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Senza titolo-2 - aafvg associazione allevatori del friuli venezia giulia

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Quali cazione genetica <strong>del</strong> suino pesante per la<br />

valorizzazione <strong>del</strong>la carne fresca, dei prodotti DOP<br />

e trasformati <strong>del</strong> Friuli Venezia Giulia


Qualificazione genetica <strong>del</strong> suino pesante per la<br />

valorizzazione <strong>del</strong>la carne fresca, dei prodotti DOP<br />

e trasformati <strong>del</strong> Friuli Venezia Giulia<br />

Studio realizzato nell’ambito <strong>del</strong> progetto di Ricerca, Legge regionale n.<br />

30/2007, articolo 5, commi 23 e 24 “Qualificazione genetica dei suini<br />

finalizzata alla valorizzazione <strong>del</strong>le produzioni destinate alla DOP prosciutto di<br />

San Daniele <strong>del</strong> Friuli, alla DOP Gran Suino Padano, all’IGP Sauris, alle<br />

carni fresche ed agli insaccati ottenuti e riconosciuti col marchio AQUA <strong>del</strong>la<br />

Regione Friuli Venezia Giulia<br />

A cura di Bruno Stefanon<br />

Dicembre 2012<br />

1


Associazione Nazionale Allevatori Suini<br />

beanTech<br />

Partner <strong>del</strong> Progetto<br />

Associazione Allevatori <strong>del</strong> Friuli Venezia Giulia<br />

Consorzio <strong>del</strong> prosciutto di San Daniele<br />

Istituto Nord Est Qualità<br />

Università degli Studi di Udine<br />

3


Premessa<br />

Un’opportunità per la suinicoltura regionale<br />

La tradizione di allevamento <strong>del</strong> suino in Friuli Venezia Giulia è ormai radicata nel<br />

tempo e nello spazio: non a caso tra gli avvenimenti più significativi <strong>del</strong>l’attività<br />

zootecnica <strong>del</strong> Friuli riveste un posto di primo piano la macellazione <strong>del</strong> maiale, che<br />

tradizionalmente avviene tra novembre e febbraio, individuando simbolicamente l’inizio<br />

di tale pratica con la giornata <strong>del</strong> 30 novembre, giorno di Sant’Andrea (Sant’Andree il<br />

purcit su la bree). Un evento questo, che si ripete ogni anno, perpetuando un tipo di<br />

tradizione che rimane ben salda nel patrimonio culturale Friulano. Un patrimonio così<br />

importante che non soltanto va valorizzato, ma che va continuamente rinnovato ed<br />

innovato, guardando alla ricerca, allo studio e all’innovazione.<br />

E il progetto di qualificazione genetica <strong>del</strong> Suino Friulano (realizzato con la fattiva<br />

collaborazione <strong>del</strong>l’Associazione <strong>allevatori</strong>, con il contributo <strong>del</strong>l’Università di Udine,<br />

<strong>del</strong>l’Ineq e il sostegno <strong>del</strong>la Regione Fvg) è la dimostrazione che l'innovazione<br />

tecnologica e la ricerca in agricoltura sono strategici per riuscire ad affrontare al meglio<br />

le sfide che ci attendono nel futuro.<br />

Ci hanno lavorato in molti, e così dopo 5 anni il suino geneticamente friulano è una<br />

realtà concreta come dimostrano i successi ottenuti dai prosciutti crudi, dai salami, dagli<br />

affettati e dalle carni che questo animale produce.<br />

Grazie all'ambizioso disegno sperimentale sono stati, infatti, coinvolti tutti i settori <strong>del</strong>la<br />

filiera, dall'allevamento alla trasformazione <strong>del</strong>le carni, alla stagionatura dei prodotti<br />

ottenuti nell'ambito <strong>del</strong>la DOP San Daniele. Negli ultimi due anni sono state impiegate<br />

tecnologie e metodiche nuove, alcune <strong>del</strong>le quali sono poi state adottate a livello<br />

industriale, mentre altre stanno suscitando il forte interesse di enti e consorzi nazionali.<br />

Il tipo genetico impiegato per lo studio deriva da vari incroci di suini italiani, nati,<br />

allevati e macellati in Fvg, alimentati con ingredienti derivati da colture locali. Le cosce<br />

e le carni sono lavorate negli stabilimenti friulani e nei prosciuttifici di San Daniele.<br />

Geneticamente Friulano costituisce una forte integrazione di tutto il processo produttivo<br />

che inizia dal campo e finisce nella tavola <strong>del</strong> consumatore, un processo con una<br />

tracciabilità garantita dall’apposizione alla alla nascita nascita di un di microchip un microchip sotto controllo sotto controllo


nell’animale, che permette di seguire ogni singola coscia fino alla vendita per il<br />

consumo.<br />

La morfologia e la fisiologia <strong>del</strong> suino, ovvero la sua base genetica, costituiscono un<br />

requisito di primaria importanza per ottenere prodotti di qualità, fra i quali il prosciutto<br />

DOP di San Daniele. L’abbinamento poi di una alimentazione di qualità e tracciabile,<br />

consente di dare adeguata garanzie nutritive e igienico-sanitarie al consumatore finale.<br />

Questo tipo genetico di suino, nato e allevato in Friuli Venezia Giulia, produce carcasse<br />

con carne di buona qualità per la trasformazione in salumi e si distingue per la coscia<br />

più pesante e corrispondente ai requisiti <strong>del</strong>la DOP Prosciutto di San Daniele. I diversi<br />

tagli di carne, grazie alla loro sapidità e alla apprezzabile marezzatura, sono indicati<br />

anche per il consumo diretto.<br />

Ma il maiale non ha solo cosce, anzi. Nella tradizione agricola friulana è noto il detto<br />

dal purcit no si bute vie nuje, neancje la code. Da questo punto di vista la<br />

valorizzazione <strong>del</strong>la carne fresca e dei trasformati diventa importantissima per fornire<br />

ulteriori benefit agli <strong>allevatori</strong>, che purtroppo costituiscono sempre l’anello debole<br />

<strong>del</strong>l’intera filiera.<br />

Credo quindi che di questo tipo di ricerche potrà a pieno <strong>titolo</strong> beneficiare tutta la filiera<br />

<strong>del</strong> suino, dall'allevatore al macellatore al trasformatore e avere la possibilità di<br />

trasformare carni di suini nati e allevati interamente in Friuli Venezia Giulia può quindi<br />

rappresentare un valore aggiunto per l'intero settore. In questo senso, il Geneticamente<br />

Friulano e la certificazione di filiera diventano un punto fondamentale per guardare con<br />

attenzione al futuro anche nell’allevamento suinicolo..<br />

Claudio Violino<br />

Assessore regionale alle risorse<br />

rurali, agroalimentari e forestali


Ringraziamenti<br />

Azienda Agricola Armellin Sonia, San Giorgio <strong>del</strong>la Richinvelda (PN)<br />

Azienda Agricola Avoledo Giuliano, Spilimbergo (PN)<br />

Azienda Agricola Campagnole di Rizzi Sergio e Paolo, Prata di Pordenone (PN)<br />

Azienda Agricola Fioritto Jan, Mereto di Tomba (UD)<br />

Dr Fabrizio Napodano<br />

Salumificio F.lli Uanetto, Castions di Strada (UD)<br />

Salumificio La Vecje Salumerie, Rivignano (UD)<br />

Salumificio Larice Carni, Amaro (UD)<br />

Salumificio Pantarotto, San Vito al Tagliamento (PN)<br />

Salumificio Molinari Roberta, Zuglio (UD)<br />

Macello Gruppo Carni Friulane, Aviano (PN)<br />

Prosciuttificio Vecchio Sauris, Sauris (UD)<br />

Prosciuttificio L’Artigiana Prosciutti, San Daniele <strong>del</strong> Friuli (UD)<br />

Prosciuttificio Bagatto, San Daniele <strong>del</strong> Friuli (UD)<br />

Prosciuttificio Morgante, San Daniele <strong>del</strong> Friuli (UD)<br />

Prosciuttificio A&B, San Daniele <strong>del</strong> Friuli (UD)<br />

Prosciuttificio Principe, San Daniele <strong>del</strong> Friuli (UD)<br />

Prosciuttificio Testa & Molinaro, San Daniele <strong>del</strong> Friuli (UD)<br />

6


Indice<br />

1. Il comparto suinicolo in Europa e in Italia e le motivazioni <strong>del</strong><br />

progetto di qualificazione genetica <strong>del</strong>la Regione Friuli Venezia<br />

Giulia<br />

Carla Fabro, Bruno Stefanon, Piero Susmel<br />

2. Allevamento e qualità <strong>del</strong>le produzioni <strong>del</strong> suino<br />

Sandy Sgorlon, Denis Guiatti, Bruno Stefanon, Piero Susmel, Carla<br />

Fabro<br />

3. Risultati <strong>del</strong> progetto di qualificazione genetica <strong>del</strong> suino <strong>del</strong>la<br />

Regione Friuli Venezia Giulia<br />

Denis Guiatti, Bruno Stefanon, Sandy Sgorlon, Marco Bassi, Giovanni<br />

Ca<strong>del</strong><br />

4. La qualità <strong>del</strong>la carne, <strong>del</strong> salame e <strong>del</strong> prosciutto crudo<br />

Giuseppe Comi, Lucilla Iacumin<br />

5. Valutazione sensoriale e analitica <strong>del</strong>la DOP prosciutto di San<br />

Daniele<br />

Selenia Galanetto<br />

6. Strutture di allevamento, benessere animale ed impatto ambientale<br />

Francesco da Borso, Francesco Teri, Marco Mezzadri<br />

7. Prospettive per lo sviluppo di un sistema suinicolo Regionale<br />

Bruno Stefanon<br />

8. Scheda <strong>del</strong>l’allevamento <strong>del</strong> Suino Pesante 155<br />

7<br />

1<br />

13<br />

33<br />

63<br />

93<br />

111<br />

139


Il comparto suinicolo in Europa e in Italia e le motivazioni <strong>del</strong> progetto<br />

di qualificazione genetica <strong>del</strong>la Regione Friuli Venezia Giulia<br />

Introduzione<br />

Carla Fabro, Bruno Stefanon, Piero Susmel<br />

Dipartimento di Scienze Agrarie ed Ambientali – Università di Udine<br />

La gran parte <strong>del</strong>l’allevamento suinicolo in Italia ha come obiettivo principale la<br />

produzione di cosce e di carcasse per la trasformazione in prosciutti <strong>del</strong>le DOP e in<br />

prodotti da salumificio. Gli animali allevati per queste produzioni rappresentano<br />

un’unicità nel panorama internazionale <strong>del</strong>la suinicoltura, in quanto sono contraddistinti<br />

da un’età di macellazione e da una quantità di grasso superiore rispetto ai soggetti<br />

destinati alla produzione di carne fresca e destinata al consumo.<br />

Nella filiera suinicola italiana convivono due tipologie di animali. La prima comprende<br />

suini definiti leggeri e da destinare al consumo diretto; sono ibridi commerciali che<br />

vengono macellati fino a 100 – 110 kg di peso e possono essere assimilati alle tipologie<br />

allevate in altri Paesi. Sono animali caratterizzati da un elevato sviluppo <strong>del</strong>le masse<br />

muscolari e da limitati depositi di grasso. I secondi, definiti pesanti e utilizzati per la<br />

trasformazione in prosciutti e da salumificio, appartengono a razze pure o ibridi<br />

commerciali, sono allevati fino a un peso vivo finale medio di 160 kg, e producono<br />

lombi e costine adatti per macelleria, carni mature per insaccati, tagli idonei per le<br />

produzioni tipiche (coppa, pancetta) e cosce idonee per le DOP nazionali dei prosciutti.<br />

La situazione <strong>del</strong> comparto in Europa e in Italia<br />

Il numero di suini in Europa è di oltre 190 milioni di capi (FAOSTAT, 2011), di cui<br />

27,1 milioni in Germania, 26,1 in Spagna e 18,1 in Polonia (Figura 1).<br />

I dati <strong>del</strong>la Banca Dati Nazionale <strong>del</strong>l’anagrafe zootecnica (BDN, 2012) riportano alla<br />

data <strong>del</strong> 30 giugno 2012 un numero complessivo di allevamenti suini classificati come<br />

1


“non familiari” di 34497, corrispondenti a 8,7 milioni di suini allevati, di cui 726474 fra<br />

scrofe e scrofette, e circa 12000 verri (Figura 2).<br />

Figura 1. Principali produzioni suinicole in Europa<br />

13.7<br />

14.7<br />

11.6<br />

Primi 10 Paesi Europei con il maggiore numero di suini<br />

<br />

9.3<br />

15.9<br />

8.1<br />

Germania Spagna Polonia Federazione Russa Francia Danimarca Olanda Italia Ucraina<br />

La maggior parte degli allevamenti e dei suini è presente nelle Regioni ammesse alla<br />

produzione di suini per la produzione di cosce <strong>del</strong> circuito DOP (Piemonte, Lombardia,<br />

Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio e<br />

Abruzzo) e fra queste Lombardia, Piemonte e Emilia Romagna comprendono l’80% dei<br />

capi allevati (Tabella 1).<br />

Nel Friuli Venezia Giulia sono stati censiti oltre 1900 allevamenti, ivi compresi quelli<br />

rurali e a carattere familiare, per circa 229.000 capi allevati. Gli allevamenti classificati<br />

come non familiari sono 1020 e, di questi, 568 sono situati nella provincia di Udine,<br />

mentre nella provincia di Pordenone sono presenti la gran parte di suini all’ingrasso e,<br />

in particolare, di scrofaie (Figura 3).<br />

2<br />

27.1<br />

18.1<br />

26.1


Tabella 1. Consistenza degli allevamenti censiti non familiari e dei rispettivi capi suini<br />

allevati nel 2012 nelle Regioni ammesse dal disciplinare Prosciutto di Parma e di San<br />

Daniele e in Italia<br />

Allevamenti Suini Scrofe Verri<br />

Piemonte 1609 1159202 72877 877<br />

Lombardia 3395 4629377 357524 3617<br />

Veneto 2218 627782 52734 561<br />

Friuli Venezia Giulia 1020 254026 26274 196<br />

Emilia Romagna 1632 1161130 74055 1062<br />

Toscana 1522 118345 11139 654<br />

Umbria 909 197755 13005 351<br />

Marche 2152 88170 7475 230<br />

Lazio 909 28249 3511 253<br />

Abruzzo 908 53094 7581 336<br />

Totale DOP 16274 8317130 626175 8137<br />

Totale Italia 34497 8677222 726474 11716<br />

Gli allevamenti riconosciuti a fini <strong>del</strong>la DOP sono molto inferiori e, secondo una<br />

rilevazione <strong>del</strong> 2011, pari a 107, di cui 80 con solo ingrasso e 9 con solo la riproduzione<br />

(5 in provincia di Pordenone e 4 in provincia di Udine). Secondo le rilevazioni ufficiali<br />

<strong>del</strong>l’INEQ, il numero totale di partite controllate nel 2010 in Friuli Venezia Giulia sono<br />

state 2893 (3005 nel 2009), per un totale di 354977 suini certificati e macellati per la<br />

DOP San Daniele (373842 nel 2009). Il contributo degli allevamenti <strong>del</strong> Friuli Venezia<br />

Giulia alla DOP San Daniele è stato di 561797 cosce (su 677906 controllate, con una<br />

percentuale di cosce non conformi <strong>del</strong> 17,2%). Questi dati indicano una concentrazione<br />

<strong>del</strong>la suinicoltura in tre regioni <strong>del</strong> circuito tutelato (Lombardia, Emilia-Romagna e<br />

Piemonte) e <strong>del</strong>ineano una dimensione ridotta <strong>del</strong> sistema suinicolo friulano, a fronte<br />

<strong>del</strong>la presenza di produzioni DOP e IGP di rilevante importanza a livello nazionale ed<br />

internazionale.<br />

3


Figura 2. Consistenza degli allevamenti censiti non familiari e dei rispettivi capi suini<br />

allevati nel 2012 nelle Regioni italiane<br />

4


Figura 3. Distribuzione degli allevamenti e dei suini nelle provincie <strong>del</strong> Friuli Venezia<br />

Giulia nel 2012<br />

5


Criticità <strong>del</strong>le DOP<br />

I dati riportati da IPQ-INEQ per l’anno 2011 indicano un numero di suini certificati e<br />

macellati per le DOP pari a 7857836, corrispondenti a 12944125 di cosce avviate dai<br />

macelli alla lavorazione per le DOP, di cui 8313539 per la DOP Parma e 2497140 per la<br />

DOP San Daniele. Le verifiche di idoneità in macello e nello stabilimento di<br />

stagionatura determinano uno scarto di circa il 25%, con un aumento dei costi imposti al<br />

circuito, che ricadono spesso sugli <strong>allevatori</strong>. Le motivazioni di non conformità <strong>del</strong>la<br />

materia prima in ingresso negli stabilimenti di stagionatura sono diverse, anche se<br />

prevalgono quelle che riguardano la componente grassa, che inciderebbero fino al 20%<br />

in totale e per il 15,7% per la grassinatura (IPQ).<br />

L’elevata percentuale di non conformità <strong>del</strong>le cosce, in particolare per i difetti quali<br />

spessore <strong>del</strong> grasso, magroni, emorragie e reticolo venoso rappresentano quindi una<br />

<strong>del</strong>le principali criticità <strong>del</strong>l’allevamento suino per le DOP, alle quali vanno aggiunte<br />

quelle che riguardano la fase d’allevamento:<br />

- le variabilità dei tipi genetici allevati;<br />

- il raggiungimento precoce <strong>del</strong> peso vivo ammesso dal disciplinare;<br />

- la difformità di alimentazione e dei piani alimentari utilizzati;<br />

- i cali di peso <strong>del</strong>la coscia e <strong>del</strong>le carni per un eccesso di “drip losses”.<br />

La situazione degli allevamenti suinicoli <strong>del</strong> Friuli Venezia Giulia si è ulteriormente<br />

aggravata in seguito alla notifica e al richiamo di prescrizioni <strong>del</strong>la circolare unificata<br />

Istituto Parma Qualità (IPQ) e Istituto Nord Est Qualità (INEQ) n. 3/2008 <strong>del</strong> 8 aprile<br />

2008 (DG-3679.1) che prevede limitazioni sulla provenienza da altre regioni di cosce<br />

suine fresche da utilizzate nella lavorazione di alcune DOP.<br />

In base a questa circolare, i macelli ed i laboratori di sezionamento sono quindi tenuti,<br />

con decorrenza dal 1 luglio 2008 a una serie di limitazioni fra le quali riportiamo le<br />

principali:<br />

esclusione <strong>del</strong>le cosce fresche provenienti dal Friuli Venezia Giulia o recanti un<br />

tatuaggio che ne attesta una origine corrispondente alle partite destinate alla DOP<br />

“Parma”;<br />

divieto ai macelli e ai laboratori di sezionamento ubicati e riconosciuti nella regione<br />

Friuli Venezia Giulia di fornire cosce suine nel distretto <strong>del</strong>la DOP “Parma” (e<br />

6


“Modena”) e, quindi, di utilizzare il proprio timbro PP per cosce con la medesima<br />

destinazione;<br />

divieto per i prosciuttifici operanti nel distretto <strong>del</strong>la DOP “Parma” (sempre dal 1<br />

luglio 2008) di omologare ai fini <strong>del</strong>la DOP eventuali cosce fresche aventi origine o<br />

provenienza da allevamenti, macelli e laboratori di sezionamento ubicati nella<br />

Regione Friuli Venezia Giulia;<br />

impiego <strong>del</strong>le cosce ottenute da suini nati e allevati o macellati in Friuli Venezia<br />

Giulia solo nei distretti <strong>del</strong>le DOP “San Daniele”, “Veneto-BE” e “Toscano”; per le<br />

relative procedure di identificazione, selezione e conferimento sono in corso<br />

apposite separate istruzioni per il trattamento <strong>del</strong>le partite omogenee di suini<br />

provenienti dal Friuli Venezia Giulia o nati ovvero macellati nella regione.<br />

Nel 2011, la Direzione Generale <strong>del</strong> Controllo <strong>del</strong>la Qualità e Repressione Frodi <strong>del</strong><br />

MIPAAF ha autorizzato e reso esecutivo il programma di integrazione e di<br />

completamento <strong>del</strong> piano di controllo <strong>del</strong>le DOP, in base alle indicazione elaborate<br />

dall’Istituto Parma Qualità e dall’Istituto Nord Est Qualità per l’applicazione dei<br />

rispettivi disciplinari in materia di classificazione <strong>del</strong>le carcasse suine, resa<br />

definitivamente obbligatoria ai sensi <strong>del</strong>la legge n. 96 <strong>del</strong> 4 giugno 2010, articolo 27.<br />

La circolare unificata <strong>del</strong>l’Istituto Parma Qualità e <strong>del</strong>l’Istituto Nord Est Qualità n.<br />

7/2001 <strong>del</strong> 25 giugno 2011 ha reso quindi operativa l’applicazione dei requisiti di<br />

conformità <strong>del</strong>la classificazione <strong>del</strong>le carcasse suine, che prevede che a decorrere dal 1<br />

luglio 2011 i suini destinati al circuito <strong>del</strong>le DOP e <strong>del</strong>le IGP, devono avere un peso<br />

<strong>del</strong>la carcassa superiore a 110,1 kg (classi H, suino pesante), devono essere comprese<br />

nelle classi centrali di carnosità (U-R-O) <strong>del</strong>la classificazione europea e devono<br />

riportare il relativo timbro (Tabella 2). Inoltre, le cosce devono rispondere a dei requisiti<br />

di conformità, pena l’esclusione dalle DOP. La cause di non conformità sono riportate<br />

in tabella 3.<br />

La classificazione EUROP <strong>del</strong>le carcasse è realizzata con una strumentazione<br />

denominata FOM, acronimo di Fat-O-Meater, che consiste in una sonda <strong>del</strong> diametro 6<br />

mm contenente un fotodiodo Siemens SFH 960 e un foto rilevatore SFH 960, o con lo<br />

strumento l’HGP, acronimo di Hennessy Grading Probe, un apparecchio provvisto di<br />

una sonda <strong>del</strong> diametro di 5,95 mm (6,3 mm per quanto riguarda la lama all’estremità<br />

7


<strong>del</strong>la sonda) e contenente un fotodiodo (LED Siemens <strong>del</strong> tipo LYU 260-EO e un<br />

fotodetettore <strong>del</strong> tipo 58 MR).<br />

Tabella 2. Requisiti di conformità <strong>del</strong>le carcasse suine per le DOP riportati nella<br />

circolare unificata <strong>del</strong> 25 giugno 2011<br />

Tenore in carne magra > 55 > 50 < 55 > 45 < 50 > 40 < 45 < 40<br />

Classificazione europea<br />

Peso carcassa<br />

E U R O P<br />

< 110 kg NC NC NC NC NC<br />

> 110,1 kg NC C C C NC<br />

Le misure <strong>del</strong>lo spessore <strong>del</strong> lardo dorsale e <strong>del</strong> muscolo Longissimus Dorsi nel punto<br />

di inserzione <strong>del</strong>la sonda sono effettuate tra la terza e la quartultima costa a 8 cm<br />

lateralmente alla linea mediana <strong>del</strong>la carcassa. L’infissione <strong>del</strong>la sonda, in conseguenza<br />

di come la carcassa può ruotare o di come viene impugnato lo strumento, può<br />

determinare variazione degli spessori di lardo e di magro misurati. Il FOM utilizza le<br />

equazioni fornite dal MIPAAF col Decreto <strong>del</strong>l’11 luglio 2002 (“Modalità di<br />

applicazione <strong>del</strong>la tabella comunitaria di classificazione <strong>del</strong>le carcasse di suino per<br />

calcolare la percentuale di carne magra stimata <strong>del</strong>la carcassa”).<br />

Per il suino pesante (carcasse di peso compreso tra 110,1 e 155 kg):<br />

Y = 45,371951 - 0,221432 X1 + 0,055939X2 + 2,554674X3 ;<br />

Per il suino leggero (carcasse di peso compreso tra 70 e 110 kg)<br />

Y = 53,630814 - 0,436960 X1 + 0,043434X2 + 1,589929X3;<br />

dove:<br />

Y = percentuale stimata di carne magra <strong>del</strong>la carcassa;<br />

X1 = spessore in millimetri <strong>del</strong> lardo dorsale (compresa la cotenna), misurato tra la terza<br />

e la quart'ultima costa a 8 cm lateralmente alla linea mediana <strong>del</strong>la carcassa;<br />

X2 = spessore in millimetri <strong>del</strong> muscolo Longissimus Dorsi misurato nello stesso punto<br />

e nello stesso momento di X1;<br />

X3 = rapporto tra X2 e X1.<br />

8


Le applicazioni di quanto riportato nelle circolari unificate hanno spinto a definire un<br />

progetto per qualificare il prodotto mediante la definizione di caratteristiche genetiche<br />

dei suini adeguate alle produzioni DOP e a quelle locali e per la valorizzazione <strong>del</strong>la<br />

carne e dei salumi.<br />

Il Progetto Regionale<br />

La legge regionale 28 dicembre 2007, n. 30 (legge strumentale alla manovra di bilancio<br />

2008) indica al comma 23 <strong>del</strong>l’art. 1 un intervento che ”favorisce i processi di sviluppo<br />

e di miglioramento <strong>del</strong>le qualità lungo l’intera filiera e rafforza le garanzie per il<br />

consumatore”. Al comma 24, lettera b), è previsto un piano quinquennale di<br />

qualificazione genetica dei suini, affidato all’Associazione Allevatori <strong>del</strong> Friuli Venezia<br />

Giulia, in collaborazione con l’Università di Udine e d’intesa con il Consorzio <strong>del</strong><br />

Prosciutto di San Daniele.<br />

Il presente progetto di ricerca per la qualificazione genetica <strong>del</strong> settore suinicolo si pone<br />

come obiettivo primario la valorizzazione <strong>del</strong>la produzione suinicola destinata ai circuiti<br />

<strong>del</strong>le DOP, GSP Gran Suino Padano (carni fresche) e Prosciutto di San Daniele e<br />

<strong>del</strong>l’IGP Sauris e carni ed insaccati con marchio AQUA (prodotto trasformato).<br />

Il progetto, come indicato al comma 23 <strong>del</strong>la legge, è strutturato lungo l’intera filiera<br />

produttiva ed è attuato secondo un piano di attività che considera la base genetica,<br />

l’alimentazione, la macellazione, la qualità tecnologica ed igienico sanitaria e la<br />

tracciabilità dei prodotti stagionati o destinati al consumo come carni fresche.<br />

L’approccio di filiera rappresenta un importante aspetto <strong>del</strong> progetto, in quanto<br />

consentirà agli allevamenti, ai macelli ed alle industrie un aumento <strong>del</strong>l’efficienza<br />

produttiva dei suini e <strong>del</strong>la qualità <strong>del</strong>le carcasse, fattori in grado di incidere in maniera<br />

positiva sul reddito complessivo <strong>del</strong> sistema suinicolo.<br />

Considerata la dimensione <strong>del</strong> sistema suinicolo Regionale diventa strategico perseguire<br />

una politica di qualificazione <strong>del</strong>le produzioni locali abbinata ad un aumento <strong>del</strong>le<br />

dimensioni, in considerazione <strong>del</strong>l’obbligo di conferire ai prosciuttifici <strong>del</strong> circuito San<br />

Daniele cosce provenienti da suini allevati in Regione.<br />

9


Tabella 3. Codice ufficiale di inidoneità (CUI) Elenco <strong>del</strong>le cause di non conformità<br />

<strong>del</strong>le cosce (SNC025) e di quelle a carico <strong>del</strong>l’allevatore, come stabilito dagli istituti di<br />

controllo (Circolare ANAS <strong>del</strong> 06.10.2008)<br />

CUI Tipo di non conformità Responsabilità<br />

1.A Temperatura interna (-1°C + 4°C)<br />

1.B Peso unitario inferiore a 11 kg Allevatore<br />

1.C Coscia priva di zampino<br />

1.D Composizione <strong>del</strong>la partita inferiore a 50 unità di prosciutto<br />

2.A Presenza di sangue nei vasi principali<br />

2.B Microemorragie (esiti puntiformi variamente dimensionati e<br />

diffusi)<br />

2.C Reticolo venose superficiale esteso e marcato<br />

3.A Scarso grasso di copertura (convenzionalmente magroni) Allevatore<br />

3.B Scarsa consistenza di grasso Allevatore<br />

3.C Alterazioni cromatiche <strong>del</strong> grasso Allevatore<br />

3.D Eccessiva infiltrazione <strong>del</strong> grasso nella massa muscolare Allevatore<br />

(convenzionalmente “grassinatura”)<br />

3.E Assenza di grasso in corona Allevatore<br />

4.A Sfesature<br />

4.B Strappi (smagliatura tra i fasci muscolari)<br />

4.C Carne PSE – DFD Allevatore<br />

5.A Lesioni di origine traumatica<br />

5.B Presenza di cisti, verruche, irritazioni cutanee e sottocutanee,<br />

etc.<br />

5.C Ematomi<br />

6.A Scopertura eccessiva in corona<br />

6.B Noce mancante<br />

6.C Anchetta incrinata, mancante o sollevata<br />

6.D Rifilatura (presenza di carne in eccesso)<br />

6.E Parte muscolare scoperta<br />

6.F Asportazione di ampie porzioni <strong>del</strong>la cotenna<br />

6.G Presenza di setole<br />

7 Manca o indecifrabile il timbro PP<br />

8 Manca la DCM <strong>del</strong> macello<br />

9 Tatuaggio assente o irriconducibile<br />

10 Casi non previsti da specificare<br />

11 Apposizione <strong>del</strong> sigillo di omologazione oltre le 120 ore dalla<br />

macellazione<br />

12 Tatuaggi non conformi riscontrati<br />

13 Esiti non conformi <strong>del</strong>la classificazione <strong>del</strong>le carcasse<br />

14 Peso unitario superiore a kg 11 ma inferiore a kg 12<br />

10


Per tale motivo, lo strumento di ricerca e di sviluppo più idoneo è stato la stesura di un<br />

progetto, che ha interessato in fase di applicazione un numero limitato di aziende<br />

zootecniche, ma che ha l’obiettivo di mettere a disposizione a tutte le aziende <strong>del</strong> settore<br />

le conoscenze scientifiche e le acquisizioni tecniche operative.<br />

Le motivazioni <strong>del</strong>l’intervento pubblico, richiamate nella stessa legge regionale 28<br />

dicembre 2007, n. 30, risiedono nella necessità di garantire un aumento <strong>del</strong>la<br />

potenzialità produttiva <strong>del</strong> sistema suinicolo locale, fornendo agli <strong>allevatori</strong> e agli<br />

operatori <strong>del</strong> settore gli strumenti conoscitivi e tecnici per migliorare la qualificazione<br />

dei prodotti locali e la redditività <strong>del</strong>la filiera. Le misure intendono infatti incentivare il<br />

miglioramento <strong>del</strong>la qualità dei prodotti agricoli e si propongono di accrescere il valore<br />

<strong>del</strong>la produzione agricola, agevolando l’adattamento <strong>del</strong> settore alla domanda dei<br />

consumatori, sempre più esigenti in termini di qualità totale.<br />

Riferimenti bibliografici<br />

BDN, 2012. Dati forniti dalla Banca Dati Nazionale <strong>del</strong>l’Anagrafe Zootecnica<br />

istituita dal Ministero <strong>del</strong>la Salute presso il CSN <strong>del</strong>l’istituto “G. Caporale” di<br />

Teramo.<br />

FAOSTAT, 2011. http://faostat.fao.org/<br />

11


Allevamento e qualità <strong>del</strong>le produzioni <strong>del</strong> suino<br />

Sandy Sgorlon, Denis Guiatti, Bruno Stefanon, Carla Fabro, Piero Susmel<br />

Dipartimento di Scienze Agrarie ed Ambientali – Università di Udine<br />

Introduzione<br />

L’obiettivo tecnico economico <strong>del</strong>l’allevamento <strong>del</strong> suino è quello di promuoverne<br />

l’accrescimento, cioè l’aumento di peso vivo dalla nascita all’età adulta, e lo sviluppo,<br />

ovvero il cambiamento <strong>del</strong>la forma, <strong>del</strong>la conformazione e <strong>del</strong>la composizione<br />

<strong>del</strong>l’organismo che si può rilevare durante l’accrescimento. L’andamento tipico <strong>del</strong> peso<br />

vivo di maschi castrati e femmine in funzione <strong>del</strong>l’età, misurato in allevamento, è<br />

rappresentato in figura 1 e nella tabella 1, dove sono stati riportati i pesi e gli<br />

accrescimenti giornalieri ad età tipiche.<br />

Alla nascita, il suinetto dei tipi genetici idonei alla produzione <strong>del</strong> suino pesante pesa<br />

mediamente 1,2 kg e viene svezzato negli allevamenti intensivi all’età di 21-28 giorni,<br />

ad un peso compreso fra 6 e 8 kg. La numerosità <strong>del</strong>la nidiata incide negativamente sia<br />

sul peso individuale alla nascita sia su quello allo svezzamento, anche se il peso totale<br />

<strong>del</strong>la nidiata è spesso più elevato in quelle più numerose.<br />

In base alla terminologia zootecnica, durante l’allattamento il suinetto viene denominato<br />

“lattonzolo” (suinetto sotto scrofa) e diventa lattone dallo svezzamento (3-4 settimane di<br />

vita) al peso vivo di 25-30 kg (10-12 settimane di vita). Successivamente, l’animale<br />

allevato per l’accrescimento viene denominato magroncello fino a 50 kg di peso vivo,<br />

poi magrone, fino a circa 100 kg di peso vivo. L’ultima fase è quella <strong>del</strong> “grasso”, che<br />

va dai 100 kg alla macellazione, verso i 160/170 kg di peso vivo; questa fase viene<br />

anche distinta in un primo periodo di ingrasso, fino a 120-130 kg di peso vivo, e in un<br />

secondo periodo di finissaggio, per consentire un copertura di grasso adeguata a quella<br />

richiesta dai disciplinari <strong>del</strong>le DOP.<br />

Il tipo genetico, la disponibilità e il costo degli alimenti, la modalità e la tipologia <strong>del</strong>le<br />

strutture di allevamento e degli impianti di distribuzione <strong>del</strong>le razioni condizionano la<br />

13


velocità di accrescimento, la durata <strong>del</strong>le varie fasi, la qualità <strong>del</strong>la carcassa e quindi<br />

l’efficienza economica <strong>del</strong>l’allevamento.<br />

Figura 1. Andamento dei pesi vivi di maschi castrati e di femmine rilevati in<br />

allevamento<br />

Pesi vivi (kg)<br />

180<br />

150<br />

120<br />

90<br />

60<br />

30<br />

0<br />

0 50 100 150<br />

Età (giorni)<br />

200 250 300<br />

Tabella 1. Pesi vivi ad età tipiche di maschi castrati e di femmine rilevati in<br />

allevamento<br />

Fase<br />

Età<br />

giorni<br />

14<br />

Peso vivo<br />

kg<br />

Accrescimento<br />

kg/giorno<br />

Lattonzolo 30 11 0,35<br />

Lattone 80 32 0,43<br />

Magroncello 120 53 0,55<br />

Magrone 190 100 0,69<br />

Ingasso 230 133 0,83<br />

Finissaggio 270 170 0,94<br />

Alimentazione e fabbisogni nutrizionali<br />

L’alimentazione è uno dei fattori determinanti nell’allevamento <strong>del</strong> suino e il suo costo<br />

incide per circa il 62% su quello totale sia negli allevamenti a ciclo chiuso che in quelli


che attuano la sola fase di ingrasso (CRPA, 2012). Il razionamento e il piano alimentare<br />

devono essere tarati per soddisfare i fabbisogni nutritivi <strong>del</strong>le diverse linee genetiche e<br />

per garantire le performance produttive dei suini, considerando che le richieste di<br />

nutrienti si modificano nel corso <strong>del</strong>l’accrescimento e <strong>del</strong> finissaggio. Una corretta<br />

nutrizione, precision feeding, concorre inoltre in modo sostanziale allo stato di<br />

benessere e di salute degli animali, consentendo di ridurre l’impiego di farmaci e<br />

l’impatto ambientale derivante dalle immissione di azoto e di fosforo nelle acque e nel<br />

suolo e dalle emissioni di gas serra.<br />

I fabbisogni nutrizionali sono definiti in base alla crescita dei tessuti ed il recente<br />

sistema americano <strong>del</strong>l’NRC <strong>del</strong> 2012 prevede di considerare il contenuto dietetico di<br />

proteina ideale, la digeribilità ileale degli aminoacidi, e l’energia netta, modificando in<br />

parte i parametri presi in considerazione nell’edizione <strong>del</strong> 1988 e quelli proposti<br />

dall’INRA nel 1984, che si riferivano al contenuto di proteina grezza, di lisina ed altri<br />

aminoacidi, di energia digeribile e metabolizzabile.<br />

Per un’applicazione efficace dei piani di razionamento e di alimentazione, è necessario<br />

conoscere il potenziale di accrescimento <strong>del</strong> genotipo allevato e per questo è importante<br />

conoscere principalmente i seguenti parametri (Schinckel e de Lange, 1996):<br />

1. accrescimento proteico;<br />

2. ripartizione <strong>del</strong>l’energia ingerita fra proteina e grasso al di sopra dei fabbisogni<br />

di mantenimento;<br />

3. ingestione giornaliera di sostanza secca e di energia.<br />

Il principale limite all’individuazione <strong>del</strong> piano nutritivo nel corso <strong>del</strong>l’accrescimento è<br />

la mancanza di un metodo scientifico corretto per stimare questi parametri (Schinckel,<br />

1994a) e quindi determinare gli esiti economici.<br />

La deposizione di proteina determina i fabbisogni nutritivi per l’accrescimento, la<br />

composizione <strong>del</strong>l’incremento di peso vivo e la risposta <strong>del</strong>l’animale al piano<br />

alimentare e alle migliorie <strong>del</strong>la gestione <strong>del</strong>l’allevamento. In Figura 2 sono riportate le<br />

curve ottimali di deposizione di proteina di suini ad alto, medio e basso potenziale di<br />

crescita, dalle quali si può osservare come le differenze legate al genotipo diventino più<br />

elevate dopo i 90 kg di peso vivo. In linea generale, i genotipi caratterizzati da una<br />

maggiore deposizione di proteina fino a 90 kg continuano a mantenere una velocità di<br />

sintesi superiore anche dopo, rispetto ai suini con un potenziale di accrescimento<br />

15


inferiore. In ogni caso, per sviluppare il potenziale genetico di accrescimento, i suini<br />

devono essere alimentati con diete non limitanti dal punto di vista nutrizionale. Le diete<br />

carenti di proteina limitano l’accrescimento, ma se viene ristabilito un corretto livello<br />

proteico, entro certi limiti, si induce un accrescimento di tipo compensativo.<br />

Figura 2. Curve ottimali di deposizione di proteina per suini con genotipo ad alto,<br />

medio e basso potenziale di crescita.<br />

Deposizione proteica, g/d<br />

160<br />

140<br />

120<br />

100<br />

80<br />

60<br />

40<br />

20 40 60 80 100 120 140<br />

Peso vivo, kg<br />

Alto Medio Basso<br />

Fra i metodi per stimare la curva di deposizione proteica, i più immediati si basano sulla<br />

misura ecografica <strong>del</strong>lo spessore <strong>del</strong> grasso e <strong>del</strong>l’area <strong>del</strong> muscolo Longissimus dorsi<br />

in diversi momenti <strong>del</strong>l’accrescimento o sulla stima allometrica <strong>del</strong>la massa magra<br />

durante l’accrescimento (Schinckel et al., 2008). Tuttavia, queste equazioni sono state<br />

sviluppate per i suini leggeri e la loro capacità di previsione per i genotipi selezionati<br />

per la produzione <strong>del</strong>le DOP italiane richiede una validazione.<br />

Il secondo parametro richiesto per caratterizzare il genotipo è il criterio di ripartizione<br />

<strong>del</strong>l’energia ingerita tra la deposizione di tessuti proteici ed adiposi. In generale,<br />

all’aumentare <strong>del</strong>l’energia ingerita si osserva una risposta lineare <strong>del</strong>la proteina<br />

depositata fino ad arrivare a un plateau (Figura 3), che rappresenta il punto nel quale si<br />

realizza la massima deposizione proteica. Superato questo punto, l’energia ingerita<br />

16


viene utilizzata per la deposizione di grasso, con un conseguente cambiamento <strong>del</strong>la<br />

composizione <strong>del</strong>l’accrescimento. L’aumento <strong>del</strong>l’ingestione di energia nei suini con un<br />

potenziale di accrescimento magro più elevato comporta una deposizione proteica<br />

maggiore ed il rapporto fra l’accrescimento magro e l’ingestione di energia condiziona<br />

la ripartizione fra deposito di grasso e di proteina. Un’ingestione moderata di energia<br />

nell’intervallo di peso compreso fra 10 e 40 kg limita l’accrescimento corporeo, mentre<br />

un aumento di ingestione energetica in questo periodo rappresenta un ottimo strumento<br />

per ridurre l’indice di conversione alimentare, in quanto aumenta l’efficienza<br />

<strong>del</strong>l’utilizzo per l’accrescimento di massa magra.<br />

Figura 3. Relazione fra velocità di deposizione proteica e ingestione di energia in suini<br />

di 53 kg di peso vivo appartenenti a tre genotipi. La deposizione proteica massima è<br />

pari a 110, 150 e 150 g per i suini con una potenzialità genetica di accrescimento alta,<br />

media o bassa; il coefficiente angolare <strong>del</strong>le tre rette è rispettivamente pari a 21,3, 24,8<br />

e 28,3 g proteina/Mcal EM (energia metabolizzabile).<br />

Deposizione proteica, g/d<br />

160<br />

150<br />

140<br />

130<br />

120<br />

110<br />

100<br />

90<br />

80<br />

70<br />

60<br />

4 5 6 7 8 9 10<br />

Ingestione EM, Mcal/d<br />

Basso Medio Alto<br />

17


Nelle fasi successive si osserva una progressiva riduzione <strong>del</strong>l’efficienza di<br />

utilizzazione <strong>del</strong>l’energia per l’accrescimento. Fino a 70-90 kg di peso vivo, una<br />

restrizione energetica che non superi il 70-80% dei fabbisogni rappresenta un metodo<br />

per mantenere la conversione alimentare su livelli di convenienza. I genotipi<br />

caratterizzati da un alto potenziale di accrescimento proteico richiedono meno energia<br />

per raggiungere lo stesso peso vivo dei suini che depositano preferenzialmente grasso,<br />

ma al contempo, sono più sensibili alla restrizione energetica. Inoltre, la riduzione<br />

eccessiva <strong>del</strong>l’ingestione di energia nei genotipi magri comporta una diminuzione <strong>del</strong>la<br />

velocità di accrescimento, sia in termini assoluti che percentuali. Proseguendo con<br />

l’allevamento, si osserva un’ulteriore riduzione <strong>del</strong>l’accrescimento proteico e un<br />

deposito preferenziale di tessuto adiposo a partire dal peso di 110-120 kg.<br />

L’ingestione di energia condiziona in modo fondamentale l’intensità e la qualità<br />

<strong>del</strong>l’accrescimento <strong>del</strong> suino e deve essere commisurata al genotipo. Il costo energetico<br />

per la deposizione di proteina e di grasso ha un valore medio di 10,5 e 12,6 Mcal di<br />

energia metabolizzabile per kg, rispettivamente. Conoscendo quindi il potenziale di<br />

accrescimento di proteina e di grasso nei suini alimentati ad libitum ed i fabbisogni di<br />

mantenimento si può prevedere l’incremento ponderale in funzione <strong>del</strong>l’energia<br />

ingerita. In altri termini, le curve di ingestione di energia nel corso <strong>del</strong>l’allevamento <strong>del</strong><br />

suino all’ingrasso sono regolate dalla velocità di deposizione <strong>del</strong>la proteina e <strong>del</strong> grasso.<br />

Quando il costo <strong>del</strong>l’alimentazione ha un’alta incidenza sul costo totale di produzione e<br />

la qualità <strong>del</strong>la carcassa condiziona il prezzo <strong>del</strong> suino, l’efficienza di trasformazione in<br />

grasso e in proteina è più importante <strong>del</strong>la velocità di accrescimento. Le linee genetiche<br />

selezionate per un accrescimento magro e per un’elevata efficienza alimentare hanno<br />

sostanzialmente diminuito la capacità di ingestione e la variazione di questo parametro,<br />

rispetto ai genotipi con un prevalente deposito di grasso, può essere superiore al 30%<br />

(Schinckel, 1994b).<br />

I fattori ambientali e stressanti, quali malattie, densità di allevamento, confort termico e<br />

qualità <strong>del</strong>l’aria, incidono sull’efficienza produttiva dei suini, limitando il potenziale di<br />

accrescimento e di deposizione di proteina degli animali negli allevamenti commerciali,<br />

anche in condizioni di regime alimentare ad libitum e di diete ad alta densità energetica.<br />

Per questi motivi, si preferisce distinguere le “condizioni ottimali di accrescimento<br />

proteico” dalle “condizioni operative di accrescimento proteico”; le prime si riferiscono<br />

ai valori potenziali e le seconde a quelli che si ottengono negli allevamenti commerciali<br />

18


(Figura 4). In altri termini, le condizioni ambientali limitano in misura diversa il<br />

potenziale genetico degli animali e le curve di accrescimento proteico possono essere<br />

utilizzate per capire quanto incidano le condizioni operative <strong>del</strong>l’allevamento<br />

sull’estrinsecazione <strong>del</strong> potenziale di deposizione proteica. La conoscenza di questi<br />

parametri rappresenta uno strumento operativo di estremo interesse per l’allevatore, in<br />

quanto consente di valutare il rapporto costi/benefici degli interventi per il<br />

miglioramento <strong>del</strong>la gestione ambientale <strong>del</strong>l’allevamento.<br />

Figura 4. Curve di deposizione proteica in condizioni ottimali (Ideale) e in condizioni<br />

operative <strong>del</strong>l’allevamento di diversa qualità (Schinckel e de Lange, 1996).<br />

Accrescimento proteico, g/d<br />

160<br />

140<br />

120<br />

100<br />

80<br />

60<br />

40<br />

0 50 100<br />

Peso vivo, kg<br />

150 200<br />

Ideale Media Sotto Sopra<br />

Dal punto di vista alimentare, la composizione in aminoacidi <strong>del</strong>la proteina è un aspetto<br />

di fondamentale rilevanza per permettere al suino di esprimere il proprio potenziale di<br />

accrescimento. In un suino di 60 kg che ingerisce 300 g di proteina con la dieta, solo il<br />

29,5% <strong>del</strong>la proteina viene depositata nel muscolo, corrispondente a 88 g al giorno,<br />

mentre il 14,5% viene perso con le feci e oltre il 50% è escreto nelle urine (Figura 5).<br />

19


Se la composizione in aminoacidi <strong>del</strong>le proteine <strong>del</strong>la dieta si discosta da quella ideale<br />

per il suino, l’efficienza di sintesi muscolare diminuisce. La composizione in<br />

aminoacidi <strong>del</strong>la proteina ideale corrisponde esattamente ai fabbisogni <strong>del</strong>l’animale e ha<br />

un valore biologico pari al 100%.<br />

Figura 5. Utilizzazione digestiva e metabolica <strong>del</strong>la proteina ingerita nel suino a 60 kg<br />

di peso vivo (INRA, 1984)<br />

Proteina ingerita 100%<br />

Tubo digerente<br />

Assorbimento<br />

85.5%<br />

Proteina escreta<br />

con le feci 14.5%<br />

Deposito nel<br />

muscolo<br />

29.5%<br />

Intestino crasso<br />

Proteina ingerita 300g<br />

Tubo digerente<br />

Assorbimento<br />

256g<br />

Proteina escreta<br />

con le feci 43,5g<br />

Sintesi proteica 160%<br />

Deposito nel<br />

muscolo<br />

88g<br />

Muscolo 50%<br />

Sintesi proteica 478g<br />

Intestino crasso<br />

Muscolo 239g<br />

Riutilizzo AA alimentari e<br />

di turnover proteine<br />

corporee<br />

95%<br />

20<br />

Catabolismo 130%<br />

Riutilizzo AA alimentari e<br />

di turnover proteine<br />

corporee<br />

288g<br />

Ossidazione<br />

34.5%<br />

tFegato<br />

Proteina escreta in forma di urea<br />

con le urine 52%<br />

Catabolismo 390g<br />

Ossidazione<br />

102g<br />

tFegato<br />

Proteina escreta in forma di urea<br />

con le urine 156g<br />

Pelle<br />

setole<br />

2.5%<br />

Pelle<br />

setole<br />

8 g


Per questo motivo, spesso si ricorre all’integrazione <strong>del</strong>le diete dei suini con aminoacidi<br />

liberi, lisina e metionina in particolare, al fine di assicurare un valore biologico<br />

adeguato (Tabella 2). Nel corso <strong>del</strong>l’accrescimento, i fabbisogni di aminoacidi e<br />

l’efficienza <strong>del</strong>la sintesi proteica non si modificano di molto e la composizione <strong>del</strong>la<br />

proteina ideale rimane sufficientemente costante (Tabella 3).<br />

Tabella 2. Apporti ideali di aminoacidi nel suino in rapporto alla lisina per il<br />

mantenimento, l’accrescimento proteico e la produzione di latte (NRC, 1998)<br />

Aminoacido Mantenimento Accrescimento Produzione di latte<br />

Lisina 100 100 100<br />

Istidina 32 32 40<br />

Isoleucina 75 54 55<br />

Leucina 70 102 115<br />

Metionina + Cistina 123 55 45<br />

Fenilalanina + Tirosina 121 93 112<br />

Treonina 151 60 58<br />

Triptofano 26 18 18<br />

Valina 67 68 85<br />

Tabella 3. Composizione <strong>del</strong>la proteina ideale per il suino in accrescimento espressa in<br />

valori relativi alla lisina (Baker, 1997)<br />

Aminoacido 17 kg 35 kg 70 kg<br />

Lisina 100 100 100<br />

Metionina + Cistina 60 65 70<br />

Treonina 65 67 70<br />

Triptofano 21 21 22<br />

Isoleucina 60 60 60<br />

Leucina 100 100 100<br />

Valina 68 68 68<br />

21


Risulta pertanto importante da una parte controllare il valore biologico <strong>del</strong>la proteina<br />

alimentare e dall’altro adeguare le quantità distribuite in funzione <strong>del</strong>le esigenze per la<br />

sintesi di proteina muscolare.<br />

La macellazione e la qualità <strong>del</strong>la carne suina<br />

La qualità <strong>del</strong>la carne suina dipende da numerosi fattori legati all’allevamento, ma più<br />

degli altri, dalla gestione <strong>del</strong>l’animale prima <strong>del</strong>la macellazione e dalla tecnica di<br />

macellazione. Tuttavia, ci sono numerose evidenze scientifiche che indicano come<br />

l’alimentazione interagisca in modo considerevole con questi fattori e sia in grado di<br />

correggere o di peggiorare la qualità <strong>del</strong>la carne suina.<br />

Da un punto di vista tecnologico e organolettico la qualità <strong>del</strong>la carne suina si riferisce<br />

al pH, al colore, alla consistenza, alla marezzatura, alla shelf-life, all’appetibilità, al<br />

colore <strong>del</strong> grasso, alla composizione chimica, al valore nutrizionale ed alle<br />

caratteristiche igieniche e sanitarie e dipende in larga misura dal contenuto di grasso<br />

intramuscolare. Nel concetto di qualità per i consumatori, assumono importanza anche<br />

altri parametri, associati agli aspetti <strong>del</strong>l’allevamento connessi all’ambiente, al<br />

benessere animale e a considerazioni etiche. Di seguito riporteremo gli effetti<br />

<strong>del</strong>l’alimentazione sul metabolismo muscolare nel postmortem e quindi sulle<br />

caratteristiche tecnologiche, (pH, colore, capacità di ritenzione <strong>del</strong>l’acqua), sul<br />

contenuto di grasso intramuscolare e sulla composizione <strong>del</strong> grasso.<br />

Durante la fase di macellazione e raffreddamento <strong>del</strong>la carcassa, il metabolismo<br />

muscolare passa da aerobico ad anaerobico, con la produzione e l’accumulo di acido<br />

lattico. Nel caso di un eccesso di accumulo di acido lattico, il pH scende rapidamente in<br />

presenza di una temperatura <strong>del</strong>la carcassa ancora elevata, causando la denaturazione<br />

<strong>del</strong>le proteine muscolari e lo sviluppo <strong>del</strong> difetto PSE (Pale, Soft, Exudative). Il rapido<br />

declino <strong>del</strong> pH muscolare dipende da una predisposizione genetica (presenza di una<br />

mutazione <strong>del</strong> gene “alotano”, Ryanodine Receptor, RYR1), dallo stress premacellazione<br />

o da entrambi. Al contrario, quando le riserve muscolari di glicogeno sono<br />

ridotte, la produzione di acido lattico si riduce considerevolmente e il pH finale non<br />

scende al di sotto <strong>del</strong> valore 6,0, causando il difetto noto come DFD (Dark, Firm, Dry).<br />

Una ridotta quantità di riserve di glicogeno nel muscolo si osserva come combinazione<br />

22


di fattori stressanti e di un aumento <strong>del</strong> consumo di energia nell’animale a digiuno che<br />

si verifica nelle fasi che precedono la macellazione.<br />

Un ulteriore difetto su base genetica è quello causato da una mutazione <strong>del</strong> gene<br />

Rendement Napole (RN-), che comporta un’eccessiva concentrazione di glicogeno<br />

muscolare, con conseguente accumulo di acido lattico intramuscolare e valori finali di<br />

pH inferiori a 5,5. Il colore <strong>del</strong>le carni RSE (Red, Soft, Exudative) non risulta in genere<br />

alterato, e si osserva, invece, una diminuzione <strong>del</strong>la ritenzione idrica, a causa <strong>del</strong>la<br />

perdita di affinità <strong>del</strong>le proteine muscolari per l’acqua.<br />

La mancata somministrazione <strong>del</strong> pasto da 16 a 36 ore prima <strong>del</strong>la macellazione riduce<br />

la concentrazione di glicogeno nel muscolo Longissimus dorsi e mantiene un valore di<br />

pH iniziale e finale più elevato, comportando la produzione di una carne più scura e<br />

con maggiore capacità di ritenzione idrica (Sterten et al., 2009). Nei suini portatori <strong>del</strong><br />

gene RN-, l’efficacia <strong>del</strong>la sospensione <strong>del</strong>l’alimentazione anche per periodi di 60 ore<br />

prima <strong>del</strong>la macellazione non è in grado di modificare il glicogeno muscolare. Un<br />

digiuno inferiore a 16 ore non sembra avere degli effetti apprezzabili sulle riserve di<br />

glicogeno nel muscolo e sulla diminuzione <strong>del</strong> pH postmortem e sulla qualità <strong>del</strong>la<br />

carne.<br />

Lo stress pre-macellazione comporta quindi un utilizzo <strong>del</strong>le riserve di glicogeno ed è<br />

quindi probabile che il mantenimento di condizioni di benessere animale ottimale in<br />

questa fase possa interferire positivamente con la qualità <strong>del</strong>la carne. Una ricerca svolta<br />

da Guzik et al. (2006) ha evidenziato che la somministrazione di diete integrate con<br />

triptofano nei giorni precedenti la macellazione aumenta la produzione di serotonina e<br />

riduce il cortisolo ematico, i fenomeni di aggressività dei suini, il valore L* <strong>del</strong> colore<br />

<strong>del</strong>la carne e il fenomeno carne PSE (Adeola e Ball, 1992). Anche l’integrazione<br />

alimentare con magnesio (Mg) per alcuni giorni prima <strong>del</strong>la macellazione è in grado di<br />

ridurre la PSE ed aumentare il valore di ritenzione <strong>del</strong>l’acqua (Apple, 2007).<br />

Il grasso intramuscolare nella carne suina<br />

La componente probabilmente più rilevante per la percezione <strong>del</strong>la qualità <strong>del</strong>la carne<br />

da parte <strong>del</strong> consumatore è il contenuto di grasso intramuscolare (IMF), che dovrebbe<br />

raggiungere almeno il 2,5-3,0% (DeVol et al., 1988). Il contenuto di IMF da una parte<br />

migliora la qualità organolettica <strong>del</strong>la carne, ma contribuisce ad aumentare i fabbisogni<br />

23


ed a peggiorare l’indice di conversione. Per questo motivo molte linee genetiche di suini<br />

sono state progettate per avere contenuti di IMF più bassi.<br />

Nel caso <strong>del</strong> suino leggero per il consumo diretto <strong>del</strong>le carni fresche, la ridotta qualità<br />

organolettica causata da un basso contenuto di IMF può essere in parte compensata<br />

dalla modalità e dalla tecnica di cottura. Nel suino da salumificio, invece, un basso<br />

contenuto di grasso intramuscolare determina non solo un decadimento qualitativo degli<br />

insaccati, ma anche un peggioramento <strong>del</strong>la qualità tecnologica e <strong>del</strong> processo di<br />

lavorazione. Razze e linee genetiche di suini con un contenuto più elevato di grasso di<br />

marezzatura sono quindi da preferire nelle produzione <strong>del</strong> suino pesante, a patto che i<br />

maggiori costi di alimentazione trovino una compensazione economica e quindi i prezzi<br />

di vendita <strong>del</strong>la carcassa siano più alti.<br />

La qualità <strong>del</strong>la carne suina è influenzata da un gran numero di fattori e diversi studi<br />

hanno sottolineato quanto determinanti siano i fattori genetici (Sellier e Monin, 1994),<br />

rendendo consapevole l’industria che la selezione dei riproduttori e l'utilizzo <strong>del</strong>le<br />

nuove tecnologie genomiche possono giocare un ruolo rilevante nel migliorare la qualità<br />

<strong>del</strong>la carne suina (Tarrant, 1998) e la sostenibilità economica <strong>del</strong>l’allevamento.<br />

La variabilità genetica fra le razze ed entro le razze dei suini influenza sia i risultati<br />

produttivi e riproduttivi sia la qualità tecnologica e organolettica <strong>del</strong>la carne, <strong>del</strong> grasso<br />

e dei prodotti trasformati (Davoli e Braglia, 2007; Fan et al., 2011; Floris et al., 2004;<br />

Fontanesi et al., 2003; Lo Fiego et al., 2005; Stefanon et al., 2004), incidendo in modo<br />

consistente sulle variabili economiche <strong>del</strong> sistema suinicolo.<br />

La deposizione <strong>del</strong> grasso intramuscolare e <strong>del</strong> grasso dorsale non sono necessariamente<br />

correlati (Berg et al., 2003; Stefanon et al., 2004), come appare evidente dai dati<br />

riportati in figura 6, per razze di suini leggeri, e in figura 7, per ibridi di suini pesanti per<br />

la produzione <strong>del</strong>le DOP nazionali.<br />

Effetti significativi <strong>del</strong>la razza su alcune caratteristiche qualitative rilevanti come la<br />

capacità di ritenzione <strong>del</strong>l’acqua, il colore e la tenerezza sono stati riportati in studi<br />

precedenti (Monin et al., 1986; Sellier e Monin, 1994). Il contenuto di grasso<br />

intramuscolare influenza in modo rilevante la capacità di ritenzione <strong>del</strong>l’acqua <strong>del</strong>la<br />

carne (Figura 8), una caratteristica inversamente correlata alle perdite di sgocciolamento<br />

e che incide anche sulla trasformazione in salumi e sulla sapidità <strong>del</strong>le cosce a fine<br />

processo di stagionatura.<br />

24


Figura 6. Quantità di grasso intramuscolare <strong>del</strong> Longissimus dorsi (IMF, %) e spessore<br />

<strong>del</strong> grasso dorsale (BF, cm) di suini di peso vivo di 100 kg appartenenti a razze diverse<br />

(Berg et al., 2003)<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

3.5<br />

2.5<br />

1.5<br />

0.5<br />

Berkshire Chester White Duroc Landrace Poland China<br />

IMF BF<br />

Figura 7. Quantità di grasso intramuscolare <strong>del</strong> Vastus lateralis e <strong>del</strong> Biceps femoris<br />

(%) e spessore <strong>del</strong> grasso dorsale (cm) di suini pesanti (peso vivo > 160 kg)<br />

appartenenti a ibridi diversi ammessi per la produzione <strong>del</strong>la DOP Prosciutto di San<br />

Daniele (Stefanon et al., 2004)<br />

<br />

<br />

25


Figura 8. Relazione fra quantità di grasso intramuscolare <strong>del</strong> Longissimus dorsi (%) e<br />

capacità di ritenzione idrica (WHC, Water Holding Capacity, %) di suini leggeri (peso<br />

vivo 100 kg) appartenenti a diverse razze (Berg et al., 2003)<br />

WHC, unità<br />

0.10<br />

0.08<br />

0.06<br />

0.04<br />

0.02<br />

1.5 2.0 2.5<br />

IMF, %<br />

3.0 3.5<br />

L’alimentazione e i piani alimentari sono l’altra componente in grado di modificare il<br />

contenuto di IMF nella carne suina. Alcune ricerche hanno evidenziato che una strategia<br />

efficace per aumentare il contenuto di grasso intramuscolare nella carne è costituita<br />

dalla riduzione <strong>del</strong>la concentrazione di proteina grezza e di aminoacidi nella dieta.<br />

In tabella 4 sono riportati i risultati ottenuti da alcuni autori su suini allevati fino a un<br />

peso finale compreso fra i 90 e i 110 kg e su razze e genetiche per la produzione di suini<br />

leggeri da macelleria o per consumo diretto. Le percentuali di incremento <strong>del</strong> grasso<br />

intramuscolare causate dalla riduzione <strong>del</strong> contenuto proteico sono variate dal 14% al<br />

176% e quelle legate alla riduzione <strong>del</strong>la lisina dal 67% al 137%. La figura 9, che si<br />

riferisce ai risultati presentati in tabella 4, indica inoltre una linearità (P < 0,05) di<br />

risposta fra le due variabili, con un coefficiente di determinazione (r 2 ) più alto per la<br />

proteina rispetto alla lisina.<br />

La possibilità di agire sulla concentrazione proteica <strong>del</strong>la dieta <strong>del</strong> suino deve essere<br />

valutata attentamente, in quanto una sua riduzione anticipata limita l’accrescimento con<br />

conseguente aumento <strong>del</strong>l’indice di conversione alimentare. Per tale motivo, nel suino<br />

leggero, si suggerisce di non attuare la riduzione proteica alimentare per più di 5-6<br />

settimane e solo alla fine <strong>del</strong> ciclo di ingrasso. I risultati degli studi effettuati per suini<br />

26


pesanti hanno confermato i dati ottenuti per i suini leggeri anche nel caso di una<br />

riduzione <strong>del</strong> contenuto proteico <strong>del</strong>la dieta protratta per un tempo di 8-10 settimane.<br />

La riduzione di energia e di alimento ingerito non ha effetti sul pH muscolare (Lebret et<br />

al., 2001) e sul colore <strong>del</strong>la carne fresca di suino (Sterten et al., 2009), ma può<br />

comportare una diminuzione <strong>del</strong> contenuto di grasso intramuscolare fino al 25% (Lebret<br />

et al., 2001) anche nei suini pesanti (Daza et al., 2007) qualora la restrizione alimentare<br />

sia portata al 75-80% <strong>del</strong>l’ingestione ad libitum. La riduzione di energia alla fine <strong>del</strong><br />

ciclo di ingrasso influisce considerevolmente sulla composizione <strong>del</strong> grasso di deposito<br />

corporeo.<br />

Tabella 4. Effetto <strong>del</strong>la concentrazione di proteina grezza e di lisina <strong>del</strong>la dieta sulla<br />

variazione percentuale di grasso intramuscolare, IMF (adattato da Apple, University<br />

of Arkansas, USA)<br />

CP Lisina Variazione<br />

Controllo Ridotta Controllo Ridotta IMF %<br />

Cameron et al., 1999 26.2 15.7 1.57 0.56 136.8<br />

Goerl et al., 1995 25.0 10.0 - - 176.5<br />

Teye et al., 2006 21.0 18.0 - - 64.7<br />

Blanchard et al., 1999 20.5 16.6 1.05 0.70 100.0<br />

Wood et al., 2004 20.0 16.0 1.14 0.68 13.4<br />

Essen-Gustavsson et al., 1994 18.5 13.1 0.96 0.64 66.7<br />

Castell et al., 1994 17.6 11.9 0.81 0.48 150.0<br />

Kerr et al., 1995 16.0 12.0 0.82 0.55 103.6<br />

Cisneros et al., 1996 14.0 10.0 0.56 0.40 50.0<br />

Bidner et al., 2004 - - 0.64 0.48 25.7<br />

27


Figura 9. Regressioni fra la variazione di proteina grezza o <strong>del</strong>la lisina nella dieta<br />

(D=Ridotta/Controllo, %) e la variazione di grasso intramuscolare nella carne (IMF,<br />

D=Ridotta/Controllo, %). I dati sono riportati in tabella 3<br />

200<br />

150<br />

D IMF, % 100<br />

50<br />

200<br />

150<br />

D IMF, % 100<br />

y = -2.85x + 295.7<br />

R² = 0.557<br />

0<br />

25 50 75 100<br />

D Proteina grezza, %<br />

50<br />

Considerazioni conclusive<br />

28<br />

y = -2.30x + 225.2<br />

R² = 0.312<br />

0<br />

25 50 75 100<br />

D Lisina, %<br />

L’analisi degli studi e <strong>del</strong>le ricerche realizzate per valutare l’effetto <strong>del</strong>l’alimentazione<br />

sulle prestazioni produttive dei suini leggeri e sulla qualità <strong>del</strong>la loro carne sottolinea la<br />

forte interazione esistente con la componente genetica degli animali. Le informazioni<br />

pubblicate sull’allevamento <strong>del</strong> suino pesante per i circuiti <strong>del</strong>le DOP italiane non sono


molto numerose e, pur confermando le indicazioni ottenute per i suini leggeri,<br />

necessitano di essere ampliate mediante studi mirati.<br />

Il contenuto di grasso intramuscolare e il contenimento degli apporti proteici con<br />

l’alimento sono gli aspetti di maggiore interesse per la suinicoltura italiana e regionale e<br />

rappresentano i principali obiettivi al fine di consentire la valorizzazione <strong>del</strong>le carni per<br />

la trasformazione in insaccati e per salvaguardare l’ambiente, riducendo le emissioni di<br />

azoto.<br />

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31


Risultati <strong>del</strong> progetto di qualificazione genetica <strong>del</strong> suino <strong>del</strong>la Regione<br />

Friuli Venezia Giulia<br />

Denis Guiatti, Bruno Stefanon, Sandy Sgorlon<br />

Dipartimento di Scienze Agrarie ed Ambientali – Università di Udine<br />

Marco Bassi, Giovanni Ca<strong>del</strong><br />

Associazione Allevatori <strong>del</strong> Friuli Venezia Giulia<br />

Le razze suine e gli ibridi utilizzati per la produzione <strong>del</strong>le DOP<br />

La selezione di linee genetiche di suini con caratteristiche fenotipiche adeguate alle<br />

esigenze dalle produzioni <strong>del</strong>le DOP e IGP ha il duplice obiettivo di migliorare le<br />

prestazioni produttive degli animali in vita e la qualità <strong>del</strong>la carcassa per la produzione<br />

di carni e insaccati, da valorizzare anche nell’ambito di marchi di qualità, come<br />

l’AQUA.<br />

La produzione <strong>del</strong> suino pesante da salumificio e per le DOP <strong>del</strong> prosciutto crudo<br />

richiede animali non solo dotati di un grado di copertura di grasso sottocutaneo<br />

adeguato agli standard dei disciplinari, ma anche di carni con un buon contenuto di<br />

grasso intramuscolare, in grado di consentire la trasformazione in salumi e di assicurare<br />

la sapidità <strong>del</strong>le cosce a fine processo di stagionatura.<br />

L’importanza <strong>del</strong> grasso, inoltre, è legata anche alla composizione in acidi grassi e, in<br />

particolare, la presenza di percentuali eccessive di acidi grassi insaturi comporta una<br />

riduzione <strong>del</strong> valore <strong>del</strong>le carni, fino a portare all’esclusione <strong>del</strong>le cosce per la<br />

produzione di prosciutti DOP.<br />

Nel 1990 furono emanate le nuove leggi di tutela dei prosciutti di Parma e San Daniele<br />

che prevedevano per la prima volta l’origine nazionale <strong>del</strong>la materia prima, e nel 1992<br />

venne emanato il Regolamento europeo 2081/92 che istituì le denominazioni di origine<br />

(DOP e IGP). Si trattava di norme che finalmente consentivano di legare la produzione<br />

33


agricola locale al prodotto finito, rendendo realisticamente possibili gli investimenti<br />

nella specializzazione <strong>del</strong>le produzioni agricole. In tal senso, i selezionatori italiani di<br />

suini avevano precorso i tempi, scommettendo sulla differenziazione qualitativa <strong>del</strong><br />

prodotto con qualche anno di anticipo.<br />

Il processo selettivo è gestito prevalentemente dall’Associazione Nazionale Allevatori<br />

Suini (ANAS), in collaborazione con le associazioni degli <strong>allevatori</strong> e l’Associazione<br />

Italiana Allevatori (AIA), anche attraverso le Associazioni Provinciali Allevatori<br />

(APA), o le Associazioni Regionali (ARA) e può in sintesi essere ricondotto a quattro<br />

principali punti:<br />

definizione degli obiettivi di selezione in termini di risultati da raggiungere e di<br />

conseguenza di variabili produttive (espressione di caratteri fenotipici) da rilevare<br />

sugli animali, insieme alle condizioni ambientali e ai dati genealogici;<br />

raccolta dei dati fenotipici organizzati mediante controlli funzionali di tipo<br />

oggettivo, cioè vere e proprie misurazioni <strong>del</strong> carattere con l’impiego di uno<br />

strumento di misurazione o di valutazioni soggettive, cioè stime di un carattere<br />

effettuate con un giudizio di merito da un operatore che esprime i risultati secondo<br />

una scala di valori (in questo caso l’operatore esercita sempre un’influenza notevole<br />

sui risultati ottenuti). In generale si preferisce utilizzare la misurazione oggettiva per<br />

i caratteri più importanti, quali ICA (Indice di Conversione Alimentare), IMG<br />

(Incremento Medio Giornaliero), GIV (Grasso Intramuscolare Visibile), tagli magri,<br />

calo di salatura, intervallo parto concepimento, numero nati;<br />

elaborazione dai dati fenotipici di un indicatore <strong>del</strong> merito genetico di ogni singolo<br />

animale rilevato (indici genetici o EBV, Estimated Breeding Values), in modo da<br />

poter individuare tra i soggetti potenzialmente candidati come riproduttori, quelli<br />

realmente superiori sotto il profilo genetico. È possibile stimare il valore genetico di<br />

un animale per un carattere quantitativo sulla base <strong>del</strong> fenotipo <strong>del</strong>l’animale stesso e<br />

dei suoi parenti;<br />

utilizzo degli animali di riconosciuta superiorità genetica nell’attività di<br />

riproduzione, seguendo uno specifico schema selettivo che garantisca la massima<br />

velocità nel raggiungere gli obiettivi di selezione definiti.<br />

Il nuovo schema di selezione è stato attivato nel settembre <strong>del</strong> 1990 e riguarda le razze<br />

Large White Italiana, Landrace Italiana e Duroc Italiana, le uniche ritenute idonee per la<br />

34


produzione <strong>del</strong> suino pesante destinato a fornire cosce per la produzione dei prosciutti<br />

italiani a denominazione di origine protetta.<br />

Possono essere, infatti, utilizzati suini:<br />

a) <strong>del</strong>le razze tradizionali Large White Italiana e Landrace Italiana, così come<br />

migliorate dal Libro Genealogico Italiano, o figli di verri <strong>del</strong>le stesse razze;<br />

b) figli di verri di razza Duroc Italiana, così come migliorata dal Libro Genealogico<br />

Italiano;<br />

c) figli di verri di altre razze ovvero di verri ibridi purché, provengano da schemi di<br />

selezione o incrocio attuati con finalità e obiettivi compatibili con quelli <strong>del</strong><br />

Libro Genealogico Italiano per la produzione <strong>del</strong> suino pesante.<br />

Non sono ammessi:<br />

a) animali in purezza <strong>del</strong>le razze Landrace Belga, Hampshire, Pietrain, Duroc e<br />

Spotted Poland;<br />

b) suini portatori di caratteri antitetici, con particolare riferimento al gene<br />

responsabile <strong>del</strong>la sensibilità agli stress (PSS);<br />

c) tipi genetici ed animali con caratteri ritenuti non conformi a quelli previsti dal<br />

presente disciplinare di produzione.<br />

L’allevamento che dispone dei verri deve detenere ed esibire, a richiesta degli incaricati<br />

<strong>del</strong> controllo, i documenti previsti dalla legge per i riproduttori maschi di razza pura o<br />

ibridi, italiani od esteri. Detti documenti riportano l'indicazione <strong>del</strong>la razza o <strong>del</strong><br />

Registro cui appartengono i verri.<br />

I suini allevati e destinati alle produzioni DOP San Daniele <strong>del</strong> Friuli, DOP Gran Suino<br />

Padano, analogamente a quanto accade a livello nazionale per le altre DOP,<br />

appartengono quindi alle linee genetiche previste nei rispettivi disciplinari.<br />

Nell’allevamento <strong>del</strong> suino pesante in Italia possono essere anche utilizzati ibridi<br />

commerciali non specificatamente selezionati per la produzione di suini pesanti, ma<br />

devono essere alimentati e allevati conformemente ai requisiti <strong>del</strong>le DOP. Le risposte<br />

produttive di questi incroci commerciali non sono sempre adeguate alle esigenze <strong>del</strong>le<br />

DOP e comportano spesso una disomogeneità <strong>del</strong>le carcasse e una non conformità <strong>del</strong>le<br />

cosce, che può causare elevati resi di prodotto ai macelli, con percentuali che possono<br />

superare di molto il 20%. I controlli dei pesi <strong>del</strong>le carcasse alla macellazione e la<br />

verifica <strong>del</strong>la conformità <strong>del</strong>le cosce permettono all’INEQ di aggiornare gli elenchi<br />

35


<strong>del</strong>le linee genetiche di suini non ammessi alla produzione <strong>del</strong> Prosciutto di San<br />

Daniele.<br />

La variabilità <strong>del</strong>le carcasse e, specialmente, <strong>del</strong>le cosce rispetto alle esigenze <strong>del</strong>le<br />

industrie di trasformazione rappresenta un problema di rilievo per la suinicoltura e<br />

dipende da un insieme di fattori, fra i quali la componente genetica gioca un ruolo<br />

determinante (Edwards et al., 1992; Guiatti et al., 2009).<br />

Una ricerca sulla base genetica degli animali per produrre suini pesanti di qualità<br />

ottimale per le produzioni <strong>del</strong>le DOP e IGP e con un’elevata uniformità <strong>del</strong>le carcasse è<br />

quindi di fondamentale importanza per aumentare la competitività <strong>del</strong> sistema suinicolo<br />

Regionale, specialmente qualora consenta anche la caratterizzazione e la<br />

differenziazione <strong>del</strong>le linee genetiche e valorizzi il sistema produttivo territoriale. La<br />

ricerca sulla base genetica dei suini deve essere anche mirata all’ottenimento di carcasse<br />

con caratteristiche quali grado di marezzatura, rese in tagli commerciali, percentuale di<br />

tagli magri, adeguate alla produzione di carni ed insaccati di qualità (Guiatti et al.,<br />

2011).<br />

La scelta dei parentali<br />

La razza Large White<br />

La razza Large White, chiamata anche con il nome di Yorkshire, è una <strong>del</strong>le razze più<br />

conosciute e apprezzate a livello mondiale e rappresenta un riferimento per la<br />

produzione <strong>del</strong> suino pesante, venendo preferita come riproduttore in linea femminile.<br />

Questa razza è originaria <strong>del</strong>l'Inghilterra e la sua formazione iniziò nel XVIII secolo,<br />

attraverso una lunga opera di meticciamento e selezione, e si concluse nel 1860 con la<br />

fissazione dei caratteri e con il suo riconoscimento. La Large White fu subito apprezzata<br />

per le sue spiccate doti di precocità, prolificità, grande mole, notevole attitudine alla<br />

produzione di carne, scheletro relativamente ridotto ed elevate rese di macellazione. La<br />

lunga attività selettiva operata dai suinicoltori italiani su questa razza, attualmente la più<br />

numerosa nel nostro Paese, ha determinato la formazione di un ceppo italiano di grande<br />

mole adatto per l'allevamento <strong>del</strong> suino pesante e per la produzione dei prosciutti <strong>del</strong>le<br />

DOP.<br />

La Large White italiana è caratterizzata da elevata prolificità, con oltre 15 suinetti nati<br />

vivi e oltre due parti all'anno; le scrofe posseggono ottima indole materna e una elevata<br />

produzione di latte, che consente loro di portare fino allo svezzamento nidiate numerose<br />

36


(ANAS, 2011). La Large White viene allevata in allevamenti intensivi, che utilizzano<br />

strutture di stabulazione con pavimenti in cemento e prevedono un peso di macellazione<br />

elevato. Le condizioni di allevamento richiedono quindi animali dotati di arti molto forti<br />

e resistenti, caratterizzati da un’elevata velocità di accrescimento a tutte le età e da<br />

un'ottima capacità di trasformazione degli alimenti, con alte rese di macellazione, in<br />

grado di fornire prosciutti ben conformati e con una carne con un giusto rapporto tra<br />

parte grassa e magra.<br />

La razza Duroc<br />

I verri di razza Duroc sono utilizzati per migliorare le prestazioni produttive in vita, la<br />

qualità <strong>del</strong>la carcassa e <strong>del</strong>la carne e per ridurre la non conformità <strong>del</strong>le cosce. La razza<br />

Duroc è infatti conosciuta per una maggiore succosità e tenerezza <strong>del</strong>la carne in<br />

confronto alle razze definite “bianche” (Hviid et al., 2002). Inoltre, la più elevata<br />

concentrazione di fibre rosse ossidative che contengono più lipidi è spesso associata ad<br />

una migliore qualità percepita dal consumatore (Wood e Camerson, 1994).<br />

La razza Duroc è stata costituita circa un secolo fa negli Stati Uniti, ma le sue origini<br />

non sono <strong>del</strong> tutto chiare. In Italia il Duroc ha trovato un crescente apprezzamento negli<br />

ultimi decenni per il suo impiego per la produzione di meticci destinati al circuito <strong>del</strong><br />

suino pesante italiano ed è la terza razza in Italia per importanza, preceduta dalla Large<br />

White Italiana e dalla Landrace Italiana (ANAS, 2011). Il Duroc è solitamente utilizzato<br />

in linea paterna in incrocio con scrofe Large White o Landrace o più frequentemente<br />

con scrofe meticcie ottenute dall'accoppiamento tra queste ultime due razze. I meticci<br />

ottenuti dall'incrocio tra Duroc Italiana, Large White Italiana e Landrace Italiana, sono<br />

utilizzati per la produzione di carne destinata prevalentemente all'industria di<br />

trasformazione per la produzione di salumi tipici, come il prosciutto di Parma e quello<br />

di San Daniele. Per queste produzioni, tuttavia, non è consentito utilizzare suini Duroc<br />

di razza pura, ma solamente meticci derivati.<br />

Il Duroc è una razza di grande taglia ed è apprezzata negli allevamenti italiani oltre che<br />

per la notevole velocità di accrescimento e per le buone caratteristiche riproduttive,<br />

anche per la notevole robustezza, soprattutto degli arti, che trasmessa alla prole, risulta<br />

particolarmente utile per la produzione <strong>del</strong> suino pesante italiano. Infatti, sia per il peso<br />

di macellazione elevato che per l'allevamento in strutture con pavimento in cemento,<br />

sono preferiti i suini con arti particolarmente resistenti. Questa razza presenta inoltre<br />

37


elevate prestazioni in allevamento, buona qualità <strong>del</strong>le carcasse al macello (classe U-R-<br />

O) e alte percentuali di conformità <strong>del</strong>le cosce per la trasformazione in prosciutti DOP.<br />

La razza Duroc è caratterizzata da una buona prolificità e le scrofe possiedono una<br />

buona indole materna e un’adeguata produzione di latte. Viene allevata prevalentemente<br />

con sistema di allevamento intensivo, in grandi allevamenti. Grazie alla sua elevata<br />

robustezza, si adatta bene anche all'allevamento all'aperto.<br />

L'attività selettiva degli <strong>allevatori</strong> italiani ha costituito un ceppo denominato Duroc<br />

Italiana. L’Associazione Nazionale Allevatori Suini (ANAS) ha stabilito di affinare<br />

ulteriormente la selezione, aggiornando alcuni pesi economici per la valutazione<br />

genetica degli animali (Sib test) al fine di massimizzare l’efficienza. L’obiettivo è di<br />

salvaguardare il vantaggio competitivo costituito dalla migliore qualità <strong>del</strong>le cosce per<br />

la stagionatura dando un forte impulso al progresso genetico per l’accrescimento medio<br />

giornaliero, per la resa alimentare e per la resa <strong>del</strong>la carcassa.<br />

Numerosi studi hanno evidenziato che la razza Duroc è caratterizzata da una percentuale<br />

di grasso intramuscolare maggiore, a volte anche <strong>del</strong> doppio, a quella presente nei suini<br />

Large White e Landrace (Blanchard et al., 1999; Edwards et al., 1992; Hviid et al.,<br />

2002). In particolare, all’aumentare di geni Duroc da 0 a 25%, 50% e 75% nei suini<br />

ibridi si riscontra una carne più tenera e più succosa, con un profilo organolettico più<br />

vicino a quello tipico <strong>del</strong> suino e con minori sapori anomali (MLC, 1992). In accordo<br />

con questi risultati, Enfalt et al. (1997) e Blanchard et al. (1999) hanno riscontrato una<br />

qualità sensoriale superiore <strong>del</strong>la carne dei suini Duroc rispetto agli incroci con<br />

Yorkshire e hanno riportato una correlazione fra la masticabilità <strong>del</strong>la carne e la<br />

percentuale di geni Duroc. Inoltre, il maggiore contenuto di grasso intramuscolare <strong>del</strong><br />

Duroc è correlato geneticamente con un valore più elevato di pH dopo 45 minuti dalla<br />

macellazione (pH45) e, di conseguenza, con una riduzione <strong>del</strong>la percentuale di perdite<br />

di sgocciolamento e <strong>del</strong>la carne di “colore scuro” (Hermesch, 1997). Tuttavia, in base ai<br />

risultati di Suzuki et al. (2002) la tenerezza <strong>del</strong>la carne andrebbe a discapito <strong>del</strong>l’area<br />

<strong>del</strong> lombo e <strong>del</strong> grasso di copertura. Sempre secondo i risultati di Blanchard et al.<br />

(1999), per aumentare la velocità di crescita dei suini e per produrre carcasse con carni<br />

più tenere e migliori da un punto organolettico rispetto alle razze “bianche” è necessario<br />

avere dei suini con almeno 50% di geni Duroc.<br />

La selezione per un contenuto maggiore di grasso intramuscolare e carni magre,<br />

apparentemente in contrasto, può in effetti essere condotta contemporaneamente nella<br />

38


azza Duroc, in quanto i due caratteri hanno una bassa correlazione genetica, compresa<br />

fra -0.25 e -0.37, e l’ereditabilità <strong>del</strong> carattere grasso intramuscolare è elevata<br />

<br />

qualità <strong>del</strong>le carni e, in base alle indicazioni che si possono desumere dalle ricerche, per<br />

osservare un aumento <strong>del</strong>le caratteristiche organolettiche sarebbe necessario avere<br />

almeno un 50% di geni di razza Duroc nei suini da allevare, che si ottiene solo<br />

utilizzando verri terminali Duroc.<br />

Le risposte produttive e riproduttive degli suini all’ingrasso: il Progetto Regionale<br />

Il progetto Regionale consiste nella valutazione attitudinale di una genetica di suini<br />

rispondete ai requisiti qualitativi <strong>del</strong>le DOP e IGP da impiegare negli allevamenti<br />

friulani. A tal fine, è stato introdotto un nucleo di parentali, scrofe e verri, in due<br />

scrofaie <strong>del</strong>la Regione Friuli Venezia Giulia che hanno accettato di prendere parte alle<br />

attività di studio. Le scrofe di razza Large White L.g. e i verri Duroc L.g. sono stati<br />

acquisiti <br />

sono state confron<br />

medesime scrofe Large White con verri ibridi commerciali Goland C21 <strong>del</strong>la Gorzagri.<br />

La scelta deriva dal fatto che il verro pesante Goland C21 è stato selezionato per la<br />

produzione <strong>del</strong> suino pesante ed molto diffuso in Regione.<br />

I verri di razza <br />

ibridi Goland C21 sono stati scelti in base alle risposte produttive ottenute.<br />

In considerazione <strong>del</strong> fatto che la durata di un ciclo di produzione, dalla fecondazione<br />

-6 mesi circa per la<br />

produzione dei suinetti da ingrasso, 10-12 mesi di allevamento e 12-14 mesi di<br />

stagionatura) e che si possono ottenere <br />

lavoro è stato svolto nel modo di seguito riportato:<br />

- introduzione di 330 scrofette Large White italiane L.g. in due allevamenti a ciclo<br />

semichiuso ( e 2);<br />

- definizione di un piano di fecondazione triennale <strong>del</strong>le scrofe con 13 verri Duroc<br />

L.g. e 13 Goland C21 per la produzione di ibridi F1 da impiegare nel ciclo di<br />

ingrasso;<br />

39


- identificazione <strong>del</strong>le scrofe e dei suinetti nati nel corso <strong>del</strong> progetto mediante<br />

apposizione di RFID nella coscia;<br />

- allevamento degli ibridi secondo i disciplinari di produzione <strong>del</strong>la DOP San Daniele<br />

nelle due aziende e in un’altra azienda a ciclo aperto (allevamento A3);<br />

- rilevazione <strong>del</strong>le prestazioni produttive e riproduttive infra vitam;<br />

- rilevazione <strong>del</strong>la qualità <strong>del</strong>la carcassa alla macellazione;<br />

- rilievo <strong>del</strong> peso <strong>del</strong>le cosce e <strong>del</strong>la loro conformità, valutazione <strong>del</strong>la carne fresca,<br />

dei salumi e dei prosciutti a fine stagionatura.<br />

Le razioni sono state formulate con le materie prime disponibili in azienda, con<br />

l’integrazione di mangimi complementari specifici per le diverse fasi <strong>del</strong> ciclo dei suini<br />

da ingrasso e dei riproduttori. I suini a fine ciclo di ingrasso sono stati avviati alla<br />

macellazione nelle strutture regionali che dispongono anche di una linea di lavorazione<br />

per la carne fresca e i salumi e le cosce, e, dopo identificazione tramite RFID, sono state<br />

conferite a stabilimenti <strong>del</strong>la DOP Prosciutto di San Daniele e <strong>del</strong>la IGP Sauris e seguite<br />

nel corso <strong>del</strong>la stagionatura. I principali parametri oggetto di rilevazione nel corso <strong>del</strong><br />

progetto sono di seguito riportati.<br />

Parametri produttivi e riproduttivi:<br />

Piani alimentari e composizione chimica e nutrizionale <strong>del</strong>le razioni;<br />

Parametri riproduttivi <strong>del</strong>le scrofe;<br />

Indice di conversione degli alimenti;<br />

Peso vivo allo svezzamento, a 11 settimane e a fine ciclo;<br />

Durata <strong>del</strong> ciclo per il raggiungimento <strong>del</strong> peso vivo richiesto per la<br />

macellazione;<br />

Parametri di macellazione (FOM):<br />

Età dei capi macellati;<br />

Peso carcassa;<br />

Resa carcassa a caldo;<br />

Dati FOM (percentuale tagli magri, spessore lardo dorsale);<br />

Peso <strong>del</strong>la coscia fresca e dopo rifilatura;<br />

40


Qualità <strong>del</strong>la carne:<br />

Colore;<br />

pH;<br />

Drip losses;<br />

Carica microbica e profilo microbiologico;<br />

Trasformazione in salame;<br />

Profilo aromatico e sensoriale <strong>del</strong> salame;<br />

Qualità <strong>del</strong>la coscia e <strong>del</strong> prosciutto:<br />

Profilo degli acidi grassi <strong>del</strong> grasso di copertura <strong>del</strong>la coscia;<br />

Composizione chimica <strong>del</strong>la carne <strong>del</strong>la coscia (Biceps femoris);<br />

Conformità <strong>del</strong>le cosce e tipo di difetti;<br />

Calo di prima salagione;<br />

Calo di stagionatura;<br />

Indice di proteolisi;<br />

Umidità;<br />

Sale;<br />

Profilo sensoriale.<br />

Fertilità e parametri riproduttivi <strong>del</strong>le scrofe Large White<br />

I dati riproduttivi <strong>del</strong>le scrofe introdotte nei due allevamenti sono stati monitorati nel<br />

corso <strong>del</strong> progetto ed inseriti nel software wHPAsui (www.HPA.it) dagli <strong>allevatori</strong> in<br />

collaborazione con il personale <strong>del</strong>l’Associazione Allevatori <strong>del</strong> Friuli Venezia Giulia.<br />

Complessivamente nel corso <strong>del</strong> progetto sono stati seguiti oltre 30000 suini ibridi, di<br />

cui 25000 svezzati. Su circa il 25% dei suini svezzati, sono stati eseguiti i controlli<br />

previsti in vita, alla macellazione e in prosciuttificio.<br />

Nel corso <strong>del</strong> progetto, sono stati controllati i principali parametri sanitari, quali la<br />

mortalità, l’incidenza di malattie infettive, di eventi non infettivi e i principali parametri<br />

riproduttivi (fertilità scrofe, numero di suinetti nati e svezzati e longevità <strong>del</strong>la scrofa).<br />

41


Lo schema dei dati raccolti e <strong>del</strong> flusso di informazioni è riportato in figura 1.<br />

Figura 1. Schema <strong>del</strong>le tappe <strong>del</strong> progetto <strong>del</strong> suino geneticamente friulano e <strong>del</strong> flusso<br />

dei dati raccolti nel quadriennio: dalla scelta dei riproduttori al prodotto finale<br />

Scelta riproduttori Riproduzione Allevamento Macello Trasformazione<br />

ANAS - EBV<br />

MARCATORI DNA<br />

Scrofe Large White Italiana L.G.<br />

Verri Duroc Italiana L.G.<br />

- N° Fecondazioni<br />

- Parti<br />

- Interparto<br />

- Nati vivi<br />

- Mortalità<br />

- Svezzati<br />

- Benessere animale<br />

- Qualità ambientale<br />

Database<br />

- Peso svezzamento<br />

- Peso 10 settimane<br />

- Peso finale (box)<br />

- Ingestioni<br />

- Sanità animale<br />

- Benessere animale<br />

- Qualità ambientale<br />

42<br />

Impianto microchip sulla coscia<br />

alla nascita<br />

- Trasporto<br />

- Peso carcassa<br />

- Qualità (FOM)<br />

- Peso coscia<br />

- Igienee sicurezza<br />

- Tracciabilità<br />

CARNE FRESCA<br />

- Grasso<br />

intramuscolare<br />

- Colore<br />

- pH<br />

- Microbiologia<br />

- Qualità tecnologica<br />

- Profilo sensoriale<br />

PROSCIUTTO<br />

- Peso coscia rifilata<br />

- Calo prima salatura<br />

- Peso fine<br />

stagionatura<br />

- Qualità tecnologica<br />

- Profilo sensoriale<br />

A seconda <strong>del</strong> dato rilevato, il numero di osservazioni individuali è variato da 4784 per<br />

il peso allo svezzamento a 497 per i dati di peso <strong>del</strong>la coscia dopo la prima salagione e a<br />

fine stagionatura.<br />

Il programma alimentare attuato è stato inizialmente calibrato sulle indicazioni dei<br />

fabbisogni nutritivi e <strong>del</strong>le ingestioni <strong>del</strong>l’ANAS per le scrofette in gravidanza e le<br />

scrofe in gravidanza e in lattazione. Le razioni sono state adattate alla disponibilità di<br />

alimenti aziendali e in funzione dei fabbisogni nutritivi per scrofe primipare e pluripare.<br />

Nelle tabelle 1 e 2 sono riportate le razioni proposte ed adottate per il progetto dai due<br />

siti riproduttivi. Le diete sono state formulate in modo da utilizzare tipologie e quantità<br />

di materie prime simili, risultando pertanto simili per composizione chimica e valori<br />

nutrizionali. I piani alimentari e le quantità di alimenti somministrati nei due<br />

allevamenti sono stati diversificati fra le scrofe primipare e quelle pluripare e in<br />

funzione <strong>del</strong>la fase <strong>del</strong> ciclo riproduttivo e di lattazione (Figure 2a e 2b).


Tabella 1. Razioni utilizzate per le scrofe nell’allevamento A1<br />

Ingrediente Scrofette Gravidanza Lattazione<br />

Mais % 41,0 27,0 39,0<br />

Orzo % 19,0 34,0 20,0<br />

Soia f.e. % 21,0 14,0 20,0<br />

Crusca % 10,0 14,0 10,0<br />

Polpe di bietola % 1,0 6,0 2,5<br />

Grasso % 1,0 0,5 2,5<br />

Mangime complementare % 5,0 5,0<br />

Integratore minerale vitaminico % 2,0 4,5 1,5<br />

Totale 100 100 100<br />

Sostanza secca % 86,8 86,8 86,9<br />

Energia digeribile kcal 3150 3000 3200<br />

Proteina greggia % 16,2 14,2 16,7<br />

Fibra greggia % 4,3 5,8 4,8<br />

Grassi greggi % 4,2 3,4 5,6<br />

Ceneri % 6,0 5,3 6,5<br />

Calcio % 0,94 0,62 0,92<br />

Fosforo % 0,55 0,49 0,68<br />

Lisina % 0,88 0,73 0,91<br />

Metionina % 0,28 0,25 0,26<br />

Tabella 2. Razioni utilizzate per le scrofe nell’allevamento A2<br />

Ingrediente Scrofe Gravidanza Lattazione<br />

Mais % 40,8 42,0 41,0<br />

Orzo % 18,4 20,0 19,0<br />

Soia f.e. % 16,9 16,0 16,0<br />

Crusca % 16,9 14,0 14,5<br />

Polpe di bietola % 1,0 2,0 2,0<br />

Grasso % 2,0 1,5 2,0<br />

Mangime complementare % 2,0 2,5 2,5<br />

Integratore minerale vitaminico % 2,0 2,0 2,5<br />

Totale 100 100 100<br />

Sostanze secca % 86,8 86,9 91,3<br />

Energia digeribile kcal 3100 3050 3200<br />

Proteina greggia % 15,2 14,5 16,5<br />

Fibra greggia % 5,4 5,2 5,6<br />

Grassi greggi % 4,2 4,1 4,2<br />

Ceneri % 3,0 3,0 3,1<br />

Calcio % 0,88 0,88 0,97<br />

Fosforo % 0,59 0,63 0,71<br />

Lisina % 0,78 0,72 0,92<br />

Metionina % 0,24 0,24 0,29<br />

43


Figura 2a. Consumi di mangime (88% di sostanza secca) durante il ciclo riproduttivo<br />

<strong>del</strong>la scrofa primipara Large White<br />

8<br />

6<br />

kg/d 4<br />

2<br />

0<br />

Figura 2b. Consumi di mangime (88% di sostanza secca) durante il ciclo riproduttivo<br />

<strong>del</strong>la scrofa pluripara Large White<br />

8<br />

6<br />

kg/d<br />

4<br />

2<br />

0<br />

44


I principali parametri riproduttivi misurati nei due allevamenti sono risultati in linea con<br />

quelli attesi per le scrofe Large White e in generale possono essere considerati molto<br />

buoni (Tabella 3), considerando che nei due allevamenti venivano allevate scrofe di una<br />

genetica diversa da quello fino a quel momento impiegata e che i riproduttori introdotti<br />

erano scrofette. I valori medi e assoluti dei parametri riproduttivi oggetto di rilevazione<br />

nel quadriennio (Tabella 4) evidenziano un numero di più di due parti l’anno, con una<br />

media di 12 nati vivi per parto e 1,4 interventi fecondativi per parto. Il numero di<br />

svezzati per parto è invece più contenuto, a causa <strong>del</strong>la mortalità in sala parto.<br />

I valori degli indici di performance riproduttiva misurati nel corso <strong>del</strong> quadriennio sono<br />

<strong>del</strong> tutto in linea con quelli riportati da Interpig (2010), con l’unica eccezione <strong>del</strong><br />

numero di parti l’anno, risultati inferiori per le scrofe <strong>del</strong> progetto. L’apparente minore<br />

efficienza riproduttiva è da ascrivere in parte all’età degli animali negli allevamenti, in<br />

quanto il nuovo parco riproduttori era inizialmente costituito da scrofe nullipare, e in<br />

parte dalla scelta di programmare le inseminazioni “a bande”, raggruppando quindi le<br />

scrofe per la fecondazione in periodi predeterminati. Nel caso di un numero ridotto di<br />

scrofe, questa scelta può infatti comportare un allungamento <strong>del</strong>l’interparto in alcuni<br />

soggetti, con una riduzione, seppure leggera, <strong>del</strong> numero di parti all’anno. Tuttavia,<br />

questa modalità operativa consente di migliorare l’efficienza <strong>del</strong> ciclo di ingrasso, in<br />

quanto i magroncelli che sono avviati all’allevamento sono coevi e quindi rispondono in<br />

modo più omogeneo ai ritmi e modalità di somministrazione <strong>del</strong>le razioni.<br />

Allevamento <strong>del</strong> suino pesante<br />

Alimentazione e piani di razionamento<br />

I suini all’ingrasso possono essere alimentati “a secco” o “con broda” e, se allevati per<br />

le DOP, devono anche rispettare le prescrizioni alimentari dei disciplinari che<br />

prevedono vincoli sulle percentuali degli alimenti zootecnici. Ad esempio, fino a 80 kg<br />

di peso vivo i cereali devono costituire almeno il 45% <strong>del</strong>la sostanza secca <strong>del</strong>la dieta.<br />

Durante la fase di ingrasso la quantità minima di cereali deve essere superiore al 55%<br />

<strong>del</strong>la sostanza secca, considerando che il mais non deve comunque superare il 55%<br />

<strong>del</strong>la sostanza secca. Inoltre, il siero di latte non può superare i 15 litri capo giorno e il<br />

contenuto in acido linoleico deve essere inferiore al 2% <strong>del</strong>la dieta. Il rispetto dei<br />

disciplinari limita pertanto le formulazioni e le razioni proposte non differiscono di<br />

45


molto fra gli allevamenti e i tipi genetici allevati per quanto riguarda le materie prime e<br />

le percentuali di inclusione.<br />

Tabella 3. Risultati dall’allevamento <strong>del</strong>le scrofe per la produzione dei lattoni nel corso<br />

ottenuti nel corso <strong>del</strong> progetto nelle due aziende<br />

Azienda 2009 2010 2011 2012*<br />

Azienda A1<br />

Presenza media scrofe n 260 264 241 289<br />

Fecondazioni n 671 749 707 695<br />

Fecondazioni su scrofette % 23,0 15,6 15,3 17,5<br />

Ritorni e vuote % 16,1 20,0 17,5 14,2<br />

Parti n 523 531 518 522<br />

Parti per anno n 2,01 2,01 2,15 2,15<br />

Interventi fecondativi per parto n 1,28 1,41 1,36 1,34<br />

Nati n 6409 6399 5698 6457<br />

Media nati per parto n 12,3 12,1 11,0 12,4<br />

Nati morti o mummificati % 6,6 7,5 7,1 5,4<br />

Svezzamenti n 488 562 506 522<br />

Svezzati n 4797 5563 4556 5298<br />

Svezzati per parto n 9,8 9,9 9,0 10,1<br />

Mortalità in sala parto % 14,3 11,1 10,7 12,7<br />

Azienda A2<br />

Presenza media n 79 68 86 90<br />

Fecondazioni n 224 221 271 232<br />

Fecondazioni su scrofette % 30 12 18 32<br />

Ritorni e vuote % 29,5 22,2 21,8 22,2<br />

Parti n 145 143 175 167<br />

Parti per anno n 1,85 2,10 2,03 2,03<br />

Interventi fecondativi per parto n 1,54 1,55 1,55 1,54<br />

Nati n 1790 1685 2113 2134<br />

Media nati per parto n 12,3 11,8 12,1 12,8<br />

Nati morti o mummificati % 9,6 7,8 6,6 9,5<br />

Svezzamenti n 147 136 182 169<br />

Svezzati n 1355 1281 1810 1716<br />

Svezzati per parto n 9,2 9,4 9,9 10,2<br />

Mortalità in sala parto % 15,8 14,4 10,8 12,0<br />

46


Tabella 4. Risultati complessivi dall’allevamento <strong>del</strong>le scrofe per la produzione dei<br />

lattoni nel corso ottenuti nel corso <strong>del</strong> progetto nelle due aziende<br />

Parametro/Variabile A1 A2 Media Totale<br />

Presenza media n 263 81 172 1375<br />

Fecondazioni n 668 226 447 3576<br />

Fecondazioni su scrofette % 18 19 18<br />

Ritorni e vuote % 16,7 23,9 20,3<br />

Parti n 502 152 327 2613<br />

Parti per anno n 2,1 2,0 2,0<br />

Interventi fecondativi per parto n 1,3 1,5 1,4<br />

Nati n 5972 1862 3917 31335<br />

Media nati per parto n 12 12 12<br />

Nati morti o mummificati % 6,6 8,5 7,5<br />

Svezzamenti n 495 151 323 2584<br />

Svezzati n 4790 1465 3127 25018<br />

Svezzati per parto n 9,7 9,7 9,7<br />

Mortalità in sala parto % 12,3 13,2 12,8<br />

La disponibilità e l’impiego <strong>del</strong> siero di latte da un lato e la possibilità di intervenire<br />

sulle quantità giornaliere distribuite consentono all’allevatore di ottimizzare i piani di<br />

alimentazione in relazione alla genetica disponibile anche da un punto di vista<br />

economico.<br />

Se consideriamo che un suino pesa 30 kg a 80 giorni di vita e deve raggiungere i 160 kg<br />

a 270 giorni, è necessario adottare un piano alimentare per ottenere un accrescimento<br />

medio giornaliero di circa 700 g/d (130 kg in 190 giorni, 684 g) e in grado di assicurare<br />

una copertura adeguata di grasso sottocutaneo sia nella regione <strong>del</strong> dorso che nella<br />

coscia. Poiché l’accrescimento non è lineare, la curva di distribuzione <strong>del</strong>l’alimento è<br />

uno dei fattori che maggiormente incide sulla risposta produttiva e condiziona la curva<br />

di incremento ponderale.<br />

Nelle Tabelle 5 e 6 sono riportate le diete utilizzate e i piani alimentari adottati negli<br />

allevamenti che hanno partecipato al progetto. Le soluzioni adottate nei tre allevamenti<br />

sono state diverse, pur nel rispetto <strong>del</strong>le prescrizioni alimentari <strong>del</strong> disciplinare di<br />

produzione <strong>del</strong> Consorzio <strong>del</strong> Prosciutto di San Daniele. Nell’allevamento A3 è stato<br />

utilizzato il pastone di mais a partire dalla fase di ingrasso, mentre negli altri due<br />

47


allevamenti le razioni sono state formulate con diversi rapporti fra i cereali (Tabella 5).<br />

In tutti e tre gli allevamenti è stata prevista la suddivisione <strong>del</strong> ciclo in tre periodi, ma<br />

con tempi di somministrazione <strong>del</strong>le razioni diverse. Gli alimenti sono stati miscelati in<br />

<strong>associazione</strong> a siero di latte nell’allevamento A1 e A3 e con acqua nell’allevamento A2,<br />

sempre in ragione di 2,5 litri per kg <strong>del</strong>le miscele.<br />

Tabella 5. Composizione media e valore nutritivo <strong>del</strong>le diete utilizzate nei tre<br />

allevamenti nel corso <strong>del</strong> progetto<br />

A1 A2 A3<br />

Settimane di vita<br />

Ingredienti<br />

11-20 21-30 31-40 11-21 22-31 32-40 11-18 19-28 29-40<br />

Mais % 52 55 55 40 54 55 48<br />

Pastone di mais % 55 55<br />

Orzo % 12 12 16 34 16 15 10 5 15<br />

Farinaccio % 20 10 5<br />

Crusca % 10 8 7 4 10 11 8 7<br />

Polpe di bietola % 1 2<br />

Soia % 16 15 12 17 16 14 15<br />

Grasso % 1 2<br />

Mangime % 10 10 10 4 3 3 5 22 18<br />

Totale % 100 100 100 100 100 100 100 100 100<br />

Composizione<br />

Sostanza secca % 86,7 86,7 86,7 86,0 86,4 86,4 86,9 78,0 77,9<br />

En. digeribile Mcal 3,16 3,20 3,21 3,28 3,27 3,25 3,19 3,23 3,27<br />

Proteina grezza % 16,2 16,0 14,9 16,5 15,9 14,9 15,5 15,0 14,7<br />

Fibra grezza % 4,8 4,1 4,0 4,1 4,4 4,5 3,6 4,0 4,1<br />

Lipidi % 3,3 3,3 3,3 3,8 3,1 3,1 5,1 3,7 3,5<br />

Ceneri % 5,0 4,9 4,8 4,4 4,3 3,2 4,9 5,3 4,7<br />

Amido % 42,2 43,4 45,2 45,3 45,6 45,8 44,8 45,5 47,0<br />

NDF % 13,6 12,4 12,2 13,9 14,5 15,4 12,4 12,2 12,4<br />

Calcio % 0,85 0,87 0,84 0,91 0,88 0,87 0,80 0,92 0,91<br />

Fosforo % 0,64 0,61 0,60 0,60 0,58 0,60 0,59 0,63 0,62<br />

Lisina % 0,89 0,86 0,79 0,91 0,80 0,76 0,92 0,84 0,79<br />

Met + Cist % 0,59 0,59 0,53 0,53 0,55 0,53 0,56 0,57 0,51<br />

Treonina % 0,62 0,60 0,58 0,55 0,57 0,55 0,61 0,59 0,59<br />

Triptofano % 0,20 0,20 0,18 0,20 0,19 0,18 0,19 0,18 0,17<br />

48


Tabella 6. Piani di alimentazione utilizzati nei tre allevamenti partecipanti al progetto.<br />

Le quantità riportate sono state standardizzate a 88% di sostanza secca e i diversi<br />

sfondi di grigio indicano le tre diete diverse riportate in tabella 4<br />

Settimana A1 A2 A3<br />

10 1,05 1,24 1,29<br />

11 1,20 1,37 1,43<br />

12 1,34 1,49 1,56<br />

13 1,47 1,61 1,68<br />

14 1,60 1,73 1,80<br />

15 1,73 1,84 1,92<br />

16 1,85 1,94 2,03<br />

17 1,97 2,05 2,13<br />

18 2,08 2,14 2,23<br />

19 2,19 2,23 2,32<br />

20 2,29 2,32 2,41<br />

21 2,39 2,40 2,50<br />

22 2,48 2,48 2,58<br />

23 2,57 2,56 2,65<br />

24 2,65 2,62 2,73<br />

25 2,73 2,69 2,79<br />

26 2,80 2,75 2,85<br />

27 2,87 2,80 2,91<br />

28 2,93 2,85 2,96<br />

29 2,99 2,90 3,00<br />

30 3,04 2,94 3,04<br />

31 3,09 2,98 3,08<br />

32 3,13 3,01 3,11<br />

33 3,17 3,04 3,14<br />

34 3,19 3,06 3,16<br />

35 3,20 3,08 3,18<br />

36 3,20 3,09 3,19<br />

37 3,20 3,10 3,19<br />

38 3,20 3,10 3,19<br />

39 3,20 3,10<br />

40 3,20<br />

41 3,20<br />

Il colore di fondo si riferisce alla dieta utilizzata:<br />

Magronaggio Ingrasso Finissaggio<br />

49


L’efficienza alimentare nei tre allevamenti è variata, con valori superiori<br />

nell’allevamento A3, in relazione al piano alimentare utilizzato che prevedeva la<br />

somministrazione di una maggiore quantità di alimento nella fase di magronaggio e che<br />

ha consentito di ridurre la durata <strong>del</strong> ciclo (Figura 3, Tabella 6).<br />

Figura 3. Rese medie alimentari stimate nei 3 allevamenti (kg accrescimento per kg di<br />

alimento ingerito, %) standardizzato a 88% di sostanza secca da 12 settimane a fine<br />

ciclo<br />

%<br />

35.0<br />

30.0<br />

25.0<br />

20.0<br />

15.0<br />

A1 A2 A3<br />

Risposta produttiva in vivo e qualità <strong>del</strong>la carcassa<br />

I risultati relativi alle prestazioni produttive in vivo sono riportati in Tabella 7 ed<br />

indicano un ritmo di accrescimento diverso nei tre allevamenti in funzione dei piani<br />

alimentari adottati, ma senza un’apprezzabile differenza fra i due ibridi nel periodo<br />

compreso dall’inizio <strong>del</strong> magronaggio alla macellazione. Il peso vivo finale è risultato<br />

infatti significativamente più elevato negli ibridi derivati da verri di razza Duroc, ma la<br />

differenza è da ascrivere in parte alla durata media <strong>del</strong> periodo, inferiore mediamente di<br />

1,5 giorni per gli ibridi derivati da incroci con verri Goland C21.<br />

Anche se le prestazioni in vita non sono risultate molto diverse fra i due ibridi, il<br />

confronto fra i dati rilevati al macello e in prosciuttificio hanno indicato invece una<br />

migliore qualità per gli incroci con verri Duroc (Tabella 8). Oltre al maggiore peso <strong>del</strong>la<br />

carcassa a caldo, è stato infatti misurato un grado di copertura <strong>del</strong> grasso maggiore nella<br />

regione dorsale e un peso <strong>del</strong>la coscia significativamente superiore per gli ibridi derivati<br />

da verri di razza Duroc, con cali di prima salagione inferiore.<br />

50


Tabella 7. Prestazioni produttive medie per allevamento e per ibrido registrate nel<br />

corso <strong>del</strong> progetto<br />

Allevamento Ibrido P1 D1 P2 D2 P3 DT IMG1 IMG2<br />

A1 Duroc<br />

7,1 29 22,3 75 166,1 296 323 639<br />

Goland C21 7,6 30 21,8 73 164,7 301 321 633<br />

A2 Duroc 7,2 28 25,6 78 175,4 295 356 665<br />

Goland C21 7,4 31 27,8 79 164,9 279 457 684<br />

A3 Duroc 8,0 29 23,6 69 172,4 268 398 754<br />

Goland C21 8,2 28 23,9 69 170,8 267 376 738<br />

Media Duroc 7,2 29 24,2 76 170,4 288 357 683<br />

Media Goland C21 7,7 30 22,8 73 167,4 287 354 684<br />

Media 7,4 29 23,6 75 168,9 287 355 683<br />

sem 1,6 5 5,8 9 13,8 17 19,4 22,3<br />

Effetti<br />

Allevamento *** ** *** *** *** *** *** ***<br />

Ibrido *** *** * ns *** *** *** ns<br />

All. x Ibrido * ns ns ns ** * ** *<br />

P1 = peso allo svezzamento; D1 giorni allo svezzamento<br />

P2 = peso inizio magronaggio; D1 giorni all’inizio <strong>del</strong> magronaggio<br />

P3 = peso fine ciclo; DT durata <strong>del</strong> ciclo di allevamento<br />

IMG1 = incremento medio giornaliero dallo svezzamento all’inizio magronaggio<br />

IMG2 = incremento medio giornaliero dall’inizio magranoaggio (P2) a fine ciclo (P3)<br />

La migliore qualità <strong>del</strong>la carcassa di questi suini ibridi nelle condizioni operative dei tre<br />

allevamenti (Figura 4A, 4B e 4C) è risultata evidente da una minore percentuale di<br />

scarto per pesi <strong>del</strong>la carcassa inferiori a 110 kg (categoria “L”), da una maggiore<br />

percentuale di carcasse nella classe R <strong>del</strong>la griglia EUROP e da una inferiore<br />

percentuale di cosce non conformi per difetti <strong>del</strong> grasso ascrivibili a un peso inferiore a<br />

11 kg, puntinatura nel magro, venature, magroni (grasso di copertura <strong>del</strong>la coscia < 1,5),<br />

grassinature, assenza di grasso in corona e carni PSE-DFD.<br />

51


11 kg, puntinatura nel magro, venature, magroni (grasso di copertura <strong>del</strong>la coscia < 1,5),<br />

grassinature, assenza di grasso in corona e carni PSE-DFD.<br />

L’analisi <strong>del</strong> grasso di copertura <strong>del</strong>le cosce (Tabella 9) ha inoltre evidenziato una<br />

concentrazione di acidi grassi saturi superiore per gli ibridi derivati dal Duroc, una<br />

caratteristica qualitativa importante per la DOP Prosciutto San Daniele, in grado di<br />

conferire al lardo una colorazione più bianca e una maggiore compattezza.<br />

Tabella 8. Caratteristiche medie <strong>del</strong>le carcasse e <strong>del</strong>le cosce per allevamento e per<br />

ibrido registrate nel corso <strong>del</strong> progetto<br />

Allevamento Ibrido PC FOM BM BF PS CR CS CF<br />

A1 Duroc 138,0 48,5 65,5 29,6 16,7 14,4 4,0 32,0<br />

Goland C21 137,1 49,5 67,1 27,9 16,2 14,1 3,0 31,2<br />

A2 Duroc 143,7 49,7 67,8 27,7 17,8 15,6 3,7 31,2<br />

Goland C21 136,9 51,4 68,5 24,0 16,2 14,0 3,8 31,7<br />

A3 Duroc 142,7 47,9 65,7 30,7 17,1 15,1 3,4 31,5<br />

Goland C21 141,1 48,3 64,5 29,4 16,4 14,4 5,2 31,1<br />

Media Duroc 141,0 48,7 66,2 29,4 17,1 14,9 3,7 31,7<br />

Media Goland C21 138,7 49,1 66,1 28,3 16,3 14,2 4,4 31,4<br />

Media 139,8 48,9 66,2 28,8 16,7 14,6 4,2 31,5<br />

sem 11,8 2,9 7,0 5,4 1,4 1,1 1,2 6,5<br />

Effetti<br />

Allevamento *** *** *** *** *** *** *** ***<br />

Idrido *** *** ns *** *** *** *** ns<br />

All, x Idrido ** ** ns *** *** ** *** ns<br />

PC = peso carcassa a caldo, kg; FOM : Tagli magri, % (Fat O Meter);<br />

BM = spessore muscolo dorsale, mm; BF = spessore grasso dorsale, mm;<br />

PS = peso coscia smontata, kg; CR = peso coscia rifilata, kg;<br />

CS = calo di prima salagione, %; CF = calo peso a fine stagionatura, %<br />

52


Figura 4. Percentuale di carcasse non idonee alla DOP Prosciutto di San Daniele in<br />

base al peso (classe H o L, Figura A), ripartizione in base alla classificazione EUROP<br />

(Figura B) e causa di non conformità <strong>del</strong>le cosce dovute a difetti <strong>del</strong> grasso (Figura C)<br />

% 1,5<br />

%<br />

3,0<br />

2,5<br />

2,0<br />

1,0<br />

0,5<br />

0,0<br />

70<br />

60<br />

50<br />

40<br />

30<br />

20<br />

10<br />

0<br />

70<br />

60<br />

50<br />

40<br />

%<br />

30<br />

20<br />

10<br />

0<br />

A<br />

Duroc Goland C21<br />

B<br />

E U R O P<br />

C<br />

Duroc Goland C21<br />

Test chi quadro fra i due ibridi significativo per P < 0,01<br />

53<br />

Duroc Goland C21


Tabella 9. Confronto <strong>del</strong>la composizione in acidi grassi (%) <strong>del</strong> grasso di copertura<br />

<strong>del</strong>la coscia nei suini derivati incroci di femmine Large White con verri di razza Duroc<br />

o verri ibridi Goland C21<br />

Duroc Goland C21<br />

Media sd Media sd Sig F Media sd<br />

C14:0 1,7 0,1 1,7 0,2 0,175 1,7 0,2<br />

C16:0 20,6 1,0 20,6 0,9 0,916 20,6 0,9<br />

C18:0 12,7 1,0 11,7 0,9 0,000 12,2 1,0<br />

C20:0 0,2 0,1 0,2 0,1 0,626 0,2 0,1<br />

SFA 36,2 1,6 34,3 1,4 0,012 34,7 1,6<br />

C16-1c7 0,3 0,1 0,3 0,1 0,057 0,3 0,1<br />

C16:1 c9 2,1 0,3 2,3 0,3 0,000 2,2 0,3<br />

C18:1c9 41,1 1,8 42,4 1,4 0,000 41,8 1,7<br />

C18:1 c11 2,6 0,2 2,9 0,2 0,000 2,8 0,3<br />

C18:1 c12 0,1 0,0 0,1 0,1 0,000 0,1 0,1<br />

C20:1 c11 1,1 0,2 1,2 0,2 0,005 1,1 0,2<br />

MUFA 47,9 2,1 49,2 1,5 0,000 48,3 2,1<br />

C18:2 n6 13,7 2,0 12,8 1,9 0,000 13,5 2,1<br />

C18:3 n3 0,8 0,2 0,7 0,2 0,724 0,7 0,2<br />

C20:2 n6 0,7 0,1 0,7 0,2 0,049 0,7 0,1<br />

C20:3 n6 0,1 0,0 0,1 0,1 0,243 0,1 0,1<br />

C20:4 n6 0,3 0,1 0,3 0,1 0,539 0,3 0,1<br />

C20:3 n3 0,1 0,1 0,2 0,1 0,325 0,1 0,1<br />

C22:5 n3 0,1 0,0 0,1 0,1 0,015 0,1 0,1<br />

PUFA 15,9 2,3 14,8 2,2 0,000 15,5 2,3<br />

n6/n3 16,1 2,8 14,2 2,5 0,000 15,1 2,8<br />

Il sequenziamento <strong>del</strong> genoma e la genotipizzazione <strong>del</strong>la popolazione<br />

Per la deposizione di grasso e per la sua composizione in acidi grassi la componente<br />

genetica gioca un ruolo fondamentale e numerosi studi hanno permesso di individuare<br />

l’<strong>associazione</strong> fra la variabilità di specifiche regioni <strong>del</strong> DNA e di determinati geni<br />

(Gondret et al., 2012; Guiatti et al., 2009; Guiatti et al., 2010; Uemoto et al., 2012;<br />

Yang et al., 2012) e le variabili fenotipiche legate all’adiposità e alla qualità <strong>del</strong>la<br />

carcassa e <strong>del</strong>la carne.<br />

54


Lo studio dei caratteri quantitativi di interesse economico dei suini pesanti richiede la<br />

disponibilità di un numero elevato di marcatori molecolari, come ad esempio le<br />

mutazioni puntiformi (SNP, Single Nucleotide Polymorphism). L’identificazione su<br />

larga scala di varianti <strong>del</strong> DNA è diventata relativamente agevole negli ultimi anni,<br />

grazie alle recenti tecnologie di sequenziamento, denominate Next Generation<br />

Sequencing (NGS). Il genoma <strong>del</strong> suino è stato solo di recente completamente<br />

sequenziato e assemblato (Pig Genome Assembly 9.2), fornendo in tal modo alla<br />

comunità scientifica uno strumento utilissimo per gli studi di variabilità genomica e di<br />

selezione genetica.<br />

Nel corso <strong>del</strong> progetto è stato pertanto identificato un suino ibrido, nato da un verro<br />

Duroc e una scrofa Large White e con caratteristiche ottimali per velocità di<br />

accrescimento, qualità <strong>del</strong>la carcassa, <strong>del</strong>la coscia e <strong>del</strong>la carne, da impiegare per<br />

l’analisi di risequenziamento <strong>del</strong> genoma con tecnologia Illumina ® NGS (Li et al.,<br />

2009).<br />

Complessivamente sono state sequenziate 90,7 miliardi di basi, che sono state<br />

assemblate in base al consenso e mappate sul genoma di riferimento, producendo una<br />

copertura <strong>del</strong> 94% <strong>del</strong>l’intero genoma. La sequenza è stata riportata nei 18 cromosomi<br />

e nel cromosoma X (Figura 5A) e il confronto con il genoma di riferimento Pig Genome<br />

Assembly 9.2 (www.ensembl.org) ha permesso di identificare <strong>del</strong>le nuove mutazioni<br />

puntiformi <strong>del</strong> DNA (SNP) non ancora riportate in letteratura (Figura 5B). Questo<br />

risultato è la base di partenza per definire un panel a elevata densità di marcatori e<br />

produrre un fingerprint tipico <strong>del</strong> suino ibrido derivato da verri Duroc e scrofe Large<br />

White.<br />

55


Figura 5. A. Cariotipo <strong>del</strong>la specie Sus scrofa con evidenziate le varianti alleliche che<br />

sono risultate variabili (linee rosso mattone) in seguito all’analisi di risequenziamento<br />

<strong>del</strong> genoma (DNA). Le regioni <strong>del</strong> DNA note per la loro <strong>associazione</strong> con il grasso<br />

intramuscolare e la deposizione di grasso in genere sono evidenziate in verde.<br />

B. Numero di mutazioni puntiformi (SNP) omozigoti ed eterozigoti identificate per<br />

ciascun cromosoma<br />

A<br />

B<br />

56


Successivamente, è stato analizzato un set di 109 SNP presenti in 33 geni, noti dalla<br />

letteratura per la loro <strong>associazione</strong> alle variabili fenotipiche quantità e qualità <strong>del</strong> tessuto<br />

adiposo. L’analisi è stata effettuata su 960 campioni di DNA estratti dal tessuto<br />

muscolare di ibridi derivati da verri Duroc (446 soggetti) e da verri Goland C21 (514<br />

soggetti) allevati nel corso <strong>del</strong> progetto. L’analisi statistica ha permesso di individuare<br />

64 SNP (Figura 6) con frequenze alleliche significativamente diverse fra i due ibridi,<br />

definendo quindi un primo fingerprint genotipico per discriminare le due popolazioni.<br />

Figura 6. Frequenze alleliche dei suini ibridi Duroc X Large White e Goland C21 X<br />

Large White<br />

Duroc X Large White Goland C21 X Large White<br />

TTN_A<br />

TGFB2_B<br />

TCF7L2_A<br />

SCD_natalia<br />

SCD_H<br />

SCD_G<br />

SCD_F<br />

SCD_D<br />

SCD_C<br />

SCD_A<br />

PPARGC1A_U<br />

PPARGC1A_T<br />

PPARGC1A_S<br />

PPARGC1A_G<br />

PPARGC1A_B<br />

PPARGC1A_A<br />

PLIN2_C<br />

PLA2G7_A<br />

PI3KR2_A<br />

OPN_natalia<br />

OPN_A<br />

MYPN_A<br />

MYOD1_D<br />

MYOD_natalia<br />

MYF6_natalia<br />

MYF6_A<br />

MC3R_A<br />

LPIN1_A<br />

LEP2_natalia<br />

LEP1_natalia<br />

ITGA7_A<br />

IRS4_B<br />

ID3_B<br />

HNF1A_D<br />

HNF1A_C<br />

GHRL_B<br />

GH_B<br />

GH_A<br />

FTO_L<br />

FABP3_U<br />

DECR1_A<br />

CTSZ_A<br />

CTSS_A<br />

CTSL_A<br />

CTSK_A<br />

CSRP3_A<br />

CCKAR_B<br />

CCKAR_A<br />

CAST_G<br />

CAST_D<br />

CAST_C<br />

CAST_B<br />

CA3_A<br />

ATP1A2_A<br />

AKR1C4<br />

ACSL4_A<br />

ACACA_T<br />

ACACA_S<br />

ACACA_R<br />

ACACA_Q<br />

ACACA_P<br />

3betaHSD<br />

0% 20% 40% 60% 80% 100%<br />

57<br />

TTN_A<br />

TGFB2_B<br />

TCF7L2_A<br />

SCD_natalia<br />

SCD_H<br />

SCD_G<br />

SCD_F<br />

SCD_D<br />

SCD_C<br />

SCD_A<br />

PPARGC1A_U<br />

PPARGC1A_T<br />

PPARGC1A_S<br />

PPARGC1A_G<br />

PPARGC1A_B<br />

PPARGC1A_A<br />

PLIN2_C<br />

PLA2G7_A<br />

PI3KR2_A<br />

OPN_natalia<br />

OPN_A<br />

MYPN_A<br />

MYOD1_D<br />

MYOD_natalia<br />

MYF6_natalia<br />

MYF6_A<br />

MC3R_A<br />

LPIN1_A<br />

LEP2_natalia<br />

LEP1_natalia<br />

ITGA7_A<br />

IRS4_B<br />

ID3_B<br />

HNF1A_D<br />

HNF1A_C<br />

GHRL_B<br />

GH_B<br />

GH_A<br />

FTO_L<br />

FABP3_U<br />

DECR1_A<br />

CTSZ_A<br />

CTSS_A<br />

CTSL_A<br />

CTSK_A<br />

CSRP3_A<br />

CCKAR_B<br />

CCKAR_A<br />

CAST_G<br />

CAST_D<br />

CAST_C<br />

CAST_B<br />

CA3_A<br />

ATP1A2_A<br />

AKR1C4<br />

ACSL4_A<br />

ACACA_T<br />

ACACA_S<br />

ACACA_R<br />

ACACA_Q<br />

ACACA_P<br />

3betaHSD<br />

0% 20% 40% 60% 80% 100%<br />

In ordinata sono riportate le mutazioni puntiformi (SNP) <strong>del</strong> DNA; i colori blu e rosso indicano<br />

le frequenze (%) degli alleli per ogni SNP


Gli studi di associazioni con le variabili fenotipiche consentiranno inoltre di identificare<br />

gli alleli che contribuiscono a controllare le caratteristiche qualitative richieste per la<br />

produzione <strong>del</strong> suino pesante.<br />

Considerazioni generali<br />

L’ibrido studiato negli allevamenti che hanno aderito al progetto presenta accrescimenti<br />

giornalieri e rese di conversione <strong>del</strong> tutto comparabili con gli altri ibridi allevati in<br />

Regione e le scrofe sono caratterizzate da una buona fertilità, buon numero di nati vivi e<br />

da spiccate attitudini materne. Questo tipo genetico di suino, nato e allevato in Friuli<br />

Venezia Giulia, produce carcasse con carne di buona qualità per la trasformazione in<br />

salumi e si distingue per la coscia più pesante e corrispondente ai requisiti <strong>del</strong>la DOP<br />

Prosciutto di San Daniele.<br />

Nel complesso, l’ibrido allevato nel corso <strong>del</strong> progetto presenta dei tratti caratteristici<br />

che permettono una sua collocazione specifica nel mercato <strong>del</strong>le cosce suine di elevata<br />

qualità richieste dalla DOP prosciutto di San Daniele. Le carcasse dei suini derivati<br />

dall’incrocio sono classificate pesanti, con una buona copertura di grasso che gli<br />

permette di rientrare nelle classi URO <strong>del</strong>la griglia EUROP, con la prevalenza per la<br />

classe più centrale R, in assoluto la più apprezzata per i prosciutti DOP. La coscia<br />

pesante, adatta anche per una stagionatura lunga, è quindi non solo idonea per il<br />

prosciutto di San Daniele, ma anche per il prosciutto di Sauris. Il calo di prima<br />

salagione è contenuto e a fine <strong>del</strong>la stagionatura di 14 mesi il peso medio <strong>del</strong>le cosce è<br />

superiore a 10 kg. Infine, la percentuale di non conformità al macello è molto più bassa<br />

<strong>del</strong>la media nazionale e il grasso presenta un’elevata quantità di acidi grassi saturi<br />

(SFA), che gli conferiscono un colore bianco marmoreo e una compattezza molto<br />

apprezzata dal prosciuttificio e dal consumatore.<br />

L’analisi <strong>del</strong>le varianti alleliche <strong>del</strong> DNA con le caratteristiche produttive può infine<br />

rappresentare uno strumento per identificare i riproduttori da utilizzare per la<br />

produzione <strong>del</strong> suino geneticamente friulano.<br />

58


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60


La qualità <strong>del</strong>la carne, <strong>del</strong> salame e <strong>del</strong> prosciutto crudo<br />

La carne: Qualità<br />

Giuseppe Comi, Lucilla Iacumin<br />

Dipartimento di Scienze degli Alimenti – Università di Udine<br />

La qualità <strong>del</strong>la carne è definita in diversi modi, in base alle esigenze di chi la utilizza. Il<br />

trasformatore chiederà resa tecnologica, accettabilità, corrispondenza alle norme di<br />

legge, il dettagliante caratteristiche di colore, aspetto, resa, stato di ingrassamento e il<br />

consumatore caratteristiche di gusto, tenerezza, aspetto e resa cottura. Per qualità si<br />

intendono anche gli aspetti igienici, nutrizionali, tecnologici. Il colore è una <strong>del</strong>le<br />

principali caratteristiche <strong>del</strong>la carne, insieme alla succosità e alla tenerezza, che<br />

spingono il consumatore alla scelta. Il colore <strong>del</strong>la carne è riconducibile principalmente<br />

alla presenza di mioglobina e al prevalere di una <strong>del</strong>le forme che la mioglobina può<br />

assumere. Il colore è uno dei principali attributi di qualità <strong>del</strong>la carne, in quanto<br />

influenza fortemente il consumatore nella scelta <strong>del</strong> prodotto ed è strettamente legato<br />

alle caratteristiche organolettiche <strong>del</strong>la carne, principalmente alla capacità di trattenere i<br />

liquidi (WHC) e alla struttura <strong>del</strong> muscolo. Inoltre il colore riveste un ruolo<br />

fondamentale anche nelle fasi di trasformazione. Una classificazione <strong>del</strong>la carne<br />

secondo la qualità può quindi essere fatta con buona approssimazione soltanto<br />

basandosi sul colore.<br />

Nelle carni rosse un colore rosso brillante, associato a un alto contenuto di<br />

ossimioglobina, viene considerato un fattore positivo, mentre un colore bruno, associato<br />

alla metamioglobina, è un tratto negativo. Rispetto al colore si riconoscono anche due<br />

difetti specifici, le carni Pale Soft Exudative (PSE) e le carni Dark Firm Dry (DFD),<br />

entrambe dovute a valori di pH post-mortem anomali. La percezione <strong>del</strong>la qualità<br />

relativa al colore può essere modificata dal grado <strong>del</strong> tessuto adiposo localizzato tra i<br />

fasci di fibre muscolari nel tessuto connettivo.<br />

63


La succosità è correlata a WHC (Water Holding Capacity) e al grasso presente tra i<br />

muscoli, ma una carne troppo asciutta o con un’eccessiva essudazione è considerata<br />

difettosa. La tenerezza dipende dal tipo di muscolo e dagli eventi, che si instaurano<br />

dopo la morte, comprendenti l’insorgenza e la risoluzione <strong>del</strong> rigor. In genere la<br />

tenerezza è direttamente legata alla qualità. La variazione <strong>del</strong>la velocità di consumo <strong>del</strong><br />

glucosio dopo la morte <strong>del</strong>l’animale (glicolisi) incide profondamente sulla qualità.<br />

Questa è essere dovuta a numerosi fattori intrinseci (specie, genotipo, età, tipo e<br />

localizzazione <strong>del</strong> muscolo) ed estrinseci quali la somministrazione di farmaci prima<br />

<strong>del</strong>l’abbattimento, la temperatura durante la glicolisi post-mortem e gli stress causati da<br />

impropri trattamenti, fame, sete, sovraffollamenti e rumori possono influenzare la<br />

qualità <strong>del</strong>la carne. Le carni PSE hanno un’incidenza <strong>del</strong> 10-20% nelle carcasse suine.<br />

Tale valore è in costante aumento a causa di impiego di razze ipermuscolose meno<br />

resistenti agli stress (Poland-China, Pietrain, Landrace). Due geni controllano le<br />

condizioni PSE, regolando la velocità glicolitica post-mortem e il raggiungimento di pH<br />

anormalmente basso. In seguito a questo rapido abbassamento <strong>del</strong> pH (entro 45 minuti)<br />

la carne diventa molle, rosata e umidiccia, perché diminuisce la ritenzione idrica. La<br />

perdita di essudato può essere superiore al 10%. Infatti, mentre a 45 minuti dalla morte<br />

il pH normale <strong>del</strong>la carne di suino è compreso tra 6,4 e 6,5 unità, nella condizione PSE<br />

è < 5,6 unità. Le carni PSE hanno un pH finale di 5,2 - 5,4, mentre quello di carcasse<br />

normali di 5,6 - 5,8. La condizione PSE non permette l’utilizzo <strong>del</strong>la carne per la<br />

produzione di prodotti a base di carne (salami, prosciutti crudi, minor resa in prosciutti<br />

cotti). Le carni DFD sono presenti anche nei suini, ma in questo caso si preferisce<br />

parlare di carni ad alto pH. La luce, a causa <strong>del</strong>l’alto volume <strong>del</strong>le miofibrille, può<br />

penetrare in profondità senza subire dispersione e riporta in superficie il colore rossoporpora<br />

<strong>del</strong>la mioglobina degli strati profondi. Inoltre l’ossigeno stenta a penetrare e di<br />

conseguenza la carne imbrunisce più velocemente. Le carni ad alto pH (> 6,3 dopo 24<br />

ore) sono più scure e più dure, perché più asciutte di quelle normali. In sintesi l’animale<br />

al momento <strong>del</strong>la macellazione è stressato, non ha più riserve di glicogeno e di<br />

conseguenza la glicolisi avviene solo parzialmente lasciando la carne a pH elevato, che<br />

favorisce lo sviluppo di microrganismi alteranti (Brochothrix thermosphacta). Le carni<br />

DFD, trattenendo più acqua rispetto alle altre, sono indicate per prodotti a base di carni<br />

cotte.<br />

64


La genetica <strong>del</strong>l’animale può predisporre alcuni esemplari a manifestare frequentemente<br />

la condizione PSE e contribuire allo sviluppo di muscoli DFD. La PSE è associata con<br />

la condizione <strong>del</strong> porcine stress sindrome (PSS) ereditata attraverso un solo gene<br />

recessivo spesso chiamato gene <strong>del</strong>lo stress. Sapendo che la stima <strong>del</strong>la diminuzione <strong>del</strong><br />

pH post-mortem è circa tre volte più veloce in una carcassa che produrrà carne PSE, può<br />

non essere necessaria la valutazione <strong>del</strong>la presenza o assenza di questo gene.<br />

Un altro fattore di qualità è rappresentato dalla capacità di trattenere l’acqua (WHC:<br />

Water Holding Capacity). Nel tessuto muscolare l’acqua fa parte <strong>del</strong>le proteine, è legata<br />

in multistrato alla superficie <strong>del</strong>le proteine e non è mobilizzabile, o è presente tra i<br />

filamenti spessi e sottili, libera di muoversi secondo la contrazione e il rigonfiamento<br />

<strong>del</strong>le fibre. Questa rappresenta la maggior parte <strong>del</strong>l’acqua <strong>del</strong> muscolo. La quantità<br />

immobilizzata di acqua sotto forma di gel è molto importante nel determinare le<br />

variazioni di WHC durante il processo di conservazione.<br />

Infine esiste anche una parte di acqua (10%), che è presente nello spazio extracellulare,<br />

le cui dimensioni sono inversamente proporzionali al grado di rigonfiamento <strong>del</strong>le fibre<br />

muscolari. La WHC influenza l’aspetto <strong>del</strong>la carne cruda, il suo comportamento durante<br />

la cottura e la succosità alla masticazione. Essa è definita come la capacità, che hanno le<br />

proteine di trattenere, oltre all’acqua di costituzione, la quantità d’acqua aggiunta. Dopo<br />

la morte <strong>del</strong>l’animale si osserva una certa perdita di acqua per gocciolamento dalle<br />

superfici tagliate di fresco. L’incremento di perdita di acqua è un fattore negativo sia in<br />

carni crude per accumulo di trasudato nelle confezioni che in carni cotte, che diventano<br />

dure e secche. Questo difetto rende poco attraente il prodotto, incute nel consumatore il<br />

sospetto di trattamenti con anabolizzanti ed è presente in carni anche prive di<br />

alterazioni, con pH normali e commercializzate dalla grande distribuzione organizzata e<br />

spesso provenienti da produttori garantiti e filiere controllate.<br />

La WHC si riduce con la diminuzione <strong>del</strong> pH a causa <strong>del</strong>l'avvicinamento <strong>del</strong>le<br />

miofibrille, che provoca l’espulsione di acqua perché diminuisce lo spazio tra i<br />

filamenti. La stessa frollatura non è sufficiente a trattenere l’acqua. Infatti durante<br />

questa fase si osserva una perdita consistente di essudato. Inoltre più il pH è acido più la<br />

carne perde essudato. Al contrario, nelle carni a pH alto, come le DFD, l’acqua è<br />

maggiormente trattenuta. Comunque la perdita di una certa quantità di essudato è<br />

normale anche in carni a pH “normali”.<br />

65


Altre variabili, che determinano variazioni di WHC, sono la specie animale, la razza,<br />

l’età, il sesso, la funzione <strong>del</strong> muscolo, i diversi tipi di proteine presenti, la quantità di<br />

grasso intramuscolare. In generale, la carne suina perde meno acqua di quella bovina,<br />

ma molto dipende dal grado di sezionamento <strong>del</strong>la carne. La tecnologia di macellazione<br />

e produzione (modalità di stordimento, elettrostimolazione, il raffreddamento, il disosso<br />

a caldo) influenzano la quantità di essudato <strong>del</strong>le carni. Infine anche le modalità di<br />

confezionamento, le temperature di stoccaggio e di trasporto possono influenzare la<br />

perdita di WHC <strong>del</strong>la carne, che incrementa ulteriormente con la triturazione. Viceversa<br />

il sale e i polifosfati hanno l’effetto opposto.<br />

Il colore <strong>del</strong>la carne dipende dalla concentrazione dei pigmenti muscolari in essa<br />

contenuti, la mioglobina e l’emoglobina; quest’ultima viene rimossa (95%) col<br />

dissanguamento <strong>del</strong>l'animale alla macellazione, mentre la mioglobina resta nelle cellule<br />

muscolari dopo il dissanguamento e tenta di mantenere la sua funzione normale dopo la<br />

morte, ma non riceve molto a lungo ossigeno dall'emoglobina. Il contenuto in<br />

mioglobina è elevato nelle fibre “rosse” e basso nelle fibre “bianche” e di valore medio<br />

nelle fibre miste. I muscoli rossi contengono più <strong>del</strong> 40 % di fibre rosse (semitendinoso<br />

profondo, bicipite femorale interno); i bianchi contengono, invece, meno <strong>del</strong> 30 % di<br />

fibre rosse (Longissimus dorsii, gluteo medio, bicipite femorale esterno, semitendinoso<br />

superficiale). La concentrazione totale di pigmento è uno dei fattori principali che<br />

determinano il colore e l'accettabilità dei prodotti carnei.<br />

Tuttavia la mioglobina e il pigmento emico totale variano secondo la specie animale e<br />

all'interno <strong>del</strong>la specie a secondo il muscolo (muscolo locomotore o di supporto), l'età<br />

<strong>del</strong>l'animale, il sesso. Differenze sono state trovate tra razze diverse e tipo di<br />

allevamento. La mioglobina ha un colore rosso porpora, quello <strong>del</strong>la carne appena<br />

tagliata. Legandosi all’ossigeno si trasforma in ossimioglobina (MbO2), che modifica da<br />

rosso scuro a rosso vivo il colore <strong>del</strong>la carne. Se l'esposizione all'ossigeno è lunga<br />

l’ossimioglobina si ossida e imbrunisce (metmioglobina-Mb + ). L’imbrunimento viene<br />

visto come deterioramento, in realtà interviene prima <strong>del</strong> deterioramento vero e proprio<br />

<strong>del</strong>la carne. A pH bassi l’ossidazione avviene rapidamente.<br />

Nel muscolo a pH basso (PSE), la Mb assorbe poco le onde luminose e il risultato sarà<br />

una carne colore chiaro, perché determinato dagli strati più superficiali, ricchi di<br />

ossimioglobina, mentre in quello a pH alto si ha una minore dispersione <strong>del</strong>la luce, le<br />

66


onde luminose incidenti penetrano più profondamente e ritornano in superficie<br />

riportando il colore degli strati più profondi e il risultato sarà un colore molto scuro.<br />

Nel muscolo fresco refrigerato la metmioglobina, che via via si forma viene<br />

prontamente ridotta a mioglobina e il colore rosso dura per 4 - 5 giorni. I batteri aerobi<br />

sono stati associati alla colorazione marrone, che appare quando i batteri sono nella fase<br />

di crescita logaritmica per l’alta richiesta di ossigeno, riducendo la tensione di ossigeno<br />

alla superficie <strong>del</strong>la carne. I batteri anaerobi facoltativi non causano questo effetto<br />

scolorante perché consumano poco ossigeno. I composti derivanti dal metabolismo<br />

batterico come l’acqua ossigenata e l’acido solfidrico, essendo ossidanti, causano<br />

variazioni di colorazione con tendenza al verde (sulfamioglobina, coleglobina) e al<br />

marrone.<br />

La qualità <strong>del</strong>la carne degli ibridi allevati<br />

Nel corso <strong>del</strong> progetto, è stata valutata e comparata la carne di suini di 2 linee genetiche,<br />

ibridi derivati da incroci di scrofe Large White on verri Duroc o Goland C21. Lo scopo<br />

era di evidenziare quale linea genetica fosse più adatta alla produzione di carne per<br />

prodotti carnei (in realtà carne fresca) o prodotti a base di carne (salami, prosciutti<br />

crudi). La valutazione consisteva in controlli microbiologici e chimico-fisici. I primi<br />

consistevano nella ricerca di Conta microbica totale (CBT), Enterobatteri, Escherichia<br />

coli, Listeria monocytogenes, Salmonella spp. Le analisi chimico-fisiche<br />

comprendevano la valutazione <strong>del</strong> pH, <strong>del</strong>l’Aw, <strong>del</strong>la perdita di essudato (Drip-loss),<br />

<strong>del</strong> colore e <strong>del</strong>le ceneri.<br />

Dai dati è emerso che tutte le genetiche non presentavano differenze significative a<br />

livello di parametri chimico-fisici e microbiologici. Infatti come si evince dalla tabella<br />

1, sia i valori <strong>del</strong> colore valutati attraverso i parametri L*, a* e b* che quelli <strong>del</strong> driploss<br />

(perdita di essudato) presentano medie non significativamente diverse. Per quanto<br />

riguarda i valori di pH, si è notato una uniformità di risultati. I dati ottenuti dimostrano<br />

che la carne di tutte le genetiche è idonea alla trasformazione. I valori di pH compresi<br />

tra 5,6 – 5,8 unità evidenziano che la carne è particolarmente idonea alla trasformazione<br />

per prodotti di salumeria maturati (salami e prosciutti).<br />

I dati microbiologici evidenziano una buona qualità igienico-sanitaria <strong>del</strong>la carne di<br />

tutte le genetiche. Non sono mai state isolate né Salmonella spp. né Listeria<br />

67


monocytogenes. Inoltre le CBT e le popolazioni batteriche rientrano nei criteri proposti<br />

per le carni dai Reg. CE 2073/05 e Reg. CE1441/07. Infine alla luce <strong>del</strong>le analisi<br />

sensoriali e <strong>del</strong> pH le genetiche investigate devono essere considerate PSE-free.<br />

Pertanto non appare evidente alcuna prevalenza qualitativa di una genetica rispetto alle<br />

altre.<br />

Il salame<br />

I salami sono definiti prodotti a base di carne suina, e in base a ricette locali o legati a<br />

particolari territori a base di carne bovina o equina o di altre specie animali. La carne e<br />

il grasso vengono tritati e addizionati di una concia costituita da cloruro di sodio (NaCl,<br />

min. 2,7%), di nitrati e i nitriti e di spezie varie (pepe, peperoncino, aglio). Dopo<br />

impastamento, l’impasto è insaccato in bu<strong>del</strong>li naturali o artificiali (cellulosa o<br />

materiale plastico), che dopo legatura sono posti in celle a disidratare e successivamente<br />

a stagionare. I tempi, le temperature e le umidità relative <strong>del</strong>le fasi di produzione<br />

variano secondo la ricetta, il luogo di produzione, il tipo, il bu<strong>del</strong>lo, il calibro e il peso<br />

<strong>del</strong> salame.<br />

Tabella 1. Caratteristiche qualitative di carni dei due ibridi, derivati da incroci fra<br />

scrofe Large White con verri Duroc o Goland C21<br />

Goland C21 Duroc Media<br />

Parametro Media ds Media ds Media Ds<br />

L* 41,7 6,5 41,5 5,6 41,6 5,9<br />

a* 1,6 4,3 1,1 3,6 1,3 3,9<br />

b* 9,6 3,0 9,8 2,5 9,8 2,7<br />

Drip-loss 1 2,9 1,9 2,3 2,0 2,3 1,9<br />

pH 5,7 0,2 5,7 0,3 5,7 0,2<br />

CBT 2 3,7 1,1 3,3 1,0 3,5 1,1<br />

Enterobatter 3 1,9 1,2 1,9 1,2 1,9 1,2<br />

Coliformi 3 1,6 0,8 1,7 0,9 1,6 0,8<br />

E.coli 3 1,2 0,6 1,2 0,6 1,2 0,5<br />

ds = deviazione standard; 1 = ml/100 g carne; 2 CBT = Conta batterica totale;<br />

3, UFC, unità formanti colonia e in log UFC/g<br />

68


L’Italia ha un’antica tradizione, che si fonda sull’uso di ingredienti e metodologie, che<br />

sono state modificate nel tempo da operatori artigiani e industriali. Ogni regione può<br />

vantare salami tipici con ricette tipiche, anche se spesso l’industria, indipendentemente<br />

dalla sua collocazione, è da tempo in grado di produrre qualsiasi prodotto “tipico”.<br />

Differenze nelle ricette sono osservate tra i salami prodotti al Nord da quelli <strong>del</strong> Sud.<br />

Nel Nord d’Italia si osserva un uso limitato di spezie e droghe (solo pepe e aglio), nel<br />

Sud oltre al pepe e all’aglio si usano peperoni, pomodori, semi di finocchi e aglio.<br />

Differenze sono osservate nella scelta <strong>del</strong> tipo di bu<strong>del</strong>lo, <strong>del</strong> rapporto magro/grasso, <strong>del</strong><br />

tipo di macinatura e <strong>del</strong>la quantità di sale impiegato. Pertanto l’Italia può vantare in un<br />

gran numero di salami tipici, con ricette specifiche derivanti dalla cultura tradizionale<br />

locale o regionale. Alcuni di questi insaccati, come il salame di Varzi, Brianzolo,<br />

Ungherese, Cacciatore, Felino, Milano, Cremonese, tipo Fabriano, piacentino, toscano,<br />

campagnolo, salsiccione, ventricina, come la soppressa coppata, lombata, siciliana,<br />

romana, spianata e calabrese e come le salsicce crude stagionate di Napoli dolce e<br />

piccante e la lucana, sono ormai apprezzati anche a livello europeo o mondiale. Ognuno<br />

ha una propria ricetta, un proprio sapore, una propria tecnologia di produzione, ma tutti<br />

sono prodotti in seguito a stagionature, che variano dai 21 giorni ai 6-12 mesi. Il tempo<br />

e la metodologia di stagionatura influenza il sapore e l’odore (frazione aromatica<br />

volatile), la consistenza, il grado di acidità. In particolare il tempo di<br />

asciugatura/maturazione permette di suddividere i salami in tre categorie: lunga, corta e<br />

media stagionatura o meglio a fermentazione lenta, media e rapida. I salami a corta<br />

stagionatura solitamente sono ottenuti grazie all’intervento di batteri lattici, che<br />

acidificando l’impasto, inibiscono i microrganismi responsabili <strong>del</strong>l’alterazione e i<br />

patogeni. L’acidificazione e la contemporanea disidratazione (perdita di umidità)<br />

permettono la maturazione e danno aroma e stabilità al salame. In tali salami, lo<br />

zucchero eventualmente aggiunto favorisce lo sviluppo di batteri lattici, che liberano<br />

acido lattico e frazioni aromatiche, e conferiscono al salame le caratteristiche chimicofisiche,<br />

microbiologiche e organolettiche desiderate: consistenza, tenuta <strong>del</strong>la fetta,<br />

colore e aroma. La velocità di fermentazione dei batteri lattici, strettamente legata alla<br />

temperatura e alle umidità relative impiegate, produce una rapida diminuzione <strong>del</strong> pH,<br />

la coagulazione <strong>del</strong>le proteine con conseguente tenuta <strong>del</strong>la fetta, un colore rosato per<br />

reazione <strong>del</strong> nitrito con la mioglobina (nitrosilmioglobina). Tuttavia non sempre il<br />

consumatore italiano apprezza tali salami perché la consistenza è gommosa e al gusto<br />

69


l’acidità prevale sull’aroma. In altre parole i salami ottenuti con fermentazione rapida<br />

sono acidi e poco aromatici. Viceversa i salami a media e a lunga stagionatura (oltre i<br />

30 giorni) sono poco acidi e molto aromatici. La stagionatura avviene lentamente, la<br />

variazione <strong>del</strong> pH è limitata. Il valore di pH più basso è di 5,2 – 5,3 unità, valore che<br />

viene raggiunto circa dopo 10-15 giorni. Lentamente il pH risale fino a fine maturazione<br />

raggiungendo valori di 5,5 – 5,6. In questo modo la tenuta <strong>del</strong>la fetta è buona, non si<br />

sbriciola al taglio. Inoltre già dopo 4 settimane, la consistenza è plastica e non elastica e<br />

il colore è rosso carico, dovuto alla produzione di nitrosilmioglobina e a un ambiente<br />

ridotto. In questa tipologia la maturazione è svolta da cocchi coagulasi negativi catalasi<br />

positivi (CNCPC, Staphylococcus carnosus, St. xilosusu, Kocuria spp.) e da lattobacilli.<br />

I primi producono molecole antiossidanti, lipasi e proteasi che liberano aromi, i secondi<br />

fermentano gli zuccheri naturali o aggiunti e liberano acidi organici, che inibiscono lo<br />

sviluppo dei microrganismi alteranti e patogeni. Parallelamente all’attività batterica<br />

interviene l’asciugatura, che disidrata il salame e conseguentemente si osserva un<br />

aumento <strong>del</strong>la concentrazione salina, che abbassa l’attività <strong>del</strong>l’acqua (Aw).<br />

I CNCPC riducono il nitrato a nitrito, che ha un’azione inibente nei confronti <strong>del</strong>la flora<br />

saprofita e alterante e <strong>del</strong> Clostridium botulinum. Le fasi di produzione <strong>del</strong> salame<br />

comprendono: scelta <strong>del</strong>la carne e <strong>del</strong> grasso, preparazione degli ingredienti e degli<br />

additivi; preparazione degli impasti; insacco; stufatura; asciugamento; stagionatura. I<br />

tempi, le temperature e le umidità relative di ogni fase cambiano secondo la tipologia di<br />

salame, artigianale e industriale, anche se oggi le differenze sono minime o trascurabili.<br />

Infatti l’artigiano utilizza materie prime, ingredienti e una tecnologia, che non hanno<br />

nulla da invidiare alla media o alla grossa industria.<br />

Di seguito riportiamo un esempio di produzione <strong>del</strong> salame:<br />

1) Scelta <strong>del</strong>la carne e <strong>del</strong> grasso. Si usa carne fresca di animali maturi (esempio spalle<br />

disossate, snervate/sgrassate, magro di prosciutto, ton<strong>del</strong>li, refili di pancetta e di altri<br />

prodotti di salumeria). La carne, tenuta a -2°C, non deve presentare patine viscide, odori<br />

anormali, e deve essere di colore rosso-rosa. Il pH deve essere compreso tra 5,6 – 5,8 e<br />

mai superiore a 6,2 e un Aw pari a 0,98. Deve avere una carica microbica compresa tra<br />

10 3 e 10 4 UFC/g o cmq, raramente viene utilizzata carne con carica microbica superiore.<br />

Il grasso, di colore bianco, deve essere duro (pancetta scotennata, grasso di prosciutto,<br />

guanciale, gola scotennata, lardo, ecc.) cioè povero di acidi grassi insaturi, deve essere<br />

privo di oleosità e di odori anormali. Il suo punto di fusione deve essere superiore a<br />

70


28°C. In caso di utilizzo di grassi molli, il prodotto è scadente, perché intervengono<br />

smelmature: il grasso cola sul magro e quindi rallenta la disidratazione. Per i salami a<br />

grana fine si preferisce il grasso di gola, per quelli a grana grossa il grasso di pancetta.<br />

2) Scelta degli ingredienti/additivi. La scelta dipende dalla tipologia di prodotto, dalla<br />

ricetta e dall’area luogo di produzione. In ogni caso possono comprendere: sale,<br />

zuccheri (D.M. 22/1/1987, n. 463), nitrito e/o nitrato, pepe, paprika, peperoncino, aglio.<br />

Tra gli ingredienti troviamo anche gli starter: batteri lattici, CNCPC, muffe (Penicillium<br />

nalgiovense; P. chrysogenum) e lieviti (Debaryomyces hansenii). Il Decreto<br />

Ministeriale 28.12.1994 permette l’aggiunta di starter (Lactobacillus, Pediococcus,<br />

Micrococcus, Debaryomyces, Staphylococcus xilosus, S. simulans, S. carnosus), allo<br />

scopo di standardizzare o migliorare la produzione, accelerare la fermentazione,<br />

modificare la consistenza e la presentazione <strong>del</strong> prodotto. Si usano starter a base di<br />

CNCPC per salami a fermentazione lenta, mentre a base di<br />

lattobacilli/micrococchi/staphylococci, di pediococchi/micrococchi/ staphylococci o<br />

colture singole di lattobacilli e pediococchi per salami a rapida fermentazione.<br />

Concentrazione massima di inoculo 10 6 -10 7 UFC/g. In caso di aggiunta di starter è<br />

d’obbligo l’impiego di zucchero (destrosio, fruttosio, saccarosio, lattosio, e loro<br />

miscele, min. 0,1%, max. 1,5%). Per favorire un rapido sviluppo <strong>del</strong>la popolazione dei<br />

batteri lattici si aggiunge dallo 0,4 allo 0,8% di zuccheri. Il sale deve essere aggiunto in<br />

ragione <strong>del</strong> 2,7 – 3,0%. Tale concentrazione blocca i batteri alteranti e favorisce lo<br />

sviluppo di quelli utili alla fermentazione. Il sale permette l’estrazione <strong>del</strong>le proteine<br />

sale solubili, che formando un gel e favoriscono la tenuta <strong>del</strong>la fetta. Il nitrito e il nitrato<br />

(KNO3 e NaNO2), oltre a favorire lo sviluppo <strong>del</strong> colore, hanno un effetto antiossidante.<br />

L’aggiunta <strong>del</strong> nitrato favorisce lo sviluppo di nitrato riduttori (CNCPC); microrganismi<br />

responsabili <strong>del</strong>l’aroma.<br />

Tra gli additivi usati per prevenire ossidazioni e stabilizzare il colore troviamo l’acido<br />

ascorbico e i suoi sali. Tra le spezie troviamo il pepe bianco, rosso o nero, intero<br />

spezzato o in polvere (0,2 – 0,3%), il peperoncino, l’aglio e la paprika.<br />

3) Preparazione impasto e insacco. Il grasso (1/3), la carne (2/3) vengono triturati e<br />

impastati, fino ad ottenere un amalgama ben omogenea e ben legata. La temperatura<br />

<strong>del</strong>la carne e <strong>del</strong> grasso prima <strong>del</strong>la triturazione in tritacarne o in cutter deve essere<br />

rispettivamente di 0, -4°C e – 6, -3°C. Entrambi non devono superare durante la tritatura<br />

la temperatura di 7°C, per evitare smelmature e lo sviluppo di salmonelle e di psicrotrofi<br />

71


alteranti. Dopo triturazione si ha l’aggiunta <strong>del</strong> sale e degli additivi/ingredienti. Dopo si<br />

procede con l’impastamento e quindi l’impasto deve essere lasciato in marne per un<br />

tempo massimo di 18 - 24 ore a 0 - 2°C per favorire la diffusione <strong>del</strong>la concia nelle parti<br />

magre e la formazione di nitrosomioglobina responsabile <strong>del</strong> tipico colore rosso dei<br />

salami. Quindi l’impasto viene insaccato in bu<strong>del</strong>li naturali (torto bovino da intestino<br />

tenue, dritto da colon, cieco, gentile da retto) o artificiali (collagene ricostituito,<br />

cellulosici o di materiali plastici-poliammidi, poliesteri, eccetera), in sottovuoto per<br />

evitare che rimangano bolle d’aria, responsabili di ossidazioni.<br />

4) Stufatura/asciugatura. I salami, disposti su bastoni e grate, sono posti in celle a<br />

temperature di 24°C a U.R. massime (85 - 90%). Si dice che il salame faccia la “sauna”.<br />

Questa fase è necessaria perché l’impasto a cuore deve raggiungere la temperatura, che<br />

si userà in cella di asciugatura. Al massimo è permessa una differenza di 3°C tra<br />

l’impasto e l’ambiente esterno. Dopo insacco non si può subito disidratare, pena<br />

l’insorgenza di incrostamenti superficiali. Se lo strato di impasto attaccato al bu<strong>del</strong>lo si<br />

incrosta non sarà più possibile disidratare il prodotto in maniera omogenea, e<br />

conseguentemente si osserverà internamente uno sviluppo anomalo di germi<br />

acidificanti, alteranti e/o patogeni. Segue l’asciugatura. Questa è una fase <strong>del</strong>icata e<br />

fondamentale perché porta a stabilizzare il prodotto. Le principali modificazioni<br />

chimico-fisiche profonde dovute alla disidratazione e all’intervento dei microrganismi<br />

naturalmente presenti o aggiunti come starter intervengono in questa fase. Occorre<br />

severamente controllare la temperatura e l’umidità relativa. Temperature e U.R.<br />

appropriate producono una riduzione <strong>del</strong>l’umidità e quindi <strong>del</strong>l’Aw <strong>del</strong> salame e<br />

permettono lo sviluppo di CNCPC e batteri lattici, responsabili <strong>del</strong>la produzione di<br />

acidità e aromi e di conseguenza <strong>del</strong>la maturazione <strong>del</strong> prodotto. Infatti temperature<br />

iniziali di 25 - 28°C favoriscono lo sviluppo di pediococci e una rapida acidificazione,<br />

mentre temperature iniziali di 18 - 24°C favoriscono lo sviluppo dei CNCPC e dei<br />

lattobacilli. La regola aurea <strong>del</strong>la fase di asciugatura implica una temperatura iniziale di<br />

24°C, che diminuisce di 2°C/giorno fino a fine asciugatura, quanto viene raggiunta la<br />

temperatura di 12 - 13°C. Le U.R. variano dal 65 al 85%, e ciò permette una<br />

disidratazione omogenea <strong>del</strong> prodotto. I salami prodotti senza l’impiego di temperature<br />

e U.R. controllate vengono asciugati in ambienti (cantine o stanze) a temperatura<br />

costante (esempio 14 °C) e di conseguenza i tempi si allungano fino a qualche mese. In<br />

caso di ambiente secco è buttata <strong>del</strong>l’acqua sul pavimento di questi ambienti. Alla fine<br />

72


<strong>del</strong>l’asciugatura il salame deve aver subito un calo peso di almeno il 18% e avere un<br />

Aw di 0,92 – 0,93. Ciò indipendentemente dal tipo di prodotto, che si vuole ottenere.<br />

Tali valori di Aw stabilizzano il salame e impediscono lo sviluppo di qualsiasi<br />

microrganismo patogeno o alterante. In questa fase cominciano a sviluppare le muffe<br />

sul bu<strong>del</strong>lo; muffe che svolgono diverse azioni: impedire ossidazione <strong>del</strong> grasso,<br />

favorire gli scambi di umidità con l’esterno, liberare enzimi proteolitici e lipolitici, che,<br />

una volta nell’impasto, favoriscono la maturazione. Le muffe e i lieviti, in realtà, si<br />

sviluppano sui bu<strong>del</strong>li anche durante tutta la stagionatura.<br />

5) La stagionatura. La stagionatura è la fase nella quale avvengono tutte le principali<br />

modificazioni <strong>del</strong>le caratteristiche sensoriali dei salami. In questa fase vengono<br />

utilizzate temperature di 10 - 12°C per i salami a grana fine; mentre 12 - 14°C per gli<br />

altri. L’U.R. <strong>del</strong>le camere di stagionatura è diversa da quella utilizzata in asciugatura.<br />

L’U.R. varia tra il 70 e il 85% e solo nella fase finale può raggiungere il 65%.<br />

Importante in queste celle che l’aria circoli ed eviti il ristagno di umidità sulla superficie<br />

<strong>del</strong> salame e lo sviluppo abnorme di muffe gialle o verdi, produttori di Ocratossina<br />

(Aspergillus ochraceus e Penicillium nordicum). Comunque i tempi, le temperature e le<br />

U.R. di stagionatura dipendono dal tipo di prodotto e dal calibro. In questa fase<br />

l’impasto subisce una serie di trasformazioni fisiche, chimiche e microbiologiche, che<br />

gli conferiscono gusto, sapore, aroma e stabilità. In sintesi: l’impasto diventa rosso<br />

(nitrosomioglobina), si rassoda e diventa plastico. L’Aw si abbassa al di sotto di 0,92, il<br />

calo peso raggiunge il 30%, il pH si innalza fino a valori di 5,5 a 5,7, a causa<br />

<strong>del</strong>l’effetto tamponante svolto dagli aminoacidi e dall’ammoniaca liberata, i lipidi sono<br />

idrolizzati ad acidi grassi e quindi ad aldeidi e chetoni, precursori <strong>del</strong>l’aroma. In tali<br />

trasformazioni rientra anche l’attività di microrganismi quali CNCPC e lattobacilli<br />

(Lactobacillus plantarum, L. sakei e L. curvatus). Infine il salame acquisisce l’aroma<br />

tipico caratterizzato dal sale, dalle spezie e dall’attività <strong>del</strong>le popolazioni batteriche e di<br />

enzimi propri <strong>del</strong>la carne. L’aroma dei salami a fermentazione rapida è strettamente<br />

dipendente dalla presenza <strong>del</strong> sale e dagli acidi lattico e acetico, mentre quello dei<br />

salami a lunga stagionatura dalla presenza di aldeidi ramificate, chetoni, acidi grassi a<br />

corta catena, prodotti dalla demolizione dei lipidi e in parte da aminoacidi. Le stesse<br />

lipasi <strong>del</strong>la carne e <strong>del</strong> grasso assieme a quelle dei CNCPC degradano i lipidi a mono e<br />

digliceridi e acidi grassi saturi e insaturi, che sono poi trasformati in carbonili e in acidi<br />

grassi a corta catena. I mono e digliceridi sono responsabili <strong>del</strong>la tenuta <strong>del</strong>la fetta.<br />

73


Alcuni produttori evitano l’uso di starter. Ciò non pregiudica la qualità <strong>del</strong> prodotto<br />

finito, perché si sfruttano i microrganismi starter naturalmente presenti nelle carni.<br />

Infatti un severo controllo dei parametri quali U.R., temperature, velocità <strong>del</strong>l’aria, e<br />

una scelta oculata <strong>del</strong>le materie prime e degli ingredienti/additivi permette di ottenere<br />

buoni salami senza ricorrere all’uso di starters aggiunti, anche se la loro aggiunta<br />

permette di standardizzare, migliorare la produzione o correggere errori tecnologici o<br />

umani.<br />

6) La Conservazione. A fine stagionatura il salame “maturo” è ricoperto di muffe, che<br />

sono intervenute nella maturazione. Da decenni queste muffe sono eliminate attraverso<br />

spazzolature o spazzolature e lavaggi. Il salame viene, poi, infarinato con farina di riso,<br />

etichettato e confezionato in materiale plastico forato o in atmosfera modificata e<br />

conservato a temperature comprese tra i 4 e gli 8°C con umidità relativa compresa tra 70<br />

e 80%, in maniera da impedire una ulteriore disidratazione.<br />

Il prodotto è comunque stabile avendo un’Aw massima di 0,92.<br />

7) Qualità <strong>del</strong> salame. La qualità <strong>del</strong> salame è valutata attraverso analisi sensoriali e<br />

attraverso analisi chimico-fisiche e microbiologiche. L’analisi sensoriale basata su saggi<br />

ispettivi e organolettici comprende il controllo dei suddetti parametri: aspetto esterno<br />

(controllo colore, margini, bu<strong>del</strong>lo), aspetto interno (grana, aspetto, colore), odore<br />

(specifico, equilibrato, pronunciato), gusto (specifico, <strong>del</strong>icato, aromatico, equilibrato) e<br />

consistenza (specifica, buona, ferma, tenera, molto gradevole). Tali parametri sono<br />

soggettivi e devono essere valutati da persone esperte.<br />

Il salame deve essere salubre e pertanto non deve contenere germi patogeni quali L.<br />

monocytogenes, Salmonella o E. coli patogeni. La tecnologia di produzione applicata<br />

impedisce la presenza e lo sviluppo di tali microrganismi. Inoltre col procedere <strong>del</strong>la<br />

maturazione e col raggiungimento di valori di Aw inferiori a 0,92 tali microrganismi<br />

sono inattivati.<br />

I caratteri chimico-fisici comprendono: umidità, grasso, proteine totali, pH, ceneri,<br />

zuccheri e sali e dai loro rapporti.<br />

74


La qualità dei salami degli ibridi allevati<br />

Sono stati prodotti salami utilizzando 3 tipologie di linee genetiche: A) ibridi derivati da<br />

scrofe Large White e verri Duroc; B) ibridi derivati da scrofe Large White e verri<br />

Goland C21; C) ibrido commerciale di suino pesante generalmente utilizzato nello<br />

stabilimento di lavorazione. Lo studio è stato svolto in 4 salumifici: 1) Salumificio<br />

Pantarotto a San Vito Al Tagliamento; 2) Morgante Salumi a Romans d’Isonzo; 3)<br />

Larice Carni ad Amaro; 4) Salumificio F.lli Uanetto a Castions di Strada. I salami sono<br />

stati prodotti secondo ricetta tradizionale e la tecnologia di produzione di ciascun<br />

salumificio e maturati fino al 60 giorno. E’ stato eseguito un controllo tecnologico <strong>del</strong>la<br />

fase di asciugatura e maturazione.<br />

Dopo 0, 3, 10, 20, 30, 45 e 60 giorni sono stati prelevati 3 campioni che sono stati<br />

analizzati attraverso metodiche microbiologiche, chimico-fisiche. A 60 giorni (fine<br />

maturazione) sono stati prelevati 9 campioni e analizzati attraverso metodiche<br />

sensoriali.<br />

I parametri valutati hanno compreso:<br />

1) L'evoluzione microbica: Conta Batterica Totale (CBT); Batteri lattici (LAB);<br />

Cocchi Coagulasi Negativi Catalasi Positivi (CNCPC); E. coli; Enterobacteriaceae;<br />

Staphylococcus aureus; Enterococci; Lieviti e muffe; Salmonella; Listeria<br />

monocytogenes.<br />

2) Le variabili chimico-fisiche: pH; Aw; Umidità; Analisi centesimale; Analisi<br />

composti volatili; Ammine biogene.<br />

3) L’analisi sensoriale: Appetibilità esteriore, Colore, Lucidità, Omogeneità fetta,<br />

Incrostazioni, Grani pepe, Odore acido, Odore rancido, Odore pepe, Elasticità, Durezza,<br />

Coesione fetta, Gusto salato, Gusto acido, Retrolfatto carne cruda, Retrolfatto pepe,<br />

Retrolfatto rancido.<br />

L’andamento <strong>del</strong>le popolazioni microbiche e <strong>del</strong>la componente chimico-fisica è stato<br />

pressoché simile sia tra le genetiche che tra i salumifici considerati (Figure 1-12).<br />

75


Figura 1. Andamento popolazione dei Cocchi Coagulasi negativi Catalasi positivi<br />

Figura 2. Andamento popolazione dei lieviti<br />

76


Figura 3. Andamento popolazione <strong>del</strong>la carica batterica totale<br />

Figura 4. Andamento popolazione enterococci<br />

77


Figura 5. Andamento popolazione Staphylococci coagulasi positivi<br />

Figura 6. Andamento popolazione Escherichia coli<br />

78


Figura 7. Andamento popolazione coliformi<br />

Figura 8. Andamento popolazione batteri lattici<br />

79


Figura 9. Andamento popolazione Clostridi solfito riduttori<br />

Si è osservato un incremento di quelle popolazioni microbiche utili ai fini <strong>del</strong>la<br />

maturazione. Infatti i CNCPC sono cresciuti entro tre giorni dall’insacco e poi sono<br />

rimasti costanti fino alla fine, stesso andamento è stato osservato per i LAB. Questi<br />

hanno raggiunto nei primi tre giorni valori superiori a 7x10 7 UFC/g e poi, con brevi<br />

variazioni hanno continuato la loro attività fino a fine maturazione (45 - 60 giorni.) I<br />

CNCPC sono stati responsabili <strong>del</strong>la produzione <strong>del</strong>l’aroma, cosa <strong>del</strong> resto osservata<br />

con lo studio dei composti volatili presenti negli insaccati; ed hanno svolto anche<br />

un’importante opera di nitrato riduzione, che ha portato alla stabilità <strong>del</strong> colore. I LAB,<br />

invece, hanno in un primo tempo svolto la loro azione acidificante, che ha impedito lo<br />

sviluppo di batteri responsabili <strong>del</strong>l’alterazione e i potenziali patogeni. Quindi,<br />

considerando l’aroma, si può pensare che anche i LAB siano intervenuti nella<br />

produzione dei composti volatili.<br />

80


I potenziali patogeni e gli alteranti (E. coli, enterobacteriaceae, Staphylococcus aureus,<br />

enterococci) non si sono sviluppati, anzi nel tempo la loro concentrazione è andata a<br />

diminuire. Tale mancata crescita è dimostrata dalla bassa concentrazione di ammine<br />

biogene osservata. Queste molecole sono prodotte principalmente da enterobacteriaceae<br />

e da enterococci e sono ritenute tossiche. Non è stata osservata la presenza di<br />

Salmonella e di Listeria monocytogenes. I lieviti sono cresciuti in maniera sensibile<br />

negli impasti e molto probabilmente hanno influenzato in positivo l’aroma finale e ciò<br />

ha permesso al pH di risalire in maniera da togliere il gusto aspro, che solitamente<br />

presentano i salami friulani o meglio i salami acidi. Pertanto si può dire che<br />

l’andamento <strong>del</strong>le popolazioni microbiche è stato da manuale in tutte le produzioni<br />

eseguite indipendentemente dalla genetica <strong>del</strong>la carne utilizzata. Per quanto riguarda il<br />

calo peso a fine maturazione si sono osservati cali <strong>del</strong> 34 - 39%, indipendentemente<br />

dalla genetica utilizzata e dal salumificio. Ciò ha permesso una diminuzione <strong>del</strong>l’Aw al<br />

di sotto <strong>del</strong>lo 0,90. Di conseguenza tutti i salami hanno raggiunto una stabilità tale da<br />

permetterne la conservazione in ambienti secchi e a temperature fresche (10 - 15 °C) e<br />

soprattutto da impedire lo sviluppo di microrganismi patogeni. Il pH inizialmente è<br />

sceso al disotto di 5,2 unità, sensibili variazioni sono osservate a livello di laboratorio di<br />

produzione, per poi risalire in seguito all’attività maturativa espresso sia dai CNCPC<br />

che dai LAB. I valori finali di pH si sono attestati sopra le 5,6 unità. Procedendo la<br />

maturazione fino a 60 giorni, il pH è risalito fino a valori in alcuni laboratori di<br />

produzione oltre le 6,0 unità. L’analisi dei composti volatili ha evidenziato undici classi<br />

di composti: acidi carbossilici, alcoli, aldeidi, chetoni, composti solforati, esteri, fenoli,<br />

furani, idrocarburi aromatici, lattoni e terpeni.<br />

81


Figura 10. Andamento <strong>del</strong>l’Attività <strong>del</strong>l’acqua (Aw)<br />

Figura 11. Andamento <strong>del</strong> pH<br />

82


Figura 12. Calo peso<br />

Sono state osservate minime variazioni tra le genetiche e i laboratori di produzione. In<br />

alcuni casi tali variazioni sono dipese dalla concentrazione <strong>del</strong>le spezie aggiunte (es. per<br />

i terpeni), in altri casi dal processo maturativo. Tuttavia la presenza di un’ottima<br />

componente volatile ha influito sulla qualità sensoriale dei salumi. Infine le ammine<br />

biogene sono presenti in tutte le genetiche e in tutte le produzioni, ma a livello<br />

accettabile; anzi la loro concentrazione è così bassa, da non comportare alcuna influenza<br />

sulla salubrità dei prodotti. L’analisi sensoriale ha evidenziato alcune differenze tra le<br />

genetiche (Figure 13, 14, 15). In particolare per alcune produzioni gli assaggiatori<br />

hanno preferito i salami prodotti con gli ibridi Duroc x Large White, altri con quelli<br />

derivati da suini Goland C21 x Large White ed altri ancora con quelli ottenuti<br />

dall’ibrido tradizionale. Tuttavia le variazione nell’analisi sensoriale sono strettamente<br />

dipendenti dal laboratorio di produzione.<br />

83


Figura 13. Analisi sensoriale salumificio L<br />

Figura 14. Analisi sensoriale salumificio U<br />

84


Figura 15. Analisi sensoriale salumificio M<br />

Nei Salumifici U ed L ad esempio, la genetica Duroc x Large White è stata preferita<br />

sulle altre per il colore e la lucidità <strong>del</strong>la fetta, per la componente aromatica legata alle<br />

spezie e per il basso sentore di rancido. Nel salumificio P sono stati preferiti ad ogni<br />

livello di carattere i salami prodotti con la genetica Duroc x Large White. Infine nel<br />

salumificio M gli assaggiatori non hanno osservato grandi differenze tra le genetiche.<br />

Pertanto in conclusione possiamo affermare che le carni di tutte le genetiche hanno<br />

permesso di produrre buoni salami; sembra che la genetica Duroc x Large White sia<br />

leggermente superiore e il suo impiego lascia ben sperare nel miglioramento <strong>del</strong>la<br />

qualità totale dei salami tipici friulani.<br />

85


Il prosciutto crudo<br />

Il prosciutto crudo è un prodotto a base di carne costituito da coscia suina salata e<br />

lasciata maturare nel tempo per acquisire aroma e sapore. Il prosciutto di San Daniele è<br />

tra i più conosciuti nel mondo, di gran lunga il migliore in Italia, ha forma a chitarra,<br />

mantiene il piedino (parte distale), che viene lasciato sul prodotto finito. E’ prodotto con<br />

l’aggiunta di solo sale e maturato oltre i 13 mesi. Deriva dalla tradizione artigianale, ma<br />

la sua produzione è stata migliorata dalla moderna industria. E’ ottenuto con cosce<br />

fresche di suino pesante (kg 150-180) provenienti da allevamenti e macelli <strong>del</strong>le regioni<br />

Friuli Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Umbria,<br />

Toscana, Marche, Abruzzo e Lazio. Al momento <strong>del</strong> ricevimento le cosce sono<br />

sottoposte a controlli <strong>del</strong> personale <strong>del</strong> INEQ che appone su quelle ritenute idonee un<br />

premarchio, un sigillo a fuoco che riporta la dicitura DOT e la data completa di inizio<br />

produzione.<br />

Di seguito riporto le principali fasi produttive:<br />

Scelta <strong>del</strong>le carni. La coscia è ispezionata visivamente assieme ai certificati di<br />

accompagnamento utilizzando i parametri <strong>del</strong> Disciplinare DOP. Si controlla la<br />

temperatura di consegna, il pH e il peso, che non deve essere inferiore a kg 12 dopo<br />

rifilatura. La carne deve presentare un colore rosso brillante, un pH compreso tra 5,6 –<br />

5,8 e non deve perdere acqua in eccesso. Il grasso deve essere bianco e avere uno<br />

spessore superiore a 1,5 cm sopra la testa <strong>del</strong> femore.<br />

Rifilatura. La coscia viene toelettata in maniera da asportare le parti grasse o di magro<br />

eccedenti senza danneggiare i muscoli e la cotenna.<br />

Massaggiatura. Si massaggiano le cosce con massaggiatrici a rulli al fine di favorire la<br />

fuoriuscita <strong>del</strong> sangue residuo dai vasi sanguigni, in quanto il ristagno di esso potrebbe<br />

favorire lo sviluppo di microrganismi (difetto di vena).<br />

Salatura. E’ la fase più critica <strong>del</strong>la produzione <strong>del</strong> prosciutto. Il muscolo esposto viene<br />

ricoperto da una quantità sufficiente di sale. La “regola aurea” derivante dalla tradizione<br />

<strong>del</strong> San Daniele prescrive che la coscia resti “sotto sale” un giorno per ogni<br />

chilogrammo di peso. Il sale è cosparso in quantità limitata anche sulla cotenna. Le<br />

cosce sono lasciate in cella a 2 - 3°C con U.R. 90 - 95% fino a fine salatura. Viene<br />

eseguita una salatura, togliendo il sale <strong>del</strong>la prima salatura e, dopo massaggio,<br />

aggiungendone di fresco. Tuttavia il tempo di sotto sale totale deve rispettare la regola<br />

86


aurea. Alle temperature impiegate, il sale penetra più lentamente e in maniera più<br />

omogenea rispetto all’impiego di temperature più alte (20°C), ma ciò evita lo sviluppo<br />

microbico. Si utilizzano temperature di salatura attorno a 2 - 4 °C, proprio per evitare<br />

uno sviluppo incontrollato di enterobatteri, che sfruttano il sangue ristagnato in vene e<br />

arterie e la bassa concentrazione <strong>del</strong> sale. Si utilizza solo sale a granulometria media<br />

senza nitriti e nitrati. Il prosciutto crudo deve il suo colore tipico alla stabilizzazione dei<br />

pigmenti <strong>del</strong>la carne, quali la mioglobina e l’ossimioglobina, che sono denaturate per<br />

effetto di agenti denaturanti (sale, ridotta concentrazione di acqua). Il pigmento finale<br />

ottenuto è di colore rosso profondo, detto globinmioemocromogeno, nel quale lo stato<br />

<strong>del</strong> ferro è Fe +2 , lo stato <strong>del</strong> nucleo di ematina è intatto, la globina è denaturata<br />

(staccata).<br />

Pressatura.E’ utilizzata per favorire la fuoriuscita di liquidi (sangue) dall’arteria<br />

femorale, dalle sue derivazioni venose e dalle parti di maggior sgrondo <strong>del</strong>la coscia<br />

(zona <strong>del</strong>l’anchetta). Inoltre conferisce alla coscia la tipica forma a chitarra.<br />

Preriposo e Riposo. La fase di preriposo deve essere effettuata a 4 o 6°C, a U.R.<br />

comprese tra il 70 - 75% o 80 - 85% a seconda <strong>del</strong>la pezzatura <strong>del</strong>le cosce. Il prodotto è<br />

ancora a rischio microbico. La sua durata media è di 21 - 25 giorni ed ha lo scopo di<br />

continuare la disidratazione iniziata con la salatura. La fase di riposo è effettuata a 4 -<br />

8°C, a U.R. <strong>del</strong> 70 - 75% o 80 - 85% e dura 60 - 70 giorni e cioè il tempo necessario al<br />

raggiungimento di una concentrazione salina interna <strong>del</strong> 4,0 - 4,5%. Importante in<br />

queste fasi il controllo <strong>del</strong>le temperature e <strong>del</strong>le umidità relative, che se troppo alte,<br />

possono favorire lo sviluppo di ammuffimenti superficiali.<br />

Toelettatura. Operazione manuale attraverso l’ausilio di apparecchi elettrici o di coltelli.<br />

Ha lo scopo di asportare e rifilare la parte sporgente <strong>del</strong>l’anchetta, di ripulire la zona<br />

circostante la testa <strong>del</strong> femore e di favorire la fuoriuscita di umidità.<br />

Rinvenimento e Lavaggio. Operazioni consistenti in una docciatura <strong>del</strong>la durata di 2/3<br />

ore con acqua e aria miscelate e nebulizzate (120 Atm, 50°C) allo scopo di asportare la<br />

patina superficiale, la “molliga”.<br />

Asciugamento. Operazione effettuata a 20-27°C, a U.R. <strong>del</strong> 90% per 7 giorni.<br />

Pre-stagionatura. In questa fase il prosciutto è stabile per cui possono essere utilizzate<br />

temperature nettamente positive (oltre i 12°C). Dura 35 - 40 giorni; le temperature<br />

impiegate dipendono dalle dimensioni dei prosciutti e comunque sono comprese tra i 12<br />

e i 19°C, mentre le U.R. tra 75 e 90%. L’impiego di U.R. inadeguate o di impianti che<br />

87


favoriscono il ristagno di umidità tra i filari di prosciutti comporta lo sviluppo massivo<br />

superficiale di muffe (Eurotium, Aspergillus, Penicillium, Mucor, Fusarium,<br />

Cladosporium).<br />

Stuccatura e Sugnatura. Eseguite verso e oltre il settimo mese dalla salatura. Entrambe<br />

le operazioni consistono nel distribuire sulla superficie piatta <strong>del</strong>la coscia, nelle<br />

screpolature e nella fascia muscolare scoperta, un preparato a base di sugna addizionato<br />

di cloruro di sodio, pepe e farina di cereali. Detti impasti hanno il compito di<br />

ammorbidire la superficie esposta <strong>del</strong> muscolo in modo tale da assicurare un processo<br />

osmotico tra questa e l’ambiente esterno.<br />

Stagionatura. E’ la fase in cui è ottenuta la maturazione ed il raggiungimento di una<br />

buona aromatizzazione <strong>del</strong> prodotto, attraverso un processo tecnologico che implica<br />

variazioni di umidità, di temperature e ricambi d’aria. L’operazione dura dagli 8 ai 16<br />

mesi ed è eseguita in locali arieggiati naturalmente oppure forniti d’impianti di<br />

climatizzazione. A fine stagionatura il prosciutto crudo deve avere un peso non inferiore<br />

a 7 - 9 kg.<br />

La maturazione è un processo lento e di sola natura enzimatica tissutale, a carico di<br />

grasso intermuscolare, grasso di copertura, proteine, zuccheri (glicogeno). La proteolisi<br />

(catepsine, calpaine, proteasi Ca-dipendenti) si esprime con un aumento <strong>del</strong>l’azoto non<br />

proteico, di origine endogena. Il numero dei batteri all’interno <strong>del</strong>le masse muscolari è<br />

basso. Inoltre le lipasi tissutali e fenomeni di autoossidazione degradano i grassi in<br />

molecole aromatiche (aldeidi, chetoni, esteri, ecc.). La stabilità <strong>del</strong> prodotto è dato dal<br />

sale e dalla disidratazione/maturazione, che permette il raggiungimento di un Aw<br />

inferiore a 0,91.<br />

Confezionamento e imballaggio. A fine maturazione il prosciutto crudo può essere<br />

disossato, messo in stampi e commercializzato in toto o sezionato in tranci e<br />

confezionato in sottovuoto. Può essere commercializzato anche affettato, ma in questo<br />

caso viene disossato, stampato in forma di mattonella, congelato a -11°C, affettato e<br />

confezionato in film plastici o in sottovuoto o in MAP (CO2 20 - 30%; N2 70 - 80%; O2<br />

residuo < 0,3%). Ogni tipologia di prodotto (intero, tranci, affettato) deve essere<br />

conservata a 4°C. La shelf-life varia da 6 mesi per i prodotti in toto o in tranci e a 120<br />

giorni per l’affettato. Poi il prodotto va incontro ad alterazioni chimico-fisiche<br />

(acidificazione, scoloramento). L’attività microbica durante la conservazione è assente<br />

perché il prosciutto ha un’Aw < 0,91.<br />

88


La qualità dei prosciutto crudo degli ibridi allevati<br />

Sono stati valutati prosciutti crudi di 2 linee genetiche: A) Duroc X Large White; B)<br />

Goland C21 x Large White. Lo scopo era di evidenziare quale linea genetica fosse più<br />

adatta alla produzione di prosciutti crudi. In totale sono stati analizzati 100 prosciutti<br />

crudi.<br />

Di ciascun campione sono state analizzate 3 fette di 1 cm di spessore (area Bicipite<br />

femorale, Semitendinoso e Semimembranoso o parte utilizzata dal Consorzio per<br />

validare DOP). Le analisi comprendevano analisi chimiche e analisi chimico-fisiche<br />

Umidità, Proteine, Grassi, NaCl, calo peso e indice di proteolisi.<br />

Tabella 2. Parametri chimico-fisici di prosciutti crudi ottenuti dai suini <strong>del</strong>le due<br />

genetiche (%)<br />

Goland C21<br />

89<br />

Duroc<br />

Parametro Media ds Media Ds<br />

Calo peso fine stagionatura 28.7 1.5 29.9 2.5<br />

Umidità 61.9 1.2 61.6 1.0<br />

NaCl/sale 5.6 0.6 5.6 0.4<br />

Proteine 27.6 0.8 27.6 0.7<br />

Grassi 2.5 0.8 3.0 0.9<br />

Indice di proteolisi 28.5 1.6 29.0 2.0<br />

Goland C21 = ibrido Goland C21 x Large White; Duroc = ibrido Duroc x Large White;<br />

ds = deviazione standard<br />

Dai dati <strong>del</strong>la tabella 2 si evidenzia che le produzioni ottenute con le due genetiche non<br />

hanno presentato differenze significative per i parametri osservati. Tutti i valori ottenuti<br />

rientrano nei parametri “aurei” per quanto riguarda la produzione <strong>del</strong> prosciutto di San<br />

Daniele. I dati ottenuti per quanto riguarda l’indice di proteolisi, l’umidità rientrano nei<br />

parametri <strong>del</strong> disciplinare di produzione <strong>del</strong> Prosciutto di San Daniele. Infatti l’umidità


percentuale media (61%) non è inferiore al 57%, né superiore al 63%, il quoziente <strong>del</strong><br />

rapporto tra la composizione percentuale di cloruro di sodio e l'umidità percentuale<br />

(8,9%, espresso in valori numerici moltiplicati per 100), non è inferiore a 7,8 né<br />

superiore a 11,2; il quoziente <strong>del</strong> rapporto tra l'umidità percentuale e la composizione<br />

percentuale in proteine totali (2,2%) non è inferiore a 1,9 né superiore a 2,5.<br />

Infine l'indice di proteolisi medio (composizione percentuale <strong>del</strong>le frazioni azotate<br />

solubili in acido tricoloroacetato - TCA - riferite al contenuto di azoto totale) è pari a<br />

28,5 e quindi come da disciplinare non è superiore a 31. Pertanto le carni <strong>del</strong>le linee<br />

genetiche considerate sembrano ottimali per la produzione <strong>del</strong> prosciutto di San<br />

Daniele.<br />

Riferimenti bibliografici<br />

Cantoni C, d’Aubert S. 1987. Il prosciutto San Daniele, Eurocarni, Parti I, II, III: 5:<br />

46-61; 6:52-55; 7:52-57.<br />

Cantoni C. 1995. Appunti sulla produzione <strong>del</strong> salame e sulle sue proprietà nutritive.<br />

Premiata Salumeria Italiana 4:21-29.<br />

Comi G. 2005. Microbiologia alimentare. In “Microbiologia Industriale” (M.<br />

Manzoni ed.), Ambrosiana Editrice, Milano.<br />

Comi G, Cattaneo C. 2007. La carne e il salame. In “Biotecnologie Alimentari” (C.<br />

Gigliotti ed.), Piccin Editore, Padova.<br />

Comi G, Cattaneo P. 2007. I prodotti carnei e Miscellanea. In “Microbiologia<br />

Applicata alle produzioni alimentari” (L.S. Cocolin e G. Comi eds.). Aracne<br />

Editrice, Roma.<br />

Del Monte P, Magnani U, Monari M. 1990. Industria dei salumi. Edizioni Agricole.<br />

Grazia L. 1992. Industrie Alimentari, 309:995-999.<br />

Kramer C, Cantoni C. 1994. Alimenti, microbiologia e igiene. OEMF.<br />

Procida G, Conte LS, Fiorasi S, Comi G, Gabrielli-Favretto L. 1999. J. Chromat. A<br />

830:175-182.<br />

Schillinger U, Lucke FK. 1990. Fleischwirtschaft 70:1296-1299.<br />

90


Sgoifo Rossi C, Stella S, Cattaneo P, Cantoni C, Bassini A, Bergottini R. 2004.<br />

Osservazione di un caso di carni PSE (Pale, soft, exudative) in carcasse bovine.<br />

Large Animal Review, 10:21-27<br />

Toldrà F. 2002. Dry-cured meat products. Food and Nutrition Press, Inc. Trumbull,<br />

Connecticut 06611, USA.<br />

Toldrà F. 1998. Proteolysis and lipolysis in flavour development of dry-cured meat<br />

products. Meat Science, 49, S101-110.<br />

http://inn.inran.it<br />

www.ulysse.net/verde/prodotti/pmodena<br />

www.maff.gov.uk/foodname/,meatbase/italy/modena.htm<br />

91


Valutazione sensoriale e analitica <strong>del</strong>la DOP prosciutto di San Daniele<br />

Introduzione<br />

Selenia Galanetto<br />

Consorzio <strong>del</strong> Prosciutto di San Daniele<br />

Il Consorzio <strong>del</strong> prosciutto di San Daniele, fondato nel 1961, è un consorzio di imprese<br />

a cui aderiscono tutti i 31 produttori di prosciutto che sono ubicati esclusivamente nel<br />

Comune di San Daniele <strong>del</strong> Friuli (UD). Il circuito produttivo conta circa 4200<br />

allevamenti e 60 macelli tutti situati nelle 10 Regioni <strong>del</strong> Centro Nord Italia. Il<br />

Consorzio svolge principalmente attività di tutela, promozione, valorizzazione e cura<br />

degli interessi generali <strong>del</strong>la DOP “Prosciutto di San Daniele” ed è stato incaricato dalla<br />

Repubblica Italiana con decreti interministeriali 3/11/82, 10/04/94, e successivamente<br />

con decreto MI.P.A.F. 26 aprile 2002 <strong>del</strong>la tutela <strong>del</strong> prosciutto di San Daniele ai sensi<br />

<strong>del</strong>l’art. 14, comma 15, Legge 526/99. Il prosciutto di San Daniele è tutelato<br />

dall’Unione Europea come Denominazione di origine protetta dal 1996 ai sensi <strong>del</strong> Reg.<br />

(CE) 1107/96. La produzione riferita al 2011 è stata di circa 2.700.000 unità di prodotto,<br />

ed ha sviluppato un fatturato attorno ai 330 milioni di euro.<br />

Processo produttivo <strong>del</strong> prosciutto di San Daniele<br />

Il prosciutto di San Daniele è una produzione tipica a Denominazione di Origine<br />

Protetta (DOP) ai sensi <strong>del</strong> Reg. (CE) n. 510/2006 e registrato tra le DOP <strong>del</strong>l’Unione<br />

Europea ai sensi <strong>del</strong> Reg. (CE) n. 1107/96, tutelato dalla Repubblica Italiana con la<br />

Legge n. 30 <strong>del</strong> 14 febbraio 1990. Questa elencazione di regolamenti e leggi vuol<br />

testimoniare che un prosciutto crudo per potersi chiamare “San Daniele” deve essere<br />

stato prodotto solo sottostando a determinate prescrizioni produttive, igienico sanitarie e<br />

dopo aver subito una continua procedura di controllo che garantisce, certificandola, la<br />

93


qualità finale <strong>del</strong> prosciutto. In base alle norme sopra citate, il prosciutto di San Daniele<br />

viene prodotto esclusivamente con carni provenienti dall’Italia ed in particolare da suini<br />

nati allevati e macellati in 10 Regioni, più precisamente in Friuli Venezia Giulia,<br />

Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Marche, Umbria, Toscana, Lazio e<br />

Abruzzo. Il suinetto viene tatuato entro un mese dalla nascita, ed in seguito la sua storia<br />

è documentata da una completa certificazione e dai relativi tatuaggi sulle cosce, che<br />

garantiscono anche formalmente la provenienza <strong>del</strong>lo stesso sino al momento in cui le<br />

carni divengono materia prima per la produzione di prosciutti. Durante l’allevamento il<br />

suino può essere nutrito solamente con determinati alimenti (prevalentemente di origine<br />

vegetale) che sono elencati in maniera tassativa dalla normativa vigente e dal<br />

Disciplinare di produzione. Una volta che le cosce selezionate giungono presso lo<br />

stabilimento di lavorazione (prosciuttificio), la documentazione che le segue garantisce<br />

la certezza e sicurezza igienico sanitaria che quella materia prima è idonea a diventare<br />

un prosciutto di San Daniele.<br />

Le fasi di lavorazione previste dal Disciplinare di produzione sono le seguenti:<br />

raffreddamento, rifilatura, salagione, pressatura, riposo, lavaggio, asciugamento,<br />

sugnatura, stagionatura. Il periodo minimo di lavorazione è di tredici mesi, che può<br />

anche venire protratto ulteriormente. Anche le fasi di lavorazione sono regolate da una<br />

dettagliata prescrizione normativa, e solo dopo tutta una serie di controlli, verifiche ed<br />

analisi (organolettiche e di laboratorio) il prosciutto viene marchiato e, solo allora,<br />

diviene prosciutto di San Daniele. Su tutte le fasi sopra riassunte - allevamento,<br />

macellazione, lavorazione <strong>del</strong>le carni – oltre alle autorità sanitarie nazionali, sorveglia<br />

un organismo (terzo rispetto alle parti coinvolte nella produzione <strong>del</strong> prosciutto)<br />

appositamente costituito e riconosciuto ai sensi <strong>del</strong>l’art. 10 <strong>del</strong> Reg. (CE) n. 510/2006<br />

denominato Istituto Nord Est Qualità, il quale ha l’incarico di controllare e certificare la<br />

qualità <strong>del</strong> nostro prodotto, su incarico <strong>del</strong> Ministero <strong>del</strong>le Politiche Agricole,<br />

Alimentari e Forestali. Il prosciutto di San Daniele, per essere tale, deve possedere lo<br />

“zampino” se è con osso (ovvero non ha lo zampino se è stato preventivamente<br />

disossato), deve essere stato prodotto esclusivamente nel territorio <strong>del</strong> Comune di San<br />

Daniele <strong>del</strong> Friuli in provincia di Udine da uno dei 31 produttori abilitati, e deve<br />

arrecare sulla cotenna il marchio a fuoco <strong>del</strong> Consorzio <strong>del</strong> Prosciutto di San Daniele. Il<br />

prosciutto di San Daniele a norma <strong>del</strong> Disciplinare di produzione è completamente<br />

94


naturale: gli unici “ingredienti” ammessi sono il “sale marino” e la “coscia di suino<br />

italiano”.<br />

Analisi sensoriale, scopo e applicazioni<br />

Il Consorzio a partire dal 2003 organizza in forma programmata e scientifica sessioni di<br />

analisi sensoriale per monitorare, attraverso l’analisi descrittiva quantitativa, le<br />

caratteristiche organolettiche <strong>del</strong> prosciutto di San Daniele.<br />

Per dare un quadro scientifico oggettivo dei prosciutti testati, i panel sono costituiti da<br />

giudici opportunamente addestrati appartenenti tutti dal comparto produttivo <strong>del</strong><br />

prosciutto di San Daniele (produttori, tecnici, ispettori ecc.). La formazione iniziale ha<br />

avuto lo scopo di uniformare i criteri di valutazione dei descrittori sensoriali proposti<br />

per il prodotto, fornendo un vocabolario oggettivo comune e insegnando ai giudici a<br />

misurare l’intensità <strong>del</strong>lo stimolo sensoriale assegnandoli un punteggio tra quelli<br />

standard fissati dalla scheda di valutazione. Nell’ambito <strong>del</strong> progetto di ricerca<br />

SUQUALGEN, si è inteso coinvolgere in questi incontri, dopo una formazione inziale,<br />

anche persone, provenienti da ambiti diversi (università, <strong>associazione</strong> <strong>allevatori</strong>, etc.), in<br />

ogni caso il numero di partecipanti al panel andava da un minimo di sei ad un massimo<br />

di dodici persone.<br />

Esecuzione analisi<br />

Gli incontri vengono eseguiti presso la sede <strong>del</strong> Consorzio, in una sala appositamente<br />

predisposta, in modo da creare un ambiente idoneo (condizioni neutre di luce,<br />

temperatura, umidità, colore ed assenza di odori) per non influenzare la valutazione<br />

sensoriale.<br />

Durante ciascuna sessione di analisi, vengono testati al massimo 5 campioni di<br />

prosciutto, la valutazione è sempre eseguita sul trancio, <strong>del</strong> peso circa di 1.5 kg<br />

ciascuno, tagliato dalla parte <strong>del</strong>la “culatta”, dove sono visibili i tre muscoli: bicipite<br />

femorale, semitendinoso e semimembranoso come riportato nella foto n. 1. Tutti i<br />

campioni sono rigorosamente anonimi identificati da un numero progressivo.<br />

95


Foto 1. Esempio campione da testare<br />

Le sessioni di analisi sensoriali sono distinte in due fasi: durante la prima vengono<br />

effettuate sul trancio le valutazioni visive (tonalità <strong>del</strong> colore e sua uniformità,<br />

distribuzione <strong>del</strong> grasso intramuscolare, aspetto stagionato) e tattili (consistenza <strong>del</strong>la<br />

componente muscolare e <strong>del</strong> grasso di contorno) durante la seconda, dopo aver eseguito<br />

l’affettamento, la valutazione prosegue con l’assaggio <strong>del</strong> campione e la descrizione dei<br />

parametri sensoriali legati all’olfatto, al sapore e alla percezioni ricavate durante la<br />

masticazione. La fetta degustata è comprensiva <strong>del</strong> grasso di contorno e il campione è<br />

degustato tal quale (senza né pane né grissini). Tra un campione e l’altro, il giudice può<br />

mangiare <strong>del</strong>le carote o bere un po’ d’acqua per “mondare”.<br />

Ogni giudice compila una scheda di valutazione che rispetta il percorso di valutazione<br />

visiva, tattile, olfattiva, gustativa e retrolfattiva. Questa scheda è stata appositamente<br />

costruita su descrittori scelti per fornire un quadro qualitativo <strong>del</strong> campione in esame in<br />

termini di presenza di caratteristiche ritenute positive e necessarie per un prosciutto di<br />

San Daniele. La valutazione di tali descrittori è espressa su una scala da 0 a 5, dove lo 0<br />

rappresenta l’assenza <strong>del</strong>la percezione <strong>del</strong> descrittore e quindi per contro va correlato<br />

con uno o più difetti, correlati con quel descrittore, mentre 5 è la massima percezione<br />

positiva <strong>del</strong> descrittore e quindi non è associato a nessun difetto. La valutazione di<br />

questa classe di descrittori in “negativo” é su scala inversa da 5 a 0, dove 5 indica<br />

l’assenza <strong>del</strong> difetto (per tanto non è stato riportato sulla scheda) mentre 0 è la sua<br />

massima percezione.<br />

96


Esattamente si può definire che:<br />

Descrittori Difetti<br />

0= Molto negativo 0=Difetto percepito al 100%<br />

1= Negativo 1=Difetto molto percepito<br />

2= Insufficiente 2= Difetto percepito (non tollerabile)<br />

3=Sufficiente /medio 3=Difetto percettibile (tollerabile)<br />

4=Buono 4=Difetto appena percettibile<br />

5=Ottimo 5=Difetto non rilevato (non compare la casella)<br />

La presenza di difetti valutati con punteggi bassi produce un abbassamento <strong>del</strong><br />

punteggio assegnato al descrittore positivo mentre, per contro, l’assenza di difetti o la<br />

loro lieve percezione aumenta il punteggio positivo <strong>del</strong> descrittore. Tale impostazione<br />

consente di elaborare statisticamente i dati raccolti in merito alla distribuzione dei<br />

descrittori ed alle loro reciproche correlazioni.<br />

Profilo sensoriale dei prosciutti derivati dal progetto di valorizzazione <strong>del</strong> suino<br />

friulano<br />

Nell’ambito <strong>del</strong> progetto di valorizzazione <strong>del</strong> suino friulano, il Consorzio ha<br />

collaborato con l’Università di Udine, l’Associazione Allevatori Friuli Venezia Giulia e<br />

l’Istituto Nord Est Qualità per completare con l’analisi sensoriale la raccolta di dati e<br />

informazioni raccolte. Complessivamente sono stati selezionati 100 prosciutti stagionati<br />

in diversi prosciuttifici, per sottoporli ad analisi sensoriale. L’analisi viene effettuata al<br />

raggiungimento <strong>del</strong> 14 mese di stagionatura. I suini da cui si sono ricavate le cosce<br />

provenivano da tre diversi allevamenti ubicati tutti in Friuli Venezia Giulia. I suini<br />

erano ibridi derivati dall’incrocio per linea femminile Large White con verri di razza<br />

Duroc L.G. o Goland C21. Altra variabile era la razione alimentare diversificata tra i<br />

vari allevamenti. Tutti i suini sono stati opportunamente identificati, in entrambe le<br />

cosce con un microchip che ha permesso di mantenere la tracciabilità fino al momento<br />

<strong>del</strong>l’analisi sensoriale e quindi di distinguere anche i campioni in base al genotipo.<br />

97


Dei settanta prosciutti sino ad oggi testati si riporta di seguito una breve descrizione dei<br />

risultati ottenuti. Questi prosciutti provengono da tre diversi prosciuttifici e tra loro<br />

hanno mostrato una grande omogeneità.<br />

Figura 1. Profilo sensoriale medio dei 70 campioni<br />

Magro compatto<br />

ed elastico …<br />

Consistenza<br />

masticazione<br />

Sapore<br />

Aroma<br />

Grasso di<br />

copertura …<br />

Colore uniforme<br />

<strong>del</strong> magro<br />

5<br />

4<br />

3<br />

2<br />

1<br />

0<br />

Spessore<br />

adeguato …<br />

Colore rosso<br />

rosato<br />

Aspetto<br />

stagionato<br />

Grasso di<br />

copertura …<br />

Marezzatura<br />

visibile<br />

Noce di grasso<br />

pulita<br />

Il profilo complessivo è quello di un buon prosciutto, in effetti il punteggio ottenuto è<br />

quasi sempre 4, cioè buono. I due punteggi più bassi (sempre comunque 3.5 e quindi più<br />

che sufficiente) sono relativi al giudizio sull’uniformità <strong>del</strong> colore e sul sapore.<br />

Al fine di dare una migliore evidenza di quali sono i descrittori visivi riferiti al<br />

prosciutto di San Daniele e i difetti correlati a ciascun descrittore si riporta di seguito<br />

una serie di immagini utili a comprendere quali sono i parametri da valutare durante una<br />

sessione di analisi.<br />

98<br />

Descrittore<br />

Colore uniforme<br />

<strong>del</strong> magro<br />

Colore rosso<br />

rosato<br />

Aspetto stagionato<br />

Marezzatura<br />

visibile<br />

Noce di grasso<br />

pulita<br />

Grasso di<br />

copertura bianco<br />

rosato<br />

Spessore adeguato<br />

grasso di<br />

copertura<br />

Grasso di<br />

copertura<br />

compatto e liscio<br />

Magro compatto<br />

ed elastico alla<br />

compressione<br />

Aroma<br />

Sapore<br />

Consistenza<br />

masticazione<br />

Trancio<br />

Fetta<br />

Definizioni<br />

Determinazione visiva <strong>del</strong>l’omogeneità<br />

<strong>del</strong> colore nella sua parte muscolare<br />

(muscoli bicipite femorale, semitendinoso<br />

e parte inferiore <strong>del</strong> semimembranoso).<br />

Determinazione visiva <strong>del</strong>la tonalità <strong>del</strong><br />

colore eseguita sempre sulle tre fasce<br />

muscolari.<br />

Determinazione visiva e tattile <strong>del</strong> grado<br />

di stagionatura (non deve essere ne<br />

eccessivamente umido ne tropo asciutto).<br />

Determinazione visiva <strong>del</strong> grasso<br />

intramuscolare presente sulla superficie.<br />

Determinazione visiva <strong>del</strong>la noce di<br />

grasso.<br />

Determinazione visiva <strong>del</strong>la tonalità di<br />

colore <strong>del</strong> grasso di copertura.<br />

Determinazione visiva <strong>del</strong>lo spessore <strong>del</strong><br />

grasso di copertura che deve essere<br />

proporzionale alla massa muscolare.<br />

Determinazione tattile <strong>del</strong> grasso di<br />

copertura.<br />

Determinazione tattile dei due muscoli<br />

bicipite femorale e semimembranoso.<br />

Sensazione<br />

campione.<br />

olfattiva <strong>del</strong>la fetta <strong>del</strong><br />

Insieme di sensazioni ricavate al<br />

momento <strong>del</strong>l’assaggio.<br />

Determinazioni alla masticazione <strong>del</strong><br />

campione.


Foto 2. Immagini per la determinazione dei descrittori visivi e i loro eventuali difetti<br />

99


Figura 2. Profilo sensoriale medio suddiviso tra le due razze suine<br />

Figura 3. Confronto tra i risultati ottenuti nel presente studio e un lavoro precedente<br />

<strong>del</strong> 2010<br />

Magro compatto<br />

ed elastico alla<br />

compressione<br />

Consistenza<br />

masticazione<br />

Sapore<br />

Aroma<br />

Grasso di<br />

copertura<br />

compatto e liscio<br />

Colore uniforme<br />

<strong>del</strong> magro<br />

5<br />

4<br />

3<br />

2<br />

1<br />

0<br />

Spessore<br />

adeguato grasso di<br />

copertura<br />

Colore rosso<br />

rosato<br />

100<br />

Aspetto stagionato<br />

Marezzatura<br />

visibile<br />

Noce di grasso<br />

pulita<br />

Grasso di<br />

copertura bianco<br />

rosato<br />

Medie 2012<br />

Medie 2010<br />

Come si può notare dal grafico sopra riportato, le differenze tra le due razze riguardano<br />

in particolare l’aspetto visivo (uniformità <strong>del</strong> colore <strong>del</strong>la parte magra, la distribuzione<br />

<strong>del</strong> grasso intramuscolare e la composizione <strong>del</strong> grasso di contorno), una resa migliore<br />

sembra provenire dai prosciutti ottenuti da suini di razza Duroc.


Si è voluto fare un confronto tra i risultati ottenuti con questo studio e un precedente<br />

lavoro di analisi sensoriale <strong>del</strong> 2010. Le due linee <strong>del</strong> grafico, presentano <strong>del</strong>le lievi<br />

differenze principalmente a causa <strong>del</strong> fatto che nel 2010 il test fu realizzato su di un<br />

campione di prosciutti meno omogeneo (per mesi di stagionatura, prosciuttifici di<br />

provenienza e genetica), mentre invece il test <strong>del</strong> 2012 si è svolto ponendo particolare<br />

attenzione anche all’uniformità dei campioni analizzati e quindi i risultati ottenuti si<br />

pongono chiaramente nei punteggi più alti <strong>del</strong>la valutazione.<br />

Dalla raccolta dei dati durante la sessione di analisi è possibile determinare per ciascun<br />

descrittore qual è il difetto /i ad esso correlato che ha/hanno avuto incidenza sul giudizio<br />

complessivo dato (maggiore è il difetto/i minore sarà il giudizio complessivo dato al<br />

descrittore). Nei grafici di seguito riportati, per ciascun descrittore è indicato in quale<br />

percentuale il difetto è stato rilevato. Si potrà notare che alcuni difetti sono irrilevanti,<br />

mentre altri incidono molto sul giudizio finale <strong>del</strong> descrittore.<br />

Figura 4. Relazione tra il descrittore colore uniforme <strong>del</strong> magro ed i difetti ad esso<br />

associati<br />

101<br />

Come si può osservare dal<br />

grafico i difetti che<br />

maggiormente hanno<br />

penalizzato il giudizio<br />

finale sull’uniformità <strong>del</strong><br />

colore, sono stati la<br />

presenza di zone<br />

iridescenti e di<br />

macchie/aloni scuri,<br />

mentre hanno inciso meno<br />

la presenza di<br />

microemorragie e<br />

incrostazioni superficiali.<br />

Tra le due razze valutate, i<br />

prosciutti derivati da suini<br />

di razza Duroc risultavano<br />

avere un colore <strong>del</strong>le carni<br />

più uniforme.


Figura 5. Relazione tra il descrittore colore rosso rosato e i due difetti ad esso associati<br />

102<br />

L’unico difetto che ha avuto<br />

una certa incidenza sulla<br />

valutazione complessiva<br />

<strong>del</strong>la tonalità è stata la<br />

percezione di un colore un<br />

po’ spento.<br />

Figura 6. Relazione tra il descrittore aspetto stagionato ed i difetti ad esso associati<br />

La sensazione di bagnato è<br />

stata spesso percepita<br />

durante la valutazione dei 70<br />

tranci, va detto che in effetti<br />

alcuni prosciutti erano un<br />

po’ umidi (vedi analisi<br />

chimica) anche perché di<br />

peso elevato.


Figura 7. Relazione tra il descrittore marezzatura visibile e i tre difetti ad esso associati<br />

103<br />

Come si può vedere,<br />

tutti e tre i difetti hanno<br />

avuto una bassa<br />

incidenza sul descrittore.<br />

Il grasso intramuscolare<br />

era sempre “distribuito”<br />

in maniera uniforme<br />

sulla superficie di tutti i<br />

campioni.<br />

I prosciutti provenienti<br />

da suini di razza Duroc<br />

presentavano una<br />

migliore distribuzione<br />

<strong>del</strong> grasso<br />

intramuscolare, infatti<br />

come si può vedere<br />

anche dalle analisi<br />

chimiche, i prosciutti<br />

derivati da suini di<br />

genetica Goland sono<br />

risultati più magri.<br />

Figura 8. Relazione tra il descrittore noce di grasso ed il difetto ad esso correlato<br />

Per sangue residuo si<br />

intende la presenza di<br />

tracce di capillari e/o<br />

sangue all’interno <strong>del</strong>la<br />

noce di grasso. Difetto che<br />

spesso è stato rilevato<br />

(soprattutto nei prosciutti<br />

derivati da suini di razza<br />

Duroc).


Figura 9. Relazione tra il descrittore grasso di copertura bianco rosato e i due difetti<br />

ad esso associati<br />

104<br />

Come si può vedere dalla<br />

figura 1 il giudizio<br />

complessivo sulla tonalità<br />

bianco rosata <strong>del</strong> grasso di<br />

copertura è stato buono, non<br />

ha raggiunto l’optimum solo<br />

perché alcuni campioni<br />

avevano il grasso di copertura<br />

che tendeva leggermente al<br />

giallo. La presenza di<br />

microemorragie sul grasso di<br />

copertura ha avuto un<br />

incidenza maggiore sui<br />

prosciutti provenienti da suini<br />

di razza Goland.<br />

Figura 10. Relazione tra il descrittore grasso di copertura di spessore adeguato ed i<br />

difetti ad esso associati<br />

Tutti i campioni sono stati<br />

ritenuti avere lo spessore di<br />

grasso proporzionato alla<br />

propria massa muscolare<br />

(circa un terzo rispetto la<br />

massa muscolare), anche se<br />

lo spessore a volte era un<br />

leggermente disuniforme.<br />

Dalla valutazione<br />

complessiva i prosciutti<br />

derivati da razza Duroc sono<br />

risultati avere uno spessore di<br />

grasso più proporzionato alle<br />

dimensioni<br />

Goland.<br />

rispetto ai


Figura 11. Relazione tra il descrittore grasso di copertura compatto e liscio e i difetti<br />

ad esso associati<br />

105<br />

L’incidenza di grasso molle<br />

(difetto spesso rilevato ma mai<br />

valutato molto negativamente)<br />

è stata rilevata soprattutto per i<br />

prosciutti provenienti dai suini<br />

Goland.<br />

Figura 12. Relazione tra il descrittore magro compatto ed elastico alla compressione ed<br />

i difetti ad esso associati<br />

La maggior parte dei<br />

campioni presentava il<br />

bicipite femorale molle e<br />

deformabile, in effetti questo<br />

è stato correlato anche alla<br />

percentuale di umidità più<br />

alta.


Figura 13. Relazione tra il descrittore aroma ed i difetti ad esso associati<br />

Figura 14. Relazione tra il descrittore sapore ed i difetti ad esso associati<br />

106<br />

Il difetto olfattivo con più<br />

incidenza è stato<br />

“stantio/chiuso” ossia un<br />

odore che ricorda qualcosa<br />

di vecchio e fermo quasi<br />

troppo secco o asciutto. La<br />

sua percezione ha sempre<br />

però avuto giudizi non<br />

molto penalizzanti infatti<br />

come si può vedere dalla<br />

figura 1 il giudizio medio<br />

complessivo dato<br />

all’aroma è buono.<br />

La percezione di salato è<br />

stata spesso percepita<br />

dagli assaggiatori (anche<br />

se mai con punteggi molto<br />

negativi).


Figura 15. Relazione tra il descrittore morbido alla masticazione e i difetti ad esso<br />

associati.<br />

Analisi chimiche<br />

107<br />

Le fette sono sempre<br />

state degustate<br />

comprensive <strong>del</strong><br />

grasso di contorno, a<br />

volte la sua presenza<br />

può aver influenzato la<br />

sensazione di<br />

pastoso/bagnato in<br />

bocca.<br />

Tutti i 70 prosciutti sono stati sottoposti ad analisi chimico fisiche, effettuata sempre nel<br />

muscolo bicipite femorale.<br />

Tabella 1. Composizione centesimale, proteolisi, rapporto sale/umidità e<br />

umidità/proteine dei 70 prosciutti<br />

Variabili Media Minimo Massimo sd<br />

Coefficiente di<br />

variazione %<br />

Umidità 62,02 58,90 64,00 1,04 1,67<br />

Sale 5,56 4,50 6,50 0,52 9,35<br />

Proteine 27,52 25,90 30,00 0,75 2,72<br />

Grasso<br />

intramuscolare<br />

2,66 1,20 4,90 0,79 26,70<br />

Indice di<br />

proteolisi<br />

29,12 24,60 34,30 1,76 6,04<br />

Sale/Umidità 8,97 7,4 10,60 0,89 9,82<br />

Umidità/proteine 2,26 2,00 2,47 0,09 3,98


La percentuale di grasso intramuscolare valutata presenta una forte variabilità rispetto le<br />

altre variabili, e ha mediamente valori che indicano un grado di marezzatura mediobasso.<br />

Questa determinazione, fatta esclusivamente sul muscolo bicipite femorale non<br />

corrisponde con la valutazione visiva che prende in considerazione la distribuzione <strong>del</strong><br />

grasso su tutti e tre le fasce muscolari.<br />

Tabella 2. Composizione centesimale ripartita tra le due razze<br />

Ringraziamenti<br />

Variabili<br />

Si ringraziano per la collaborazione: Valeria Aquili, Micol Ripani, Lucilla Iacumin;<br />

Erica Cocco, Roberto Adduca, Marco Bassi, Giovanni Ca<strong>del</strong>, Denis Guiatti, Michele<br />

Leonarduzzi e tutto lo staff <strong>del</strong> laboratorio INEQ.<br />

108<br />

Medie<br />

Duroc Goland<br />

Umidità 61,92 62,12<br />

Sale 5,57 5,55<br />

Proteine 27,41 27,61<br />

Grasso intramuscolare 2,86 2,47<br />

Indice di proteolisi 29,62 28,67


109


110


Strutture di allevamento, benessere animale ed impatto ambientale<br />

Introduzione<br />

Francesco da Borso, Francesco Teri, Marco Mezzadri<br />

Dipartimento di Scienze Agrarie ed Ambientali – Università di Udine<br />

Le normative relative al benessere degli animali e alla protezione <strong>del</strong>l’ambiente<br />

stabiliscono precisi requisiti strutturali che indirizzano le tipologie costruttive e le<br />

modalità gestionali degli allevamenti verso un’elevata standardizzazione. Ancor oggi,<br />

tuttavia, la produzione suinicola italiana ed in particolare friulana avviene in strutture<br />

notevolmente diversificate, soprattutto in relazione a:<br />

- il tipo di pavimentazione <strong>del</strong>la struttura (fessurata totale, piena, mista, corsie di<br />

defecazione esterne, ecc…) e l’eventuale presenza di materiali di “arricchimento<br />

ambientale”,<br />

- il sistema di ventilazione (naturale, forzata o mista) e l’eventuale presenza di sistemi<br />

attivi di climatizzazione estiva (raffrescamento),<br />

- la numerosità dei capi nei box e la superficie unitaria disponibile (ovvero la densità di<br />

allevamento degli animali),<br />

- il numero di reparti specializzati per le diverse fasi di crescita e quindi di numero di<br />

spostamenti dei suini nelle diverse strutture (soprattutto nel caso di ciclo chiuso),<br />

- le modalità di gestione <strong>del</strong>le deiezioni, che influenzano in modo determinante non<br />

solo la qualità <strong>del</strong>l’ambiente indoor (concentrazioni di gas), ma anche le emissioni dei<br />

gas e degli odori molesti in atmosfera.<br />

Questi fattori strutturali e gestionali influenzano l’ambiente di allevamento e<br />

contribuiscono a determinare variabilità nell’estrinsecazione <strong>del</strong>le potenzialità genetiche<br />

degli animali.<br />

Molte ricerche sperimentali, prevalentemente condotte nel Nord Europa (Inghilterra,<br />

Olanda), hanno avuto come obiettivo principale lo studio <strong>del</strong>l’effetto <strong>del</strong>le<br />

caratteristiche strutturali di allevamento sul benessere dei suini e si sono concentrate<br />

111


prevalentemente sugli aspetti comportamentali, produttivi ed igienico-sanitari. Gli<br />

effetti di questi fattori sulle caratteristiche di qualità <strong>del</strong>la carne, invece, sono stati poco<br />

studiati.<br />

Per quanto riguarda i parametri strutturali, la maggior parte <strong>del</strong>le ricerche ha interessato<br />

le diverse tipologie di pavimentazione (anche in relazione alla disponibilità di materiale<br />

di “arricchimento ambientale”) e la superficie disponibile per capo (densità degli<br />

animali nel box), in relazione quasi esclusivamente al suino leggero da macelleria. I<br />

risultati di queste ricerche sono stati alla base <strong>del</strong>la legislazione europea sul benessere<br />

dei suini, codificata nelle “Norme minime per la protezione dei dei suini”, contenute<br />

nella Dir. 2008/120/CE, recepita in Italia con D.Lgs. 122/2011. Per i suini all’ingrasso,<br />

le norme minime stabiliscono una superficie libera disponibile di almeno 1 m 2 capo -1<br />

oltre i 110 kg di peso vivo. Inoltre, stabiliscono specifici requisiti costruttivi minimi per<br />

le pavimentazioni fessurate (ampiezza <strong>del</strong>le fessure e dei travetti rispettivamente<br />

inferiore a 18 mm e superiore a 80 mm) unitamente ad altre caratteristiche strutturali ed<br />

impiantistiche, pur non precisamente definite nei parametri dimensionali (in particolare,<br />

si cita la presenza di “zone in cui coricarsi confortevoli dal punto di vista fisico e<br />

termico e adeguatamente prosciugate e pulite”, “una quantità sufficiente di materiali<br />

che consentano adeguate attività di esplorazione e manipolazione”).<br />

Le caratteristiche costruttive e gestionali <strong>del</strong>le strutture di allevamento per i suini<br />

all’ingrasso sono vincolate anche da normative per la protezione ambientale. Gli<br />

allevamenti suinicoli intensivi (oltre 2000 posti per suini all’ingrasso) devono adottare<br />

le cosiddette Migliori Tecnologie Disponibili (MTD o BAT, Best Available Techniques,<br />

secondo la Dir. 96/61/CE I.P.P.C. Integrated Pollution Prevention and Control),<br />

riconducibili a sistemi con pavimentazione fessurata (totale o parziale) ed evacuazione<br />

rapida <strong>del</strong>le deiezioni (es. vacuum system). Le BAT non possono prevedere sistemi di<br />

accumulo prolungato <strong>del</strong>le deiezioni interni alle strutture (es. vasche di stoccaggio o<br />

tracimazione sotto la pavimentazione fessurata). I valori limite di emissione<br />

<strong>del</strong>l’ammoniaca caratterizzanti le diverse tecniche e riportati nelle Linee guida per la<br />

definizione <strong>del</strong>le BAT ai sensi <strong>del</strong>la Direttiva I.P.P.C., costituiscono, di fatto, un punto<br />

di riferimento per la comparazione <strong>del</strong>l’impatto ambientale degli allevamenti, anche non<br />

ricadenti in ambito I.P.P.C.<br />

112


La ricerca nell’ambito <strong>del</strong> progetto Regionale di qualificazione genetica<br />

L’attività di ricerca è stata condotta nelle strutture di accrescimento-ingrasso, per<br />

completare, nell’ambito <strong>del</strong> progetto, lo “studio di filiera” con la descrizione strutturale<br />

dei siti produttivi e per verificare eventuali criticità legate ad aspetti costruttivi,<br />

dimensionali e gestionali <strong>del</strong>le strutture, in relazione alle problematiche di benessere<br />

animale e di impatto ambientale.<br />

Le strutture di allevamento<br />

Sono state selezionate 5 strutture per l’ingrasso, caratterizzate da diversa tipologia<br />

costruttiva e da diverse caratteristiche dimensionali. Le strutture di allevamento<br />

denominate A, B e C appartengono alla stessa azienda localizzata in comune di<br />

Spilimbergo, mentre le strutture di allevamento D ed E sono rappresentate da due settori<br />

costruttivamente differenziati di un unico corpo di fabbricato sito presso un’azienda in<br />

comune di San Giorgio <strong>del</strong>la Richinvelda (Figura 1). Le strutture sono di diversa<br />

tipologia costruttiva, realizzate in elementi prefabbricati (Allevamento A), in<br />

calcestruzzo con tamponamento a blocchi di cemento (All. B), in acciaio con<br />

tamponamento in laterizio o in blocchi di laterizio (Allevamenti C, D ed E) (Tabella 1,<br />

Figura 2). Tutte hanno un tetto a doppia falda (asimmetrico in Allevamento C e<br />

simmetrico in tutti gli altri) e un sistema di ventilazione di tipo naturale con cupolino<br />

continuo di colmo (Allevamenti A, B e C), con aperture di colmo discontinue<br />

(Allevamento E) o con sole aperture laterali e senza aperture di colmo (Allevamento D).<br />

La gestione <strong>del</strong>le deiezioni avviene con il sistema vacuum in vasche sotto la<br />

pavimentazione totalmente fessurata (Allevamenti A e B), parzialmente fessurata<br />

(Allevamento C) e con corsie di defecazione su pavimentazione fessurata, esterne ai box<br />

in pavimentazione piena (Allevamenti D ed E). La superficie totale varia da 189 m 2<br />

(Allevamento C) a 1022 m 2 (Allevamento E), mentre il numero massimo di animali per<br />

box varia da 13 (Allevamento B) a 36 (Allevamenti D ed E), con consistenze totali che<br />

vanno da 175 a 944 capi (rispettivamente per Allevamenti C e E).<br />

113


Figura 1. Localizzazione geografica <strong>del</strong>le strutture di allevamento. Fonte Google TM<br />

earth<br />

All. A<br />

All. C<br />

All. E<br />

114<br />

All. B<br />

All. D<br />

Figura 2. Vedute interne degli ambienti di<br />

stabulazione (descrizione nel testo ed in<br />

Tabella 1)


Tabella 1. Principali caratteristiche costruttive e dimensionali degli allevamenti<br />

Tipologia<br />

Ventilazione<br />

Gestione<br />

deiezioni<br />

Dimensioni<br />

(lungh. x largh.,<br />

m)<br />

Superficie<br />

totale (m 2 )<br />

All. A All. B All. C All. D All. E<br />

Struttura<br />

prefabbricata in<br />

elementi cls<br />

isolati<br />

Tetto a doppia<br />

falda<br />

simmetrica<br />

Naturale, con<br />

finestre laterali<br />

e cupolino di<br />

colmo continuo<br />

PTF con<br />

vacuum system<br />

Struttura in cls<br />

Tamponamento a<br />

blocchi cemento<br />

Tetto a doppia<br />

falda simmetrica<br />

Naturale, con<br />

finestre laterali e<br />

cupolino di<br />

colmo continuo<br />

PTF con vacuum<br />

system<br />

Struttura in<br />

acciaio<br />

Tamponamento a<br />

laterizi intonacati<br />

Tetto a doppia<br />

falda<br />

asimmetrica,<br />

isolato<br />

Naturale, con<br />

finestre laterali e<br />

cupolino di<br />

colmo continuo<br />

PPF, con vasca a<br />

tracimazione<br />

115<br />

Struttura in<br />

acciaio<br />

Tamponamento<br />

in blocchi<br />

laterizio<br />

Tetto a doppia<br />

falda simmetrica,<br />

isolato<br />

Naturale, con<br />

sole finestre<br />

laterali<br />

PP interno, PTF<br />

su corsie<br />

defecazione<br />

esterne<br />

Struttura in<br />

acciaio<br />

Tamponamento<br />

in blocchi<br />

laterizio<br />

Tetto a doppia<br />

falda simmetrica,<br />

isolato<br />

Naturale, con<br />

finestre laterali e<br />

aperture<br />

discontinue di<br />

colmo<br />

PP interno, PTF<br />

su corsie<br />

defecazione<br />

esterne<br />

15,0 x 16,0 17,0 x 13,5 14,0 x 13,5 18,0 x 13,1 78,0 x 13,1<br />

240 230 189 236 (*) 1022 (*)<br />

N. di box 6 + 6 8 + 8 4 + 4 3 + 3 13 + 13<br />

N. capi max (><br />

110 kg p.v.)<br />

225 213 175 218 944<br />

N. capi/box 18 13 21 36 36<br />

Note: PTF = pavimento totalmente fessurato; PPF = pavimento parzialmente fessurato; PP =<br />

pavimento pieno. (*) superficie interna coperta, escluso lo spazio sulla corsia di defecazione<br />

esterna.


Benessere termico<br />

Il monitoraggio climatico degli allevamenti A e B non è stato esattamente<br />

contemporaneo a quello degli allevamenti D ed E e quindi, pur selezionando periodi<br />

caratterizzati da condizioni atmosferiche omogenee nella stessa stagione, il confronto<br />

tra i 4 allevamenti risulta non direttamente praticabile (Tabelle 2 e 3).<br />

Alcune considerazioni risultano tuttavia di significativa evidenza:<br />

- in condizioni invernali gli allevamenti hanno dimostrato buone caratteristiche<br />

termiche. Gli allevamenti D ed E hanno presentato temperature mediamente più basse,<br />

comunque sempre superiori a 15°C, all’interno di un range che può considerarsi<br />

ottimale;<br />

- in condizioni invernali l’umidità relativa interna degli allevamenti A, B e D è risultata<br />

mediamente più elevata di quella atmosferica, su valori superiori al 75%, da<br />

considerarsi, invece, elevati;<br />

- in condizioni stagionali intermedie (primavera) la temperatura interna è risultata<br />

mediamente solo di pochi gradi più elevata di quella ambientale ed in tutti gli<br />

allevamenti l’umidità relativa è risultata mediamente più bassa rispetto al periodo<br />

invernale;<br />

- in condizioni estive le temperature medie interne degli allevamenti B, D ed E non<br />

sono risultate attenuate rispetto alle condizioni ambientali, sono risultate sempre<br />

superiori a 28°C e con livelli di umidità relativa superiori al 60%. Per valutare la<br />

pericolosità di queste condizioni climatiche estive in relazione all’insorgenza di<br />

fenomeni di stress da calore, il monitoraggio climatico è stato effettuato anche in<br />

periodi particolarmente critici, determinando l’indice di stress termico THI, come<br />

discusso più avanti.<br />

116


Tabella 2. Temperatura atmosferica e indoor nei diversi periodi stagionali (valore<br />

medio, deviazione standard e range medio di escursione giornaliera)<br />

Inverno<br />

Intermedia<br />

(primavera)<br />

117<br />

Estate<br />

Media sd Range Media sd Range Media sd Range<br />

Ambiente 1,9 2,5 6,9 16,0 2,3 7,4 26,7 4,2 11,6<br />

All. A 19,5 0,5 1,6 21,3 0,2 0,7 26,5 2,0 5,9<br />

All. B 16,5 1,5 4,9 21,9 0,4 1,5 30,3 2,0 6,6<br />

Ambiente 5,5 3,7 9,7 17,1 5,7 15,8 25,0 4,4 12,0<br />

All. D 15,0 1,9 5,3 n.r. n.r. 28,4 2,5 7,0<br />

All. E 15,2 2,1 5,8 20,7 2,5 7,4 28,1 2,5 7,1<br />

Tabella 3. Umidità relativa atmosferica e indoor in diversi periodi stagionali<br />

Inverno Primavera Estate<br />

Media sd Media sd Media sd<br />

Ambiente 70,2 4,8 71,8 8,9 58,2 10,4<br />

All. A 75,8 2,6 64,6 4,0 64,1 6,1<br />

All. B 75,6 3,2 70,1 3,5 62,7 6,4<br />

Ambiente 68,7 11,4 47,4 12,0 70,8 17,1<br />

All. D 76,7 3,1 n.r. 73,5 6,3<br />

All. E 66,8 2,6 50,7 5,0 69,7 6,3


L’analisi <strong>del</strong>l’andamento medio e <strong>del</strong>la variabilità <strong>del</strong>la temperatura nelle 24 ore (Figura<br />

3) ha permesso di trarre ulteriori interessanti indicazioni:<br />

- in condizioni invernali e primaverili, in relazione all’andamento <strong>del</strong>la temperatura<br />

atmosferica, la temperatura interna degli allevamenti A e B è risultata più costante<br />

rispetto a quella degli allevamenti D ed E;<br />

- negli allevamenti D ed E i valori minimi e massimi di temperatura interna sono<br />

risultati sfasati di circa 3 ore rispetto ai valori minimi e massimi <strong>del</strong>la temperatura<br />

ambientale;<br />

Figura 3. Andamenti termici giornalieri, corrispondenti a diversi periodi stagionali<br />

Temperatura (°C)<br />

Temperatura (°C)<br />

Temperatura (°C)<br />

25<br />

20<br />

15<br />

10<br />

5<br />

0<br />

-5<br />

0 4 8 12 16 20<br />

Tempo (ore)<br />

30<br />

25<br />

20<br />

15<br />

10<br />

5<br />

0<br />

0 4 8 12<br />

Tempo (ore)<br />

16 20<br />

40<br />

35<br />

30<br />

25<br />

20<br />

15<br />

0 4 8 12<br />

Tempo (ore)<br />

16 20<br />

Inverno<br />

Esterna<br />

All. A<br />

All. B<br />

Stagione intermedia (primavera)<br />

Esterna<br />

All. A<br />

All. B<br />

Esterna<br />

All. A<br />

All. B<br />

118<br />

Temperatura (°C)<br />

Temperatura (°C)<br />

Estate<br />

Temperatura (°C)<br />

25<br />

20<br />

15<br />

10<br />

5<br />

0<br />

-5<br />

0 4 8 12 16 20<br />

Tempo (ore)<br />

30<br />

25<br />

20<br />

15<br />

10<br />

5<br />

0<br />

0 4 8 12<br />

Tempo (ore)<br />

16 20<br />

40<br />

35<br />

30<br />

25<br />

20<br />

15<br />

0 4 8 12<br />

Tempo (ore)<br />

16 20<br />

Esterna<br />

All. D<br />

All. E<br />

Esterna<br />

All. E<br />

Esterna<br />

All. D<br />

All. E


- in condizioni estive l’allevamento A è risultato il solo in grado di mantenere i valori<br />

massimi indoor attenuati rispetto ai valori massimi <strong>del</strong>la temperatura atmosferica. Gli<br />

allevamenti B, D ed E hanno sofferto di un evidente fenomeno di surriscaldamento<br />

soprattutto nelle prime ore pomeridiane, inoltre l’allevamento B ha manifestato una<br />

più elevata variabilità <strong>del</strong>la temperatura nelle diverse giornate di monitoraggio.<br />

Le condizioni microclimatiche estive, caratterizzate da elevate temperature in<br />

concomitanza ad elevati tassi di umidità relativa, si sono dimostrate potenzialmente<br />

critiche per la fase di ingrasso dei suini. In periodi nei quali la temperatura atmosferica<br />

ha avuto elevate escursioni termiche giornaliere, con valori massimi spesso superiori a<br />

30°C (Figura 4), in tutti gli allevamenti sono state rilevate escursioni termiche più<br />

contenute (limitato effetto di raffrescamento notturno) e sono stati raggiunti valori<br />

massimi di temperatura più elevati <strong>del</strong>la temperatura atmosferica. I valori massimi di<br />

temperatura interna si sono verificati mediamente dalle ore 16 alle ore 18, posticipati di<br />

circa 3 ore rispetto ai valori massimi di temperatura ambientale, mentre i valori minimi<br />

sono stati raggiunti dalle ore 4 alle 6, anche questi sfasati rispetto ai valori minimi<br />

atmosferici.<br />

Figura 4. Temperatura ambientale e temperatura indoor nel periodo critico estivo e<br />

particolare <strong>del</strong>l’andamento di una “giornata-tipo”<br />

Temperatura (°C)<br />

Temperatura (°C)<br />

36<br />

32<br />

28<br />

24<br />

20<br />

16<br />

2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17<br />

luglio 2010<br />

32<br />

28<br />

24<br />

20<br />

16<br />

12<br />

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16<br />

agosto 2011<br />

119<br />

Esterna<br />

All. A<br />

All. B<br />

All. C<br />

Esterna<br />

All. D<br />

All. E<br />

Temperatura (°C)<br />

Temperatura (°C)<br />

34<br />

32<br />

30<br />

28<br />

26<br />

24<br />

34<br />

32<br />

30<br />

28<br />

26<br />

0 4 8 12 16 20<br />

14 luglio 2010<br />

24<br />

0 4 8 12 16 20<br />

10 agosto 2011<br />

Esterna<br />

All. A<br />

All. B<br />

All. C<br />

Esterna<br />

All. D<br />

All. E


Indici di stress termico<br />

Nei periodi di monitoraggio estivo i valori di THI 1 calcolati in base alle condizioni<br />

termo-igrometriche interne sono risultati, per la maggior parte <strong>del</strong> tempo, superiori ai<br />

valori di THI relativi alle condizioni atmosferiche. Questo fatto è dovuto al<br />

riscaldamento <strong>del</strong>le strutture per trasmissione e produzione di calore ed all’intensa<br />

produzione di vapor d’acqua che determina umidità relative più elevate rispetto alle<br />

condizioni ambientali esterne.<br />

- negli allevamenti A, B e C per la maggior parte <strong>del</strong>le ore (dal 43,3 al 44,6% <strong>del</strong>le ore)<br />

gli animali sono stati esposti a condizioni di severo pericolo (categoria D = Danger),<br />

mentre negli allevamenti D ed E gli animali sono stati esposti per la maggior parte <strong>del</strong><br />

tempo a condizioni di allerta (categoria A = Alert), ricordando, tuttavia, che questi<br />

risultati non sono direttamente confrontabili perché ottenuti in periodi caratterizzati da<br />

condizioni ambientali lievemente diverse.<br />

Figura 5. Durata <strong>del</strong>l’esposizione alle diverse categorie di indice di stress termico THI<br />

Ore di esposizione (%)<br />

70<br />

60<br />

50<br />

40<br />

30<br />

20<br />

10<br />

0<br />

Esterna All. A All. B All. C<br />

S 48,0 17,0 14,9 16,7<br />

A 23,0 33,2 32,1 37,6<br />

D 26,6 44,1 44,6 43,3<br />

E 2,3 5,7 8,4 2,3<br />

120<br />

Ore di esposizione (%)<br />

70<br />

60<br />

50<br />

40<br />

30<br />

20<br />

10<br />

0<br />

Esterna All. D All. E<br />

S 64,5 24,3 37,6<br />

A 28,2 38,1 37,9<br />

D 7,3 36,3 24,5<br />

E 0,0 1,3 0,0<br />

1 Temperature Humidity Index, è un indice che combina i valori di temperatura ed umidità<br />

relativa per definire diverse categorie di condizioni ambientali in relazione al pericolo di<br />

insorgenza di stress termico (S = Safe, condizioni sicure; A = Alarm, condizioni di allarme;<br />

D = Danger, condizioni di pericolo; E = Emergency, condizioni di emergenza, ovvero<br />

condizioni estreme).


Per cercare di rendere confrontabili i valori di THI ottenuti in corrispondenza di diverse<br />

condizioni atmosferiche, è stato elaborato il grafico di figura 6, che esprime la<br />

percentuale di variazione <strong>del</strong>le ore di esposizione degli animali in allevamento a<br />

determinate categorie di THI, in relazione alle ore durante le quali i valori di THI<br />

atmosferici ricadono nelle medesime categorie. I valori negativi (o positivi) degli<br />

istogrammi indicano una riduzione (o aumento) <strong>del</strong>le ore nelle quali quel valore di THI<br />

si verifica negli allevamenti rispetto alle condizioni ambientali. Da questa elaborazione<br />

è emerso, ad esempio, che l’allevamento D ha evidenziato la più elevata riduzione <strong>del</strong>le<br />

ore di assenza di stress termico ed il più elevato aumento <strong>del</strong>le ore di esposizione alle<br />

condizioni di grave pericolo. Gli allevamenti C ed E, invece, sembrerebbero aver<br />

garantito le condizioni in generale meno pericolose per l’insorgenza di stress termico.<br />

Figura 6. Durata <strong>del</strong>l’esposizione alle diverse categorie di indice di stress termico THI<br />

in relazione alle stesse categorie determinate per le condizioni atmosferiche esterne<br />

Variazioni rispetto THI atmosferico (% ore)<br />

30<br />

20<br />

10<br />

0<br />

-10<br />

-20<br />

-30<br />

-40<br />

All. A All. B All. C All. D All. E<br />

S -31,1 -33,2 -31,1 -40,2 -26,9<br />

A 10,2 9,2 14,6 9,9 9,7<br />

D 17,5 18,0 16,5 29,0 17,2<br />

E 3,4 6,0 0,0 1,3 0,0<br />

121


Benessere legato alla qualità <strong>del</strong>l’aria indoor<br />

Le diverse modalità di gestione <strong>del</strong>le deiezioni nelle strutture di allevamento (accumulo<br />

interno negli allevamenti A e B, accumulo esterno negli allevamenti D ed E), come<br />

atteso, hanno determinato risultati diversi in termini di concentrazione indoor dei gas. In<br />

particolare, risulta interessante rilevare che (Figure 7 e 8):<br />

- in linea generale, ma soprattutto in condizioni invernali, le concentrazioni medie dei<br />

gas sono risultate più elevate negli allevamenti A e B, rispetto agli allevamenti D ed<br />

E. In questi ultimi, la presenza di aree di defecazione esterne, con accumulo e gestione<br />

<strong>del</strong>le deiezioni separati dai box interni di allevamento, sicuramente ha determinato la<br />

maggior quota di volatilizzazione dei gas verso l’esterno;<br />

- l’allevamento A ha evidenziato le concentrazioni invernali di gas più elevate. Anche<br />

se i valori di concentrazione invernale di ammoniaca sono risultati mediamente<br />

inferiori ai livelli massimi consigliati da C.I.G.R. (pari a 20 ppm, corrispondenti a<br />

14,2 mg m -3 ), si sono verificati picchi temporanei di concentrazione fino a 16,3 mg m -<br />

3<br />

, superiori ai suddetti limiti. Per quanto riguarda la CO2, nello stesso periodo, il<br />

valore medio di concentrazione è risultato pari a 6,3 g m -3 , superiore al limite<br />

consigliato da C.I.G.R., pari a 3000 ppm e corrispondente a 5,5 g m -3 ;<br />

- in tutti gli altri casi, e non esistendo finora limiti individuati e suggeriti per N2O e<br />

CH4, le concentrazioni di gas sono sempre risultate inferiori ai livelli massimi<br />

consigliati;<br />

- in generale tendenza, i valori di concentrazione dei gas sono risultati più bassi in<br />

condizioni estive. Tuttavia, è stato possibile rilevare come, negli allevamenti D ed E,<br />

le concentrazioni più basse di NH3 e CH4 siano state raggiunte invece, in inverno,<br />

probabilmente in relazione alla più bassa temperatura indoor di questi allevamenti;<br />

- i valori di concentrazione di CH4 sono risultati profondamente diversi negli<br />

allevamenti A e B, rispetto agli allevamenti D ed E. I valori nettamente più elevati<br />

sono stati raggiunti nei primi due ed in particolare in inverno (mediamente pari a 99,3<br />

mg m -3 e 66,5 mg m -3 , rispettivamente per l’allevamento A e B). Questi andamenti<br />

sembrerebbero suggerire che la produzione di CH4 sia stata principalmente<br />

determinata da fermentazioni a carico dei liquami, che trovano condizioni termiche<br />

favorevoli solo nelle vasche di accumulo interne. La produzione di CH4 direttamente a<br />

carico degli animali sembrerebbe, almeno in condizioni invernali, molto inferiore.<br />

122


Figura 7. Qualità <strong>del</strong>l’aria negli allevamenti A e B nelle diverse stagioni (valori medi e<br />

deviazione standard)<br />

NH 3 (mg m -3 )<br />

N 2 O (mg m -3 )<br />

15,0<br />

10,0<br />

5,0<br />

0,0<br />

4,0<br />

3,0<br />

2,0<br />

1,0<br />

0,0<br />

Inverno<br />

Inverno<br />

Primavera<br />

Primavera<br />

Estate<br />

Estate<br />

Autunno<br />

Autunno<br />

All. A<br />

All. B<br />

All. A<br />

All. B<br />

Figura 8. Qualità <strong>del</strong>l’aria negli allevamenti D ed E nelle diverse stagioni (valori medi<br />

e deviazione standard)<br />

NH 3 (mg m -3 )<br />

N 2 O (mg m -3 )<br />

15,0<br />

10,0<br />

5,0<br />

0,0<br />

4,0<br />

3,0<br />

2,0<br />

1,0<br />

0,0<br />

Inverno<br />

Inverno<br />

Primavera<br />

Primavera<br />

Estate<br />

Estate<br />

Autunno<br />

Autunno<br />

All. D<br />

All. E<br />

All. D<br />

All. E<br />

123<br />

CO 2 (g m -3 )<br />

CH 4 (mg m -3 )<br />

CO 2 (g m -3 )<br />

CH 4 (mg m -3 )<br />

8,0<br />

6,0<br />

4,0<br />

2,0<br />

0,0<br />

120,0<br />

8,0<br />

6,0<br />

4,0<br />

2,0<br />

0,0<br />

80,0<br />

40,0<br />

0,0<br />

120,0<br />

80,0<br />

40,0<br />

0,0<br />

Inverno<br />

Inverno<br />

Inverno<br />

Inverno<br />

Primavera<br />

Primavera<br />

Primavera<br />

Primavera<br />

Estate<br />

Estate<br />

Estate<br />

Estate<br />

Autunno<br />

Autunno<br />

Autunno<br />

Autunno<br />

All. A<br />

All. B<br />

All. A<br />

All. B<br />

All. D<br />

All. E<br />

All. D<br />

All. E


L’analisi degli andamenti di concentrazione dei gas durante l’operazione di<br />

svuotamento <strong>del</strong>la vasca di accumulo con il vacuum system e nei momenti successivi,<br />

ha evidenziato effetti poco significativi per NH3, CO2 e N2O (Figura 9). In particolare,<br />

la concentrazione dei primi 2 gas è solo lievemente diminuita in seguito allo<br />

svuotamento <strong>del</strong>la vasca, mentre la concentrazione di N2O è lievemente aumentata. La<br />

concentrazione di CH4, invece, ha evidenziato una sensibile riduzione con lo<br />

svuotamento <strong>del</strong>la vasca, passando da 36,9 mg m -3 a 21,2 mg m -3 .<br />

Figura 9. Concentrazione dei gas prima e dopo lo svuotamento <strong>del</strong>la vasca di accumulo<br />

<strong>del</strong> vacuum system (il momento <strong>del</strong>lo svuotamento dalle barre rosse)<br />

NH3 (mg m -3 )<br />

CO2 (g m -3 )<br />

15<br />

10<br />

4<br />

3<br />

2<br />

1<br />

0<br />

5<br />

0<br />

y m = 5,7 mg m -3<br />

-2 -1 0<br />

Tempo (giorni)<br />

1 2<br />

y m = 1,8 g m -3<br />

124<br />

Scarico vacuum<br />

Scarico vacuum<br />

y m = 5,0 mg m -3<br />

y m = 1,6 g m -3<br />

-2 -1 0<br />

Tempo (giorni)<br />

1 2


N2O (mg m -3 )<br />

CH4 (mg m -3 )<br />

2,0<br />

1,5<br />

1,0<br />

0,5<br />

0,0<br />

80<br />

60<br />

40<br />

20<br />

0<br />

y m = 0,8 mg m -3<br />

-2 -1 0<br />

Tempo (giorni)<br />

1 2<br />

y m = 36,9 mg m -3<br />

125<br />

Scarico vacuum<br />

Scarico vacuum<br />

y m = 0,9 mg m -3<br />

y m = 21,2 mg m -3<br />

-2 -1 0<br />

Tempo (giorni)<br />

1 2<br />

Questi fenomeni potrebbero suggerire che:<br />

- una discreta volatilizzazione di NH3 è avvenuta anche dalle superfici <strong>del</strong>la<br />

pavimentazione ed è stata poco influenzata dallo svuotamento <strong>del</strong>la vasca (o ha<br />

“mascherato” l’effetto di riduzione);<br />

- lo svuotamento <strong>del</strong>la vasca non è stato completo e la quantità di liquame rimasto ha<br />

continuato ad emettere N2O e, anche se in misura sensibilmente più ridotta, CH4.


Ventilazione<br />

L’andamento stagionale <strong>del</strong> livello di ventilazione è risultato simile per i 4 allevamenti,<br />

ma i valori specifici sono risultati lievemente più elevati per gli allevamenti D ed E<br />

rispetto agli allevamenti A e B, soprattutto in condizioni estive e primaverili (Figura<br />

10). In particolare, il ricambio unitario <strong>del</strong>l’aria è risultato massimo in estate (da 66,5<br />

m 3 h -1 capo -1 per l’allevamento A a 91,7 m 3 h -1 capo -1 per l’allevamento E), anche se su<br />

valori inferiori a quelli consigliati, e minimo in inverno, con valori che vanno da 12,7 a<br />

35,0 m 3 h -1 capo -1 , rispettivamente per gli allevamenti A e B.<br />

Figura 10. Stima <strong>del</strong>la portata unitaria di ricambio <strong>del</strong>l’aria nelle diverse stagioni<br />

sulla base <strong>del</strong> bilancio di CO2<br />

Ventilazione (m 3 h -1 capo -1 )<br />

100<br />

80<br />

60<br />

40<br />

20<br />

0<br />

inv. prim. est. aut.<br />

Impatto ambientale: emissività dei gas<br />

All. A<br />

All. B<br />

126<br />

Ventilazione (m 3 h -1 capo -1 )<br />

100<br />

80<br />

60<br />

40<br />

20<br />

0<br />

inv. prim. est. aut.<br />

Come precedentemente osservato, gli andamenti di concentrazione indoor dei gas negli<br />

allevamenti A e B sono risultati sensibilmente differenziati rispetto a quelli degli<br />

allevamenti D ed E. I valori di emissione dei gas, invece, sono risultati più omogenei tra<br />

i diversi allevamenti, pur potendo rilevare elementi differenziali in alcuni casi evidenti<br />

(Figura 11). Come tendenza generale, inoltre, è stato possibile evidenziare i valori più<br />

elevati di emissione nei periodi primaverili-estivi, rispetto ai periodi invernali, con<br />

andamenti, quindi, opposti a quelli rilevati per le concentrazioni indoor dei gas. Inoltre,<br />

è risultato interessante rilevare che:<br />

- i valori di emissione invernale di NH3 dagli allevamenti D ed E sono risultati molto<br />

bassi, ma questo, come già discusso, è da mettere in relazione all’emissività non<br />

quantificata dalle corsie di defecazione esterne;<br />

All. D<br />

All. E


- i valori di emissione di N2O e CH4 sono risultati più variabili tra gli allevamenti, ed<br />

inoltre devono essere segnalati, in termini assoluti, gli elevati valori di emissione di<br />

CH4, che in estate, da tutti gli allevamenti, sono risultati superiori a 1000 mg h -1 capo -1 .<br />

Figura 11. Valori di emissione dei gas dagli allevamenti nei diversi periodi stagionali<br />

NH3 (mg h -1 capo -1 )<br />

CO2 (g h -1 capo -1 )<br />

N2O (mg h -1 capo -1 )<br />

CH4 (mg h -1 capo -1 )<br />

400<br />

300<br />

200<br />

100<br />

0<br />

150<br />

120<br />

90<br />

60<br />

30<br />

80<br />

60<br />

40<br />

20<br />

0<br />

0<br />

2500<br />

2000<br />

1500<br />

1000<br />

500<br />

0<br />

inv. prim. est. aut.<br />

inv. prim. est. aut.<br />

inv. prim. est. aut.<br />

inv. prim. est. aut.<br />

All. A<br />

All. B<br />

All. A<br />

All. B<br />

All. A<br />

All. B<br />

All. A<br />

All. B<br />

127<br />

NH3 (mg h -1 capo -1 )<br />

CO2 (g h -1 capo -1 )<br />

N2O (mg h -1 capo -1 )<br />

CH4 (mg h -1 capo -1 )<br />

400<br />

300<br />

200<br />

100<br />

0<br />

150<br />

120<br />

90<br />

60<br />

30<br />

80<br />

60<br />

40<br />

20<br />

0<br />

0<br />

2500<br />

2000<br />

1500<br />

1000<br />

500<br />

0<br />

inv. prim. est. aut.<br />

inv. prim. est. aut.<br />

inv. prim. est. aut.<br />

inv. prim. est. aut.<br />

All. D<br />

All. E<br />

All. D<br />

All. E<br />

All. D<br />

All. E<br />

All. D<br />

All. E


Sulla base dei valori stagionali di emissione di NH3 è stato possibile calcolare i valori<br />

medi annui di emissione, confrontabili con i valori limite di emissione indicati dalle<br />

Linee guida di riferimento <strong>del</strong>le BAT, ai sensi <strong>del</strong>la Direttiva IPPC (Tabella 4).<br />

Tabella 4. Valori di emissione di ammoniaca e metano dai diversi allevamenti e valori<br />

limite I.P.P.C.<br />

Emissione annua<br />

(kg capo -1 anno -1 )<br />

All. A All. B All. D (1) All. E (1)<br />

128<br />

Limite Dir.<br />

I.P.P.C<br />

Ammoniaca (NH3) 2,2 2,7 1,9 1,5 2,2 - 3,0 (2)<br />

Metano (CH4) 15,1 13,1 6,8 7,5 (non stabilita)<br />

(1) i valori di emissione per gli allevamenti D ed E sono stati calcolati senza considerare<br />

l’emissività di NH3 dalle canalette presenti sotto la corsia esterna di defecazione;<br />

(2) i valori limite di emissione I.P.P.C. sono relativi alla tecnica BAT vacuum system e alla<br />

tecnica di riferimento, rispettivamente.<br />

I valori medi di emissione dagli allevamenti A e B sono risultati inferiori a quelli<br />

indicati per la tecnica di riferimento e, per l’allevamento A, esattamente in linea con<br />

quanto indicato relativamente alla tecnica BAT vacuum system. Rispetto a questa<br />

tecnica, l’allevamento B ha evidenziato valori di emissione più elevati, probabilmente<br />

legati a difficoltà relative alla gestione dei liquami nei periodi autunnali ed invernali.<br />

Infine, ai valori di emissione dagli allevamenti D ed E dovrebbe essere sommata<br />

l’emissività dalle corsie di defecazione esterne, che in questo studio non è stato<br />

possibile quantificare. Tuttavia, anche le Linee guida di riferimento non riportano i<br />

valori limite di emissione relativi a questa tipologia di allevamento.


Considerazioni conclusive<br />

Il monitoraggio ambientale di alcune strutture per l’ingrasso dei suini ha evidenziato<br />

condizioni mediamente soddisfacenti nel corso <strong>del</strong>l’anno, sia per quanto riguarda i<br />

parametri ambientali interni, sia per quanto riguarda le stimate emissioni gassose in<br />

atmosfera.<br />

Sono stati evidenziati, tuttavia, alcuni periodi transitori caratterizzati da condizioni<br />

ambientali critiche, coincidenti con i periodi climatici estremi estivi ed invernali e<br />

riconducibili, in questi due periodi, a diverse cause di criticità.<br />

Problematiche estive<br />

In estate, il fattore critico è risultato legato alla concomitanza di elevate temperature ed<br />

umidità relative che hanno portato a situazioni di grave pericolo in relazione<br />

all’insorgenza di stress termico (elevati indici THI). Queste situazioni sono risultate,<br />

ovviamente, fortemente dipendenti dalle condizioni atmosferiche stagionali e nessuno<br />

degli allevamenti è risultato sufficientemente adeguato a contrastarle o mitigarle. Pur<br />

nella generalizzata criticità <strong>del</strong>le condizioni estive, le strutture meno problematiche sono<br />

risultate quelle caratterizzate da un buon isolamento <strong>del</strong> tetto (allevamento C) e da un<br />

elevato ricambio d’aria estivo (allevamento E), mentre le più problematiche sono<br />

risultate quelle caratterizzate da sfavorevole esposizione, ridotto ricambio d’aria e<br />

cattivo stato dei materiali di isolamento <strong>del</strong> tetto (allevamenti B e D).<br />

Problematiche invernali<br />

In inverno le condizioni termiche indoor sono risultate buone, ma accompagnate spesso<br />

da elevati livelli di umidità relativa (condizioni generalizzabili per tutti gli allevamenti).<br />

Per quanto riguarda la qualità <strong>del</strong>l’aria è stata rilevata una netta differenziazione tra le<br />

strutture: quelle caratterizzate da box con pavimentazione piena e corsie di defecazione<br />

esterne (allevamenti D ed E) hanno evidenziato concentrazioni dei gas più basse rispetto<br />

a quelle caratterizzate da box con pavimentazione totalmente fessurata e vacuum system<br />

per la gestione dei liquami. La situazione generale, tuttavia, non è risultata<br />

preoccupante, dal momento che i valori limite di concentrazione di NH3 e CO2 sono<br />

stati superati solo in casi specifici (allevamento A) e per periodi di tempo di durata<br />

limitata.<br />

129


Emissioni in atmosfera<br />

Le emissioni stimate di NH3 hanno permesso di collocare le strutture monitorate al di<br />

sotto dei valori limite <strong>del</strong>la tecnica di riferimento, quindi entro i valori limite per la<br />

definizione <strong>del</strong>le migliori tecniche disponibili (BAT, secondo la Direttiva I.P.P.C.).<br />

L’allevamento A è risultato perfettamente in linea con i valori limite indicati per la<br />

tecnica <strong>del</strong> vacuum system. Deve essere puntualizzato, tuttavia, che la tecnica di<br />

gestione dei liquami adottata negli allevamenti D ed E (pavimentazione piena nei box e<br />

corsie esterne di defecazione con pavimentazione fessurata) non risulta descritta nelle<br />

Linee guida per la definizione <strong>del</strong>le BAT e, nell’ambito di questo studio, è stato<br />

possibile quantificare solo parzialmente i valori di emissione, limitatamente alla zona<br />

interna di stabulazione degli animali e non dalla zona di defecazione esterna.<br />

Infine, le emissioni di GHG (gas ad effetto serra), in particolare di CH4, hanno<br />

rappresentato un elemento particolarmente innovativo e caratterizzante la presente<br />

attività di ricerca: i risultati ottenuti (valori di emissione da 6,8 a 15,1 kg CH4 anno -1<br />

capo -1 ) tendono sicuramente a giustificare l’interesse che negli ultimi anni è stato<br />

sollevato nei confronti di questi gas nell’ambito agricolo e zootecnico in particolare.<br />

Possibili sviluppi <strong>del</strong>la ricerca e miglioramenti tecnologici<br />

Nella fase produttiva di accrescimento-ingrasso i parametri ambientali indagati hanno<br />

evidenziato le maggiori criticità nel periodo estivo. Tuttavia, risulta difficile dimostrare<br />

gli specifici effetti <strong>del</strong>l’esposizione a tali condizioni critiche in termini di produzione e<br />

qualità <strong>del</strong> prodotto, a causa <strong>del</strong>l’elevato numero e relativo “peso” degli altri fattori di<br />

interazione (genetici, nutrizionali, sanitari). Le correlazioni tra parametri ambientali e<br />

stato generale di benessere degli animali (o più specificatamente qualità <strong>del</strong>la carne)<br />

sono state finora maggiormente indagate durante le fasi immediatamente precedenti la<br />

macellazione (fasi di trasporto e di sosta al macello), ma ancora poco è noto in relazione<br />

alle ultime fasi di allevamento. E’ da ritenere, tuttavia, che, anche in questo caso, le<br />

condizioni ambientali possano incidere su parametri quali:<br />

- riduzione <strong>del</strong>l’accrescimento e <strong>del</strong> peso di macellazione;<br />

- peggioramento <strong>del</strong>l’indice di conversione alimentare.<br />

- aumento di anomalie qualitative <strong>del</strong>la carne (in particolare dovute a carni PSE o<br />

DFD);<br />

130


Infine, da un punto di vista costruttivo ed impiantistico, per limitare le problematiche<br />

ambientali riscontrate nelle strutture oggetto di monitoraggio, potrebbero essere<br />

individuati miglioramenti tecnologici, quali (senza entrare nel dettaglio di casistiche più<br />

specifiche):<br />

- verifica <strong>del</strong>la funzionalità <strong>del</strong>le finestrature e <strong>del</strong>le aperture di colmo, per rendere più<br />

efficiente la ventilazione minima invernale;<br />

- adeguamento <strong>del</strong>la portata minima invernale di ricambio <strong>del</strong>l’aria su valori tali da<br />

garantire la rimozione <strong>del</strong> vapor d’acqua prodotto in eccesso;<br />

- miglioramento <strong>del</strong> grado di isolamento dei tamponamenti laterali e soprattutto <strong>del</strong><br />

tetto;<br />

- predisposizione di sistemi di raffrescamento di emergenza, quali ad esempio<br />

ventilatori interni per la destratificazione <strong>del</strong>l’aria o sistemi di nebulizzazione ad alta<br />

pressione;<br />

- riduzione <strong>del</strong> tempo di svuotamento <strong>del</strong>le vasche di accumulo <strong>del</strong> vacuum system.<br />

131


Riferimenti bibliografici<br />

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CIGR. 2002. 4th Report of the Working Group on "Climatization of Animal Houses<br />

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Published by Research Centre Bygholm, Danish Institute of Agricultural Sciences,<br />

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D.Lgs. 122 <strong>del</strong> 7 luglio 2011 “Attuazione <strong>del</strong>la Direttiva 2008/120/CE che stabilisce<br />

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Decreto Ministero <strong>del</strong>l’Ambiente e <strong>del</strong>la Tutela <strong>del</strong> Territorio e <strong>del</strong> Mare <strong>del</strong> 29<br />

Gennaio 2007 “Emanazione di linee guida per l'individuazione e l'utilizzazione <strong>del</strong>le<br />

migliorie tecniche disponibili, in materia di allevamenti, macelli e trattamento di<br />

carcasse”. Supplemento ordinario alla G.U. serie generale n. 125 <strong>del</strong> 31/05/2007, pp.<br />

104-235.<br />

Dir.a 2008/120/CE <strong>del</strong> Consiglio <strong>del</strong> 18 dicembre 2008 “Norme minime per la<br />

protezione dei suini” (versione codificata).<br />

European Commission, Joint Research Centre. 2003. Integrated Pollution<br />

Prevention and Control I.P.P.C. “Reference document on Best Available Techniques<br />

for intensive rearing of poultry and pigs - BREF”, July 2003.<br />

European Commission, Joint Research Centre. 2011. Integrated Pollution<br />

Prevention and Control I.P.P.C. Working draft in progress “Reference document on<br />

Best Available Techniques for intensive rearing of poultry and pigs - BREF”.<br />

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Johnson HD. 1965. Environmental temperature and lactation with special reference<br />

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Marchant-Forde JM. 2009. The welfare of pigs. Springer. ISBN 978-1-4020-8908-4.<br />

USDC-ESSA. 1970. Livestock hot weather stress. Central Regional Operations<br />

Manual Letter 70-28. Environmental Sciences Services Admin., U.S Dept.<br />

Commerce, Kansas City, MO.<br />

132


APPENDICE: Metodologie sperimentali adottate per i rilievi ambientali<br />

Microclima<br />

I parametri microclimatici ambientali (temperatura e umidità relativa) sono stati rilevati<br />

con sensori a termoresistenza e sensori capacitivi collegati a mini-datalogger (Econorma<br />

FT-102 e FT-90), in grado di acquisire i dati con intervalli di 30 minuti e memorizzarli<br />

per periodi continuativi prolungati. In ciascuna struttura il punto di rilievo è stato<br />

centrale, a circa 1,8 m di altezza; negli allevamenti A, B è stato localizzato un punto di<br />

rilievo anche in prossimità <strong>del</strong>le finestrature di ingresso <strong>del</strong>l’aria (in condizioni<br />

invernali e primaverili), mentre nell’allevamento E, di forma più allungata, oltre al<br />

punto centrale, sono stati localizzati punti di rilievo a 1/4 e 3/4 <strong>del</strong>la lunghezza. Negli<br />

allevamenti A, B, D, E il monitoraggio microclimatico è stato eseguito per periodi<br />

continuativi prolungati (fino a 90 giorni), selezionando da questi, per l’elaborazione<br />

comparativa dei dati, periodi <strong>del</strong>la durata di 3 giorni, omogenei per quanto riguarda le<br />

condizioni atmosferiche e rappresentativi <strong>del</strong>le diverse condizioni stagionali <strong>del</strong>l’anno.<br />

Nell’allevamento C il monitoraggio microclimatico è stato eseguito solamente in<br />

condizioni estive.<br />

Sulla base dei dati termo-igrometrici ottenuti in condizioni estive è stato calcolato<br />

l’indice di stress termico THI (Temperature Humidity Index), applicando la formula<br />

derivata da quella originariamente proposta da Johnson (1965):<br />

t0, 55 0,<br />

0055<br />

u<br />

14,<br />

5<br />

32<br />

THI 1, 8<br />

t <br />

dove t è la temperatura (°C) e u è l’umidità relativa (%).<br />

133


I valori di THI sono stati distinti in funzione <strong>del</strong>la pericolosità di insorgenza <strong>del</strong>lo stress<br />

termico per gli animali, come proposto da USDC-ESSA (1970), nelle categorie<br />

riassunte nella successiva tabella.<br />

Tabella – Valutazione <strong>del</strong> grado di pericolo di insorgenza <strong>del</strong>lo stress termico e relative<br />

azioni ed interventi gestionali da intraprendere in allevamento. Fonte: USDC<br />

(modificata).<br />

Valori di THI Categoria di pericolo Azioni ed interventi gestionali<br />

< 74 S = Safe, zona di sicurezza -<br />

75 - 78 A = Alert, soglia di attenzione<br />

79 - 83 D = Danger, zona di pericolo<br />

> 84<br />

E = Emergency, situazione di<br />

grave emergenza<br />

Aumentare la portata di ricambio <strong>del</strong>l’aria;<br />

monitorare il comportamento degli animali per<br />

verificare per tempo segnali di stress (aumento <strong>del</strong><br />

ritmo respiratorio, bocca spalancata, ecc.); assicurarsi<br />

<strong>del</strong>la disponibilità di acqua fresca; prepararsi ad<br />

azionare eventuali sistemi di raffrescamento.<br />

La ventilazione deve funzionare alla massima<br />

potenzialità; mettere in funzione sistemi addizionali<br />

di raffrescamento (cooling o nebulizzazione); tenere<br />

sotto stretta osservazione gli animali.<br />

Evitare ogni operazione d’allevamento non<br />

strettamente necessaria; applicare obbligatoriamente<br />

tutte le azioni già previste per la categoria D<br />

“pericolo”; ridurre il livello di luminosità, se<br />

possibile; valutare la possibilità di diradare la densità<br />

di allevamento.<br />

134


Qualità <strong>del</strong>l’aria<br />

La concentrazione indoor dei gas (ammoniaca, anidride carbonica, protossido d’azoto e<br />

metano) è stata misurata con un monitor multigas di tipo fotoacustico (Bruel & Kjaer<br />

1302) in grado di campionare l’aria in punti prefissati, ad intervalli di tempo prestabiliti<br />

(30 minuti) e di memorizzare i dati acquisiti. Il punto di rilievo in ogni struttura è stato<br />

localizzato in un box centrale ad un’altezza di circa 0,8 m dalla zona di inspirazione<br />

degli animali. Negli allevamenti A e B sono stati eseguiti periodi di monitoraggio in<br />

continuo nei diversi periodi climatici stagionali. Negli allevamenti D ed E, invece, non è<br />

stato possibile il monitoraggio continuo e sono stati eseguiti rilievi manuali, ripetuti in<br />

giornate diverse nelle quattro stagioni. Infine, per motivi organizzativi legati alle<br />

disponibilità strumentali, l’allevamento C non è stato inserito nel programma di<br />

monitoraggio <strong>del</strong>la qualità <strong>del</strong>l’aria.<br />

L’elaborazione comparativa dei dati è stata eseguita, per gli allevamenti A e B,<br />

selezionando periodi omogenei per quanto riguarda le condizioni atmosferiche e<br />

rappresentativi <strong>del</strong>le diverse condizioni stagionali <strong>del</strong>l’anno. Per gli allevamenti D ed E,<br />

il confronto dei dati è stato eseguito selezionando quelli ottenuti da due giornate di<br />

rilievo per ogni periodo stagionale.<br />

135


Ventilazione<br />

La portata di ricambio <strong>del</strong>l’aria, non direttamente misurabile nelle strutture con sistema<br />

di ventilazione naturale, è stata stimata attraverso il bilancio di CO2, seguendo il metodo<br />

indicato da CIGR (2002). In particolare, è stata considerata PCO2 (produzione unitaria di<br />

CO2) pari a 0,185 m 3 h -1 hpu -1 , dove 1 hpu (heat producing unit) corrisponde ad una<br />

massa di animali che produce 1000 W di calore totale alla temperatura di 20°C. Per<br />

calcolare la quantità di calore totale prodotta dai suini (tot) in funzione <strong>del</strong>la<br />

temperatura indoor (t, in °C) è stata utilizzata la seguente formula:<br />

1000<br />

12<br />

20<br />

tot<br />

136<br />

t<br />

W<br />

Quindi, la portata di ricambio <strong>del</strong>l’aria è stata calcolata con la seguente formula:<br />

V<br />

P<br />

CO2<br />

3 1<br />

m h<br />

6<br />

CO2 in CO2<br />

out10<br />

dove CO2 in è la concentrazione di CO2 indoor, mentre CO2 out è la concentrazione di<br />

CO2 atmosferica.


Emissività dei gas<br />

In presenza di ventilazione naturale, assumendo condizioni di stabilità <strong>del</strong> regime di<br />

ventilazione (concentrazione dei gas nel punto di emissione pari alla concentrazione<br />

media indoor) la determinazione <strong>del</strong> flusso di emissione dei gas (Egas) è stata calcolata<br />

con il prodotto tra il flusso di ventilazione (V) e la concentrazione dei gas (Cgas, in mg<br />

m -3 ):<br />

Egas gas<br />

V C<br />

mg h<br />

Per quanto riguarda le emissioni di NH3, il confronto con i valori limite di emissione<br />

indicati nelle Linee guida di riferimento per la definizione <strong>del</strong>le migliori tecnologie<br />

disponibili è stato effettuato calcolando il valore medio annuale, ponderato sui valori di<br />

emissione stagionali, espresso in kg anno -1 posto suino -1 .<br />

137<br />

1


138


Prospettive per lo sviluppo di un sistema suinicolo Regionale<br />

Bruno Stefanon<br />

Dipartimento di Scienze Agrarie ed Ambientali – Università di Udine<br />

Nell’ambito <strong>del</strong>le produzioni animali italiane il comparto suino <strong>del</strong>la Regione Friuli<br />

Venezia Giulia ricopre un ruolo rilevante per la presenza nel territorio <strong>del</strong>la DOP<br />

Prosciutto di San Daniele, un vanto <strong>del</strong> made in Italy.<br />

Dal 2008, le difficoltà economiche per gli <strong>allevatori</strong> <strong>del</strong> Friuli Venezia Giulia sono<br />

aumentate in modo considerevole, analogamente a quanto si è verificato a livello<br />

nazionale, e la redditività degli allevamenti è diminuita a causa <strong>del</strong> prezzo di mercato<br />

<strong>del</strong> suino, spesso inferiore al costo di produzione, e <strong>del</strong>l’aumento <strong>del</strong> costo degli<br />

alimenti e <strong>del</strong>l’energia. Per fare fronte alla grave crisi <strong>del</strong> mercato <strong>del</strong>le carni suine <strong>del</strong>la<br />

metà degli anni 2000, gli attori <strong>del</strong>la filiera hanno firmato un primo protocollo d’intesa<br />

per garantire un migliore livello di interazione tra loro. A questa intesa è seguita nel<br />

giugno 2008 la predisposizione e l’approvazione da parte di tutti i soggetti <strong>del</strong>la filiera<br />

di un Piano di Settore Suinicolo articolato nei 5 punti di seguito riportati.<br />

1. Mercato unico nazionale, con l’istituzione di una Commissione nazionale per la<br />

determinazione anticipata <strong>del</strong> prezzo <strong>del</strong>le carni suine e con declaratorie separate per<br />

i suini DOP.<br />

2. Mo<strong>del</strong>lo condiviso <strong>del</strong>la valutazione <strong>del</strong>le carcasse.<br />

3. Valorizzazione <strong>del</strong> Gran Suino Padano.<br />

4. Sviluppo di interventi per il sostegno <strong>del</strong>la filiera DOP attraverso strumenti di<br />

programmazione <strong>del</strong>l’offerta.<br />

5. Eradicazione <strong>del</strong>l’epidemia vescicolare.<br />

Per la Regione Friuli Venezia Giulia, si è aggiunta un’ulteriore criticità in seguito<br />

all’effetto <strong>del</strong>la circolare unificata Istituto Parma Qualità (IPA) (IPQ)<br />

e Istituto Nord Est<br />

Qualità (INEQ) n. 3/2008 <strong>del</strong> 8 aprile 2008 (DG-3679.1), che prevedeva una limitazione<br />

139


<strong>del</strong>le regioni di provenienza <strong>del</strong>le cosce suine fresche utilizzate per la lavorazione ai fini<br />

<strong>del</strong>la DOP Prosciutto di San Daniele.<br />

Il secondo punto <strong>del</strong> Piano di Settore Suinicolo, relativo a un mo<strong>del</strong>lo condiviso <strong>del</strong>la<br />

valutazione <strong>del</strong>le carcasse e di una base unica per la determinazione <strong>del</strong> prezzo in<br />

rapporto alla qualità, sia per la carne fresca sia per i tagli <strong>del</strong> suino destinati alle<br />

produzioni DOP, è probabilmente l’aspetto di maggiore rilievo per la costituzione di<br />

una filiera nella Regione Friuli Venezia Giulia.<br />

L’applicazione sul territorio nazionale <strong>del</strong> Reg. Ce 3220/84 ha per effetto il pagamento<br />

a peso morto dei suini e l’obbligo, per i macelli, di dotarsi di strumenti per la<br />

classificazione oggettiva <strong>del</strong>le carcasse suine, con l’obiettivo di definirne il prezzo da<br />

trasmettere al Ministero tramite le Camere di commercio competenti. Il Regolamento<br />

permette quindi una valorizzazione <strong>del</strong>la qualità attraverso meccanismi premiali di<br />

prezzo per gli <strong>allevatori</strong> che producono suini con caratteristiche migliori <strong>del</strong>le carcasse e<br />

<strong>del</strong>le cosce per la DOP Prosciutto di San Daniele.<br />

L’attuazione <strong>del</strong> Piano di Settore Suinicolo ha portato all’attuale sistema di raccolta e di<br />

trasmissione dei dati dal macello direttamente a una banca dati, gestita dall’INEQ.<br />

Questo sistema permette una totale trasparenza <strong>del</strong>le fasi di raccolta con l’inserimento<br />

dei dati nel database remoto <strong>del</strong>l’INEQ già in sede di macellazione. Lo scambio<br />

telematico <strong>del</strong>le informazioni tra gli allevamenti, gli stabilimenti di macellazione e di<br />

trasformazione e gli organismi di controllo, assieme alla possibilità di tracciare dalla<br />

propria azienda i dati di carattere generale mediante password, sono formidabili<br />

strumenti di garanzia <strong>del</strong> sistema <strong>del</strong>la DOP e di controllo sulla qualità oggettiva <strong>del</strong><br />

prodotto nei diversi punti <strong>del</strong>la filiera.<br />

Una misura ulteriore, attuata fin dal 2008, ha previsto per la Regione Friuli Venezia<br />

Giulia il rinforzo dei controlli di non conformità <strong>del</strong>le cosce da parte degli ispettori<br />

<strong>del</strong>l’INEQ direttamente nei macelli. In tal modo si riducono i resi di cosce non conformi<br />

già nello stabilimento di macellazione e si stimola l’allevatore a selezionare i suini a<br />

fine ciclo da inviare al macello prima <strong>del</strong>la partenza dall’azienda, riducendo la loro<br />

disomogeneità. D’altra parte, il macellatore può classificare gli allevamenti in funzione<br />

<strong>del</strong>la serie storica <strong>del</strong>le partite consegnate, prevedendo, in un’ottica di filiera, un premio<br />

sul prezzo di acquisto in rapporto alla qualità oggettiva <strong>del</strong>le carcasse. Gli effetti<br />

positivi <strong>del</strong> sistema di controllo possono estendersi anche a valle <strong>del</strong>la filiera. Il<br />

prosciuttificio dispone, infatti, di cosce conformi e più omogenee e può prevedere dei<br />

140


meccanismi premiali in funzione <strong>del</strong>la qualità <strong>del</strong>le partite. La registrazione <strong>del</strong>le<br />

informazioni lungo la filiera ha un’ulteriore utilità per l’allevatore e gli altri operatori<br />

che intervengono a monte nel processo produttivo, grazie al ritorno di informazioni che<br />

le aziende zootecniche possono ricevere per quanto attiene la qualità oggettiva misurata<br />

al macello.<br />

Gli strumenti operativi messi in campo dal 2008 a oggi sono quindi di enorme utilità al<br />

sistema suinicolo e, se opportunamente utilizzati, potrebbero consentire una<br />

valorizzazione <strong>del</strong>le caratteristiche qualitative differenziali di un suino nato ed allevato<br />

in Friuli Venezia Giulia ed opportunamente qualificato dal punto di vista genetico.<br />

I costi di produzione<br />

Il costo di produzione di 1 kg di carne suina nel 2011 è stato di 1,49 euro (CRPA,<br />

2012), pari quindi a 238,4 euro per un suino pesante a ciclo chiuso di 160 kg di peso<br />

vivo (Tabella 1), ed è aumentato sia rispetto al 2010 (1,39 euro/kg) sia rispetto al 2009<br />

(1,36 euro/kg). L’alimentazione ha rappresentato la gran parte <strong>del</strong> costo ed ha inciso per<br />

il 62,1%, 59,9% e 58,9% rispettivamente nel 2011, 2010 e 2009.<br />

In base al report pubblicato da Interpig (2010), i costi per kg di carne suina in Italia e in<br />

Gran Bretagna risultano di gran lunga superiori a quelli calcolati per gli altri Paesi<br />

europei (Tabella 2). La voce principale <strong>del</strong> costo di produzione nei Paesi europei è<br />

costituita dall’alimentazione (Figura 1), con un’incidenza maggiore per la Spagna<br />

(65,5% <strong>del</strong> totale) e l’Italia (65,0% <strong>del</strong> totale), mentre il costo di produzione più basso si<br />

osserva in Germania e Olanda (rispettivamente 53,9% e 53,5% <strong>del</strong> totale). Le differenze<br />

dei costi e <strong>del</strong>la loro incidenza sono da ascrivere principalmente al peso vivo finale e<br />

alla durata <strong>del</strong> ciclo di ingrasso. In Italia, infatti, la produzione <strong>del</strong> suino pesante per le<br />

DOP prevede un’età di macellazione di almeno 9 mesi e un peso vivo medio superiore a<br />

160 kg. I dati <strong>del</strong>la tabella 3 evidenziano, infatti, che negli altri Paesi europei la<br />

macellazione avviene a un peso compreso fra i 103 e i 124 kg circa e l’indice di<br />

conversione alimentare (ICA) è, ovviamente, più basso. Un’eccezione è rappresentata<br />

dalla Spagna, per la quale il costo alimentare è simile a quello <strong>del</strong>l’Italia, a causa<br />

principalmente <strong>del</strong> ridotto peso vivo dei suini all’inizio <strong>del</strong> ciclo di ingrasso e <strong>del</strong> tipo di<br />

razioni utilizzate.<br />

141


Tabella 1. Costo di produzione (euro) <strong>del</strong> magroncello e <strong>del</strong> suino pesante a ciclo<br />

aperto e a ciclo chiuso nel 2011<br />

Magroncello Ciclo Aperto Ciclo Chiuso<br />

Alimentazione 45,24 125,37 147,20<br />

Lavoro 13,74 10,08 30,40<br />

Altri costi 16,10 19,88 38,40<br />

Magroncello - 80,50 -<br />

Totale costi espliciti 75,08 235,83 216,00<br />

Interessi e ammortamenti 10,31 13,36 22,40<br />

Costo totale 85,39 249,19 238,40<br />

Alimentazione 1,29 0,92 0,94<br />

Lavoro 0,39 0,19 0,08<br />

Altri costi 0,46 0,24 0,15<br />

Magroncello - - 0,24<br />

Totale costi espliciti 2,14 1,35 1,41<br />

Interessi e ammortamenti 0,30 0,14 0,10<br />

Costo totale 2,44 1,49 1,51<br />

Fonte CRPA, 2012<br />

Tabella 2. Costo di produzione <strong>del</strong>la carne suina (euro/kg peso morto)<br />

Voci di costo GB NL FR IT DK BEL GER SP<br />

Alimentazione 1,00 0,76 0,78 1,17 0,80 0,89 0,82 0,93<br />

Lavoro 0,15 0,14 0,18 0,15 0,15 0,14 0,14 0,11<br />

Altri Costi 0,10 0,12 0,11 0,14 0,10 0,10 0,15 0,14<br />

Interessi e ammortamenti 0,45 0,40 0,33 0,33 0,36 0,35 0,41 0,24<br />

Costo Totale 1,70 1,42 1,40 1,79 1,41 1,48 1,52 1,42<br />

Fonte: Interpig (2010)<br />

142


Figura 1. Incidenza <strong>del</strong>le singole voci sul costo di produzione <strong>del</strong>la carne suina<br />

(euro/kg peso morto)<br />

100%<br />

80%<br />

60%<br />

40%<br />

20%<br />

0%<br />

SPA IT BEL GB DK FR GER NL<br />

Alimentazione Lavoro Altri Costi Interessi e ammortamenti<br />

Fonte: Interpig (2010)<br />

Tabella 3. Valori medi <strong>del</strong>le principali performances produttive dei suini in Europa<br />

Peso<br />

iniziale<br />

Peso<br />

finale<br />

Peso<br />

carcassa<br />

Resa<br />

macello<br />

143<br />

Tagli<br />

magri<br />

ICA<br />

IMG<br />

Durata<br />

ingrasso<br />

kg kg kg % % kg/kg g/d d<br />

IT 35,0 166,0 131,1 79,0 47,0 3,68 640,0 204,7<br />

BEL 23,1 124,5 92,2 82,0 61,7 2,96 630,0 141,9<br />

GER 29,9 119,8 94,6 79,0 56,5 2,92 753,0 119,4<br />

NL 25,1 116,6 92,1 79,0 56,4 2,71 792,0 115,5<br />

FR 31,6 115,8 90,9 78,5 60,1 2,85 785,3 107,3<br />

DK 31,4 106,6 81,4 76,3 60,2 2,66 898,0 83,8<br />

SPA 19,0 105,0 80,9 77,0 58,0 2,71 642,5 133,9<br />

GB 36,6 103,3 79,8 77,3 62,0 2,77 819,0 81,4<br />

EU 30,3 116,9 91,6 78,3 58,0 2,89 767,3 116,4<br />

ICA = indice conversione alimentare; IMG = incremento medio giornaliero<br />

Fonte: Interpig (2010)


Un ulteriore aspetto che incide sui costi di produzione <strong>del</strong> suino pesante in Italia deriva<br />

dalla limitazione dei tipi genetici ammessi per le DOP nazionali, che sono regolamentati<br />

dai disciplinari di produzione al fine di ottenere carcasse con un buon grado di deposito<br />

adiposo per rispondere alle esigenze <strong>del</strong>l’industria di trasformazione in prosciutti e<br />

insaccati. Appare evidente che la produzione <strong>del</strong>la carne <strong>del</strong> suino pesante per il<br />

marcato italiano richiede costi più elevati, legati ai vincoli imposti dai disciplinari <strong>del</strong>le<br />

DOP relativi al tipo genetico, alla durata <strong>del</strong> ciclo di allevamento e, in particolare,<br />

all’impiego dei cereali. Il prezzo <strong>del</strong> mais nazionale negli ultimi anni ha infatti subito<br />

<strong>del</strong>le oscillazioni rilevanti e, a parte l’intervallo dall’ottobre <strong>del</strong> 2011 al giugno <strong>del</strong><br />

2012, ad oggi è aumentato di circa il 70% rispetto al valore <strong>del</strong>la seconda metà <strong>del</strong><br />

2008 (Figura 2A). Anche le quotazioni <strong>del</strong> suino pesante hanno subito continue<br />

variazioni, con valori molto bassi ed inferiori a 1.10 euro/kg di peso vivo nei periodi<br />

marzo-maggio <strong>del</strong> 2009 e <strong>del</strong> 2010. Solo negli ultimi 5 mesi <strong>del</strong> 2012 le quotazioni <strong>del</strong><br />

suino pesante sono salite considerevolmente, compensando almeno in parte l’aumento<br />

<strong>del</strong> prezzo <strong>del</strong> mais. Anche le quotazioni <strong>del</strong>la coscia fresca (Figura 2B) hanno subito<br />

<strong>del</strong>le variazioni nello stesso periodo, con un andamento molto simile a quello osservato<br />

per il prezzo <strong>del</strong> peso vivo <strong>del</strong> suino pesante. In linea generale, si osserva quindi una<br />

ridotta capacità <strong>del</strong> circuito <strong>del</strong>le DOP di compensare l’aumento <strong>del</strong> costo <strong>del</strong>le materie<br />

prime, mentre il prezzo <strong>del</strong>la carne subisce la competizione <strong>del</strong> mercato estero e soffre<br />

periodicamente di prezzi decisamente ridotti, come è evidenziato dalle oscillazioni <strong>del</strong><br />

prezzo <strong>del</strong> lombo.<br />

Costi di produzione negli allevamenti aderenti al progetto<br />

L’analisi dei costi negli allevamenti che hanno aderito al progetto Regionale (Tabella 4)<br />

consente di trarre alcune considerazioni. Il confronto fra i valori medi dei parametri<br />

produttivi registrati in queste aziende con i dati di riferimento nazionali ed europei<br />

(Interpig, 2010) indicano in primo luogo una buona efficienza degli allevamenti <strong>del</strong>la<br />

Regione, sia per quanto riguarda la conversione alimentare sia per gli accrescimenti, e<br />

un costo di produzione inferiore a quello medio riportato nella tabella 2. Inoltre, il<br />

prezzo medio di mercato percepito dagli allevamenti di ingrasso aderenti al progetto nel<br />

periodo 2008-2012 è stato di 1,45 euro/kg, superiore quindi a quello medio nazionale<br />

<strong>del</strong> mercato <strong>del</strong> suino vivo, pari a 1,29 euro/kg.<br />

144


Figura 2. Andamento <strong>del</strong> prezzo <strong>del</strong> mais nazionale, <strong>del</strong> suino pesante (156-176 kg) e<br />

<strong>del</strong> Magroncello di 30 kg (Figura A) e <strong>del</strong>la coscia e <strong>del</strong> lombo (Figura B) da agosto<br />

2008 a ottobre 2012<br />

3.50<br />

3.00<br />

2.50<br />

2.00<br />

1.50<br />

1.00<br />

0.50<br />

4.50<br />

4.00<br />

3.50<br />

3.00<br />

2.50<br />

2.00<br />

1.50<br />

A<br />

Suino 156 - 176 Magroncello 30 kg Mais<br />

B<br />

Coscia Parma, 11-13 kg Coscia Parma, 13-16 kg Lombo<br />

Fonte: Camera di Commercio di Parma<br />

Prima di aprile 2012, i listini si riferiscono a pezzature di 10-12 kg e di 12-14,8 kg.<br />

L’utile per capo è quindi risultato superiore negli allevamenti friulani che hanno aderito<br />

alla filiera ed è stato mediamente di circa 50 euro a capo, sia in virtù dei maggiori prezzi<br />

di vendita <strong>del</strong> suino sia dei minori costi di produzione. Va precisato che l’utile per capo<br />

non tiene conto dei costi di ammortamento e degli interessi e <strong>del</strong>la remunerazione <strong>del</strong><br />

lavoro.<br />

145<br />

300<br />

250<br />

200<br />

150<br />

100<br />

50<br />

0


Tabella 4. Confronto fra i costi di produzione calcolati sugli allevamenti aderenti al<br />

progetto Regionale (Progetto) e quelli stimati in basi dati medi derivati dalle Tabelle 1<br />

e 3 (Riferimento)<br />

Parametri produttivi Progetto Riferimento<br />

Durata ciclo d 204,1 205,0<br />

Peso iniziale kg 29,2 35,0<br />

Peso finale kg 168,9 166,0<br />

Accrescimento medio g/d 684,0 640,0<br />

Consumo alimenti kg/capo 454 482<br />

Conversione alimentare kg/kg 3,31 3,68<br />

Costi espliciti<br />

Acquisto suinetti euro 75,30 80,50<br />

Alimentazione euro 104,45 108,84<br />

Altri costi espliciti euro 15,50 19,88<br />

Totale costi euro/capo 195,25 209,22<br />

Ricavi<br />

Prezzo euro/kg 1,45 1,29<br />

Valore euro/capo 244,91 214,14<br />

Utile euro/capo 49,65 4,92<br />

Costo kg/carne euro/kg 1,40 1,60<br />

Costo alimentazione euro/kg 0,75 0,83<br />

Per comprendere quali siano stati gli elementi che hanno inciso sull’utile, sono state<br />

condotte <strong>del</strong>le semplici analisi di regressione fra questo valore (variabile dipendente)<br />

con i costi calcolati e con i parametri produttivi rilevati negli allevamenti che hanno<br />

aderito al progetto. I dati si riferiscono ai cicli produttivi dei suini pesanti che sono stati<br />

completati dal 2008 al 2012.<br />

Come appare evidente dalla figura 3A e 3B i costi di allevamento per la produzione di<br />

un kg di carne, per l’alimentazione e l’efficienza alimentare, misurata come indice di<br />

conversione alimentare (kg di accrescimento per kg di alimento ingerito), non sono<br />

146


isultati correlati con l’utile. Neppure la durata <strong>del</strong> ciclo produttivo, il peso vivo finale e<br />

l’incremento medio giornaliero di peso (IMG, g/d) sono stati correlati con l’utile a capo<br />

calcolato nei cicli produttivi degli allevamenti. Diversamente, è stata osservata una<br />

dipendenza lineare e altamente significativa (P


Figura 3. Relazioni fra l’utile netto per capo calcolato negli allevamenti aderenti al<br />

progetto, i costi di produzione (A), le prestazioni produttive dei suini (B) e il prezzo di<br />

mercato <strong>del</strong> suino (C)<br />

euro/kg<br />

d / kg<br />

4.0<br />

4.0<br />

3.5<br />

3.5<br />

3.0<br />

y = -0.0041x + 3.5024<br />

3.0<br />

2.5<br />

R² = 0.3065 2.5<br />

2.0<br />

y = 0.0014x + 1.0506<br />

2.0<br />

R² = 0.0543<br />

1.5<br />

1.5<br />

1.0<br />

1.0<br />

0.5<br />

y = 0.0003x + 0.7208 0.5<br />

0.0<br />

R² = 0.0026<br />

0.0<br />

0 20 40 60 80 100<br />

Utile per capo, euro<br />

euro/kg carne<br />

250<br />

200<br />

150<br />

100<br />

50<br />

y = -0.0704x + 170.51<br />

R² = 0.028<br />

A<br />

Costo carne Costo alimentazione ICA<br />

y = -0.3528x + 756.56<br />

R² = 0.0498<br />

B<br />

148<br />

y = 0.2598x + 176.29<br />

R² = 0.174<br />

1100<br />

1000<br />

900<br />

800<br />

700<br />

600<br />

0<br />

500<br />

0 20 40 60 80 100<br />

Utile per capo, euro<br />

2.00<br />

1.70<br />

1.40<br />

1.10<br />

Durata ciclo, d Peso finale, kg IMG, g/d<br />

y = 0.0077x + 1.0391<br />

R² = 0.589<br />

C<br />

0.80<br />

0 20 40 60 80 100<br />

Utile per capo<br />

ICA, kg/kg<br />

IMG, g/d


La costruzione di una filiera produttiva per il comparto suinicolo richiede la presenza di<br />

numerosi operatori, coinvolti sia nella fase di produzione primaria sia in quella<br />

industriale di trasformazione, e risulta pertanto complessa. La filiera, infatti, nasce dalla<br />

produzione agricola degli alimenti e dall’allevamento, comprendendo anche i centri<br />

genetici e le aziende mangimistiche, e prosegue con il macello, la lavorazione <strong>del</strong>le<br />

carcasse e <strong>del</strong>le carni, la successiva trasformazione in prodotti finiti e termina con la<br />

distribuzione.<br />

Nella figura 4 sono stati rappresentati due possibili scenari per la filiera suina. Nel<br />

primo caso (Figura 4A) i grandi gruppi alimentari ed industriali sono gli attori principali<br />

e, in base ad accordi con la grande distribuzione organizzata, controllano i prezzi di<br />

mercato e i volumi dei prodotti e, quindi, stabiliscono la distribuzione degli utili agli<br />

altri attori. In alcuni casi, i grandi gruppi alimentari sono proprietari anche di<br />

mangimifici, centri genetici e strutture di macellazione, limitando in tal modo le scelte<br />

tecniche e operative <strong>del</strong>l’allevatore e prediligendo una distribuzione <strong>del</strong>le marginalità<br />

all’interno <strong>del</strong>la propria compagine societaria. Il secondo scenario (Figura 4B) prevede<br />

la costituzione di una rete fra le aziende <strong>del</strong>la filiera attraverso la stipula di contratti<br />

coordinati fra i diversi attori, in modo da garantire una più equa distribuzione <strong>del</strong>le<br />

marginalità. In altri termini, l’accordo commerciale fra l’allevatore e il macellatore deve<br />

tenere conto di quello in essere fra le aziende di trasformazione e il macellatore, in<br />

modo che oscillazioni positive o negative <strong>del</strong> prezzo di vendita dei prodotti al consumo<br />

siano ripartite in modo predeterminato e armonico fra gli attori <strong>del</strong>la filiera. Negli<br />

allegati 1 e 2 sono stati predisposti degli esempi di accordi economici di filiera, che<br />

possono essere stabiliti fra <strong>allevatori</strong> e macellatori (Allegato 1) e fra questi e i<br />

prosciuttifici (Allegato 2) e che prevedono un premio sul prezzo di acquisto in funzione<br />

alla qualità oggettiva <strong>del</strong>le partite di carcasse e di cosce, in grado di garantire una<br />

distribuzione <strong>del</strong>le marginalità fra gli attori <strong>del</strong>la filiera stessa. Se nel primo scenario il<br />

flusso economico e dei prodotti e gestito da un attore principale, che assume decisioni<br />

operative e stabilisce le strategie, nel secondo caso si dovrebbe assistere a una<br />

condivisione <strong>del</strong>le scelte operative in funzione <strong>del</strong>le richieste <strong>del</strong> mercato al consumo.<br />

L’analisi dei punti di forza e di debolezza, <strong>del</strong>le opportunità e <strong>del</strong>le minacce (SWOT<br />

analysis) è riportata nella tabella 5 ed evidenzia la grande potenzialità che un sistema<br />

integrato, rivolto non solo alla produzione di cosce per la DOP prosciutto di San<br />

149


Daniele ma anche alla valorizzazione <strong>del</strong>la carne suina sia fresca che trasformata, può<br />

offrire alla suinicoltura Regionale.<br />

Tabella 5. Analisi dei punti di forza forza (Strengths), debolezza (Weaknesses),<br />

opportunità (Opportunities) e minacce (Threats) di una filiera Regionale per<br />

l’allevamento <strong>del</strong> suino<br />

Strenghts – Forza Weakeness – Debolezza<br />

- Tipicità <strong>del</strong> prodotto e valorizzazione<br />

<strong>del</strong>la carne fresca<br />

- Stabilizzazione <strong>del</strong>la domanda e dei<br />

prezzi alla produzione<br />

- Politica dei redditi per gli <strong>allevatori</strong><br />

- Rafforzamento aziende mangimistiche<br />

e stabilimenti di trasformazione<br />

Regionale<br />

- Identità territoriale con un marchio<br />

Opportunities – Opportunità Threats – Minacce<br />

- Offerta di nuovi prodotti di nicchia<br />

- Sfruttamento <strong>del</strong> marchio AQUA<br />

- Programmazione <strong>del</strong>la produzione in<br />

relazione alla domanda<br />

- Mantenimento degli allevamenti nelle<br />

aree vocate<br />

- Implementazione degli stabilimenti di<br />

prima e seconda lavorazione<br />

- Aumento <strong>del</strong> potere contrattuale a<br />

monte <strong>del</strong>la filiera<br />

Considerazioni finali<br />

150<br />

- Ridotta dimensione <strong>del</strong>la filiera<br />

- Numero di allevamenti in Regione<br />

- Variabilità genetica dei riproduttori<br />

- Concorrenzialità entro la DOP<br />

Prosciutto di San Daniele<br />

- Concorrenzialità con prezzi di prodotti<br />

esteri per le carni fresche<br />

- Scarso interesse <strong>del</strong>la GDO per<br />

prodotti di nicchia<br />

- Ridotta propensione all’integrazione a<br />

monte <strong>del</strong>la filiera (<strong>allevatori</strong> e<br />

macellatori)<br />

- Maggiore attrazione per i contratti di<br />

soccida (grandi gruppi alimentari)<br />

- Competizione di prezzo con altri<br />

prodotti <strong>del</strong>la GDO<br />

- Riduzione <strong>del</strong> consumo di proteine di<br />

origine animale<br />

Il tipo genetico studiato nel progetto non rappresenta di certo una novità, in quanto è un<br />

ibrido di prima generazione fra verri di razza Duroc e scrofe di razza Large White<br />

iscritti al libro genealogico e selezionati secondo gli schemi e gli obiettivi <strong>del</strong>l’ANAS. I<br />

dati produttivi e riproduttivi ottenuti per l’ibrido lo rendono indubbiamente interessante<br />

per gli <strong>allevatori</strong> che conferiscono le cosce per la DOP prosciutto di San Daniele.


Figura 4. Gli scenari <strong>del</strong>la filiera suina. A) Filiera gestita dai grandi gruppi alimentari<br />

e dalla GDO; B) Filiera integrata fra tutti gli attori <strong>del</strong> processo produttivo<br />

Aziende<br />

mangimie<br />

GDO/ato<br />

Prosius<br />

DOP/IGP<br />

Carnee<br />

trasforma<br />

Tenii<br />

Mediatori<br />

Grossis<br />

Mediatori<br />

SalumieProsiu<br />

DOP/IGP<br />

A<br />

Maelli<br />

Allevamen<br />

Ingrasso<br />

B<br />

Allevamen<br />

riproduzione<br />

Allevamen<br />

Ingrasso<br />

Maelli<br />

Grossis<br />

151<br />

Tecnici, Mediatori<br />

Tecnici, Mediatori.<br />

Trasportatori<br />

Grandi<br />

alimentari<br />

Aziend<br />

mangimis<br />

Trasportatori<br />

Markengeommerializzazione<br />

Allevamen<br />

riproduzione<br />

Carniealtri<br />

trasforma<br />

AQUA<br />

Cenei<br />

eselezione<br />

Centrigeneie<br />

diselezione<br />

Teni<br />

Mediatori


Inoltre, questo genotipo produce anche una carne che si presta alla trasformazione in<br />

insaccati. La parte più rilevante è impegnativa, tuttavia, è rappresentata<br />

dall’affermazione di un marchio che integri questa produzione di nicchia all’interno di<br />

una filiera organizzata e che la renda riconoscibile dagli altri prodotti sostitutivi.<br />

La commercializzazione <strong>del</strong>la carne e dei prodotti trasformati dovrebbe avvenire con il<br />

marchio AQUA <strong>del</strong>l’Ente Regionale Sviluppo Agricolo (ERSA) <strong>del</strong> Friuli Venezia<br />

Giulia. Al contempo l’Associazione Allevatori <strong>del</strong> Friuli Venezia Giulia ha proposto e<br />

presentato pubblicamente il marchio Geneticamente Friulano, per i suini ibridi derivati<br />

da verri Duroc e da scrofe Large White e nati e allevati negli allevamenti <strong>del</strong> Friuli<br />

Venezia Giulia. In base a questa proposta, il suino pesante è allevato ed alimentato<br />

seguendo le indicazioni <strong>del</strong>la DOP Prosciutto di San Daniele, anche se sarà necessario<br />

predisporre un disciplinare dettagliato sulla classificazione e sulla valorizzazione <strong>del</strong><br />

prodotto fresco e trasformato e su eventuali restrizioni.<br />

A conclusione si può affermare che esistono tutti i presupposti tecnici per la<br />

costituzione di una filiera di produzione di un suino pesante con tratti distintivi e<br />

particolari. L’esperienza <strong>del</strong> progetto ha inoltre permesso di avvicinare, prima, e di<br />

integrare, in seguito, le competenze e le conoscenze di una parte <strong>del</strong> sistema produttivo<br />

con quelle degli enti di controllo e <strong>del</strong>la ricerca pubblica e privata.<br />

Per la costituzione di una filiera suinicola Regionale sarà necessario che le strutture<br />

produttive economicamente più forti e motivate coinvolgano anche le altre, integrandole<br />

in un sistema che garantisca la sostenibilità a tutti gli attori.<br />

Riferimenti bibliografici<br />

CRPA 2012. Suinicoltura Italiana e Costi di Produzione. Opuscolo C.R.P.A. 2.68 –<br />

N. 3/2012.<br />

Interpig, 2010. 2009 Pig cost of production in selected countries. Agriculture and<br />

Horticulture Development Board 2010. BPEX, Stoneleigh Park, Kenilworth,<br />

Warwickshire CV8 2TL<br />

ISMEA. 2011. PIANO DI INTERVENTI PER IL SETTORE SUINICOLO. La<br />

filiera suina: elementi di sintesi. Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo<br />

152


153


154


Scheda informativa <strong>del</strong> progetto “SUQUALGEN”<br />

La morfologia e la fisiologia <strong>del</strong> suino, ovvero la sua base genetica, costituiscono un<br />

requisito di primaria importanza per ottenere prodotti di qualità, fra i quali il prosciutto<br />

DOP di San Daniele. Per consentire ai suini di esprimere le loro potenzialità produttive<br />

e per assicurare al consumatore la sicurezza dei prodotti è necessario abbinare<br />

un’alimentazione adeguata dal punto di vista nutritivo e igienico sanitario.<br />

Il suino “geneticamente friulano” nasce da uno studio fortemente voluto<br />

dall’amministrazione <strong>del</strong>la Regione Friuli Venezia Giulia e realizzato grazie alla<br />

collaborazione fra l’Associazione Regionale Allevatori <strong>del</strong> Friuli Venezia Giulia, i<br />

dipartimenti di Scienze Agrarie ed Ambientali e di Scienze degli Alimenti<br />

<strong>del</strong>l’Università di Udine, e il Consorzio per il prosciutto di San Daniele.<br />

Il tipo genetico impiegato per lo studio deriva da un incrocio di verri Duroc e di scrofe<br />

Large White italiani, nati, allevati e macellati in Friuli Venezia Giulia, alimentati con<br />

ingredienti derivati da colture locali. Le cosce e le carni sono lavorate negli stabilimenti<br />

friulani e nei prosciuttifici di San Daniele.<br />

Geneticamente Friulano, si riferisce pertanto a questo suino, che costituisce una forte<br />

integrazione di tutto il processo produttivo che inizia dal campo e finisce nella tavola<br />

<strong>del</strong> consumatore, un processo con una tracciabilità garantita dall’apposizione alla<br />

nascita di un microchip nella coscia, che permette di seguire ogni singola coscia fino<br />

alla vendita per il consumo.<br />

Il suino che origina dagli allevamenti che hanno aderito a questo sistema integrato ha<br />

accrescimenti giornalieri e rese di conversione <strong>del</strong> tutto comparabili con gli altri ibridi<br />

allevati in Regione e le scrofe sono caratterizzate da una buona fertilità, buon numero di<br />

nati vivi e da spiccate attitudini materne.<br />

155


Questo tipo genetico di suino, nato e allevato in Friuli Venezia Giulia, produce carcasse<br />

con carne di buona qualità per la trasformazione in salumi e si distingue per la coscia<br />

più pesante e corrispondente ai requisiti <strong>del</strong>la DOP Prosciutto di San Daniele. I diversi<br />

tagli di carne, grazie alla loro sapidità e alla apprezzabile marezzatura, sono indicati<br />

anche per il consumo diretto.<br />

Nel complesso, il suino geneticamente friulano presenta quindi dei tratti caratteristici<br />

che permettono una sua collocazione specifica nel mercato <strong>del</strong>le cosce suine di elevata<br />

qualità richieste dalla DOP prosciutto di San Daniele.<br />

Tappe principali <strong>del</strong> progetto: dalla scelta dei riproduttori al prodotto finale<br />

156


I parentali<br />

La razza Large White rappresenta la colonna portante per la produzione <strong>del</strong> suino<br />

pesante e per le sue caratteristiche è utilizzate come riproduttore in linea femminile.<br />

In linea maschile, sono impiegati verri terminali Duroc Italiani L.g. per migliorare la<br />

qualità <strong>del</strong>la carcassa, <strong>del</strong>la carne e <strong>del</strong>le cosce.<br />

I riproduttori sono scelti in base ai valori genetici forniti dall’ANAS (EBV) e valutati<br />

per la presenza di specifiche varianti alleliche <strong>del</strong> DNA (MAS o GAS), associate a<br />

caratteristiche qualitative apprezzate per la DOP Prosciutto di San Daniele e per<br />

prodotti trasformati. I dati genomici derivano dalla sequenza completa <strong>del</strong> genoma<br />

suino, realizzata dall’Università di Udine per la genetica oggetto di studio, e dal<br />

confronto di circa 60000 punti di variabilità <strong>del</strong> DNA dei suini ibridi Duroc X Large<br />

White con altri genotipi.<br />

Sequenza completa <strong>del</strong> DNA dei cromosomi <strong>del</strong><br />

suino ibrido Duroc X Large White con indicate in<br />

verde le regioni di variabilità (QTL) associate al<br />

grasso intramuscolare. I raggi in rosso si<br />

riferiscono alle mutazioni puntiformi osservate nel<br />

suino friulano rispetto al genoma suino di<br />

riferimento.<br />

157<br />

Variabilità <strong>del</strong>le frequenze alleliche <strong>del</strong><br />

DNA degli ibridi Duroc X Large White. I<br />

geni analizzati sono stati scelti per la loro<br />

rilevanza nel controllo dei processi<br />

fisiologici correlati con la qualità <strong>del</strong>la<br />

carcassa e <strong>del</strong>la coscia.<br />

0% 20% 40% 60% 80% 100%


L’allevamento <strong>del</strong>la scrofa<br />

La scrofa è caratterizzata da buoni indici riproduttivi, con spiccate attitudini materne e<br />

produzioni di latte in grado di soddisfare al meglio le esigenze <strong>del</strong>la nidiata. La gestione<br />

<strong>del</strong>la scrofaia risulta uno degli elementi più deboli <strong>del</strong> sistema riproduttivo e richiede<br />

una gestione attenta, anche agli aspetti sanitari. Per gli ibridi nati da incroci Duroc L.g.<br />

X Large White L.g., il peso ottimale allo svezzamento è di 7,2 kg a 28 giorni di vita.<br />

Parametro unità valore<br />

Parti/anno n 2,1<br />

Interventi/parto n 1,3<br />

Interparto g 160<br />

Media nati per parto n 12,5<br />

Mortalità perinatale % 12,8<br />

Svezzati per parto n 10,5<br />

Peso nidiata allo<br />

svezzamento kg 75,6<br />

Piani alimentari<br />

I programmi alimentari per i riproduttori condizionano la fertilità, la produzione di latte<br />

e, quindi, il numero di suinetti nati vivi, di svezzati e il loro peso. Le formulazioni per le<br />

scrofette, la gravidanza, le scrofe pluripare e per la lattazione sono diverse, in relazione<br />

alla cambiamento <strong>del</strong>le esigenze nutrizionali nel ciclo riproduttivo.<br />

L’allevamento <strong>del</strong>la scrofetta è il punto di partenza per consentire al futuro riproduttore<br />

di esprimere il repertorio fisiologico che deriva dalla sue caratteristiche genetiche.<br />

Dai 40 a 60 kg di peso vivo le scrofette sono alimentate ad libitum, mettendo a<br />

disposizione una razione ricca di energia e di proteina. Successivamente, da 60 kg di<br />

peso vivo a circa 2 settimane prima <strong>del</strong>l’inseminazione, le scrofette hanno<br />

un’alimentazione razionata e ricevono un mangime meno ricco di energia e proteina e in<br />

quantità crescenti da 2,6 a 2,9 kg/d in funzione <strong>del</strong> peso. Durante le 2 settimane preinseminazione,<br />

le scrofette ricevono la stessa dieta ad libitum, per eseguire la pratica <strong>del</strong><br />

“flushing”, con l’obiettivo di aumentare l’ovulazione e quindi la fecondità.<br />

158


Dall’inseminazione a 4 settimane di gravidanza, la somministrazione <strong>del</strong>la razione è di<br />

circa 2,2 kg/d e aumenta progressivamente fino a 3,0 kg/d a 16 settimane di gravidanza.<br />

Dopo la riduzione di ingestione che si osserva in concomitanza con il parto, alla scrofa<br />

in allattamento viene somministrato un mangime da lattazione per le prime 3 settimane<br />

in quantità crescente fino a 6 kg/d. Nel periodo da 4 a 10 settimane di lattazione, la<br />

quantità si mantiene costante.<br />

Scrofette<br />

60 kg pre-<br />

Gravidanza Lattazione<br />

40 – 60 kg inseminaz.<br />

Sett. 1-3 Sett. 4-10<br />

Energia digeribile kcal 3300 3150 3000-3100 3300 3300-3400<br />

Proteina greggia % 16.5 - 17.5 15 - 16 14 - 15 16.5 - 17.5 16.5 - 17.5<br />

Fibra greggia % 4 - 6 4 - 6 5 - 8 4 - 6 5 - 9<br />

Grassi greggi % 5 - 6 4 - 5 3 - 4 4 - 6 5 - 7<br />

Ceneri % 3 - 5 4 - 6 4 - 6 4 - 6 3 - 5<br />

Lisina % 1.05 0.87 0.70 0.97 1.00<br />

Met + cist % 0.58 0.49 0.38 0.58 0.60<br />

Triptofano % 0.19 0.16 0.13 0.20 0.20<br />

Treonina % 0.68 0.54 0.49 0.55 0.58<br />

Calcio % 0.7 – 0.8 0.7 – 0.8 0.8 – 0.9 0.9 - 1.1 0.9 - 1.1<br />

Fosforo disp. % 0.30 0.30 0.55 0.55 0.55<br />

L’alimentazione <strong>del</strong>la scrofa ha per obiettivo la copertura dei fabbisogni nutritivi che si<br />

modificano di continuo nel corso <strong>del</strong> ciclo riproduttivo. Le quantità di razioni<br />

somministrate devono essere modulate, in relazione alla fase <strong>del</strong> ciclo riproduttivo, per<br />

assicurare la copertura dei fabbisogni nutritivi e consentire alla scrofa di esprimere il<br />

potenziale produttivo.<br />

Prima <strong>del</strong>l’inseminazione le scrofe sono soggette a un periodo di restrizione alimentare<br />

di 5 giorni, seguito dal “flushing” per 14 giorni. Nel corso <strong>del</strong>la gravidanza, si<br />

somministra una quantità di razione variabile da 2,5 a 2,8 kg/d, in relazione alle<br />

condizioni corporee <strong>del</strong>la scrofa. Da 90 giorni di gravidanza al parto, la quantità di<br />

alimenti aumenta fino a 3,5 kg/d, per favorire l’accumulo di riserve energetiche. Nelle<br />

159


imminenze <strong>del</strong> parto, è consigliato ridurre drasticamente la quantità di alimento<br />

somministrato, fino a 1,5 – 2,0 kg/d, per agevolare il parto e non affaticare la scrofa con<br />

i processi digestivi, favorendo al contempo la prevalenza dei processi catabolici e un<br />

aumento <strong>del</strong>l’appetito. Successivamente, nel corso <strong>del</strong>la lattazione, le quantità<br />

aumentano velocemente da 6,8 a 7,5 kg/d, in relazione al numero di suinetti in<br />

allattamento.<br />

Consumi di mangime (88% di sostanza secca) durante il ciclo riproduttivo <strong>del</strong>la<br />

scrofa primipara Large White<br />

8<br />

6<br />

kg/d 4<br />

2<br />

0<br />

Consumi di mangime (88% di sostanza secca) durante il ciclo riproduttivo <strong>del</strong>la<br />

scrofa pluripara Large White<br />

8<br />

6<br />

kg/d<br />

4<br />

2<br />

0<br />

160


Tracciabilità <strong>del</strong> ciclo produttivo<br />

Alla nascita, i suini ibridi sono datati di microchip RDIF che permette una tracciabilità<br />

sicura e completa fino alla fine <strong>del</strong>la stagionatura nel prosciuttificio.<br />

I dati anagrafici e sanitari, di allevamento, di alimentazione, di macellazione e di<br />

stagionatura sono raccolti e trasmessi a un database remoto.<br />

Caratteristiche produttive <strong>del</strong>l’ibrido verro Duroc L.g. x Scrofa Large White L.g.<br />

Il lattone a 10 settimane ha un peso vivo di 26 kg e a fine ciclo di ingrasso (39 settimane<br />

di vita) con raggiunge un peso vivo medio di 168 kg, con un accrescimento medio di<br />

700 g/d.<br />

Per garantire una buona resa alimentare (media 30,8%, indice di conversione di 3,2 kg<br />

di alimento per kg di accrescimento), sfruttare con efficienza gli alimenti contenendo i<br />

161


costi di produzione è necessario utilizzare ingredienti di qualità, soddisfare le esigenze<br />

nutritive dei suini e adottare dei programmi alimentari in grado di seguire l’evoluzione<br />

<strong>del</strong>l’intensità e <strong>del</strong> ritmo di crescita dei suini.<br />

Prestazioni produttive in vita<br />

Peso a 10 settimane kg 26<br />

Peso a 39 settimane kg 168<br />

Accrescimento medio giornaliero g/d 700<br />

Resa alimentare % 30,8<br />

Indice conversione alimentare kg/kg 3,2<br />

Piano alimentare<br />

Le razioni sono formulate nel rispetto <strong>del</strong> disciplinare <strong>del</strong>la DOP Prosciutto San Daniele<br />

e ottimizzate per il tipo genetico utilizzato nel progetto.<br />

Formulazioni di razioni per i suini nelle fasi di allevamento<br />

Ingredienti Fase di allevamento<br />

Magrone Ingrasso Finissaggio<br />

Mais % 50 55 55<br />

Orzo % 24 22 19<br />

Crusca % 4 8 9<br />

Soia % 17 15 12<br />

Grasso % 1 - -<br />

Integratori % 4 4 5<br />

Totale % 100 100 100<br />

Nel corso <strong>del</strong> ciclo di allevamento, la quantità giornaliera di alimento viene<br />

commisurata al peso vivo e al ritmo di accrescimento, con l’obiettivo di modulare il<br />

ritmo di accrescimento e la deposizione di grasso in funzione <strong>del</strong>le esigenze <strong>del</strong><br />

prosciutto di San Daniele e degli stabilimenti di lavorazione <strong>del</strong>le carni per la<br />

trasformazione in insaccati.<br />

162


Il programma alimentare <strong>del</strong> suino pesante prevede la suddivisione in 3 fasi.<br />

Fase prima. Durante la fase di magronaggio, che va da 11 a circa 21 settimane di vita e<br />

fino a 80 kg di peso vivo, l’obiettivo è di favorire un regolare sviluppo <strong>del</strong> tessuto<br />

muscolare e osseo. La conversione degli alimenti in aumento di peso è molto elevata ed<br />

è importante massimizzare l’accrescimento, somministrando razioni adeguate per valore<br />

biologico <strong>del</strong>la proteina e con apporti di calcio, fosforo e altri minerali adeguati ai<br />

fabbisogni.<br />

Settimana di vita N 11 - 21 22 - 30 31 - 39<br />

Peso vivo Kg 30-80 80-125 125-170<br />

Quantità somministrata<br />

Mangime Kg/d 1,20 - 2,34 2,43 - 3,01 3,05 - 3,16<br />

Mangime e siero Kg/d 1,33 - 2,60 2,70 - 3,35 3,39 - 3,51<br />

Energia digeribile Kcal/kg 3150 - 3200 3150 - 3200 3100 - 3200<br />

Sostanza secca % 88 - 90 88 - 90 88 - 90<br />

Proteina greggia % 17,0 - 15,0 15,0 - 14,0 14,5 - 13,0<br />

Fibra greggia % 3,5 - 5,5 4,0 - 5,0 4,0 - 5,0<br />

Grassi greggi % 3,5 – 4,5 3,0 – 4,5 2,5 – 3,5<br />

Lisina % 0,91 0,80 0,75<br />

Metionina % 0,30 0,30 0,25<br />

Met + Cyst % 0,55 0,49 0,40<br />

Triptofano % 0,19 0,16 0,14<br />

Treonina % 0,68 0,58 0,50<br />

Ca % 0,75 0,65 0,65<br />

P disponibile % 0,30 0,21 0,21<br />

Fase seconda. Nella fase successiva di ingrasso, da 22 a 30 settimane quando il suino<br />

raggiunge un peso di circa 130 kg, l’obiettivo è di favorire lo sviluppo muscolare e un<br />

regolare deposito adiposo. L’ingestione di alimenti è più alta e l’efficienza <strong>del</strong>la resa in<br />

peso vivo diminuisce rispetto alla fase precedente di magronaggio. Le esigenze di<br />

proteina e di aminoacidi sono più basse ed è necessario evitare la somministrazione di<br />

ingredienti ricchi di oli vegetali che possono causare un grasso molle per eccesso di<br />

acidi grassi insaturi.<br />

Fase terza. Nella fase di finissaggio, che inizia dalla 31 settimana e prosegue fino al 9<br />

mese, si deve favorire la produzione carcasse commercialmente mature, con una buona<br />

copertura di grasso dorsale e <strong>del</strong>la coscia e caratterizzate da carni sode. La percentuale<br />

163


di proteina <strong>del</strong>la dieta è ulteriormente ridotta, fino anche al 12%, e l’ingestione di<br />

alimento mantenuta costante, in quanto il suino converte la dieta con bassa efficienza.<br />

Anche in questa fase è necessario evitare la somministrazione di ingredienti con oli<br />

vegetali ed è inoltre importante non ridurre eccessivamente l’ingestione di energia, in<br />

quanto si favorisce la sintesi di acidi grassi insaturi che comportano la formazione di un<br />

grasso molle.<br />

Evoluzione dei consumi di mangime (88% di sostanza secca) e di broda (mangime e<br />

siero, riportato sulla base di 88% di sostanza secca e con rapporto siero : mangime<br />

pari a 2,5:1)<br />

Benessere animale e qualità ambientale<br />

Le condizioni ambientali, la qualità <strong>del</strong>l’aria, la ventilazione e la densità di stabulazione<br />

sono controllate durante il ciclo di allevamento, per assicurare il benessere degli animali<br />

ed evitare situazioni di stress.<br />

Temperatura (°C)<br />

25<br />

20<br />

15<br />

10<br />

5<br />

0<br />

-5<br />

0 4 8 12<br />

Tempo (ore)<br />

16 20<br />

164<br />

Esterna<br />

All. A<br />

All. B


Caratteristiche <strong>del</strong>le carcasse e <strong>del</strong>le cosce <strong>del</strong>l’ibrido (Duroc x Large White)<br />

Le carcasse dei suini derivati dall’incrocio sono pesanti (classe H 98,5%) e la buona<br />

copertura di grasso (29,4 mm) permette di rientrare nelle classi URO <strong>del</strong>la griglia EU,<br />

con la prevalenza per la classe più centrale (57,3% R),la più apprezzata in assoluto per i<br />

prosciutti DOP. La coscia pesante, adatta anche per la stagionatura lunga, è molto adatta<br />

sia per la trasformazione in prosciutto di San Daniele sia per il prosciutto di Sauris. Il<br />

calo di prima salagione è contenuto (3,75 in media) e a fine di una stagionatura di 14<br />

mesi il peso medio <strong>del</strong>le cosce è superiore e 10 kg.<br />

La percentuale di non conformità al macello pari al 10,3 è molto più bassa <strong>del</strong>la media<br />

nazionale.<br />

Prestazioni al macello<br />

Pesco carcassa a caldo kg 141<br />

Tagli magri % 48,7<br />

Spessore grasso di copertura mm 29,4<br />

Peso coscia kg 17,1<br />

Peso coscia rifilata kg 14,9<br />

Peso coscia fine stagionatura kg 10,3<br />

Calo di prima salagione % 3,7<br />

Calo fine stagionatura % 30,8<br />

Carcasse H % 98,5<br />

Carcasse URO % 97,4<br />

Carcasse R % 57,3<br />

Cosce non conformi %/URO 10,3<br />

Cosce conformi totali %/carcasse 86,1<br />

165


Qualità <strong>del</strong>la materia prima <strong>del</strong>la coscia <strong>del</strong>l’ibrido (Duroc x Large White)<br />

I suini ibridi studiati nel progetto sono caratterizzati da una carne di colore regolare,<br />

saporita e con un buon contenuto di grasso intramuscolare, adatta per la trasformazione<br />

in salumi e prodotti trasformati.<br />

Il grasso, rispondente ai requisiti <strong>del</strong> disciplinare DOP Prosciutto di San Daniele per<br />

contenuto in acido linoleico (percentuale inferiore al 15% <strong>del</strong> totale), presenta<br />

un’elevata quantità di acidi grassi saturi (SFA), che conferiscono al grasso un colore<br />

bianco marmoreo e una compattezza molto apprezzata dal prosciuttificio e dal<br />

consumatore.<br />

Composizione chimica carne<br />

Umidità % 27,6<br />

Proteina % 23,1<br />

Grassi % 2,6<br />

Ceneri % 1,2<br />

Composizione in acidi grassi <strong>del</strong> grasso di copertura <strong>del</strong>la coscia<br />

C14:0 % 1,7<br />

C16:0 % 20,6<br />

C18:0 % 12,7<br />

C18:1c9 % 41,1<br />

C18:2 n6 % 13,7<br />

C18:3 n3 % 0,7<br />

SFA % 36,2<br />

MUFA % 47,9<br />

PUFA % 15,9<br />

166


Immagine rappresentativa dei prosciutti ottenuti dai suini allevati nel corso <strong>del</strong><br />

progetto. Si può notare l’aspetto l’uniformità <strong>del</strong>la componente muscolare e <strong>del</strong> grasso<br />

di contorno.<br />

Il prosciutto a fine stagionatura ha un buon profilo sensoriale che caratterizza il<br />

prodotto in particolare per la componente <strong>del</strong> grasso<br />

167


Finito di Stampare<br />

Nel mese di dicembre 2012<br />

Grafiche Filacorda – Udine<br />

168


Lavoro Finanziato dalla Regione Friuli Venezia Giulia<br />

ISBN: 978-88-902427-3-1

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