Leggi - I Cistercensi

NOTIZIE
CISTERCENSI
4-5
LUGLIO-OTTOBRE
1975
ANNO VIII
Periodico bimestrale - Spedizione in Abbonamento Postale - Gruppo IV

NOTIZIE CISTERCENSI
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P. Goffredo Viti
Redazione:
PP. Certosa di Firenze
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L'ABATE E LA DIREZIONE SPIRITUALE
di Malachia Falletti
Introduzione
La parola « crisi », nella sua accezione più abusata di « tentennamento
nel buio alla ricerca di qualcosa» è diventata un po' la chiave di
volta di ogni discorso sulle istituzioni e forme di vita, sia nel campo
civile che in quello religioso. Non si tratta di una realtà propria del
momento storico in cui viviamo, ma certamente essa oggi ha preso
uno sviluppo tutto particolare da rasentare la patologia.
« Fin dalla sua prima origine la Chiesa vive in un clima di crisi.
Le sue molteplici divisioni sono le cicatrici di crisi passate e mai
risolte. Discussioni, controversie, anatemi, eresie, scismi hanno
spesso caratterizzato la storia di una chiesa che dovrebbe invece
essere un focolaio di amore e di unità nel mondo. Perciò la crisi
che squassa oggi la chiesa cattolica romana e, in certa misura anche
le altre chiese occidentali, non è fenomeno nuovo. Anzi è addirittura
un fenomeno naturale e positivo. I periodi senza la crisi nella
Chiesa, quando poi capitano, in generale sono epoche di sonno e di
abbandono che preparano dei risvegli della coscienza evangelica
tanto più dolorosi, quanto più ilsonno sia stato profondo e lungo » 1
Tra le realtà che maggiormente risentono di questo clima, possiamo
situare senza dubbio 1'« autorità », e di conseguenza ogni relazione che
in qualche modo si innesti in questa realtà: «maestro-allievo », «magistero-popolo
di Dio », «sacerdote-fedele », «superiore-suddito ».
« Dentro la Chiesa - scrive P. Balducci - si è aperto uno
spazio, stupendo e terribile: lo spazio concreto che c'è tra il modo
concreto di essere chiesa - poniamo essere preti - e la parola di
Dio, dichiarata norma normans, con la quale la chiesa stessa deve
confrontarsi. Essa si è messa sotto il giudizio permanente della
Parola di Dio. Lo stesso magistero è sotto la norma normans.
Si tratta di vedere sul piano pratico dell'obbedienza, come risol-
1 B. BESRET, Per una nuova Chiesa, Cittadella Ed. Assisi 1972, p. 11. Per quanto
riguarda la crisi del sacerdozio cfr. E. BALDUCCI, La fede della fede, Cittadella Ed.
Assisi 1975, p. 7 e ss.
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vere questo rapporto ... Non basta ormai dare una disposizione
per ottenere obbedienza. La nostra esigenza di raffrontare un ordine
alla Parola di Dio non è abusiva, è essenziale. E se in quel
rapporto l'ordine non ci appare per niente coerente, noi ci sentiamo
abbastanza tranquilli fuori dell'orbita della obbedienza.
Perché l'obbedienza fondamentale è quella alla Parola di Dio.
Questa lacerazione è appena cominciata, si aprirà sempre più» 2.
Possiamo dissentire alquanto su alcune affermazioni, ma sulla
sostanza del fatto non si può che concordare con l'autore.
In questo contesto, il tema proposto: «L'abate e la direzione spirituale
», richiamando la relazione « maestro-discepolo », « padre-figlio »,
acquista un interesse del tutto eccezionale, anche se, d'altra parte non
ci lascia molta speranza di riuscire a. proporre soluzioni facilmente
accettabili .
1. ABATE E DIREZIONE SPIRITUALE NELLA REGOLA DI SAN BENEDETTO
Per partire, nella nostra ncerca, da un punto fermo, dobbiamo
considerare il ruolo dell'abate nella direzione spirituale secondo il
progetto benedettino, quale ci appare nella Regula Benedicti, specialmente
se raffrontata con la precedente Regula Magistri 3. La RB infatti,
non è la codificazione delle idee e delle invenzioni di San Benedetto,
ma è la cristallizzazione di formule a sua volta diluibili, di una tradizione
e di una esperienza di secoli.
Non dobbiamo dimenticare che il Concilio Vaticano II ha invitato i
religiosi al rinnovamento della vita religiosa col ritorno al genuino
« spirito » dei fondatori, pur lasciando cadere tutti gli elementi caduchi
dalla sua realizzazione che i tempi e il loro evolversi hanno manifestato
come non perenni 4.
A riguardo della funzione della Regola di Benedetto nell' oggi della
2 E. BALDUCCI, La fede della fede, Cittadella Ed. Assisi 1975, p. 15.
3 Sulla relazione tra le due regole cfr. A. DE VOGUÉ,La Règle de Saint Benoìt, Ed.
du Cerf 1972, 6 volumi; A. DE VOGuÉ, La Règle du Mattre, Ed. du Cerf 1964, 3 volumi.
In queste due opere si troverà anche tutta la bibliografia recente al riguardo.
4 «Torna a vantaggio della Chiesa stessa che gli istituti abbiano una fisionomia e
una propria funzione. Perciò fedelmente si interpretino o si osservino lo spirito e le
finalità proprie dei fondatori, come pure le sane tradizioni... » PC 2 b) Deh. 708.
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storia le tendenze ed i pareri in campo monastico sono estremamente
divergenti, andando dalla considerazione della RB come libro attualissimo,
a quello della RB come monumento storico con un influsso sul
presente limitato ai capitoli cosiddetti « spirituali ».
Dom Sigardo Kleiner, abate generale dell'Ordine Cistercense, ha recentemente
scritto nella prefazione del suo libro di intrattenimenti sulla
Regola:
« Le présent livre se propose de montrer les bonnes raisons
que nous avons de nous attacher à St. Benoi, La Règle en effet n'a
pas besoin d'ètre reformée ou contournée pour étre up to date,
il faut tout simplement savoir la lire comme un vieux livre millénaire
doit ètre lu aujourd'hui. Les saintes Ecritures ne sont pas non
plus périmées parce qu' elles se présentent dans un vètement
vétuste » 5.
L'abate benedetetino Dom Van der Wielen concorda con questa
tesi, motivando questa attualità con i concetti moderni di collegialità e
democrazia che sarebbero condivisi in pieno dalla RB 6. Checché ne sia
del giudizio, la motivazione sembra però non reggere ad una critica più
severa e all'esegesi del testo della RB, come si può leggere in uno scritto
dell'Abate Primate dell'Ordine benedettino sul ruolo che deve assumere
l'abate in una società democratica 7.
Molto critica, infine, è Maria Giovanna Dore in un articolo che però
con più punti interrogativi che soluzioni. Essa scrive:
« Come si presenta la Regola di San Benedetto di fronte all' oggi,
di fronte a noi, al punto in cui ci troviamo nell'evoluzione del monachesimo,
nel dissenso e nell'allontanamento dalla regola? Dò per
scontata la inevitabilità e la saggezza persino, di tale allontanamento,
indicando con questa parola tutto ciò che ha messo il monachesimo
su strade nuove e diverse rispetto alla Regola. Per cogliere
le distanze, le differenze, le opposizioni esistenti tra la RB e noi
basta conoscere sufficientemente, modestamente la Regola nella sua
espressione letterale, leggerla come sta scritta e conoscere, sia pure
approssimativamente, i momenti liturgici, ascetici, disciplinari, che
percorrendo abbattendo e costruendo l'area del moderno monache-
5 S. KLEINER, O. Cist., Dieu premier servi, Ed. Téqui - Paris 1974 p. 21.
6 A. VAN DER WIELEN, OSB, L'abbé uicaire du Christ, in Collectanea Cisterciensia,
31 (1969) p. 128.
7 R. WEAKLAND, OSB, L'abbé sans une societé démocratique, in Collectanea Cisterciensia,
31 (1969) p. 102-108.
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simo ... L'abate di oggi è concepito e realizzabile come quello della
Regola? La concezione dell'autorità è identica o somigliante alla
nostra? .. Quale utilizzazione concreta può farsi, oggi, dei capitoli
relativi? O nessuna o quasi nessuna! Ci sembra di utilizzarli, ma
non è autenticamente vero. Ci manca forse il coraggio di riconoscerlo?
... Non sono pochi i capitoli in cui può e potrà essere utilizzata
la sostanza ispiratrice, ma non altro. Molti quelli che non
hanno più alcun mordente effettivo su di noi. Quasi tutti, se si eccettuano
gli «spirituali» hanno qualche cosa che disturba, che
ostacola l'adesione contemporanea o nella direttiva pedagogica o nei
dettagli pratici ... Sotto l'aspetto esistenziale Regola e monachesimo
odierno mancano di contatti reciproci, non fanno corpo insieme» 8.
Qualunque sia la nostra posizione di fronte alla RB, come benedettini
è necessario vedere quel'era la concezione del Santo legislatore circa
l'abate per quel che riguarda la direzione spirituale dei suoi monaci, al
fine di stabilire come questa concezione sia ancora realizzabile oggi, e
sotto quali forme.
Monastero: Scbola Dominici seroitii
Il monastero, secondo Benedetto, è la « schola dominici servitii ».
In essa quindi vige una relazione essenzialmente verticale: maestro-discepolo.
La ragione per cui alcune persone si radunano per formare una
scuola, è data dal fatto che vi è qualcuno che ha qualcosa da insegnare
e una disciplina da imporre. Trattandosi poi non di una scuola comune,
ma di una « schola dominici servitii », il maestro deve essere un uomo
che conosce la volontà di Dio: un uomo ripieno dello spirito della divina
parola, che cammina nella volontà divina e che è in grado di guidare gli
altri sulla medesima strada. Egli è il « doctus in lege divina» e come
tale appartiene alla categoria dei dottori, quindi a una delle categorie
dei carismatici di cui parla San Paolo. L'abate non è quindi tale nella
linea gerarchica, ma nella linea carismatica.
Nell'eremitismo orientale questa soluzione, codificata poi nella RB,
è estremamente evidente. Il rapporto tra i monaci è sempre tra anziano
e discepolo: colui che è giunto, sotto la guida di un anziano, ad acquistare
la sapienza e ilmodo di vivere la volontà di Dio, che si è assuefatto
8 M. G. Doas, LA Regola oggi, in Vita Monastica, n. 104 p. 54-57.
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al colloquio personale con Dio nella preghiera e nell'ascolto della sua
parola nella lettura della Sacra Scrittura, che ha appreso le sante astuzie
per sconfiggere il Tentatore, diventa a sua volta maestro nei riguardi
di altri principianti che vogliono, come lui, trovare Dio.
Una differenza verrà subito a fare sentire il suo peso diversificando
il ruolo dell'« abba » nell'eremitismo orientale, da quello dell'abate di
un cenobio, sia quello di Pacomio, sia in seguito quello di Benedetto:
il rapporto estremamente semplice nel primo caso, ridotto quasi esclusivamente
alla cura spirituale del discepolo, si moltiplica e si complica
quando i discepoli diventano numerosi, creando anche molti problemi
di organizzazione e sussistenza.
Christi enim agere creditur vices in monasterio
Si è spesso voluto assimilare la posizione dell' abate nel monastero
a quella del « paterfamilias » romano nell'ambito della famiglia romana.
Nulla di più inesatto. L'abate non è la manifestazione di una autorità
propria, nativa, come era il paterfamilias, poiché « Christi agere creditur
vices in monasterio ».
« Le nom d'abbé, qui signifie « père », réfère donc celui qui
le porte au Christ mème. C'est du Christ que l'abbé tient sa mission,
c'est lui qu'il représente. Le nom d'abbé évoque moins la paternité
du supérieur à l'egard de ses disciples, que sa qualité de représentant
de l'unique « abba » qui est le Christ en personne. Certes le
abbé est père, mais il ne s'agit la que d'une paternité déléguée » 9.
In questo modo si trova la formula per non contravvenire al comando
di Gesù: «non chiamerai nessuno « padre mio» sulla terra».
È chiaro però che tutta la vita e l'organizzazione della società cenobitica
ricadeva sull'abate: i discepoli rimettevano nelle sue mani tutte le
preoccupazioni di ordine spirituale e materiale per dedicarsi, sotto la
sua guida, alla ricerca della volontà di Dio.
« La sujection à un abbé est le signe efficace d'un renoncement,
de sort che l'abbé doit, pour répondre à la requète la plus profonde
de son fils spirituel, consentir à prendre sur lui une autorité plénière,
9 A. DE VOGÙÉ, OSB La Communauté et l'Ab bé dans la Règle de St. Benoit,
Desclée - Paris - 1961, p. 139.
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à laquelle n' échappe aucun des éléments de sa personalité et de son
exsistence » 10.
Nessuno potrà sostituire l'abate in questo ufficio 11.
Potrà e dovrà avere degli aiuti, ma il peso della responsabilità ultima
sarà sempre sulle sue spalle, perché è lui che deve rispondere davanti a
Dio di tutti gli atti dei suoi discepoli, nessuno escluso, dal momento
che si suppone che i discepoli siano docili e obbedenti alle sue parole,
ai suoi insegnamenti, ai suoi comandi.
« Il n'y a dans le monastère, en quelque sorte, qu'une seule
volonté, et par suite une seule responsabilité. Les disciples se sont
confìès à un homme capable, espèrent-ils, de faire triompher en
toute circostance la volontè de Dieu sur la sollicitation du diable et
de la chair. Ils ont mis leur volonté dans celle de l'abbé, parce que
la volonté de I'abbé est unie a celle de Dieu. Soustraire quelque
chose à l'autorité de ce maitre de vie chrétienne serait les frustrer
dans leur attente » 12.
In questo senso nulla di più falso che assimilare la società cenobitica
benedettina ad una società democratica 13. Lo stesso capitolo « De
adhibendis ad consilium fratrihus » nulla toglie all'autorità unica dell'abate
come animatore e guida della comunità. Anche se vi si ribadisce
che egli è ecclesia quaerens in quanto non deve agire in nome proprio,
ro A. DE VOGuÉ, La Communauté et l'Abbé dans la Règle de St. Benott, Desclée -
Paris 1961, p. 149.
11 «Le supérieur est le chef de la Congregation; il est la tète d'un corps duquel
tous ses frères sont les membres et les parties; et comme le propre de la tète dans le
corps humain est de gouverner, de conduire, de former tous les mouvements et toutes
les actions et que, tout se rapportant à elle, il ne se passe rien dont elle ne soit l'origine
et le principe, il faut aussi que dans una communautée reglée tout se fasse par les
ordres et dans la dépendance du supérieur, qu'il dispose de toutes les choses pour la
utilité et pour le bien des particuliers: qu'il applique les sujets et qu'il ordonne de leurs
occupations et de leurs exercices; qu'il dirige leur conscience, qu'il règle leur piété et
qu'il n'y ait rien sur quoi sa vue et sa diréction ne s'étende. C'est ce que pensait Saint
Benoit quand il declare que le supérieur doit tenir la place et faire le fonctions de
Jésus Christ dans le Monastère, qu'il atout dans sa disposition et que il n'y a rien
qui ne soit soumis a ses ordres » A. J. LE BOUTHILIER DE RANCÉ, De la saintété et des
deooirs de la vie monastique, Paris - Duprat 1846 p. 160-161.
12 A. DE VOGiiÉ, O. c. p. 151.
13 «Souvent les décision s'élaborent dans la recherche commune, et dans ce cas
l'abbé les homologue s'il juge qu'elles s'accordent au dessein de salut du Père en faveur
de ses fils. Mais il peut arriver, il arrive, que la recherche commune aboutisse à un
impasse, ou qu'une rnajorité l'emporte sur une minorité dont les avis sont cepedant plus
évangéliques que ceux de la majorité, Le ròle de l'abbé prends alors toute sa signification;
c'est de son obéissance que va dépendre la qualité d'aroour de la coromunauté.
C'est à lui de discerner dans la prière, la réfléxion et la dialogue avec ses frères, la
volonté du Père sur sa communauté », F. X. HANIN, OCSO, Autorité et obéissance bier
et bauioud'bai, in Collectanea Cisterciensia, 31 (1969) p. 118.
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ma quale vicegerente di Cristo, il modo di ricerca e l'interpretazione
della volontà dell'unico maestro è di sua spettanza esclusiva, che in
ultima analisi « quod vult facit ».
Certo quanto più numerosi sono i discepoli, tanto più l'abate
deve sentire il bisogno di farsi aiutare da alcuni confratelli più sperimentati
e «spirituali », con i quali deve «partiri onera sua ». In
questa richiesta di aiuto, però, due punti restano ben fermi.
Non si tratta, innanzitutto di creare uffici autonomi, sia che si
tratti di decani, priori, cellerari, maestri dei novizi..., ma soltanto di
suscitare collaboratori suoi, che agiscono in piena dipendenza da lui e
restano nell'ambito dell'azione da lui programmata.
« Il est intéressant de constater qu'au chapitre 58 St. Benoit
ne parle pas de « maitre » des novices », de « magister ». L'ancien
député aux novices n'est pas maitre dans le sens où ce mot convient
a l'abbé. Certes, le maitre des novices doit enseigner, puisque lui
aussi, sans aucun doute, doit montrer a ses élèves les choses dures
et àpres sur le chemin de Dieu. Mais il n'est pas un maitre ayant
sa doctrine personnelle; il doit enseigner dans la ligne doctrinale de
l'abbé » 14.
La figura del Priore, quale contraltare dell'abate, in quanto eletto
dagli stessi monaci che avevano scelto l'abate, non è mai stata gradita
a Benedetto che nella Regola ha parole durissime contro una simile
situazione.
In secondo luogo, non si tratta di scegliere degli esperti per varie
incombenze materiali e organizzative, ritenendo per sé la parte più
specificatamente spirituale, qual'è la direzione spirituale sia generale
rivolta al gruppo, sia speciale, rivolta al singolo individuo. La regolamentazione
della vita del cenobio, le relazioni con le persone esterne,
con l'autorità civile, coi poveri, l'amministrazione dei beni materiali
non sono momenti che esulano dal suo magistero e dalla sua azione
come direttore delle anime. Certo è necessario che usi tutte le arti per
non far mancare nulla ai suoi figli, per non creare turbamenti nella
comunità o tra la comunità e il mondo in cui essa è inserita; ma ha
inoltre il dovere di insegnare come, in tutte queste cose e circostanze,
si debba essere soggetti al Padre che sta nei cieli, come si debba vivere
la fede nella realtà e certezza che siamo tutti figli di Dio, di quell'unico
Padre che provvede a tutti i nostri bisogni e che fa piovere sul giusto
e sul malvagio.
14 S, KLEINER, O. Cisto Dieu premier servi, Ed. Téqui - Paris 1974 p. 247.
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Tutto nel monastero appartiene alla schola dominici servitii e tutti
i collaboratori dell'abate devono essere innanzitutto uomini spirituali
che sappiano tradurre nell'ufficio a loro affidato, il mandato di insegnare
quanto il maestro, cioè l'abate deve insegnare.
Basti al riguardo notare con quale amore nella Regola Benedetto
tracci la figura del cellerario: «CeIlerarius monasterii eligatur de con-:
gregatione sapiens, maturus moribus, sobrius, timens Deum, qui omni
congregationi sit sicut pater » (RB 31). Queste doti sono richieste in
lui perché non si lasci irretire dalla tentazione di diventare un «menager
», un uomo d'affari, ma anche e soprattutto perché con il suo
comportamento nel disbrigo degli affari deve insegnare ai fratelli in
modo effettivo la fiducia in Dio, il distacco dalle cose passeggere e il
vero senso della povertà.
Tutta la vita e tutta l'attività dell'abate resta quindi quella di
direttore spirituale. Spetta a lui, è sua responsabilità di cui dovrà rendere
conto a Dio, la formazione di coloro che si sono affidati a lui
per essere guidati nelle vie del Signore. Che poi lui si faccia aiutare
da altri nella realizzazione di questo suo compito riguarda solo lui
e la sua prudenza.
« Dans l'école du service du Seigneur l'abbé est responsable de
tout, mais il peut se choisir des auxiliaires, la Règle considère ceci
comme allant de soi (21.1-2; 27.2; 31.1-2; 32.3; 36.10; 47: 1,
53.21; 58.6; 65.15). Chacun recevra la part de responsabilité pour
son propre bien et celui de tous. C'est le principe de subsidiarité:
l'autorité laisse à chacun de servir à la mesure de sa capacité. L'abbé
n'intervient que pour suppléer aux insuflisances. Le moine n'est
donc pas un simple instrument au service de la communauté, et
l'esprit d'initiative est mis en valeur pour le bien commun. Un supérieur
qui sait se faire aider, s'assure par la une plus grande liberté
pour vaquer à ses taches propres. Chargé de supervisier, s'il
s'occupe de tout, il perdrà le controle de l'ensemble et il fallira sa
mission » IS.
Si può notare al riguardo come divergano dall'idea benedettina
alcune forme di monachesimo moderno, che vanno considerate quindi
come momenti di ricerca di nuove strutture di vita monastica, più che
di vita benedettina in particolare. In esse non si tratta più di un gruppo
IS A. VAN DER WIELEN, OSB, L'abbé, oicaire du Cbrist, in Collectanea Cisterciensia
31 (1969) p. 133.
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di discepoli alla scuola di un maestro, ma piuttosto di una équipe alla
ricerca solidale della volontà divina.
Parlando di Bose E. de Giorgis scrive: «Qui si dà molto
spazio allo studio del monachesimo e della sua ricca tradizione
occidentale e soprattutto orientale, poiché essa permette di evidenziare
quali fondamenti abbia la «koinonia» per dei celibi che
hanno una totalità di vita in comune; per quanto riguarda la condizione
interna della piccola comunità piemontese, si è arrivati alla
conclusione che nessuno può essere chiamato maestro o padre, per
cui le decesioni sono prese in comune nei capitoli settimanali del
sabato e nei due capitoli generali che si tengono in primavera ed
in autunno. La comunità cerca così di valorizzare i carismi di ognuno:
al presidente si riconoscono unicamente i carismi della saldezza
e del discernimento spirituale che sono in relazione al servizio del
progetto comunitario » 16.
E nell'« Esortazione al fratello che entra in comunità » (corrisponde
in senso lato alle nostre Regole e Costituzioni) si legge:
« Questa obbedienza a Dio si manifesta però anche in obbedienza
concreta, visibile alla comunità, cioè ai fratelli. Senza l'obbedienza
alla chiesa il cristiano sarebbe un settario, senza obbedienza
alla comunità, il primo cerchio della chiesa per te, tu non saresti
incorporato pienamente al corpo visibile di Cristo. La comunità è
assistita dallo Spirito Santo promesso ad ogni membro che proclama:
Cristo è il Signore. È la comunità, dunque, che per te esprime
ordinariamente la volontà di Cristo nel chiederti l'obbedienza
e nell'indicarti la via da percorrere » 17.
In questo contesto la figura del superiore, o meglio, secondo la
espressione usata, «di chi presiede all'unità », è sì ancora quella del
direttore spirituale, ma non in qualità di vicario di Crsto, ma in quanto
delegato a questo dalla comunità, in quanto direttamente è alla comunità
dei fratelli che spetta questo compito, e a lei esso dovrà ritornare
quando si presenti un grave caso.
«Nella comunità tutti hanno dei carismi. Egli deve avere
quello della saldezza. È a lui, dunque, che manifesterai le tue pas-
16 E. DE GXORGIS, Riflessioni di un laico su alcune esperienze di monachesimo contemporaneo,
in Vita monastica 115 (1973) p. 240-241.
17 «Esortazioni al fratello che entra in comunità» Estratto da Servitium 5 (1971)
p. 18-19.
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seggere esitazioni, i tuoi dubbi, le tue crisi, le tue difficoltà. Egli
è là per questo. Se ogni volta che tu provi tali difficoltà ti rivolgessi
alla comunità per risolverle, tu comprendi: creeresti una situazione
di perenne crisi e di incertezza paralizzante nella comunità.
Dato il numero dei fratelli, si può dare per certo che ogni giorno
uno è in difficoltà. Svuotare questa in comunità non aiuterebbe la
vita comune. Dunque tu ti rivolgerai a lui con confidenza, con semplicità
esporrai la tua situazione, ed egli col suo carisma ti aiuterà
a vedere chiaro e ti confermerà nella vocazione ricevuta. Se la tua
difficoltà è grave e non passa, allora sarà nel Consiglio che tu la
esporrai e da questo accetterai l'aiuto e la decisione» 18.
Confessione e direzione
Bisogna però fare una chiara distinzione tra confessione sacramentale
e direzione spirituale, poiché si tratta di due realtà diverse. Non
entriamo nella complicata questione della forma del sacramento della
penitenza al tempo di S. Benedetto. Certo l'abate non era necessariamente
sacerdote 19, come il sacerdozio non era richiesto per gli anziani
che l'abate deputava ad aiutarlo nel suo ufficio di direttore di anime di
cui parla nella Regola (4.50; 46.5; 7.44). Non si trattava infatti di una
confessione dei peccati per ottenere il perdono di Dio, ma per essere
curati ed aiutati nel cammino della perfezione da colui che sa « guarire
le proprie e altrui ferite ». Non si parla quindi per l'abate, di esercitare
una potestà di ordine, ma piuttosto di esercitare il carisma particolare
della direzione. Di conseguenza quanto si dice dell'abate vale per la
badessa.
«Les restncnons qu'il faut faire dans certaines cas ne s'irnposent
pas du fait d'une différence de position, mais de formation.
Mais l'abesse doit, elle aussi, étudier les Saintes Ecritures, s'instruire
et savoir à quelle source équiser » 20. E non si può negare
che « il y peut y avoir dans une communauté des moniales aptes
à donner de hons et sages conseils spirituels » 21.
18 « Esortazioni...» p. 21.
19 A. DE VOGUÉ, O. c. p. 166.
20 S. KLElNER, O. c. p. 252.
21 Id. ibid. p. 252.
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Museo archeologico?
Così considerata la figura dell'abate può a pnrna vista apparire
come un reperto archeologico o un pezzo da museo. L'evoluzione
che ha subito nella storia l'istituzione abbaziale, ha fatto di lui una
figura troppo spesso assai diversa da quella rappresentata da S. Benedetto,
se non addirittura, in certi periodi, diametralmente opposta.
Non intendo parlare sempre di decadimenti o di abusi, ma è una constatazione
che va fatta.
Anche se ci soffermiamo a considerare il termine dell'evoluzione
giuridica, esaminando le disposizioni del codice di diritto canonico
che toccano anche l'abate, notiamo subito come la concezione di
S. Benedetto sia completamente stravolta.
Il canone 518dice: «Caveant superiores ne quem subditum aut
ipsi per se aut per alium, vi, metu, importunis persuasionibus aliave
ratione inducant ut peccata apud se confiteatur ».
A parte il fatto che qui si parla di confessione sacramentale e
non di direzione, si suppone un clima di oppressione che non è ammissibile
tra colui che ha qualche cosa da dare e chi liberamente viene
a lui per ricevere.
Il canone 530, paragrafo primo è più attinente e dice: «Omnes
religiosi superiores districte vetantur personas sibi subditas quoquo
modo inducere ad conscientiae manifestationem sibi peragendam ».
Questo canone vieta di indurre a fare qualche cosa che per S. Benedetto,
invece, è nell'ordine stesso delle cose. Se un malato si pone
liberamente in cura da un medico, non deve essere indotto a farsi curare,
ma sarà lui evidentemente che si comporterà in modo che il
medico lo possa efficacemente curare. Si tratta quindi evidentemente
di due situazioni esaminate, e di due concezioni del superiore, assai
lontane tra di loro, pur nella superficiale e apparente uniformità.
Il paragrafo secondo dello stesso canone, anche se più positivo, è
ancora ben lontano dallo spirito di S. Benedetto. Esso dice: «Non
tamen prohibentur subditi quominus libere ac ultro aperire animum
suum superioribus valeant; imo expedit ut ipsi filiali cum fiducia superiores
adeant eis, si sint sacerdotes, dubia quoque et ansietates suae
conscientiae exponentes », dove si esprime sotto forma di desiderio
quello che per S. Benedetto è una realtà basilare. C'è tuttavia l'espressione
« si sint sacerdotes », che pone una confusione tra elemento sacramentale
ed elemento puramente umano anche se, come nota il P. De
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Vogiìé, l'espressione «dubia quoque et anxietates» non corrisponda
esattamente al concetto di «direzione spirituale» 22.
2. ABATE E DIREZIONE SPIRITUALE DA SAN BENEDETTO AI GIORNI
NOSTRI
Il Codice di diritto canonico non è altro che l'espressione di una
evoluzione (comprensiva di progressi e di involuzioni) le cui fasi sarebbe
interessante esaminare per scoprire le cause reali e varie che
hanno prodotto il passaggio dalla figura del «padre del monastero »,
«maestro dei discepoli» che venivano a mettersi alla sua scuola,
esemplare della vita spirituale, unico luogotenente dell'unico Maestro,
alla reale figura dell'abate nell'attuale vita monastica.
]. De Punet, alla voce abbé del Dictionnaire de spiritualité, è
piuttosto ottimista al proposito, negando vi sia stata evoluzione, e
affermando che di mutazione non vi era bisogno. Egli afferma:
« Basée, comme elle l'est, sur la foi à la paternité divine et sur la
reconnaissance du ròle providentiel que possède le père dans
la famille, cette conception n'avait pas à ètre modifìée et elle
demeure, après des long siècles, telle que le saint legislateur se
l'était formée » 23.
Egli porta a conferma del suo assunto alcune testimonianze di
abati che nel corso dei secoli furono veramente la realizzazione della
figura abbaziale benedettina. Ora nessuno nega che nel corso dei secoli
la figura dell'abate quale era concepita da S. Benedetto sia stata
realizzata, anche se degli elogi riportati, forse una parte siano da attribuirsi
al genere letterario e da considerarsi come tale. Ma si potrebbero
portare esempi contrari non meno numerosi, tali da rendere nulla
la testimonianza addotta. Importante è invece considerare il movimento
nel suo insieme e non in alcuni esemplari di perfezione o imperfezione
colti qua e là negli avvenimenti storici.
Già nel secolo XVI in due commenti alla Regola si cerca di
enucleare la causa del decadimento dell'ufficio abbaziale. Sei sono i
motivi addotti dal cardinale de Turrecremata:
22 A. DE VOGUÉ, O. c. p. 173 Cfr. tuttavia P. GUTIERREZ, De manifestazione
conscientiae et directione spirituali in religione, in Commentarium pro religiosis, 1955
pp. 153-154.
23 J. DE PUNET, Abbé in Dictionnaire de Spiritualité T. L col. 55.
- 116-

« Primum si in propria persona terenis negociis intendit et in spiritualibus
vicarium point. Secundum, si non timet fratres suos periculo
exponere ut temporalia bona servare valeat: ut cum fratres
iuvenes et leves ponit in officiis exterioribus. Tertium, si cum
magnis expensis muros erigit et mores negligit. Quartum, si quotidianas
expensas frequenter computat, animarum vero detrimenta
ve! profectus ignorato Quintum, etsi quando conveniunt fratres ad
capitula, de rerum temporalium conservatione vel multiplicatione
est tractatus primus; de Ordinis vero reformatione ultimus ve!
nullus. Sextus, si sollicite provideantur quae necessaria sunt corporibus,
de his vero non curatur, quae sunt necessaria animabus » 24.
Una prova più recente addotta dall'autore a sostegno della sua
tesi, sono i testi legislativi o paralegislativi degli ultimi tempi, che
ci mostrano come la figura dell'abate sia rimasta quella descritta da
S. Benedetto. Dopo quarant'anni noi siamo in grado di citare ancora
altri testi recentissimi, scritti dopo il movimento inziato dal Concilio
Vaticano II, ma questo non ci permette di condividere il suo ottimismo.
Dai testi legislativi, dalle dichiarazioni programmatiche alla realtà vissuta
il passo è molto lungo. Anche i testi legislativi hanno un loro
genere letterario e spesso ricalcano vecchie formule, conoscendo però
bene il significato pratico che esse rivestiranno nella realtà. La crisi
stessa dell'autorità, penetrata profondamente anche nei monasteri fa
che spesso i Capitoli si affannino a stabilire formule che nella realtà
non riescono a trovare una adeguata realizzazione. Oggi, invece si deve
guardare più ai fatti che ai progetti.
Detto questo, si deve però notare che lo stesso diritto attuale e
le forme ad esso ispirate nella legislazione monastica, contraddicono la
tesi del De Punet.
Scrive l'abate primate della Confederazione benedettina:
« On pourrait tout aussi bien dire che l'ultime responsabilité repose
sur I'abbé, La modification de cette idée, sous l'effet du Droit
Canon et des Déclaration de chaque Congrégation, n'est pas sim-
24 Card. DE TURRECREMATA, In Regulam S. Benedicti, Coloniae Agrippinae 1575,
p. 66. Un testo simile è quello dell'abate SMARAGDO nell'opera Expositio in Regulam S.
Benedicti Col. Agripp. 1575 p. 319 dove si legge: «Non enim debet abbas dissimulare,
id est nescire se fingere rem, de qua in districto exanime rationem debet Domino reddere;
neque parvipendere debet salutem monachorum suorum et pro magno existimare
curam rerum terrenarum; neque minus curare debet de salute animarum sibi commissarum
et plus gerere curaro de substantia rerum »,
- 117-

plement accidentelle de sa nature, elle est essentielle. Des cas
sant spécifiquement énumérées, pour lesquels le consentement du
chapitre, exprimé par vote secret, est absolument nécessaire pour
que l'abbé puisse agir. Dans ce cas, le droit de l'Eglise pIace le
pouvoir de décision entre les mains des membres du chapitre ou
du conseil des anciens. La responsabilité de la décision repose
donc sur ceux qui, de par la loi, doivent prendre cette décision.
Ceci apporte une modification évidente de l'ésprit du chapitre III
de la Règle, et cette modification n'a nullement été introduite sous
l'effet des récentes influences democratiques. Peu de commentateur
de la Règle et peu d'auteurs de spiritualité bénédictine ont
abordé les nombreuses ramifications spirituelles nées de ce changement
d'esprit apporté par le droit de l'Eglise au chapitre III
de la Règle » 2S.
Inattualità dell'abate direttore spirituale
È chiaro che l'evoluzione storica non può essere in sè un fattore
negativo. L'uomo muta continuamente e la mentalità dell'uomo
del VI secolo differisce molto da quella di uno del XIV secolo e più
profondamente ancora da quella di un uomo del secolo XX. L'evoluzione
è quella presa di coscienza dei mutamenti indotti dalla storia per
adattare ad essi realtà e valori anteriori, permettendo così a vecchie
istituzioni di continuare a vivere e non solo a vegetare. Dove c'è vita
c'è pure cambiamento; solo la morte e la sclerosi portano all'immobilità.
La domanda che dobbiamo porci è quindi questa: in quale maniera
può continuare a vivere oggi la figura dell'abate quale ce l'ha proposta
San Benedetto? In che modo pratico, reale e realizzabile, l'abate
può rivestire le sue funzioni inderogabili di essere il padre, il maestro,
il direttore di spirito dei suoi monaci?
È questo un interrogativo molto grosso, cui non posso certamente
dare una risposta esauriente, alla cui soluzione cercherò di proporre
alcuni elementi o punti di ricerca affinchè collo sforzo comune si trovino
delle direttive nelle quali l'abate trovi ben definita la sua fisionomia,
acquistando in seno alla famiglia monastica quella centralità
e quell'influsso che gli sono propri.
2S R. WEAKLAND, OSB, L'abbé dans une societé démocratique, in Collectanea Cisterciensia,
31 (1969) p. 102.
- 118-

In che senso l'abate è direttore spirituale
Lasciamo da parte la direzione spirituale strettamente intesa, che
dai singoli monaci può essere richiesta all' abate, ricorrendo a lui e
aprendogli completamente la propria coscienza, per ottenere il suo
giudizio e la sua direttiva. Questa è infatti la forma più perfetta e
totale di esplicitazione della paternità, ma non è possibile nè esigibile
da parte dell'abate da tutti i suoi monaci. Ci dobbiamo invece chiedere
qual'è la forma di direzione che egli essenzialmente può e deve esercitare
sui suoi monaci per poter meritare ancora il nome di «padre»,
« abba » che Benedetto gli attribuisce.
a) TRASMISSIONE DELLA PAROLa DI DIO
L'Abate « vices Christi agere in monasterio creditur ». Deve quindi
essere il primo ad ascoltare e meditare sulla parola di Dio per poterla
dare ai suoi figli, sia come gruppo, sia singolarmente, nei diversi
bisogni che si manifestano. Non si tratta evidentemente dello studio
scientifico, storico, teologico, esegetico della parola di Dio, che può
essere fatto bene e anche meglio da un esperto, ma della lettura esistenziale
della parola di Dio, applicata al momento presente, come luce
del proprio pensiero e della propria azione.
Perchè i fratelli, come vuole San Benedetto, credano che egli
fa le veci di Cristo, devono poter scorgere nel suo modo di agire, nel
suo prendere delle decisioni, nel suo guidare singoli e comunità, una
relazione viva alla Parola di Dio, meditata e sofferta.
Non è la personalità forte dell'abate che dimostra la sua legazione
di Cristo, ma la sua disponibilità e apertura alla parola di Dio.
Dietrich Bonnhoeffer ha una pagina meravigliosa al riguardo:
«Nessuno può in alcun modo redimere il fratello, nè dare a Dio il
prezzo del riscatto di esso. Il riscatto dell'anima dell'uomo è troppo
caro e non sarà mai sufficiente (Salmo 49, 8). Questa rinuncia ad ogni
possibilità propria è appunto la premessa e la conferma dell'aiuto liberatore
che solo la parola dì Dio può dare al fratello. Non è in mano
nostra la vita del fratello, non possiamo tenere unito ciò che vuole
spezzarsi, non possiamo tenere in vita, ciò che vuole morire. Ma Dio
congiunge ciò che sta per spezzarsi, crea la comunione dove regna la
separazione, dona grazia mediante il giudizio. Egli ha messo la sua
- 119-

parola sulla nostra bocca. Vuole che venga annunziata da noi. Se impediamo
la sua parola, il sangue del fratello peccatore ricadrà su di
noi. Se annunzieremo la sua parola, Dio salverà per mezzo nostro il
fratello. Chi converte un peccatore dall'errore della sua vita, salverà
l'anima di lui dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati (Giac.
5, 20).
Chiunque di voi vorrà essere primo, sarà servo di tutti (Marco
lO, 43). Gesù ha legato ogni autorità nella comunità al servizio? Vera
autorità c'è solo dove si compie il servizio dell'ascoltare, aiutare, portare
e annunziare la parola.
Ogni culto per una persona che si estende a particolari qualità,
ad eccezionali capacità, forze, talenti di un altro - anche se si tratta
di qualità spirituali - è un sentimento terreno che non trova posto
nella comunità cristiana, anzi 1'avvelena.
Se oggi si sente tanto spesso la necessità di «figure episcopali»,
di «personalità sacerdotali », di persone che abbiano vera autorità, lo
si deve soprattutto al fatto che si prova il bisogno di ammirare un
uomo, di imporre una autorità umana e visibile, perchè la vera autorità
derivante dal servizio ci sembra troppo umile. E questo è segno
«di malattia spirituale» 26.
b) COMUNIONE DI VITA
Tutto questo richiede dall'abate una comunione di vita che permetta
un contatto continuo e senza troppi diaframmi col discepolo.
L'abate-prelato con un tenore di vita tutto particolare (ma sempre
meno oggi) incute un senso di rispetto, ma non apertura di coscienza;
l'abate-menager, sempre addaffarato sarà un buon organizzatore della
vita economica, ma non un padre dal quale si attende che dal tesoro
della parola e dell'esperienza personale «proferat nova et vetera »;
dall'abate impegnato nelle public-relations e nei contatti cogli enti
governativi e autorità locali non ci si aspetta il tempo da dedicare
alla riflessione e al colloquio '11. Semplicità di vita, spiritualità e di-
26 D. BONHOEFFER, La vita comune, Ed. Queriniana - Brescia - 1973 pp. 135-136.
'11 «Fu in modo del tutto semplice che nell'antica tradizione dell'Oriente cristiano
i maestri di vita spirituale dovettero ricevere il nome di Padre o Abate. Essi non erano
solo dei maestri di dottrina, ma forgiatori di vita spirituale, capaci di modellare i propri
- 120-

sponibilità sono elementi che servono a costruire un ambiente atto
all'esperienza religiosa che deve sorgere tra abate e monaco.
Che dire quindi a riguardo della prelatura abbaziale? Per Benedetto
il pater monasterii è l'abbas, mentre il prior non è che un aiutante
dell'abate, e come tale non è pater monasterii. Nel decorso dei secoli
il priore divenne non più il luogotenente dell'abate e sotto la sua responsabilità,
ma figura autonoma di padre del monastero. Questo è
attualmente istituzionalizzato nel diritto monastico: le due figure di
« abate» e «priore» (conventuale) non si distinguono per qualche
elemento sostanziale che riguardi la relazione ai fratelli, ma per l'elemento
accidentale dell'uso dei pontifìcali. In questo modo sensim sine
sensu si è venuto a porre l'accento della figura abbaziale su un elemento
esterno e spurio a discapito dell'elemento fondamentale. Ora il
diritto ha certamente una funzione normativa, ma ne ha anche una
pedagogica, per cui sarà difficile recuperare la vera figura dell'abate
se il diritto non eserciterà questa sua funzione pedagogica unificando
la figura del « pater monasterii » nella figura unica dell'abbas, togliendo
la caratterizzazione apparentemente primaria della dignità prelatizia
e quasi episcopale 28.
figli spirituali innanzitutto sul modello di Cristo (e non su quello proprio). Non si
tratta sempre di sacerdoti, ma di «uomini di Dio» che senza cercarlo direttamente,
sapevano suscitare la confidenza, consolare, sopportare, rimproverare tanto più efficacemente
quanto più agivano liberi da passioni umane e spinti da un puro amore di Dio.
Era certamente molto difficile istituzionalizzare un tale legame. L'abate dei monasteri,
perdendo di vista ciò che lo faceva Padre dei suoi monaci, si trasformò spesso in amministratore,
padrone di casa, signore e anche principe. Non è facile mantenersi nelle
altezze della vita spirituale. E' giocoforza riconoscere d'altronde che col tempo e col
progredire della cultura monastica il padre dei monaci non poteva esere colui che ad
un tempo comunicava l'esempio e la dottrina e provvedeva agli alimenti. Quando il
figlio ha cominciato a frequentare la scuola media superiore e a stringere legami con
adulti fuori delle cerchia familiare, formandosi un proprio modo di giudicare il mondo
e gli uomini, viene necessariamente il tempo in cui il padre non è più tutto e neppure
l'unico modello da imitare. Allo stesso modo divenne sempre più necessario che il
monaco non fosse più così tributario del modello fornito dall'abate. Ciò del resto non
aboliva quel vincolo, di natura più spiritgale e umana che non era dovuto innanzitutto
alla cultura profana del superiore ». G. CRUCHON,SI, Cl sacerdote consigliere spirituale
e psicologo Marietti - Torino 1972 p. 26-27.
28 La stessa benedezione abbaziale ha preso un carattere ambiguo anche se, da un
punto di vista liturgico le cose sono state chiarite col nuovo rito di benedizione abbaziale.
Non si tratta più, infatti, di una quasi-consacrazione episcopale, ma di un rito nel
quale il neo eletto riceve una particolare benedizione colla quale, opere operantis ecclesiae,
ottiene una grazia particolare per esercitare il suo ufficio di pater monasterii.
Benedizione che ha un senso vero fino a quando il soggetto è pater monasterii e non
ha più senso quando egli diventa soggetto di un altro «pater ». E se veramente si
crede nell'efficacia della benedizione non si comprende perché il pater monasterii che si
chiama «priore conventuale» ne debba essere privato.
- 121-

c) CONTATTO PERSONALE
L'abate deve avere un contatto pastorale con i singoli componenti
della comunità. Dovendo aiutare il singolo a realizzare la propria vocazione
entro l'ambito della vocazione comunitaria, ed avendo questa
modalità diverse da individuo ad individuo, non la potrà realizzare se
non mediante un contatto reale a livello psicologico. Il fatto di essere
in carica e rivestito di autorità non è sufficiente a rendere l'individuo capace
di questo influsso di cui parliamo. La persona ha veramente autorità,
nel senso ampio e spirituale del termine, solo quando ispira a
chi entra in relazione con essa credibilità e confidenza. Ma allora si
dovrà ancora parlare di paternità? L'autorità si sente soddisfatta quando
è riuscita a stabilire sui binari tracciati la vita dei singoli componenti
la comunità. La paternità va oltre:
«Nè la mia reputazione, nè la mia accortezza mi garantiscono
contro l'esperienza di fallimento dell'altro, che se ne andrà deluso
per non aver trovato in me discernimento e speranza per la
sua vita. È soprattuto la delusione dell' altro che è decisiva quando
si tratta di autorità. Posso anche avere la coscienza tranquilla;
ho fatto tutto ciò che poteva dipendere da me, mi sono dato senza
calcolo. Il mio onore di persona onesta è salvo, ma la mia autorità
no, perché l'altro se ne è andato deluso» 29.
Non sarà certamente facile, nè possibile che il pater monasterii
riesca a creare questa simpatia con tutti quelli che sono alla sua scuola.
Ma allora il contatto personale e pastorale servirà ad orientare discretamente
verso gli altri, verso coloro che con lui collaborano nella stessa
linea, col medesimo suo disegno, nel formare una unità di indirizzo
in seno alla medesima « schola dominici servitii ».
E a questo riguardo una domanda si impone.
Quando inizia e quando ha termine la paternitas dell' abate?
Se egli fosse un presidente della repubblica monasteriale, se fosse
un presidente del consiglio conventuale dei monaci, la temporaneità
della sua carica sarebbe evidente. Ma egli è il « padre », anche se di
una paternità spirituale. È concepibile una paternità a scadenza triennale,
sessennale? Anche in questo punto il diritto monastico dovrebbe
essere pedagogico. Per giungere ad una soluzione bisognerà enucleare
29 R. MEHL, De l'autorité' des ualeurs, in J. M. T TILLARD, Superiori religiosi in un
tempo di povertà, Dehoniane - Bologna 1974 p. 22.
- 122-

l'elemento fondamentale dell'autorità abbaziale, perdurante il quale, e
solo allora, perdura anche l'ufficio abbaziale.
Attualmente l'elezione e la sua accettazione determina l'inizio
della paternità dell'abate, ed essa perdura, unire quaesito, per un dato
tempo stabilito dal testo costituzionale. Si tratta di elementi giuridici
che però, se da un Iato garantiscono la certezza, elemento fondamentale
del diritto, non sono in grado di garantirne l'autenticità.
Fino a quando perdura il carisma della paternità spirituale, perdura
l'autorità abbaziale, se questo viene meno ipso facto cade anche lo
ufficio.
Può considerarsi ancora pater monasterii, soltanto per lo ius
quaesitum un abate che vede contestare la sua condotta, ripresi i suoi
metodi, privato della fiducia della maggior parte della comunità?
Certo quando si tratta di istituzionalizzare tutto questo, si trovano
non lievi difficoltà, ed è forse per questo che molte comunità moderne
non vogliono venire istituzionalizzate, per poter con maggior vivacità
e con formule sempre nuove, tradurre nella vita queste realtà.
Una domanda però, a questo riguardo si pone. È possibile che un
padre diventi figlio, forse anche di uno dei suoi figli? Non è questo
contro ogni legge di natura? Può un abate diventare discepolo di un suo
discepolo?
La provvisorietà del carisma della paternità spirituale non meravigliava
affatto i primi monaci che ammettevano con semplicità il passaggio
dallo stato di padre a quello di figlio, quando la realtà esistenziale
lo richiedeva.
« Un eremita prudente e saggio desiderava abitare nel deserto di
Celle, ma non vi era alcuna cella a disposizione. Ora c'era nel luogo
un anziano che, oltre alla sua, aveva una cella isolata. 10 chiamò e
gli disse: «Abita qui fino a quando non avrai trovato una cella »,
poi se ne andò. Come accade quando viene uno straniero, molti
vennero da lui per trarne profitto spirituale, ed egli accoglieva
tutti. L'anziano che aveva concesso la cella fu preso da una forte
gelosia e cominciò a mormorare: «lo - diceva - vivo qui da
lunghi anni una vita ascetica durissima e nessuno viene a me.
Questi è qui solo da qualche giorno e tutti vanno da lui! » Disse
allora al suo discepolo: «Va a dirgli di andarsene perché la cella
mi serve ». Il discepolo ubbidl, ma con intelligenza disse all'eremita:
«Il mio abate mi manda per avere tue notizie ». L'eremita
gli rispose: «Digli che preghi per me perché soffro di stomaco ».
Ritornato dal suo abate il giovane gli disse: «L'eremita mi ha
- 123-

assicurato di avere in vista una cella e che quindi presto se ne
andrà ». Due giorni dopo, l'anziano inviò di nuovo il discepolo
all'eremita con l'incarico di dirgli: «Se non te ne vai vengo io
con ilbastone e ti caccio fuori! ». Ilgiovane giunto dall'eremita gli
riferì: «Il mio abate ha appreso della tua malattia, ne è molto
afflitto e mi ha mandato per avere tue notizie ». Gli disse l'eremita:
«Digli che, grazie alle sue preghiere sto meglio ». Ritornò
quindi e disse all'abate: «Mi ha detto di chiederti di attendere
fino a domenica e se ne andrà », Giunta la domenica e vedendo che
l'eremita non se ne andava, l'anziano prese il bastone e si avviò per
cacciarlo in malo modo. Il discepolo gli disse: «Ti precedo per
vedere che non si trovino colà degli altri fratelli che abbiano a
scandalizzarsi ». Corse dunque e disse all'eremita: «Il mio abate
viene a consolarti e a portarti nella sua cella ». Vedendo la grande
carità dell'anziano, l'eremita si avviò incontro a lui e chinandosi
quando era lontano gli disse: «Non ti affaticare, padre che io vengo
verso di te ». Dio che vide la condotta del giovane monaco, toccò
il cuore dell'abate che, buttato il bastone, corse ad abbracciare
l'eremita. Lo salutò con molta effusione e lo condusse nella sua
cella come se niente fosse stato.
L'anziano disse al discepolo: «Non gli hai riferito nulla di quanto
ti avevo detto? » «No », rispose l'altro. L'anziano ne fu felice.
Comprese di essersi lasciato vincere dalla gelosia e da quel momento
lasciò in pace l'eremita. Poi si buttò ai piedi del suo discepolo e
disse: «Tu sei mio padre e io tuo discepolo, perché le nostre anime
sono state salvate dal tuo modo di comportarti » 30.
d) FORMA GREGIS
L'abate deve riacquistare in seno alla comunità il posto che gli ha
dato S. Benedetto, quello del « magister », mostrando se stesso come
incarnazione dell'ideale, non certamente nel suo stadio ultimo di realizzazione,
ma nello stadio intermedio di tensione ad esso.
L'abate è « doctor » non in quanto conosce la legge divina, o in
quanto sa spiegarla alla sua comunità, ma in quanto sa informarne la
sua vita, le sue decisioni, i suoi orientamenti pratici. È questa una
30 Traduzione da «Les sentences des pères du désert » Nouveaux recueil - Abbaye
St. Pierre de Solesme - 1970 p. 68-69.
- 124-

direzione spirituale che, al di là delle difficoltà dei contatti personali,
giunge a toccare 1'animo dei confratelli aiutandoli a sistemarsi nella
volontà di Dio, imbevendosi del suo spirito.
Le parole rivolte alla comunità ed anche i colloqui personali coi
monaci non potranno dare all'abate sicurezza di essere riuscito a penetrare
nella profondità della loro coscienza per darle una direzione, se
non fosse accompagnata da una condotta talmente aderente alla Parola
di Dio, da assicurare i discepoli che quello che diceva non era soltanto
« flatus vocis », ma manifestazione consapevole della volontà di Dio.
Un abate che mostri grande cura e interesse per i beni materiali ai
quali subordini certe esigenze di ordine spirituale; che sia pronto e
disponibile ad incontri con ricchi, con le personalità, e disdegni o dedichi
pochi momenti ai poveri; che dimostri di amare i piaceri e sia alieno
da ogni spirito di sacrificio; che desideri che venga esteriormente riconosciuta
la sua dignità, e non sopporti l'umiliazione o l'essere messo
alla stregua dei meno abbienti (mezzi di comunicazione, di locomozione,
abitazione, precedenza ...), come potrebbe presentarsi «magister » nella
scuola del servizio divino, come colui che vices Christi agit dirigendo
verso il Signore quelli che erano affidati a lui?
L'abate acquisterà il suo vero posto soltanto ritornando ad essere
vicegerente di Cristo, colui che lascia trasparire attraverso la sua persona,
non la sua volontà, i suoi istinti, non se stesso, ma la figura di Cristo.
Questo non riuscirà forse a farlo diventare il confidente di tutti i suoi
monaci, potrà però farlo essere il vero direttore spirituale della sua
comunità.
« Sa fonction est en effet un veritable service de l'Esprit. Il n'a
pas à imposer aux autres ses propres préferences, à leur démander
d'ètre parfait de la façon dont il rève pour eux. Ce serait encore
gouverner à la manière des paiens (cfr. Luc. 22, 25, 27) et introduire
l'esprit de domination, si contraire à l'evangile, dans le domain
spirituel. Le père doit etre à l'écoute de l'Esprit dans ses
fils, les aider à en discerner les inspirations authentiques et à les
suivre. Il doit aussi savoir s'adapteer avec respect à leurs faiblesses,
atteindre le mouvement de Dieu, ne demander a chacun que
ce qu'il peut donner, sans pactiser avec les fautes et sans cesser
de promouvoir avec tact le progrès de tous. A cet égard, son
éxemple et sa prière pour ses fils auront ancore plus d'importance
que ses instructions et ses exhortations » 31.
31 P. DESEILLE, Guide spirituel in Collectanea Cisterciensia 31 (1969) p. 275.
- 125-

In questo ambito si nota ancora una volta come sia stridente la
affermazione dello jus acquisitum ad essere il padre del monastero, ius,
che tradisce un concetto di dominazione, mentre si tratta di un servizio,
il più grande e il più gravoso, ma sempre un servizio per il quale non
è sufficiente una investitura canonica e nemmeno la recezione di un sacramentale,
ma si richiede un particolare carisma dello Spirito.
CONCLUSIONE
La Regola di San Benedetto ci presenta l'abate nella sua triplice
funzione: incaricato della Parola: colui che deve ridire' la parola alla
comunità; è pastore che ha cura di tutti, specialmente di quelli che
sono più bisognosi; è il preposto alla casa di Dio, perché dia a tutti
il necessario.
Credo che, al di sopra di queste tre funzioni, ed elemento catalizzatore
di tutte, vi sia l'ufficio di direttore spirituale. Nella casa di
Dio tutto ha rilevanza spirituale e, sia quando spiega la parola di Dio,
che quando si prende cura dei bisognosi o cura gli affari di casa, l'abate
è sempre e prima di tutto direttore di spirito dei suoi figli.
In ogni momento egli è la lucerna ardens et lucens, alla quale tutti
devono guardare per informare la 'propria vita e la propria condotta
e dirigersi là dove Cristo li ha destinati.
- 126-

BERNARDO DI CHIARAVALLE
(1090 - 20 agosto 1153)
di JEAN LECLERCQ
1. BIOGRAFIA
Le fonti che ci fanno conoscere la sua vita sono i suoi scritti, la Vita
prima s. Bernardi redatta dal 1145 al 1166 (ed. P. L., 185, 225-368) e
numerose testimonianze contemporanee. Nacque a Fontaine, presso Digione
(Francia), da Tescellino il Sauro e da Aleth di Montbard, in una
famiglia di piccola nobiltà. Affidato verso il 1098 ai canonici di St. Vorles
di Chatillon, che si incaricarono della sua educazione. Nel 1111 decise di
ritirarsi a Citeaux, seguito dai fratelli e dallo zio, che vi entrarono all'inizio
del 1112. Nel giugno 1115 Stefano Harding lo inviò a fondare Clairvaux,
che a sua volta fondò la sua prima figlia, Trois-Fontaines, nel 1118,
e la seconda, Fontenay, nel 1119: così, fino alla morte, san Bernardo
fonderà, popolerà o affilierà all'Ordine 164 monasteri. Partecipò attivamente
al concilio dei Templari e a quello d'Etampes nel 1130 nel
quale avvicinò l'assemblea a Innocenzo II anziché all'antipapa Anacleto
II. Accompagnò il papa in Francia nel 1130-1131; si recò a difenderne
la causa presso i nobili del mezzogiorno della Francia nel 1132; su richiesta
del pontefice si recò a Pisa nel 1133, intervenne in suo favore
a Genova e in altre città d'Italia, e lo accompagnò a Roma. Nel 1135,
partecipò alla Dieta di Bamberga, al Concilio di Pisa e si portò nell'Italia
del Nord per 'difendere la causa di Innocenzo II. Nel 1137, venne richiamato
a Roma dal papa e dai cardinali, rientrò quindi a Clairvaux, e nel
1138 contribuì a por fine allo scisma. Nel 1140, arringò gli studenti di
Parigi ed ebbe parte decisiva nel Concilio di Sens che denunciò gli errori
di Abelardo. Nel 1145 si recò nel mezzogiorno della Francia per combattere
gli errori di Pietro di Bruys e del suo discepolo Enrico. Dal 1146
al 1147, viaggiò in Francia e in Germania per prepararvi la seconda crociata.
Nell'aprile 1148, a seguito del Concilio di Reims, richiese la condanna
degli errori attribuiti a Gilberto Porretano. Nella primavera del
1153, Bernardo, ammalato, si recò in Lorena per dirimere un conflitto.
Morì a Clairvaux il 20 agosto 1153.
* Note biografiche tratte dal volume Studi su S, Bernardo nell'ottavo centenario della
Canonizzazione, Bibliotheca Cisterciensis, voI. 6, pp. 9-12, Roma 1975.
- 127-

II. OPERE
Circa 500 lettere, scritte tra il 1116 e il 1153, delle quali un
« corpus» ufficialevenne edito a Clairvaux nel 1145. Numerosi sermoni
sulle feste, raccolti per la maggior parte dallo stesso Bernardo in una
collezione che costituisce un commentario dell'anno liturgico: ai quali
si aggiungano 125 Sermoni su soggetti diversi, tre serie di Sentenze e 8
Parabole. Una serie di 86 Sermoni sul Cantico dei cantici, cominciata nel
1135, edita in diverse collezioni successive, e lasciata incompleta. Trattati:
Sui gradi dell'umiltà e della superbia (prima del 1124-1125); Apologia
dedicata a Guglielmo di Saint-Thierry e diretta contro gli abusi
attribuiti a Cluny (verso il 1124-1125); Sull'amore di Dio (tra il 1126 e
il 1141); Sulla grazia e il libero arbitrio (tra il 1126 e il 1135); Sul precetto
e la dispensa (prima del 1143-1144); Vita di san Malachia, arcivescovo
di Armagh in Irlanda (tra il 148 e il 1152); cinque libri Sulla
considerazione, dedicati a papa Eugenio III (tra il 1148 e il 1153).
Opuscoli diversi, tra i quali il Prologo del!'antifonario in uso presso le
chiese cistercensi (tra il 1135 e il 1147). Una edizione critica delle opere
complete di san Bernardo è in corso di pubblicazione: 7 volumi sono
stati pubblicati dal 1957 al 1973; il volume VIII e gli Indici sono in
via di completamento.
III. CARATTERE E FUNZIONE STORICA
San Bernardo ebbe una natura estremamente ricca di doni diversi:
delicato di salute, ma pieno di energia, possedette un carattere molto coraggioso,
facilmente portato a dominare; fornì prove di competenza in
campi assai diversi come l'architettura, la miniatura, la musica, la poesia.
la letteratura, la teologia. La grazia gli fece utilizzare questi talenti in
favore del rinnovamento del monachesimo e della riforma della Chiesa.
Ma gli capitò d'essere trasportato dal suo temperamento ad abusare del
suo potere di persuasione e del suo ascendente; talvolta ne fu cosciente
e ne mostrò dispiacere, parlò di se stesso con « houmour », perfino con
ironia, ossia con umiltà, ed è per questo che un personaggio cosi umano
è nel medesimo tempo un uomo di Dio, un santo. La migliore iniziazione
alla dottrina di san Bernardo rimane S. Bernard théologien, Roma (Analecta
S. Ord. CistoIX, 3-4) 1953.
Il suo influsso si esercitò ugualmente in campi molto diversi: sulla
dottrina della vita monastica in generale e, in particolare, sulla funzione
- 128-

della Regola e dell'autorità abbaziale; sull'interpretazione teologica del
fenomeno cistercense; sulla riforma degli ordini monastici e canonicali;
sulla giustificazione dell'ordine dei templari; sulla propaganda efficace
in favore dell'ordine cistercense e soprattutto di Clairvaux e delle sue
fondazioni. Si interessò pure della riforma della liturgia cistercense. Più
volte si rivolse a principi e a prelati per risolvere confitti, o imporre monaci
cistercensi o claravallensi a sedi episcopali. Propose una dottrina
della violenza limitata e la sua applicazione alle varie guerre dell'epoca.
Promosse la riforma del clero, dei prelati e della curia romana. Per 25
anni, san Bernardo fu senza alcun dubbio il personaggio più importante
della Chiesa del suo tempo.
IV. INSEGNAMENTO
Bernardo ha esposto una vasta teologia, relativa alla maggior parte
dei soggetti dibattuti nel suo tempo. Ma il suo modo di trattare i problemi
è sempre « monastico » nel senso che deriva dalla riflessione che un
monaco fa sulla propria esperienza spirituale e quella dell'ambiente che
meglio conosce per trarne lezioni che abbiano valore universale. Muove
dalla constatazione che l'uomo si sente profondamente peccatore, ma mediante
la fede, sa di essere perdonato, redento da Cristo, ilcui Spirito può
restaurare in lui l'immagine di Dio, che il peccato ha oscurato, ma non
distrutto. L'ascesi consiste nell'accordare liberamente la propria volontà
a questa opera di restaurazione: in questo si realizza l'imitazione di
Cristo. La partecipazione ai sacramenti conferisce a tale sforzo l'efficacia
per la salvezza. Con la meditazione delle Scritture, essa costituisce la
condizione per un atteggiamento amoroso alla presenza a Dio che si
esprime nella preghiera e può condurre all'esperienza dell'estasi o uscita
da sé, e che talvolta produce il bisogno di comunicarsi con altri con
qualche forma di attività apostolica. Bernardo parla relativamente poco
della Vergine Maria e dell'umanità di Cristo, ma i pochi passi che vi
dedica sono così belli, che a lungo, è stato ritenuto « Dottore mariano »,
e « Dottore della devozione all'umanità di Cristo »: questi titoli si fondano
su scritti non autentici, a lui posteriori, di più facile lettura dei
suoi, e che passarono sotto il suo nome.
Bernardo è «Dottore mellifluo » nel senso tradizionale di questo
termine, che secondo l'immagine ispirata da Origene, designava colui che
ha il dono di « far colare », dalla lettura della Sacra Scrittura, il senso
spirituale. Tutta la dottrina di san Bernardo è fondata sulla Sacra Serit-
- 129-

tura, specialmente su san Giovanni e Paolo, poi sui padri greci e latini,
in particolare Origene, sant'Agostino e san Gregorio. Il suo insegnamento
generalmente non è sistematico, ma è denso, profondo, originale,
da meritargli veramente il titolo di teologo.
Anche il suo stile è interamente nutrito della Bibbia e trabocca della
sua poesia. Nello stesso tempo è estremamente personale, ricco di ogni
sorta di artifici letterari, talvolta raffinatissimo. A questo si deve in gran
parte la diffusione e il successo degli scritti di san Bernardo.
V. INFLUSSO E SOPRAVVIVENZA
La fama di san Bernardo fu così grande, fin dal suo tempo, che ancor
prima della morte si previde la sua futura canonizzazione e si fece
scrivere la sua vita, il cui primo libro fu redatto da Guglielmo di Saint-
Thierry che lo precedette nella morte. La sua canonizzazione fu preparata
fin dal 115.5 e ottenuta da Alessandro III nel 1174. Le opere di
Bernardo non cessarono d'essere copiate - ne rimangono ancora più di
1500 manoscritti -, poi stampate, tradotte, studiate. A. Wilmart ha
potuto scrivere che « l'abate di Clairvaux ha esercitato, mediante i suoi
scritti, un influsso icomparabile. Lo stesso sant'Agostino, che ha lasciato
molte più opere, è ben lungi dall'aver avuto un'uguale fortuna », e H.
Bremond ha potuto parlare di san Bernardo come « di un uomo straordinario
del quale noi viviamo ancora almeno tanto quanto di sant' Agostino
». Amici e avversari della Chiesa non hanno cessato di citarlo e di
invocare la sua autorità, a più o meno giusto titolo, in favore delle loro
idee. La storia del suo influsso postumo, più volte narrata, è estremamente
ricca, e i numerosi studi che gli sono dedicati anche oggi dimostrano
l'attualità del suo messaggio.
VI. BIBLIOGRAFIA
L. JANAUSCHEK,Bibliograpbia bernardina, Vienna 1891 ristampata
a Hildesheim nel 1959) segnalava 2761 titoli fino al 1890. JEAN DE LA
CROIXBOUTON,Bibliographie bernardine (1891-1957), Parigi 1958, ne
aggiungeva 1072. E. MANNING,Bibliographie bernardine, (1957-1970) in
« Documentation Cistercienne » vol. 6, Abbay Saint-Rémy, ne aggiunge
225. J. LECLERQ,Saint Bernard in our times, Oxford 1973 (e I ntroduction
a un volume di prossima pubblicazione in «Cistercian Publica-
- 130-

tions »), ha indicato aggiunte fino al 1972. Un tentativo di sintesi e
bibliografia sommaria in J. LECLERCQ,S. Bernard et l'esprit cistercien
(di prossima pubblicazione in inglese nelle « Cistercian Publications », e
in italiano). La più recente raccolta di studi dedicati a san Bernardo (ve
ne sono dieci) è Bernard 01 Clairuaux. Studies presented to [ean Leclercq,
Washington D. C. 1973, Cistercian Studies, 23.
- 131-

PSICOLOGIA E VITA SPIRITUALE IN SAN BERNARDO *
di JEAN LECLERCQ
Il metodo psicologico può essere applicato a Bernardo di Chiaravalle
per scoprire in lui meccanismi più o meno coscienti e motivazioni non
sempre espresse; ma questo è stato fatto altrove 1. Qui si dovranno piuttosto
valutare questi dati in rapporto ai valori cristiani che affermava
di servire: è possibile conoscere in qual misura psichismo ed intenzione
si siano in lui integrati? Nella sua personalità si incontrano infatti queste
due componenti, e noi dobbiamo avere il coraggio di considerarle entrambi.
Vi è in lui un santo, ma anche, e in primo luogo, un uomo che va
valutato nel modo più obiettivo possibile. Cominciando una serie di
lavori pratici relativi allo studio psico-storico di diversi suoi testi, un
membro del gruppo di ricerca ammetteva che vi era stato, fin dall'inizio,
un pregiudizio favorevole, essendo fuori discussione che si trattava di un
santo. Si dovette pertanto far osservare che la storia è, in qualche modo,
una scienza profanatrice rispetto a tali idee preconcette.
In occasione dell'VIII centenario della morte di' S. Bernardo, nel
195.3, venne pubblicata un 'opera voluminosa e pregevole nella quale
erano illustrati molti aspetti della sua vita e della sua attività. Una appendice
aveva per titolo: «L'éme de Bernard. L'bomme et le saint» 2. Ma
in quelle pagine, come dice il titolo, si trattava solo dell'anima e mai del
temperamento; i singoli paragrafi erano preceduti dal nome di una virtù
illustrata poi nel testo; non vi era però cenno né a deficenze, né a difetti,
né a peccati. Bernardo appariva come un santo; ma ci si domandava se
non fosse stato dimenticato, in lui, l'uomo; e nella misura in cui ciò era
vero, ci veniva presentato un Bernardo mai esistito.
Oggi, il progresso dell'ecclesiologia e della storiografia cristiana ci
porta a studiare come la santità, che viene da Dio, e il peccato, che è
dell'uomo, si concilino in ogni cristiano e nella Chiesa 3. Tuttavia, specialmente
verso coloro che hanno avuto successo in un campo o nellaltro,
o in più settori, è difficile riuscire ad essere imparziali: la maggior
* Il presente articolo è stato pubblicato nel volume Studi su S. Bernardo di Chiaravalle
nell'ottavo centenario della canonizzazione, Bibliotheca Cisterciensis, vol. 6, pp. 215-
243, Roma 1975. Ringraziamo le Edizioni Cistercensi per la concessione.
1 Littérature et psychologie, in corso di pubblicazione.
2 Bernard de Clairuaux, Paris 1953, p. 659-667.
3 ROBERT KRESS, Ecclesiology and Mental Healtb, in The American Ecclesiastical
Rewiew, 167 (1973), p. 91-101.
- 132-

parte dei contemporanei di Bernardo che ci hanno parlato di lui, lo
hanno fatto con ammirazione, largamente condivisa nei secoli successivi.
Oggi molti storici tendono ad essere severi nei suoi confronti. È possibile
giungere ad un giudizio equanime? I suoi scritti contengono gli elementi
per un'analisi psicologica della crescita spirituale dell'uomo, e da
queste opere è possibile ricavare una teoria 4. Ma in pratica in quale misura
ha saputo vivere conforme a tale teoria? E come ha saputo conciliare
la realizzazione e il compimento del suo io con l'unione a Dio?
Non si può tentare di rispondere a. questi interrogativi mantenendosi
sulle generali. D'altra parte non è neppur possibile analizzare ogni
suo comportamento alla luce di tutti i suoi scritti. Bisognerà dunque
tentare di caratterizzarne alcuni, rivelatori dei suoi conflitti interiori, per
vedere se, e in qual misura, ha saputo risolverli s.
1. INTENSITÀ DEI CONFLITTI INTERIORI
1. Contraddizioni a proposito della vicenda di Morimond
Ed ecco subito uno dei primi conflitti nei quali Bernardo si trovò
immischiato: quello provocato da Arnoldo, abate cistercense di Morimond,
che, con un gruppo dei suoi monaci, era partito per fondare
altrove un monastero. Bernardo si era opposto a quel progetto e ci teneva
assolutamente che Arnoldo ritornasse. Ma questi aveva ottenuto il permesso
da Roma. Mori mentre era in viaggio per la Palestina.
Bernardo gli aveva innanzitutto inviato la Lettera 4&,rivelatrice e
della sua psicologia e di certe concezioni proprie del suo tempo. Gli
comunica dapprima il grande dolore provocato in tutti gli amici dalla
decisione presa da Arnoldo di andarsene: Bernardo gli muove rimprovero,
apparentemente senza rispetto per la libertà personale con cui ha fatto
la sua scelta, e la prima ragione che invoca è che Arnaldo abbandonando
i monaci rimasti a Morimond li ha lasciati come pecore destinate a restare
senza pastore. Non fa cenno alla responsabilità di coloro che partono
con lui: come se non contassero affatto; si identificano semplicemente
con lui. Ciò suppone che l'abate sia insostituibile e che i monaci abbiano
soltanto una parte secondaria. Resta cosi più facile esercitare una pres-
4 ROBERT P. STEPSIS, Fulfillment 01 Sei! and Union with God in the Writings 01
Bernard 01 Clairuaux, in Tbe American Benedectine Rewiew, 24 (1973), p. 348-364.
S Sui fatti, Bernard de Clairuaux, op. cit., p. 125-133; sui testi di Bernardo che vi
si riferiscono, Littérature et psychologie.
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sione psicologica su Arnoldo, prima lusingandolo come « una colonna»
dell'ordine cistercense, ed accusandolo poi di non aver consultato gli
altri abati e di essersi circondato di giovani monaci lasciandosi senza dubbio
influenzare da loro. Bernardo non nega la sua buona intenzione, a meno
che non si tratti di una concessione di carattere letterario. Concludendo
offre la sua mediazione al fine di ottenere una decisione meglio motivata:
non si oppone a che Arnoldo se ne vada; ma al modo in cui lo fa.
In questa lettera la motivazione di Bernardo è valida nella misura in cui,
secondo la concezione del tempo, egli si preoccupa del bene spirituale
dei monaci ai quali è indispensabile la presenza di Arnoldo: ha saputo
dar prova in una situazione concreta d'una certa osservazione, e perfino
di una certa penetrazione (insight); ma non manifesta alcuna « empathie
» verso la persona stessa di Arnoldo: non tenta affatto di « sentire
con lui » le ragioni che lo hanno spinto a partire: ciò che gli importa è
che lui ritorni, ristabilendo così la situazione oggettiva che considera
normale.
Molto diverse sono le lettere scritte, allo stesso proposito, dopo la
morte di Arnoldo: Bernardo parla molto di lui nella più lunga, la 7 3
,
indirizzata al monaco Adamo che era partito con lui, e nella 6\ inviata
all'arcivescovo di Colonia. In quest'ultima vi sono espressioni durissime
per Arnoldo, che ha agito non per Cristo ma per se stesso, che ha scelto
i monaci migliori per farne suoi complici, e così di seguito. Come si
spiega la differenza tra le motivazioni che gli sono attribuite e le
valutazioni di Bernardo a suo riguardo? Nella lettera 4 3 , Bernardo aveva
dichiarato che ara una colonna dell'ordine; qui invece non riconosce in
lui nulla di buono. Inconsciamente deforma i fatti perché vuole ottenere
il ritorno di Adamo; deve dunque mettere in cattiva luce lui e Arnoldo,
diversamente l'arcivescovo di Colonia, al quale si rivolge, non interverrà
per farlo ritornare: Bernardo scrive in modo da convincerlo. Ma così facendo
non proiettava forse su Arnoldo la collera provocata dalla sua
resistenza, e che considera come una disobbedienza? Non tenta di discernere
con giusta critica quanto di giustificato vi poteva essere nella
decisione di Arnoldo: non vuole vedere alcunché di buono nelle sue
motivazioni. Aveva forse delle prove per giudicarlo così? Un meccanismo
di difesa non lo portava forse a contraddirsi sfigurando la realtà? Infatti
se tutto quello che Bernardo dice ora di Arnoldo era vero, avrebbe dovuto
rallegrarsi della sua partenza come di una benedizione per il suo monastero
e per l'Ordine.
10 stesso tipo di reazione inconscia traspare nella lettera T', indirizzata
ad Adamo. All'inizio Bernardo afferma di non voler fare apprez-
- 134-

zamenti su Arnoldo, ora morto, e il cui giudizio spettava solamente a Dio.
Ma a questo atteggiamento obiettivo e sereno segue ben presto l'irritazione.
Arnoldo è accusato di aver disperso il suo gregge, turbato la pace
della sua comunità, e d'essersi comportato come un bandito: nuova contraddizione
nel linguaggio di Bernardo. Egli offre, certo, qualche giustificazione
alle invettive contenute in questa seconda parte della lettera:
per suscitare l'obbedienza di Adamo e dei suoi compagni, vuol fare loro
comprendere fino a che punto illoro abate, Arnoldo, si era reso colpevole.
Ma aveva il diritto, Bernardo, di ricorrere, sia pur per un fine che considera
legittimo, a mezzi che non lo sono affatto, ed in particolare alla
calunnia? Inoltre vi è conraddizione tra la condotta che Bernardo rimprovera
ad Arnoldo, ad Adamo e ai membri del loro gruppo, e quella
adottata verso i monaci che vengono a Clairvaux da altri monasteri. Ai
primi rimprovera la partenza come intrinsecamente cattiva, come decisa
senza permesso, contro l'istituzione cistercense ed ilbene dei suoi membri;
la stessa autorizzazione papale non ha alcun valore perché, richiedendola,
Arnoldo era animato da intenzione cattiva e, accordandola, il papa era
stato tratto in inganno dalla menzogna e vinto dall'importunità. I seguaci
di Arnoldo hanno agito contro il loro voto di stabilità, ritenuto più importante
di quello d'obbedire al proprio abate. A riguardo invece dei monaci
che desideravano passare a Clairvaux, Bernardo si pone la domanda del
perché liriceve, ed ammette che è difficile vederci chiaro. Tenta di rispondere
- per verità in modo poco convincente - che Dio è dappertutto,
che coloro che cercano la salvezza hanno il diritto di passare ad un monastero
più fervente. La lettera termina con una specie di minaccia profetica,
proferita in nome di Dio: coloro che ritorneranno avranno la vita,
gli altri morranno. Alla base di tutta questa argomentazione sta la convinzione
che la vita condotta nell'Ordine cistercense, e soprattutto a
Clairvaux, ha estrema importanza per la gloria di Dio e il bene degli
uomini, un po' come se fuori di Clairvaux non vi fosse salvezza.
Questi sono i dati che emergono dalle lettere di Bernardo. Ed è
chiaro che non si può valutare l'intero problema su quest'unica fonte:
bisognerebbe poter sentire anche l'altra parte, conoscere da Arnoldo, da
Adamo e dagli altri le loro motivazioni. Ma è possibile pervenire ad un
equo giudizio su Bernardo stesso andando al di là delle ragioni coscienti
che egli dà del suo intevento? Non vi è nulla che meriti considerazione
nei suoi moventi profondi? Innanzi tutto va riconosciuta l'importanza che
accorda alla motivazione interna anche quando fa di questo principio
una applicazione ingiustifìcata: occorre discernere con chiarezza la volontà
di Dio, non si deve agire con rimorso o nel dubbio: vi è tutta una
- 135-

esigenza di sincerità e di responsabilità che neppure una dispensa papale
può dispensare. Ciò che conta è l'intenzione: nessuna autorizzazione può
rendere buono ciò che, in se stesso, è cattivo. Tutti questi principi affermati
da Bernardo sono esatti; resta da vedere se i casi concreti a proposito
dei quali li invoca corrispondano alla presentazione che ne fa.
Giustissima è pure l'idea sviluppata nella lettera T", secondo la quale
è più importante obbedire a Dio che agli uomini: Adamo avrebbe dovuto
rifiutare di seguire il suo abate per sottomettersi a Dio. A ciascuno la
propria responsabilità, dice Bernardo: io non posso sostituirmi a lui. E
in tutta la lettera cerca di costringere Adamo ad un esame del « perché»
della sua partenza, vuole fargli scoprire il fondo della sua interna motivazione,
e riconoscere che avrebbe dovuto cercare di discernere più chiaramente
la volontà di Dio, invece di lasciarsi trascinare dalla persuasione
e dall'esempio di Arnoldo, contro la sua coscienza e il suo autentico
volere.
Ed infine Bernardo non ha forse ragione di insistere sull'importanza
della carità, il cui effetto deve essere non la divisione tra i membri di
una comunità ma la loro unione? Senza dubbio la sua dottrina dell'intenzione
è esatta, ma agisce sempre, e specialmente in questa circostanza,
in conformità ad essa? La sua pratica è conforme su questo punto al suo
insegnamento? A questi interrogativi si può rispondere affermativamente
in base a quanto appare dalle sue motivazioni coscienti: egli pratica
sempre quanto esige dagli altri. Ma al di là di questi motivi espliciti, che
sono buoni, non vi potrebbero essere in lui impulsi inconsci e non sufficientemente
maturati che non coincidono con le ragioni da lui stesso
adottate? Non è forse proprio questo il caso dei suoi moti di collera, o
delle invettive contro Arnoldo, dopo la morte, per non essere riuscito a
farlo tornare? Nelle sue espressioni sono state rilevate diverse contraddizioni.
E di una di queste fu cosciente, dal momento che aveva sentito il
bisogno di giustificare la sua condotta a proposito dei religiosi che passavano
a Clairvaux da altri monasteri. Ma fino a che punto si rese conto
che le lodi ad Arnoldo nella lettera 4 a non potevano accordarsi con i biasimi
successivi? Che l'abate di Morimond abbia meritato questi elogi o
questi rimproveri, è compito degli storici stabilirlo, nella misura in cui i
documenti lo consentono: l'analisi psicologica dei testi non dispensa mai
dal ricorrere a tutti i mezzi di informazione disponibili. Non può essere,
oltre tutto, che gli elogi attribuiti ad Adamo ancor vivo corrispondessero
ad una esigenza di cortesia? Tuttavia, a giudicare da queste lettere di
Bernardo, non è possibile non rilevare in lui alcune contraddizioni che
sembrano essergli sfuggite ed alcuni conflitti non risolti. Si ha l'impres-
- 136-

sione che, almeno in questo caso, egli avrebbe avuto bisogno di quella
specie di terapia o di esercizio di discernimento degli spiriti che talora
praticava, in modo eccellente, verso gli altri.
2. Carità e passioni umane nella lettera a Roberto
Nella lettera la, indirizzata al cugino Roberto, il quale era passato
da Citeaux a Cluny, Bernardo ripete più volte che se cerca di farlo tornare
è a motivo della carità 6. E si può credere che tale fosse la sua volontà.
Ma vi è soltanto carità in lui? Non traspaiono forse, tra le righe, bisogni
inconsci, e, in particolare, una certa possessività? Ha saputo porre queste
passioni al servizio della carità? E se ha avuto carità per Roberto e Clteaux,
si è mostrato ugualmente caritatevole verso Cluny? Non è forse
accaduto, in questo caso, a Bernardo come a tanti altri - compresi noi
stessi, cosi spesso - di credere di lasciarsi guidare da valori oggettivi
mentre si lasciava trasportare da impulsi inconfessati? Possedeva un temperamento
da capo, da « leader », e lo aveva mostrato portando con sé a
Clairvaux tutti i suoi fratelli e uno zio. Ora Roberto era suo cugino, ed
era duro per lui vedere un membro della sua famiglia opporgli resistenza;
egli insiste a lungo sul fatto che si sente suo padre, che nei suoi confronti
è nelle stesse condizioni della madre alla quale Salomone fece rendere
il figlio (n. lO). In altre parole si comporta come uno che è frustrato,
ferito nel proprio orgoglio. Ed è bello vedere come, in questa lunga lettera,
dà libero corso ai più svariati e diversi sentimenti. A poco a poco
infatti, verso la fine della lettera, lo si vede unicamente preoccupato del
bene di Roberto: lo spinge la carità e tutto il resto si integra in essa.
3. Ricerca della gloria di Dio e affermazione dell' io
Dopo aver notevolmente contribuito a porre termine allo scisma
che opponeva Anacleto a Innocenzo II, Bernardo approfitta del prestigio
acquisito presso il papa per fargli approvare la nomina di un suo parente,
Goffredo di la Roche-Vanneau, monaco di Clairvaux, a vescovo di Langres,
al posto di un monaco di Cluny, eletto a quella sede 7. In quella
occasione redige una serie di lettere che rivelano in lui una reale aggressi-
6 Cf. Bernard de Clairoaux, p. 193-203 e Littérature et psychologie.
7 Sugli avvenimenti, GILES CONSTABLE, The Disputed Election ai Langres in 1138}
in Traditio, 13 (1957), p. 119-152; Littérature et psychologie.
- 137-

vità, di cui non è qui il caso di studiare nuovamente le manfestazioni 8.
Consideriamo piuttosto le intenzioni di Bernardo. Ora quanto più appare
poco scrupoloso nella sua versione dei fatti, tanto più si dice sicuro
di quella che è la volontà di Dio di cui desidera la realizzazione; non
ammette che altri la concepiscano diversamente da lui: la ragione è dalla
sua parte e bisogna che gli altri la pensino come lui. È sicuro di far tutto
per la gloria di Dio; e quanti la pensano diversamente da lui hanno torto.
Il suo candidato è « l'uomo che piace a Dio» 9. Parimenti, alla fine della
lettera 346 relativa alla elezione di York, si legge: «Non dico questo da
me stesso, ma secondo la testimonianza di coloro che sono mossi dallo
spirito di Dio ». In quest'ultimo caso, la pretesa di essere il fedele ed
unico rappresentante del pensiero di Dio è tanto più insistente dal momento
che le formule di questa frase non solo sono reminiscenze bibliche
ma sono in parte improntate a quanto Cristo affermava di se stesso.
Le prime parole: Non loquor hoc a me ipso, sono direttamente ispirate
a diverse espressioni di Gesù nel Vangelo di Giovanni (7,17; 8,25-28;
38; 12, 49-50, ecc.) e soprattutto alla seguente: Verba quae ego loquor
vobis a meipso non loquor ... Il seguito: sed testimonium illorum riprende
un termine che spesso Gesù applicò a se stesso, in S. Giovanni.
La finale: qui Spiritu Dei aguntur, si trova in una frase di S. Paolo ai
Romani (8, 14) che si conclude con l'affermazione: ii sunt filii Dei. In
questi casi, Bernardo sembra attribuire ilmonopolio dello Spirito Santo a
quanti la pensano come lui: in questa come in molte altre lettere, Bernardo
identifica volentieri le sue amicizie con quelle del Signore; raccomandando
all'arcivescovo di Lione l'abate di la Bénisson-Dieu, dichiara:
« Quanto farete in suo favore, è a me, o meglio a Gesù Cristo stesso che
lo farete » lO. Appare così come un uomo molto deciso e sicuro di sé:
opporsi a lui è opporsi a Dio; tutti devono capire che la sua volontà è
quella di Dio.
4. Suscettibilità e tendenze dominatrici nel conflitto con Abelardo
Sappiamo quanto furono complesse le circostanze che prepararono e
affiancarono la condanna di Abelardo nel 1140 da parte di quello che
enfaticamente denominiamo il Concilio di Sens, poiché, in realtà, quell'assemblea
contava solo sei vescovi, riuniti in presenza del re di Francia
8 Epist., 164.
9 Epist., 169.
io Epist., 173.
- 138-

e di un concorso di popolo convenuto soprattutto da quella città. La dottrina
attribuita ad Abelardo su diversi punti del dogma e della morale
non era che un aspetto di un vasto insieme di elementi d'ordine psicologico
e spirituale, su problemi che si agitavano nell'ambito monastico,
politico, ecclesiastico, e che da tempo opponevano i due protagonisti Il.
Gli argomenti di carattere dottrinale furono esposti da Bernardo soprattutto
nella lunga lettera in forma di trattato nella quale denunciava
a Innocenzo II gli errori di Abelardo. Sembra ormai certo che prima di
redigerla non abbia compiuto un esame minuzioso e personale degli
scritti del suo avversario, ma che si sia affidato, con eccessiva fiducia, alla
presentazione fattagli da Guglielmo di Saint-Thierry che, da lunga data,
aveva ritenuto l'insegnamento di Abelardo pericoloso per l'integrità della
fede. E siccomeentravano in gioco altri elementi non teologici, molte ragioni
invocate da Bernardo, là come altrove, contro Abelardo, non erano
che argomenti ad hominem, nel duplice senso che da una parte tentava
di colpire i punti deboli della personalità di Abelardo e dall'altra si
rivolgeva parimenti ai membri della curia romana, destinatari delle lettere,
nei loro punti vulnerabili.
Alla controversia dottrinale sottostava, in verità, un conflitto di tendenze,monastiche.
Senza dubbio Abelardo, in alcuni suoi scritti, rivelava
un senso della semplicità e della austerità ed uno spirito riformatore
molto simile al programma cistercense messo in luce da san Bernardo 12.
Ma come era antifemminista in teoria 13, e, in pratica, difensore dei valori
femminili 14, così, di fatto, era più vicino a Cluny che a Citeaux. E questo
non era sconosciuto né a Bernardo né all'ispiratore dei suoi scritti contro
Cluny e contro Abelardo, Guglielmo di Saint-Thierry, un benedettino
dall'anima cistercense. Fu lui che spinse Bernardo a lanciarsi nella controversia
dottrinale. In questo campo, forse l'abate di Clairvaux non era
in un primo tempo irritato quanto il suo amico; ma volle fargli piacere
Il La storia di questo conflitto continua ad esere studiata, e, in particolare,
recentemente da J. MIETHKE, Abaelards Stellung zur Kircbenreiorm. Eine biograpbiscbe
Studie, in Francia. Forscbungen zur Westeuropiiischen Gescbicbte, l (1972) p. 158-192,
con ampia bibliografia.
12 Lo mettono in rilievo i testi cbe bo analizzato con il titolo «Ad ipsam sopbiam
Christum ». Le témoignage monastique d'Abelard, in Reoue d'ascetlque et de mystique,
46 (1970), p. 165-167, 1. S. [ean Baptiste et le propbétisme monastique, e in
particolare, il lungo sermone, in forma di trattato, per la festa di S. Giovanni Battista,
ed. P. L., 178, 582-607.
13 Il fatto cbe Abelardo sia stato «moins féministe que la plupart des auteurs
spirituels» del suo tempoè stato rilevato da R. JAVALET, Image et ressemblance au XII
siècle, Paris 1967, I, p. 241.
14 Cf. «Ad ipsam sophiam Cbristum »... , loc. cit., II, Moniales et diaconesses, p.
164-181.
- 139-

senza prevedere, probabilmente, che la questione avrebbe assunto vaste
proporzioni. Ed è in questa occasione che egli lasciò trasparire chiaramente
un'altra sua tendenza profonda, ugualmente contraria a una di quelle
che credeva scoprire in Abelardo: Bernardo, di sua natura, inclinava più
a contemplare il mistero che a scrutarlo o a cercare di spiegarlo;
Abelardo invece non temeva di porre nuovi problemi nel campo della fede
e di servirsi, per rispondervi, di un metodo che sembrava attribuire maggior
valore allo sforzo razionale che all'accettazione d'una tradizione. Tutto
questo urtava le aspirazioni più intime dell'uomo di fede e di preghiera
quale era Bernardo. E godendo allora di un prestigio che gli conferiva
autorità nel campo della politica ecclesiastica, se non in quello della
teologia, egli fa appello soprattutto ad argomenti d'ordine « tattico» più
che dottrinali.
Si preoccupa in particolare di mettere in guardia, a priori, i suoi
lettori contro Abelardo e i suoi insegnamenti. Egli « condiziona », per
così dire, i suoi destinatari con la paura: «La causa è di Cristo, afferma
per esempio all'inizio di una lettera al cardinale Guido, anzi Cristo stesso
è la causa, e la verità si trova in pericolo, si dividono le vesti di Cristo,
si lacerano i sacramenti della Chiesa ... ». Se ciò era esatto, era quanto
bastava per impressionare un alto dignitario, scarsamente informato sulle
dottrine incriminate: come avrebbe potuto sottrarsi a questa sorta di
ricatto? Così Bernardo s'affrettava ad indicargli le conseguenze di tali
premesse: «Se sei figlio della Chiesa, se non misconosci il suo petto materno,
non lasciare tua madre in pericolo, non sottrarre le tue spalle nel
momento del dolore » 15.
Bernardo mira in tal modo ad influenzare, con termini energici, i suoi
corrispondenti, ponendoli di fronte alle loro tremende responsabilità:
« Agite secondo la posizione che accupate, scrive egli ancora a tutti i cardinali
e vescovi della curia romana, secondo la dignità di cui siete rivestiti,
del potere che avete ricevuto, in modo che colui che vuole innalzarsi fino
al cielo, precipiti fino all'abisso ... »: ed è solo l'inizio di una lunga frase
sullo stesso tono ... 16. Talora Bernardo va anche oltre per questa strada, e
i suoi intenti raggiungono l'adulazione, come quando scrive al vescovo
di Palestrina: «Vi comunico le angustie e i gemiti della sposa di Cristo,
con grande confidenza, perché so che siete amico dello sposo e che siete
pieno di gioia alla sua voce. Sono pienamente sicuro nel Signore, conoscendovi
nell'intimo, che non cercate le cose vostre ma quelle di Gesù Cri-
IS Epist., 334, P. L., 182, 538-539.
16 Epist., 188 2, P.L., 182, 353.
140 -

sto. Pietro Abelardo si rivela nella sua vita, nei discorsi e nei libri, vero
persecutore della fede cattolica e nemico della croce di Cristo ... » 17.
Un altro procedimento utilizzato da Bernardo in questa polemica
consiste nel porre il pericolo dottrinale in relazione con quello di ordine
politico, associando Abelardo ad Arnaldo da Brescia il quale aveva criticato
la ricchezza della curia e tentato di sollevare il popolo di Roma
contro il papa. Innocenzo II resta così, a priori, mal disposto nei suoi
confronti. Bernardo glielo descrive come protettore di Abelardo, allo stesso
modo di colui che portava le armi con le quali Golia si preparava ad
affrontare Davide, e sviluppa il parallelo tra questi due nemici di Cristo,
della Chiesa, del papato e della verità 18. In forza di tali considerazioni,
Bernardo può presumere che Abelardo sarà condannato e ritenerlo tale
prima ancora che il papa abbia emesso la sentenza: alla fine di questa
stessa lettera a Innocenzo II tratta già l'accusato da scismatico e da eretico,
e lusinga nuovamente il papa: alludendo allo scisma di Anacleto nel
quale Bernardo aveva avuto una parte di cui poteva ora vantarsi, aggiunge:
« Il Signore Vi ha veramente provato nello scisma e Vi ha conosciuto
abile. Ma, perché non manchi proprio nulla alla vostra corona, ecco che
sono scoppiate le eresie. E perciò, a completamento delle vostre virtù, e
perché non vi si trovi inferiore ai grandi vescovi, vostri antecessori, catturatele
per noi, o Padre, finché sono piccole, le volpi che demoliscono la
vigna del Signore ... » 19.
In tal modo, con ogni mezzo, e in base a considerazioni che non sono
affatto di carattere dottrinale, Bernardo tenta di imporre il suo giudizio
ai suoi corrispondenti e ai suoi lettori, essendo prevedibile che le sue lettere
circolassero e che alcune sarebbero state un giorno pubblicate, come
avrebbe egli stesso fatto qualche anno più tardi. E simili argomenti egli
dovette utilizzare per far pressione sui vescovi giunti a Sens alla vigilia
di riunirsi in concilio per ascoltare Abelardo e giudicarlo. Ora costui veniva
a presentarsi non per ricevere una sentenza prefabbricata, ma per
avere l'occasione di difendersi. Di fronte all'impossibilità di farlo egli
appellò a Roma, ponendo i vescovi in una situazione delicata. In realtà
ilre ed essi stessi, con molti altri, in Francia, desideravano l'indipendenza
delloro paese nei confronti di Roma. D'altra parte, il papa e la curia romana
erano ben lieti del ricorso che dava risalto alloro potere. Così Bernardo
dovette, ben presto, scrivere al più gran numero possibile di membri
della curia per ottenere da essi che Abelardo, ancor prima del suo
17 Epist., 331, P.L., 182, 536.
18 Epist., 189, 3, P.L., 182, 855.
19 Ibid., 5, 356.
- 141

arrivo a Roma, fosse « già giudicato» e condannato come eretico. Non
entrarono pertanto solo in gioco le considerazioni derivate dalla psicologia
di Bernardo ma egli utilizzò tutto il suo talento e la sua passione per
fondere argomenti di carattere dottrinale con altri tratti dal gioco complesso
della politica religiosa.
Tale ambiguità di fatto era costante nel suo modo di denunciare l'avversario:
a volte critica le sue dottrine, a un livello speculativo, a volte
attacca la sua persona, utilizzando un vocabolario biblico, facendo esprimere
dalla Scrittura quando lui stesso vuoI dire: «Il maestro Pietro Abelardo,
monaco senza regole, prelato privo di zelo, non mantiene una linea
retta, né si lascia imbrigliare da alcun ordine. È un tipo pieno di
contraddizioni: interiormente un Erode, all'esterno un Giovanni; tutto
ambiguità, del monaco non ha nulla se non ilnome e l'abito ... »20.Questo
dovrebbe bastare a far giudicare i suoi partigiani e i suoi alleati. Ora verso
la fine di questa stessa lettera al cardinale Ivo, si legge questo ammonimento:
«Tuttavia non si dà nessun pensiero perché si vanta che i cardinali
e i preti della curia sono diventati suoi seguaci, e prende a difesa
dell'antico e del nuovo errore coloro dai quali dovrebbe temere di essere
giudicato e condannato ». Parimenti come gli amici di Abelardo sono i
nemici del bene della Chiesa così gli amici di Dio devono essere i suoi oppositori:
«Se qualcuno possiede lo spirito di Dio, si ricordi di quel versetto:
O Signore, non ho forse odiato coloro che ti odiano, e mi sono consumato
contro i tuoi nemici? » 21.
Un altro modo seguito da Bernardo per discreditare Abelardo consiste
nell'applicargli titoli ingiuriosi tendenti ad identificarlo con i peggiori
eretici: Ario, Pelagio, Nestorio 22. Senza dubbio si trattava di un tema
tradizionale, e che non provava nulla, ma sufficiente, agli occhi di spiriti
poco critici, a squalificare un avversario. Va tuttavia sottolineato che
Bernardo non si richiama mai al passato personale di Abelardo, la cui avventura
amorosa con Eloisa avrebbe potuto offrire un facile motivo di
disprezzo. Un difensore di Abelardo, Pietro Berengario, non tarderà
invece a comportarsi diversamente nei confronti di Bernardo rimproverandogli
le sue debolezze giovanili 23. Nel riserbo dell'abate di Clairvaux
in questo campo c'è un senso di dignità che lo onora.
20 Epist., 193, P.L., 182, 359. S. Bernardo forse allude qui al fatto che Abelardo
aveva esposto le sue idee sul monachesimo nel sermone su S. Giovanni Battista
ricordato più sopra, alla nota 12.
21 I bid., citando il.Salmo 138, 21.
22 Epist., 331, P.L., 182, 537, ecc.
23 Apologeticus contra Beatum Bernardum, P. L., 178, 1857 AB.
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Contemporaneamente Bernardo cerca di giustificare il suo attacco:
se vuole imporre le sue idee, egli afferma, è perché crede sinceramente
che siano le migliori. Si paragona cosi a Davide, ai profeti, a san Paolo.
In previsione di eventuali rimproveri per il suo intervento nel processo,
paragona la parte da lui svolta a quella dei servi di Dio di cui parla l' Antico
e il Nuovo Testamento. E proietta su Innocenzo II il suo ruolo e le
sue idee; ed è talmente persuaso che queste siano giuste da chiedere al
papa di farle proprie. Tenta in tutti i modi di giustificare il suo atteggiamento
cosi che non valga solo ai propri occhi ma possa essere accettato
dagli altri.
Ma, in realtà, che cosa tenta di giustificare? Non si tratta forse in
parte, e inconsciamente, di proprie esigenze, e in particolare di una indubbia
tendenza a dominare gli altri, e in questo caso, da una parte Abelardo
e dall'altra il papa e i membri della curia? Quando ha trovato una
via che ritiene la migliore - si tratti di vita monastica, di dottrina o di
politica - vi si attiene a rischio di non poter cogliere altri aspetti della
realtà. Non solo, ma desidera che tutti l'adottino con il pericolo di non
rispettare sufficientemente la personalità di coloro che la pensano diversamente.
Diventa in tal modo facilmente troppo dogmatico nell'esporre
le proprie opinioni e nel formulare giudizi. Vi è tuttavia in questo atteggiamento
un aspetto coraggioso; non può vivere in uno stato di ambiguità
cosciente, voluta e accettata, anche se, inconsciamente, neppur
la sua condotta ne va esente. In forza di questo carattere assoluto, e per la
sincera convinzione di essere nel vero, è estremamente sensibile alle critiche
di cui sa di essere oggetto da parte di Abelardo e dei suoi discepoli,
ed anche da parte di alcuni membri della curia: tale suscettibilità traspariva
nelle lettere scritte in quel frangente.
Più tardi, quando pubblicherà il suo registro, cercherà di attenuare
certe sue espressioni. E questo per varie ragioni: preoccupazione di non
ripetersi, di pubblicare i testi più personali, ossia quelli alla cui redazione
aveva contributo più dei notai, in particolare di Nicola di Montieramey
al quale aveva accordato un'eccessiva fiducia di cui ben presto avrà motivo
di rammaricarsi. Ma non si può forse anche ritenere che si sia pentito
di certe violenze verbali in lettere alle quali preferì non assicurare
una larga diffusione? Tuttavia nel momento in cui le aveva dettate o
ne aveva delineato il canovaccio, nel fuoco della polemica, aveva dato
prova di coerenza e di costanza. Vi aveva profuso non solo le sue idee,
ma le sue passioni, i suoi sentimenti e le sue emozioni al servizio delle
sue convinzioni. Quasi che temesse di vedersi paragonato ad altri, e soprattutto
al dialettico indubbiamente superiore che era Abelardo, si era
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attenuto strettamente, con rigore, allo schema di pensiero e alla linea di
condotta adottata fin dall'inizio della controversia. Una specie di rigidità
inflessibile 1'aveva reso impenetrabile all' apporto degli altri, inaccessibile
alle loro obiezioni. Non accettava di considerare questa disputa, non esente
da elementi passionali da entrambe le parti, se non allivello di fede,
e, su questo piano si sentiva sicuro. Ma questo sentimento non nascondeva
forse una certa paura inconscia per la propria stabilità? È difficile
dirlo. Certamente intendeva rimanere fedele a se stesso e a ciò che a lui
appariva come una esigenza di Dio, al quale solo spetta valutare la parte
avuta in questo conflitto, sia da Abelardo che da Bernardo, per l'amore
della verità.
II. L'UMILTÀ, CONDIZIONE DELL'AZIONE
Dopo aver rilevato un certo numero di aspetti piuttosto negativi, sarà
bene non dimenticare quelli positivi; e a tale proposito si impongono
alcune osservazioni preliminari: innanzitutto se consideriamo Bernardo
solo nei suoi rapporti con gli avversari rischiamo di misconoscere le sue
relazioni con gli amici, con tutti coloro ai quali non ha ragione di opporsi,
o ai quali vuoI rendere un servizio o semplicemente compiacere; nelle
sue «lettres d'humanité », di confidenze personali o di consigli spisituali,
si rivela sotto un altro aspetto, affettuosissimo, che non sempre ha
attirato sufficientemente l'attenzione di quegli storici che si interessano
soprattutto dei fatti 24.
Inoltre è molto difficile analizzare atteggiamenti nei quali gli elementi
psicologici sono costantemente uniti a considerazioni d'ordine soprannaturale:
tutto è strettamente collegato; e tuttavia siamo costretti
ad isolare alcuni aspetti nell'impossibilità di parlare contemporaneamente
di tutto. Nondimeno non si deve perdere di vista l'unità nella quale si
fondono tutti questi stati d'animo. Ci sarà solamente possibile proporre
qui una serie d'« approches », e le ripetizioni, inevitabili in questo genere
di ricerche, porranno in risalto alcuni dati più importanti. L'esposizione
sarà necessariamente molto sfumata, e da parte nostra dovremmo chiederci
in ogni istante che cose ne penserebbe Bernardo stesso. Non si potrà
evitare una interpretazione parziale, ma è la sola via per far progre-
24 Con il titolo S. Bernard. Lettres cboisies, ho presentato una scelta di queste
, lettres d'humanité ' tradotte da E. DE SOLMS, Narnur 1962.
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dire le nostre conoscenze in questo campo: l'importante è che esse abbiano
costantemente come punto di partenza i testi stessi.
Infine, occorrerà accordare molto valore ai Prologhi, non tanto dal
punto di vista della loro conformità con la tradizione letteraria 2S, né da
quello dei meccanismi psico-dinamici dei quali si scopre il procedimento
26, ma dal punto di vista delle intenzioni che Bernardo manifesta: possono
rivelare tutto un itinerario spirituale, e, comunque, Bernardo vi si
abbandona come ad una specie di continua auto-terapia. Con queste cautele
pare di poter considerare la vita interiore dell' abate di Clairvaux come
segnata da una tensione, sempre presente in lui, tra l'umiltà e la
carità: con la prima prende coscienza dei propri limiti e verifica la purezza
delle sue intenzioni, con la seconda prende la decisione di agire
per servire.
1. Coscienza dei propri limiti
Fin dall'inizio della sua carriera letteraria, in quella « opera prima»
dedicata ai Gradi dell'umiltà e della superbia, egli ha dato questa definizione:
«L'umiltà è la virtù per la quale l'uomo si disprezza perché possiede
una perfetta conoscenza di sé medesimo ». Tale definizione ha trovato
in lui realizzazione? e in che modo? Se si leggono molti suoi testi,
e specialmente i Prologhi, appare posto continuamente di fronte ad una
grave alternativa: o agire nel senso richiestogli - e specialmente quando
scrive - ed allora prevede di attirarsi gloria; oppure rifiutare perché è
ben consapevole di rischiare d'essere criticato qualora il risultato non
corrisponda alla aspettativa che in lui si ripone. Si lascia condizionare
da quest'ultima o si mantiene libero nei suoi confronti? Prende una
decisione ma non senza avere chiaramente considerato due ipotesi: se
parla non si comporta più con umiltà, se tace è inutile. Questa sua capacità
di coglier si così come è, con i suoi doni e i suoi limiti - e di giudicarsi
con quella forma di humour che consiste nel prendere distanza
da se stessi - lo porta a domandare che si preghi perché possa evitare
due scogli: che non si riempia di orgoglio se raccoglierà «gloria», e
che non si lasci deprimere e scoraggiare se non si attirerà che « ignominia
»27; la forza stessa di questo vocabolario tradisce l'acutezza della tensione
che percepisce in sé e la lucidità con la quale la considera.
2S Recueil d'études sur S. Bernard, III, Roma 1968, p. 13-32.
26 Literature and Psychology. III: Expressed motioations.
27 S. Bernardi opera, III, Roma 1963, p. 16.
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Un mezzo per risolvere questa antinomia consiste nel sottomettersi
al giudizio altrui, e Bernardo lo fa volentieri, come nel Prologo del trattato
Sulla grazia e il libero arbitrio 28: questo equivale a riconoscere che
non sa tutto, che altri sono più competenti di lui ed hanno il diritto
di criticarlo. È riscontrabile, in Abelardo, ad esempio, una tale preoccupazione
di apparire agli altri cosi come si è e di accettare le loro correzioni?
Nel Prologo dei sermoni di Quaresima sul Salmo 90, e in tutta
l'opera, Bernardo parla della tentazione come di una prova alla quale
egli è sottoposto esattamente come i monaci ai quali si rivolge 29. Rifugge
la parte dell'uomo perfetto, che non conosce né dubbi né esitazioni 30. Ora
nell'anno 1139,quando redige questi testi 31, egli è ormai un uomo di
Chiesa, la cui capacità si è rivelata nella parte avuta nel risolvere lo scisma
di Anacleto; e ben presto agirà contro Abelardo come uno sicuro di sé.
Sa di essere molto stimato. Non gli occorse forse coraggio per manifestarsi
ai suoi monaci, e in pubblico, con tanta sincerità?
Così, nel Prologo del Libro sul precetto e la dispensa egli appare,
per usare la terminologia cara alla tematica esistenziale, come un uomo
problematico: è diviso, e non ne fa mistero. Confessa di aver a lungo
esitato prima di rispondere alle reiterate richieste con le quali lo si « forzava
» (cogitis) sia a mostrare la propria incapacità come pure a venir
meno alla carità. Ma quando ha preso, autonomamente, la decisione di
accettare, si lancia, per così dire, con coraggio, « come in un abisso dal
quale - Dio lo sa - non è sicuro di emergere» 32. È rivelatore il fatto
che, sollecitato da due monaci che non nomina, invia il suo trattato alloro
abate, non senza aver giudicato severamente quei due quidam. La coscienza
della propria autorità lo porta a tenerla in onore anche presso gli
altri superiori, senza avere forse per i problemi dei semplici religiosi il
rispetto che oggi ci attenderemmo. Manifesta tuttavia un certo distacco
da quanto sta per scrivere, nel contenuto e nell'espressione, e moltiplica
le formule di modestia.
2. Importanza delle intenzioni.
Vien fatto di chiedersi se 1'analisi minuziosa delle proprie motivazioni
e di coloro che lo supplicano di scrivere, sia ancora presente quan-
28 Ibid., p. 165.
29 lbid., IV, Roma 1966, p. 383-492.
30 Sull'esperienza che Bernardo afferma di fare della propria misena, ho raccolto
alcuni testi in Aspects du monacbisme bier et autourd'bui, Paris 1968, p. 261-277.
11 Su questa cronologia, S. Bernardi opera, IV, p. 119.
32 Ibid., III, p. 253-254.
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do si trova nel vivo di un conflitto. E sembra, invero, che sia cosciente
dell'illusione sempre in agguato che lo può portare ad intervenire a proprio
vantaggio: lo prova il fatto che se ne difende. Nelle lettere ai papi,
in occasione dell'elezione di York, non cessa di sottolineare che egli agisce
nell'interesse della Chiesa e non per interesse personale. Non può
certo ignorare la presenza in lui di ragioni umane e di una certa tendenza
ad influenzare; una lettura inserita nel Breviario di York, ancora oggi,
rimprovera agli avversari di Guglielmo Fitzherbert d'essere stati troppo
desiderosi di potere 33. Ma, d'altra parte, non è forse prova di maturità
utilizzare a pieno 'l'energia interiore al servizio di una causa che crede
giusta, quasi una sorta di pedagogia destinata a spingere gli altri - ivi
compresi e innanzitutto i papi - a servirla nel solo modo che ritiene
efficace? Ora uno dei mezzi di pressione da lui usati consiste nell'insistere,
non solo sulla causa in questione - in questo caso, il bene oggettivo
della Chiesa di York - ma sulla diversa motivazione dei sostenitori
dell'uno e dell'altro candidato: coloro che stanno dalla mia parte, scrive
a Innocenzo II nella lettera 347,« non cercano i propri interessi, ma quel-'
li di Gesù Cristo. Solo l'amore di Dio li spinge: non credo che i loro stessi
peggiori nemici possano sospettarli d'essere mossi, in questa controversia,
da interesse privato o da rancore personale. Se qualcuno dunque è per
Dio, sia dalla loro parte» 34. Una tale sfida lanciata al papa suppone quanto
meno che agli occhi di Bernardo le intenzioni abbiano la loro importanza.
3. Il coraggio dell'azione.
Una volta riconosciuti i propri limiti e verificate le motivazioni, Bernardo
passa all'azione. E, a prestargli fede, ciò gli costa. Nei suoi Prologhi
manifesta questa specie di paura che prova ogni qual volta sta per
intraprendere un'opera. Una tale paura potrebbe essere paralizzante, come
quella che agisce da freno quando un paracadutista teme di lanciarsi
nel vuoto. Se si ferma al timore che prova non riesce a compiere
alcun movimento; se invece lo supera, rivela la propria capacità di affrontare
un pericolo. Cosi Bernardo, se vince la sua titubanza a scrivere,
ad agire, può cominciare a costruire la sua personalità; il suo io in piena
espansione gli consente di dominare le varie paure che prova e che ma-
13 Citato da BRUNO SCOT ]AMES, St. Bernard 01 Clairuaux, Londra 1957, p. 151.
34 P.L., 182, 552.
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nifesta fin dal Prologo del trattato Sui gradi dell'umiltà. Da questo momento
rivela una percezione molto realistica di se stesso; la sua personalità
ha raggiunto uno sviluppo sufficiente per impegnarsi secondo le proprie
possibilità - si quem possem, communicare fructum sermonis 35. Ma,
con una formula di san Giovanni già citata dalla Regola di san Benedetto,
egli indica chi gli darà la forza: la carità; non si tratta soltanto per lui
di realizzarsi, ma di superarsi e di andare a Dio.
E lo riafferma ben presto nel Prologo delle omelie I n lode della Vergine
Madre 36: bisogna saper fare di necessità virtù; le parole necesse est)
necessitas e necessaria, che usa in sole tre righe, sono rivelatrici di questa
specie d'obbligo impostogli da parte degli altri e le cui circostanze, in
questo caso, favoriscono la realizzazione, poiché, ammalato, vive al margine
della comunità e gode del tempo libero richiesto per la redazione.
Non si lascia tuttavia condizionare né dalle richieste che riceve né dalle
circostanze: si riserva la libertà - dum tamen ex hoc non impediar -
di soddisfare alle esigenze della sua devozione.
Questamedesima « necessità» alla quale acconsente è invocata ancora
nel Prologo dell' Apologia 37 e nella lettera che presenta questo trattato
a Guglielmo di Saint-Thierry 38. Il senso molto forte che egli ha dell'autorità
appare, all'inizio di quasi tutti i suoi scritti, nel fatto che afferma di
aver ricevuto l'ordine di scrivere e di esservisi sottomesso. Ciò sarà forse
dovuto all'educazione ricevuta in una famiglia nobile, in un ambiente
di cavalleria dove si era abituati a comandare? È certo, comunque, che
vi è in lui una inclinazione al comando: assume perciò maggior risalto
la sua capacità di obbedire, per servire, quando ha compreso che tale è
il suo dovere. Afferma chiaramente all'abate di Saint-Thierry: «Finora,
quando mi hai ordinato di comporre un'opera o l'ho fatto mio malgrado
o non vi ho per nulla acconsentito » 39: in tal modo rivendicava la sua
totale indipendenza, il diritto che si attribuisce di rifiutare, e l'uso che
talvolta ne fa. Tuttavia la ricchezza della sua personalità deriva proprio
dal fatto che in lui si conciliano e il dominatore e il servitore.
Quella parte di « timidezza» che è in lui mette subito in azione un
meccanismo di difesa, lo porta ad agire per reazione, e può perfino renderlo
aggressivo nell'affermare la propria autonomia. Considera poi le
due possibilità che gli si offrono: trattandosi di una « causa urgente»
35 S. Bernardi opera, III, p. 16.
36 Ibid., IV, p. 13.
37 Ibid., III, p. 81.
38 Ibid., p. 15.
39 Ibid.
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che Guglielmo di Saint-Thierry gli sottomette come un dovere, non rifugge
dalle sue responsabilità; darà ai cistercensi e ai cluniacensi l' ammonimento
che gli si richiede. Ma è come esporsi a un nuovo pericolo di cui
è del tutto cosciente e che denuncia con lucidità, non senza una punta
di esagerazione che è poi una forma di humour: quello di erigersi a « giudice
del mondo intero ». Ed anche questa tendenza dovrà essere da lui
purificata, domata, ed ancor prima riconosciuta. Ai suoi occhi pertanto,
nel momento in cui con calma decide di intervenire, non è affatto facile
passare all'azione; occorre infatti il controllo di tutte le ragioni che lo
spingono a farlo. In questi casi Bernardo si rivela realmente maestro di
se stesso: riesce a dominare i suoi impulsi spontanei e a conciliare le intenzioni
con le azioni.
4. La libertà di parola.
Questo modo d'essere sincero con se stesso gli dà il diritto ad esserlo
verso gli altri. Così, fin dal paragrafo dell'Apologia che segue l'introduzione,
in cui si è messo in discussione nel modo che abbiamo visto,
si lancia in un'invettiva contro l'ipocrisia: la parola Vae, ispirata alle maledizioni
del Vangelo e dell' Apocalisse, si ritrova qui cinque volte, con
formule di cui l'ultima è la seguente: Vae, inquam, semel, et uae iterum
... 40 Questo linguaggio energico, d'una violenza studiata e voluta, è
ben conforme al suo modo di agire.
La preoccupazione di chiarezza, e di franchezza, non è soltanto in
lui esigenza letteraria; è un bisogno psicologico che può diventare un
mezzo di « costruire la carità », come Bernardo ne esprime il desiderio
nel Prologo del suo trattato Sulla grazia e il libero arbitrio: a proposito
di un argomento che è « oscuro », vuole tentare di realizzare il comando
della Scrittura: «Coloro che fanno luce su di me, avranno la vita eterna
»41. Questo stile di chiarezza è il suo stile di vita.
E saprà usare, all'occorrenza, la sua franchezza con tutti. Nel Prologo
della lettera 42, Sulla condotta e la funzione dei vescovi, diretta a
uno dei più eminenti prelati di Francia, l'arcivescovo di Sens, che gli ha
chiesto lo scritto, rifiuta ogni scelta compiacente 42: denuncia senza ambiguità,
per tutta la lettera, quanto crede dover rimproverare ai dignitari
ecclesiastici del suo tempo; lottando in questo modo contro ogni forma
40 Apologia, 2, ibid., p. 82.
41 Ibid., p. 165; cita Eccli 24, 31.
42 P.L., 182, 803.
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di mediocrità, corre il grave rischio di attirarsi l'antipatia dell'alto clero,
nel momento stesso in cui ne ha bisogno, non foss'altro nell'interesse delle
sue abbazie in via di fondazione. Ma, con coraggio, non teme di esporsi
anche a questa eventualità. D'altronde, come già all'inizio dell'Apologia,
egli citerà una gran quantità di parole della Scrittura.
Ma questo modo di procedere non è forse per lui un mezzo per rifugiarsi
sotto un' autorità capace di proteggerlo? O forse gli consente di
dar libero corso, al riparo delle parole sacre, alla propria aggressività? O
ancora, si rendeva forse conto che i propri pensieri potevano apparire
come una verità a lui, un messaggio troppo personale, che vuol rendere
universale facendolo esprimere o confermare dal portavoce di Dio? Queste
diverse possibilità si trovano senza dubbio realizzate nella sua opera:
occorre però in ciascun caso determinarne la portata. Non si può tuttavia
fare a meno di ammirare l'enorme ricchezza di parole di Dio di cui fa
uso. Altre volte Bernardo filtra, per così dire, i propri impulsi attraverso
il linguaggio sacro. In molti punti afferma che si deve sperimentare quanto
si legge nella Scrittura; ed è quanto egli fa: interiorizza fortemente
in se stesso una quantità di versetti della Bibbia, li « vive» con intensità,
e li fa suoi. Questo comporta evidentemente il pericolo, richiamato più
sopra a proposito dell'affermazione di sé, di identificare la parola di Dio
con le proprie aspirazioni, invece di conformare quest'ultime alle intenzioni
degli autori ispirati. Non vi è mai nulla di assolutamente puro
quando l'uomo si esprime per bocca di Dio. Ma, certamente, una delle
fonti dell'energia spirituale di Bernardo deriva dalla convinzione di potersi
appoggiare ad un' autorità che lo supera. .
III. I VALORI CRITERI DELL'AZIONE
Quest'ultima considerazione ci porta ad una constatazione alla luce
della quale tutta la condotta di Bernardo si chiarisce e in parte si spiega;
egli ha coscienza di avere un messaggio da annunciare, è convinto di dover
servire realtà che lo superano; ossia dei valori, nel senso attribuito da
molti filosofi e soprattutto psicologi a questa parola per designare dati
oggettivi ritenuti preferibili alle vedute soggettive.
1. La ricerca del senso
Notiamo anzitutto che Bernardo è dotato di una straordinaria capacità
ad interpretare in prospettiva religiosa, ed anche sacra, gli avveni-
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menti e le circostanze della sua vita. Ciò appare fin dal Prologo alle
omelie In lode della Vergine Madre} se - come sembra - è vero quanto
afferma con tanta insistenza Guglielmo di Saint-Thierry, nel libro I della
Vita prima) sulla predilezione che la madre di san Bernardo, Aleth, aveva
per lui, e sull'attaccamento che egli le conservò anche dopo la morte, avvenuta
quando aveva quattordici o quindici anni. Nei primi tempi del suo
abbaziato è costretto dalla malattia a curarsi o a riposarsi al di fuori della
vita comune, e questo gli offre « un po' di tempo libero »: gli « piace»
pertanto - libet - per « soddisfare alla propria devozione» cedere ad
un impulso tante volte percepito dal suo spirito - quod saepe animum
pulsavit - parlando della Vergine Madre 43. Vien spontaneo chiedersi, da
un punto di vista psicologico, se un temperamento cosi forte, cosi autonomo,
non sentisse un bisogno di dipendenza affettiva, come quella di
un figlio verso la madre, quando tra loro vi siano stati dei rapporti come
quelli descritti da Guglielmo di Saint-Thierry: Aleth aveva desiderato per
lui quella totale donazione a Dio che l'aveva condotto nella solitudine
di Citeaux; ed eccolo, ora, temporaneamente al di fuori della comunità,
e solo con Dio. Si potrebbe cosi comprendere come egli abbia considerato
questa situazione contingente come una esperienza spirituale, alla quale
dare un senso mettendola in relazione con la Madre di Dio.
Uguale insistenza sulla « devozione », sullo « zelo per la preghiera »,
è presente nella lettera indirizzata a Guglielmo di Saint-Thierry che gli
aveva chiesto di scrivere l'Apologia 44. Ma anche qui, come nella prima
pagina di questo stesso trattato, riemerge la necessità che egli prova di
dare una interpretazione ai fatti, alle richieste degli amici, e di cogliervi
altrettanti segni della volontà di Dio alla quale non può rifiutare di sottomettersi
4S.
Nei due Prologhi citati, ha affermato la priorità che ritiene doversi
accordare alla preghiera. All'inizio delle omelie sulla Vergine Madre,
egli rende esplicito un altro suo criterio decisionale, altrove sempre implicito,
che consiste nel servizio dei fratelli: fratrum quorum me profectibus
deservire necesse est 46. Parimenti nel Prologo alla lettera 77, in
forma di Trattato sul Battesimo) in risposta alle domande postegli da
Ugo di San Vittore, afferma di volersi comportare da « servo di Dio» 47.
Se accetta di scrivere, non lo fa per compiacere ad un amico, maestro pur
43 S. Bernardi opera, IV. p. 1.3.
44 Ibid., III, p. 64.
4S Ibdi., p. 82.
46 Ibid., p. 13.
47 Ibid., VII, p. 184.
- 151-

degno di rispetto, ma perché il desiderio di servire è profondamente radicato
in lui.
2. Il bisogno di superamento
Il primo valore al quale si consacra è l'amore di Dio che si esprime
nella preghiera e che costituisce non l'oggetto di una conoscenza speculativa
ma una realtà vissuta, una esperienza; trattarne è quanto si può
fare ad un tempo « di più dolce, di più sicuro e di più utile », come
l'esprimono tre comparativi assoluti nel Prologo del trattato Sull'amore
di Dio 48. Bernardo pone quest'amore al di sopra di tutto, ma vi coglie
altresì il mezzo per realizzare pienamente il proprio io, realizzarsi superandosi.
Ciò non si attua con le sole proprie forze: è necessaria la grazia,
che dev'essere implorata per lui. Nella seconda redazione del sermone
24 Sul cantico dei cantici - un vero prologo scritto dopo un lungo
intervallo a causa di un soggiorno a Roma in occasione dello scisma -,
Bernardo ripete che è « debitore» agli altri, che « vive dei loro meriti »,
che egli può continuare a servire solo « se Dio rispondendo alla sua fedele
supplica, gli concede di dare anche quello che non ha »49. E molto
spesso, nel corso di questa grande opera, domanderà che si preghi perché
la possa condurre a buon termine. Questo procedimento era conforme alla
tradizione patristica; ma qui sembra esservi qualche cosa di più di un
tema letterario: la convinzione che Bernardo ha di non realizzarsi interamente
se non aprendosi a ciò che è al di sopra di lui.
Ancora una volta egli mira ad integrare le esperienze ecclesiali compiute
nell'unità della sua vita d'unione a Dio e della sua riflessione contemplativa.
E si intuisce anche che il bisogno che prova di parlare continuamente
della sua scarsa capacità di scrivere non è un semplice artificio:
umiliandosi, facendo professione di modestia, stabilisce in sé una
certa coerenza tra la sua timidezza e il suo bisogno di dominare, tra una
vita di intensa attività e l'aspirazione alla contemplazione. Con questa
forma di ascesi, che rimedia ad una sorta di tensione e perfino di contraddizione
interna, egli non cessa di rifare la sintesi di se stesso: non può
vivere in perpetuo conflitto con gli altri; ha bisogno di unità che ricerca
e trova in Dio.
48 Ibid., III, p. 119.
49 Ibid., I, Roma 1957, p. 151.
- 152-

3. Verso la maturità dell' età adulta
Tale unità ottenuta con il superamento costituiva già il tema dominante
del primo dei Sermoni sul Cantico: «la saggezza umana », spiegava,
non è sufficiente a dare un significato all'esistenza di coloro che
« si occupano di Dio » e passano la vita a « meditare la sua legge » so.
Quest'uomo il cui stile rivela insieme il taglio dell'artista e la passione
per ilbello, ha il coraggio di far passare in seconda linea e le lettere e la
conoscenza intellettuale di Dio. L'intero sermone d'introduzione diviene
un canto che esalta le meraviglie di Dio, e che scaturisce, con una
convinzione che non può essere finta, dalla riconoscenza, dalla gioia,
dall'esperienza di una personalità totalmente aperta ai valori più alti; il
suo è un desiderio di « esperienza»; a lettori ormai adulti, capaci di nutrimento
solido, vuol insegnare a compiere, per cosi dire, il salto dalla conoscenza
alla vita vissuta. Vien fatto di chiedersi se lui stesso abbia realizzato
questo programma, o quanto meno abbia capito che questo era il
punto centrale al quale avrebbe dovuto tendere tutto il suo insegnamento.
A questo proposito ha formulato in maniera perfetta quella legge di psicologia
secondo la quale« l'età matura» - perjecta aetas - che succede
allo stadio infantile dell' anima puerilis, non si raggiunge solo con il passare
degli anni, ma si acquista al prezzo di una esperienza interiore, fatta
di sforzi e di meriti: annos dico meritorum, non temporum SI.
In questo primo sermone Bernardo aveva già indicato un frutto di
questa maturità: essa sola consente di affrontare senza pericolo la lettura
e il commento di questo «canto epitalamico », di questo «canto
nuziale» che è il Cantico dei cantici. Essa sola rende possibile la sublimazione
con la quale potrà, in tutta l'opera, parlare senza vergogna né colpa
delle gioie dell'amore umano ed elevarsi, da esse, alla contemplazione del
mistero della carità.
Altro indice della maturità è quel senso di libertà che conserva nei
confronti di quanto si pensa di lui, sia esso in bene o in male. Nel primo
caso - come nella lettera 87 al canonico Ogiero - sa ricondurre a giuste
proporzioni le lodi rivoltegli 52. Nel secondo, gli basta sapere di aver
agito secondo coscienza per accettare, senza scoraggiarsi, le critiche che
gli vengono mosse: cosi si comporta all'inizio del secondo libro della
Considerazione, a proposito di coloro che l'accusano d'aver causato lo
so Ibid., p. 3-8.
51 uu., p. 8.
52 Con il titolo Le tbème de la jonglerie cbez S. Bernard et ses contemporains, in
Reoue d'bistoire de la spiritualité, 48, (1972), p. 385-399, ho analizzato la lettera 87.
- 153-

smacco della seconda crociata 53. Talvolta prevede le critiche tutelandosi
in anticipo, come nel Prologo del Libro dei cavalieri del Tempio, in lode
della nuova milizia: «Se vi è qualcuno al quale ciò non piace, o pare insufficiente,
questo non riguarda la mia volontà, che non ha fatto torto
alla tua, nei limiti delle mie conoscenze» 54. Ciò che lo « interessa» è di
mettersi a disposizione del suo amico e parente Ugo di Payns, maestro dei
Templari; la sua fama di scrittore passa in seconda linea. Parimenti nel
I sermone sul Cantico afferma di credere alle istanze di un amico, che
noi sappiamo essere il certosino Bernardo di Portes 55. E all'inizio della
seconda redazione del sermone 24, dopo l'interruzione causata dal terzo
viaggio a Roma, protesta nuovamente la sua incapacità a continuare a
scrivere intorno ad un soggetto sublime dopo essere stato assorbito da
preoccupazioni diverse e molto meno importanti 56. Vi è senza dubbio in
tutto questo una parte di modestia apparente, divenuta tema letterario.
Ma nulla proibisce di riconoscervi anche una parte di sincerità: è prova
infatti di maturità riconoscere i propri limiti e attribuire maggior valore
alla retta volontà anziché alla competenza.
IV. L'INTEGRAZIONE DEI BISOGNI AI VALORI
1. Progresso precoce e mai finito
Gli aspetti finora rilevati potranno forse aiutarci a formarci un'idea
esatta di ciò che fu, per Bernardo di Clairvaux, la santità. Non si tratta
di sapere se si è fatto bene a canonizzarlo oppure no. In tutte le Chiese
la dichiarazione ufficiale della santità, da quando viene praticata, risponde
parzialmente a criteri sociologici, e talvolta politici, in base ai quali si
valuta la parte avuta da cristiani e da cristiane, e non soltanto per il fatto
che le loro virtù sono ritenute in grado eroico (senza pecca) ", « Un tempo
», ha scritto per esempio Evdokimov, « i Principi santi venivano canonizzati
non in virtù della loro santità personale, ma per la loro fedeltà ai
carismi del potere reale esercitato al servizio del popolo cristiano » 58. Nel
53 S. Bernardi opera, III, p. 410-413.
54 uu.. p. 213.
S5 Cf. Recuieil d'études sur S. Bernard, I, p. 194-196.
56 S. Bernardi opera, I, p. 151.
57 Cf. P. DELOOZ, Sociologie et canonisations, La Haye 1969, e il resoconto che ho
fatto di altri lavori dello stesso autore, con il titolo: Deux nouueaux Docteurs de
l'Eglise, in La vie spirituelle, 123 (1970), p. 136-138.
58 P. EVDOKIMOV, L'amour fou de Dieu, Paris 1973, p. 134.
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caso di Bernardo, gli stessi contemporanei, essendo evidente quanto egli
compiva sotto i loro occhi, hanno ritenuto che si comportasse in conformità
ai suoi carismi, di portata eccezionale, come monaco, abate e uomo
di Chiesa. Non solo, ma tutto il suo insegnamento orale e scritto trasmetteva
al suo tempo e alla posterità un programma di santità: è chiaro
che in questa prospettiva lo si doveva canonizzare.
Ma come ha vissuto lui stesso questo programma, e con quale consonanza
tra la virtù privata e l'attività pubblica? Questa è la domanda
che si pone a conclusione di una ricerca di verità che tenta di discernere
la realtà del santo attraverso l'immagine che ci è stata data di lui
o che è stata ricavata dalla sua dottrina. È a questo sforzo che una certa
analisi psicologica può contribuire, discernendo al di là delle idee espresse,
gli impulsi e le motivazioni profonde. Ora appare abbastanza chiaro
che in tutta la sua vita siano coesistite passioni umane accanto ad una
evoluzione durante la quale non cessò di purificarsi e quindi di progredire,
secondo una formula da lui stesso adottata e che D. Knowles
gli applica: « In virtù o in amore nessuno rimane mai lo stesso; non avanzare
significa retrocedere» S9. Lo stesso storico aggiungeva: «San Bernardo,
nel 1150,non è più ilBernardo del 1120;nel giovane abate possiamo
scoprire eccesso, esagerazione, violenza, retorica; ma nei confronti
del santo giunto alla sua maturità il nostro giudizio dovrebbe farsi
molto circospetto » (J().
In realtà :fin dai suoi primi scritti egli presenta ad un tempo i segni
di un temperamento portato alle forme estreme e prove di equilibrio
nelle idee. E lo stesso fatto si riscontra nelle opere dei suoi ultimi anni,
come la Considerazione. Lui stesso, come abbiamo notato, insegnava
che la maturità proviene dall'esperienza interiore più che dal numero degli
anni. È il frutto di una lotta costante, che può essere iniziata precocemente
ma che non si esaurisce mai. Per tutta la vita è stato un uomo
battagliero, che ha conosciuto smacchi e successi, sofferenze e gioie.
Ancora adolescente è in lutto per sua madre; ormai giovane riesce a
convertire i suoi parenti all'osservanza cistercense; giovane abate subisce
la delusione di vedere il cugino Roberto preferire Cluny a Citeaux e
Arnoldo di Morimond essere infedele a quello che considera come l'unico
modo legittimo di essere fedele a una vocazione. E forse negli ultimi
anni le pene si fanno ancor più pesanti con il tradimento del suo notaio
S9 D. KNOWLES, Tbe Historian and Cbaracter and Otber Essays, Cambridge 1963,
p. 7. ~ , i":
60 D. KNOWLES, op. cit., p. 8. " ..
- 155-

preferito, Nicola di Montieramey, l'insuccesso della crociata, i contrasti
tra lui e il suo vecchio discepolo Eugenio III, infine la morte di molti
suoi parenti ed amici. Ma queste tristezze non gli impediscono di conservare
quella gioia ardente che si manifesta, ad esempio, negli ultimi
Sermoni sul Cantico.
Soltanto un esame minuzioso di tutti i suoi scritti e di quelli che lo
riguardano, seguendo l'ordine cronologico - per quanto è possibile conoscerlo
- autorizzerebbe a dire se è possibile stabilire, e in che senso,
una evoluzione nello sforzo di conciliare il suo temperamento con il suo
ideale. Nell'attesa che venga intrapresa quest'ampia analisi, era legittimo,
in questa sede, seguire un ordine cronologico approssimativo - come
nella prima parte di questa esposizione - e condurre la ricerca su un
certo numero di comportamenti che simbolizzano tutta la sua condotta,
considerati da diversi punti di vista e in campi diversi. In tal modo è
stato possbile suggerire una certa evoluzione, ideale o logica, che va
dalla constatazione di conflitti interiori al loro superamento in funzione
di valori sopra-individuati. Era necessario soprattutto che ogni osservazione
o interpretazione si appoggiasse su testi ben precisi. Ora, dopo
aver proceduto ad una specie di smantellamento dell'insieme psicologico,
letterario e spirituale, costituito dalla testimonianza di Bernardo su se
stesso, è ormai tempo di tentare la ricostruzione della sua personalità.
2. Bisogni e motivi
Nel tentativo di cogliere come si organizzi la personalità di Bernardo,
sembra di poter distinguere tre livelli. A quello che maggiormente gli
sta a cuore, ed in tal senso si può designare come superiore, si collocano
i valori da lui coscientemente professati: stima per il modulo di vita cistercense,
zelo della Chiesa ed impegno al suo servizio, carità che ispira
il desiderio di dare ad ognuno i consigli spirituali adeguati, amore di
Dio e bisogno di preghiera. Tali motivazioni ed altre dello stesso genere
s'ispirano direttamente ai principi del Vangelo, cosi spesso citato: sete
di giustizia e volontà di far del bene agli altri. Questo è il livello spirituale,
quello in cui, in definitiva, si raggiunge la santità.
A livello psicologico, - che, in se stesso, non ha nulla a che vedere
con la santità - si rileva in Bernardo un certo numero di bisogni spontanei
(needs), di spinte di temperamento (drives), che si possono ricondurre
ad una tendenza aggressiva e ad una propensione a dominare.
A un livello intermedio operano due meccanismi di difesa con l
- 156-

quali Bernardo cerca di giustificare i suoi bisogni accordandoli con i
suoi motivi: è l'intero campo della razionalizzazione delle tendenze,
dello sforzo che si compie per giustificarne le manifestazioni, ed è, per
conseguenza, quello dell'ascesi delle intenzioni. In ciò occorre lucidità e
coraggio; la prima è questione di umiltà, e il secondo di distacco da se
stesso: è necessario superarsi per azzardarsi ad una azione conforme ai
principi che si professano.
Se il livello spirituale è quello in cui si accede alla santità, se quello
psicologico offre il materiale da utilizzare per giungervi, il livello delle
giustificazioni ragionate e volute è quello in cui la grazia e lo sforzo umano
si congiungono nel tentativo di dominare, domare, purificare ed unificare
le tendenze spontanee, anarchiche e inconscie. Ma è anche quello
in cui può introdursi l'illusione di legittimare con principi presentati come
oggettivi i bisogni di un temperamento. Si può dire che è il campo in
cui si realizza veramente la lotta per la santità: si tratta di passare, per
così dire, dall' aggressività alla passione, o se si preferisce, dalle passioni
umane a una grande passione per Dio e per la sua opera nel mondo, passione
che, a sua volta, ingloberà ed utilizzerà tutti i dinamismi psichici
di un uomo di carne e di sangue, integrandoli all'ideale che si è prefisso.
3. Un uomo di Dio che resta uomo
Ha saputo Bernardo realizzare questa integrazione? La risposta non
può essere semplicemente affermativa o negativa, ma implica delle sfumature.
Dopo un esame oggettivo, il più imparziale possibile, di molti
suoi comportamenti - in attesa che si compia per tutti - sembra di
poter concludere che Bernardo ha realizzato questa integrazione, ma
con le due riserve seguenti: anzitutto non fu spontanea ma richiese uno
sforzo continuo; inoltre non fu mai completamente raggiunta. In questo
campo infatti non si può mai parlare di successo totale e assoluto: la
riuscita consiste nello sforzo; e suppone altresì la coscienza e l'accettazione
dell'insuccesso. Ed è quanto si verifica in Bernardo.
Era perfettamente cosciente di non essere affatto perfetto: non solo
lo sapeva, ma lo diceva, lo scriveva, perché voleva che lo si sapesse. E noi
comprendiamo quanto questa confessione fosse necessaria: fino ai nostri
giorni le sue opere sono giudicate ammirevoli; sarebbe stato sorprendente
che lui stesso ignorasse il suo talento. E qualora si fosse verificato,
l'insistenza dei contemporanei nel lodare il suo stile e il suo pensiero lo
- 157-

avrebbe reso ugualmente consapevole 61. Inoltre non poteva evitare di
constatare di essere stimato, e, cosa alla quale ogni uomo è ancor più sensibile,
di essere amato: molte testimonianze in questo senso sono già state
raccolte. Goffredo d'Auxerre, che l'aveva bene conosciuto, ed aveva assistito
a molte sue predicazioni reali - e non solo trascritto i suoi sermoni
ormai redatti - testimonia la sua tendenza ad essere radicale: alla
tiepidezza, Bernardo preferiva il fervore o magari la freddezza 62. E tuttavia
era sempre incoraggiante, pieno di bontà, di accondiscendenza e
di gioia 6J. Ed era apprezzato se non da tutti certo da molti, ed in ambienti
molto diversi. Abbiamo la prova che sapeva mantenersi distaccato
dal giudizio che gli uomini davano di lui 64.
Molti anni prima della sua morte, veniva considerato come un santo,
tanto che si decise di far scrivere la sua vita a sua insaputa, nec ipso
sciente. Ma se lo avesse saputo, che ne avrebbe pensato? In altre parole,
Bernardo di Clairvaux sapeva di essere san Bernardo? Non poteva certo
ignorare di essere un grande scrittore, un grande abate, un grande uomo
di Chiesa. Ma pensava fors'anche di essere grande nell'ordine della santità?
No certamente se ciò suppone l'assenza di tentazioni o di errori:
ne ha parlato pubblicamente, a proposito di se stesso, delle une e degli
altri 6S. Forse avrebbe approvato il giudizio dato su di lui da un gruppo
di psicologi che hanno lavorato sui suoi testi. A uno di questi che, riferendosi
specialmente al suo modo di reagire nel Cantico dei cantici, affermava:
«È uomo al cento per cento », ho chiesto: «È anche un santo?
», e la risposta affermativa fu unanime. Ho insistito: «Ma è santo
al cento per cento? ». E il primo interlocutore in risposta, senza esitazio-
61 In Etudes sur S. Bernard, Roma (Analecta S. Ord. Cist., IX, 1-2) 1953, p. 123-
124, e Recueil d'études sur S. Bernard, I, p. 350-351, ho raccolto qualche loro testimonianza.
62 Citato da F. GASTALDELLI,Ricerche su Goffredo d'Auxerre, Roma 1970, p. 156-157.
63 Alle testimonianze da me citate in questo senso con il titolo S. Bernard et
la dévotion ioyeuse, in S. Bernard bomme d'Eglise, Paris 1953, p. 238-240, si possono
aggiungere quelle di GUGLIELMODI SAINT-THERRY,Vita prima S. Bernardi, c. I, p. 33,
P.L., 185, 246: «modo illo suo generoso arridens nobis »; CLAREMBALDOn'ARRAs:
«jucundae recordationis abbas Bernardus », citato da H. VAUPEL, Clarembaldus von
Arras und Water von Mortagne, in Zeitschrift fur Kircbengescbicbte, 65 (1953-.1954'f
p. 134; GOFFREDOD'AuXERRE,Super Apocalypsim, VII, ed. F. GASTALDELLI,Roma 1970,
p. 116, 115: «Quam dulcissime nobis pater noster Bernardus dum adviveret ... »; Godescalco,
abate dei Premostratensi di Seelan, in diocesi di Praga, in una lettera in cui,
nel 1184, riferisce al Capitolo di Citeaux su una visione che ha avuto: «Cum ecce
subito flos et gemma ordinis vestri, sanctus Bernardus, quem nunquam in carne videram,
hilariter apparuit et instrumenta duorum baculorum, quos cruccas vocant, ostendit,
quibus suffultus, eum intra iucundissirnum palatium secutus sum ... »,
64 Si veda la lettera 87 e l'articolo citato più sopra par. III n. lO.
6S SU queste tentazioni, Aspects du monacbisme, loc. cit.; nella lettera 70, Bernardo
confessa un violento scatto di collera: cf. Etudes sur S. Bernard, p. 190-191, e Recueil
d'études sur S. Bernard, II, Roma 1966, p. 319-326.
- 158-

ne: « Al cento per cento ha la volontà di esserlo ». Ora non è forse questo
che conta, agli occhi di Dio e di coloro che cercano di giudicarlo come
farebbe Dio? E in qual misura ha realizzato questo suo fermo volere? È
il segreto di Dio. Quanto' a lui, la prova della sua santità sta senza dubbio
nel fatto che non ha mai affermato di esservi pervenuto.
Se qualche volta ha ceduto all'ironia e perfino al sarcasmo nei confronti
degli altri, non ha mancato spesso di manifestare dell'humour verso
se stesso. Gli storici dovrebbero conservare lo stesso atteggiamento nei
loro giudizi. Constatando la sua abilità nelle manovre politiche, il talento
letterario che poneva al suo servizio, sono portati ad essere severi nei
suoi confronti, a diffidare dei motivi che egli diceva puri: lo erano in
realtà? Era così staccato, così libero di spirito, come affermava? Dio solo
lo sa. Egli ha certamente parlato bene della purezza d'intenzione, ha
messo tutto il suo impegno nel raccomandarla agli altri; ha tutta una
dottrina su questo argomento. Ma in che misura l'ha praticata? C'è
sempre stata coerenza tra la sua dottrina spirituale, le attitudini psicologiche,
la condotta politica, e le sue idee? Non oseremmo affermare che sia
sempre avvenuto così.
Ma questo parziale insuccesso gli impediva forse di essere insieme
un peccatore e un uomo giustificato? In certi casi si è compiaciuto ad
esprimere la sua collera non meno che il suo zelo per gli interessi del Signore
e della Chiesa, ed era quello per lui un mezzo di confermarsi nella
convinzione che serviva una causa giusta: salvo il caso in cui se ne pentiva
- come nei confronti del suo fratello Bartolomeo, secondo la testimonianza
della lettera 70 -, dà l'impressione che le sue collere siano controllate,
e perfino volute; sono mezzi per lui di raggiungere lo scopo.
Forse nella lotta era poco scrupoloso sui mezzi da utilizzare. Ora, è sufficiente,
per essere un santo, avere delle rette intenzioni ordinate alla
carità? Si può avere nello stesso tempo il cuore puro e le mani sporche?
Più d'uno storico pensa che quelle di Bernardo non siano sempre state
pulite, e senza dubbio, se avesse conosciuto ciò che sanno gli storici, ne
avrebbe convenuto: avrebbe ammesso di non essere sempre stato sufficientemente
informato sui fatti, le circostanze, le dottrine, le persone. Ma
il santo è forse necessariamente un essere perfettamente equilibrato e
un cristiano che non commette peccato, supposto che un tal uomo sia
mai esistito, salvo il caso unico in cui Dio si era unito a lui personalmente?
Non osiamo qui richiamare il mistero delle collere di Gesù, di
colui che, solo, fu completamente santo: quoniam tu solus sanctus, tu
solus Dominus, tu solus Altissimus, Jesu Cbriste.
E se vi è eccesso, ad esempio, nel modo in cui Bernardo ha identi-
- 159

ficato la volontà di Dio con la propria, non vi sono forse anche delle
attenuanti? Non era forse stato a lungo superiore, in un tempo in cui
l'esercizio dell'autorità implicava questo pericolo, più ancora che in altre
epoche? Il suo autoritarismo non deve far dimenticare il suo spirito di
servizio, non meno che la sua aggressività i numerosi casi in cui ha riportato
la pace. E, nell'insieme, non dovremmo forse leggere i suoi scritti
ricollocandoli in un contesto storico di cui faceva parte una certa intolleranza,
o, come diremmo oggi, un certo integralismo? La santità si riconosceva
in quel tempo soprattutto nella realizzazione di grandi cose; e
questo lo ha fatto. Per esempio, la sua opera di fondatore di monasteri
non scaturiva forse da un bisogno di realizzazione, di perfezione, e dal
suo fascino personale, anziché dalla sua aggressività e dalla tendenza a
dominare, ad influenzare? Possiamo solo azzardarci a porre domande
simili, la cui risposta ci sfugge come sfuggiva a lui. Ci troviamo qui infatti
ai confini imprecisi che uniscono e distinguono la personalità umana
e la santità, che è dono dello Spirito Santo. La personalità, in Bernardo, è
forte, e si può anche affermare che è retta; e ne presenta tutti gli indizi:
fiducia in se stesso, autonomia e libertà nei confronti dell'ambiente, capacità
di decisione e di iniziativa, coscienza dei propri limiti, intuizione
dei bisogni del mondo, facoltà di interessarsi ai più diversi problemi e
tutti parimenti elevati. In verità il bilancio è positivo: vi sono più luci
che ombre.
E tuttavia, tra salute psichica e santità sussiste una zona che rimane
oscura agli occhi degli uomini, una distanza mai superata che impedisce
che una personalità, sia pur completamente sana, coincida con una vita
cristiana interamente santa. San Bernardo ci insegna che si può essere un
uomo di Dio senza cessare d'essere un uomo. Un santo può essere un
uomo, o una donna, che è normalmente senza vizi, ma non senza difetti,
né - e non bisogna temere d'ammetterlo - senza peccati. Il santo è
un cristiano che resta un peccatore, nel modo singolare in cui ciascuno
lo è con i suoi doni e i suoi limiti, la grazia del perdono che ha ricevuto,
la forma d'umiltà che gli è stata accordata a prezzo di umiliazioni che
restano il suo segreto. Se Bernardo ha posseduto questa umiltà, la sua
relazione con Dio è perfetta. Quello stesso Dio che lo ha fatto aggressivo
lo ha reso anche umile, non senza che lui stesso si sia sforzato di divenire
meno aggressivo e più umile. Chi oserebbe pronunciarsi su questo
mistero?
La tradizione insegna che la santità suppone l'unità, ma non sopprime
i contrasti e che ha il suo culmine nell'umiltà, non nella « grandeur
». Un monaco siriano del VII secolo, Isacco di Ninive, ha scritto:
- 160-

« Colui che riconosce i suoi peccati è più grande di chi risuscita un morto
... Colui che riconosce la propria debolezza è più grande di chi vede gli
angeli. Colui che, solitario e contrito, segue il Cristo è più grande di chi
gode del favore delle folle nelle chiese ... »66 Bernardo aveva conosciuto
l'applauso delle folle; aveva spesso ricevuto l'approvazione dei grandi. Ma
ciò per cui ha mostrato di essere un santo, fu la conoscenza delle proprie
deficienze e la confessione delle proprie debolezze, e la sua fedeltà nel
seguire il Cristo, malgrado queste.
66 ISACCO DI NINIVE, Discorsi, 34.
(Sono grato a Velerio Cattana per la traduzione italiana di questa relazione).
- 161-

JEAN DE LA CROIXBOUTON,O.C.S.O.
STORIA DELL'ORDINE CISTERCENSE
(ventunesima puntata)
L'INSEGNA DELLO SPIRITO DEL SECOLO
Dopo le difficoltà talora durissime degli inizi, la maggior parte
delle abbazie furono in grado di equilibrare pressappoco le loro esigenze
con le loro risorse. « In tal modo si raggiungeva quell'ideale di
ricchezza senza profitto, di proprietà di tutto riposo e nello stesso
tempo quella libertà di azione che era necessaria alle opere di carità,
che costituiscono lo scopo essenziale della missione dell' abbazia»
(R. FOSSIER, L'esser économique de Clairvaux, in « Bernard de Clairvaux
», p. 114). Tuttavia è raro che questo ideale e un tale equilibrio
abbiano resistito per molto tempo. Se i soccorsi agli infelici e le opere
di carità sono sempre stati l'onore delle abbazie, di ciò non sopravvive
un gran che avanti la fine del secolo XIII, per il fatto che un gran numero
di monasteri erano recidivi negli inconvenienti già lamentati per
l'abbazia di Molesme e si trovavano irretiti negli affari secolari. Le
cause di un tale regresso sono molteplici. Se ne possono individuare
principalmente tre: 1) la gelosia suscitata propriamente dai successi
dei cistercensi, che si traduceva in processi e rivendicazioni senza fine;
2) la sete di guadagno che s'insinuava in seno all'Ordine; 3) la sensibilissima
diminuzione del numero dei conversi che gettò le abbazie
in preoccupanti imbarazzi.
CONTESTAZIONI E PROCESSI
E' un fatto ovunque constatato che gli eredi degli antichi benefattori
delle abbazie, sia perché spinti dalle strettezze a seguito di guerre
e di crociate, sia che fossero invasati dalla cupidigia di ricuperare delle
terre di cui il lavoro cistercense aveva decupletato il valore, si diedero
le mani d'attorno per contestare le donazioni fatte dai loro antenati.
Alle numerose donazioni che riempiono i «cartari» del secolo XII
e della prima metà del XIII fa seguito una caterva di cause giudiziarie
(« querellae », « contestationes ») riguardanti sia la legittima proprietà
dei terreni, sia la loro delimitazione.
Talvolta questo clima di controversia si è manifestato prestissimo.
Per ciò che riguarda il monastero di La Ferté, nel solo periodo
- 162-

incluso fra gli anni 1160-1178 si contano 22 contestazioni provenienti
dai villici e 16 avanzate dai nobili. Tutti i cartari danno testimonianza
della rarefazione delle elemosine (che a partire dal secolo XIII vengono
elargite di preferenza agli Ordini Mendicanti) e del moltiplicarsi dei
processi e delle contese. Citeaux ha delle difficoltà a proposito di Corcelles
(1214-1221), di Blaisy-Haut (1228), di Tarsul (1228-9), della·
Melleroye (1229-33) ecc. La Trappa viene coinvolta in processi negli
anni 1202, 1210, 1213, 1230, 1235, 1244, 1247 ecc. Nel 1260, con
il pretesto dei loro privilegi ed usanze, i cittadini di Rouen pretendono
di poter impedire agli Abbati di Beaubec, Vaux-de-Cernay, Mortemer,
Val-Ste-Marie e di Bonport di scaricare e vendere i loro vini a Rouen,
nonostante una concessione reale della quale altrove gli Abbati predetti
non avevano mai fatto uso (Registro degli «Olim », voI. 1, 484, 1).
Nel 1263 il vescovo di Saìnt-Paul-Trois-Chàteaux chiede la protezione
di Alfonso di Poitiers, conte di Tolosa, a favore dell'abbazia di Aiguebelle
che era stata oggetto di molte ingiustizie e persino di rapine da
parte dei vicini (Chartes d'Aiguebelle, p. 219). Nel 1269, il podestà
di Senlis contesta ai monaci di Froidmont il diritto di fare un taglio di
legname nella foresta di Hez con il pretesto che il re era intenzionato
di farne eseguire uno da parte sua. Esempi di questo genere sono innumerevoli.
LO SPIRITO DI GUADAGNO
Senza dubbio la ricchezza acconsentiva di fare elemosine più abbondanti;
di certo la riunione in gruppo delle particelle fondiarie non
si poteva effettuare in genere se non a prezzo di denaro. Ciò non toglie
che in molti casi i monaci diano l'impressione di essersi lasciati dominare
dalla frenesia di possedere. Un esempio fra i molti: quello dell'azienda
agricola monastica a « signoria» di Ouges, di proprietà dell'abbazia
di Citeaux: «Fu nel 1202 che i Cistercensi ricevettero una
prima donazione nel territorio di Ouges: una rendita di trenta sestari
(antica misura per le granaglie) delle decime dei poderi; donazione che
fu integrata nel 1218 con una analoga. Queste donazioni attirarono
forse l'attenzione dei monaci di Citeaux sui vantaggi dei terreni di
Ouges? Nel 1225 fecero acquisto della signoria. Durante i trentacinque
anni che seguirono l'abbazia accrebbe il suo possesso in quel di
Ouges grazie a dei doni, ma essa fece un solo scambio e gli acquisti
furono rari.; Al contrario verso il 1260 ha inizio un periodo di vigorosa
espansione ben organizzata ... e nel corso dei quarant'anni successivi
Citeaux, con instancabile pazienza, acquista campo su campo».
- 163-

(O. MARTIN-LoRBER, « Une communauté d'babitants dans une seigneurie
de Citeaux aux Kll I« et XIVe siècles » in Ann. de Bourgogne, 1958,
XXX, p. 19). 10 stesso avviene a Clairvaux (vds. l'opera di Arbois di
Jubainville, pp. 288-298). Leditore dello Cbartrier ancien de Fontmorigny
ha studiato i diversi modi di costituzione del possesso, modi che
egli sintetizza in tre categorie: 1. donazioni (che possono essere «fra
vivi », «gratuite », «onerose », «condizionate », «remunerative»,
« testamentarie») 2. contratti (vendite a carattere perpetuo o temporaneo,
scambi, enfiteusi acconsentite all'abbazia) e 3. privilegi (pp. 45-
47). A Clairvaux, il primo acquisto risale al 1153, a Preuilly al 1167,
a Fontmorigny al 1200 eccetera. I monaci acquistano! I Capitoli Generali
si inquietano a causa di una tale malattia, e fino dal 1190 stigmatizzano
questa « cupiditatem semper acquirendi qua impetimur » (n. l).
Ormai è fatta proibizione di qualsiasi acquisto di terreni o di possedimenti
immobiliari. Il divieto è ripetuto nell'anno successivo (1191,
n. 42). Nel Capitolo del 1192 vengono inflitte due sanzioni (nn. 21 e
51). Nuova proibizione di acquisti negli anni 1205 (n. 5) e 1206 (n. 9).
Nel 1214 il Capitolo prende una decisione in forma solenne: «Anno
ab Incarnatione MCCXIV Statutum est in Generali Capitulo, ut nullus
audeat deinceps terras, vineas, furnos, vel molendina emere vel
acquirere, nisi in puram eIeemosynam et soIlemnem donationem nobis
donata fuerint» (n. 54). La decisione fu rinnovata l'anno seguente
(1215, n. 65). Fu ritrattata nel 1216 (n. 2), ma ripristinata con delle
attenuazioni nel 1229 (n. 4) e nel 1230 (n. lO) e promulgata ancora
in forma solenne nel 1239 (n. 4), nel 1240 (n. 1) ecc. Il male era in
tale stato di progresso che il Capitolo sembra non fosse più in grado
di dominare le infrazioni.
Quanto al commercio propriamente detto, esso pure era vietato.
Per « commercio» non s'intendeva la vendita e lo scambio all'ingrosso
dei prodotti dell'abbazia, come usa fare ogni produttore, bensì la vendita
al dettaglio, che costituisce la forma di lavoro propria del commerciante
a scopo di lucro (teoria alquanto ridicola: come a dire che
nello scambio e soprattutto nella vendita all'ingrosso non si potessero
realizzare cospicui guadagni! (nota del traduttore p. P.M.A.) ... Orbene,
il Capitolo Generale dovette ben presto intervenire a proposito delle
vendite di vino «al minuto», o «dettaglio». Nel 1190 l'Abbate di
Tamié fu privato per 40 giorni dell'onore di occupare il suo stallo in
coro e per 6 giorni messo « a colpa leggera », dei quali 1 a « pane ed
acqua», per aver venduto una certa quantità di vino «ad brocam »,
cioè « alla staffa », nelle sue fattorie (n. 36). Gli Abbati di Fontainejean
e di Aubepierre furono ammoniti per lo stesso motivo dai Capitoli
- 164-

del 1205 e 1206. Nel 1270 fu presa una decisione che ha del pittoresco:
« Nessun membro dell'Ordine acquisti del vino per rivenderlo a prezzo
maggiorato, nessuno osi prendere in affitto una casa per farvi vendere
del vino, soprattutto a Parigi dove ha sede la fonte e l'eccellenza
della scienza ecclesiastica e del potere regale, affinché lo specchio del
nostro Ordine glorioso non appaia deturpato da macchie agli occhi di
tali personaggi» (n. 8). Ciò che è detto del vino può esserlo anche di
altri prodotti, e particolarmente della lana, oggetto di importanti contrattazioni
(vds. R. A. DONKIN«T he disposal 01 Cistercian W ool in
England and Wales during the twelfth Centuries » in « Citeaux in de
Nederlanden », 1957, VIII).
LA DIMINUZIONE DEI CONVERSI
E' un fatto che non può essere messo in dubbio: l'economìa cistercense
era basata principalmente sui conversi che gestivano le fattorie.
Orbene, le loro vocazioni, che erano state tanto numerose nel
secolo XII, si fecero rare nella seconda metà del secolo XIII. Fino dal
1237 il Capitolo Generale autorizzò gli Abbati che avevano meno di
otto conversi ad assumere dei secolari per i servizi delle cucine, ciò
che fino allora era vietato. Tuttavia v'erano delle abbazie provviste di
conversi molto numerosi. A Dunes, sotto il governo dell' Abbate Nicola
di Bailleul (1232-1254) se ne contavano 284. Sotto l'Abbate Arnoldo
di Ghistelle (1240-1273), l'abbazia di Villers ne aveva 300.
Al contrario il monastero di Royaumont disponeva più di monaci che
di conversi. E' comunque certo che il numero dei conversi fu in continua
diminuzione dopo che il Capitolo Generale del 1274 generalizzò
la disposizione presa fin dal 1237: «Essendosi constatato che al momento
attuale l'Ordine soffre a motivo della carenza di fratelli conversi
e che conviene d'altronde occupare quelli disponibili in mansioni più
importanti e più dignitose, sarà permesso di utilizzare per i servizi
culinari degli aiutanti laici di buona riputazione (n. 12). Si è spesso
insistito sui disordini lamentati a carico dei conversi in un certo numero
di abbazie (JAMES S. DONNELLYThe decline 01 tbe Medieval Cistercian
Laybrotherhaod, New York, 1949, p. 95). E' ben vero che se
fra i conversi si trovano religiosi di eminente virtù, vi si constata
pure un certo numero di «soggetti dal temperamento feudale, indomabile,
ribelle e persino violento» (J. CANIVEZ,Citeaux, col. 923). La
loro formazione monastica aveva talvolta lasciato a desiderare. Agli
albori dell'Ordine non era prescritta alcuna particolare condizione per
diventare conversi, e sembra anche che non fosse stabilita un'età fissa
- 165-

se non quella determinata per i monaci, cioè i 15 anni compiuti. In
seguito si dimostrò maggiore prudenza e si richiese l'età di 18 anni nel
1201 (e forse fin dal 1157, benché il decreto che porta tale data non
faccia esplicita menzione dei conversi). La facilità con la quale i conversi
venivano ricevuti, i crescenti bisogni delle coltivazioni dei terreni
cistercensi, talora il desiderio, d'altronde molto umano, di favorire
qualche infelice, fecero sì che si ammettessero nei monasteri dei conversi
senza una vera vocazione religiosa. Il Capitolo Generale del 1224
riporta un decreto che parla diffusamente delle aberrazioni alle quali
talora si giunse: «non si ammetterà ad essere converso se non chi è in
grado di compensare, nell'adempimento degli incarichi affidatigli, il
lavoro di un salariato» (n. 1).
Le cause della diminuzione dei conversi sono complesse: carenza
di autentiche vocazioni religiose, l'attrattiva verso nuovi Ordini (i
Domenicani, al contrario dei Cistercensi, avevano a quel tempo un
grande numero di conversi), il moltiplicarsi dei certificati di liberazione
dallo stato di servitù che offrivano ai servi della gleba ed ai contadini
migliori condizioni di vita che essi non trovavano più nelle abbazie
come nel secolo precedente; tutti questi motivi esercitarono un effetto
negativo in relazione all'incremento delle vocazioni di conversi. Furono
anche segnalati dei provvedimenti inibitori da parte dei Capitoli Generali
con la conseguenza di proteste dei fratelli conversi, ed in particolare
la proibizione di bere vino, sidro e birra nelle fattorie, ma
solamente acqua. Infine fu posta in rilievo la preferenza data da certi
Abbati, ai fini della coltivazione dei terreni, a degli imprenditori laici
che ingaggiavano, per i lavori agricoli, dei servi. Fu questa la causa
o la conseguenza della diminuzione dei conversi? In un'epoca in cui
gli abitanti dele città strappano ai principi le libertà comunali e numerosi
signori affrancano i loro servi, si resta sorpresi al vedere le
abbazie cistercensi che vanno contro corrente. «La Chiesa in ritardo
», fu scritto, facendo questa strabiliante constatazione: «è sintomatico
che le ultime concessioni di affrancamento dalla servitù vengano
concesse finalmente dalle abbazie fino allora restie e la cui opposizione
talvolta cesserà solo per la minaccia di tumulti (« L'Alta
Marna» op. cito p. 55). Senza dubbio non pochi «servi» si votarono
volontariamente al lavoro nella abbazie (« si campa mica male
sotto il pastorale degli Abbati »...) e gli archivi ci danno una esplicita
conferma di donazioni di questo tipo. Ma non è raro il caso d'imbattersi
in donazioni molto meno spontanee. Nel 1218 un tale Lorenzo
di Béru fece dono all'abbazia di Reigny di tutti i suoi possessi in terreni
e servitù ch'egli aveva nel territorio di Dornecy, in cambio di
166 -

100 soldi, di due buoi e di una vacca. Episodi simili sono menzionati
negli archivi di molte abbazie; ad esempio, in quelli di Pontigny, di La
Ferté, di Maizières, tanto per limitarci alla sola Borgogna. C'è da dire
che le abbazie accettavano il dono di servi con l'ovvia intenzione di
restituirli alla libertà; nel frattempo però li utilizzavano per le opere
agrarie. Nel 1280, Guido di Maligny, nobile cavaliere, cedette in assoluta
proprietà ai religiosi di Pontigny la sua serva Ermengarda, detta
«La Verduse» (« L'ortolana? »), unitamente ai figli ed alla loro futura
posterità ... Nel 1295 gli stessi religiosi acquistarono, sempre da Guido
di Maligny, la metà della signoria di Montigny, come pure dei forni,
boschi e servi nel territorio di Souilly. Nel 1392 a Souilly si trovano
ancora dei servi di Pontigny. E' peraltro doveroso aggiungere che nel
1345 i monaci accordarono le lettere di sgravio dalla servitù ai loro
servi di Montigny, ma l'abbazia teneva ancora dei servi giacché nel
1366 ebbe luogo una transazione fra le abbazie di San Germano e di
Pontigny in merito all'assegnazione dei rispettivi servi (Archivi Yonne,
serie H, passim).
LE OPERE DI CARITA', L'OSPITALITA' e L'ELEMOSINA
Per apprezzare convenientemente il ruolo che le abbazie cistercensi
ebbero in particolar modo nel secolo XIII, non conviene mantenersi
nel quadro, un poco pessimista, delle precedenti considerazioni ed esposizioni
di fatti. Anche se talvolta si lasciarono irretire dallo spirito secolare,
i Cistercensi mai dimenticarono che la carità verso il prossimo
costituisce la forma più tangibile del loto apostolato e che il duplice
dovere dell'ospitalità e dell'elemosina era loro imposto in virtù dello
stesso precetto domenicale, come appunto afferma il Signore in Matt.
XXV, 35-43.
Nel 789 Carlo Magno aveva rammentato a tutti i suoi sudditi laici
e preti, vescovi e monaci, il loro dovere di provvedere all'istituzione,
in varie località, di posti di accoglienza destinati agli ospiti, ai pellegrini
ed ai poveri. Questa preoccupazione, spesso negletta dai laici, fu per i
monasteri, fin dapprima dell'epoca carolingia, una tradizione già antica,
consacrata in tutte le Regole monastiche antiche. Mons. Lesne cita in
proposito numerosi esempi (vds. Les Eglises et les monastères centres
d'accueil, d'exploitation et de peuplement, in «Hist de la Proprieté
eccI. en France », voI. VI, particolarmente a p. 99 e sgg.). Noi ci limiteremo
ad alcuni punti di riferimento nella storia dell'ospitalità monastica
in Occidente.
- 167-

L'OSPITALITA' BENEDETTINA
S. Benedetto aveva espressamente ed a più riprese stabilita la
condotta da tenere nei confronti degli ospiti (vds. Reg. capp. XXXI,
LXII, LIII, LVI) e facendo menzione anche dei poveri e dei pellegrini
(capp. LIII, LV, LXI). La « Concordia Regularum », composta
da Benedetto da Aniano, riunì in un medesimo capitolo (LX, vds. Migne
PL, 203, col. 1215-1224) tutti gli articoli sparsi qua e la nelle Regole
monastiche dell'Oriente e dell'Occidente e riguardanti il modo di
ricevere gli ospiti. Si tratta di un autentico «Codice dell'Ospitalità ».
Queste opere di carità rivestirono tre modalità principali: 1. l'ospitalità
che veniva concessa ai pellegrini ed agli ospiti di passaggio; 2. la distribuzione
di elemosine agli indigenti; 3. l'istituzione di veri e propri
ospizi che ebbero il nome di «xenodochia» o di «hospitalia», che
erano ben distinti dalle residenzi conventuali e che erano rifugi permanenti
riservati ai poveri ed ai pellegrini. Nel monastero c'era il portinaio
- «senex sapiens », secondo la Regola di S. Benedetto -
incaricato di ricevere chi stava arrivando e di effettuare tra di loro una
prima selezione al fine di accertare una certa priorità da porre in atto
nella distribuzione degli aiuti. La Regola confermava forse in germe la
distinzione fra due servizi di ospitalità, inculcando in modo particolare
la cura dei poveri e dei pellegrini « atteso che quando trattasi di ricchi
il loro stesso rango è sufficiente a renderli degni di onore ». Comunque
sia, la discriminazione fra ospizio dei poveri e foresterìa dei ricchi e dei
nobili si notò nell'epoca carolingia. Lo storico di S. Ayoul riferisce circa
la fondazione fatta a Rabias di un « hospitale nobilium » e d'un « xenodochium»
per i poveri. Numerosi documenti comprovano resistenza
della distinzione di questi due servizi, dei quali il primo era affidato al
portinaio ed ai suoi aiutanti (è ilservizio della« porta », detta anche « porta
dei nobili» o «cella degli ospiti »), il secondo all'ospitaliere (che soprintendeva
all' «ospizio dei poveri» o «casa dell'elemosina»). La
planimetria del monastero di San Gallo mette in evidenza la « cella degli
ospiti» situata nella porzione settentrionale del convento, mentre la
« casa dei poveri» è posta a sinistra, in posizione più maldestra. La
« cella degli ospiti» era generalmente una costruzione ampia, tale da
poter ricevere gli ospiti, il loro bagaglio ed i servitori. Si sa che a Cluny
la parte della casa riservata agli uomini comprendeva 40 letti e 40 servizi
igienici (latrinae). L'altra parte, dove prendevano alloggio le contesse
ed altre dame, era fornita di 30 letti e 30 latrine (« cum latrinis XXX »),
Nella « cella degli ospiti» soggiornavano anche i postulanti addetti al
servizio di questo settore del monastero. Il « xenodochium » (casa dei
- 168-

poveri e dei pellegrini) era una costruzione più modesta quantunque decente.
Era qui, e non alla « porta» propriamente detta, che si faceva la
distribuzione delle elemosine. Fra i poveri, gli uni se n'andavano il giorno,
(eadem die recedentes), ma la maggior parte, introdotti nella casa a loro
destinata, vi trascorrevano almeno una notte tornando l'indomani e dopo
di aver ricevuto vestiti e viveri, compreso un pane per il viaggio (« ad
viaticum »). I poveri, che erano anche ammalati, erano assistiti nel « xenodochium
», che talvolta era provvisto di un'infermeria.
A Cluny si era soliti distinguere fra 1'« elemosiniere », capo di un
vasto servizio che aveva l'incarico di ricevere e di fare refezione ai poveri
ed ai viaggiatori appiedati, e 1'«ospitaliere » (« hostellarius » o « custos
hospitum ») cui era demandata la mansione di ricevere gli ospiti di riguardo.
Il primo, dopo ciascun pasto, faceva il giro delle tavole dei
monaci per raccogliere gli avanzi e distribuirli ai poveri. Una volta alla
settimana egli girava per il borgo di Cluny per accertarsi se per caso vi
fosse qualche povero costretto a tenere il letto. In tale circostanza si
recava lui stesso a fargli visita, a meno che non si trattasse di una donna.
Ancora: costui faceva le distribuzioni quotidiane ai poveri sopravvenuti,
e la cucina della comunità teneva conto della parte riservata agli indigenti.
I processi-verbali delle visite annuali dei priori cluniacensi ci riferiscono
dei dettagli interessanti nel merito dei quali non possiamo entrare,
circa il modo con cui veniva praticata l'elemosina (vds. Valous in
« Il Monachesimo cluniacense », voI. I, p. 163 e segg.). Mentre tutti i
poveri, i pellegrini appiedati, i chierici di basso rango erano affidati alla
cura dell« elemosiniere », gli ospiti di riguardo ed i pellegrini a cavallo
(ed anche i postulanti) erano assegnati all'« ospitaliere » che disponeva
di uno o due monaci come aiutanti e di un certo numero di servitori : un
capo, un cuciniere, un portinaio, uno sguattero, un asinaio, che provvedeva
alle varie commesse) ecc, La lista (menu) dei pasti era curiosamente
disciplinata (almeno verso il 1340) secondo la dignità dei conviviali. Il
servizio degli ospiti di riguardo e quello dei poveri beneficavano di donazioni
e fondazioni distinte.
L'OSPITALITA' A CtTEAUX
La vivissima preoccupazione di custodire la solitudine e la separazione
dal mondo che caratterizzano lo spirito dei Fondatori di Citeaux,
e la loro ferma risoluzione di erigere monasteri unicamente in località
lontane dal frastuono mondano, non potevano tuttavia indurre i religiosi
a trascurare il dovere essenziale della carità verso il prossimo non meno
- 169-

che le prescrizioni imperative della Santa Regola: « Omnes supervenientes
Hospites tanquam Christus suscipiantur » (cap. LIII). Cosl pure è
interessante rilevare che un tale problema costituì una delle primarie sollecitudini
di quei Santi Fondatori: « questi nuovi soldati di Cristo, poveri
con Cristo povero, si domandarono in che modo e con quali mezzi (quo
ingenio, quove artificio seu exercitio) avrebbero potuto mantenere se stessi
e gli ospiti ricchi e poveri che sarebbero sopraggiunti e che la Regola
impone di ricevere come fossero Cristo medesimo» (vds. « Exordiunm
parvum », cap. XV). Notiamo, fra parentesi, la tradizionale discriminazione
fra ospiti ricchi e poveri.
La «Carta Charitatis » fa esplicita menzione dell'« Hospicium »
(cioè della Casa degli Ospiti). Fra i luoghi regolari dei quali deve essere
provvista ogni abbazla è prescritta la « Cella hospitum » e quella
del portinaio. Si faceva peraltro una grave riserva: fuori della porta del
monastero non doveva assolutamente essere eretta alcuna casa di abitazione,
salvo le costruzioni riservate agli animali. In questo caso però non
si tratta della « Cella degli Ospiti» della quale si è parlato più sopra,
ma molto probabilmente del « xenodochium » o « Ospizio dei Poveri »,
analogo a quelle costruzioni ospitaliere che non poche abbazie benedettine,
soprattutto nelle Congregazioni di « Sassovivo » e della « Grande
Sauve », si erano annesse con scopo caritativo senz'altro lodevole, ma
molto estraneo allo spirito di S. Benedetto.
- Ufficio del portiere. I Cistercensi restituirono al « portiere» l'importe
ruolo che gli attribuiva S. Benedetto (di qui il rimprovero che essi
fecero ai Cluniacensi, rivolgendosi a Pietro il Venerabile, di non mettere
sempre alla custodia della porta monastica un «senex sapiens »), Il
portiere dunque doveva dire « Deo gratias » ogniqualvolta udiva bussare
alla porta, poi pronunciava la parola « Benedicite» e, fatto questo, si
informava circa il motivo della visita. Quindi pregava il visitatore di
attendere e nel frattempo andava in cerca dell' Abate, che veniva di persona,
oppure inviava un monaco a fare, unitamente al portiere, l'accoglienza
dell'estraneo secondo il cerimoniale prescritto dalla Regola. Ma il
portiere cistercense era incombenzato soprattutto di quell'oflicio, e incarico,
che a Cluny si usava affidare ad un particolare dignitario: «l'elemosiniere
». Era il portiere ad essere incaricato di elargire soccorso agli
indigenti e che, per tale motivo, era tenuto ad avere sempre del pane a
disposizione in portineria. Aveva pure l'incombenza di raccogliere gli
avanzi dei pasti dei monaci e quello di distribuire le « pulmenta defunctorum
», coè tre porzioni che rappresentavano il cibo che sarebbe spettato
agli ultimi tre religiosi defunti, e ciò senza pregiudizio delle altre
numerose distribuzioni (cf. Capitolo Generale del 1185 n. 13, D'Arbois
- 170-

di [ubainoille, Etat interieur ... , p. 205). Esisteva sì nell'ordine un « elemosiniere
» o « pietanziere », ma iI suo ruolo era semplicemente quello
di disciplinare la distribuzione delle pietanze (cioè piatti supplementari
che in certi giorni venivano concessi alla comunità). In effetti negli archivi
di Clairvaux un cospicuo numero di documenti classificati « porta» sono
delle fondazioni elemosinarie il cui reddito veniva distribuito dal portinaio.
Quarantasei documenti denomnati « elemosine» riguardano la distribuzione
delle pietanze. Nell'Ordine l'ufficio di «elemosiniere» fu
soppresso nel 1289.
Il dovere dell'elemosina non fu tanto rammentato dai Capitoli Generali,
quanto piuttosto sottoposto ad una certa regolamentazione, ossìa
restituito a limiti ragionevoli. Questa è la miglior prova che esso non fu
mai trascurato. Al momento dell'arrivo degli Abbati al Capitolo Generale,
una moltitudine di poveri, di lebbrosi e di altri infelici, la sola vista dei
quali suscitava ribrezzo, aveva preso l'abitudine di invocare ad alta voce
la pietà degli Abbati chiedendo loro l'elemosina; cosa che non andava
esente da abusi e che causava scandalo fra la gente dabbene in quanto
fra i mendicanti s'infilavano dei soggetti poco raccomandabili (vds. Capitolo
Generale del 1240, n. l O e del 1260, n. lO). Un provvedimento
del Capitolo del 1217 dimostra che quest'affluenza di secolari era considerevole
(n. 7). Gli archivi abbaziali fanno talvolta allusione a poveri che
venivano soccorsi tutti i giorni e ogni settimana (cf. l'abbaza di Foucarmont,
archivio della Senna Marittima, G. 842).
OSPIZIO DEI POVERI
Sospinti da un grande spinto di carità, molti monasteri eressero
degli ospizi per i poveri. L'abbazia di Michelstein, in diocesi di Halberstadt,
ne aveva uno nel 1218. Aiguebelle aveva un ospizio a Roussas,
ad una lega e mezza dalla abbazia; questa casa dei poveri era servita
da alcuni conversi e le rendite di terreno erano destiante ad essa. Un
testo delle decisioni del Capitolo Generale del 1226 (n. 4) sembra consideri
la cosa come normale. Gli archivi dell'Eu re conservano il Cartario
dei poveri dell'ospizio dell'abbazia di Bonport. Esso contempla
il periodo fra il 1254 ed il 1388 e comprende la trascrizione di 24 atti
di donazione, di cessione di acquisti in diverse parrocchie a vantaggio
dell'abbazia. Secondo le disposizioni dei contratti, questi beni erano da
destinarsi ai poveri dell'ospizio dell'abbazia: «ad usus pauperum pauperis
hospicii predicte domus (Bonport, archivio dell'Eure, H. 181).
La stessa lebbra - una delle piaghe del Medio Evo - non vide i Ci-
- 171-

stercensi indifferenti. Stando ad un documento del 1256, l'abbazia
« Della Grazia di Dio », in diocesi di Saintes, sembra abbia fondato a
Benon-en-Saintonge un lebbrosario, o specie di villaggio per i lebbrosi,
comprendente delle case (« domus », « herbergamenta ») ed un piccolo
possedimento di vigneti e terreni, il tutto gravato da lievi tributi a
vantaggio dell'abbazia (L'abbaye de la Grace-Dieu in, Arch. Hist. de la
Saintonge et dell'Aunis, XXVII, 1898, pp. 40 e 165). Non poche abbazie
ebbero pure il loro lebbrosario per venire in aiuto agli infelici
colpiti dal male. Torneremo su questo punto al periodo successivo. La
riputazione dei monaci cistercensi in tema di carità era ben consolidata
allorché il vescovo di Patrasse, in Grecia, chiese ed ottenne dal Capitolo
Generale dei monaci e due conversi per il governo di un ospedale che
l'alto prelato si apprestava a costruire (n. 50).
L'Herbert, in «De miraculis » (lib. III, PL. 185, col. 1358 D)
tesse l'elogio di un infermiere dei poveri « in hospicio », il quale curava
gli ammalati non come fossero degli estranei o dei mendicanti, ma come
suoi signori e come fossero Cristo stesso. In altro punto, la vita di S. Ugo
di Bonneveaux fa menzione del « confessore dei poveri» (A. DIMIER,
S. Hugues de Bonneueaux, p. 44, nota 1).
I CISTERCENSI E IL PAPATO
I rapporti fra i Cistercensi ed i Papi del secolo XIII sono stati
esposti da J. Canivez (« Citeaux », colI. 933-940). Si è già parlato della
Bolla «Parvus Fons» di Clemente IV (1265), come pure si è fatto
cenno alle troppo numerose legazioni affidate dai Papi ai Cistercensi,
ciò che provocò le lagnanze di quest'ultimi. Ma la risposta di Onorio III,
del 5 dicembre 1219, che dispensava i Cistercensi da queste missioni
confidenziali, non fu per niente mandata ad effetto. « Insomma, scrive
J. Canivez, si trattò unicamente di buone parole. In opposizione a quella
promessa rassicurante, le delegazioni continuarono ad affluire. L'Abbate
di Citeaux, in particolare, fu incombenzato come per l'addietro di missioni
diplomatiche talora molto difficili.(rif. in Canivez, op. citocol. 935).
FAVORI PONTIFICALI
Numerose bolle fanno menzione dei favori concessi all'Ordine, ciò
che costituisce una testimonianza della stima che i Sommi Pontefici non
cessarono mai di tributargli. Si è visto persino INNOCENZOIII (1198-
- 172-

1216) proporre i Cistercensi a modello per tutti gli altri Ordini: il
Concilio Lateranense (can. 12) fa obbligo a tutti gli altri Ordini Religiosi
di convocare per l'avvenire un Capitolo Generale ogni tre anni a somiglianza
di quanto è in uso a Citeaux. Allo scopo di assuefarsi a tale
direttiva, sarà chiesta la presenza di due Abbati cistercensi del vicinato
che dirigevano i dibattiti. Innocenzo III ambiva che l'Ordine di
Citeaux fosse irreprensibile agli occhi di tutti (J. Canivez, col. 934) e
non nascondeva la sua predilezione per l'abbazia di Fossanova. ONO-
RIOIII (1216-E227) diede a Citeaux la prova di una benevolenza superlativa,
al punto che il Capitolo Generale del 1227 (anno della morte
del Papa) decretò un anniversario solenne da celebrarsi ogni anno il
18 marzo per l'eterno riposo dell'anima di Onorio papa. Numerose Bolle
di questo pontefice hanno chiaramente per oggetto la prosperità dell'Ordine.
Per acconsentire alle abbazie l'abituale abbondanza delle loro
elemosine, il papa confermò la loro dispensa dall'obbligo delle decime.
La Bolla « Cum praeter pauperum victum» del 1219 andava oltre e
concedeva agli Abbati la facoltà di dispensarsi dalle prescrizioni dei
legati apostolici per quanto aveva riferimento alla procura finanziaria
ed al diritto di esazione a beneficio delle persone stesse dei legati e del
loro seguito. GREGORIOIX (1227-1241) formulò diverse bolle nell'intento
di conservare l'esenzione e fece aggregare all'Ordine un cospicuo
numero di abbazie femminili. Fu Gregorio IX che, con la bolla del
27 novembre del 1229 indirizzata all'Abate di Claivaux, lo autorizzò
a percepire una parte delle « decime novali » (derivate cioè da terreni
messi nuovamente a coltura) pari a quella che tale Abbate introitava di
già sulle antiche decime. Un tale prelevamento sulle decime era già in
uso, ma il privilegio pontificio aprì la porta al completo, ed il Capitolo
Generale del 1230 (n. 3) autorizzò le abbazie a togliere la decima sulla
terre altrui contrariamente agli statuti primitivi. INNOCENZOIV (1243-
1254), il cui pontificato fu caratterizzato soprattuto dalla lotta contro
Federico II di Germania, visitò numerose abbazie cistercensi nel corso
del viaggio che egli fece per recarsi al Concilio da lui convocato a Lione
nel 1245. Dopo tale Concilio egli scrisse particolarmente al Capitolo
Generale al fine di rendere edotti i Cistercensi che le sentenze contro
l'imperatore non erano state emanate a cuor leggero (Mahn « L'Ordine
Cistercense », p. 241). Egli teneva per certo e con ragione che gli Abbati
convenuti a Citeaux avrebbero portato nei loro paesi una tale convinzione,
e che l'avrebbero divulgata. Era un eccellente modo di fare per
esautorare gli argomenti esibiti da Federico nel suo manifesto indirizzato
ai principi. Questo Papa prese le difese dei Cistercensi contro taluni
vescovi gelosi delle immunità e dei privilegi dell'Ordine. Certe Bolle,
- 173-

più volte inviate a particolari abbazie, dispensarono dall'esame episcopale
i monaci presentati dai loro Abbati alle S. Ordinazioni. Rammentiamo
infine, come s'è già detto in precedenza, il ruolo di prim'ordine che
Innocenzo IV ebbe nella fondazione del «Collegio S. Bernardo» di
Parigi. Il «bollario» di ALESSANDROIV (1254-1261) contiene una
cospicua quantità di tali documenti inviati all'Ordine. È questo Papa
che prescrisse una maggior solennità nella liturgia (uso di piviali, tunicelle,
dalmatiche e ciò con la bolla « Vestra » del 20 giugno 1257) e che
concesse all' Abbate di Citeaux ed ai Quattro Primi Padri il privilegio
di conferire gli Ordini Minori ai loro religiosi (Bolla «Habitantes»
del 13 giugno 1260), privilegio del quale peraltro il Capitolo Generale
esitò a far uso per il timore delle possibili difficoltà che sarebbero potute
emergere da parte dell'episcopato. URBANOIV (1261-1264), il papa
della festa del « Corpus Domini », ebbe ad occuparsi delle difficoltà sorte
nel 1263 fra l'Abbate di Citeaux e quello di Clairvaux e che furono
appianate dalla Bolla « Parvus Fons » emanata dal suo successore CLE-
MENTE IV (1265-1268). Quest'ultimo, egualmente ben disposto verso
i Cistercensi ai quali fra l'altro affidò il compito di riformare l'abbazia
benedettina dei SS. Cosma e Damiano nela diocesi di Zagabria e che
canonizzò la cistercense S. Edvige, non manca peraltro di rammentare
loro certi obblighi, come quello di intervenire annualmente al Capitolo
Generale, o quello di venire in aiuto della loro Casa-Madre che allora
attraversava una crisi finanziaria. GREGORIOX (1271-1276) esentò
nuovamente i Cistercensi dall'obbligo di elargire dei sussidi per la Terra
Santa. I suoi otto successori, fino a BONIFACIOVIU eletto nel 1294,
furono per breve tempo al governo della Chiesa. Si rimprovera a NICO-
LA IV (1288-1292) (come d'altronde a Innocenzo IV) di essere stato
propenso all'approvazione di donazioni di rendite ecclesiastiche fatta a
favore di abbazie cistercensi, benché la cosa fosse notoriamente contraria
alle primitive istituzioni dell'Ordine, ma questo papa nella bolla « Plantatus
in agro Domini» del 9 dicembre 1291, tesse un bell'elogio dell'Ordine:
« inter alia germinantia dicti agri tamquam sidereo nitore refulgens
plenis donis virtutum spiritualiter et temporaliter noscitur abundare
», per cui egli dichiara di prendere sotto la sua speciale protezione
tutti i monasteri ed i loro beni.
DIFFICOLTA' CON LA SANTA SEDE
Esse furono molto rare. A seguito della lamentanza di un vescovo
unghesere contro i Cistercensi, che non volevano sospendere l'acquisto
di vigneti che fino a quel momento pagavano la decima al prelato, In-
- 174-

nocenzo III fece noto al Capitolo che se tali rimproveri si fossero ripetuti
il prossimo Concilio Generale non solo sarà indotto a porre un
limite ai loro privilegi, ma addirittura a sopprimerli per intero « dato
che chi abusa di un favore non è degno di conservarlo» (lettera del
26 giugno 1213). In effetti la minaccia ebbe parziale esecuzione col
canone 55 del Concilio Lateranense del 1215 che ridusse l'esenzione
dale decime sui « novali » e quelle gravanti sui terreni acquistati prima
del Concilio. L'applicazione di questo canone sollevò d'altronde varie
difficoltà, benché il contenuto della norma conciliare fosse molto chiaro:
1) i beni che saranno acquistati in futuro dai Cistercensi pagheranno la
decima, anche se saranno coltivati dai monaci o comunque a loro spese;
2) quelli che sono stati acquistati prima del 1215 non pagheranno la
decima purché siano coltivati dai monaci o a loro spese; 3) i terreni
« novali » saranno egualmente esenti. In relazione a tutto un complesso
di risposte della Santa Sede su punti controversi, Mahn conclude: «In
tutta questa faccenda il papato fa sempre mostra di una duplice preoccupazione:
a) di conservare i privilegi dei Cistercensi (cioè di mantenere
la sua prerogativa, che è giustamente quella di concedere privilegi);
b) di evitare che questi Religiosi non finiscano, abusando dei loro privilegi,
col causare dei disordini nella Chiesa» (o. c. p. 116).
Un conflitto di maggiore entità si ebbe a proposito della decima
in Sicilia. Allorché questa decima, ordinata nel 1264 per finanziare la
spedizione di Sicilia trasformata in crociata contro Manfredi, fu estesa
il 25 aprile a tutti ed in tutti i paesi, il Cardinale Guido di Saint-Laurent
« in Lucina » vecchio Abbate di Citeaux, protestò dichiarando che se il
suo Ordine fosse stato costretto al pagamento, tutte le abbazie sarebbero
state poste nella necessità di rinunciare alle loro elemosine ed alla
loro abituale ospitalità. D'altro canto allorché il re di Francia era partito
per la Terra Santa col medesimo favore di prelievo della decima, i
Cistercensi ne erano stati esentati. Ma Urbano IV non si lasciò convincere:
«E sta bene, egli avrebbe gridato, se non hanno pagato per l'addietro,
pagheranno ora ». Il Capitolo Generale del 1265 diede incarico
ai primi 5 Abbati di negoziare la cosa e, se necessario, di mettersi in
viaggio per Roma. La morte di Urbano IV, sopravvenuta nel frattempo,
diede un po' di respiro, ma il nuovo Papa, Clemente IV, dopo avere il
15 marzo 1265 deciso di sospendere la percezione della decima siciliana
sui beni dell'Ordine, annullò tale favore con effetto dal 30 del mese
stesso. Due riunioni abbaziali in marzo ed in aprile del 1266 riuscirono
ad ottenere una ulteriore dilazione. Il Capitolo Generale del 1267 conferì
i pieni poteri all'Abate di Citeaux al fine di giungere ad una soluzione.
Il Capitolo del 1268 sembrò apportatore di una definizione e
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decise di concentrare il denaro a Parigi, durante l'ottava dell'Epifania.
Nel frattempo il re San Luigi aveva notificato il 4 luglio 1268 di aver
ricevuto dall'Abbate di Citeaux e dai suoi coabbati la somma di 20.000
lire parigine a titolo gratuito, per sopperire aIe spese della crociata, e
che di conseguenza proibiva che si prendesse una tale liberalità a pretesto
per tassare l'Ordine. Al contrario nel 1269 Carlo d'Angiò, re di
Sicilia, imputò alle remore dei Cistercensi l'impossibilità in cui egli si
trovava di pagare i Fiorentini. Nel 1272 i primi cinque Abbati furono
nuovamente incaricati di negoziare la cosa. È solo nel 1273, dopo nove
anni di resistenza, che i Cistercensi si decisero di sottomettersi agli ordini
di Roma versando una quota-parte della decima siciliana.
I PROCURATORI PRESSO LA CORTE PAPALE E IL PROTET-
TORE DELL'ORDINE
La necessità di regolare gli affari correnti con la Santa Sede e la
difficoltà che talvolta presentava il viaggio a Roma, determinarono l'Ordine
ad istituire nella Città Eterna dei rappresentanti permanenti. Dal
Capitolo del 1220 fu deciso che due chierici residenti a Roma sarebbero
stati scelti «ad impetrandum et contradicendum». Si noti che
non si tratta di religiosi ma di chierici « assidui in Curia Romana». Gli
Abbati di Casamari e di S. Martino-dei-Monti di Viterbo sono incaricati
di stabilire i loro onorari che saranno a carico di tutto l'Ordine.
Si stabilì nel 1230 che il loro salario non doveva superare la somma
di 12 marchi, secondo la stima del Cardinale Raniero Capucci e dell'Abbate
di Viterbo. Questi procuratori venivano nominati annualmente,
e sembra che uno o due Abbati avessero il mandato, dal Capitolo Generale,
per la loro scelta. Certi Abbati, avendo degli affari speciali da
trattare a Roma, vi inviavano anche un procuratore di loro scelta. Nel
secolo seguente ci fu motivo di lamentele a causa della molteplicità di
tali mandatari. Gli affari più importanti e più spinosi (ad esempio quello
della decima siciliana) furono trattati da uno o più Abbati inviati espressamente
a Roma.
Nella Corte papale, l'Ordine utilizzò anche i servizi di un « Cardinale
Protettore ». Non v'è dubbio che il Collegio dei Cardinali contasse
fra i suoi componenti, e quasi sempre, qualche cistercense, e frequentemente
più d'uno di questi anziani cistercensi rivestiti della porpora intervennero
direttamente in favore del loro Ordine, ma fu solo nel 1260
che una esplicita norma del Capitolo Generale decretò al Cardinale di
San Lorenzo in Lucina il titolo di « Protector Ordinis ». Era un inglese,
- 176-

di nome Giovanni Tolet, antico monaco cistercense. Alessandro IV ricorda
quasi sempre nelle sue bolle che è su domanda del suo caro figlio,
il Cardinale Giovanni del titolo di S. Lorenzo «in Lucina », che egli
concede questo o quel privilegio. Talvolta il Papa si compiace di mettere
in rilievo lo zelo con il quale il Cardinale difende presso di lui gli
interessi dell'Ordine. Gli Statuti dei Capitoli Generalimolto spesso fanno
accenno del «Protettore dell'Ordine », ma soprattutto a far data dal
secolo XV. Essi ci hanno conservato i nomi di alcuni cardinali incaricati
dalla Santa Sede di esercitare tale ofìicio e dei quali alcuni ebbero un
ruolo ragguardevole.
CITEAUX E LE CROCIATE (1)
La parte avuta da Citeaux nelle preparazione della dodicesima e
tredicesima crociata è stata esposta più sopra. Vedremo ora il ruolo
avuto dai Cistercensi nelle crociate del secolo XIII, dapprima in quelle
propriamente dette e che avevano per obiettivo la Terra Santa, in seguito
nelle lotte contro gli eretici denominate « Crociate degli Albigesi
», infine nelle diverse spedizioni missionarie nel Nord-Europa, battezzate
talvolta con il nome di crociate. Se l'ideale della crociata non
poteva lasciare indifferenti i figli di S. Bernardo, la loro partecipazione a
queste imprese poneva certi problemi. Le preghiere ed i sacrifici dei
monaci erano assicurati ai crociati senza restrizione. Gli aiuti richiesti
per finanziare le spedizioni costituirono talora un onere molto gravoso.
Ma l'invio di Abbati, di monaci o di conversi per accompagnare le
spedizioni e per partecipare alla predicazione erano cose talmente estranee
alla vocazione cistercense - malgrado alcuni precedenti - che si
comprendono le esitazioni dei Capitoli Generali ad accogliere istanze
di questo genere. Diciamo che ciononostante la risposta fu generosa: i
Cistercensi seppero comprendere le direttive dei Sovrani Pontifici e mettere
il bene generale della Chiesa al di sopra delle loro personali preferenze.
È il caso di aggiungere che questa situazione anormale ebbe
relativamente breve durata e che non riguardò che un ristretto numero
di abbazie. La contropartita dei sacrifici autorizzati fu un incremento
delle donazioni fatte in occasione della crociata. Molte di esse erano
in un primo tempo condizionate, come quella di un tale cavaliere Pietro
de La Ferèt che aveva donato per testamento ai monaci di Pontigny
due specchi d'acqua: se egli fosse morto durante il viaggio i monaci
avrebbero posseduto le due vie d'acqua alle condizioni previste dal testamento;
se invece avesse fatto ritorno dovevano essergli restituite
- 177-

(anno 1230). Non si sa se questo Pietro abbia fato ritorno dalla Terra
Santa; molti altri cavalieri d'altronde non tornarono più.
CROCIATE IN TERRA SANTA
Fin dal tempo della sua elezione al Supremo Pontificato (gennaio
1198), Innocenzo III chiese con insistenza l'aiuto delle preghiere dei
monaci (lettera « Dum solum », 21 maggio 1198, indirizzata a Citeaux,
Claivaux, ai Premostratensi e a S. Vittore di Parigi). In luglio una nuova
lettera, datata da Rieti, indirizzata al Capitolo Generale di Citeaux
dove erano convenuti più di 500 Abbati. Il papa pregava i Padri capitolari
di scusare I'Abbate di Sambucina se egli faceva uso delle sue
prestazioni pastorali quale predicatore della crociata in Sicilia unitamente
al Vescovo di Siracusa. Infatti Innocenzo III era già passato
all'azione e stava organizzando una nuova crociata. Egli decretò per tutte
le case cistercensi l'imposta della «cinquantesima ». L'Ordine promise
una somma totale di 2 .000 marchi - di che il Papa ringraziò i Cistercensi
- ma la realizzazione pratica di quest'aiuto soffri dei ritardi ed
il Capitolo Generale del 1203 fu costretto a chiamare all'ordine coloro
che non avevana ancora versato « quod promissum est ad usus Terrae
Jerosolymitanae », dispensando peraltro da tale onore gli Abbati di
taluni paesi (1203, n. 27). I ritardatari e gli altri Abbati dovevano pure
essere provvisti di denaro allorché sarebbero tornati al Capitolo dell'anno
seguente nel caso che fosse fatta richiesta di un versamento
supplementare. Ma fino dal 1201 era stata rivolta al Capitolo Generale
una richiesta più delicata con le istanze congiunte del marchese di Montferrat,
del conte di Fiandra (il futuro imperatore di Costantinopoli) e del
conte di Blois con il consenso della Santa Sede. Diversi Abbati cistercensi
erano stati designati come predicatori della crociata: quelli di Salem
e di Neuburg per la provincia di Magonza, quello di Sittichenbach: per le
provincie di Magdeburgo e di Brema, quello di Mellifont per l'Irlanda,
quello di Riévaulx per l'Inglilterra, e soprattutto l'Abbate Martino di
Pairis, predicatore per la Germania, che accompagnò la spedizione in
qualità di Legato pontificio. Si domandava anche che alcuni Cistercensi
potessero essere compagni di viaggio dei crociati. Il Capitolo del 1201 si
rassegnò: «ad mandatum Summi Pontificis et ad preces Marchionis ...
conceditur », autorizzando nel contempo gli Abbati di Vaux-de-Cernay,
di Perseigne, di Loos e di Cercanceaux ad unirsi ai crociati ed a portare
con sé del personale e le necessarie attrezzature secondo i suggerimenti
dei loro Padri Immediati (1201, n. 37). Il Capitolo dell'anno successivo
dispensò le Case, i cui Abbati erano partiti, di farsi rappresentare al
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Capitolo Generale. I loro Padri Immediati gliene avrebbero comunicate
le decisioni (1202, n. 38). Benché la crociata fosse stata sviata dal suo
obiettivo causa l'ambizione dei Veneziani ed avesse fallito l'intento di
prendere Costantinopoli per colpa dei crociati d'Occidente, 17 luglio
1203, ilCapitolo Generale di quell'anno non volle accogliere la domanda,
che gli era stata rivolta, di far rientrare alle loro rispettive Case gli Abbati,
i monaci ed i conversi che erano partiti per la crociata (1202, n.
47). Quanto ad Innocenzo III abbiamo già visto per l'innanzi che egli
faceva assegnamento su Citeaux per sollevare in Oriente un'ondata di
simpatia verso la Chiesa Romana e che incoraggiava le fondazioni monastico-cistercensi
nei paesi greci.
LA QUINTA CROCIATA (1219-1221), auspicata fino dal 1213
dallo stesso Innocenzo III, fu caldeggiata in Siria da Giacomo di Vitry,
amico dei Cistercensi, in Francia da Folco di Tolosa, antico monaco di
Grandselve e Abbate di Thoronet, in Germania da Bernardo, monaco di
Heisterbach ecc. Su richiesta del Duca di Brabante, il Capitolo Generale
del 1217 autorizzò l'Abbate di Villers ad accompagnarlo in Terra Santa
(n. 73). Un'analoga richiesta del re di Ungheria di farsi accompagnare
da due monaci e da un converso era stata accolta dal Capitolo del 1212,
(n. 66). A parte queste petizioni e legazioni, le Case dell'Ordine si limitarono
a mettere a disposizione dei contributi in denaro. È noto che
questa quinta crociata, chiamata «l'Ungherese », si ridusse ad essere,
secondo R. Grosset, un'imponente parata militare attraverso la Galilea
che non portò a nulla di fatto.
LA SESTA CROCIAr A (1228-1229), quella di Federico II, fu una
impresa islamofìla, antifrancese e, perché scomunicata dal Papa, non ebbe
alcun cistercense nelle sue file. Onorio III tuttavia nutriva delle speranze,
e con la bolla « Cum praedicandae Crucis» del I" marzo 1224 aveva
dato l'incarico al vescovo di Lund, in Danimarca, al prevosto di Arles
in Provenza, ed all'Abbate di Aiguebelle, in diocesi di Sarnpaolo-Tre-Castelli
(Saint-Paul-Trois-Chàteaux) di organizzarne la predicazione. Il Pontefice
accordò loro numerosi privilegi, fra i quali quello di commutare
il voto di pellegrinaggio a S. Giacomo, di assolvere quei criminali che
erano disposti a farsi crociati, di obbligare coloro che avevano emesso il
voto di partecipare alla crociata a mantenerlo, di organizzare almeno
una volta al mese delle processioni solenni nei luoghi ritenuti convenienti
di far cantare quotidianamente in tutte le chiese il salmo « Deus venerunt
gentes» (Bollario « Danicum », n. 189, Chartes d'Aiguebelle, n. 52).
Certi Abbati furono talvolta incaricati di raccogliere aiuti finanziari
- 179-

per la Terra Santa. Ad esempio, nel 1238 il re di Navarra e conte di
Champagne, avendo ricevuto dagli Ebrei e da altre persone, suoi sudditi,
una cospicua somma di denaro e vedendosi nell'impossibilità di restituirla,
a loro od agli eredi, si determinò a disporne « in subsidium Terrae
Sanctae »: l'Abbate di ]ouy, in diocesi di Sens, eebbe l'incarico da
Gregorio IX di soprintendere a tale adempimento. Al contrario, il 15
marzo 1251 Innocenzo IV diede incarico agli Abbati di Fontenay, di
Echarlis e di Maizières di raccogliere nelle provincie di Lione, Sens e
Baurges il danaro che dovevano versare coloro che desideravano di essere
prosciolti dal voto di partecipazione alla crociata e di donarne 5.000
marchi d'argento al duca di Borgogna ed al Signore di Bourbon.
LE CROCIATE DI SAN LUIGI (la settima, 1248-1252, e l'ottava,
1270) ebbero ripercussioni più immediate su Citeaux. Nel dicembre
del 1244, nel corso di una grave malattia, il re aveva fatto voto di partire
per la crociata. Il voto reale venne ben presto a conoscenza, ed al Concilio
Generale di Lione Innocenzo IV si diede premura di interessarvi
tutta la Cristianità. Nel medesimo anno, il Capitolo Generale decretò per
tutto l'Ordine solenni preghiere da effettuarsi durante la Messa Conventuale:
il salmo « Deus venerunt gentes », seguito da preghiere per i
cristiani prigionieri in Terra Santa e per la salute del re (1245, n. 2). Nel
1247 il Capitolo impose per la stessa intenzione una processione col
canto dei salmi penitenziali per ogni venerdì (1247, n. 4). La faccenda
delle tassazioni era stata disciplinata dallo stesso re. Orbene, il re aveva
fatto domanda a Innocenzo IV di esentarne i Cistercensi, i Certosini, i
Templari, gli Ospitalieri e l'Ordine di Fontevrault. San Luigi s'imbarcò
a Aigues-Mortes il 25 agosto 1248. La crociata ebbe fine nel 1252, ma le
preghiere per la Terra Santa rimasero un'intenzione permanente dell'Ordine,
ed il Capitolo Generale del 1258 diede disposizione di continuarle.
La seconda crociata di San Luigi, quella che R. Grosset chiamò con il
nome di « Errore di Tunisia» e che terminò così tragicamente con la
morte del re, fu rassegnata nell'Ordine da un raddoppiamento di preghiera.
Il Capitolo Generale ordinò per ilre e per i crociati una processione al
primo giorno di ogni mese col canto del responsorio « Aspice Domine ».
La processione dei VII salmi al venerdì e la « Salve Regina » dopo Compieta,
per le medesime intenzioni, furono conservate fino al Capitolo
seguente (n. 75). Questo stesso Capitolo autorizzò gli Abbati della Frisia
a celebrare una Messa « de Sancta Cruce » in tutte le loro abbazie « pro
peregrinis Terrae Sanctae» (n. 54). La morte del santo re fu molto
compianta a Citeaux: egli era stato un grande amico ed un insigne benefattore
dell'Ordine. Il Capitolo del 1271 (n. 72) decse che si sarebbe
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celebrato per lui un duplice servizio di suffragio il primo ed il secondo
anno (dell'anniversario). Inoltre annualmente in tutte le Case dell'Ordine
si celebrerà il suo anniversario l'indomani della festa di S. Bartolomeo.
Tutti i preti che celebreranno la Messa in quel giorno, la diranno
per quelle intenzioni (per gli altri Uffici celebrati nell'Ordine vds. P. A.
Dimier « San Luigi e Citeaux » pp. 196-199). Le preghiere per la Terra
Santa furono mantenute dai Capitoli del 1272 (nn. 4 E42), del 1274
(n. 1), del 1290 (n. 20); degli aiuti finanziari votati fu rammentata frequentemente
l'obbligazione (1275, n. 17, 1278, n. 20, 1279, n. 76,
1280, n. 22, 1282, n. 40). Gli è che al Concilio Ecumenico di Lione del
1274 era stata decisa una nuova crociata che, venuta meno la possibilità
della sua realizzazione nel 1287 e 1289, non ebbe mai luogo. La conquista
di S. Giovanni d'Acri, avvenuta il 28 maggio 1291, pose fine al
dominio franco in Terra Santa.
I PRODROMI DELLA « CROCIATA DEGLI ALBIGESI»
I Cistercensi ebbero una partecipazione più attiva alla « Crociata
degli Albigesi ». Nella storia dell'Ordine questa partecipazione diretta
dei nostri confratelli ad un'impresa avente per oggetto la difesa della
Fede, segna una tappa importante, che fortunatamente fu di breve durata
atteso che i Domenicani vi si sostituirono ai nostri. S. Bernardo si era
preoccupato delle dottrine eretiche che taluni predicatori ambulanti diffondevano
in svariate contrade e particolarmente nella Francia meridionale.
Egli aveva sollecitato Ildefonso, conte di Saint-Gilles, a non permettere
che Enrico, discepolo di Pietro di Bruis, propalasse i suoi errori
per mezzo dei suoi accoliti (lett. n. 241). Parimenti scriveva agli abitanti
di Tolosa di allontanare dalla loro città gli eretici (lett. n. 242). Transitando
per la Linguadoca dopo il suo viaggio del 1145, il Santo aveva fatto
assegnamento su Bertrando ed i monaci di Grandselve ai fini della lotta
contro l'eresia dilagante. Essa, ridotta al silenzio per breve tempo, riprese
a serpeggiare dopo la morte del grande Abbate di Clairvaux. Nel 1177
Raimondo V conte di Tolosa, scrisse al Capitolo di Citeaux per supplicare
i Padri di aiutarlo non solo con le loro preghiere, ma anche con una
azione diretta ed efficacecontro l'eresia che era penetrata fin nel santuario,
dato che dei preti e persino dei vescovi ne erano stati sedotti (Raccolta
Storica Gallica, XIII, 140). Raimondo riteneva che gli eretici non
si sarebbero arresi che alla forza, e si augurava che i Cistercensi sollecitassero
in tal senso il re di Francia. Nel frattempo ebbe inizio una missione
contro gli Albigesi. L'Abbate di Clairvaux, Enrico di Marcy, vi
- 181-

partecipò ed anzi prese l'iniziativa di lanciare un manifesto per denunciare
le malefatte dell'eresia e per dare un rendiconto dei risultati - per
la verità piuttosto meschini - della missione. Nel 1180, nuova missione.
Questa volta Enrico di Marcy, diventato cardinale e legato pontificio, era
a capo di un'armata che riportò qualche successo. Ma legato e predicatori
si erano appena appena dipartiti, che gli eretici ripresero con audacia
la loro opera di proselitismo. Nel frattempo si chiese a Mastro Alain,
il « Dottore universale », diventato semplice converso cistercense, di fissare
per iscritto il contenuto preciso dei dogmi cattolici maggiormente
presi di mira dagli eretici. Alain indirizzò quattro libri « De fide catholica»
a Guglielmo VI, signore di Montpellier, e più tardi monaco di
Grandselve.
Citeaux e le crociate (2)
I PRODROMI DELLA «CROCIATA DEGLI ALBIGESI» (Seguito)
Agli inizi del secolo XIII questi sforzi non avevano prodotto dei
risultati apprezzabili ed il nuovo conte di Tolosa, Raimondo VI, figlio del
precedente, se proprio non favoriva l'eresia, come si disse, tuttavia si
mostrava nei suoi confronti di un'eccessiva tolleranza. Quanto all'episcopato,
esso restava inerte, tanto che gli eretici guadagnarono a poco a
poco tutta la nobiltà dell'Alta Linguadoca e sedussero la massa del popolo.
Che fare per estirpare il male? Non potendo fare assegnamento sui
vescovi usciti per la maggior parte da famiglie altolocate del paese, e più
o meno contaminate, non potendo contare sul clero parrocchiale, troppo
spesso ignorante e privo di zelo, e dopo di avere, in una lettera indirizzata
a Raimondo VI, definito chiaramente ciò che egli intendeva per
eresia e manifestata la sua intenzione di una rigorosa severità, Innocenzo
III fece appello ai Cistercensi. Fin dall'inizio de! suo pontificato egli
aveva inviato nel Mezzogiorno dei monaci cistercensi in qualità di legati:
Reniero Guido ai quali non tardò ad associare Pietro di Castelnau, antico
arcidiacono di Maguelonne, ed attualmente monaco di Fontfroide,
poi nel 1203 un altro cistercense di nome Raoul. In una lettera inviata
all'Abbate di Citeaux Arnaldo Amalrico, che aveva buona conoscenza del
paese per essere stato Abbate di Grandselve dal 1198 al 1201, il papa
tracciò un quadro della situazione ed espresse la sua consolazione di poter
trovare dei religiosi disposti a lottare, con la parola e con l'esempio, contro
gli eretici (PL, 215, 358). Ben presto, come testimonia Pietro monaco di
Vaux-de-Cernay e storico della crociata, una dozzina di Abbati cistercensi
e numerosi monaci si trovarono nella Linguadoca. Furono tenute delle
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conferenze in contradditorio con gli eretici. Esse però non ebbero alcun
risultato. « La ragione del loro fallimento, scrive molto giustamente A.
Fliche, non fu di ordine intellettuale, che anzi nella discussione essi
avevano frequentemente prevalso sui loro avversari, tuttavia avevano iI
torto di circondarsi, se non proprio di un fasto eccessivo, almeno di un
certo benessere in contrasto con l'austera semplicità di quegli eretici
chiamati « I Perfetti ». Durante l'estate del 1201 a Castelnau, Dìdaco,
vescovo di Osma, che era presente ad una riunione di Abbati cistercensi,
non esitò a criticare il modo di incedere su cavalcature dei predicatori
ortodossi, ch'egli opponeva al portamento degli oratori Càtari che, diceva,
andavano di villaggio in villaggio a piedi nudi accontentandosi di un
nutrimento più che modesto, che si imponevano per una santità almeno
apparente e per lo spettacolo di una povertà e d'un'austerità evangeliche
(« Storia della Chiesa, vol. X », « La Cristianità romana» p. 121).
Bisognava riformare i metodi. Dìdaco ed il suo compagno Domenico,
previa approvazione di Innocenzo III, si diedero a tale riforma, mentre
nel frattempo i Legati cistercensi perseguivano un'opera di risanamento
del clero dando l'esempio di una vita veramente apostolica, camminando
a piedi, chiedendo l'elemosina come dei poveri di Cristo Gesù. Malgrado
questi lodevoli sforzi, le conversioni furono poco numerose ed un certo
scoraggiamento incominciò a serpeggiare fra i predicatori cattolici. Nel
corso del 1207 la maggior parte di essi fecero ritorno alle loro abbazie,
ad eccezione dell' Abbate di Vaux-de-Cernay, Guido di Chevreux, e dell'Abbate
di Citeaux, Arnaldo-Amalrico.
LA CROCIATA (1209-1218)
A questo punto della situazione fu decisa una crociata. La prima
vittima ne fu il Legato Pietro di Castelnau, assassinato il 15 gennaio
del 1208 nel momento in cui si apprestava a passare il Reno. L'opinione
pubblica accusò Raimondo VI di essere l'istigatore di questo delitto. La
cosa per altro non è assolutamente provata. Ad ogni buon conto, Raimondo,
sentendo il peso dell'accusa che pesava su di lui, fece un voltafaccia
non privo di notevole abilità: offrì la propria sottomissione e si
propose anche di prendere la croce e di associarsi così alla guerra santa.
Questa « Guerra Santa» si ridusse in realtà ad una guerra feudale. Non
entreremo nei particolari di queste campagne sanguinarie delle quali iI
primo episodio ed anche uno dei più orrendi, fu il « Sacco di Béziers»
(21 luglio 1209) nel corso del quale settemila, fra donne, bambini e
vecchi rifugiati nella Chiesa della Maddalena, furono selvaggiamente mas-
- 183-

sacrati. Se è falso che l'Abbate di Citeaux, Legato pontificio, abbia pronunciato
la celebre frase attribuitagli: «Uccideteli tutti, Dio sarà bene
in grado di riconoscere i suoi! », è invece purtroppo corrispondente a
verità che il Legato, scrivendo a papa Innocenzo III, non abbia trovato
una parola per marchiare d'infamia una tale carneficina. Ad una sola voce,
durante gli anni che seguirono, gli storici rimproverano ad Arnaldo di
Citeaux ed agli altri Legati la loro intransigenza ed il loro compiacimento
per Simon di Montfort divenuto capo militare, e senza scrupoli, della
crociata. Innocenzo III avrebbe voluto risparmiare Raymondo VI di Tolosa
e soprattutto impedire alla crociata di trasformarsi in guerra di conquista.
La legazione di Pietro da Benevento (gennaio-aprile 1214) sembrò
sul punto di ristabilire la pace, ma la guerra riprese. Essa non aveva
più motivo religioso. È noto come il 25 giugno 1218 all'assedio di Tolosa,
l'ultimo baluardo che gli restava da conquistare, Simone di Montfort fu
ucciso da una pietra lanciata da un bastione. Suo figlio, Amaury, conscio
della sua impotenza, mise la sua causa nelle mani del re di Francia, preparando
così l'annessione della Linguadoca alla Francia. La pace si ristabilì
lentamente. Pietro di Castelnau non era stato il solo a versare il
sangue. L'Abbate di Eaunes, Stefano, mentre era in viaggio accompagnato
da due monaci e da un converso, fu attaccato: l'Abbate ed il
converso Ildebrando furono uccisi, uno dei due monaci fu lasciato semivivo,
mentre l'altro riuscl a fuggire. Questi avvenimenti ebbero delle
ripercussioni a Citeaux. Gli Abbati di Pin e di Perseigne, unitamente
all'arcivescovo di Tours, furono incaricati nel 1208 di negoziare una
tregua tra la Francia e l'Inghilterra per consentire a Filippo-Augusto di
prendere parte alla crociata contro gli Albigesi. Nel 1216 il Capitolo
Generale si ritenne in dovere di porre in atto il provvedimento di vietare,
a chiunque appartenesse all'Ordine, di alzare un sol dito contro
l'autorità del Signore Simone conte di Montfort « Miles Jesu Christi »,
ciò che autorizza a supporre che la condotta di questo stravagante capocrociata
non era esente dal suscitare delle critiche. D'altronde il medesimo
Capitolo (n. 61) delegò due fra gli Abbati più moderati a ristabilire
la pace fra il conte di Montfort ed il Signore di Narbonne. Quest'ultimo
non è che Arnaldo-Amalrico, l'antico Abbate di Citeaux, diventato nel
1212 Arcivescovo di Narbonne. I due amici d'un tempo si disputavano
con accanimento il titolo di « Duca di Narbonne ». Il 2 aprile del 1215
il Papa aveva stabilito che il Ducato sarebbe restato all'Arcivescovo,
ma il conte fece orecchie da mercante. Ne seguì una pioggia di scomuniche,
di appelli al Papa e di violenze. La faccenda non era ancora
terminata alla morte di Simone. È doveroso ammettere che Arnaldo-
Amalrico era dotato di un temperamento bellicoso. Non l'abbiamo forse
- 184-

visto nel 1212 fare una stravagante impresa alla testa di un'armata, riprendere
ai Mori la fortezza di Calatrava (30 giugno) e partecipare alla
battaglia de « Las Navas de Tolosa» (14 luglio), della quale indirizzò
una relazione al Capitolo Generale? Tre mesi dopo la morte di Simone
di Montfort, il Capitolo diede incarico agli Abbati di Bithaine, di Noirlac
e di Chalivoix di accertarsi sul posto circa la condotta degli Abbati e
dei monaci predicatori di far rientrare alle loro Case quelli che non
fossero in possesso di una specialissima autorizzazione del Capitolo Generale
(1218, n. 35). Quanto al resto, secondo la richiesta di Amaury de
Montfort, l'Ordine continuò a celebrare annualmente il 2 giugno un
anniversario in suffragio di Simone di Montfort.
OPERE MISSIONARIE ED EVANGELIZZAZIONE
Sono poco noti i tentativi di certi cistercensi per diffondere il Vangelo
nelle contrade più settentrionali dell'Europa. Si è già parlato dell'opera
cistercense nel paese di Wendes. Nella seconda metà del secolo
XII, un monaco di Amelunxborn, Bernone, era stato consacrato vescovo
da Adriano IV che lo aveva autorizzato a predicare in suo nome la vera
Fede al popolo slavo degli Abotridi. Egli si fece aiutare dai monaci del
monastero cui aveva appartenuto. Questo vescovo contribui alla fondazione
dei cenobi di Doberan e di Dargun e, nel corso di 35 anni, sparse
con uno zelo infaticabile la Parola di Dio nel territorio della sua missione
ed oltre. Morl nel 1191. L'attività apostolica di Bertoldo, antico
Abbate di Loccum e vescovo di Brema che subì il martirio in Livonia
nel 1198, l'abbiamo già riportata più sopra. Dopo la morte del Beato
Mainardo, che aveva evangelizzato la Livonia, egli ottenne da Celestino
III la facoltà di succedere al predetto Beato, e parti con alcuni dei suoi
monaci alla testa di una piccola armata che aveva raccolta. Divenne vescovo
di Brema nel 1190 e morl martire il 24 luglio 1198. L'abbazia di
Dunamunde, detta anche di « Monte S. Nicola », in Livonia, eretta dal
vescovo Alberto di Riga, fu quasi un avamposto in un paese da poco
convertito alla Fede. Il suo primo Abbate corrisponde ad un nome celebre
dell'apostolato cistercense: Thierry di Treiden. Fu un monaco della
abbazia di Porto-Santa-Maria, nella diocesi di Brema, ed il braccio
destro dei vescovi B. Mainardo e Alberto di Riga. Diventato Abbate di
Dunamunde, ottenne dalla S. Sede l'autorizzazione ad associarsi dei
monaci e fra questi numerosi cistercensi. Si dice che non fu mai in
grado di sedere sul suo seggio episcopale nella Città di Leale. Fini col
dover fuggire davanti alla ferocia dei barbari e si uni alla crociata che
185 -

ilre di Danimarca aveva organizzata. Dei falsi convertiti lo massacrarono
nella sua tenda nell'anno 1218, credendo di sopprimere il re. Scrive il
suo biografo: «Speriamo che questo equivoco gli sia valso ad essere
associato ai martiri ». Bernardo di Lippe, vescovo di Selbourg (1140-
1224), fu uno dei prelati più ragguardevoli del suo tempo. Tornato sano
e salvo dalla Crociata, prese l'abito monastico a Marienfeld, a seguito
di un voto. Già settantenne, dopo 12 anni di vita nascosta, ottenne di
partire per la Livonia come missionario a fianco del vescovo Alberto di
Riga. I monaci di Dunamunde lo ebbero Abbate come successore di
Thierry di Treiden. Nel 1216 fece ritorno in Westfalia ed in Renania,
soggiornò ad Heisterbach dove raccontò le sue avventure al celebre Cesario,
che parla di lui nel suo « Dialogus Miraculorum », quindi s'incamminò
per il paese della Duna a fianco dei crociati del conte di Holstein.
Onorio III credendolo in buona fede vescovo della Lettonia, lo confermò
in tale dignità permettendogli di concedere indulgenze a quanti avessero
preso parte alla Crociata della Lettonia. In effetti egli non era ancora
vescovo, e la consacrazione episcopale la ricevette dal suo secondo figlio,
Ottone, vescovo di Utrecht. Dopo innumerevoli peregrinazioni in Frisia,
in Lettonia ecc., all'età di oltre 82 anni fece ritorno in Westfalia per
arruolare dei crociati. Morì nella sua diocesi il 30 aprile del 1224. Il
monaco Cristiano dell'abbazia di Oliva, è un'altra grande figura di missionario
cistercense. Quando nel 1206 l'Abbate di Lekno-Wongrovitz si
recò in territorio prussiano per riscattare dei monaci tenutivi in cattività,
incontrò delle anime disposte a ricevere la verità della Fede. Allora
fece domanda al papa Innocenzo III per avere la facoltà di far predicare
il Vangelo. Innocenzo III gliela concesse con una lettera datata 26 ottobre
1206, indirizzata ai vescovi ed agli abbati della Polonia, nella
quale aggiunge: « ...ipsi auctoritate apostolica indulgemus ut fratres Cisterciensis
Ordinis secum assumat et alios etiam qui cum eo voluerint
accedere ad hoc opus ministerii salutaris, ut cum ipso evangelizent et
baptizent ... » (PL, 215, 1011). L'Abbate scelse dunque alcuni monaci
di Oliva e di Wongrovitz, fra i quali Filippo e Cristiano. In una lettera
al Capitolo Generale datata lO agosto 1212, Innocenzo III si lamenta
del fatto che Filippo, Cristiano ed i suoi compagni non trovavano nelle
abbazie cistercensi l'accoglienza che erano in diritto di attendersi, come
a dre che quei cistercensi predicatori vi erano malvisti. Il Capitolo diede
incarco all'Abate di Morimond per tale faccenda raccomandandogli di
soddisfare il desiderio del Sommo Pontefice senza però che « rigor Ordinis
nostri enervetur ». Una tale tolleranza acconsenti ai missionari di
proseguire nella loro opera. Il monaco Filippo fu massacrato dai pagani,
ma Cristiano, eletto vescovo di Prussia nel 1215, lavorò per lunghi anni.
- 186-

Il suo progetto era di costruire un clero indigeno, ma non fu né compreso,
né aiutato. Fu tenuto prigioniero per 6 o 7 anni (1233-140) ed i Cavalieri
Teutonici, ch'egli aveva bensì chiamati ma che non approvavano il suo
metodo pastorale, non mossero un dito per liberarlo. Tuttavia fu spalleggiato
da Gregorio IX che inviò dei Domenicani sul1uogo, ma Innocenzo
IV, sulla base di false informazioni, gli indirizzò degli amari rimproveri.
Affranto a motivo di queste ingiustizie più ancora che per l'instancabile
lavoro, il vecchio vescovo, che fu un autentico precursore dell'apostolato
moderno, si ritirò, come si ritiene, nel monastero di Sulejow,
dove mori poco dopo il 4 dicembre 1244.
FINE DELLA QUARTA PARTE
(Traduzione dal francese di P. FULVIO ANDREOTTI, O. CIST.)
- 187-

JEANDE LA CROIXBOUTON
NOTEPER UNABIBLIOGRAFIADELLASTORIADELL'ORDINECISTERCENSE
Riportiamo quattro schede «supplemento» che il P. Bouton ha
inserito nell'edizione della sua Storia dell'Ordine cistercense e indichiamo
i riferimenti alle puntate della nostra rivista (N. d. R.).
r Supplemento
Bibliografia per « La vita contemplativa in Oriente. Asceti - Vergini
- Monaci », in riferimento alle puntate 1-3 della nostra rivista:
ALLARDPaul: Saint Basile (Coll. Les Saints), Paris, Lecoffre, 7.a édiz.
1939.
AMANDDom David: L'ascèse monastique de saint Basile de Césarée,
Ediz. de Maredsous, 1948, 364 pp.
BARDYG.: Saint Antoine, in Dict. de Spiritualité, t. I, col. 702-708.
BARDYG.: Saint Basile, idem, col. 1273-1283.
BARDYG.: Les origines des écoles monastiques en Orient, in Mélanges
Jos. de Ghellinck. Gembloux, Duculot, 1951, pp. 293-309.
BARDYG.: Ascètes, in Dict, Droit canonique, t. I, Paris, 1935, col.
1072-1084.
BARDYG.: La vie spirituelle d'après les Pères des trois premiers siècles.
Paris, s. d. (1935), in 8°, 318 pp.
BERLIERE Dom U.: l'ordre monastique des origines au Xli siècles.
Paris et abbaye de Maredsous, 2a édiz., 1921.
BESSE Dom J. M.: Les moines d'Orient antérieurs au concile de Cbalcédoine.
Paris et Poitiers, 1900, 554 pp.
BESSE Dom J. M.: Bref conspectus du Monachisme orientai, in Dict.
Théol. catb. art. Basile, col. 455-459.
BOONDom A.: Pacbomiana latina (Bibl. Rev. Hist. eccl. Louvain, fase.
7), 1932.
BOUYERLouis: La vie de saint Antoine. Edt. de Fontenelle, 1950. Eccellenti
punti di vista per l'inizio del monachesimo.
BREMONDJ.: Les Pères du désert. Paris, Gabalda, 2 vol., 1927.
BUTLERDom C.: The Lausiac History 01 Palladius. Cambridge, 1898.
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l'Eglise, in La vie Spirituelle, t. XXX, 1944, stampato a parte, Paris
1944, in 160,96 pp. (Le coeur et la Croix t. V).
CAVALLERAF.: Apopbtegmes, in Dict. de Spiritualité, t. I, col. 765-770.
CAYREF.: Précis de Patrologie, 2 voI., 1930 et 1931.
CLERCQCharles de: L'influence de la règle de saint Pacbàme en Occident,
in Mélanges ... Louis Halphen. Paris, 1951, pp. 169-176. Questa
influenza fu relativamente minima.
DANIEL-Rops: L'Eglise des Apàtres et des Martyrs. Paris, Fayard, 1948.
DRAGUETRené: Les Pères du désert, Paris, PIon, 1949.
DUPONT-SOMMERS.: Nouveaux aperçus sur les manuscrits de la Mer-
Morte. Paris, Libr. Maisonneuve, 1953.
GENIER R.: Vie de saint Euthyme le Grand (377-473). Les moines et
l'Eglise en Palestine au V.e siècle. Paris, 1909.
GIET S.: Les idées et l'action sociales de saint Basile. Paris, 1941, in 8°,
XXI-454 pp.
GOBILLOTPh.: Les origines du monachisme cbrétien et l'ancienne religion
de l'Egypte, in Recherches de Science Religeuse, T. X (1920),
pp. 303-354; T. XI (1921), pp. 29-86, 168-213, 328-361; T. XII
(1922), pp. 46-68: Saint Pacàme a-t-il été moine de Sérapis?
GOUGAUDL.: Ermites et recluso Etudes sur d'anciennes formes de vie
religieuse, Ligugé, 1928.
GRIBOMONTD. J.: Histoire du texte des Ascétiques de saint Basile. Bibliothèque
du Muséon. Louvain, 1953, 348 pp.
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OCR. 1948, X, 35-53.
]ACQUINA. P.: Histoiree de l'Eglise. Paris, DescIée, t. I et II, 1928 et
1936.
]AEGERWerner: Two discouered Works al ancient christian Literature:
Gregory 01 Nyssa and Macarius. Leyde, BrilI, 1954, 301 pp.
]ANINR.: La Géographie ecclésiastique de l'Empire byzantin, t. III. Les
églises et les monastères de Constantinople. Paris, 1953, 610 pp.
LABRIOLLEP. de: Les débuts du monacbisme, in Histoire de l'Eglise
colI. Fliche et Martin, t. III, p. 209-303. Buona bibliografia.
LADEUZEP.: Etude sur le cénobitisme pacbàmien pendant le IVe et la
première moitié du Ve siècle. Louvain, 1898.
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LEcLERcQ Henri: Monachisme, in idem, t. XI, col. 1774-1847.
LECLERCQHenri: Vestale cbrétienne, in idem, t. XV, col. 2985-2989.
LEFORT L. Th.: Les Vies coptes de saint Pacbàme et de ses premiers
successeurs, trad. di L. Th. Lefort (Bibliothèque du Muséon, voI. 16),
Louvain, 1954.
LEFORTL. Th.: Les premiers monastères pacbàmiens, exploration topograpbique,
in Le Muséon, t. 52, 1939, pp. 279-407.
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12). Washington, Catholic Univo of America Press, 1950, 8°,
XXI - 157 pp.
MARCHALL.: Esséniens, in Suppl. al Dici. de la Bible, t. II, col.
1109-1138.
MARINM. A.: Les Vies des Pères des désert d'orient. Ediz. L. Veuillot,
6 voI. Paris, Vivès, 1862-64.
MARIN abbé: Les moines de Costantinople. Paris, 1897. Da usare con
cautela.
MELLET Fr. M.: L'itinéraire et l'idéal monastique de saint Augustin.
Paris, s.d. (1934).
METHODED'OLYMPE saint: Convivium decem oirginum, in Migne PG.
t. XVIII, col. 27-220. Ediz. G.N. Bonwetsch, sotto il titolo greco Symposium,
in Die griecbiscben cbristlicben Schriflsteller der ersten drei
[abrbunderte, 1917, n 8° XLII-578 pp.
METZ René: La consécration des oierges dans l'Egiise romaine. Etude
d'bistoire de la liturgie. Paris, Presses Unversitaires de France, 1954,
in 8°, 501 pp. Esauriente su questa materia. Molti riferimenti sulle
prime comunità di vergini nel secolo IV.
NGUYENNGOGNGAI: Au son des gongs) in Témoignages (La Pierre-
Qui-Vire ,n° 43), maggio 1954, pp. 206-213. Mostra ilcarattere ateo del
monachesimo buddista contemporaneo.
NIGGWalter: Vom Geheimnis der Monche. Artemis Verlag, Miinchen
e Stuttgart, 1953, 421 pp.
OLPHE-GALLIARMichel: Cassien, in Dict. de Spiritualité, col. 214-276.
- 190-

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in Rev. Bénédictine, 1926 XXXVIII, 189-195.
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du Seuil. Paris, 1955, 192 pp., ilI.
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XXIV-1308 pp.
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spectantia, cura Basilii Steidle OSB), in Studia Anselmiana, fase.
XXXVIII. Roma, Herder, 1956, in 8°, XIII - 306 pp.
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predetto tema si tenne a Roma sotto la direzione del Pontificio Istituto
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Studiorum, Piazza Santa Maria Maggiore 7 (Coli. Orientalia
Christiana Anacleta 153). Roma 1958, in 8° 364 pp.
Ir Supplemento
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di Citeaux », in riferimento alle puntate 4 - 7 della nostra rivista:
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moralgeschichtliche Studie (Coll. Kircbengescbicbtlicbe Quellen und
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BARDYGustave: Les origines des écoles monastiques en Occident, in
Sacris Erudiri 5, 1953, pp. 86-104.
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BAUERREIS Dom R.: Bibliographia Benedictina 1939-1958, in Studien
und Mitteilungen z. Geschichte des Benediktiner-Ondens, 64, 1952,
pp. 29-127.
BERLIERE Dom U.: L'ordre monastique des origines au XII e siècle.
Paris, Lethielleux, e Maredsous, 1921.
BOUYER Louis: Le sens de la vie monastique. Ediz. Brépols. Turnhout.
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CASSIEN: De Institutis Coenobiorum, trad. Pichery. Juvizy, 1925.
CHAGNYAndré: Cluny et son empire, 4a édiz. Paris, Vitte, 1949 (Biblio)
CHAMPLYI.H.: Histoire de l'abbaye de Cluny. Paris, Libr. des Sciences,
3 ediz. 1930.
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Rev. d'Rist. des religions, t. CIII-XIV, 1931, pp. 272 sq.
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vida y su regia (B.A.C.) Madrid. La Editorial catolica, 1954, 8°, XX
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1957, pp. 47-72.
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La Renaissance du Livre. 1952, 12\ 164 pp.
PEREZDEURBELDom Justo: Historia de la Orden Benedictina. Madrid,
Editorial FAX, 1941, in 4°, 747 pp. Il capitolo sull'ordine cistercense
è completo.
RAMONI ARRUFATDom Antoni: L'ordre monastique des origines au
Xlle siècle. Montserrat 1925 (Biblioteca Monastica voI. VI) in 8°, 328
pp .
•
SCHMITZDom Philibert: Histoire de l'Ordre de saint Benoit, ediz. di
Maredsous, t. I e II, 1942, e t. VII (moniales), 1956.
SCHREIBERGeorg: Gemeinschaften des Mittelalters, Regensburg, Miìnster
1948, 488 pp.
SCHUSTERcardinal: Saint Benoit et son temps, trad. Gai, Ediz. Robert
Laffont, Paris, 1950.
SCHUSTERcardinal: La vie monastique dans la pensée de saint Benoit,
trad. Robert Gantoy. Paris, Plon, 1953.
SCHUSTERM.: Eugippius. Leben des beiligen Severino Testo latino, trad.
e note. Wien, Sexl., 1946, 198 pp.
STEIDLEBasilius: Vie Regel St. Benedikte, eingeleitet, iibersetzt und am
dem alten Monchtum erklart: Beuron, Kunstverlag, 1952, in 12°,
XIV - 343 pp.
VALOUS G. de: Le Monachisme clunisien des origines au XV e siècle.
Coll. Archives de la France Monastique, t. XXXIX et XL, 2 vol., 1935.
VAN HOUTRYVEIdesbald: L'unique nécessaire d'après saint Benoit, la
tradition monastique et les grands maitres de la vie spirituelle. Bruges,
Beyaert, 1957 ,8° 340 pp.
WARRENH. B. de: Le monachisme bénédictin à l'apparition de saint
Bernard, in Bernard de Clairuaux. Abbaye d'Aiguebelle et Paris, Alsatia,
1953, pp. 45-63.
ZUMKELLERA.: Vas Monchtum des hl. Augustinus iCassiciacum, XI,
prima serie, voI. 5) Wurtzbourg, Augustinus Verlag, 1950, 8°, 387 pp.
Mélanges Colombaniens, Actes du Congrès International de Luxeuil.
Paris, Alsatia, 1951, 8°,419 pp.
[umièges, Congrès scientifique du Xllle centenaire. Rouen, Lecerf, 1955,
8°, 2 voI. XIV - 1070 pp.
Sankt Bonifatius. Gedenkgabe zum zioblibundersten Todestag, hrggb.
- 194-

von der Stadt Fulda in Verbindung mit den Diozesen Fulda und Mainz.
Fulda, Parzeller, 1954,4°, XII - 686 pp.
Il Monachesimo nell'alto Medioevo. Spoleto, 1957.
Commentationes in Regulam S. Benedicti, Cura Basilii Steidle O.S.B.,
in Studia Anselmiana, fase. XLII. Roma, Herder, 1957, 358 pp.
Studi Gregoriani per la storia di Gregorio VII et della riforma gregoriana,
raccolti da G. B. Borino, t. IV, Roma, A. Signorelli, 1952, 8°, 468
pp.; t. V. Roma, abbazia di S. Paolo, 1956, 8° 115 pp.
Le Message des moines à notre temps. Mélanges offerts à Dom Alexis
abbé de Boquen. MCMLVIII. Paris, Fayard, 387 pp.
IIr Supplemento
Bibliografia per « La fondazione dell'abbazia di Citeaux », in riferimento
alle puntate 8 - lO della nostra rivista:
ALBERICFr.: Compendium of the history of the Cistercian Order. 1944,
in 8°, 375 pp.
BERLIEREDom U.: L'Ordre monastique des origines au Xlle siècle. Cap.
VI: L'Ordre de Citeaux. Paris, 1921, 3 ediz. 1924.
BERLIEREDom U.: Les origines de l'Ordre de Citeaux et l'Ordre bénédictin
au XIIe siècle, in Revue Hist, eccl. Louvain, t. I, 1900, pp. 448-
471 e t. II, 1901, pp. 253-290.
BEssE Dom. J. M.: Cisterciens, in Dict. Théol. cath. Letouzey, t. II,
col. 2532-2550.
(BEssE Dom): Recueil bistorique des Arcbeuécbes, Euécbés, Abbayes et
Prieurés de France par Dom Beaunier. Edition reoue et complétée.
lntroduction (Coll. Archives de la France Monastique, t. IV), Paris e
Ligugé, 1906. Cisterciens, pp. 136 à 184, con Bibliografia.
BONDUELLEJ.: Conuers, in Dict. Droit Canon. Letouzey, 1949, t. IV,
col. 562-588.
BOUYERLouis: La Spiritualité de Citeaux, Paris, 1955.
BURCHARD:Apologia de Barbis, ediz. E. Ph. Goldschmidt. Cambridge.
1935.
CANIVEZJ.: Clteaux, in Dict. Hist, Géog. eccl., col. 852-997, con Bibliografia.
CANIVEZJ.: Albéric, in Dict. de Spiritualité. Beauchesne, t. I, 276-277
- 195-

CANIVEZJ.: Le rite cistercien, in Ephemerides Liturgicae, 1949, LXIII,
276-311.
CHASLESM.: Etude sur l'institut monastique des [rères convers et sur
l'oblature au Moyen-Age, leur origine et leur réle (XIe-XIIIe s.) Scuola
di Chartes. 1906, pp. 13-49.
COOKEAlice: A Study in tuielith century religious revivay and rejorm,
in Bull. 01 the fohn Ryland's Library, 1925, voI. IX, pp. 139-176.
DELEHAYE Fernand: Un Moine: saint Robert, [ondateur de Citeaux,
in Collectanea OCR. 1952, XIV, 83-106.
DONNELLYJames S.: The Decline 01 the medie val Cistercian Laybrotberhood.
Fordham University Studies. New York, 1949, 95 pp. con importante
Bibliografia.
DUCOURNEAUOthon: Les origines cisterciennes, in Revue Mobillon, t.
XXII et XXIII, stampato a parte, Ligugé 1933.
DUCOURNEAUOthon: De l'Institution et des Us des conoers, in Saint
Bernard et son temps. Dijon, 1929, t. II, pp. 139-201 (il più importante
studio sulla questione).
DUCURNEAUOthon: Histoire de l'Ordre de Cùeaux. Etudes critiques,
I. Les origines. II. Vie intime de l'Ordre. Ms. 403 pp. negli archivi
dell'abbazia di Aiguibelle.
DUVERNAYRoger: Citeaux, Vallombreuse et Etienne Harding, in Analecta
SOCI VIII, 1952, pp. 379-495.
FLICHE Aug.: Histoire de l'Eglise. Paris, Bloud e Gay, t. VIII.
FOLZ Robert: Le problème des origines de Czteaux, in Mélanges Saint
Bernard, Dijon, 1955, pp. 284-294.
GRISSER P. Bruno: Consuetudines domus cisterciensis, in Analecta
SOC, III, 138-146.
GUIGNARDPhilippe: Les Monuments primitijs de la Règle cistercienne.
Dijon, 1878.
HALLINGERP. Cassius: W ober kommen die Laienbrùder? in Analecta
SOC. XII; 1956, pp. 1-104 (origine dei conversi: Vallomhreuse,
Chartreuse, Cluny, Citeaux etc.).
HERMANS D. Vincent: Spiritualité monastique. Rome, 1954.
HOFFMANNEh.: Das Konverseninstitut des Cistercienserordens. Fribourg
1905, 101 pp.
HUMPFNER R. Tiburtius: Die Bibel des hl. Stepban Harding, in Cistercienser
Cbronik, 29,1917, pp. 73-81.
- 196-

JAILLARD P. Bruno: Quelques notes sur la vie des convers de Citeaux au
Xlle et au Xllle siècle. Ms. de Sept Fons, 1949.
KING Archdale: Citeaux and ber Elder Daugbters. London, Burns and
Oates, 1954.
LAURENT Jacques: Cartulaires de l'abbaye de Molesme. 2 voI. Paris,
1907-11.
LAURENT Jacques: Le problème des commencements de Citeaux, in
Annales de Bourgogne, 1934, VI, 213-229.
LECLERCQ Dom Jean: Ecrits monastiques sur la Bible aux Xle - XIIle
siècles, in Medieval Studies, 1953, XV, 95-106.
LEFEVRE J. A.: Les traditions manuscrites des Usus conversorum de
Citeaux au Xlle siècle, in Collectanea OCR. 1955, XVII, 11-39.
LEFEVRE J. A.: Saint Robert de Molesme dans l'opinion monastique
du Xlle et du XIIle siècle, in Analecta Bollandiana, LXXIV, 1956,
pp. 50-83.
LEKAI Louis: The White Monks. Okauchee Wis. USA. 1953. Trad.
francese Les moines blancs. Ed. du Seuil, Paris, 1957, 384 pp. 9
carte.
LENSSEN P. Séraphin: Saint Robert, le fondateur de Citeaux, in Collectanea
OCR. IV, ano 1937 stampato a parte Westmalle 1937. (analisi
critica di J. Laurent in Annales de Bourgogne, XII, 1940, pp.
31-36).
(LE PREVOST) P. Aloys: Esquisse de l'Ordre cistercien. Ribérac, Réjou,
1914, 34 pp.
MAHN J. Berthold: L'Ordre cistercien et son gouuernement des origines
au milieu du XIIle siècle 1098-1265. Paris, De Boccard, 1945, ristampa
nel 1951.
MALMESBURY Guillaume de: Gesta Regum Anglorum, lib. IV, $ 334
in Migne PL. 179, col. 1286-1290, De Cisterciensibus.
MANRIQUE Ange: Annales cisterciennes. Lyon, 1612-49, t. I.
MARILIER Jean: Chartes et Documents de l'abbaye de Citeaux. 2 fase.,
Hauteroche, 1950.
MARILIER Jean: Les débuts de l'abbaye de Citeaux, in Les débuts des
abbayes cisto dans les anc. Poys bourguignons, comtois et romands.
Dijon, 1955, pp. 71-76.
MARILIER Jean: La vocation, in Bernard de Clairuaux. Abbaye d'Aiguebelle
e Paris, Alsatia, 1953, pp. 29-37.
- 197-

MARTIN P.: Saint Etienne Harding et les premières recenstons de la
Vulgate Latine. Amiens, 18~7.
MULHERNPh. F.: Origines des [rères conuers, in La Vie Spirituelle.
Suppl., n. 22, 15 setto 1952, pp. 302-318.
MULLER P. Gregor: Die Grundung des Abtei Citeaux. Bregenz, 1898.
MULLER P. Gregor: Clteaux unter dem Abte Albericb, Bregenz, 1909.
NOBLETD. A.: Sur l'institution des [rères convers, in Revue Mabillon,
t. II, 1906, pp. 83-93.
ORDERIC Vital: Historia ecclesiastica, lib. VIII, in Migne PL. 188,
col. 636.
OURSEL C.: La miniature du Xl.Ie siècle à l'abbaye de Citeaux, Dijon,
1926.
OUSREL C.: Les principes et l'esprit des miniatures primitives de Citeaux,
in Citeau» in de Nederlanden, VI, 1955, pp. 161-172.
PARKEN Mason W. A.: The beginnings 01 the Cistercienser Order
(Transactions 01 the Royal Historical Society). London, 1905, t. XIX,
pp. 169-207.
PRESSE Dom Alexis: Une école de sainteté cbez les Cisterciens, in
La Vie Spirituelle, 1932, XXII suppl. pp. 96-106.
ROCHEMONTEIXA. de: La maison de Graule de l'Ordre de Citeaux.
Etude sur la vie des convers de Citeaux en Auvergne. Paris, 1888,
in 8°, 294 pp.
SALMONDom P.: L'ascèse monastique et les débuls de Citeaux, in
Mélanges Saint Bernard, Dijon, 1954, pp. 268-283.
SPAHRP. Colomban: Das Leben des hl. Robert von Molesme. Freiburg,
1944. : .. ·'·1
SPAHRP. Colomban: De Fontibus constitutiuis primigenii iuris constitutionalis
sacri Ordinis cisterciensis. Roma, 1953.
TURK Mgr Josip: Cisterciensium [ratrum I nstituta, in Cistercienser
Chronik, LII, 1940~pp. 101-107, 118-123 e 132-141.
TURK Mgr Josip: Cistercii Statuta antiquissima, in Analecta SOc. IV,
1948, 158 pp.
WATKINWilliam: The first Cistercian Era (Journal 01 Theological Studies,
1930, t. XXXII, pp. 56-61).
W ARRENH. B. de: vedere Bibliografia 2.
- 198-

IV supplemento
Bibliografia per «La formazione e l'organizzazione dell'Ordine
di Citeaux » in riferimento alle puntate 11-14 della nostra rivista:
BEAUFORT Gérard de: La cbarte de charité cistercienne et son évolution
in Rev. ni« eccl. Louvain, 1954, XLIX, 391-437.
BERLIERE Dom U.: vedere Bibliografia 3.
BESSE Dom J. M.: vedere Bibliografia 3.
Bocx P. Colomban: Les codificatione du Droit cistercien, in Collectanea
OCR, anni 1947, 1948, 1949, 1950, 1952, 1954 passim.
BOUTON P. Jean de la Croix: Saint Bernard et les moniales, in Mélanges
Saint Bernard. Dijon, 1954, pp. 225-248.
Botrrox P. Jean de la Croix: L) établissement des moniales cisterciennes,
in Les débuts des abbayes cisto dans les anciens pays bourguignons)
comtois et romands (XXIVe Congrès de l'ABSS, VIII centenario
di S. Bernardo). Dijon, 1955, pp. 37-70.
BRARD P. Bruno: Cisterciens et Cisterciennes, in Catbolicisme 7, col.
1141-1151.
CANIVEZ Jos.: Statura Capitulorum generalium Ordinis Cisterciensis ab
anno 1116 ad annum 1786. Louoain, 8 vol., 1933-1941.
Chimay (Les moines de): La Bibliographie de saint Etienne Harding,
in Collectanea OCR. 1934, I, 36 sq.
DALGAIRNS J. D.: Saint Etienne Harding, vie édit. par le Reo. [, H.
Newman. Paris, Lecoffre, e Lyon, Libr. Chrét., 1846, 320 pp.
DUVERNAYRoger: vedere Bibliografia 3.
Etienne Harding (Vie de St). N. D. de Lérins, 1875, 252 pp.
FLICHE Aug.: vedere Bibliografia 3.
FOLZ Robert: vedere Bibliografia 3.
GOMEZ P. Alberto: Super Chartam Caritatis d'après Analecta 1945, in
Cistercium, 1950, II, 47-51.
GRIESSER P. Bruno: Beitrdge zur Beurteilung des Cod. 1711 von Trient,
in Citeaux in de Nederlanden, 1955, VI, 117-130.
HAID D. Kassian: Die Bedeutung des hl. Stephan, in Cistercienser
Chronik, XLVI 1934, pp. 57-63.
HAID D. Kassian: Vor 800 [abren Zum Abschluss des Stepbans [ubilaums,
in idem, pp. 369-375.
199 -

HERBLAYA. d': Le problème des origines cisterciennes, in Rev. Hist,
eccl. Louvain, 1955, L. 158-164. Difende la tesi di ]. A. Lefèvre
contro G. de Beaufort.
HERMANSD. Vincent: vedere Bibliografia 3.
HOURLIERD. ]acques: Le Cbapitre général jusqu'au moment du Grand
Schisme. Tesi per il dottorato. Paris, Sisey, 1936, in 8°, XIII-284 pp.
HUMPFNER P. Tiburtius: Der bisher vermisste teil des Exordium magnum
S.O.C. Pars bucusque ignota Exordii Magni. Bregenz, Teutsch,
1908, in 8°, 14, pp.
HUMPFNER P. Tiburtius: Exordium Cistercii cum Summa Cartae Caritatis
et fundatio primarum quattuor filiarum Cistercii. Kapisztran
Nyomda. Vac, 1932, in 8°, 29 pp.
HUYGHEGérard: La clàture des moniales des origines à la fin du Xllle
siècle. Roubaix. 1944, 117 pp.
]ANAUSCHEKP. Leopold: Originum Cisterciensium tomus 1. Wien,
1877.
]ASSMEIERJ.: Das Mitbestimmungsrecht der Untergebenen in den alteren
Miinnerordensverbanden (Miìnchener theologische Studien, III:
Kanonisliche Abteilung. 5. Miinchen, Karl Zink; 1954, in 8°, x-302
KINGArchdale: vedere Bibliografia 3.
KOCH P. Konrad: Vollstandiges Brevier aus der Schreibstude des hl.
Stephan, in Analecta SOC. 1946. II, 146-147.
KOVACSFrançois: Fragments du chant cistercien primiti], in Analecta
SOC., 1950, VI, 140-150.
KOVACSFrançois: Relation entre l'Officium defunctorum feriale et la
liturgie cistercienne primitive, in Analecta SOc., 1951, VII, 78-84.
KOVACSFrançois: A propos de la date de la rédaction des Instituta
generalis Capitali apud Cistercium, in Analecta SOC., 1951, VII,
85-90.
LAGGERL. de: Le Règle mitigée de Citeaux au Xlle siècle. A propos
d'Ardorel en Albigeois, in Bull. litt. eccl. Toulouse, 1922, pp. 187-
211.
LAURENTJacques: vedere Bibliografia 3.
LE BAIL Dom Anselme: La célébration du VIlle centenaire de la mort
de S. Etienne Harding de Clteaux, in Collectanea OCR., 1934, I,
154 sq.
- 200-

LECLERQ Dom Jean: Epitres d'Alexandre III sur les Cisterciens, in
Rev. Bénédictine, 1954, LXIV, 68-82.
LEFEvRE J. A.: La uéritable Carta Caritatis primitive et son éuolution
1114-1119, in Colleetanea OCR, 1954, XVI, 5-29.
LEFEvRE J. A.: La oéritable Constitution cistercienne de 1119, in idem,
77-104.
LEFEVRE J. A.: A propos de la composition des Instituta generalis Capituli
apud Cistercium, in idem, 157-182.
LEFEVRE J. A.: Pour une nouvelle datation des Instituta generalis Capituli
apud Cistercium, in idem, 241-266.
LEFEVRE J. A.: Les traditions manuscrites des Usus conversorum, in
idem, 1955, XVII, 11-39.
LEFEVRE J. A.: L'évolution des Usus conversorum de Cùeaux, in idem,
65-97.
LEFEVR.E J. A.: Un texte inconnu de l'Exordium Cistercii et de la Summa
CC, nel ms. Melun 55, in idem, 265-271.
LEFEVRE J. A.: A propos des sources de la législation primitive de Prémontré,
in Anal. Praem., 1954, XXX, 12-19.
LEFEVRE J. A.: Le urai récit primiti] des origines cisterciennes est-il
l'Exordium Parvum? in Le Moyen Age, 1955, pp. 79-120 et 329-
361. Lista dei mss. de l'Exordium Paroum.
LEFEVRE J. A.: A propos d'un nouveaux texte de la CC prior dans le
ms. Metz 1247, in Rev. Bénédictine, 1955, pp. 90-109.
LEFEVRE J. A.: Une Bulle inconnue d'Alexandre III dans le ms. Dijon
87, in Cistercienser Chronik, 62. 1955, pp. 1-7.
LEFEVRE J. A.: S. Robert de Molesme dans l'opinion monastique du
Xlle e du Xllle siècle, in Anal. Bollandiana, 1956, LXXIV, 50-83.
LEFEVRE J. A.: Que savons-nous du Citeaux primitif? in Rev. Rist.
eccl. Louvain, 1956, LI, 5-41.
LEFEVR.E J. A.: Les traditions manuscrites de l'Exordium Parvum, in
Scriptorium, 1956, X, 42-46.
LEKAI Louis: vedere Bibliografia 3.
LUYKX B.: Essai sur les sources de l'Ordo missae Praemonstratensis,
in Anal. Praem., 19-46, XXII-XXIII, pp. 35-97.
MAGYARASZ F.: Der hl. Stepban Harding und der hl. Bernbard, in
Cistercienser Chronik, 36, 1934, p. 169 sq.
MAGYARASZ F.: Ein hohes und beiliges Ordensjubileum, in idem, 8-11.
- 201-

MAHNJ. B.: vedere Bibliografia 3.
MALET Dom André: La liturgie cistercienne. Westmalle, 1921, in 8°,
57 pp.
MALMESBURYGuillaume: vedere Bibliografia 3.
MARILIERJean: Quelques précisions sur les commencements de Citeaux.
Les donations d'Elisabeth de Vergy, in Annales de Bourgogne, 1914,
XVI, 28-36 . Vedere anche Bibliografia 3.
MARILIERJean: Autour de la Carta caritatis, in Annales de Bourgogne,
1954, XXVI, 218-220 - Les Cisterciens, in idem, 1957 XXIX, p. 132.
MARILIERJean: L'évolution des institutions cisterciennes dans la 1ère
moitié du Xlle siècle. (Académie des Arts, Sciences et Belles-Lettres
de Dijon, communic. du 21.1.1948).
MAROSSZEKIP. Solutor: Les origines du chant cistercien. Recherches sur
les réjormes du plain-cbant cistercien au Xlle siècle, in Analecta SOCI
1952, VIII, fase. I-II, et Paris, 1951, 196 pp.
MARTINP.: vedere Bibliografia 3.
MASAI F.: Les études cisterciennes de ]. A. Lejèure, in Scriptorium,
1957, XI, 119-123.
MULLER P. Gregor: Aus den letzten Lebensjahren des hl. Stephan Abts
von Citeaux, in Cistercienser Chronik, 46 Jahrg. 1934, pp. 1-8.
MULLER P. Gregor: Studiens iiber das Generalkapitel, in Cistercienser
Cbronik, passim.
MULLER P. Gregor: Generalkapitel der Cistercienserinnen, in Cistercienser
Cbronik, 24.1912, pp. 65-72, 114-119,152-157.
NOBLET Dom: L'hymnaire cistercien, in Revue Mabillon, 1906, II,
93-96.
NOSCHITZKAP. Canisius: Codex manuscriptus 31 Bibliotbecae Universitatis
Labacensis, in Analecta SOC. 1950, VI, 1-124.
PETIT Ernest: Histoire des ducs de Bourgogne. Dijon, t. I e II, 1885 e
1888, e t. V, 1894 (Obituaire de Citeaux, pp. 396-407).
PRESSE Dom Alexis: S. Etienne Harding, in Collectanea OCR. 1934,
1, 21 sq.
PRESSE Dom Alexis: Notes sur le culte liturgique rendu à S. Etienne
Harding dans l'Ordre de Citeaux, in Cisto Cbronik, 46. 1934, pp.
105-108.
RENAUDP. Nivard: Les liores liturgiques cisterciens. Etude bistorique
et canonique, in Collectanea OCR, anno 1936,1937,1938,1939,1940
passim.
- 202-

RODRIGUEZLoPEZ A.: El Real Monasterio de las Huelgas de Burgos y
el Hospital del ReYJ T. I e II, Burgos, 1907.
SCHNEIDERP. Fulgence: L'ancienne messe cistercienne. Tilburg, 1929,
in 8°, 264 pp.
SEJALONP. Hugues: Nomasticon Cisterciense. Solesmes, 1892.
SPAHR P. Colomban:Eine seltsame Formung des Exordium Parvum.
Revue d'Hist, ecci. Suisse, 1946, in 8°, pp. 101-108. Vedere anche la
Bibliografia 3.
TRILHE D. Robert: Liturgie de l'Ordre de Citeaux, in Dict. Hist. Géog.
eccl., fase. XXIX, col. 1779-1811.
TURK Mgr Josip: Charta caritatis prior, in Analecta SOC. 1946, I,
pp. 11-61. Vedere anche Bibliografia 3.
VANDAMME P. Jean Bapt.: Autour des origines cisterciennes, in Collectanea
OCR. 1958, XX, 37-60, 153-168, 374-390.
VANDI]K L.: Essai sur les sources du droit prémontré primiti] concernant
les pouuoirs du «Dominus Praemonstratensis » in Analecta
Praem., 1952, XXVIII, 73-136.
WEINMANNC.: Hymnarium Parisiense. Das Hymnar der Cistercienser-
Abtei Pairis im Elsass. Ratisbonne, Coppenrath, 1905, in 8° VIII,
73 pp. et 1 pl.
WILLEMS Dom Eugène: Esquisse historique de l'Ordre de Citeaux de
après le Père Grégoire Muller. Edition illustrée, rejondue et mise à
jour. Abbaye du Val-Dieu, Aubel. Dison-Verviers (Belgique), Prima
parte 1097-1493, in 8°, 274 pp.
WINANDYRme Jacques: Les origines de Cùeaux et les trauaux de M.
Lejèure, in Rev. Bénédictine, 1957, LVII, 49-76.
Segnala le « dangereuses faiblesses » del sistema elaborato da M. J. A.
Lefèvre.
CONTINUA
- 203-

RECENSIONI
AA. VV. Dizionario degli Istituti
di perfezione - Ed. Paoline -
Roma 1975 - voI. II pp. XXV
colI. 1972, L. 36.000
Il secondo volume del « Dizionario
» non riesce ad esaurire la
lettera « C », ma va tenuto presente
che in questa lettera si presentano
numerose voci assai impegnative,
che esigono una trattazione
abbastanza diffusa. Vengono
innanzitutto grandi Ordini religiosi:
Canonici Regolari, Chierici
Regolari, Cappuccini, Carmelitani,
Certosini, Cistercensi, Compagnia
di Gesù, di cui alcuni (Carmelitani
e Cistercensi) presentano due
rami dell'osservanza: antica e riformata,
e quasi tutti presentano
anche il ramo o i rami femminili.
Di questi grandi Ordini viene presentato
un quadro abbastanza
esauriente, per quanto può essere
fatto in una sintesi, della storia,
del diritto e soprattutto della spiritualità
e del loro attuale posto
in seno alla Chiesa. E tutto questo
viene esposto non tanto da uno
studioso, ma da un membro dello
stesso ordine, che ne vive la dinamica
all'interno dell'Ordine stesso,
presentando una visione allo
stesso tempo erudita e palpitante
di vita e di spirito ecclesiale.
Interessante, anche se non sempre
del tutto convincente è la difesa
della vita contemplativa pura
- 204-
fatta da un « monaco Certosino »:
« Separati da tutti, il solitario è
unito a tutti e sta, in nome di
tutti, alla presenza del Dio vivente;
il suo cuore si dilata nella
unione con Dio sino ad abbracciare
il mondo intero, cooperando
con la preghiera e l'intera vita
all'opera della salvezza di Cristo»
(colI. 792-793).
Ci sono poi moltissime voci di
grande interesse generale. Di notevole
importanza è lo studio su i
CARISMI, specialmente nell'attuale
risveglio, anche se qua e là
discutibile nelle sue applicazioni,
dei carismi nella istituzione ecclesiale,
risveglio al quale i religiosi,
gruppo eminentemente carismatico,
non possono restare estranei.
L'estensore della voce pone dei
punti molto chiari, non nascondendosi
le immancabili difficoltà
e la conflittualità possibile tra
carismi e istituzione. Di non minore
importanza è la voce CON-
SIGLI EVANGELICI, dove, in
maniera succinta, la problematica
vivissima oggi sul significato e
l'esistenza dei cosiddetti consigli
evangelici viene esposta e risolta
alla luce della più recente esegesi.
Non posso ricordare poi tutte le
voci di estremo interesse che sono
contenute in questo volume come
Celibato, Clausura, Classi di religiosi,
Convento, Commenda. Interessante
pure i temi trattati che

allargano i confini della vita religiosa
presentandoci i musulmani
e i confuciani.
Non vanno sottovalutati gli
articoli che ci presentano grandi
abbazie che sono state punti nevralgici
di vita religiosa nel corso
dei secoli. Al rigurado però non
si riesce a spiegarsi la mancanza di
una voce specifica per la CER-
TOSA DI PAVIA la cui rinomanza
non è certamente minore ad
altre abbazie o monasteri che pure
vengono ricordati anche nel presente
volume.
Per quanto riguarda più da
vicino la vita cistercense si può
notare che le voci che la riguardano
direttamente riempiono 91
colonne.
Un rapido e preciso contributo
del P. Vongrey sull'arte cistercense
(21 colonne) ci illustra il
vasto movimento dell' arte che i
Cistercensi nel loro rapido diffondersi,
hanno portato in tutta Europa
medioevale e che continua
anche nell' età più recente nel barocco
francese e della Germania
meridionale «Le caratteristiche
estetiche durevoli si trovano nella
intera opera architettonica: armonia
delle proporzioni, chiarezza e
logica dell'articolazione, perfetto
lavoro degli scalpellini, plasticità
al serVIZIO dell' architettura e
orientata sulla funzione vivacizzata
della luce» (col. 1057). Il
padre Lekai in 50 colonne fa un
compendio della storia dell'Ordine
nelle sue varie manifesta-
- 205
zioni. L'esposizione è resa visibile
nelle numerose cartine che dimostrano
in modo plastico la vitalità
dell'Ordine durante i secoli. Il
paragrafo sulla spiritualità e cultura
è visto in maniera storica con
un elenco di scrittori e di opere
che dimostrano quali maestri di
spiritualità siano stati i cistercensi
durante i secoli. Si sarebbe desiderato,
però, una sintesi della
spiritualità che facesse cogliere
meglio gli elementi interiori che
vivificano ancora oggi la famiglia
cistercense.
L'esposizione storica delle varie
Congregazioni che formano l'Ordine
Cistercense serve a mostrare
tutta la varietà e la vitalità di
questo ramo della famiglia benedettina.
Da segnalare l'articolo sulla
«Carta Caritatis », primo documento
legislativo dell'Ordine che
da alcuni decenni è al centro degli
interessi degli storici. n P. Zakar
espone sinteticamente l'evoluzione
e lo stato attuale delle ricerche
al riguardo. Sono poi interessanti
le presentazioni di alcune abbazie
cistercensi: Chaalis, La Cambre,
Chiaravalle della Colomba, Casaman
...
n volume si chiude con una
voce che tocca da vicino anche la
vita monastica: « CONVENTUA-
LISMO» che richiama quello
delle «Osservanze» fenomeno
vissuto specialmente dai Cistercensi
di Spagna.
In complesso un volume di

estremo e vario interesse che non
da soltanto delle notizie ma propone
problemi, suscita discussioni
in quel vasto mare pieno di vita
che è la VITA RELIGIOSA.
P. Malachia Falletti
G. BARRA, Quando l'amore si fa
pane. Profilo di S. Giuseppe B.
Cottolengo, Gribaudi, Torino '74,
pp. 224;
A. PRONZATO, Nel segno della misericordia.
Vita di don Carlo Steeb
Gribaudi, Torino 1974, pp. 352;
A. PRONZATO, Prete con mondo a
carico. Profilo di don Giacinto
Bianchi, Gribaudi, Torino 1975,
pp. 272.
L'editre Gribaudi di Torino
ha pubblicato tre volumi dovuti
alla penna di due sacerdoti: Giovanni
Barra e Alessandro Pronzato.
In essi si studia la vita o,
meglio, il pensiero spirituale di
tre sacerdoti: don Carlo Steeb,
don Giacinto Bianchi e don Giuseppe
Benedetto Cottolengo: tre
sacerdoti di estrazione diversa. Lo
Steeb proviene da una famiglia
luterana e borghese e « potrà vantare
tra i suoi antenati ascendenti
comuni con lo scrittore Schiller,
il poeta Holderlin, il teologo Davide
Federico Strauss e nientemeno
che il filosofo Hegel». Il
Cottolengo proviene da una famiglia
borghese contadina che aveva
- 206-
dato alla chiesa un teologo e un
padre domenicano. Don Giacinto
Bianchi discende da una famiglia
contadina che lo farà studiare solo
a causa della sua gracilità. Lo
stesso Steeb è tedesco, il Cottolengo
è piemontese e il Bianchi
lombardo.Da tutto ciò deriva la
varia cultura dei tre sacerdoti:
uno teologo, il Cottolengo, un
altro insegnante e cultore di lingue
straniere, lo Steeb; il terzo,
il Bianchi con una cultura scaturita
dal suo grande camminare e
dal contatto, per mezzo della predicazione,
col popolo e i suoi
costumi.
Questo preambolo vuole introdurre
le varie biografie, che non
vogliono essere solo dei volumi
di agiografia, ma anche la dimostrazione,
come vedremo, della
continuità e dell'importanza della
Chiesa nel campo sociale. Tre
sacerdoti che camminano, pur con
andamento diverso, sulla stessa
strada, e raggiungono lo stesso
fine: l'amore. Non l'amore a parole
ma quello espresso coi fatti
che scaturiscono dalla.unica fonte:
Cristo. Essi dimostrano che la
Chiesa è sempre presente quando
l'uomo ha. bisogno di essere sorretto
e aiutato.
Va notato che mentre il Cottolengo
e lo Steeb appartengono al
1700-1800, il Bianchi appartiene
al 1800-1900. Si tratta di tre personaggi,
come si vede, che devono
essere visti da angolazioni diverse,

con diverse interpretazioni della
loro vita e del loro lavoro. Questo
fine è stato raggiunto egregiamente
dai due scrittori, il Barra educatore
e giornalista, il Pronzato
scrittore di opere di formazione
spirituale.
I tre sacerdoti che ci vengono
presentati li vediamo rifulgere dal
risultato del loro lavoro più che
dall'elenco delle loro qualità,
quale l'agiografia tradizionale,
sempre valida, presenta a coloro
che vogliono app.rofondire e apprendere
il cammino completo del
personaggio. Il Barra e il Pronzato,
a nostro parere, si preoccupano
di dimostrare come il sacerdozio,
donato a diversi uomini
porta sempre, qualunque sia la
strada ad essi assegnata, ad un
solo fine: l'amore di Dio attraverso
l'uomo da Cristo redento. E
dai tre, che non intendono essere
dei « fondatori », ma solo esecutori,
fioriscono numerose opere:
il Cottolengo dona a Torino e al
mondo il grande miracolo della
Piccola Casa della Divina Provvidenza,
sotto la regola di San Vincenzo
de' Paoli; lo Steeb, dopo
lunga meditazione e esperienza al
Lazzaretto, affronterà l'opera dell'ospedale
e del ricovero dei vecchi,
dando alle sue collaboratrici
la Regola delle « Sorelle della Misericordia
di Vienna» anch'esse
in sostanza riproducenti la regola
di S. Vincenzo.
Don Giacinto Bianchi inizierà
invece un'opera per ragazzi abban-
- 207-
donati, agganciandolo all' opera di
un sacerdote genovese a Betlemme,
il Canonico Bellotti.
Tre istituzioni che portano nel
mondo l'Amore; i titoli delle
opere danno già l'indicazione di
questo cammino: «Il segno della
misericordia », «Prete con mondo
a carico », « Quando l'amore
si fa pane ». Agiografia moderna
che non toglie nulla alla validità
di quella tradizionale. P. Stanislao
Bellando, agostiniano di S.
Spirito in Firenze, a chi criticava
la « Storia di Cristo» e « S. Agostino»
del Papini perché scritti
in forma nuova, diceva: «I volumi
di Papini si possono dare a
professionisti e a uomini della
strada sicuri che li leggono, mentre
i volumi scientifici non vengono
letti che da poche persone colte
», I tre volumi editi da Gribaudi
rispondono alla stessa logica:
son libri che si leggono d'un fiato:
tutti e tre, ricchi di citazioni, non
sono aggravati di note bibliografiche,
che non hanno importanza
per i lettori che vogliono conoscere
lo spirito che anima i protagonisti.
Barra chiude il suo volume con
un titolo che esprime tutto il
carattere della spiritualità del Cottolengo:
«La vita non consiste
nel capire, ma nell'amare ». Pronzato
conclude scrivendo: «Carlo
Steeb ci dice che, in fondo, la
scoperta più esaltante del suo
lunghissimo viaggio è stata preci-

samente questa: la verità è amore.
Cottolengo, Steeb, Bianchi: tre
sacerdoti tre fiori sulla stessa
pianta, la Chiesa, con una missione
propria ci ricordano i versi di
Umberto Pestellini: «Candido,
- 208-
odoroso e posato / ancora sul
ramo i suoi compagni / gli dicevano:
resta, resta ancora / ma è
stato chiamato ».
Paolo Cherubelli

SOMMARIO
MALACHIA FALLETTI, L'abate e la direzione spirituale o
JEAN LECLERCQ, Bernardo di Chiaravalle (1090 - 20 agosto
1153) o o • o
JEAN LECLERCQ, Psicologia e vita spirituale in San Bernardo
JEAN DE LA CROIX BUTON, Storia dell'Ordine Cistercense
(XXI puntata) o o • o
JEAN DE LA CROIX BOUTON, Note per una bibliografia della
Storia dell'Ordine Cistercense o
RECENSIONI o
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