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GIANFRANCO GIORNI

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Il piacere della forma Attilio Brilli<br />

Viaggio all’Acqua viola.<br />

L’artista vive sempre in un mondo a se stante. Per Gianfranco Giorni, anche l’atelier dove lavora appartiene a<br />

questa geografia immaginaria. Provate a cercare il luogo dove impasta le crete e fonde i suoi bronzi: si chia-<br />

ma L’acqua viola. Basta pronunciare queste parole per perderete subito l’orientamento. E’ inutile che lui, l’ar-<br />

tista, cerchi di convincermi dicendo che il posto dove abita e dov’è il suo studio era un tempo solcato da una<br />

rete di canali che adducevano acqua ai mulini, e che un qualche riflesso d’alba o tramonto, chissà, o un qual-<br />

che rilascio della pianta colorante del guado, potrebbero avere suggerito l’inconsueto appellativo. Per me il<br />

nome continua ad alitare a mezz’aria come una libellula e quindi m’affido ai più prosaici cartelli stradali. Ai<br />

piedi di Anghiari, questi m’invitano ad imboccare la strada per Caprese Michelangelo (un augurio non da<br />

poco) e, dopo nemmeno un mezzo miglio - unità di misura per viaggiatori, non per turisti - a svoltare sulla<br />

destra verso Viaio, là dove s’incrociano, si direbbe, tutte le vie.<br />

Quello dove sorge lo studio artistico di Giorni è un angolo incantato della Valtiberina. Inquadrato da mezza costa,<br />

subito dopo essersi lasciati alle spalle il bastione anghiarese, quell’intatto spicchio vallivo conserva un singola-<br />

re nitore. Mi sono chiesto tante volte da dove scaturisse la sottile familiarità di quell’appartato angolo di mondo,<br />

se dalla sua luminosità cristallina o dalla mancanza di manufatti recenti, finché, dopo essermi ricordato come già<br />

nel Battesimo di Piero della Francesca lo stradone d’Anghiari solcasse la rorida valle, ho riannodato le fila delle<br />

associazioni. E’ la vecchia storia, sempre valida, dell’arte che ci insegna a scoprire la natura e il paesaggio.<br />

Giungere all’Acqua viola è come planare in un fondale pierfrancescano, dunque. Il solo viaggio allo studio<br />

dell’artista è, già di per sé, ampiamente remunerativo. Ed è un buon viatico per quello che ci aspetta e che ci<br />

accingiamo a scoprire. Qualsiasi altra opera che non avesse saputo intrattenere un colloquio con i canoni<br />

armonici di questa limpida arcadia sarebbe qui una stonatura. Ma non costituiscono note stonate i bambini di<br />

bronzo, le musicanti laccate, gli animali di creta che costellano, in simulato, indolente abbandono, la corte, i<br />

muretti e le prode dei campi. Agli occhi del visitatore appaiono anzi come non potranno mai essere altrove,<br />

opere che, vestendosi di spazio e di luce, sembrano stirare le membra e assaporare per la prima volta l’auto-<br />

nomia della propria esistenza. I bronzi non hanno messa la pelle che conferiscono loro le intemperie e si pre-<br />

sentano ancora con i lacerti candidi della camicia di refrattario, i gessi indugiano nella frescura del bagnoma-<br />

ria, le terrecotte sfidano imperterrite l’abbronzatura più feroce. Un giardino di delizie, quello che attende il<br />

visitatore all’Acqua viola, e un giardino di magiche metamorfosi. Senza per altro riferirsi al momento supre-<br />

mo della creazione che, specie con le colate del bronzo, assume, per chi abbia l’occasione di assistervi, un<br />

fascino negromantico e antico.<br />

<strong>GIANFRANCO</strong> <strong>GIORNI</strong> SCULTURE 5

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