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Gianfranco Ravaglia - Counselling-Care.It

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Questo saggio è scritto principalmente per i colleghi che conoscono e praticano approcci analitici<br />

centrati sull'analisi dell'intenzionalità difensiva e per i colleghi che conoscono e praticano l'EMDR. Ai primi<br />

desidero proporre alcune riflessioni sull'EMDR, che è una tecnica psicoterapeutica decisamente estranea alla<br />

logica analitica, ma che ha degli aspetti molto positivi; ai secondi desidero offrire alcune considerazioni<br />

presumibilmente estranee alla loro formazione, dato che l'EMDR interessa in modo particolare chi fa<br />

psicoterapia in un'ottica non analitica.<br />

La mia ormai consolidata irriducibilità al riduzionismo in psicoterapia (che gli approcci "evidence<br />

based" stanno di recente trasformando in una sorta di "religione scientista e tecnicista") mi porterebbe ad<br />

ignorare o combattere intellettualmente anche l'EMDR che per certi aspetti costituisce la punta avanzata<br />

della psicoterapia "impersonale"; tuttavia, non mi sento di oppormi all'EMDR così come mi sono opposto<br />

alla psicoterapia comportamentale, alla PNL, a varie "psicoterapie brevi" o "sistemiche". Preferisco in questo<br />

caso cercare una possibile integrazione perché ritengo che l'EMDR sia un approccio così radicalmente<br />

tecnico da poter essere sganciato da una "logica tecnicistica" e possa quindi essere inserito in un orizzonte<br />

teorico complesso e orientato al raggiungimento di cambiamenti profondi.<br />

Chiarito il senso di questo lavoro, devo precisare che non voglio ripetere troppe idee già sviluppate da<br />

me in altre pubblicazioni (<strong>Ravaglia</strong>, 1996) ed in altri saggi presenti in questo sito; non voglio nemmeno<br />

dedicare troppo spazio alla presentazione dell'EMDR, poiché tale tecnica psicoterapeutica è esposta in ottimi<br />

manuali facilmente reperibili (Shapiro, 1995; Shapiro-Forrest, 1997; Greenwald, 1999).<br />

In questo lavoro non mi occuperò degli interventi brevi e d'emergenza rivolti a persone recentemente<br />

traumatizzate, nell'ambito dei quali l'EMDR ha ottenuto una meritata fama, ma mi occuperò soprattutto della<br />

possibile integrazione dell'EMDR nel lavoro analitico condotto con clienti che non hanno avuto traumi<br />

recenti e che hanno piuttosto sperimentato quella traumatizzazione apparentemente non grave costituita dalla<br />

crescita in un ambiente famigliare patologico o terribilmente "normale".<br />

Cercherò di chiarire per quali motivi considero l'EMDR uno strumento prezioso se utilizzato<br />

nell'ambito di una strategia analitica centrata sull'analisi dell'intenzionalità difensiva ed anche un approccio<br />

discutibile se collocato in una logica psicoterapeutica causalistica e tecnicistica.<br />

L'approccio analitico a cui faccio riferimento quando parlo dell'analisi dell'intenzionalità difensiva e<br />

dell'elaborazione dei vissuti non integrati, non è un "metodo codificato", né l'applicazione di una teoria<br />

proposta da una scuola di psicoterapia, ma costituisce un orientamento manifestato da autori appartenenti a<br />

varie scuole o "aree" della psicoterapia (psicoterapia umanistica, psicoanalisi, psicoterapia corporea, Gestalt<br />

Therapy, Analisi Transazionale, psicoterapia cognitiva, psicoterapia esistenziale). Autori diversissimi hanno<br />

compreso le difese individuali come azioni e quindi come aspetti intenzionali (non consci) anziché come<br />

effetti di conflitti intrapsichici o come difetti di maturazione o come apprendimenti "errati". Hanno quindi<br />

concepito il cliente come un soggetto attivo nella creazione, nell'espressione e nel mantenimento di un dato<br />

rapporto con la realtà e non come un individuo malato da curare. Hanno inoltre concepito il lavoro analitico<br />

come un percorso finalizzato alla rielaborazione dei vissuti non integrati ed alla scelta di un altro modo di<br />

affrontare l'esistenza personale, anziché come una "terapia" finalizzata al "rilassamento" o al "benessere".<br />

Scopo della psicoterapia non è quindi, in questa prospettiva, la "cura" di "patologie" di cui i clienti<br />

sarebbero "affetti", ma la chiarificazione delle modalità difensive di azione e reazione; una volta chiarito che<br />

i clienti hanno costruito nell'infanzia (inconsapevolmente) modalità difensive finalizzate all'evitamento di<br />

particolari emozioni penose, allora intollerabili, il percorso analitico favorisce il confronto con tali vissuti<br />

permettendo di riclassificarli come tollerabili e significativi. Tale lavoro è veramente completo quando le<br />

persone accettano non solo il dolore del loro passato, ma accettano la dimensione del dolore anche nella loro<br />

vita presente e futura, riconoscendo che una vita ben vissuta non può essere semplicemente "appagante", ma<br />

può essere una vita emotivamente ricca ed aperta sia al dolore inevitabile, sia a quei livelli profondi di gioia<br />

e felicità che "normalmente" non vengono sperimentati proprio grazie alle strategie difensive costruite<br />

nell'infanzia.<br />

L'accettazione in tutta la sua intensità della dimensione emozionale personale rende superflue le difese<br />

e rende possibile un modo di vivere "adulto" che in genere viene bloccato sia dalle persone ufficialmente<br />

"nevrotiche", sia da quelle che pur essendo "normali" vivono al di sotto delle loro potenzialità di contatto e<br />

di espressione.<br />

Il filone "intenzionalista", in psicoterapia, è caratterizzato da alcuni essenziali principi guida, che ora<br />

elenco.

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