Senza titolo-2 - aafvg associazione allevatori del friuli venezia giulia
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Quali cazione genetica <strong>del</strong> suino pesante per la<br />
valorizzazione <strong>del</strong>la carne fresca, dei prodotti DOP<br />
e trasformati <strong>del</strong> Friuli Venezia Giulia
Qualificazione genetica <strong>del</strong> suino pesante per la<br />
valorizzazione <strong>del</strong>la carne fresca, dei prodotti DOP<br />
e trasformati <strong>del</strong> Friuli Venezia Giulia<br />
Studio realizzato nell’ambito <strong>del</strong> progetto di Ricerca, Legge regionale n.<br />
30/2007, articolo 5, commi 23 e 24 “Qualificazione genetica dei suini<br />
finalizzata alla valorizzazione <strong>del</strong>le produzioni destinate alla DOP prosciutto di<br />
San Daniele <strong>del</strong> Friuli, alla DOP Gran Suino Padano, all’IGP Sauris, alle<br />
carni fresche ed agli insaccati ottenuti e riconosciuti col marchio AQUA <strong>del</strong>la<br />
Regione Friuli Venezia Giulia<br />
A cura di Bruno Stefanon<br />
Dicembre 2012<br />
1
Associazione Nazionale Allevatori Suini<br />
beanTech<br />
Partner <strong>del</strong> Progetto<br />
Associazione Allevatori <strong>del</strong> Friuli Venezia Giulia<br />
Consorzio <strong>del</strong> prosciutto di San Daniele<br />
Istituto Nord Est Qualità<br />
Università degli Studi di Udine<br />
3
Premessa<br />
Un’opportunità per la suinicoltura regionale<br />
La tradizione di allevamento <strong>del</strong> suino in Friuli Venezia Giulia è ormai radicata nel<br />
tempo e nello spazio: non a caso tra gli avvenimenti più significativi <strong>del</strong>l’attività<br />
zootecnica <strong>del</strong> Friuli riveste un posto di primo piano la macellazione <strong>del</strong> maiale, che<br />
tradizionalmente avviene tra novembre e febbraio, individuando simbolicamente l’inizio<br />
di tale pratica con la giornata <strong>del</strong> 30 novembre, giorno di Sant’Andrea (Sant’Andree il<br />
purcit su la bree). Un evento questo, che si ripete ogni anno, perpetuando un tipo di<br />
tradizione che rimane ben salda nel patrimonio culturale Friulano. Un patrimonio così<br />
importante che non soltanto va valorizzato, ma che va continuamente rinnovato ed<br />
innovato, guardando alla ricerca, allo studio e all’innovazione.<br />
E il progetto di qualificazione genetica <strong>del</strong> Suino Friulano (realizzato con la fattiva<br />
collaborazione <strong>del</strong>l’Associazione <strong>allevatori</strong>, con il contributo <strong>del</strong>l’Università di Udine,<br />
<strong>del</strong>l’Ineq e il sostegno <strong>del</strong>la Regione Fvg) è la dimostrazione che l'innovazione<br />
tecnologica e la ricerca in agricoltura sono strategici per riuscire ad affrontare al meglio<br />
le sfide che ci attendono nel futuro.<br />
Ci hanno lavorato in molti, e così dopo 5 anni il suino geneticamente friulano è una<br />
realtà concreta come dimostrano i successi ottenuti dai prosciutti crudi, dai salami, dagli<br />
affettati e dalle carni che questo animale produce.<br />
Grazie all'ambizioso disegno sperimentale sono stati, infatti, coinvolti tutti i settori <strong>del</strong>la<br />
filiera, dall'allevamento alla trasformazione <strong>del</strong>le carni, alla stagionatura dei prodotti<br />
ottenuti nell'ambito <strong>del</strong>la DOP San Daniele. Negli ultimi due anni sono state impiegate<br />
tecnologie e metodiche nuove, alcune <strong>del</strong>le quali sono poi state adottate a livello<br />
industriale, mentre altre stanno suscitando il forte interesse di enti e consorzi nazionali.<br />
Il tipo genetico impiegato per lo studio deriva da vari incroci di suini italiani, nati,<br />
allevati e macellati in Fvg, alimentati con ingredienti derivati da colture locali. Le cosce<br />
e le carni sono lavorate negli stabilimenti friulani e nei prosciuttifici di San Daniele.<br />
Geneticamente Friulano costituisce una forte integrazione di tutto il processo produttivo<br />
che inizia dal campo e finisce nella tavola <strong>del</strong> consumatore, un processo con una<br />
tracciabilità garantita dall’apposizione alla alla nascita nascita di un di microchip un microchip sotto controllo sotto controllo
nell’animale, che permette di seguire ogni singola coscia fino alla vendita per il<br />
consumo.<br />
La morfologia e la fisiologia <strong>del</strong> suino, ovvero la sua base genetica, costituiscono un<br />
requisito di primaria importanza per ottenere prodotti di qualità, fra i quali il prosciutto<br />
DOP di San Daniele. L’abbinamento poi di una alimentazione di qualità e tracciabile,<br />
consente di dare adeguata garanzie nutritive e igienico-sanitarie al consumatore finale.<br />
Questo tipo genetico di suino, nato e allevato in Friuli Venezia Giulia, produce carcasse<br />
con carne di buona qualità per la trasformazione in salumi e si distingue per la coscia<br />
più pesante e corrispondente ai requisiti <strong>del</strong>la DOP Prosciutto di San Daniele. I diversi<br />
tagli di carne, grazie alla loro sapidità e alla apprezzabile marezzatura, sono indicati<br />
anche per il consumo diretto.<br />
Ma il maiale non ha solo cosce, anzi. Nella tradizione agricola friulana è noto il detto<br />
dal purcit no si bute vie nuje, neancje la code. Da questo punto di vista la<br />
valorizzazione <strong>del</strong>la carne fresca e dei trasformati diventa importantissima per fornire<br />
ulteriori benefit agli <strong>allevatori</strong>, che purtroppo costituiscono sempre l’anello debole<br />
<strong>del</strong>l’intera filiera.<br />
Credo quindi che di questo tipo di ricerche potrà a pieno <strong>titolo</strong> beneficiare tutta la filiera<br />
<strong>del</strong> suino, dall'allevatore al macellatore al trasformatore e avere la possibilità di<br />
trasformare carni di suini nati e allevati interamente in Friuli Venezia Giulia può quindi<br />
rappresentare un valore aggiunto per l'intero settore. In questo senso, il Geneticamente<br />
Friulano e la certificazione di filiera diventano un punto fondamentale per guardare con<br />
attenzione al futuro anche nell’allevamento suinicolo..<br />
Claudio Violino<br />
Assessore regionale alle risorse<br />
rurali, agroalimentari e forestali
Ringraziamenti<br />
Azienda Agricola Armellin Sonia, San Giorgio <strong>del</strong>la Richinvelda (PN)<br />
Azienda Agricola Avoledo Giuliano, Spilimbergo (PN)<br />
Azienda Agricola Campagnole di Rizzi Sergio e Paolo, Prata di Pordenone (PN)<br />
Azienda Agricola Fioritto Jan, Mereto di Tomba (UD)<br />
Dr Fabrizio Napodano<br />
Salumificio F.lli Uanetto, Castions di Strada (UD)<br />
Salumificio La Vecje Salumerie, Rivignano (UD)<br />
Salumificio Larice Carni, Amaro (UD)<br />
Salumificio Pantarotto, San Vito al Tagliamento (PN)<br />
Salumificio Molinari Roberta, Zuglio (UD)<br />
Macello Gruppo Carni Friulane, Aviano (PN)<br />
Prosciuttificio Vecchio Sauris, Sauris (UD)<br />
Prosciuttificio L’Artigiana Prosciutti, San Daniele <strong>del</strong> Friuli (UD)<br />
Prosciuttificio Bagatto, San Daniele <strong>del</strong> Friuli (UD)<br />
Prosciuttificio Morgante, San Daniele <strong>del</strong> Friuli (UD)<br />
Prosciuttificio A&B, San Daniele <strong>del</strong> Friuli (UD)<br />
Prosciuttificio Principe, San Daniele <strong>del</strong> Friuli (UD)<br />
Prosciuttificio Testa & Molinaro, San Daniele <strong>del</strong> Friuli (UD)<br />
6
Indice<br />
1. Il comparto suinicolo in Europa e in Italia e le motivazioni <strong>del</strong><br />
progetto di qualificazione genetica <strong>del</strong>la Regione Friuli Venezia<br />
Giulia<br />
Carla Fabro, Bruno Stefanon, Piero Susmel<br />
2. Allevamento e qualità <strong>del</strong>le produzioni <strong>del</strong> suino<br />
Sandy Sgorlon, Denis Guiatti, Bruno Stefanon, Piero Susmel, Carla<br />
Fabro<br />
3. Risultati <strong>del</strong> progetto di qualificazione genetica <strong>del</strong> suino <strong>del</strong>la<br />
Regione Friuli Venezia Giulia<br />
Denis Guiatti, Bruno Stefanon, Sandy Sgorlon, Marco Bassi, Giovanni<br />
Ca<strong>del</strong><br />
4. La qualità <strong>del</strong>la carne, <strong>del</strong> salame e <strong>del</strong> prosciutto crudo<br />
Giuseppe Comi, Lucilla Iacumin<br />
5. Valutazione sensoriale e analitica <strong>del</strong>la DOP prosciutto di San<br />
Daniele<br />
Selenia Galanetto<br />
6. Strutture di allevamento, benessere animale ed impatto ambientale<br />
Francesco da Borso, Francesco Teri, Marco Mezzadri<br />
7. Prospettive per lo sviluppo di un sistema suinicolo Regionale<br />
Bruno Stefanon<br />
8. Scheda <strong>del</strong>l’allevamento <strong>del</strong> Suino Pesante 155<br />
7<br />
1<br />
13<br />
33<br />
63<br />
93<br />
111<br />
139
Il comparto suinicolo in Europa e in Italia e le motivazioni <strong>del</strong> progetto<br />
di qualificazione genetica <strong>del</strong>la Regione Friuli Venezia Giulia<br />
Introduzione<br />
Carla Fabro, Bruno Stefanon, Piero Susmel<br />
Dipartimento di Scienze Agrarie ed Ambientali – Università di Udine<br />
La gran parte <strong>del</strong>l’allevamento suinicolo in Italia ha come obiettivo principale la<br />
produzione di cosce e di carcasse per la trasformazione in prosciutti <strong>del</strong>le DOP e in<br />
prodotti da salumificio. Gli animali allevati per queste produzioni rappresentano<br />
un’unicità nel panorama internazionale <strong>del</strong>la suinicoltura, in quanto sono contraddistinti<br />
da un’età di macellazione e da una quantità di grasso superiore rispetto ai soggetti<br />
destinati alla produzione di carne fresca e destinata al consumo.<br />
Nella filiera suinicola italiana convivono due tipologie di animali. La prima comprende<br />
suini definiti leggeri e da destinare al consumo diretto; sono ibridi commerciali che<br />
vengono macellati fino a 100 – 110 kg di peso e possono essere assimilati alle tipologie<br />
allevate in altri Paesi. Sono animali caratterizzati da un elevato sviluppo <strong>del</strong>le masse<br />
muscolari e da limitati depositi di grasso. I secondi, definiti pesanti e utilizzati per la<br />
trasformazione in prosciutti e da salumificio, appartengono a razze pure o ibridi<br />
commerciali, sono allevati fino a un peso vivo finale medio di 160 kg, e producono<br />
lombi e costine adatti per macelleria, carni mature per insaccati, tagli idonei per le<br />
produzioni tipiche (coppa, pancetta) e cosce idonee per le DOP nazionali dei prosciutti.<br />
La situazione <strong>del</strong> comparto in Europa e in Italia<br />
Il numero di suini in Europa è di oltre 190 milioni di capi (FAOSTAT, 2011), di cui<br />
27,1 milioni in Germania, 26,1 in Spagna e 18,1 in Polonia (Figura 1).<br />
I dati <strong>del</strong>la Banca Dati Nazionale <strong>del</strong>l’anagrafe zootecnica (BDN, 2012) riportano alla<br />
data <strong>del</strong> 30 giugno 2012 un numero complessivo di allevamenti suini classificati come<br />
1
“non familiari” di 34497, corrispondenti a 8,7 milioni di suini allevati, di cui 726474 fra<br />
scrofe e scrofette, e circa 12000 verri (Figura 2).<br />
Figura 1. Principali produzioni suinicole in Europa<br />
13.7<br />
14.7<br />
11.6<br />
Primi 10 Paesi Europei con il maggiore numero di suini<br />
<br />
9.3<br />
15.9<br />
8.1<br />
Germania Spagna Polonia Federazione Russa Francia Danimarca Olanda Italia Ucraina<br />
La maggior parte degli allevamenti e dei suini è presente nelle Regioni ammesse alla<br />
produzione di suini per la produzione di cosce <strong>del</strong> circuito DOP (Piemonte, Lombardia,<br />
Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio e<br />
Abruzzo) e fra queste Lombardia, Piemonte e Emilia Romagna comprendono l’80% dei<br />
capi allevati (Tabella 1).<br />
Nel Friuli Venezia Giulia sono stati censiti oltre 1900 allevamenti, ivi compresi quelli<br />
rurali e a carattere familiare, per circa 229.000 capi allevati. Gli allevamenti classificati<br />
come non familiari sono 1020 e, di questi, 568 sono situati nella provincia di Udine,<br />
mentre nella provincia di Pordenone sono presenti la gran parte di suini all’ingrasso e,<br />
in particolare, di scrofaie (Figura 3).<br />
2<br />
27.1<br />
18.1<br />
26.1
Tabella 1. Consistenza degli allevamenti censiti non familiari e dei rispettivi capi suini<br />
allevati nel 2012 nelle Regioni ammesse dal disciplinare Prosciutto di Parma e di San<br />
Daniele e in Italia<br />
Allevamenti Suini Scrofe Verri<br />
Piemonte 1609 1159202 72877 877<br />
Lombardia 3395 4629377 357524 3617<br />
Veneto 2218 627782 52734 561<br />
Friuli Venezia Giulia 1020 254026 26274 196<br />
Emilia Romagna 1632 1161130 74055 1062<br />
Toscana 1522 118345 11139 654<br />
Umbria 909 197755 13005 351<br />
Marche 2152 88170 7475 230<br />
Lazio 909 28249 3511 253<br />
Abruzzo 908 53094 7581 336<br />
Totale DOP 16274 8317130 626175 8137<br />
Totale Italia 34497 8677222 726474 11716<br />
Gli allevamenti riconosciuti a fini <strong>del</strong>la DOP sono molto inferiori e, secondo una<br />
rilevazione <strong>del</strong> 2011, pari a 107, di cui 80 con solo ingrasso e 9 con solo la riproduzione<br />
(5 in provincia di Pordenone e 4 in provincia di Udine). Secondo le rilevazioni ufficiali<br />
<strong>del</strong>l’INEQ, il numero totale di partite controllate nel 2010 in Friuli Venezia Giulia sono<br />
state 2893 (3005 nel 2009), per un totale di 354977 suini certificati e macellati per la<br />
DOP San Daniele (373842 nel 2009). Il contributo degli allevamenti <strong>del</strong> Friuli Venezia<br />
Giulia alla DOP San Daniele è stato di 561797 cosce (su 677906 controllate, con una<br />
percentuale di cosce non conformi <strong>del</strong> 17,2%). Questi dati indicano una concentrazione<br />
<strong>del</strong>la suinicoltura in tre regioni <strong>del</strong> circuito tutelato (Lombardia, Emilia-Romagna e<br />
Piemonte) e <strong>del</strong>ineano una dimensione ridotta <strong>del</strong> sistema suinicolo friulano, a fronte<br />
<strong>del</strong>la presenza di produzioni DOP e IGP di rilevante importanza a livello nazionale ed<br />
internazionale.<br />
3
Figura 2. Consistenza degli allevamenti censiti non familiari e dei rispettivi capi suini<br />
allevati nel 2012 nelle Regioni italiane<br />
4
Figura 3. Distribuzione degli allevamenti e dei suini nelle provincie <strong>del</strong> Friuli Venezia<br />
Giulia nel 2012<br />
5
Criticità <strong>del</strong>le DOP<br />
I dati riportati da IPQ-INEQ per l’anno 2011 indicano un numero di suini certificati e<br />
macellati per le DOP pari a 7857836, corrispondenti a 12944125 di cosce avviate dai<br />
macelli alla lavorazione per le DOP, di cui 8313539 per la DOP Parma e 2497140 per la<br />
DOP San Daniele. Le verifiche di idoneità in macello e nello stabilimento di<br />
stagionatura determinano uno scarto di circa il 25%, con un aumento dei costi imposti al<br />
circuito, che ricadono spesso sugli <strong>allevatori</strong>. Le motivazioni di non conformità <strong>del</strong>la<br />
materia prima in ingresso negli stabilimenti di stagionatura sono diverse, anche se<br />
prevalgono quelle che riguardano la componente grassa, che inciderebbero fino al 20%<br />
in totale e per il 15,7% per la grassinatura (IPQ).<br />
L’elevata percentuale di non conformità <strong>del</strong>le cosce, in particolare per i difetti quali<br />
spessore <strong>del</strong> grasso, magroni, emorragie e reticolo venoso rappresentano quindi una<br />
<strong>del</strong>le principali criticità <strong>del</strong>l’allevamento suino per le DOP, alle quali vanno aggiunte<br />
quelle che riguardano la fase d’allevamento:<br />
- le variabilità dei tipi genetici allevati;<br />
- il raggiungimento precoce <strong>del</strong> peso vivo ammesso dal disciplinare;<br />
- la difformità di alimentazione e dei piani alimentari utilizzati;<br />
- i cali di peso <strong>del</strong>la coscia e <strong>del</strong>le carni per un eccesso di “drip losses”.<br />
La situazione degli allevamenti suinicoli <strong>del</strong> Friuli Venezia Giulia si è ulteriormente<br />
aggravata in seguito alla notifica e al richiamo di prescrizioni <strong>del</strong>la circolare unificata<br />
Istituto Parma Qualità (IPQ) e Istituto Nord Est Qualità (INEQ) n. 3/2008 <strong>del</strong> 8 aprile<br />
2008 (DG-3679.1) che prevede limitazioni sulla provenienza da altre regioni di cosce<br />
suine fresche da utilizzate nella lavorazione di alcune DOP.<br />
In base a questa circolare, i macelli ed i laboratori di sezionamento sono quindi tenuti,<br />
con decorrenza dal 1 luglio 2008 a una serie di limitazioni fra le quali riportiamo le<br />
principali:<br />
esclusione <strong>del</strong>le cosce fresche provenienti dal Friuli Venezia Giulia o recanti un<br />
tatuaggio che ne attesta una origine corrispondente alle partite destinate alla DOP<br />
“Parma”;<br />
divieto ai macelli e ai laboratori di sezionamento ubicati e riconosciuti nella regione<br />
Friuli Venezia Giulia di fornire cosce suine nel distretto <strong>del</strong>la DOP “Parma” (e<br />
6
“Modena”) e, quindi, di utilizzare il proprio timbro PP per cosce con la medesima<br />
destinazione;<br />
divieto per i prosciuttifici operanti nel distretto <strong>del</strong>la DOP “Parma” (sempre dal 1<br />
luglio 2008) di omologare ai fini <strong>del</strong>la DOP eventuali cosce fresche aventi origine o<br />
provenienza da allevamenti, macelli e laboratori di sezionamento ubicati nella<br />
Regione Friuli Venezia Giulia;<br />
impiego <strong>del</strong>le cosce ottenute da suini nati e allevati o macellati in Friuli Venezia<br />
Giulia solo nei distretti <strong>del</strong>le DOP “San Daniele”, “Veneto-BE” e “Toscano”; per le<br />
relative procedure di identificazione, selezione e conferimento sono in corso<br />
apposite separate istruzioni per il trattamento <strong>del</strong>le partite omogenee di suini<br />
provenienti dal Friuli Venezia Giulia o nati ovvero macellati nella regione.<br />
Nel 2011, la Direzione Generale <strong>del</strong> Controllo <strong>del</strong>la Qualità e Repressione Frodi <strong>del</strong><br />
MIPAAF ha autorizzato e reso esecutivo il programma di integrazione e di<br />
completamento <strong>del</strong> piano di controllo <strong>del</strong>le DOP, in base alle indicazione elaborate<br />
dall’Istituto Parma Qualità e dall’Istituto Nord Est Qualità per l’applicazione dei<br />
rispettivi disciplinari in materia di classificazione <strong>del</strong>le carcasse suine, resa<br />
definitivamente obbligatoria ai sensi <strong>del</strong>la legge n. 96 <strong>del</strong> 4 giugno 2010, articolo 27.<br />
La circolare unificata <strong>del</strong>l’Istituto Parma Qualità e <strong>del</strong>l’Istituto Nord Est Qualità n.<br />
7/2001 <strong>del</strong> 25 giugno 2011 ha reso quindi operativa l’applicazione dei requisiti di<br />
conformità <strong>del</strong>la classificazione <strong>del</strong>le carcasse suine, che prevede che a decorrere dal 1<br />
luglio 2011 i suini destinati al circuito <strong>del</strong>le DOP e <strong>del</strong>le IGP, devono avere un peso<br />
<strong>del</strong>la carcassa superiore a 110,1 kg (classi H, suino pesante), devono essere comprese<br />
nelle classi centrali di carnosità (U-R-O) <strong>del</strong>la classificazione europea e devono<br />
riportare il relativo timbro (Tabella 2). Inoltre, le cosce devono rispondere a dei requisiti<br />
di conformità, pena l’esclusione dalle DOP. La cause di non conformità sono riportate<br />
in tabella 3.<br />
La classificazione EUROP <strong>del</strong>le carcasse è realizzata con una strumentazione<br />
denominata FOM, acronimo di Fat-O-Meater, che consiste in una sonda <strong>del</strong> diametro 6<br />
mm contenente un fotodiodo Siemens SFH 960 e un foto rilevatore SFH 960, o con lo<br />
strumento l’HGP, acronimo di Hennessy Grading Probe, un apparecchio provvisto di<br />
una sonda <strong>del</strong> diametro di 5,95 mm (6,3 mm per quanto riguarda la lama all’estremità<br />
7
<strong>del</strong>la sonda) e contenente un fotodiodo (LED Siemens <strong>del</strong> tipo LYU 260-EO e un<br />
fotodetettore <strong>del</strong> tipo 58 MR).<br />
Tabella 2. Requisiti di conformità <strong>del</strong>le carcasse suine per le DOP riportati nella<br />
circolare unificata <strong>del</strong> 25 giugno 2011<br />
Tenore in carne magra > 55 > 50 < 55 > 45 < 50 > 40 < 45 < 40<br />
Classificazione europea<br />
Peso carcassa<br />
E U R O P<br />
< 110 kg NC NC NC NC NC<br />
> 110,1 kg NC C C C NC<br />
Le misure <strong>del</strong>lo spessore <strong>del</strong> lardo dorsale e <strong>del</strong> muscolo Longissimus Dorsi nel punto<br />
di inserzione <strong>del</strong>la sonda sono effettuate tra la terza e la quartultima costa a 8 cm<br />
lateralmente alla linea mediana <strong>del</strong>la carcassa. L’infissione <strong>del</strong>la sonda, in conseguenza<br />
di come la carcassa può ruotare o di come viene impugnato lo strumento, può<br />
determinare variazione degli spessori di lardo e di magro misurati. Il FOM utilizza le<br />
equazioni fornite dal MIPAAF col Decreto <strong>del</strong>l’11 luglio 2002 (“Modalità di<br />
applicazione <strong>del</strong>la tabella comunitaria di classificazione <strong>del</strong>le carcasse di suino per<br />
calcolare la percentuale di carne magra stimata <strong>del</strong>la carcassa”).<br />
Per il suino pesante (carcasse di peso compreso tra 110,1 e 155 kg):<br />
Y = 45,371951 - 0,221432 X1 + 0,055939X2 + 2,554674X3 ;<br />
Per il suino leggero (carcasse di peso compreso tra 70 e 110 kg)<br />
Y = 53,630814 - 0,436960 X1 + 0,043434X2 + 1,589929X3;<br />
dove:<br />
Y = percentuale stimata di carne magra <strong>del</strong>la carcassa;<br />
X1 = spessore in millimetri <strong>del</strong> lardo dorsale (compresa la cotenna), misurato tra la terza<br />
e la quart'ultima costa a 8 cm lateralmente alla linea mediana <strong>del</strong>la carcassa;<br />
X2 = spessore in millimetri <strong>del</strong> muscolo Longissimus Dorsi misurato nello stesso punto<br />
e nello stesso momento di X1;<br />
X3 = rapporto tra X2 e X1.<br />
8
Le applicazioni di quanto riportato nelle circolari unificate hanno spinto a definire un<br />
progetto per qualificare il prodotto mediante la definizione di caratteristiche genetiche<br />
dei suini adeguate alle produzioni DOP e a quelle locali e per la valorizzazione <strong>del</strong>la<br />
carne e dei salumi.<br />
Il Progetto Regionale<br />
La legge regionale 28 dicembre 2007, n. 30 (legge strumentale alla manovra di bilancio<br />
2008) indica al comma 23 <strong>del</strong>l’art. 1 un intervento che ”favorisce i processi di sviluppo<br />
e di miglioramento <strong>del</strong>le qualità lungo l’intera filiera e rafforza le garanzie per il<br />
consumatore”. Al comma 24, lettera b), è previsto un piano quinquennale di<br />
qualificazione genetica dei suini, affidato all’Associazione Allevatori <strong>del</strong> Friuli Venezia<br />
Giulia, in collaborazione con l’Università di Udine e d’intesa con il Consorzio <strong>del</strong><br />
Prosciutto di San Daniele.<br />
Il presente progetto di ricerca per la qualificazione genetica <strong>del</strong> settore suinicolo si pone<br />
come obiettivo primario la valorizzazione <strong>del</strong>la produzione suinicola destinata ai circuiti<br />
<strong>del</strong>le DOP, GSP Gran Suino Padano (carni fresche) e Prosciutto di San Daniele e<br />
<strong>del</strong>l’IGP Sauris e carni ed insaccati con marchio AQUA (prodotto trasformato).<br />
Il progetto, come indicato al comma 23 <strong>del</strong>la legge, è strutturato lungo l’intera filiera<br />
produttiva ed è attuato secondo un piano di attività che considera la base genetica,<br />
l’alimentazione, la macellazione, la qualità tecnologica ed igienico sanitaria e la<br />
tracciabilità dei prodotti stagionati o destinati al consumo come carni fresche.<br />
L’approccio di filiera rappresenta un importante aspetto <strong>del</strong> progetto, in quanto<br />
consentirà agli allevamenti, ai macelli ed alle industrie un aumento <strong>del</strong>l’efficienza<br />
produttiva dei suini e <strong>del</strong>la qualità <strong>del</strong>le carcasse, fattori in grado di incidere in maniera<br />
positiva sul reddito complessivo <strong>del</strong> sistema suinicolo.<br />
Considerata la dimensione <strong>del</strong> sistema suinicolo Regionale diventa strategico perseguire<br />
una politica di qualificazione <strong>del</strong>le produzioni locali abbinata ad un aumento <strong>del</strong>le<br />
dimensioni, in considerazione <strong>del</strong>l’obbligo di conferire ai prosciuttifici <strong>del</strong> circuito San<br />
Daniele cosce provenienti da suini allevati in Regione.<br />
9
Tabella 3. Codice ufficiale di inidoneità (CUI) Elenco <strong>del</strong>le cause di non conformità<br />
<strong>del</strong>le cosce (SNC025) e di quelle a carico <strong>del</strong>l’allevatore, come stabilito dagli istituti di<br />
controllo (Circolare ANAS <strong>del</strong> 06.10.2008)<br />
CUI Tipo di non conformità Responsabilità<br />
1.A Temperatura interna (-1°C + 4°C)<br />
1.B Peso unitario inferiore a 11 kg Allevatore<br />
1.C Coscia priva di zampino<br />
1.D Composizione <strong>del</strong>la partita inferiore a 50 unità di prosciutto<br />
2.A Presenza di sangue nei vasi principali<br />
2.B Microemorragie (esiti puntiformi variamente dimensionati e<br />
diffusi)<br />
2.C Reticolo venose superficiale esteso e marcato<br />
3.A Scarso grasso di copertura (convenzionalmente magroni) Allevatore<br />
3.B Scarsa consistenza di grasso Allevatore<br />
3.C Alterazioni cromatiche <strong>del</strong> grasso Allevatore<br />
3.D Eccessiva infiltrazione <strong>del</strong> grasso nella massa muscolare Allevatore<br />
(convenzionalmente “grassinatura”)<br />
3.E Assenza di grasso in corona Allevatore<br />
4.A Sfesature<br />
4.B Strappi (smagliatura tra i fasci muscolari)<br />
4.C Carne PSE – DFD Allevatore<br />
5.A Lesioni di origine traumatica<br />
5.B Presenza di cisti, verruche, irritazioni cutanee e sottocutanee,<br />
etc.<br />
5.C Ematomi<br />
6.A Scopertura eccessiva in corona<br />
6.B Noce mancante<br />
6.C Anchetta incrinata, mancante o sollevata<br />
6.D Rifilatura (presenza di carne in eccesso)<br />
6.E Parte muscolare scoperta<br />
6.F Asportazione di ampie porzioni <strong>del</strong>la cotenna<br />
6.G Presenza di setole<br />
7 Manca o indecifrabile il timbro PP<br />
8 Manca la DCM <strong>del</strong> macello<br />
9 Tatuaggio assente o irriconducibile<br />
10 Casi non previsti da specificare<br />
11 Apposizione <strong>del</strong> sigillo di omologazione oltre le 120 ore dalla<br />
macellazione<br />
12 Tatuaggi non conformi riscontrati<br />
13 Esiti non conformi <strong>del</strong>la classificazione <strong>del</strong>le carcasse<br />
14 Peso unitario superiore a kg 11 ma inferiore a kg 12<br />
10
Per tale motivo, lo strumento di ricerca e di sviluppo più idoneo è stato la stesura di un<br />
progetto, che ha interessato in fase di applicazione un numero limitato di aziende<br />
zootecniche, ma che ha l’obiettivo di mettere a disposizione a tutte le aziende <strong>del</strong> settore<br />
le conoscenze scientifiche e le acquisizioni tecniche operative.<br />
Le motivazioni <strong>del</strong>l’intervento pubblico, richiamate nella stessa legge regionale 28<br />
dicembre 2007, n. 30, risiedono nella necessità di garantire un aumento <strong>del</strong>la<br />
potenzialità produttiva <strong>del</strong> sistema suinicolo locale, fornendo agli <strong>allevatori</strong> e agli<br />
operatori <strong>del</strong> settore gli strumenti conoscitivi e tecnici per migliorare la qualificazione<br />
dei prodotti locali e la redditività <strong>del</strong>la filiera. Le misure intendono infatti incentivare il<br />
miglioramento <strong>del</strong>la qualità dei prodotti agricoli e si propongono di accrescere il valore<br />
<strong>del</strong>la produzione agricola, agevolando l’adattamento <strong>del</strong> settore alla domanda dei<br />
consumatori, sempre più esigenti in termini di qualità totale.<br />
Riferimenti bibliografici<br />
BDN, 2012. Dati forniti dalla Banca Dati Nazionale <strong>del</strong>l’Anagrafe Zootecnica<br />
istituita dal Ministero <strong>del</strong>la Salute presso il CSN <strong>del</strong>l’istituto “G. Caporale” di<br />
Teramo.<br />
FAOSTAT, 2011. http://faostat.fao.org/<br />
11
Allevamento e qualità <strong>del</strong>le produzioni <strong>del</strong> suino<br />
Sandy Sgorlon, Denis Guiatti, Bruno Stefanon, Carla Fabro, Piero Susmel<br />
Dipartimento di Scienze Agrarie ed Ambientali – Università di Udine<br />
Introduzione<br />
L’obiettivo tecnico economico <strong>del</strong>l’allevamento <strong>del</strong> suino è quello di promuoverne<br />
l’accrescimento, cioè l’aumento di peso vivo dalla nascita all’età adulta, e lo sviluppo,<br />
ovvero il cambiamento <strong>del</strong>la forma, <strong>del</strong>la conformazione e <strong>del</strong>la composizione<br />
<strong>del</strong>l’organismo che si può rilevare durante l’accrescimento. L’andamento tipico <strong>del</strong> peso<br />
vivo di maschi castrati e femmine in funzione <strong>del</strong>l’età, misurato in allevamento, è<br />
rappresentato in figura 1 e nella tabella 1, dove sono stati riportati i pesi e gli<br />
accrescimenti giornalieri ad età tipiche.<br />
Alla nascita, il suinetto dei tipi genetici idonei alla produzione <strong>del</strong> suino pesante pesa<br />
mediamente 1,2 kg e viene svezzato negli allevamenti intensivi all’età di 21-28 giorni,<br />
ad un peso compreso fra 6 e 8 kg. La numerosità <strong>del</strong>la nidiata incide negativamente sia<br />
sul peso individuale alla nascita sia su quello allo svezzamento, anche se il peso totale<br />
<strong>del</strong>la nidiata è spesso più elevato in quelle più numerose.<br />
In base alla terminologia zootecnica, durante l’allattamento il suinetto viene denominato<br />
“lattonzolo” (suinetto sotto scrofa) e diventa lattone dallo svezzamento (3-4 settimane di<br />
vita) al peso vivo di 25-30 kg (10-12 settimane di vita). Successivamente, l’animale<br />
allevato per l’accrescimento viene denominato magroncello fino a 50 kg di peso vivo,<br />
poi magrone, fino a circa 100 kg di peso vivo. L’ultima fase è quella <strong>del</strong> “grasso”, che<br />
va dai 100 kg alla macellazione, verso i 160/170 kg di peso vivo; questa fase viene<br />
anche distinta in un primo periodo di ingrasso, fino a 120-130 kg di peso vivo, e in un<br />
secondo periodo di finissaggio, per consentire un copertura di grasso adeguata a quella<br />
richiesta dai disciplinari <strong>del</strong>le DOP.<br />
Il tipo genetico, la disponibilità e il costo degli alimenti, la modalità e la tipologia <strong>del</strong>le<br />
strutture di allevamento e degli impianti di distribuzione <strong>del</strong>le razioni condizionano la<br />
13
velocità di accrescimento, la durata <strong>del</strong>le varie fasi, la qualità <strong>del</strong>la carcassa e quindi<br />
l’efficienza economica <strong>del</strong>l’allevamento.<br />
Figura 1. Andamento dei pesi vivi di maschi castrati e di femmine rilevati in<br />
allevamento<br />
Pesi vivi (kg)<br />
180<br />
150<br />
120<br />
90<br />
60<br />
30<br />
0<br />
0 50 100 150<br />
Età (giorni)<br />
200 250 300<br />
Tabella 1. Pesi vivi ad età tipiche di maschi castrati e di femmine rilevati in<br />
allevamento<br />
Fase<br />
Età<br />
giorni<br />
14<br />
Peso vivo<br />
kg<br />
Accrescimento<br />
kg/giorno<br />
Lattonzolo 30 11 0,35<br />
Lattone 80 32 0,43<br />
Magroncello 120 53 0,55<br />
Magrone 190 100 0,69<br />
Ingasso 230 133 0,83<br />
Finissaggio 270 170 0,94<br />
Alimentazione e fabbisogni nutrizionali<br />
L’alimentazione è uno dei fattori determinanti nell’allevamento <strong>del</strong> suino e il suo costo<br />
incide per circa il 62% su quello totale sia negli allevamenti a ciclo chiuso che in quelli
che attuano la sola fase di ingrasso (CRPA, 2012). Il razionamento e il piano alimentare<br />
devono essere tarati per soddisfare i fabbisogni nutritivi <strong>del</strong>le diverse linee genetiche e<br />
per garantire le performance produttive dei suini, considerando che le richieste di<br />
nutrienti si modificano nel corso <strong>del</strong>l’accrescimento e <strong>del</strong> finissaggio. Una corretta<br />
nutrizione, precision feeding, concorre inoltre in modo sostanziale allo stato di<br />
benessere e di salute degli animali, consentendo di ridurre l’impiego di farmaci e<br />
l’impatto ambientale derivante dalle immissione di azoto e di fosforo nelle acque e nel<br />
suolo e dalle emissioni di gas serra.<br />
I fabbisogni nutrizionali sono definiti in base alla crescita dei tessuti ed il recente<br />
sistema americano <strong>del</strong>l’NRC <strong>del</strong> 2012 prevede di considerare il contenuto dietetico di<br />
proteina ideale, la digeribilità ileale degli aminoacidi, e l’energia netta, modificando in<br />
parte i parametri presi in considerazione nell’edizione <strong>del</strong> 1988 e quelli proposti<br />
dall’INRA nel 1984, che si riferivano al contenuto di proteina grezza, di lisina ed altri<br />
aminoacidi, di energia digeribile e metabolizzabile.<br />
Per un’applicazione efficace dei piani di razionamento e di alimentazione, è necessario<br />
conoscere il potenziale di accrescimento <strong>del</strong> genotipo allevato e per questo è importante<br />
conoscere principalmente i seguenti parametri (Schinckel e de Lange, 1996):<br />
1. accrescimento proteico;<br />
2. ripartizione <strong>del</strong>l’energia ingerita fra proteina e grasso al di sopra dei fabbisogni<br />
di mantenimento;<br />
3. ingestione giornaliera di sostanza secca e di energia.<br />
Il principale limite all’individuazione <strong>del</strong> piano nutritivo nel corso <strong>del</strong>l’accrescimento è<br />
la mancanza di un metodo scientifico corretto per stimare questi parametri (Schinckel,<br />
1994a) e quindi determinare gli esiti economici.<br />
La deposizione di proteina determina i fabbisogni nutritivi per l’accrescimento, la<br />
composizione <strong>del</strong>l’incremento di peso vivo e la risposta <strong>del</strong>l’animale al piano<br />
alimentare e alle migliorie <strong>del</strong>la gestione <strong>del</strong>l’allevamento. In Figura 2 sono riportate le<br />
curve ottimali di deposizione di proteina di suini ad alto, medio e basso potenziale di<br />
crescita, dalle quali si può osservare come le differenze legate al genotipo diventino più<br />
elevate dopo i 90 kg di peso vivo. In linea generale, i genotipi caratterizzati da una<br />
maggiore deposizione di proteina fino a 90 kg continuano a mantenere una velocità di<br />
sintesi superiore anche dopo, rispetto ai suini con un potenziale di accrescimento<br />
15
inferiore. In ogni caso, per sviluppare il potenziale genetico di accrescimento, i suini<br />
devono essere alimentati con diete non limitanti dal punto di vista nutrizionale. Le diete<br />
carenti di proteina limitano l’accrescimento, ma se viene ristabilito un corretto livello<br />
proteico, entro certi limiti, si induce un accrescimento di tipo compensativo.<br />
Figura 2. Curve ottimali di deposizione di proteina per suini con genotipo ad alto,<br />
medio e basso potenziale di crescita.<br />
Deposizione proteica, g/d<br />
160<br />
140<br />
120<br />
100<br />
80<br />
60<br />
40<br />
20 40 60 80 100 120 140<br />
Peso vivo, kg<br />
Alto Medio Basso<br />
Fra i metodi per stimare la curva di deposizione proteica, i più immediati si basano sulla<br />
misura ecografica <strong>del</strong>lo spessore <strong>del</strong> grasso e <strong>del</strong>l’area <strong>del</strong> muscolo Longissimus dorsi<br />
in diversi momenti <strong>del</strong>l’accrescimento o sulla stima allometrica <strong>del</strong>la massa magra<br />
durante l’accrescimento (Schinckel et al., 2008). Tuttavia, queste equazioni sono state<br />
sviluppate per i suini leggeri e la loro capacità di previsione per i genotipi selezionati<br />
per la produzione <strong>del</strong>le DOP italiane richiede una validazione.<br />
Il secondo parametro richiesto per caratterizzare il genotipo è il criterio di ripartizione<br />
<strong>del</strong>l’energia ingerita tra la deposizione di tessuti proteici ed adiposi. In generale,<br />
all’aumentare <strong>del</strong>l’energia ingerita si osserva una risposta lineare <strong>del</strong>la proteina<br />
depositata fino ad arrivare a un plateau (Figura 3), che rappresenta il punto nel quale si<br />
realizza la massima deposizione proteica. Superato questo punto, l’energia ingerita<br />
16
viene utilizzata per la deposizione di grasso, con un conseguente cambiamento <strong>del</strong>la<br />
composizione <strong>del</strong>l’accrescimento. L’aumento <strong>del</strong>l’ingestione di energia nei suini con un<br />
potenziale di accrescimento magro più elevato comporta una deposizione proteica<br />
maggiore ed il rapporto fra l’accrescimento magro e l’ingestione di energia condiziona<br />
la ripartizione fra deposito di grasso e di proteina. Un’ingestione moderata di energia<br />
nell’intervallo di peso compreso fra 10 e 40 kg limita l’accrescimento corporeo, mentre<br />
un aumento di ingestione energetica in questo periodo rappresenta un ottimo strumento<br />
per ridurre l’indice di conversione alimentare, in quanto aumenta l’efficienza<br />
<strong>del</strong>l’utilizzo per l’accrescimento di massa magra.<br />
Figura 3. Relazione fra velocità di deposizione proteica e ingestione di energia in suini<br />
di 53 kg di peso vivo appartenenti a tre genotipi. La deposizione proteica massima è<br />
pari a 110, 150 e 150 g per i suini con una potenzialità genetica di accrescimento alta,<br />
media o bassa; il coefficiente angolare <strong>del</strong>le tre rette è rispettivamente pari a 21,3, 24,8<br />
e 28,3 g proteina/Mcal EM (energia metabolizzabile).<br />
Deposizione proteica, g/d<br />
160<br />
150<br />
140<br />
130<br />
120<br />
110<br />
100<br />
90<br />
80<br />
70<br />
60<br />
4 5 6 7 8 9 10<br />
Ingestione EM, Mcal/d<br />
Basso Medio Alto<br />
17
Nelle fasi successive si osserva una progressiva riduzione <strong>del</strong>l’efficienza di<br />
utilizzazione <strong>del</strong>l’energia per l’accrescimento. Fino a 70-90 kg di peso vivo, una<br />
restrizione energetica che non superi il 70-80% dei fabbisogni rappresenta un metodo<br />
per mantenere la conversione alimentare su livelli di convenienza. I genotipi<br />
caratterizzati da un alto potenziale di accrescimento proteico richiedono meno energia<br />
per raggiungere lo stesso peso vivo dei suini che depositano preferenzialmente grasso,<br />
ma al contempo, sono più sensibili alla restrizione energetica. Inoltre, la riduzione<br />
eccessiva <strong>del</strong>l’ingestione di energia nei genotipi magri comporta una diminuzione <strong>del</strong>la<br />
velocità di accrescimento, sia in termini assoluti che percentuali. Proseguendo con<br />
l’allevamento, si osserva un’ulteriore riduzione <strong>del</strong>l’accrescimento proteico e un<br />
deposito preferenziale di tessuto adiposo a partire dal peso di 110-120 kg.<br />
L’ingestione di energia condiziona in modo fondamentale l’intensità e la qualità<br />
<strong>del</strong>l’accrescimento <strong>del</strong> suino e deve essere commisurata al genotipo. Il costo energetico<br />
per la deposizione di proteina e di grasso ha un valore medio di 10,5 e 12,6 Mcal di<br />
energia metabolizzabile per kg, rispettivamente. Conoscendo quindi il potenziale di<br />
accrescimento di proteina e di grasso nei suini alimentati ad libitum ed i fabbisogni di<br />
mantenimento si può prevedere l’incremento ponderale in funzione <strong>del</strong>l’energia<br />
ingerita. In altri termini, le curve di ingestione di energia nel corso <strong>del</strong>l’allevamento <strong>del</strong><br />
suino all’ingrasso sono regolate dalla velocità di deposizione <strong>del</strong>la proteina e <strong>del</strong> grasso.<br />
Quando il costo <strong>del</strong>l’alimentazione ha un’alta incidenza sul costo totale di produzione e<br />
la qualità <strong>del</strong>la carcassa condiziona il prezzo <strong>del</strong> suino, l’efficienza di trasformazione in<br />
grasso e in proteina è più importante <strong>del</strong>la velocità di accrescimento. Le linee genetiche<br />
selezionate per un accrescimento magro e per un’elevata efficienza alimentare hanno<br />
sostanzialmente diminuito la capacità di ingestione e la variazione di questo parametro,<br />
rispetto ai genotipi con un prevalente deposito di grasso, può essere superiore al 30%<br />
(Schinckel, 1994b).<br />
I fattori ambientali e stressanti, quali malattie, densità di allevamento, confort termico e<br />
qualità <strong>del</strong>l’aria, incidono sull’efficienza produttiva dei suini, limitando il potenziale di<br />
accrescimento e di deposizione di proteina degli animali negli allevamenti commerciali,<br />
anche in condizioni di regime alimentare ad libitum e di diete ad alta densità energetica.<br />
Per questi motivi, si preferisce distinguere le “condizioni ottimali di accrescimento<br />
proteico” dalle “condizioni operative di accrescimento proteico”; le prime si riferiscono<br />
ai valori potenziali e le seconde a quelli che si ottengono negli allevamenti commerciali<br />
18
(Figura 4). In altri termini, le condizioni ambientali limitano in misura diversa il<br />
potenziale genetico degli animali e le curve di accrescimento proteico possono essere<br />
utilizzate per capire quanto incidano le condizioni operative <strong>del</strong>l’allevamento<br />
sull’estrinsecazione <strong>del</strong> potenziale di deposizione proteica. La conoscenza di questi<br />
parametri rappresenta uno strumento operativo di estremo interesse per l’allevatore, in<br />
quanto consente di valutare il rapporto costi/benefici degli interventi per il<br />
miglioramento <strong>del</strong>la gestione ambientale <strong>del</strong>l’allevamento.<br />
Figura 4. Curve di deposizione proteica in condizioni ottimali (Ideale) e in condizioni<br />
operative <strong>del</strong>l’allevamento di diversa qualità (Schinckel e de Lange, 1996).<br />
Accrescimento proteico, g/d<br />
160<br />
140<br />
120<br />
100<br />
80<br />
60<br />
40<br />
0 50 100<br />
Peso vivo, kg<br />
150 200<br />
Ideale Media Sotto Sopra<br />
Dal punto di vista alimentare, la composizione in aminoacidi <strong>del</strong>la proteina è un aspetto<br />
di fondamentale rilevanza per permettere al suino di esprimere il proprio potenziale di<br />
accrescimento. In un suino di 60 kg che ingerisce 300 g di proteina con la dieta, solo il<br />
29,5% <strong>del</strong>la proteina viene depositata nel muscolo, corrispondente a 88 g al giorno,<br />
mentre il 14,5% viene perso con le feci e oltre il 50% è escreto nelle urine (Figura 5).<br />
19
Se la composizione in aminoacidi <strong>del</strong>le proteine <strong>del</strong>la dieta si discosta da quella ideale<br />
per il suino, l’efficienza di sintesi muscolare diminuisce. La composizione in<br />
aminoacidi <strong>del</strong>la proteina ideale corrisponde esattamente ai fabbisogni <strong>del</strong>l’animale e ha<br />
un valore biologico pari al 100%.<br />
Figura 5. Utilizzazione digestiva e metabolica <strong>del</strong>la proteina ingerita nel suino a 60 kg<br />
di peso vivo (INRA, 1984)<br />
Proteina ingerita 100%<br />
Tubo digerente<br />
Assorbimento<br />
85.5%<br />
Proteina escreta<br />
con le feci 14.5%<br />
Deposito nel<br />
muscolo<br />
29.5%<br />
Intestino crasso<br />
Proteina ingerita 300g<br />
Tubo digerente<br />
Assorbimento<br />
256g<br />
Proteina escreta<br />
con le feci 43,5g<br />
Sintesi proteica 160%<br />
Deposito nel<br />
muscolo<br />
88g<br />
Muscolo 50%<br />
Sintesi proteica 478g<br />
Intestino crasso<br />
Muscolo 239g<br />
Riutilizzo AA alimentari e<br />
di turnover proteine<br />
corporee<br />
95%<br />
20<br />
Catabolismo 130%<br />
Riutilizzo AA alimentari e<br />
di turnover proteine<br />
corporee<br />
288g<br />
Ossidazione<br />
34.5%<br />
tFegato<br />
Proteina escreta in forma di urea<br />
con le urine 52%<br />
Catabolismo 390g<br />
Ossidazione<br />
102g<br />
tFegato<br />
Proteina escreta in forma di urea<br />
con le urine 156g<br />
Pelle<br />
setole<br />
2.5%<br />
Pelle<br />
setole<br />
8 g
Per questo motivo, spesso si ricorre all’integrazione <strong>del</strong>le diete dei suini con aminoacidi<br />
liberi, lisina e metionina in particolare, al fine di assicurare un valore biologico<br />
adeguato (Tabella 2). Nel corso <strong>del</strong>l’accrescimento, i fabbisogni di aminoacidi e<br />
l’efficienza <strong>del</strong>la sintesi proteica non si modificano di molto e la composizione <strong>del</strong>la<br />
proteina ideale rimane sufficientemente costante (Tabella 3).<br />
Tabella 2. Apporti ideali di aminoacidi nel suino in rapporto alla lisina per il<br />
mantenimento, l’accrescimento proteico e la produzione di latte (NRC, 1998)<br />
Aminoacido Mantenimento Accrescimento Produzione di latte<br />
Lisina 100 100 100<br />
Istidina 32 32 40<br />
Isoleucina 75 54 55<br />
Leucina 70 102 115<br />
Metionina + Cistina 123 55 45<br />
Fenilalanina + Tirosina 121 93 112<br />
Treonina 151 60 58<br />
Triptofano 26 18 18<br />
Valina 67 68 85<br />
Tabella 3. Composizione <strong>del</strong>la proteina ideale per il suino in accrescimento espressa in<br />
valori relativi alla lisina (Baker, 1997)<br />
Aminoacido 17 kg 35 kg 70 kg<br />
Lisina 100 100 100<br />
Metionina + Cistina 60 65 70<br />
Treonina 65 67 70<br />
Triptofano 21 21 22<br />
Isoleucina 60 60 60<br />
Leucina 100 100 100<br />
Valina 68 68 68<br />
21
Risulta pertanto importante da una parte controllare il valore biologico <strong>del</strong>la proteina<br />
alimentare e dall’altro adeguare le quantità distribuite in funzione <strong>del</strong>le esigenze per la<br />
sintesi di proteina muscolare.<br />
La macellazione e la qualità <strong>del</strong>la carne suina<br />
La qualità <strong>del</strong>la carne suina dipende da numerosi fattori legati all’allevamento, ma più<br />
degli altri, dalla gestione <strong>del</strong>l’animale prima <strong>del</strong>la macellazione e dalla tecnica di<br />
macellazione. Tuttavia, ci sono numerose evidenze scientifiche che indicano come<br />
l’alimentazione interagisca in modo considerevole con questi fattori e sia in grado di<br />
correggere o di peggiorare la qualità <strong>del</strong>la carne suina.<br />
Da un punto di vista tecnologico e organolettico la qualità <strong>del</strong>la carne suina si riferisce<br />
al pH, al colore, alla consistenza, alla marezzatura, alla shelf-life, all’appetibilità, al<br />
colore <strong>del</strong> grasso, alla composizione chimica, al valore nutrizionale ed alle<br />
caratteristiche igieniche e sanitarie e dipende in larga misura dal contenuto di grasso<br />
intramuscolare. Nel concetto di qualità per i consumatori, assumono importanza anche<br />
altri parametri, associati agli aspetti <strong>del</strong>l’allevamento connessi all’ambiente, al<br />
benessere animale e a considerazioni etiche. Di seguito riporteremo gli effetti<br />
<strong>del</strong>l’alimentazione sul metabolismo muscolare nel postmortem e quindi sulle<br />
caratteristiche tecnologiche, (pH, colore, capacità di ritenzione <strong>del</strong>l’acqua), sul<br />
contenuto di grasso intramuscolare e sulla composizione <strong>del</strong> grasso.<br />
Durante la fase di macellazione e raffreddamento <strong>del</strong>la carcassa, il metabolismo<br />
muscolare passa da aerobico ad anaerobico, con la produzione e l’accumulo di acido<br />
lattico. Nel caso di un eccesso di accumulo di acido lattico, il pH scende rapidamente in<br />
presenza di una temperatura <strong>del</strong>la carcassa ancora elevata, causando la denaturazione<br />
<strong>del</strong>le proteine muscolari e lo sviluppo <strong>del</strong> difetto PSE (Pale, Soft, Exudative). Il rapido<br />
declino <strong>del</strong> pH muscolare dipende da una predisposizione genetica (presenza di una<br />
mutazione <strong>del</strong> gene “alotano”, Ryanodine Receptor, RYR1), dallo stress premacellazione<br />
o da entrambi. Al contrario, quando le riserve muscolari di glicogeno sono<br />
ridotte, la produzione di acido lattico si riduce considerevolmente e il pH finale non<br />
scende al di sotto <strong>del</strong> valore 6,0, causando il difetto noto come DFD (Dark, Firm, Dry).<br />
Una ridotta quantità di riserve di glicogeno nel muscolo si osserva come combinazione<br />
22
di fattori stressanti e di un aumento <strong>del</strong> consumo di energia nell’animale a digiuno che<br />
si verifica nelle fasi che precedono la macellazione.<br />
Un ulteriore difetto su base genetica è quello causato da una mutazione <strong>del</strong> gene<br />
Rendement Napole (RN-), che comporta un’eccessiva concentrazione di glicogeno<br />
muscolare, con conseguente accumulo di acido lattico intramuscolare e valori finali di<br />
pH inferiori a 5,5. Il colore <strong>del</strong>le carni RSE (Red, Soft, Exudative) non risulta in genere<br />
alterato, e si osserva, invece, una diminuzione <strong>del</strong>la ritenzione idrica, a causa <strong>del</strong>la<br />
perdita di affinità <strong>del</strong>le proteine muscolari per l’acqua.<br />
La mancata somministrazione <strong>del</strong> pasto da 16 a 36 ore prima <strong>del</strong>la macellazione riduce<br />
la concentrazione di glicogeno nel muscolo Longissimus dorsi e mantiene un valore di<br />
pH iniziale e finale più elevato, comportando la produzione di una carne più scura e<br />
con maggiore capacità di ritenzione idrica (Sterten et al., 2009). Nei suini portatori <strong>del</strong><br />
gene RN-, l’efficacia <strong>del</strong>la sospensione <strong>del</strong>l’alimentazione anche per periodi di 60 ore<br />
prima <strong>del</strong>la macellazione non è in grado di modificare il glicogeno muscolare. Un<br />
digiuno inferiore a 16 ore non sembra avere degli effetti apprezzabili sulle riserve di<br />
glicogeno nel muscolo e sulla diminuzione <strong>del</strong> pH postmortem e sulla qualità <strong>del</strong>la<br />
carne.<br />
Lo stress pre-macellazione comporta quindi un utilizzo <strong>del</strong>le riserve di glicogeno ed è<br />
quindi probabile che il mantenimento di condizioni di benessere animale ottimale in<br />
questa fase possa interferire positivamente con la qualità <strong>del</strong>la carne. Una ricerca svolta<br />
da Guzik et al. (2006) ha evidenziato che la somministrazione di diete integrate con<br />
triptofano nei giorni precedenti la macellazione aumenta la produzione di serotonina e<br />
riduce il cortisolo ematico, i fenomeni di aggressività dei suini, il valore L* <strong>del</strong> colore<br />
<strong>del</strong>la carne e il fenomeno carne PSE (Adeola e Ball, 1992). Anche l’integrazione<br />
alimentare con magnesio (Mg) per alcuni giorni prima <strong>del</strong>la macellazione è in grado di<br />
ridurre la PSE ed aumentare il valore di ritenzione <strong>del</strong>l’acqua (Apple, 2007).<br />
Il grasso intramuscolare nella carne suina<br />
La componente probabilmente più rilevante per la percezione <strong>del</strong>la qualità <strong>del</strong>la carne<br />
da parte <strong>del</strong> consumatore è il contenuto di grasso intramuscolare (IMF), che dovrebbe<br />
raggiungere almeno il 2,5-3,0% (DeVol et al., 1988). Il contenuto di IMF da una parte<br />
migliora la qualità organolettica <strong>del</strong>la carne, ma contribuisce ad aumentare i fabbisogni<br />
23
ed a peggiorare l’indice di conversione. Per questo motivo molte linee genetiche di suini<br />
sono state progettate per avere contenuti di IMF più bassi.<br />
Nel caso <strong>del</strong> suino leggero per il consumo diretto <strong>del</strong>le carni fresche, la ridotta qualità<br />
organolettica causata da un basso contenuto di IMF può essere in parte compensata<br />
dalla modalità e dalla tecnica di cottura. Nel suino da salumificio, invece, un basso<br />
contenuto di grasso intramuscolare determina non solo un decadimento qualitativo degli<br />
insaccati, ma anche un peggioramento <strong>del</strong>la qualità tecnologica e <strong>del</strong> processo di<br />
lavorazione. Razze e linee genetiche di suini con un contenuto più elevato di grasso di<br />
marezzatura sono quindi da preferire nelle produzione <strong>del</strong> suino pesante, a patto che i<br />
maggiori costi di alimentazione trovino una compensazione economica e quindi i prezzi<br />
di vendita <strong>del</strong>la carcassa siano più alti.<br />
La qualità <strong>del</strong>la carne suina è influenzata da un gran numero di fattori e diversi studi<br />
hanno sottolineato quanto determinanti siano i fattori genetici (Sellier e Monin, 1994),<br />
rendendo consapevole l’industria che la selezione dei riproduttori e l'utilizzo <strong>del</strong>le<br />
nuove tecnologie genomiche possono giocare un ruolo rilevante nel migliorare la qualità<br />
<strong>del</strong>la carne suina (Tarrant, 1998) e la sostenibilità economica <strong>del</strong>l’allevamento.<br />
La variabilità genetica fra le razze ed entro le razze dei suini influenza sia i risultati<br />
produttivi e riproduttivi sia la qualità tecnologica e organolettica <strong>del</strong>la carne, <strong>del</strong> grasso<br />
e dei prodotti trasformati (Davoli e Braglia, 2007; Fan et al., 2011; Floris et al., 2004;<br />
Fontanesi et al., 2003; Lo Fiego et al., 2005; Stefanon et al., 2004), incidendo in modo<br />
consistente sulle variabili economiche <strong>del</strong> sistema suinicolo.<br />
La deposizione <strong>del</strong> grasso intramuscolare e <strong>del</strong> grasso dorsale non sono necessariamente<br />
correlati (Berg et al., 2003; Stefanon et al., 2004), come appare evidente dai dati<br />
riportati in figura 6, per razze di suini leggeri, e in figura 7, per ibridi di suini pesanti per<br />
la produzione <strong>del</strong>le DOP nazionali.<br />
Effetti significativi <strong>del</strong>la razza su alcune caratteristiche qualitative rilevanti come la<br />
capacità di ritenzione <strong>del</strong>l’acqua, il colore e la tenerezza sono stati riportati in studi<br />
precedenti (Monin et al., 1986; Sellier e Monin, 1994). Il contenuto di grasso<br />
intramuscolare influenza in modo rilevante la capacità di ritenzione <strong>del</strong>l’acqua <strong>del</strong>la<br />
carne (Figura 8), una caratteristica inversamente correlata alle perdite di sgocciolamento<br />
e che incide anche sulla trasformazione in salumi e sulla sapidità <strong>del</strong>le cosce a fine<br />
processo di stagionatura.<br />
24
Figura 6. Quantità di grasso intramuscolare <strong>del</strong> Longissimus dorsi (IMF, %) e spessore<br />
<strong>del</strong> grasso dorsale (BF, cm) di suini di peso vivo di 100 kg appartenenti a razze diverse<br />
(Berg et al., 2003)<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
3.5<br />
2.5<br />
1.5<br />
0.5<br />
Berkshire Chester White Duroc Landrace Poland China<br />
IMF BF<br />
Figura 7. Quantità di grasso intramuscolare <strong>del</strong> Vastus lateralis e <strong>del</strong> Biceps femoris<br />
(%) e spessore <strong>del</strong> grasso dorsale (cm) di suini pesanti (peso vivo > 160 kg)<br />
appartenenti a ibridi diversi ammessi per la produzione <strong>del</strong>la DOP Prosciutto di San<br />
Daniele (Stefanon et al., 2004)<br />
<br />
<br />
25
Figura 8. Relazione fra quantità di grasso intramuscolare <strong>del</strong> Longissimus dorsi (%) e<br />
capacità di ritenzione idrica (WHC, Water Holding Capacity, %) di suini leggeri (peso<br />
vivo 100 kg) appartenenti a diverse razze (Berg et al., 2003)<br />
WHC, unità<br />
0.10<br />
0.08<br />
0.06<br />
0.04<br />
0.02<br />
1.5 2.0 2.5<br />
IMF, %<br />
3.0 3.5<br />
L’alimentazione e i piani alimentari sono l’altra componente in grado di modificare il<br />
contenuto di IMF nella carne suina. Alcune ricerche hanno evidenziato che una strategia<br />
efficace per aumentare il contenuto di grasso intramuscolare nella carne è costituita<br />
dalla riduzione <strong>del</strong>la concentrazione di proteina grezza e di aminoacidi nella dieta.<br />
In tabella 4 sono riportati i risultati ottenuti da alcuni autori su suini allevati fino a un<br />
peso finale compreso fra i 90 e i 110 kg e su razze e genetiche per la produzione di suini<br />
leggeri da macelleria o per consumo diretto. Le percentuali di incremento <strong>del</strong> grasso<br />
intramuscolare causate dalla riduzione <strong>del</strong> contenuto proteico sono variate dal 14% al<br />
176% e quelle legate alla riduzione <strong>del</strong>la lisina dal 67% al 137%. La figura 9, che si<br />
riferisce ai risultati presentati in tabella 4, indica inoltre una linearità (P < 0,05) di<br />
risposta fra le due variabili, con un coefficiente di determinazione (r 2 ) più alto per la<br />
proteina rispetto alla lisina.<br />
La possibilità di agire sulla concentrazione proteica <strong>del</strong>la dieta <strong>del</strong> suino deve essere<br />
valutata attentamente, in quanto una sua riduzione anticipata limita l’accrescimento con<br />
conseguente aumento <strong>del</strong>l’indice di conversione alimentare. Per tale motivo, nel suino<br />
leggero, si suggerisce di non attuare la riduzione proteica alimentare per più di 5-6<br />
settimane e solo alla fine <strong>del</strong> ciclo di ingrasso. I risultati degli studi effettuati per suini<br />
26
pesanti hanno confermato i dati ottenuti per i suini leggeri anche nel caso di una<br />
riduzione <strong>del</strong> contenuto proteico <strong>del</strong>la dieta protratta per un tempo di 8-10 settimane.<br />
La riduzione di energia e di alimento ingerito non ha effetti sul pH muscolare (Lebret et<br />
al., 2001) e sul colore <strong>del</strong>la carne fresca di suino (Sterten et al., 2009), ma può<br />
comportare una diminuzione <strong>del</strong> contenuto di grasso intramuscolare fino al 25% (Lebret<br />
et al., 2001) anche nei suini pesanti (Daza et al., 2007) qualora la restrizione alimentare<br />
sia portata al 75-80% <strong>del</strong>l’ingestione ad libitum. La riduzione di energia alla fine <strong>del</strong><br />
ciclo di ingrasso influisce considerevolmente sulla composizione <strong>del</strong> grasso di deposito<br />
corporeo.<br />
Tabella 4. Effetto <strong>del</strong>la concentrazione di proteina grezza e di lisina <strong>del</strong>la dieta sulla<br />
variazione percentuale di grasso intramuscolare, IMF (adattato da Apple, University<br />
of Arkansas, USA)<br />
CP Lisina Variazione<br />
Controllo Ridotta Controllo Ridotta IMF %<br />
Cameron et al., 1999 26.2 15.7 1.57 0.56 136.8<br />
Goerl et al., 1995 25.0 10.0 - - 176.5<br />
Teye et al., 2006 21.0 18.0 - - 64.7<br />
Blanchard et al., 1999 20.5 16.6 1.05 0.70 100.0<br />
Wood et al., 2004 20.0 16.0 1.14 0.68 13.4<br />
Essen-Gustavsson et al., 1994 18.5 13.1 0.96 0.64 66.7<br />
Castell et al., 1994 17.6 11.9 0.81 0.48 150.0<br />
Kerr et al., 1995 16.0 12.0 0.82 0.55 103.6<br />
Cisneros et al., 1996 14.0 10.0 0.56 0.40 50.0<br />
Bidner et al., 2004 - - 0.64 0.48 25.7<br />
27
Figura 9. Regressioni fra la variazione di proteina grezza o <strong>del</strong>la lisina nella dieta<br />
(D=Ridotta/Controllo, %) e la variazione di grasso intramuscolare nella carne (IMF,<br />
D=Ridotta/Controllo, %). I dati sono riportati in tabella 3<br />
200<br />
150<br />
D IMF, % 100<br />
50<br />
200<br />
150<br />
D IMF, % 100<br />
y = -2.85x + 295.7<br />
R² = 0.557<br />
0<br />
25 50 75 100<br />
D Proteina grezza, %<br />
50<br />
Considerazioni conclusive<br />
28<br />
y = -2.30x + 225.2<br />
R² = 0.312<br />
0<br />
25 50 75 100<br />
D Lisina, %<br />
L’analisi degli studi e <strong>del</strong>le ricerche realizzate per valutare l’effetto <strong>del</strong>l’alimentazione<br />
sulle prestazioni produttive dei suini leggeri e sulla qualità <strong>del</strong>la loro carne sottolinea la<br />
forte interazione esistente con la componente genetica degli animali. Le informazioni<br />
pubblicate sull’allevamento <strong>del</strong> suino pesante per i circuiti <strong>del</strong>le DOP italiane non sono
molto numerose e, pur confermando le indicazioni ottenute per i suini leggeri,<br />
necessitano di essere ampliate mediante studi mirati.<br />
Il contenuto di grasso intramuscolare e il contenimento degli apporti proteici con<br />
l’alimento sono gli aspetti di maggiore interesse per la suinicoltura italiana e regionale e<br />
rappresentano i principali obiettivi al fine di consentire la valorizzazione <strong>del</strong>le carni per<br />
la trasformazione in insaccati e per salvaguardare l’ambiente, riducendo le emissioni di<br />
azoto.<br />
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31
Risultati <strong>del</strong> progetto di qualificazione genetica <strong>del</strong> suino <strong>del</strong>la Regione<br />
Friuli Venezia Giulia<br />
Denis Guiatti, Bruno Stefanon, Sandy Sgorlon<br />
Dipartimento di Scienze Agrarie ed Ambientali – Università di Udine<br />
Marco Bassi, Giovanni Ca<strong>del</strong><br />
Associazione Allevatori <strong>del</strong> Friuli Venezia Giulia<br />
Le razze suine e gli ibridi utilizzati per la produzione <strong>del</strong>le DOP<br />
La selezione di linee genetiche di suini con caratteristiche fenotipiche adeguate alle<br />
esigenze dalle produzioni <strong>del</strong>le DOP e IGP ha il duplice obiettivo di migliorare le<br />
prestazioni produttive degli animali in vita e la qualità <strong>del</strong>la carcassa per la produzione<br />
di carni e insaccati, da valorizzare anche nell’ambito di marchi di qualità, come<br />
l’AQUA.<br />
La produzione <strong>del</strong> suino pesante da salumificio e per le DOP <strong>del</strong> prosciutto crudo<br />
richiede animali non solo dotati di un grado di copertura di grasso sottocutaneo<br />
adeguato agli standard dei disciplinari, ma anche di carni con un buon contenuto di<br />
grasso intramuscolare, in grado di consentire la trasformazione in salumi e di assicurare<br />
la sapidità <strong>del</strong>le cosce a fine processo di stagionatura.<br />
L’importanza <strong>del</strong> grasso, inoltre, è legata anche alla composizione in acidi grassi e, in<br />
particolare, la presenza di percentuali eccessive di acidi grassi insaturi comporta una<br />
riduzione <strong>del</strong> valore <strong>del</strong>le carni, fino a portare all’esclusione <strong>del</strong>le cosce per la<br />
produzione di prosciutti DOP.<br />
Nel 1990 furono emanate le nuove leggi di tutela dei prosciutti di Parma e San Daniele<br />
che prevedevano per la prima volta l’origine nazionale <strong>del</strong>la materia prima, e nel 1992<br />
venne emanato il Regolamento europeo 2081/92 che istituì le denominazioni di origine<br />
(DOP e IGP). Si trattava di norme che finalmente consentivano di legare la produzione<br />
33
agricola locale al prodotto finito, rendendo realisticamente possibili gli investimenti<br />
nella specializzazione <strong>del</strong>le produzioni agricole. In tal senso, i selezionatori italiani di<br />
suini avevano precorso i tempi, scommettendo sulla differenziazione qualitativa <strong>del</strong><br />
prodotto con qualche anno di anticipo.<br />
Il processo selettivo è gestito prevalentemente dall’Associazione Nazionale Allevatori<br />
Suini (ANAS), in collaborazione con le associazioni degli <strong>allevatori</strong> e l’Associazione<br />
Italiana Allevatori (AIA), anche attraverso le Associazioni Provinciali Allevatori<br />
(APA), o le Associazioni Regionali (ARA) e può in sintesi essere ricondotto a quattro<br />
principali punti:<br />
definizione degli obiettivi di selezione in termini di risultati da raggiungere e di<br />
conseguenza di variabili produttive (espressione di caratteri fenotipici) da rilevare<br />
sugli animali, insieme alle condizioni ambientali e ai dati genealogici;<br />
raccolta dei dati fenotipici organizzati mediante controlli funzionali di tipo<br />
oggettivo, cioè vere e proprie misurazioni <strong>del</strong> carattere con l’impiego di uno<br />
strumento di misurazione o di valutazioni soggettive, cioè stime di un carattere<br />
effettuate con un giudizio di merito da un operatore che esprime i risultati secondo<br />
una scala di valori (in questo caso l’operatore esercita sempre un’influenza notevole<br />
sui risultati ottenuti). In generale si preferisce utilizzare la misurazione oggettiva per<br />
i caratteri più importanti, quali ICA (Indice di Conversione Alimentare), IMG<br />
(Incremento Medio Giornaliero), GIV (Grasso Intramuscolare Visibile), tagli magri,<br />
calo di salatura, intervallo parto concepimento, numero nati;<br />
elaborazione dai dati fenotipici di un indicatore <strong>del</strong> merito genetico di ogni singolo<br />
animale rilevato (indici genetici o EBV, Estimated Breeding Values), in modo da<br />
poter individuare tra i soggetti potenzialmente candidati come riproduttori, quelli<br />
realmente superiori sotto il profilo genetico. È possibile stimare il valore genetico di<br />
un animale per un carattere quantitativo sulla base <strong>del</strong> fenotipo <strong>del</strong>l’animale stesso e<br />
dei suoi parenti;<br />
utilizzo degli animali di riconosciuta superiorità genetica nell’attività di<br />
riproduzione, seguendo uno specifico schema selettivo che garantisca la massima<br />
velocità nel raggiungere gli obiettivi di selezione definiti.<br />
Il nuovo schema di selezione è stato attivato nel settembre <strong>del</strong> 1990 e riguarda le razze<br />
Large White Italiana, Landrace Italiana e Duroc Italiana, le uniche ritenute idonee per la<br />
34
produzione <strong>del</strong> suino pesante destinato a fornire cosce per la produzione dei prosciutti<br />
italiani a denominazione di origine protetta.<br />
Possono essere, infatti, utilizzati suini:<br />
a) <strong>del</strong>le razze tradizionali Large White Italiana e Landrace Italiana, così come<br />
migliorate dal Libro Genealogico Italiano, o figli di verri <strong>del</strong>le stesse razze;<br />
b) figli di verri di razza Duroc Italiana, così come migliorata dal Libro Genealogico<br />
Italiano;<br />
c) figli di verri di altre razze ovvero di verri ibridi purché, provengano da schemi di<br />
selezione o incrocio attuati con finalità e obiettivi compatibili con quelli <strong>del</strong><br />
Libro Genealogico Italiano per la produzione <strong>del</strong> suino pesante.<br />
Non sono ammessi:<br />
a) animali in purezza <strong>del</strong>le razze Landrace Belga, Hampshire, Pietrain, Duroc e<br />
Spotted Poland;<br />
b) suini portatori di caratteri antitetici, con particolare riferimento al gene<br />
responsabile <strong>del</strong>la sensibilità agli stress (PSS);<br />
c) tipi genetici ed animali con caratteri ritenuti non conformi a quelli previsti dal<br />
presente disciplinare di produzione.<br />
L’allevamento che dispone dei verri deve detenere ed esibire, a richiesta degli incaricati<br />
<strong>del</strong> controllo, i documenti previsti dalla legge per i riproduttori maschi di razza pura o<br />
ibridi, italiani od esteri. Detti documenti riportano l'indicazione <strong>del</strong>la razza o <strong>del</strong><br />
Registro cui appartengono i verri.<br />
I suini allevati e destinati alle produzioni DOP San Daniele <strong>del</strong> Friuli, DOP Gran Suino<br />
Padano, analogamente a quanto accade a livello nazionale per le altre DOP,<br />
appartengono quindi alle linee genetiche previste nei rispettivi disciplinari.<br />
Nell’allevamento <strong>del</strong> suino pesante in Italia possono essere anche utilizzati ibridi<br />
commerciali non specificatamente selezionati per la produzione di suini pesanti, ma<br />
devono essere alimentati e allevati conformemente ai requisiti <strong>del</strong>le DOP. Le risposte<br />
produttive di questi incroci commerciali non sono sempre adeguate alle esigenze <strong>del</strong>le<br />
DOP e comportano spesso una disomogeneità <strong>del</strong>le carcasse e una non conformità <strong>del</strong>le<br />
cosce, che può causare elevati resi di prodotto ai macelli, con percentuali che possono<br />
superare di molto il 20%. I controlli dei pesi <strong>del</strong>le carcasse alla macellazione e la<br />
verifica <strong>del</strong>la conformità <strong>del</strong>le cosce permettono all’INEQ di aggiornare gli elenchi<br />
35
<strong>del</strong>le linee genetiche di suini non ammessi alla produzione <strong>del</strong> Prosciutto di San<br />
Daniele.<br />
La variabilità <strong>del</strong>le carcasse e, specialmente, <strong>del</strong>le cosce rispetto alle esigenze <strong>del</strong>le<br />
industrie di trasformazione rappresenta un problema di rilievo per la suinicoltura e<br />
dipende da un insieme di fattori, fra i quali la componente genetica gioca un ruolo<br />
determinante (Edwards et al., 1992; Guiatti et al., 2009).<br />
Una ricerca sulla base genetica degli animali per produrre suini pesanti di qualità<br />
ottimale per le produzioni <strong>del</strong>le DOP e IGP e con un’elevata uniformità <strong>del</strong>le carcasse è<br />
quindi di fondamentale importanza per aumentare la competitività <strong>del</strong> sistema suinicolo<br />
Regionale, specialmente qualora consenta anche la caratterizzazione e la<br />
differenziazione <strong>del</strong>le linee genetiche e valorizzi il sistema produttivo territoriale. La<br />
ricerca sulla base genetica dei suini deve essere anche mirata all’ottenimento di carcasse<br />
con caratteristiche quali grado di marezzatura, rese in tagli commerciali, percentuale di<br />
tagli magri, adeguate alla produzione di carni ed insaccati di qualità (Guiatti et al.,<br />
2011).<br />
La scelta dei parentali<br />
La razza Large White<br />
La razza Large White, chiamata anche con il nome di Yorkshire, è una <strong>del</strong>le razze più<br />
conosciute e apprezzate a livello mondiale e rappresenta un riferimento per la<br />
produzione <strong>del</strong> suino pesante, venendo preferita come riproduttore in linea femminile.<br />
Questa razza è originaria <strong>del</strong>l'Inghilterra e la sua formazione iniziò nel XVIII secolo,<br />
attraverso una lunga opera di meticciamento e selezione, e si concluse nel 1860 con la<br />
fissazione dei caratteri e con il suo riconoscimento. La Large White fu subito apprezzata<br />
per le sue spiccate doti di precocità, prolificità, grande mole, notevole attitudine alla<br />
produzione di carne, scheletro relativamente ridotto ed elevate rese di macellazione. La<br />
lunga attività selettiva operata dai suinicoltori italiani su questa razza, attualmente la più<br />
numerosa nel nostro Paese, ha determinato la formazione di un ceppo italiano di grande<br />
mole adatto per l'allevamento <strong>del</strong> suino pesante e per la produzione dei prosciutti <strong>del</strong>le<br />
DOP.<br />
La Large White italiana è caratterizzata da elevata prolificità, con oltre 15 suinetti nati<br />
vivi e oltre due parti all'anno; le scrofe posseggono ottima indole materna e una elevata<br />
produzione di latte, che consente loro di portare fino allo svezzamento nidiate numerose<br />
36
(ANAS, 2011). La Large White viene allevata in allevamenti intensivi, che utilizzano<br />
strutture di stabulazione con pavimenti in cemento e prevedono un peso di macellazione<br />
elevato. Le condizioni di allevamento richiedono quindi animali dotati di arti molto forti<br />
e resistenti, caratterizzati da un’elevata velocità di accrescimento a tutte le età e da<br />
un'ottima capacità di trasformazione degli alimenti, con alte rese di macellazione, in<br />
grado di fornire prosciutti ben conformati e con una carne con un giusto rapporto tra<br />
parte grassa e magra.<br />
La razza Duroc<br />
I verri di razza Duroc sono utilizzati per migliorare le prestazioni produttive in vita, la<br />
qualità <strong>del</strong>la carcassa e <strong>del</strong>la carne e per ridurre la non conformità <strong>del</strong>le cosce. La razza<br />
Duroc è infatti conosciuta per una maggiore succosità e tenerezza <strong>del</strong>la carne in<br />
confronto alle razze definite “bianche” (Hviid et al., 2002). Inoltre, la più elevata<br />
concentrazione di fibre rosse ossidative che contengono più lipidi è spesso associata ad<br />
una migliore qualità percepita dal consumatore (Wood e Camerson, 1994).<br />
La razza Duroc è stata costituita circa un secolo fa negli Stati Uniti, ma le sue origini<br />
non sono <strong>del</strong> tutto chiare. In Italia il Duroc ha trovato un crescente apprezzamento negli<br />
ultimi decenni per il suo impiego per la produzione di meticci destinati al circuito <strong>del</strong><br />
suino pesante italiano ed è la terza razza in Italia per importanza, preceduta dalla Large<br />
White Italiana e dalla Landrace Italiana (ANAS, 2011). Il Duroc è solitamente utilizzato<br />
in linea paterna in incrocio con scrofe Large White o Landrace o più frequentemente<br />
con scrofe meticcie ottenute dall'accoppiamento tra queste ultime due razze. I meticci<br />
ottenuti dall'incrocio tra Duroc Italiana, Large White Italiana e Landrace Italiana, sono<br />
utilizzati per la produzione di carne destinata prevalentemente all'industria di<br />
trasformazione per la produzione di salumi tipici, come il prosciutto di Parma e quello<br />
di San Daniele. Per queste produzioni, tuttavia, non è consentito utilizzare suini Duroc<br />
di razza pura, ma solamente meticci derivati.<br />
Il Duroc è una razza di grande taglia ed è apprezzata negli allevamenti italiani oltre che<br />
per la notevole velocità di accrescimento e per le buone caratteristiche riproduttive,<br />
anche per la notevole robustezza, soprattutto degli arti, che trasmessa alla prole, risulta<br />
particolarmente utile per la produzione <strong>del</strong> suino pesante italiano. Infatti, sia per il peso<br />
di macellazione elevato che per l'allevamento in strutture con pavimento in cemento,<br />
sono preferiti i suini con arti particolarmente resistenti. Questa razza presenta inoltre<br />
37
elevate prestazioni in allevamento, buona qualità <strong>del</strong>le carcasse al macello (classe U-R-<br />
O) e alte percentuali di conformità <strong>del</strong>le cosce per la trasformazione in prosciutti DOP.<br />
La razza Duroc è caratterizzata da una buona prolificità e le scrofe possiedono una<br />
buona indole materna e un’adeguata produzione di latte. Viene allevata prevalentemente<br />
con sistema di allevamento intensivo, in grandi allevamenti. Grazie alla sua elevata<br />
robustezza, si adatta bene anche all'allevamento all'aperto.<br />
L'attività selettiva degli <strong>allevatori</strong> italiani ha costituito un ceppo denominato Duroc<br />
Italiana. L’Associazione Nazionale Allevatori Suini (ANAS) ha stabilito di affinare<br />
ulteriormente la selezione, aggiornando alcuni pesi economici per la valutazione<br />
genetica degli animali (Sib test) al fine di massimizzare l’efficienza. L’obiettivo è di<br />
salvaguardare il vantaggio competitivo costituito dalla migliore qualità <strong>del</strong>le cosce per<br />
la stagionatura dando un forte impulso al progresso genetico per l’accrescimento medio<br />
giornaliero, per la resa alimentare e per la resa <strong>del</strong>la carcassa.<br />
Numerosi studi hanno evidenziato che la razza Duroc è caratterizzata da una percentuale<br />
di grasso intramuscolare maggiore, a volte anche <strong>del</strong> doppio, a quella presente nei suini<br />
Large White e Landrace (Blanchard et al., 1999; Edwards et al., 1992; Hviid et al.,<br />
2002). In particolare, all’aumentare di geni Duroc da 0 a 25%, 50% e 75% nei suini<br />
ibridi si riscontra una carne più tenera e più succosa, con un profilo organolettico più<br />
vicino a quello tipico <strong>del</strong> suino e con minori sapori anomali (MLC, 1992). In accordo<br />
con questi risultati, Enfalt et al. (1997) e Blanchard et al. (1999) hanno riscontrato una<br />
qualità sensoriale superiore <strong>del</strong>la carne dei suini Duroc rispetto agli incroci con<br />
Yorkshire e hanno riportato una correlazione fra la masticabilità <strong>del</strong>la carne e la<br />
percentuale di geni Duroc. Inoltre, il maggiore contenuto di grasso intramuscolare <strong>del</strong><br />
Duroc è correlato geneticamente con un valore più elevato di pH dopo 45 minuti dalla<br />
macellazione (pH45) e, di conseguenza, con una riduzione <strong>del</strong>la percentuale di perdite<br />
di sgocciolamento e <strong>del</strong>la carne di “colore scuro” (Hermesch, 1997). Tuttavia, in base ai<br />
risultati di Suzuki et al. (2002) la tenerezza <strong>del</strong>la carne andrebbe a discapito <strong>del</strong>l’area<br />
<strong>del</strong> lombo e <strong>del</strong> grasso di copertura. Sempre secondo i risultati di Blanchard et al.<br />
(1999), per aumentare la velocità di crescita dei suini e per produrre carcasse con carni<br />
più tenere e migliori da un punto organolettico rispetto alle razze “bianche” è necessario<br />
avere dei suini con almeno 50% di geni Duroc.<br />
La selezione per un contenuto maggiore di grasso intramuscolare e carni magre,<br />
apparentemente in contrasto, può in effetti essere condotta contemporaneamente nella<br />
38
azza Duroc, in quanto i due caratteri hanno una bassa correlazione genetica, compresa<br />
fra -0.25 e -0.37, e l’ereditabilità <strong>del</strong> carattere grasso intramuscolare è elevata<br />
<br />
qualità <strong>del</strong>le carni e, in base alle indicazioni che si possono desumere dalle ricerche, per<br />
osservare un aumento <strong>del</strong>le caratteristiche organolettiche sarebbe necessario avere<br />
almeno un 50% di geni di razza Duroc nei suini da allevare, che si ottiene solo<br />
utilizzando verri terminali Duroc.<br />
Le risposte produttive e riproduttive degli suini all’ingrasso: il Progetto Regionale<br />
Il progetto Regionale consiste nella valutazione attitudinale di una genetica di suini<br />
rispondete ai requisiti qualitativi <strong>del</strong>le DOP e IGP da impiegare negli allevamenti<br />
friulani. A tal fine, è stato introdotto un nucleo di parentali, scrofe e verri, in due<br />
scrofaie <strong>del</strong>la Regione Friuli Venezia Giulia che hanno accettato di prendere parte alle<br />
attività di studio. Le scrofe di razza Large White L.g. e i verri Duroc L.g. sono stati<br />
acquisiti <br />
sono state confron<br />
medesime scrofe Large White con verri ibridi commerciali Goland C21 <strong>del</strong>la Gorzagri.<br />
La scelta deriva dal fatto che il verro pesante Goland C21 è stato selezionato per la<br />
produzione <strong>del</strong> suino pesante ed molto diffuso in Regione.<br />
I verri di razza <br />
ibridi Goland C21 sono stati scelti in base alle risposte produttive ottenute.<br />
In considerazione <strong>del</strong> fatto che la durata di un ciclo di produzione, dalla fecondazione<br />
-6 mesi circa per la<br />
produzione dei suinetti da ingrasso, 10-12 mesi di allevamento e 12-14 mesi di<br />
stagionatura) e che si possono ottenere <br />
lavoro è stato svolto nel modo di seguito riportato:<br />
- introduzione di 330 scrofette Large White italiane L.g. in due allevamenti a ciclo<br />
semichiuso ( e 2);<br />
- definizione di un piano di fecondazione triennale <strong>del</strong>le scrofe con 13 verri Duroc<br />
L.g. e 13 Goland C21 per la produzione di ibridi F1 da impiegare nel ciclo di<br />
ingrasso;<br />
39
- identificazione <strong>del</strong>le scrofe e dei suinetti nati nel corso <strong>del</strong> progetto mediante<br />
apposizione di RFID nella coscia;<br />
- allevamento degli ibridi secondo i disciplinari di produzione <strong>del</strong>la DOP San Daniele<br />
nelle due aziende e in un’altra azienda a ciclo aperto (allevamento A3);<br />
- rilevazione <strong>del</strong>le prestazioni produttive e riproduttive infra vitam;<br />
- rilevazione <strong>del</strong>la qualità <strong>del</strong>la carcassa alla macellazione;<br />
- rilievo <strong>del</strong> peso <strong>del</strong>le cosce e <strong>del</strong>la loro conformità, valutazione <strong>del</strong>la carne fresca,<br />
dei salumi e dei prosciutti a fine stagionatura.<br />
Le razioni sono state formulate con le materie prime disponibili in azienda, con<br />
l’integrazione di mangimi complementari specifici per le diverse fasi <strong>del</strong> ciclo dei suini<br />
da ingrasso e dei riproduttori. I suini a fine ciclo di ingrasso sono stati avviati alla<br />
macellazione nelle strutture regionali che dispongono anche di una linea di lavorazione<br />
per la carne fresca e i salumi e le cosce, e, dopo identificazione tramite RFID, sono state<br />
conferite a stabilimenti <strong>del</strong>la DOP Prosciutto di San Daniele e <strong>del</strong>la IGP Sauris e seguite<br />
nel corso <strong>del</strong>la stagionatura. I principali parametri oggetto di rilevazione nel corso <strong>del</strong><br />
progetto sono di seguito riportati.<br />
Parametri produttivi e riproduttivi:<br />
Piani alimentari e composizione chimica e nutrizionale <strong>del</strong>le razioni;<br />
Parametri riproduttivi <strong>del</strong>le scrofe;<br />
Indice di conversione degli alimenti;<br />
Peso vivo allo svezzamento, a 11 settimane e a fine ciclo;<br />
Durata <strong>del</strong> ciclo per il raggiungimento <strong>del</strong> peso vivo richiesto per la<br />
macellazione;<br />
Parametri di macellazione (FOM):<br />
Età dei capi macellati;<br />
Peso carcassa;<br />
Resa carcassa a caldo;<br />
Dati FOM (percentuale tagli magri, spessore lardo dorsale);<br />
Peso <strong>del</strong>la coscia fresca e dopo rifilatura;<br />
40
Qualità <strong>del</strong>la carne:<br />
Colore;<br />
pH;<br />
Drip losses;<br />
Carica microbica e profilo microbiologico;<br />
Trasformazione in salame;<br />
Profilo aromatico e sensoriale <strong>del</strong> salame;<br />
Qualità <strong>del</strong>la coscia e <strong>del</strong> prosciutto:<br />
Profilo degli acidi grassi <strong>del</strong> grasso di copertura <strong>del</strong>la coscia;<br />
Composizione chimica <strong>del</strong>la carne <strong>del</strong>la coscia (Biceps femoris);<br />
Conformità <strong>del</strong>le cosce e tipo di difetti;<br />
Calo di prima salagione;<br />
Calo di stagionatura;<br />
Indice di proteolisi;<br />
Umidità;<br />
Sale;<br />
Profilo sensoriale.<br />
Fertilità e parametri riproduttivi <strong>del</strong>le scrofe Large White<br />
I dati riproduttivi <strong>del</strong>le scrofe introdotte nei due allevamenti sono stati monitorati nel<br />
corso <strong>del</strong> progetto ed inseriti nel software wHPAsui (www.HPA.it) dagli <strong>allevatori</strong> in<br />
collaborazione con il personale <strong>del</strong>l’Associazione Allevatori <strong>del</strong> Friuli Venezia Giulia.<br />
Complessivamente nel corso <strong>del</strong> progetto sono stati seguiti oltre 30000 suini ibridi, di<br />
cui 25000 svezzati. Su circa il 25% dei suini svezzati, sono stati eseguiti i controlli<br />
previsti in vita, alla macellazione e in prosciuttificio.<br />
Nel corso <strong>del</strong> progetto, sono stati controllati i principali parametri sanitari, quali la<br />
mortalità, l’incidenza di malattie infettive, di eventi non infettivi e i principali parametri<br />
riproduttivi (fertilità scrofe, numero di suinetti nati e svezzati e longevità <strong>del</strong>la scrofa).<br />
41
Lo schema dei dati raccolti e <strong>del</strong> flusso di informazioni è riportato in figura 1.<br />
Figura 1. Schema <strong>del</strong>le tappe <strong>del</strong> progetto <strong>del</strong> suino geneticamente friulano e <strong>del</strong> flusso<br />
dei dati raccolti nel quadriennio: dalla scelta dei riproduttori al prodotto finale<br />
Scelta riproduttori Riproduzione Allevamento Macello Trasformazione<br />
ANAS - EBV<br />
MARCATORI DNA<br />
Scrofe Large White Italiana L.G.<br />
Verri Duroc Italiana L.G.<br />
- N° Fecondazioni<br />
- Parti<br />
- Interparto<br />
- Nati vivi<br />
- Mortalità<br />
- Svezzati<br />
- Benessere animale<br />
- Qualità ambientale<br />
Database<br />
- Peso svezzamento<br />
- Peso 10 settimane<br />
- Peso finale (box)<br />
- Ingestioni<br />
- Sanità animale<br />
- Benessere animale<br />
- Qualità ambientale<br />
42<br />
Impianto microchip sulla coscia<br />
alla nascita<br />
- Trasporto<br />
- Peso carcassa<br />
- Qualità (FOM)<br />
- Peso coscia<br />
- Igienee sicurezza<br />
- Tracciabilità<br />
CARNE FRESCA<br />
- Grasso<br />
intramuscolare<br />
- Colore<br />
- pH<br />
- Microbiologia<br />
- Qualità tecnologica<br />
- Profilo sensoriale<br />
PROSCIUTTO<br />
- Peso coscia rifilata<br />
- Calo prima salatura<br />
- Peso fine<br />
stagionatura<br />
- Qualità tecnologica<br />
- Profilo sensoriale<br />
A seconda <strong>del</strong> dato rilevato, il numero di osservazioni individuali è variato da 4784 per<br />
il peso allo svezzamento a 497 per i dati di peso <strong>del</strong>la coscia dopo la prima salagione e a<br />
fine stagionatura.<br />
Il programma alimentare attuato è stato inizialmente calibrato sulle indicazioni dei<br />
fabbisogni nutritivi e <strong>del</strong>le ingestioni <strong>del</strong>l’ANAS per le scrofette in gravidanza e le<br />
scrofe in gravidanza e in lattazione. Le razioni sono state adattate alla disponibilità di<br />
alimenti aziendali e in funzione dei fabbisogni nutritivi per scrofe primipare e pluripare.<br />
Nelle tabelle 1 e 2 sono riportate le razioni proposte ed adottate per il progetto dai due<br />
siti riproduttivi. Le diete sono state formulate in modo da utilizzare tipologie e quantità<br />
di materie prime simili, risultando pertanto simili per composizione chimica e valori<br />
nutrizionali. I piani alimentari e le quantità di alimenti somministrati nei due<br />
allevamenti sono stati diversificati fra le scrofe primipare e quelle pluripare e in<br />
funzione <strong>del</strong>la fase <strong>del</strong> ciclo riproduttivo e di lattazione (Figure 2a e 2b).
Tabella 1. Razioni utilizzate per le scrofe nell’allevamento A1<br />
Ingrediente Scrofette Gravidanza Lattazione<br />
Mais % 41,0 27,0 39,0<br />
Orzo % 19,0 34,0 20,0<br />
Soia f.e. % 21,0 14,0 20,0<br />
Crusca % 10,0 14,0 10,0<br />
Polpe di bietola % 1,0 6,0 2,5<br />
Grasso % 1,0 0,5 2,5<br />
Mangime complementare % 5,0 5,0<br />
Integratore minerale vitaminico % 2,0 4,5 1,5<br />
Totale 100 100 100<br />
Sostanza secca % 86,8 86,8 86,9<br />
Energia digeribile kcal 3150 3000 3200<br />
Proteina greggia % 16,2 14,2 16,7<br />
Fibra greggia % 4,3 5,8 4,8<br />
Grassi greggi % 4,2 3,4 5,6<br />
Ceneri % 6,0 5,3 6,5<br />
Calcio % 0,94 0,62 0,92<br />
Fosforo % 0,55 0,49 0,68<br />
Lisina % 0,88 0,73 0,91<br />
Metionina % 0,28 0,25 0,26<br />
Tabella 2. Razioni utilizzate per le scrofe nell’allevamento A2<br />
Ingrediente Scrofe Gravidanza Lattazione<br />
Mais % 40,8 42,0 41,0<br />
Orzo % 18,4 20,0 19,0<br />
Soia f.e. % 16,9 16,0 16,0<br />
Crusca % 16,9 14,0 14,5<br />
Polpe di bietola % 1,0 2,0 2,0<br />
Grasso % 2,0 1,5 2,0<br />
Mangime complementare % 2,0 2,5 2,5<br />
Integratore minerale vitaminico % 2,0 2,0 2,5<br />
Totale 100 100 100<br />
Sostanze secca % 86,8 86,9 91,3<br />
Energia digeribile kcal 3100 3050 3200<br />
Proteina greggia % 15,2 14,5 16,5<br />
Fibra greggia % 5,4 5,2 5,6<br />
Grassi greggi % 4,2 4,1 4,2<br />
Ceneri % 3,0 3,0 3,1<br />
Calcio % 0,88 0,88 0,97<br />
Fosforo % 0,59 0,63 0,71<br />
Lisina % 0,78 0,72 0,92<br />
Metionina % 0,24 0,24 0,29<br />
43
Figura 2a. Consumi di mangime (88% di sostanza secca) durante il ciclo riproduttivo<br />
<strong>del</strong>la scrofa primipara Large White<br />
8<br />
6<br />
kg/d 4<br />
2<br />
0<br />
Figura 2b. Consumi di mangime (88% di sostanza secca) durante il ciclo riproduttivo<br />
<strong>del</strong>la scrofa pluripara Large White<br />
8<br />
6<br />
kg/d<br />
4<br />
2<br />
0<br />
44
I principali parametri riproduttivi misurati nei due allevamenti sono risultati in linea con<br />
quelli attesi per le scrofe Large White e in generale possono essere considerati molto<br />
buoni (Tabella 3), considerando che nei due allevamenti venivano allevate scrofe di una<br />
genetica diversa da quello fino a quel momento impiegata e che i riproduttori introdotti<br />
erano scrofette. I valori medi e assoluti dei parametri riproduttivi oggetto di rilevazione<br />
nel quadriennio (Tabella 4) evidenziano un numero di più di due parti l’anno, con una<br />
media di 12 nati vivi per parto e 1,4 interventi fecondativi per parto. Il numero di<br />
svezzati per parto è invece più contenuto, a causa <strong>del</strong>la mortalità in sala parto.<br />
I valori degli indici di performance riproduttiva misurati nel corso <strong>del</strong> quadriennio sono<br />
<strong>del</strong> tutto in linea con quelli riportati da Interpig (2010), con l’unica eccezione <strong>del</strong><br />
numero di parti l’anno, risultati inferiori per le scrofe <strong>del</strong> progetto. L’apparente minore<br />
efficienza riproduttiva è da ascrivere in parte all’età degli animali negli allevamenti, in<br />
quanto il nuovo parco riproduttori era inizialmente costituito da scrofe nullipare, e in<br />
parte dalla scelta di programmare le inseminazioni “a bande”, raggruppando quindi le<br />
scrofe per la fecondazione in periodi predeterminati. Nel caso di un numero ridotto di<br />
scrofe, questa scelta può infatti comportare un allungamento <strong>del</strong>l’interparto in alcuni<br />
soggetti, con una riduzione, seppure leggera, <strong>del</strong> numero di parti all’anno. Tuttavia,<br />
questa modalità operativa consente di migliorare l’efficienza <strong>del</strong> ciclo di ingrasso, in<br />
quanto i magroncelli che sono avviati all’allevamento sono coevi e quindi rispondono in<br />
modo più omogeneo ai ritmi e modalità di somministrazione <strong>del</strong>le razioni.<br />
Allevamento <strong>del</strong> suino pesante<br />
Alimentazione e piani di razionamento<br />
I suini all’ingrasso possono essere alimentati “a secco” o “con broda” e, se allevati per<br />
le DOP, devono anche rispettare le prescrizioni alimentari dei disciplinari che<br />
prevedono vincoli sulle percentuali degli alimenti zootecnici. Ad esempio, fino a 80 kg<br />
di peso vivo i cereali devono costituire almeno il 45% <strong>del</strong>la sostanza secca <strong>del</strong>la dieta.<br />
Durante la fase di ingrasso la quantità minima di cereali deve essere superiore al 55%<br />
<strong>del</strong>la sostanza secca, considerando che il mais non deve comunque superare il 55%<br />
<strong>del</strong>la sostanza secca. Inoltre, il siero di latte non può superare i 15 litri capo giorno e il<br />
contenuto in acido linoleico deve essere inferiore al 2% <strong>del</strong>la dieta. Il rispetto dei<br />
disciplinari limita pertanto le formulazioni e le razioni proposte non differiscono di<br />
45
molto fra gli allevamenti e i tipi genetici allevati per quanto riguarda le materie prime e<br />
le percentuali di inclusione.<br />
Tabella 3. Risultati dall’allevamento <strong>del</strong>le scrofe per la produzione dei lattoni nel corso<br />
ottenuti nel corso <strong>del</strong> progetto nelle due aziende<br />
Azienda 2009 2010 2011 2012*<br />
Azienda A1<br />
Presenza media scrofe n 260 264 241 289<br />
Fecondazioni n 671 749 707 695<br />
Fecondazioni su scrofette % 23,0 15,6 15,3 17,5<br />
Ritorni e vuote % 16,1 20,0 17,5 14,2<br />
Parti n 523 531 518 522<br />
Parti per anno n 2,01 2,01 2,15 2,15<br />
Interventi fecondativi per parto n 1,28 1,41 1,36 1,34<br />
Nati n 6409 6399 5698 6457<br />
Media nati per parto n 12,3 12,1 11,0 12,4<br />
Nati morti o mummificati % 6,6 7,5 7,1 5,4<br />
Svezzamenti n 488 562 506 522<br />
Svezzati n 4797 5563 4556 5298<br />
Svezzati per parto n 9,8 9,9 9,0 10,1<br />
Mortalità in sala parto % 14,3 11,1 10,7 12,7<br />
Azienda A2<br />
Presenza media n 79 68 86 90<br />
Fecondazioni n 224 221 271 232<br />
Fecondazioni su scrofette % 30 12 18 32<br />
Ritorni e vuote % 29,5 22,2 21,8 22,2<br />
Parti n 145 143 175 167<br />
Parti per anno n 1,85 2,10 2,03 2,03<br />
Interventi fecondativi per parto n 1,54 1,55 1,55 1,54<br />
Nati n 1790 1685 2113 2134<br />
Media nati per parto n 12,3 11,8 12,1 12,8<br />
Nati morti o mummificati % 9,6 7,8 6,6 9,5<br />
Svezzamenti n 147 136 182 169<br />
Svezzati n 1355 1281 1810 1716<br />
Svezzati per parto n 9,2 9,4 9,9 10,2<br />
Mortalità in sala parto % 15,8 14,4 10,8 12,0<br />
46
Tabella 4. Risultati complessivi dall’allevamento <strong>del</strong>le scrofe per la produzione dei<br />
lattoni nel corso ottenuti nel corso <strong>del</strong> progetto nelle due aziende<br />
Parametro/Variabile A1 A2 Media Totale<br />
Presenza media n 263 81 172 1375<br />
Fecondazioni n 668 226 447 3576<br />
Fecondazioni su scrofette % 18 19 18<br />
Ritorni e vuote % 16,7 23,9 20,3<br />
Parti n 502 152 327 2613<br />
Parti per anno n 2,1 2,0 2,0<br />
Interventi fecondativi per parto n 1,3 1,5 1,4<br />
Nati n 5972 1862 3917 31335<br />
Media nati per parto n 12 12 12<br />
Nati morti o mummificati % 6,6 8,5 7,5<br />
Svezzamenti n 495 151 323 2584<br />
Svezzati n 4790 1465 3127 25018<br />
Svezzati per parto n 9,7 9,7 9,7<br />
Mortalità in sala parto % 12,3 13,2 12,8<br />
La disponibilità e l’impiego <strong>del</strong> siero di latte da un lato e la possibilità di intervenire<br />
sulle quantità giornaliere distribuite consentono all’allevatore di ottimizzare i piani di<br />
alimentazione in relazione alla genetica disponibile anche da un punto di vista<br />
economico.<br />
Se consideriamo che un suino pesa 30 kg a 80 giorni di vita e deve raggiungere i 160 kg<br />
a 270 giorni, è necessario adottare un piano alimentare per ottenere un accrescimento<br />
medio giornaliero di circa 700 g/d (130 kg in 190 giorni, 684 g) e in grado di assicurare<br />
una copertura adeguata di grasso sottocutaneo sia nella regione <strong>del</strong> dorso che nella<br />
coscia. Poiché l’accrescimento non è lineare, la curva di distribuzione <strong>del</strong>l’alimento è<br />
uno dei fattori che maggiormente incide sulla risposta produttiva e condiziona la curva<br />
di incremento ponderale.<br />
Nelle Tabelle 5 e 6 sono riportate le diete utilizzate e i piani alimentari adottati negli<br />
allevamenti che hanno partecipato al progetto. Le soluzioni adottate nei tre allevamenti<br />
sono state diverse, pur nel rispetto <strong>del</strong>le prescrizioni alimentari <strong>del</strong> disciplinare di<br />
produzione <strong>del</strong> Consorzio <strong>del</strong> Prosciutto di San Daniele. Nell’allevamento A3 è stato<br />
utilizzato il pastone di mais a partire dalla fase di ingrasso, mentre negli altri due<br />
47
allevamenti le razioni sono state formulate con diversi rapporti fra i cereali (Tabella 5).<br />
In tutti e tre gli allevamenti è stata prevista la suddivisione <strong>del</strong> ciclo in tre periodi, ma<br />
con tempi di somministrazione <strong>del</strong>le razioni diverse. Gli alimenti sono stati miscelati in<br />
<strong>associazione</strong> a siero di latte nell’allevamento A1 e A3 e con acqua nell’allevamento A2,<br />
sempre in ragione di 2,5 litri per kg <strong>del</strong>le miscele.<br />
Tabella 5. Composizione media e valore nutritivo <strong>del</strong>le diete utilizzate nei tre<br />
allevamenti nel corso <strong>del</strong> progetto<br />
A1 A2 A3<br />
Settimane di vita<br />
Ingredienti<br />
11-20 21-30 31-40 11-21 22-31 32-40 11-18 19-28 29-40<br />
Mais % 52 55 55 40 54 55 48<br />
Pastone di mais % 55 55<br />
Orzo % 12 12 16 34 16 15 10 5 15<br />
Farinaccio % 20 10 5<br />
Crusca % 10 8 7 4 10 11 8 7<br />
Polpe di bietola % 1 2<br />
Soia % 16 15 12 17 16 14 15<br />
Grasso % 1 2<br />
Mangime % 10 10 10 4 3 3 5 22 18<br />
Totale % 100 100 100 100 100 100 100 100 100<br />
Composizione<br />
Sostanza secca % 86,7 86,7 86,7 86,0 86,4 86,4 86,9 78,0 77,9<br />
En. digeribile Mcal 3,16 3,20 3,21 3,28 3,27 3,25 3,19 3,23 3,27<br />
Proteina grezza % 16,2 16,0 14,9 16,5 15,9 14,9 15,5 15,0 14,7<br />
Fibra grezza % 4,8 4,1 4,0 4,1 4,4 4,5 3,6 4,0 4,1<br />
Lipidi % 3,3 3,3 3,3 3,8 3,1 3,1 5,1 3,7 3,5<br />
Ceneri % 5,0 4,9 4,8 4,4 4,3 3,2 4,9 5,3 4,7<br />
Amido % 42,2 43,4 45,2 45,3 45,6 45,8 44,8 45,5 47,0<br />
NDF % 13,6 12,4 12,2 13,9 14,5 15,4 12,4 12,2 12,4<br />
Calcio % 0,85 0,87 0,84 0,91 0,88 0,87 0,80 0,92 0,91<br />
Fosforo % 0,64 0,61 0,60 0,60 0,58 0,60 0,59 0,63 0,62<br />
Lisina % 0,89 0,86 0,79 0,91 0,80 0,76 0,92 0,84 0,79<br />
Met + Cist % 0,59 0,59 0,53 0,53 0,55 0,53 0,56 0,57 0,51<br />
Treonina % 0,62 0,60 0,58 0,55 0,57 0,55 0,61 0,59 0,59<br />
Triptofano % 0,20 0,20 0,18 0,20 0,19 0,18 0,19 0,18 0,17<br />
48
Tabella 6. Piani di alimentazione utilizzati nei tre allevamenti partecipanti al progetto.<br />
Le quantità riportate sono state standardizzate a 88% di sostanza secca e i diversi<br />
sfondi di grigio indicano le tre diete diverse riportate in tabella 4<br />
Settimana A1 A2 A3<br />
10 1,05 1,24 1,29<br />
11 1,20 1,37 1,43<br />
12 1,34 1,49 1,56<br />
13 1,47 1,61 1,68<br />
14 1,60 1,73 1,80<br />
15 1,73 1,84 1,92<br />
16 1,85 1,94 2,03<br />
17 1,97 2,05 2,13<br />
18 2,08 2,14 2,23<br />
19 2,19 2,23 2,32<br />
20 2,29 2,32 2,41<br />
21 2,39 2,40 2,50<br />
22 2,48 2,48 2,58<br />
23 2,57 2,56 2,65<br />
24 2,65 2,62 2,73<br />
25 2,73 2,69 2,79<br />
26 2,80 2,75 2,85<br />
27 2,87 2,80 2,91<br />
28 2,93 2,85 2,96<br />
29 2,99 2,90 3,00<br />
30 3,04 2,94 3,04<br />
31 3,09 2,98 3,08<br />
32 3,13 3,01 3,11<br />
33 3,17 3,04 3,14<br />
34 3,19 3,06 3,16<br />
35 3,20 3,08 3,18<br />
36 3,20 3,09 3,19<br />
37 3,20 3,10 3,19<br />
38 3,20 3,10 3,19<br />
39 3,20 3,10<br />
40 3,20<br />
41 3,20<br />
Il colore di fondo si riferisce alla dieta utilizzata:<br />
Magronaggio Ingrasso Finissaggio<br />
49
L’efficienza alimentare nei tre allevamenti è variata, con valori superiori<br />
nell’allevamento A3, in relazione al piano alimentare utilizzato che prevedeva la<br />
somministrazione di una maggiore quantità di alimento nella fase di magronaggio e che<br />
ha consentito di ridurre la durata <strong>del</strong> ciclo (Figura 3, Tabella 6).<br />
Figura 3. Rese medie alimentari stimate nei 3 allevamenti (kg accrescimento per kg di<br />
alimento ingerito, %) standardizzato a 88% di sostanza secca da 12 settimane a fine<br />
ciclo<br />
%<br />
35.0<br />
30.0<br />
25.0<br />
20.0<br />
15.0<br />
A1 A2 A3<br />
Risposta produttiva in vivo e qualità <strong>del</strong>la carcassa<br />
I risultati relativi alle prestazioni produttive in vivo sono riportati in Tabella 7 ed<br />
indicano un ritmo di accrescimento diverso nei tre allevamenti in funzione dei piani<br />
alimentari adottati, ma senza un’apprezzabile differenza fra i due ibridi nel periodo<br />
compreso dall’inizio <strong>del</strong> magronaggio alla macellazione. Il peso vivo finale è risultato<br />
infatti significativamente più elevato negli ibridi derivati da verri di razza Duroc, ma la<br />
differenza è da ascrivere in parte alla durata media <strong>del</strong> periodo, inferiore mediamente di<br />
1,5 giorni per gli ibridi derivati da incroci con verri Goland C21.<br />
Anche se le prestazioni in vita non sono risultate molto diverse fra i due ibridi, il<br />
confronto fra i dati rilevati al macello e in prosciuttificio hanno indicato invece una<br />
migliore qualità per gli incroci con verri Duroc (Tabella 8). Oltre al maggiore peso <strong>del</strong>la<br />
carcassa a caldo, è stato infatti misurato un grado di copertura <strong>del</strong> grasso maggiore nella<br />
regione dorsale e un peso <strong>del</strong>la coscia significativamente superiore per gli ibridi derivati<br />
da verri di razza Duroc, con cali di prima salagione inferiore.<br />
50
Tabella 7. Prestazioni produttive medie per allevamento e per ibrido registrate nel<br />
corso <strong>del</strong> progetto<br />
Allevamento Ibrido P1 D1 P2 D2 P3 DT IMG1 IMG2<br />
A1 Duroc<br />
7,1 29 22,3 75 166,1 296 323 639<br />
Goland C21 7,6 30 21,8 73 164,7 301 321 633<br />
A2 Duroc 7,2 28 25,6 78 175,4 295 356 665<br />
Goland C21 7,4 31 27,8 79 164,9 279 457 684<br />
A3 Duroc 8,0 29 23,6 69 172,4 268 398 754<br />
Goland C21 8,2 28 23,9 69 170,8 267 376 738<br />
Media Duroc 7,2 29 24,2 76 170,4 288 357 683<br />
Media Goland C21 7,7 30 22,8 73 167,4 287 354 684<br />
Media 7,4 29 23,6 75 168,9 287 355 683<br />
sem 1,6 5 5,8 9 13,8 17 19,4 22,3<br />
Effetti<br />
Allevamento *** ** *** *** *** *** *** ***<br />
Ibrido *** *** * ns *** *** *** ns<br />
All. x Ibrido * ns ns ns ** * ** *<br />
P1 = peso allo svezzamento; D1 giorni allo svezzamento<br />
P2 = peso inizio magronaggio; D1 giorni all’inizio <strong>del</strong> magronaggio<br />
P3 = peso fine ciclo; DT durata <strong>del</strong> ciclo di allevamento<br />
IMG1 = incremento medio giornaliero dallo svezzamento all’inizio magronaggio<br />
IMG2 = incremento medio giornaliero dall’inizio magranoaggio (P2) a fine ciclo (P3)<br />
La migliore qualità <strong>del</strong>la carcassa di questi suini ibridi nelle condizioni operative dei tre<br />
allevamenti (Figura 4A, 4B e 4C) è risultata evidente da una minore percentuale di<br />
scarto per pesi <strong>del</strong>la carcassa inferiori a 110 kg (categoria “L”), da una maggiore<br />
percentuale di carcasse nella classe R <strong>del</strong>la griglia EUROP e da una inferiore<br />
percentuale di cosce non conformi per difetti <strong>del</strong> grasso ascrivibili a un peso inferiore a<br />
11 kg, puntinatura nel magro, venature, magroni (grasso di copertura <strong>del</strong>la coscia < 1,5),<br />
grassinature, assenza di grasso in corona e carni PSE-DFD.<br />
51
11 kg, puntinatura nel magro, venature, magroni (grasso di copertura <strong>del</strong>la coscia < 1,5),<br />
grassinature, assenza di grasso in corona e carni PSE-DFD.<br />
L’analisi <strong>del</strong> grasso di copertura <strong>del</strong>le cosce (Tabella 9) ha inoltre evidenziato una<br />
concentrazione di acidi grassi saturi superiore per gli ibridi derivati dal Duroc, una<br />
caratteristica qualitativa importante per la DOP Prosciutto San Daniele, in grado di<br />
conferire al lardo una colorazione più bianca e una maggiore compattezza.<br />
Tabella 8. Caratteristiche medie <strong>del</strong>le carcasse e <strong>del</strong>le cosce per allevamento e per<br />
ibrido registrate nel corso <strong>del</strong> progetto<br />
Allevamento Ibrido PC FOM BM BF PS CR CS CF<br />
A1 Duroc 138,0 48,5 65,5 29,6 16,7 14,4 4,0 32,0<br />
Goland C21 137,1 49,5 67,1 27,9 16,2 14,1 3,0 31,2<br />
A2 Duroc 143,7 49,7 67,8 27,7 17,8 15,6 3,7 31,2<br />
Goland C21 136,9 51,4 68,5 24,0 16,2 14,0 3,8 31,7<br />
A3 Duroc 142,7 47,9 65,7 30,7 17,1 15,1 3,4 31,5<br />
Goland C21 141,1 48,3 64,5 29,4 16,4 14,4 5,2 31,1<br />
Media Duroc 141,0 48,7 66,2 29,4 17,1 14,9 3,7 31,7<br />
Media Goland C21 138,7 49,1 66,1 28,3 16,3 14,2 4,4 31,4<br />
Media 139,8 48,9 66,2 28,8 16,7 14,6 4,2 31,5<br />
sem 11,8 2,9 7,0 5,4 1,4 1,1 1,2 6,5<br />
Effetti<br />
Allevamento *** *** *** *** *** *** *** ***<br />
Idrido *** *** ns *** *** *** *** ns<br />
All, x Idrido ** ** ns *** *** ** *** ns<br />
PC = peso carcassa a caldo, kg; FOM : Tagli magri, % (Fat O Meter);<br />
BM = spessore muscolo dorsale, mm; BF = spessore grasso dorsale, mm;<br />
PS = peso coscia smontata, kg; CR = peso coscia rifilata, kg;<br />
CS = calo di prima salagione, %; CF = calo peso a fine stagionatura, %<br />
52
Figura 4. Percentuale di carcasse non idonee alla DOP Prosciutto di San Daniele in<br />
base al peso (classe H o L, Figura A), ripartizione in base alla classificazione EUROP<br />
(Figura B) e causa di non conformità <strong>del</strong>le cosce dovute a difetti <strong>del</strong> grasso (Figura C)<br />
% 1,5<br />
%<br />
3,0<br />
2,5<br />
2,0<br />
1,0<br />
0,5<br />
0,0<br />
70<br />
60<br />
50<br />
40<br />
30<br />
20<br />
10<br />
0<br />
70<br />
60<br />
50<br />
40<br />
%<br />
30<br />
20<br />
10<br />
0<br />
A<br />
Duroc Goland C21<br />
B<br />
E U R O P<br />
C<br />
Duroc Goland C21<br />
Test chi quadro fra i due ibridi significativo per P < 0,01<br />
53<br />
Duroc Goland C21
Tabella 9. Confronto <strong>del</strong>la composizione in acidi grassi (%) <strong>del</strong> grasso di copertura<br />
<strong>del</strong>la coscia nei suini derivati incroci di femmine Large White con verri di razza Duroc<br />
o verri ibridi Goland C21<br />
Duroc Goland C21<br />
Media sd Media sd Sig F Media sd<br />
C14:0 1,7 0,1 1,7 0,2 0,175 1,7 0,2<br />
C16:0 20,6 1,0 20,6 0,9 0,916 20,6 0,9<br />
C18:0 12,7 1,0 11,7 0,9 0,000 12,2 1,0<br />
C20:0 0,2 0,1 0,2 0,1 0,626 0,2 0,1<br />
SFA 36,2 1,6 34,3 1,4 0,012 34,7 1,6<br />
C16-1c7 0,3 0,1 0,3 0,1 0,057 0,3 0,1<br />
C16:1 c9 2,1 0,3 2,3 0,3 0,000 2,2 0,3<br />
C18:1c9 41,1 1,8 42,4 1,4 0,000 41,8 1,7<br />
C18:1 c11 2,6 0,2 2,9 0,2 0,000 2,8 0,3<br />
C18:1 c12 0,1 0,0 0,1 0,1 0,000 0,1 0,1<br />
C20:1 c11 1,1 0,2 1,2 0,2 0,005 1,1 0,2<br />
MUFA 47,9 2,1 49,2 1,5 0,000 48,3 2,1<br />
C18:2 n6 13,7 2,0 12,8 1,9 0,000 13,5 2,1<br />
C18:3 n3 0,8 0,2 0,7 0,2 0,724 0,7 0,2<br />
C20:2 n6 0,7 0,1 0,7 0,2 0,049 0,7 0,1<br />
C20:3 n6 0,1 0,0 0,1 0,1 0,243 0,1 0,1<br />
C20:4 n6 0,3 0,1 0,3 0,1 0,539 0,3 0,1<br />
C20:3 n3 0,1 0,1 0,2 0,1 0,325 0,1 0,1<br />
C22:5 n3 0,1 0,0 0,1 0,1 0,015 0,1 0,1<br />
PUFA 15,9 2,3 14,8 2,2 0,000 15,5 2,3<br />
n6/n3 16,1 2,8 14,2 2,5 0,000 15,1 2,8<br />
Il sequenziamento <strong>del</strong> genoma e la genotipizzazione <strong>del</strong>la popolazione<br />
Per la deposizione di grasso e per la sua composizione in acidi grassi la componente<br />
genetica gioca un ruolo fondamentale e numerosi studi hanno permesso di individuare<br />
l’<strong>associazione</strong> fra la variabilità di specifiche regioni <strong>del</strong> DNA e di determinati geni<br />
(Gondret et al., 2012; Guiatti et al., 2009; Guiatti et al., 2010; Uemoto et al., 2012;<br />
Yang et al., 2012) e le variabili fenotipiche legate all’adiposità e alla qualità <strong>del</strong>la<br />
carcassa e <strong>del</strong>la carne.<br />
54
Lo studio dei caratteri quantitativi di interesse economico dei suini pesanti richiede la<br />
disponibilità di un numero elevato di marcatori molecolari, come ad esempio le<br />
mutazioni puntiformi (SNP, Single Nucleotide Polymorphism). L’identificazione su<br />
larga scala di varianti <strong>del</strong> DNA è diventata relativamente agevole negli ultimi anni,<br />
grazie alle recenti tecnologie di sequenziamento, denominate Next Generation<br />
Sequencing (NGS). Il genoma <strong>del</strong> suino è stato solo di recente completamente<br />
sequenziato e assemblato (Pig Genome Assembly 9.2), fornendo in tal modo alla<br />
comunità scientifica uno strumento utilissimo per gli studi di variabilità genomica e di<br />
selezione genetica.<br />
Nel corso <strong>del</strong> progetto è stato pertanto identificato un suino ibrido, nato da un verro<br />
Duroc e una scrofa Large White e con caratteristiche ottimali per velocità di<br />
accrescimento, qualità <strong>del</strong>la carcassa, <strong>del</strong>la coscia e <strong>del</strong>la carne, da impiegare per<br />
l’analisi di risequenziamento <strong>del</strong> genoma con tecnologia Illumina ® NGS (Li et al.,<br />
2009).<br />
Complessivamente sono state sequenziate 90,7 miliardi di basi, che sono state<br />
assemblate in base al consenso e mappate sul genoma di riferimento, producendo una<br />
copertura <strong>del</strong> 94% <strong>del</strong>l’intero genoma. La sequenza è stata riportata nei 18 cromosomi<br />
e nel cromosoma X (Figura 5A) e il confronto con il genoma di riferimento Pig Genome<br />
Assembly 9.2 (www.ensembl.org) ha permesso di identificare <strong>del</strong>le nuove mutazioni<br />
puntiformi <strong>del</strong> DNA (SNP) non ancora riportate in letteratura (Figura 5B). Questo<br />
risultato è la base di partenza per definire un panel a elevata densità di marcatori e<br />
produrre un fingerprint tipico <strong>del</strong> suino ibrido derivato da verri Duroc e scrofe Large<br />
White.<br />
55
Figura 5. A. Cariotipo <strong>del</strong>la specie Sus scrofa con evidenziate le varianti alleliche che<br />
sono risultate variabili (linee rosso mattone) in seguito all’analisi di risequenziamento<br />
<strong>del</strong> genoma (DNA). Le regioni <strong>del</strong> DNA note per la loro <strong>associazione</strong> con il grasso<br />
intramuscolare e la deposizione di grasso in genere sono evidenziate in verde.<br />
B. Numero di mutazioni puntiformi (SNP) omozigoti ed eterozigoti identificate per<br />
ciascun cromosoma<br />
A<br />
B<br />
56
Successivamente, è stato analizzato un set di 109 SNP presenti in 33 geni, noti dalla<br />
letteratura per la loro <strong>associazione</strong> alle variabili fenotipiche quantità e qualità <strong>del</strong> tessuto<br />
adiposo. L’analisi è stata effettuata su 960 campioni di DNA estratti dal tessuto<br />
muscolare di ibridi derivati da verri Duroc (446 soggetti) e da verri Goland C21 (514<br />
soggetti) allevati nel corso <strong>del</strong> progetto. L’analisi statistica ha permesso di individuare<br />
64 SNP (Figura 6) con frequenze alleliche significativamente diverse fra i due ibridi,<br />
definendo quindi un primo fingerprint genotipico per discriminare le due popolazioni.<br />
Figura 6. Frequenze alleliche dei suini ibridi Duroc X Large White e Goland C21 X<br />
Large White<br />
Duroc X Large White Goland C21 X Large White<br />
TTN_A<br />
TGFB2_B<br />
TCF7L2_A<br />
SCD_natalia<br />
SCD_H<br />
SCD_G<br />
SCD_F<br />
SCD_D<br />
SCD_C<br />
SCD_A<br />
PPARGC1A_U<br />
PPARGC1A_T<br />
PPARGC1A_S<br />
PPARGC1A_G<br />
PPARGC1A_B<br />
PPARGC1A_A<br />
PLIN2_C<br />
PLA2G7_A<br />
PI3KR2_A<br />
OPN_natalia<br />
OPN_A<br />
MYPN_A<br />
MYOD1_D<br />
MYOD_natalia<br />
MYF6_natalia<br />
MYF6_A<br />
MC3R_A<br />
LPIN1_A<br />
LEP2_natalia<br />
LEP1_natalia<br />
ITGA7_A<br />
IRS4_B<br />
ID3_B<br />
HNF1A_D<br />
HNF1A_C<br />
GHRL_B<br />
GH_B<br />
GH_A<br />
FTO_L<br />
FABP3_U<br />
DECR1_A<br />
CTSZ_A<br />
CTSS_A<br />
CTSL_A<br />
CTSK_A<br />
CSRP3_A<br />
CCKAR_B<br />
CCKAR_A<br />
CAST_G<br />
CAST_D<br />
CAST_C<br />
CAST_B<br />
CA3_A<br />
ATP1A2_A<br />
AKR1C4<br />
ACSL4_A<br />
ACACA_T<br />
ACACA_S<br />
ACACA_R<br />
ACACA_Q<br />
ACACA_P<br />
3betaHSD<br />
0% 20% 40% 60% 80% 100%<br />
57<br />
TTN_A<br />
TGFB2_B<br />
TCF7L2_A<br />
SCD_natalia<br />
SCD_H<br />
SCD_G<br />
SCD_F<br />
SCD_D<br />
SCD_C<br />
SCD_A<br />
PPARGC1A_U<br />
PPARGC1A_T<br />
PPARGC1A_S<br />
PPARGC1A_G<br />
PPARGC1A_B<br />
PPARGC1A_A<br />
PLIN2_C<br />
PLA2G7_A<br />
PI3KR2_A<br />
OPN_natalia<br />
OPN_A<br />
MYPN_A<br />
MYOD1_D<br />
MYOD_natalia<br />
MYF6_natalia<br />
MYF6_A<br />
MC3R_A<br />
LPIN1_A<br />
LEP2_natalia<br />
LEP1_natalia<br />
ITGA7_A<br />
IRS4_B<br />
ID3_B<br />
HNF1A_D<br />
HNF1A_C<br />
GHRL_B<br />
GH_B<br />
GH_A<br />
FTO_L<br />
FABP3_U<br />
DECR1_A<br />
CTSZ_A<br />
CTSS_A<br />
CTSL_A<br />
CTSK_A<br />
CSRP3_A<br />
CCKAR_B<br />
CCKAR_A<br />
CAST_G<br />
CAST_D<br />
CAST_C<br />
CAST_B<br />
CA3_A<br />
ATP1A2_A<br />
AKR1C4<br />
ACSL4_A<br />
ACACA_T<br />
ACACA_S<br />
ACACA_R<br />
ACACA_Q<br />
ACACA_P<br />
3betaHSD<br />
0% 20% 40% 60% 80% 100%<br />
In ordinata sono riportate le mutazioni puntiformi (SNP) <strong>del</strong> DNA; i colori blu e rosso indicano<br />
le frequenze (%) degli alleli per ogni SNP
Gli studi di associazioni con le variabili fenotipiche consentiranno inoltre di identificare<br />
gli alleli che contribuiscono a controllare le caratteristiche qualitative richieste per la<br />
produzione <strong>del</strong> suino pesante.<br />
Considerazioni generali<br />
L’ibrido studiato negli allevamenti che hanno aderito al progetto presenta accrescimenti<br />
giornalieri e rese di conversione <strong>del</strong> tutto comparabili con gli altri ibridi allevati in<br />
Regione e le scrofe sono caratterizzate da una buona fertilità, buon numero di nati vivi e<br />
da spiccate attitudini materne. Questo tipo genetico di suino, nato e allevato in Friuli<br />
Venezia Giulia, produce carcasse con carne di buona qualità per la trasformazione in<br />
salumi e si distingue per la coscia più pesante e corrispondente ai requisiti <strong>del</strong>la DOP<br />
Prosciutto di San Daniele.<br />
Nel complesso, l’ibrido allevato nel corso <strong>del</strong> progetto presenta dei tratti caratteristici<br />
che permettono una sua collocazione specifica nel mercato <strong>del</strong>le cosce suine di elevata<br />
qualità richieste dalla DOP prosciutto di San Daniele. Le carcasse dei suini derivati<br />
dall’incrocio sono classificate pesanti, con una buona copertura di grasso che gli<br />
permette di rientrare nelle classi URO <strong>del</strong>la griglia EUROP, con la prevalenza per la<br />
classe più centrale R, in assoluto la più apprezzata per i prosciutti DOP. La coscia<br />
pesante, adatta anche per una stagionatura lunga, è quindi non solo idonea per il<br />
prosciutto di San Daniele, ma anche per il prosciutto di Sauris. Il calo di prima<br />
salagione è contenuto e a fine <strong>del</strong>la stagionatura di 14 mesi il peso medio <strong>del</strong>le cosce è<br />
superiore a 10 kg. Infine, la percentuale di non conformità al macello è molto più bassa<br />
<strong>del</strong>la media nazionale e il grasso presenta un’elevata quantità di acidi grassi saturi<br />
(SFA), che gli conferiscono un colore bianco marmoreo e una compattezza molto<br />
apprezzata dal prosciuttificio e dal consumatore.<br />
L’analisi <strong>del</strong>le varianti alleliche <strong>del</strong> DNA con le caratteristiche produttive può infine<br />
rappresentare uno strumento per identificare i riproduttori da utilizzare per la<br />
produzione <strong>del</strong> suino geneticamente friulano.<br />
58
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60
La qualità <strong>del</strong>la carne, <strong>del</strong> salame e <strong>del</strong> prosciutto crudo<br />
La carne: Qualità<br />
Giuseppe Comi, Lucilla Iacumin<br />
Dipartimento di Scienze degli Alimenti – Università di Udine<br />
La qualità <strong>del</strong>la carne è definita in diversi modi, in base alle esigenze di chi la utilizza. Il<br />
trasformatore chiederà resa tecnologica, accettabilità, corrispondenza alle norme di<br />
legge, il dettagliante caratteristiche di colore, aspetto, resa, stato di ingrassamento e il<br />
consumatore caratteristiche di gusto, tenerezza, aspetto e resa cottura. Per qualità si<br />
intendono anche gli aspetti igienici, nutrizionali, tecnologici. Il colore è una <strong>del</strong>le<br />
principali caratteristiche <strong>del</strong>la carne, insieme alla succosità e alla tenerezza, che<br />
spingono il consumatore alla scelta. Il colore <strong>del</strong>la carne è riconducibile principalmente<br />
alla presenza di mioglobina e al prevalere di una <strong>del</strong>le forme che la mioglobina può<br />
assumere. Il colore è uno dei principali attributi di qualità <strong>del</strong>la carne, in quanto<br />
influenza fortemente il consumatore nella scelta <strong>del</strong> prodotto ed è strettamente legato<br />
alle caratteristiche organolettiche <strong>del</strong>la carne, principalmente alla capacità di trattenere i<br />
liquidi (WHC) e alla struttura <strong>del</strong> muscolo. Inoltre il colore riveste un ruolo<br />
fondamentale anche nelle fasi di trasformazione. Una classificazione <strong>del</strong>la carne<br />
secondo la qualità può quindi essere fatta con buona approssimazione soltanto<br />
basandosi sul colore.<br />
Nelle carni rosse un colore rosso brillante, associato a un alto contenuto di<br />
ossimioglobina, viene considerato un fattore positivo, mentre un colore bruno, associato<br />
alla metamioglobina, è un tratto negativo. Rispetto al colore si riconoscono anche due<br />
difetti specifici, le carni Pale Soft Exudative (PSE) e le carni Dark Firm Dry (DFD),<br />
entrambe dovute a valori di pH post-mortem anomali. La percezione <strong>del</strong>la qualità<br />
relativa al colore può essere modificata dal grado <strong>del</strong> tessuto adiposo localizzato tra i<br />
fasci di fibre muscolari nel tessuto connettivo.<br />
63
La succosità è correlata a WHC (Water Holding Capacity) e al grasso presente tra i<br />
muscoli, ma una carne troppo asciutta o con un’eccessiva essudazione è considerata<br />
difettosa. La tenerezza dipende dal tipo di muscolo e dagli eventi, che si instaurano<br />
dopo la morte, comprendenti l’insorgenza e la risoluzione <strong>del</strong> rigor. In genere la<br />
tenerezza è direttamente legata alla qualità. La variazione <strong>del</strong>la velocità di consumo <strong>del</strong><br />
glucosio dopo la morte <strong>del</strong>l’animale (glicolisi) incide profondamente sulla qualità.<br />
Questa è essere dovuta a numerosi fattori intrinseci (specie, genotipo, età, tipo e<br />
localizzazione <strong>del</strong> muscolo) ed estrinseci quali la somministrazione di farmaci prima<br />
<strong>del</strong>l’abbattimento, la temperatura durante la glicolisi post-mortem e gli stress causati da<br />
impropri trattamenti, fame, sete, sovraffollamenti e rumori possono influenzare la<br />
qualità <strong>del</strong>la carne. Le carni PSE hanno un’incidenza <strong>del</strong> 10-20% nelle carcasse suine.<br />
Tale valore è in costante aumento a causa di impiego di razze ipermuscolose meno<br />
resistenti agli stress (Poland-China, Pietrain, Landrace). Due geni controllano le<br />
condizioni PSE, regolando la velocità glicolitica post-mortem e il raggiungimento di pH<br />
anormalmente basso. In seguito a questo rapido abbassamento <strong>del</strong> pH (entro 45 minuti)<br />
la carne diventa molle, rosata e umidiccia, perché diminuisce la ritenzione idrica. La<br />
perdita di essudato può essere superiore al 10%. Infatti, mentre a 45 minuti dalla morte<br />
il pH normale <strong>del</strong>la carne di suino è compreso tra 6,4 e 6,5 unità, nella condizione PSE<br />
è < 5,6 unità. Le carni PSE hanno un pH finale di 5,2 - 5,4, mentre quello di carcasse<br />
normali di 5,6 - 5,8. La condizione PSE non permette l’utilizzo <strong>del</strong>la carne per la<br />
produzione di prodotti a base di carne (salami, prosciutti crudi, minor resa in prosciutti<br />
cotti). Le carni DFD sono presenti anche nei suini, ma in questo caso si preferisce<br />
parlare di carni ad alto pH. La luce, a causa <strong>del</strong>l’alto volume <strong>del</strong>le miofibrille, può<br />
penetrare in profondità senza subire dispersione e riporta in superficie il colore rossoporpora<br />
<strong>del</strong>la mioglobina degli strati profondi. Inoltre l’ossigeno stenta a penetrare e di<br />
conseguenza la carne imbrunisce più velocemente. Le carni ad alto pH (> 6,3 dopo 24<br />
ore) sono più scure e più dure, perché più asciutte di quelle normali. In sintesi l’animale<br />
al momento <strong>del</strong>la macellazione è stressato, non ha più riserve di glicogeno e di<br />
conseguenza la glicolisi avviene solo parzialmente lasciando la carne a pH elevato, che<br />
favorisce lo sviluppo di microrganismi alteranti (Brochothrix thermosphacta). Le carni<br />
DFD, trattenendo più acqua rispetto alle altre, sono indicate per prodotti a base di carni<br />
cotte.<br />
64
La genetica <strong>del</strong>l’animale può predisporre alcuni esemplari a manifestare frequentemente<br />
la condizione PSE e contribuire allo sviluppo di muscoli DFD. La PSE è associata con<br />
la condizione <strong>del</strong> porcine stress sindrome (PSS) ereditata attraverso un solo gene<br />
recessivo spesso chiamato gene <strong>del</strong>lo stress. Sapendo che la stima <strong>del</strong>la diminuzione <strong>del</strong><br />
pH post-mortem è circa tre volte più veloce in una carcassa che produrrà carne PSE, può<br />
non essere necessaria la valutazione <strong>del</strong>la presenza o assenza di questo gene.<br />
Un altro fattore di qualità è rappresentato dalla capacità di trattenere l’acqua (WHC:<br />
Water Holding Capacity). Nel tessuto muscolare l’acqua fa parte <strong>del</strong>le proteine, è legata<br />
in multistrato alla superficie <strong>del</strong>le proteine e non è mobilizzabile, o è presente tra i<br />
filamenti spessi e sottili, libera di muoversi secondo la contrazione e il rigonfiamento<br />
<strong>del</strong>le fibre. Questa rappresenta la maggior parte <strong>del</strong>l’acqua <strong>del</strong> muscolo. La quantità<br />
immobilizzata di acqua sotto forma di gel è molto importante nel determinare le<br />
variazioni di WHC durante il processo di conservazione.<br />
Infine esiste anche una parte di acqua (10%), che è presente nello spazio extracellulare,<br />
le cui dimensioni sono inversamente proporzionali al grado di rigonfiamento <strong>del</strong>le fibre<br />
muscolari. La WHC influenza l’aspetto <strong>del</strong>la carne cruda, il suo comportamento durante<br />
la cottura e la succosità alla masticazione. Essa è definita come la capacità, che hanno le<br />
proteine di trattenere, oltre all’acqua di costituzione, la quantità d’acqua aggiunta. Dopo<br />
la morte <strong>del</strong>l’animale si osserva una certa perdita di acqua per gocciolamento dalle<br />
superfici tagliate di fresco. L’incremento di perdita di acqua è un fattore negativo sia in<br />
carni crude per accumulo di trasudato nelle confezioni che in carni cotte, che diventano<br />
dure e secche. Questo difetto rende poco attraente il prodotto, incute nel consumatore il<br />
sospetto di trattamenti con anabolizzanti ed è presente in carni anche prive di<br />
alterazioni, con pH normali e commercializzate dalla grande distribuzione organizzata e<br />
spesso provenienti da produttori garantiti e filiere controllate.<br />
La WHC si riduce con la diminuzione <strong>del</strong> pH a causa <strong>del</strong>l'avvicinamento <strong>del</strong>le<br />
miofibrille, che provoca l’espulsione di acqua perché diminuisce lo spazio tra i<br />
filamenti. La stessa frollatura non è sufficiente a trattenere l’acqua. Infatti durante<br />
questa fase si osserva una perdita consistente di essudato. Inoltre più il pH è acido più la<br />
carne perde essudato. Al contrario, nelle carni a pH alto, come le DFD, l’acqua è<br />
maggiormente trattenuta. Comunque la perdita di una certa quantità di essudato è<br />
normale anche in carni a pH “normali”.<br />
65
Altre variabili, che determinano variazioni di WHC, sono la specie animale, la razza,<br />
l’età, il sesso, la funzione <strong>del</strong> muscolo, i diversi tipi di proteine presenti, la quantità di<br />
grasso intramuscolare. In generale, la carne suina perde meno acqua di quella bovina,<br />
ma molto dipende dal grado di sezionamento <strong>del</strong>la carne. La tecnologia di macellazione<br />
e produzione (modalità di stordimento, elettrostimolazione, il raffreddamento, il disosso<br />
a caldo) influenzano la quantità di essudato <strong>del</strong>le carni. Infine anche le modalità di<br />
confezionamento, le temperature di stoccaggio e di trasporto possono influenzare la<br />
perdita di WHC <strong>del</strong>la carne, che incrementa ulteriormente con la triturazione. Viceversa<br />
il sale e i polifosfati hanno l’effetto opposto.<br />
Il colore <strong>del</strong>la carne dipende dalla concentrazione dei pigmenti muscolari in essa<br />
contenuti, la mioglobina e l’emoglobina; quest’ultima viene rimossa (95%) col<br />
dissanguamento <strong>del</strong>l'animale alla macellazione, mentre la mioglobina resta nelle cellule<br />
muscolari dopo il dissanguamento e tenta di mantenere la sua funzione normale dopo la<br />
morte, ma non riceve molto a lungo ossigeno dall'emoglobina. Il contenuto in<br />
mioglobina è elevato nelle fibre “rosse” e basso nelle fibre “bianche” e di valore medio<br />
nelle fibre miste. I muscoli rossi contengono più <strong>del</strong> 40 % di fibre rosse (semitendinoso<br />
profondo, bicipite femorale interno); i bianchi contengono, invece, meno <strong>del</strong> 30 % di<br />
fibre rosse (Longissimus dorsii, gluteo medio, bicipite femorale esterno, semitendinoso<br />
superficiale). La concentrazione totale di pigmento è uno dei fattori principali che<br />
determinano il colore e l'accettabilità dei prodotti carnei.<br />
Tuttavia la mioglobina e il pigmento emico totale variano secondo la specie animale e<br />
all'interno <strong>del</strong>la specie a secondo il muscolo (muscolo locomotore o di supporto), l'età<br />
<strong>del</strong>l'animale, il sesso. Differenze sono state trovate tra razze diverse e tipo di<br />
allevamento. La mioglobina ha un colore rosso porpora, quello <strong>del</strong>la carne appena<br />
tagliata. Legandosi all’ossigeno si trasforma in ossimioglobina (MbO2), che modifica da<br />
rosso scuro a rosso vivo il colore <strong>del</strong>la carne. Se l'esposizione all'ossigeno è lunga<br />
l’ossimioglobina si ossida e imbrunisce (metmioglobina-Mb + ). L’imbrunimento viene<br />
visto come deterioramento, in realtà interviene prima <strong>del</strong> deterioramento vero e proprio<br />
<strong>del</strong>la carne. A pH bassi l’ossidazione avviene rapidamente.<br />
Nel muscolo a pH basso (PSE), la Mb assorbe poco le onde luminose e il risultato sarà<br />
una carne colore chiaro, perché determinato dagli strati più superficiali, ricchi di<br />
ossimioglobina, mentre in quello a pH alto si ha una minore dispersione <strong>del</strong>la luce, le<br />
66
onde luminose incidenti penetrano più profondamente e ritornano in superficie<br />
riportando il colore degli strati più profondi e il risultato sarà un colore molto scuro.<br />
Nel muscolo fresco refrigerato la metmioglobina, che via via si forma viene<br />
prontamente ridotta a mioglobina e il colore rosso dura per 4 - 5 giorni. I batteri aerobi<br />
sono stati associati alla colorazione marrone, che appare quando i batteri sono nella fase<br />
di crescita logaritmica per l’alta richiesta di ossigeno, riducendo la tensione di ossigeno<br />
alla superficie <strong>del</strong>la carne. I batteri anaerobi facoltativi non causano questo effetto<br />
scolorante perché consumano poco ossigeno. I composti derivanti dal metabolismo<br />
batterico come l’acqua ossigenata e l’acido solfidrico, essendo ossidanti, causano<br />
variazioni di colorazione con tendenza al verde (sulfamioglobina, coleglobina) e al<br />
marrone.<br />
La qualità <strong>del</strong>la carne degli ibridi allevati<br />
Nel corso <strong>del</strong> progetto, è stata valutata e comparata la carne di suini di 2 linee genetiche,<br />
ibridi derivati da incroci di scrofe Large White on verri Duroc o Goland C21. Lo scopo<br />
era di evidenziare quale linea genetica fosse più adatta alla produzione di carne per<br />
prodotti carnei (in realtà carne fresca) o prodotti a base di carne (salami, prosciutti<br />
crudi). La valutazione consisteva in controlli microbiologici e chimico-fisici. I primi<br />
consistevano nella ricerca di Conta microbica totale (CBT), Enterobatteri, Escherichia<br />
coli, Listeria monocytogenes, Salmonella spp. Le analisi chimico-fisiche<br />
comprendevano la valutazione <strong>del</strong> pH, <strong>del</strong>l’Aw, <strong>del</strong>la perdita di essudato (Drip-loss),<br />
<strong>del</strong> colore e <strong>del</strong>le ceneri.<br />
Dai dati è emerso che tutte le genetiche non presentavano differenze significative a<br />
livello di parametri chimico-fisici e microbiologici. Infatti come si evince dalla tabella<br />
1, sia i valori <strong>del</strong> colore valutati attraverso i parametri L*, a* e b* che quelli <strong>del</strong> driploss<br />
(perdita di essudato) presentano medie non significativamente diverse. Per quanto<br />
riguarda i valori di pH, si è notato una uniformità di risultati. I dati ottenuti dimostrano<br />
che la carne di tutte le genetiche è idonea alla trasformazione. I valori di pH compresi<br />
tra 5,6 – 5,8 unità evidenziano che la carne è particolarmente idonea alla trasformazione<br />
per prodotti di salumeria maturati (salami e prosciutti).<br />
I dati microbiologici evidenziano una buona qualità igienico-sanitaria <strong>del</strong>la carne di<br />
tutte le genetiche. Non sono mai state isolate né Salmonella spp. né Listeria<br />
67
monocytogenes. Inoltre le CBT e le popolazioni batteriche rientrano nei criteri proposti<br />
per le carni dai Reg. CE 2073/05 e Reg. CE1441/07. Infine alla luce <strong>del</strong>le analisi<br />
sensoriali e <strong>del</strong> pH le genetiche investigate devono essere considerate PSE-free.<br />
Pertanto non appare evidente alcuna prevalenza qualitativa di una genetica rispetto alle<br />
altre.<br />
Il salame<br />
I salami sono definiti prodotti a base di carne suina, e in base a ricette locali o legati a<br />
particolari territori a base di carne bovina o equina o di altre specie animali. La carne e<br />
il grasso vengono tritati e addizionati di una concia costituita da cloruro di sodio (NaCl,<br />
min. 2,7%), di nitrati e i nitriti e di spezie varie (pepe, peperoncino, aglio). Dopo<br />
impastamento, l’impasto è insaccato in bu<strong>del</strong>li naturali o artificiali (cellulosa o<br />
materiale plastico), che dopo legatura sono posti in celle a disidratare e successivamente<br />
a stagionare. I tempi, le temperature e le umidità relative <strong>del</strong>le fasi di produzione<br />
variano secondo la ricetta, il luogo di produzione, il tipo, il bu<strong>del</strong>lo, il calibro e il peso<br />
<strong>del</strong> salame.<br />
Tabella 1. Caratteristiche qualitative di carni dei due ibridi, derivati da incroci fra<br />
scrofe Large White con verri Duroc o Goland C21<br />
Goland C21 Duroc Media<br />
Parametro Media ds Media ds Media Ds<br />
L* 41,7 6,5 41,5 5,6 41,6 5,9<br />
a* 1,6 4,3 1,1 3,6 1,3 3,9<br />
b* 9,6 3,0 9,8 2,5 9,8 2,7<br />
Drip-loss 1 2,9 1,9 2,3 2,0 2,3 1,9<br />
pH 5,7 0,2 5,7 0,3 5,7 0,2<br />
CBT 2 3,7 1,1 3,3 1,0 3,5 1,1<br />
Enterobatter 3 1,9 1,2 1,9 1,2 1,9 1,2<br />
Coliformi 3 1,6 0,8 1,7 0,9 1,6 0,8<br />
E.coli 3 1,2 0,6 1,2 0,6 1,2 0,5<br />
ds = deviazione standard; 1 = ml/100 g carne; 2 CBT = Conta batterica totale;<br />
3, UFC, unità formanti colonia e in log UFC/g<br />
68
L’Italia ha un’antica tradizione, che si fonda sull’uso di ingredienti e metodologie, che<br />
sono state modificate nel tempo da operatori artigiani e industriali. Ogni regione può<br />
vantare salami tipici con ricette tipiche, anche se spesso l’industria, indipendentemente<br />
dalla sua collocazione, è da tempo in grado di produrre qualsiasi prodotto “tipico”.<br />
Differenze nelle ricette sono osservate tra i salami prodotti al Nord da quelli <strong>del</strong> Sud.<br />
Nel Nord d’Italia si osserva un uso limitato di spezie e droghe (solo pepe e aglio), nel<br />
Sud oltre al pepe e all’aglio si usano peperoni, pomodori, semi di finocchi e aglio.<br />
Differenze sono osservate nella scelta <strong>del</strong> tipo di bu<strong>del</strong>lo, <strong>del</strong> rapporto magro/grasso, <strong>del</strong><br />
tipo di macinatura e <strong>del</strong>la quantità di sale impiegato. Pertanto l’Italia può vantare in un<br />
gran numero di salami tipici, con ricette specifiche derivanti dalla cultura tradizionale<br />
locale o regionale. Alcuni di questi insaccati, come il salame di Varzi, Brianzolo,<br />
Ungherese, Cacciatore, Felino, Milano, Cremonese, tipo Fabriano, piacentino, toscano,<br />
campagnolo, salsiccione, ventricina, come la soppressa coppata, lombata, siciliana,<br />
romana, spianata e calabrese e come le salsicce crude stagionate di Napoli dolce e<br />
piccante e la lucana, sono ormai apprezzati anche a livello europeo o mondiale. Ognuno<br />
ha una propria ricetta, un proprio sapore, una propria tecnologia di produzione, ma tutti<br />
sono prodotti in seguito a stagionature, che variano dai 21 giorni ai 6-12 mesi. Il tempo<br />
e la metodologia di stagionatura influenza il sapore e l’odore (frazione aromatica<br />
volatile), la consistenza, il grado di acidità. In particolare il tempo di<br />
asciugatura/maturazione permette di suddividere i salami in tre categorie: lunga, corta e<br />
media stagionatura o meglio a fermentazione lenta, media e rapida. I salami a corta<br />
stagionatura solitamente sono ottenuti grazie all’intervento di batteri lattici, che<br />
acidificando l’impasto, inibiscono i microrganismi responsabili <strong>del</strong>l’alterazione e i<br />
patogeni. L’acidificazione e la contemporanea disidratazione (perdita di umidità)<br />
permettono la maturazione e danno aroma e stabilità al salame. In tali salami, lo<br />
zucchero eventualmente aggiunto favorisce lo sviluppo di batteri lattici, che liberano<br />
acido lattico e frazioni aromatiche, e conferiscono al salame le caratteristiche chimicofisiche,<br />
microbiologiche e organolettiche desiderate: consistenza, tenuta <strong>del</strong>la fetta,<br />
colore e aroma. La velocità di fermentazione dei batteri lattici, strettamente legata alla<br />
temperatura e alle umidità relative impiegate, produce una rapida diminuzione <strong>del</strong> pH,<br />
la coagulazione <strong>del</strong>le proteine con conseguente tenuta <strong>del</strong>la fetta, un colore rosato per<br />
reazione <strong>del</strong> nitrito con la mioglobina (nitrosilmioglobina). Tuttavia non sempre il<br />
consumatore italiano apprezza tali salami perché la consistenza è gommosa e al gusto<br />
69
l’acidità prevale sull’aroma. In altre parole i salami ottenuti con fermentazione rapida<br />
sono acidi e poco aromatici. Viceversa i salami a media e a lunga stagionatura (oltre i<br />
30 giorni) sono poco acidi e molto aromatici. La stagionatura avviene lentamente, la<br />
variazione <strong>del</strong> pH è limitata. Il valore di pH più basso è di 5,2 – 5,3 unità, valore che<br />
viene raggiunto circa dopo 10-15 giorni. Lentamente il pH risale fino a fine maturazione<br />
raggiungendo valori di 5,5 – 5,6. In questo modo la tenuta <strong>del</strong>la fetta è buona, non si<br />
sbriciola al taglio. Inoltre già dopo 4 settimane, la consistenza è plastica e non elastica e<br />
il colore è rosso carico, dovuto alla produzione di nitrosilmioglobina e a un ambiente<br />
ridotto. In questa tipologia la maturazione è svolta da cocchi coagulasi negativi catalasi<br />
positivi (CNCPC, Staphylococcus carnosus, St. xilosusu, Kocuria spp.) e da lattobacilli.<br />
I primi producono molecole antiossidanti, lipasi e proteasi che liberano aromi, i secondi<br />
fermentano gli zuccheri naturali o aggiunti e liberano acidi organici, che inibiscono lo<br />
sviluppo dei microrganismi alteranti e patogeni. Parallelamente all’attività batterica<br />
interviene l’asciugatura, che disidrata il salame e conseguentemente si osserva un<br />
aumento <strong>del</strong>la concentrazione salina, che abbassa l’attività <strong>del</strong>l’acqua (Aw).<br />
I CNCPC riducono il nitrato a nitrito, che ha un’azione inibente nei confronti <strong>del</strong>la flora<br />
saprofita e alterante e <strong>del</strong> Clostridium botulinum. Le fasi di produzione <strong>del</strong> salame<br />
comprendono: scelta <strong>del</strong>la carne e <strong>del</strong> grasso, preparazione degli ingredienti e degli<br />
additivi; preparazione degli impasti; insacco; stufatura; asciugamento; stagionatura. I<br />
tempi, le temperature e le umidità relative di ogni fase cambiano secondo la tipologia di<br />
salame, artigianale e industriale, anche se oggi le differenze sono minime o trascurabili.<br />
Infatti l’artigiano utilizza materie prime, ingredienti e una tecnologia, che non hanno<br />
nulla da invidiare alla media o alla grossa industria.<br />
Di seguito riportiamo un esempio di produzione <strong>del</strong> salame:<br />
1) Scelta <strong>del</strong>la carne e <strong>del</strong> grasso. Si usa carne fresca di animali maturi (esempio spalle<br />
disossate, snervate/sgrassate, magro di prosciutto, ton<strong>del</strong>li, refili di pancetta e di altri<br />
prodotti di salumeria). La carne, tenuta a -2°C, non deve presentare patine viscide, odori<br />
anormali, e deve essere di colore rosso-rosa. Il pH deve essere compreso tra 5,6 – 5,8 e<br />
mai superiore a 6,2 e un Aw pari a 0,98. Deve avere una carica microbica compresa tra<br />
10 3 e 10 4 UFC/g o cmq, raramente viene utilizzata carne con carica microbica superiore.<br />
Il grasso, di colore bianco, deve essere duro (pancetta scotennata, grasso di prosciutto,<br />
guanciale, gola scotennata, lardo, ecc.) cioè povero di acidi grassi insaturi, deve essere<br />
privo di oleosità e di odori anormali. Il suo punto di fusione deve essere superiore a<br />
70
28°C. In caso di utilizzo di grassi molli, il prodotto è scadente, perché intervengono<br />
smelmature: il grasso cola sul magro e quindi rallenta la disidratazione. Per i salami a<br />
grana fine si preferisce il grasso di gola, per quelli a grana grossa il grasso di pancetta.<br />
2) Scelta degli ingredienti/additivi. La scelta dipende dalla tipologia di prodotto, dalla<br />
ricetta e dall’area luogo di produzione. In ogni caso possono comprendere: sale,<br />
zuccheri (D.M. 22/1/1987, n. 463), nitrito e/o nitrato, pepe, paprika, peperoncino, aglio.<br />
Tra gli ingredienti troviamo anche gli starter: batteri lattici, CNCPC, muffe (Penicillium<br />
nalgiovense; P. chrysogenum) e lieviti (Debaryomyces hansenii). Il Decreto<br />
Ministeriale 28.12.1994 permette l’aggiunta di starter (Lactobacillus, Pediococcus,<br />
Micrococcus, Debaryomyces, Staphylococcus xilosus, S. simulans, S. carnosus), allo<br />
scopo di standardizzare o migliorare la produzione, accelerare la fermentazione,<br />
modificare la consistenza e la presentazione <strong>del</strong> prodotto. Si usano starter a base di<br />
CNCPC per salami a fermentazione lenta, mentre a base di<br />
lattobacilli/micrococchi/staphylococci, di pediococchi/micrococchi/ staphylococci o<br />
colture singole di lattobacilli e pediococchi per salami a rapida fermentazione.<br />
Concentrazione massima di inoculo 10 6 -10 7 UFC/g. In caso di aggiunta di starter è<br />
d’obbligo l’impiego di zucchero (destrosio, fruttosio, saccarosio, lattosio, e loro<br />
miscele, min. 0,1%, max. 1,5%). Per favorire un rapido sviluppo <strong>del</strong>la popolazione dei<br />
batteri lattici si aggiunge dallo 0,4 allo 0,8% di zuccheri. Il sale deve essere aggiunto in<br />
ragione <strong>del</strong> 2,7 – 3,0%. Tale concentrazione blocca i batteri alteranti e favorisce lo<br />
sviluppo di quelli utili alla fermentazione. Il sale permette l’estrazione <strong>del</strong>le proteine<br />
sale solubili, che formando un gel e favoriscono la tenuta <strong>del</strong>la fetta. Il nitrito e il nitrato<br />
(KNO3 e NaNO2), oltre a favorire lo sviluppo <strong>del</strong> colore, hanno un effetto antiossidante.<br />
L’aggiunta <strong>del</strong> nitrato favorisce lo sviluppo di nitrato riduttori (CNCPC); microrganismi<br />
responsabili <strong>del</strong>l’aroma.<br />
Tra gli additivi usati per prevenire ossidazioni e stabilizzare il colore troviamo l’acido<br />
ascorbico e i suoi sali. Tra le spezie troviamo il pepe bianco, rosso o nero, intero<br />
spezzato o in polvere (0,2 – 0,3%), il peperoncino, l’aglio e la paprika.<br />
3) Preparazione impasto e insacco. Il grasso (1/3), la carne (2/3) vengono triturati e<br />
impastati, fino ad ottenere un amalgama ben omogenea e ben legata. La temperatura<br />
<strong>del</strong>la carne e <strong>del</strong> grasso prima <strong>del</strong>la triturazione in tritacarne o in cutter deve essere<br />
rispettivamente di 0, -4°C e – 6, -3°C. Entrambi non devono superare durante la tritatura<br />
la temperatura di 7°C, per evitare smelmature e lo sviluppo di salmonelle e di psicrotrofi<br />
71
alteranti. Dopo triturazione si ha l’aggiunta <strong>del</strong> sale e degli additivi/ingredienti. Dopo si<br />
procede con l’impastamento e quindi l’impasto deve essere lasciato in marne per un<br />
tempo massimo di 18 - 24 ore a 0 - 2°C per favorire la diffusione <strong>del</strong>la concia nelle parti<br />
magre e la formazione di nitrosomioglobina responsabile <strong>del</strong> tipico colore rosso dei<br />
salami. Quindi l’impasto viene insaccato in bu<strong>del</strong>li naturali (torto bovino da intestino<br />
tenue, dritto da colon, cieco, gentile da retto) o artificiali (collagene ricostituito,<br />
cellulosici o di materiali plastici-poliammidi, poliesteri, eccetera), in sottovuoto per<br />
evitare che rimangano bolle d’aria, responsabili di ossidazioni.<br />
4) Stufatura/asciugatura. I salami, disposti su bastoni e grate, sono posti in celle a<br />
temperature di 24°C a U.R. massime (85 - 90%). Si dice che il salame faccia la “sauna”.<br />
Questa fase è necessaria perché l’impasto a cuore deve raggiungere la temperatura, che<br />
si userà in cella di asciugatura. Al massimo è permessa una differenza di 3°C tra<br />
l’impasto e l’ambiente esterno. Dopo insacco non si può subito disidratare, pena<br />
l’insorgenza di incrostamenti superficiali. Se lo strato di impasto attaccato al bu<strong>del</strong>lo si<br />
incrosta non sarà più possibile disidratare il prodotto in maniera omogenea, e<br />
conseguentemente si osserverà internamente uno sviluppo anomalo di germi<br />
acidificanti, alteranti e/o patogeni. Segue l’asciugatura. Questa è una fase <strong>del</strong>icata e<br />
fondamentale perché porta a stabilizzare il prodotto. Le principali modificazioni<br />
chimico-fisiche profonde dovute alla disidratazione e all’intervento dei microrganismi<br />
naturalmente presenti o aggiunti come starter intervengono in questa fase. Occorre<br />
severamente controllare la temperatura e l’umidità relativa. Temperature e U.R.<br />
appropriate producono una riduzione <strong>del</strong>l’umidità e quindi <strong>del</strong>l’Aw <strong>del</strong> salame e<br />
permettono lo sviluppo di CNCPC e batteri lattici, responsabili <strong>del</strong>la produzione di<br />
acidità e aromi e di conseguenza <strong>del</strong>la maturazione <strong>del</strong> prodotto. Infatti temperature<br />
iniziali di 25 - 28°C favoriscono lo sviluppo di pediococci e una rapida acidificazione,<br />
mentre temperature iniziali di 18 - 24°C favoriscono lo sviluppo dei CNCPC e dei<br />
lattobacilli. La regola aurea <strong>del</strong>la fase di asciugatura implica una temperatura iniziale di<br />
24°C, che diminuisce di 2°C/giorno fino a fine asciugatura, quanto viene raggiunta la<br />
temperatura di 12 - 13°C. Le U.R. variano dal 65 al 85%, e ciò permette una<br />
disidratazione omogenea <strong>del</strong> prodotto. I salami prodotti senza l’impiego di temperature<br />
e U.R. controllate vengono asciugati in ambienti (cantine o stanze) a temperatura<br />
costante (esempio 14 °C) e di conseguenza i tempi si allungano fino a qualche mese. In<br />
caso di ambiente secco è buttata <strong>del</strong>l’acqua sul pavimento di questi ambienti. Alla fine<br />
72
<strong>del</strong>l’asciugatura il salame deve aver subito un calo peso di almeno il 18% e avere un<br />
Aw di 0,92 – 0,93. Ciò indipendentemente dal tipo di prodotto, che si vuole ottenere.<br />
Tali valori di Aw stabilizzano il salame e impediscono lo sviluppo di qualsiasi<br />
microrganismo patogeno o alterante. In questa fase cominciano a sviluppare le muffe<br />
sul bu<strong>del</strong>lo; muffe che svolgono diverse azioni: impedire ossidazione <strong>del</strong> grasso,<br />
favorire gli scambi di umidità con l’esterno, liberare enzimi proteolitici e lipolitici, che,<br />
una volta nell’impasto, favoriscono la maturazione. Le muffe e i lieviti, in realtà, si<br />
sviluppano sui bu<strong>del</strong>li anche durante tutta la stagionatura.<br />
5) La stagionatura. La stagionatura è la fase nella quale avvengono tutte le principali<br />
modificazioni <strong>del</strong>le caratteristiche sensoriali dei salami. In questa fase vengono<br />
utilizzate temperature di 10 - 12°C per i salami a grana fine; mentre 12 - 14°C per gli<br />
altri. L’U.R. <strong>del</strong>le camere di stagionatura è diversa da quella utilizzata in asciugatura.<br />
L’U.R. varia tra il 70 e il 85% e solo nella fase finale può raggiungere il 65%.<br />
Importante in queste celle che l’aria circoli ed eviti il ristagno di umidità sulla superficie<br />
<strong>del</strong> salame e lo sviluppo abnorme di muffe gialle o verdi, produttori di Ocratossina<br />
(Aspergillus ochraceus e Penicillium nordicum). Comunque i tempi, le temperature e le<br />
U.R. di stagionatura dipendono dal tipo di prodotto e dal calibro. In questa fase<br />
l’impasto subisce una serie di trasformazioni fisiche, chimiche e microbiologiche, che<br />
gli conferiscono gusto, sapore, aroma e stabilità. In sintesi: l’impasto diventa rosso<br />
(nitrosomioglobina), si rassoda e diventa plastico. L’Aw si abbassa al di sotto di 0,92, il<br />
calo peso raggiunge il 30%, il pH si innalza fino a valori di 5,5 a 5,7, a causa<br />
<strong>del</strong>l’effetto tamponante svolto dagli aminoacidi e dall’ammoniaca liberata, i lipidi sono<br />
idrolizzati ad acidi grassi e quindi ad aldeidi e chetoni, precursori <strong>del</strong>l’aroma. In tali<br />
trasformazioni rientra anche l’attività di microrganismi quali CNCPC e lattobacilli<br />
(Lactobacillus plantarum, L. sakei e L. curvatus). Infine il salame acquisisce l’aroma<br />
tipico caratterizzato dal sale, dalle spezie e dall’attività <strong>del</strong>le popolazioni batteriche e di<br />
enzimi propri <strong>del</strong>la carne. L’aroma dei salami a fermentazione rapida è strettamente<br />
dipendente dalla presenza <strong>del</strong> sale e dagli acidi lattico e acetico, mentre quello dei<br />
salami a lunga stagionatura dalla presenza di aldeidi ramificate, chetoni, acidi grassi a<br />
corta catena, prodotti dalla demolizione dei lipidi e in parte da aminoacidi. Le stesse<br />
lipasi <strong>del</strong>la carne e <strong>del</strong> grasso assieme a quelle dei CNCPC degradano i lipidi a mono e<br />
digliceridi e acidi grassi saturi e insaturi, che sono poi trasformati in carbonili e in acidi<br />
grassi a corta catena. I mono e digliceridi sono responsabili <strong>del</strong>la tenuta <strong>del</strong>la fetta.<br />
73
Alcuni produttori evitano l’uso di starter. Ciò non pregiudica la qualità <strong>del</strong> prodotto<br />
finito, perché si sfruttano i microrganismi starter naturalmente presenti nelle carni.<br />
Infatti un severo controllo dei parametri quali U.R., temperature, velocità <strong>del</strong>l’aria, e<br />
una scelta oculata <strong>del</strong>le materie prime e degli ingredienti/additivi permette di ottenere<br />
buoni salami senza ricorrere all’uso di starters aggiunti, anche se la loro aggiunta<br />
permette di standardizzare, migliorare la produzione o correggere errori tecnologici o<br />
umani.<br />
6) La Conservazione. A fine stagionatura il salame “maturo” è ricoperto di muffe, che<br />
sono intervenute nella maturazione. Da decenni queste muffe sono eliminate attraverso<br />
spazzolature o spazzolature e lavaggi. Il salame viene, poi, infarinato con farina di riso,<br />
etichettato e confezionato in materiale plastico forato o in atmosfera modificata e<br />
conservato a temperature comprese tra i 4 e gli 8°C con umidità relativa compresa tra 70<br />
e 80%, in maniera da impedire una ulteriore disidratazione.<br />
Il prodotto è comunque stabile avendo un’Aw massima di 0,92.<br />
7) Qualità <strong>del</strong> salame. La qualità <strong>del</strong> salame è valutata attraverso analisi sensoriali e<br />
attraverso analisi chimico-fisiche e microbiologiche. L’analisi sensoriale basata su saggi<br />
ispettivi e organolettici comprende il controllo dei suddetti parametri: aspetto esterno<br />
(controllo colore, margini, bu<strong>del</strong>lo), aspetto interno (grana, aspetto, colore), odore<br />
(specifico, equilibrato, pronunciato), gusto (specifico, <strong>del</strong>icato, aromatico, equilibrato) e<br />
consistenza (specifica, buona, ferma, tenera, molto gradevole). Tali parametri sono<br />
soggettivi e devono essere valutati da persone esperte.<br />
Il salame deve essere salubre e pertanto non deve contenere germi patogeni quali L.<br />
monocytogenes, Salmonella o E. coli patogeni. La tecnologia di produzione applicata<br />
impedisce la presenza e lo sviluppo di tali microrganismi. Inoltre col procedere <strong>del</strong>la<br />
maturazione e col raggiungimento di valori di Aw inferiori a 0,92 tali microrganismi<br />
sono inattivati.<br />
I caratteri chimico-fisici comprendono: umidità, grasso, proteine totali, pH, ceneri,<br />
zuccheri e sali e dai loro rapporti.<br />
74
La qualità dei salami degli ibridi allevati<br />
Sono stati prodotti salami utilizzando 3 tipologie di linee genetiche: A) ibridi derivati da<br />
scrofe Large White e verri Duroc; B) ibridi derivati da scrofe Large White e verri<br />
Goland C21; C) ibrido commerciale di suino pesante generalmente utilizzato nello<br />
stabilimento di lavorazione. Lo studio è stato svolto in 4 salumifici: 1) Salumificio<br />
Pantarotto a San Vito Al Tagliamento; 2) Morgante Salumi a Romans d’Isonzo; 3)<br />
Larice Carni ad Amaro; 4) Salumificio F.lli Uanetto a Castions di Strada. I salami sono<br />
stati prodotti secondo ricetta tradizionale e la tecnologia di produzione di ciascun<br />
salumificio e maturati fino al 60 giorno. E’ stato eseguito un controllo tecnologico <strong>del</strong>la<br />
fase di asciugatura e maturazione.<br />
Dopo 0, 3, 10, 20, 30, 45 e 60 giorni sono stati prelevati 3 campioni che sono stati<br />
analizzati attraverso metodiche microbiologiche, chimico-fisiche. A 60 giorni (fine<br />
maturazione) sono stati prelevati 9 campioni e analizzati attraverso metodiche<br />
sensoriali.<br />
I parametri valutati hanno compreso:<br />
1) L'evoluzione microbica: Conta Batterica Totale (CBT); Batteri lattici (LAB);<br />
Cocchi Coagulasi Negativi Catalasi Positivi (CNCPC); E. coli; Enterobacteriaceae;<br />
Staphylococcus aureus; Enterococci; Lieviti e muffe; Salmonella; Listeria<br />
monocytogenes.<br />
2) Le variabili chimico-fisiche: pH; Aw; Umidità; Analisi centesimale; Analisi<br />
composti volatili; Ammine biogene.<br />
3) L’analisi sensoriale: Appetibilità esteriore, Colore, Lucidità, Omogeneità fetta,<br />
Incrostazioni, Grani pepe, Odore acido, Odore rancido, Odore pepe, Elasticità, Durezza,<br />
Coesione fetta, Gusto salato, Gusto acido, Retrolfatto carne cruda, Retrolfatto pepe,<br />
Retrolfatto rancido.<br />
L’andamento <strong>del</strong>le popolazioni microbiche e <strong>del</strong>la componente chimico-fisica è stato<br />
pressoché simile sia tra le genetiche che tra i salumifici considerati (Figure 1-12).<br />
75
Figura 1. Andamento popolazione dei Cocchi Coagulasi negativi Catalasi positivi<br />
Figura 2. Andamento popolazione dei lieviti<br />
76
Figura 3. Andamento popolazione <strong>del</strong>la carica batterica totale<br />
Figura 4. Andamento popolazione enterococci<br />
77
Figura 5. Andamento popolazione Staphylococci coagulasi positivi<br />
Figura 6. Andamento popolazione Escherichia coli<br />
78
Figura 7. Andamento popolazione coliformi<br />
Figura 8. Andamento popolazione batteri lattici<br />
79
Figura 9. Andamento popolazione Clostridi solfito riduttori<br />
Si è osservato un incremento di quelle popolazioni microbiche utili ai fini <strong>del</strong>la<br />
maturazione. Infatti i CNCPC sono cresciuti entro tre giorni dall’insacco e poi sono<br />
rimasti costanti fino alla fine, stesso andamento è stato osservato per i LAB. Questi<br />
hanno raggiunto nei primi tre giorni valori superiori a 7x10 7 UFC/g e poi, con brevi<br />
variazioni hanno continuato la loro attività fino a fine maturazione (45 - 60 giorni.) I<br />
CNCPC sono stati responsabili <strong>del</strong>la produzione <strong>del</strong>l’aroma, cosa <strong>del</strong> resto osservata<br />
con lo studio dei composti volatili presenti negli insaccati; ed hanno svolto anche<br />
un’importante opera di nitrato riduzione, che ha portato alla stabilità <strong>del</strong> colore. I LAB,<br />
invece, hanno in un primo tempo svolto la loro azione acidificante, che ha impedito lo<br />
sviluppo di batteri responsabili <strong>del</strong>l’alterazione e i potenziali patogeni. Quindi,<br />
considerando l’aroma, si può pensare che anche i LAB siano intervenuti nella<br />
produzione dei composti volatili.<br />
80
I potenziali patogeni e gli alteranti (E. coli, enterobacteriaceae, Staphylococcus aureus,<br />
enterococci) non si sono sviluppati, anzi nel tempo la loro concentrazione è andata a<br />
diminuire. Tale mancata crescita è dimostrata dalla bassa concentrazione di ammine<br />
biogene osservata. Queste molecole sono prodotte principalmente da enterobacteriaceae<br />
e da enterococci e sono ritenute tossiche. Non è stata osservata la presenza di<br />
Salmonella e di Listeria monocytogenes. I lieviti sono cresciuti in maniera sensibile<br />
negli impasti e molto probabilmente hanno influenzato in positivo l’aroma finale e ciò<br />
ha permesso al pH di risalire in maniera da togliere il gusto aspro, che solitamente<br />
presentano i salami friulani o meglio i salami acidi. Pertanto si può dire che<br />
l’andamento <strong>del</strong>le popolazioni microbiche è stato da manuale in tutte le produzioni<br />
eseguite indipendentemente dalla genetica <strong>del</strong>la carne utilizzata. Per quanto riguarda il<br />
calo peso a fine maturazione si sono osservati cali <strong>del</strong> 34 - 39%, indipendentemente<br />
dalla genetica utilizzata e dal salumificio. Ciò ha permesso una diminuzione <strong>del</strong>l’Aw al<br />
di sotto <strong>del</strong>lo 0,90. Di conseguenza tutti i salami hanno raggiunto una stabilità tale da<br />
permetterne la conservazione in ambienti secchi e a temperature fresche (10 - 15 °C) e<br />
soprattutto da impedire lo sviluppo di microrganismi patogeni. Il pH inizialmente è<br />
sceso al disotto di 5,2 unità, sensibili variazioni sono osservate a livello di laboratorio di<br />
produzione, per poi risalire in seguito all’attività maturativa espresso sia dai CNCPC<br />
che dai LAB. I valori finali di pH si sono attestati sopra le 5,6 unità. Procedendo la<br />
maturazione fino a 60 giorni, il pH è risalito fino a valori in alcuni laboratori di<br />
produzione oltre le 6,0 unità. L’analisi dei composti volatili ha evidenziato undici classi<br />
di composti: acidi carbossilici, alcoli, aldeidi, chetoni, composti solforati, esteri, fenoli,<br />
furani, idrocarburi aromatici, lattoni e terpeni.<br />
81
Figura 10. Andamento <strong>del</strong>l’Attività <strong>del</strong>l’acqua (Aw)<br />
Figura 11. Andamento <strong>del</strong> pH<br />
82
Figura 12. Calo peso<br />
Sono state osservate minime variazioni tra le genetiche e i laboratori di produzione. In<br />
alcuni casi tali variazioni sono dipese dalla concentrazione <strong>del</strong>le spezie aggiunte (es. per<br />
i terpeni), in altri casi dal processo maturativo. Tuttavia la presenza di un’ottima<br />
componente volatile ha influito sulla qualità sensoriale dei salumi. Infine le ammine<br />
biogene sono presenti in tutte le genetiche e in tutte le produzioni, ma a livello<br />
accettabile; anzi la loro concentrazione è così bassa, da non comportare alcuna influenza<br />
sulla salubrità dei prodotti. L’analisi sensoriale ha evidenziato alcune differenze tra le<br />
genetiche (Figure 13, 14, 15). In particolare per alcune produzioni gli assaggiatori<br />
hanno preferito i salami prodotti con gli ibridi Duroc x Large White, altri con quelli<br />
derivati da suini Goland C21 x Large White ed altri ancora con quelli ottenuti<br />
dall’ibrido tradizionale. Tuttavia le variazione nell’analisi sensoriale sono strettamente<br />
dipendenti dal laboratorio di produzione.<br />
83
Figura 13. Analisi sensoriale salumificio L<br />
Figura 14. Analisi sensoriale salumificio U<br />
84
Figura 15. Analisi sensoriale salumificio M<br />
Nei Salumifici U ed L ad esempio, la genetica Duroc x Large White è stata preferita<br />
sulle altre per il colore e la lucidità <strong>del</strong>la fetta, per la componente aromatica legata alle<br />
spezie e per il basso sentore di rancido. Nel salumificio P sono stati preferiti ad ogni<br />
livello di carattere i salami prodotti con la genetica Duroc x Large White. Infine nel<br />
salumificio M gli assaggiatori non hanno osservato grandi differenze tra le genetiche.<br />
Pertanto in conclusione possiamo affermare che le carni di tutte le genetiche hanno<br />
permesso di produrre buoni salami; sembra che la genetica Duroc x Large White sia<br />
leggermente superiore e il suo impiego lascia ben sperare nel miglioramento <strong>del</strong>la<br />
qualità totale dei salami tipici friulani.<br />
85
Il prosciutto crudo<br />
Il prosciutto crudo è un prodotto a base di carne costituito da coscia suina salata e<br />
lasciata maturare nel tempo per acquisire aroma e sapore. Il prosciutto di San Daniele è<br />
tra i più conosciuti nel mondo, di gran lunga il migliore in Italia, ha forma a chitarra,<br />
mantiene il piedino (parte distale), che viene lasciato sul prodotto finito. E’ prodotto con<br />
l’aggiunta di solo sale e maturato oltre i 13 mesi. Deriva dalla tradizione artigianale, ma<br />
la sua produzione è stata migliorata dalla moderna industria. E’ ottenuto con cosce<br />
fresche di suino pesante (kg 150-180) provenienti da allevamenti e macelli <strong>del</strong>le regioni<br />
Friuli Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Umbria,<br />
Toscana, Marche, Abruzzo e Lazio. Al momento <strong>del</strong> ricevimento le cosce sono<br />
sottoposte a controlli <strong>del</strong> personale <strong>del</strong> INEQ che appone su quelle ritenute idonee un<br />
premarchio, un sigillo a fuoco che riporta la dicitura DOT e la data completa di inizio<br />
produzione.<br />
Di seguito riporto le principali fasi produttive:<br />
Scelta <strong>del</strong>le carni. La coscia è ispezionata visivamente assieme ai certificati di<br />
accompagnamento utilizzando i parametri <strong>del</strong> Disciplinare DOP. Si controlla la<br />
temperatura di consegna, il pH e il peso, che non deve essere inferiore a kg 12 dopo<br />
rifilatura. La carne deve presentare un colore rosso brillante, un pH compreso tra 5,6 –<br />
5,8 e non deve perdere acqua in eccesso. Il grasso deve essere bianco e avere uno<br />
spessore superiore a 1,5 cm sopra la testa <strong>del</strong> femore.<br />
Rifilatura. La coscia viene toelettata in maniera da asportare le parti grasse o di magro<br />
eccedenti senza danneggiare i muscoli e la cotenna.<br />
Massaggiatura. Si massaggiano le cosce con massaggiatrici a rulli al fine di favorire la<br />
fuoriuscita <strong>del</strong> sangue residuo dai vasi sanguigni, in quanto il ristagno di esso potrebbe<br />
favorire lo sviluppo di microrganismi (difetto di vena).<br />
Salatura. E’ la fase più critica <strong>del</strong>la produzione <strong>del</strong> prosciutto. Il muscolo esposto viene<br />
ricoperto da una quantità sufficiente di sale. La “regola aurea” derivante dalla tradizione<br />
<strong>del</strong> San Daniele prescrive che la coscia resti “sotto sale” un giorno per ogni<br />
chilogrammo di peso. Il sale è cosparso in quantità limitata anche sulla cotenna. Le<br />
cosce sono lasciate in cella a 2 - 3°C con U.R. 90 - 95% fino a fine salatura. Viene<br />
eseguita una salatura, togliendo il sale <strong>del</strong>la prima salatura e, dopo massaggio,<br />
aggiungendone di fresco. Tuttavia il tempo di sotto sale totale deve rispettare la regola<br />
86
aurea. Alle temperature impiegate, il sale penetra più lentamente e in maniera più<br />
omogenea rispetto all’impiego di temperature più alte (20°C), ma ciò evita lo sviluppo<br />
microbico. Si utilizzano temperature di salatura attorno a 2 - 4 °C, proprio per evitare<br />
uno sviluppo incontrollato di enterobatteri, che sfruttano il sangue ristagnato in vene e<br />
arterie e la bassa concentrazione <strong>del</strong> sale. Si utilizza solo sale a granulometria media<br />
senza nitriti e nitrati. Il prosciutto crudo deve il suo colore tipico alla stabilizzazione dei<br />
pigmenti <strong>del</strong>la carne, quali la mioglobina e l’ossimioglobina, che sono denaturate per<br />
effetto di agenti denaturanti (sale, ridotta concentrazione di acqua). Il pigmento finale<br />
ottenuto è di colore rosso profondo, detto globinmioemocromogeno, nel quale lo stato<br />
<strong>del</strong> ferro è Fe +2 , lo stato <strong>del</strong> nucleo di ematina è intatto, la globina è denaturata<br />
(staccata).<br />
Pressatura.E’ utilizzata per favorire la fuoriuscita di liquidi (sangue) dall’arteria<br />
femorale, dalle sue derivazioni venose e dalle parti di maggior sgrondo <strong>del</strong>la coscia<br />
(zona <strong>del</strong>l’anchetta). Inoltre conferisce alla coscia la tipica forma a chitarra.<br />
Preriposo e Riposo. La fase di preriposo deve essere effettuata a 4 o 6°C, a U.R.<br />
comprese tra il 70 - 75% o 80 - 85% a seconda <strong>del</strong>la pezzatura <strong>del</strong>le cosce. Il prodotto è<br />
ancora a rischio microbico. La sua durata media è di 21 - 25 giorni ed ha lo scopo di<br />
continuare la disidratazione iniziata con la salatura. La fase di riposo è effettuata a 4 -<br />
8°C, a U.R. <strong>del</strong> 70 - 75% o 80 - 85% e dura 60 - 70 giorni e cioè il tempo necessario al<br />
raggiungimento di una concentrazione salina interna <strong>del</strong> 4,0 - 4,5%. Importante in<br />
queste fasi il controllo <strong>del</strong>le temperature e <strong>del</strong>le umidità relative, che se troppo alte,<br />
possono favorire lo sviluppo di ammuffimenti superficiali.<br />
Toelettatura. Operazione manuale attraverso l’ausilio di apparecchi elettrici o di coltelli.<br />
Ha lo scopo di asportare e rifilare la parte sporgente <strong>del</strong>l’anchetta, di ripulire la zona<br />
circostante la testa <strong>del</strong> femore e di favorire la fuoriuscita di umidità.<br />
Rinvenimento e Lavaggio. Operazioni consistenti in una docciatura <strong>del</strong>la durata di 2/3<br />
ore con acqua e aria miscelate e nebulizzate (120 Atm, 50°C) allo scopo di asportare la<br />
patina superficiale, la “molliga”.<br />
Asciugamento. Operazione effettuata a 20-27°C, a U.R. <strong>del</strong> 90% per 7 giorni.<br />
Pre-stagionatura. In questa fase il prosciutto è stabile per cui possono essere utilizzate<br />
temperature nettamente positive (oltre i 12°C). Dura 35 - 40 giorni; le temperature<br />
impiegate dipendono dalle dimensioni dei prosciutti e comunque sono comprese tra i 12<br />
e i 19°C, mentre le U.R. tra 75 e 90%. L’impiego di U.R. inadeguate o di impianti che<br />
87
favoriscono il ristagno di umidità tra i filari di prosciutti comporta lo sviluppo massivo<br />
superficiale di muffe (Eurotium, Aspergillus, Penicillium, Mucor, Fusarium,<br />
Cladosporium).<br />
Stuccatura e Sugnatura. Eseguite verso e oltre il settimo mese dalla salatura. Entrambe<br />
le operazioni consistono nel distribuire sulla superficie piatta <strong>del</strong>la coscia, nelle<br />
screpolature e nella fascia muscolare scoperta, un preparato a base di sugna addizionato<br />
di cloruro di sodio, pepe e farina di cereali. Detti impasti hanno il compito di<br />
ammorbidire la superficie esposta <strong>del</strong> muscolo in modo tale da assicurare un processo<br />
osmotico tra questa e l’ambiente esterno.<br />
Stagionatura. E’ la fase in cui è ottenuta la maturazione ed il raggiungimento di una<br />
buona aromatizzazione <strong>del</strong> prodotto, attraverso un processo tecnologico che implica<br />
variazioni di umidità, di temperature e ricambi d’aria. L’operazione dura dagli 8 ai 16<br />
mesi ed è eseguita in locali arieggiati naturalmente oppure forniti d’impianti di<br />
climatizzazione. A fine stagionatura il prosciutto crudo deve avere un peso non inferiore<br />
a 7 - 9 kg.<br />
La maturazione è un processo lento e di sola natura enzimatica tissutale, a carico di<br />
grasso intermuscolare, grasso di copertura, proteine, zuccheri (glicogeno). La proteolisi<br />
(catepsine, calpaine, proteasi Ca-dipendenti) si esprime con un aumento <strong>del</strong>l’azoto non<br />
proteico, di origine endogena. Il numero dei batteri all’interno <strong>del</strong>le masse muscolari è<br />
basso. Inoltre le lipasi tissutali e fenomeni di autoossidazione degradano i grassi in<br />
molecole aromatiche (aldeidi, chetoni, esteri, ecc.). La stabilità <strong>del</strong> prodotto è dato dal<br />
sale e dalla disidratazione/maturazione, che permette il raggiungimento di un Aw<br />
inferiore a 0,91.<br />
Confezionamento e imballaggio. A fine maturazione il prosciutto crudo può essere<br />
disossato, messo in stampi e commercializzato in toto o sezionato in tranci e<br />
confezionato in sottovuoto. Può essere commercializzato anche affettato, ma in questo<br />
caso viene disossato, stampato in forma di mattonella, congelato a -11°C, affettato e<br />
confezionato in film plastici o in sottovuoto o in MAP (CO2 20 - 30%; N2 70 - 80%; O2<br />
residuo < 0,3%). Ogni tipologia di prodotto (intero, tranci, affettato) deve essere<br />
conservata a 4°C. La shelf-life varia da 6 mesi per i prodotti in toto o in tranci e a 120<br />
giorni per l’affettato. Poi il prodotto va incontro ad alterazioni chimico-fisiche<br />
(acidificazione, scoloramento). L’attività microbica durante la conservazione è assente<br />
perché il prosciutto ha un’Aw < 0,91.<br />
88
La qualità dei prosciutto crudo degli ibridi allevati<br />
Sono stati valutati prosciutti crudi di 2 linee genetiche: A) Duroc X Large White; B)<br />
Goland C21 x Large White. Lo scopo era di evidenziare quale linea genetica fosse più<br />
adatta alla produzione di prosciutti crudi. In totale sono stati analizzati 100 prosciutti<br />
crudi.<br />
Di ciascun campione sono state analizzate 3 fette di 1 cm di spessore (area Bicipite<br />
femorale, Semitendinoso e Semimembranoso o parte utilizzata dal Consorzio per<br />
validare DOP). Le analisi comprendevano analisi chimiche e analisi chimico-fisiche<br />
Umidità, Proteine, Grassi, NaCl, calo peso e indice di proteolisi.<br />
Tabella 2. Parametri chimico-fisici di prosciutti crudi ottenuti dai suini <strong>del</strong>le due<br />
genetiche (%)<br />
Goland C21<br />
89<br />
Duroc<br />
Parametro Media ds Media Ds<br />
Calo peso fine stagionatura 28.7 1.5 29.9 2.5<br />
Umidità 61.9 1.2 61.6 1.0<br />
NaCl/sale 5.6 0.6 5.6 0.4<br />
Proteine 27.6 0.8 27.6 0.7<br />
Grassi 2.5 0.8 3.0 0.9<br />
Indice di proteolisi 28.5 1.6 29.0 2.0<br />
Goland C21 = ibrido Goland C21 x Large White; Duroc = ibrido Duroc x Large White;<br />
ds = deviazione standard<br />
Dai dati <strong>del</strong>la tabella 2 si evidenzia che le produzioni ottenute con le due genetiche non<br />
hanno presentato differenze significative per i parametri osservati. Tutti i valori ottenuti<br />
rientrano nei parametri “aurei” per quanto riguarda la produzione <strong>del</strong> prosciutto di San<br />
Daniele. I dati ottenuti per quanto riguarda l’indice di proteolisi, l’umidità rientrano nei<br />
parametri <strong>del</strong> disciplinare di produzione <strong>del</strong> Prosciutto di San Daniele. Infatti l’umidità
percentuale media (61%) non è inferiore al 57%, né superiore al 63%, il quoziente <strong>del</strong><br />
rapporto tra la composizione percentuale di cloruro di sodio e l'umidità percentuale<br />
(8,9%, espresso in valori numerici moltiplicati per 100), non è inferiore a 7,8 né<br />
superiore a 11,2; il quoziente <strong>del</strong> rapporto tra l'umidità percentuale e la composizione<br />
percentuale in proteine totali (2,2%) non è inferiore a 1,9 né superiore a 2,5.<br />
Infine l'indice di proteolisi medio (composizione percentuale <strong>del</strong>le frazioni azotate<br />
solubili in acido tricoloroacetato - TCA - riferite al contenuto di azoto totale) è pari a<br />
28,5 e quindi come da disciplinare non è superiore a 31. Pertanto le carni <strong>del</strong>le linee<br />
genetiche considerate sembrano ottimali per la produzione <strong>del</strong> prosciutto di San<br />
Daniele.<br />
Riferimenti bibliografici<br />
Cantoni C, d’Aubert S. 1987. Il prosciutto San Daniele, Eurocarni, Parti I, II, III: 5:<br />
46-61; 6:52-55; 7:52-57.<br />
Cantoni C. 1995. Appunti sulla produzione <strong>del</strong> salame e sulle sue proprietà nutritive.<br />
Premiata Salumeria Italiana 4:21-29.<br />
Comi G. 2005. Microbiologia alimentare. In “Microbiologia Industriale” (M.<br />
Manzoni ed.), Ambrosiana Editrice, Milano.<br />
Comi G, Cattaneo C. 2007. La carne e il salame. In “Biotecnologie Alimentari” (C.<br />
Gigliotti ed.), Piccin Editore, Padova.<br />
Comi G, Cattaneo P. 2007. I prodotti carnei e Miscellanea. In “Microbiologia<br />
Applicata alle produzioni alimentari” (L.S. Cocolin e G. Comi eds.). Aracne<br />
Editrice, Roma.<br />
Del Monte P, Magnani U, Monari M. 1990. Industria dei salumi. Edizioni Agricole.<br />
Grazia L. 1992. Industrie Alimentari, 309:995-999.<br />
Kramer C, Cantoni C. 1994. Alimenti, microbiologia e igiene. OEMF.<br />
Procida G, Conte LS, Fiorasi S, Comi G, Gabrielli-Favretto L. 1999. J. Chromat. A<br />
830:175-182.<br />
Schillinger U, Lucke FK. 1990. Fleischwirtschaft 70:1296-1299.<br />
90
Sgoifo Rossi C, Stella S, Cattaneo P, Cantoni C, Bassini A, Bergottini R. 2004.<br />
Osservazione di un caso di carni PSE (Pale, soft, exudative) in carcasse bovine.<br />
Large Animal Review, 10:21-27<br />
Toldrà F. 2002. Dry-cured meat products. Food and Nutrition Press, Inc. Trumbull,<br />
Connecticut 06611, USA.<br />
Toldrà F. 1998. Proteolysis and lipolysis in flavour development of dry-cured meat<br />
products. Meat Science, 49, S101-110.<br />
http://inn.inran.it<br />
www.ulysse.net/verde/prodotti/pmodena<br />
www.maff.gov.uk/foodname/,meatbase/italy/modena.htm<br />
91
Valutazione sensoriale e analitica <strong>del</strong>la DOP prosciutto di San Daniele<br />
Introduzione<br />
Selenia Galanetto<br />
Consorzio <strong>del</strong> Prosciutto di San Daniele<br />
Il Consorzio <strong>del</strong> prosciutto di San Daniele, fondato nel 1961, è un consorzio di imprese<br />
a cui aderiscono tutti i 31 produttori di prosciutto che sono ubicati esclusivamente nel<br />
Comune di San Daniele <strong>del</strong> Friuli (UD). Il circuito produttivo conta circa 4200<br />
allevamenti e 60 macelli tutti situati nelle 10 Regioni <strong>del</strong> Centro Nord Italia. Il<br />
Consorzio svolge principalmente attività di tutela, promozione, valorizzazione e cura<br />
degli interessi generali <strong>del</strong>la DOP “Prosciutto di San Daniele” ed è stato incaricato dalla<br />
Repubblica Italiana con decreti interministeriali 3/11/82, 10/04/94, e successivamente<br />
con decreto MI.P.A.F. 26 aprile 2002 <strong>del</strong>la tutela <strong>del</strong> prosciutto di San Daniele ai sensi<br />
<strong>del</strong>l’art. 14, comma 15, Legge 526/99. Il prosciutto di San Daniele è tutelato<br />
dall’Unione Europea come Denominazione di origine protetta dal 1996 ai sensi <strong>del</strong> Reg.<br />
(CE) 1107/96. La produzione riferita al 2011 è stata di circa 2.700.000 unità di prodotto,<br />
ed ha sviluppato un fatturato attorno ai 330 milioni di euro.<br />
Processo produttivo <strong>del</strong> prosciutto di San Daniele<br />
Il prosciutto di San Daniele è una produzione tipica a Denominazione di Origine<br />
Protetta (DOP) ai sensi <strong>del</strong> Reg. (CE) n. 510/2006 e registrato tra le DOP <strong>del</strong>l’Unione<br />
Europea ai sensi <strong>del</strong> Reg. (CE) n. 1107/96, tutelato dalla Repubblica Italiana con la<br />
Legge n. 30 <strong>del</strong> 14 febbraio 1990. Questa elencazione di regolamenti e leggi vuol<br />
testimoniare che un prosciutto crudo per potersi chiamare “San Daniele” deve essere<br />
stato prodotto solo sottostando a determinate prescrizioni produttive, igienico sanitarie e<br />
dopo aver subito una continua procedura di controllo che garantisce, certificandola, la<br />
93
qualità finale <strong>del</strong> prosciutto. In base alle norme sopra citate, il prosciutto di San Daniele<br />
viene prodotto esclusivamente con carni provenienti dall’Italia ed in particolare da suini<br />
nati allevati e macellati in 10 Regioni, più precisamente in Friuli Venezia Giulia,<br />
Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Marche, Umbria, Toscana, Lazio e<br />
Abruzzo. Il suinetto viene tatuato entro un mese dalla nascita, ed in seguito la sua storia<br />
è documentata da una completa certificazione e dai relativi tatuaggi sulle cosce, che<br />
garantiscono anche formalmente la provenienza <strong>del</strong>lo stesso sino al momento in cui le<br />
carni divengono materia prima per la produzione di prosciutti. Durante l’allevamento il<br />
suino può essere nutrito solamente con determinati alimenti (prevalentemente di origine<br />
vegetale) che sono elencati in maniera tassativa dalla normativa vigente e dal<br />
Disciplinare di produzione. Una volta che le cosce selezionate giungono presso lo<br />
stabilimento di lavorazione (prosciuttificio), la documentazione che le segue garantisce<br />
la certezza e sicurezza igienico sanitaria che quella materia prima è idonea a diventare<br />
un prosciutto di San Daniele.<br />
Le fasi di lavorazione previste dal Disciplinare di produzione sono le seguenti:<br />
raffreddamento, rifilatura, salagione, pressatura, riposo, lavaggio, asciugamento,<br />
sugnatura, stagionatura. Il periodo minimo di lavorazione è di tredici mesi, che può<br />
anche venire protratto ulteriormente. Anche le fasi di lavorazione sono regolate da una<br />
dettagliata prescrizione normativa, e solo dopo tutta una serie di controlli, verifiche ed<br />
analisi (organolettiche e di laboratorio) il prosciutto viene marchiato e, solo allora,<br />
diviene prosciutto di San Daniele. Su tutte le fasi sopra riassunte - allevamento,<br />
macellazione, lavorazione <strong>del</strong>le carni – oltre alle autorità sanitarie nazionali, sorveglia<br />
un organismo (terzo rispetto alle parti coinvolte nella produzione <strong>del</strong> prosciutto)<br />
appositamente costituito e riconosciuto ai sensi <strong>del</strong>l’art. 10 <strong>del</strong> Reg. (CE) n. 510/2006<br />
denominato Istituto Nord Est Qualità, il quale ha l’incarico di controllare e certificare la<br />
qualità <strong>del</strong> nostro prodotto, su incarico <strong>del</strong> Ministero <strong>del</strong>le Politiche Agricole,<br />
Alimentari e Forestali. Il prosciutto di San Daniele, per essere tale, deve possedere lo<br />
“zampino” se è con osso (ovvero non ha lo zampino se è stato preventivamente<br />
disossato), deve essere stato prodotto esclusivamente nel territorio <strong>del</strong> Comune di San<br />
Daniele <strong>del</strong> Friuli in provincia di Udine da uno dei 31 produttori abilitati, e deve<br />
arrecare sulla cotenna il marchio a fuoco <strong>del</strong> Consorzio <strong>del</strong> Prosciutto di San Daniele. Il<br />
prosciutto di San Daniele a norma <strong>del</strong> Disciplinare di produzione è completamente<br />
94
naturale: gli unici “ingredienti” ammessi sono il “sale marino” e la “coscia di suino<br />
italiano”.<br />
Analisi sensoriale, scopo e applicazioni<br />
Il Consorzio a partire dal 2003 organizza in forma programmata e scientifica sessioni di<br />
analisi sensoriale per monitorare, attraverso l’analisi descrittiva quantitativa, le<br />
caratteristiche organolettiche <strong>del</strong> prosciutto di San Daniele.<br />
Per dare un quadro scientifico oggettivo dei prosciutti testati, i panel sono costituiti da<br />
giudici opportunamente addestrati appartenenti tutti dal comparto produttivo <strong>del</strong><br />
prosciutto di San Daniele (produttori, tecnici, ispettori ecc.). La formazione iniziale ha<br />
avuto lo scopo di uniformare i criteri di valutazione dei descrittori sensoriali proposti<br />
per il prodotto, fornendo un vocabolario oggettivo comune e insegnando ai giudici a<br />
misurare l’intensità <strong>del</strong>lo stimolo sensoriale assegnandoli un punteggio tra quelli<br />
standard fissati dalla scheda di valutazione. Nell’ambito <strong>del</strong> progetto di ricerca<br />
SUQUALGEN, si è inteso coinvolgere in questi incontri, dopo una formazione inziale,<br />
anche persone, provenienti da ambiti diversi (università, <strong>associazione</strong> <strong>allevatori</strong>, etc.), in<br />
ogni caso il numero di partecipanti al panel andava da un minimo di sei ad un massimo<br />
di dodici persone.<br />
Esecuzione analisi<br />
Gli incontri vengono eseguiti presso la sede <strong>del</strong> Consorzio, in una sala appositamente<br />
predisposta, in modo da creare un ambiente idoneo (condizioni neutre di luce,<br />
temperatura, umidità, colore ed assenza di odori) per non influenzare la valutazione<br />
sensoriale.<br />
Durante ciascuna sessione di analisi, vengono testati al massimo 5 campioni di<br />
prosciutto, la valutazione è sempre eseguita sul trancio, <strong>del</strong> peso circa di 1.5 kg<br />
ciascuno, tagliato dalla parte <strong>del</strong>la “culatta”, dove sono visibili i tre muscoli: bicipite<br />
femorale, semitendinoso e semimembranoso come riportato nella foto n. 1. Tutti i<br />
campioni sono rigorosamente anonimi identificati da un numero progressivo.<br />
95
Foto 1. Esempio campione da testare<br />
Le sessioni di analisi sensoriali sono distinte in due fasi: durante la prima vengono<br />
effettuate sul trancio le valutazioni visive (tonalità <strong>del</strong> colore e sua uniformità,<br />
distribuzione <strong>del</strong> grasso intramuscolare, aspetto stagionato) e tattili (consistenza <strong>del</strong>la<br />
componente muscolare e <strong>del</strong> grasso di contorno) durante la seconda, dopo aver eseguito<br />
l’affettamento, la valutazione prosegue con l’assaggio <strong>del</strong> campione e la descrizione dei<br />
parametri sensoriali legati all’olfatto, al sapore e alla percezioni ricavate durante la<br />
masticazione. La fetta degustata è comprensiva <strong>del</strong> grasso di contorno e il campione è<br />
degustato tal quale (senza né pane né grissini). Tra un campione e l’altro, il giudice può<br />
mangiare <strong>del</strong>le carote o bere un po’ d’acqua per “mondare”.<br />
Ogni giudice compila una scheda di valutazione che rispetta il percorso di valutazione<br />
visiva, tattile, olfattiva, gustativa e retrolfattiva. Questa scheda è stata appositamente<br />
costruita su descrittori scelti per fornire un quadro qualitativo <strong>del</strong> campione in esame in<br />
termini di presenza di caratteristiche ritenute positive e necessarie per un prosciutto di<br />
San Daniele. La valutazione di tali descrittori è espressa su una scala da 0 a 5, dove lo 0<br />
rappresenta l’assenza <strong>del</strong>la percezione <strong>del</strong> descrittore e quindi per contro va correlato<br />
con uno o più difetti, correlati con quel descrittore, mentre 5 è la massima percezione<br />
positiva <strong>del</strong> descrittore e quindi non è associato a nessun difetto. La valutazione di<br />
questa classe di descrittori in “negativo” é su scala inversa da 5 a 0, dove 5 indica<br />
l’assenza <strong>del</strong> difetto (per tanto non è stato riportato sulla scheda) mentre 0 è la sua<br />
massima percezione.<br />
96
Esattamente si può definire che:<br />
Descrittori Difetti<br />
0= Molto negativo 0=Difetto percepito al 100%<br />
1= Negativo 1=Difetto molto percepito<br />
2= Insufficiente 2= Difetto percepito (non tollerabile)<br />
3=Sufficiente /medio 3=Difetto percettibile (tollerabile)<br />
4=Buono 4=Difetto appena percettibile<br />
5=Ottimo 5=Difetto non rilevato (non compare la casella)<br />
La presenza di difetti valutati con punteggi bassi produce un abbassamento <strong>del</strong><br />
punteggio assegnato al descrittore positivo mentre, per contro, l’assenza di difetti o la<br />
loro lieve percezione aumenta il punteggio positivo <strong>del</strong> descrittore. Tale impostazione<br />
consente di elaborare statisticamente i dati raccolti in merito alla distribuzione dei<br />
descrittori ed alle loro reciproche correlazioni.<br />
Profilo sensoriale dei prosciutti derivati dal progetto di valorizzazione <strong>del</strong> suino<br />
friulano<br />
Nell’ambito <strong>del</strong> progetto di valorizzazione <strong>del</strong> suino friulano, il Consorzio ha<br />
collaborato con l’Università di Udine, l’Associazione Allevatori Friuli Venezia Giulia e<br />
l’Istituto Nord Est Qualità per completare con l’analisi sensoriale la raccolta di dati e<br />
informazioni raccolte. Complessivamente sono stati selezionati 100 prosciutti stagionati<br />
in diversi prosciuttifici, per sottoporli ad analisi sensoriale. L’analisi viene effettuata al<br />
raggiungimento <strong>del</strong> 14 mese di stagionatura. I suini da cui si sono ricavate le cosce<br />
provenivano da tre diversi allevamenti ubicati tutti in Friuli Venezia Giulia. I suini<br />
erano ibridi derivati dall’incrocio per linea femminile Large White con verri di razza<br />
Duroc L.G. o Goland C21. Altra variabile era la razione alimentare diversificata tra i<br />
vari allevamenti. Tutti i suini sono stati opportunamente identificati, in entrambe le<br />
cosce con un microchip che ha permesso di mantenere la tracciabilità fino al momento<br />
<strong>del</strong>l’analisi sensoriale e quindi di distinguere anche i campioni in base al genotipo.<br />
97
Dei settanta prosciutti sino ad oggi testati si riporta di seguito una breve descrizione dei<br />
risultati ottenuti. Questi prosciutti provengono da tre diversi prosciuttifici e tra loro<br />
hanno mostrato una grande omogeneità.<br />
Figura 1. Profilo sensoriale medio dei 70 campioni<br />
Magro compatto<br />
ed elastico …<br />
Consistenza<br />
masticazione<br />
Sapore<br />
Aroma<br />
Grasso di<br />
copertura …<br />
Colore uniforme<br />
<strong>del</strong> magro<br />
5<br />
4<br />
3<br />
2<br />
1<br />
0<br />
Spessore<br />
adeguato …<br />
Colore rosso<br />
rosato<br />
Aspetto<br />
stagionato<br />
Grasso di<br />
copertura …<br />
Marezzatura<br />
visibile<br />
Noce di grasso<br />
pulita<br />
Il profilo complessivo è quello di un buon prosciutto, in effetti il punteggio ottenuto è<br />
quasi sempre 4, cioè buono. I due punteggi più bassi (sempre comunque 3.5 e quindi più<br />
che sufficiente) sono relativi al giudizio sull’uniformità <strong>del</strong> colore e sul sapore.<br />
Al fine di dare una migliore evidenza di quali sono i descrittori visivi riferiti al<br />
prosciutto di San Daniele e i difetti correlati a ciascun descrittore si riporta di seguito<br />
una serie di immagini utili a comprendere quali sono i parametri da valutare durante una<br />
sessione di analisi.<br />
98<br />
Descrittore<br />
Colore uniforme<br />
<strong>del</strong> magro<br />
Colore rosso<br />
rosato<br />
Aspetto stagionato<br />
Marezzatura<br />
visibile<br />
Noce di grasso<br />
pulita<br />
Grasso di<br />
copertura bianco<br />
rosato<br />
Spessore adeguato<br />
grasso di<br />
copertura<br />
Grasso di<br />
copertura<br />
compatto e liscio<br />
Magro compatto<br />
ed elastico alla<br />
compressione<br />
Aroma<br />
Sapore<br />
Consistenza<br />
masticazione<br />
Trancio<br />
Fetta<br />
Definizioni<br />
Determinazione visiva <strong>del</strong>l’omogeneità<br />
<strong>del</strong> colore nella sua parte muscolare<br />
(muscoli bicipite femorale, semitendinoso<br />
e parte inferiore <strong>del</strong> semimembranoso).<br />
Determinazione visiva <strong>del</strong>la tonalità <strong>del</strong><br />
colore eseguita sempre sulle tre fasce<br />
muscolari.<br />
Determinazione visiva e tattile <strong>del</strong> grado<br />
di stagionatura (non deve essere ne<br />
eccessivamente umido ne tropo asciutto).<br />
Determinazione visiva <strong>del</strong> grasso<br />
intramuscolare presente sulla superficie.<br />
Determinazione visiva <strong>del</strong>la noce di<br />
grasso.<br />
Determinazione visiva <strong>del</strong>la tonalità di<br />
colore <strong>del</strong> grasso di copertura.<br />
Determinazione visiva <strong>del</strong>lo spessore <strong>del</strong><br />
grasso di copertura che deve essere<br />
proporzionale alla massa muscolare.<br />
Determinazione tattile <strong>del</strong> grasso di<br />
copertura.<br />
Determinazione tattile dei due muscoli<br />
bicipite femorale e semimembranoso.<br />
Sensazione<br />
campione.<br />
olfattiva <strong>del</strong>la fetta <strong>del</strong><br />
Insieme di sensazioni ricavate al<br />
momento <strong>del</strong>l’assaggio.<br />
Determinazioni alla masticazione <strong>del</strong><br />
campione.
Foto 2. Immagini per la determinazione dei descrittori visivi e i loro eventuali difetti<br />
99
Figura 2. Profilo sensoriale medio suddiviso tra le due razze suine<br />
Figura 3. Confronto tra i risultati ottenuti nel presente studio e un lavoro precedente<br />
<strong>del</strong> 2010<br />
Magro compatto<br />
ed elastico alla<br />
compressione<br />
Consistenza<br />
masticazione<br />
Sapore<br />
Aroma<br />
Grasso di<br />
copertura<br />
compatto e liscio<br />
Colore uniforme<br />
<strong>del</strong> magro<br />
5<br />
4<br />
3<br />
2<br />
1<br />
0<br />
Spessore<br />
adeguato grasso di<br />
copertura<br />
Colore rosso<br />
rosato<br />
100<br />
Aspetto stagionato<br />
Marezzatura<br />
visibile<br />
Noce di grasso<br />
pulita<br />
Grasso di<br />
copertura bianco<br />
rosato<br />
Medie 2012<br />
Medie 2010<br />
Come si può notare dal grafico sopra riportato, le differenze tra le due razze riguardano<br />
in particolare l’aspetto visivo (uniformità <strong>del</strong> colore <strong>del</strong>la parte magra, la distribuzione<br />
<strong>del</strong> grasso intramuscolare e la composizione <strong>del</strong> grasso di contorno), una resa migliore<br />
sembra provenire dai prosciutti ottenuti da suini di razza Duroc.
Si è voluto fare un confronto tra i risultati ottenuti con questo studio e un precedente<br />
lavoro di analisi sensoriale <strong>del</strong> 2010. Le due linee <strong>del</strong> grafico, presentano <strong>del</strong>le lievi<br />
differenze principalmente a causa <strong>del</strong> fatto che nel 2010 il test fu realizzato su di un<br />
campione di prosciutti meno omogeneo (per mesi di stagionatura, prosciuttifici di<br />
provenienza e genetica), mentre invece il test <strong>del</strong> 2012 si è svolto ponendo particolare<br />
attenzione anche all’uniformità dei campioni analizzati e quindi i risultati ottenuti si<br />
pongono chiaramente nei punteggi più alti <strong>del</strong>la valutazione.<br />
Dalla raccolta dei dati durante la sessione di analisi è possibile determinare per ciascun<br />
descrittore qual è il difetto /i ad esso correlato che ha/hanno avuto incidenza sul giudizio<br />
complessivo dato (maggiore è il difetto/i minore sarà il giudizio complessivo dato al<br />
descrittore). Nei grafici di seguito riportati, per ciascun descrittore è indicato in quale<br />
percentuale il difetto è stato rilevato. Si potrà notare che alcuni difetti sono irrilevanti,<br />
mentre altri incidono molto sul giudizio finale <strong>del</strong> descrittore.<br />
Figura 4. Relazione tra il descrittore colore uniforme <strong>del</strong> magro ed i difetti ad esso<br />
associati<br />
101<br />
Come si può osservare dal<br />
grafico i difetti che<br />
maggiormente hanno<br />
penalizzato il giudizio<br />
finale sull’uniformità <strong>del</strong><br />
colore, sono stati la<br />
presenza di zone<br />
iridescenti e di<br />
macchie/aloni scuri,<br />
mentre hanno inciso meno<br />
la presenza di<br />
microemorragie e<br />
incrostazioni superficiali.<br />
Tra le due razze valutate, i<br />
prosciutti derivati da suini<br />
di razza Duroc risultavano<br />
avere un colore <strong>del</strong>le carni<br />
più uniforme.
Figura 5. Relazione tra il descrittore colore rosso rosato e i due difetti ad esso associati<br />
102<br />
L’unico difetto che ha avuto<br />
una certa incidenza sulla<br />
valutazione complessiva<br />
<strong>del</strong>la tonalità è stata la<br />
percezione di un colore un<br />
po’ spento.<br />
Figura 6. Relazione tra il descrittore aspetto stagionato ed i difetti ad esso associati<br />
La sensazione di bagnato è<br />
stata spesso percepita<br />
durante la valutazione dei 70<br />
tranci, va detto che in effetti<br />
alcuni prosciutti erano un<br />
po’ umidi (vedi analisi<br />
chimica) anche perché di<br />
peso elevato.
Figura 7. Relazione tra il descrittore marezzatura visibile e i tre difetti ad esso associati<br />
103<br />
Come si può vedere,<br />
tutti e tre i difetti hanno<br />
avuto una bassa<br />
incidenza sul descrittore.<br />
Il grasso intramuscolare<br />
era sempre “distribuito”<br />
in maniera uniforme<br />
sulla superficie di tutti i<br />
campioni.<br />
I prosciutti provenienti<br />
da suini di razza Duroc<br />
presentavano una<br />
migliore distribuzione<br />
<strong>del</strong> grasso<br />
intramuscolare, infatti<br />
come si può vedere<br />
anche dalle analisi<br />
chimiche, i prosciutti<br />
derivati da suini di<br />
genetica Goland sono<br />
risultati più magri.<br />
Figura 8. Relazione tra il descrittore noce di grasso ed il difetto ad esso correlato<br />
Per sangue residuo si<br />
intende la presenza di<br />
tracce di capillari e/o<br />
sangue all’interno <strong>del</strong>la<br />
noce di grasso. Difetto che<br />
spesso è stato rilevato<br />
(soprattutto nei prosciutti<br />
derivati da suini di razza<br />
Duroc).
Figura 9. Relazione tra il descrittore grasso di copertura bianco rosato e i due difetti<br />
ad esso associati<br />
104<br />
Come si può vedere dalla<br />
figura 1 il giudizio<br />
complessivo sulla tonalità<br />
bianco rosata <strong>del</strong> grasso di<br />
copertura è stato buono, non<br />
ha raggiunto l’optimum solo<br />
perché alcuni campioni<br />
avevano il grasso di copertura<br />
che tendeva leggermente al<br />
giallo. La presenza di<br />
microemorragie sul grasso di<br />
copertura ha avuto un<br />
incidenza maggiore sui<br />
prosciutti provenienti da suini<br />
di razza Goland.<br />
Figura 10. Relazione tra il descrittore grasso di copertura di spessore adeguato ed i<br />
difetti ad esso associati<br />
Tutti i campioni sono stati<br />
ritenuti avere lo spessore di<br />
grasso proporzionato alla<br />
propria massa muscolare<br />
(circa un terzo rispetto la<br />
massa muscolare), anche se<br />
lo spessore a volte era un<br />
leggermente disuniforme.<br />
Dalla valutazione<br />
complessiva i prosciutti<br />
derivati da razza Duroc sono<br />
risultati avere uno spessore di<br />
grasso più proporzionato alle<br />
dimensioni<br />
Goland.<br />
rispetto ai
Figura 11. Relazione tra il descrittore grasso di copertura compatto e liscio e i difetti<br />
ad esso associati<br />
105<br />
L’incidenza di grasso molle<br />
(difetto spesso rilevato ma mai<br />
valutato molto negativamente)<br />
è stata rilevata soprattutto per i<br />
prosciutti provenienti dai suini<br />
Goland.<br />
Figura 12. Relazione tra il descrittore magro compatto ed elastico alla compressione ed<br />
i difetti ad esso associati<br />
La maggior parte dei<br />
campioni presentava il<br />
bicipite femorale molle e<br />
deformabile, in effetti questo<br />
è stato correlato anche alla<br />
percentuale di umidità più<br />
alta.
Figura 13. Relazione tra il descrittore aroma ed i difetti ad esso associati<br />
Figura 14. Relazione tra il descrittore sapore ed i difetti ad esso associati<br />
106<br />
Il difetto olfattivo con più<br />
incidenza è stato<br />
“stantio/chiuso” ossia un<br />
odore che ricorda qualcosa<br />
di vecchio e fermo quasi<br />
troppo secco o asciutto. La<br />
sua percezione ha sempre<br />
però avuto giudizi non<br />
molto penalizzanti infatti<br />
come si può vedere dalla<br />
figura 1 il giudizio medio<br />
complessivo dato<br />
all’aroma è buono.<br />
La percezione di salato è<br />
stata spesso percepita<br />
dagli assaggiatori (anche<br />
se mai con punteggi molto<br />
negativi).
Figura 15. Relazione tra il descrittore morbido alla masticazione e i difetti ad esso<br />
associati.<br />
Analisi chimiche<br />
107<br />
Le fette sono sempre<br />
state degustate<br />
comprensive <strong>del</strong><br />
grasso di contorno, a<br />
volte la sua presenza<br />
può aver influenzato la<br />
sensazione di<br />
pastoso/bagnato in<br />
bocca.<br />
Tutti i 70 prosciutti sono stati sottoposti ad analisi chimico fisiche, effettuata sempre nel<br />
muscolo bicipite femorale.<br />
Tabella 1. Composizione centesimale, proteolisi, rapporto sale/umidità e<br />
umidità/proteine dei 70 prosciutti<br />
Variabili Media Minimo Massimo sd<br />
Coefficiente di<br />
variazione %<br />
Umidità 62,02 58,90 64,00 1,04 1,67<br />
Sale 5,56 4,50 6,50 0,52 9,35<br />
Proteine 27,52 25,90 30,00 0,75 2,72<br />
Grasso<br />
intramuscolare<br />
2,66 1,20 4,90 0,79 26,70<br />
Indice di<br />
proteolisi<br />
29,12 24,60 34,30 1,76 6,04<br />
Sale/Umidità 8,97 7,4 10,60 0,89 9,82<br />
Umidità/proteine 2,26 2,00 2,47 0,09 3,98
La percentuale di grasso intramuscolare valutata presenta una forte variabilità rispetto le<br />
altre variabili, e ha mediamente valori che indicano un grado di marezzatura mediobasso.<br />
Questa determinazione, fatta esclusivamente sul muscolo bicipite femorale non<br />
corrisponde con la valutazione visiva che prende in considerazione la distribuzione <strong>del</strong><br />
grasso su tutti e tre le fasce muscolari.<br />
Tabella 2. Composizione centesimale ripartita tra le due razze<br />
Ringraziamenti<br />
Variabili<br />
Si ringraziano per la collaborazione: Valeria Aquili, Micol Ripani, Lucilla Iacumin;<br />
Erica Cocco, Roberto Adduca, Marco Bassi, Giovanni Ca<strong>del</strong>, Denis Guiatti, Michele<br />
Leonarduzzi e tutto lo staff <strong>del</strong> laboratorio INEQ.<br />
108<br />
Medie<br />
Duroc Goland<br />
Umidità 61,92 62,12<br />
Sale 5,57 5,55<br />
Proteine 27,41 27,61<br />
Grasso intramuscolare 2,86 2,47<br />
Indice di proteolisi 29,62 28,67
109
110
Strutture di allevamento, benessere animale ed impatto ambientale<br />
Introduzione<br />
Francesco da Borso, Francesco Teri, Marco Mezzadri<br />
Dipartimento di Scienze Agrarie ed Ambientali – Università di Udine<br />
Le normative relative al benessere degli animali e alla protezione <strong>del</strong>l’ambiente<br />
stabiliscono precisi requisiti strutturali che indirizzano le tipologie costruttive e le<br />
modalità gestionali degli allevamenti verso un’elevata standardizzazione. Ancor oggi,<br />
tuttavia, la produzione suinicola italiana ed in particolare friulana avviene in strutture<br />
notevolmente diversificate, soprattutto in relazione a:<br />
- il tipo di pavimentazione <strong>del</strong>la struttura (fessurata totale, piena, mista, corsie di<br />
defecazione esterne, ecc…) e l’eventuale presenza di materiali di “arricchimento<br />
ambientale”,<br />
- il sistema di ventilazione (naturale, forzata o mista) e l’eventuale presenza di sistemi<br />
attivi di climatizzazione estiva (raffrescamento),<br />
- la numerosità dei capi nei box e la superficie unitaria disponibile (ovvero la densità di<br />
allevamento degli animali),<br />
- il numero di reparti specializzati per le diverse fasi di crescita e quindi di numero di<br />
spostamenti dei suini nelle diverse strutture (soprattutto nel caso di ciclo chiuso),<br />
- le modalità di gestione <strong>del</strong>le deiezioni, che influenzano in modo determinante non<br />
solo la qualità <strong>del</strong>l’ambiente indoor (concentrazioni di gas), ma anche le emissioni dei<br />
gas e degli odori molesti in atmosfera.<br />
Questi fattori strutturali e gestionali influenzano l’ambiente di allevamento e<br />
contribuiscono a determinare variabilità nell’estrinsecazione <strong>del</strong>le potenzialità genetiche<br />
degli animali.<br />
Molte ricerche sperimentali, prevalentemente condotte nel Nord Europa (Inghilterra,<br />
Olanda), hanno avuto come obiettivo principale lo studio <strong>del</strong>l’effetto <strong>del</strong>le<br />
caratteristiche strutturali di allevamento sul benessere dei suini e si sono concentrate<br />
111
prevalentemente sugli aspetti comportamentali, produttivi ed igienico-sanitari. Gli<br />
effetti di questi fattori sulle caratteristiche di qualità <strong>del</strong>la carne, invece, sono stati poco<br />
studiati.<br />
Per quanto riguarda i parametri strutturali, la maggior parte <strong>del</strong>le ricerche ha interessato<br />
le diverse tipologie di pavimentazione (anche in relazione alla disponibilità di materiale<br />
di “arricchimento ambientale”) e la superficie disponibile per capo (densità degli<br />
animali nel box), in relazione quasi esclusivamente al suino leggero da macelleria. I<br />
risultati di queste ricerche sono stati alla base <strong>del</strong>la legislazione europea sul benessere<br />
dei suini, codificata nelle “Norme minime per la protezione dei dei suini”, contenute<br />
nella Dir. 2008/120/CE, recepita in Italia con D.Lgs. 122/2011. Per i suini all’ingrasso,<br />
le norme minime stabiliscono una superficie libera disponibile di almeno 1 m 2 capo -1<br />
oltre i 110 kg di peso vivo. Inoltre, stabiliscono specifici requisiti costruttivi minimi per<br />
le pavimentazioni fessurate (ampiezza <strong>del</strong>le fessure e dei travetti rispettivamente<br />
inferiore a 18 mm e superiore a 80 mm) unitamente ad altre caratteristiche strutturali ed<br />
impiantistiche, pur non precisamente definite nei parametri dimensionali (in particolare,<br />
si cita la presenza di “zone in cui coricarsi confortevoli dal punto di vista fisico e<br />
termico e adeguatamente prosciugate e pulite”, “una quantità sufficiente di materiali<br />
che consentano adeguate attività di esplorazione e manipolazione”).<br />
Le caratteristiche costruttive e gestionali <strong>del</strong>le strutture di allevamento per i suini<br />
all’ingrasso sono vincolate anche da normative per la protezione ambientale. Gli<br />
allevamenti suinicoli intensivi (oltre 2000 posti per suini all’ingrasso) devono adottare<br />
le cosiddette Migliori Tecnologie Disponibili (MTD o BAT, Best Available Techniques,<br />
secondo la Dir. 96/61/CE I.P.P.C. Integrated Pollution Prevention and Control),<br />
riconducibili a sistemi con pavimentazione fessurata (totale o parziale) ed evacuazione<br />
rapida <strong>del</strong>le deiezioni (es. vacuum system). Le BAT non possono prevedere sistemi di<br />
accumulo prolungato <strong>del</strong>le deiezioni interni alle strutture (es. vasche di stoccaggio o<br />
tracimazione sotto la pavimentazione fessurata). I valori limite di emissione<br />
<strong>del</strong>l’ammoniaca caratterizzanti le diverse tecniche e riportati nelle Linee guida per la<br />
definizione <strong>del</strong>le BAT ai sensi <strong>del</strong>la Direttiva I.P.P.C., costituiscono, di fatto, un punto<br />
di riferimento per la comparazione <strong>del</strong>l’impatto ambientale degli allevamenti, anche non<br />
ricadenti in ambito I.P.P.C.<br />
112
La ricerca nell’ambito <strong>del</strong> progetto Regionale di qualificazione genetica<br />
L’attività di ricerca è stata condotta nelle strutture di accrescimento-ingrasso, per<br />
completare, nell’ambito <strong>del</strong> progetto, lo “studio di filiera” con la descrizione strutturale<br />
dei siti produttivi e per verificare eventuali criticità legate ad aspetti costruttivi,<br />
dimensionali e gestionali <strong>del</strong>le strutture, in relazione alle problematiche di benessere<br />
animale e di impatto ambientale.<br />
Le strutture di allevamento<br />
Sono state selezionate 5 strutture per l’ingrasso, caratterizzate da diversa tipologia<br />
costruttiva e da diverse caratteristiche dimensionali. Le strutture di allevamento<br />
denominate A, B e C appartengono alla stessa azienda localizzata in comune di<br />
Spilimbergo, mentre le strutture di allevamento D ed E sono rappresentate da due settori<br />
costruttivamente differenziati di un unico corpo di fabbricato sito presso un’azienda in<br />
comune di San Giorgio <strong>del</strong>la Richinvelda (Figura 1). Le strutture sono di diversa<br />
tipologia costruttiva, realizzate in elementi prefabbricati (Allevamento A), in<br />
calcestruzzo con tamponamento a blocchi di cemento (All. B), in acciaio con<br />
tamponamento in laterizio o in blocchi di laterizio (Allevamenti C, D ed E) (Tabella 1,<br />
Figura 2). Tutte hanno un tetto a doppia falda (asimmetrico in Allevamento C e<br />
simmetrico in tutti gli altri) e un sistema di ventilazione di tipo naturale con cupolino<br />
continuo di colmo (Allevamenti A, B e C), con aperture di colmo discontinue<br />
(Allevamento E) o con sole aperture laterali e senza aperture di colmo (Allevamento D).<br />
La gestione <strong>del</strong>le deiezioni avviene con il sistema vacuum in vasche sotto la<br />
pavimentazione totalmente fessurata (Allevamenti A e B), parzialmente fessurata<br />
(Allevamento C) e con corsie di defecazione su pavimentazione fessurata, esterne ai box<br />
in pavimentazione piena (Allevamenti D ed E). La superficie totale varia da 189 m 2<br />
(Allevamento C) a 1022 m 2 (Allevamento E), mentre il numero massimo di animali per<br />
box varia da 13 (Allevamento B) a 36 (Allevamenti D ed E), con consistenze totali che<br />
vanno da 175 a 944 capi (rispettivamente per Allevamenti C e E).<br />
113
Figura 1. Localizzazione geografica <strong>del</strong>le strutture di allevamento. Fonte Google TM<br />
earth<br />
All. A<br />
All. C<br />
All. E<br />
114<br />
All. B<br />
All. D<br />
Figura 2. Vedute interne degli ambienti di<br />
stabulazione (descrizione nel testo ed in<br />
Tabella 1)
Tabella 1. Principali caratteristiche costruttive e dimensionali degli allevamenti<br />
Tipologia<br />
Ventilazione<br />
Gestione<br />
deiezioni<br />
Dimensioni<br />
(lungh. x largh.,<br />
m)<br />
Superficie<br />
totale (m 2 )<br />
All. A All. B All. C All. D All. E<br />
Struttura<br />
prefabbricata in<br />
elementi cls<br />
isolati<br />
Tetto a doppia<br />
falda<br />
simmetrica<br />
Naturale, con<br />
finestre laterali<br />
e cupolino di<br />
colmo continuo<br />
PTF con<br />
vacuum system<br />
Struttura in cls<br />
Tamponamento a<br />
blocchi cemento<br />
Tetto a doppia<br />
falda simmetrica<br />
Naturale, con<br />
finestre laterali e<br />
cupolino di<br />
colmo continuo<br />
PTF con vacuum<br />
system<br />
Struttura in<br />
acciaio<br />
Tamponamento a<br />
laterizi intonacati<br />
Tetto a doppia<br />
falda<br />
asimmetrica,<br />
isolato<br />
Naturale, con<br />
finestre laterali e<br />
cupolino di<br />
colmo continuo<br />
PPF, con vasca a<br />
tracimazione<br />
115<br />
Struttura in<br />
acciaio<br />
Tamponamento<br />
in blocchi<br />
laterizio<br />
Tetto a doppia<br />
falda simmetrica,<br />
isolato<br />
Naturale, con<br />
sole finestre<br />
laterali<br />
PP interno, PTF<br />
su corsie<br />
defecazione<br />
esterne<br />
Struttura in<br />
acciaio<br />
Tamponamento<br />
in blocchi<br />
laterizio<br />
Tetto a doppia<br />
falda simmetrica,<br />
isolato<br />
Naturale, con<br />
finestre laterali e<br />
aperture<br />
discontinue di<br />
colmo<br />
PP interno, PTF<br />
su corsie<br />
defecazione<br />
esterne<br />
15,0 x 16,0 17,0 x 13,5 14,0 x 13,5 18,0 x 13,1 78,0 x 13,1<br />
240 230 189 236 (*) 1022 (*)<br />
N. di box 6 + 6 8 + 8 4 + 4 3 + 3 13 + 13<br />
N. capi max (><br />
110 kg p.v.)<br />
225 213 175 218 944<br />
N. capi/box 18 13 21 36 36<br />
Note: PTF = pavimento totalmente fessurato; PPF = pavimento parzialmente fessurato; PP =<br />
pavimento pieno. (*) superficie interna coperta, escluso lo spazio sulla corsia di defecazione<br />
esterna.
Benessere termico<br />
Il monitoraggio climatico degli allevamenti A e B non è stato esattamente<br />
contemporaneo a quello degli allevamenti D ed E e quindi, pur selezionando periodi<br />
caratterizzati da condizioni atmosferiche omogenee nella stessa stagione, il confronto<br />
tra i 4 allevamenti risulta non direttamente praticabile (Tabelle 2 e 3).<br />
Alcune considerazioni risultano tuttavia di significativa evidenza:<br />
- in condizioni invernali gli allevamenti hanno dimostrato buone caratteristiche<br />
termiche. Gli allevamenti D ed E hanno presentato temperature mediamente più basse,<br />
comunque sempre superiori a 15°C, all’interno di un range che può considerarsi<br />
ottimale;<br />
- in condizioni invernali l’umidità relativa interna degli allevamenti A, B e D è risultata<br />
mediamente più elevata di quella atmosferica, su valori superiori al 75%, da<br />
considerarsi, invece, elevati;<br />
- in condizioni stagionali intermedie (primavera) la temperatura interna è risultata<br />
mediamente solo di pochi gradi più elevata di quella ambientale ed in tutti gli<br />
allevamenti l’umidità relativa è risultata mediamente più bassa rispetto al periodo<br />
invernale;<br />
- in condizioni estive le temperature medie interne degli allevamenti B, D ed E non<br />
sono risultate attenuate rispetto alle condizioni ambientali, sono risultate sempre<br />
superiori a 28°C e con livelli di umidità relativa superiori al 60%. Per valutare la<br />
pericolosità di queste condizioni climatiche estive in relazione all’insorgenza di<br />
fenomeni di stress da calore, il monitoraggio climatico è stato effettuato anche in<br />
periodi particolarmente critici, determinando l’indice di stress termico THI, come<br />
discusso più avanti.<br />
116
Tabella 2. Temperatura atmosferica e indoor nei diversi periodi stagionali (valore<br />
medio, deviazione standard e range medio di escursione giornaliera)<br />
Inverno<br />
Intermedia<br />
(primavera)<br />
117<br />
Estate<br />
Media sd Range Media sd Range Media sd Range<br />
Ambiente 1,9 2,5 6,9 16,0 2,3 7,4 26,7 4,2 11,6<br />
All. A 19,5 0,5 1,6 21,3 0,2 0,7 26,5 2,0 5,9<br />
All. B 16,5 1,5 4,9 21,9 0,4 1,5 30,3 2,0 6,6<br />
Ambiente 5,5 3,7 9,7 17,1 5,7 15,8 25,0 4,4 12,0<br />
All. D 15,0 1,9 5,3 n.r. n.r. 28,4 2,5 7,0<br />
All. E 15,2 2,1 5,8 20,7 2,5 7,4 28,1 2,5 7,1<br />
Tabella 3. Umidità relativa atmosferica e indoor in diversi periodi stagionali<br />
Inverno Primavera Estate<br />
Media sd Media sd Media sd<br />
Ambiente 70,2 4,8 71,8 8,9 58,2 10,4<br />
All. A 75,8 2,6 64,6 4,0 64,1 6,1<br />
All. B 75,6 3,2 70,1 3,5 62,7 6,4<br />
Ambiente 68,7 11,4 47,4 12,0 70,8 17,1<br />
All. D 76,7 3,1 n.r. 73,5 6,3<br />
All. E 66,8 2,6 50,7 5,0 69,7 6,3
L’analisi <strong>del</strong>l’andamento medio e <strong>del</strong>la variabilità <strong>del</strong>la temperatura nelle 24 ore (Figura<br />
3) ha permesso di trarre ulteriori interessanti indicazioni:<br />
- in condizioni invernali e primaverili, in relazione all’andamento <strong>del</strong>la temperatura<br />
atmosferica, la temperatura interna degli allevamenti A e B è risultata più costante<br />
rispetto a quella degli allevamenti D ed E;<br />
- negli allevamenti D ed E i valori minimi e massimi di temperatura interna sono<br />
risultati sfasati di circa 3 ore rispetto ai valori minimi e massimi <strong>del</strong>la temperatura<br />
ambientale;<br />
Figura 3. Andamenti termici giornalieri, corrispondenti a diversi periodi stagionali<br />
Temperatura (°C)<br />
Temperatura (°C)<br />
Temperatura (°C)<br />
25<br />
20<br />
15<br />
10<br />
5<br />
0<br />
-5<br />
0 4 8 12 16 20<br />
Tempo (ore)<br />
30<br />
25<br />
20<br />
15<br />
10<br />
5<br />
0<br />
0 4 8 12<br />
Tempo (ore)<br />
16 20<br />
40<br />
35<br />
30<br />
25<br />
20<br />
15<br />
0 4 8 12<br />
Tempo (ore)<br />
16 20<br />
Inverno<br />
Esterna<br />
All. A<br />
All. B<br />
Stagione intermedia (primavera)<br />
Esterna<br />
All. A<br />
All. B<br />
Esterna<br />
All. A<br />
All. B<br />
118<br />
Temperatura (°C)<br />
Temperatura (°C)<br />
Estate<br />
Temperatura (°C)<br />
25<br />
20<br />
15<br />
10<br />
5<br />
0<br />
-5<br />
0 4 8 12 16 20<br />
Tempo (ore)<br />
30<br />
25<br />
20<br />
15<br />
10<br />
5<br />
0<br />
0 4 8 12<br />
Tempo (ore)<br />
16 20<br />
40<br />
35<br />
30<br />
25<br />
20<br />
15<br />
0 4 8 12<br />
Tempo (ore)<br />
16 20<br />
Esterna<br />
All. D<br />
All. E<br />
Esterna<br />
All. E<br />
Esterna<br />
All. D<br />
All. E
- in condizioni estive l’allevamento A è risultato il solo in grado di mantenere i valori<br />
massimi indoor attenuati rispetto ai valori massimi <strong>del</strong>la temperatura atmosferica. Gli<br />
allevamenti B, D ed E hanno sofferto di un evidente fenomeno di surriscaldamento<br />
soprattutto nelle prime ore pomeridiane, inoltre l’allevamento B ha manifestato una<br />
più elevata variabilità <strong>del</strong>la temperatura nelle diverse giornate di monitoraggio.<br />
Le condizioni microclimatiche estive, caratterizzate da elevate temperature in<br />
concomitanza ad elevati tassi di umidità relativa, si sono dimostrate potenzialmente<br />
critiche per la fase di ingrasso dei suini. In periodi nei quali la temperatura atmosferica<br />
ha avuto elevate escursioni termiche giornaliere, con valori massimi spesso superiori a<br />
30°C (Figura 4), in tutti gli allevamenti sono state rilevate escursioni termiche più<br />
contenute (limitato effetto di raffrescamento notturno) e sono stati raggiunti valori<br />
massimi di temperatura più elevati <strong>del</strong>la temperatura atmosferica. I valori massimi di<br />
temperatura interna si sono verificati mediamente dalle ore 16 alle ore 18, posticipati di<br />
circa 3 ore rispetto ai valori massimi di temperatura ambientale, mentre i valori minimi<br />
sono stati raggiunti dalle ore 4 alle 6, anche questi sfasati rispetto ai valori minimi<br />
atmosferici.<br />
Figura 4. Temperatura ambientale e temperatura indoor nel periodo critico estivo e<br />
particolare <strong>del</strong>l’andamento di una “giornata-tipo”<br />
Temperatura (°C)<br />
Temperatura (°C)<br />
36<br />
32<br />
28<br />
24<br />
20<br />
16<br />
2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17<br />
luglio 2010<br />
32<br />
28<br />
24<br />
20<br />
16<br />
12<br />
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16<br />
agosto 2011<br />
119<br />
Esterna<br />
All. A<br />
All. B<br />
All. C<br />
Esterna<br />
All. D<br />
All. E<br />
Temperatura (°C)<br />
Temperatura (°C)<br />
34<br />
32<br />
30<br />
28<br />
26<br />
24<br />
34<br />
32<br />
30<br />
28<br />
26<br />
0 4 8 12 16 20<br />
14 luglio 2010<br />
24<br />
0 4 8 12 16 20<br />
10 agosto 2011<br />
Esterna<br />
All. A<br />
All. B<br />
All. C<br />
Esterna<br />
All. D<br />
All. E
Indici di stress termico<br />
Nei periodi di monitoraggio estivo i valori di THI 1 calcolati in base alle condizioni<br />
termo-igrometriche interne sono risultati, per la maggior parte <strong>del</strong> tempo, superiori ai<br />
valori di THI relativi alle condizioni atmosferiche. Questo fatto è dovuto al<br />
riscaldamento <strong>del</strong>le strutture per trasmissione e produzione di calore ed all’intensa<br />
produzione di vapor d’acqua che determina umidità relative più elevate rispetto alle<br />
condizioni ambientali esterne.<br />
- negli allevamenti A, B e C per la maggior parte <strong>del</strong>le ore (dal 43,3 al 44,6% <strong>del</strong>le ore)<br />
gli animali sono stati esposti a condizioni di severo pericolo (categoria D = Danger),<br />
mentre negli allevamenti D ed E gli animali sono stati esposti per la maggior parte <strong>del</strong><br />
tempo a condizioni di allerta (categoria A = Alert), ricordando, tuttavia, che questi<br />
risultati non sono direttamente confrontabili perché ottenuti in periodi caratterizzati da<br />
condizioni ambientali lievemente diverse.<br />
Figura 5. Durata <strong>del</strong>l’esposizione alle diverse categorie di indice di stress termico THI<br />
Ore di esposizione (%)<br />
70<br />
60<br />
50<br />
40<br />
30<br />
20<br />
10<br />
0<br />
Esterna All. A All. B All. C<br />
S 48,0 17,0 14,9 16,7<br />
A 23,0 33,2 32,1 37,6<br />
D 26,6 44,1 44,6 43,3<br />
E 2,3 5,7 8,4 2,3<br />
120<br />
Ore di esposizione (%)<br />
70<br />
60<br />
50<br />
40<br />
30<br />
20<br />
10<br />
0<br />
Esterna All. D All. E<br />
S 64,5 24,3 37,6<br />
A 28,2 38,1 37,9<br />
D 7,3 36,3 24,5<br />
E 0,0 1,3 0,0<br />
1 Temperature Humidity Index, è un indice che combina i valori di temperatura ed umidità<br />
relativa per definire diverse categorie di condizioni ambientali in relazione al pericolo di<br />
insorgenza di stress termico (S = Safe, condizioni sicure; A = Alarm, condizioni di allarme;<br />
D = Danger, condizioni di pericolo; E = Emergency, condizioni di emergenza, ovvero<br />
condizioni estreme).
Per cercare di rendere confrontabili i valori di THI ottenuti in corrispondenza di diverse<br />
condizioni atmosferiche, è stato elaborato il grafico di figura 6, che esprime la<br />
percentuale di variazione <strong>del</strong>le ore di esposizione degli animali in allevamento a<br />
determinate categorie di THI, in relazione alle ore durante le quali i valori di THI<br />
atmosferici ricadono nelle medesime categorie. I valori negativi (o positivi) degli<br />
istogrammi indicano una riduzione (o aumento) <strong>del</strong>le ore nelle quali quel valore di THI<br />
si verifica negli allevamenti rispetto alle condizioni ambientali. Da questa elaborazione<br />
è emerso, ad esempio, che l’allevamento D ha evidenziato la più elevata riduzione <strong>del</strong>le<br />
ore di assenza di stress termico ed il più elevato aumento <strong>del</strong>le ore di esposizione alle<br />
condizioni di grave pericolo. Gli allevamenti C ed E, invece, sembrerebbero aver<br />
garantito le condizioni in generale meno pericolose per l’insorgenza di stress termico.<br />
Figura 6. Durata <strong>del</strong>l’esposizione alle diverse categorie di indice di stress termico THI<br />
in relazione alle stesse categorie determinate per le condizioni atmosferiche esterne<br />
Variazioni rispetto THI atmosferico (% ore)<br />
30<br />
20<br />
10<br />
0<br />
-10<br />
-20<br />
-30<br />
-40<br />
All. A All. B All. C All. D All. E<br />
S -31,1 -33,2 -31,1 -40,2 -26,9<br />
A 10,2 9,2 14,6 9,9 9,7<br />
D 17,5 18,0 16,5 29,0 17,2<br />
E 3,4 6,0 0,0 1,3 0,0<br />
121
Benessere legato alla qualità <strong>del</strong>l’aria indoor<br />
Le diverse modalità di gestione <strong>del</strong>le deiezioni nelle strutture di allevamento (accumulo<br />
interno negli allevamenti A e B, accumulo esterno negli allevamenti D ed E), come<br />
atteso, hanno determinato risultati diversi in termini di concentrazione indoor dei gas. In<br />
particolare, risulta interessante rilevare che (Figure 7 e 8):<br />
- in linea generale, ma soprattutto in condizioni invernali, le concentrazioni medie dei<br />
gas sono risultate più elevate negli allevamenti A e B, rispetto agli allevamenti D ed<br />
E. In questi ultimi, la presenza di aree di defecazione esterne, con accumulo e gestione<br />
<strong>del</strong>le deiezioni separati dai box interni di allevamento, sicuramente ha determinato la<br />
maggior quota di volatilizzazione dei gas verso l’esterno;<br />
- l’allevamento A ha evidenziato le concentrazioni invernali di gas più elevate. Anche<br />
se i valori di concentrazione invernale di ammoniaca sono risultati mediamente<br />
inferiori ai livelli massimi consigliati da C.I.G.R. (pari a 20 ppm, corrispondenti a<br />
14,2 mg m -3 ), si sono verificati picchi temporanei di concentrazione fino a 16,3 mg m -<br />
3<br />
, superiori ai suddetti limiti. Per quanto riguarda la CO2, nello stesso periodo, il<br />
valore medio di concentrazione è risultato pari a 6,3 g m -3 , superiore al limite<br />
consigliato da C.I.G.R., pari a 3000 ppm e corrispondente a 5,5 g m -3 ;<br />
- in tutti gli altri casi, e non esistendo finora limiti individuati e suggeriti per N2O e<br />
CH4, le concentrazioni di gas sono sempre risultate inferiori ai livelli massimi<br />
consigliati;<br />
- in generale tendenza, i valori di concentrazione dei gas sono risultati più bassi in<br />
condizioni estive. Tuttavia, è stato possibile rilevare come, negli allevamenti D ed E,<br />
le concentrazioni più basse di NH3 e CH4 siano state raggiunte invece, in inverno,<br />
probabilmente in relazione alla più bassa temperatura indoor di questi allevamenti;<br />
- i valori di concentrazione di CH4 sono risultati profondamente diversi negli<br />
allevamenti A e B, rispetto agli allevamenti D ed E. I valori nettamente più elevati<br />
sono stati raggiunti nei primi due ed in particolare in inverno (mediamente pari a 99,3<br />
mg m -3 e 66,5 mg m -3 , rispettivamente per l’allevamento A e B). Questi andamenti<br />
sembrerebbero suggerire che la produzione di CH4 sia stata principalmente<br />
determinata da fermentazioni a carico dei liquami, che trovano condizioni termiche<br />
favorevoli solo nelle vasche di accumulo interne. La produzione di CH4 direttamente a<br />
carico degli animali sembrerebbe, almeno in condizioni invernali, molto inferiore.<br />
122
Figura 7. Qualità <strong>del</strong>l’aria negli allevamenti A e B nelle diverse stagioni (valori medi e<br />
deviazione standard)<br />
NH 3 (mg m -3 )<br />
N 2 O (mg m -3 )<br />
15,0<br />
10,0<br />
5,0<br />
0,0<br />
4,0<br />
3,0<br />
2,0<br />
1,0<br />
0,0<br />
Inverno<br />
Inverno<br />
Primavera<br />
Primavera<br />
Estate<br />
Estate<br />
Autunno<br />
Autunno<br />
All. A<br />
All. B<br />
All. A<br />
All. B<br />
Figura 8. Qualità <strong>del</strong>l’aria negli allevamenti D ed E nelle diverse stagioni (valori medi<br />
e deviazione standard)<br />
NH 3 (mg m -3 )<br />
N 2 O (mg m -3 )<br />
15,0<br />
10,0<br />
5,0<br />
0,0<br />
4,0<br />
3,0<br />
2,0<br />
1,0<br />
0,0<br />
Inverno<br />
Inverno<br />
Primavera<br />
Primavera<br />
Estate<br />
Estate<br />
Autunno<br />
Autunno<br />
All. D<br />
All. E<br />
All. D<br />
All. E<br />
123<br />
CO 2 (g m -3 )<br />
CH 4 (mg m -3 )<br />
CO 2 (g m -3 )<br />
CH 4 (mg m -3 )<br />
8,0<br />
6,0<br />
4,0<br />
2,0<br />
0,0<br />
120,0<br />
8,0<br />
6,0<br />
4,0<br />
2,0<br />
0,0<br />
80,0<br />
40,0<br />
0,0<br />
120,0<br />
80,0<br />
40,0<br />
0,0<br />
Inverno<br />
Inverno<br />
Inverno<br />
Inverno<br />
Primavera<br />
Primavera<br />
Primavera<br />
Primavera<br />
Estate<br />
Estate<br />
Estate<br />
Estate<br />
Autunno<br />
Autunno<br />
Autunno<br />
Autunno<br />
All. A<br />
All. B<br />
All. A<br />
All. B<br />
All. D<br />
All. E<br />
All. D<br />
All. E
L’analisi degli andamenti di concentrazione dei gas durante l’operazione di<br />
svuotamento <strong>del</strong>la vasca di accumulo con il vacuum system e nei momenti successivi,<br />
ha evidenziato effetti poco significativi per NH3, CO2 e N2O (Figura 9). In particolare,<br />
la concentrazione dei primi 2 gas è solo lievemente diminuita in seguito allo<br />
svuotamento <strong>del</strong>la vasca, mentre la concentrazione di N2O è lievemente aumentata. La<br />
concentrazione di CH4, invece, ha evidenziato una sensibile riduzione con lo<br />
svuotamento <strong>del</strong>la vasca, passando da 36,9 mg m -3 a 21,2 mg m -3 .<br />
Figura 9. Concentrazione dei gas prima e dopo lo svuotamento <strong>del</strong>la vasca di accumulo<br />
<strong>del</strong> vacuum system (il momento <strong>del</strong>lo svuotamento dalle barre rosse)<br />
NH3 (mg m -3 )<br />
CO2 (g m -3 )<br />
15<br />
10<br />
4<br />
3<br />
2<br />
1<br />
0<br />
5<br />
0<br />
y m = 5,7 mg m -3<br />
-2 -1 0<br />
Tempo (giorni)<br />
1 2<br />
y m = 1,8 g m -3<br />
124<br />
Scarico vacuum<br />
Scarico vacuum<br />
y m = 5,0 mg m -3<br />
y m = 1,6 g m -3<br />
-2 -1 0<br />
Tempo (giorni)<br />
1 2
N2O (mg m -3 )<br />
CH4 (mg m -3 )<br />
2,0<br />
1,5<br />
1,0<br />
0,5<br />
0,0<br />
80<br />
60<br />
40<br />
20<br />
0<br />
y m = 0,8 mg m -3<br />
-2 -1 0<br />
Tempo (giorni)<br />
1 2<br />
y m = 36,9 mg m -3<br />
125<br />
Scarico vacuum<br />
Scarico vacuum<br />
y m = 0,9 mg m -3<br />
y m = 21,2 mg m -3<br />
-2 -1 0<br />
Tempo (giorni)<br />
1 2<br />
Questi fenomeni potrebbero suggerire che:<br />
- una discreta volatilizzazione di NH3 è avvenuta anche dalle superfici <strong>del</strong>la<br />
pavimentazione ed è stata poco influenzata dallo svuotamento <strong>del</strong>la vasca (o ha<br />
“mascherato” l’effetto di riduzione);<br />
- lo svuotamento <strong>del</strong>la vasca non è stato completo e la quantità di liquame rimasto ha<br />
continuato ad emettere N2O e, anche se in misura sensibilmente più ridotta, CH4.
Ventilazione<br />
L’andamento stagionale <strong>del</strong> livello di ventilazione è risultato simile per i 4 allevamenti,<br />
ma i valori specifici sono risultati lievemente più elevati per gli allevamenti D ed E<br />
rispetto agli allevamenti A e B, soprattutto in condizioni estive e primaverili (Figura<br />
10). In particolare, il ricambio unitario <strong>del</strong>l’aria è risultato massimo in estate (da 66,5<br />
m 3 h -1 capo -1 per l’allevamento A a 91,7 m 3 h -1 capo -1 per l’allevamento E), anche se su<br />
valori inferiori a quelli consigliati, e minimo in inverno, con valori che vanno da 12,7 a<br />
35,0 m 3 h -1 capo -1 , rispettivamente per gli allevamenti A e B.<br />
Figura 10. Stima <strong>del</strong>la portata unitaria di ricambio <strong>del</strong>l’aria nelle diverse stagioni<br />
sulla base <strong>del</strong> bilancio di CO2<br />
Ventilazione (m 3 h -1 capo -1 )<br />
100<br />
80<br />
60<br />
40<br />
20<br />
0<br />
inv. prim. est. aut.<br />
Impatto ambientale: emissività dei gas<br />
All. A<br />
All. B<br />
126<br />
Ventilazione (m 3 h -1 capo -1 )<br />
100<br />
80<br />
60<br />
40<br />
20<br />
0<br />
inv. prim. est. aut.<br />
Come precedentemente osservato, gli andamenti di concentrazione indoor dei gas negli<br />
allevamenti A e B sono risultati sensibilmente differenziati rispetto a quelli degli<br />
allevamenti D ed E. I valori di emissione dei gas, invece, sono risultati più omogenei tra<br />
i diversi allevamenti, pur potendo rilevare elementi differenziali in alcuni casi evidenti<br />
(Figura 11). Come tendenza generale, inoltre, è stato possibile evidenziare i valori più<br />
elevati di emissione nei periodi primaverili-estivi, rispetto ai periodi invernali, con<br />
andamenti, quindi, opposti a quelli rilevati per le concentrazioni indoor dei gas. Inoltre,<br />
è risultato interessante rilevare che:<br />
- i valori di emissione invernale di NH3 dagli allevamenti D ed E sono risultati molto<br />
bassi, ma questo, come già discusso, è da mettere in relazione all’emissività non<br />
quantificata dalle corsie di defecazione esterne;<br />
All. D<br />
All. E
- i valori di emissione di N2O e CH4 sono risultati più variabili tra gli allevamenti, ed<br />
inoltre devono essere segnalati, in termini assoluti, gli elevati valori di emissione di<br />
CH4, che in estate, da tutti gli allevamenti, sono risultati superiori a 1000 mg h -1 capo -1 .<br />
Figura 11. Valori di emissione dei gas dagli allevamenti nei diversi periodi stagionali<br />
NH3 (mg h -1 capo -1 )<br />
CO2 (g h -1 capo -1 )<br />
N2O (mg h -1 capo -1 )<br />
CH4 (mg h -1 capo -1 )<br />
400<br />
300<br />
200<br />
100<br />
0<br />
150<br />
120<br />
90<br />
60<br />
30<br />
80<br />
60<br />
40<br />
20<br />
0<br />
0<br />
2500<br />
2000<br />
1500<br />
1000<br />
500<br />
0<br />
inv. prim. est. aut.<br />
inv. prim. est. aut.<br />
inv. prim. est. aut.<br />
inv. prim. est. aut.<br />
All. A<br />
All. B<br />
All. A<br />
All. B<br />
All. A<br />
All. B<br />
All. A<br />
All. B<br />
127<br />
NH3 (mg h -1 capo -1 )<br />
CO2 (g h -1 capo -1 )<br />
N2O (mg h -1 capo -1 )<br />
CH4 (mg h -1 capo -1 )<br />
400<br />
300<br />
200<br />
100<br />
0<br />
150<br />
120<br />
90<br />
60<br />
30<br />
80<br />
60<br />
40<br />
20<br />
0<br />
0<br />
2500<br />
2000<br />
1500<br />
1000<br />
500<br />
0<br />
inv. prim. est. aut.<br />
inv. prim. est. aut.<br />
inv. prim. est. aut.<br />
inv. prim. est. aut.<br />
All. D<br />
All. E<br />
All. D<br />
All. E<br />
All. D<br />
All. E<br />
All. D<br />
All. E
Sulla base dei valori stagionali di emissione di NH3 è stato possibile calcolare i valori<br />
medi annui di emissione, confrontabili con i valori limite di emissione indicati dalle<br />
Linee guida di riferimento <strong>del</strong>le BAT, ai sensi <strong>del</strong>la Direttiva IPPC (Tabella 4).<br />
Tabella 4. Valori di emissione di ammoniaca e metano dai diversi allevamenti e valori<br />
limite I.P.P.C.<br />
Emissione annua<br />
(kg capo -1 anno -1 )<br />
All. A All. B All. D (1) All. E (1)<br />
128<br />
Limite Dir.<br />
I.P.P.C<br />
Ammoniaca (NH3) 2,2 2,7 1,9 1,5 2,2 - 3,0 (2)<br />
Metano (CH4) 15,1 13,1 6,8 7,5 (non stabilita)<br />
(1) i valori di emissione per gli allevamenti D ed E sono stati calcolati senza considerare<br />
l’emissività di NH3 dalle canalette presenti sotto la corsia esterna di defecazione;<br />
(2) i valori limite di emissione I.P.P.C. sono relativi alla tecnica BAT vacuum system e alla<br />
tecnica di riferimento, rispettivamente.<br />
I valori medi di emissione dagli allevamenti A e B sono risultati inferiori a quelli<br />
indicati per la tecnica di riferimento e, per l’allevamento A, esattamente in linea con<br />
quanto indicato relativamente alla tecnica BAT vacuum system. Rispetto a questa<br />
tecnica, l’allevamento B ha evidenziato valori di emissione più elevati, probabilmente<br />
legati a difficoltà relative alla gestione dei liquami nei periodi autunnali ed invernali.<br />
Infine, ai valori di emissione dagli allevamenti D ed E dovrebbe essere sommata<br />
l’emissività dalle corsie di defecazione esterne, che in questo studio non è stato<br />
possibile quantificare. Tuttavia, anche le Linee guida di riferimento non riportano i<br />
valori limite di emissione relativi a questa tipologia di allevamento.
Considerazioni conclusive<br />
Il monitoraggio ambientale di alcune strutture per l’ingrasso dei suini ha evidenziato<br />
condizioni mediamente soddisfacenti nel corso <strong>del</strong>l’anno, sia per quanto riguarda i<br />
parametri ambientali interni, sia per quanto riguarda le stimate emissioni gassose in<br />
atmosfera.<br />
Sono stati evidenziati, tuttavia, alcuni periodi transitori caratterizzati da condizioni<br />
ambientali critiche, coincidenti con i periodi climatici estremi estivi ed invernali e<br />
riconducibili, in questi due periodi, a diverse cause di criticità.<br />
Problematiche estive<br />
In estate, il fattore critico è risultato legato alla concomitanza di elevate temperature ed<br />
umidità relative che hanno portato a situazioni di grave pericolo in relazione<br />
all’insorgenza di stress termico (elevati indici THI). Queste situazioni sono risultate,<br />
ovviamente, fortemente dipendenti dalle condizioni atmosferiche stagionali e nessuno<br />
degli allevamenti è risultato sufficientemente adeguato a contrastarle o mitigarle. Pur<br />
nella generalizzata criticità <strong>del</strong>le condizioni estive, le strutture meno problematiche sono<br />
risultate quelle caratterizzate da un buon isolamento <strong>del</strong> tetto (allevamento C) e da un<br />
elevato ricambio d’aria estivo (allevamento E), mentre le più problematiche sono<br />
risultate quelle caratterizzate da sfavorevole esposizione, ridotto ricambio d’aria e<br />
cattivo stato dei materiali di isolamento <strong>del</strong> tetto (allevamenti B e D).<br />
Problematiche invernali<br />
In inverno le condizioni termiche indoor sono risultate buone, ma accompagnate spesso<br />
da elevati livelli di umidità relativa (condizioni generalizzabili per tutti gli allevamenti).<br />
Per quanto riguarda la qualità <strong>del</strong>l’aria è stata rilevata una netta differenziazione tra le<br />
strutture: quelle caratterizzate da box con pavimentazione piena e corsie di defecazione<br />
esterne (allevamenti D ed E) hanno evidenziato concentrazioni dei gas più basse rispetto<br />
a quelle caratterizzate da box con pavimentazione totalmente fessurata e vacuum system<br />
per la gestione dei liquami. La situazione generale, tuttavia, non è risultata<br />
preoccupante, dal momento che i valori limite di concentrazione di NH3 e CO2 sono<br />
stati superati solo in casi specifici (allevamento A) e per periodi di tempo di durata<br />
limitata.<br />
129
Emissioni in atmosfera<br />
Le emissioni stimate di NH3 hanno permesso di collocare le strutture monitorate al di<br />
sotto dei valori limite <strong>del</strong>la tecnica di riferimento, quindi entro i valori limite per la<br />
definizione <strong>del</strong>le migliori tecniche disponibili (BAT, secondo la Direttiva I.P.P.C.).<br />
L’allevamento A è risultato perfettamente in linea con i valori limite indicati per la<br />
tecnica <strong>del</strong> vacuum system. Deve essere puntualizzato, tuttavia, che la tecnica di<br />
gestione dei liquami adottata negli allevamenti D ed E (pavimentazione piena nei box e<br />
corsie esterne di defecazione con pavimentazione fessurata) non risulta descritta nelle<br />
Linee guida per la definizione <strong>del</strong>le BAT e, nell’ambito di questo studio, è stato<br />
possibile quantificare solo parzialmente i valori di emissione, limitatamente alla zona<br />
interna di stabulazione degli animali e non dalla zona di defecazione esterna.<br />
Infine, le emissioni di GHG (gas ad effetto serra), in particolare di CH4, hanno<br />
rappresentato un elemento particolarmente innovativo e caratterizzante la presente<br />
attività di ricerca: i risultati ottenuti (valori di emissione da 6,8 a 15,1 kg CH4 anno -1<br />
capo -1 ) tendono sicuramente a giustificare l’interesse che negli ultimi anni è stato<br />
sollevato nei confronti di questi gas nell’ambito agricolo e zootecnico in particolare.<br />
Possibili sviluppi <strong>del</strong>la ricerca e miglioramenti tecnologici<br />
Nella fase produttiva di accrescimento-ingrasso i parametri ambientali indagati hanno<br />
evidenziato le maggiori criticità nel periodo estivo. Tuttavia, risulta difficile dimostrare<br />
gli specifici effetti <strong>del</strong>l’esposizione a tali condizioni critiche in termini di produzione e<br />
qualità <strong>del</strong> prodotto, a causa <strong>del</strong>l’elevato numero e relativo “peso” degli altri fattori di<br />
interazione (genetici, nutrizionali, sanitari). Le correlazioni tra parametri ambientali e<br />
stato generale di benessere degli animali (o più specificatamente qualità <strong>del</strong>la carne)<br />
sono state finora maggiormente indagate durante le fasi immediatamente precedenti la<br />
macellazione (fasi di trasporto e di sosta al macello), ma ancora poco è noto in relazione<br />
alle ultime fasi di allevamento. E’ da ritenere, tuttavia, che, anche in questo caso, le<br />
condizioni ambientali possano incidere su parametri quali:<br />
- riduzione <strong>del</strong>l’accrescimento e <strong>del</strong> peso di macellazione;<br />
- peggioramento <strong>del</strong>l’indice di conversione alimentare.<br />
- aumento di anomalie qualitative <strong>del</strong>la carne (in particolare dovute a carni PSE o<br />
DFD);<br />
130
Infine, da un punto di vista costruttivo ed impiantistico, per limitare le problematiche<br />
ambientali riscontrate nelle strutture oggetto di monitoraggio, potrebbero essere<br />
individuati miglioramenti tecnologici, quali (senza entrare nel dettaglio di casistiche più<br />
specifiche):<br />
- verifica <strong>del</strong>la funzionalità <strong>del</strong>le finestrature e <strong>del</strong>le aperture di colmo, per rendere più<br />
efficiente la ventilazione minima invernale;<br />
- adeguamento <strong>del</strong>la portata minima invernale di ricambio <strong>del</strong>l’aria su valori tali da<br />
garantire la rimozione <strong>del</strong> vapor d’acqua prodotto in eccesso;<br />
- miglioramento <strong>del</strong> grado di isolamento dei tamponamenti laterali e soprattutto <strong>del</strong><br />
tetto;<br />
- predisposizione di sistemi di raffrescamento di emergenza, quali ad esempio<br />
ventilatori interni per la destratificazione <strong>del</strong>l’aria o sistemi di nebulizzazione ad alta<br />
pressione;<br />
- riduzione <strong>del</strong> tempo di svuotamento <strong>del</strong>le vasche di accumulo <strong>del</strong> vacuum system.<br />
131
Riferimenti bibliografici<br />
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Gennaio 2007 “Emanazione di linee guida per l'individuazione e l'utilizzazione <strong>del</strong>le<br />
migliorie tecniche disponibili, in materia di allevamenti, macelli e trattamento di<br />
carcasse”. Supplemento ordinario alla G.U. serie generale n. 125 <strong>del</strong> 31/05/2007, pp.<br />
104-235.<br />
Dir.a 2008/120/CE <strong>del</strong> Consiglio <strong>del</strong> 18 dicembre 2008 “Norme minime per la<br />
protezione dei suini” (versione codificata).<br />
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Prevention and Control I.P.P.C. “Reference document on Best Available Techniques<br />
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European Commission, Joint Research Centre. 2011. Integrated Pollution<br />
Prevention and Control I.P.P.C. Working draft in progress “Reference document on<br />
Best Available Techniques for intensive rearing of poultry and pigs - BREF”.<br />
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Marchant-Forde JM. 2009. The welfare of pigs. Springer. ISBN 978-1-4020-8908-4.<br />
USDC-ESSA. 1970. Livestock hot weather stress. Central Regional Operations<br />
Manual Letter 70-28. Environmental Sciences Services Admin., U.S Dept.<br />
Commerce, Kansas City, MO.<br />
132
APPENDICE: Metodologie sperimentali adottate per i rilievi ambientali<br />
Microclima<br />
I parametri microclimatici ambientali (temperatura e umidità relativa) sono stati rilevati<br />
con sensori a termoresistenza e sensori capacitivi collegati a mini-datalogger (Econorma<br />
FT-102 e FT-90), in grado di acquisire i dati con intervalli di 30 minuti e memorizzarli<br />
per periodi continuativi prolungati. In ciascuna struttura il punto di rilievo è stato<br />
centrale, a circa 1,8 m di altezza; negli allevamenti A, B è stato localizzato un punto di<br />
rilievo anche in prossimità <strong>del</strong>le finestrature di ingresso <strong>del</strong>l’aria (in condizioni<br />
invernali e primaverili), mentre nell’allevamento E, di forma più allungata, oltre al<br />
punto centrale, sono stati localizzati punti di rilievo a 1/4 e 3/4 <strong>del</strong>la lunghezza. Negli<br />
allevamenti A, B, D, E il monitoraggio microclimatico è stato eseguito per periodi<br />
continuativi prolungati (fino a 90 giorni), selezionando da questi, per l’elaborazione<br />
comparativa dei dati, periodi <strong>del</strong>la durata di 3 giorni, omogenei per quanto riguarda le<br />
condizioni atmosferiche e rappresentativi <strong>del</strong>le diverse condizioni stagionali <strong>del</strong>l’anno.<br />
Nell’allevamento C il monitoraggio microclimatico è stato eseguito solamente in<br />
condizioni estive.<br />
Sulla base dei dati termo-igrometrici ottenuti in condizioni estive è stato calcolato<br />
l’indice di stress termico THI (Temperature Humidity Index), applicando la formula<br />
derivata da quella originariamente proposta da Johnson (1965):<br />
t0, 55 0,<br />
0055<br />
u<br />
14,<br />
5<br />
32<br />
THI 1, 8<br />
t <br />
dove t è la temperatura (°C) e u è l’umidità relativa (%).<br />
133
I valori di THI sono stati distinti in funzione <strong>del</strong>la pericolosità di insorgenza <strong>del</strong>lo stress<br />
termico per gli animali, come proposto da USDC-ESSA (1970), nelle categorie<br />
riassunte nella successiva tabella.<br />
Tabella – Valutazione <strong>del</strong> grado di pericolo di insorgenza <strong>del</strong>lo stress termico e relative<br />
azioni ed interventi gestionali da intraprendere in allevamento. Fonte: USDC<br />
(modificata).<br />
Valori di THI Categoria di pericolo Azioni ed interventi gestionali<br />
< 74 S = Safe, zona di sicurezza -<br />
75 - 78 A = Alert, soglia di attenzione<br />
79 - 83 D = Danger, zona di pericolo<br />
> 84<br />
E = Emergency, situazione di<br />
grave emergenza<br />
Aumentare la portata di ricambio <strong>del</strong>l’aria;<br />
monitorare il comportamento degli animali per<br />
verificare per tempo segnali di stress (aumento <strong>del</strong><br />
ritmo respiratorio, bocca spalancata, ecc.); assicurarsi<br />
<strong>del</strong>la disponibilità di acqua fresca; prepararsi ad<br />
azionare eventuali sistemi di raffrescamento.<br />
La ventilazione deve funzionare alla massima<br />
potenzialità; mettere in funzione sistemi addizionali<br />
di raffrescamento (cooling o nebulizzazione); tenere<br />
sotto stretta osservazione gli animali.<br />
Evitare ogni operazione d’allevamento non<br />
strettamente necessaria; applicare obbligatoriamente<br />
tutte le azioni già previste per la categoria D<br />
“pericolo”; ridurre il livello di luminosità, se<br />
possibile; valutare la possibilità di diradare la densità<br />
di allevamento.<br />
134
Qualità <strong>del</strong>l’aria<br />
La concentrazione indoor dei gas (ammoniaca, anidride carbonica, protossido d’azoto e<br />
metano) è stata misurata con un monitor multigas di tipo fotoacustico (Bruel & Kjaer<br />
1302) in grado di campionare l’aria in punti prefissati, ad intervalli di tempo prestabiliti<br />
(30 minuti) e di memorizzare i dati acquisiti. Il punto di rilievo in ogni struttura è stato<br />
localizzato in un box centrale ad un’altezza di circa 0,8 m dalla zona di inspirazione<br />
degli animali. Negli allevamenti A e B sono stati eseguiti periodi di monitoraggio in<br />
continuo nei diversi periodi climatici stagionali. Negli allevamenti D ed E, invece, non è<br />
stato possibile il monitoraggio continuo e sono stati eseguiti rilievi manuali, ripetuti in<br />
giornate diverse nelle quattro stagioni. Infine, per motivi organizzativi legati alle<br />
disponibilità strumentali, l’allevamento C non è stato inserito nel programma di<br />
monitoraggio <strong>del</strong>la qualità <strong>del</strong>l’aria.<br />
L’elaborazione comparativa dei dati è stata eseguita, per gli allevamenti A e B,<br />
selezionando periodi omogenei per quanto riguarda le condizioni atmosferiche e<br />
rappresentativi <strong>del</strong>le diverse condizioni stagionali <strong>del</strong>l’anno. Per gli allevamenti D ed E,<br />
il confronto dei dati è stato eseguito selezionando quelli ottenuti da due giornate di<br />
rilievo per ogni periodo stagionale.<br />
135
Ventilazione<br />
La portata di ricambio <strong>del</strong>l’aria, non direttamente misurabile nelle strutture con sistema<br />
di ventilazione naturale, è stata stimata attraverso il bilancio di CO2, seguendo il metodo<br />
indicato da CIGR (2002). In particolare, è stata considerata PCO2 (produzione unitaria di<br />
CO2) pari a 0,185 m 3 h -1 hpu -1 , dove 1 hpu (heat producing unit) corrisponde ad una<br />
massa di animali che produce 1000 W di calore totale alla temperatura di 20°C. Per<br />
calcolare la quantità di calore totale prodotta dai suini (tot) in funzione <strong>del</strong>la<br />
temperatura indoor (t, in °C) è stata utilizzata la seguente formula:<br />
1000<br />
12<br />
20<br />
tot<br />
136<br />
t<br />
W<br />
Quindi, la portata di ricambio <strong>del</strong>l’aria è stata calcolata con la seguente formula:<br />
V<br />
P<br />
CO2<br />
3 1<br />
m h<br />
6<br />
CO2 in CO2<br />
out10<br />
dove CO2 in è la concentrazione di CO2 indoor, mentre CO2 out è la concentrazione di<br />
CO2 atmosferica.
Emissività dei gas<br />
In presenza di ventilazione naturale, assumendo condizioni di stabilità <strong>del</strong> regime di<br />
ventilazione (concentrazione dei gas nel punto di emissione pari alla concentrazione<br />
media indoor) la determinazione <strong>del</strong> flusso di emissione dei gas (Egas) è stata calcolata<br />
con il prodotto tra il flusso di ventilazione (V) e la concentrazione dei gas (Cgas, in mg<br />
m -3 ):<br />
Egas gas<br />
V C<br />
mg h<br />
Per quanto riguarda le emissioni di NH3, il confronto con i valori limite di emissione<br />
indicati nelle Linee guida di riferimento per la definizione <strong>del</strong>le migliori tecnologie<br />
disponibili è stato effettuato calcolando il valore medio annuale, ponderato sui valori di<br />
emissione stagionali, espresso in kg anno -1 posto suino -1 .<br />
137<br />
1
138
Prospettive per lo sviluppo di un sistema suinicolo Regionale<br />
Bruno Stefanon<br />
Dipartimento di Scienze Agrarie ed Ambientali – Università di Udine<br />
Nell’ambito <strong>del</strong>le produzioni animali italiane il comparto suino <strong>del</strong>la Regione Friuli<br />
Venezia Giulia ricopre un ruolo rilevante per la presenza nel territorio <strong>del</strong>la DOP<br />
Prosciutto di San Daniele, un vanto <strong>del</strong> made in Italy.<br />
Dal 2008, le difficoltà economiche per gli <strong>allevatori</strong> <strong>del</strong> Friuli Venezia Giulia sono<br />
aumentate in modo considerevole, analogamente a quanto si è verificato a livello<br />
nazionale, e la redditività degli allevamenti è diminuita a causa <strong>del</strong> prezzo di mercato<br />
<strong>del</strong> suino, spesso inferiore al costo di produzione, e <strong>del</strong>l’aumento <strong>del</strong> costo degli<br />
alimenti e <strong>del</strong>l’energia. Per fare fronte alla grave crisi <strong>del</strong> mercato <strong>del</strong>le carni suine <strong>del</strong>la<br />
metà degli anni 2000, gli attori <strong>del</strong>la filiera hanno firmato un primo protocollo d’intesa<br />
per garantire un migliore livello di interazione tra loro. A questa intesa è seguita nel<br />
giugno 2008 la predisposizione e l’approvazione da parte di tutti i soggetti <strong>del</strong>la filiera<br />
di un Piano di Settore Suinicolo articolato nei 5 punti di seguito riportati.<br />
1. Mercato unico nazionale, con l’istituzione di una Commissione nazionale per la<br />
determinazione anticipata <strong>del</strong> prezzo <strong>del</strong>le carni suine e con declaratorie separate per<br />
i suini DOP.<br />
2. Mo<strong>del</strong>lo condiviso <strong>del</strong>la valutazione <strong>del</strong>le carcasse.<br />
3. Valorizzazione <strong>del</strong> Gran Suino Padano.<br />
4. Sviluppo di interventi per il sostegno <strong>del</strong>la filiera DOP attraverso strumenti di<br />
programmazione <strong>del</strong>l’offerta.<br />
5. Eradicazione <strong>del</strong>l’epidemia vescicolare.<br />
Per la Regione Friuli Venezia Giulia, si è aggiunta un’ulteriore criticità in seguito<br />
all’effetto <strong>del</strong>la circolare unificata Istituto Parma Qualità (IPA) (IPQ)<br />
e Istituto Nord Est<br />
Qualità (INEQ) n. 3/2008 <strong>del</strong> 8 aprile 2008 (DG-3679.1), che prevedeva una limitazione<br />
139
<strong>del</strong>le regioni di provenienza <strong>del</strong>le cosce suine fresche utilizzate per la lavorazione ai fini<br />
<strong>del</strong>la DOP Prosciutto di San Daniele.<br />
Il secondo punto <strong>del</strong> Piano di Settore Suinicolo, relativo a un mo<strong>del</strong>lo condiviso <strong>del</strong>la<br />
valutazione <strong>del</strong>le carcasse e di una base unica per la determinazione <strong>del</strong> prezzo in<br />
rapporto alla qualità, sia per la carne fresca sia per i tagli <strong>del</strong> suino destinati alle<br />
produzioni DOP, è probabilmente l’aspetto di maggiore rilievo per la costituzione di<br />
una filiera nella Regione Friuli Venezia Giulia.<br />
L’applicazione sul territorio nazionale <strong>del</strong> Reg. Ce 3220/84 ha per effetto il pagamento<br />
a peso morto dei suini e l’obbligo, per i macelli, di dotarsi di strumenti per la<br />
classificazione oggettiva <strong>del</strong>le carcasse suine, con l’obiettivo di definirne il prezzo da<br />
trasmettere al Ministero tramite le Camere di commercio competenti. Il Regolamento<br />
permette quindi una valorizzazione <strong>del</strong>la qualità attraverso meccanismi premiali di<br />
prezzo per gli <strong>allevatori</strong> che producono suini con caratteristiche migliori <strong>del</strong>le carcasse e<br />
<strong>del</strong>le cosce per la DOP Prosciutto di San Daniele.<br />
L’attuazione <strong>del</strong> Piano di Settore Suinicolo ha portato all’attuale sistema di raccolta e di<br />
trasmissione dei dati dal macello direttamente a una banca dati, gestita dall’INEQ.<br />
Questo sistema permette una totale trasparenza <strong>del</strong>le fasi di raccolta con l’inserimento<br />
dei dati nel database remoto <strong>del</strong>l’INEQ già in sede di macellazione. Lo scambio<br />
telematico <strong>del</strong>le informazioni tra gli allevamenti, gli stabilimenti di macellazione e di<br />
trasformazione e gli organismi di controllo, assieme alla possibilità di tracciare dalla<br />
propria azienda i dati di carattere generale mediante password, sono formidabili<br />
strumenti di garanzia <strong>del</strong> sistema <strong>del</strong>la DOP e di controllo sulla qualità oggettiva <strong>del</strong><br />
prodotto nei diversi punti <strong>del</strong>la filiera.<br />
Una misura ulteriore, attuata fin dal 2008, ha previsto per la Regione Friuli Venezia<br />
Giulia il rinforzo dei controlli di non conformità <strong>del</strong>le cosce da parte degli ispettori<br />
<strong>del</strong>l’INEQ direttamente nei macelli. In tal modo si riducono i resi di cosce non conformi<br />
già nello stabilimento di macellazione e si stimola l’allevatore a selezionare i suini a<br />
fine ciclo da inviare al macello prima <strong>del</strong>la partenza dall’azienda, riducendo la loro<br />
disomogeneità. D’altra parte, il macellatore può classificare gli allevamenti in funzione<br />
<strong>del</strong>la serie storica <strong>del</strong>le partite consegnate, prevedendo, in un’ottica di filiera, un premio<br />
sul prezzo di acquisto in rapporto alla qualità oggettiva <strong>del</strong>le carcasse. Gli effetti<br />
positivi <strong>del</strong> sistema di controllo possono estendersi anche a valle <strong>del</strong>la filiera. Il<br />
prosciuttificio dispone, infatti, di cosce conformi e più omogenee e può prevedere dei<br />
140
meccanismi premiali in funzione <strong>del</strong>la qualità <strong>del</strong>le partite. La registrazione <strong>del</strong>le<br />
informazioni lungo la filiera ha un’ulteriore utilità per l’allevatore e gli altri operatori<br />
che intervengono a monte nel processo produttivo, grazie al ritorno di informazioni che<br />
le aziende zootecniche possono ricevere per quanto attiene la qualità oggettiva misurata<br />
al macello.<br />
Gli strumenti operativi messi in campo dal 2008 a oggi sono quindi di enorme utilità al<br />
sistema suinicolo e, se opportunamente utilizzati, potrebbero consentire una<br />
valorizzazione <strong>del</strong>le caratteristiche qualitative differenziali di un suino nato ed allevato<br />
in Friuli Venezia Giulia ed opportunamente qualificato dal punto di vista genetico.<br />
I costi di produzione<br />
Il costo di produzione di 1 kg di carne suina nel 2011 è stato di 1,49 euro (CRPA,<br />
2012), pari quindi a 238,4 euro per un suino pesante a ciclo chiuso di 160 kg di peso<br />
vivo (Tabella 1), ed è aumentato sia rispetto al 2010 (1,39 euro/kg) sia rispetto al 2009<br />
(1,36 euro/kg). L’alimentazione ha rappresentato la gran parte <strong>del</strong> costo ed ha inciso per<br />
il 62,1%, 59,9% e 58,9% rispettivamente nel 2011, 2010 e 2009.<br />
In base al report pubblicato da Interpig (2010), i costi per kg di carne suina in Italia e in<br />
Gran Bretagna risultano di gran lunga superiori a quelli calcolati per gli altri Paesi<br />
europei (Tabella 2). La voce principale <strong>del</strong> costo di produzione nei Paesi europei è<br />
costituita dall’alimentazione (Figura 1), con un’incidenza maggiore per la Spagna<br />
(65,5% <strong>del</strong> totale) e l’Italia (65,0% <strong>del</strong> totale), mentre il costo di produzione più basso si<br />
osserva in Germania e Olanda (rispettivamente 53,9% e 53,5% <strong>del</strong> totale). Le differenze<br />
dei costi e <strong>del</strong>la loro incidenza sono da ascrivere principalmente al peso vivo finale e<br />
alla durata <strong>del</strong> ciclo di ingrasso. In Italia, infatti, la produzione <strong>del</strong> suino pesante per le<br />
DOP prevede un’età di macellazione di almeno 9 mesi e un peso vivo medio superiore a<br />
160 kg. I dati <strong>del</strong>la tabella 3 evidenziano, infatti, che negli altri Paesi europei la<br />
macellazione avviene a un peso compreso fra i 103 e i 124 kg circa e l’indice di<br />
conversione alimentare (ICA) è, ovviamente, più basso. Un’eccezione è rappresentata<br />
dalla Spagna, per la quale il costo alimentare è simile a quello <strong>del</strong>l’Italia, a causa<br />
principalmente <strong>del</strong> ridotto peso vivo dei suini all’inizio <strong>del</strong> ciclo di ingrasso e <strong>del</strong> tipo di<br />
razioni utilizzate.<br />
141
Tabella 1. Costo di produzione (euro) <strong>del</strong> magroncello e <strong>del</strong> suino pesante a ciclo<br />
aperto e a ciclo chiuso nel 2011<br />
Magroncello Ciclo Aperto Ciclo Chiuso<br />
Alimentazione 45,24 125,37 147,20<br />
Lavoro 13,74 10,08 30,40<br />
Altri costi 16,10 19,88 38,40<br />
Magroncello - 80,50 -<br />
Totale costi espliciti 75,08 235,83 216,00<br />
Interessi e ammortamenti 10,31 13,36 22,40<br />
Costo totale 85,39 249,19 238,40<br />
Alimentazione 1,29 0,92 0,94<br />
Lavoro 0,39 0,19 0,08<br />
Altri costi 0,46 0,24 0,15<br />
Magroncello - - 0,24<br />
Totale costi espliciti 2,14 1,35 1,41<br />
Interessi e ammortamenti 0,30 0,14 0,10<br />
Costo totale 2,44 1,49 1,51<br />
Fonte CRPA, 2012<br />
Tabella 2. Costo di produzione <strong>del</strong>la carne suina (euro/kg peso morto)<br />
Voci di costo GB NL FR IT DK BEL GER SP<br />
Alimentazione 1,00 0,76 0,78 1,17 0,80 0,89 0,82 0,93<br />
Lavoro 0,15 0,14 0,18 0,15 0,15 0,14 0,14 0,11<br />
Altri Costi 0,10 0,12 0,11 0,14 0,10 0,10 0,15 0,14<br />
Interessi e ammortamenti 0,45 0,40 0,33 0,33 0,36 0,35 0,41 0,24<br />
Costo Totale 1,70 1,42 1,40 1,79 1,41 1,48 1,52 1,42<br />
Fonte: Interpig (2010)<br />
142
Figura 1. Incidenza <strong>del</strong>le singole voci sul costo di produzione <strong>del</strong>la carne suina<br />
(euro/kg peso morto)<br />
100%<br />
80%<br />
60%<br />
40%<br />
20%<br />
0%<br />
SPA IT BEL GB DK FR GER NL<br />
Alimentazione Lavoro Altri Costi Interessi e ammortamenti<br />
Fonte: Interpig (2010)<br />
Tabella 3. Valori medi <strong>del</strong>le principali performances produttive dei suini in Europa<br />
Peso<br />
iniziale<br />
Peso<br />
finale<br />
Peso<br />
carcassa<br />
Resa<br />
macello<br />
143<br />
Tagli<br />
magri<br />
ICA<br />
IMG<br />
Durata<br />
ingrasso<br />
kg kg kg % % kg/kg g/d d<br />
IT 35,0 166,0 131,1 79,0 47,0 3,68 640,0 204,7<br />
BEL 23,1 124,5 92,2 82,0 61,7 2,96 630,0 141,9<br />
GER 29,9 119,8 94,6 79,0 56,5 2,92 753,0 119,4<br />
NL 25,1 116,6 92,1 79,0 56,4 2,71 792,0 115,5<br />
FR 31,6 115,8 90,9 78,5 60,1 2,85 785,3 107,3<br />
DK 31,4 106,6 81,4 76,3 60,2 2,66 898,0 83,8<br />
SPA 19,0 105,0 80,9 77,0 58,0 2,71 642,5 133,9<br />
GB 36,6 103,3 79,8 77,3 62,0 2,77 819,0 81,4<br />
EU 30,3 116,9 91,6 78,3 58,0 2,89 767,3 116,4<br />
ICA = indice conversione alimentare; IMG = incremento medio giornaliero<br />
Fonte: Interpig (2010)
Un ulteriore aspetto che incide sui costi di produzione <strong>del</strong> suino pesante in Italia deriva<br />
dalla limitazione dei tipi genetici ammessi per le DOP nazionali, che sono regolamentati<br />
dai disciplinari di produzione al fine di ottenere carcasse con un buon grado di deposito<br />
adiposo per rispondere alle esigenze <strong>del</strong>l’industria di trasformazione in prosciutti e<br />
insaccati. Appare evidente che la produzione <strong>del</strong>la carne <strong>del</strong> suino pesante per il<br />
marcato italiano richiede costi più elevati, legati ai vincoli imposti dai disciplinari <strong>del</strong>le<br />
DOP relativi al tipo genetico, alla durata <strong>del</strong> ciclo di allevamento e, in particolare,<br />
all’impiego dei cereali. Il prezzo <strong>del</strong> mais nazionale negli ultimi anni ha infatti subito<br />
<strong>del</strong>le oscillazioni rilevanti e, a parte l’intervallo dall’ottobre <strong>del</strong> 2011 al giugno <strong>del</strong><br />
2012, ad oggi è aumentato di circa il 70% rispetto al valore <strong>del</strong>la seconda metà <strong>del</strong><br />
2008 (Figura 2A). Anche le quotazioni <strong>del</strong> suino pesante hanno subito continue<br />
variazioni, con valori molto bassi ed inferiori a 1.10 euro/kg di peso vivo nei periodi<br />
marzo-maggio <strong>del</strong> 2009 e <strong>del</strong> 2010. Solo negli ultimi 5 mesi <strong>del</strong> 2012 le quotazioni <strong>del</strong><br />
suino pesante sono salite considerevolmente, compensando almeno in parte l’aumento<br />
<strong>del</strong> prezzo <strong>del</strong> mais. Anche le quotazioni <strong>del</strong>la coscia fresca (Figura 2B) hanno subito<br />
<strong>del</strong>le variazioni nello stesso periodo, con un andamento molto simile a quello osservato<br />
per il prezzo <strong>del</strong> peso vivo <strong>del</strong> suino pesante. In linea generale, si osserva quindi una<br />
ridotta capacità <strong>del</strong> circuito <strong>del</strong>le DOP di compensare l’aumento <strong>del</strong> costo <strong>del</strong>le materie<br />
prime, mentre il prezzo <strong>del</strong>la carne subisce la competizione <strong>del</strong> mercato estero e soffre<br />
periodicamente di prezzi decisamente ridotti, come è evidenziato dalle oscillazioni <strong>del</strong><br />
prezzo <strong>del</strong> lombo.<br />
Costi di produzione negli allevamenti aderenti al progetto<br />
L’analisi dei costi negli allevamenti che hanno aderito al progetto Regionale (Tabella 4)<br />
consente di trarre alcune considerazioni. Il confronto fra i valori medi dei parametri<br />
produttivi registrati in queste aziende con i dati di riferimento nazionali ed europei<br />
(Interpig, 2010) indicano in primo luogo una buona efficienza degli allevamenti <strong>del</strong>la<br />
Regione, sia per quanto riguarda la conversione alimentare sia per gli accrescimenti, e<br />
un costo di produzione inferiore a quello medio riportato nella tabella 2. Inoltre, il<br />
prezzo medio di mercato percepito dagli allevamenti di ingrasso aderenti al progetto nel<br />
periodo 2008-2012 è stato di 1,45 euro/kg, superiore quindi a quello medio nazionale<br />
<strong>del</strong> mercato <strong>del</strong> suino vivo, pari a 1,29 euro/kg.<br />
144
Figura 2. Andamento <strong>del</strong> prezzo <strong>del</strong> mais nazionale, <strong>del</strong> suino pesante (156-176 kg) e<br />
<strong>del</strong> Magroncello di 30 kg (Figura A) e <strong>del</strong>la coscia e <strong>del</strong> lombo (Figura B) da agosto<br />
2008 a ottobre 2012<br />
3.50<br />
3.00<br />
2.50<br />
2.00<br />
1.50<br />
1.00<br />
0.50<br />
4.50<br />
4.00<br />
3.50<br />
3.00<br />
2.50<br />
2.00<br />
1.50<br />
A<br />
Suino 156 - 176 Magroncello 30 kg Mais<br />
B<br />
Coscia Parma, 11-13 kg Coscia Parma, 13-16 kg Lombo<br />
Fonte: Camera di Commercio di Parma<br />
Prima di aprile 2012, i listini si riferiscono a pezzature di 10-12 kg e di 12-14,8 kg.<br />
L’utile per capo è quindi risultato superiore negli allevamenti friulani che hanno aderito<br />
alla filiera ed è stato mediamente di circa 50 euro a capo, sia in virtù dei maggiori prezzi<br />
di vendita <strong>del</strong> suino sia dei minori costi di produzione. Va precisato che l’utile per capo<br />
non tiene conto dei costi di ammortamento e degli interessi e <strong>del</strong>la remunerazione <strong>del</strong><br />
lavoro.<br />
145<br />
300<br />
250<br />
200<br />
150<br />
100<br />
50<br />
0
Tabella 4. Confronto fra i costi di produzione calcolati sugli allevamenti aderenti al<br />
progetto Regionale (Progetto) e quelli stimati in basi dati medi derivati dalle Tabelle 1<br />
e 3 (Riferimento)<br />
Parametri produttivi Progetto Riferimento<br />
Durata ciclo d 204,1 205,0<br />
Peso iniziale kg 29,2 35,0<br />
Peso finale kg 168,9 166,0<br />
Accrescimento medio g/d 684,0 640,0<br />
Consumo alimenti kg/capo 454 482<br />
Conversione alimentare kg/kg 3,31 3,68<br />
Costi espliciti<br />
Acquisto suinetti euro 75,30 80,50<br />
Alimentazione euro 104,45 108,84<br />
Altri costi espliciti euro 15,50 19,88<br />
Totale costi euro/capo 195,25 209,22<br />
Ricavi<br />
Prezzo euro/kg 1,45 1,29<br />
Valore euro/capo 244,91 214,14<br />
Utile euro/capo 49,65 4,92<br />
Costo kg/carne euro/kg 1,40 1,60<br />
Costo alimentazione euro/kg 0,75 0,83<br />
Per comprendere quali siano stati gli elementi che hanno inciso sull’utile, sono state<br />
condotte <strong>del</strong>le semplici analisi di regressione fra questo valore (variabile dipendente)<br />
con i costi calcolati e con i parametri produttivi rilevati negli allevamenti che hanno<br />
aderito al progetto. I dati si riferiscono ai cicli produttivi dei suini pesanti che sono stati<br />
completati dal 2008 al 2012.<br />
Come appare evidente dalla figura 3A e 3B i costi di allevamento per la produzione di<br />
un kg di carne, per l’alimentazione e l’efficienza alimentare, misurata come indice di<br />
conversione alimentare (kg di accrescimento per kg di alimento ingerito), non sono<br />
146
isultati correlati con l’utile. Neppure la durata <strong>del</strong> ciclo produttivo, il peso vivo finale e<br />
l’incremento medio giornaliero di peso (IMG, g/d) sono stati correlati con l’utile a capo<br />
calcolato nei cicli produttivi degli allevamenti. Diversamente, è stata osservata una<br />
dipendenza lineare e altamente significativa (P
Figura 3. Relazioni fra l’utile netto per capo calcolato negli allevamenti aderenti al<br />
progetto, i costi di produzione (A), le prestazioni produttive dei suini (B) e il prezzo di<br />
mercato <strong>del</strong> suino (C)<br />
euro/kg<br />
d / kg<br />
4.0<br />
4.0<br />
3.5<br />
3.5<br />
3.0<br />
y = -0.0041x + 3.5024<br />
3.0<br />
2.5<br />
R² = 0.3065 2.5<br />
2.0<br />
y = 0.0014x + 1.0506<br />
2.0<br />
R² = 0.0543<br />
1.5<br />
1.5<br />
1.0<br />
1.0<br />
0.5<br />
y = 0.0003x + 0.7208 0.5<br />
0.0<br />
R² = 0.0026<br />
0.0<br />
0 20 40 60 80 100<br />
Utile per capo, euro<br />
euro/kg carne<br />
250<br />
200<br />
150<br />
100<br />
50<br />
y = -0.0704x + 170.51<br />
R² = 0.028<br />
A<br />
Costo carne Costo alimentazione ICA<br />
y = -0.3528x + 756.56<br />
R² = 0.0498<br />
B<br />
148<br />
y = 0.2598x + 176.29<br />
R² = 0.174<br />
1100<br />
1000<br />
900<br />
800<br />
700<br />
600<br />
0<br />
500<br />
0 20 40 60 80 100<br />
Utile per capo, euro<br />
2.00<br />
1.70<br />
1.40<br />
1.10<br />
Durata ciclo, d Peso finale, kg IMG, g/d<br />
y = 0.0077x + 1.0391<br />
R² = 0.589<br />
C<br />
0.80<br />
0 20 40 60 80 100<br />
Utile per capo<br />
ICA, kg/kg<br />
IMG, g/d
La costruzione di una filiera produttiva per il comparto suinicolo richiede la presenza di<br />
numerosi operatori, coinvolti sia nella fase di produzione primaria sia in quella<br />
industriale di trasformazione, e risulta pertanto complessa. La filiera, infatti, nasce dalla<br />
produzione agricola degli alimenti e dall’allevamento, comprendendo anche i centri<br />
genetici e le aziende mangimistiche, e prosegue con il macello, la lavorazione <strong>del</strong>le<br />
carcasse e <strong>del</strong>le carni, la successiva trasformazione in prodotti finiti e termina con la<br />
distribuzione.<br />
Nella figura 4 sono stati rappresentati due possibili scenari per la filiera suina. Nel<br />
primo caso (Figura 4A) i grandi gruppi alimentari ed industriali sono gli attori principali<br />
e, in base ad accordi con la grande distribuzione organizzata, controllano i prezzi di<br />
mercato e i volumi dei prodotti e, quindi, stabiliscono la distribuzione degli utili agli<br />
altri attori. In alcuni casi, i grandi gruppi alimentari sono proprietari anche di<br />
mangimifici, centri genetici e strutture di macellazione, limitando in tal modo le scelte<br />
tecniche e operative <strong>del</strong>l’allevatore e prediligendo una distribuzione <strong>del</strong>le marginalità<br />
all’interno <strong>del</strong>la propria compagine societaria. Il secondo scenario (Figura 4B) prevede<br />
la costituzione di una rete fra le aziende <strong>del</strong>la filiera attraverso la stipula di contratti<br />
coordinati fra i diversi attori, in modo da garantire una più equa distribuzione <strong>del</strong>le<br />
marginalità. In altri termini, l’accordo commerciale fra l’allevatore e il macellatore deve<br />
tenere conto di quello in essere fra le aziende di trasformazione e il macellatore, in<br />
modo che oscillazioni positive o negative <strong>del</strong> prezzo di vendita dei prodotti al consumo<br />
siano ripartite in modo predeterminato e armonico fra gli attori <strong>del</strong>la filiera. Negli<br />
allegati 1 e 2 sono stati predisposti degli esempi di accordi economici di filiera, che<br />
possono essere stabiliti fra <strong>allevatori</strong> e macellatori (Allegato 1) e fra questi e i<br />
prosciuttifici (Allegato 2) e che prevedono un premio sul prezzo di acquisto in funzione<br />
alla qualità oggettiva <strong>del</strong>le partite di carcasse e di cosce, in grado di garantire una<br />
distribuzione <strong>del</strong>le marginalità fra gli attori <strong>del</strong>la filiera stessa. Se nel primo scenario il<br />
flusso economico e dei prodotti e gestito da un attore principale, che assume decisioni<br />
operative e stabilisce le strategie, nel secondo caso si dovrebbe assistere a una<br />
condivisione <strong>del</strong>le scelte operative in funzione <strong>del</strong>le richieste <strong>del</strong> mercato al consumo.<br />
L’analisi dei punti di forza e di debolezza, <strong>del</strong>le opportunità e <strong>del</strong>le minacce (SWOT<br />
analysis) è riportata nella tabella 5 ed evidenzia la grande potenzialità che un sistema<br />
integrato, rivolto non solo alla produzione di cosce per la DOP prosciutto di San<br />
149
Daniele ma anche alla valorizzazione <strong>del</strong>la carne suina sia fresca che trasformata, può<br />
offrire alla suinicoltura Regionale.<br />
Tabella 5. Analisi dei punti di forza forza (Strengths), debolezza (Weaknesses),<br />
opportunità (Opportunities) e minacce (Threats) di una filiera Regionale per<br />
l’allevamento <strong>del</strong> suino<br />
Strenghts – Forza Weakeness – Debolezza<br />
- Tipicità <strong>del</strong> prodotto e valorizzazione<br />
<strong>del</strong>la carne fresca<br />
- Stabilizzazione <strong>del</strong>la domanda e dei<br />
prezzi alla produzione<br />
- Politica dei redditi per gli <strong>allevatori</strong><br />
- Rafforzamento aziende mangimistiche<br />
e stabilimenti di trasformazione<br />
Regionale<br />
- Identità territoriale con un marchio<br />
Opportunities – Opportunità Threats – Minacce<br />
- Offerta di nuovi prodotti di nicchia<br />
- Sfruttamento <strong>del</strong> marchio AQUA<br />
- Programmazione <strong>del</strong>la produzione in<br />
relazione alla domanda<br />
- Mantenimento degli allevamenti nelle<br />
aree vocate<br />
- Implementazione degli stabilimenti di<br />
prima e seconda lavorazione<br />
- Aumento <strong>del</strong> potere contrattuale a<br />
monte <strong>del</strong>la filiera<br />
Considerazioni finali<br />
150<br />
- Ridotta dimensione <strong>del</strong>la filiera<br />
- Numero di allevamenti in Regione<br />
- Variabilità genetica dei riproduttori<br />
- Concorrenzialità entro la DOP<br />
Prosciutto di San Daniele<br />
- Concorrenzialità con prezzi di prodotti<br />
esteri per le carni fresche<br />
- Scarso interesse <strong>del</strong>la GDO per<br />
prodotti di nicchia<br />
- Ridotta propensione all’integrazione a<br />
monte <strong>del</strong>la filiera (<strong>allevatori</strong> e<br />
macellatori)<br />
- Maggiore attrazione per i contratti di<br />
soccida (grandi gruppi alimentari)<br />
- Competizione di prezzo con altri<br />
prodotti <strong>del</strong>la GDO<br />
- Riduzione <strong>del</strong> consumo di proteine di<br />
origine animale<br />
Il tipo genetico studiato nel progetto non rappresenta di certo una novità, in quanto è un<br />
ibrido di prima generazione fra verri di razza Duroc e scrofe di razza Large White<br />
iscritti al libro genealogico e selezionati secondo gli schemi e gli obiettivi <strong>del</strong>l’ANAS. I<br />
dati produttivi e riproduttivi ottenuti per l’ibrido lo rendono indubbiamente interessante<br />
per gli <strong>allevatori</strong> che conferiscono le cosce per la DOP prosciutto di San Daniele.
Figura 4. Gli scenari <strong>del</strong>la filiera suina. A) Filiera gestita dai grandi gruppi alimentari<br />
e dalla GDO; B) Filiera integrata fra tutti gli attori <strong>del</strong> processo produttivo<br />
Aziende<br />
mangimie<br />
GDO/ato<br />
Prosius<br />
DOP/IGP<br />
Carnee<br />
trasforma<br />
Tenii<br />
Mediatori<br />
Grossis<br />
Mediatori<br />
SalumieProsiu<br />
DOP/IGP<br />
A<br />
Maelli<br />
Allevamen<br />
Ingrasso<br />
B<br />
Allevamen<br />
riproduzione<br />
Allevamen<br />
Ingrasso<br />
Maelli<br />
Grossis<br />
151<br />
Tecnici, Mediatori<br />
Tecnici, Mediatori.<br />
Trasportatori<br />
Grandi<br />
alimentari<br />
Aziend<br />
mangimis<br />
Trasportatori<br />
Markengeommerializzazione<br />
Allevamen<br />
riproduzione<br />
Carniealtri<br />
trasforma<br />
AQUA<br />
Cenei<br />
eselezione<br />
Centrigeneie<br />
diselezione<br />
Teni<br />
Mediatori
Inoltre, questo genotipo produce anche una carne che si presta alla trasformazione in<br />
insaccati. La parte più rilevante è impegnativa, tuttavia, è rappresentata<br />
dall’affermazione di un marchio che integri questa produzione di nicchia all’interno di<br />
una filiera organizzata e che la renda riconoscibile dagli altri prodotti sostitutivi.<br />
La commercializzazione <strong>del</strong>la carne e dei prodotti trasformati dovrebbe avvenire con il<br />
marchio AQUA <strong>del</strong>l’Ente Regionale Sviluppo Agricolo (ERSA) <strong>del</strong> Friuli Venezia<br />
Giulia. Al contempo l’Associazione Allevatori <strong>del</strong> Friuli Venezia Giulia ha proposto e<br />
presentato pubblicamente il marchio Geneticamente Friulano, per i suini ibridi derivati<br />
da verri Duroc e da scrofe Large White e nati e allevati negli allevamenti <strong>del</strong> Friuli<br />
Venezia Giulia. In base a questa proposta, il suino pesante è allevato ed alimentato<br />
seguendo le indicazioni <strong>del</strong>la DOP Prosciutto di San Daniele, anche se sarà necessario<br />
predisporre un disciplinare dettagliato sulla classificazione e sulla valorizzazione <strong>del</strong><br />
prodotto fresco e trasformato e su eventuali restrizioni.<br />
A conclusione si può affermare che esistono tutti i presupposti tecnici per la<br />
costituzione di una filiera di produzione di un suino pesante con tratti distintivi e<br />
particolari. L’esperienza <strong>del</strong> progetto ha inoltre permesso di avvicinare, prima, e di<br />
integrare, in seguito, le competenze e le conoscenze di una parte <strong>del</strong> sistema produttivo<br />
con quelle degli enti di controllo e <strong>del</strong>la ricerca pubblica e privata.<br />
Per la costituzione di una filiera suinicola Regionale sarà necessario che le strutture<br />
produttive economicamente più forti e motivate coinvolgano anche le altre, integrandole<br />
in un sistema che garantisca la sostenibilità a tutti gli attori.<br />
Riferimenti bibliografici<br />
CRPA 2012. Suinicoltura Italiana e Costi di Produzione. Opuscolo C.R.P.A. 2.68 –<br />
N. 3/2012.<br />
Interpig, 2010. 2009 Pig cost of production in selected countries. Agriculture and<br />
Horticulture Development Board 2010. BPEX, Stoneleigh Park, Kenilworth,<br />
Warwickshire CV8 2TL<br />
ISMEA. 2011. PIANO DI INTERVENTI PER IL SETTORE SUINICOLO. La<br />
filiera suina: elementi di sintesi. Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo<br />
152
153
154
Scheda informativa <strong>del</strong> progetto “SUQUALGEN”<br />
La morfologia e la fisiologia <strong>del</strong> suino, ovvero la sua base genetica, costituiscono un<br />
requisito di primaria importanza per ottenere prodotti di qualità, fra i quali il prosciutto<br />
DOP di San Daniele. Per consentire ai suini di esprimere le loro potenzialità produttive<br />
e per assicurare al consumatore la sicurezza dei prodotti è necessario abbinare<br />
un’alimentazione adeguata dal punto di vista nutritivo e igienico sanitario.<br />
Il suino “geneticamente friulano” nasce da uno studio fortemente voluto<br />
dall’amministrazione <strong>del</strong>la Regione Friuli Venezia Giulia e realizzato grazie alla<br />
collaborazione fra l’Associazione Regionale Allevatori <strong>del</strong> Friuli Venezia Giulia, i<br />
dipartimenti di Scienze Agrarie ed Ambientali e di Scienze degli Alimenti<br />
<strong>del</strong>l’Università di Udine, e il Consorzio per il prosciutto di San Daniele.<br />
Il tipo genetico impiegato per lo studio deriva da un incrocio di verri Duroc e di scrofe<br />
Large White italiani, nati, allevati e macellati in Friuli Venezia Giulia, alimentati con<br />
ingredienti derivati da colture locali. Le cosce e le carni sono lavorate negli stabilimenti<br />
friulani e nei prosciuttifici di San Daniele.<br />
Geneticamente Friulano, si riferisce pertanto a questo suino, che costituisce una forte<br />
integrazione di tutto il processo produttivo che inizia dal campo e finisce nella tavola<br />
<strong>del</strong> consumatore, un processo con una tracciabilità garantita dall’apposizione alla<br />
nascita di un microchip nella coscia, che permette di seguire ogni singola coscia fino<br />
alla vendita per il consumo.<br />
Il suino che origina dagli allevamenti che hanno aderito a questo sistema integrato ha<br />
accrescimenti giornalieri e rese di conversione <strong>del</strong> tutto comparabili con gli altri ibridi<br />
allevati in Regione e le scrofe sono caratterizzate da una buona fertilità, buon numero di<br />
nati vivi e da spiccate attitudini materne.<br />
155
Questo tipo genetico di suino, nato e allevato in Friuli Venezia Giulia, produce carcasse<br />
con carne di buona qualità per la trasformazione in salumi e si distingue per la coscia<br />
più pesante e corrispondente ai requisiti <strong>del</strong>la DOP Prosciutto di San Daniele. I diversi<br />
tagli di carne, grazie alla loro sapidità e alla apprezzabile marezzatura, sono indicati<br />
anche per il consumo diretto.<br />
Nel complesso, il suino geneticamente friulano presenta quindi dei tratti caratteristici<br />
che permettono una sua collocazione specifica nel mercato <strong>del</strong>le cosce suine di elevata<br />
qualità richieste dalla DOP prosciutto di San Daniele.<br />
Tappe principali <strong>del</strong> progetto: dalla scelta dei riproduttori al prodotto finale<br />
156
I parentali<br />
La razza Large White rappresenta la colonna portante per la produzione <strong>del</strong> suino<br />
pesante e per le sue caratteristiche è utilizzate come riproduttore in linea femminile.<br />
In linea maschile, sono impiegati verri terminali Duroc Italiani L.g. per migliorare la<br />
qualità <strong>del</strong>la carcassa, <strong>del</strong>la carne e <strong>del</strong>le cosce.<br />
I riproduttori sono scelti in base ai valori genetici forniti dall’ANAS (EBV) e valutati<br />
per la presenza di specifiche varianti alleliche <strong>del</strong> DNA (MAS o GAS), associate a<br />
caratteristiche qualitative apprezzate per la DOP Prosciutto di San Daniele e per<br />
prodotti trasformati. I dati genomici derivano dalla sequenza completa <strong>del</strong> genoma<br />
suino, realizzata dall’Università di Udine per la genetica oggetto di studio, e dal<br />
confronto di circa 60000 punti di variabilità <strong>del</strong> DNA dei suini ibridi Duroc X Large<br />
White con altri genotipi.<br />
Sequenza completa <strong>del</strong> DNA dei cromosomi <strong>del</strong><br />
suino ibrido Duroc X Large White con indicate in<br />
verde le regioni di variabilità (QTL) associate al<br />
grasso intramuscolare. I raggi in rosso si<br />
riferiscono alle mutazioni puntiformi osservate nel<br />
suino friulano rispetto al genoma suino di<br />
riferimento.<br />
157<br />
Variabilità <strong>del</strong>le frequenze alleliche <strong>del</strong><br />
DNA degli ibridi Duroc X Large White. I<br />
geni analizzati sono stati scelti per la loro<br />
rilevanza nel controllo dei processi<br />
fisiologici correlati con la qualità <strong>del</strong>la<br />
carcassa e <strong>del</strong>la coscia.<br />
0% 20% 40% 60% 80% 100%
L’allevamento <strong>del</strong>la scrofa<br />
La scrofa è caratterizzata da buoni indici riproduttivi, con spiccate attitudini materne e<br />
produzioni di latte in grado di soddisfare al meglio le esigenze <strong>del</strong>la nidiata. La gestione<br />
<strong>del</strong>la scrofaia risulta uno degli elementi più deboli <strong>del</strong> sistema riproduttivo e richiede<br />
una gestione attenta, anche agli aspetti sanitari. Per gli ibridi nati da incroci Duroc L.g.<br />
X Large White L.g., il peso ottimale allo svezzamento è di 7,2 kg a 28 giorni di vita.<br />
Parametro unità valore<br />
Parti/anno n 2,1<br />
Interventi/parto n 1,3<br />
Interparto g 160<br />
Media nati per parto n 12,5<br />
Mortalità perinatale % 12,8<br />
Svezzati per parto n 10,5<br />
Peso nidiata allo<br />
svezzamento kg 75,6<br />
Piani alimentari<br />
I programmi alimentari per i riproduttori condizionano la fertilità, la produzione di latte<br />
e, quindi, il numero di suinetti nati vivi, di svezzati e il loro peso. Le formulazioni per le<br />
scrofette, la gravidanza, le scrofe pluripare e per la lattazione sono diverse, in relazione<br />
alla cambiamento <strong>del</strong>le esigenze nutrizionali nel ciclo riproduttivo.<br />
L’allevamento <strong>del</strong>la scrofetta è il punto di partenza per consentire al futuro riproduttore<br />
di esprimere il repertorio fisiologico che deriva dalla sue caratteristiche genetiche.<br />
Dai 40 a 60 kg di peso vivo le scrofette sono alimentate ad libitum, mettendo a<br />
disposizione una razione ricca di energia e di proteina. Successivamente, da 60 kg di<br />
peso vivo a circa 2 settimane prima <strong>del</strong>l’inseminazione, le scrofette hanno<br />
un’alimentazione razionata e ricevono un mangime meno ricco di energia e proteina e in<br />
quantità crescenti da 2,6 a 2,9 kg/d in funzione <strong>del</strong> peso. Durante le 2 settimane preinseminazione,<br />
le scrofette ricevono la stessa dieta ad libitum, per eseguire la pratica <strong>del</strong><br />
“flushing”, con l’obiettivo di aumentare l’ovulazione e quindi la fecondità.<br />
158
Dall’inseminazione a 4 settimane di gravidanza, la somministrazione <strong>del</strong>la razione è di<br />
circa 2,2 kg/d e aumenta progressivamente fino a 3,0 kg/d a 16 settimane di gravidanza.<br />
Dopo la riduzione di ingestione che si osserva in concomitanza con il parto, alla scrofa<br />
in allattamento viene somministrato un mangime da lattazione per le prime 3 settimane<br />
in quantità crescente fino a 6 kg/d. Nel periodo da 4 a 10 settimane di lattazione, la<br />
quantità si mantiene costante.<br />
Scrofette<br />
60 kg pre-<br />
Gravidanza Lattazione<br />
40 – 60 kg inseminaz.<br />
Sett. 1-3 Sett. 4-10<br />
Energia digeribile kcal 3300 3150 3000-3100 3300 3300-3400<br />
Proteina greggia % 16.5 - 17.5 15 - 16 14 - 15 16.5 - 17.5 16.5 - 17.5<br />
Fibra greggia % 4 - 6 4 - 6 5 - 8 4 - 6 5 - 9<br />
Grassi greggi % 5 - 6 4 - 5 3 - 4 4 - 6 5 - 7<br />
Ceneri % 3 - 5 4 - 6 4 - 6 4 - 6 3 - 5<br />
Lisina % 1.05 0.87 0.70 0.97 1.00<br />
Met + cist % 0.58 0.49 0.38 0.58 0.60<br />
Triptofano % 0.19 0.16 0.13 0.20 0.20<br />
Treonina % 0.68 0.54 0.49 0.55 0.58<br />
Calcio % 0.7 – 0.8 0.7 – 0.8 0.8 – 0.9 0.9 - 1.1 0.9 - 1.1<br />
Fosforo disp. % 0.30 0.30 0.55 0.55 0.55<br />
L’alimentazione <strong>del</strong>la scrofa ha per obiettivo la copertura dei fabbisogni nutritivi che si<br />
modificano di continuo nel corso <strong>del</strong> ciclo riproduttivo. Le quantità di razioni<br />
somministrate devono essere modulate, in relazione alla fase <strong>del</strong> ciclo riproduttivo, per<br />
assicurare la copertura dei fabbisogni nutritivi e consentire alla scrofa di esprimere il<br />
potenziale produttivo.<br />
Prima <strong>del</strong>l’inseminazione le scrofe sono soggette a un periodo di restrizione alimentare<br />
di 5 giorni, seguito dal “flushing” per 14 giorni. Nel corso <strong>del</strong>la gravidanza, si<br />
somministra una quantità di razione variabile da 2,5 a 2,8 kg/d, in relazione alle<br />
condizioni corporee <strong>del</strong>la scrofa. Da 90 giorni di gravidanza al parto, la quantità di<br />
alimenti aumenta fino a 3,5 kg/d, per favorire l’accumulo di riserve energetiche. Nelle<br />
159
imminenze <strong>del</strong> parto, è consigliato ridurre drasticamente la quantità di alimento<br />
somministrato, fino a 1,5 – 2,0 kg/d, per agevolare il parto e non affaticare la scrofa con<br />
i processi digestivi, favorendo al contempo la prevalenza dei processi catabolici e un<br />
aumento <strong>del</strong>l’appetito. Successivamente, nel corso <strong>del</strong>la lattazione, le quantità<br />
aumentano velocemente da 6,8 a 7,5 kg/d, in relazione al numero di suinetti in<br />
allattamento.<br />
Consumi di mangime (88% di sostanza secca) durante il ciclo riproduttivo <strong>del</strong>la<br />
scrofa primipara Large White<br />
8<br />
6<br />
kg/d 4<br />
2<br />
0<br />
Consumi di mangime (88% di sostanza secca) durante il ciclo riproduttivo <strong>del</strong>la<br />
scrofa pluripara Large White<br />
8<br />
6<br />
kg/d<br />
4<br />
2<br />
0<br />
160
Tracciabilità <strong>del</strong> ciclo produttivo<br />
Alla nascita, i suini ibridi sono datati di microchip RDIF che permette una tracciabilità<br />
sicura e completa fino alla fine <strong>del</strong>la stagionatura nel prosciuttificio.<br />
I dati anagrafici e sanitari, di allevamento, di alimentazione, di macellazione e di<br />
stagionatura sono raccolti e trasmessi a un database remoto.<br />
Caratteristiche produttive <strong>del</strong>l’ibrido verro Duroc L.g. x Scrofa Large White L.g.<br />
Il lattone a 10 settimane ha un peso vivo di 26 kg e a fine ciclo di ingrasso (39 settimane<br />
di vita) con raggiunge un peso vivo medio di 168 kg, con un accrescimento medio di<br />
700 g/d.<br />
Per garantire una buona resa alimentare (media 30,8%, indice di conversione di 3,2 kg<br />
di alimento per kg di accrescimento), sfruttare con efficienza gli alimenti contenendo i<br />
161
costi di produzione è necessario utilizzare ingredienti di qualità, soddisfare le esigenze<br />
nutritive dei suini e adottare dei programmi alimentari in grado di seguire l’evoluzione<br />
<strong>del</strong>l’intensità e <strong>del</strong> ritmo di crescita dei suini.<br />
Prestazioni produttive in vita<br />
Peso a 10 settimane kg 26<br />
Peso a 39 settimane kg 168<br />
Accrescimento medio giornaliero g/d 700<br />
Resa alimentare % 30,8<br />
Indice conversione alimentare kg/kg 3,2<br />
Piano alimentare<br />
Le razioni sono formulate nel rispetto <strong>del</strong> disciplinare <strong>del</strong>la DOP Prosciutto San Daniele<br />
e ottimizzate per il tipo genetico utilizzato nel progetto.<br />
Formulazioni di razioni per i suini nelle fasi di allevamento<br />
Ingredienti Fase di allevamento<br />
Magrone Ingrasso Finissaggio<br />
Mais % 50 55 55<br />
Orzo % 24 22 19<br />
Crusca % 4 8 9<br />
Soia % 17 15 12<br />
Grasso % 1 - -<br />
Integratori % 4 4 5<br />
Totale % 100 100 100<br />
Nel corso <strong>del</strong> ciclo di allevamento, la quantità giornaliera di alimento viene<br />
commisurata al peso vivo e al ritmo di accrescimento, con l’obiettivo di modulare il<br />
ritmo di accrescimento e la deposizione di grasso in funzione <strong>del</strong>le esigenze <strong>del</strong><br />
prosciutto di San Daniele e degli stabilimenti di lavorazione <strong>del</strong>le carni per la<br />
trasformazione in insaccati.<br />
162
Il programma alimentare <strong>del</strong> suino pesante prevede la suddivisione in 3 fasi.<br />
Fase prima. Durante la fase di magronaggio, che va da 11 a circa 21 settimane di vita e<br />
fino a 80 kg di peso vivo, l’obiettivo è di favorire un regolare sviluppo <strong>del</strong> tessuto<br />
muscolare e osseo. La conversione degli alimenti in aumento di peso è molto elevata ed<br />
è importante massimizzare l’accrescimento, somministrando razioni adeguate per valore<br />
biologico <strong>del</strong>la proteina e con apporti di calcio, fosforo e altri minerali adeguati ai<br />
fabbisogni.<br />
Settimana di vita N 11 - 21 22 - 30 31 - 39<br />
Peso vivo Kg 30-80 80-125 125-170<br />
Quantità somministrata<br />
Mangime Kg/d 1,20 - 2,34 2,43 - 3,01 3,05 - 3,16<br />
Mangime e siero Kg/d 1,33 - 2,60 2,70 - 3,35 3,39 - 3,51<br />
Energia digeribile Kcal/kg 3150 - 3200 3150 - 3200 3100 - 3200<br />
Sostanza secca % 88 - 90 88 - 90 88 - 90<br />
Proteina greggia % 17,0 - 15,0 15,0 - 14,0 14,5 - 13,0<br />
Fibra greggia % 3,5 - 5,5 4,0 - 5,0 4,0 - 5,0<br />
Grassi greggi % 3,5 – 4,5 3,0 – 4,5 2,5 – 3,5<br />
Lisina % 0,91 0,80 0,75<br />
Metionina % 0,30 0,30 0,25<br />
Met + Cyst % 0,55 0,49 0,40<br />
Triptofano % 0,19 0,16 0,14<br />
Treonina % 0,68 0,58 0,50<br />
Ca % 0,75 0,65 0,65<br />
P disponibile % 0,30 0,21 0,21<br />
Fase seconda. Nella fase successiva di ingrasso, da 22 a 30 settimane quando il suino<br />
raggiunge un peso di circa 130 kg, l’obiettivo è di favorire lo sviluppo muscolare e un<br />
regolare deposito adiposo. L’ingestione di alimenti è più alta e l’efficienza <strong>del</strong>la resa in<br />
peso vivo diminuisce rispetto alla fase precedente di magronaggio. Le esigenze di<br />
proteina e di aminoacidi sono più basse ed è necessario evitare la somministrazione di<br />
ingredienti ricchi di oli vegetali che possono causare un grasso molle per eccesso di<br />
acidi grassi insaturi.<br />
Fase terza. Nella fase di finissaggio, che inizia dalla 31 settimana e prosegue fino al 9<br />
mese, si deve favorire la produzione carcasse commercialmente mature, con una buona<br />
copertura di grasso dorsale e <strong>del</strong>la coscia e caratterizzate da carni sode. La percentuale<br />
163
di proteina <strong>del</strong>la dieta è ulteriormente ridotta, fino anche al 12%, e l’ingestione di<br />
alimento mantenuta costante, in quanto il suino converte la dieta con bassa efficienza.<br />
Anche in questa fase è necessario evitare la somministrazione di ingredienti con oli<br />
vegetali ed è inoltre importante non ridurre eccessivamente l’ingestione di energia, in<br />
quanto si favorisce la sintesi di acidi grassi insaturi che comportano la formazione di un<br />
grasso molle.<br />
Evoluzione dei consumi di mangime (88% di sostanza secca) e di broda (mangime e<br />
siero, riportato sulla base di 88% di sostanza secca e con rapporto siero : mangime<br />
pari a 2,5:1)<br />
Benessere animale e qualità ambientale<br />
Le condizioni ambientali, la qualità <strong>del</strong>l’aria, la ventilazione e la densità di stabulazione<br />
sono controllate durante il ciclo di allevamento, per assicurare il benessere degli animali<br />
ed evitare situazioni di stress.<br />
Temperatura (°C)<br />
25<br />
20<br />
15<br />
10<br />
5<br />
0<br />
-5<br />
0 4 8 12<br />
Tempo (ore)<br />
16 20<br />
164<br />
Esterna<br />
All. A<br />
All. B
Caratteristiche <strong>del</strong>le carcasse e <strong>del</strong>le cosce <strong>del</strong>l’ibrido (Duroc x Large White)<br />
Le carcasse dei suini derivati dall’incrocio sono pesanti (classe H 98,5%) e la buona<br />
copertura di grasso (29,4 mm) permette di rientrare nelle classi URO <strong>del</strong>la griglia EU,<br />
con la prevalenza per la classe più centrale (57,3% R),la più apprezzata in assoluto per i<br />
prosciutti DOP. La coscia pesante, adatta anche per la stagionatura lunga, è molto adatta<br />
sia per la trasformazione in prosciutto di San Daniele sia per il prosciutto di Sauris. Il<br />
calo di prima salagione è contenuto (3,75 in media) e a fine di una stagionatura di 14<br />
mesi il peso medio <strong>del</strong>le cosce è superiore e 10 kg.<br />
La percentuale di non conformità al macello pari al 10,3 è molto più bassa <strong>del</strong>la media<br />
nazionale.<br />
Prestazioni al macello<br />
Pesco carcassa a caldo kg 141<br />
Tagli magri % 48,7<br />
Spessore grasso di copertura mm 29,4<br />
Peso coscia kg 17,1<br />
Peso coscia rifilata kg 14,9<br />
Peso coscia fine stagionatura kg 10,3<br />
Calo di prima salagione % 3,7<br />
Calo fine stagionatura % 30,8<br />
Carcasse H % 98,5<br />
Carcasse URO % 97,4<br />
Carcasse R % 57,3<br />
Cosce non conformi %/URO 10,3<br />
Cosce conformi totali %/carcasse 86,1<br />
165
Qualità <strong>del</strong>la materia prima <strong>del</strong>la coscia <strong>del</strong>l’ibrido (Duroc x Large White)<br />
I suini ibridi studiati nel progetto sono caratterizzati da una carne di colore regolare,<br />
saporita e con un buon contenuto di grasso intramuscolare, adatta per la trasformazione<br />
in salumi e prodotti trasformati.<br />
Il grasso, rispondente ai requisiti <strong>del</strong> disciplinare DOP Prosciutto di San Daniele per<br />
contenuto in acido linoleico (percentuale inferiore al 15% <strong>del</strong> totale), presenta<br />
un’elevata quantità di acidi grassi saturi (SFA), che conferiscono al grasso un colore<br />
bianco marmoreo e una compattezza molto apprezzata dal prosciuttificio e dal<br />
consumatore.<br />
Composizione chimica carne<br />
Umidità % 27,6<br />
Proteina % 23,1<br />
Grassi % 2,6<br />
Ceneri % 1,2<br />
Composizione in acidi grassi <strong>del</strong> grasso di copertura <strong>del</strong>la coscia<br />
C14:0 % 1,7<br />
C16:0 % 20,6<br />
C18:0 % 12,7<br />
C18:1c9 % 41,1<br />
C18:2 n6 % 13,7<br />
C18:3 n3 % 0,7<br />
SFA % 36,2<br />
MUFA % 47,9<br />
PUFA % 15,9<br />
166
Immagine rappresentativa dei prosciutti ottenuti dai suini allevati nel corso <strong>del</strong><br />
progetto. Si può notare l’aspetto l’uniformità <strong>del</strong>la componente muscolare e <strong>del</strong> grasso<br />
di contorno.<br />
Il prosciutto a fine stagionatura ha un buon profilo sensoriale che caratterizza il<br />
prodotto in particolare per la componente <strong>del</strong> grasso<br />
167
Finito di Stampare<br />
Nel mese di dicembre 2012<br />
Grafiche Filacorda – Udine<br />
168
Lavoro Finanziato dalla Regione Friuli Venezia Giulia<br />
ISBN: 978-88-902427-3-1