br />

comitato scientifico della Fondazione<br />

Pavese di Santo Stefano Belbo, il paese<br />

natale dell’autore de <strong>La</strong> luna e i falò del<br />

quale si sta celebrando il centenario della<br />

nascita. Dalla duplice passione sono<br />

sbocciati una mostra e soprattutto un volume<br />

raffinato e prezioso, Cesare Pavese.<br />

I libri, edito da Nino Aragno, che ha il suo<br />

punto di eccellenza nella ricchissima documentazione<br />

iconografica: le copertine<br />

di duecentocinquanta libri (quasi tutti<br />

prime edizioni) forniti dal collezionista<br />

torinese e che, spiega Vaccaneo nell’introduzione,<br />

raccontano Cesare Pavese<br />

attraverso «una vita con i libri e per i libri,<br />

suoi e degli altri. L’uomo libro, secondo<br />

una sua celebre auto-definizione. Un uomo<br />

di carta, secondo Massimo Mila:<br />

“Una pila di migliaia, milioni di pagine<br />

dei libri più diversi, un concentrato di letteratura<br />

e di pensiero”».<br />

Oltre a testimoniare la sua attività letteraria,<br />

editoriale e di traduttore, il volume<br />

è nel contempo un viaggio, unico nel<br />

suo genere, nella storia della nostra editoria<br />

di qualità del secolo scorso. L’Ei-<br />

Disse di lui Calvino:<br />

“<strong>La</strong> sua cultura<br />

e la sua sensibilità<br />

si trasformavano<br />

in lavoro produttivo”<br />

naudi di Giulio Einaudi, di Pavese, di<br />

Leone e Natalia Ginzburg, di Giaime Pintor,<br />

di Norberto Bobbio, di Mila, di Italo<br />

Calvino e di Elio Vittorini è naturalmente<br />

al centro, come un impero su cui il sole<br />

sembrava non dovesse tramontare<br />

mai. Intorno si muovono gli altri: editori<br />

grandi e piccoli, dai torinesi Frassinelli,<br />

De Silva e Ribet per arrivare a Mondadori<br />

e a Bompiani, ognuno impegnato a divulgare,<br />

in pieno fascismo, le opere migliori<br />

della grande letteratura americana<br />

ed europea. Spicca, tra le altre, la figura<br />

di Elio Vittorini, narratore, traduttore<br />

dall’inglese, organizzatore culturale ed<br />

editoriale al pari di Pavese, con il quale<br />

condivise passioni letterarie e che stimò<br />

fin dal suo primo romanzo pubblicato,<br />

come gli scriveva il 16 giugno 1941, rife-<br />

NOTE A MARGINE<br />

In queste pagine,<br />

alcune copertine<br />

dei libri<br />

della “biblioteca”<br />

di Cesare Pavese;<br />

a destra, la prima<br />

poesia<br />

dell’Antologia<br />

di Spoon River<br />

con una nota<br />

di Fernanda Pivano<br />

che tradusse<br />

il libro sotto<br />

la guida<br />

di Pavese<br />

rendosi a<br />

Paesi tuoi:<br />

«Tornando al tuo libro,<br />

come ho sentito vociferare in proposito<br />

di americanismo e citare particolarmente<br />

Steinbeck, voglio essere più preciso<br />

della volta scorsa: io lo trovo di “gran<br />

lunga” migliore dei libri di Steinbeck».<br />

È una biblioteca dei libri perduti, quella<br />

che il collezionista piemontese ha prestato<br />

al volume curato da lui e da Vaccaneo,<br />

e restituisce il valore di un’epoca<br />

dove nel mondo editoriale, come ebbe a<br />

dire Calvino del Pavese redattore dell’Einaudi,<br />

«la cultura del letterato e la sensi-<br />

bilità del poeta si trasformavano in lavoro<br />

produttivo, in valori messi a disposizione<br />

del prossimo, in organizzazione e<br />

commercio d’idee, in pratica e scuola di<br />

tutte le tecniche in cui consiste una civiltà<br />

culturale moderna». Dietro alle edizioni<br />

delle collane dello “Struzzo”, dalla<br />

“Universale” ai “Narratori stranieri tradotti”,<br />

fino ai “Gettoni”, ai “Coralli”, alla<br />

<strong>Repubblica</strong> Nazionale


DOMENICA 6 LUGLIO 2008<br />

IL LIBRO<br />

Curato da Claudio Pavese<br />

e Franco Vaccaneo,<br />

su progetto grafico di Carlo<br />

Fantinel, il volume Cesare<br />

Pavese. I libri (Nino Aragno<br />

editore, 204 pagine,<br />

35 euro), sarà in libreria<br />

nei prossimi giorni. Dal libro<br />

è stata tratta una mostra,<br />

inaugurata venerdì<br />

alla Fondazione Pavese<br />

di Santo Stefano Belbo<br />

L’esposizione sarà aperta<br />

fino al 4 ottobre<br />

ILLUSTRAZIONE <strong>DI</strong> TULLIO PERICOLI<br />

L’Einaudi è al centro,<br />

come un impero<br />

su cui sembrava<br />

non dovesse<br />

tramontare il sole<br />

collana viola degli studi etnologici, religiosi<br />

e psicologici, così come ai romanzi<br />

degli americani stampati da Bompiani e<br />

da Mondadori nella “Medusa”, con le<br />

traduzioni di Vittorini, si avverte la mano<br />

dell’intellettuale e del grafico, del pittore<br />

che illustrava le copertine (da Francesco<br />

Menzio a Renato Guttuso) e dello stampatore.<br />

Davano vita a una confraternita<br />

nella quale l’uno, per scomodare Ezra<br />

Pound, era «il miglior fabbro» dell’altro.<br />

Una raccolta di lettere editoriali di Cesare<br />

Pavese, compresa nel libro di Aragno e<br />

selezionata da Silvia Savioli, con alcune<br />

inedite (ce n’è una a Eugenio Montale)<br />

contribuisce a comprendere l’eccezionalità<br />

e l’irripetibilità di quella stagione.<br />

Sono le ragioni che hanno spinto<br />

Claudio Pavese a indossare i panni di<br />

una sorta di Indiana Jones dei libri:<br />

«Tassello per tassello, frammento per<br />

frammento, ogni parte trovata viene catalogata,<br />

studiata, indagata, poi, con<br />

calma certosina, sempre un tassello dopo<br />

l’altro, un frammento dopo l’altro,<br />

l’opera ritorna alla sua interezza originaria».<br />

E, un po’ come nel romanzo<br />

L’ombra del vento di Carlos Ruiz Zafon,<br />

il libro ricomincia a essere un’avventura<br />

memorabile.<br />

LETTERE<br />

Sopra, la letteracontratto<br />

di Carlo Frassinelli<br />

a Pavese del 1932<br />

per la traduzione<br />

di Moby Dick,<br />

e una di Pavese<br />

a Montale<br />

del 1945<br />

Nel disegno<br />

a centropagina,<br />

Pavese visto<br />

da Tullio Pericoli<br />

LA DOMENICA <strong>DI</strong> REPUBBLICA 35<br />

<strong>La</strong> scoperta dell’America<br />

per raccontare l’Italia<br />

NELLO AJELLO<br />

Ilibri come autobiografia di chi li colleziona. Si può dirlo<br />

di ogni intellettuale. Ma nel caso di Cesare Pavese,<br />

quel legame fra un uomo e i propri libri diventa storia,<br />

aneddotica, racconto. Si viene trasportati all’interno di<br />

un ambiente, la Giulio Einaudi editore, di cui il romanziere<br />

fu gran parte fra gli anni Trenta e Cinquanta. Circolano<br />

dentro quegli scaffali eroi “di carta” e compagni di<br />

avventure intellettuali. Vi si scorgono passioni sedimentate.<br />

Vi si intravedono continenti sognati o trasfigurati<br />

dall’arte della parola.<br />

Partiamo da quest’ultima realtà: la geografia ideale di<br />

Pavese. Essa culmina nella sua passione per l’America,<br />

quasi temeraria negli anni del tardo fascismo. A provarla,<br />

questa passione, l’autore di Paesi tuoi e dei Dialoghi con<br />

Leucò non è né resterà il solo. Ne sarà addirittura divorato<br />

il coetaneo Elio Vittorini, del quale figura in biblioteca<br />

il romanzo Conversazione in Sicilia (ancora in edizione<br />

Parenti, 1941, con il titolo Nome e lacrime). Italo Calvino,<br />

amico di entrambi ma di quindici anni più giovane, arriverà<br />

a confessare: «C’è stato un tempo in cui per me e per<br />

molti altri Hemingway era un dio». Da Melville, di cui è appassionato<br />

traduttore, a Caldwell, da Sinclair Lewis a<br />

John Steinbeck, da Sherwood Anderson (anch’esso da lui<br />

tradotto nel ‘32 per l’editore Frassinelli) all’Antologia di<br />

Spoon River, di cui conserva una copia del ‘43 nella versione<br />

dell’“americanista” Fernanda Pivano, gli scaffali di<br />

Pavese si riempiono di questa letteratura, nella quale, egli<br />

annota, i richiami «della terra e del sangue assumono forme<br />

ingenue, violente, talora selvagge». «Noi scoprimmo<br />

l’Italia», concluderà più tardi, «cercando gli uomini e le<br />

parole in America».<br />

Il confronto con un modo libero e immaginoso di concepire<br />

l’esistenza assumeva, in quegli anni, il valore di<br />

una rivolta antiprovinciale. Il jazz, voga musicale ostica<br />

alle orecchie dei fascisti, diventò il vessillo di un cosmopolitismo<br />

indocile; e la mitologia yankee si estese alla letteratura<br />

disegnata per l’infanzia. Un suggestivo messaggio<br />

proveniente da oltreoceano emanavano i cartoon di<br />

Walt Disney, con in cima quel Mickey Mouse, nelle cui vicende<br />

di giornalista brillante, fortunato detective o astuto<br />

scavezzacollo si riflette nella maniera più naturale il costume<br />

americano. Finché il regime, con l’incalzare della<br />

Seconda guerra mondiale, non ne vieterà la diffusione, le<br />

avventure di Topolino trovarono vari editori, da Nerbini<br />

a Mondadori e al torinese Frassinelli, sotto la cui sigla sono<br />

presenti nella libreria di Pavese.<br />

<strong>La</strong> realtà ufficiale dell’Italia, insomma, vissuta nettamente<br />

a rovescio, proprio in quegli anni<br />

Trenta e metà Quaranta, che nella vita dello<br />

scrittore piemontese (1908-1950) occupano<br />

una stagione privilegiata. Intorno a lui<br />

ferveva l’attività della Einaudi, un’istituzione<br />

ancora giovane — data di nascita, 1933<br />

— ma ben presto sospetta di sovversivismo.<br />

Di fatto, tra la sua fondazione e la caduta<br />

del regime littorio, la casa torinese<br />

aveva percorso il proprio viaggio attraverso<br />

il fascismo nelle varie tappe comuni a<br />

un’intera generazione di intellettuali. E<br />

ne aveva riportato traumi esemplari: a cominciare<br />

dalla soppressione, nel ‘34, della<br />

Riforma sociale, la rivista diretta da<br />

Luigi Einaudi e poi passata alle cure editoriali<br />

di suo figlio Giulio, per finire con<br />

le noie giudiziarie subite dal periodico<br />

<strong>La</strong> Cultura, ideata da Leone Ginzburg e<br />

diretta infine dallo stesso Pavese. Il catalogo<br />

einaudiano testimonia, in quegli<br />

anni di censure e di arresti («il carcere ci<br />

scottò tutti quanti», avrebbe ricordato<br />

patron Giulio, riferendosi alla retata<br />

subita dai suoi redattori nel maggio<br />

1935) un’apertura mentale impossibile<br />

da nascondere.<br />

Essa investiva, oltre alla letteratura,<br />

l’economia, la scienza e la saggistica<br />

di argomento civile. Scorgendo per<br />

esempio fra i libri di Pavese una copia<br />

ingiallita de Il pensiero politico italianodi<br />

Luigi Salvatorelli, si risale alla<br />

fondazione di quella “Biblioteca<br />

di cultura storica” che quel volume<br />

inaugurò, e che sarebbe sempre restata<br />

un emblema di qualità. Italo<br />

Calvino indicherà in Leone Ginzburg<br />

l’uomo dal quale «la collana<br />

ebbe il primo impulso» (e fu lo<br />

stesso Ginzburg a trovar da ridire<br />

quando un’altra collana venne<br />

battezzata “Biblioteca dello<br />

struzzo”: così, osservò, tutti penseranno<br />

che stampiamo «libri che solo uno struzzo<br />

può digerire».<br />

Cesare Pavese, Felice Balbo, Massimo Mila, poi i “romani”<br />

Muscetta, Alicata e Giolitti: sono soltanto alcuni<br />

degli intellettuali che, fra carcere, condanne al confino e<br />

lutti irreparabili (la morte di Ginzburg e di Giaime Pintor),<br />

s’inscrivono in quella storia. Di cui sono parte integrante<br />

quelle riunioni redazionali del mercoledì, in cui — racconterà<br />

Giulio Einaudi — si poteva vedere «Giaime Pintor<br />

in polemica con Vittorini, Vittorini con Calvino, e Pavese<br />

con Felice Balbo». Troppi cervelli riuniti insieme,<br />

con l’obbligo di pensare. Uno fra i dibattiti più accesi riguardò<br />

quella collana viola di studi religiosi, etnologici e<br />

psicologici, che fu inventata (benché in vivace disaccordo<br />

fra loro) da Pavese ed Ernesto De Martino. L’autore de<br />

<strong>La</strong> bella estate ne conservava vari volumi.<br />

E le altre aziende editoriali? «Bocca, <strong>La</strong>terza, Treves<br />

erano per noi gli esempi storici», ricorderà ancora patron<br />

Giulio. «I nuovi antagonisti, la Mondadori e la Bompiani».<br />

Specie quest’ultima, nella persona del suo fondatore, il<br />

conte Valentino. Dopo essere stato segretario di Arnoldo<br />

Mondadori, egli si era messo in proprio fin dal ‘29, iscrivendosi<br />

a quella categoria che uno storico della cultura,<br />

Gian Carlo Ferretti, chiama degli «editori-protagonisti».<br />

Soprattutto nel campo della letteratura d’oltreoceano la<br />

sua presenza era determinante.<br />

Porta il marchio Bompiani quella preziosa raccolta di<br />

narratori intitolata Americana (Pavese la conservava nell’edizione<br />

del ‘42) intorno alla quale il regime inscenò un<br />

autentico baccanale censorio. Elio Vittorini, che come<br />

consulente editoriale si divideva fra Mondadori, Bompiani<br />

ed Einaudi, partecipò alle trattative con grande veemenza.<br />

Si diceva allora fra letterati che, pur avendo chiuso<br />

le proprie sedi diplomatiche a guerra iniziata (1941), gli<br />

Stati Uniti potevano contare in Italia su due ambasciatori.<br />

Uno era Pavese, l’altro Vittorini.<br />

<strong>Repubblica</strong> Nazionale


36 LA DOMENICA <strong>DI</strong> REPUBBLICA DOMENICA 6 LUGLIO 2008<br />

SPETTACOLI<br />

Il grande regista ha donato il suo archivio alla città di Firenze<br />

In attesa che venga trasferito nelle Antiche scuderie granducali,<br />

ce lo ha mostrato e ha tirato fuori dai cassetti per la prima volta<br />

i disegni per un lavoro ispirato a Dante ma mai realizzato anche per i cattivi<br />

presagi del veggente Rol che consigliò: “Materia scottante, lascia perdere”<br />

Con tutto quello che ha passato, le umiliazioni dell’infanzia<br />

da N.N., le molestie di un frate all’oratorio, gli<br />

amori spesso travolgenti, come il rapporto che tanto<br />

lo ha segnato con Visconti; con le follie del successo,<br />

le invidie, i bisticci e i clamori attraversati, la morte a<br />

volte sfiorata da vicino, i grandi incontri in giro per il<br />

mondo, leader potenti come Bob Kennedy e i Clinton, star del podio<br />

come Karajan e Kleiber, icone del femminile come Anna Magnani,<br />

Liz Taylor e la venerata Callas, e ancora <strong>La</strong>urence Olivier e<br />

«l’orribile Onassis», il quale, riferisce, lo insultò con le sue avances,<br />

«forse per mettere zizzania tra me e Maria», Franco Zeffirelli ha coltivato<br />

sempre un’incrollabile fede in Dio. E come ogni credente ha<br />

fantasticato molto sull’inferno, col suo sentire da regista, immaginando<br />

«un luogo di sospensione nel tempo, capace di frantumare<br />

cognizioni reali e cronologiche, come un trasognamento allucinato<br />

al quale accedere lungo un tunnel, per poi precipitare in abissi<br />

senza fine».<br />

Su quest’idea spaventosa, «perché si tratta dell’esserci e del non<br />

esserci, e dell’identificazione di un linguaggio che comunichi allo<br />

spettatore tale sfasamento, quindi anche dell’invenzione di una<br />

tecnica espressiva e fotografica ardita e inquietante, estranea alle<br />

nostre percezioni più familiari», Zeffirelli ha lavorato a lungo, a fine<br />

anni Settanta, mettendo in cantiere un film grandioso mai andato<br />

in porto: «Dopo il successo del Gesù di Nazareth mi chiesero quale<br />

film avrei voluto girare: difficile far seguire un’opera come il Gesù<br />

da una cosa qualsiasi. Perciò decisi di tornare a un ambizioso progetto<br />

vagheggiato anni prima e dedicato all’inferno dantesco».<br />

Nel frattempo c’era stata la preparazione cupa e accidentata de<br />

Il viaggio di G. Mastornadi Fellini, film che avrebbe dovuto far morire<br />

il suo protagonista in un disastro aereo per poi gettarlo all’inferno:<br />

«Gustavo Rol, famoso mago torinese che ho conosciuto bene,<br />

lo aveva sconsigliato. E Fellini non faceva neppure colazione la<br />

mattina se prima non parlava con Rol. Il quale, riguardo a Mastorna,<br />

era stato categorico: accantonalo, potrebbe essere l’ultimo film<br />

della tua vita, smuove energie pericolose. Quando il produttore De<br />

<strong>La</strong>urentiis annunciò quella sua nuova impresa, Fellini s’ammalò<br />

gravemente. Ma dal momento in cui disse a De <strong>La</strong>urentiis di voler<br />

rinunciare al film maledetto cominciò a sentirsi meglio, finché<br />

guarì del tutto. Il produttore gli fece causa e gli portò via ogni proprietà,<br />

e fu così che Federico perse l’amatissima casa di Fregene».<br />

Quanto all’altro Inferno, quello di Zeffirelli, «anche a me Rol disse:<br />

non farlo, materia scottante, lascia perdere. Eppure mi piaceva<br />

pensare a una grande produzione in lingua inglese, con un Dante<br />

di oggi che è un intellettuale cinico e una forte personalità che fa opinione.<br />

Un uomo che lavora nell’arte e nell’editoria, che avverte il talento<br />

dei giovani e ha gli strumenti per lanciarli. Costui, morendo<br />

su un aereo che precipita — però io non sapevo niente del Mastorna—,<br />

vive il suo sogno infernale». Aggiunge che il produttore avrebbe<br />

dovuto essere Bini, «un avventuriero», e spiega che «il film partì<br />

nella fase preparatoria, nel senso che andammo a fare i sopralluoghi.<br />

Si doveva girare in Croazia e Slovenia, perciò visitammo le<br />

montagne del Carso dove scorre il fiume Timavo, che ha scavato<br />

grotte nelle Alpi carsiche, come quella di Postumia, impressionante<br />

e potenziata a suo tempo da Mussolini, che ne fece un polo turistico,<br />

costruendo una ferrovia di quattordici chilometri nelle viscere<br />

della terra. In quella zona ci sono anche altre grotte di terrificante<br />

suggestione». Però tutto andò a monte: «Bini vendette la mia idea<br />

nel mondo, prendendo acconti senza avere ancora alcun contratto<br />

con me, e il film crollò perché non aveva soldi. Rol me lo aveva<br />

detto: quel tuo Inferno non lo girerai. E io me lo auguro per te».<br />

“Il mago mi disse<br />

Quel film<br />

non girarlo”<br />

LEONETTA BENTIVOGLIO<br />

Quando caldo e fatica<br />

ti buttano giù, scegli<br />

la forza del numero uno<br />

Oggi, a ottantacinque anni, passionale e dispettoso come sempre,<br />

Zeffirelli tira fuori per la prima volta dai cassetti i disegni da lui<br />

firmati per quel lavoro: vorticose raffigurazioni in inchiostro color<br />

seppia, con gironi, abissi, squadre di peccatori, paesaggi tenebrosi<br />

e creature imponenti come idoli orientali e annotazioni scritte attorno,<br />

come nei fumetti. Quel film è una delle sue fantasie che considera<br />

attuali e ancora realizzabili, come la serie de I Fiorentini, «che<br />

per me resta una spina nel fianco. Sei puntate per la Rai a cui cominciai<br />

a lavorare nell’83, anno in cui facemmo addirittura un annuncio<br />

ufficiale al Louvre, nella Sala dei Giganti. È una storia su<br />

quanto accadde nei vent’anni più prodigiosi di Firenze, l’epoca di<br />

Michelangelo e Leonardo, dei grandi Medici e Machiavelli. Oggi è<br />

difficile fare un film del genere perché non c’è più una visione epica<br />

del cinema: ci si limita a girare porcherie che costano fortune, tutte<br />

a base di effetti speciali».<br />

Le sette stesure de I Fiorentini(«non smetto di lavorarci»), così come<br />

tantissimo altro, fanno parte dell’immenso archivio Zeffirelli finora<br />

custodito nella sua villa romana, nei pressi dell’Appia Antica,<br />

piena di cani innamorati del padrone, da cui non sembrano volersi<br />

mai staccare. Lui, loquace e scatenato, vi abita tra telefonate e viavai<br />

di assistenti, accudito e protetto da Pippo e Luciano, i due aitanti<br />

giovanotti che ha adottato come figli. Qui conserva centinaia di<br />

bozzetti, scenografie, disegni, costumi, appunti e note di regia per<br />

la prosa, il cinema, l’adorata lirica. E ancora copioni, foto, sceneggiature,<br />

scambi di corrispondenza con attori, cantanti, direttori<br />

d’orchestra e drammaturghi. Dai un’occhiata agli scaffali e leggi:<br />

1948, Eliseo di Roma, Un tram che si chiama desiderio, con un tris<br />

d’assi come Gassman, la Morelli e Mastroianni; 1964, Dopo la caduta<br />

di Arthur Miller, con Monica Vitti e Albertazzi. Il contenitore<br />

delle varie fasi di Fratello Sole, Sorella Luna, lo scatolone con le tappe<br />

di Romeo e Giulietta, la splendida visione di Richard Burton e della<br />

Taylor nella Bisbetica Domata, gli schizzi della crocifissione per il<br />

Gesù. Le tinte dense delle scene per le opere: toni scarlatti per Carmen<br />

e aurei per Aida, l’intensissimo turchino del Trovatore, il fasto<br />

azzurro di una Traviata. «Ho studiato pittura a Firenze», racconta,<br />

«e ho sempre avuto una buona mano, che mi ha facilitato il compito<br />

nel cinema e in teatro. Quando avevo un’idea e volevo spiegarla<br />

ai miei collaboratori la disegnavo. Visconti invece disegnava male,<br />

e a volte era disperato di non poter esprimere le sue intenzioni tramite<br />

le immagini».<br />

Come regista di lirica Zeffirelli è stato frenetico, instancabile: «Ho<br />

firmato otto Don Giovanni, sei Aide, non so quante Traviate. Ricreo<br />

nuove edizioni dello stesso titolo, o rimonto quelle passate: la mia<br />

Bohème dell’81 è stata rappresentata 546 volte. Con l’opera non si<br />

finisce mai di scoprire». Spiccano pareti colme di libri anche pregiati<br />

e antichi che formano una biblioteca enorme scandita da volumi<br />

specializzati nelle arti dello spettacolo: «Saranno diecimila o<br />

forse più. Si va per blocchi di argomenti, fonti d’ispirazione e documentazione:<br />

tutto sul Giappone, sull’Inghilterra elisabettiana, sulla<br />

Parigi romantica... Testi e immagini a cui attingere per i miei spettacoli,<br />

dei quali sono sempre scenografo oltre che regista».<br />

Un patrimonio generoso che in questi giorni viene catalogato<br />

prima di essere trasferito a Firenze, la città di Zeffirelli, alla quale il<br />

regista ha scelto di darlo in donazione: «Per ospitarlo il Comune sta<br />

allestendo uno spazio molto bello nelle Antiche scuderie granducali,<br />

che diventerà un centro internazionale delle arti dello spettacolo,<br />

col supporto di società americane e russe. Vi confluiranno anche<br />

altri materiali: recupereremo cose di Visconti andate disperse,<br />

arriverà forse la collezione del grande costumista Piero Tosi, proveremo<br />

a riunire informazioni e documenti sparsi». Dice che lo fa<br />

<strong>Repubblica</strong> Nazionale


DOMENICA 6 LUGLIO 2008 LA DOMENICA <strong>DI</strong> REPUBBLICA 37<br />

per i giovani, per il futuro, per l’avvenire di un’arte che si sta sfaldando:<br />

«Noi italiani “siamo” l’opera, e dovremmo sforzarci di rammentarlo.<br />

Abbiamo avuto Monteverdi, Verdi e Puccini, abbiamo<br />

costruito magnifici teatri in ogni città, i tesori della nostra lirica sono<br />

rimbalzati fuori dall’Italia, e tutto questo va valorizzato, non svilito<br />

come accade troppo di frequente. Credo che il mio archivio possa<br />

essere utile alle nuove generazioni, non come esaltazione di Zeffirelli,<br />

ma come metodologia di lavoro. Io disegno lo spettacolo in<br />

tutte le sue fasi: la prima idea e le tappe degli sviluppi fino all’andata<br />

in scena. Tanti giovani mi chiedono consigli, cercano maestri,<br />

vorrebbero svilupparsi nella direzione giusta, annaspano nel mare<br />

di nulla in cui siamo immersi. A chi rivolgersi? Dove sono, oggi, i<br />

pittori e gli scenografi geniali, la gente del teatro più autentico, gli<br />

artisti come Visconti a fare da apripista? E se i ragazzi odierni hanno<br />

talento, come faranno a scoprirlo? A chi possono guardare come<br />

punti di riferimento, oggi che i barbari stanno facendo irruzione<br />

ovunque?».<br />

Sostiene che «gli attuali registi sono degli scellerati, convinti che<br />

far morire Violetta schiacciata da un autobus, invece che di tuber-<br />

L’<br />

Inferno<br />

di<br />

colosi come nel libretto, sia un’interpretazione intelligente del testo<br />

di Verdi». Le sue scenografie, centotrenta quadri di forte rilievo pittorico,<br />

sono state esposte di recente dal Museo Puskin, in Russia, per<br />

una visitatissima mostra durata sei mesi. E a New York, poco tempo<br />

fa, per l’ottantacinquesimo compleanno, è stato festeggiato da un<br />

“Tribute” che celebrava i suoi allestimenti al Metropolitan, teatro<br />

con cui iniziò a collaborare nel ‘64 in un succedersi di successi riportati<br />

e commentati da Caterina Napoleone nel volume Zeffirelli<br />

at The Met, sottotitolo: One thousand five hundred and forty-nine<br />

perfomances (so far), primo della serie in tre volumi che la storica dell’arte<br />

sta preparando sull’intera opera di questo regista orgogliosamente<br />

fuori dalle mode nella sua deferenza alla tradizione.<br />

<strong>DI</strong>SEGNI INE<strong>DI</strong>TI<br />

Qui sotto, tre dei disegni preparatori, finora inediti,<br />

realizzati da Franco Zeffirelli per un film, mai girato,<br />

ispirato all’inferno dantesco. In basso a sinistra,<br />

altri due disegni del regista fiorentino: un bozzetto<br />

per l’allestimento della Cavalleria rusticana (1969)<br />

e uno per quello di Dopo la caduta (1965)<br />

Nelle foto, tutte tratte da Zeffirelli Autobiografia,<br />

Oscar Mondadori, Zeffirelli bambino (qui accanto)<br />

e, in basso, un suo ritratto e due momenti in compagnia<br />

di Maria Callas e Richard Burton<br />

Zeffirelli<br />

<strong>Repubblica</strong> Nazionale


38 LA DOMENICA <strong>DI</strong> REPUBBLICA DOMENICA 6 LUGLIO 2008<br />

i sapori<br />

Morsi allegri<br />

LICIA GRANELLO<br />

Estate calda, caldissima. Umidità a mille, zanzare in agguato,<br />

traffico insopportabile, irritabilità sotto pelle. Una fetta di cocomero/anguria<br />

è il miglior comfort-food possibile. Purché<br />

sia appena tolta dal frigo, matura, rossa, croccante, zuccherina<br />

con un ricordo di acidulo.<br />

Hanno voglia a raccontarci che piccola è meglio: dopo tanto<br />

incrociare, selezionare, sperimentare, il nuovo formato-mini riesce docile<br />

al taglio e facile per il frigorifero. Ma dismettere il gesto infantile di affondare<br />

la faccia nella mezzaluna rosso acceso, riemergendone ristorati e ridenti<br />

solo per sputacchiare più o meno educatamente i semi, è come negarci<br />

un pezzo di allegria<br />

a costo zero (o<br />

quasi). Perché tra tutti<br />

i frutti, il cocomero è<br />

sicuramente il più<br />

Un frutto sfacciato<br />

per guadare l’estate<br />

grande, sfrontato,<br />

dissetante (95 per<br />

cento d’acqua!), bandiera<br />

tricolore tradotta<br />

in bocconi golosi e<br />

freschissimi.<br />

L’origine è lontana<br />

da qui, nella valle del<br />

Nilo. I geroglifici testimoniano<br />

che cinquemila anni fa i cocomeri erano già presenti nelle tombe<br />

dei Faraoni, simbolo di nutrimento nel passaggio verso l’aldilà. L’uscita<br />

dalle terre d’Egitto verso la Cina è datata poco prima dell’anno mille: da<br />

lì, un paio di secoli più tardi arrivò in Europa, dove ricevette attenzioni alterne,<br />

tanto che il nome scientifico, Citrullus Cucumis, fu assegnato solo<br />

alla fine del Settecento dal direttore dell’Orto botanico di Gottinga, mutuandolo<br />

da quello del cetriolo, altro appartenente alla famiglia delle cucurbitacee.<br />

In Italia, ne coltiviamo un centesimo della produzione mondiale. Ci superano<br />

di gran lunga Cina, Russia, Turchia, Brasile e Stati Uniti. Pochi ma<br />

È il più gettonato “comfort-food” della stagione calda<br />

e il rito infantile di affondare il viso nelle sue fette rosse,<br />

croccanti, zuccherine, dissetanti si moltiplica nelle notti<br />

insonni di luglio e agosto. Ma attenti al gusto, perché<br />

anno dopo anno le varietà locali, più saporite ma meno<br />

redditizie, vengono rimpiazzate da ibridi americani<br />

buoni: nelle nostre pianure, infatti, questa pianta strisciante annuale innamorata<br />

del caldo e dell’acqua si trova benissimo. Dalla bassa padana al<br />

Salento, dalla Toscana al <strong>La</strong>zio, quando le temperature cominciano a restare<br />

saldamente sopra il limite del nostro sbuffare per il caldo, i cocomeri<br />

si gonfiano felici, sviluppando gli elementi aromatici che imitano così<br />

bene lo zucchero (presente in dosi risibili, per la gioia dei dannati della dieta),<br />

fino a quando il peduncolo si secca e si stacca. Lì comincia il suo viaggio<br />

verso le nostre tavole e la nostra sfida per scegliere quello giusto.<br />

Ormai sono pochissimi i cocomerai che “tassellano” il frutto per verificarne<br />

insieme al cliente l’effettiva maturazione. Se nel fai-da-te dell’acquisto<br />

ci sentiamo smarriti, non dimentichiamo che il cocomero ideale<br />

deve essere di aspetto ceroso ma brillante, consistenza croccante e pesante,<br />

e mostrare una chiazza giallastra che identifica la parte appoggiata a<br />

terra durante la maturazione. Bussando sulla buccia, deve rispondere con<br />

un suono sordo, pieno. <strong>La</strong> conservazione in frigo è obbligatoria anche da<br />

intero, per evitare al calore esterno di indurre una super-maturazione interna,<br />

che rende la polpa farinosa e fibrosa. E, una volta tagliato, occorre<br />

coprirlo con una pellicola, per evitare che assorba odori dagli altri alimenti.<br />

Il buon cocomero è irresistibile: perché disseta e non stanca, è goloso<br />

senza calorie, mette allegria agli occhi e al palato, è praticamente privo di<br />

controindicazioni, al di là dell’ingestione dei semi che hanno effetti lassativi.<br />

In quanto alla presunta poca digeribilità, l’effetto è quello di bere<br />

un paio di bicchieri d’acqua fredda: a fine pasto questo significa diluire i<br />

succhi gastrici e raffreddare i processi digestivi (che invece hanno bisogno<br />

di calore). In compenso, il cocomero è una fonte preziosa di vitamina C e<br />

di potassio, qualità che lo elegge a frutto anti-crampo per eccellenza, in alternativa<br />

alla molto più calorica banana.<br />

Purtroppo, le varietà di cocomeri disponibili sul mercato si stanno assottigliando<br />

anno dopo anno: nell’ultimo secolo abbiamo smarrito una<br />

ventina di varietà locali, sostituite da ibridi americani, più redditizi e insapori.<br />

Per questo, se vi offrono una fetta di cocomero quadrato, ideato in<br />

Giappone per razionalizzare il sistema di trasporto, lasciate perdere e addentate<br />

una pesca.<br />

Cocomero<br />

Maximus<br />

Detto anche cocombero di Pistoia<br />

e Faenza – varietà nostrana<br />

e non ibrida – pesa fino a 20 kg<br />

Di forma sferica, ha buccia spessa<br />

e croccante, polpa rosso vivo<br />

e semi neri. Più piccolo il medium,<br />

semi bianchi, origini napoletane<br />

Luna e stelle<br />

Salvato dall’estinzione<br />

dalla cocciutaggine del ricercatore<br />

americano Kent Whealy,<br />

si riconosce dai puntini giallo vivo<br />

con una chiazza più grande<br />

sulla buccia verde scuro. Ovale,<br />

succosissimo, resiste alle malattie<br />

19le<br />

calorie<br />

ogni cento grammi<br />

95% la quantità d’acqua<br />

nella polpa del frutto<br />

20 kg il peso massimo<br />

di un singolo frutto<br />

<strong>Repubblica</strong> Nazionale


DOMENICA 6 LUGLIO 2008<br />

Mostarda<br />

L’altra faccia della composta<br />

di frutta – speziata, piccante –<br />

ha trovato ottima collocazione<br />

con i formaggi stagionati<br />

Uno dei grandi vecchi della cucina<br />

italiana, Aimo Moroni, la offre<br />

con pecorino sardo e pane ai fichi<br />

itinerari<br />

Davide Palluda<br />

è tra gli chef più<br />

bravi della nuova<br />

generazione<br />

Nel ristorante<br />

“All’Enoteca”<br />

– Enoteca<br />

Regionale del Roero<br />

a Canale d’Alba –<br />

si alternano ricette<br />

tradizionali e piatti creativi,<br />

come il polpo al vapore<br />

con gazpacho<br />

di anguria e ostrica<br />

Sugar Baby<br />

Rotondo come una palla, di piccola<br />

pezzatura – 3/4 kg – ha buccia<br />

sottile color verde scuro e buona<br />

succosità. Coltivato pensando<br />

ai mercati lontani dalle zone<br />

di produzione per la facilità<br />

di trasporto, matura da inizio luglio<br />

Granita<br />

Difficile trovare miglior dissetante<br />

della grattachecca di sola polpa<br />

d’anguria. Per il veronese Elia<br />

Rizzo, chef-patron de “Il Desco”,<br />

è perfetta in chiusura di pasto,<br />

contraltare freschissimo<br />

a una mousse di cioccolato bianco<br />

Orsigna (Pt)<br />

L’incontaminato borgo<br />

montano tanto amato<br />

da Tiziano Terzani<br />

è una frazione di Pistoia,<br />

su cui svetta il monte<br />

battezzato Cocomero.<br />

Storiche, infatti, sono<br />

le varietà coltivate<br />

nei pianali pistoiesi,<br />

recuperate grazie al lavoro dei vivai della zona<br />

DOVE DORMIRE<br />

LA SELVA<br />

Via Casa Sandrella<br />

Tel. 0573-490094<br />

Camera doppia da 50 euro, colazione inclusa<br />

DOVE MANGIARE<br />

TRATTORIA DELL’ABBONDANZA<br />

Via dell’Abbondanza 10, Pistoia<br />

Tel. 0573-368037<br />

Chiuso merc. e giov. a pranzo, menù da 25 euro<br />

DOVE COMPRARE<br />

I SAPORI DELLA BOTTEGAIA<br />

Via del <strong>La</strong>strone 4, Pistoia<br />

Tel. 0573-358450<br />

l’appuntamento<br />

Si chiama <strong>La</strong> Cucombra,<br />

la Sagra di San Matteo<br />

della Decima, nella campagna<br />

bolognese, che per tutta questa<br />

settimana celebra il cocomero<br />

A partire da metà luglio,<br />

feste anche in Salento,<br />

con Melpignano e Botrugno<br />

protagoniste di eventi<br />

Zuppetta<br />

Succo e polpa d’anguria frullati<br />

sono la base di ricette dolci-salate<br />

super-estive: tocchetti di frutta<br />

e/o verdura, crostini, piccole<br />

meringhe. Sul lago d’Orta, Tonino<br />

Cannavacciuolo aggiunge essenza<br />

di oliva e batida di cocco in gelato<br />

Crimson Sweet<br />

Tra i più imponenti in commercio –<br />

arriva a 15 kg – ha forma sfericoovale<br />

e buccia striata<br />

tra il verde chiaro e quello scuro<br />

È il più apprezzato dai cocomerai<br />

per l’aspetto invitante<br />

e le fette gigantesche<br />

Novellara (Re)<br />

Mangiatelo alla vietnamita<br />

con sale e peperoncino<br />

«G<br />

Gelatina<br />

Tolti i semi e centrifugata la polpa,<br />

il succo addizionato di colla<br />

di pesce è un compagno profumato<br />

e discreto di pesci e carni bianche<br />

Del romano Fabio Baldassarre<br />

l’antipasto con gelatina d’anguria,<br />

mazzancolle, ricotta e olio speziato<br />

Borgo agricolo adagiato<br />

nella bassa padana,<br />

impreziosito<br />

dalla Collegiata di Santo<br />

Stefano e dalla Rocca,<br />

tra due fine-settimana<br />

ospiterà una gara<br />

per divoratori<br />

di cocomeri e l’elezione<br />

di Miss Anguria, il frutto più grande e zuccherino<br />

DOVE DORMIRE<br />

HOTEL NUBILARIA (con cucina)<br />

Via della Costituzione 64<br />

Tel. 0522-652097<br />

Camera doppia da 70 euro, colazione inclusa<br />

DOVE MANGIARE<br />

ALQUICOSÌ (con camere)<br />

Via della Costituzione 75, Correggio<br />

Tel. 0522-633063<br />

Senza chiusura, menù da 28 euro<br />

DOVE COMPRARE<br />

AZIENDA AGRICOLA AL LIVEL<br />

Via Don Sturzo 38, Gualtieri<br />

Tel. 0522-220031<br />

MASSIMO MONTANARI<br />

Galatina (Le)<br />

li cucumeri, detti ancora angurie vulgarmente, sono in uso l’estate»<br />

e si mangiano più che altro «per stinguere la sete», visto che non<br />

danno nutrimento né «dilettamento». Così scrive verso il 1570 il<br />

botanico marchigiano Costanzo Felici, senza dedicare molta attenzione a un<br />

prodotto che stima decisamente “minore” sul piano nutrizionale. Però anche<br />

alla sete bisogna pensare e per quella i cocomeri funzionano perfettamente:<br />

a ciò giova la loro sostanza «molto acquosa», in alcuni casi dolce, «che<br />

per questo son detti cucumeri zuccarini».<br />

Del cocomero e dei suoi usi, la storia dell’alimentazione non ci racconta<br />

granché, anche per la difficoltà di mettere a fuoco una terminologia incerta,<br />

ambigua. Quando si riferiscono a questa pianta, i testi che se ne occupano (per<br />

lo più trattati di dietetica o di botanica) faticano a trovare indicazioni e riferimenti<br />

autorevoli, poiché neppure riconoscono con certezza il cocomero fra le<br />

citazioni dei classici. Nel 1627, per esempio, Salvatore Massonio (autore di<br />

un’interessante opera sulle insalate e i cibi vegetali) cita il testo-base di Dioscoride<br />

per distinguere tra cocomeri domestici e selvatici: questi ultimi «in verun<br />

modo nutritivi», utili solo a scopi medicinali «e di sapore amarissimo»; gli<br />

altri invece «utili allo stomaco, e al corpo». Ma di che piante parla esattamente<br />

Dioscoride? Dei cocomeri o dei cetrioli? O di altro ancora? Massonio confessa<br />

di non capirlo: e allora preferisce glissare sulle auctoritates e passare direttamente<br />

alla pratica e al linguaggio dei suoi contemporanei, «onde per la<br />

chiarezza del nome… diciamo intendere per cocomeri quelli, che cocomeri<br />

chiamano i Lombardi, e che in Toscana, e in Roma son detti cedriuoli, e in questi<br />

nostri paesi dell’Aquila [di cui Massonio è nativo] passano sotto il nome di<br />

melangole». Gli Spagnoli da parte loro li chiamano peponi, e li usano (afferma<br />

Amato Lusitano) per rinfrescare il corpo sia dall’interno che dall’esterno: «L’estrema<br />

parte tagliata, solemo per rinfrescarci metterlo alla fronte nell’hore più<br />

calde del giorno, quando anche solemo per lo stesso effetto mangiarlo».<br />

Anche Bartolomeo Platina, umanista quattrocentesco, autore di una celebre<br />

opera «sul piacere onesto e la buona salute», sembra usare il termine poponi<br />

per indicare i cocomeri, «diversi dai meloni, essendo questi ultimi quasi<br />

rotondi e costolati mentre quelli sono oblunghi».<br />

Come ogni cosa, il cocomero possiede delle qualità: purga i reni e la vescica,<br />

«lenisce l’infiammazione di stomaco e dà un certo sollievo all’intestino»<br />

(purché ne siano tolti i semi). Ma in generale intralcia la digestione, ossia il<br />

processo di “cottura” dei cibi nello stomaco, che abbisogna di caldo e di secco,<br />

qualità esattamente contrarie a quelle del cocomero. «Il popone», scrive<br />

Platina, «è senza dubbio gustoso, ma si digerisce a stento perché è freddo e<br />

umido». Per questo è consigliabile mangiarlo a stomaco vuoto, «altrimenti ritarda<br />

la digestione». Per questo è bene accompagnarlo col vino piuttosto che<br />

con l’acqua, perché questa aggiungerebbe altro freddo e altro umido, mentre<br />

il vino agisce in senso contrario. Lo si percepisce anche d’istinto: «Io», scrive<br />

ancora Platina, «consento con la natura, la quale, dopo che si è mangiato il<br />

popone, è inclinata a desiderare il vino, e di quello buono, perché è quasi un<br />

antidoto alla crudezza e alla frigidità del popone».<br />

Altri antidoti sono possibili, e capita di incontrarli ancora oggi negli usi<br />

alimentari di questo o quel paese. Qualche anno fa ero in Vietnam. Faceva<br />

molto caldo e il cocomero si serviva dappertutto. Non da solo, però: rigorosamente<br />

accompagnato da una presa di sale e da un pizzico di peperoncino.<br />

Il secco del sale e il caldo del peperoncino. Fate la prova, è assai piacevole<br />

(e il gusto, come insegnavano Platina e tanti altri, è la nostra prima<br />

guida alla salute).<br />

Moscatello<br />

Altra varietà autoctona a un passo<br />

dalla scomparsa, è riconoscibile<br />

per la polpa gialla e i semi marrone<br />

chiaro. Slow Food International<br />

tutela una varietà analoga, coltivata<br />

dai nativi americani in Arizona,<br />

che si cucina come zuppa fredda<br />

LA DOMENICA <strong>DI</strong> REPUBBLICA 39<br />

Confettura<br />

Più delicata, originale e insolita<br />

delle tipologie classiche, regala<br />

una nota zuccherina e aromatica<br />

a mousse dolci e piatti salati<br />

Lo chef ferrarese Igles Corelli<br />

la accompagna al germano reale<br />

con purea di pere e salsa di ribes<br />

Appoggiata sulle colline<br />

salentine fra Adriatico<br />

e Ionio, vanta<br />

testimonianze<br />

architettoniche<br />

importanti dal romanico<br />

al barocco. Oltre<br />

alle produzioni di olio<br />

e vino, eccellenti<br />

le coltivazioni di cucùmmari, anche a polpa bianca<br />

DOVE DORMIRE<br />

PALAZZO BAL<strong>DI</strong><br />

Corte Baldi<br />

Tel. 0836-568345<br />

Camera doppia da 95 euro, colazione inclusa<br />

DOVE MANGIARE<br />

PURITATE<br />

Via Sant’Elia 18, Gallipoli<br />

Tel. 0833-263836<br />

Senza chiusura estiva, menù da 35 euro<br />

DOVE COMPRARE<br />

PASTICCERIA EROS<br />

Piazza San Pietro<br />

Tel. 0836-566100<br />

<strong>Repubblica</strong> Nazionale


DOMENICA 6 LUGLIO 2008<br />

le tendenze<br />

Pronta a tutto<br />

Difficile trovare qualcosa di<br />

migliore della gomma per<br />

illustrare la citazione amletica:<br />

«Ci sono più cose in<br />

cielo e in terra, Orazio, di<br />

quante non ne sogni la tua<br />

filosofia». Infatti, in questa estate che registra<br />

la moda febbrile della gomma, preferibilmente<br />

multiforme, tassativamente<br />

multicolore, non sappiamo, o dimentichiamo,<br />

che quando si dice gomma si<br />

indica una famiglia così numerosa che si<br />

rischia di non dire niente. Nel senso comune,<br />

la gomma è liscia, morbida, elastica.<br />

Quando diciamo gomma pensiamo<br />

di indicare una cosa precisa. E invece le<br />

gomme sono tante. Perché sono polimeri,<br />

ovvero molecole organizzate in catene.<br />

<strong>La</strong> molecola originale, la lavorazione,<br />

le sostanze aggiunte e il tipo di catena determinano<br />

le caratteristiche finali del<br />

materiale. Il numero delle combinazioni<br />

possibili tende all’infinito (per saperne di<br />

più: http://temi.repubblica. it/casa/).<br />

L’albero genealogico della gomma si<br />

biforca subito; da una parte le gomme<br />

naturali, piuttosto rare, che si ottengono<br />

coagulando il lattice di alcune piante;<br />

dall’altra le gomme sintetiche. Albero genealogico<br />

sbilanciato: il secondo ramo si<br />

divide ossessivamente fino a diventare,<br />

da solo, una selva selvaggia: polibutadiene,<br />

neoprene, isobutene, poliestere, stirene,<br />

sono solo alcuni membri dell’affollata<br />

famiglia. Per dare un’idea dei risultati<br />

possibili, si può pensare che perfino l’ebanite,<br />

duro e fragile antenato della plastica,<br />

viene da una gomma naturale ipervulcanizzata,<br />

ovvero “cotta” molto a<br />

lungo insieme a zolfo. E i siliconi sono<br />

delle gomme un po’ strane, basate su una<br />

catena silicio-ossigeno, i due elementi<br />

più diffusi in natura.<br />

Tutto questo discorso non serve a consigliare<br />

di far studiare chimica ai figli, che<br />

un lavoro lo troveranno sempre, ma per<br />

dire, intanto, di andarci cauti, quando vi<br />

dicono che un oggetto è di “gomma”, e<br />

poi per sottolineare che il settore, così sovraffollato,<br />

è fonte di continue sorprese.<br />

Per esempio, tra i polimeri più recenti c’è<br />

il Melflex, nome commerciale, registrato<br />

dal marchio Melissa, di un’evoluzione<br />

del pvc (quindi, a rigore, non una gomma<br />

ma una plastica) sottoposto a una lavorazione<br />

particolare. Risultato: una singolare<br />

specie di gommoso velluto che sembra<br />

fatto apposta per irretire e sedurre.<br />

In genere i designer non amano molto<br />

la gomma: la sua morbidezza non garantisce<br />

la durata della caratteristica cui i designer<br />

tengono di più: la forma. Quindi, in<br />

passato, per il design la gomma era soprattutto<br />

una materiale di rivestimento e<br />

finitura di strutture più durature, in metallo<br />

o plastica. Ma si sta prendendo la sua<br />

rivincita. Lentamente, come il blob del<br />

celebre film di fantascienza, finirà per ricoprire<br />

il mondo. Le scarpe tutte di gomma,<br />

per esempio, hanno cominciato a<br />

prendere piede lo scorso anno. Adesso si<br />

sono trasformate in un fenomeno virulento.<br />

Per analogia di accessorio, le borse<br />

di gomma ne hanno imitato il destino.<br />

Anche perché, bisogna riconoscerlo,<br />

la gomma dimostra il suo vantaggio<br />

competitivo soprattutto d’estate: non<br />

patisce acqua o sabbia, e il sole la ammorbidisce<br />

appena un po’. Uno spirito<br />

democratico, tanto più che ormai anche<br />

Multiforme, morbida e colorata<br />

mostra tutti i suoi vantaggi<br />

soprattutto in estate<br />

E diventa subito di moda<br />

ACCOMODANTE<br />

È entrata<br />

a far parte<br />

della banca dati<br />

di materiali<br />

riciclati Matrec<br />

la sedia Bucatini<br />

di Hk: la seduta<br />

è ottenuta<br />

da vecchie<br />

camere d’aria<br />

TEMPO <strong>DI</strong> LUSSO<br />

Gli orologi PZero<br />

Pirelli Luxury<br />

hanno cinturino<br />

in gomma<br />

vulcanizzata<br />

con struttura<br />

identica<br />

a quella<br />

dei pneumatici<br />

gli orologi meccanici si permettono di<br />

ostentare il cinturino di caucciù o, magari,<br />

come nel caso di Pirelli, di gomma vulcanizzata<br />

con la scolpitura identica a<br />

quella degli pneumatici. Il richiamo alle<br />

ruote delle automobili torna anche in Bucatini,<br />

la sedia di Hk ricoperta con camera<br />

d’aria riciclata e opportunamente<br />

traforata. <strong>La</strong> sedia, per la sua vocazione<br />

ecologica al riuso, è entrata a far parte di<br />

Matrec (Material Recycling), banca dati<br />

dell’ecodesign. E questo conduce al di-<br />

Era poco amata dai designer,<br />

usata per rivestimenti<br />

e accessori industriali.Oggi<br />

è partita la rivincita globale<br />

PASSI FIORATI<br />

Nati per gli ospedali,<br />

da un paio d’anni gli zoccoli<br />

in gomma Woz sono la moda<br />

dell’estate. Il modello<br />

Fiorelloni è solo uno dei tanti<br />

GHIACCIO DA URLO<br />

Ahhhhh è uno dei coloratissimi<br />

portaghiaccio estivi dai nomi<br />

“urlati” di MoroniGomma<br />

Da portare a tavola, ci sono<br />

infatti anche Arghhh e Brrrrr<br />

LA DOMENICA <strong>DI</strong> REPUBBLICA 41<br />

Riciclata o no, alla conquista del mondo<br />

SPIAGGIA & CITTÀ<br />

Nate in Brasile,<br />

le scarpe Melissa<br />

Plastic Dream<br />

sono vendute<br />

in tutto il mondo<br />

Con o senza<br />

tacco, sono<br />

in Melflex,<br />

materiale<br />

brevettato<br />

simile alla gomma<br />

AURELIO MAGISTÀ<br />

FRUTTA & VERDURA<br />

Un contenitore<br />

in gomma<br />

morbida<br />

e colorata, dotato<br />

di spazzola,<br />

per lavare frutta<br />

e verdura o tenere<br />

in fresco alimenti<br />

È Washing-up<br />

di NOmadeDesign<br />

SEMPRE IN PIE<strong>DI</strong><br />

Lo sgabello<br />

Zanzi Swing di Rexite<br />

ha una base<br />

basculante in gomma<br />

che permette<br />

di dondolarsi senza<br />

cadere. Disegnato<br />

da Raul Barbieri,<br />

è regolabile in altezza<br />

con un pistone a gas<br />

e proposto in diverse<br />

versioni di colore<br />

Costa circa 300 euro<br />

lemma: com’è possibile che, mentre aumenta<br />

la sensibilità ambientalista, si accende<br />

in parallelo tanto amore per la<br />

gomma, che quasi sempre deriva dal petrolio<br />

e non è di certo un esempio di biocompatibilità?<br />

Forse perché è amichevole,<br />

morbida, allegramente colorata,<br />

pronta a tutte le situazioni. E quando i<br />

tempi si fanno duri, come adesso, ci appare<br />

la multiforme reincarnazione della<br />

coperta di Linus: un feticcio, il tabù consolatorio<br />

per le nostre ansie.<br />

<strong>Repubblica</strong> Nazionale


42 LA DOMENICA <strong>DI</strong> REPUBBLICA DOMENICA 6 LUGLIO 2008<br />

l’incontro<br />

Ragazzi cresciuti<br />

GIUSEPPE VIDETTI<br />

PERUGIA<br />

Atrafficare nei quartieri off<br />

limits degli artisti si scopre<br />

sempre qualcosa d’inedito.<br />

«A Caserta Lorenzo<br />

era fuori di sé, furioso. Non l’avevamo<br />

mai visto così», dicono dietro le quinte<br />

del Palasport di Perugia. Jovanotti che<br />

perde la calma, alza la voce, aggredisce<br />

anche solo verbalmente qualcuno: questa<br />

sì è una notizia. «Ma no, che ha capito,<br />

era solo per una situazione di palco<br />

che non funzionava», minimizzano subito.<br />

Mentre in sala i tecnici mettono a<br />

punto la strumentazione per il concerto<br />

(una data del Safari Tourancora in corso)<br />

generando feedback assordanti, nel retropalco<br />

il cuoco Marco prepara la cena<br />

per novanta persone. Braciole, verdure<br />

fresche, frutta di stagione. Oggi ci sono<br />

anche i bambini che ficcano il naso ovunque.<br />

Quelli della quarta elementare della<br />

vicina Cortona — dove vivono i Cherubini<br />

— la classe di Teresa, figlia di Lorenzo,<br />

che suona il violino e ha davvero i colori<br />

di un cherubino. Impossibile per mamma<br />

Francesca, «la compagna che prima<br />

o poi sposerò», tenerli a bada. Chi chiede<br />

una t-shirt, chi la foto autografata, chi il cd<br />

Safari. Che per la verità non è proprio un<br />

disco da quarta elementare, anzi è il più<br />

maturo che Jovanotti abbia mai inciso.<br />

Ispirato, potente, raffinato persino. Un<br />

pugno in faccia a chi due anni fa diceva: è<br />

finito, non ha più niente da dire, non riuscirà<br />

mai a far convivere Jovanotti con<br />

Lorenzo Cherubini.<br />

Quando il giovanotto entra nel camerino<br />

del Palasport, abbellito con lumini e<br />

teli indiani, ha ancora un’aura di santità<br />

che la sfuriata di Caserta non è riuscita a<br />

cancellare. Saranno i capelli biondi e gli<br />

occhi buoni, sarà la barba francescana,<br />

sarà la tenerezza con cui si rivolge ai compagni<br />

di scuola di Teresa, saranno le rughe<br />

timide dei quarant’anni (che non<br />

sembrano quaranta anche se sono quarantuno).<br />

«Lorenzo entra spesso in conflitto<br />

con Jovanotti», esordisce, «ma è<br />

sempre un conflitto tenero, un dubbio<br />

che non dura mai più di un minuto. In<br />

fondo, superati quegli anni lì, Jovanotti<br />

invecchiando è migliorato. È un personaggio,<br />

la mia maschera, il mio costume,<br />

l’etimologia non conta più. È interessante<br />

il fatto che un adulto si chiami Jovanotti.<br />

A vent’anni funziona, dai trenta ai<br />

quaranta è strano, poi diventa un nome<br />

da circo, è il mio aspetto giocondo e ribelle,<br />

dà forza a quei momenti in cui vado<br />

in altre direzioni, perché li rende noncantautorali.<br />

Ci tengo a non essere mai<br />

un cantautore. Jovanotti sarà un nome<br />

perfetto quando avrò settant’anni, perché<br />

sarà paradossale».<br />

Oggi dice: «Il mio lavoro è un gioco che<br />

patisco molto». All’inizio, invece, era un<br />

gioco e basta: È qui la festa? «Partii come<br />

un razzo, niente gavetta, numero uno in<br />

classifica, mezzo milione di copie in tre<br />

settimane. Pazzesco. Non ho mai avuto<br />

ostacoli davanti né obiettivi, fino a… fino<br />

a che non sono diventato grande. Quando<br />

mi presero alla radio, per me era il<br />

massimo. Quando cominciai a fare il dj<br />

nei locali, era quello il massimo. Quando<br />

feci un disco per Goody Music, era il top<br />

del top. Poi mi chiamò Cecchetto, e non<br />

riuscivo neanche a immaginare che potesse<br />

succedermi qualcosa di meglio.<br />

Avevo solo piccoli sogni e nessuna aspettativa,<br />

questo ha premiato la mia salute.<br />

D’altronde, senza doti musicali, non<br />

avrei potuto dire né pensare “prima o poi<br />

il mondo capirà quanto valgo”. A me succedeva<br />

il contrario, avevo l’impressione<br />

di avere più di quanto meritassi».<br />

Safari celebra vent’anni di attività discografica,<br />

iniziata nel 1988 con Jovanotti<br />

for President. «In realtà», precisa, «la<br />

mia prima paga l’ho avuta il 4 luglio 1982,<br />

a una festa di americani a Cortina, come<br />

dj. Bilancio? Boh, sì, me lo fanno fare per<br />

forza. <strong>La</strong> sensazione, oggi, è di aver ricominciato.<br />

Avevo il terrore di dovermi<br />

chiedere un giorno: e adesso che faccio,<br />

dove vado? Invece questo disco e questo<br />

spettacolo mi hanno dato una vitalità che<br />

in vent’anni non ho mai avuto. Ho la sensazione<br />

che il meglio debba ancora venire,<br />

nella scrittura delle canzoni, nelle invenzioni.<br />

Mi sento come il ragazzo di bottega<br />

che finalmente ha un negozio tutto<br />

suo. Mi piace la gente che invecchia bene,<br />

è il massimo che possa capitare a un<br />

artista. Molti geni della musica sono<br />

morti a trentasette anni: Mozart, Marley,<br />

Lennon. Ma si possono fare cose belle anche<br />

dopo quell’età, penso a Tom Waits, a<br />

Springsteen, agli U2, a Chico Buarque.<br />

Vorrei invecchiare in maniera vitale, restare<br />

attuale, parlare agli adulti e, contemporaneamente,<br />

alla generazione che<br />

sogna, ai ventenni. Perché se perdi il contatto<br />

con quelli che hanno il futuro davanti<br />

sei fottuto».<br />

Arriva papà Mario, col bastone, allegro,<br />

rassicurante. Stasera si canta anche<br />

per la famiglia. «Sa che è diventato un mio<br />

fan?», esclama Lorenzo. Scambio di bat-<br />

Vent’anni di attività discografica,<br />

la perdita del fratello maggiore,<br />

un cd, “Safari”, un nuovo<br />

spettacolo. A quarantuno anni<br />

Lorenzo Cherubini è diventato<br />

definitivamente grande:<br />

Il suo nome d’arte,<br />

dice, “è un personaggio,<br />

la mia maschera,<br />

il costume di scena,<br />

il mio aspetto giocondo<br />

Jovanotti<br />

tute. Padre: «Mi piaci di più da quando fai<br />

meno il rapper». Figlio: «Sei elegante, un<br />

look quasi berlusconiano». Padre: «Sì,<br />

come Silvio ai Fori Imperiali». Figlio:<br />

«Quindi come Rascel che faceva Napoleone,<br />

ah ah ah». Il signor Mario si dilegua<br />

in cucina. «Ha settantatré anni, tiene<br />

botta, ha una tigna... «, dice Lorenzo. «<strong>La</strong><br />

morte di mio fratello ha scatenato in lui<br />

una reazione incredibile. Superato il dolore,<br />

è più allegro, dinamico, persino più<br />

paterno. Mi dice “sei bravo”, complimento<br />

che non mi aveva mai fatto. Una<br />

volta magari me lo faceva capire, ora ha<br />

l’urgenza di comunicarlo, come se volesse<br />

dire a me anche le cose che non ha avuto<br />

il tempo di dire a Umberto. E pensare<br />

che quando esordii non ne faceva passare<br />

una, un rompicoglioni infernale. Aveva<br />

paura che mi mettessi nei guai, le discoteche<br />

di notte, le ore piccole. Adesso<br />

lo capisco. Oddio mica tanto… ma sì lo<br />

capisco, aveva paura. <strong>La</strong> prima volta che<br />

si è reso conto che facevo un lavoro serio<br />

fu quando mi vide in Rai, con Pippo Baudo<br />

a Fantastico. <strong>La</strong> Rai per lui era come la<br />

banca, il pezzo di carta».<br />

Invecchiare bene<br />

è il massimo<br />

che possa capitare<br />

a un artista. Molti<br />

geni della musica<br />

sono morti<br />

trentasettenni<br />

ma si possono fare<br />

cose belle anche dopo<br />

e ribelle. È interessante<br />

il fatto che un adulto<br />

si chiami così”. E a proposito<br />

del suo lavoro confessa:<br />

“È un gioco che patisco molto”<br />

FOTO GRAZIANERI<br />

Adesso papà Mario è il suo bambino.<br />

Come Teresa che, dice suo nonno, «nel<br />

carattere è tutta Lorenzo». «Con la differenza<br />

che lei è figlia unica», precisa Jovanotti,<br />

«io ero il terzo di quattro, tre maschi<br />

e una femmina, mi son dovuto guadagnare<br />

gli spazi. Mio padre ha trovato un<br />

cassettone pieno di superotto che sto digitalizzando.<br />

Li riguardo con grandissima<br />

emozione e tanto dolore. Rivedendo<br />

noi tre insieme, mi rendo conto che eravamo<br />

inseparabili, una gang. Abbiamo<br />

dormito nella stessa stanza per anni, fino<br />

alle superiori. I fratelli maggiori sono stati<br />

opposti modelli per me. Umberto<br />

(morto l’anno scorso in un incidente di<br />

volo) quello con la testa sulle spalle, il caposcout;<br />

Bernardo il rocker, il ribelle. Siamo<br />

cresciuti ascoltando musiche diverse.<br />

A me il rap riusciva a dare un’identità,<br />

a loro faceva schifo. Io, che sono sempre<br />

stato un solitario socievole, non raccontavo<br />

ai miei che, durante il liceo, frequentavo<br />

una scuola di teatro, che anche<br />

da piccolo ero un avido visitatore di musei.<br />

Era un segreto, una passione solitaria.<br />

In realtà, quando avevo l’età di Teresa,<br />

pensavo che sarei diventato un disegnatore,<br />

che avrei fatto qualcosa nel<br />

mondo del fumetto. Poi in tv comparve<br />

Arbore: mi stregò quella maniera un po’<br />

pacchiana e goliardica di far spettacolo.<br />

Nei miei esordi radiofonici, anch’io tentavo<br />

di cazzeggiare, di creare situazioni<br />

un po’ surreali, ma non avrei mai pensato<br />

di fare dischi. Mi sono accorto di fare il<br />

cantante quando ho cominciato a cantare.<br />

Non era nei miei piani».<br />

È cresciuto all’ombra del cupolone,<br />

suo padre era un impiegato del Vaticano,<br />

San Pietro la sua casa-museo. «Un luogo<br />

meraviglioso, ma mai mistico o spirituale<br />

ai miei occhi. Ero soggiogato dall’aspetto<br />

visivo, dall’apparato. Puro significante,<br />

niente significato. Dio esiste? Boh,<br />

non lo so, non m’importa. Non m’interessa<br />

tuttora. Le madonne, San Pietro, il<br />

baldacchino, la colomba su quel vetro…<br />

mi rendo conto che faccio i concerti per<br />

ricreare quella roba lì… L’Estasi di Santa<br />

Teresa del Bernini era una cosa che mi<br />

spaccava, come laPietàdi Michelangelo,<br />

con la Madonna giovane che tiene in<br />

grembo un figlio coetaneo. Mi scoprivo a<br />

immaginare i pensieri dell’artista mentre<br />

la scolpiva, la sua eccitazione nel levigare<br />

il braccio, nel modellarne gli occhi<br />

della Vergine. Estasi vera. Ricordo ancora<br />

oggi, con un brivido, i colli delle donne<br />

di Modigliani. Poi, dopo la sbandata rap,<br />

persi la testa per Keith Haring, abbracciai<br />

un’altra forma di comunicazione. Se ripenso<br />

a quegli anni non mi riconosco,<br />

ero come drogato, ma in maniera buona,<br />

giusta. Drogato da una persona — Claudio<br />

Cecchetto, il mio primo produttore<br />

— che sapeva fare il suo lavoro, una benedizione<br />

per un esordiente». Non si<br />

montò la testa, neanche quella volta che<br />

salì sull’elicottero di Berlusconi, che voleva<br />

proporgli un contratto in esclusiva<br />

per la Fininvest. Aveva diciannove anni.<br />

«Mi portò in villa, fece mostra di sé e mi<br />

conquistò. È bravo a conquistare. “Devi<br />

leggere, leggere molto”, mi raccomandò.<br />

Era la prima volta che incontravo uno così<br />

ricco, la prima volta che vedevo una casa<br />

che assomigliava al Vaticano».<br />

Ammette che una preghiera, una volta<br />

ogni tanto gli scappa. Come quella volta<br />

che andò a Guadalupe, nel sommo santuario<br />

mariano dell’America <strong>La</strong>tina.<br />

«Adesso quando prego penso a mio fratello»,<br />

dice. «Ho un corpo, una faccia cui<br />

rivolgermi… lui era molto religioso, ho la<br />

sensazione che abbia trovato quello che<br />

cercava. Per questo provo dolore per la<br />

sua morte, non tristezza». Racconta che<br />

la lettura della Bibbia è stata assidua negli<br />

ultimi anni, ma di non essere mai stato<br />

uno con uno spiccato senso di spiritualità.<br />

«Non riesco mai ad attaccarmi a<br />

un pensiero mistico», spiega. «Anche se a<br />

volte, attraverso i sensi, mi arriva una forte<br />

percezione di trascendenza che non<br />

riesco a tradurre a parole. E meno male,<br />

altrimenti comincerei a rompere i coglioni<br />

agli altri. Farò accapponare la pelle<br />

ai preti, ma io credo a tutto, a ogni religione.<br />

Quando attraversai il Pakistan in<br />

bicicletta, e dietro a ogni curva trovavo un<br />

uomo chino a pregare sul suo tappetino,<br />

non potevo non provare ammirazione<br />

per l’Islam. Idem sul Monte Athos, alla<br />

presenza di quei monaci ortodossi così<br />

fieri, maestosi. O nella quiete ascetica dei<br />

monasteri buddisti. Come si fa a sceglierne<br />

una sola?».<br />

Pochi giorni dopo il concerto di Perugia,<br />

in una chiesetta della campagna umbra,<br />

il parroco unisce in matrimonio due<br />

giovani. Lui un operaio, lei una psicologa<br />

già col pancione. A metà messa, dopo il sì,<br />

tre ragazzi accompagnano l’Eucarestia<br />

cantando sommessamente: A te che hai<br />

preso la mia vita / E ne hai fatto molto di<br />

più / A te che hai dato senso al tempo / Senza<br />

misurarlo /A te che sei il mio amore<br />

grande /Ed il mio grande amore. È un brano<br />

di Safari, la più bella canzone d’amore<br />

del nuovo millennio. Alla fine, un applauso<br />

lunghissimo. Al trio? Agli sposi? O<br />

a Jovanotti?<br />

‘‘<br />

<strong>Repubblica</strong> Nazionale

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