scarp de' tenis ottobre 2010 - Caritas Torino
scarp de' tenis ottobre 2010 - Caritas Torino
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Spedizione in abbonamento postale 45% articolo 2, comma 20/B, legge 662/96, Milano<br />
il mensile della strada<br />
Siringati<br />
numero 145<br />
anno 15<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
2 50€<br />
de’<strong>tenis</strong><br />
www.<strong>scarp</strong>de<strong>tenis</strong>.it<br />
ventuno Credito, “micro” è bello<br />
I matti in strada si curano così?<br />
Andrea dormiva nella cabina Enel. Sgomberato, gli hanno chiesto i danni. Ha seri problemi mentali.<br />
Per i tanti homeless come lui, la soluzione è prolungare i trattamenti coatti, come chiedono molti?<br />
Milano Ortles cambia pelle <strong>Torino</strong> Il Registro? Così non va Genova La Bellezza costruisce la Pace<br />
Vicenza Al Barco si beve con la testa Rimini Non ci rubano le case Firenze Si barcolla, ci si rialza<br />
Napoli Un’Oasi di speranza Catania Diversi in scena, attori per sempre Palermo Ricordo di “3P”
Fantasmi<br />
e buoni vicini<br />
Roberto Davanzo<br />
direttore <strong>Caritas</strong> Ambrosiana<br />
Il 10 <strong>ottobre</strong> viene celebrata la diciottesima<br />
Giornata mondiale della salute mentale,<br />
che da alcuni anni, a Milano, è accompagnata<br />
da un Messaggio dell’arcivescovo.<br />
I lettori delle altre città mi perdoneranno se<br />
faccio riecheggiare alcuni dei pensieri del cardinale<br />
Tettamanzi, contenuti nel messaggio <strong>2010</strong>,<br />
“condizionato” da un importante anniversario: i<br />
400 anni dalla canonizzazione di san Carlo Borromeo,<br />
la cui vita e la cui passione pastorale offrono anche<br />
a noi criteri per orientare l’azione a favore di ogni<br />
uomo. Dunque, anche del malato di mente.<br />
Il primo criterio che san Carlo seguì è la necessità di<br />
incontrare il bisognoso là dove vive. Per certi versi, si può<br />
dire che “inventò” l’assistenza domiciliare: durante la peste<br />
del 1576 non si risparmiò nelle visite agli appestati rinchiusi<br />
in case, o nel Lazzaretto in attesa della morte.<br />
Ma questo andare incontro al bisognoso diventa possibile<br />
solo affinando la capacità di guardare la persona senza<br />
ridurla alla sua malattia. La malattia mentale non può<br />
peraltro essere affrontata senza un’adeguata e rinnovata<br />
“integrazione fra dimensione sociale e dimensione sanitaria”.<br />
Al malato va offerto un percorso personalizzato,<br />
che all’intervento farmacologico affianchi opportunità<br />
di reinserimento sociale, abitativo, lavorativo. Inoltre,<br />
la cura territoriale non può essere sinonimo di de-responsabilizzazione,<br />
di delega dell’onere di prendersi<br />
cura del malato: famiglia, quartiere e tessuto sociale<br />
vanno preparati e affiancati. E le istituzioni devono fare<br />
(non sempre accade) la loro parte.<br />
Un reinserimento nella vita sociale, dunque, è<br />
possibile solo là dove la persona trova un “buon vicinato”<br />
pronto ad accoglierla, a non emarginarla, nella<br />
paura e in un clima di sospetto. San Carlo non l’avrebbe<br />
fatto. A noi cittadini del terzo millennio, e alle istituzioni<br />
che ci rappresentano, il compito di non resuscitare<br />
i fantasmi di antichi stigmi.<br />
La bolla dell’insicurezza,<br />
i rom sotto il cavalcavia<br />
Paolo Brivio<br />
editoriali<br />
Inesorabilmente, noiosamente, approssimativamente, si torna a parlare<br />
di rom. Erano un po’ spariti dai radar dell’informazione che conta e<br />
che orienta, e della politica che discute (urla) e decide (più o meno…).<br />
Ma sono tornati prepotentemente alla ribalta. Complice l’insospettabile<br />
Francia di Sarkozy, campionessa nel difendere i sacrosanti diritti umani<br />
di chi è oppresso in casa d’altri (vedi, ultimo, il caso Sakineh), disinvolta<br />
nel disporre rimpatri che l’Europa sospetta condotti sulla base del pregiudizio<br />
etnico, anziché di un fondato giudizio penale.<br />
E così, subito dopo l’estate, le notizie su microcrimini odiosi e insediamenti<br />
abusivi e quartieri insofferenti e convivenze impossibili e sgomberi<br />
solerti sono tornate a punteggiare giornali e notiziari tv, consentendo<br />
ai nostrani cavalieri del decoro urbano e della legalità di borgata di<br />
ridare fiato alle loro trombe. Che, sarà un caso, squillano di nuovo gagliarde<br />
in sincronia con il riapprossimarsi della “gabina” elettorale. Uno<br />
studio Demos-Unipolis di fine 2009 ha dimostrato che tra 2007 e<br />
2008, in vista delle precedenti elezioni legislative, si è verificata in<br />
Italia una “bolla dell’insicurezza mediatica”: andamento costante<br />
(anzi in leggero ribasso) dei reati, epperò nei tiggì picco delle notizie<br />
sugli stessi (insistentemente correlate al tema dell’immigrazione)<br />
e conseguente impennata della percezione d’insicurezza<br />
nell’opinione pubblica. Perché ritenere che stavolta – pare si voti<br />
in primavera – debba andare diversamente?<br />
Coltivare paure preconcette e allevare capri espiatori<br />
rende molto, elettoralmente parlando. Ancor più rende l’arte<br />
di lasciar incancrenire problemi complessi, che genera-<br />
no consensi a chi ha lo stomaco di denunciarli, non avendoli<br />
affrontati con la volontà di risolverli. Va a finire che,<br />
nella Milano dell’unica metropolitana subacquea al mondo,<br />
del record europeo d’inquinamento e del cupo ramificarsi<br />
della ’ndrangheta, dopo un decennio di sgomberi<br />
senza logica si convoca un ministro dell’interno coi baffi<br />
per dire no alla consegna di 25 appartamenti pubblici<br />
(25, mentre in città sono migliaia gli alloggi non assegnati<br />
o occupati abusivamente!) alle associazioni che vi dovevano<br />
insediare alcune famiglie rom, a novembre sgomberande,<br />
con centinaia d’altre, dai campi finora legali.<br />
Quale raziocinio amministrativo, quale esercizio di<br />
buon senso, quale prova di rispetto dei diritti umani, quale<br />
volontà di sciogliere i fisiologici nodi di una metropoli multietnica<br />
del ventunesimo secolo si può scorgere, in scelte come<br />
questa? Sicuramente, vi si intravede una bella faccia tosta.<br />
Operatori sociali, mediatori culturali e volontari sanno<br />
quanto difficile ed esposto a sconfitte, per mille ragioni, sia il<br />
lavoro di integrazione con i rom. Difficile, ma appassionante.<br />
E in molti casi fruttuoso. Lo sappiamo, per diretta esperienza,<br />
anche noi di Scarp. Dalla politica ci si attenderebbe una<br />
sponda. Una manciata di famiglie in più, sotto i cavalcavia<br />
di Milano, vale certo un bel gruzzoletto di voti: ma la prospettiva<br />
di una città rasserenata, e sicura perché inclusiva,<br />
fa davvero tanto schifo?
cos’è<br />
È un giornale di strada non profit. È un’impresa<br />
sociale che vuole dar voce e opportunità di reinserimento<br />
a persone senza dimora o emarginate. È un’occasione<br />
di lavoro e un progetto di comunicazione. È il primo passo<br />
per recuperare la dignità. In vendita agli inizi del mese.<br />
come leggerci<br />
Scarp de’ <strong>tenis</strong> è una tribuna per i pensieri e i racconti<br />
di chi vive sulla strada. È uno strumento di analisi<br />
delle questioni sociali e dei fenomeni di povertà.<br />
Nella prima parte, articoli e storie di portata nazionale.<br />
Nella sezione Scarp città, spazio alle redazioni locali.<br />
Ventuno si occupa di economia solidale, stili di vita<br />
e globalizzazione. Infine, caleidoscopio: vetrina<br />
di appuntamenti, recensioni e rubriche... di strada!<br />
dove vanno i vostri 2,50 euro<br />
Vendere il giornale significa lavorare, non fare<br />
accattonaggio. Il venditore trattiene una quota<br />
sul prezzo di copertina. Contributi e ritenute fiscali<br />
li prende in carico l’editore. Quanto<br />
resta è destinato a progetti di solidarietà.<br />
Per contattarci<br />
e chiedere di vendere<br />
Redazione centrale - milano<br />
cooperativa Oltre, via Copernico 1<br />
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Redazione torino<br />
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Redazione catania<br />
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Redazione Palermo<br />
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<strong>scarp</strong>depalermo@gmail.com<br />
sommario<br />
fotoreportage<br />
Anche io lavoro. E sorrido. p.6<br />
<strong>scarp</strong> Italia<br />
Inchiesta<br />
Se son matti, non li curiamo p.12<br />
L’intervista<br />
Ascanio Celestini: «La pazzia? Riguarda tutti...» p.20<br />
Rapporto poverta’<br />
In caduta libera, l’Italia non regge p.23<br />
Il progetto<br />
Ottimomassimo, i libri hanno le ruote p.26<br />
Il libro<br />
Caravaggio, quei piedi sporchi che fecero scandalo p.28<br />
<strong>scarp</strong> città<br />
Milano<br />
Viale Ortles, il colosso cambia pelle p.30<br />
Niente casa ai rom, neppure a Romina p.36<br />
<strong>Torino</strong><br />
Nuovo registro, così proprio non va p.38<br />
Genova<br />
La bellezza, costruttrice di pace p.40<br />
Vicenza<br />
Serata al Barco, si beve con la testa p.42<br />
Rimini<br />
Stranieri: non ci rubano le case popolari p.44<br />
Firenze<br />
Casa Elios: si barcolla e ci si rialza p.46<br />
Napoli<br />
Un’oasi di speranza per San Giovanni p.48<br />
Catania<br />
Divertirsi in scena, attori per sempre p.52<br />
Palermo<br />
Don Pino Puglisi, martire del vangelo p.54<br />
<strong>scarp</strong> ventuno<br />
Dossier<br />
Microcredito all’italiana p.58<br />
Società<br />
Piovono scommesse p.64<br />
caleidoscopio<br />
Rubriche e notizie in breve p.69<br />
<strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong><br />
Il mensile della strada<br />
Da un’idea di Pietro Greppi e da un paio di <strong>scarp</strong>e - anno 15 n. 145 <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> - costo di una copia: 2,50 euro<br />
Per abbonarsi a un anno di Scarp: versamento di 25 €<br />
c/c postale 37696200 (causale AbbonAmento ScArP de’ tenIS)<br />
Redazione di strada e redazione giornalistica via Copernico 1, 20125 Milano (aperto da lunedì a giovedì 8-12.30 e 14-16.30, venerdì 8-12.30), tel.<br />
02.67.47.90.17, fax 02.67.38.91.12 Direttore responsabile Paolo Brivio Redazione Stefano Lampertico, Ettore Sutti, Francesco Chiavarini Segretaria di redazione<br />
Sabrina Montanarella Responsabile commerciale Max Montecorboli Redazione di strada Antonio Mininni, Lorenzo De Angelis e Tiziana Boniforti Sito web Roberto Monevi<br />
Hanno collaborato Ambrogio, Simona Brambilla, Lorena Cannizzaro, Roberto Capuano, Piera Coppa, Stefania Culurgioni, Grazia Di Stefano, Paolo Fallico, Marco Faggionato,<br />
Luca Frigerio, Sissi Geraci, Silvia Giavarotti, Laura Guerra, Chiara Lambrocco, Alessandra Leardini, Bruno Limone, Gheorghe Mateciuc, Mirco Mazzoli, Emanuele Merafina,<br />
Michele, Nino Moxedano, Mr Armonica, Peter Murnau, Walter Nanni, Nemesi, Piero, Aida Odoardi, Daniela Palumbo, Antonio Pirozzi, Cinzia Rasi, Ottavio Regolo, Stefano<br />
Rossini, Rossella Russello, Cristina Salviati, Antonio Vanzillotta, Gabriella Virgillitto, Yamada Disegno di copertina Luigi Zetti Foto Maria Passano, Grazia di Stefano,<br />
Giuseppe Valletta, Archivio Scarp Disegni Claudia Ferraris, Silva Nesi, Psichedelio, Martina Chlubnova, Luigi Zetti Progetto grafico Francesco<br />
Camagna e Simona Corvaia Editore Oltre Società Cooperativa, via S. Bernardino 4, 20122 Milano Presidente Luciano Gualzetti Registrazione<br />
Tribunale di Milano n. 177 del 16 marzo 1996 Stampa Tiber, via della Volta 179, 24124 Brescia. Consentita la riproduzione di testi, foto e grafici<br />
citando la fonte e inviandoci copia. Questo numero è in vendita dal 10 <strong>ottobre</strong> al 6 novembre <strong>2010</strong>.<br />
Associato<br />
all’Unione<br />
Stampa<br />
Periodica<br />
Italiana
Anche<br />
io lavoro.<br />
E sorrido!<br />
Professionalità, orgoglio. E un pizzico<br />
di allegria. I ragazzi down ci sanno<br />
fare, con il loro lavoro. A raccontarne<br />
l’attività è la mostra fotografica<br />
“Io lavoro!”, tenutasi di recente<br />
a Nervi (Genova).<br />
Ben 50 ragazzi svolgono attività<br />
lavorative, nel territorio di Genova,<br />
grazie all’impegno dell’istituto Cepim.<br />
Alcuni a tempo determinato, altri<br />
indeterminato: ma tutti hanno<br />
instaurato rapporti di simpatia<br />
con i colleghi, raggiungendo<br />
buoni livelli di professionalità.<br />
L’inserimento lavorativo<br />
di ogni ragazzo è seguito<br />
da un educatore, e avviene<br />
in aziende di genere molto diverso:<br />
alcuni ragazzi lavorano in società<br />
pubbliche, altri in supermercati,<br />
pastifici, ristoranti, nei musei,<br />
al porto. Alcuni nelle scuole, altri<br />
negli ospedali o come giardinieri.<br />
Le immagini raccontano la loro<br />
straordinaria voglia di rendersi utili:<br />
a se stessi e alla comunità.<br />
Gli scatti di Maria per Cepim<br />
La mostra “Io lavoro!” si avvale delle fotografie<br />
di Maria Passano; il progetto è stato curato<br />
da Lidia Schichter ed è nato in collaborazione<br />
con Cepim, istituto che ha sede a Genova<br />
e che si occupa di minori<br />
con sindrome di Down e delle loro famiglie<br />
6. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong>
fotoreportage<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .7
Anche io lavoro, e sorrido!<br />
8. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong>
fotoreportage<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .9
È<br />
Il Cuore entra in stazione<br />
Nell’Anno Europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale,<br />
dalla Onlus di Enel un progetto di solidarietà a favore dei senza dimora<br />
“UN CUORE IN STAZIONE”, IL PROGETTO DI SOLIDARIETÀ CHE ENEL CUORE<br />
ONLus, in partnership con le Ferrovie dello Stato, dedica alle persone<br />
senza dimora nell’Anno Europeo della lotta alla povertà e<br />
all’esclusione sociale.<br />
“Un Cuore in stazione” prevede l’ampliamento e l’apertura di centri<br />
dedicati alle persone che vivono in condizioni di povertà. Un<br />
progetto complesso che integra il concetto di accoglienza con<br />
quello di assistenza e “presa in carico”, per accompagnare gli ospiti<br />
in un percorso di recupero finalizzato al reinserimento sociale.<br />
“Un cuore in Stazione” vuol essere una risposta concreta ai crescenti<br />
fenomeni di marginalità sociale particolarmente critici nei<br />
pressi delle stazioni ferroviarie, prodotti allarmanti anche della<br />
congiuntura economica sfavorevole di questi anni.<br />
“Un cuore in stazione” prevede un piano triennale di interventi,<br />
che toccherà in tutto 11 stazioni italiane ed ha già coinvolto Roma<br />
Termini nel dicembre scorso, ha fatto tappa nelle stazioni di Genova<br />
Cornigliano, Napoli Centrale e Pescara e arriverà anche a Catania,<br />
Melfi, <strong>Torino</strong> e ancora Roma Termini.<br />
Nel progetto il Gruppo Ferrovie dello Stato mette a disposizione<br />
immobili di sua proprietà per realizzare i Centri, Enel Cuore fornisce<br />
il contributo economico per la ristrutturazione, l’acquisto<br />
degli strumenti e degli arredi per renderli operativi, infine le Associazioni<br />
di volontariato del territorio che si occupano di marginalità<br />
li gestiscono.<br />
A Roma Termini l’help center Binario 95 – già attivo dal 2006 – da<br />
dicembre scorso è diventato un moderno centro polifunzionale<br />
e multi-servizi. Grazie a “Un cuore in stazione” i locali sono stati<br />
ampliati, gli spazi rinnovati e oggi psicologi e operatori sociali, medici<br />
e volontari offrono sostegno sanitario, laboratori didattici e<br />
creativi, oltre a supporto psicologico, assistenza e orientamento<br />
nella ricerca del lavoro; il centro offre un servizio di biblioteca, internet<br />
e cineforum; docce, lavanderia e uno spazio notturno per<br />
le emergenze dotato di 20 posti letto.<br />
Dopo Roma, è stata la volta di Genova Cornigliano dove il centro<br />
diurno gestito dall’Associazione SoleLuna – già operativa con una<br />
mensa serale – è stato ampliato e dotato di nuovi servizi: assistenza<br />
sanitaria e consulenza legale. La terza tappa è stata Napoli dove<br />
l’help center ubicato sul binario 1 della Stazione Centrale è stato<br />
dotato, grazie a “Un Cuore in Stazione”, di due unità mobili: una<br />
di queste è un camper, un vero e proprio help center mobile, per<br />
l’assistenza in strada delle persone in difficoltà.<br />
Nei pressi della stazione ferroviaria di Pescara – il principale nodo<br />
ferroviario dell’Abruzzo, crocevia tra l’Adriatico e il Tirreno – “Un<br />
cuore in stazione” ha portato il primo Centro polivalente della città:<br />
440 mq per offrire servizi alla persona, dotato anche di una<br />
mensa e di un centro notturno che offre in emergenza fino a 34<br />
posti letto.<br />
Entro la fine del <strong>2010</strong> verranno individuati gli ultimi interventi secondo<br />
la stessa logica che guida da cinque anni l’operato della onlus<br />
di Enel: ascoltare i bisogni del territorio, rispondere concretamente<br />
alle emergenze con progetti di solidarietà, portare sollievo<br />
alla persona, alla famiglia e alla comunità. Per questo è nata Enel<br />
Cuore Onlus, che dal 2004 a oggi ha realizzato 317 progetti in Italia<br />
e all’estero, a cui ha destinato 33,5 milioni di euro.<br />
pubbliredazionale
Aforismi<br />
di Merafina<br />
IL PENTITO<br />
C’è sempre tempo<br />
per pentirsi<br />
PASSIONE D’AMORE<br />
La passione d’amore<br />
cambia colore<br />
senza prezzo<br />
SENZA DI TE<br />
Senza di te<br />
mi manca l’aria<br />
Meglio in due<br />
Non si può essere soli,<br />
meglio in due che uno solo.<br />
Se uno cade<br />
l’altro lo aiuta.<br />
Se due dormono insieme<br />
si scaldano.<br />
Non si può esser soli,<br />
meglio in due.<br />
Se uno è cieco<br />
l’altro lo guida<br />
e non sembra<br />
neppure fatica<br />
il duro lavoro di sempre.<br />
Se due camminano<br />
insieme<br />
la strada sembra più breve.<br />
Non si può essere soli,<br />
meglio in due.<br />
Se uno chiama<br />
l’altro risponde.<br />
E la vita<br />
è più lieta e più bella<br />
Marco Faggionato<br />
Vieni<br />
Vieni. Vieni con me.<br />
T’invito nel mio parco<br />
immenso e pieno di verde.<br />
Non guardarmi così,<br />
lo fai apposta.<br />
È sempre un testa a testa,<br />
un paripasso.<br />
È difficile inciampare<br />
sott’acqua?<br />
Sono nata donna.<br />
Punto e basta.<br />
Senza nessun dubbio.<br />
Se proprio devi mangiarmi<br />
non masticarmi.<br />
Sono magra.<br />
Sono piena di spine.<br />
Mi guardi<br />
con i tuoi occhi di ghiaccio.<br />
Tutto sommato sembri<br />
un bravo squalo<br />
Cinzia Rasi<br />
Pace<br />
anticamera<br />
Embrione di speranza<br />
parto di fantasia<br />
vagheggio dell’assurdo.<br />
Sfiori l’umano esistere,<br />
i suoi drammi germogli<br />
sempre senza fioritura.<br />
Secco è l’ulivo<br />
stremate le colombe<br />
e tu bugiarda amante<br />
dispensatrice<br />
di promesse vane<br />
mostri<br />
appena fuggendo<br />
incomprese fattezze<br />
Aida Odoardi<br />
Notte<br />
É una vita infernale.<br />
La notte è chiara<br />
stelle sbocciano in cielo<br />
simili a bianchi fiori.<br />
Palpitano<br />
torme di astri<br />
nello spazio.<br />
La terra par che dorma,<br />
ma vibra tutta,<br />
immensa cetra,<br />
di suoni misteriosi.<br />
La luna culla<br />
col suo mite chiarore<br />
i sogni dei viventi<br />
Mary<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong><br />
.11
Molti homeless hanno disturbi mentali. Chi se ne occupa?<br />
Nessuno. Ora qualcuno pensa a lunghi trattamenti obbligatori<br />
Se son matti<br />
non li curiamo<br />
Cure farmacologiche<br />
forzate. Estese: almeno<br />
sei mesi. Una proposta<br />
di legge le prevede<br />
per i senza dimora<br />
con problemi psichici.<br />
Ma oggi di quali interventi<br />
sanitari possono fruire?<br />
Pochi. Anche perché<br />
il sistema fatica a seguire<br />
i malati con casa<br />
e famiglia. Bisognerebbe<br />
incontrarli in strada…<br />
Salute mentale<br />
i servizi di in Italia<br />
Dsm<br />
(Dipartimenti di salute mentale):<br />
vertici della struttura organizzativa,<br />
con compiti di coordinamento dei<br />
servizi. Sono 210, con bacini d’utenza<br />
di diverse dimensioni (20 seguono una<br />
popolazione di meno di 250 mila<br />
abitanti; 167 più di 250 mila; 20 più di<br />
500 mila; 3 un milione di abitanti)<br />
Csm<br />
(Centri di salute mentale):<br />
sedi operative delle équipe dei medici.<br />
Sono 707; attesa media per una visita<br />
non urgente 8 giorni. Solo un Csm su<br />
tre effettua viste a domicilio<br />
Operatori per abitante<br />
per legge dovrebbero essere 1 ogni<br />
1.500, in realtà sono 1 ogni 5 mila<br />
Tso<br />
(Trattamento sanitario obbligatorio):<br />
scatta quando la persona, in genere già<br />
conosciuta dai servizi di salute mentale,<br />
manifesta un’acutizzarsi del disturbo<br />
psichico o compie gesti eclatanti e<br />
pericolosi per sé o per gli altri. È<br />
richiesto dal medico di base e deve<br />
essere approvato dallo psichiatra dei<br />
servizi. Viene disposto dal sindaco<br />
tramite ordinanza notificata al giudice<br />
tutelare entro 48 ore<br />
12. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
di Francesco Chiavarini<br />
Un senza dimora con disturbi psichiatrici, a Catania, costretto a vivere in<br />
una cabina dell’Enel abbandonata, sgomberato e in seguito persino multato “per<br />
danneggiamento di luogo pubblico”. Un altro clochard, a Milano, affetto da anni da<br />
una grave schizofrenia, rimpallato da un ospedale all’altro. Due casi drammatici, accaduti<br />
in estate, ai capi opposti della penisola, di fronte ai quali enti e istituzioni hanno<br />
giocato un avvilente scaricabile. E che sollevano la stessa domanda: chi si deve occupare<br />
dei matti che vivono in strada? Il problema è complesso. E assomiglia a un<br />
circolo vizioso: in strada si finisce spesso a causa di disturbi psichici, e poi la strada<br />
si incarica di “indurire” la malattia, in<br />
qualche modo di “confermare” la follia.<br />
A disagio, insomma, si sovrappone disagio.<br />
Inasprendo, nella percezione dei cittadini<br />
comuni, il senso di lontananza ed<br />
estraneità delle persone senza dimora.<br />
Tanto più pericolose, si ritiene, se anche<br />
“matte”. Così c’è chi pensa che l’unica<br />
soluzione sia quella delle cure forzate. E<br />
prolungate. Il sindaco di Roma, Gianni<br />
Alemanno, ha chiesto al ministro degli<br />
interni, Roberto Maroni, che si dispongano<br />
trattamenti sanitari obbligatori<br />
prolungati per gli homeless con problemi<br />
psichiatrici. Un’extrema (e ipercoercitiva)<br />
ratio, che nasce nel vuoto di attenzione<br />
riservato ai chi, in strada, ha<br />
per compagni solo i suoi fantasmi.<br />
Panorama disomogeneo<br />
Eppure la soluzione da adottare, a rigor<br />
di legge, per una volta sarebbe semplicissima:<br />
dei senza dimora “psichiatrici”<br />
devono farsi carico prima di tutto i servizi<br />
di salute mentale, le uniche strutture<br />
incardinate nel sistema sanitario nazionale<br />
dotate di professionisti in grado<br />
di effettuare diagnosi e approntare terapie.<br />
Poi, certo, gli psichiatri si possono<br />
avvalere dell’aiuto di assistenti sociali ed<br />
educatori per rispondere ai bisogni materiali<br />
(casa e cibo) di persone che sono,<br />
oltre che malate, anche gravemente<br />
emarginate. Ma mai come in questo ca-<br />
so la teoria è distante dalla realtà.<br />
«La cosa migliore che può accadere a<br />
uno psicotico senza dimora è di finire, se<br />
c’è posto, in ospedale, nei servizi psichiatrici<br />
di diagnosi e cura, e poi tornare<br />
dopo 15 giorni di nuovo in mezzo alla<br />
strada», sostiene Ernesto Muggia, presidente<br />
onorario di Unasam, organismo<br />
che riunisce 150 associazioni di familiari<br />
di malati di mente. «Perché la verità –<br />
aggiunge sconsolato – è che il sistema<br />
psichiatrico non funziona nemmeno<br />
per chi una casa e un parente più o meno<br />
prossimo ce l’ha. Figuriamoci se è in<br />
grado di occuparsi di chi è solo e non ha<br />
nemmeno un posto dove stare…».<br />
Giudizio tranchant. Ma come è organizzato<br />
il sistema? Ed è vero che è così<br />
inefficiente? La normativa prevede<br />
che ogni Azienda sanitaria italiana istituisca<br />
il Dipartimento di salute mentale,<br />
vertice della struttura organizzativa, deputato<br />
a coordinare un’ampia rete di<br />
servizi. Di fatto, però, in Italia i Dsm sono<br />
solo 210. Per 167 il territorio di competenza<br />
coincide effettivamente con<br />
quello dell’Asl, ma 103 (il 49%) servono<br />
una popolazione che può superare i 250<br />
mila abitanti e in altri 20 (9%) il bacino<br />
di utenza è di oltre 500 mila residenti. Tre<br />
Dsm servono addirittura una popolazione<br />
di oltre un milione di persone.<br />
Il panorama è dunque molto diso-
mogeneo. E se si scende “per li rami”<br />
dell’organizzazione, la situazione diventa<br />
ancora più complicata. Nello scalino<br />
immediatamente inferiore a quello dei<br />
Dsm ci sono i Centri di salute mentale (o<br />
Centri psico-sociali, Cps in Lombardia),<br />
vale a dire i servizi di base più importanti.<br />
I Csm sono 707, distribuiti in tutto il<br />
territorio nazionale. Con l’eccezione del<br />
Molise, dove non sono mai stati attivati.<br />
Ma questo sarebbe solo un piccolo neo.<br />
Centri di salute inacessibili<br />
«La questione vera è che i Csm operano<br />
in maniera molto differente gli uni dagli<br />
altri», avverte Giovanna Del Giudice, psichiatra<br />
triestina dell’equipe di Basaglia,<br />
il celebrato “padre” della riforma psichiatrica<br />
in Italia. Secondo uno studio<br />
realizzato dal Dipartimento di salute<br />
mentale di Trieste, uno dei pochi completo<br />
ed esaustivo, “gli standard previsti<br />
dalle legge sono soddisfatti in una piccola<br />
parte dei Csm italiani”. Le cose vanno<br />
bene in Friuli Venezia Giulia, in parte<br />
della Campania e in Sardegna. Qui, secondo<br />
la ricerca, i Csm sono aperti 24<br />
ore al giorno, 7 giorni su sette e hanno a<br />
disposizione per il ricovero persone con<br />
cui entrano in contatto tra i 6 e gli 8 posti<br />
letto. Ma sono isole felici. Altrove, gli<br />
orari di accesso al pubblico possono essere<br />
anche di sole 2 ore al giorno. Non<br />
solo: in 93 Csm occorre la prescrizione<br />
del medico, in 452 bisogna pagare un<br />
ticket. Per non parlare delle liste di attesa:<br />
una persona che ritiene di avere bisogno<br />
di un contatto specialistico non<br />
urgente deve attendere quasi otto giorni,<br />
ma può aspettare anche due mesi e<br />
mezzo. E sempre secondo l’indagine degli<br />
allievi di Basaglia, sono un Csm su tre<br />
effettua le visite domiciliari.<br />
In un sistema costruito in questo<br />
modo, il senza dimora con malattia<br />
mentale non solo non entra, ma non<br />
riesce nemmeno a bussare alla porta di<br />
ingresso, perché per lui quella porta<br />
semplicemente non esiste. «Avendo<br />
perso la residenza, il senza tetto perde<br />
anche il diritto alle cure del medico di<br />
base, a meno che il comune non gli riconosca<br />
una residenza anagrafica, obbligo<br />
di legge come è noto largamente<br />
disatteso dagli enti locali nel nostro paese<br />
– spiega Raffaele Gnocchi, dell’area<br />
l’inchiesta<br />
grave emarginazione di <strong>Caritas</strong> Ambrosiana<br />
–. Quindi, anche se fosse così consapevole<br />
da capire che ha un problema<br />
e che deve chiedere aiuto, non potrebbe<br />
avere accesso agli altri servizi». Insomma,<br />
è fuori al primo turno. Di più: non<br />
partecipa nemmeno al campionato. E<br />
come lui, in realtà, rimangono esclusi<br />
centinaia di altri cittadini, anche in condizioni<br />
sociali ben più favorevoli.<br />
Le uscite di Diogene<br />
«Oltre trent’anni fa la riforma voluta da<br />
Basaglia introdusse giustamente la libertà<br />
di cura del malato, con l’intento di<br />
superare la logica costrittiva dei manicomi<br />
– osserva Paola Soncini responsabile<br />
dell’area salute mentale di <strong>Caritas</strong><br />
Ambrosiana –. Questo sacrosanto principio,<br />
nella prassi, è divenuto in molti<br />
casi un alibi. Tranne che in rarissimi casi,<br />
gli psichiatri dei servizi di salute mentale<br />
aspettano che i malati si rivolgano<br />
spontaneamente a loro; pochissimi<br />
escono dai propri ambulatori per offrire<br />
aiuto a chi ne ha bisogno. In questo modo,<br />
però, vengono abbandonati a loro<br />
stessi non solo i senza dimora, ma an-<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .13
se son matti non li curiamo<br />
che i familiari di quei sofferenti psichici<br />
che rifiutano ogni cura».<br />
I Dipartimenti di salute mentale si<br />
difendono sostenendo che non hanno<br />
risorse sufficienti. E hanno ragione, se è<br />
vero che nel nostro paese c’è solo un<br />
operatore ogni 5 mila abitanti, invece di<br />
uno ogni 1.500, il 30% in meno di quanto<br />
aveva previsto lo psichiatra triestino<br />
nella riforma che porta il suo nome, come<br />
hanno sottolineato quest’anno i suoi<br />
allievi in un convegno. «Ma la questione<br />
è anche culturale, perché là dove lo si è<br />
voluto, il modo per intervenire lo si è trovato…–<br />
osserva Soncini».<br />
Proprio a Milano, ad esempio, grazie<br />
agli appelli dell’allora arcivescovo Carlo<br />
Maria Martini, agli inizi degli anni 2000<br />
si riuscì a portare l’assistenza specializzata<br />
e professionale ai senza dimora con<br />
disturbi psichiatrici, là dove questi si tro-<br />
Le “realtà parallele”<br />
nel quartiere dei matti<br />
Viaggio nella zona di Milano che ha il tasso di malati psichici più alto d’Europa…<br />
di Simona Brambilla<br />
Sette sofferenti psichici, in media, in ogni caseggiato popolare. Centocinquantacinque,<br />
in totale, le persone affette da disturbi mentali. Non quantificabili<br />
coloro che hanno problemi mentali e gravitano in zona, compresi molti clochard,<br />
che sono fuori dal circuito di aiuto. Sono i numeri del “quartiere del matti”.<br />
Perché Molise-Calvairate, estrema periferia sud di Milano, è il quartiere urbano con<br />
il più alto tasso di malati psichici in tutta Europa.<br />
Il sobborgo, sorto all’inizio del Novecento per ospitare le famiglie dei tramvieri dell’Atm,<br />
nei primi anni Ottanta si è popolato di persone con disagio psichiatrico, senza<br />
tetto e anche coloro che un tetto lo hanno, ma vivono in condizioni psicofisiche<br />
precarie. Così, oggi, il Centro psicosociale (Cps) di viale Puglie non riesce a fron-<br />
teggiare il bisogno di aiuto costante manifestato<br />
da tante persone affette da disturbi:<br />
il personale è sovraccaricato da<br />
richieste di assistenza, le liste di attesa<br />
sono lunghissime. Soprattutto, il Cps<br />
non riesce a prendere in carico tutte le<br />
persone che non hanno la capacità di<br />
rivolgersi al servizio di loro iniziativa.<br />
Una ampia parte di malati, tra cui molti<br />
homeless, non hanno la minima idea<br />
di come fare per curarsi. Molte volte,<br />
non vogliono nemmeno iniziare una terapia.<br />
Così anche una malattia curabile<br />
14. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
vavano. Ancora oggi il progetto Diogene<br />
è uno dei rari interventi di “psichiatria di<br />
strada” operativi nel nostro paese, riconosciuto<br />
anche dell’Oms come progetto<br />
pilota per la presa in cura degli homeless<br />
con disagio psichico. Ogni settimana<br />
due unità di strada composte da<br />
un educatore e uno psichiatra assicurano<br />
due uscite serali, nelle zone della città<br />
dove si concentrano i casi di grave emarginazione:<br />
lungo i binari della stazione,<br />
sui marciapiedi del centro cittadino.<br />
Nei tre anni di sperimentazione, gli<br />
operatori di Diogene, grazie alla collaborazione<br />
di operatori della Casa della<br />
carità e <strong>Caritas</strong> Ambrosiana, dei medici<br />
del Dipartimento di salute mentale dell’ospedale<br />
di Niguarda e del San Gerardo<br />
di Monza, hanno offerto aiuto a 130 persone,<br />
più della metà affetti da psicosi,<br />
quindi dai disturbi psichiatrici più gra-<br />
in pochi anni, se non seguita diventa<br />
cronica. Le procedure per accedere al<br />
Cps sono semplici, ma possono risultare<br />
molto complesse per chi soffre di disturbi<br />
psichici: bisogna prendere un appuntamento<br />
telefonico e presentarsi il<br />
giorno indicato con la carta d’identità e<br />
il codice fiscale.<br />
Gennaro fuori dalla baracca<br />
Cruciale, allora, diventa il lavoro delle<br />
associazioni e delle parrocchie, che<br />
vi. «Il nostro più grande risultato è stato<br />
dimostrare che si possono curare le persone<br />
anche se queste restano in strada»,<br />
commenta la responsabile, Vita Casavola,<br />
operatrice della Casa della Carità.<br />
In mano agli sceriffi<br />
Il modello milanese non ha avuto tuttavia<br />
emuli. Nel resto della penisola ci sono<br />
solo piccole iniziative, dovute in gran<br />
parte alla buona volontà di qualche prete<br />
e di qualche piccola organizzazione di<br />
volontariato, spesso legata alla <strong>Caritas</strong><br />
diocesana. Progetti tanto piccoli e locali,<br />
che è persino difficile recensirli. In un<br />
panorama così desolante, non è un caso<br />
che periodicamente riaffiori la tentazione<br />
di affidarsi a misure coercitive.<br />
Alla commissione affari sociali della<br />
Camera giace infatti una proposta di<br />
legge che, unificando altri progetti, in-<br />
quando entrano in contatto con le persone<br />
sole provano a inviarle ai servizi<br />
specialistici. L’associazione “Cena dell’amicizia”<br />
da anni si occupa di dare<br />
ascolto e ospitalità alle persone senza<br />
dimora, in molti casi affette da problemi<br />
psichiatrici. «Gennaro per molti anni ha<br />
vissuto in una baracca dalle condizioni<br />
igieniche e sanitarie pessime – esemplifica<br />
il dottor Andrea Gazziero, psicologo<br />
della “Cena” –. Spesso lo si vedeva in<br />
giro, nel quartiere, mentre vagava senza<br />
meta. Poi improvvisamente è sparito<br />
dalla circolazione. Nessuno sapeva come<br />
fare a rintracciarlo, molti erano<br />
preoccupati per lui. Lo hanno trovato<br />
dopo molti giorni nella sua baracca,<br />
quasi morto. Aveva una gravissima polmonite,<br />
non era stato in grado di chiedere<br />
aiuto a qualcuno. Lo ricoverarono<br />
e lo sottoposero a un Tso. Dopo mesi di<br />
degenza in ospedale, per la prima volta<br />
nella sua vita accettò di farsi seguire in
troduce il Tsop, Trattamento sanitario<br />
obbligatorio prolungato. In pratica, la<br />
persona che rifiuta le cure sarebbe obbligata<br />
a sottoporsi a una terapia di almeno<br />
sei mesi in una struttura ad hoc.<br />
«Mentre oggi possiamo intervenire con<br />
i ricoveri coatti solo nella fase acuta della<br />
malattia, con il trattamento sanitario<br />
necessario potremmo occuparci anche<br />
dei pazienti cronici, che spesso proprio<br />
a causa della malattia non curata diventano<br />
clochard», sostiene il vicepreside<br />
della commissione, il deputato Carlo<br />
Ciccioli, intenzionato a portare il testo in<br />
discussione entro fine anno. La proposta<br />
però non convince una larghissima<br />
maggioranza di psichiatri, che contestano<br />
il valore terapeutico delle cure obbligate.<br />
E non piace nemmeno, tranne poche<br />
eccezioni, alle associazioni di familiari,<br />
che avanzano il sospetto che dietro<br />
un centro d’accoglienza. Successivamente<br />
è venuto qui da noi, in Cena. Ora<br />
sta bene, ha capito che tutte le cure, a<br />
cominciare dal Tso, che prima rifiutava,<br />
gli sono state utili».<br />
Sono molte però le persone affette<br />
da disturbi psichici, come Gennaro, che<br />
non accettano alcun tipo di cura. «Si costruiscono<br />
una realtà parallela – spiega<br />
Gazziero –. In loro ci sono rigidità che<br />
rafforzano continuamente le loro idee<br />
malate, si innesca dentro la loro mente<br />
una forma di difesa che ne rende difficile<br />
l’aggancio». Per intervenire sui malati<br />
che rifiutano qualsiasi tipo di aiuto, i<br />
servizi territoriali possono fare ricorso<br />
ai Tso, strumento di cura imposto al<br />
questa riforma si nasconda un regalo<br />
alle case di cura private.<br />
«Mi sembra una scorciatoia che<br />
in mano a sindaci-sceriffo può diventare<br />
anche molto pericolosa»,<br />
chiosa Paolo Pezzana, presidente<br />
della Fio.psd, la Federazione degli<br />
organismi per le persone senza dimora.<br />
Il rischio di abusi non è poi<br />
cosi peregrino, Rivolgendosi a Maroni,<br />
il sindaco Alemanno ha auspicato<br />
«un trattamento sanitario realmente<br />
obbligatorio, che tolga dalla<br />
vie delle città i vagabondi». Tutti i vagabondi.<br />
A prescindere dalla loro<br />
sanità mentale. Lapsus, o spia della<br />
volontà di sedare, per via farmacologia,<br />
un fenomeno che non si riesce,<br />
o non si vuole affrontare con gli<br />
strumenti dell’assistenza e della relazione<br />
sociale?.<br />
malato, spesso contro la sua volontà,<br />
quando appare evidente che il paziente<br />
possa recare gravi danni a se stesso o<br />
agli altri. «Quando i miei fratelli hanno<br />
attivato il Tso – racconta il signor Claudio,<br />
ex senza dimora affetto da disagio<br />
psichiatrico grave – non mi rendevo<br />
conto di cosa mi stessero facendo. Ricordo<br />
solo una grandissima rabbia, e<br />
l’impulso a ribellarmi». In seguito, dopo<br />
mesi di sofferenze, Claudio è riuscito a<br />
iniziare un percorso di cura. E soprattutto<br />
a entrare in un centro di accoglienza.<br />
Gli appartamenti e la Cena<br />
I farmaci, infatti, non possono bastare.<br />
L’arcivescovo<br />
Dentro le vite<br />
di chi non è<br />
preso in carico<br />
“Credo che san Carlo oggi<br />
ci indicherebbe come primo criterio da<br />
seguire, quando si interviene a favore<br />
dell’uomo, e quindi anche del malato<br />
mentale, quello di avere una<br />
conoscenza diretta del bisogno della<br />
persona. (…) Ci viene spontaneo ora<br />
pensare al problema dell’andare a<br />
domicilio, dell’entrare in casa di quanti<br />
non si recano ai servizi, che non sono<br />
mai stati presi in carico e neppure<br />
avvicinati, sebbene forse segnalati da<br />
parenti o vicini. San Carlo non si è<br />
lasciato intimorire né dalle distanze né<br />
dalle difficoltà e oggi ci spronerebbe<br />
più che mai a seguirne l’esempio: lui<br />
che non ha permesso al governo civile<br />
del tempo di abdicare al compito di<br />
assistere i bisognosi, ma l’ha<br />
reclamato con tale forza da ottenere<br />
non poche modifiche legislative”.<br />
(dal Messaggio dell’arcivescovo di Milano,<br />
cardinale Dionigi Tettamanzi, per<br />
la 18ª Giornata mondiale della salute<br />
mentale, 10 <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong>).<br />
l’inchiesta<br />
È molto importante che alle cure sanitarie<br />
facciano seguito interventi sociali e<br />
relazionali, per favorire la ri-socializzazione<br />
dei malati. Solo così si evitano ricadute<br />
o riacutizzazioni. «Per questo<br />
motivo qui a Molise-Calvairate – conclude<br />
Gazziero – noi di Cena gestiamo<br />
appartamenti di terza accoglienza. Al fine<br />
di favorire il reinserimento sociale<br />
degli ospiti, collaboriamo attivamente<br />
con le associazioni e le parrocchie del<br />
territorio. Oggi, per fortuna, la situazione<br />
nel quartiere sta migliorando rispetto<br />
al 1995, anno in cui abbiamo avviato<br />
la terza accoglienza. Appena arrivati,<br />
siamo stati aggrediti dagli abitanti, perché<br />
accusati di portare altro disagio psichiatrico<br />
in un posto in cui era già alto il<br />
numero dei malati psichici». Molise-<br />
Calvairate, per certi aspetti, continua a<br />
essere una sorta di “ghetto” per tante<br />
persone malate mentali. Ma disagio e<br />
solitudine non sono condanne inappellabili..<br />
.<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .15
se son matti non li curiamo<br />
Andrea, colpevole<br />
di notti “elettriche”<br />
Dormiva in un’ex cabina dell’Enel, vicino alla stazione di Catania. Perché lì<br />
c’era chi lo aiutava. L’hanno denunciato. E lui è scappato dal ricovero coatto…<br />
di Gabriella Virgillito<br />
Tutto è cominciato con una denuncia, probabilmente una semplice telefonata<br />
al comando dei carabinieri di Catania. È una sera di fine agosto: «Un uomo<br />
dorme dentro una cabina elettrica», spiega la voce. E così parte l’intervento delle<br />
forze dell’ordine: sgombero e addirittura denuncia (per “danneggiamento di un<br />
bene pubblico”) nei confronti dell’“occupante abusivo”. Che sarebbe Andrea, persona<br />
senza dimora e malato psichico. Mentre il bene pubblico danneggiato è un<br />
piccolo locale, adibito in passato a cabina elettrica, da tempo ormai in disuso, che<br />
si trova proprio a fianco all’Help Center della <strong>Caritas</strong>, alla stazione centrale di Catania.<br />
All’Help Center Andrea mangia, fa la doccia e intrattiene, con gli operatori e<br />
i volontari, le uniche relazioni amicali della sua vita raminga. Per lui era quindi na-<br />
turale trovarsi un posto dove dormire, il<br />
più possibile vicino al centro che considerava,<br />
ormai, una sorta di “casa”.<br />
Andrea era arrivato a Catania tempo<br />
fa, da Barrafranca. Ha 45 anni e gravi<br />
disturbi psichiatrici. La vita di strada<br />
lo ha condotto anche all’alcolismo. Così<br />
a volte “dà di matto” e urla contro la<br />
gente che passa nella piazza della stazione;<br />
lì stazionano anche alcuni camion<br />
dei panini, e probabilmente l’uomo<br />
ha spaventato qualche avventori. La<br />
sua esuberanza non si è mai trasformata<br />
in violenza, ma può aver dato fastidio<br />
ad alcuni.<br />
Quella cabina elettrica, Andrea era<br />
riuscito a trasformarla in una vera e<br />
propria dimora, con tanto di letto e “servizi<br />
igienici”. I carabinieri, giunti sul posto,<br />
hanno trovato un rifugio ordinato,<br />
e per quanto possibile pulito. Certo,<br />
quella che per Andrea era una casa, in<br />
realtà è un bene di proprietà comunale.<br />
Pertanto andava sgomberato. Ma era<br />
proprio necessario denunciarlo?<br />
Ha deciso di sparire<br />
«Da vittima, paradossalmente è stato<br />
trasformato in colpevole di un danno –<br />
commenta padre Valerio Di Trapani, direttore<br />
della <strong>Caritas</strong> diocesana –. Come<br />
al solito ci si limita a intervenire secondo<br />
modalità di emergenza, non esiste<br />
16. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
da parte dei soggetti istituzionali una<br />
autentica presa in carico del problema».<br />
Forse si sarebbe potuto fare qualcosa,<br />
per evitare che Andrea finisse a dormire<br />
in una cabina elettrica? Il direttore<br />
del Dipartimento di salute mentale dell’Azienda<br />
sanitaria catanese, dottor<br />
Tommaso Federico, ha dichiarato a TeleStrada<br />
(la web tv della <strong>Caritas</strong> etnea,<br />
che ha realizzato un’inchiesta sulla questione<br />
– www.telestrada.it) che spesso<br />
non si riescono a trovare strutture di accoglienza<br />
adeguate, sempre che la persona<br />
sia disponibile ad andarci. È proprio<br />
il caso di Andrea, che a un certo<br />
punto della vicenda, quando gli è stato<br />
prospettato il ricovero, ha deciso di sparire,<br />
probabilmente spaventato dalla<br />
possibilità di essere sottoposto a un Tso<br />
(Trattamento sanitario obbligatorio).<br />
Ancora vivo, in lui, è il brutto ricordo dei
diversi ricoveri coatti subiti in Germania,<br />
dove racconta di aver vissuto per un<br />
po’ di tempo. La paura di ritrovarsi in un<br />
luogo chiuso lo ha spinto a sparire per<br />
qualche giorno, lasciando nell’angoscia<br />
gli operatori dell’Help Center, ormai<br />
abituati a vederlo ogni giorno girare per<br />
la stazione.<br />
Andrea, probabilmente, non ha tutti<br />
i torti. Lo stesso dottor Federico ha<br />
ammesso a Telestrada che a volte, siccome<br />
non si sa dove inviare i pazienti<br />
sottoposti a Tso, questo viene prolunga<br />
per qualche giorno oltre il necessario.<br />
«La soluzione non sempre è il ricovero,<br />
soprattutto quando la persona non è disponibile;<br />
inoltre le strutture residenziali<br />
sono piene, sovraffollare e costose –<br />
ha riconosciuto l’assessore alle politiche<br />
sociali del comune siciliano, Carlo Pennisi<br />
–. Per questa particolare combinazione<br />
di disagio bisognerebbe provare<br />
ad attrezzare, in collaborazione con l’Azienda<br />
sanitaria provinciale, le unità di<br />
strada con operatori competenti e preparati<br />
a dialogare in maniera adeguata<br />
con gli homeless sofferenti psichici».<br />
Intanto, qualche politico ha chiesto<br />
come soluzione il ricovero coatto prolungato<br />
per tutti i senza dimora. Così,<br />
giusto per “ripulire” le città… Ma questo<br />
Andrea, che nel frattempo è tornato<br />
a “casa”, all’Help Center, per fortuna non<br />
lo sa….<br />
Lo psicologo<br />
«Impera il bisogno di “pulito”,<br />
il business dietro l’ideologia»<br />
La legge 180 – una delle poche invidiateci all’estero – ha aperto<br />
in Italia, nel campo dell’assistenza psichiatrica, una stagione che punta<br />
sulla rete dei servizi nel territorio, dei servizi di vicinanza e delle relazioni di<br />
cura, al fine di abbassare il ricorso ai rimedi di un’industria farmaceutica<br />
sempre assetata di nuovi mercati, ma anche il ricorso al “contenimento”<br />
rappresentato dal Trattamento sanitario obbligatorio, o anche del ricovero<br />
volontario. La rete socio-sanitaria, creata dall’applicazione della legge e dal<br />
suo spirito, attiva inoltre altre reti, nei settori del lavoro, della residenza,<br />
della socialità: si punta sull’essere cittadini, assecondando la quotidianità<br />
dei rapporti che rinforza le identità di tutti, anche di chi da oggetto di cura<br />
si trasforma in soggetto di relazione. Di fatto la legge 180 è una traduzione<br />
sociale di una visione secondo cui il disagio crea esperienza, informazione e<br />
conoscenza, e quindi può creare salute, in forme accessibili e utilizzabili da<br />
tutta la comunità. Oggi però c’è chi vuole tornare a rinchiudere il disagio di<br />
ognuno, perché “pericoloso”, o sporco, o “barbone” o semplicemente<br />
diverso. Il disagio agli angoli delle strade dà fastidio, soprattutto quando,<br />
come in tempi di crisi, addirittura invade le nostre strade. La tentazione di<br />
creare altri luoghi dove contenere il lato sgradevole della povertà – in senso<br />
lato – è molto forte: si porta dietro significati e miti ancestrali di pulizia,<br />
omologazione e lotta alla diversità, ma risulta ancora più sconcertante per il<br />
male che fa quando si applica sulla carne delle persone, come è accaduto<br />
in questi anni con la pratica del Tso di pochi giorni, che adesso una<br />
proposta di legge vuole prolungare a sei mesi, e se necessario poter<br />
rinnovare.<br />
Il bisogno di “pulito” viene però rivolto soltanto al malato, non certamente<br />
al sistema di cura. Eppure non si può omettere che, anche a un esame<br />
superficiale della politica dei servizi sanitari in Italia, nonostante la legge<br />
180 anche nel comparto psichiatrico gli appetiti dei privati si sono mostrati<br />
pesanti e determinanti nelle scelte, e anche adesso provano a far pesare i<br />
loro interessi. Di fatto molti territori hanno ceduto in blocco ai privati la<br />
riabilitazione residenziale, impoverendo le casse dei servizi pubblici, che<br />
hanno preso a garantire solo e soltanto le emergenze, senza potersi<br />
occupar di rendere fertili le conoscenze sociali acquisite e sperimentate in<br />
territori più evoluti. In queste aree si contano davvero pochi servizi, mal<br />
dislocati, poco accessibili, che “re-spingono” i malati al loro disagio e a<br />
forme sempre più eclatanti di richiesta d’aiuto, che diventano emergenze e<br />
vengono così portati all’attenzione dell’opinione pubblica. Nord e sud<br />
appaiono, in questo senso, davvero nuovamente contrapposti, con gli<br />
interessi delle holding della salute che sostengono diagnosi e trattamenti e<br />
controlli.<br />
l’inchiesta<br />
Dunque dietro il dato ideologizzato delle città “ordinate” e “pulite” vi è<br />
anche una precisa volontà di non perdere e, anzi, acquisire nuovo e ulteriore<br />
potere, anche a costo e sulla vita delle persone maggiormente indifese.<br />
Grave è la conseguente manipolazione del dolore e dell’impotenza delle<br />
famiglie, trascinate da interessi molto più grandi di loro e alle quali<br />
drammaticamente viene proposta come cura l’abbandono del proprio<br />
congiunto. Su questo non si possono fare sconti: è privo di senso che per<br />
curare qualcuno lo si debba allontanare dalla sua vita e dai suoi diritti,<br />
aspettandosi che ciò possa essere riconosciuto come cura o riabilitazione.<br />
La radicalizzazione del disagio oggi, ma anche prima e sempre, cerca rimedi<br />
ancora più radicali, che servono solo a chi si prepara a gestire nuovi grandi<br />
business.<br />
Pino Fusari (psicologo, <strong>Caritas</strong> Catania)<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .17
se son matti non li curiamo<br />
La bolla di Antonio<br />
svanita in parrocchia<br />
Spaventava i fedeli fuori dalla chiesa, a Milano. Finché don Giorgio non gli ha<br />
offerto un letto. Da lì è cominciata una lunga risalita. Anche grazie a Diogene…<br />
di Stefania Culurgioni<br />
Antonio, nome di fantasia: un uomo che non voleva farsi aiutare. Viveva<br />
per strada, dormiva sulle panchine, mangiava alla mensa dei poveri, stava in<br />
un angolo del marciapiede. Ma non gli importava nulla, o almeno così sembrava,<br />
di uscire da quella situazione di degrado. Tutto sommato stava bene così, la sua<br />
vita aveva trovato un equilibrio, e in quella bolla di esilio sociale persino una certa<br />
pace. Il primo giorno che qualcuno provò ad avvicinarsi a lui per dargli una<br />
mano, non reagì bene. Era burbero, indisponente, disinteressato. Stava fuori dalla<br />
chiesa tutta la giornata e c'erano persino dei fedeli che ne avevano un po' paura.<br />
Se qualcuno poteva avere voglia di aiutarlo, lui gliela faceva passare in due minuti.<br />
Sul suo recupero, nessuno avrebbe scommesso due lire. Invece, anche se ci<br />
sono voluti anni, la storia è finita bene.<br />
A raccontarla è don Giorgio Riva, 63<br />
anni, prete da 12, parroco di una chiesa<br />
milanese. Antonio, ricorda, era un<br />
senza dimora con grossi problemi<br />
comportamentali. Difficile da avvicinare,<br />
entrava e usciva dalla chiesa, percorreva<br />
corso Buenos Aires compulsivamente,<br />
rifiutava ogni contatto.<br />
Il contatto con diogene<br />
A prendersi cura di lui furono, almeno<br />
sei anni fa, gli educatori e gli psichiatri<br />
dell’équipe Diogene, specializzati nelle<br />
problematiche dei senza tetto con<br />
problemi mentali. «In realtà il primo a<br />
prendersi cura di quest’uomo è stato<br />
un seminarista, che oggi è diventato<br />
prete – racconta il parroco –. Grazie al<br />
suo amore intelligente, è riuscito a instaurare<br />
un rapporto di amicizia. E con<br />
sapienza, ha aiutato Antonio a cominciare<br />
il cammino per una nuova vita».<br />
All'inizio di questa risalita, è stato<br />
proprio don Giorgio ad ospitare l’uomo<br />
nei locali della parrocchia. «Era una sistemazione<br />
provvisoria – racconta –, lui<br />
veniva qui solo per dormire. Di giorno<br />
usciva. Ma già il fatto di dover entrare in<br />
un edificio, chiedere le chiavi, relazionarsi<br />
con qualcuno, ricreare un rapporto,<br />
è stato un passo enorme. È stato il<br />
suo inizio per stabilire di nuovo relazioni<br />
con gli altri. Il risultato? Oggi Antonio<br />
18. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
ha 42 anni, vive da solo in un appartamento<br />
in città, fa lavoretti per l’oratorio.<br />
Le persone che venivano in chiesa e che<br />
una volta ne avevano timore gli vogliono<br />
bene e lo rispettano. Lui sente che<br />
oggi conta per qualcuno, che ha un ruolo.<br />
E si è recuperato».<br />
Costretto alla relazione<br />
In gioventù, Antonio era stato un ragazzo<br />
come gli altri, che stava bene.<br />
Giocava a calcio, era figlio di genitori<br />
milanesi, ma a un certo punto, alla<br />
morte del padre, con la famiglia aveva<br />
dovuto trasferirsi fuori Milano. Antonio<br />
questa cosa non l’aveva digerita: un disagio,<br />
che avrebbe segnato il suo destino.<br />
Poi aveva trovato un lavoro, faceva<br />
le pulizie nelle banche. Ma a un certo<br />
punto si è ritrovato solo. E nella solitudine<br />
ha sviluppato una forma di rifiuto<br />
e di isolamento nei confronti della società.<br />
Un progressivo auto-isolamento,<br />
che gli ha costruito intorno una bolla,<br />
un muro invisibile ma invalicabile. Anche<br />
per questo ci sono voluti anni per-<br />
Viola, dall’omero rotto all’autocura da sniffo:<br />
«La psichiatria non esiste, né in strada né in corsia»<br />
Quattro anni fa, mi ero rotta l’omero<br />
all’Albergo cittadino di Vicenza. Mia<br />
madre m’aveva sbattua là perché, “porella”,<br />
giustamente o ingiustamente<br />
non ne poteva più di eroina da sniffo e<br />
nemmeno di un certo da lei detto imbriaghella<br />
(in dialetto veneto, ubriaco<br />
si dice imbriago), che ancora ho nel<br />
cuore. La sera avevo fumato insieme<br />
alla Roby e al suo ragazzo e a Michele,<br />
che oggi purtroppo festeggia il suo infarto<br />
da coca e alcol da dieci anni di<br />
vita in strada. La doccia del Cittadino,<br />
quel mattino, era davvero putrida e scivolosa.<br />
E e io ero un po’ troppo fumata.<br />
Roby, subito accorsa, mi ha fatto<br />
subito ingoiare un mai provato “Sudotex”,<br />
che, dice lei, fa passare il dolore.<br />
Infatti nonostante l’omero fratturato<br />
non smettevo più di ridere e avevo il<br />
batticuore, sul tram con lei per andare<br />
all’ospedale. Arrivati, mi ha mollata lì:<br />
tipico dei tossici psichiatrici che hanno<br />
paura di essere presi e ricoverati a<br />
forza. Poi sala operatoria e un gesso,<br />
grosso e pesante che faceva dimagrire.<br />
Però neanche col braccio rotto a<br />
spirale scomposta mia madre mi ha rivoluta<br />
a casa. E così ho cominciato a<br />
“vivere” davvero per strada. Cioè lentamente<br />
a morire: Enrico e il nostro<br />
finto amore; la casa abbandonata e<br />
Michele che mi prendeva a pugni in testa<br />
per venti euro di fumo. L’ho denunciato,<br />
ma la polizia mi ha lasciato l’erba<br />
e mi ha riportata a casa. Nemmeno<br />
in quel caso mia madre ha aperto la<br />
porta. Poi, tante notti a fumare e delirare.<br />
Non esiste la psichiatria in strada.<br />
E perché? Perché chi vive in strada<br />
è necessariamente un reietto.<br />
Scivolata in depressione, ho cercato
ché l’équipe Diogene lo avvicinasse e<br />
lo aiutasse a ristabilire un atteggiamento<br />
positivo nei confronti della vita<br />
e degli altri. Un percorso difficilissimo,<br />
che ha richiesto molta pazienza, e che<br />
all’inizio non dava risultati.<br />
L’ospitalità offerta da don Giorgio,<br />
che lo ha costretto a instaurare una relazione,<br />
anche solo per entrare e uscire<br />
dalla parrocchia a dormire, tutto è<br />
ricominciato. Gli incontri con gli educatori<br />
hanno fatto il resto. La comunità<br />
ha finito il lavoro: «Le persone<br />
piano piano lo hanno accolto e lui ha<br />
trovato un ambito in cui si trova bene<br />
– sintetizza il sacerdote –- Adesso sa<br />
che gli si vuole bene, che è guardato<br />
con simpatia, aiuta quando c’è da scaricare<br />
il camion che arriva col Banco<br />
alimentare, svolge altre incombenze.<br />
Sa che si conta su di lui. Ha ritrovato<br />
un po’ se stesso».<br />
Certo, accompagnarlo sulla via del<br />
recupero ha richiesto molto tempo e<br />
tante energie. «Sono percorsi possibili,<br />
ma difficili – conclude don Giorgio –.<br />
Ci chiedono intelligenza e unità. E soprattutto<br />
di mettere in gioco l’amore. E<br />
l’impegno di tutta una comunità. Antonio<br />
non chiedeva aiuto. Ma per noi,<br />
in ogni caso, ne aveva bisogno. Bisogna<br />
essere attenti a non imporlo. Se uno si<br />
sente in gabbia, rifiuta anche una mano<br />
tesa». .<br />
l’autocura: ero da sniffo. Un giorno entrai<br />
da Righetti (ristorante in centro,<br />
ndr): il proprietario ha avuto pietà di<br />
me. Ha chiamato l’ambulanza (l’ho già<br />
detto, non c’è psichiatria sulle strade).<br />
Attacco di panico: al pronto soccorso<br />
mi conoscevano e mi hanno fatta passare.<br />
Poi una notte in astinenza. Una<br />
flebo e fuori: la psichiatria non c’è né<br />
in strada né dentro i reparti.<br />
Se sei tossico è un tuo vizio, non è vero<br />
che stai male, e gli infermieri psichiatrici<br />
ridono, mentre tu piangi, e<br />
sbattono le porte. Basaglia, ti prego,<br />
ovunque tu sia, rinasci e fa un’altra rivoluzione:<br />
psichiatria solo sulle strade.<br />
Viola è in cura alla psichiatria del Sert di<br />
Vicenza e soffre di un disturbo borderline<br />
di personalità, grave patologia caratterizzata<br />
da instabilità pervasiva dell’umore.<br />
Lo psichiatra<br />
«Prevalgono gli schizofrenici,<br />
ma il disagio ha molti aspetti»<br />
l’inchiesta<br />
Homeless, sleep-out, clochard, persone senza dimora, vagabondi,<br />
senza tetto. Un’alta percentuale di costoro soffre, tra le altre cose,<br />
di disturbi psichici. Capire come le due condizioni (disagio mentale e grave<br />
emarginazione) si intreccino e si alimentino reciprocamente, non è affatto<br />
facile. I risultati degli studi condotti su chi accede ai servizi psichiatrici (una<br />
ridotta percentuale) non sono trasferibili all’intera popolazione dei senza<br />
dimora. Molto più affidabili sono i risultati ottenuti da indagini che partono<br />
dalla strada, dalle mense pubbliche, dai luoghi di assistenza diurna.<br />
«Formulare diagnosi psichiatriche affidabili non è facile – ha spiegato, in un<br />
suo articolo sulla Rivista sperimentale di Freniatria, lo psichiatra Teodoro<br />
Maranesi, attuale direttore del Dipartimento di salute mentale Sacco di<br />
Milano –. È molto difficile capire se il disagio psichico eventualmente rilevato<br />
dipenda da una malattia psichiatrica o da una reazione di adattamento a una<br />
condizione di vita altamente stressante».<br />
Tutti gli studi, comunque, confermano che tra i senza dimora lo stato di<br />
salute mentale risulta molto scadente. «La diagnosi di schizofrenia è la più<br />
frequente – continua Maranesi –; seguono i disturbi affettivi mono o bipolari.<br />
Tra le condizioni meno gravi, ma soggettivamente difficili, i disturbi d’ansia, i<br />
disturbi fobici e gli attacchi di panico. I disturbi di personalità risultano<br />
presenti in percentuali molto alte; inoltre, più del 50% dei senza dimora è<br />
affetto da alcolismo».<br />
Sino ad alcuni anni fa l’attenzione degli psichiatri è stata posta quasi<br />
esclusivamente sulle variabili individuali e il punto di vista dominante era che<br />
all’origine del “vagabondaggio” ci fossero scelte e atteggiamenti devianti:<br />
rifiuto del lavoro e delle responsabilità, trasgressione delle regole e delle<br />
norme sociali. Attualmente, invece, trova maggiore consenso un modello<br />
esplicativo multifattoriale, nel quale la presenza di situazioni sfavorevoli<br />
esterne al singolo individuo da un lato, ed eventi di vita soggettivamente<br />
negativi o stressanti dall’altro, aumentano il rischio che una persona corre<br />
di iniziare una vita senza dimora.<br />
Si delinea, insomma, una sorta di “percorso dell’esclusione”, lungo il quale<br />
una rete di eventi critici si intreccia alle caratteristiche individuali. Questa<br />
pluralità di fattori spiega perché ci sono soggetti che, pur dinanzi a eventi<br />
traumatici, restano reattivi, tanto da elaborare diversi livelli di equilibrio<br />
esistenziale, mentre altri sviluppano passività, subalternità, fino alla<br />
irreversibilità del disturbo, secondo un iter cumulativo che si radicalizza.<br />
L’analisi di Maranesi evidenzia che, tra coloro che presentano disturbi<br />
psichiatrici, la maggior parte non ha mai ricevuto alcun tipo di trattamento,<br />
anche se quasi tutti avrebbero bisogno di assistenza medica e specialistica,<br />
oltre che di una più adeguata alimentazione e igiene personale. La soluzione<br />
migliore sarebbe un approccio attraverso l’utilizzo di unità mobili di strada,<br />
costituite da psichiatri, infermieri o operatori sociali. Bisogna pensare,<br />
insomma, a un’assistenza quotidiana fatta direttamente in strada, che metta<br />
insieme anche attività di risocializzazione e riabilitazione, al fine di stimolare<br />
autonomia e abilità personali degli homeless. «Per affrontare i loro problemi,<br />
non sono sufficienti i farmaci – conclude lo psichiatra –, nemmeno il solo<br />
ricovero ospedaliero. Servono invece colloqui e una specifica assistenza:<br />
interventi che si muovono all’interno di un modello di riabilitazione<br />
psicosociale». Perché la medicina non elimina magicamente un disagio che<br />
ha molti aspetti, e che la povertà, la solitudine e la precarietà possono<br />
sempre far risorgere. [s.c]<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .19
Celestini: «La pazzia?<br />
Ci riguarda tutti...»<br />
“La pecora nera” ora è film. Dietro ai manicomi, il disagio dell’intera società<br />
Dal teatro al cinema<br />
Ascanio Celestini è nato a Roma<br />
il 1° giugno 1972; artista versatile, è<br />
attore, regista, scrittore. Nonostante<br />
abbia ormai raggiunto il successo,<br />
continua ad esibirsi ogni anno<br />
nel piccolo Teatro Subasio di Spello,<br />
in Umbria, uno dei primi palcoscenici<br />
che lo hanno reso celebre, almeno<br />
tra i cittadini del circondario: piccolo<br />
trampolino verso le grandi ribalte.<br />
Come attore ha partecipato ai film<br />
Mio fratello è figlio unico<br />
e Questione di cuore. Fra i suoi scritti:<br />
Storie di uno scemo di guerra e<br />
Lotta di classe, entrambi Einaudi.<br />
Nel teatro ha curato, fra l'altro,<br />
la regia di Radio Clandestina. Memoria<br />
delle Fosse Ardeatine.<br />
Con La pecora nera, alla 67ª mostra<br />
del Cinema di Venezia, ha vinto<br />
il “Premio Fondazione Mimmo Rotella”<br />
(il presidente della giuria<br />
era Mimmo Calopresti)<br />
20. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
di Daniela Palumbo<br />
Se c'è una speranza, risiede nell’individuo. E le «istituzioni che segregano,<br />
deresponsabilizzano e rendono un uomo adulto un neonato», negano la speranza.<br />
La pecora nera di Ascanio Celestini, film presentato all’ultimo Festival di Venezia,<br />
parte da qui. L’artista romano narra di matti e di manicomi, per illustrare, in<br />
realtà, la mappa del disagio e dello spaesamento di chi resta indietro nella società<br />
che accoglie solo i numeri primi. Il film, che è stato per tanti anni uno spettacolo teatrale,<br />
ha portato Celestini a entrare nel mondo dei pazzi e dei secondini: lui, Ascanio,<br />
con il suo aspetto un po’ folle e un po’ ingenuo, sa guardare la realtà con la lucidità<br />
di certi artisti italiani delle migliori annate. Ma lui è un pezzo unico. Le sue ori-<br />
gini vedono luce nella periferia romana,<br />
sua madre faceva la parrucchiera a Torpignattara,<br />
dove il disagio è storico. E lui<br />
non lo ha scansato perché «non esistono<br />
luoghi brutti o belli in assoluto. Esistono<br />
gli individui».<br />
Celestini, certa letteratura descrive<br />
il folle come colui che rompe gli schemi,<br />
che è geniale. Tu, sulle tracce della<br />
“pecora nera”, hai conosciuto pazzi,<br />
infermieri e manicomi: hai incontrato<br />
questo aspetto romantico?<br />
Non credo che ci sia bellezza nella pazzia.<br />
Io nel film volevo parlare di una dimensione<br />
più sospesa e condivisibile:<br />
del disagio. E questo riguarda tutti. Il disagio<br />
lo vive il bambino alle scuole elementari<br />
quando la maestra gli vieta di<br />
andare al gabinetto prima della ricreazione<br />
e lo inchioda nel suo banco di<br />
contenzione. Il disagio lo vive il secondino<br />
che sfoga la propria violenza repressa<br />
sul prigioniero. Perfino l’SS nel<br />
lager vive un disagio. Nel manicomio, il<br />
luogo per eccellenza dove ci si occupa<br />
del disagio, più di ogni altra cosa si trova<br />
consolazione, perché l’istituzione toglie<br />
ogni responsabilità all’individuo. È<br />
una cosa terribile. Invece, rompere gli<br />
schemi implica una coscienza, un’utopia<br />
rivoluzionaria che non ha nulla a<br />
che fare con il comportamento di chi<br />
non riesce a relazionarsi con le persone,<br />
nell’ambiente in cui vive.<br />
Per realizzare La Pecora nera hai<br />
ascoltato tante testimonianze sull’umanità<br />
ricoverata in strutture psichiatriche:<br />
quali sono le paure più<br />
forti, profonde, di una persona che<br />
vive segregata?<br />
Nei manicomi si dice che “un infermiere<br />
non controlla un matto, ma due ne<br />
controllano cento”: perché all’interno<br />
delle istituzioni totali non esiste solidarietà.<br />
Non c’è in manicomio, non c’è<br />
quasi mai in carcere e nella caserma.<br />
Spesso non c’è neanche a scuola. È la<br />
solitudine, frutto di relazioni cancellate,<br />
che produce lo spaesamento più forte.<br />
Ma c’è anche la paura di perdersi. Che<br />
non riguarda solo i pazienti, ma anche<br />
gli infermieri o i secondini.<br />
Tanti homeless hanno una geografia<br />
psichica disturbata. Quanto incidono<br />
la solitudine e l’emarginazione<br />
nei disturbi psichiatrici?<br />
Non voglio dire che il disagio psichico è<br />
la conseguenza di un’emarginazione<br />
sociale, ma sicuramente questi due termini<br />
sono in relazione. Da molto tempo<br />
ci viene offerta l’immagine di una società<br />
che dà risposte a tutte le domande:<br />
dal consumo di bevande gassate al sesso,<br />
dalla prospettiva politica a Dio. Lo<br />
spaesamento nasce anche dalla presa di<br />
coscienza che possono esserci domande<br />
senza risposte, e viceversa.
Viaggio nel disagio<br />
Ascanio Celestini ha indagato<br />
il mondo dei manicomi,<br />
con una pellicola molto apprezzata<br />
al Festival del cinema di Venezia<br />
Nei manicomi si cancellava la memoria<br />
dell’individuo. La violenza che<br />
la nostra società esercita sui migranti<br />
ha a che fare con il meccanismo<br />
della rimozione? Noi siamo stati<br />
immigrati a nostra volta...<br />
Non è una questione di rimozione, la<br />
memoria può essere rovesciata in mito.<br />
Si può anche dire “quando noi italiani<br />
andavamo all’estero portavamo cibo e<br />
cultura, lavoro e fatica, mentre questi<br />
africani vengono solo per sporcare e delinquere”.<br />
La violenza nei confronti degli<br />
immigrati non è legata alla memoria<br />
o all’oblio rispetto al nostro passato, ma<br />
a un conflitto di classe. Siamo violenti<br />
nei loro confronti perché possiamo esserlo,<br />
perché abbiamo il coltello dalla<br />
parte del manico, perché siamo la classe<br />
dominante.<br />
Ti fanno più paura i matti o questo<br />
esercito di normalizzati dalla tv?<br />
Mi fa paura la mancanza di consapevolezza.<br />
Che artista è Celestini? Fa teatro civile?<br />
Fa il comico politico? Fa satira?<br />
Cosa vorresti che si scrivesse di<br />
te come artista?<br />
Non lo so. Da dieci anni passo da un<br />
mezzo all’altro. Scrivo canzoni, faccio<br />
televisione, pubblico libri, mi interesso<br />
di indagini antropologiche e giornalistiche<br />
e ora ho fatto un film. Ma anche<br />
quando faccio teatro cerco di prendere<br />
in mano lo spettacolo in tutte le sue<br />
parti, dalla musica alle luci e alla scenografia,<br />
dal testo alla recitazione. Io racconto<br />
storie e non mi preoccupo. Il<br />
mezzo che uso non è il linguaggio, ma<br />
uno stimolo per manovrarlo.<br />
Vedendo La pecora nera, fa tenerezza<br />
Nicola-Ascanio, perché guarda al<br />
mondo con un misto di lucidità e ingenuità.<br />
Ascanio è così?<br />
Non lo so. A me interessa il sommerso...<br />
Il personaggio della pecora nera è matto<br />
perché non ha speranze. Adriano<br />
Pallotta è stato infermiere per oltre<br />
trent’anni al manicomio di Roma e mi<br />
ha fatto conoscere Alberto Paolini che<br />
c’è stato chiuso per 42 anni. La prima<br />
volta che ho incontrato Alberto stavo<br />
seduto accanto ad Adriano (ora sono<br />
tutti e due nel film). Alberto raccontava<br />
e Adriano mi diceva sottovoce: «Lo<br />
vedi che fa ridere? Le barzellette sui<br />
matti so’ tutte vere!». Perché la violenza<br />
espressa dalle istituzioni è stupida, prima<br />
ancora che violenta. È la violenza<br />
del camice e della divisa, la violenza del<br />
paradosso che chiama “cura” l’elettroshock<br />
e “missione di pace” un esercito<br />
di militi armati fino ai denti. Appena<br />
riesci a tirarti fuori dal meccanismo, ne<br />
capisci l’aspetto grottesco. Se ti salvi...<br />
ti fa ridere..<br />
l’intervista<br />
Il film<br />
Nicola nel<br />
manicomio<br />
“elettrico”<br />
«Il manicomio è<br />
un condominio di santi. So’<br />
santi i poveri matti asini sotto<br />
le lenzuola cinesi, sudari di<br />
fabbricazione industriale,<br />
santa la suora che accanto alla<br />
lucetta sul comodino suo<br />
si illumina come un ex voto.<br />
E il dottore è il più santo<br />
di tutti, è il capo dei santi,<br />
è Gesucristo». Così, in<br />
La Pecora Nera, Nicola racconta<br />
i suoi 35 anni di “manicomio<br />
elettrico”, e nella sua testa<br />
scompaginata realtà e fantasia<br />
si scontrano, producendo<br />
imprevedibili illuminazioni.<br />
Nicola è nato negli anni<br />
Sessanta, “i favolosi anni<br />
Sessanta”, e il mondo che lui<br />
vede dentro l’istituto non<br />
è poi così diverso da quello<br />
che sta correndo là fuori<br />
– un mondo sempre più vorace,<br />
dove l’unica cosa che sembra<br />
non potersi consumare è<br />
la paura. Nicola è sempre stato<br />
un ragazzino diverso dagli altri.<br />
Un’infanzia trascorsa con la<br />
nonna, una mamma morta<br />
giovane e pazza e un padre e<br />
due fratelli grandi che lo hanno<br />
sempre ignorato. Il film lo<br />
“incontra” dopo 35 anni di vita<br />
nell’Istituto, “protetto” in un<br />
mondo che non gli sembra<br />
tanto diverso da quello esterno.<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .21
Viaggio nel disagio<br />
Ascanio Celestini ha indagato<br />
il mondo dei manicomi,<br />
con una pellicola molto apprezzata<br />
al Festival del cinema di Venezia<br />
Nei manicomi si cancellava la memoria<br />
dell’individuo. La violenza che<br />
la nostra società esercita sui migranti<br />
ha a che fare con il meccanismo<br />
della rimozione? Noi siamo stati<br />
immigrati a nostra volta...<br />
Non è una questione di rimozione, la<br />
memoria può essere rovesciata in mito.<br />
Si può anche dire “quando noi italiani<br />
andavamo all’estero portavamo cibo e<br />
cultura, lavoro e fatica, mentre questi<br />
africani vengono solo per sporcare e delinquere”.<br />
La violenza nei confronti degli<br />
immigrati non è legata alla memoria<br />
o all’oblio rispetto al nostro passato, ma<br />
a un conflitto di classe. Siamo violenti<br />
nei loro confronti perché possiamo esserlo,<br />
perché abbiamo il coltello dalla<br />
parte del manico, perché siamo la classe<br />
dominante.<br />
Ti fanno più paura i matti o questo<br />
esercito di normalizzati dalla tv?<br />
Mi fa paura la mancanza di consapevolezza.<br />
Che artista è Celestini? Fa teatro civile?<br />
Fa il comico politico? Fa satira?<br />
Cosa vorresti che si scrivesse di<br />
te come artista?<br />
Non lo so. Da dieci anni passo da un<br />
mezzo all’altro. Scrivo canzoni, faccio<br />
televisione, pubblico libri, mi interesso<br />
di indagini antropologiche e giornalistiche<br />
e ora ho fatto un film. Ma anche<br />
quando faccio teatro cerco di prendere<br />
in mano lo spettacolo in tutte le sue<br />
parti, dalla musica alle luci e alla scenografia,<br />
dal testo alla recitazione. Io racconto<br />
storie e non mi preoccupo. Il<br />
mezzo che uso non è il linguaggio, ma<br />
uno stimolo per manovrarlo.<br />
Vedendo La pecora nera, fa tenerezza<br />
Nicola-Ascanio, perché guarda al<br />
mondo con un misto di lucidità e ingenuità.<br />
Ascanio è così?<br />
Non lo so. A me interessa il sommerso...<br />
Il personaggio della pecora nera è matto<br />
perché non ha speranze. Adriano<br />
Pallotta è stato infermiere per oltre<br />
trent’anni al manicomio di Roma e mi<br />
ha fatto conoscere Alberto Paolini che<br />
c’è stato chiuso per 42 anni. La prima<br />
volta che ho incontrato Alberto stavo<br />
seduto accanto ad Adriano (ora sono<br />
tutti e due nel film). Alberto raccontava<br />
e Adriano mi diceva sottovoce: «Lo<br />
vedi che fa ridere? Le barzellette sui<br />
matti so’ tutte vere!». Perché la violenza<br />
espressa dalle istituzioni è stupida, prima<br />
ancora che violenta. È la violenza<br />
del camice e della divisa, la violenza del<br />
paradosso che chiama “cura” l’elettroshock<br />
e “missione di pace” un esercito<br />
di militi armati fino ai denti. Appena<br />
riesci a tirarti fuori dal meccanismo, ne<br />
capisci l’aspetto grottesco. Se ti salvi...<br />
ti fa ridere..<br />
l’intervista<br />
Il film<br />
Nicola nel<br />
manicomio<br />
“elettrico”<br />
«Il manicomio è<br />
un condominio di santi. So’<br />
santi i poveri matti asini sotto<br />
le lenzuola cinesi, sudari di<br />
fabbricazione industriale,<br />
santa la suora che accanto alla<br />
lucetta sul comodino suo<br />
si illumina come un ex voto.<br />
E il dottore è il più santo<br />
di tutti, è il capo dei santi,<br />
è Gesucristo». Così, in<br />
La Pecora Nera, Nicola racconta<br />
i suoi 35 anni di “manicomio<br />
elettrico”, e nella sua testa<br />
scompaginata realtà e fantasia<br />
si scontrano, producendo<br />
imprevedibili illuminazioni.<br />
Nicola è nato negli anni<br />
Sessanta, “i favolosi anni<br />
Sessanta”, e il mondo che lui<br />
vede dentro l’istituto non<br />
è poi così diverso da quello<br />
che sta correndo là fuori<br />
– un mondo sempre più vorace,<br />
dove l’unica cosa che sembra<br />
non potersi consumare è<br />
la paura. Nicola è sempre stato<br />
un ragazzino diverso dagli altri.<br />
Un’infanzia trascorsa con la<br />
nonna, una mamma morta<br />
giovane e pazza e un padre e<br />
due fratelli grandi che lo hanno<br />
sempre ignorato. Il film lo<br />
“incontra” dopo 35 anni di vita<br />
nell’Istituto, “protetto” in un<br />
mondo che non gli sembra<br />
tanto diverso da quello esterno.<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .21
la ricerca<br />
Pubblicato il decimo “Rapporto sulle povertà” <strong>Caritas</strong>-Zancan<br />
In caduta libera,<br />
l’Italia che non regge<br />
di Walter Nanni<br />
A due anni dall’inizio della crisi finanziaria, al di là di quanto attestano<br />
le rilevazioni statistiche ufficiali, l’Italia sembra non reggere più. Perché la povertà,<br />
nel nostro paese, era un fenomeno ramificato già prima che l’economia<br />
planetaria (e nazionale) vacillasse, anche a causa dell’assenza di incisive e organiche<br />
politiche di contrasto. Ma adesso, a due anni dall’inizio della crisi finanziaria<br />
e della recessione economica, lo scenario si inasprisce, al di là di quanto attestano<br />
le rilevazioni statistiche ufficiali. Lo rivela il decimo Rapporto sulle povertà<br />
e l’esclusione sociale realizzato da <strong>Caritas</strong> Italiana e Fondazione Zancan che reca,<br />
non a caso, un titolo per nulla consolatorio In caduta libera.<br />
Stiamo davvero precipitando in basso? Su quali reti di protezione possiamo<br />
contare? Nel biennio 2009-<strong>2010</strong>, secondo<br />
il Rapporto, mediamente nel<br />
paese sono aumentate del 25% le persone<br />
che si sono rivolte a <strong>Caritas</strong> per<br />
chiedere aiuto. I centri di ascolto continuano<br />
a essere frequentati soprattutto<br />
da stranieri (68,9% degli utenti), ma<br />
è cresciuta del 40% la presenza di italiani,<br />
così come quella di nuovi utenti<br />
(+30%), che si affiancano al ritorno in<br />
<strong>Caritas</strong> (talvolta anche dopo 5-6 anni<br />
dall’ultima visita al centro di ascolto) di<br />
“vecchie conoscenze”.<br />
Tanti i non assistibili dai servizi<br />
L’esame dei dati relativi ai bisogni degli<br />
utenti conferma l’esistenza di forti<br />
problemi di povertà economica<br />
(65,9%), occupazione (62%) e, in minor<br />
misura, alloggio (23,6%), sia tra gli italiani<br />
che tra gli stranieri. Appaiono in<br />
aumento gli utenti seguiti in modo<br />
esclusivo dalla <strong>Caritas</strong> o da altri soggetti<br />
ecclesiali: molti nuovi poveri non<br />
sono “assistibili” economicamente dai<br />
servizi sociali, perché nonostante abbiano<br />
un tenore di vita molto basso,<br />
percepiscono un reddito “di partenza”<br />
(tra cui la pensione), oppure dispongono<br />
della casa di proprietà. Gli operatori<br />
<strong>Caritas</strong> evidenziano in sintesi scarsa<br />
tempestività degli enti locali nell’affrontare<br />
le nuove povertà, unita a man-<br />
canza di competenze riguardo alla gestione<br />
dei fenomeni di indebitamento.<br />
La povertà, inoltre, diventa sempre<br />
più un fenomeno sfuggente che obbedisce<br />
a regole difficilmente generalizzabili,<br />
secondo il Rapporto. Le carriere<br />
di povertà sono sempre più veloci,<br />
complesse, multidimensionali, con<br />
frequenti uscite e “ritorni” in una situazione<br />
di disagio sociale. E anche se<br />
non si rimane a lungo in condizione di<br />
fatica economica, il persistere del “fiatone”<br />
finanziario e il progressivo esaurimento<br />
delle risorse determina situazioni<br />
di disagio psicologico e conflittualità<br />
intrafamiliare. Infatti le storie<br />
incontrate dagli operatori <strong>Caritas</strong> sono<br />
sempre meno legate a individui soli<br />
e sempre più caratterizzate da un<br />
coinvolgimento dell’intero nucleo familiare.<br />
Particolarmente vulnerabili<br />
sono le persone appartenenti alla fascia<br />
di età di mezzo: separati e divorziati,<br />
donne sole con prole, occupati<br />
con instabilità lavorativa persistente,<br />
licenziati e cassintegrati, famiglie monoreddito,<br />
donne con difficoltà a rientrare<br />
nel mercato del lavoro dopo la<br />
maternità, ecc.<br />
Vi sono però situazioni di povertà<br />
legate a livelli di spesa eccessivi, non<br />
corrispondenti all’entità del reddito fa-<br />
Assalto ai centri di ascolto<br />
Il decimo Rapporto sulla povertà<br />
<strong>Caritas</strong>-Zancan racconta un paese<br />
che ricorre sempre più spesso<br />
ai centri d’ascolto: non sono<br />
solo stranieri, molti vi arrivano<br />
per problemi dell’intero nucleo famigliare.<br />
Sono gli effetti della crisi.<br />
A cui rispondono 635 progetti<br />
delle <strong>Caritas</strong> diocesane<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .23
In caduta libera<br />
miliare: a determinare questo fenomeno<br />
contribuiscono il gioco d’azzardo e<br />
comportamenti di cattiva gestione del<br />
reddito.<br />
Sono 635 i progetti attivati<br />
Di fronte all’impoverimento del Paese<br />
i vescovi italiani hanno espresso<br />
preoccupazione e vicinanza alle famiglie.<br />
La Chiesa italiana non si è limitata,<br />
tuttavia, a compiere gesti simbolici.<br />
Secondo un monitoraggio effettuato<br />
a giugno <strong>2010</strong> da <strong>Caritas</strong> Italiana,<br />
ben 196 <strong>Caritas</strong> diocesane (su un totale<br />
di 220) hanno attivato iniziative anti-crisi,<br />
in totale ben 635. E <strong>Caritas</strong> Italiana<br />
ha accompagnato le <strong>Caritas</strong> dio-<br />
New entry della povertà<br />
«La politica batta un colpo»<br />
Anche a Milano, ai centri d’ascolto <strong>Caritas</strong>, più italiani, più uomini e più “ceto medio”<br />
di Francesco Chiavarini<br />
Crescono le persone in difficoltà che si rivolgo ai centri di ascolto, anche<br />
a Milano. Diminuiscono gli stranieri senza permesso di soggiorno che chiedono<br />
aiuto a <strong>Caritas</strong> Ambrosiana, mentre aumentano gli italiani e gli uomini.<br />
Diventano più frequenti le richieste di sussidi economici e di generi alimentari.<br />
Il Nono rapporto sulle povertà nella diocesi di Milano, curato dall’Osservatorio<br />
diocesano delle povertà e delle risorse e presentato a fine settembre, conferma<br />
il generale impoverimento delle fasce più deboli della popolazione ma, soprattutto,<br />
l’allargamento del grave disagio ben oltre le categoria sociale dei vulnerabili<br />
cronici. Nel corso del 2009, secondo il Rapporto, si sono presentate, nei 56<br />
centri di ascolto scelti come campione, 17.283 persone: il 9% in più rispetto al<br />
2008, tanto che il numero degli utenti è tornato a valori che non si registravano<br />
da cinque anni.<br />
Chi ha determinato questo aumento?<br />
Senza dubbio non gli immigrati<br />
clandestini. I quali, secondo il rapporto,<br />
agli sportelli <strong>Caritas</strong> sono diminuiti<br />
del 3,7%. Forse perché spaventati dalla<br />
prospettiva di incorrere in denunce,<br />
tanto da non trovare il coraggio nemmeno<br />
di chiedere aiuto.<br />
Gli italiani in costante crescita<br />
I nuovi vulnerabili, invece, hanno sempre<br />
più spesso nomi e cognomi italiani.<br />
Infatti – benché gli stranieri rappresentino<br />
ancora la grande maggioranza degli<br />
utenti (il 73,7%) –, nel 2009 a chie-<br />
24. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
cesane e le Delegazioni regionali <strong>Caritas</strong><br />
alla presentazione di numerosi<br />
progetti di contrasto della povertà:<br />
195, formulati da 114 <strong>Caritas</strong> diocesane,<br />
relativi a vari ambiti di bisogno, per<br />
realizzare i quali sono stati richiesti oltre<br />
11,3 milioni di euro alla Cei (mentre<br />
la partecipazione economica diretta<br />
delle diocesi supera la cifra di 9,5<br />
milioni di euro).<br />
Destinatari di tutti questi sforzi sono<br />
famiglie in difficoltà, minori, immigrati,<br />
detenuti ed ex detenuti, anziani,<br />
vittime di violenza e tratta, malati terminali,<br />
persone senza dimora e richiedenti<br />
asilo. Specifiche attenzioni sono<br />
anche riservate al tema delle dipen-<br />
denze (da sostanze, farmaci, ecc.) e ai<br />
problemi di occupazione, usura, indebitamento<br />
e abitativi.<br />
Questi sforzi, tuttavia, non sono<br />
sufficienti, se non vengono inquadrati<br />
all’interno di politiche economiche e<br />
di welfare più generali. Su questo fronte<br />
il giudizio è critico. Secondo il Rapporto,<br />
tra le misure di contrasto delle<br />
situazioni di povertà, introdotte dal governo<br />
italiano nel biennio 2007-2008,<br />
l’abolizione dell’Ici per la prima casa è<br />
stata la misura maggiormente efficace,<br />
su questo versante. Assolutamente<br />
bocciata invece la social card: il 94,9%<br />
degli operatori intervistati la ritiene<br />
“poco” o “per niente utile”. .<br />
dere aiuto alla <strong>Caritas</strong> sono venuti in<br />
numero crescente gli italiani: rispetto<br />
al 2008 i nostri concittadini sono aumentatati<br />
del 15,7%. «Fenomeno –<br />
spiegano gli autori del Rapporto – alla<br />
cui radice si trova certamente l’acuirsi<br />
e il protrasi della crisi economica che<br />
sta colpendo il nostro paese».<br />
Inoltre, in un contesto in cui la domanda<br />
di aiuto è sempre stata espressa<br />
in prevalenza dalle donne, è significativo<br />
che, nonostante siano ancora<br />
loro, le donne, a rappresentare la maggioranza<br />
degli utenti (il 64,8%), sono<br />
stati gli uomini ad aumentare, passando<br />
dal 31% nel 2008 al 35% nel 2009.<br />
Insomma, un incremento del 4% che<br />
riguarda un’altra categoria “inusuale”<br />
tra gli assistiti della <strong>Caritas</strong>. Non a caso<br />
– fanno osservare i ricercatori – sono gli<br />
uomini i più colpiti da problemi di occupazione<br />
(+5,5%) e di reddito (+4,7%).<br />
Ma che cosa hanno chiesto le persone<br />
ai centri d’ascolto? L’analisi dei bisogni<br />
e delle richieste realizzata dal<br />
Rapporto conferma un generale peggioramento<br />
delle condizioni di vita
materiale delle persone. Si confermano<br />
in aumento le persone che richiedono<br />
generi alimentari, passate dal<br />
28,8% del 2008 al 30,2%: in valori assoluti,<br />
circa 700 persone in più. Se si passa<br />
poi ad analizzare il numero di persone<br />
che hanno richiesto sussidi economici,<br />
l’aumento è ancora più vistoso:<br />
il 4%, pari a circa un migliaio di<br />
individui.<br />
Un identikit più preciso dei “vulnerabili”<br />
emerge dall’approfondimento<br />
condotto dai ricercatori del consorzio<br />
Aaster del sociologo Aldo Bonomi, che<br />
ha riguardato 3.237 persone selezionate<br />
come campione di coloro che si sono<br />
rivolti ai distretti del Fondo Famiglia<br />
Lavoro, il fondo di solidarietà voluto<br />
dall’arcivescovo di Milano per chi, a<br />
causa della crisi, perde il lavoro.<br />
Una mappa ridisegnata<br />
I due terzi dei beneficiari del Fondo risultano<br />
dunque essere operai generici<br />
nel ciclo dell’industria, della subfornitura<br />
e dell’edilizia; seguono i lavoratori<br />
non qualificati nei servizi e un 15%<br />
di persone con lavori dequalificati, sal-<br />
« La crisi<br />
ha lasciato<br />
il segno:<br />
in aumento<br />
le persone<br />
che richiedono<br />
pacchi viveri<br />
e sussidi<br />
economici»<br />
modeste, ma che avevano sempre goduto<br />
di una certa stabilità, in soggetti<br />
vulnerabili e sospinto i poveri cronici<br />
sulle soglie della miseria – osserva il direttore<br />
di <strong>Caritas</strong> Ambrosiana, don Roberto<br />
Davanzo –. Gli utenti tradizionali<br />
dei nostri centri di ascolto, in genere<br />
donne straniere, che prima ci chiedevano<br />
aiuto per cercare casa e un lavoro,<br />
ci domandano ora aiuti economici e<br />
alimentari, come se avessero rinunciato<br />
al sogno di integrarsi e badassero ormai<br />
alla sopravvivenza; mentre un’intera<br />
categoria, quella degli stranieri irregolari,<br />
è talmente intimorita che sta<br />
tuari o irregolari. Solo il 5% ha un pro- rinunciando persino a venire da noi.<br />
filo professionale medio-alto (inse- Poi ci sono le new entry, mi si passi l’egnanti,<br />
professionisti o dirigenti). Se spressione: sono in genere italiani, uo-<br />
però si scorpora quest’ultimo dato in mini, che hanno perso il lavoro. Perso-<br />
base alla cittadinanza, la percentuale ne che non si sarebbero mai sognate di<br />
tra gli italiani sale all’11,5%: la crisi, in- bussare alle porte della parrocchia e<br />
somma, si è estesa anche alle fasce di che ora, spinti dalla necessità, vengo-<br />
popolazione che fino a ieri sembravano allo scoperto. Di fronte a questo stano<br />
essere al sicuro e che oggi hanno to di cose, non è possibile pensare che<br />
trovato il “coraggio della miseria”, ri- la risposta possa venire unicamente<br />
volgendosi al Fondo.<br />
dalla <strong>Caritas</strong>, dall’Arcivescovo, dal<br />
«La crisi ha ridisegnato la mappa mondo del volontariato. La politica de-<br />
23-06-<strong>2010</strong> 9:33 Pagina 1<br />
della povertà. Ha trasformato famiglie ve battere un colpo». .<br />
Stannah.<br />
Ti ascolta,<br />
ti risponde.<br />
COME POSSO SAPERE SE<br />
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la ricerca<br />
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CI SONO INCENTIVI E<br />
AGEVOLAZIONI FISCALI?<br />
Scegli il leader mondiale.
Ottimomassimo,<br />
i libri hanno le ruote<br />
Libreria itinerante, idea geniale: non aspetta i piccoli lettori, ma va loro incontro<br />
di Daniela Palumbo<br />
Ottimo Massimo è il cane di Cosimo, il ragazzino del Barone Rampante<br />
di Calvino, che decide di andare a vivere sugli alberi per ribellione nei confronti<br />
delle imposizioni dei genitori. Un giorno Cosimo trova il cane in giro da solo nel<br />
bosco e decide di adottarlo. Ottimo Massimo è un bassotto furbo e sveglio che diventa,<br />
in poco tempo, un grande amico per Cosimo.<br />
Tiziana, Deborah e Daniele hanno amato quel libro e il tenero e svelto bassotto.<br />
Poi, quando hanno deciso di fondare la prima libreria itinerante in Italia, è stata<br />
Deborah a ricordarsi di quel piccolo genietto simpatico. Così è nata l’idea di adottarlo,<br />
anche loro, come testimone della loro avventura: portare i libri in tutti i luoghi<br />
per animare la lettura e rendere feconda la fantasia dei bambini. «Abbiamo vi-<br />
sto nascere la prima libreria per ragazzi<br />
di Roma – racconta Daniele –, ci abbiamo<br />
lavorato per sei anni. Poi, dopo un<br />
cambio di gestione, abbiamo deciso<br />
che era arrivato il momento di provare a<br />
fare qualcosa di nostro. Durante un pomeriggio<br />
di pioggia ci siamo confrontati<br />
su quello che ci sarebbe piaciuto fare<br />
e ci siamo accorti, incredibilmente, di<br />
avere tutti e tre lo stesso sogno: creare e<br />
gestire una libreria itinerante. Ci piaceva<br />
più di tutto l’idea di suscitare il pia-<br />
26. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
cere della lettura in chi ancora non sapeva<br />
di essere lettore. Quel pomeriggio<br />
nessuno di noi immaginava che un<br />
giorno questo pazzo sogno sarebbe diventato<br />
realtà».<br />
Invece è andata proprio così. Oggi il<br />
“librobus” porta con sé più di quattromila<br />
libri, selezionati tra le case editrici<br />
di qualità. “Ottimomassimo” ha incontrato<br />
in oltre tre anni migliaia di bambini,<br />
in più di 150 scuole italiane.<br />
Disabituati al piacere di leggere<br />
Tiziana Mortellaro, 38 anni, Deborah<br />
Soria, 39, e Daniele Tabanella, 34, gestiscono<br />
il progetto “Ottimomassimo” e<br />
vanno ovunque: nei luoghi dove i libri<br />
risiedono già nell’immaginario dei<br />
bambini e in quei posti dove le favole<br />
non fanno parte del destino di un individuo.<br />
Sono affabulatori migranti che<br />
viaggiano per biblioteche, piccoli comuni,<br />
piazze, scuole e pure stabilimenti<br />
balneari, durante il periodo di chiusura<br />
delle scuole.<br />
«I bambini – racconta Tiziana – non<br />
si stanno disabituando alla lettura, bensì<br />
al piacere della lettura. Leggere a volte<br />
diventa un dovere scolastico, i libri<br />
spesso non li scelgono neppure i bambini,<br />
ma le maestre. Invece è importante<br />
che il bambino affini i suoi gusti, soprattutto<br />
quando comincia ad avere 7-<br />
8 anni. Le nostre attività mirano a renderlo<br />
un lettore consapevole, che non<br />
solo abbia il piacere di leggere, ma che<br />
sappia essere critico, e possa scegliere.<br />
Per i più piccoli la voce narrante è magica,<br />
la favola diventa un libro parlante.<br />
È evocativa. Ma attenzione, se la voce<br />
che legge è svogliata i bambini sentono<br />
che non c’è partecipazione, e ti tagliano<br />
fuori. Perdono interesse. E, quel che è<br />
peggio, perdono la magia della lettura».<br />
Tanti progetti on the road<br />
Durante l’inverno, Ottimomassimo lavora<br />
per lo più con i bambini nelle scuole,<br />
dall’infanzia alla secondaria. Le loro<br />
proposte sono diversificate: si va dalla<br />
“Lettura animata” per i più piccoli (con<br />
parole, immagini, suoni e musiche per<br />
entrare nelle storie con tutti i sensi) alle<br />
“Letture ad alta voce” per i bambini della<br />
scuola dell’infanzia (con laboratori di
A leggere si impara in piazza<br />
Il “librobus” di “Ottimomassimo”<br />
incontra alcuni ragazzi.<br />
Nella pagina a fianco,<br />
Tiziana Mortellaro, una<br />
delle animatrici del progetto<br />
L’indagine<br />
Popolo di allergici ai testi,<br />
gli italiani non leggono molto<br />
GLI ITALIANI E LA LETTURA. L’indagine dell’Istat “Aspetti della vita<br />
quotidiana” rileva annualmente informazioni sulla lettura di libri nel tempo<br />
libero. La ricerca è stata effettuata su un campione che comprende<br />
19 mila famiglie italiane, per un totale di 48 mila persone, ed è stata<br />
effettuata nel 2009.<br />
IL PROFILO DEL LETTORE ITALIANO. Secondo i risultati della ricerca,<br />
il 45,1% della popolazione italiana di 6 anni e più (oltre 25 milioni 300 mila<br />
persone) ha letto almeno un libro nell’ultimo anno. La quota più alta di lettori<br />
si riscontra tra le persone di 11-17 anni (oltre il 58%), con un picco tra gli 11<br />
e i 14 anni (64,7%), e decresce all’aumentare dell’età. Già a partire dai 35<br />
anni la quota di lettori scende ben al di sotto del 50% del totale, per<br />
diminuire drasticamente dai 65 anni in poi e raggiungere il valore più basso<br />
tra la popolazione di 75 anni e più (22,8%).<br />
LE DONNE LEGGONO PIÙ DEGLI UOMINI. Tra le donne, il 51,6% sono lettrici;<br />
tra gli uomini, solo il 38,2% sono lettori. Le differenze di genere sono presenti<br />
in tutte le fasce di età e risultano molto forti tra i 20 e i 24 anni, dove la<br />
quota di lettrici supera il 66%, mentre quella dei lettori si attesta al 39,2%.<br />
IL DIVARIO TRA NORD E SUD. Al Nord quasi il 52% della popolazione<br />
di 6 anni e più ha letto almeno un libro nei dodici mesi precedenti<br />
l’intervista, al centro il 48%. Nel Sud e nelle isole, invece, la quota di lettori<br />
scende rispettivamente al 34,2% e al 35,4%.<br />
il progetto<br />
tecniche artistiche legati alle illustrazioni<br />
dei libri). La loro attività più conosciuta<br />
è “Ottimi Lettori”: i librai itineranti<br />
passano una giornata intera nel<br />
cortile della scuola e due narratori accompagnano<br />
i ragazzi nel mondo dei libri<br />
antichi e moderni. Nel ventaglio delle<br />
offerte c’è anche “Un autore tutto per<br />
noi”: dopo aver dato tempo ai ragazzi di<br />
leggere i suoi libri, l’autore è invitato in<br />
classe per incontrarli. Infine, “Io sono<br />
un libraio”: un libraio “vero” spiega ai<br />
ragazzi come proporre un titolo, come<br />
scegliere il libro giusto per la persona<br />
giusta, come funziona il mondo dell’editoria;<br />
segue una mostra-mercato organizzata<br />
dagli alunni, il cui ricavato arricchirà<br />
la biblioteca di classe.<br />
Naturalmente poi si può invitare Ottimomassimo<br />
anche alla festa della<br />
scuola, nella piazza del municipio, fuori<br />
dal teatro, nei giardinetti, in spiaggia,<br />
al mercatino... Ovunque la quattro ruote<br />
carica di titoli possa arrivare! .<br />
Ottimomassimo è anche su Facebook<br />
(cercando “bassotto Ottimomassimo”)<br />
www.ottimomassimo.it.<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .27
28.<br />
Quei piedi sporchi<br />
che fecero scandalo<br />
La Madonna dei pellegrini, capolavoro di Caravaggio: l’uomo fragile di fronte al divino<br />
di Luca Frigerio<br />
«Fece una Madonna di Loreto ritratta dal naturale con due pellegrini,<br />
uno co’ piedi fangosi, e l’altra con una cuffia sdrucita e sudicia: e per queste leggierezze<br />
da popolani ne fu fatto estremo schiamazzo». Schiamazzo, cioè baccano,<br />
chiasso, strepito, gridìo. Ed estremo, per di più. A dare retta a Giovanni Baglione,<br />
naturalmente. Che amico del Caravaggio proprio non lo si poteva dire... Eppure<br />
nella tela di Michelangelo Merisi tutto è silenzio, contemplazione, estasi, benedizione.<br />
Un uomo e una donna s’inginocchiano davanti a Maria e al Bambin Gesù,<br />
che si mostrano loro sulla soglia di una casa. I due pellegrini sembrano stanchi,<br />
provati dalla vita, forse, più che dal cammino che li ha condotti fino a quello straordinario<br />
incontro: i loro abiti sono dimessi, sporchi di terra e di sudore; i piedi gon-<br />
fi, callosi e incrostati di fango. Ma sui loro<br />
volti, davanti a quella mirabile visione,<br />
si disegna un sorriso, una gioia trattenuta,<br />
eppure incontenibile.<br />
Il marchese Ermete Cavalletti, di origine<br />
bolognese, morì il 21 luglio 1602.<br />
Due giorni prima aveva dettato il suo testamento:<br />
voleva essere sepolto nella<br />
chiesa di Sant’Agostino, a Roma, e per<br />
<strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
questo imponeva agli eredi di acquistare<br />
la prima cappella a sinistra, ornandola<br />
come si conviene e ponendo sull’altare<br />
un dipinto dedicato alla “Beatissima<br />
Maria di Loreto”, che avrebbe<br />
quindi vegliato in perpetuo sulla sua<br />
tomba. L’incarico venne affidato a Caravaggio,<br />
forse per espresso desiderio<br />
del committente. Certa, invece, è la devozione<br />
che il nobiluomo nutriva verso<br />
la Santa Casa di Loreto, essendovisi recato<br />
in pellegrinaggio anche pochi mesi<br />
prima della sua scomparsa. Al punto<br />
che, sembra lecito immaginarlo, Michelangelo<br />
Merisi non abbia rappresentato<br />
in questo suo dipinto due generici,<br />
anonimi pellegrini, ma proprio le<br />
fattezze del marchese e di sua madre,<br />
defunta in precedenza.<br />
Nel quadro, infatti, siamo al crepuscolo,<br />
alla fine di una lunga e intensa<br />
giornata, e sono gli ultimi raggi di un sole<br />
al tramonto a illuminare la scena, o<br />
forse già la luce tremula di qualche lanterna.<br />
La fine del giorno, il tramonto di<br />
una vita. È come se questa coppia, al<br />
termine del suo pellegrinaggio terreno,<br />
“Caravaggio, la luce e le tenebre”, inquietudini di un maestro<br />
che cercò i bagliori dell’eterno nelle ombre del quotidiano<br />
Caravaggio è oggi il pittore più conosciuto<br />
e, forse, più apprezzato dal grande pubblico.<br />
Anche chi non è particolarmente<br />
appassionato alle cose d’arte, infatti, sa<br />
senza incertezze riconoscere diversi suoi<br />
dipinti, associandoli, magari anche solo<br />
genericamente, a un certo clima culturale<br />
e a un determinato personaggio.<br />
Personaggio che, del resto, si autoalimenta<br />
del suo stesso mito, fatto di un’aura di<br />
maledettismo, di elementi apparentemente<br />
ambigui, di circostanze poco chiare (se non<br />
misteriose), di un’inquietudine che traspare, ora<br />
sotterranea, ora violenta, in ognuna delle sue opere.<br />
Ma perchè Caravaggio ha dipinto quel che ha dipinto<br />
proprio in quel modo? Che cosa “nascondono” i suoi<br />
dipinti? Perchè alcuni di essi suscitarono tanto clamore e<br />
vennero rifiutati? A queste e ad altre domande cerca di<br />
dare una risposta il nuovo libro di Luca Frigerio,<br />
Caravaggio. La luce e le tenebre, pubblicato<br />
da Ancora (288 pagine, illustrato, 29 euro)<br />
in occasione del quarto centenario della<br />
morte del grande pittore lombardo (nella<br />
foto, la copertina).<br />
Un viaggio in undici tappe, attraverso<br />
altrettanti capolavori a soggetto sacro<br />
(dalla Vocazione di Matteo alla<br />
Deposizione di Cristo, dall’Incredulità<br />
di Tommaso alla Morte della Vergine)<br />
nella vita e nell’opera di un maestro<br />
straordinario, che ha voluto cercare<br />
nell’ombra del quotidiano i bagliori dell’eternità.<br />
«Un testo magistrale – scrive lo storico dell’arte Timothy<br />
Verdon, nella prefazione –. Concreto ed esatto, ben<br />
documentato, ma anche con un senso drammatico, un<br />
linguaggio mediatico, un fiuto per curiose affinità e<br />
significative incongruenze. Uno stile che sarebbe piaciuto<br />
allo stesso Caravaggio».
Capolavoro che destò “schiamazzo”<br />
“La Madonna dei Pellegrini” (1604-1606) si trova nella chiesa di Sant’Agostino, a Roma<br />
prima di varcare l’oscura soglia dell’Aldilà,<br />
umilmente, devotamente, volesse<br />
affidarsi alla Vergine e a suo Figlio.<br />
Ancora una volta, così, Caravaggio<br />
compie in questo dipinto una sintesi<br />
mirabile fra simbolo e realtà, tra sensibilità<br />
fisica e sentimento spirituale. Reali<br />
sono le rughe sul volto della donna<br />
anziana. Reale è la sozzura che macchia<br />
le gambe dell’uomo. Dipinte dal vero<br />
sono quelle braghe spiegazzate, quella<br />
cuffia sdrucita. Autentiche sono le<br />
sbrecciature sulla pietra dello stipite, le<br />
cadute d’intonaco sulla parete della casa.<br />
E reale, concreto, autentico appare<br />
dunque anche il miracolo che si compie<br />
sotto gli occhi dei due pellegrini, che<br />
prodigiosamente vedono materializzarsi<br />
l’oggetto stesso della loro devozione:<br />
la statua della Vergine e del Bambino,<br />
inquadrata nella porta come a ricordare<br />
la nicchia in cui era posta, prende<br />
vita, rivestendosi di carne e di<br />
candida pelle.<br />
Benvenuti i poveri e i viandanti<br />
L’uomo e la donna hanno l’aria di chi ha<br />
percorso un lungo cammino. E ora,<br />
giunti alla meta, sono in ginocchio, adoranti.<br />
Ma proprio quello stare in piedi<br />
il libro<br />
della Madonna davanti a loro, quel suo<br />
presentarsi all’ingresso della Santa Casa<br />
è motivo, per chi guarda, di speranza e<br />
sollievo. Perchè Maria va incontro ai<br />
suoi figli, li accoglie, china il capo verso<br />
di loro. Perfino quell’incrociarsi delle<br />
sue gambe, che dà slancio e leggerezza<br />
alla sua figura, quasi fosse appena “atterrata”<br />
da quel miracoloso volo che ha<br />
portato la sua dimora da Nazareth alla<br />
costa adriatica, sembra una sorta di elegante<br />
riverenza che la Vergine accenna<br />
in onore di questi viandanti, ospiti che<br />
proprio per la loro umiltà e povertà, sono<br />
i più graditi alla casa di Dio.<br />
Maria è sulla porta di quel sacro edificio.<br />
Anzi, è come se fosse la porta stessa:<br />
lei che, come ricordano le litanie, è<br />
chiamata Janua Coeli, Porta del Cielo,<br />
perchè con la sua accettazione totale e<br />
incondizionata, ha permesso a Dio di<br />
accedere alla vita terrena, facendosi uomo.<br />
Porta attraverso la quale il divino è<br />
entrato nell’umano, ma anche porta per<br />
mezzo della quale l’umano si apre al divino:<br />
un concetto caro ai Padri della<br />
Chiesa. Ma se la Vergine è la Porta del<br />
Cielo, tanto più lo è suo Figlio. Cristo<br />
stesso, infatti, dice di sè: «Io sono la porta:<br />
se uno entra attraverso di me, sarà<br />
salvo» (Giovanni, 9, 10).<br />
Caravaggio fa sembrare semplici le<br />
soluzioni più studiate e complesse. È<br />
talmente naturale, infatti, talmente armonioso<br />
il distendersi di questa composizione<br />
dall’alto al basso, dal sotto al<br />
sopra, che quasi ci sfugge la sua costruzione,<br />
come se fosse cosa scontata. Tutto<br />
si gioca, invece, su quella diagonale<br />
che, partendo dalla testolina del Bambino,<br />
in alto a sinistra, scende attraverso<br />
le sue membra per raggiungere le<br />
mani e il volto dell’uomo, ne attraversa<br />
il corpo fino all’alluce del piede che si<br />
trova nell’angolo opposto, in basso a<br />
destra. E lo stesso, come un’eco, si ripete<br />
lì accanto, in quello sguardo fra donne,<br />
i cui volti sono i più illuminati della<br />
scena. La coppia divina e la coppia<br />
umana. La Madre e il Figlio ad accogliere<br />
nella vita eterna un figlio e una madre<br />
che hanno concluso la loro esistenza<br />
terrena. La nuova Eva e il nuovo Adamo<br />
pronti a riammettere, a far entrare<br />
l’umanità in quell’Eden da cui i nostri<br />
progenitori erano stati cacciati. .<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .29
Il colosso<br />
cambia pelle<br />
30. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
milano<br />
Novità per il dormitorio di viale Ortles, tra i più grandi d’Europa:<br />
il comune intende farne un luogo di promozione sociale<br />
Milano<br />
Clamorosa dietromarcia,<br />
niente case ai rom.<br />
E intanto Romina...<br />
<strong>Torino</strong><br />
Nuovo registro<br />
dei senza dimora:<br />
così davvero non va...<br />
Genova<br />
Un “Mondo in Pace”?<br />
Proposta dalla fiera,<br />
affidiamoci alla Bellezza<br />
Vicenza<br />
Serata “Al Barco”:<br />
stili di vita alternativi,<br />
si beve con la testa<br />
Rimini<br />
Gli stranieri rubano<br />
le case popolari?<br />
I dati dicono di no<br />
Firenze<br />
Le mie giornate<br />
a Casa Elios,<br />
si barcolla e ci si rialza<br />
Napoli<br />
L’Oasi multifunzionale:<br />
un progetto di speranza<br />
nel quartiere “difficile”<br />
Catania<br />
Disabili sul palcoscenico:<br />
«Attori per sempre,<br />
la diversità è ricchezza»<br />
Palermo<br />
“3P”, martire del Vangelo<br />
che sottraeva<br />
i giovani alla mafia<br />
di Ettore Sutti<br />
Non più solo un dormitorio. O un luogo dove rimanere in attesa di trovare<br />
qualcosa di meglio. L’annuncio è arrivato a fine estate dall’assessore alle politiche<br />
sociali del comune di Milano, Mariolina Moioli: a fine anno il dormitorio (anzi,<br />
la casa di accoglienza) di viale Ortles, una volta conclusi tutti i lavori di ristrutturazione,<br />
ripartirà con una veste, e soprattutto con obiettivi nuovi. Un annuncio importante,<br />
se si pensa che la colossale struttura (una delle più capienti d’Europa, con<br />
i suoi sette padiglioni e gli oltre 400 posti letto) ospita dalle 2.000 alle 2.500 persone<br />
all’anno. Un piccolo paese.<br />
C’è chi vive lì solo per qualche giorno. Altri da una vita. Dormirci costa un euro<br />
e mezzo a notte. Stesso prezzo per la cena. Ci sono due giardini. Mensa e bibliote-<br />
ca. Sale soggiorno e tv, uffici. Corridoi<br />
verdi e camere, in maggioranza, da due<br />
persone. La permanenza massima consentita<br />
è di sei mesi. Tra gli ospiti, c’è chi<br />
un lavoro ce l’ha, eppure non trova<br />
un’alternativa abitativa decente, fuori.<br />
Perchè non ci riesce – come tanti extracomunitari<br />
–, o perchè pensa di non farcela<br />
a starsene in una casa da solo. Nelle<br />
stanze di Ortles, comunque, approdano<br />
esistenze le più varie: giovani in<br />
cerca di occasioni, vecchi sfiduciati, tossici,<br />
alcolizzati, malati mentali... Ora a<br />
tutti costoro il comune promette grandi<br />
novità.<br />
Si lavora per ridare dignità<br />
«C’è voluto del tempo – spiega l’assessore<br />
Moioli –, ma siamo finalmente riusciti<br />
a superare la vecchia impostazione<br />
da dormitorio pubblico: vogliamo una<br />
struttura che sia soprattutto un centro<br />
di accoglienza, dove chi non ha casa<br />
non trovi soltanto un letto, ma anche un<br />
aiuto, nel cammino di riconquista della<br />
propria dignità». Si tratta di una vera e<br />
propria rivoluzione per un’istituzione<br />
che, fino a oggi, e nonostante gli sforzi<br />
di parziale cambiamento degli ultimi<br />
anni, è sempre stata considerata un luogo<br />
alienante. Basti pensare che fino allo<br />
scorso anno c’erano in servizio tre assistenti<br />
sociali per oltre 400 ospiti. «All’in-<br />
I posti saranno 510<br />
E gli assistenti?<br />
La struttura ha 471 posti ordinari<br />
(ma saranno 510 una volta<br />
ultimati i lavori), più circa 200<br />
per le emergenze, a partire<br />
dal Piano freddo che ogni anno<br />
dura da novembre a fine marzo.<br />
Una quarantina sono i posti<br />
per le donne, più di 100 quelli<br />
per gli uomini stranieri.<br />
La permanenza è temporanea,<br />
dura di norma sei mesi, perché<br />
lo scopo è aiutare le persone<br />
a rifarsi una vita “fuori”. Per<br />
ognuno è attivato un progetto,<br />
anche se due assistenti sociali<br />
(dovrebbero essere quattro, in<br />
organico) sono davvero troppo<br />
poche per avviare programmi<br />
personalizzati. Dopo sei mesi<br />
si può ottenere una proroga e<br />
prolungare la permanenza. Ci sono<br />
anche una mensa, un centro<br />
diurno, una biblioteca e un servizio<br />
infermeria, con un ambulatorio<br />
medico e uno psichiatrico, e posti<br />
di ricovero per gli ospiti malati<br />
e dimessi dagli ospedali.
Là dove c’era il dormitorio<br />
Viale Ortles: il comune annuncia novità<br />
terno della casa – presegue l’assessore<br />
Moioli – troveranno spazio uno sportello<br />
di orientamento al lavoro, una postazione<br />
dedicata a chi ha bisogno di un<br />
supporto psicologico e altri spazi, che ci<br />
consentiranno di garantire il punto di<br />
partenza di un percorso individuale di<br />
recupero personale e di graduale reinserimento<br />
alla vita lavorativa e sociale».<br />
Lo scorso anno la casa di accoglienza<br />
di viale Ortles ha ospitato 2.493 persone;<br />
nei primi sette mesi del <strong>2010</strong> si sono<br />
già superate le 1.500 presenze: un<br />
chiaro sintomo delle crescente richiesta<br />
e necessità di aiuto da parte di persone<br />
senza dimora. Il dato è confermato anche<br />
dalle cifre registrate dal Centro di<br />
aiuto comunale della stazione Centrale,<br />
dove ogni anno si superano i 14 mila<br />
contatti. «Milano è una città accogliente<br />
– conclude la Moioli –; prova ne è il<br />
fatto che le nostre strutture non solo sono<br />
in grado di affrontare ogni tipo di<br />
emergenza (come quelle relative ai rifugiati<br />
o ai recenti sgomberi di campi nomadi),<br />
ma fungono da attrattiva per chi,<br />
normalmente, vive altrove. Il mese di<br />
agosto è sintomatico, in tal senso: molte<br />
strutture in altre città chiudono, in<br />
concomitanza con le ferie estive, e sono<br />
tanti i senza dimora che si trasferiscono<br />
a Milano, dove sanno di poter ricevere<br />
aiuti e supporti adeguati. Ma<br />
mettere a disposizione un posto letto<br />
non basta. Per questo abbiamo deciso<br />
di partire con questo nuovo progetto».<br />
Una svolta epocale per Milano<br />
Ma che ne pensano dell’annunciato<br />
cambiamento gli addetti ai lavori? «Credo<br />
si tratti di una svolta epocale – dice<br />
don Leonello Bigelli, del centro di accoglienza<br />
“La casa di Gastone” –. Natural-<br />
<strong>scarp</strong>milano<br />
La storia<br />
«La prima notte è stata dura»<br />
Ma Adrian riparte da Ortles<br />
Adrian ha 20 anni, ma ha ancora la faccia da ragazzino. Parla<br />
con un filo di voce, appena lo fissi abbassa lo sguardo. Ha l’aria e i modi<br />
gentili di un giovane educato. Non sembra nemmeno essere cresciuto<br />
in strada. Eppure fin da piccolo la strada l’ha frequentata. Scappando da<br />
una situazione familiare tutt’altro che felice, laggiù in Romania. Adrian<br />
è in Italia da quattro anni. «Sono arrivato a Milano nel giugno 2006 –<br />
racconta – e sono andato ad abitare con mia sorella al campo di Triboniano.<br />
Poco a poco ho imparato la vostra lingua e ho iniziato a fare qualche<br />
lavoretto nell’edilizia, insieme a mio zio. Però la situazione con mia sorella<br />
non andava bene: alla fine, dopo lunghe discussioni, ho lasciato Triboniano<br />
per straferirmi in una baracca nel campo di Chiaravalle. Lì sono rimasto,<br />
finché dalla Romania sono arrivati i miei genitori. E i problemi...».<br />
Già, perchè nel frattempo Adrian, tra un lavoretto e l’altro, ha iniziato<br />
a frequentare il quartiere e ha conosciuto una ragazza italiana. «É la cosa<br />
più bella che mi sia mai capitata – racconta –: è solo grazie a lei se non<br />
ho preso strade sbagliate. Però lei è italiana. E a mia madre non piaceva:<br />
ha iniziato a dire che dovevo sposarmi con una ragazza della nostra gente<br />
e a farmi mille problemi. Per fortuna poco dopo i miei sono dovuti tornare<br />
in Romania per rifare i documenti. É stato un periodo duro, di lavoro ce<br />
n’era davvero poco: se sono andato avanti è solo grazie all’aiuto della mia<br />
fidanzata e di sua madre, che mi portavano da mangiare tutte le sere».<br />
Poi gli avvenimenti hanno preso un’accelerazione improvvisa. «Una notte<br />
una ragazza del campo si è addormentata con la candela accesa – racconta<br />
Adrian – e muovendosi nel sonno l’ha fatta cadere. In pochi minuti si è<br />
sviluppato un incendio che ha bruciato tutto, anche la mia baracca. A quel<br />
punto non avevo alternative: o andare a dormire dai miei parenti, o trovare<br />
una soluzione alternativa. Ho deciso di tentare con il dormitorio di viale<br />
Ortles». L’approccio non è stato dei migliori. «Dopo aver fatto domanda –<br />
racconta Adrian – mi hanno detto di presentarmi di martedì, mercoledì o<br />
venerdi per prendere un numerino all’entrata: i primi quattro sarebbero<br />
entrati, gli altri dovevano ritentare (era la vecchia procedura). Ci ho provato<br />
per tre settimane, alla fine ce l’ho fatta. Dopo un colloquio con l’assistente<br />
sociale (quella, bravissima, che mi segue ancora oggi), mi hanno fatto<br />
la prova per la tubercolosi e mi hanno assegnato un letto. La prima sera<br />
non è stato piacevole: non sono mai stato in carcere, ma mi sembrava<br />
di entrare in una cella, invece che in un dormitorio. Poi, però, poco alla volta,<br />
grazie ai tanti ragazzi che hanno diviso la stanza con me, tutte persone<br />
brave e oneste, finite sulla strada per i casi della vita, ho capito che il<br />
dormitorio è un luogo in cui puoi cercare di ripartire. Sono due anni<br />
che vivo lì, e ormai conosco tutti».<br />
Adrian ce la sta mettendo tutta per garantirsi un<br />
futuro migliore. Dopo aver lavorato come<br />
venditore a Scarp, ha iniziato un corso di<br />
formazione professionale per magazziniere,<br />
che lo porterà a una borsa lavoro con il comune<br />
di Milano. «Mi hanno assicurato – conclude il<br />
giovane – che una volta conclusa la borsa lavoro,<br />
se naturalmente avrò fatto bene, il lavoro<br />
potrebbe diventare a tempo indeterminato. Se<br />
così fosse potrei trovarmi una casa tutta mia.<br />
E pensare finalmente a metter su famiglia...».<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .31
l’altra milano<br />
Partite al Trenno: per i ragazzi stranieri il calcio è veicolo di socialità<br />
Gol “latinos” al parco,<br />
il pallone cementa amicizie<br />
di Antonio Vanzillotta<br />
I<br />
Manuel: «Qui ho conosciuto<br />
i primi amici, ho imparato<br />
le prime parole di italiano,<br />
ho subito i primi insulti...»<br />
l calcio è un potente veicolo di socialità per molti migranti che risiedono a Milano.<br />
Anzi, per molti è praticamente l’unico. Perché è grazie ai tornei improvvisati<br />
nei parchi cittadini che i ragazzi si conoscono e solidarizzano tra loro.<br />
Incontriamo un gruppo di sudamericani al parco di Trenno (zona San Siro) e<br />
li invitiamo a fare due chiacchiere. Parlano un italiano fluente, nonostante i<br />
tracci somatici “andini”: scopriamo che sono quasi tutti immigrati di seconda<br />
generazione e che,ormai, si considerano italiani. «I nostri genitori – spiega uno<br />
di loro – hanno fatto e continuano a fare grandi sacrifici per mandarci a scuola<br />
per sperare in un futuro migliore. Loro non hanno più possibilità, ma noi<br />
vogliamo un futuro diverso, in cui la gente non ci chieda se siamo o non siamo<br />
italiani, ma se siamo bravi a fare il nostro lavoro...».<br />
Il calcio per loro è svago e voglia di stare insieme. Il parco è la loro seconda<br />
casa. «Ci trovo qui tutti i giorni, soprattutto d’estate – spiega uno del gruppo –,<br />
con i nostri compagni di scuola e i vicini di casa. Ora che le scuole hanno riaperto,<br />
ci si trova il pomeriggio tardi, dopo i compiti, oppure nei week end».<br />
Esteban è il più spigliato del gruppo e tiene a sottolineare le proprie origini<br />
cilene: «In casa siamo in tanti – scherza –, troppi... Per fortuna i miei riescono<br />
a farci studiare, ma la nostra casa è sempre<br />
affollata. Meglio stare qui, al parco. Sono all’ultimo<br />
anno di liceo e sono il primo della classe; nessuno<br />
è più bravo do me, nemmeno i ragazzi italiani.<br />
Nemmeno in latino. Però non so, quando<br />
vedo come la gente ci guarda per strada, temo che<br />
questo non servirà a nulla». Carlos, poco più che<br />
ventenne, è di origine peruviana e fa l’elettricista. «Qui mi trovo bene, davvero<br />
– racconta –, nonostante sia venuto in Italia solo quando avevo 12 anni. Ha<br />
frequentato un istituto professionale e dopo la maturità, visto che in casa i soldi<br />
erano pochi, ho subito cercato lavoro. In questo parco ho trascorso degli anni<br />
bellissimi anche se adesso lo frequento un po’ meno: ho una ragazza. È italiana.<br />
E – ride – non la presento di certo a dei tipi del genere...».<br />
Manuel è un tipo mingherlino. Ci guarda con il pallone sotto il braccio e e<br />
non smette mai di annuire. «Abito a due passi – racconta – e si può dire che in<br />
questo parco ci sono cresciuto. Qui ho conosciuto i primi amici, ho imparato<br />
le prime parole di italiano, sopportato i primi insulti di chi, chissà perchè, non<br />
sopporta che giochiamo a calcio sul prato. Qui ci vengo anche al mattino a fare<br />
una corsetta prima di andare a scuola. Mi piace lo sport: in questo parco ci<br />
sono diversi percorsi della salute e io li faccio tutti. Poi è un posto sicuro: è molto<br />
frequentato e a qualsiasi ora trovi gente. Ora però dobbiamo giocare».<br />
Sposto lo sguardo dal suo bel sorriso e noto, in lontananza, un gruppo di ragazzi<br />
in pantaloncini corti. É arrivato il momento della sfida. Esteban agita le<br />
braccia indicando dove si gioca. Qui il calcio è una cosa seria..<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong><br />
.33
Estate al Giambellino: mica facile, soprattutto per gli anziani.<br />
Per fortuna a fare la spesa c’erano 25 volontari <strong>Caritas</strong>...<br />
Ernesto e Anna,<br />
i “personal shopper”<br />
Ernesto, 41 anni, infermiere. Mariangela 61 anni, casalinga. Mario, 39<br />
anni, ingegnere elettronico. Anna, 23 anni, in cerca di lavoro. Sono stati loro, insieme<br />
agli altri 21 volontari che hanno risposto in agosto all’appello lanciato da <strong>Caritas</strong><br />
Ambrosiana, i personal shopper degli anziani del Giambellino, storico quartiere<br />
popolare di Milano. Ogni giorno (domenica esclusa), questi angeli custodi con la<br />
sporta hanno consegnato a domicilio i pasti preparati dalle aziende di ristorazione<br />
convenzionate. Ma non solo. Hanno anche accompagnato gli anziani al supermercato,<br />
in posta per il ritiro della pensione, e quando era necessario, anche all’ambulatorio<br />
medico.<br />
I personal shopper <strong>Caritas</strong> sono intervenuti in favore dei cosiddetti “reclusi<br />
dell’estate”: anziani, disabili, soggetti<br />
deboli, rimasti in città anche quando<br />
Milano si spopola per le vacanze, i negozi<br />
chiudono per ferie, i quartieri diventano<br />
un deserto e sbrigare le faccende<br />
di tutti i giorni si trasforma in un<br />
calvario. La loro assistenza gentile e<br />
quotidiana è preziosissima e consente<br />
di prevenire, nel limite del possibile, le<br />
tragedie della solitudine e dell’indifferenza<br />
che spesso popolano le cronache<br />
agostane. La loro è stata una presenza<br />
quotidiana, discreta e gentile, che ha<br />
cercato di far sentire meno sole le persone,<br />
per lo più over 75, che in città d’estate<br />
non saprebbero a chi rivolgersi in<br />
caso di bisogno.<br />
«La squadra dei personal shopper sociali<br />
reclutati dalla <strong>Caritas</strong> Ambrosiana –<br />
che, naturalmente, poco hanno a che fare<br />
con gli “assistenti agli acquisti” dei<br />
vip – è composta da 25 persone, 15 uomini<br />
e 10 donne, mediamente sui 40 anni.<br />
Provengono da ceti sociali differenti e<br />
hanno, in molti casi, esperienze di volontariato<br />
già solide alle spalle. C’è chi<br />
insegna l’italiano agli stranieri in oratorio,<br />
chi assiste i disabili nelle case di cura»,<br />
spiegano gli operatori dello Sportello<br />
volontariato <strong>Caritas</strong>, che hanno raccolto<br />
le richieste e fatto i colloqui di “assunzione”.<br />
I volontari hanno operato al Giam-<br />
bellino dal 2 agosto fino alla fine del mese,<br />
dalle 11 alle 13 (per la consegna dei<br />
pasti) da lunedì a sabato. Gli anziani che<br />
hanno beneficiato dell’assistenza sono<br />
stati segnalati dai servizi sociali del comune.<br />
L’iniziativa rientrava, infatti, nel<br />
“Piano anticaldo” varato dall’amministrazione<br />
comunale, che ha visto la collaborazione,<br />
in altre zone della città, di<br />
altre associazioni di volontariato.<br />
Il sostegno di Avis Autonoleggio<br />
I personal shopper <strong>Caritas</strong> hanno potuto<br />
avvalersi di un’auto messa a disposizione<br />
gratuitamente dell’azienda Avis<br />
Autonoleggio, che ha voluto supportare<br />
<strong>Caritas</strong> in questa importante iniziativa<br />
di sostegno a chi in estate non può purtroppo<br />
andare in vacanza e resta ancora<br />
più solo in città semideserte. L’auto<br />
era contrassegnata da un adesivo sul<br />
cofano e le fiancate laterali con la scritta<br />
“<strong>Caritas</strong> Ambrosiana e Avis Autonoleggio<br />
– Insieme per la solidarietà”.<br />
Lo scorso anno nel quartiere di Baggio<br />
erano intervenuti 39 volontari: allora<br />
i pasti consegnati erano stati 850, 17<br />
gli anziani seguiti (14 donne e 3 uomini,<br />
di età compresa tra i 56 e i 98 anni), , 2 le<br />
persone ricoverate grazie alle segnalazioni<br />
della squadra del pronto intervento<br />
estivo..<br />
Il volontariato?<br />
Lo fanno i giovani<br />
Fare del volontariato in <strong>Caritas</strong><br />
Ambrosiana piace anche ai giovani.<br />
Quest’anno lo “Sportello<br />
volontariato” istituito<br />
dall’organismo diocesano<br />
ha ricevuto 350 richieste da<br />
persone tra i 30 e i 67 anni e quasi<br />
altrettante, 345, da ragazzi tra<br />
i 18 e i 30. Ma non solo. A questi<br />
ultimi, infatti, bisogna aggiungere<br />
i 98 volontari (tra i 18 e i 30 anni)<br />
che hanno scelto di trascorrere<br />
parte delle loro vacanze in uno<br />
degli 11 “Cantieri della<br />
solidarietà”, aperti da <strong>Caritas</strong><br />
in America Latina, Medio Oriente,<br />
Europa dell’Est, Asia e anche<br />
in altri territori d’Italia, per aiutare<br />
persone in difficoltà. E ancora,<br />
i 14 giovani tra i 19 e i 23 anni<br />
che hanno scelto di partecipare<br />
al servizio civile all’estero.<br />
A conti fatti, dunque, gli under 30<br />
rappresentano la quota maggiore<br />
delle persone che hanno bussato<br />
alle porte di <strong>Caritas</strong> per esprimere<br />
il desiderio di dedicarsi agli altri.<br />
«Questo non significa che non<br />
abbiamo un problema di ricambio<br />
generazionale – sottolinea<br />
il direttore, don Roberto Davanzo –.<br />
I 2.500 volontari impegnati nei<br />
300 centri di ascolto della diocesi<br />
sono per lo più adulti con i capelli<br />
bianchi, in genere pensionati. Detto<br />
questo, non è nemmeno vero che<br />
i ragazzi sono disinteressati:<br />
vi sono attività che continuano<br />
a trovare il loro favore».<br />
<strong>scarp</strong>milano<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .35
<strong>scarp</strong>milano<br />
Dietrofront di governo, comune e prefettura: negati i 25 alloggi<br />
promessi a chi sarà sgomberato. La reazione delle associazioni<br />
Niente case ai Rom<br />
Neppure a Romina...<br />
a cura della redazione<br />
Nella seconda metà di settembre è infuriata, a Milano, la polemica sui 25<br />
appartamenti Aler “da destinare ai Rom”, decisione bloccata – dopo interminabili discussioni<br />
e divisioni, all’interno della stessa maggioranza di centro-destra che governa<br />
la città – dal ministro dell’Interno Roberto Maroni, appositamente salito in città<br />
per dirimere la questione. In verità quegli appartamenti, tuttora inagibili e quindi<br />
non facenti parte del patrimonio Aler disponibile, rientravano in una convenzione<br />
firmata lo scorso 5 maggio da prefettura e comune con alcune realtà del privato sociale.<br />
La convenzione prevedeva, così come richiesto dal comune di Milano, l’assegnazione<br />
di 15 appartamenti alla fondazione Casa della carità, 5 al Centro ambrosiano<br />
di solidarietà e 5 al consorzio Farsi Prossimo.<br />
I tre enti avrebbero dovuto destinare<br />
le case a soggetti connotati da particolari<br />
fragilità. Una categoria nella quale<br />
rientrano alcuni nuclei famigliari che<br />
abitano nei campi regolari di via Triboniano<br />
e via Novara, prossimi allo sgombero.<br />
Nei giorni precedenti il “niet” del<br />
ministro, il cui Piano emergenza rom è<br />
all’origine delle decisioni assunte dalle<br />
istituzioni locali, 11 famiglie rom avevano<br />
già ottenuto l’assegnazione delle case,<br />
in base a un atto firmato da prefettura e<br />
comune. Insomma, la decisione del ministro<br />
Roberto Maroni è avvenuta, probabilmente<br />
per sciogliere un nodo politico<br />
interno al centro-destra, contraddicendo<br />
ciò che in parte era già stato attuato.<br />
Resta da capire cosa accadrà degli alloggi<br />
ancora da assegnare, nei quali le<br />
associazioni avrebbero potuto insediare<br />
(dopo averli ristrutturati) anche nuclei<br />
rom, che lì avrebbero avuto accoglienza<br />
temporanea, in attesa di sistemazioni<br />
definitve sul mercato privato delle locazioni.<br />
Dopo la decisione di Maroni, le associazioni<br />
hanno precisato che “qualora<br />
dovesse arrivare una comunicazione<br />
nella quale verrà indicato di non assegnare<br />
le case alle famiglie rom, prenderemmo<br />
atto del mutato stato di cose e<br />
metteremmo in discussione la convenzione.<br />
Perchè vogliamo operare, sia da<br />
36. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
un punto di vista culturale che sociale,<br />
senza mettere in atto forme di discriminazione”.<br />
In questo scenario, Scarp ha ricevuto<br />
la lettera di una cittadina, che racconta<br />
le vicissitudini di una giovane mamma<br />
rom, da lei conosciuta. Una vicenda emblematica<br />
di come il clima generalizzato<br />
di sfiducia e pregiudizio possa mettere<br />
a repentaglio il quotidiano, faticoso<br />
ma possibile lavoro di integrazione.<br />
***<br />
Ho conosciuto Romina circa tre anni fa.<br />
In una stazione della metropolitana. La<br />
vedevo tutte le mattine, da molto tempo<br />
ormai. L’ho vista con la prima pancia e<br />
poi con la seconda. Ha un sorriso dolce,<br />
Romina, e gli occhi tristi. Un giorno mi<br />
sono decisa a fermarmi, le ho dato una<br />
moneta e le ho chiesto il suo nome. E<br />
così è iniziata la mia storia con Romina.<br />
Da allora la nostra chiacchierata<br />
mattutina è diventata un piacevole appuntamento.<br />
A Romina piace parlare di<br />
sé e a me piace ascoltarla. Mi parla di un<br />
mondo che sembra appartenere ad<br />
un’altra galassia. Romina è una ragazza<br />
rom di 19 anni. Vive in una “baracchina”,<br />
così la chiama lei, nella periferia di<br />
Milano, ed è sposata. Penso che potrebbe<br />
quasi essere mia figlia e ora potrei essere<br />
nonna. «Come sei giovane – le di-<br />
co». Mi risponde che per la sua gente da<br />
quando hai 13 anni sei pronta per sposarti<br />
e per avere figli. A un certo punto i<br />
suoi genitori le hanno intimato «O ti<br />
trovi un marito, o ti sposiamo a tuo zio»,<br />
un uomo di venti anni più vecchio di lei.<br />
E Romina un marito se l’è trovato. È sorpresa<br />
quando le dico che sono single:<br />
«Non è facile trovare un uomo da amare<br />
e che ti ami». Mi guarda come se parlassi<br />
un’altra lingua, è un discorso incomprensibile<br />
per lei.<br />
Tolta da piccola alla famiglia<br />
Ora aspetta la seconda figlia, femmina<br />
come la prima. Dice di non volere più<br />
figli, ma certo il marito vuole un maschio.<br />
Al settimo mese di gravidanza<br />
una volontaria l’ha convinta a farsi visitare.<br />
La bambina non si era ancora girata,<br />
se all’ultima ecografia è ancora così<br />
bisognerà fare il cesareo. Romina è terrorizzata,<br />
mi dice che con la prima è andato<br />
tutto bene e non aveva fatto alcuna<br />
visita: «Non dovevo andare dal dottore».<br />
Cerco di farla ragionare.<br />
Lei è una buona osservatrice, si accorge<br />
subito quando mi taglio i capelli.<br />
«Non devi tagliarli – commenta –.<br />
Quando ero piccola avevo i capelli lunghissimi<br />
e li adoravo. Poi mi hanno<br />
mandato dalle suore e lì mi hanno tagliato<br />
i capelli corti. Ho pianto per giorni».<br />
L’hanno tolta alla famiglia e messa<br />
in una comunità, perché chiedeva l’elemosina.<br />
«Almeno avevi una casa», le dico.<br />
Mi risponde che avrebbe preferito<br />
non avere una casa e stare con la sua famiglia.<br />
Però l’hanno mandata a scuola e<br />
di questo è contenta.<br />
Ha fatto la scuola alberghiera, ma<br />
non l’ultimo anno, perché a 18 anni è<br />
uscita dalla comunità e si è sposata. Ma
Via Rubattino<br />
Alloggi ai rom più sgomberati<br />
ma solo grazie al quartiere<br />
I rom di via Rubattino possono vantare un primato: sono<br />
il gruppo di “nomadi” più sgomberati della città. In quasi due anni, circa<br />
300 cittadini di nazionalità rumena baraccati a Milano hanno subito<br />
ben 14 interventi di forza. Ogni volta, le ruspe hanno abbattuto. Ogni volta,<br />
loro hanno ricostruito. L’ultimo grande repulisti è avvenuto all’alba del<br />
7 settembre, un martedì mattina già autunnale, con pioggia e aria fredda.<br />
E anche questa volta il copione è stato rispettato. Prima sono arrivati<br />
gli agenti – 200 uomini, tra forze dell’ordine e polizia locale – a intimare<br />
l’allontanamento a uomini, donne e bambini (circa 250 persone). Quindi<br />
sono state rase al suolo un centinaio di baracche mentre gli operatori dei<br />
servizi sociali offrivano, ma solo a donne e bambini, un posto letto in viale<br />
Ortles. A un mese di distanza, nel dormitorio pubblico vivono ancora quasi<br />
tutte le mamme che avevano accettato di separarsi dai mariti: 15 persone,<br />
bambini compresi. Gli altri 235 rom si sono dispersi in cinque aree abusive<br />
sparse in città, ospiti di parenti e amici. Dei 29 bambini che frequentavano<br />
le scuole del quartiere, 17 – ed è già un miracolo – sono tornati in classe<br />
allo squillo della prima campanella dell’anno: i genitori li accompagnano,<br />
anche se ora devono compire ogni mattina lunghi viaggi sui mezzi pubblici.<br />
Nessuno, invece, ha lasciato il paese per tornarsene in Romania. Come<br />
hanno sempre fatto, presto o tardi torneranno. E saranno nuovamente<br />
sgomberati. Giostra ossessiva, odissea senza fine.<br />
In realtà, i baraccati di via Rubattino in due anni sono di poco diminuiti. Ma<br />
solo grazie alla buona volontà del quartiere e dei volontari della comunità<br />
di Sant’Egidio. Come hanno fatto? Offrendo un’alternativa: 14 famiglie rom,<br />
grazie a loro e alle associazioni di zona, hanno trovato casa. Proprio così.<br />
Alloggi, case vere, in muratura, di proprietà di associazioni, cooperative,<br />
affittate a canoni moderati agli “inaffidabili zingari”. Una piccola grande<br />
lezione al comune di Milano, che ai rom che sta per sfrattare da via<br />
Triboniano e via Novara non riesce a dare nemmeno 25 alloggi...<br />
<strong>scarp</strong>milano<br />
ora è pentita «Se avessi un titolo di studio,<br />
forse ora potrei trovare un lavoro.<br />
Ho paura che mi tolgano mia figlia e allora<br />
l’ho lasciata in Romania, con mia<br />
mamma. Mi manca tanto».<br />
Quale futuro per Romina?<br />
Ci siamo riviste questa settimana. Vorrei<br />
convincerla a fare l’ecografia. Stamattina<br />
non c’era e ho pensato fosse andata<br />
alla visita. L’ho incontrata per caso nel<br />
pomeriggio sulla 54 e mi ha spiegato:<br />
«Stamattina ci hanno sgomberati, la nostra<br />
“baracchina” non c’è più. Ai bambini<br />
del campo e alle madri è stato offerto<br />
un riparo, ma a noi no».<br />
Mancano solo due settimane al parto.<br />
Le spiego che io sto andando al Cie (il<br />
centro di identicazione ed espulsione)<br />
di via Corelli. Ed ecco un altro frammento<br />
della sua vita. «Sono stata a Corelli,<br />
con mia mamma, ero piccola. Ci<br />
hanno messo in una stanza e mi hanno<br />
dato un sacchetto con un mela, una bottiglia<br />
d’acqua e un panino. Poi ci hanno<br />
rimandate in Romania». Penso che la<br />
sua infanzia sia popolata da tanti brutti<br />
ricordi. E il presente non è migliore.<br />
Non so se Romina vorrà mai raccontare<br />
la sua storia a qualcuno. E allora<br />
ho pensato di farlo io. Con la speranza<br />
che possa aiutarla a dare ai suoi figli<br />
un futuro migliore..<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .37
Confronto nella redazione torinese: l’istituzione dell’anagrafe<br />
nazionale dei senza dimora solleva molte perplessità...<br />
dalla redazione<br />
Nell’ambito dei laboratori di scrittura e giornalismo di Scarp-<strong>Torino</strong>, abbiamo<br />
letto il Decreto del ministero dell’interno del 6 luglio <strong>2010</strong> sulle “Modalità di<br />
funzionamento del registro delle persone senza fissa dimora”, di cui Scarp ha parlato<br />
anche nello scorso numero. Un visto alla voce “senza fissa dimora” identificherà la<br />
condizione della persona nell’Anagrafe nazionale, l’elenco non sarà consultabile se<br />
non dal ministero e gli addetti dei comuni potranno solo aggiornare la posizione,<br />
ma non visualizzarla successivamente. Ma non è indicata (come invece speravano gli<br />
organismi per le persone senza dimora) l’esigenza di istituire nei comuni italiani una<br />
prassi condivisa per attribuire la residenza anagrafica agli homeless, condizione per<br />
ottenere per esempio la tessera sanitaria e la tessera elettorale. <strong>Torino</strong> è una delle po-<br />
chissime (e forse la prima) città in cui è<br />
stata istituita la “Via della Casa Comunale”,<br />
ma i tempi di accesso sono lunghi…<br />
Ecco allora cosa scrivono del de- Uguali<br />
creto i nostri amici di Scarp.<br />
C’è il ricco, il povero,<br />
Colpita nel profondo<br />
l’onesto e il disonesto.<br />
Se devo esprimere un pensiero sui di- Il ricco crede che la ricchezza<br />
versi decreti emanati ultimamente dagli<br />
gli dia anche la felicità.<br />
organi legislativi, vengo improvvisamente<br />
colta da nausea. E non credo che Il povero chiede solo di lavorare<br />
esista medicina capace di guarirmi. e non far male.<br />
Quello che mi sento di dire ai signori<br />
Il disonesto, pur di campare,<br />
ministri è questo: ma fatemi il piacere.<br />
La vita regolata da una spunta su una pensa ad arraffare e a volte<br />
pagina web? Siate più chiari, specifi- anche ad ammazzare.<br />
cando quali sono le reali finalità della<br />
L’uomo sia ricco,<br />
registrazione anagrafica dei senza fissa<br />
dimora. Volete solo un database così, sia povero, sia bianco,<br />
oppure nero<br />
sarebbe uguale<br />
in tutto il mondo<br />
se avesse voglia<br />
di trovare un’ora,<br />
un minuto, un secondo<br />
per parlare di pace<br />
e far felice così<br />
tutto il mondo..<br />
38. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
torino<br />
Nuovo registro,<br />
così proprio non va<br />
Piera Coppa<br />
tanto per, oppure a questo censimento<br />
seguirammo azioni concrete capaci di<br />
offrire a questo popolo di invisibili ciò<br />
che si merita, ovvero una vita che non<br />
sia solo all’ombra, restando sempre nella<br />
condizione di sofferenza e disagio,<br />
continuando a rimanere un numero,<br />
un’entità fantasma? Gli invisibili sono<br />
comunque vivi e la loro voce non sarà<br />
mai tacitata, anche nell’assordante silenzio<br />
attuale. La mia difficoltà non è<br />
quella della casa, ma nulla si può escludere.<br />
Se io fossi in quella situazione mi<br />
sentirei colpita nel profondo, e smetterei<br />
di lottare. Qualche giorno fa (con<br />
amarezza) celiando con un amico ho<br />
detto: chissà quando gli invisibili, finalmente,<br />
diventeranno visibili.<br />
Nemesi<br />
É un titolo nobiliare?<br />
Siamo molto contenti che qualcuno si<br />
sia finalmente deciso a fare un elenco<br />
delle persone senza dimora. Soprattutto<br />
se questo servirà per meglio programmare<br />
interventi di welfare. Le persone<br />
interessate al problema sono,<br />
però, molto numerose: si riusciranno a<br />
trovare soluzioni opportune e appropriate<br />
per tutti? Difficile pensare che<br />
sarà così, perché ogni caso è diverso dagli<br />
altri. Tutte le persone sono ombre in<br />
movimento, alla ricerca della propria sistemazione<br />
abitativa, lavorativa e sociale.<br />
Lo stato possiede anche le soluzioni?<br />
É una risposta difficile. Il problema<br />
più difficile sarà convincere i tanti<br />
datori di lavoro che non pagano gli operai,<br />
i lavoratori, o pagano in nero. E così<br />
non paghi l’affitto, perdi la casa, la residenza,<br />
ogni forma di sostegno è bloccata,<br />
e arriva il momento di ricevere il<br />
titolo nobiliare di “persona senza fissa
dimora”. Ma serve a qualcosa questo titolo?<br />
Di certo non al cittadino. Dovrà accettare<br />
prima questo titolo aristocratico<br />
e passeranno almeno quaranta giorni<br />
prima che sia confermato il nuovo “status”,<br />
verranno i vigili a verificare se si<br />
dorme davvero in un bosco, controllando<br />
se casualmente (non si sa mai...) ha<br />
cambiato bosco o panchina. Il decreto<br />
cita anche che si deve dichiarare il cambiamento<br />
di domicilio (io abito nella<br />
confortevole panchina numero 13, se<br />
non è già occupata).<br />
Gheorghe Mateciuc<br />
Ma le urgenze sono altre<br />
Le persone che sono prive di residenza,<br />
“senza fissa dimora”, per me non dovrebbero<br />
essere soggette a schedatura<br />
ma dovrebbero semplicemente avere<br />
maggiori facilitazioni per ottenere la residenza<br />
anagrafica. Questo decreto del<br />
governo non può andare bene per un<br />
motivo: è una legge sbagliata, perché<br />
nella sostanza rimane tutto come era<br />
per chi è in difficoltà. Così non si risolve<br />
nulla, perché le leggi le fate come volete<br />
voi al governo. Io, Roberto Capuano,<br />
sono da tanti anni a <strong>Torino</strong> e per avere la<br />
residenza, spostandola da Taranto a <strong>Torino</strong>,<br />
nella fittizia via Casa Comunale, ho<br />
aspettato due anni. È una vergogna.<br />
Questo è ciò che penso: invece di fare<br />
leggi sbagliate, fate cose serie per i senza<br />
dimora. Ci sono dormitori che chiudono,<br />
mense in cui si magia male, e non<br />
c’è lavoro. Queste sono cose serie, cui<br />
pensare subito. Se volete potete fare<br />
molte cose e invece nessuno si occupa<br />
davvero di noi. Spero mi capiate, voi al<br />
governo; spero che andiate avanti in<br />
un’altra direzione.<br />
Roberto Capuano<br />
La storia<br />
Oggi divento volontario,<br />
c’è molta luce nell’aria<br />
<strong>scarp</strong>torino<br />
Può capitare, a volte, di sentirsi come uno scolaretto,<br />
il primo giorno di scuola. Beh, a me è capitato oggi, mentre andavo<br />
al centro d’incontro di Opportunanda. Aprendo la porta della struttura,<br />
ho iniziato a scrivere un nuovo capitolo della mia vita: sarei diventato<br />
operatore volontario. Per me che sono stato, a più riprese, utente di<br />
varie strutture sociali, è parso un salto dall’altra parte della barricata,<br />
uno scambio di ruoli, un passare il Rubicone, un viaggio affascinante<br />
verso una parte di me stesso, che mi aspettava lì da chissà quanto<br />
tempo. E alla quale ho detto: «Scusa il ritardo, ma ho incontrato un po’<br />
di traffico sulla strada della mia vita». A pensarci bene, è roba che può<br />
anche commuovere, che ne dite? Sbircio all’interno del centro<br />
d’incontro e provo a fare un’entrata quasi trionfale (ho detto provo,<br />
in fondo poi tentare non nuoce, quasi sempre).<br />
La sala di Opportunanda era gremita di gente di varie etnie. Una babele<br />
postmoderna, dove fanno una domanda in romeno e rispondono<br />
in magrebino: la caleidoscopica umanità multietnica, dove ho deciso<br />
di tuffarmi. I volontari, alcuni dei quali conoscevo più o meno, mi hanno<br />
fatto capire che ero il benvenuto a bordo. È stato molto bello,<br />
e ho cominciato a servire: caffè, latte, tè, insomma un vero barman<br />
di vocazione. Mentre miscelavo bevande incontravo lo sguardo e i<br />
sorrisi di quelli che si avvicinavano. Quante cose si possono comunicare<br />
quasi senza parlare! Intorno a me c’erano vecchi frequentatori<br />
di Opportunanda, e insieme a loro ci siamo lasciati andare al flusso<br />
di ricordi, pensieri e parole color nostalgia. Rivisitando il passato,<br />
guardavo il presente e, come mi capita spesso, ho sognato il futuro.<br />
Antico e nuovo s’incontravano sulla soglia del mio animo, come se quel<br />
piccolo mondo fosse divenuto il riflesso di tanta parte della mia vita.<br />
Poi, quando Sabri mi ha dato il cambio in cucina, sono entrato in sala<br />
fra i tavoli e le sedie, confuso tra le parole di tante persone e un po’<br />
smarrito in quel groviglio di esistenze. Iniziava la cosa più difficile:<br />
l’ascolto, il dialogo, l’incontro empatico con l’altrui vita e l’emozione<br />
di cui ogni esistenza è colma. Ho dialogato con molte persone. Spesso<br />
i loro racconti erano vestiti di malinconia: la casa che non c’è, il lavoro<br />
che è solo un miraggio, la malattia, la droga, l’alcolismo, le proprie<br />
radici spezzate, rimaste in qualche angolo del mondo, lontano da qui.<br />
Storie di vita quotidiana, vicende piccole e grandi che intessono<br />
l’esistenza, di cui fa bene parlare per mantenersi vivi, per continuare<br />
a sperare. Mi è piaciuto ascoltare e, con rispetto, domandare qualche<br />
cosa. Incontrare gli altri è molto gratificante, forse perché gli altri<br />
siamo noi. Io credo che la partecipazione sia la più grande e autentica<br />
forma di libertà. Per questo mi sono sentito libero mentre aiutavo a<br />
scaricare le confezioni di cibo dall’auto di un operatore, roba donata da<br />
un supermercato, o mentre alla fine della mattinata facevo le pulizie.<br />
È permeando di noi stessi le piccole cose quotidiane che le rendiamo<br />
grandi, creando la novità e l’unicità di ogni nostro istante, gustando<br />
la pienezza della vita. Ovvio, ho molto da imparare, qualche cosa darò,<br />
qualche cosa avrò in dono e tutto questo mi aiuterà a crescere, giorno<br />
per giorno. Oggi c’è molta luce nell’aria, ed è più facile dare del tu alla<br />
propria vita. A guardar bene, intorno mi sembra di percepire una forte<br />
urgenza di vivere, di essere, e credo che questa sia una bella cosa.<br />
Paolo Fallico<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .39
40. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
genova<br />
Sesta fiera “Mondo in Pace”, percorso per educare<br />
alla nonviolenza e alla convivenza. A partire da un concetto...<br />
La bellezza,<br />
costruttrice di pace<br />
Occhi di cielo<br />
Poesia a te, occhi di cielo<br />
i miei occhi vedono il sole<br />
quando incontro<br />
il tuo sorriso,<br />
i tuoi baci sono caldi e dolci<br />
come l’estate,<br />
sei il brivido<br />
sulla mia pelle<br />
sei nel mio cuore,<br />
come il respiro<br />
che vive in me<br />
sei il mio amore<br />
e tremo come<br />
un’anima gemella..<br />
Roberto Capuano<br />
di Mirco Mazzoli<br />
Pace al centro di Genova. Da sei anni Palazzo Ducale ospita “Mondo<br />
in Pace. Fiera dell’Educazione alla Pace”. L’ultima edizione si è conclusa lo scorso<br />
9 <strong>ottobre</strong>. Come sempre, é stata una occasione di incontro e confronto fra tutte<br />
le realtà che nel territorio sono impegnate nell’educazione alla pace, con spazi<br />
espositivi, mostre, seminari, convegni, laboratori, spettacoli, incontri con testimoni<br />
significativi, di rilievo internazionale. Dietro c’è la storia di un ideale, promosso<br />
dalla <strong>Caritas</strong> diocesana, ma anche la storia di una persona.<br />
Nel 1996, Fabrizio Lertora è un quasi-ingegnere fresco di servizio civile: «Durante<br />
l’anno di impegno come obiettore di coscienza – rievoca – mi accosto al tema<br />
dell’educazione alla pace e mi colpisce, in particolare, comprendere che la pa-<br />
ce non è rimuovere il conflitto, ma affrontarlo<br />
in modo costruttivo e creativo.<br />
Per vivere in pace bisogna che l’uomo<br />
scovi e porti a reazione il meglio di sé.<br />
Una strada di crescita e libertà».<br />
Laborpace, gestione dei conflitti<br />
Fabrizio allora cambia strada, lascia<br />
ingegneria e si introduce allo studio<br />
della pedagogia applicata alla costruzione<br />
di percorsi di pace. Al momento<br />
del “congedo” dal suo anno di servizio,<br />
propone a <strong>Caritas</strong> la costituzione<br />
di un’équipe di ricerca e intervento<br />
educativo in questo ambito. Nasce così<br />
il primo nucleo di “LaborPace”, che<br />
oggi rappresenta una delle esperienze<br />
più avanzate a Genova nella elaborazione<br />
di esperienze educative per la<br />
gestione non violenta dei conflitti. I<br />
primi collaboratori sono obiettori di<br />
coscienza e ragazze impegnate nel cosiddetto<br />
Anno di volontariato sociale:<br />
età media al ribasso ed entusiasmo a<br />
mille, è gente che sta condividendo<br />
un anno di servizio alla povertà, vita<br />
di comunità, impegno per sensibiliz-
Mondo in Pace<br />
Nelle foto di queste pagine,<br />
due momenti, di dibattito<br />
e festa, che hanno caratterizzato<br />
la sesta edizione<br />
della Fiera dell’educazione alla pace<br />
zare piccoli spicchi di società a un altro<br />
mondo possibile.<br />
Di anno in anno “LaborPace” si<br />
specializza e raggiunge scuole, gruppi,<br />
associazioni, bambini, ragazzi, giovani,<br />
allievi di ogni ordine e grado, genitori,<br />
educatori, animatori, insegnanti.<br />
Usa un metodo che coinvolge attivamente<br />
chi partecipa, riesce a diversificare,<br />
passando dal laboratorio al seminario<br />
all’aggiornamento specializzato.<br />
Alcuni dei ragazzi della prima ora, dopo<br />
14 anni, continuano a portare il loro<br />
contributo, con maggiore esperienza<br />
e scelte professionali adatte, nel<br />
campo dell’insegnamento. Altri si sono<br />
affiancati strada facendo, formatori<br />
ed educatori professionali.<br />
Fabrizio nel frattempo è diventato<br />
anche formatore presso il “Centro psicopedagogico<br />
per la pace e la gestione<br />
dei conflitti” di Piacenza, diretto da<br />
Daniele Novara. Ha speso molte energie<br />
per dare sviluppo all’intuizione iniziale<br />
e la fiera “Mondo in Pace” ha rappresentato<br />
un’importante conferma<br />
per il progetto suo e della <strong>Caritas</strong>, innovativo<br />
sotto molti punti di vista.<br />
Tra Dostoyevsky e Impastato<br />
“Quale bellezza cambierà il mondo?”.<br />
È stata la domanda guida dell’edizione<br />
<strong>2010</strong> della fiera. «Un tema che ci appassiona<br />
e che sentiamo molto concreto<br />
– spiega Fabrizio –: il rapporto tra<br />
bellezza, etica, cambiamento e pace.<br />
Vengono subito in mente due persone<br />
e due frasi entro cui muovere la riflessione:<br />
da una parte Dostoyevsky con la<br />
sua celebre “La bellezza salverà il mondo”,<br />
dall’altra l’appello educativo di<br />
Peppino Impastato, che fu vittima della<br />
mafia: “Se si insegnasse la bellezza<br />
alla gente, la si fornirebbe di un’arma<br />
contro la rassegnazione, la paura e l’omertà”.<br />
Il nostro intento è stato indagare<br />
la “bellezza” come chiave interpretativa<br />
e ambito di ricerca per un<br />
progetto educativo capace di mettere<br />
al centro la persona, la relazione, la<br />
possibilità di convivenza. C’è una “bella<br />
educazione” da scoprire e riscoprire,<br />
per poter educare alla pace».<br />
<strong>scarp</strong>genova<br />
Durante i quattro giorni di fiera,<br />
grazie anche alla collaborazione dell’associazione<br />
“Buddismo per la pace”,<br />
alcuni monaci tibetani hanno composto<br />
un “Mandala della pace”, che è stato<br />
disperso nella acque del Porto Antico,<br />
a conclusione della manifestazione.<br />
Simbolo di una bellezza da coltivare<br />
con pazienza, e disseminare per<br />
l’intero pianeta. .<br />
Un evento sempre più ricco<br />
di contenuti, testimoni e proposte<br />
La Fiera dell’Educazione alla Pace ha rappresentato il coefficiente di<br />
penetrazione del dinamismo di certe idee in città. Circa seimila persone<br />
in sei edizioni, il sostegno della provincia di Genova, l’appoggio sempre<br />
più operativo della Fondazione per la cultura “Palazzo Ducale”, l’interesse<br />
crescente della stampa. Il programma si è arricchito via via di proposte<br />
diverse per molti destinatari, è cresciuta la rete di istituzioni, associazioni<br />
partner e realtà coinvolte nella progettazione e nella realizzazione degli eventi,<br />
è aumentato il numero di espositori, si è esteso il territorio coinvolto:<br />
oltre al comune di Genova, nelle diverse edizioni si sono aggiunti i comuni<br />
di Campomorone, Recco, Arenzano, Sestri Levante, Cogoleto e, nel <strong>2010</strong>,<br />
Lavagna, Busalla e Serra Riccò, con iniziative in programma fino al<br />
26 novembre. “Mondo in Pace” ha portato a Genova oltre 70 ospiti,<br />
tra cui figure di primo piano nel panorama internazionale come Pat Patfoort,<br />
Jean Marie Muller, Giovanni Salio, Massimo Toschi, Johan Galtung. Nel corso<br />
dell’edizione appena conclusa, “Mondo in Pace” è stata anche sede del<br />
Convegno internazionale di conclusione del Decennio Onu (2001-<strong>2010</strong>)<br />
per una cultura di nonviolenza e di pace per i bambini del mondo.<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .41
42.<br />
vicenza<br />
È un’idea della cooperativa Insieme: il locale propone stili<br />
di vita alternativi. E il consumo “consapevole” di alcolici<br />
Serata al Barco,<br />
si beve con la testa<br />
Serve tempo<br />
Il tempo è creato,<br />
Per essere apprezzato,<br />
Ogni giorno passato,<br />
Mai sarà ritornato.<br />
La vita di un uomo<br />
É separata in tre,<br />
Il passato e il presente<br />
Sono sempre insieme,<br />
Un giorno che si vive<br />
Rimane indietro.<br />
Soltanto il futuro<br />
É giorno di domani<br />
E stai pensando sempre<br />
A tanti anni avanti.<br />
Io personalmente,<br />
Secondo me ci penso<br />
Quanto son contento<br />
Ogni giorno che vivo.<br />
Forse sarà paura!<br />
Io non lo so che sia,<br />
Che domani mattina<br />
Non sarò sveglio.<br />
Che cosa devo fare?<br />
Quello che posso oggi<br />
Per essere tranquillo?<br />
Per domani<br />
niente da fare.<br />
Sergio<br />
<strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
di Cristina Salviati<br />
La cooperativa “Insieme” di Vicenza, che da oltre trent'anni si occupa<br />
di riuso e riciclaggio, ha inaugurato in estate un locale molto particolare. Si chiama<br />
“Al Barco” ed è un bar dall’ambientazione molto East coast statunitense, anche<br />
se vi si coniugano i buoni sapori all’italiana con un’attenzione all’uso di alcolici tra<br />
i giovani. L’arredamento proviene tutto dal riciclo: dal bancone realizzato con vecchie<br />
porte e sportelli, alle mensole (due comodini a zampe all’aria), ai tavoli e alle<br />
sedie, tutti diversi e ritoccati con allegria. E poi ancora piatti, tazzine e bicchieri: tutto<br />
viene dall’adiacente negozio di oggetti usati. Naturalmente anche al Barco si<br />
può acquistare tutto, dal bicchiere dove si è gustata la bibita o il vino, alla tazza per<br />
il tè, alla sedia dove ci si è seduti. E poi ancora, alle pareti, opere di arte riciclata, mo-<br />
bili di eco-design, libri vecchi e antichi.<br />
Entrando al Barco si può incontrare<br />
una signora americana che d’improvviso<br />
si sente a casa ed esclama di riconoscere<br />
lo stile di San Francisco; poi si<br />
siede, apre il diario, e comincia a scrivere,<br />
mentre il marito “pestola” perché<br />
hanno tanti impegni...<br />
Bisogna bere “con la testa”<br />
L’impresa è partita da un gruppetto di<br />
soci giovani della coopertiva, gli stessi<br />
che da anni tengono incontri e laboratori<br />
nelle scuole e spesso si incrociano<br />
con i progetti “Meno alcol più gusto”<br />
della Ulss e del comune. «Prima di aprire<br />
il bar – spiega la coordinatrice, Marina<br />
Fornasier – abbiamo incontrato gli<br />
operatori del Sert per confrontarci sul<br />
servizio di educazione al gusto e al consumo<br />
che intendiamo promuovere. Ci<br />
è stato subito detto che non dovevamo<br />
rinunciare all’alcol, correndo il rischio<br />
di non vedere più nemmeno l’ombra di<br />
un ragazzo. Invece abbiamo messo in<br />
atto strategie che stimolino la riflessione.<br />
Ecco perché i comodini-mensola<br />
hanno le “zampe” all’aria: lì dentro<br />
stanno i superalcolici, ed è così che ti ritrovi<br />
se ne fai un uso sbagliato...».<br />
Ed ecco perché, anche, si è scelto di<br />
servire vini di buona qualità a un prezzo<br />
superiore: «Abbiamo riflettuto sul<br />
fatto – continua Marina – che lo spritz o<br />
il bicchiere di vino, rispetto alla bibita<br />
analcolica, costano molto meno, un incentivo<br />
sicuro al consumo di alcolici.<br />
Distribuzioni all’ingrosso consentendo,<br />
cerchiamo allora di tenere bassi i prez-
zi di succhi e bibite».<br />
Il Barco si propone quindi alla città<br />
come luogo di incontro, adatto alle<br />
chiacchiere tra amici, ma anche ai discorsi<br />
più impegnativi e, grazie allo<br />
spazio creato appositamente proprio di<br />
fianco all’entrata del locale, anche a<br />
ospitare convegni, dibattiti e spettacoli.<br />
E in settembre è partita un’intensa<br />
programmazione: mostre d'arte, serate<br />
dedicate al consumo sostenibile, sfilate<br />
di abiti usati, spettacoli comici. E<br />
persino il mercatino delle borse realizzate<br />
riutilizzando camere d'aria... .<br />
Al Barco, via Dalla Scolla 255, Vicenza -<br />
tel. 0444.51.15.62<br />
http://albarco.wordpress.com<br />
Si beve e si pensa<br />
Giovani avventori nella sala del Barco<br />
La storia<br />
Una bottiglia per Gesù<br />
<strong>scarp</strong>vicenza<br />
Ti ci imbatti per strada, sempre con quell’altro, Almirante<br />
(lo chiamo così perché somiglia tanto allo scomparso onorevole del<br />
Movimento Sociale), l’amico del cuore e di inaudite sbornie. Invece lui<br />
lo chiamo Gesù, perché i suoi lunghi capelli neri e arruffati naufragano<br />
copiosi sul suo petto con l’impeto di onde smottate, e ha la barba<br />
sporca di polvere. Quando lo incontro mi faccio il segno della croce,<br />
alla maniera ortodossa – i miei nonni erano di Skopje e mi ha battezzato<br />
un prete povero – e lui giù a ridere: «Attento – gli strillo allora –, c’è<br />
un certo Ponzio Pilato che chiede in giro di te». L’ultima volta che<br />
l’ho visto gli ho fatto una promessa: quando torno da Sofia gli porto<br />
in regalo una bottiglia di Rakia, di quella che la gente fa in casa, la più<br />
buona. Non la finiva più di farmi le feste: «Gesù, ricordati di me quando<br />
sarai nel tuo Regno», gli dico sempre scherzando. «Puoi starne certo –<br />
risponde –, ma porta la bottiglia che hai promesso». Peter Murnau<br />
Vita vissuta<br />
Babele e cena al Mezzanino<br />
Ero stanca di camminare, non avevo niente da mangiare<br />
a casa e zero soldi in tasca. Così, qualche sera fa, dopo quattro anni,<br />
sono tornata al Mezzanino (la mensa per i poveri della san Vincenzo<br />
di Vicenza, ndr). Non ricordo bene la via, vago persa senza chiedere<br />
informazioni a nessuno. Mi vergogno? Forse. Sono quasi le sei di sera,<br />
l’ora del primo turno, del pasto caldo al Mezzanino. Allungo la falcata:<br />
ecco via San Faustino, ecco la mia felicità, ed ecco i miei ricordi di<br />
quand’ero una senza dimora. Brutti e belli insieme. Arrivo. Sorridendo<br />
mi danno un tesserino nero e mi dicono di accomodarmi. La serata è<br />
fresca e con grande stupore vedo persone in cerchio di diverse razze.<br />
Sorrido a tutti, come in un bazar. Poi il buon minestrone caldo e la babele<br />
di lingue in una tavola condivisa, come il pane. Torno a casa sazia e penso<br />
a chi ha più bisogno di me. Grazie, Mezzanino. Chiara Lambrocco<br />
Sportello Donna antiviolenza<br />
Richieste di aiuto in crescita<br />
Sono 280 le richieste pervenute allo Sportello Donna, rilevate<br />
da luglio 2007 a giugno <strong>2010</strong>, con un aumento negli ultimi tempi che ha<br />
destato preoccupazione in comune, a Vicenza. I servizi sociali, insieme<br />
alla Ulss 6, hanno pertanto deciso di potenziare l’organico dello<br />
sportello, incrementandone gli operatori, e a settembre è partito un<br />
corso di formazione rivolto a psicologi e assistenti sociali volontari.<br />
Le cinquanta adesioni dicono il grande interesse e la sensibilità per<br />
il soccorso alle donne maltrattate. Per contattare lo Sportello Donna<br />
è necessario chiedere un appuntamento telefonando al settore servizi<br />
sociali e abitativi del comune di Vicenza, in contrà Mure San Rocco 34<br />
(tel. 0444.22.25.50) dal lunedì al venerdì dalle 8.30 alle 13 e il martedì<br />
e il giovedì dalle 14.30 alle 17. I colloqui si svolgono il lunedì dalle 8.30<br />
alle 10.30 e il mercoledì dalle 11 alle 13. Al di fuori degli orari, è attiva<br />
una segreteria telefonica. Le richieste di aiuto che vengono inoltrate<br />
allo sportello sono per la maggior parte relative a casi di maltrattamento<br />
(79%). L’età media delle donne che si rivolgono allo sportello è<br />
di 41 anni; in particolare, il 42% delle richieste proviene da chi ha<br />
tra i 36 e i 50 anni. Il 70% è coniugata o convive, per il 95% si tratta<br />
di donne con figli. Le italiane sono il 53%, le straniere il 47%.<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .43
44. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
rimini<br />
Certi luoghi comuni fanno breccia. Ma gli stranieri che<br />
fruiscono di alloggi pubblici, in provincia, sono meno del 5%<br />
Non ci rubano<br />
le case popolari...<br />
di Stefano Rossini<br />
I luoghi comuni sono abitudini pericolose, ma anche buoni indicatori<br />
per capire il modo in cui evolve la nostra società. Il nome viene dalla disciplina retorica,<br />
che definiva luoghi, loci o topoi, le argomentazioni da usare nei discorsi. In<br />
particolare, i luoghi comuni sono punti di vista generalmente accettabili, che rispondono<br />
a opinioni diffuse. Spesso, però, più che da una verità o da un dato di<br />
fatto, nascono dalla percezione che si ha del reale. “Gli immigrati ci rubano il lavoro”,<br />
“Gli immigrati ci portano via le case”: sono due esempi di questa tendenza.<br />
Chi mette in circolazione o riutilizza queste frasi non ha sottomano numeri, cifre<br />
o resoconti, ma sente che la presenza di migranti nella società è troppo alta, e automaticamente<br />
reputa vere le affermazioni. Che i migranti non portino via il lavo-<br />
ro, ma anzi vadano proprio a occupare<br />
quelle posizioni umili di cui nessuno<br />
oggi si vuole fare carico, è ormai informazione<br />
abbastanza diffusa. Qual è invece<br />
la situazione nel settore dell’edilizia<br />
popolare? È proprio vero che gli immigrati<br />
scavalcano i cittadini nel ricevere<br />
gli alloggi?<br />
Gli stranieri? Sono il 5 per cento<br />
Secondo i dati dell’Acer, l’Azienda case<br />
Emilia Romagna, la presenza dei migranti<br />
nell’edilizia residenziale pubblica<br />
(Erp) è andata aumentando negli anni,<br />
ma sempre rimanendo marginale rispetto<br />
alla quota “italiana”. Per fare un<br />
esempio, nel 2005, su 66 nuove assegnazioni<br />
nel riminese, 60 erano per italiani<br />
e solo 6 per stranieri. Nel 2006 sono<br />
diventate 9 contro 106, poi 23 contro<br />
141 nel 2007 e infine 14 su 79 nel 2008.<br />
In media, la presenza di stranieri nell’edilizia<br />
pubblica è poco più del 5%, dato<br />
inferiore alla presenza di migranti nel<br />
territorio: la quota di migranti rispetto<br />
alla popolazione totale della provincia<br />
di Rimini, infatti, si attesta all’8,4%.<br />
«Questo significa – afferma Franco<br />
Carboni, direttore dell’Acer Rimini –<br />
che molti immigrati, pur in condizioni<br />
di difficoltà, cercano sistemazione per<br />
conto loro. Il problema non si pone: la<br />
quota di migranti che entra nell’asse-<br />
gnazione di affitti popolari non influisce<br />
sulla presenza dei cittadini italiani».<br />
E a queste considerazioni va aggiunta<br />
quella relativa alla marea di irregolari,<br />
che non possono neanche accedere<br />
alle graduatorie e che spesso<br />
vivono in condizioni estremamente<br />
difficoltose.<br />
Punteggi alti ma poche presenze<br />
Diverso è il discorso per quanto riguarda<br />
le assegnazioni. «Le liste per accedere<br />
all’edilizia pubblica sono dinamiche<br />
– continua Carboni – e vengono aggiornate<br />
ogni sei mesi. Questo significa<br />
che se una persona si trova al terzo posto<br />
ma, prima dell’assegnazione, entra<br />
in lista una famiglia in grande difficoltà<br />
col punteggio molto alto, chi si trova al<br />
terzo posto può anche essere scavalcato<br />
e rimanere in graduatoria a lungo».<br />
É difficile fare stime. In effetti può<br />
capitare che un migrante abbia una situazione<br />
di partenza più difficoltosa e<br />
questo gli garantisca un punteggio più<br />
alto. Ciò non toglie, però, che il numero<br />
di migranti è oggi pari al 5%: nelle case<br />
popolari ci sta una famiglia straniera<br />
ogni venti italiane. «Inoltre – continua<br />
Carboni – le assegnazioni devono rispondere<br />
anche ai requisiti richiesti.<br />
Una famiglia di 5 persone, anche se pri-<br />
ma della lista, deve attendere che sia disponibile<br />
una casa della metratura adeguata.<br />
Nel caso se ne liberi una più piccola,<br />
questa viene assegnata al secondo<br />
in lista, o il terzo, e così via».<br />
Alloggi per emergenza abitativa<br />
La provincia di Rimini dispone anche di<br />
un altro servizio per chi si trova in difficoltà:<br />
l’Emergenza abitativa. Questo<br />
servizio – nato proprio a Rimini – consiste<br />
nel trovare appartamenti privati con
un anno di canone concordato. «In pratica<br />
– spiega il direttore dell’Acer – il comune<br />
fa da garante e da intermediario<br />
tra il locatario e l’affittuario. Ci sono delle<br />
liste nelle quali i proprietari possono<br />
iscriversi e poi il comune sceglie a seconda<br />
della necessità. Per le famiglie in<br />
difficoltà, il comune attua una sorta di<br />
“avviamento”, pagando la prima parte<br />
dell’affitto. Poi, in seguito, esaurirà la<br />
sua parte e l’affittuario continuerà per<br />
conto proprio». I prezzi sono un po’ più<br />
bassi di quelli del mercato, ma di poco.<br />
Siamo attorno ai 400 euro per un bilocale<br />
e un po’ di più per un trilocale.<br />
Si può supporre che in una situazione<br />
di emergenza sia più alto il numero<br />
di migranti che, appena arrivati in Italia,<br />
si trovano in grosse difficoltà. E in effetti<br />
questo è vero, ma il numero dei migranti<br />
è comunque sempre inferiore a<br />
quello delle famiglie di italiani che accedono<br />
a tale opportunità. Oggi sono<br />
222 le famiglie che usufruiscono del servizio<br />
di Emergenza abitativa. Di queste,<br />
124 sono italiane (il 55,86%) e 98 sono<br />
straniere. Numeri alla mano, dunque, il<br />
problema non si pone. .<br />
<strong>scarp</strong>rimini<br />
La campagna<br />
Conoscere la povertà e batterla<br />
“Zero poverty” entra a scuola<br />
Conoscere la povertà e l'esclusione<br />
sociale per combatterle e, soprattutto, per<br />
“cambiare punto di vista e considerare<br />
i poveri non oggetti, ma soggetti attivi<br />
delle politiche e degli interventi di<br />
solidarietà”. Sono questi gli obiettivi<br />
delle iniziative che la <strong>Caritas</strong> diocesana<br />
di Rimini promuove nell'ambito<br />
dell’Anno europeo di lotta alla povertà.<br />
«Il nostro compito – spiega il direttore,<br />
don Renzo Gradara – non è solo sfamare chi<br />
ne ha bisogno, ma educare alla carità. Ecco<br />
perché coinvolgere le parrocchie in questi progetti diventa<br />
fondamentale». «Da tempo diverse <strong>Caritas</strong> parrocchiali e interparrocchiali<br />
della provincia – aggiunge il responsabile dei progetti “Zero poverty”<br />
(campagna europea di lotta alla poverta, promossa da <strong>Caritas</strong>) della<br />
<strong>Caritas</strong> riminese, Cesare Giorgetti – sono state invitate a collaborare<br />
all’Osservatorio promosso dalla <strong>Caritas</strong> diocesana e a realizzare azioni<br />
finalizzate a conoscere e combattere, in sinergia con gli enti pubblici,<br />
le situazioni di povertà presenti nel territorio».<br />
Situazioni che anche nel Riminese sono in progressivo aumento: nei primi<br />
sei mesi del <strong>2010</strong>, infatti, si sono rivolte alla <strong>Caritas</strong> di Rimini ben 1.569<br />
persone, il 3% in più rispetto allo stesso periodo del 2009.<br />
«É la presenza degli italiani, in particolare, ad aumentare – sottolinea<br />
don Gradara –. Si tratta, perlopiù, di uomini separati e divorziati, rimasti<br />
senza casa e lavoro; di famiglie con minori, che chiedono pacchi<br />
di viveri e contributi per spese quotidiane; infine di pensionati».<br />
Tra le azioni “Zero poverty” messe in campo dalla <strong>Caritas</strong> diocesana<br />
di Rimini, c’è anche il concorso “La scuola azzera la povertà”, rivolto<br />
agli studenti delle scuole primarie e secondarie della provincia.<br />
«Una sfida educativa importante – spiega ancora Giorgetti, membro<br />
della commissione che valuterà i lavori dei ragazzi –. Occorre far capire<br />
alle nuove generazioni che l’esclusione sociale non è un destino<br />
ineluttabile, bensì un effetto di certi meccanismi sociali, economici<br />
e politici che ogni uomo ha il dovere di modificare, e lo sviluppo<br />
e la ricchezza non sono valori misurabili con parametri semplicemente<br />
monetari. Solo in questo modo saremo in grado di cambiare per davvero<br />
alcuni meccanismi perversi».<br />
Attraverso i ragazzi è possibile, dunque, immettere nelle relazioni sociali<br />
una nuova cultura della solidarietà. Per le scuole elementari il concorso<br />
avrà come oggetto la conoscenza della povertà: «Aiuteremo gli alunni<br />
a crescere nella consapevolezza che la povertà non è qualcosa<br />
di lontano, che riguarda persone che, magari, si vedono solo in tv,<br />
ma una realtà sempre più vicina a loro, che interpella il nostro modo<br />
di vivere», conclude l’operatore <strong>Caritas</strong>. Il concorso si chiuderà<br />
il 22 dicembre e prevede come premio mille euro in materiali didattici.<br />
Gli studenti delle scuole medie e superiori invece sono chiamati<br />
a elaborare un’iniziativa di lotta alla povertà: i vincitori (uno per le medie,<br />
uno per le superiori) saranno premiati con una somma di 2.250 euro,<br />
da finalizzare al finanziamento di un progetto di solidarietà concordato<br />
tra comune, provincia e <strong>Caritas</strong>. Alessandra Leardini<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .45
46. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
firenze<br />
Casa Elios: da 7 anni il centro diurno per persone sieropositive<br />
emarginate è gestito da <strong>Caritas</strong> Firenze. Una testimonianza<br />
Si barcolla<br />
e ci si rialza<br />
di una ospite di Casa Elios<br />
Casa Elios è un centro diurno <strong>Caritas</strong> di Firenze. Si trova un po’ in collina,<br />
in una villa modernamente ristrutturata, circondata da un parco alle cui estremità<br />
si estendono frutteto, vigneto e orto e diversi laboratori, che ospitano attività<br />
di ceramica, sartoria, computeristica, arte, spettacolo e scrittura.<br />
Metaforicamente è un centro ipernoioso, nel senso lato della parola, ma riesce<br />
a dare a noi ospiti grandi opportunità a livello psicologico, morale e anche materiale,<br />
mantenendo le nostre giornate vive. La casa ci invita alla condivisione dei nostri<br />
problemi, che effettivamente non sono di piccola entità, ci incoraggia tutti insieme<br />
a tenerci per mano, data l’indifferenza che noi suscitiamo all’esterno, al mondo materialista<br />
che ci ha fatto soffrire dei nostri problemi derivati da vite incontrollate e<br />
trasgressive. A volte la convivenza può<br />
essere un po’ stressante, ma riesce, comunque,<br />
a farci superare momenti in<br />
cui la nostra capacità d’autocontrollo<br />
viene a mancare, scatenando bisticci e<br />
scatti d’ira per futili motivi. Un nervosismo<br />
diffuso, che nasce dai nostri stati<br />
d’animo, molto provati e agguerriti a<br />
causa della consapevolezza di non aver<br />
potuto ancora costruirci nulla.<br />
Un luogo finalmente normale<br />
Però, grazie all’aiuto di operatori disponibili<br />
e competenti, riusciamo pian<br />
piano a sentirci capaci di arrivare alla<br />
meta, che per noi significa normalità di<br />
vita. Il fatto di avere a disposizione<br />
docce, abiti puliti, ottimi pasti abbondanti,<br />
cucinati con volontà da noi ospiti<br />
(soprattutto uno, che si sbatte come<br />
un ossesso per accontentarci tutti), riesce<br />
a farci dimenticare il disagio in cui<br />
viviamo. Non per compiacere, ma per<br />
essere veramente realista: Casa Elios è<br />
un’opportunità mica da ridere.<br />
Ma chi siamo noi? Persone che suscitano<br />
sensibilità, fiducia e credibilità<br />
davvero a pochi. Siamo italiani e stranieri<br />
e, tutti, veniamo accolti indistintamente<br />
con una solidarietà che prescinde<br />
dal lavoro stesso degli operatori.<br />
Anche noi, con quel poco che possiamo,<br />
cerchiamo di renderci disponi-<br />
bili nelle attività: chi pulisce, chi aiuta<br />
chi ha bisogno, chi fa teatro, chi scrive,<br />
e chi invece è responsabile dei settori<br />
lavorativi.<br />
C’è anche Nikita, una lupaccia dolce<br />
come il miele, che lascia peli dappertutto,<br />
ma che siamo pronti a difen-<br />
dere a tutti i costi da chi la tratterebbe<br />
male (si fa per dire, perché qui non esiste<br />
violenza né verbale né materiale);<br />
corriamo ad esempio al canile a riprenderla,<br />
se fugge dal giardino e “l’arrestano”.<br />
Una vita vissuta sul limite<br />
Non faccio il mio nome, perché non mi<br />
piace, ma dico, per non nascondere<br />
nulla, che per lunghissimi periodi sono<br />
stata tossicodipendente (poi anche<br />
alcolista), infettandomi anche con lo<br />
stramaledetto virus Hiv nel lontano<br />
1984 e diventando cittadina del Nord<br />
Europa, fino ad approdare a diverse<br />
comunità terapeutiche, da San Patrignano<br />
al Ceis, senza però mai conclu-
Curarsi, ripensarsi<br />
Due interni del centro Casa Elios<br />
dere un programma. Questo centro,<br />
però, non è come gli altri. Non ti strappa<br />
il cervello, non si fanno genogrammi<br />
Nip o psicodrammi e autoipnosi<br />
forzati: se ti va di raccontare te stesso<br />
bene, altrimenti è lo stesso, anche se il<br />
supporto psicologico non manca e soprattutto<br />
non ti fa sentire in colpa per il<br />
tuo vissuto. Hai sbagliato, punto. Ricominci<br />
con l’aiuto di farti tirare fuori il<br />
meglio di te, il buono di te, più o meno<br />
latente, perché puoi di nuovo barcollare.<br />
Io l’ho fatto. Ancora e ancora. Altri<br />
barcollano e barcolleranno, ognuno a<br />
modo suo, ma qui ti sorreggono per<br />
non farti cadere di nuovo e non ti mettono<br />
alla porta definitivamente, come<br />
fanno certe altre comunità. Ti danno<br />
una mano, ma tu la devi prendere,<br />
quella mano, se non vuoi cascare.<br />
Sempre pronti ad aiutare<br />
Da più di un anno frequento questo<br />
centro: quante ne ho combinate e<br />
quanto ho barcollato! Ma sono ancora<br />
in piedi, ancora qui insieme agli altri.<br />
Qualcuno si è perso per la via, o per<br />
proprio volere o per volere di Dio. Ma<br />
siamo sempre di più e ogni ospite che<br />
arriva è un amico che cerchiamo di<br />
aiutare, e da cui cerchiamo di farci aiutare.<br />
Sono certa che questo centro è<br />
straordinariamente utile a tutti quelli<br />
che come noi sono in balìa dei venti.<br />
Quindi che dire di più? Solo che Casa<br />
Elios continua a esistere per me, per<br />
gli altri e per quelli che verranno. .<br />
La struttura<br />
Il cinema e il giardinaggio:<br />
un centro per riprogettarsi<br />
L’esperienza di Casa Elios comincia nel 2003, come centro<br />
diurno integrato per persone sieropositive emarginate o a rischio<br />
di emarginazione. Qui vengono svolte attività ricreazionali e socializzanti<br />
(cineforum, laboratorio teatrale, attività culturali) e attività preprofessionali<br />
(giardinaggio, coltivazione di frutta autoctona della Toscana,<br />
ceramica) con persone ospiti a Casa Vittoria e con utenti esterni.<br />
La struttura è caratterizzata da un impegno riabilitativo specialistico,<br />
che stimola la cura di sè (aderenza alle terapie), cura il reinserimento<br />
sociale e lavorativo, sostiene il recupero dell’affettività e accompagna<br />
l’ospite verso il raggiungimento dell’autonomia. I progetti individuali<br />
vengono elaborati tenendo conto delle reali risorse e competenze<br />
professionali di ciascun ospite, delle sue aspettative e del contesto<br />
sociale. Le attività servono a stimolare e a valorizzare le potenzialità di<br />
ciascuno, oltre a far trascorrere il tempo in modo sereno e piacevole.<br />
Casa Elios<br />
Viale Pieraccini 20, 50141 Firenze<br />
Tel. 055.43.68.851 - fax 055.42.49.352<br />
Il mio big bang<br />
<strong>scarp</strong>firenze<br />
Adesso è il buio dentro di me! Circonda tutta me stessa!<br />
Un lampo illumina la mia realtà…<br />
Colgo anomale immagini di diavoli arrabbiati e angeli con gli artigli.<br />
Mi sento assalita da loro, che mi trascinano attraverso porte enormi,<br />
in androni senza fine dove scorgo serpenti attorcigliati<br />
che cercano di attaccarmi con le loro lingue biforcute.<br />
È pazzia la mia? Pazzia degli orrori!<br />
Una paura indefinibile fa sprofondare il mio subconscio<br />
nel vuoto dell’analisi della mia vita,<br />
sprecata per una folle corsa verso l’impossibile.<br />
Un altro lampo accende di nuovo il buio della mia mente<br />
che si ribella, urla e si destreggia con l’abilità<br />
di una vita vissuta davvero.<br />
I diavoli arrabbiati e gli angeli senza volto lottano contro di me<br />
per farmi conquistare dai serpenti biforcuti.<br />
È una lotta estrema, senza tregua, dove io protagonista indiscussa<br />
combatto impugnando una grossa spada di nome Razionalità.<br />
La sento pesante, ma diventa leggera e invincibile fra le mie mani.<br />
Per un attimo vacillo, ma i miei occhi di ghiaccio<br />
paralizzano gli esseri infami che vedo fluttuare lentamente<br />
nel maledetto buio dal quale io cerco sempre più di allontanarmi.<br />
Forse li ho sconfitti, ma li sento ancora in agguato nel buio<br />
in attesa che io perda quella piccola luce<br />
in cui è posto il mio autocontrollo, che mi da vita, forza ed energia.<br />
Ora respiro… respiro a fatica!<br />
La battaglia è stata all’ultimo sangue<br />
e ha lasciato le mie membra stanche!<br />
La paura è tanta, ma la luce la vedo, la voglio vedere!<br />
Riuscirò a tenerli lontani? E te con loro!<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .47
48. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
napoli<br />
Da 18 anni i volontari di “Figli in Famiglia” lottano per cambiare<br />
un quartiere difficile. Salvatore ce l’ha fatta: oggi è un attore<br />
Un’Oasi di speranza<br />
per San Giovanni<br />
di Laura Guerra<br />
San Giovanni a Teduccio, ex zona industriale di Napoli. Un quartiere<br />
che morde la crisi, stretto com’è fra le difficoltà sociali della periferia e le prepotenze<br />
dei clan della camorra. Qui, giorno dopo giorno, da oltre 18 anni lavorano operatori<br />
e volontari dell’associazione “Figli in Famiglia”, che offrono a bambini e ragazzi<br />
in difficoltà prima accoglienza e ascolto. È un luogo dove poter stare, fare i<br />
compiti, giocare, frequentare laboratori in cui si impara a realizzare ceramiche, presepi<br />
artistici, cornici di pregio. Si interviene sui più piccoli ma poi, inevitabilmente,<br />
si incontrano e si supportano le famiglie, che raccontano storie di droga, carcere,<br />
violenza, nel migliore dei casi di incapacità di offrirsi come modello positivo ai<br />
figli. Fondatori, e anime di “Figli in famiglia”, sono Carmela Manco e don Gaetano<br />
Romano: circondati da tanti ex ragazzi<br />
diventati adulti al loro fianco, oggi alimentano<br />
le attività di una “famiglia”,<br />
che accompagna altre famiglie. I problemi<br />
Agorà, una piazza aperta a tutti<br />
Da quest’estate per incontrarsi, divertirsi<br />
e giocare c’è un nuovo spazio, l’Agorà<br />
nell’Oasi, piccolo parco multifunzionale,<br />
progettato e recuperato dall’associazione<br />
“Figli in Famiglia”. È stato<br />
inaugurato grazie al sostegno della Fondazione<br />
“Cannavaro-Ferrara”. Comprende<br />
un angolo giochi per i più piccoli,<br />
con scivoli, giostrine girevoli e altri<br />
É una vita infernale<br />
Non se ne può più<br />
Un problema dopo l’altro<br />
Ti va fuori la capa<br />
Macchè imbecille<br />
Non riesci a capire la vita<br />
La vita è<br />
un mare di problemi<br />
Il nuotarci sopra<br />
e non affogare<br />
Questo è il bello<br />
della vita<br />
Ciao Ciao<br />
Ti saluto<br />
e ti consiglio<br />
nuota, nuota<br />
sarai stanco<br />
Ma non avrai<br />
problemi.<br />
Ambrogio<br />
“Figli in famiglia”:<br />
un aiuto concreto<br />
“Figli in Famiglia” è una onlus<br />
nata nei primi anni Ottanta<br />
dall’impegno di alcuni giovani, che<br />
decisero di raccogliere le pressanti<br />
esigenze del quartiere di San<br />
Giovanni a Teduccio. Si trovarono<br />
a dover affrontare le drammatiche<br />
esperienze di degrado ambientale<br />
e sociale, in cui vivevano numerosi<br />
bambini e le loro famiglie.<br />
Il 4 marzo 1993 il gruppo<br />
si è costituito in associazione<br />
e ha continuato il suo cammino,<br />
sempre volgendo la sua attenzione<br />
alle famiglie multiproblematiche<br />
della città, promuovendone lo<br />
sviluppo sia culturale che sociale.<br />
Uno degli scopi dell’organizzazione<br />
è formare e orientare i minori<br />
alla convivenza civile, creando<br />
situazioni in grado di allontanarli<br />
dalla strada. L’organizzazione si<br />
pone come punto di riferimento<br />
nei confronti di genitori e figli,<br />
allo scopo di ristabilire i rapporti<br />
all’interno della famiglia, tra la<br />
famiglia e la scuola, tra la famiglia<br />
e la società e tra i giovani<br />
e il mondo del lavoro onesto<br />
e legale. L’obiettivo è sostenere<br />
l’individuo nella crescita e<br />
nella riscoperta della propria<br />
dignità, aiutiandolo a vedere<br />
modelli di vita alternativi a quelli<br />
che l’ambiente che lo circonda<br />
gli propone e restituendogli<br />
la possibilità di scegliere il proprio<br />
“progetto di vita”.
giochi; ci sono un campo bocce per i più<br />
grandi; quattro gazebo per genitori e un<br />
palcoscenico attrezzato per ospitare serate<br />
musicali e spettacoli teatrali.<br />
Utenti in costante crescita<br />
Si tratta di mille e duecento metri quadrati<br />
racchiusi in un paesaggio post-industriale,<br />
all’interno di uno stabilimento<br />
dismesso, dove verranno svolte numerose<br />
iniziative, dai laboratori artistico-artigianali<br />
ad attività sportive,<br />
dall’utilizzo di aree gioco all’organizzazione<br />
di feste e manifestazioni, dal cineforum<br />
al caffè letterario. La ristrutturazione<br />
dello spazio dell’Agorà permetterà<br />
all’associazione di raddoppiare il<br />
numero di utenti coinvolti nelle sue attività<br />
sociali, passando dai 500 ai mille<br />
giovani.<br />
Salvatore Presutto, 22 anni, giovane<br />
promessa del teatro napoletano, nato<br />
proprio a San Giovanni e “cresciuto”<br />
nell’associazione, ha un’ambizione: diventare<br />
attore professionista. É un desiderio<br />
superiore al destino dell’essere<br />
nato in un ambiente contiguo alla camorra.<br />
La sera dell’inaugurazione dell’Agorà<br />
ha recitato ’A livella di Totò e poi,<br />
con la stessa bravura messa nella sua<br />
prova d’attore, ha voluto fare un appello<br />
che è diventato il manifesto-ricordo<br />
della serata.<br />
Un’Agorà contro il degrado<br />
Un momento dell’inaugurazione<br />
dei nuovi spazi dentro l’Oasi.<br />
A sinistra, in basso, Salvatore Presutto<br />
«Questo spazio. Questo palco. Questo<br />
luogo. Sentiamolo nostro – ha scritto<br />
Salvatore –. Dobbiamo essere la risposta<br />
alla criminalità su tutti i fronti: ci<br />
sono persone a San Giovanni che sono<br />
buonissime e ti possono insegnare tanto,<br />
ma non lo fanno perché il quartiere ti<br />
porta su logiche sbagliate. Io sono orgo-<br />
Un grande sogno in allestimento<br />
già ospita la Scuola d’arte napoletana<br />
L’Oasi è un sogno. Un sogno che, lentamente, si sta realizzando. Si tratta<br />
di un progetto avviato nel 2002, con l’acquisizione di una parte (4 mila metri<br />
quadri) di quella che fu l’area industriale Seva di via Imparato, al fine di<br />
trasformarla in un centro polifunzionale. All’interno dell’Oasi troveranno posto<br />
alcune delle numerose attività realizzate dall’associazione, ma anche nuove<br />
attività, che contribuiranno a cambiare il modo di vivere dei cittadini della<br />
sesta municipalità. Attualmente nella struttura sono già state attivate<br />
quattro sezioni della Scuola d’arte napoletana (San) e la palestra; entro<br />
breve sarà inaugurata la bouvette. È prevista anche la realizzazione di altre<br />
cinque sezioni della San: ceramica, taglio e cucito, oreficeria, musicale e<br />
cucina della tradizione. E ancora: sei sale serviranno per i laboratori dedicati<br />
a ragazzi e bambini, cinque aule per la formazione, uno spazio verrà destinato<br />
a diventare il punto vendita dei prodotti realizzati all’interno dei laboratori<br />
della San, un salone polivalente ospiterà convegni, manifestazioni ed eventi,<br />
uno spazio aperto attrezzato eventi e manifestazioni. A tutto ciò si<br />
aggiungeranno gli uffici amministrativi e di direzione.<br />
<strong>scarp</strong>napoli<br />
glioso di essere di San Giovanni. Un orgoglio<br />
che dovremmo sentire tutti. Basterebbe<br />
poco, basterebbe impegnarsi<br />
singolarmente per ottenere il bene di<br />
tutti. Prendiamo il quartiere, questo<br />
quartiere così bistrattato e considerato<br />
male: se ognuno di noi avesse rispetto<br />
delle cose che ci sono, già si abbasserebbero<br />
i fenomeni di vandalismo. Io<br />
avevo un sogno: quello di fare l’attore,<br />
un sogno partito dalle quinte dell’Agorà.<br />
E che sta diventando realtà»..<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .49
Con il contributo di IED
Uno straniero attorno ai 40. Morto a Spaccanapoli, a fine<br />
agosto. Nell’indifferenza di tutti. Tranne due animali bianchi...<br />
Vicini vicini (a Tyson)<br />
eppure lontanissimi<br />
di Bruno Limone<br />
La morte di un barbone non interessa nessuno.<br />
E non fa notizia. Infatti il povero “Tyson”, trovato ai giardinetti<br />
di Santa Chiara, nel cuore del centro antico, nel suo<br />
sacco a pelo, morto da ben quattro giorni, ha meritato solo<br />
un trafiletto in prima pagina il mattino seguente. Poi più<br />
nulla. Io però da lì attorno ci passo sempre, ci vivo, e vedo<br />
ogni giorno quello che provano i suoi amici. Amici? Giovani senza casa e senza<br />
testa, lì a strimpellare una chitarra scordata per rimediare un cartone di pessimo<br />
vino e un tiro di erba di chissà quale prato. Giovani dementi, che per quattro giorni<br />
(e quattro notti) non si chiedono: «Ma che fa Tyson in quel sacco? Non man-<br />
gia? Non beve? Non…?». No, nessuno<br />
lo ha fatto.<br />
E così, sapete chi l’ha trovato quel<br />
pover’uomo? Una papera. Sì una papera<br />
bianca, Sacha, che – degna erede delle<br />
sue antenate del Campidoglio – ha<br />
iniziato a starnazzare richiamando l’attenzione<br />
del suo amico Pinter, un bel<br />
pastore bianco, che s’è messo ad abbaiare.<br />
E finalmente gli storditi hanno<br />
cominciato a pensare che forse c’era<br />
qualcosa che non andava dalle parti di<br />
quel sacco a pelo. Raccapricciante...<br />
Quei giardinetti sono lunghi una<br />
ventina di passi e larghi non più di un<br />
palmo. Stavano quindi tutti vicini vicini,<br />
ma lontanissimi, come tutti oggi,<br />
barboni e non. Meno male che c’erano<br />
due animali bianchi, l’unica nota chiara<br />
in questa storia nera. Di più, sporca.<br />
Utenti in costante crescita<br />
Morire in solitudine in pieno centro<br />
storico, dunque. È accaduto lo scorso<br />
22 agosto, a un uomo che gli esperti,<br />
chiamati sul posto a esaminare e ad<br />
archiviare prontamente il caso, hanno<br />
definito “extracomunitario dall’apparente<br />
età di 40 anni”, burocratica formula<br />
usata per chiudere la faccenda.<br />
Vagabondo di passaggio fra le strade<br />
di Spaccanapoli, era stato soprannominato<br />
“Tyson” per la sua figura im-<br />
I migliori amici dell’uomo<br />
A sinistra gli eroi di questa storia:<br />
la papera Sacha e il cane Pinter.<br />
ponente, anche se non era una<br />
presenza abituale nel gruppo dei<br />
clochard che stazionano da quelle<br />
parti. Nessuno sapeva il suo nome,<br />
senza nome è morto. Nella calura<br />
e nell’indifferenza agostana..<br />
<strong>scarp</strong>napoli<br />
Il ricordo<br />
Totò, principe amico del popolo<br />
Mi piace ricordare Totò: pur essendo un principe,<br />
quando si è avventurato a fare i film, neanche lui sapeva di avere<br />
tanta comicità. Penso che abbia studiato tante persone del popolo<br />
e da queste ha tratto aneddoti che, poi, messi insieme al suo<br />
personaggio, sono divenute delle gag uniche. Lui era una persona<br />
umile e tante distanze da principe non le ha mai avute. Era molto<br />
intelligente, e come molti uomini del mondo dello spettacolo era<br />
molto impegnato. Anche la figlia lo ricorda sempre come attore,<br />
né come principe né come padre. A un certo punto della sua vita<br />
ha composto una canzone, Malafemmina, che è diventata il ritratto<br />
della donna che lui ha sempre immaginato. Io penso che lui abbia<br />
voluto dedicare questa canzone a una donna bella; non una donna<br />
spregiudicata, ma una donna così bella da non poter mai appartenere<br />
a lui. “Malafemmina” è una canzone che racconta tutta la sofferenza<br />
che un uomo prova quando ha una delusione d’amore. Totò è stato<br />
anche un convinto sostenitore di una verità: gli uomini sono tutti<br />
uguali, come afferma nella Livella, poesia in cui argomenta che re e<br />
nobiluomini di fronte alla morte sono uguali a un netturbino. Perché,<br />
appunto, la “Signora con la falce” mette tutti sullo stesso piano.<br />
Ora sono passati 43 anni dalla sua morte, e continuano le iniziative<br />
per ricordare la sua persona e la sua arte. Fra queste un film<br />
e un libro. Il film documentario si intitola Omaggio a Totò, maschera<br />
principe e poeta, è stato ideato e firmato dal regista Arnaldo Ninchi<br />
e presentato a Napoli nella basilica di Santa Maria della Sanità.<br />
Il libro invece si intitola Malafemmina: scritto dalla figlia del grande<br />
comico, Liliana De’ Curtis, insieme a Matilde Amoroso, sta<br />
riscuotendo grande successo in un pubblico di fan affezionati.<br />
Antonio Pirozzi<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .51
52. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
catania<br />
Monica Felloni, regista teatrale, lavora con attori diversamente<br />
abili: «Sul palcoscenico la diversità di ognuno diviene ricchezza»<br />
Diversi in scena,<br />
attori per sempre<br />
di Grazia Di Stefano<br />
«Tutto è nato da un’esigenza, ma anche per curiosità». Così risponde<br />
la catanese Monica Felloni alla domanda sugli inizi della sua esperienza di<br />
regista. E regista che ha fatto una scelta non usuale: lavora, infatti, con ragazzi diversamente<br />
abili ed è stata fondatrice dell’associazione culturale “Neon” insieme<br />
al marito, Piero Ristagno. «Abbiamo esordito nel lontano 1989 – ricorda Monica<br />
–, mettendo in scena uno spettacolo realizzato insieme a persone sordomute.<br />
Ero rimasta incantata e incuriosita dal loro modo di esprimersi con le ma-<br />
ni e dai loro silenzi». Mi accorgo che<br />
Monica fa sul serio: è una persona che<br />
quando parla trasmette una certa sensibilità.<br />
Che emozioni hai provato entrando<br />
nel mondo della disabilità?”<br />
Il piacere di conoscere le persone per<br />
davvero. Piero e io abbiamo incontrato<br />
molte persone diversamente abili, e<br />
sempre siamo stati accolti. Inoltre abbiamo<br />
scoperto nuovi linguaggi e modi<br />
di espressione delle emozioni.<br />
Quando si va in scena la diversità che<br />
ognuno possiede diventa una ricchezza<br />
da mettere in comune.<br />
Puoi farmi un esempio?<br />
Anche il tuo modo di parlare (questa<br />
volta è Piero a rispondere) è particolare.<br />
Questo può diventaree un problema<br />
se qualcuno lo considera una differenza<br />
da correggere o eliminare. Invece<br />
è una tua peculiarità e non va nascosta<br />
o corretta, ma portata in scena<br />
così com’è.<br />
Come reagiscono i ragazzi all’esperienza<br />
del teatro?<br />
Per molti è diventato un vero motivo<br />
di vita. Ma è normale: gli attori, in generale,<br />
si sentono sempre importanti<br />
e riescono a creare un legame tra noi,<br />
loro e il pubblico.<br />
In che cosa vi sentite arricchiti grazie<br />
a questo lavoro?<br />
Abbiamo acquistato una leggerezza<br />
nell’affrontare i piccoli e grandi problemi<br />
che la vita ci mette davanti tutti<br />
i giorni, ma anche una nuova necessità:<br />
abbiamo bisogno di queste persone.<br />
È come avere fame, è un’esigenza<br />
da soddisfare.<br />
Come vi muovete dal punto di vista<br />
organizzativo?<br />
In genere sono le associazioni per i disabili<br />
a contattarci. Da un punto di vista<br />
artistico lo spettacolo viene fuori<br />
solo dopo aver incontrato e conosciuto<br />
i ragazzi. Nulla è stabilito a priori:<br />
tutto dipende dalle loro pecularità e da<br />
quello che si sentono pronti a fare. È<br />
così che si sceglie cosa portare in scena<br />
. Ecco perchè i nostri spettacoli sono<br />
sempre perfetti.<br />
E come reagisce il pubblico?<br />
Con trasporto, è coinvolto. L’ultimo<br />
spettacolo che abbiamo portato in scena<br />
è stato realizzato con i ragazzi dell’Oda<br />
(Opera diocesana di assistenza).<br />
Alla fine il pubblico era felice.<br />
E dopo la messa in scena cosa succede?<br />
Per i ragazzi l’esperienza finisce<br />
lì?<br />
No, il legame che si è creato non finisce<br />
mai. Quando sali su un palco sei<br />
attore per sempre .<br />
Teatro, motivo di vita<br />
Saluti al pubblico dopo uno spettacolo<br />
messo in scena dall’associazione “Neon”
Barakat e le api,<br />
incontro di Fortuna<br />
Quando si dice: baciati dalla<br />
fortuna. Questa volta la fortuna<br />
è arrivata con le sembianze di una<br />
donna eritrea, il cui nome è appunto<br />
Fortuna. Bene integrata a Catania,<br />
dove vive e lavora da diversi anni,<br />
ha conosciuto Antonio Coco,<br />
apicoltore, ed è diventa il tramite di<br />
un “fortunato” incontro tra Barakat,<br />
suo connazionale, e Antonio.<br />
Li ha messi in contatto circa un<br />
anno fa, quando Antonio era alla<br />
ricerca di qualcuno che lo aiutasse<br />
per una collaborazione parziale.<br />
Avendo preso a cuore lo stato<br />
di sofferenza psicologica<br />
e di estrema povertà in cui versava<br />
Barakat, e avendo capito che si<br />
tratta di una persona onesta e<br />
piena di buona volontà, Antonio<br />
ha iniziato ad aiutarlo procurandogli<br />
piccoli lavori, in alcune aziende<br />
agricole della zona, in attesa<br />
di poterlo prendere a lavorare<br />
con sé a tempo pieno. Barakat<br />
è scappato dall’Eritrea in guerra,<br />
dove era costretto a fare il soldato,<br />
ed è sbarcato clandestinamente<br />
in Sicilia dopo mille peripezie e tanti<br />
rischi. Al suo arrivo aveva trovato<br />
accoglienza alla <strong>Caritas</strong> di Catania,<br />
che gli aveva offerto, per tre mesi,<br />
un letto al dormitorio maschile<br />
e un pasto alla mensa. Privo di<br />
documenti, aveva in tasca solo un<br />
permesso di soggiorno temporaneo<br />
che la questura rilascia ai rifugiati<br />
politici. Oggi invece ha la carta<br />
d’identità, il codice fiscale e<br />
il permesso di guidare in Italia.<br />
È inserito in “Claim”, progetto nato<br />
per favorire l’integrazione lavorativa<br />
e sociale degli immigrati; sta<br />
facendo tirocinio nell’azienda<br />
di Antonio e percepisce un piccolo<br />
stipendio. Antonio lo ha ospitato per<br />
circa sei mesi nella sua casa,<br />
aiutandolo poi a trovare l’alloggio<br />
dove ora Barakat vive. La serenità<br />
è tornata nella sua vita: «Sono<br />
contento, sto imparando un<br />
mestiere difficile, a volte faticoso.<br />
Ma è così bello lavorare immerso<br />
nella natura!».<br />
Sissi Geraci<br />
<strong>scarp</strong>catania<br />
Al lido Don Bosco<br />
Anfass e “Manualmente”,<br />
vendita e sorrisi in riva al mare<br />
Quest’estate sono stata invitata a visitare un mercatino<br />
che si è tenuto al lido Don Bosco, un ostello colonia nella zona balneare di<br />
Catania. Il mercatino è stato organizzato dall’Anffas (Associazione nazionale<br />
famiglie di persone con disabilità), formata da familiari, parenti, amici di<br />
persone con disabilità. Vicino all’accesso al mare, lungo la spiaggia e tra<br />
gli ombrelloni, era allestito un banchetto con cappellini di diversi colori,<br />
borse con perline dai tessuti più disparati, t-shirt con disegni psichedelici,<br />
tovaglie pitturate a mano… I manufatti sono stati realizzati da chi frequenta<br />
“Manualmente”, un laboratorio tessile, nato circa due anni fa grazie<br />
all’esperienza sartoriale di Tania Nicosia e al supporto psicologico<br />
della dottoressa Paola Carli. I ragazzi sono coinvolti in tutte le fasi<br />
della lavorazione: sono loro a scegliere le stoffe che vengono comprate<br />
al mercato oppure regalate, e così le perline, i nastrini, tutto ciò che serve<br />
in una sartoria. “Manualmente” non è solo lavoro, ma anche relazione.<br />
«Lavorare in gruppo – spiega paola Carli – significa che ognuno di noi fa<br />
una parte del lavoro e questo vuol dire riconoscere ciò che ha fatto l’altro e<br />
i tempi degli altri, e imparare a stare meglio con gli altri».<br />
Il mio cicerone durante la visita è stata Maria, utente del centro, sorriso<br />
solare stampato in faccia. Mi ha mostrato gli oggetti fatti da lei, il metodo<br />
che utilizza per attaccare le perle sulle borse, i disegni a punto croce. Tutto<br />
ciò è stato possibile grazie alla disponibilità del Lido Don Bosco, che da<br />
trent’anni ospita l’associazione. Le idee, al responsabile salesiano, don Luigi<br />
Balestrieri, non mancano. Sta addirittura pensando di costruire una piscina<br />
per disabili, per dare la possibilità a chi non può nuotare in mare di fare il<br />
bagno, e offrire al contempo un prezioso strumento di riabilitazione.<br />
«I risultati del laboratorio sono stati assai positivi – si compiace Carlo<br />
Monteleone, direttore sanitario dell’Anffas –. E il mercatino, grazie alla<br />
disponibilità dei salesiani, ha dimostrato che le persone con difficoltà<br />
possono inserirsi normalmente nella città». Al lido l’Anffas per la prima volta<br />
ha portato i manufatti del laboratorio all’esterno dei propri circuiti:<br />
il risultato è stato eccezionale, i prodotti hanno attirato l’attenzione dei<br />
villeggianti. Sicuramente l’esperienza sarà ripetuta; nel frattempo si sta già<br />
pensando a cosa realizzare nel periodo natalizio. Lorena Cannizzaro<br />
La fortuna è dolce come il miele<br />
Antonio e Barakat insieme al lavoro<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .53
palermo<br />
Sono passati 17 anni dall’omicidio mafioso di padre Pino<br />
Puglisi, parroco di Brancaccio. La città onesta non dimentica<br />
Ricordo di “3P”<br />
martire del Vangelo<br />
di Rossella Russello<br />
Palermo si è stretta nel ricordo di don Pino Puglisi, il sacerdote che diciassette<br />
anni fa fu ucciso per ordine dei boss di Brancaccio. «Me l’aspettavo»: furono<br />
le ultime parole pronunciate con un filo di voce da padre Pino Puglisi davanti<br />
alla pistola impugnata da Giuseppe Grigoli. Era la sera del 15 settembre 1993, don<br />
Pino fu ucciso sotto casa, in piazzale Anita Garibaldi, nel giorno in cui compiva 56<br />
anni. La sua attività pastorale – come è stato ricostruito anche dalle inchieste giudiziarie<br />
– ha costituito il movente dell’omicidio. I killer erano attesi dal sacerdote,<br />
che era perfettamente consapevole del pericolo al quale si era esposto, con la sua<br />
azione di recupero dei giovani del quartiere, sottratti al dominio del clan dei Graviano.<br />
Gli esecutori e i mandanti mafiosi sono stati condannati con sentenze de-<br />
finitive. Ma fu proprio l’opera di rigenerazione<br />
delle coscienze, e di affermazione<br />
della legalità, che decretò la<br />
condanna a morte di don Pino Puglisi, La vita<br />
divenuto fin da subito il simbolo dell’impegno<br />
sociale della chiesa in un territorio<br />
controllato dalla mafia.<br />
Una vita per i giovani<br />
Don Giuseppe Puglisi (nella foto) era<br />
nato nella borgata palermitana di<br />
Brancaccio il 15 settembre 1937. Entrato<br />
nel seminario diocesano di Palermo<br />
nel 1953, era stato ordinato sacerdote<br />
dal cardinale Ernesto Ruffini il 2 luglio<br />
1960. Sin dai primi anni aveva seguito<br />
in particolare i giovani e si era interessato<br />
delle problematiche sociali dei<br />
quartieri emarginati della città. Il 9 agosto<br />
1978 era stato nominato pro-rettore<br />
del seminario minore di Palermo e<br />
l’anno seguente scelto dall’arcivescovo<br />
Salvatore Pappalardo come direttore<br />
del Centro diocesano vocazioni. Agli<br />
studenti e ai giovani del Centro diocesano<br />
vocazioni aveva dedicato con passione<br />
lunghi anni, realizzando, attraverso<br />
una serie di “campi scuola“, un<br />
percorso formativo esemplare dal punto<br />
di vista pedagogico e cristiano.<br />
Padre Puglisi era stato nominato<br />
parroco della chiesa di San Gaetano, a<br />
Brancaccio, il 29 settembre 1990. Nel<br />
54. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
Vorrei vivere libero,<br />
senza regole,<br />
senza giudizi.<br />
Vorrei essere me stesso<br />
con tutti,<br />
ma mi accorgo<br />
che è la vita<br />
che comanda<br />
su ognuno di noi.<br />
È la vita che decide<br />
come noi<br />
dobbiamo vivere.<br />
Peccato<br />
che l’uomo<br />
non si accorge<br />
di aver distrutto<br />
ciò che di unico<br />
Dio ci ha donato:<br />
la vita!<br />
Piero<br />
gennaio 1993<br />
aveva aperto<br />
il centro “Padre<br />
Nostro”,<br />
diventato in<br />
breve punto<br />
di riferimento<br />
per i giovani<br />
e le famiglie<br />
del quartiere.<br />
Aiutato<br />
anche da un<br />
gruppo di religiose,<br />
aveva avviato una collaborazione<br />
con i laici dell’associazione Intercondominiale<br />
per rivendicare i diritti<br />
civili nella borgata, denunciando collusioni<br />
e malaffari e subendo minacce e<br />
intimidazioni.<br />
Un santo, un esempio<br />
Il suo omicidio è dunque maturato come<br />
effetto dei grandi risultati che aveva<br />
ottenuto grazie all’opera di recupero<br />
dei giovani di Brancaccio, uno dei quartieri<br />
più disagiati e a maggior densità<br />
mafiosa di Palermo. Nel 1999 il cardinale<br />
De Giorgi ha aperto la causa di<br />
beatificazione di don Puglisi, proclamandolo<br />
“servo di Dio”. La prima fase<br />
del processo si è conclusa nel 2001; da<br />
allora il fascicolo è all’esame della Congregazione<br />
per le cause dei santi in Vaticano.<br />
«In questa nostra terra di Sicilia<br />
– scrivono le associazioni nella lettera<br />
inviata al segretario di Stato Tarcisio<br />
Bertone – il riconoscimento ecclesiale<br />
di questo martirio ha valore di segno e<br />
costituisce una svolta verso una pietà<br />
popolare orientata alla esemplarità<br />
evangelica».<br />
Dopo 17 anni la memoria e il coraggio<br />
del parroco di Brancaccio sono sta-
ti nuovamente ricordati da Palermo. Il<br />
14 settembre per le strade del quartiere<br />
una fiaccolata ha commemorato l’opera<br />
e l’esempio di “3P” (padre Pino Puglisi),<br />
il nomignolo con cui il pastore era<br />
conosciuto dagli amici, muovendosi<br />
dalla parrocchia San Gaetano fino al<br />
luogo dell’omicidio, in piazza Anita Garibaldi.<br />
E nella giornata dell’anniversario<br />
nella cattedrale di Palermo si è svolta<br />
una messa solenne, presieduta dal<br />
cardinale Salvatore De Giorgi.<br />
La salma di don Pino è tumulata<br />
nel cimitero di Sant’Orsola, nella cappella<br />
di Sant’Euno, di proprietà dell’omonima<br />
confraternita laicale. Nel ricordo<br />
del suo impegno, innumerevoli<br />
sono le scuole, i centri sociali, le strutture<br />
sportive, le strade e le piazze a lui<br />
intitolate a Palermo, in tutta la Sicilia,<br />
in Italia. Commemorazioni e iniziative<br />
si sono tenute dagli Stati Uniti al<br />
Congo all’Australia.<br />
La sua vita e la sua morte, d’altronde,<br />
hanno costituito testimonianze<br />
esemplari e hanno disvelato la malvagità<br />
e l’assoluta incompatibilità della<br />
mafia con il messaggio evangelico.<br />
Questo perché, come scrisse papa Giovanni<br />
Paolo II, «il credente che abbia<br />
preso in seria considerazione la propria<br />
vocazione cristiana, per la quale il martirio<br />
è una possibilità annunciata già<br />
nella rivelazione, non può escludere<br />
questa prospettiva dal proprio orizzonte<br />
di vita. I duemila anni dalla nascita di<br />
Cristo sono segnati dalla persistente testimonianza<br />
dei martiri». Quella di don<br />
Puglisi rimarrà a lungo nei cuori e nelle<br />
menti dei palermitani onesti. .<br />
<strong>scarp</strong>palermo<br />
La storia<br />
Sogno il sei al Superenalotto:<br />
se vinco impazzisco. O forse no<br />
Tutti pazzi, ma soprattutto tutti uguali di fronte al jackpot<br />
del Superenalotto. Dall’alto dei suoi 136 milioni di euro, il gigante Sisal<br />
non fa distinzioni etniche, politiche, sociali e di sesso. Siamo in tanti<br />
a tentare di centrare la sestina. Forse troppi. Da tempo sono in attesa<br />
della vincita fortunata. Da anni continuo a sognare: lotto, superenalotto,<br />
gratta e vinci sono diventati un mezzo per realizzare i sogni, qualcosa<br />
che ti aiuta a vivere meglio, ad avere la speranza in un futuro migliore.<br />
Al Superenalotto giocano tutti, perché il sogno di ricchezza non conosce<br />
né confini né condizioni sociali. C’è chi, come me, gioca piccole cifre,<br />
in attesa della grande svolta che, molto probabilmente, non verrà mai.<br />
E chi invece gioca per sfidare sempre più la vita e per potere un giorno,<br />
chissà, ricevere un’inaspettata sorpresa. Del resto chi non ci proverebbe<br />
per un solo euro? A volte, però, questo euro può creare dipendenza: per<br />
alcuni rimane sempre un gioco, per altri mi accorgo che non è più così.<br />
Io passo giornate intere in una ricevitoria (ormai il proprietario è diventato<br />
un mio amico), osservo le persone e cerco di capire come mai siamo tutti<br />
pazzi per un gioco così stupido. La risposta è ovvia: voglia di ricchezza<br />
e desiderio di fare una vita comoda e semplice. Ho notato che i meno<br />
interessati a sestine e sistemi sono i cinesi, più attratti da altri giochi, con<br />
vincite magari minori, ma dall’incasso immediato. Loro sono sempre furbi.<br />
Comunque il jackpot resta un bottino che fa gola al mondo intero,<br />
considerato che, al momento, quello messo in palio dal concorso più<br />
amato d’Italia rappresenta il più alto montepremi planetario. Francesi,<br />
austriaci, sloveni e croati, turisti in vacanza nella nostra città d’arte<br />
tra un monumento, un piatto di pasta e un buon caffè li vedo entrare nelle<br />
ricevitorie e marcare sei numeri su una schedina. Anche per loro il viaggio<br />
di piacere potrebbe diventare il sogno di una vita. Osservo, osservo,<br />
osservo le giocate effettuate in un giorno dai più svariati soggetti,<br />
sono veramente tante. Allora mi accorgo che per ora vince solo lo stato,<br />
è lui che si sta prendendo gioco di noi. E noi, stupidi mortali, continuiamo<br />
imperterriti a spendere invano i nostri pochi soldi.<br />
Se vincessi tutti quei soldi impazzirei, non saprei come gestirli. O forse sì.<br />
Come prima cosa comprerei una casa,<br />
per vivere tranquillamente la mia<br />
vecchiaia. O forse no. Lascerei<br />
Palermo per viaggiare, ma non conosco<br />
le lingue, non potrei comunicare e<br />
questo mi darebbe fastidio. No, non<br />
lascerei mai Palermo, tanto meno se<br />
diventassi ricco (mi fa ridere questa<br />
frase: «Diventare ricco»). Continuerei a<br />
vivere qui, probabilmente a fare la<br />
solita vita, magari un po’ più rilassato,<br />
con meno pensieri.<br />
Sarebbe un colpo grosso con una<br />
schedina di un solo euro vincerne<br />
136 milioni. Chissà che la dea bendata<br />
decida di baciarmi, alla prossima<br />
estrazione… Solo un euro, per<br />
cambiare la mia vita...<br />
Michele<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .55
La neve<br />
Vorrei abitare<br />
in un villaggio dove,<br />
da <strong>ottobre</strong> a maggio,<br />
la neve ricopra<br />
ogni cosa.<br />
Vorrei vivere<br />
con un grande<br />
cane peloso<br />
e fare insieme<br />
lunghe passeggiate<br />
sui sentieri<br />
ricoperti di neve.<br />
La neve mi piace,<br />
la neve mi colma,<br />
la neve mi disseta,<br />
la neve mi cura.<br />
La neve è bianca come<br />
la distrofia corneale<br />
che mi fa vedere,<br />
all’alba, il mondo<br />
bianco come il latte<br />
Silvia Giavarotti<br />
56 56. . <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
Nel mio<br />
giardino<br />
Mi piaci quando<br />
ti addormenti piano<br />
i tuoi riccioli<br />
appena appoggiati<br />
su una federa pulita<br />
mi piaci quando<br />
ti addormenti piani<br />
le tue labbra sottili,<br />
invisibili quando parli<br />
mi piaci quando<br />
ti addormenti piano<br />
l’elemosina che fai<br />
alla notte, che ti istiga<br />
come tori nell’arena<br />
mi piace quando<br />
ti addormenti piano<br />
pensieri passeggeri,<br />
più o meno veloci,<br />
come nuovole<br />
a passo d’uomo<br />
io, non posso<br />
arrivare da te:<br />
mi fermo prima.<br />
Purezza d’acqua,<br />
che tra le mani prosciuga<br />
come quando ti ritiri:<br />
genuflessa in quella<br />
calda chiesa<br />
di campagna.<br />
I tuoi silenzi e nulla più.<br />
Quanto prima,<br />
finirò di solcare<br />
i miei doveri di terra<br />
e passo dopo passo,<br />
fino a quando,<br />
dopo il tramonto,<br />
cresceranno<br />
le nostre ombre.<br />
Il sole così grande<br />
senza alcun rumore<br />
Ottavio Regolo<br />
Sorge il sole<br />
È buio intorno<br />
è tutto nero<br />
c’è una tetra atmosfera<br />
atmosfera di cimitero<br />
pian piano<br />
sorge il sole<br />
e sorgendo i suoi raggi<br />
armandosi<br />
di tavolozza e pennello<br />
come sommi pittori<br />
dipingono l’intero<br />
paesaggio<br />
di vivaci colori<br />
Mr Armonica<br />
poesie di strada<br />
Più<br />
fragile<br />
Vieni qui<br />
tocca i miei pensieri<br />
sai che mi sento<br />
più fragile<br />
quando in me<br />
qualcosa non va stringimi<br />
a te forte e fammi<br />
sentire importante Stai<br />
con me<br />
se ti accorgi<br />
dei miei momenti<br />
più fragili.<br />
Dammi forza con<br />
una tua carezza.<br />
Eri tu a dirmi<br />
che in amore ci si aiuta<br />
nei minuti più brutti<br />
Allora resta qui se ti<br />
accorgi che io, adesso,<br />
mi sento più fragile.<br />
Nino Moxedano<br />
Passione<br />
Nulla vi fu altro<br />
che la mia passione<br />
dovette inventarsi<br />
per godersi<br />
del breve<br />
momento di vita<br />
se non<br />
la passione stessa<br />
cosa per cui io vivo<br />
e ho vissuto e vivrò.<br />
Per te, passione,<br />
vivo per te,<br />
passione,<br />
ho vissuto per te,<br />
passione, vivrò.<br />
In alto i calici del<br />
frizzante goder di vita.<br />
Ambrogio<br />
Amati<br />
silenzi<br />
Mondi incantati,<br />
all’ombra di un chiostro<br />
rubato a volti indiscreti,<br />
amati silenzi<br />
se pur parlanti<br />
suoni gentili<br />
musica per l’anima<br />
Nemesi
ventuno<br />
Ventuno. Come il secolo nel<br />
quale viviamo, come l’agenda<br />
per il buon vivere, come<br />
l’articolo della Costituzione<br />
sulla libertà di espressione.<br />
Ventuno è la nostra<br />
idea di economia.<br />
Con qualche proposta per<br />
agire contro l’ingiustizia e<br />
l’esclusione sociale<br />
nelle scelte di ogni giorno.<br />
ventunodossier Numeri in crescita.<br />
Prestiti erogati in aumento. Anche<br />
nel nostro paese il microcredito sta<br />
prendendo piede. Strumento di lotta<br />
alla povertà, sostegno allo sviluppo<br />
della 1microimpresa. Veicolo<br />
di inclusione sociale. Ecco tutte<br />
le facce del “microcredito all’italiana”<br />
di Stefano Lampertico<br />
ventunosocietà Piovono scommesse.<br />
In arrivo oltre 200 nuovi casinò on<br />
line. Intanto i debiti delle famiglie<br />
aumentano, ma il gioco d’azzardo non<br />
conosce crisi<br />
di Max Mandello e Franco Schiena<br />
ventunorighe Credito: affermare<br />
un diritto sociale<br />
di Andrea La Regina - <strong>Caritas</strong> italiana<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .<br />
57
1<br />
ventunodossier<br />
Beneficiari in aumento, come il valore dei crediti erogati.<br />
Le idee, i talenti, le storie di successo: “micro” cambia la vita<br />
Microcredito<br />
all’italiana<br />
dossier a cura di Stefano Lampertico<br />
Non solo per interventi<br />
nel sud del mondo:<br />
il microcredito<br />
è uno strumento<br />
in forte ascesa anche<br />
in Italia. “Sociale”<br />
o “d’impresa”:<br />
combatte la povertà,<br />
ma soprattutto offre<br />
chance di futuro<br />
a soggetti considerati<br />
“non bancabili”<br />
I numeri<br />
del microcredito<br />
quasi 30 mila<br />
i beneficiari del microcredito<br />
in Italia a fine 2008<br />
106<br />
i programmi avviati in Italia<br />
9.800 euro<br />
il valore medio dei prestiti erogati.<br />
Quello complessivo erogato si<br />
avvicina ai 295 milioni di euro<br />
84.253<br />
i crediti erogati in Europa nel 2009<br />
828 milioni di euro<br />
il protafoglio complessivo di crediti<br />
erogati nel continente<br />
162<br />
le <strong>Caritas</strong> diocesane che dopo la crisi<br />
hanno attivato progetti di<br />
microcredito socio-assistenziale e<br />
d’impresa<br />
58. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
L’esercito dei non bancabili allo sportello<br />
Un futuro<br />
per i “fantasmi”<br />
Per le banche, sono quasi fantasmi. Spesso, sono da poco nel<br />
nostro paese. Sgobbano, certo. Hanno un lavoro, magari a tempo indeterminato.<br />
Ma non basta. A mancare, sono le garanzie patrimoniali. Ma alla<br />
banca, si sa, per concedere un prestito interessano soltanto quelle. E se<br />
non le hai, le garanzie, né una storia creditizia positiva, puoi anche avere<br />
in testa l’idea più brillante del secolo. Ma sei un “non bancabile”.<br />
Come Mohamed. La sua storia è una tra le tante. È ospite di un dormitorio<br />
pubblico e privo di un lavoro. Ha le idee confuse, ma vorrebbe avviare<br />
una piccola attività di commercio ambulante, vendere prodotti cosmetici<br />
in fiere e mercati. Il microcredito lo incontra, per caso, su una locan-<br />
dina affissa alle porte della chiesa.<br />
Ne parla con il parroco, che si dice<br />
disponibile a garantire moralmente<br />
per lui. Insieme si rivolgono a Per-<br />
Micro, società nata a <strong>Torino</strong> nel<br />
1997, oggi prima istituzione di microcredito<br />
in Italia per numero di<br />
microcrediti concessi (778) e ammontare<br />
erogato (oltre 4 milioni di<br />
euro). Insieme definiscono un business<br />
plan che stia in piedi. Il credito<br />
– anzi, il microcredito – viene<br />
erogato. Oggi Mohammed lavora<br />
stabilmente e ha potuto pagare la<br />
cauzione per l’affitto di una casa.<br />
Anche la storia di Jane, nigeriana,<br />
“svolta” con Permicro: oggi ha<br />
un avviato negozio di stoffe africane,<br />
per lei la garanzia morale l’ha<br />
firmata il capo religioso della comunità<br />
che frequenta da anni. Sto-<br />
ria di Mohammed, storia di Jane.<br />
Ma anche di Giulia, badante moldava,<br />
del calzolaio Enrique, del<br />
macellaio Mario. Storie di microcredito.<br />
Fenomeno in crescita<br />
I dati non sembrano lasciare spazio a<br />
dubbi. Il microcredito in Italia è fenomeno<br />
in crescita, con enormi potenzialità<br />
ancora inespresse. Lo dicono le tabelle<br />
del Quinto Rapporto sul microcredito<br />
in Italia, curato da Carlo Borgomeo<br />
(vedi tabella): testimoniano di una crescita<br />
nel tempo abbastanza regolare,<br />
con incrementi su base annua di circa<br />
50 milioni di euro, cui corrispondono<br />
circa 5 mila nuovi prestiti. Questi dati<br />
non si allontanano da uno studio, meno<br />
recente, della Fondazione Giordano
Bineta confeziona gioielli<br />
É arrivata dal Senegal, subito ha capito che i prodotti<br />
della sua Africa potevano avere un mercato. Grazie al<br />
prestito di PerMicro (10 mila euro) ha aperto a <strong>Torino</strong><br />
un negozio di prodotti etnici e africani: vestiti, accessori<br />
per la casa e l’igiene personale. E originali gioielli<br />
Laureate, educatrici: non più disoccupate<br />
<strong>Torino</strong> offre “Dieci talenti”<br />
Laura e Sonia ora hanno il nido<br />
Laura e Sonia erano stufe. Laureate a pieni voti, educatrici<br />
appassionate, a <strong>Torino</strong> non riuscivano a trovare un impiego stabile. E<br />
così, pur di mantenersi, capitava che facessero altri lavori. In realtà,<br />
un’idea ronzava loro in testa sin da quando si erano conosciute sui<br />
banchi dell’università: aprire un asilo nido. Avevano anche il progetto.<br />
Quindici posti, dettagli innovativi: spazi ampi, attività come<br />
drammatizzazione o acquaticità, mobilio ecocompatibile, cibo<br />
biologico. Mancava solo una cosa: il capitale per avviare l’attività.<br />
É qui che entrano in gioco i “Dieci Talenti”. Così si chiama il progetto<br />
della fondazione don Mario Operti, legata alla <strong>Caritas</strong> diocesana.<br />
«L’idea del microcredito – racconta la responsabile, Susanna Piccioni –<br />
era venuta già a don Mario. La fondazione, che la diocesi di <strong>Torino</strong> gli<br />
ha intitolato dopo la scomparsa, l’ha concretizzata dal 2003». E così<br />
ora un gruppo di 32 volontari, con un passato da bancari e industriali,<br />
garantisce a soggetti non bancabili, e molto spesso in situazioni di<br />
disagio, prestiti che vanno dai 2.500 ai 35 mila euro, nel caso di<br />
cooperative o piccole società intestate a più di una persona.<br />
Proprio come successo a Laura e Sonia, che hanno avuto in prestito la<br />
cifra massima per l’adeguamento di locali, impiantistica e arredi. E<br />
sono riuscite ad aprire il micronido.<br />
Arash, invece, è arrivato in Italia dall’Iran con in tasca una maturità<br />
artistica. Dal 2002 al 2006 ha frequentato la scuola per artigiani<br />
restauratori ed è diventato per tutti Tommaso. Grazie a “Dieci Talenti”,<br />
nel 2007 è riuscito a mettersi in proprio: con un prestito di 10 mila<br />
euro ha comprato i macchinari necessari ad avviare la sua piccola<br />
impresa. (Paolo Riva)<br />
microcredito<br />
dell’Amore, secondo cui dal 2007 a oggi<br />
la pratica del microcredito è quintuplicata,<br />
in Italia: sono cresciuti, in modo rilevante,<br />
sia il numero di prestiti erogati,<br />
sia il portafoglio (dai 3,63 milioni di euro<br />
del 2007 ai circa 11 di fine 2009). Lo<br />
studio, fondato su un campione significativo<br />
delle principali istituzioni di microfinanza<br />
operanti nel territorio nazionale,<br />
evidenzia che i beneficiari del microcredito,<br />
in Italia, sono principalmente<br />
donne e immigrati.<br />
Ma forse occorre fare un passo indietro.<br />
«Siamo in presenza di un fenomeno<br />
straordinariamente positivo –<br />
racconta Borgomeo –. Però occorre capire<br />
bene di cosa parliamo. Se ci limitiamo<br />
all’analisi superficiale del termine<br />
“microcredito”, verrebbe da pensare alle<br />
forme, penalizzanti per le famiglie e<br />
con meccanismi dei quali ci dovremmo<br />
vergognare, proprie del credito al consumo.<br />
Bisogna invece mettere a fuoco<br />
alcuni modelli. Il primo, ancora clamorosamente<br />
poco diffuso, è il “prestito<br />
d’onore”, ovvero agli studenti: nel nostro<br />
paese si registrano poche esperienze,<br />
meccanismi annunciati ma non attuati,<br />
operazioni poco rilevanti. Il secondo<br />
modello è il microcredito per fini<br />
indistinti: per esempio le tante<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .59
ventunodossier<br />
Le <strong>Caritas</strong> diocesane<br />
Mobilitazione anticrisi,<br />
microprestiti arma efficace<br />
Le iniziative delle chiese locali contro la crisi sono numerose e diversificate.<br />
<strong>Caritas</strong> Italiana ha effettuato un monitoraggio sulle attività avviate a partire<br />
dal 2008, dalle diocesi o dalle <strong>Caritas</strong> diocesane o da enti e organismi<br />
espressione della chiesa locale. Aggiornato al 23 giugno, il monitoraggio<br />
evidenzia la presenza di 635 iniziative in 196 diocesi (su un totale di 220<br />
dove è presente la <strong>Caritas</strong>). All’interno di tali iniziative spicca la presenza<br />
del microcredito, in due modalità differenti. Una prima è quella del<br />
“microcredito socio-assistenziale”: piccoli prestiti, legati in buona parte<br />
alle esigenze minime delle famiglie, che si avvalgono in genere di un fondo<br />
diocesano, di volta in volta denominato “di emergenza”, “di solidarietà”.<br />
In totale, sono 113 le diocesi che hanno attivato un progetto di<br />
microcredito socio-assistenziale per persone o famiglie in difficoltà: la<br />
diffusione maggiore è nelle regioni del nord (48 diocesi); seguono sud (40)<br />
e centro (25). Un secondo gruppo di iniziative consiste nel “microcredito<br />
per le imprese”: i piccoli prestiti sono a favore di realtà in fase d’avvio o già<br />
costituite, a elevato rischio finanziario e con oggettive difficoltà di accesso<br />
al credito. Sono 49 le diocesi che hanno attivato negli ultimi due anni<br />
progetti di microcredito per piccole imprese, spesso promosse da giovani o<br />
a conduzione familiare. In questo caso, è il sud a vantare il maggior numero<br />
di diocesi attive (24), seguito da nord (16) e centro (9).<br />
Qui Genova<br />
Pasquale che ha salvato<br />
il panificio di famiglia<br />
Pasquale ha 38 anni e lavora nel panificio di famiglia in provincia di Genova,<br />
insieme alla mamma e al fratello, da quando ne aveva 18. In tanto tempo<br />
passato in azienda, ha visto alternarsi momenti belli e brutti, ma quello più<br />
difficile, racconta, è stato sicuramente quando si è ritrovato a prendere<br />
direttamente in mano la gestione dell’attività, dopo la morte del padre.<br />
«Il panificio non aveva grosse passività con le banche – spiega –, ma a noi<br />
mancava sempre la liquidità per far fronte ai nostri impegni. Dove reperirla?<br />
Dopo la lunga malattia di mio padre, le finanze della famiglia non erano<br />
messe meglio di quelle dell’azienda. Quindi, dato che le banche ormai<br />
rifiutavano di farci credito, eravamo quasi giunti al punto di cadere nelle<br />
mani degli usurai». La situazione di Pasquale non è dissimile da quella in cui<br />
si vengono a trovare molti imprenditori, per i quali spesso la mancanza di<br />
garanzie reali o la carenza di liquidità rendono inavvicinabile l’utilizzo<br />
del credito bancario. Lo stesso vale per le imprese di nuova costituzione o<br />
per quelle in situazione di crisi temporanea, a causa di spese impreviste.<br />
Pasquale per fortuna ha trovato, come tanti altri, il sostegno nel<br />
microcredito. In Liguria, questa pratica di sostegno alla povertà e allo<br />
sviluppo della piccola impresa, si va diffondendo grazie a un’azione<br />
sinergica, sostenuta dalla provincia di Genova, di tre organismi: Banca<br />
Popolare Etica, PerMicro Microcredito in Italia e Fondazione Antiusura<br />
Santa Maria del Soccorso. Vengono in mente le parole di Muhammad<br />
Yunus: «I poveri sono bonsai. Non c’è nulla di male nei loro semi,<br />
semplicemente la società non ha mai concesso loro la base su cui<br />
crescere». E forse il microcredito può cominciare a dare loro un po’ di<br />
terreno su cui far crescere radici forti. Paola Malaspina<br />
60. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
iniziative condotte da realtà della chiesa<br />
italiana, nell’ambito delle quali il microcredito<br />
diventa strumento di lotta<br />
all’usura o alla povertà, o di sostegno in<br />
casi gravi di assenza di reddito. Terzo<br />
modello, il microcredito come forma di<br />
inclusione sociale: diversi esempi, messi<br />
in campo da istituti di credito insieme<br />
a organizzazioni territoriali, organismi<br />
non governativi, strutture decentrate.<br />
Infine il modello forse più interessante<br />
per gli studiosi, il microcredito<br />
come sostegno per mettersi in proprio:<br />
un prestito che consente a soggetti patrimonialmente<br />
deboli di avviare piccole<br />
attività economiche».<br />
Se le banche si accorgono...<br />
Negli ultimi due anni il microcredito in<br />
Italia è cresciuto, si diceva, del 500%. Fino<br />
a poco tempo fa, era una pratica associata<br />
soprattutto a progetti nei paesi<br />
in via di sviluppo, ma ora sembra essersi<br />
aperto un filone italiano. Il recente<br />
andamento dell’economia nei paesi<br />
occidentali ha ampliato la fascia di coloro<br />
che corrono il rischio di cadere in<br />
povertà a causa di difficoltà potenzialmente<br />
transitorie, che non riescono a<br />
fronteggiare con l’aiuto del credito tradizionale,<br />
in quanto considerati – appunto<br />
– soggetti “non bancabili”, perché<br />
non in grado di fornire adeguate<br />
garanzie di solvibilità o perché, per le<br />
loro dimensioni contenute, i crediti richiesti<br />
non risultano appetibili per le<br />
banche convenzionali, che riscuoterebbero<br />
interessi non sufficientemente<br />
remunerativi dei costi di gestione.<br />
Il tema ha dunque cominciato a interpellare<br />
le fondazioni di origine bancaria,<br />
sempre più impegnate a sostenere<br />
progetti in questo campo e convinte<br />
che il microcredito possa rappresentare<br />
una forte leva di inclusione e<br />
coesione sociale. Per questo motivo è<br />
stata recentemente istituita all’interno<br />
dell’Acri (l’associazione delle fondazioni<br />
bancarie) una speciale commissione<br />
per il microcredito. E la lombarda<br />
Fondazione Cariplo, oltre a finanziare<br />
progetti di microcredito promosso da<br />
enti non profit, ha avviato un’iniziativa<br />
pionieristica: l’investimento di parte<br />
del proprio patrimonio in attività di<br />
microfinanza.<br />
Ma il mondo del credito attribuisce<br />
sufficiente attenzione a questo stru
Valore dei prestiti<br />
per soggetto promotore<br />
CONFIDI<br />
MAG<br />
ENTI PRIVATI<br />
AMM. CENTRALI<br />
ENTI RELIGIOSI<br />
UNIVERSITÀ<br />
ENTE LOCALE<br />
BANCA NAZIONALE<br />
FOND. NON BANCARIA<br />
BANCA LOCALE<br />
FONDAZ. BANCARIA<br />
Nuove esigenze<br />
Ahmed di casa tra Orvieto e Marocco<br />
«Ma la crisi ci impone più assistenza»<br />
Sono bastati 25 mila euro, per sette lunghi anni. Fino alla<br />
crisi. A tanto ammontava il fondo di garanzia con cui nel 2003<br />
la <strong>Caritas</strong> di Orvieto-Todi, in collaborazione con la Banca<br />
Popolare di Ancora, ha dato il via a un progetto di<br />
microcredito, per rispondere alle tante sollecitazioni giunte<br />
dai centri d’ascolto del territorio. La <strong>Caritas</strong> umbra, da allora,<br />
ha erogato centinaia di microprestiti (limite massimo 3 mila<br />
euro), ha sostenuto numerosi giovani (per questioni abitative<br />
e lavorative) e ha registrato tassi di insolvenza molto bassi, di<br />
gran lunga migliori di quelli delle banche tradizionali. «L’utenza<br />
era composta per la maggior parte da stranieri – racconta il<br />
direttore, Marcello Rinaldi –. Rispetto agli italiani, però, erano<br />
anche più precisi nel restituire l’importo prestato».<br />
Ahmed, per esempio, ventunenne marocchino che in Italia fa il<br />
muratore, ha restituito tutti i tremila euro che <strong>Caritas</strong> gli ha<br />
mento? «L’attenzione del mondo bancario<br />
agli strumenti del microcredito –<br />
afferma Alessandro Messina, dell’Associazione<br />
banche italiane – è crescente.<br />
Un dato: tra le 700 banche italiane, 250<br />
hanno in corso progetti di microcredito,<br />
e sono rappresentative del 70% del<br />
mercato italiano del credito. Certo, gli<br />
approcci sono differenti. Alcuni istituti<br />
di credito hanno assunto un ruolo attivo,<br />
altri hanno cercato partnership con<br />
soggetti non profit, altri ancora hanno<br />
deciso di entrare nel capitale di soggetti<br />
specializzati. C’è chi opera con spirito<br />
filantropico, chi lo fa con spirito imprenditoriale,<br />
tenendo un occhio al business».<br />
Perché «la leva finanziaria non<br />
può essere ignorata: essa presuppone,<br />
insieme a un grado di redditività per<br />
chi lo eroga, una capacità di restituzione<br />
da parte del soggetto che riceve il<br />
prestito».<br />
10% 20% 30% 40% 50% 60%<br />
2004<br />
2008<br />
INDISTINTI<br />
ENTI NON PROFT<br />
PERSONE SINGOLE<br />
O PERS. GIURIDICHE<br />
PERSONE<br />
GIURIDICHE<br />
GRUPPI DI DUE<br />
O PIÙ PERSONE<br />
PERSONE<br />
SINGOLE<br />
E nelle economie occidentali?<br />
Il dibattito è senza dubbio interessante.<br />
Come riportare nelle economie occidentali<br />
un modello che funziona nel<br />
sud del mondo?<br />
Quali correttivi apportare? Come<br />
analizzare i risultati? «Un credito di 500<br />
dollari a un commerciante che sta nella<br />
periferia di Città del Messico, e deve<br />
trasportare le sue merci in centro, può<br />
essere sufficiente a generare una microimpresa,<br />
farsi restituire il prestito e<br />
creare un margine per l’operatore che<br />
eroga il credito – chiarisce Messina –.<br />
Ma nelle economie sviluppate i parametri<br />
sono altri».<br />
Il dibattito è interessante. Molti, anche<br />
operatori professionali di microcredito,<br />
non bancari, sono convinti che lo<br />
strumento produca i risultati migliori<br />
dove ci sono economie informali e situazioni<br />
tecnologicamente arretrate. E<br />
Numerosità dei prestiti<br />
per tipologia dei beneficiari<br />
microcredito<br />
20% 40% 60% 80%<br />
2004<br />
2008<br />
messo a disposizione per tornare in patria e, durante le ferie,<br />
costruire una bella casa per la famiglia. Poi, una volta<br />
rientrato, senza più l’assillo di dover spedire tutti i guadagni a<br />
casa, è riuscito a mettersi in proprio: ora ha una piccola<br />
azienda edile. Insomma, ricorda orgoglioso Rinaldi, «il<br />
progetto ha dato ottimi risultati».<br />
Fino alla crisi, si diceva. Che ha bruscamente interrotto il<br />
circolo virtuoso, in virtù del quale i prestiti restituiti<br />
finanziavano i nuovi. «Le richieste sono aumentate e<br />
cambiate: molte più persone si sono rivolte a noi perché non<br />
riuscivano a pagare le bollette, così abbiamo deciso di<br />
attingere in modo più assistenziale al fondo, che ora è da<br />
rifinanziare. Non sarà una scelta in linea con le logiche del<br />
microcredito. Ma – conclude il direttore – si è trattato di<br />
venire incontro alla popolazione in una fase particolare». (pr)<br />
quindi dove c’è la possibilità di far discendere,<br />
dalle microsomme prestate,<br />
impatti sociali molto forti. «La povertà<br />
propriamente detta si combatte anzitutto<br />
con strumenti di politiche pubbliche<br />
– suggerisce Alessandra Viscovi, direttore<br />
di Etica sgr, società di raccolta<br />
del risparmio di Banca Etica –. Ma il microcredito<br />
può essere uno strumento<br />
che bene si integra con esse. A patto di<br />
declinarlo nelle nostre economie. Dove<br />
può essere strumento di inclusione sociale<br />
e promozione dell’impresa».<br />
Etica sgr, come il gruppo Banca Etica,<br />
ha sempre prestato attenzione particolare<br />
al microcredito.<br />
Chi sottoscrive i fondi Valori Responsabili<br />
della sgr non paga commissioni<br />
di entrata, ma devolve lo 0,1% del<br />
capitale sottoscritto (un euro su mille) a<br />
favore di un fondo che fa da garanzia a<br />
progetti in Italia.<br />
Fonte: Carlo Borgomeo, Quinto Rapporto sul microcredito in Italia,<br />
settembre <strong>2010</strong> (dati aggiornati al 31 dicembre 2008)<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .61
ventunodossier<br />
La garanzia delle reti<br />
PerMicro spa, società torinese fondata<br />
da Oltre Venture, Fondazione Paideia e<br />
sostenuta da Ubi banca, Fondazione<br />
Sviluppo e crescita – Crt e PhiTrust, dimostra<br />
quanto sia importante la sinergia<br />
tra diversi soggetti, in questo campo.<br />
«Abbiamo un’idea precisa del microcredito<br />
– chiarisce Andrea Limone, amministratore<br />
delegato di PerMicro –: si tratta<br />
di un credito dato in condizioni di<br />
economicità per entrambe le parti a un<br />
soggetto “non bancabile”. Per esempio<br />
la badante moldava che guadagna 1.100<br />
euro al mese e utilizza i risparmi per l’università<br />
della figlia: caratteristiche socio-personali<br />
ottime, reddito a tempo<br />
indeterminato, ma esclusa dal circuito<br />
tradizionale del credito. Noi cerchiamo<br />
di fare un passo in più, insieme a lei.<br />
Partendo dal concetto di “garanzia sociale”:<br />
offerta da una rete nella quale il<br />
soggetto che chiede il prestito è inserito,<br />
è motivo di merito creditizio. E così<br />
cerchiamo di guardare a proposte e richieste<br />
di chi intende avviare una mi-<br />
L’interlocutore istituzionale<br />
Mario Baccini è il presidente<br />
del Comitato nazionale italiano<br />
permanente per il microcredito<br />
62. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
croimpresa, con criteri di valutazioni<br />
forse più complessi, ma meno penalizzanti».<br />
L’importante, per ottenere soldi e<br />
garantire che verranno restituiti, è non<br />
essere soli. Le relazioni, insomma, inducono<br />
fiducia.<br />
E possono, potranno, addirittura arrivare<br />
a sciogliere il cuore duro delle<br />
banche. .<br />
Via maestra oltre la crisi<br />
L’italia si sta attrezzando<br />
Mario Baccini, un passato nell’Udc e altre formazioni “centriste”, già<br />
ministro, oggi parlamentare Pdl, è il presidente del Comitato nazionale italiano permanente<br />
per il microcredito, istituito presso il ministero dello sviluppo economico<br />
per promuovere la conoscenza del microcredito e stimolare lo sviluppo di iniziative<br />
nel settore. Dunque, è l’interlocutore istituzionale più attendibile per capire se,<br />
in Italia, il microcredito è una realtà promettente, o un oggetto misterioso.<br />
Presidente, quale funzione sociale<br />
può esercitare il microcredito in Italia?<br />
Può essere utile come strumento<br />
di lotta alla povertà?<br />
Il microcredito può svolgere una funzione<br />
primaria nella lotta alla povertà<br />
e all’esclusione sociale, perché rivaluta<br />
il valore della persona e le sue potenzialità.<br />
Attraverso forme di finanziamento<br />
del lavoro e della progettualità<br />
che non si fondano su garanzie<br />
reali, ma personali, e su una pianificazione<br />
attenta, costante, studiata e seguita,<br />
può re-immettere nel circuito<br />
virtuoso della contribuzione anche<br />
persone appartenenti a fasce sociali<br />
Le borse di Susana<br />
Arrivata dall’Argentina, aveva<br />
vent’anni di esperienza di lavoro<br />
nel settore calzaturiero. Grazie<br />
a un finanziamento di PerMicro,<br />
la donna ha aperto a <strong>Torino</strong><br />
un negozio di riparazioni<br />
di <strong>scarp</strong>e e borse,<br />
dove lavora insieme al marito<br />
deboli e svantaggiate.<br />
Microcredito, occasione di riscatto.<br />
Ma può anche essere leva di promozione<br />
dell’impresa sociale, e più in<br />
generale della microimpresa?<br />
Per sua natura il microcredito si divide<br />
in “sociale” (mira ad aumentare il livello<br />
di inclusione sociale e finanziaria<br />
delle persone in difficoltà) e “d’impresa”<br />
o “imprenditoriale”. In questo<br />
caso il riferimento è a tutte le norme e<br />
gli strumenti, nazionali e regionali, che<br />
prevedono la concessione di incentivi<br />
mirati all’avvio e al consolidamento di<br />
attività microimprenditoriali, anche
L’esperienza di Calabria Etica<br />
Una rete Amica di chi è in difficoltà<br />
«Ma il futuro sono le piccole aziende»<br />
Domenico non aveva una pensione esagerata, ma non aveva<br />
quasi mai avuto problemi economici, finché era stato bene.<br />
Poi, quando all’ospedale di Crotone gli hanno diagnosticato<br />
un tumore, non ce l’ha più fatta e si è rivolto a Calabria Etica.<br />
Lo stesso è successo a Lucia e Antonio. Sposati, laureati, ma<br />
precari, dovevano ristrutturare la loro piccola casa, nei pressi<br />
di Catanzaro, per accogliere il nuovo arrivato Marco.<br />
Guadagnavano a sufficienza per restituire un prestito, ma<br />
nessuna banca li considerava affidabili. E anche loro hanno<br />
dovuto chiedere aiuto.<br />
Calabria Etica è una fondazione di solidarietà sociale che<br />
dal 2007 ha avviato un progetto di microcredito, AMiCa, in<br />
collaborazione con le <strong>Caritas</strong> di Catanzaro, Crotone, Lamezia<br />
Terme, Rossano e del capoluogo Reggio. Con l’appoggio di<br />
Banca Etica, eroga prestiti a scopo socio-assistenziale (da<br />
mille a 5 mila euro) e finanziamenti per la piccola impresa<br />
(da 5 a 15 mila euro). «Dalla prima categoria proviene la<br />
maggior parte delle richieste, dato allarmante – spiega la<br />
responsabile, Marinella Marino –: la povertà colpisce, nella<br />
nostra regione, fasce di popolazione sempre più ampie».<br />
La maggior parte dei prestiti di Azione MIcrocredito<br />
da parte di soggetti svantaggiati, che<br />
abbiano un organico inferiore a 10<br />
persone e presentino un fatturato-bilancio<br />
annuo non superiore ai 2 milioni<br />
di euro. Va da sé che i finanziamenti,<br />
in questo caso, sono molto più elevati<br />
di quelli previsti nel caso del microcredito<br />
sociale.<br />
Le più recenti analisi dicono che l’Italia,<br />
rispetto agli altri paesi d’Europa,<br />
è ancora arretrata, in termini sia<br />
di microcrediti erogati che di portafogli.<br />
Quali barriere si frappongono,<br />
nel nostro sistema bancario,<br />
economico e sociale, alla diffusione<br />
del microcredito?<br />
Il microcredito è la strada maestra per<br />
risollevare l’economia globale dalla<br />
pesante crisi attuale. Per essere efficace<br />
e sviluppare produttività, però, non<br />
può essere confuso né con il credito al<br />
consumo e i piccoli prestiti che agevolano<br />
il mènage familiare, né con la beneficenza.<br />
È un sistema di credito che<br />
va disciplinato da una normativa ad<br />
hoc, in Italia ancora non compiutamente<br />
sviluppata. La direttiva approvata<br />
dal consiglio dei ministri rappre-<br />
« Il microcredito<br />
rivaluta<br />
la centralità<br />
della persona.<br />
Ci stiamo<br />
dotando<br />
di leggi<br />
adeguate»<br />
senta un primo tentativo del governo<br />
di definire la sfera d’azione del microcredito<br />
e individuare le tipologie esistenti<br />
nel paese. La direttiva afferma<br />
alcune priorità: rilancio degli istituti<br />
di sostegno alla persona nelle situazioni<br />
di difficoltà economica determinate<br />
o inasprite dalla crisi; realizzazione<br />
di un contesto economico<br />
aperto e inclusivo, che favorisca la<br />
creazione di una società più equa e<br />
solidale; governance degli strumenti<br />
microfinanziari attivati a livello centrale<br />
e locale; infine, attivazione del<br />
necessario monitoraggio degli inter-<br />
microcredito<br />
Calabria serve dunque a soggetti difficilmente bancabili,<br />
selezionati dalle <strong>Caritas</strong>, per uscire da momenti difficili.<br />
Ma ci sono anche storie come quella di Giuseppe, che a<br />
Calabria Etica si è rivolto per far fare il salto di qualità al bar<br />
che aveva aperto da poco e che, grazie ai 15 mila euro<br />
ottenuti, è diventato in breve un punto di riferimento del suo<br />
paese. «Caso emblematico – afferma convinto il presidente<br />
di Calabria Etica, Luigi Bulotta –: una cifra non enorme può<br />
aiutare un giovane imprenditore a non emigrare da una terra<br />
di povertà come la nostra. In tre anni i prestiti per<br />
microimprese sono stati una decina, per il futuro puntiamo<br />
forte su questa attività».<br />
Bulotta è al lavoro per allargare il progetto anche alle<br />
altre <strong>Caritas</strong> diocesane calabresi. Inoltre punta a stipulare<br />
nuove convenzioni con altri istituti bancari, da affiancare a<br />
Banca Etica, per avere tassi più vantaggiosi e aumentare il<br />
fondo di garanzia, che oggi ammonta a 100 mila euro. «Il<br />
progetto ha generato parecchi consensi e ora vogliamo<br />
espanderci – conclude –. Con le banche all’inizio non è stato<br />
facile, ma ora sembrano meglio predisposte nei confronti di<br />
questo strumento». (pr)<br />
venti che promuovono microcredito<br />
e microfinanza.<br />
A che punto è questo strumento?<br />
La direttiva è stata ufficializzata a settembre.<br />
Tra le altre cose, indirizza tutti<br />
gli enti e le istituzioni a servirsi del<br />
Comitato nazionale italiano permanente<br />
per il micorcredito quale strumento<br />
di studio del fenomeno e di diffusione<br />
di modelli progettuali e operativi.<br />
Atto diverso, invece, è il decreto<br />
legislativo n. 141, che attua una direttiva<br />
europea in materia. La nuova disciplina<br />
affida anche ai soggetti senza<br />
fini di lucro la possibilità di realizzare<br />
il microcredito. Dopo Francia e Romania,<br />
l’Italia è dunque il terzo paese dell’Unione<br />
ad avere una legislazione ad<br />
hoc sul microcredito: attraverso questa<br />
riforma, ha dimostrato ancora una<br />
volta una particolare attenzione verso<br />
gli strumenti di politica economica di<br />
lotta alla povertà e all’esclusione sociale.<br />
Tanto però deve ancora essere<br />
fatto: per esempio sulle questioni fiscali<br />
inerenti il microcredito, o attraverso<br />
la costituzione di fondi di garanzia<br />
pubblici. .<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .63
1 ventunosocietà<br />
In arrivo 200 nuovi casinò on line. I debiti delle famiglie<br />
aumentano, ma il gioco d’azzardo non conosce crisi...<br />
Piovono<br />
scommesse<br />
di Max Mandello e Franco Schiena<br />
La notizia è passata quasi in sordina, mentre sulle spiagge si piegavano<br />
gli ombrelloni. Da fine agosto sono on line le versioni per la rete del Casinò di Venezia<br />
e di quello di Sanremo. Ma attenzione: è solo un’avanguardia. In internet, se<br />
supereranno alcuni scogli di natura giuridico-amministrativa, sono attesi, dal prossimo<br />
mese di marzo, altri 200 casinò virtuali. Ovviamente certificati, se le procedure<br />
avviate dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di stato (Aams) supereranno<br />
lo scoglio del Tar (potremmo scommettere anche su questo...).<br />
Torneranno così “legali” i siti internet di migliaia di casinò on line, che erano<br />
stati oscurati dopo l’approvazione della Finanzaria 2006, che aveva di fatto bloccato<br />
questi sistemi di gioco. Poker, slot machine, casinò virutali. Tutto parrebbe pronto,<br />
dunque, per ripartire. «Sarà possibile giocare in qualunque momento e in qua-<br />
lunque luogo – dice il sociologo Maurizio<br />
Fiasco, consulente della Consulta<br />
delle fondazioni antiusura e da anni attento<br />
osservatore del fenomeno del gioco<br />
d’azzardo –, visto che si potrà anche<br />
fare a meno dello stesso computer e del-<br />
64. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
la connessione Adsl: basterà uno<br />
smartphone, un telefonino evoluto da<br />
tenere nel taschino». I casinò virtuali<br />
(che, secondo il sociologo, «surclasseranno<br />
presto» i sempre più in crisi ca-<br />
Un popolo<br />
di giocatori<br />
55%<br />
la quota di giocatori sull’intera<br />
popolazione italiana<br />
700 mila<br />
la stima dei giocatori patologici,<br />
applicando i criteri dell’Oms<br />
+7%<br />
aumento tra i giovani nel 2008-2009<br />
68%<br />
la percentuale degli studenti italiani<br />
tra i 16 e i 19 anni che hanno tentato<br />
la fortuna almeno una volta<br />
Fonti: Cnr e Nomisma
sinò italiani di Sanremo, Campione d’Italia,<br />
Venezia e Saint-Vincent), sono<br />
inoltre destinati ad aprire nuovi scenari<br />
sul terreno estremamente mobile e volubile<br />
della patologia da gioco d’azzardo.<br />
«La spesa d’investimento è talmente<br />
modesta (un milione e mezzo di euro)<br />
che è facile prevedere un boom di<br />
iniziative dei biscazzieri – prevede Fiasco<br />
–. Sarà la combinazione tra tecnologia<br />
e gioco a fare la differenza. Facile<br />
prevedere che i casinò on line genereranno<br />
anche una più rapida e potente<br />
compulsività. Coinvolgeranno nuovo<br />
pubblico, colpendo target di mercato<br />
“vergini” e incrementando in proporzioni<br />
fantastiche il reclutamento di altre<br />
fasce di popolazione e l’indurimento<br />
della dipendenza psicologica».<br />
Soldi, soldi, soldi<br />
Nell’Italia del declino economico, della<br />
disoccupazione a livelli sbalorditivi, dei<br />
consumi ridotti al lumicino, una sola<br />
impresa pare dunque non conosce crisi:<br />
quella del gioco.<br />
Per quanto possa sembrare paradossale,<br />
gli italiani, che secondo l’Istat<br />
hanno addirittura cominciato a ridurre<br />
gli acquisti alimentari, nei primi sei mesi<br />
del <strong>2010</strong> hanno invece speso (per lotto,<br />
supernealotto, gratta e vinci, Win for<br />
life e simili) il 14% in più rispetto alla prima<br />
metà del 2009 (dati ufficiali dei Mo-<br />
ll j’accuse di monsignor Alberto D’Urso<br />
Le Fondazioni antiusura:<br />
«La politica apra gli occhi»<br />
«La diffusione di massa del “gioco d’azzardo legale” è tra<br />
le prime cause dell’indebitamento delle famiglie. Ed è l’anticamera<br />
del ricorso al prestito usuraio». Monsignor Alberto D’Urso, segretario<br />
della Consulta nazionale antiusura (che riunisce 27 fondazioni di matrice<br />
cattolica), non poteva essere più esplicito. E le sue parole, pronunciate<br />
davanti alla Commissione parlamentare antimafia, a fine giugno, hanno<br />
fatto rumore.<br />
Monsignor D’Urso, il suo j’accuse sugli intrecci tra l’aumento della spesa<br />
delle famiglie italiane per le scommese e la diffusione dell’usura è<br />
stato netto. Quel è stata la reazione dei parlamentari presenti?<br />
Ho notato un silenzio imbarazzato. Probabilmente non si aspettavano che<br />
fossi così esplicito. Il che mi sorprende, perché è almeno da dieci anni<br />
che la Consulta mette in luce lo stretto rapporto tra gioco d’azzardo<br />
legale e prestito illegale, in gran parte in mano alla malavita. Da allora<br />
avremmo fatto centinaia di comunicati. Mi chiedo, francamente, dove<br />
fossero i nostri politici, mentre noi pubblicamente segnalavamo<br />
l’emergere di queste connessioni.<br />
Che spiegazione si è dato di tanta distrazione da parte del nostro ceto<br />
politico?<br />
C’è senza dubbio un disinteresse generale dei più, e un interesse<br />
privatissimo di pochi.<br />
A che cosa si riferisce?<br />
Non voglio fare i nomi. Ma basta buttare un occhio nei cda delle società<br />
che gestiscono i bingo, o i casinò, per trovare spesso ai vertici uomini<br />
politici. Esiste un intreccio d’interessi diretto tra alcuni spezzoni della<br />
politica, trasversali agli schieramenti, e quello che io continuo a<br />
chiamare gioco d’azzardo. C’è poi l’interesse dello stato che dai giochi,<br />
tassandoli, guadagna denaro per le proprie casse. Un interesse evidente<br />
e che pare irrinunciabile se portò, durante un incontro pubblico, anche un<br />
uomo colto e raffinato, come Giuliano Amato, all’epoca ministro del<br />
tesoro, a liquidarmi dicendomi: «Monsignore, di quei soldi lo stato ha<br />
bisogno…».<br />
Siete in grado di documentare l’interconnessione tra gioco e usura?<br />
Esistono molti di studi di sociologi e psicologi, con i quali collaboriamo,<br />
secondo cui ormai i giocatori compulsivi sono tra il 3 e il 4% delle<br />
persone che si avvicinano al gioco. I “compulsivi” sono paragonabili ai<br />
tossicodipendenti. Dipendono dal gioco, come un tossicomane dipende<br />
dalle sostanze. E sono pronti a tutto, pur di tornare a ripetere<br />
l’esperienza adrenalinica della scommessa. Queste persone, quando<br />
hanno esaurito le proprie risorse economiche, fatalmente cadono nelle<br />
mani degli strozzini. Gli operatori delle fondazioni antiusura possono<br />
raccontare centinaia di storie di famiglie distrutte dai drogati di gioco.<br />
Non solo. Orami le sale scommesse, spuntate come funghi nelle nostre<br />
città, sono uno dei teatri di azione privilegiati degli usurai. Loro, o più<br />
spesso i loro mandatari, si appostano in questi luoghi in attesa della<br />
preda che, naturalmente, aggrediscono quando ha ancora qualcosa da<br />
dare: denaro, o più spesso un’attività o una casa. Quando lo stato fa il<br />
bilancio degli incassi dei giochi per l’erario, dovrebbe considerare sia i<br />
costi sociali di questa attività, deviata nelle sue forme patologiche, sia il<br />
volano che essa rappresenta proprio per gli affari illeciti che sul fronte<br />
repressivo lo stato stesso tenta di contrastare. Invece ci si accontenta<br />
di assicurare parte di questi proventi alle campagne di prevenzione.<br />
Francamente, è davvero poco. .<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .65
ventunosocietà<br />
66.<br />
nopoli di stato), che già era stato un anno<br />
record. A parere degli esperti questo<br />
ulteriore balzo in avanti, che si somma a<br />
una lunga serie di performance positive,<br />
farà raggiungere alla fine dell’anno al<br />
business del gioco la cifra di 60 miliardi<br />
di euro (erano 53,4 nel 2009), equivalenti<br />
a mille euro di spesa media annua per<br />
ogni italiano, record mondiale del settore.<br />
Una somma enorme, quattro volte e<br />
mezzo superiore a quella del 2001. Equivalente,<br />
giusto per fare un paragone, a<br />
più del doppio della manovra finanziaria<br />
correttiva approvata in estate dal governo<br />
(25 miliardi di euro).<br />
In termini assoluti, con 4,5 miliardi<br />
di euro di soldi giocati, l’on line non è il<br />
settore che ha incassato di più, ma è<br />
quello che in termini di crescita percentuale<br />
nel <strong>2010</strong> ha dato le soddisfazioni<br />
maggiori. Già, soddisfazioni? Ma per<br />
chi? Chi ci guadagna davvero, con il<br />
boom del gioco?<br />
Le sale come i funghi<br />
Senza dubbio a sorridere sono i Monopoli<br />
di stato (e attraverso di esso il fisco)<br />
e i concessionari (cioè le aziende a cui lo<br />
stato ha dato la concessione per gestire<br />
i giochi). Ma, a voler essere più precisi,<br />
in realtà più i secondi che i primi. Dal<br />
momento che, pur di favorire lo sviluppo<br />
dei giochi e la potente lobby che li<br />
controlla, legata spesso a doppio filo<br />
con la politica, i governi di destra e di sinistra<br />
dell’ultimo decennio hanno scelto<br />
di tenere bassa la pressione fiscale<br />
<strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
sulle nuove scommesse via via introdotte,<br />
tassandole in alcuni casi con la stessa<br />
aliquota, il 4%, che viene applicata sui<br />
generi di prima necessità.<br />
Assai poco ha guadagnato dalla<br />
smania del gioco, invece, chi lo ha alimentato<br />
con le proprie sostanze (grandi<br />
e piccole, più spesso piccolissime): i<br />
cittadini. «Benché il 60% della spesa torni<br />
nelle tasche dei giocatori, i soldi vinti,<br />
in gran parte piccole vincite, vengono rimessi<br />
nel circuito del gioco – dice ancora<br />
Maurizio Fiasco –. Le indagini dimostrano<br />
che a tentare la fortuna sono<br />
spesso persone di ceti sociali mediobassi,<br />
poco scolarizzate, con scarso potere<br />
di acquisto, che evidentemente sperano,<br />
irrazionalmente, nel colpo di Fortuna<br />
per mutare la propria condizione<br />
di vita».<br />
Chi, senza dubbio, non ha guadagnato<br />
nulla sono i giocatori patologici.<br />
«Si tratta di persone comuni, che sviluppano<br />
nei confronti del gioco una dipendenza<br />
molto simile a quella dei tossicomani<br />
per le sostanze: il brivido della<br />
scommessa è in grado di sollecitare, come<br />
fa ad esempio la cocaina, una zona<br />
del nostro cervello che produce dopamina<br />
ed endorfine, molecole che danno<br />
sensazioni piacevoli. Sensazioni che,<br />
proprio perché procurano benessere,<br />
ogni volta l’individuo tenta di sperimentare<br />
di nuovo», spiega Michele Sforza,<br />
psicoterapeuta e psicanalista della casa<br />
di cura “Le Betulle”, clinica privata di Appiano<br />
Gentile, in provincia di Como,<br />
I numeri<br />
del gioco<br />
60 miliardi<br />
il giro di affari, in euro, previsto in<br />
Italia per il <strong>2010</strong>; erano 53,4 miliardi<br />
nel 2009. La spesa media annua per<br />
ogni italiano è di 890 euro<br />
300%<br />
l’aumento delle scommesse sportive<br />
dal 2004 al 2008<br />
580%<br />
l’aumento delle apparecchiature<br />
elettroniche dal 2004 al 2008<br />
2600<br />
le sale scommesse in Italia<br />
+15%<br />
l’aumento delle sale tra 2008 e 2009<br />
specializzata nella cura della depressione,<br />
e da alcuni anni anche delle dipendenze<br />
da gioco.<br />
Ma quanti sono i “drogati dal gioco”?<br />
Secondo le stime dell’Organizzazione<br />
mondiale della sanità, sarebbero l’1,5%<br />
dei giocatori. Quindi, in Italia, più di 700<br />
mila persone.<br />
Il ruolo delle <strong>Caritas</strong><br />
Tra i primi a puntare il dito sugli effetti<br />
sociali della sbornia da gioco, già negli<br />
scorsi anni, sono stati i centri d’ascolto<br />
<strong>Caritas</strong> e le Fondazioni antiusura di matrice<br />
cattolica. Ultimamente il direttore<br />
della Conferenza nazionale che le riunisce,<br />
monsignor Alberto D’Urso, ha denunciato,<br />
davanti ai parlamentari della<br />
Commissione antimafia, il dramma del<br />
crescente indebitamento e dell’accesso<br />
al prestito usuraio delle famiglie rovinate<br />
dal gioco.<br />
Luciano Gualzetti, vicedirettore di<br />
<strong>Caritas</strong> Ambrosiana e presidente della<br />
Fondazione san Bernardino, promossa<br />
dai vescovi lombardi, conferma: «Ai nostri<br />
centri e sportelli si rivolgono sempre<br />
più spesso persone che hanno dilapidato<br />
i loro conti correnti per effetto delle<br />
scommesse. Si tratta spesso di gente già<br />
disagiata: pensionati che si sono fatti<br />
prendere la mano dai gratta e vinci, cassintegrati<br />
che si sono buttati sulle slot<br />
machine, con la speranza di recuperare<br />
alla macchinette il reddito perso sul lavoro».<br />
Vittime due volte: di storie difficili,<br />
e della Fortuna. .<br />
Fonti: Aams,Censis e Camera di Commercio di Milano<br />
2
1 ventunobrevi<br />
Studio di Sos Impresa<br />
Commerciante,<br />
sotto i 50:<br />
è la vittima dell’usura<br />
Uomini, non ancora cinquantenni<br />
e provenienti prevalentemente<br />
dal sud e dalle isole, di professione<br />
commercianti o imprenditori. È questo<br />
l’identikit della vittima di usura, in<br />
base a uno studio condotto per la<br />
terza volta da Sos Impresa. L’indagine<br />
– basata sull’elaborazione di dati in<br />
parte provenienti da Unioncamere<br />
e in parte dalle denunce pervenute<br />
alle prefetture e alla Commissione<br />
antiracket – rileva che le vittime sono<br />
nel 73% dei casi uomini e nel 27%<br />
donne. Nell’83% dei casi, invece, l’età<br />
è inferiore ai 50 anni, con punte<br />
del 31% nella fascia 31-40 e con<br />
un preoccupante 22% nella fascia<br />
al di sotto dei 30. Nel 52% dei casi<br />
le vittime risiedono nel sud Italia e<br />
nelle isole, nel 26% nel centro, nel<br />
18% nel nord Italia e nel 4% vengono<br />
dall’estero. Sono i commercianti,<br />
inoltre, le principali vittime di usura,<br />
seguiti da imprenditori e artigiani,<br />
con percentuali pari rispettivamente<br />
ConsumAttori<br />
al 46%, al 30% e al 10%. Tra le<br />
professioni rappresentate, tuttavia,<br />
non mancano i lavoratori dipendenti<br />
che si attestano a quota 7%. Quanto<br />
allo stato dell’attività professionale,<br />
nel 70% dei casi risulta in attivo<br />
e nel restante 30% cessata<br />
[redattore sociale].<br />
Rapporto Italia in Tavola<br />
Agroalimentare,<br />
business appetibile<br />
per la criminalità<br />
«I dati sulla difesa della sicurezza<br />
alimentare dimostrano come questa<br />
battaglia per la legalità sia necessaria<br />
per tutelare la salute dei cittadini,<br />
ma anche per proteggere dalla lunga<br />
mano dei truffatori e della criminalità<br />
organizzata un comparto importante<br />
come l’agroalimentare». È questo<br />
il commento di Francesco Ferrante,<br />
della segreteria nazionale<br />
di Legambiente e senatore Pd,<br />
al rapporto “Italia a tavola <strong>2010</strong>”,<br />
il rapporto di Legambiente e<br />
Movimento difesa del cittadino<br />
sulle illegalità che colpiscono il cibo<br />
made in Italy, e non solo.<br />
a cura del Movimento Consumatori tel. 06.48.80.053 - info@movimentoconsumatori.it<br />
Mediaset Premium, aumenti illegittimi<br />
Aumenti illegittimi da parte delle televisioni<br />
Mediaset. L'Antitrust, accogliendo le richieste<br />
avanzate dal Movimento Consumatori, ha accertato<br />
che Rti del gruppo Mediaset ha realizzato una<br />
variazione tariffaria “mascherata da una mera<br />
modifica dei programmi televisivi”, condannando la<br />
società al pagamento della sanzione di 130 mila euro.<br />
Il fatto: Rti nel mese di gennaio <strong>2010</strong> ha introdotto<br />
nel pacchetto “Mediaset Premium Gallery”<br />
due nuovi canali cinema, denominati “Cinema Energy”<br />
e “Cinema Emotion”, aumentando il canone<br />
di 2 o 4 euro al mese (a seconda del tipo di<br />
abbonamento in essere).<br />
L’aumento del prezzo è avvenuto con il meccanismo<br />
del silenzio-assenso, a seguito dell’invio di una lettera<br />
anonima e dal contenuto del tutto assimilabile<br />
a un messaggio pubblicitario, con la quale non è stato<br />
«Non è un caso che a crescere siano<br />
proprio le falsificazioni dei prodotti<br />
tipici certificati e di quel made in Italy,<br />
famoso in tutto il mondo, che<br />
alimenta buona parte delle nostre<br />
esportazioni – rileva Ferrante –. Con<br />
particolare attenzione vanno quindi<br />
difese dalle frodi le nostre piccole<br />
e medie aziende, che rappresentano<br />
il target più sensibile per le mire<br />
dei gruppi organizzati, che speculano<br />
sul settore con profitti di milioni<br />
di euro». Il rapporto “Italia a tavola<br />
<strong>2010</strong>” «conferma che il business<br />
dell’agroalimentare è sempre<br />
più appetibile per la criminalità<br />
organizzata e l’industria della<br />
contraffazione, a causa del valore<br />
crescente in termini economici<br />
del Made in Italy – aggiunge Antonio<br />
Longo, presidente del Movimento<br />
difesa del cittadino –. Per fortuna<br />
il rapporto ci conferma anche<br />
che il sistema dei controlli funziona<br />
e lavora bene, nonostante il taglio<br />
di fondi e di uomini e nonostante<br />
l'incredibile cancellazione<br />
dell’Agenzia nazionale per<br />
la sicurezza alimentare».<br />
correttamente segnalato che si trattava<br />
di un aumento tariffario che consentiva<br />
all’abbonato di recedere dal contratto.<br />
Considerata la grave illegittimità del comportamento<br />
tenuto da Rti, il Movimento Consumatori chiederà<br />
al Tribunale di Roma di inibire l’applicazione delle<br />
nuove tariffe e di informare tutti gli abbonati del<br />
diritto di ottenere in restituzione quanto corrisposto<br />
in seguito agli illegittimi aumenti tariffari.<br />
Se il gruppo Mediaset non restituirà spontaneamente<br />
gli illegittimi aumenti delle tariffe, l’associazione<br />
si vedrà costretta a promuovere una class action<br />
per tutelare i consumatori danneggiati.<br />
Il Movimento Consumatori invita tutti coloro<br />
che intendano ottenere il rimborsi da Rti a contattare<br />
l’associazione a questo indirizzo:<br />
azioni.collettive@movimentoconsumatori.it<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .67
ventun<br />
righe<br />
Credito: affermare un diritto sociale<br />
Il microcredito, in Italia, non gode di una grande attenzione mediatica. Eppure<br />
l’esperienza di molte <strong>Caritas</strong> diocesane mostra che, quando è rettamente inteso,<br />
è realmente uno strumento dell’economia solidale, e un mezzo efficace nella lotta<br />
alla povertà. Perché il ricorso al microcredito non sia più una scelta di nicchia,<br />
è necessario però un cambiamento culturale, al quale possono contribuire comunità<br />
cristiane e soggetti della società civile. La recente approvazione di una norma sul<br />
microcredito, da parte del governo, va in questa direzione (anche se essa accomuna<br />
il microcredito “sociale” e quello per le piccole imprese, che dovrebbero invece<br />
essere oggetto di discipline differenti, e inoltre non considera<br />
e non valorizza il ruolo sussidiario del terzo settore, pur riconoscendo ai soggetti<br />
non profit la possibilità di fare microcredito).<br />
Il cristiano sa che il dono è una scelta evangelica, espressione piena di carità.<br />
Ma accanto al dono c’è una solidarietà più complessa, che si fonda su una<br />
relazione e un accompagnamento che sollecitano responsabilità e “restituzione”<br />
da parte di chi riceve. E che considerano le garanzie collaterali che possono essere<br />
fornite da un soggetto in difficoltà economica, senza concentrarsi solo sulle<br />
garanzie patrimoniali, fondamentali ed esclusive per l’accesso al credito<br />
“tradizionale”. Il microcredito, insomma, punta ad attivare le persone beneficiarie:<br />
rende effettivo un diritto sociale, in quanto strumento che aiuta il cittadino<br />
a riappropriarsi della dignità e del futuro, sovente negati da un sistema bancario<br />
che agisce orientato al profitto, rinunciando a contribuire alla lotta a povertà e usura.<br />
68. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
di Andrea La Regina<br />
<strong>Caritas</strong> Italiana
Le dritte di<br />
Yamada<br />
Quest’agosto mi hanno tenuto compagnia<br />
due libri meravigliosi, scelti appositamente per la loro<br />
estrema cromìa: uno con la copertina tutta nera<br />
(Everyman, di Philip Roth), l’altro con la copertina tutta<br />
bianca (Lo spazio bianco, di Valeria Parrella).<br />
Al libro tutto nero giravo intorno da tempo. Non avevo<br />
ancora letto nulla di Roth – uno dei più grandi scrittori<br />
americani viventi – e di sicuro ho cominciato dal suo<br />
libro più feroce e senza maschera. Il libro tutto bianco<br />
è stata, invece, una necessità, un approdo<br />
sorprendente e benedetto, che mi ha dato asilo svelandosi<br />
vivo. Batteva il cuore di questo librino<br />
abbacinante, e batteva nella mia borsa, nella mia<br />
mente, in metropolitana di giorno, sul comodino di<br />
notte: non l’ho mai lasciato, ho vegliato sulla vicenda<br />
che stava succedendo, riga dopo riga.<br />
Protagonista della storia è Maria, quarantaduenne<br />
che la letteratura medica definirebbe “primipara<br />
attempata”, insegnante di materie letterarie in una<br />
scuola media serale di Napoli. È una donna piena di<br />
interessi, molto consapevole del ruolo che lo studio<br />
avrebbe giocato nella realizzazione di sé: figlia di<br />
operaio negli anni Settanta, “proprio per questo<br />
si intestardisce sui libri,diventando parte di quella<br />
generazione dello scarto intellettuale, che aveva in<br />
dotazione un’arroganza di fondo”. La sua biografia di<br />
bambina è uno spaccato sociologico dell’Italia di quegli<br />
anni: il rapimento di Aldo Moro, una zia emigrata a<br />
<strong>Torino</strong>, sua madre a cui viene iniettato una dose di Vaccino<br />
Sclavo contro il colera, e suo padre che porta tutta<br />
la famiglia trenta chilometri più a sud di Napoli perché<br />
lì, nello stabilimento della Cirio, c’è il lavoro. Maria<br />
patisce la chiusura della provincia “immobile”. Ha<br />
nostalgia di Napoli “e del suo trionfo di umanità che ti<br />
abbraccia e poi ti scarica”. Nella sua famiglia si mescolano<br />
le lotte di fabbrica del padre, al tavolo coi dirigenti,<br />
e i “mezzucci con cui insieme a mia madre brigava perché<br />
finissi nella migliore sezione del Magistrale”.<br />
Uomini<br />
in fuga,<br />
volti e paure<br />
Storie di uomini<br />
e donne in fuga.<br />
E di un’Italia<br />
divisa tra paura<br />
e solidarietà.<br />
Le racconta<br />
la portavoce<br />
dell’Alto<br />
commissariato<br />
Onu per i rifugiati<br />
(Unhcr), l’italiana<br />
Laura Boldrini.<br />
Lunga esperienza<br />
nelle battaglie<br />
a favore di<br />
richiedenti asilo e<br />
rifugiati, l’autrice<br />
si chiede cosa<br />
spinga migliaia di<br />
persone a cercare<br />
di raggiungere le<br />
frontiere italiane,<br />
sfidando ogni<br />
genere di pericolo.<br />
E cosa sappiamo<br />
davvero di loro, se<br />
dobbiamo averne<br />
paura, se sia<br />
giusto respingerli.<br />
Laura Boldrini<br />
Tutti indietro<br />
Rizzoli<br />
pagine 252<br />
Euro 18<br />
Riesce a sgusciargli via, quando si iscrive a Lettere, potendo così ritornare a Napoli. Si<br />
laurea, e sceglie di lavorare come insegnante in una scuola serale. Le mancano tre<br />
mesi al parto quando una sera sente un dolore “rotondo e forte” che l’allarma: decide<br />
di salire la strada degli Incurabili, che porta a un pronto soccorso, da dove viene trasferita<br />
in ambulanza in un centro specializzato. Lì le fanno un cesareo che separa lei dalla<br />
sua bambina prematura. Aspetterà quaranta giorni per sapere se Irene riuscirà a<br />
respirare, e tutto quello che si legge nel libro sono i pensieri di Maria in questo tempo<br />
d’attesa che la prende per mano e la trasforma, da “buco vuoto che ogni mattina<br />
prendeva una metropolitana per l’ospedale”, in madre. Non svelo niente, vi lascio scoprire<br />
cosa accade alla protagonista: i suoi giorni all’apparenza pieni di gesti ripetuti,<br />
i suoi amici e i suoi alunni preoccupati per lei, i caffè bevuti alla macchinetta, le sigarette<br />
sbuffate da una finestra lunga e stretta, da dove Napoli si prende in carico lo<br />
sguardo dolorante di Maria e lo distrae, con la sua bellezza “involontaria e infame”.<br />
Questa storia ve la porterete appresso, come è successo a me. .<br />
LO SPAZIO BIANCO di Valeria Parrella, Einaudi,<br />
collana super T, 10 euro<br />
Forse<br />
era meglio<br />
non partire...<br />
Quando arrivano<br />
nel Belpaese,<br />
attraversando<br />
la frontiera dopo<br />
una lunga corsa<br />
a ostacoli (spesso<br />
drammatica), dopo<br />
poco tempo si<br />
rendono conto<br />
che forse era<br />
meglio non partire<br />
affatto. Questo è<br />
il senso delle<br />
testimonianze<br />
di alcuni ottimi<br />
scrittori stranieri,<br />
che raccontano la<br />
loro esperienza di<br />
migrante in Italia.<br />
Sedici storie,<br />
scritte con incisiva<br />
lucidità, ironia.<br />
E pochi lampi di<br />
ottimismo.<br />
Autori vari<br />
Permesso<br />
di soggiorno.<br />
Gli scrittori stranieri<br />
raccontano l’Italia<br />
Ediesse<br />
Pagine 201<br />
Euro 10<br />
lo scaffale<br />
Un naso<br />
davvero<br />
speciale<br />
Il naso del<br />
pagliaccio Miloud<br />
Oukili è un naso<br />
speciale: ha<br />
percorso le strade<br />
della Romania,<br />
incontrando<br />
i ragazzi che<br />
sulla strada sono<br />
costretti a viverci<br />
e a morire. Il libro<br />
racconta la storia<br />
di Ciprian, bambino<br />
di Bucarest<br />
rimasto in strada<br />
a 10 dieci anni.<br />
L’incontro con<br />
Miloud lo salverà.<br />
Il ricavato del libro<br />
va alla Fondazione<br />
Parada Italia,<br />
attiva nel<br />
nostro paese<br />
per sostenere<br />
i progetti di Parada<br />
Bucarest.<br />
Anna Bulgarelli<br />
e Caterina<br />
Lopreiato<br />
Un naso davvero<br />
speciale<br />
Monti<br />
Pagine 63<br />
Euro 11
On<br />
E in India la prigione<br />
diventa laboratorio commerciale<br />
Poche prigioni possono vantare un<br />
proprio brand riconosciuto, una catena<br />
di negozi e un sito di vendite online<br />
come il carcere di Tihar, a Nuova Delhi,<br />
in India. Il marchio TJ infatti, che sta<br />
per Tihar Jail, può essere riconosciuto<br />
su mobili, snack, prodotti da forno e<br />
vestiti. La merce realizzata nel carcere<br />
di Tihar sta incontrando un grande<br />
successo di vendite; per questo<br />
i responsabili vogliono espandere<br />
il mercato, aprendo un negozio online.<br />
I carcerati di Tihar ogni giorno<br />
producono 1.200 pani, tre quintali di<br />
patatine, cinque di salatini e oltre 90<br />
chili di biscotti. Lo scorso anno sono<br />
stati fabbricati oltre mille banchi per le<br />
scuole della città. I detenuti-operai,<br />
che lavorano otto ore al giorno, sei<br />
giorni alla settimana, vengono pagati<br />
in base alle loro abilità, mentre i profitti<br />
derivanti dalla vendita dei prodotti<br />
vengono destinati alle spese correnti<br />
di mantenimento del penitenziario.<br />
Off<br />
Fitofarmaci in tavola<br />
oltre i limiti consentiti<br />
Il secondo rapporto di Legambiente,<br />
dal titolo Pesticidi nel piatto, lancia<br />
qualche serio allarme. Seppure<br />
Legambiente riconosca gli sforzi fatti<br />
dal nostro paese per un uso sostenibile<br />
dei fitofarmaci, allo stesso tempo<br />
evidenzia come, rispetto allo scorso<br />
anno, cresce la diffusione di verdura,<br />
frutta e derivati contaminati oltre<br />
il livello di sicurezza. In particolare, è<br />
stata rilevata una maggiore presenza<br />
di campioni multiresiduo (3% in più<br />
rispetto al 2009), ovvero quelli in cui<br />
sono contenuti contemporaneamente<br />
più residui chimici diversi. È la verdura<br />
a presentare maggiori criticità, con<br />
l’1,3% dei campioni fuori legge. Quello<br />
che ha colpito i ricercatori, però,<br />
è stata la presenza di un campione di<br />
insalata contaminato da tracce di Ddt,<br />
bandito in Italia dal 1978.<br />
70. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
Milano<br />
“Happy hour”<br />
multiculturali<br />
anche in periferia<br />
Nocetum è un’associazione che<br />
accoglie famiglie in difficoltà<br />
provenienti da tutto il mondo.<br />
Lo scopo dell’ospitalità è avviare<br />
all’autonomia e al lavoro le famiglie.<br />
Per questo al centro Nocetum,<br />
in via San Dionigi 77, si svolgono<br />
anche corsi di formazione e di lingua<br />
per persone straniere. Fra le tante<br />
iniziative del centro, una bella novità<br />
è costituita dagli “Happy hour<br />
multiculturali”, progetto pensato per<br />
far interagire le famiglie ospitate con<br />
i cittadini del quartiere. Le serate<br />
si propongono di favorire l’incontro<br />
e uno scambio culturale fra persone<br />
di popoli diversi: danze, musiche e<br />
filmati del paese prescelto, insieme<br />
a testimonianze e cibo “bio”.<br />
Una volta al mese: dopo il 9 <strong>ottobre</strong><br />
(protagoniste le cascine milanesi),<br />
il 20 novembre tocca alla Spagna.<br />
INFO www.nocetum.it<br />
Milano<br />
L’Africa<br />
che non ti aspetti<br />
nei viaggi di Macondo<br />
L’associazione Macondo per l’incontro<br />
e la comunicazione fra i popoli<br />
organizza un viaggio in Camerun,<br />
nell’Africa non raccontata dal mondo<br />
occidentale: dal 6 al 19 dicembre<br />
(ma occorre prenotare con largo<br />
anticipo), partenza da Milano. Scopo<br />
del viaggio è anche continuare<br />
il rapporto di collaborazione con<br />
i giovani dell’associazione africana<br />
Ajd (Associazione dei giovani per<br />
lo sviluppo) per la realizzazione del<br />
“Progetto Ngambè Tikar”, che prevede<br />
la costruzione di un centro sociale,<br />
luogo di ritrovo e di formazione per<br />
i giovani del villaggio africano.<br />
INFO bollettin.federico@libero.it<br />
Milano<br />
ArchéCucina,<br />
piccoli e grandi cuochi<br />
per i diritti dei bambini<br />
Sono aperte le iscrizioni al<br />
programma “ArchéCucina”, corsi<br />
di cucina per bambini e mamme<br />
organizzato dall’associazione<br />
omonima in collaborazione con<br />
Kitchen in via De Amicis 45 a Milano.<br />
Il ricavato dei corsi è a sostegno dei<br />
progetti sociali di Arché, associazione<br />
per i minori in difficoltà. L’iniziativa,<br />
alla sua prima edizione, prevede<br />
cinque incontri monotematici,<br />
condotti da Antonella Pavanello;<br />
tre sono riservati ai bambini<br />
dai 6 ai 12 anni e si svolgono il<br />
sabato pomeriggio dalle 16 alle 18.<br />
Programma degli incontri: 9 <strong>ottobre</strong>,<br />
“Facciamo la pasta”, 23 <strong>ottobre</strong>,<br />
“Facciamo i biscotti”, 20 novembre<br />
(Giornata dei diritti del bambino),<br />
“Giochiamo in cucina”. Due incontri<br />
sono invece riservati alle mamme<br />
e si svolgono il martedì mattina<br />
dalle 10 alle 13.<br />
INFO info@milanoarche.it<br />
<strong>Torino</strong><br />
“Salone del gusto”,<br />
esperienza che educa<br />
i palati e i consumi<br />
Ottava edizione per il “Salone del<br />
Gusto”, l’appuntamento per i palati<br />
raffinati e con l’occhio attento<br />
all’etica e all’ambiente. Anche<br />
quest’anno, infatti, il Salone si apre<br />
nel capoluogo piemontese<br />
su iniziativa dell’associazione<br />
“Terra Madre”. Il “Salone del Gusto”<br />
è forse l’unico luogo al mondo dove<br />
contadini e artigiani, il mondo della<br />
cultura accademica e cuochi, grandi<br />
cultori dell’enogastronomia e semplici<br />
neofiti si possono incontrare, dando<br />
vita a scambi e amicizie. È il luogo<br />
dove si realizza una fitta rete<br />
di relazioni, in nome di un cibo<br />
“sostenibile”: un evento educativo,<br />
quindi, ma soprattutto una festa,<br />
fatta per conoscere ciò che
mangiamo e per celebrare l’umanità<br />
che è coinvolta nella sua produzione.<br />
Dal 21 al 25 <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong>.<br />
INFO www.salonedelgusto.it<br />
<strong>Torino</strong><br />
Appuntamento<br />
con i giovani<br />
per la Pace<br />
Arriva a <strong>Torino</strong> la seconda tappa del<br />
terzo appuntamento mondiale Giovani<br />
della Pace in programma il 16 <strong>ottobre</strong><br />
<strong>2010</strong>. Tutti sono invitati in piazza San<br />
Carlo a partire dalle ore 14 con<br />
l’accoglienza dei partecipanti da parte<br />
delle Università torinesi, seguirà<br />
l’incontro: “Una buona notizia. Il<br />
mondo si può cambiare”. Parleranno<br />
non i soliti noti ma giovani e testimoni<br />
di questo tempo: solidarietà,<br />
responsabilità e pace saranno i temi<br />
dell’incontro collettivo al quale ci si<br />
può iscrivere sul sito<br />
INFO www.mondialedeigiovani.org<br />
Genova<br />
Festival della Scienza,<br />
edizione per riflettere<br />
sulla biodiversità<br />
Il <strong>2010</strong> è l’Anno internazionale della<br />
biodiversità: il Festival della Scienza<br />
di Genova (29 <strong>ottobre</strong> – 7 novembre)<br />
celebrerà la ricorrenza con una<br />
programmazione ricca di iniziative:<br />
mostre, laboratori per bambini,<br />
conferenze, eventi speciali e<br />
spettacoli. Il ricco programma<br />
ha l’obiettivo di sensibilizzare<br />
il cittadino sulle conseguenze sociali,<br />
economiche, ecologiche e culturali<br />
della perdita di biodiversità.<br />
INFO www.festivalscienza.it<br />
Genova<br />
Viaggio multimediale<br />
nelle suggestioni<br />
del Meditarraneo<br />
Fino al 7 novembre a Palazzo Ducale<br />
è possibile visitare la mostra<br />
“Meditazioni Mediterraneo. In viaggio<br />
attraverso sei paesaggi instabili”:<br />
è un itinerario nei sensi e nei luoghi<br />
del Mediterraneo, per comprendere<br />
atmosfere, suoni, arti e mestieri dei<br />
paesi e dei popoli che nel tempo<br />
Miriguarda<br />
di Emma Neri<br />
“Attraversare la città”: i giovani<br />
e i nuovi percorsi di cittadinanza<br />
Un gruppo di giovani, con culture, stili di vita, provenienze<br />
geografiche diversi, decide di intrapredere un cammino per scoprire<br />
luoghi nuovi. E conoscere persone impegnate a costruire una città più<br />
accogliente, solidale, interculturale. Non si<br />
tratta di un racconto, ma di un progetto che il<br />
Coe (Centro orientamento educativo), l’Azione<br />
cattolica del decanato di Zara, con<br />
l’Osservatorio sul Territorio, insieme a Scarp<br />
de’ <strong>tenis</strong>, hanno elaborato. L’iniziativa nasce dal<br />
desiderio di dare vita a un percorso capace di<br />
avvicinare le nuove generazioni ad alcuni luoghi<br />
nascosti della città di Milano, che senza dare<br />
spettacolo offrono speranza a molte persone<br />
in difficoltà, o promuovono dialogo<br />
interculturare, sostenendo che il concetto di<br />
cittadinanza, nel ventunesimo secolo, debba<br />
essere inclusivo e capace di integrazione,<br />
accoglienza e solidarietà. Come mette bene in<br />
luce (immagine a fianco) il disegno di Valentina<br />
Simonati (giovane artista dell’Accademia di<br />
Brera), il senso di Milano non può essere<br />
racchiusto solo nei suoi simboli. “Attraversare la città” vuole allora<br />
essere un percorso di educazione alla cittadinanza. Un cammino che<br />
parte dal pensiero del cardinale Carlo Maria Martini (pubblicato nel<br />
recente volume: Liberi di credere. I giovani verso una fede consapevole,<br />
In Dialogo, Milano 2009): “Attraversate la città contemporanea con il<br />
desiderio di ascoltarla, di comprenderla, senza schemi riduttivi e senza<br />
paure ingiustificate, sapendo che insieme è possibile conoscerla nella<br />
sua varietà diversificata, nelle rete di amicizie e di incontri, nella<br />
collaborazione tra i gruppi e le istituzioni. Favorite i rapporti tra persone<br />
che sono diverse per storia, per provenienza, per formazione culturale<br />
e religiosa. Possiate essere il fermento e i promotori di nuove agorà,<br />
dove si possa dialogare anche tra coloro che la pensano diversamente<br />
in una ricerca appassionata e comune”.<br />
Gli incontri si terranno secondo il seguente programma in alcune<br />
domeniche (ore 15.30-18.30): 7 novembre, “Milano multiculturale”;<br />
16 gennaio, “Milano solidale”; 20 febbraio, “Una rivista che pensa a chi<br />
vive il/la strada in modo diverso”; 22 maggio, “Una casa per tutti.<br />
Le culture del mondo a Milano”.<br />
INFO Prashanth Cattaneo (Coe), p.cattaneo@coeweb.org -<br />
www.coeweb.org - tel. 02.6696258, cell. 339.5335242<br />
hanno abitato e percorso il bacino<br />
del “Mare nostrum”. Mescolanza<br />
di razze, religioni e costumi,<br />
il Mediterraneo è un’area geografica<br />
che testimonia che il dialogo fra<br />
i popoli è sinonimo di ricchezza<br />
culturale e di benessere materiale.<br />
INFO www.palazzoducale.genova.it<br />
caleidoscopio<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .71
Street art<br />
di Emma Neri<br />
“Picturin”, il festival<br />
dell’arte murale<br />
“riqualifica” la città<br />
“<strong>Torino</strong> <strong>2010</strong> - Capitale<br />
europea dei giovani”, propone per<br />
l’autunno un evento internazionale<br />
di “arte murale”: il “Picturin Festival”,<br />
che contribuirà alla riqualificazione di<br />
alcune aree della città, portando decine<br />
di artisti nazionali e internazionali a<br />
confrontarsi con le esperienze locali.<br />
Il festival sarà un luogo per ritrovarsi e<br />
dare espressione alla propria creatività.<br />
Allo stesso tempo, il pubblico avrà<br />
l’opportunità di avvicinarsi all’arte<br />
del “muralismo” contemporaneo e ai<br />
suoi significati più profondi.<br />
La città, dal centro alle periferie, verrà<br />
travolta da un’onda di colore e<br />
immagini su una decina di pareti cieche<br />
e altri spazi cittadini, per un totale di<br />
oltre 3.500 metri quadri di superfici<br />
murali dipinte. Il festival comprenderà<br />
inoltre molte iniziative legate al mondo<br />
dell’arte urbana e delle culture<br />
underground: vi saranno svariati<br />
happening (mostre, conferenze, serate<br />
musicali, ecc) a carattere artistico,<br />
che attingeranno dal vivace e attivo<br />
movimento culturale torinese per creare<br />
momenti di relax e aggregazione tra<br />
artisti e fruitori del festival.<br />
Fra gli artisti di strada che<br />
parteciperanno, tanti italiani: da<br />
Agostino Lacurci a Cacktus & Maria,<br />
da Hemo a Morcky, e poi Reser, Wany,<br />
Zeus40. E molti spagnoli: Aryz, Sague,<br />
Spok, Xtrm. Fino alla fine di novembre.<br />
INFO www.picturin-festival.com<br />
72. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
Genova<br />
Il teatro entra a scuola<br />
e prepara il terreno<br />
all’integrazione<br />
Prosegue fino al 30 dicembre<br />
il laboratorio teatrale, per gruppi<br />
scolastici dai 14 ai 18 anni, dal titolo<br />
“Dall’immagine all’immaginazione”.<br />
Si tratta di un laboratorio costituito<br />
da sei incontri, di due ore ciascuno,<br />
svolto direttamente presso la scuola<br />
interessata. L’obiettivo del progetto,<br />
curato dal Teatro delle Nuvole<br />
di Genova, è promuovere la creazione<br />
di un terreno comune per superare<br />
le possibili difficoltà di integrazione<br />
tra gli studenti, all’interno di classi<br />
multietniche. L’idea di base è mettere<br />
in comune le esperienze degli<br />
studenti e creare nella classe<br />
un “territorio” condiviso, attraverso<br />
l’incontro con il mondo delle immagini<br />
e il linguaggio teatrale.<br />
INFO www.teatrodellenuvole.it<br />
Vicenza<br />
Lo Sportello Donna<br />
funziona<br />
e viene potenziato<br />
“Sportello Donna - Rete di aiuto”<br />
è un servizio gestito dal comune<br />
di Vicenza e offre (alle donne vittime<br />
di maltrattamenti e di violenza)<br />
azioni di accoglienza, ascolto,<br />
supporto emotivo e psicologico, aiuto<br />
nei percorsi di cura e nel progetto di<br />
uscita dalla situazione maltrattante o<br />
violenta. Tutto avviene attraverso<br />
consulenze legali e facendo rete con<br />
altri servizi del territorio. L’iniziativa<br />
ha riscosso successo e il servizio è<br />
stato potenziato, con l’apporto di<br />
psicologi e assistenti sociali, nonché<br />
di molte volontarie donne. Per chi<br />
volesse diventare volontaria, si<br />
svolgono corsi di formazione.<br />
INFO Sportello Donna,<br />
tel. 0444.222.550<br />
Commercio equosolidale<br />
“Io faccio<br />
la spesa giusta”.<br />
A dispetto della crisi...<br />
Dal 16 al 31 <strong>ottobre</strong> torna “Io faccio<br />
la spesa giusta”, iniziativa promossa<br />
da Fairtrade Italia (il marchio<br />
di certificazione dei prodotti<br />
equosolidali). Quest’anno si<br />
preannuncia ricca di novità: incontri,<br />
cene, degustazioni, promozioni e<br />
sconti si svolgeranno nei principali<br />
punti vendita della distribuzione<br />
italiana, veicolo per far conoscere<br />
meglio al grande pubblico il<br />
commercio equo e solidale, il cui<br />
volume di affari è in crescita: in Italia<br />
i dati 2009 parlano di un aumento<br />
del 10% nella vendita dei prodotti.<br />
INFO www.fairtradeitalia.it<br />
Editoria sociale<br />
Un Salone fa incontrare<br />
realtà non profit<br />
e della comunicazione<br />
Torna a Roma, dal 22 al 24 <strong>ottobre</strong>,<br />
per il secondo anno consecutivo,<br />
il “Salone dell’editoria sociale”, nello<br />
spazio exGil. Editori, organizzazioni<br />
del terzo settore e mondo<br />
del volontariato si confrontano<br />
quest’anno sul tema “Educazione<br />
e intervento sociale”. Tra le novità,<br />
la presentazione<br />
del primo<br />
“Rapporto<br />
sull’editoria sociale<br />
in Italia” e un cartellone ancora più<br />
ricco della prima edizione:<br />
presentazioni di libri, tavole rotonde,<br />
dibattiti, multimedia. Appuntamento<br />
per tutti, anche non specialisti.<br />
INFO www.editoriasociale.info
Disabilità/1<br />
Il gioco di Alessandro:<br />
in carrozzina?<br />
Sì, ma “Trovo Amici”<br />
Alessandro Casadio ha 53 anni<br />
ed è fumettista, è poliomelitico<br />
dalla nascita ma questo non gli ha<br />
impedito di avere amici. Adesso<br />
Alessandro ha creato un gioco da<br />
tavola dal titolo eloquente: “Trovo<br />
Amici”, realizzato con l’associazione<br />
Gruppo Amici Insieme e finanziato<br />
da Volabo. L’idea del gioco nasce<br />
dal vivere quotidiano di un disabile:<br />
i concorrenti devono girare per il<br />
quartiere, nonostante gli ostacoli<br />
rappresentati dalle barriere<br />
architettoniche, ma anche da quelle<br />
psicologiche, non meno frequenti.<br />
INFO www.fumodicasa.net<br />
Disabilità/2<br />
“Storie della giungla”,<br />
un fumetto per<br />
vincere i pregiudizi<br />
L’Anffas del Trentino ha lanciato una<br />
collana di racconti per spiegare la<br />
disabilità ai bambini con il linguaggio<br />
che preferiscono: il fumetto. Il primo<br />
volume di “Le storie della giungla”<br />
racconta la storia di Gary, bianco e<br />
sorridente cagnone bobtail, e di<br />
Spike, chihuahua specialista nel<br />
cacciarsi nei guai. I protagonisti<br />
conosceranno Ricky, un cucciolo di<br />
rinoceronte senza corno, per questo<br />
emarginato dal branco, che viene<br />
portato dalla sua famiglia nel villaggio<br />
di Rin Town, dove si pratica il rispetto<br />
per la diversità. Il testo sarà distribuito<br />
nelle scuole, nelle biblioteche e<br />
durante le iniziative di sensibilizzazione<br />
promosse da Anffas.<br />
INFO www.anffas.tn.it<br />
Internet<br />
Lavoro e giovani a Sud:<br />
nuovo portale<br />
di Progetto Policoro<br />
Un nuovo portale. Più moderno,<br />
più ricco di contenuti e documenti, più<br />
interattivo, più<br />
usabile. Progetto<br />
Policoro (iniziativa<br />
della chiesa<br />
italiana, per dare<br />
risposte al problema della<br />
disoccupazione nelle regioni<br />
meridionali) inaugura una stagione<br />
web più al passo con i tempi. Il nuovo<br />
portale è attivo da metà settembre:<br />
contiene un’aggiornata sezione sulle<br />
realtà di cooperazione e imprenditoria<br />
sociale nel Meridione, oltre che<br />
informazioni sulle attività territoriali e<br />
sui progetti che, nel corso degli anni,<br />
l’iniziativa ha consentito di sviluppare.<br />
Progetto Policoro è nato nel 1995, con<br />
un primo incontro nell’omonima<br />
cittadina lucana, ed è sostenuto da tre<br />
organismi Cei (Servizio di pastorale<br />
giovanile, l’Ufficio per i problemi sociali<br />
e del lavoro, <strong>Caritas</strong> Italiana).<br />
INFO www.progettopolicoro.it<br />
Tarchiato Tappo - Il sollevatore di pesi<br />
Pillole<br />
senza dimora<br />
caleidoscopio<br />
Lo “zaino solidale” parte da Milano<br />
Una campagna di sensibilizzazione e<br />
solidarietà sulla condizione di chi vive<br />
in strada, avvita dall’associazione<br />
“Sos Stazione Centrale”: è iniziata<br />
con la distribuzione ai senza tetto<br />
che gravitano in stazione di 150 zaini<br />
“di sopravvivenza”, donati al centro<br />
per gravi emarginati della Fondazione<br />
Exodus, grazie anche all’associazione<br />
Progetto Arca. Lo zainetto contiene<br />
prodotti igienici e indumenti intimi,<br />
molto utili per chi vive in strada.<br />
“Invisibili” nel cuore della Città eterna<br />
Sono 24 mila persone, di cui l’84%<br />
stranieri: a questa cifra ammonta<br />
il popolo dei senza dimora di Roma.<br />
Sono ventiquattromila persone<br />
“invisibili”, perché senza diritti.<br />
Sono stati “contati” con un lavoro<br />
congiunto dall’anagrafe di Roma,<br />
da associazioni di volontariato e<br />
da comunità religiose, che hanno<br />
cercato di realizzare un lavoro<br />
accurato, censendo i casi noti<br />
e le persone con cui hanno relazione,<br />
e “cassando” i nomi di coloro<br />
che non sono rintracciabili<br />
da più di sei mesi.<br />
pagine a cura<br />
di Daniela Palumbo<br />
per segnalazioni<br />
dpalumbo@coopoltre.it<br />
<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong><br />
. 73
Ex broker, dorme all’ostello. È uno dei molti nuovi homeless a New York<br />
Chung dall’aragosta al toast<br />
«Mi manca quell’adrenalina...»<br />
di Damiano Beltrami da New York<br />
GUADAGNAVA OLTRE UN MILIONE DI DOLLARI ALL’ANNO COME BROKER AWALL STREET. Abitava in un<br />
appartamento da diecimila euro al mese nell’Upper East Side, una delle zone più care<br />
di New York City. Nel tempo libero tirava a lucido auto d’epoca, gingilli da collezionisti<br />
come Chevrolet Chevelle SS 6 decappottabili.<br />
Oggi possiede solo un armadietto alla Rescue Mission, un malfamato ostello per<br />
senza dimora a due passi da Chinatown. Protetti da un lucchetto di quarta mano, Jim<br />
Chung conserva solo un pugno di ricordi: il tesserino di quando era alla banca d’affari<br />
Lehman Brothers, una cravatta griffata Armani, una foto in cui siede al tavolo di un scintillante<br />
bar assaporando carne di aragosta.<br />
«Questo non è il Four Seasons – scherza alla mensa dell’ostello Chung, mentre addenta<br />
una coscia di pollo bollito con contorno di carote –. Ma abbiamo ottimi dessert,<br />
addolciscono un po’ la malinconia». Per Chung, un cinquantasettenne secco come un<br />
biscotto e dalla parlantina inarrestabile , i guai sono cominciati<br />
alla fine del 2006, quando si è licenziato dall’azienda<br />
di brokeraggio in cui era andato a lavorare dopo<br />
diversi anni a Lehman Brothers. Voleva fondare una piccola<br />
banca d’affari per far lievitare ulteriormente il suo<br />
stipendio da nababbo. Ma dopo aver assunto più di cento<br />
persone, nel 2008 la banca è rimasta invischiata nella<br />
crisi economica. Per mancanza di clienti ha dovuto prima<br />
disfarsi di buona parte dei dipendenti, poi chiudere<br />
del tutto. Il che ha assottigliato ulteriormente i suoi conti<br />
in banca, già provati da due divorzi dispendiosi.<br />
74. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />
america street<br />
«Con la nuova azienda di soldi ne ho bruciati un sacco<br />
– spiega Chung allargando le braccia –. Dovevo pagare<br />
puntualmente gli stipendi, comprare computer e altro.<br />
E nel frattempo, avevo zero entrate...».<br />
Chung è una delle 38 mila persone che vivono negli ostelli per senzatetto di New<br />
York. Ma è anche un caso estremo dell’impoverimento di migliaia di newyorkesi. I senza<br />
dimora sono aumentati del 34% dall’inizio della grande recessione, stando ai dati<br />
del comune. In alcuni casi, questi nuovi homeless sono ex componenti della classe media<br />
che si sono ritrovati senza lavoro: impiegati della metropolitana con figli a carico, insegnanti<br />
in esubero, a volte perfino gente facoltosa come Chung. Gente che prima della<br />
crisi si poteva permettere di volare in Francia per il fine settimana solo per provare un<br />
piatto di linguine ai gamberi, e adesso si deve accontentare di spalmare burro di arachidi<br />
su pan carré stantio per soffocare l’appetito.<br />
Oggi Chung vive la sua vita come un incubo, da cui spera di risvegliarsi presto. Inganna<br />
il tempo spazzando la mensa, lucida i corridoi e ritira il bucato dalla lavatrice. Trova<br />
un po’ di pace, spiega, solamente leggendo il Vangelo. Di tanto in tanto, però, s’infila<br />
nella minuscola biblioteca dell’ostello, spulcia il Wall Street Journal e si concede il lusso<br />
di arrendersi a un sogno: «Se Dio vuole tornerò presto nel Grande Gioco della finanza<br />
– sorride raggiante –. Quell’adrenalina mi manca da morire...»..<br />
L’armadietto di Chung alla Rescue Mission<br />
Abitava un appartamento da diecimila dollari al mese. E<br />
tirava a lucido, per hobby, vecchie auto d’epoca. Ora ha<br />
solo un piccolo ripostiglio nell’ostello per senza dimora
Ferro<br />
C omunicazionedesig<br />
omunicazionedesign<br />
PPremio<br />
remio<br />
Ethic<br />
Award<br />
pe per r iniziative iniziati<br />
v ve<br />
aad<br />
d elevato<br />
contenuto<br />
etico. etic<br />
c o.<br />
lla a solidarietà<br />
solidariet à<br />
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dai<br />
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corri<br />
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1 % d del<br />
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della<br />
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fond<br />
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da<br />
<strong>Caritas</strong><br />
Ambrosiana,<br />
che<br />
serve<br />
ad<br />
aiutare<br />
persone<br />
bisognose.<br />
Coo<br />
p r raddoppia<br />
il<br />
tu<br />
o c contributo.<br />
<br />
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numero verde<br />
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