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scarp de' tenis ottobre 2010 - Caritas Torino

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Spedizione in abbonamento postale 45% articolo 2, comma 20/B, legge 662/96, Milano<br />

il mensile della strada<br />

Siringati<br />

numero 145<br />

anno 15<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

2 50€<br />

de’<strong>tenis</strong><br />

www.<strong>scarp</strong>de<strong>tenis</strong>.it<br />

ventuno Credito, “micro” è bello<br />

I matti in strada si curano così?<br />

Andrea dormiva nella cabina Enel. Sgomberato, gli hanno chiesto i danni. Ha seri problemi mentali.<br />

Per i tanti homeless come lui, la soluzione è prolungare i trattamenti coatti, come chiedono molti?<br />

Milano Ortles cambia pelle <strong>Torino</strong> Il Registro? Così non va Genova La Bellezza costruisce la Pace<br />

Vicenza Al Barco si beve con la testa Rimini Non ci rubano le case Firenze Si barcolla, ci si rialza<br />

Napoli Un’Oasi di speranza Catania Diversi in scena, attori per sempre Palermo Ricordo di “3P”


Fantasmi<br />

e buoni vicini<br />

Roberto Davanzo<br />

direttore <strong>Caritas</strong> Ambrosiana<br />

Il 10 <strong>ottobre</strong> viene celebrata la diciottesima<br />

Giornata mondiale della salute mentale,<br />

che da alcuni anni, a Milano, è accompagnata<br />

da un Messaggio dell’arcivescovo.<br />

I lettori delle altre città mi perdoneranno se<br />

faccio riecheggiare alcuni dei pensieri del cardinale<br />

Tettamanzi, contenuti nel messaggio <strong>2010</strong>,<br />

“condizionato” da un importante anniversario: i<br />

400 anni dalla canonizzazione di san Carlo Borromeo,<br />

la cui vita e la cui passione pastorale offrono anche<br />

a noi criteri per orientare l’azione a favore di ogni<br />

uomo. Dunque, anche del malato di mente.<br />

Il primo criterio che san Carlo seguì è la necessità di<br />

incontrare il bisognoso là dove vive. Per certi versi, si può<br />

dire che “inventò” l’assistenza domiciliare: durante la peste<br />

del 1576 non si risparmiò nelle visite agli appestati rinchiusi<br />

in case, o nel Lazzaretto in attesa della morte.<br />

Ma questo andare incontro al bisognoso diventa possibile<br />

solo affinando la capacità di guardare la persona senza<br />

ridurla alla sua malattia. La malattia mentale non può<br />

peraltro essere affrontata senza un’adeguata e rinnovata<br />

“integrazione fra dimensione sociale e dimensione sanitaria”.<br />

Al malato va offerto un percorso personalizzato,<br />

che all’intervento farmacologico affianchi opportunità<br />

di reinserimento sociale, abitativo, lavorativo. Inoltre,<br />

la cura territoriale non può essere sinonimo di de-responsabilizzazione,<br />

di delega dell’onere di prendersi<br />

cura del malato: famiglia, quartiere e tessuto sociale<br />

vanno preparati e affiancati. E le istituzioni devono fare<br />

(non sempre accade) la loro parte.<br />

Un reinserimento nella vita sociale, dunque, è<br />

possibile solo là dove la persona trova un “buon vicinato”<br />

pronto ad accoglierla, a non emarginarla, nella<br />

paura e in un clima di sospetto. San Carlo non l’avrebbe<br />

fatto. A noi cittadini del terzo millennio, e alle istituzioni<br />

che ci rappresentano, il compito di non resuscitare<br />

i fantasmi di antichi stigmi.<br />

La bolla dell’insicurezza,<br />

i rom sotto il cavalcavia<br />

Paolo Brivio<br />

editoriali<br />

Inesorabilmente, noiosamente, approssimativamente, si torna a parlare<br />

di rom. Erano un po’ spariti dai radar dell’informazione che conta e<br />

che orienta, e della politica che discute (urla) e decide (più o meno…).<br />

Ma sono tornati prepotentemente alla ribalta. Complice l’insospettabile<br />

Francia di Sarkozy, campionessa nel difendere i sacrosanti diritti umani<br />

di chi è oppresso in casa d’altri (vedi, ultimo, il caso Sakineh), disinvolta<br />

nel disporre rimpatri che l’Europa sospetta condotti sulla base del pregiudizio<br />

etnico, anziché di un fondato giudizio penale.<br />

E così, subito dopo l’estate, le notizie su microcrimini odiosi e insediamenti<br />

abusivi e quartieri insofferenti e convivenze impossibili e sgomberi<br />

solerti sono tornate a punteggiare giornali e notiziari tv, consentendo<br />

ai nostrani cavalieri del decoro urbano e della legalità di borgata di<br />

ridare fiato alle loro trombe. Che, sarà un caso, squillano di nuovo gagliarde<br />

in sincronia con il riapprossimarsi della “gabina” elettorale. Uno<br />

studio Demos-Unipolis di fine 2009 ha dimostrato che tra 2007 e<br />

2008, in vista delle precedenti elezioni legislative, si è verificata in<br />

Italia una “bolla dell’insicurezza mediatica”: andamento costante<br />

(anzi in leggero ribasso) dei reati, epperò nei tiggì picco delle notizie<br />

sugli stessi (insistentemente correlate al tema dell’immigrazione)<br />

e conseguente impennata della percezione d’insicurezza<br />

nell’opinione pubblica. Perché ritenere che stavolta – pare si voti<br />

in primavera – debba andare diversamente?<br />

Coltivare paure preconcette e allevare capri espiatori<br />

rende molto, elettoralmente parlando. Ancor più rende l’arte<br />

di lasciar incancrenire problemi complessi, che genera-<br />

no consensi a chi ha lo stomaco di denunciarli, non avendoli<br />

affrontati con la volontà di risolverli. Va a finire che,<br />

nella Milano dell’unica metropolitana subacquea al mondo,<br />

del record europeo d’inquinamento e del cupo ramificarsi<br />

della ’ndrangheta, dopo un decennio di sgomberi<br />

senza logica si convoca un ministro dell’interno coi baffi<br />

per dire no alla consegna di 25 appartamenti pubblici<br />

(25, mentre in città sono migliaia gli alloggi non assegnati<br />

o occupati abusivamente!) alle associazioni che vi dovevano<br />

insediare alcune famiglie rom, a novembre sgomberande,<br />

con centinaia d’altre, dai campi finora legali.<br />

Quale raziocinio amministrativo, quale esercizio di<br />

buon senso, quale prova di rispetto dei diritti umani, quale<br />

volontà di sciogliere i fisiologici nodi di una metropoli multietnica<br />

del ventunesimo secolo si può scorgere, in scelte come<br />

questa? Sicuramente, vi si intravede una bella faccia tosta.<br />

Operatori sociali, mediatori culturali e volontari sanno<br />

quanto difficile ed esposto a sconfitte, per mille ragioni, sia il<br />

lavoro di integrazione con i rom. Difficile, ma appassionante.<br />

E in molti casi fruttuoso. Lo sappiamo, per diretta esperienza,<br />

anche noi di Scarp. Dalla politica ci si attenderebbe una<br />

sponda. Una manciata di famiglie in più, sotto i cavalcavia<br />

di Milano, vale certo un bel gruzzoletto di voti: ma la prospettiva<br />

di una città rasserenata, e sicura perché inclusiva,<br />

fa davvero tanto schifo?


cos’è<br />

È un giornale di strada non profit. È un’impresa<br />

sociale che vuole dar voce e opportunità di reinserimento<br />

a persone senza dimora o emarginate. È un’occasione<br />

di lavoro e un progetto di comunicazione. È il primo passo<br />

per recuperare la dignità. In vendita agli inizi del mese.<br />

come leggerci<br />

Scarp de’ <strong>tenis</strong> è una tribuna per i pensieri e i racconti<br />

di chi vive sulla strada. È uno strumento di analisi<br />

delle questioni sociali e dei fenomeni di povertà.<br />

Nella prima parte, articoli e storie di portata nazionale.<br />

Nella sezione Scarp città, spazio alle redazioni locali.<br />

Ventuno si occupa di economia solidale, stili di vita<br />

e globalizzazione. Infine, caleidoscopio: vetrina<br />

di appuntamenti, recensioni e rubriche... di strada!<br />

dove vanno i vostri 2,50 euro<br />

Vendere il giornale significa lavorare, non fare<br />

accattonaggio. Il venditore trattiene una quota<br />

sul prezzo di copertina. Contributi e ritenute fiscali<br />

li prende in carico l’editore. Quanto<br />

resta è destinato a progetti di solidarietà.<br />

Per contattarci<br />

e chiedere di vendere<br />

Redazione centrale - milano<br />

cooperativa Oltre, via Copernico 1<br />

tel. 02.67.47.90.17<br />

fax 02.67.38.91.12 <strong>scarp</strong>@coopoltre.it<br />

Redazione torino<br />

associazione Opportunanda<br />

via Sant’Anselmo 21, tel. 011.65.07.306<br />

opportunanda@interfree.it<br />

Redazione Genova<br />

Fondazione Auxilium, via Bozzano 12<br />

tel. 010.52.99.528/544<br />

comunicazione@fondazioneauxilium.it<br />

Redazione Vicenza<br />

<strong>Caritas</strong> Vicenza, Contrà Torretti 38,<br />

tel. 0444.304986 - vicenza@<strong>scarp</strong>de<strong>tenis</strong>.net<br />

Redazione rimini<br />

<strong>Caritas</strong> Rimini, via Madonna della Scala 7,<br />

tel 0541.26040 - ufficiostampa@caritas.rimini.it<br />

Redazione Firenze<br />

<strong>Caritas</strong> Firenze, via De Pucci 2, tel.055.267701<br />

addettostampa@caritasfirenze.it<br />

Redazione napoli<br />

cooperativa sociale La Locomotiva<br />

largo Donnaregina 12 tel. 081.44.15.07<br />

<strong>scarp</strong>denapoli@virgilio.it<br />

Redazione catania<br />

Help center <strong>Caritas</strong> Catania<br />

piazza Giovanni XXIII, tel. 095.434495<br />

redazione@telestrada.it<br />

Redazione Palermo<br />

<strong>Caritas</strong> Palermo, vicolo San Carlo 62<br />

tel. 091.6174075<br />

<strong>scarp</strong>depalermo@gmail.com<br />

sommario<br />

fotoreportage<br />

Anche io lavoro. E sorrido. p.6<br />

<strong>scarp</strong> Italia<br />

Inchiesta<br />

Se son matti, non li curiamo p.12<br />

L’intervista<br />

Ascanio Celestini: «La pazzia? Riguarda tutti...» p.20<br />

Rapporto poverta’<br />

In caduta libera, l’Italia non regge p.23<br />

Il progetto<br />

Ottimomassimo, i libri hanno le ruote p.26<br />

Il libro<br />

Caravaggio, quei piedi sporchi che fecero scandalo p.28<br />

<strong>scarp</strong> città<br />

Milano<br />

Viale Ortles, il colosso cambia pelle p.30<br />

Niente casa ai rom, neppure a Romina p.36<br />

<strong>Torino</strong><br />

Nuovo registro, così proprio non va p.38<br />

Genova<br />

La bellezza, costruttrice di pace p.40<br />

Vicenza<br />

Serata al Barco, si beve con la testa p.42<br />

Rimini<br />

Stranieri: non ci rubano le case popolari p.44<br />

Firenze<br />

Casa Elios: si barcolla e ci si rialza p.46<br />

Napoli<br />

Un’oasi di speranza per San Giovanni p.48<br />

Catania<br />

Divertirsi in scena, attori per sempre p.52<br />

Palermo<br />

Don Pino Puglisi, martire del vangelo p.54<br />

<strong>scarp</strong> ventuno<br />

Dossier<br />

Microcredito all’italiana p.58<br />

Società<br />

Piovono scommesse p.64<br />

caleidoscopio<br />

Rubriche e notizie in breve p.69<br />

<strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong><br />

Il mensile della strada<br />

Da un’idea di Pietro Greppi e da un paio di <strong>scarp</strong>e - anno 15 n. 145 <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> - costo di una copia: 2,50 euro<br />

Per abbonarsi a un anno di Scarp: versamento di 25 €<br />

c/c postale 37696200 (causale AbbonAmento ScArP de’ tenIS)<br />

Redazione di strada e redazione giornalistica via Copernico 1, 20125 Milano (aperto da lunedì a giovedì 8-12.30 e 14-16.30, venerdì 8-12.30), tel.<br />

02.67.47.90.17, fax 02.67.38.91.12 Direttore responsabile Paolo Brivio Redazione Stefano Lampertico, Ettore Sutti, Francesco Chiavarini Segretaria di redazione<br />

Sabrina Montanarella Responsabile commerciale Max Montecorboli Redazione di strada Antonio Mininni, Lorenzo De Angelis e Tiziana Boniforti Sito web Roberto Monevi<br />

Hanno collaborato Ambrogio, Simona Brambilla, Lorena Cannizzaro, Roberto Capuano, Piera Coppa, Stefania Culurgioni, Grazia Di Stefano, Paolo Fallico, Marco Faggionato,<br />

Luca Frigerio, Sissi Geraci, Silvia Giavarotti, Laura Guerra, Chiara Lambrocco, Alessandra Leardini, Bruno Limone, Gheorghe Mateciuc, Mirco Mazzoli, Emanuele Merafina,<br />

Michele, Nino Moxedano, Mr Armonica, Peter Murnau, Walter Nanni, Nemesi, Piero, Aida Odoardi, Daniela Palumbo, Antonio Pirozzi, Cinzia Rasi, Ottavio Regolo, Stefano<br />

Rossini, Rossella Russello, Cristina Salviati, Antonio Vanzillotta, Gabriella Virgillitto, Yamada Disegno di copertina Luigi Zetti Foto Maria Passano, Grazia di Stefano,<br />

Giuseppe Valletta, Archivio Scarp Disegni Claudia Ferraris, Silva Nesi, Psichedelio, Martina Chlubnova, Luigi Zetti Progetto grafico Francesco<br />

Camagna e Simona Corvaia Editore Oltre Società Cooperativa, via S. Bernardino 4, 20122 Milano Presidente Luciano Gualzetti Registrazione<br />

Tribunale di Milano n. 177 del 16 marzo 1996 Stampa Tiber, via della Volta 179, 24124 Brescia. Consentita la riproduzione di testi, foto e grafici<br />

citando la fonte e inviandoci copia. Questo numero è in vendita dal 10 <strong>ottobre</strong> al 6 novembre <strong>2010</strong>.<br />

Associato<br />

all’Unione<br />

Stampa<br />

Periodica<br />

Italiana


Anche<br />

io lavoro.<br />

E sorrido!<br />

Professionalità, orgoglio. E un pizzico<br />

di allegria. I ragazzi down ci sanno<br />

fare, con il loro lavoro. A raccontarne<br />

l’attività è la mostra fotografica<br />

“Io lavoro!”, tenutasi di recente<br />

a Nervi (Genova).<br />

Ben 50 ragazzi svolgono attività<br />

lavorative, nel territorio di Genova,<br />

grazie all’impegno dell’istituto Cepim.<br />

Alcuni a tempo determinato, altri<br />

indeterminato: ma tutti hanno<br />

instaurato rapporti di simpatia<br />

con i colleghi, raggiungendo<br />

buoni livelli di professionalità.<br />

L’inserimento lavorativo<br />

di ogni ragazzo è seguito<br />

da un educatore, e avviene<br />

in aziende di genere molto diverso:<br />

alcuni ragazzi lavorano in società<br />

pubbliche, altri in supermercati,<br />

pastifici, ristoranti, nei musei,<br />

al porto. Alcuni nelle scuole, altri<br />

negli ospedali o come giardinieri.<br />

Le immagini raccontano la loro<br />

straordinaria voglia di rendersi utili:<br />

a se stessi e alla comunità.<br />

Gli scatti di Maria per Cepim<br />

La mostra “Io lavoro!” si avvale delle fotografie<br />

di Maria Passano; il progetto è stato curato<br />

da Lidia Schichter ed è nato in collaborazione<br />

con Cepim, istituto che ha sede a Genova<br />

e che si occupa di minori<br />

con sindrome di Down e delle loro famiglie<br />

6. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong>


fotoreportage<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .7


Anche io lavoro, e sorrido!<br />

8. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong>


fotoreportage<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .9


È<br />

Il Cuore entra in stazione<br />

Nell’Anno Europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale,<br />

dalla Onlus di Enel un progetto di solidarietà a favore dei senza dimora<br />

“UN CUORE IN STAZIONE”, IL PROGETTO DI SOLIDARIETÀ CHE ENEL CUORE<br />

ONLus, in partnership con le Ferrovie dello Stato, dedica alle persone<br />

senza dimora nell’Anno Europeo della lotta alla povertà e<br />

all’esclusione sociale.<br />

“Un Cuore in stazione” prevede l’ampliamento e l’apertura di centri<br />

dedicati alle persone che vivono in condizioni di povertà. Un<br />

progetto complesso che integra il concetto di accoglienza con<br />

quello di assistenza e “presa in carico”, per accompagnare gli ospiti<br />

in un percorso di recupero finalizzato al reinserimento sociale.<br />

“Un cuore in Stazione” vuol essere una risposta concreta ai crescenti<br />

fenomeni di marginalità sociale particolarmente critici nei<br />

pressi delle stazioni ferroviarie, prodotti allarmanti anche della<br />

congiuntura economica sfavorevole di questi anni.<br />

“Un cuore in stazione” prevede un piano triennale di interventi,<br />

che toccherà in tutto 11 stazioni italiane ed ha già coinvolto Roma<br />

Termini nel dicembre scorso, ha fatto tappa nelle stazioni di Genova<br />

Cornigliano, Napoli Centrale e Pescara e arriverà anche a Catania,<br />

Melfi, <strong>Torino</strong> e ancora Roma Termini.<br />

Nel progetto il Gruppo Ferrovie dello Stato mette a disposizione<br />

immobili di sua proprietà per realizzare i Centri, Enel Cuore fornisce<br />

il contributo economico per la ristrutturazione, l’acquisto<br />

degli strumenti e degli arredi per renderli operativi, infine le Associazioni<br />

di volontariato del territorio che si occupano di marginalità<br />

li gestiscono.<br />

A Roma Termini l’help center Binario 95 – già attivo dal 2006 – da<br />

dicembre scorso è diventato un moderno centro polifunzionale<br />

e multi-servizi. Grazie a “Un cuore in stazione” i locali sono stati<br />

ampliati, gli spazi rinnovati e oggi psicologi e operatori sociali, medici<br />

e volontari offrono sostegno sanitario, laboratori didattici e<br />

creativi, oltre a supporto psicologico, assistenza e orientamento<br />

nella ricerca del lavoro; il centro offre un servizio di biblioteca, internet<br />

e cineforum; docce, lavanderia e uno spazio notturno per<br />

le emergenze dotato di 20 posti letto.<br />

Dopo Roma, è stata la volta di Genova Cornigliano dove il centro<br />

diurno gestito dall’Associazione SoleLuna – già operativa con una<br />

mensa serale – è stato ampliato e dotato di nuovi servizi: assistenza<br />

sanitaria e consulenza legale. La terza tappa è stata Napoli dove<br />

l’help center ubicato sul binario 1 della Stazione Centrale è stato<br />

dotato, grazie a “Un Cuore in Stazione”, di due unità mobili: una<br />

di queste è un camper, un vero e proprio help center mobile, per<br />

l’assistenza in strada delle persone in difficoltà.<br />

Nei pressi della stazione ferroviaria di Pescara – il principale nodo<br />

ferroviario dell’Abruzzo, crocevia tra l’Adriatico e il Tirreno – “Un<br />

cuore in stazione” ha portato il primo Centro polivalente della città:<br />

440 mq per offrire servizi alla persona, dotato anche di una<br />

mensa e di un centro notturno che offre in emergenza fino a 34<br />

posti letto.<br />

Entro la fine del <strong>2010</strong> verranno individuati gli ultimi interventi secondo<br />

la stessa logica che guida da cinque anni l’operato della onlus<br />

di Enel: ascoltare i bisogni del territorio, rispondere concretamente<br />

alle emergenze con progetti di solidarietà, portare sollievo<br />

alla persona, alla famiglia e alla comunità. Per questo è nata Enel<br />

Cuore Onlus, che dal 2004 a oggi ha realizzato 317 progetti in Italia<br />

e all’estero, a cui ha destinato 33,5 milioni di euro.<br />

pubbliredazionale


Aforismi<br />

di Merafina<br />

IL PENTITO<br />

C’è sempre tempo<br />

per pentirsi<br />

PASSIONE D’AMORE<br />

La passione d’amore<br />

cambia colore<br />

senza prezzo<br />

SENZA DI TE<br />

Senza di te<br />

mi manca l’aria<br />

Meglio in due<br />

Non si può essere soli,<br />

meglio in due che uno solo.<br />

Se uno cade<br />

l’altro lo aiuta.<br />

Se due dormono insieme<br />

si scaldano.<br />

Non si può esser soli,<br />

meglio in due.<br />

Se uno è cieco<br />

l’altro lo guida<br />

e non sembra<br />

neppure fatica<br />

il duro lavoro di sempre.<br />

Se due camminano<br />

insieme<br />

la strada sembra più breve.<br />

Non si può essere soli,<br />

meglio in due.<br />

Se uno chiama<br />

l’altro risponde.<br />

E la vita<br />

è più lieta e più bella<br />

Marco Faggionato<br />

Vieni<br />

Vieni. Vieni con me.<br />

T’invito nel mio parco<br />

immenso e pieno di verde.<br />

Non guardarmi così,<br />

lo fai apposta.<br />

È sempre un testa a testa,<br />

un paripasso.<br />

È difficile inciampare<br />

sott’acqua?<br />

Sono nata donna.<br />

Punto e basta.<br />

Senza nessun dubbio.<br />

Se proprio devi mangiarmi<br />

non masticarmi.<br />

Sono magra.<br />

Sono piena di spine.<br />

Mi guardi<br />

con i tuoi occhi di ghiaccio.<br />

Tutto sommato sembri<br />

un bravo squalo<br />

Cinzia Rasi<br />

Pace<br />

anticamera<br />

Embrione di speranza<br />

parto di fantasia<br />

vagheggio dell’assurdo.<br />

Sfiori l’umano esistere,<br />

i suoi drammi germogli<br />

sempre senza fioritura.<br />

Secco è l’ulivo<br />

stremate le colombe<br />

e tu bugiarda amante<br />

dispensatrice<br />

di promesse vane<br />

mostri<br />

appena fuggendo<br />

incomprese fattezze<br />

Aida Odoardi<br />

Notte<br />

É una vita infernale.<br />

La notte è chiara<br />

stelle sbocciano in cielo<br />

simili a bianchi fiori.<br />

Palpitano<br />

torme di astri<br />

nello spazio.<br />

La terra par che dorma,<br />

ma vibra tutta,<br />

immensa cetra,<br />

di suoni misteriosi.<br />

La luna culla<br />

col suo mite chiarore<br />

i sogni dei viventi<br />

Mary<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong><br />

.11


Molti homeless hanno disturbi mentali. Chi se ne occupa?<br />

Nessuno. Ora qualcuno pensa a lunghi trattamenti obbligatori<br />

Se son matti<br />

non li curiamo<br />

Cure farmacologiche<br />

forzate. Estese: almeno<br />

sei mesi. Una proposta<br />

di legge le prevede<br />

per i senza dimora<br />

con problemi psichici.<br />

Ma oggi di quali interventi<br />

sanitari possono fruire?<br />

Pochi. Anche perché<br />

il sistema fatica a seguire<br />

i malati con casa<br />

e famiglia. Bisognerebbe<br />

incontrarli in strada…<br />

Salute mentale<br />

i servizi di in Italia<br />

Dsm<br />

(Dipartimenti di salute mentale):<br />

vertici della struttura organizzativa,<br />

con compiti di coordinamento dei<br />

servizi. Sono 210, con bacini d’utenza<br />

di diverse dimensioni (20 seguono una<br />

popolazione di meno di 250 mila<br />

abitanti; 167 più di 250 mila; 20 più di<br />

500 mila; 3 un milione di abitanti)<br />

Csm<br />

(Centri di salute mentale):<br />

sedi operative delle équipe dei medici.<br />

Sono 707; attesa media per una visita<br />

non urgente 8 giorni. Solo un Csm su<br />

tre effettua viste a domicilio<br />

Operatori per abitante<br />

per legge dovrebbero essere 1 ogni<br />

1.500, in realtà sono 1 ogni 5 mila<br />

Tso<br />

(Trattamento sanitario obbligatorio):<br />

scatta quando la persona, in genere già<br />

conosciuta dai servizi di salute mentale,<br />

manifesta un’acutizzarsi del disturbo<br />

psichico o compie gesti eclatanti e<br />

pericolosi per sé o per gli altri. È<br />

richiesto dal medico di base e deve<br />

essere approvato dallo psichiatra dei<br />

servizi. Viene disposto dal sindaco<br />

tramite ordinanza notificata al giudice<br />

tutelare entro 48 ore<br />

12. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

di Francesco Chiavarini<br />

Un senza dimora con disturbi psichiatrici, a Catania, costretto a vivere in<br />

una cabina dell’Enel abbandonata, sgomberato e in seguito persino multato “per<br />

danneggiamento di luogo pubblico”. Un altro clochard, a Milano, affetto da anni da<br />

una grave schizofrenia, rimpallato da un ospedale all’altro. Due casi drammatici, accaduti<br />

in estate, ai capi opposti della penisola, di fronte ai quali enti e istituzioni hanno<br />

giocato un avvilente scaricabile. E che sollevano la stessa domanda: chi si deve occupare<br />

dei matti che vivono in strada? Il problema è complesso. E assomiglia a un<br />

circolo vizioso: in strada si finisce spesso a causa di disturbi psichici, e poi la strada<br />

si incarica di “indurire” la malattia, in<br />

qualche modo di “confermare” la follia.<br />

A disagio, insomma, si sovrappone disagio.<br />

Inasprendo, nella percezione dei cittadini<br />

comuni, il senso di lontananza ed<br />

estraneità delle persone senza dimora.<br />

Tanto più pericolose, si ritiene, se anche<br />

“matte”. Così c’è chi pensa che l’unica<br />

soluzione sia quella delle cure forzate. E<br />

prolungate. Il sindaco di Roma, Gianni<br />

Alemanno, ha chiesto al ministro degli<br />

interni, Roberto Maroni, che si dispongano<br />

trattamenti sanitari obbligatori<br />

prolungati per gli homeless con problemi<br />

psichiatrici. Un’extrema (e ipercoercitiva)<br />

ratio, che nasce nel vuoto di attenzione<br />

riservato ai chi, in strada, ha<br />

per compagni solo i suoi fantasmi.<br />

Panorama disomogeneo<br />

Eppure la soluzione da adottare, a rigor<br />

di legge, per una volta sarebbe semplicissima:<br />

dei senza dimora “psichiatrici”<br />

devono farsi carico prima di tutto i servizi<br />

di salute mentale, le uniche strutture<br />

incardinate nel sistema sanitario nazionale<br />

dotate di professionisti in grado<br />

di effettuare diagnosi e approntare terapie.<br />

Poi, certo, gli psichiatri si possono<br />

avvalere dell’aiuto di assistenti sociali ed<br />

educatori per rispondere ai bisogni materiali<br />

(casa e cibo) di persone che sono,<br />

oltre che malate, anche gravemente<br />

emarginate. Ma mai come in questo ca-<br />

so la teoria è distante dalla realtà.<br />

«La cosa migliore che può accadere a<br />

uno psicotico senza dimora è di finire, se<br />

c’è posto, in ospedale, nei servizi psichiatrici<br />

di diagnosi e cura, e poi tornare<br />

dopo 15 giorni di nuovo in mezzo alla<br />

strada», sostiene Ernesto Muggia, presidente<br />

onorario di Unasam, organismo<br />

che riunisce 150 associazioni di familiari<br />

di malati di mente. «Perché la verità –<br />

aggiunge sconsolato – è che il sistema<br />

psichiatrico non funziona nemmeno<br />

per chi una casa e un parente più o meno<br />

prossimo ce l’ha. Figuriamoci se è in<br />

grado di occuparsi di chi è solo e non ha<br />

nemmeno un posto dove stare…».<br />

Giudizio tranchant. Ma come è organizzato<br />

il sistema? Ed è vero che è così<br />

inefficiente? La normativa prevede<br />

che ogni Azienda sanitaria italiana istituisca<br />

il Dipartimento di salute mentale,<br />

vertice della struttura organizzativa, deputato<br />

a coordinare un’ampia rete di<br />

servizi. Di fatto, però, in Italia i Dsm sono<br />

solo 210. Per 167 il territorio di competenza<br />

coincide effettivamente con<br />

quello dell’Asl, ma 103 (il 49%) servono<br />

una popolazione che può superare i 250<br />

mila abitanti e in altri 20 (9%) il bacino<br />

di utenza è di oltre 500 mila residenti. Tre<br />

Dsm servono addirittura una popolazione<br />

di oltre un milione di persone.<br />

Il panorama è dunque molto diso-


mogeneo. E se si scende “per li rami”<br />

dell’organizzazione, la situazione diventa<br />

ancora più complicata. Nello scalino<br />

immediatamente inferiore a quello dei<br />

Dsm ci sono i Centri di salute mentale (o<br />

Centri psico-sociali, Cps in Lombardia),<br />

vale a dire i servizi di base più importanti.<br />

I Csm sono 707, distribuiti in tutto il<br />

territorio nazionale. Con l’eccezione del<br />

Molise, dove non sono mai stati attivati.<br />

Ma questo sarebbe solo un piccolo neo.<br />

Centri di salute inacessibili<br />

«La questione vera è che i Csm operano<br />

in maniera molto differente gli uni dagli<br />

altri», avverte Giovanna Del Giudice, psichiatra<br />

triestina dell’equipe di Basaglia,<br />

il celebrato “padre” della riforma psichiatrica<br />

in Italia. Secondo uno studio<br />

realizzato dal Dipartimento di salute<br />

mentale di Trieste, uno dei pochi completo<br />

ed esaustivo, “gli standard previsti<br />

dalle legge sono soddisfatti in una piccola<br />

parte dei Csm italiani”. Le cose vanno<br />

bene in Friuli Venezia Giulia, in parte<br />

della Campania e in Sardegna. Qui, secondo<br />

la ricerca, i Csm sono aperti 24<br />

ore al giorno, 7 giorni su sette e hanno a<br />

disposizione per il ricovero persone con<br />

cui entrano in contatto tra i 6 e gli 8 posti<br />

letto. Ma sono isole felici. Altrove, gli<br />

orari di accesso al pubblico possono essere<br />

anche di sole 2 ore al giorno. Non<br />

solo: in 93 Csm occorre la prescrizione<br />

del medico, in 452 bisogna pagare un<br />

ticket. Per non parlare delle liste di attesa:<br />

una persona che ritiene di avere bisogno<br />

di un contatto specialistico non<br />

urgente deve attendere quasi otto giorni,<br />

ma può aspettare anche due mesi e<br />

mezzo. E sempre secondo l’indagine degli<br />

allievi di Basaglia, sono un Csm su tre<br />

effettua le visite domiciliari.<br />

In un sistema costruito in questo<br />

modo, il senza dimora con malattia<br />

mentale non solo non entra, ma non<br />

riesce nemmeno a bussare alla porta di<br />

ingresso, perché per lui quella porta<br />

semplicemente non esiste. «Avendo<br />

perso la residenza, il senza tetto perde<br />

anche il diritto alle cure del medico di<br />

base, a meno che il comune non gli riconosca<br />

una residenza anagrafica, obbligo<br />

di legge come è noto largamente<br />

disatteso dagli enti locali nel nostro paese<br />

– spiega Raffaele Gnocchi, dell’area<br />

l’inchiesta<br />

grave emarginazione di <strong>Caritas</strong> Ambrosiana<br />

–. Quindi, anche se fosse così consapevole<br />

da capire che ha un problema<br />

e che deve chiedere aiuto, non potrebbe<br />

avere accesso agli altri servizi». Insomma,<br />

è fuori al primo turno. Di più: non<br />

partecipa nemmeno al campionato. E<br />

come lui, in realtà, rimangono esclusi<br />

centinaia di altri cittadini, anche in condizioni<br />

sociali ben più favorevoli.<br />

Le uscite di Diogene<br />

«Oltre trent’anni fa la riforma voluta da<br />

Basaglia introdusse giustamente la libertà<br />

di cura del malato, con l’intento di<br />

superare la logica costrittiva dei manicomi<br />

– osserva Paola Soncini responsabile<br />

dell’area salute mentale di <strong>Caritas</strong><br />

Ambrosiana –. Questo sacrosanto principio,<br />

nella prassi, è divenuto in molti<br />

casi un alibi. Tranne che in rarissimi casi,<br />

gli psichiatri dei servizi di salute mentale<br />

aspettano che i malati si rivolgano<br />

spontaneamente a loro; pochissimi<br />

escono dai propri ambulatori per offrire<br />

aiuto a chi ne ha bisogno. In questo modo,<br />

però, vengono abbandonati a loro<br />

stessi non solo i senza dimora, ma an-<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .13


se son matti non li curiamo<br />

che i familiari di quei sofferenti psichici<br />

che rifiutano ogni cura».<br />

I Dipartimenti di salute mentale si<br />

difendono sostenendo che non hanno<br />

risorse sufficienti. E hanno ragione, se è<br />

vero che nel nostro paese c’è solo un<br />

operatore ogni 5 mila abitanti, invece di<br />

uno ogni 1.500, il 30% in meno di quanto<br />

aveva previsto lo psichiatra triestino<br />

nella riforma che porta il suo nome, come<br />

hanno sottolineato quest’anno i suoi<br />

allievi in un convegno. «Ma la questione<br />

è anche culturale, perché là dove lo si è<br />

voluto, il modo per intervenire lo si è trovato…–<br />

osserva Soncini».<br />

Proprio a Milano, ad esempio, grazie<br />

agli appelli dell’allora arcivescovo Carlo<br />

Maria Martini, agli inizi degli anni 2000<br />

si riuscì a portare l’assistenza specializzata<br />

e professionale ai senza dimora con<br />

disturbi psichiatrici, là dove questi si tro-<br />

Le “realtà parallele”<br />

nel quartiere dei matti<br />

Viaggio nella zona di Milano che ha il tasso di malati psichici più alto d’Europa…<br />

di Simona Brambilla<br />

Sette sofferenti psichici, in media, in ogni caseggiato popolare. Centocinquantacinque,<br />

in totale, le persone affette da disturbi mentali. Non quantificabili<br />

coloro che hanno problemi mentali e gravitano in zona, compresi molti clochard,<br />

che sono fuori dal circuito di aiuto. Sono i numeri del “quartiere del matti”.<br />

Perché Molise-Calvairate, estrema periferia sud di Milano, è il quartiere urbano con<br />

il più alto tasso di malati psichici in tutta Europa.<br />

Il sobborgo, sorto all’inizio del Novecento per ospitare le famiglie dei tramvieri dell’Atm,<br />

nei primi anni Ottanta si è popolato di persone con disagio psichiatrico, senza<br />

tetto e anche coloro che un tetto lo hanno, ma vivono in condizioni psicofisiche<br />

precarie. Così, oggi, il Centro psicosociale (Cps) di viale Puglie non riesce a fron-<br />

teggiare il bisogno di aiuto costante manifestato<br />

da tante persone affette da disturbi:<br />

il personale è sovraccaricato da<br />

richieste di assistenza, le liste di attesa<br />

sono lunghissime. Soprattutto, il Cps<br />

non riesce a prendere in carico tutte le<br />

persone che non hanno la capacità di<br />

rivolgersi al servizio di loro iniziativa.<br />

Una ampia parte di malati, tra cui molti<br />

homeless, non hanno la minima idea<br />

di come fare per curarsi. Molte volte,<br />

non vogliono nemmeno iniziare una terapia.<br />

Così anche una malattia curabile<br />

14. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

vavano. Ancora oggi il progetto Diogene<br />

è uno dei rari interventi di “psichiatria di<br />

strada” operativi nel nostro paese, riconosciuto<br />

anche dell’Oms come progetto<br />

pilota per la presa in cura degli homeless<br />

con disagio psichico. Ogni settimana<br />

due unità di strada composte da<br />

un educatore e uno psichiatra assicurano<br />

due uscite serali, nelle zone della città<br />

dove si concentrano i casi di grave emarginazione:<br />

lungo i binari della stazione,<br />

sui marciapiedi del centro cittadino.<br />

Nei tre anni di sperimentazione, gli<br />

operatori di Diogene, grazie alla collaborazione<br />

di operatori della Casa della<br />

carità e <strong>Caritas</strong> Ambrosiana, dei medici<br />

del Dipartimento di salute mentale dell’ospedale<br />

di Niguarda e del San Gerardo<br />

di Monza, hanno offerto aiuto a 130 persone,<br />

più della metà affetti da psicosi,<br />

quindi dai disturbi psichiatrici più gra-<br />

in pochi anni, se non seguita diventa<br />

cronica. Le procedure per accedere al<br />

Cps sono semplici, ma possono risultare<br />

molto complesse per chi soffre di disturbi<br />

psichici: bisogna prendere un appuntamento<br />

telefonico e presentarsi il<br />

giorno indicato con la carta d’identità e<br />

il codice fiscale.<br />

Gennaro fuori dalla baracca<br />

Cruciale, allora, diventa il lavoro delle<br />

associazioni e delle parrocchie, che<br />

vi. «Il nostro più grande risultato è stato<br />

dimostrare che si possono curare le persone<br />

anche se queste restano in strada»,<br />

commenta la responsabile, Vita Casavola,<br />

operatrice della Casa della Carità.<br />

In mano agli sceriffi<br />

Il modello milanese non ha avuto tuttavia<br />

emuli. Nel resto della penisola ci sono<br />

solo piccole iniziative, dovute in gran<br />

parte alla buona volontà di qualche prete<br />

e di qualche piccola organizzazione di<br />

volontariato, spesso legata alla <strong>Caritas</strong><br />

diocesana. Progetti tanto piccoli e locali,<br />

che è persino difficile recensirli. In un<br />

panorama così desolante, non è un caso<br />

che periodicamente riaffiori la tentazione<br />

di affidarsi a misure coercitive.<br />

Alla commissione affari sociali della<br />

Camera giace infatti una proposta di<br />

legge che, unificando altri progetti, in-<br />

quando entrano in contatto con le persone<br />

sole provano a inviarle ai servizi<br />

specialistici. L’associazione “Cena dell’amicizia”<br />

da anni si occupa di dare<br />

ascolto e ospitalità alle persone senza<br />

dimora, in molti casi affette da problemi<br />

psichiatrici. «Gennaro per molti anni ha<br />

vissuto in una baracca dalle condizioni<br />

igieniche e sanitarie pessime – esemplifica<br />

il dottor Andrea Gazziero, psicologo<br />

della “Cena” –. Spesso lo si vedeva in<br />

giro, nel quartiere, mentre vagava senza<br />

meta. Poi improvvisamente è sparito<br />

dalla circolazione. Nessuno sapeva come<br />

fare a rintracciarlo, molti erano<br />

preoccupati per lui. Lo hanno trovato<br />

dopo molti giorni nella sua baracca,<br />

quasi morto. Aveva una gravissima polmonite,<br />

non era stato in grado di chiedere<br />

aiuto a qualcuno. Lo ricoverarono<br />

e lo sottoposero a un Tso. Dopo mesi di<br />

degenza in ospedale, per la prima volta<br />

nella sua vita accettò di farsi seguire in


troduce il Tsop, Trattamento sanitario<br />

obbligatorio prolungato. In pratica, la<br />

persona che rifiuta le cure sarebbe obbligata<br />

a sottoporsi a una terapia di almeno<br />

sei mesi in una struttura ad hoc.<br />

«Mentre oggi possiamo intervenire con<br />

i ricoveri coatti solo nella fase acuta della<br />

malattia, con il trattamento sanitario<br />

necessario potremmo occuparci anche<br />

dei pazienti cronici, che spesso proprio<br />

a causa della malattia non curata diventano<br />

clochard», sostiene il vicepreside<br />

della commissione, il deputato Carlo<br />

Ciccioli, intenzionato a portare il testo in<br />

discussione entro fine anno. La proposta<br />

però non convince una larghissima<br />

maggioranza di psichiatri, che contestano<br />

il valore terapeutico delle cure obbligate.<br />

E non piace nemmeno, tranne poche<br />

eccezioni, alle associazioni di familiari,<br />

che avanzano il sospetto che dietro<br />

un centro d’accoglienza. Successivamente<br />

è venuto qui da noi, in Cena. Ora<br />

sta bene, ha capito che tutte le cure, a<br />

cominciare dal Tso, che prima rifiutava,<br />

gli sono state utili».<br />

Sono molte però le persone affette<br />

da disturbi psichici, come Gennaro, che<br />

non accettano alcun tipo di cura. «Si costruiscono<br />

una realtà parallela – spiega<br />

Gazziero –. In loro ci sono rigidità che<br />

rafforzano continuamente le loro idee<br />

malate, si innesca dentro la loro mente<br />

una forma di difesa che ne rende difficile<br />

l’aggancio». Per intervenire sui malati<br />

che rifiutano qualsiasi tipo di aiuto, i<br />

servizi territoriali possono fare ricorso<br />

ai Tso, strumento di cura imposto al<br />

questa riforma si nasconda un regalo<br />

alle case di cura private.<br />

«Mi sembra una scorciatoia che<br />

in mano a sindaci-sceriffo può diventare<br />

anche molto pericolosa»,<br />

chiosa Paolo Pezzana, presidente<br />

della Fio.psd, la Federazione degli<br />

organismi per le persone senza dimora.<br />

Il rischio di abusi non è poi<br />

cosi peregrino, Rivolgendosi a Maroni,<br />

il sindaco Alemanno ha auspicato<br />

«un trattamento sanitario realmente<br />

obbligatorio, che tolga dalla<br />

vie delle città i vagabondi». Tutti i vagabondi.<br />

A prescindere dalla loro<br />

sanità mentale. Lapsus, o spia della<br />

volontà di sedare, per via farmacologia,<br />

un fenomeno che non si riesce,<br />

o non si vuole affrontare con gli<br />

strumenti dell’assistenza e della relazione<br />

sociale?.<br />

malato, spesso contro la sua volontà,<br />

quando appare evidente che il paziente<br />

possa recare gravi danni a se stesso o<br />

agli altri. «Quando i miei fratelli hanno<br />

attivato il Tso – racconta il signor Claudio,<br />

ex senza dimora affetto da disagio<br />

psichiatrico grave – non mi rendevo<br />

conto di cosa mi stessero facendo. Ricordo<br />

solo una grandissima rabbia, e<br />

l’impulso a ribellarmi». In seguito, dopo<br />

mesi di sofferenze, Claudio è riuscito a<br />

iniziare un percorso di cura. E soprattutto<br />

a entrare in un centro di accoglienza.<br />

Gli appartamenti e la Cena<br />

I farmaci, infatti, non possono bastare.<br />

L’arcivescovo<br />

Dentro le vite<br />

di chi non è<br />

preso in carico<br />

“Credo che san Carlo oggi<br />

ci indicherebbe come primo criterio da<br />

seguire, quando si interviene a favore<br />

dell’uomo, e quindi anche del malato<br />

mentale, quello di avere una<br />

conoscenza diretta del bisogno della<br />

persona. (…) Ci viene spontaneo ora<br />

pensare al problema dell’andare a<br />

domicilio, dell’entrare in casa di quanti<br />

non si recano ai servizi, che non sono<br />

mai stati presi in carico e neppure<br />

avvicinati, sebbene forse segnalati da<br />

parenti o vicini. San Carlo non si è<br />

lasciato intimorire né dalle distanze né<br />

dalle difficoltà e oggi ci spronerebbe<br />

più che mai a seguirne l’esempio: lui<br />

che non ha permesso al governo civile<br />

del tempo di abdicare al compito di<br />

assistere i bisognosi, ma l’ha<br />

reclamato con tale forza da ottenere<br />

non poche modifiche legislative”.<br />

(dal Messaggio dell’arcivescovo di Milano,<br />

cardinale Dionigi Tettamanzi, per<br />

la 18ª Giornata mondiale della salute<br />

mentale, 10 <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong>).<br />

l’inchiesta<br />

È molto importante che alle cure sanitarie<br />

facciano seguito interventi sociali e<br />

relazionali, per favorire la ri-socializzazione<br />

dei malati. Solo così si evitano ricadute<br />

o riacutizzazioni. «Per questo<br />

motivo qui a Molise-Calvairate – conclude<br />

Gazziero – noi di Cena gestiamo<br />

appartamenti di terza accoglienza. Al fine<br />

di favorire il reinserimento sociale<br />

degli ospiti, collaboriamo attivamente<br />

con le associazioni e le parrocchie del<br />

territorio. Oggi, per fortuna, la situazione<br />

nel quartiere sta migliorando rispetto<br />

al 1995, anno in cui abbiamo avviato<br />

la terza accoglienza. Appena arrivati,<br />

siamo stati aggrediti dagli abitanti, perché<br />

accusati di portare altro disagio psichiatrico<br />

in un posto in cui era già alto il<br />

numero dei malati psichici». Molise-<br />

Calvairate, per certi aspetti, continua a<br />

essere una sorta di “ghetto” per tante<br />

persone malate mentali. Ma disagio e<br />

solitudine non sono condanne inappellabili..<br />

.<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .15


se son matti non li curiamo<br />

Andrea, colpevole<br />

di notti “elettriche”<br />

Dormiva in un’ex cabina dell’Enel, vicino alla stazione di Catania. Perché lì<br />

c’era chi lo aiutava. L’hanno denunciato. E lui è scappato dal ricovero coatto…<br />

di Gabriella Virgillito<br />

Tutto è cominciato con una denuncia, probabilmente una semplice telefonata<br />

al comando dei carabinieri di Catania. È una sera di fine agosto: «Un uomo<br />

dorme dentro una cabina elettrica», spiega la voce. E così parte l’intervento delle<br />

forze dell’ordine: sgombero e addirittura denuncia (per “danneggiamento di un<br />

bene pubblico”) nei confronti dell’“occupante abusivo”. Che sarebbe Andrea, persona<br />

senza dimora e malato psichico. Mentre il bene pubblico danneggiato è un<br />

piccolo locale, adibito in passato a cabina elettrica, da tempo ormai in disuso, che<br />

si trova proprio a fianco all’Help Center della <strong>Caritas</strong>, alla stazione centrale di Catania.<br />

All’Help Center Andrea mangia, fa la doccia e intrattiene, con gli operatori e<br />

i volontari, le uniche relazioni amicali della sua vita raminga. Per lui era quindi na-<br />

turale trovarsi un posto dove dormire, il<br />

più possibile vicino al centro che considerava,<br />

ormai, una sorta di “casa”.<br />

Andrea era arrivato a Catania tempo<br />

fa, da Barrafranca. Ha 45 anni e gravi<br />

disturbi psichiatrici. La vita di strada<br />

lo ha condotto anche all’alcolismo. Così<br />

a volte “dà di matto” e urla contro la<br />

gente che passa nella piazza della stazione;<br />

lì stazionano anche alcuni camion<br />

dei panini, e probabilmente l’uomo<br />

ha spaventato qualche avventori. La<br />

sua esuberanza non si è mai trasformata<br />

in violenza, ma può aver dato fastidio<br />

ad alcuni.<br />

Quella cabina elettrica, Andrea era<br />

riuscito a trasformarla in una vera e<br />

propria dimora, con tanto di letto e “servizi<br />

igienici”. I carabinieri, giunti sul posto,<br />

hanno trovato un rifugio ordinato,<br />

e per quanto possibile pulito. Certo,<br />

quella che per Andrea era una casa, in<br />

realtà è un bene di proprietà comunale.<br />

Pertanto andava sgomberato. Ma era<br />

proprio necessario denunciarlo?<br />

Ha deciso di sparire<br />

«Da vittima, paradossalmente è stato<br />

trasformato in colpevole di un danno –<br />

commenta padre Valerio Di Trapani, direttore<br />

della <strong>Caritas</strong> diocesana –. Come<br />

al solito ci si limita a intervenire secondo<br />

modalità di emergenza, non esiste<br />

16. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

da parte dei soggetti istituzionali una<br />

autentica presa in carico del problema».<br />

Forse si sarebbe potuto fare qualcosa,<br />

per evitare che Andrea finisse a dormire<br />

in una cabina elettrica? Il direttore<br />

del Dipartimento di salute mentale dell’Azienda<br />

sanitaria catanese, dottor<br />

Tommaso Federico, ha dichiarato a TeleStrada<br />

(la web tv della <strong>Caritas</strong> etnea,<br />

che ha realizzato un’inchiesta sulla questione<br />

– www.telestrada.it) che spesso<br />

non si riescono a trovare strutture di accoglienza<br />

adeguate, sempre che la persona<br />

sia disponibile ad andarci. È proprio<br />

il caso di Andrea, che a un certo<br />

punto della vicenda, quando gli è stato<br />

prospettato il ricovero, ha deciso di sparire,<br />

probabilmente spaventato dalla<br />

possibilità di essere sottoposto a un Tso<br />

(Trattamento sanitario obbligatorio).<br />

Ancora vivo, in lui, è il brutto ricordo dei


diversi ricoveri coatti subiti in Germania,<br />

dove racconta di aver vissuto per un<br />

po’ di tempo. La paura di ritrovarsi in un<br />

luogo chiuso lo ha spinto a sparire per<br />

qualche giorno, lasciando nell’angoscia<br />

gli operatori dell’Help Center, ormai<br />

abituati a vederlo ogni giorno girare per<br />

la stazione.<br />

Andrea, probabilmente, non ha tutti<br />

i torti. Lo stesso dottor Federico ha<br />

ammesso a Telestrada che a volte, siccome<br />

non si sa dove inviare i pazienti<br />

sottoposti a Tso, questo viene prolunga<br />

per qualche giorno oltre il necessario.<br />

«La soluzione non sempre è il ricovero,<br />

soprattutto quando la persona non è disponibile;<br />

inoltre le strutture residenziali<br />

sono piene, sovraffollare e costose –<br />

ha riconosciuto l’assessore alle politiche<br />

sociali del comune siciliano, Carlo Pennisi<br />

–. Per questa particolare combinazione<br />

di disagio bisognerebbe provare<br />

ad attrezzare, in collaborazione con l’Azienda<br />

sanitaria provinciale, le unità di<br />

strada con operatori competenti e preparati<br />

a dialogare in maniera adeguata<br />

con gli homeless sofferenti psichici».<br />

Intanto, qualche politico ha chiesto<br />

come soluzione il ricovero coatto prolungato<br />

per tutti i senza dimora. Così,<br />

giusto per “ripulire” le città… Ma questo<br />

Andrea, che nel frattempo è tornato<br />

a “casa”, all’Help Center, per fortuna non<br />

lo sa….<br />

Lo psicologo<br />

«Impera il bisogno di “pulito”,<br />

il business dietro l’ideologia»<br />

La legge 180 – una delle poche invidiateci all’estero – ha aperto<br />

in Italia, nel campo dell’assistenza psichiatrica, una stagione che punta<br />

sulla rete dei servizi nel territorio, dei servizi di vicinanza e delle relazioni di<br />

cura, al fine di abbassare il ricorso ai rimedi di un’industria farmaceutica<br />

sempre assetata di nuovi mercati, ma anche il ricorso al “contenimento”<br />

rappresentato dal Trattamento sanitario obbligatorio, o anche del ricovero<br />

volontario. La rete socio-sanitaria, creata dall’applicazione della legge e dal<br />

suo spirito, attiva inoltre altre reti, nei settori del lavoro, della residenza,<br />

della socialità: si punta sull’essere cittadini, assecondando la quotidianità<br />

dei rapporti che rinforza le identità di tutti, anche di chi da oggetto di cura<br />

si trasforma in soggetto di relazione. Di fatto la legge 180 è una traduzione<br />

sociale di una visione secondo cui il disagio crea esperienza, informazione e<br />

conoscenza, e quindi può creare salute, in forme accessibili e utilizzabili da<br />

tutta la comunità. Oggi però c’è chi vuole tornare a rinchiudere il disagio di<br />

ognuno, perché “pericoloso”, o sporco, o “barbone” o semplicemente<br />

diverso. Il disagio agli angoli delle strade dà fastidio, soprattutto quando,<br />

come in tempi di crisi, addirittura invade le nostre strade. La tentazione di<br />

creare altri luoghi dove contenere il lato sgradevole della povertà – in senso<br />

lato – è molto forte: si porta dietro significati e miti ancestrali di pulizia,<br />

omologazione e lotta alla diversità, ma risulta ancora più sconcertante per il<br />

male che fa quando si applica sulla carne delle persone, come è accaduto<br />

in questi anni con la pratica del Tso di pochi giorni, che adesso una<br />

proposta di legge vuole prolungare a sei mesi, e se necessario poter<br />

rinnovare.<br />

Il bisogno di “pulito” viene però rivolto soltanto al malato, non certamente<br />

al sistema di cura. Eppure non si può omettere che, anche a un esame<br />

superficiale della politica dei servizi sanitari in Italia, nonostante la legge<br />

180 anche nel comparto psichiatrico gli appetiti dei privati si sono mostrati<br />

pesanti e determinanti nelle scelte, e anche adesso provano a far pesare i<br />

loro interessi. Di fatto molti territori hanno ceduto in blocco ai privati la<br />

riabilitazione residenziale, impoverendo le casse dei servizi pubblici, che<br />

hanno preso a garantire solo e soltanto le emergenze, senza potersi<br />

occupar di rendere fertili le conoscenze sociali acquisite e sperimentate in<br />

territori più evoluti. In queste aree si contano davvero pochi servizi, mal<br />

dislocati, poco accessibili, che “re-spingono” i malati al loro disagio e a<br />

forme sempre più eclatanti di richiesta d’aiuto, che diventano emergenze e<br />

vengono così portati all’attenzione dell’opinione pubblica. Nord e sud<br />

appaiono, in questo senso, davvero nuovamente contrapposti, con gli<br />

interessi delle holding della salute che sostengono diagnosi e trattamenti e<br />

controlli.<br />

l’inchiesta<br />

Dunque dietro il dato ideologizzato delle città “ordinate” e “pulite” vi è<br />

anche una precisa volontà di non perdere e, anzi, acquisire nuovo e ulteriore<br />

potere, anche a costo e sulla vita delle persone maggiormente indifese.<br />

Grave è la conseguente manipolazione del dolore e dell’impotenza delle<br />

famiglie, trascinate da interessi molto più grandi di loro e alle quali<br />

drammaticamente viene proposta come cura l’abbandono del proprio<br />

congiunto. Su questo non si possono fare sconti: è privo di senso che per<br />

curare qualcuno lo si debba allontanare dalla sua vita e dai suoi diritti,<br />

aspettandosi che ciò possa essere riconosciuto come cura o riabilitazione.<br />

La radicalizzazione del disagio oggi, ma anche prima e sempre, cerca rimedi<br />

ancora più radicali, che servono solo a chi si prepara a gestire nuovi grandi<br />

business.<br />

Pino Fusari (psicologo, <strong>Caritas</strong> Catania)<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .17


se son matti non li curiamo<br />

La bolla di Antonio<br />

svanita in parrocchia<br />

Spaventava i fedeli fuori dalla chiesa, a Milano. Finché don Giorgio non gli ha<br />

offerto un letto. Da lì è cominciata una lunga risalita. Anche grazie a Diogene…<br />

di Stefania Culurgioni<br />

Antonio, nome di fantasia: un uomo che non voleva farsi aiutare. Viveva<br />

per strada, dormiva sulle panchine, mangiava alla mensa dei poveri, stava in<br />

un angolo del marciapiede. Ma non gli importava nulla, o almeno così sembrava,<br />

di uscire da quella situazione di degrado. Tutto sommato stava bene così, la sua<br />

vita aveva trovato un equilibrio, e in quella bolla di esilio sociale persino una certa<br />

pace. Il primo giorno che qualcuno provò ad avvicinarsi a lui per dargli una<br />

mano, non reagì bene. Era burbero, indisponente, disinteressato. Stava fuori dalla<br />

chiesa tutta la giornata e c'erano persino dei fedeli che ne avevano un po' paura.<br />

Se qualcuno poteva avere voglia di aiutarlo, lui gliela faceva passare in due minuti.<br />

Sul suo recupero, nessuno avrebbe scommesso due lire. Invece, anche se ci<br />

sono voluti anni, la storia è finita bene.<br />

A raccontarla è don Giorgio Riva, 63<br />

anni, prete da 12, parroco di una chiesa<br />

milanese. Antonio, ricorda, era un<br />

senza dimora con grossi problemi<br />

comportamentali. Difficile da avvicinare,<br />

entrava e usciva dalla chiesa, percorreva<br />

corso Buenos Aires compulsivamente,<br />

rifiutava ogni contatto.<br />

Il contatto con diogene<br />

A prendersi cura di lui furono, almeno<br />

sei anni fa, gli educatori e gli psichiatri<br />

dell’équipe Diogene, specializzati nelle<br />

problematiche dei senza tetto con<br />

problemi mentali. «In realtà il primo a<br />

prendersi cura di quest’uomo è stato<br />

un seminarista, che oggi è diventato<br />

prete – racconta il parroco –. Grazie al<br />

suo amore intelligente, è riuscito a instaurare<br />

un rapporto di amicizia. E con<br />

sapienza, ha aiutato Antonio a cominciare<br />

il cammino per una nuova vita».<br />

All'inizio di questa risalita, è stato<br />

proprio don Giorgio ad ospitare l’uomo<br />

nei locali della parrocchia. «Era una sistemazione<br />

provvisoria – racconta –, lui<br />

veniva qui solo per dormire. Di giorno<br />

usciva. Ma già il fatto di dover entrare in<br />

un edificio, chiedere le chiavi, relazionarsi<br />

con qualcuno, ricreare un rapporto,<br />

è stato un passo enorme. È stato il<br />

suo inizio per stabilire di nuovo relazioni<br />

con gli altri. Il risultato? Oggi Antonio<br />

18. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

ha 42 anni, vive da solo in un appartamento<br />

in città, fa lavoretti per l’oratorio.<br />

Le persone che venivano in chiesa e che<br />

una volta ne avevano timore gli vogliono<br />

bene e lo rispettano. Lui sente che<br />

oggi conta per qualcuno, che ha un ruolo.<br />

E si è recuperato».<br />

Costretto alla relazione<br />

In gioventù, Antonio era stato un ragazzo<br />

come gli altri, che stava bene.<br />

Giocava a calcio, era figlio di genitori<br />

milanesi, ma a un certo punto, alla<br />

morte del padre, con la famiglia aveva<br />

dovuto trasferirsi fuori Milano. Antonio<br />

questa cosa non l’aveva digerita: un disagio,<br />

che avrebbe segnato il suo destino.<br />

Poi aveva trovato un lavoro, faceva<br />

le pulizie nelle banche. Ma a un certo<br />

punto si è ritrovato solo. E nella solitudine<br />

ha sviluppato una forma di rifiuto<br />

e di isolamento nei confronti della società.<br />

Un progressivo auto-isolamento,<br />

che gli ha costruito intorno una bolla,<br />

un muro invisibile ma invalicabile. Anche<br />

per questo ci sono voluti anni per-<br />

Viola, dall’omero rotto all’autocura da sniffo:<br />

«La psichiatria non esiste, né in strada né in corsia»<br />

Quattro anni fa, mi ero rotta l’omero<br />

all’Albergo cittadino di Vicenza. Mia<br />

madre m’aveva sbattua là perché, “porella”,<br />

giustamente o ingiustamente<br />

non ne poteva più di eroina da sniffo e<br />

nemmeno di un certo da lei detto imbriaghella<br />

(in dialetto veneto, ubriaco<br />

si dice imbriago), che ancora ho nel<br />

cuore. La sera avevo fumato insieme<br />

alla Roby e al suo ragazzo e a Michele,<br />

che oggi purtroppo festeggia il suo infarto<br />

da coca e alcol da dieci anni di<br />

vita in strada. La doccia del Cittadino,<br />

quel mattino, era davvero putrida e scivolosa.<br />

E e io ero un po’ troppo fumata.<br />

Roby, subito accorsa, mi ha fatto<br />

subito ingoiare un mai provato “Sudotex”,<br />

che, dice lei, fa passare il dolore.<br />

Infatti nonostante l’omero fratturato<br />

non smettevo più di ridere e avevo il<br />

batticuore, sul tram con lei per andare<br />

all’ospedale. Arrivati, mi ha mollata lì:<br />

tipico dei tossici psichiatrici che hanno<br />

paura di essere presi e ricoverati a<br />

forza. Poi sala operatoria e un gesso,<br />

grosso e pesante che faceva dimagrire.<br />

Però neanche col braccio rotto a<br />

spirale scomposta mia madre mi ha rivoluta<br />

a casa. E così ho cominciato a<br />

“vivere” davvero per strada. Cioè lentamente<br />

a morire: Enrico e il nostro<br />

finto amore; la casa abbandonata e<br />

Michele che mi prendeva a pugni in testa<br />

per venti euro di fumo. L’ho denunciato,<br />

ma la polizia mi ha lasciato l’erba<br />

e mi ha riportata a casa. Nemmeno<br />

in quel caso mia madre ha aperto la<br />

porta. Poi, tante notti a fumare e delirare.<br />

Non esiste la psichiatria in strada.<br />

E perché? Perché chi vive in strada<br />

è necessariamente un reietto.<br />

Scivolata in depressione, ho cercato


ché l’équipe Diogene lo avvicinasse e<br />

lo aiutasse a ristabilire un atteggiamento<br />

positivo nei confronti della vita<br />

e degli altri. Un percorso difficilissimo,<br />

che ha richiesto molta pazienza, e che<br />

all’inizio non dava risultati.<br />

L’ospitalità offerta da don Giorgio,<br />

che lo ha costretto a instaurare una relazione,<br />

anche solo per entrare e uscire<br />

dalla parrocchia a dormire, tutto è<br />

ricominciato. Gli incontri con gli educatori<br />

hanno fatto il resto. La comunità<br />

ha finito il lavoro: «Le persone<br />

piano piano lo hanno accolto e lui ha<br />

trovato un ambito in cui si trova bene<br />

– sintetizza il sacerdote –- Adesso sa<br />

che gli si vuole bene, che è guardato<br />

con simpatia, aiuta quando c’è da scaricare<br />

il camion che arriva col Banco<br />

alimentare, svolge altre incombenze.<br />

Sa che si conta su di lui. Ha ritrovato<br />

un po’ se stesso».<br />

Certo, accompagnarlo sulla via del<br />

recupero ha richiesto molto tempo e<br />

tante energie. «Sono percorsi possibili,<br />

ma difficili – conclude don Giorgio –.<br />

Ci chiedono intelligenza e unità. E soprattutto<br />

di mettere in gioco l’amore. E<br />

l’impegno di tutta una comunità. Antonio<br />

non chiedeva aiuto. Ma per noi,<br />

in ogni caso, ne aveva bisogno. Bisogna<br />

essere attenti a non imporlo. Se uno si<br />

sente in gabbia, rifiuta anche una mano<br />

tesa». .<br />

l’autocura: ero da sniffo. Un giorno entrai<br />

da Righetti (ristorante in centro,<br />

ndr): il proprietario ha avuto pietà di<br />

me. Ha chiamato l’ambulanza (l’ho già<br />

detto, non c’è psichiatria sulle strade).<br />

Attacco di panico: al pronto soccorso<br />

mi conoscevano e mi hanno fatta passare.<br />

Poi una notte in astinenza. Una<br />

flebo e fuori: la psichiatria non c’è né<br />

in strada né dentro i reparti.<br />

Se sei tossico è un tuo vizio, non è vero<br />

che stai male, e gli infermieri psichiatrici<br />

ridono, mentre tu piangi, e<br />

sbattono le porte. Basaglia, ti prego,<br />

ovunque tu sia, rinasci e fa un’altra rivoluzione:<br />

psichiatria solo sulle strade.<br />

Viola è in cura alla psichiatria del Sert di<br />

Vicenza e soffre di un disturbo borderline<br />

di personalità, grave patologia caratterizzata<br />

da instabilità pervasiva dell’umore.<br />

Lo psichiatra<br />

«Prevalgono gli schizofrenici,<br />

ma il disagio ha molti aspetti»<br />

l’inchiesta<br />

Homeless, sleep-out, clochard, persone senza dimora, vagabondi,<br />

senza tetto. Un’alta percentuale di costoro soffre, tra le altre cose,<br />

di disturbi psichici. Capire come le due condizioni (disagio mentale e grave<br />

emarginazione) si intreccino e si alimentino reciprocamente, non è affatto<br />

facile. I risultati degli studi condotti su chi accede ai servizi psichiatrici (una<br />

ridotta percentuale) non sono trasferibili all’intera popolazione dei senza<br />

dimora. Molto più affidabili sono i risultati ottenuti da indagini che partono<br />

dalla strada, dalle mense pubbliche, dai luoghi di assistenza diurna.<br />

«Formulare diagnosi psichiatriche affidabili non è facile – ha spiegato, in un<br />

suo articolo sulla Rivista sperimentale di Freniatria, lo psichiatra Teodoro<br />

Maranesi, attuale direttore del Dipartimento di salute mentale Sacco di<br />

Milano –. È molto difficile capire se il disagio psichico eventualmente rilevato<br />

dipenda da una malattia psichiatrica o da una reazione di adattamento a una<br />

condizione di vita altamente stressante».<br />

Tutti gli studi, comunque, confermano che tra i senza dimora lo stato di<br />

salute mentale risulta molto scadente. «La diagnosi di schizofrenia è la più<br />

frequente – continua Maranesi –; seguono i disturbi affettivi mono o bipolari.<br />

Tra le condizioni meno gravi, ma soggettivamente difficili, i disturbi d’ansia, i<br />

disturbi fobici e gli attacchi di panico. I disturbi di personalità risultano<br />

presenti in percentuali molto alte; inoltre, più del 50% dei senza dimora è<br />

affetto da alcolismo».<br />

Sino ad alcuni anni fa l’attenzione degli psichiatri è stata posta quasi<br />

esclusivamente sulle variabili individuali e il punto di vista dominante era che<br />

all’origine del “vagabondaggio” ci fossero scelte e atteggiamenti devianti:<br />

rifiuto del lavoro e delle responsabilità, trasgressione delle regole e delle<br />

norme sociali. Attualmente, invece, trova maggiore consenso un modello<br />

esplicativo multifattoriale, nel quale la presenza di situazioni sfavorevoli<br />

esterne al singolo individuo da un lato, ed eventi di vita soggettivamente<br />

negativi o stressanti dall’altro, aumentano il rischio che una persona corre<br />

di iniziare una vita senza dimora.<br />

Si delinea, insomma, una sorta di “percorso dell’esclusione”, lungo il quale<br />

una rete di eventi critici si intreccia alle caratteristiche individuali. Questa<br />

pluralità di fattori spiega perché ci sono soggetti che, pur dinanzi a eventi<br />

traumatici, restano reattivi, tanto da elaborare diversi livelli di equilibrio<br />

esistenziale, mentre altri sviluppano passività, subalternità, fino alla<br />

irreversibilità del disturbo, secondo un iter cumulativo che si radicalizza.<br />

L’analisi di Maranesi evidenzia che, tra coloro che presentano disturbi<br />

psichiatrici, la maggior parte non ha mai ricevuto alcun tipo di trattamento,<br />

anche se quasi tutti avrebbero bisogno di assistenza medica e specialistica,<br />

oltre che di una più adeguata alimentazione e igiene personale. La soluzione<br />

migliore sarebbe un approccio attraverso l’utilizzo di unità mobili di strada,<br />

costituite da psichiatri, infermieri o operatori sociali. Bisogna pensare,<br />

insomma, a un’assistenza quotidiana fatta direttamente in strada, che metta<br />

insieme anche attività di risocializzazione e riabilitazione, al fine di stimolare<br />

autonomia e abilità personali degli homeless. «Per affrontare i loro problemi,<br />

non sono sufficienti i farmaci – conclude lo psichiatra –, nemmeno il solo<br />

ricovero ospedaliero. Servono invece colloqui e una specifica assistenza:<br />

interventi che si muovono all’interno di un modello di riabilitazione<br />

psicosociale». Perché la medicina non elimina magicamente un disagio che<br />

ha molti aspetti, e che la povertà, la solitudine e la precarietà possono<br />

sempre far risorgere. [s.c]<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .19


Celestini: «La pazzia?<br />

Ci riguarda tutti...»<br />

“La pecora nera” ora è film. Dietro ai manicomi, il disagio dell’intera società<br />

Dal teatro al cinema<br />

Ascanio Celestini è nato a Roma<br />

il 1° giugno 1972; artista versatile, è<br />

attore, regista, scrittore. Nonostante<br />

abbia ormai raggiunto il successo,<br />

continua ad esibirsi ogni anno<br />

nel piccolo Teatro Subasio di Spello,<br />

in Umbria, uno dei primi palcoscenici<br />

che lo hanno reso celebre, almeno<br />

tra i cittadini del circondario: piccolo<br />

trampolino verso le grandi ribalte.<br />

Come attore ha partecipato ai film<br />

Mio fratello è figlio unico<br />

e Questione di cuore. Fra i suoi scritti:<br />

Storie di uno scemo di guerra e<br />

Lotta di classe, entrambi Einaudi.<br />

Nel teatro ha curato, fra l'altro,<br />

la regia di Radio Clandestina. Memoria<br />

delle Fosse Ardeatine.<br />

Con La pecora nera, alla 67ª mostra<br />

del Cinema di Venezia, ha vinto<br />

il “Premio Fondazione Mimmo Rotella”<br />

(il presidente della giuria<br />

era Mimmo Calopresti)<br />

20. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

di Daniela Palumbo<br />

Se c'è una speranza, risiede nell’individuo. E le «istituzioni che segregano,<br />

deresponsabilizzano e rendono un uomo adulto un neonato», negano la speranza.<br />

La pecora nera di Ascanio Celestini, film presentato all’ultimo Festival di Venezia,<br />

parte da qui. L’artista romano narra di matti e di manicomi, per illustrare, in<br />

realtà, la mappa del disagio e dello spaesamento di chi resta indietro nella società<br />

che accoglie solo i numeri primi. Il film, che è stato per tanti anni uno spettacolo teatrale,<br />

ha portato Celestini a entrare nel mondo dei pazzi e dei secondini: lui, Ascanio,<br />

con il suo aspetto un po’ folle e un po’ ingenuo, sa guardare la realtà con la lucidità<br />

di certi artisti italiani delle migliori annate. Ma lui è un pezzo unico. Le sue ori-<br />

gini vedono luce nella periferia romana,<br />

sua madre faceva la parrucchiera a Torpignattara,<br />

dove il disagio è storico. E lui<br />

non lo ha scansato perché «non esistono<br />

luoghi brutti o belli in assoluto. Esistono<br />

gli individui».<br />

Celestini, certa letteratura descrive<br />

il folle come colui che rompe gli schemi,<br />

che è geniale. Tu, sulle tracce della<br />

“pecora nera”, hai conosciuto pazzi,<br />

infermieri e manicomi: hai incontrato<br />

questo aspetto romantico?<br />

Non credo che ci sia bellezza nella pazzia.<br />

Io nel film volevo parlare di una dimensione<br />

più sospesa e condivisibile:<br />

del disagio. E questo riguarda tutti. Il disagio<br />

lo vive il bambino alle scuole elementari<br />

quando la maestra gli vieta di<br />

andare al gabinetto prima della ricreazione<br />

e lo inchioda nel suo banco di<br />

contenzione. Il disagio lo vive il secondino<br />

che sfoga la propria violenza repressa<br />

sul prigioniero. Perfino l’SS nel<br />

lager vive un disagio. Nel manicomio, il<br />

luogo per eccellenza dove ci si occupa<br />

del disagio, più di ogni altra cosa si trova<br />

consolazione, perché l’istituzione toglie<br />

ogni responsabilità all’individuo. È<br />

una cosa terribile. Invece, rompere gli<br />

schemi implica una coscienza, un’utopia<br />

rivoluzionaria che non ha nulla a<br />

che fare con il comportamento di chi<br />

non riesce a relazionarsi con le persone,<br />

nell’ambiente in cui vive.<br />

Per realizzare La Pecora nera hai<br />

ascoltato tante testimonianze sull’umanità<br />

ricoverata in strutture psichiatriche:<br />

quali sono le paure più<br />

forti, profonde, di una persona che<br />

vive segregata?<br />

Nei manicomi si dice che “un infermiere<br />

non controlla un matto, ma due ne<br />

controllano cento”: perché all’interno<br />

delle istituzioni totali non esiste solidarietà.<br />

Non c’è in manicomio, non c’è<br />

quasi mai in carcere e nella caserma.<br />

Spesso non c’è neanche a scuola. È la<br />

solitudine, frutto di relazioni cancellate,<br />

che produce lo spaesamento più forte.<br />

Ma c’è anche la paura di perdersi. Che<br />

non riguarda solo i pazienti, ma anche<br />

gli infermieri o i secondini.<br />

Tanti homeless hanno una geografia<br />

psichica disturbata. Quanto incidono<br />

la solitudine e l’emarginazione<br />

nei disturbi psichiatrici?<br />

Non voglio dire che il disagio psichico è<br />

la conseguenza di un’emarginazione<br />

sociale, ma sicuramente questi due termini<br />

sono in relazione. Da molto tempo<br />

ci viene offerta l’immagine di una società<br />

che dà risposte a tutte le domande:<br />

dal consumo di bevande gassate al sesso,<br />

dalla prospettiva politica a Dio. Lo<br />

spaesamento nasce anche dalla presa di<br />

coscienza che possono esserci domande<br />

senza risposte, e viceversa.


Viaggio nel disagio<br />

Ascanio Celestini ha indagato<br />

il mondo dei manicomi,<br />

con una pellicola molto apprezzata<br />

al Festival del cinema di Venezia<br />

Nei manicomi si cancellava la memoria<br />

dell’individuo. La violenza che<br />

la nostra società esercita sui migranti<br />

ha a che fare con il meccanismo<br />

della rimozione? Noi siamo stati<br />

immigrati a nostra volta...<br />

Non è una questione di rimozione, la<br />

memoria può essere rovesciata in mito.<br />

Si può anche dire “quando noi italiani<br />

andavamo all’estero portavamo cibo e<br />

cultura, lavoro e fatica, mentre questi<br />

africani vengono solo per sporcare e delinquere”.<br />

La violenza nei confronti degli<br />

immigrati non è legata alla memoria<br />

o all’oblio rispetto al nostro passato, ma<br />

a un conflitto di classe. Siamo violenti<br />

nei loro confronti perché possiamo esserlo,<br />

perché abbiamo il coltello dalla<br />

parte del manico, perché siamo la classe<br />

dominante.<br />

Ti fanno più paura i matti o questo<br />

esercito di normalizzati dalla tv?<br />

Mi fa paura la mancanza di consapevolezza.<br />

Che artista è Celestini? Fa teatro civile?<br />

Fa il comico politico? Fa satira?<br />

Cosa vorresti che si scrivesse di<br />

te come artista?<br />

Non lo so. Da dieci anni passo da un<br />

mezzo all’altro. Scrivo canzoni, faccio<br />

televisione, pubblico libri, mi interesso<br />

di indagini antropologiche e giornalistiche<br />

e ora ho fatto un film. Ma anche<br />

quando faccio teatro cerco di prendere<br />

in mano lo spettacolo in tutte le sue<br />

parti, dalla musica alle luci e alla scenografia,<br />

dal testo alla recitazione. Io racconto<br />

storie e non mi preoccupo. Il<br />

mezzo che uso non è il linguaggio, ma<br />

uno stimolo per manovrarlo.<br />

Vedendo La pecora nera, fa tenerezza<br />

Nicola-Ascanio, perché guarda al<br />

mondo con un misto di lucidità e ingenuità.<br />

Ascanio è così?<br />

Non lo so. A me interessa il sommerso...<br />

Il personaggio della pecora nera è matto<br />

perché non ha speranze. Adriano<br />

Pallotta è stato infermiere per oltre<br />

trent’anni al manicomio di Roma e mi<br />

ha fatto conoscere Alberto Paolini che<br />

c’è stato chiuso per 42 anni. La prima<br />

volta che ho incontrato Alberto stavo<br />

seduto accanto ad Adriano (ora sono<br />

tutti e due nel film). Alberto raccontava<br />

e Adriano mi diceva sottovoce: «Lo<br />

vedi che fa ridere? Le barzellette sui<br />

matti so’ tutte vere!». Perché la violenza<br />

espressa dalle istituzioni è stupida, prima<br />

ancora che violenta. È la violenza<br />

del camice e della divisa, la violenza del<br />

paradosso che chiama “cura” l’elettroshock<br />

e “missione di pace” un esercito<br />

di militi armati fino ai denti. Appena<br />

riesci a tirarti fuori dal meccanismo, ne<br />

capisci l’aspetto grottesco. Se ti salvi...<br />

ti fa ridere..<br />

l’intervista<br />

Il film<br />

Nicola nel<br />

manicomio<br />

“elettrico”<br />

«Il manicomio è<br />

un condominio di santi. So’<br />

santi i poveri matti asini sotto<br />

le lenzuola cinesi, sudari di<br />

fabbricazione industriale,<br />

santa la suora che accanto alla<br />

lucetta sul comodino suo<br />

si illumina come un ex voto.<br />

E il dottore è il più santo<br />

di tutti, è il capo dei santi,<br />

è Gesucristo». Così, in<br />

La Pecora Nera, Nicola racconta<br />

i suoi 35 anni di “manicomio<br />

elettrico”, e nella sua testa<br />

scompaginata realtà e fantasia<br />

si scontrano, producendo<br />

imprevedibili illuminazioni.<br />

Nicola è nato negli anni<br />

Sessanta, “i favolosi anni<br />

Sessanta”, e il mondo che lui<br />

vede dentro l’istituto non<br />

è poi così diverso da quello<br />

che sta correndo là fuori<br />

– un mondo sempre più vorace,<br />

dove l’unica cosa che sembra<br />

non potersi consumare è<br />

la paura. Nicola è sempre stato<br />

un ragazzino diverso dagli altri.<br />

Un’infanzia trascorsa con la<br />

nonna, una mamma morta<br />

giovane e pazza e un padre e<br />

due fratelli grandi che lo hanno<br />

sempre ignorato. Il film lo<br />

“incontra” dopo 35 anni di vita<br />

nell’Istituto, “protetto” in un<br />

mondo che non gli sembra<br />

tanto diverso da quello esterno.<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .21


Viaggio nel disagio<br />

Ascanio Celestini ha indagato<br />

il mondo dei manicomi,<br />

con una pellicola molto apprezzata<br />

al Festival del cinema di Venezia<br />

Nei manicomi si cancellava la memoria<br />

dell’individuo. La violenza che<br />

la nostra società esercita sui migranti<br />

ha a che fare con il meccanismo<br />

della rimozione? Noi siamo stati<br />

immigrati a nostra volta...<br />

Non è una questione di rimozione, la<br />

memoria può essere rovesciata in mito.<br />

Si può anche dire “quando noi italiani<br />

andavamo all’estero portavamo cibo e<br />

cultura, lavoro e fatica, mentre questi<br />

africani vengono solo per sporcare e delinquere”.<br />

La violenza nei confronti degli<br />

immigrati non è legata alla memoria<br />

o all’oblio rispetto al nostro passato, ma<br />

a un conflitto di classe. Siamo violenti<br />

nei loro confronti perché possiamo esserlo,<br />

perché abbiamo il coltello dalla<br />

parte del manico, perché siamo la classe<br />

dominante.<br />

Ti fanno più paura i matti o questo<br />

esercito di normalizzati dalla tv?<br />

Mi fa paura la mancanza di consapevolezza.<br />

Che artista è Celestini? Fa teatro civile?<br />

Fa il comico politico? Fa satira?<br />

Cosa vorresti che si scrivesse di<br />

te come artista?<br />

Non lo so. Da dieci anni passo da un<br />

mezzo all’altro. Scrivo canzoni, faccio<br />

televisione, pubblico libri, mi interesso<br />

di indagini antropologiche e giornalistiche<br />

e ora ho fatto un film. Ma anche<br />

quando faccio teatro cerco di prendere<br />

in mano lo spettacolo in tutte le sue<br />

parti, dalla musica alle luci e alla scenografia,<br />

dal testo alla recitazione. Io racconto<br />

storie e non mi preoccupo. Il<br />

mezzo che uso non è il linguaggio, ma<br />

uno stimolo per manovrarlo.<br />

Vedendo La pecora nera, fa tenerezza<br />

Nicola-Ascanio, perché guarda al<br />

mondo con un misto di lucidità e ingenuità.<br />

Ascanio è così?<br />

Non lo so. A me interessa il sommerso...<br />

Il personaggio della pecora nera è matto<br />

perché non ha speranze. Adriano<br />

Pallotta è stato infermiere per oltre<br />

trent’anni al manicomio di Roma e mi<br />

ha fatto conoscere Alberto Paolini che<br />

c’è stato chiuso per 42 anni. La prima<br />

volta che ho incontrato Alberto stavo<br />

seduto accanto ad Adriano (ora sono<br />

tutti e due nel film). Alberto raccontava<br />

e Adriano mi diceva sottovoce: «Lo<br />

vedi che fa ridere? Le barzellette sui<br />

matti so’ tutte vere!». Perché la violenza<br />

espressa dalle istituzioni è stupida, prima<br />

ancora che violenta. È la violenza<br />

del camice e della divisa, la violenza del<br />

paradosso che chiama “cura” l’elettroshock<br />

e “missione di pace” un esercito<br />

di militi armati fino ai denti. Appena<br />

riesci a tirarti fuori dal meccanismo, ne<br />

capisci l’aspetto grottesco. Se ti salvi...<br />

ti fa ridere..<br />

l’intervista<br />

Il film<br />

Nicola nel<br />

manicomio<br />

“elettrico”<br />

«Il manicomio è<br />

un condominio di santi. So’<br />

santi i poveri matti asini sotto<br />

le lenzuola cinesi, sudari di<br />

fabbricazione industriale,<br />

santa la suora che accanto alla<br />

lucetta sul comodino suo<br />

si illumina come un ex voto.<br />

E il dottore è il più santo<br />

di tutti, è il capo dei santi,<br />

è Gesucristo». Così, in<br />

La Pecora Nera, Nicola racconta<br />

i suoi 35 anni di “manicomio<br />

elettrico”, e nella sua testa<br />

scompaginata realtà e fantasia<br />

si scontrano, producendo<br />

imprevedibili illuminazioni.<br />

Nicola è nato negli anni<br />

Sessanta, “i favolosi anni<br />

Sessanta”, e il mondo che lui<br />

vede dentro l’istituto non<br />

è poi così diverso da quello<br />

che sta correndo là fuori<br />

– un mondo sempre più vorace,<br />

dove l’unica cosa che sembra<br />

non potersi consumare è<br />

la paura. Nicola è sempre stato<br />

un ragazzino diverso dagli altri.<br />

Un’infanzia trascorsa con la<br />

nonna, una mamma morta<br />

giovane e pazza e un padre e<br />

due fratelli grandi che lo hanno<br />

sempre ignorato. Il film lo<br />

“incontra” dopo 35 anni di vita<br />

nell’Istituto, “protetto” in un<br />

mondo che non gli sembra<br />

tanto diverso da quello esterno.<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .21


la ricerca<br />

Pubblicato il decimo “Rapporto sulle povertà” <strong>Caritas</strong>-Zancan<br />

In caduta libera,<br />

l’Italia che non regge<br />

di Walter Nanni<br />

A due anni dall’inizio della crisi finanziaria, al di là di quanto attestano<br />

le rilevazioni statistiche ufficiali, l’Italia sembra non reggere più. Perché la povertà,<br />

nel nostro paese, era un fenomeno ramificato già prima che l’economia<br />

planetaria (e nazionale) vacillasse, anche a causa dell’assenza di incisive e organiche<br />

politiche di contrasto. Ma adesso, a due anni dall’inizio della crisi finanziaria<br />

e della recessione economica, lo scenario si inasprisce, al di là di quanto attestano<br />

le rilevazioni statistiche ufficiali. Lo rivela il decimo Rapporto sulle povertà<br />

e l’esclusione sociale realizzato da <strong>Caritas</strong> Italiana e Fondazione Zancan che reca,<br />

non a caso, un titolo per nulla consolatorio In caduta libera.<br />

Stiamo davvero precipitando in basso? Su quali reti di protezione possiamo<br />

contare? Nel biennio 2009-<strong>2010</strong>, secondo<br />

il Rapporto, mediamente nel<br />

paese sono aumentate del 25% le persone<br />

che si sono rivolte a <strong>Caritas</strong> per<br />

chiedere aiuto. I centri di ascolto continuano<br />

a essere frequentati soprattutto<br />

da stranieri (68,9% degli utenti), ma<br />

è cresciuta del 40% la presenza di italiani,<br />

così come quella di nuovi utenti<br />

(+30%), che si affiancano al ritorno in<br />

<strong>Caritas</strong> (talvolta anche dopo 5-6 anni<br />

dall’ultima visita al centro di ascolto) di<br />

“vecchie conoscenze”.<br />

Tanti i non assistibili dai servizi<br />

L’esame dei dati relativi ai bisogni degli<br />

utenti conferma l’esistenza di forti<br />

problemi di povertà economica<br />

(65,9%), occupazione (62%) e, in minor<br />

misura, alloggio (23,6%), sia tra gli italiani<br />

che tra gli stranieri. Appaiono in<br />

aumento gli utenti seguiti in modo<br />

esclusivo dalla <strong>Caritas</strong> o da altri soggetti<br />

ecclesiali: molti nuovi poveri non<br />

sono “assistibili” economicamente dai<br />

servizi sociali, perché nonostante abbiano<br />

un tenore di vita molto basso,<br />

percepiscono un reddito “di partenza”<br />

(tra cui la pensione), oppure dispongono<br />

della casa di proprietà. Gli operatori<br />

<strong>Caritas</strong> evidenziano in sintesi scarsa<br />

tempestività degli enti locali nell’affrontare<br />

le nuove povertà, unita a man-<br />

canza di competenze riguardo alla gestione<br />

dei fenomeni di indebitamento.<br />

La povertà, inoltre, diventa sempre<br />

più un fenomeno sfuggente che obbedisce<br />

a regole difficilmente generalizzabili,<br />

secondo il Rapporto. Le carriere<br />

di povertà sono sempre più veloci,<br />

complesse, multidimensionali, con<br />

frequenti uscite e “ritorni” in una situazione<br />

di disagio sociale. E anche se<br />

non si rimane a lungo in condizione di<br />

fatica economica, il persistere del “fiatone”<br />

finanziario e il progressivo esaurimento<br />

delle risorse determina situazioni<br />

di disagio psicologico e conflittualità<br />

intrafamiliare. Infatti le storie<br />

incontrate dagli operatori <strong>Caritas</strong> sono<br />

sempre meno legate a individui soli<br />

e sempre più caratterizzate da un<br />

coinvolgimento dell’intero nucleo familiare.<br />

Particolarmente vulnerabili<br />

sono le persone appartenenti alla fascia<br />

di età di mezzo: separati e divorziati,<br />

donne sole con prole, occupati<br />

con instabilità lavorativa persistente,<br />

licenziati e cassintegrati, famiglie monoreddito,<br />

donne con difficoltà a rientrare<br />

nel mercato del lavoro dopo la<br />

maternità, ecc.<br />

Vi sono però situazioni di povertà<br />

legate a livelli di spesa eccessivi, non<br />

corrispondenti all’entità del reddito fa-<br />

Assalto ai centri di ascolto<br />

Il decimo Rapporto sulla povertà<br />

<strong>Caritas</strong>-Zancan racconta un paese<br />

che ricorre sempre più spesso<br />

ai centri d’ascolto: non sono<br />

solo stranieri, molti vi arrivano<br />

per problemi dell’intero nucleo famigliare.<br />

Sono gli effetti della crisi.<br />

A cui rispondono 635 progetti<br />

delle <strong>Caritas</strong> diocesane<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .23


In caduta libera<br />

miliare: a determinare questo fenomeno<br />

contribuiscono il gioco d’azzardo e<br />

comportamenti di cattiva gestione del<br />

reddito.<br />

Sono 635 i progetti attivati<br />

Di fronte all’impoverimento del Paese<br />

i vescovi italiani hanno espresso<br />

preoccupazione e vicinanza alle famiglie.<br />

La Chiesa italiana non si è limitata,<br />

tuttavia, a compiere gesti simbolici.<br />

Secondo un monitoraggio effettuato<br />

a giugno <strong>2010</strong> da <strong>Caritas</strong> Italiana,<br />

ben 196 <strong>Caritas</strong> diocesane (su un totale<br />

di 220) hanno attivato iniziative anti-crisi,<br />

in totale ben 635. E <strong>Caritas</strong> Italiana<br />

ha accompagnato le <strong>Caritas</strong> dio-<br />

New entry della povertà<br />

«La politica batta un colpo»<br />

Anche a Milano, ai centri d’ascolto <strong>Caritas</strong>, più italiani, più uomini e più “ceto medio”<br />

di Francesco Chiavarini<br />

Crescono le persone in difficoltà che si rivolgo ai centri di ascolto, anche<br />

a Milano. Diminuiscono gli stranieri senza permesso di soggiorno che chiedono<br />

aiuto a <strong>Caritas</strong> Ambrosiana, mentre aumentano gli italiani e gli uomini.<br />

Diventano più frequenti le richieste di sussidi economici e di generi alimentari.<br />

Il Nono rapporto sulle povertà nella diocesi di Milano, curato dall’Osservatorio<br />

diocesano delle povertà e delle risorse e presentato a fine settembre, conferma<br />

il generale impoverimento delle fasce più deboli della popolazione ma, soprattutto,<br />

l’allargamento del grave disagio ben oltre le categoria sociale dei vulnerabili<br />

cronici. Nel corso del 2009, secondo il Rapporto, si sono presentate, nei 56<br />

centri di ascolto scelti come campione, 17.283 persone: il 9% in più rispetto al<br />

2008, tanto che il numero degli utenti è tornato a valori che non si registravano<br />

da cinque anni.<br />

Chi ha determinato questo aumento?<br />

Senza dubbio non gli immigrati<br />

clandestini. I quali, secondo il rapporto,<br />

agli sportelli <strong>Caritas</strong> sono diminuiti<br />

del 3,7%. Forse perché spaventati dalla<br />

prospettiva di incorrere in denunce,<br />

tanto da non trovare il coraggio nemmeno<br />

di chiedere aiuto.<br />

Gli italiani in costante crescita<br />

I nuovi vulnerabili, invece, hanno sempre<br />

più spesso nomi e cognomi italiani.<br />

Infatti – benché gli stranieri rappresentino<br />

ancora la grande maggioranza degli<br />

utenti (il 73,7%) –, nel 2009 a chie-<br />

24. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

cesane e le Delegazioni regionali <strong>Caritas</strong><br />

alla presentazione di numerosi<br />

progetti di contrasto della povertà:<br />

195, formulati da 114 <strong>Caritas</strong> diocesane,<br />

relativi a vari ambiti di bisogno, per<br />

realizzare i quali sono stati richiesti oltre<br />

11,3 milioni di euro alla Cei (mentre<br />

la partecipazione economica diretta<br />

delle diocesi supera la cifra di 9,5<br />

milioni di euro).<br />

Destinatari di tutti questi sforzi sono<br />

famiglie in difficoltà, minori, immigrati,<br />

detenuti ed ex detenuti, anziani,<br />

vittime di violenza e tratta, malati terminali,<br />

persone senza dimora e richiedenti<br />

asilo. Specifiche attenzioni sono<br />

anche riservate al tema delle dipen-<br />

denze (da sostanze, farmaci, ecc.) e ai<br />

problemi di occupazione, usura, indebitamento<br />

e abitativi.<br />

Questi sforzi, tuttavia, non sono<br />

sufficienti, se non vengono inquadrati<br />

all’interno di politiche economiche e<br />

di welfare più generali. Su questo fronte<br />

il giudizio è critico. Secondo il Rapporto,<br />

tra le misure di contrasto delle<br />

situazioni di povertà, introdotte dal governo<br />

italiano nel biennio 2007-2008,<br />

l’abolizione dell’Ici per la prima casa è<br />

stata la misura maggiormente efficace,<br />

su questo versante. Assolutamente<br />

bocciata invece la social card: il 94,9%<br />

degli operatori intervistati la ritiene<br />

“poco” o “per niente utile”. .<br />

dere aiuto alla <strong>Caritas</strong> sono venuti in<br />

numero crescente gli italiani: rispetto<br />

al 2008 i nostri concittadini sono aumentatati<br />

del 15,7%. «Fenomeno –<br />

spiegano gli autori del Rapporto – alla<br />

cui radice si trova certamente l’acuirsi<br />

e il protrasi della crisi economica che<br />

sta colpendo il nostro paese».<br />

Inoltre, in un contesto in cui la domanda<br />

di aiuto è sempre stata espressa<br />

in prevalenza dalle donne, è significativo<br />

che, nonostante siano ancora<br />

loro, le donne, a rappresentare la maggioranza<br />

degli utenti (il 64,8%), sono<br />

stati gli uomini ad aumentare, passando<br />

dal 31% nel 2008 al 35% nel 2009.<br />

Insomma, un incremento del 4% che<br />

riguarda un’altra categoria “inusuale”<br />

tra gli assistiti della <strong>Caritas</strong>. Non a caso<br />

– fanno osservare i ricercatori – sono gli<br />

uomini i più colpiti da problemi di occupazione<br />

(+5,5%) e di reddito (+4,7%).<br />

Ma che cosa hanno chiesto le persone<br />

ai centri d’ascolto? L’analisi dei bisogni<br />

e delle richieste realizzata dal<br />

Rapporto conferma un generale peggioramento<br />

delle condizioni di vita


materiale delle persone. Si confermano<br />

in aumento le persone che richiedono<br />

generi alimentari, passate dal<br />

28,8% del 2008 al 30,2%: in valori assoluti,<br />

circa 700 persone in più. Se si passa<br />

poi ad analizzare il numero di persone<br />

che hanno richiesto sussidi economici,<br />

l’aumento è ancora più vistoso:<br />

il 4%, pari a circa un migliaio di<br />

individui.<br />

Un identikit più preciso dei “vulnerabili”<br />

emerge dall’approfondimento<br />

condotto dai ricercatori del consorzio<br />

Aaster del sociologo Aldo Bonomi, che<br />

ha riguardato 3.237 persone selezionate<br />

come campione di coloro che si sono<br />

rivolti ai distretti del Fondo Famiglia<br />

Lavoro, il fondo di solidarietà voluto<br />

dall’arcivescovo di Milano per chi, a<br />

causa della crisi, perde il lavoro.<br />

Una mappa ridisegnata<br />

I due terzi dei beneficiari del Fondo risultano<br />

dunque essere operai generici<br />

nel ciclo dell’industria, della subfornitura<br />

e dell’edilizia; seguono i lavoratori<br />

non qualificati nei servizi e un 15%<br />

di persone con lavori dequalificati, sal-<br />

« La crisi<br />

ha lasciato<br />

il segno:<br />

in aumento<br />

le persone<br />

che richiedono<br />

pacchi viveri<br />

e sussidi<br />

economici»<br />

modeste, ma che avevano sempre goduto<br />

di una certa stabilità, in soggetti<br />

vulnerabili e sospinto i poveri cronici<br />

sulle soglie della miseria – osserva il direttore<br />

di <strong>Caritas</strong> Ambrosiana, don Roberto<br />

Davanzo –. Gli utenti tradizionali<br />

dei nostri centri di ascolto, in genere<br />

donne straniere, che prima ci chiedevano<br />

aiuto per cercare casa e un lavoro,<br />

ci domandano ora aiuti economici e<br />

alimentari, come se avessero rinunciato<br />

al sogno di integrarsi e badassero ormai<br />

alla sopravvivenza; mentre un’intera<br />

categoria, quella degli stranieri irregolari,<br />

è talmente intimorita che sta<br />

tuari o irregolari. Solo il 5% ha un pro- rinunciando persino a venire da noi.<br />

filo professionale medio-alto (inse- Poi ci sono le new entry, mi si passi l’egnanti,<br />

professionisti o dirigenti). Se spressione: sono in genere italiani, uo-<br />

però si scorpora quest’ultimo dato in mini, che hanno perso il lavoro. Perso-<br />

base alla cittadinanza, la percentuale ne che non si sarebbero mai sognate di<br />

tra gli italiani sale all’11,5%: la crisi, in- bussare alle porte della parrocchia e<br />

somma, si è estesa anche alle fasce di che ora, spinti dalla necessità, vengo-<br />

popolazione che fino a ieri sembravano allo scoperto. Di fronte a questo stano<br />

essere al sicuro e che oggi hanno to di cose, non è possibile pensare che<br />

trovato il “coraggio della miseria”, ri- la risposta possa venire unicamente<br />

volgendosi al Fondo.<br />

dalla <strong>Caritas</strong>, dall’Arcivescovo, dal<br />

«La crisi ha ridisegnato la mappa mondo del volontariato. La politica de-<br />

23-06-<strong>2010</strong> 9:33 Pagina 1<br />

della povertà. Ha trasformato famiglie ve battere un colpo». .<br />

Stannah.<br />

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Ottimomassimo,<br />

i libri hanno le ruote<br />

Libreria itinerante, idea geniale: non aspetta i piccoli lettori, ma va loro incontro<br />

di Daniela Palumbo<br />

Ottimo Massimo è il cane di Cosimo, il ragazzino del Barone Rampante<br />

di Calvino, che decide di andare a vivere sugli alberi per ribellione nei confronti<br />

delle imposizioni dei genitori. Un giorno Cosimo trova il cane in giro da solo nel<br />

bosco e decide di adottarlo. Ottimo Massimo è un bassotto furbo e sveglio che diventa,<br />

in poco tempo, un grande amico per Cosimo.<br />

Tiziana, Deborah e Daniele hanno amato quel libro e il tenero e svelto bassotto.<br />

Poi, quando hanno deciso di fondare la prima libreria itinerante in Italia, è stata<br />

Deborah a ricordarsi di quel piccolo genietto simpatico. Così è nata l’idea di adottarlo,<br />

anche loro, come testimone della loro avventura: portare i libri in tutti i luoghi<br />

per animare la lettura e rendere feconda la fantasia dei bambini. «Abbiamo vi-<br />

sto nascere la prima libreria per ragazzi<br />

di Roma – racconta Daniele –, ci abbiamo<br />

lavorato per sei anni. Poi, dopo un<br />

cambio di gestione, abbiamo deciso<br />

che era arrivato il momento di provare a<br />

fare qualcosa di nostro. Durante un pomeriggio<br />

di pioggia ci siamo confrontati<br />

su quello che ci sarebbe piaciuto fare<br />

e ci siamo accorti, incredibilmente, di<br />

avere tutti e tre lo stesso sogno: creare e<br />

gestire una libreria itinerante. Ci piaceva<br />

più di tutto l’idea di suscitare il pia-<br />

26. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

cere della lettura in chi ancora non sapeva<br />

di essere lettore. Quel pomeriggio<br />

nessuno di noi immaginava che un<br />

giorno questo pazzo sogno sarebbe diventato<br />

realtà».<br />

Invece è andata proprio così. Oggi il<br />

“librobus” porta con sé più di quattromila<br />

libri, selezionati tra le case editrici<br />

di qualità. “Ottimomassimo” ha incontrato<br />

in oltre tre anni migliaia di bambini,<br />

in più di 150 scuole italiane.<br />

Disabituati al piacere di leggere<br />

Tiziana Mortellaro, 38 anni, Deborah<br />

Soria, 39, e Daniele Tabanella, 34, gestiscono<br />

il progetto “Ottimomassimo” e<br />

vanno ovunque: nei luoghi dove i libri<br />

risiedono già nell’immaginario dei<br />

bambini e in quei posti dove le favole<br />

non fanno parte del destino di un individuo.<br />

Sono affabulatori migranti che<br />

viaggiano per biblioteche, piccoli comuni,<br />

piazze, scuole e pure stabilimenti<br />

balneari, durante il periodo di chiusura<br />

delle scuole.<br />

«I bambini – racconta Tiziana – non<br />

si stanno disabituando alla lettura, bensì<br />

al piacere della lettura. Leggere a volte<br />

diventa un dovere scolastico, i libri<br />

spesso non li scelgono neppure i bambini,<br />

ma le maestre. Invece è importante<br />

che il bambino affini i suoi gusti, soprattutto<br />

quando comincia ad avere 7-<br />

8 anni. Le nostre attività mirano a renderlo<br />

un lettore consapevole, che non<br />

solo abbia il piacere di leggere, ma che<br />

sappia essere critico, e possa scegliere.<br />

Per i più piccoli la voce narrante è magica,<br />

la favola diventa un libro parlante.<br />

È evocativa. Ma attenzione, se la voce<br />

che legge è svogliata i bambini sentono<br />

che non c’è partecipazione, e ti tagliano<br />

fuori. Perdono interesse. E, quel che è<br />

peggio, perdono la magia della lettura».<br />

Tanti progetti on the road<br />

Durante l’inverno, Ottimomassimo lavora<br />

per lo più con i bambini nelle scuole,<br />

dall’infanzia alla secondaria. Le loro<br />

proposte sono diversificate: si va dalla<br />

“Lettura animata” per i più piccoli (con<br />

parole, immagini, suoni e musiche per<br />

entrare nelle storie con tutti i sensi) alle<br />

“Letture ad alta voce” per i bambini della<br />

scuola dell’infanzia (con laboratori di


A leggere si impara in piazza<br />

Il “librobus” di “Ottimomassimo”<br />

incontra alcuni ragazzi.<br />

Nella pagina a fianco,<br />

Tiziana Mortellaro, una<br />

delle animatrici del progetto<br />

L’indagine<br />

Popolo di allergici ai testi,<br />

gli italiani non leggono molto<br />

GLI ITALIANI E LA LETTURA. L’indagine dell’Istat “Aspetti della vita<br />

quotidiana” rileva annualmente informazioni sulla lettura di libri nel tempo<br />

libero. La ricerca è stata effettuata su un campione che comprende<br />

19 mila famiglie italiane, per un totale di 48 mila persone, ed è stata<br />

effettuata nel 2009.<br />

IL PROFILO DEL LETTORE ITALIANO. Secondo i risultati della ricerca,<br />

il 45,1% della popolazione italiana di 6 anni e più (oltre 25 milioni 300 mila<br />

persone) ha letto almeno un libro nell’ultimo anno. La quota più alta di lettori<br />

si riscontra tra le persone di 11-17 anni (oltre il 58%), con un picco tra gli 11<br />

e i 14 anni (64,7%), e decresce all’aumentare dell’età. Già a partire dai 35<br />

anni la quota di lettori scende ben al di sotto del 50% del totale, per<br />

diminuire drasticamente dai 65 anni in poi e raggiungere il valore più basso<br />

tra la popolazione di 75 anni e più (22,8%).<br />

LE DONNE LEGGONO PIÙ DEGLI UOMINI. Tra le donne, il 51,6% sono lettrici;<br />

tra gli uomini, solo il 38,2% sono lettori. Le differenze di genere sono presenti<br />

in tutte le fasce di età e risultano molto forti tra i 20 e i 24 anni, dove la<br />

quota di lettrici supera il 66%, mentre quella dei lettori si attesta al 39,2%.<br />

IL DIVARIO TRA NORD E SUD. Al Nord quasi il 52% della popolazione<br />

di 6 anni e più ha letto almeno un libro nei dodici mesi precedenti<br />

l’intervista, al centro il 48%. Nel Sud e nelle isole, invece, la quota di lettori<br />

scende rispettivamente al 34,2% e al 35,4%.<br />

il progetto<br />

tecniche artistiche legati alle illustrazioni<br />

dei libri). La loro attività più conosciuta<br />

è “Ottimi Lettori”: i librai itineranti<br />

passano una giornata intera nel<br />

cortile della scuola e due narratori accompagnano<br />

i ragazzi nel mondo dei libri<br />

antichi e moderni. Nel ventaglio delle<br />

offerte c’è anche “Un autore tutto per<br />

noi”: dopo aver dato tempo ai ragazzi di<br />

leggere i suoi libri, l’autore è invitato in<br />

classe per incontrarli. Infine, “Io sono<br />

un libraio”: un libraio “vero” spiega ai<br />

ragazzi come proporre un titolo, come<br />

scegliere il libro giusto per la persona<br />

giusta, come funziona il mondo dell’editoria;<br />

segue una mostra-mercato organizzata<br />

dagli alunni, il cui ricavato arricchirà<br />

la biblioteca di classe.<br />

Naturalmente poi si può invitare Ottimomassimo<br />

anche alla festa della<br />

scuola, nella piazza del municipio, fuori<br />

dal teatro, nei giardinetti, in spiaggia,<br />

al mercatino... Ovunque la quattro ruote<br />

carica di titoli possa arrivare! .<br />

Ottimomassimo è anche su Facebook<br />

(cercando “bassotto Ottimomassimo”)<br />

www.ottimomassimo.it.<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .27


28.<br />

Quei piedi sporchi<br />

che fecero scandalo<br />

La Madonna dei pellegrini, capolavoro di Caravaggio: l’uomo fragile di fronte al divino<br />

di Luca Frigerio<br />

«Fece una Madonna di Loreto ritratta dal naturale con due pellegrini,<br />

uno co’ piedi fangosi, e l’altra con una cuffia sdrucita e sudicia: e per queste leggierezze<br />

da popolani ne fu fatto estremo schiamazzo». Schiamazzo, cioè baccano,<br />

chiasso, strepito, gridìo. Ed estremo, per di più. A dare retta a Giovanni Baglione,<br />

naturalmente. Che amico del Caravaggio proprio non lo si poteva dire... Eppure<br />

nella tela di Michelangelo Merisi tutto è silenzio, contemplazione, estasi, benedizione.<br />

Un uomo e una donna s’inginocchiano davanti a Maria e al Bambin Gesù,<br />

che si mostrano loro sulla soglia di una casa. I due pellegrini sembrano stanchi,<br />

provati dalla vita, forse, più che dal cammino che li ha condotti fino a quello straordinario<br />

incontro: i loro abiti sono dimessi, sporchi di terra e di sudore; i piedi gon-<br />

fi, callosi e incrostati di fango. Ma sui loro<br />

volti, davanti a quella mirabile visione,<br />

si disegna un sorriso, una gioia trattenuta,<br />

eppure incontenibile.<br />

Il marchese Ermete Cavalletti, di origine<br />

bolognese, morì il 21 luglio 1602.<br />

Due giorni prima aveva dettato il suo testamento:<br />

voleva essere sepolto nella<br />

chiesa di Sant’Agostino, a Roma, e per<br />

<strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

questo imponeva agli eredi di acquistare<br />

la prima cappella a sinistra, ornandola<br />

come si conviene e ponendo sull’altare<br />

un dipinto dedicato alla “Beatissima<br />

Maria di Loreto”, che avrebbe<br />

quindi vegliato in perpetuo sulla sua<br />

tomba. L’incarico venne affidato a Caravaggio,<br />

forse per espresso desiderio<br />

del committente. Certa, invece, è la devozione<br />

che il nobiluomo nutriva verso<br />

la Santa Casa di Loreto, essendovisi recato<br />

in pellegrinaggio anche pochi mesi<br />

prima della sua scomparsa. Al punto<br />

che, sembra lecito immaginarlo, Michelangelo<br />

Merisi non abbia rappresentato<br />

in questo suo dipinto due generici,<br />

anonimi pellegrini, ma proprio le<br />

fattezze del marchese e di sua madre,<br />

defunta in precedenza.<br />

Nel quadro, infatti, siamo al crepuscolo,<br />

alla fine di una lunga e intensa<br />

giornata, e sono gli ultimi raggi di un sole<br />

al tramonto a illuminare la scena, o<br />

forse già la luce tremula di qualche lanterna.<br />

La fine del giorno, il tramonto di<br />

una vita. È come se questa coppia, al<br />

termine del suo pellegrinaggio terreno,<br />

“Caravaggio, la luce e le tenebre”, inquietudini di un maestro<br />

che cercò i bagliori dell’eterno nelle ombre del quotidiano<br />

Caravaggio è oggi il pittore più conosciuto<br />

e, forse, più apprezzato dal grande pubblico.<br />

Anche chi non è particolarmente<br />

appassionato alle cose d’arte, infatti, sa<br />

senza incertezze riconoscere diversi suoi<br />

dipinti, associandoli, magari anche solo<br />

genericamente, a un certo clima culturale<br />

e a un determinato personaggio.<br />

Personaggio che, del resto, si autoalimenta<br />

del suo stesso mito, fatto di un’aura di<br />

maledettismo, di elementi apparentemente<br />

ambigui, di circostanze poco chiare (se non<br />

misteriose), di un’inquietudine che traspare, ora<br />

sotterranea, ora violenta, in ognuna delle sue opere.<br />

Ma perchè Caravaggio ha dipinto quel che ha dipinto<br />

proprio in quel modo? Che cosa “nascondono” i suoi<br />

dipinti? Perchè alcuni di essi suscitarono tanto clamore e<br />

vennero rifiutati? A queste e ad altre domande cerca di<br />

dare una risposta il nuovo libro di Luca Frigerio,<br />

Caravaggio. La luce e le tenebre, pubblicato<br />

da Ancora (288 pagine, illustrato, 29 euro)<br />

in occasione del quarto centenario della<br />

morte del grande pittore lombardo (nella<br />

foto, la copertina).<br />

Un viaggio in undici tappe, attraverso<br />

altrettanti capolavori a soggetto sacro<br />

(dalla Vocazione di Matteo alla<br />

Deposizione di Cristo, dall’Incredulità<br />

di Tommaso alla Morte della Vergine)<br />

nella vita e nell’opera di un maestro<br />

straordinario, che ha voluto cercare<br />

nell’ombra del quotidiano i bagliori dell’eternità.<br />

«Un testo magistrale – scrive lo storico dell’arte Timothy<br />

Verdon, nella prefazione –. Concreto ed esatto, ben<br />

documentato, ma anche con un senso drammatico, un<br />

linguaggio mediatico, un fiuto per curiose affinità e<br />

significative incongruenze. Uno stile che sarebbe piaciuto<br />

allo stesso Caravaggio».


Capolavoro che destò “schiamazzo”<br />

“La Madonna dei Pellegrini” (1604-1606) si trova nella chiesa di Sant’Agostino, a Roma<br />

prima di varcare l’oscura soglia dell’Aldilà,<br />

umilmente, devotamente, volesse<br />

affidarsi alla Vergine e a suo Figlio.<br />

Ancora una volta, così, Caravaggio<br />

compie in questo dipinto una sintesi<br />

mirabile fra simbolo e realtà, tra sensibilità<br />

fisica e sentimento spirituale. Reali<br />

sono le rughe sul volto della donna<br />

anziana. Reale è la sozzura che macchia<br />

le gambe dell’uomo. Dipinte dal vero<br />

sono quelle braghe spiegazzate, quella<br />

cuffia sdrucita. Autentiche sono le<br />

sbrecciature sulla pietra dello stipite, le<br />

cadute d’intonaco sulla parete della casa.<br />

E reale, concreto, autentico appare<br />

dunque anche il miracolo che si compie<br />

sotto gli occhi dei due pellegrini, che<br />

prodigiosamente vedono materializzarsi<br />

l’oggetto stesso della loro devozione:<br />

la statua della Vergine e del Bambino,<br />

inquadrata nella porta come a ricordare<br />

la nicchia in cui era posta, prende<br />

vita, rivestendosi di carne e di<br />

candida pelle.<br />

Benvenuti i poveri e i viandanti<br />

L’uomo e la donna hanno l’aria di chi ha<br />

percorso un lungo cammino. E ora,<br />

giunti alla meta, sono in ginocchio, adoranti.<br />

Ma proprio quello stare in piedi<br />

il libro<br />

della Madonna davanti a loro, quel suo<br />

presentarsi all’ingresso della Santa Casa<br />

è motivo, per chi guarda, di speranza e<br />

sollievo. Perchè Maria va incontro ai<br />

suoi figli, li accoglie, china il capo verso<br />

di loro. Perfino quell’incrociarsi delle<br />

sue gambe, che dà slancio e leggerezza<br />

alla sua figura, quasi fosse appena “atterrata”<br />

da quel miracoloso volo che ha<br />

portato la sua dimora da Nazareth alla<br />

costa adriatica, sembra una sorta di elegante<br />

riverenza che la Vergine accenna<br />

in onore di questi viandanti, ospiti che<br />

proprio per la loro umiltà e povertà, sono<br />

i più graditi alla casa di Dio.<br />

Maria è sulla porta di quel sacro edificio.<br />

Anzi, è come se fosse la porta stessa:<br />

lei che, come ricordano le litanie, è<br />

chiamata Janua Coeli, Porta del Cielo,<br />

perchè con la sua accettazione totale e<br />

incondizionata, ha permesso a Dio di<br />

accedere alla vita terrena, facendosi uomo.<br />

Porta attraverso la quale il divino è<br />

entrato nell’umano, ma anche porta per<br />

mezzo della quale l’umano si apre al divino:<br />

un concetto caro ai Padri della<br />

Chiesa. Ma se la Vergine è la Porta del<br />

Cielo, tanto più lo è suo Figlio. Cristo<br />

stesso, infatti, dice di sè: «Io sono la porta:<br />

se uno entra attraverso di me, sarà<br />

salvo» (Giovanni, 9, 10).<br />

Caravaggio fa sembrare semplici le<br />

soluzioni più studiate e complesse. È<br />

talmente naturale, infatti, talmente armonioso<br />

il distendersi di questa composizione<br />

dall’alto al basso, dal sotto al<br />

sopra, che quasi ci sfugge la sua costruzione,<br />

come se fosse cosa scontata. Tutto<br />

si gioca, invece, su quella diagonale<br />

che, partendo dalla testolina del Bambino,<br />

in alto a sinistra, scende attraverso<br />

le sue membra per raggiungere le<br />

mani e il volto dell’uomo, ne attraversa<br />

il corpo fino all’alluce del piede che si<br />

trova nell’angolo opposto, in basso a<br />

destra. E lo stesso, come un’eco, si ripete<br />

lì accanto, in quello sguardo fra donne,<br />

i cui volti sono i più illuminati della<br />

scena. La coppia divina e la coppia<br />

umana. La Madre e il Figlio ad accogliere<br />

nella vita eterna un figlio e una madre<br />

che hanno concluso la loro esistenza<br />

terrena. La nuova Eva e il nuovo Adamo<br />

pronti a riammettere, a far entrare<br />

l’umanità in quell’Eden da cui i nostri<br />

progenitori erano stati cacciati. .<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .29


Il colosso<br />

cambia pelle<br />

30. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

milano<br />

Novità per il dormitorio di viale Ortles, tra i più grandi d’Europa:<br />

il comune intende farne un luogo di promozione sociale<br />

Milano<br />

Clamorosa dietromarcia,<br />

niente case ai rom.<br />

E intanto Romina...<br />

<strong>Torino</strong><br />

Nuovo registro<br />

dei senza dimora:<br />

così davvero non va...<br />

Genova<br />

Un “Mondo in Pace”?<br />

Proposta dalla fiera,<br />

affidiamoci alla Bellezza<br />

Vicenza<br />

Serata “Al Barco”:<br />

stili di vita alternativi,<br />

si beve con la testa<br />

Rimini<br />

Gli stranieri rubano<br />

le case popolari?<br />

I dati dicono di no<br />

Firenze<br />

Le mie giornate<br />

a Casa Elios,<br />

si barcolla e ci si rialza<br />

Napoli<br />

L’Oasi multifunzionale:<br />

un progetto di speranza<br />

nel quartiere “difficile”<br />

Catania<br />

Disabili sul palcoscenico:<br />

«Attori per sempre,<br />

la diversità è ricchezza»<br />

Palermo<br />

“3P”, martire del Vangelo<br />

che sottraeva<br />

i giovani alla mafia<br />

di Ettore Sutti<br />

Non più solo un dormitorio. O un luogo dove rimanere in attesa di trovare<br />

qualcosa di meglio. L’annuncio è arrivato a fine estate dall’assessore alle politiche<br />

sociali del comune di Milano, Mariolina Moioli: a fine anno il dormitorio (anzi,<br />

la casa di accoglienza) di viale Ortles, una volta conclusi tutti i lavori di ristrutturazione,<br />

ripartirà con una veste, e soprattutto con obiettivi nuovi. Un annuncio importante,<br />

se si pensa che la colossale struttura (una delle più capienti d’Europa, con<br />

i suoi sette padiglioni e gli oltre 400 posti letto) ospita dalle 2.000 alle 2.500 persone<br />

all’anno. Un piccolo paese.<br />

C’è chi vive lì solo per qualche giorno. Altri da una vita. Dormirci costa un euro<br />

e mezzo a notte. Stesso prezzo per la cena. Ci sono due giardini. Mensa e bibliote-<br />

ca. Sale soggiorno e tv, uffici. Corridoi<br />

verdi e camere, in maggioranza, da due<br />

persone. La permanenza massima consentita<br />

è di sei mesi. Tra gli ospiti, c’è chi<br />

un lavoro ce l’ha, eppure non trova<br />

un’alternativa abitativa decente, fuori.<br />

Perchè non ci riesce – come tanti extracomunitari<br />

–, o perchè pensa di non farcela<br />

a starsene in una casa da solo. Nelle<br />

stanze di Ortles, comunque, approdano<br />

esistenze le più varie: giovani in<br />

cerca di occasioni, vecchi sfiduciati, tossici,<br />

alcolizzati, malati mentali... Ora a<br />

tutti costoro il comune promette grandi<br />

novità.<br />

Si lavora per ridare dignità<br />

«C’è voluto del tempo – spiega l’assessore<br />

Moioli –, ma siamo finalmente riusciti<br />

a superare la vecchia impostazione<br />

da dormitorio pubblico: vogliamo una<br />

struttura che sia soprattutto un centro<br />

di accoglienza, dove chi non ha casa<br />

non trovi soltanto un letto, ma anche un<br />

aiuto, nel cammino di riconquista della<br />

propria dignità». Si tratta di una vera e<br />

propria rivoluzione per un’istituzione<br />

che, fino a oggi, e nonostante gli sforzi<br />

di parziale cambiamento degli ultimi<br />

anni, è sempre stata considerata un luogo<br />

alienante. Basti pensare che fino allo<br />

scorso anno c’erano in servizio tre assistenti<br />

sociali per oltre 400 ospiti. «All’in-<br />

I posti saranno 510<br />

E gli assistenti?<br />

La struttura ha 471 posti ordinari<br />

(ma saranno 510 una volta<br />

ultimati i lavori), più circa 200<br />

per le emergenze, a partire<br />

dal Piano freddo che ogni anno<br />

dura da novembre a fine marzo.<br />

Una quarantina sono i posti<br />

per le donne, più di 100 quelli<br />

per gli uomini stranieri.<br />

La permanenza è temporanea,<br />

dura di norma sei mesi, perché<br />

lo scopo è aiutare le persone<br />

a rifarsi una vita “fuori”. Per<br />

ognuno è attivato un progetto,<br />

anche se due assistenti sociali<br />

(dovrebbero essere quattro, in<br />

organico) sono davvero troppo<br />

poche per avviare programmi<br />

personalizzati. Dopo sei mesi<br />

si può ottenere una proroga e<br />

prolungare la permanenza. Ci sono<br />

anche una mensa, un centro<br />

diurno, una biblioteca e un servizio<br />

infermeria, con un ambulatorio<br />

medico e uno psichiatrico, e posti<br />

di ricovero per gli ospiti malati<br />

e dimessi dagli ospedali.


Là dove c’era il dormitorio<br />

Viale Ortles: il comune annuncia novità<br />

terno della casa – presegue l’assessore<br />

Moioli – troveranno spazio uno sportello<br />

di orientamento al lavoro, una postazione<br />

dedicata a chi ha bisogno di un<br />

supporto psicologico e altri spazi, che ci<br />

consentiranno di garantire il punto di<br />

partenza di un percorso individuale di<br />

recupero personale e di graduale reinserimento<br />

alla vita lavorativa e sociale».<br />

Lo scorso anno la casa di accoglienza<br />

di viale Ortles ha ospitato 2.493 persone;<br />

nei primi sette mesi del <strong>2010</strong> si sono<br />

già superate le 1.500 presenze: un<br />

chiaro sintomo delle crescente richiesta<br />

e necessità di aiuto da parte di persone<br />

senza dimora. Il dato è confermato anche<br />

dalle cifre registrate dal Centro di<br />

aiuto comunale della stazione Centrale,<br />

dove ogni anno si superano i 14 mila<br />

contatti. «Milano è una città accogliente<br />

– conclude la Moioli –; prova ne è il<br />

fatto che le nostre strutture non solo sono<br />

in grado di affrontare ogni tipo di<br />

emergenza (come quelle relative ai rifugiati<br />

o ai recenti sgomberi di campi nomadi),<br />

ma fungono da attrattiva per chi,<br />

normalmente, vive altrove. Il mese di<br />

agosto è sintomatico, in tal senso: molte<br />

strutture in altre città chiudono, in<br />

concomitanza con le ferie estive, e sono<br />

tanti i senza dimora che si trasferiscono<br />

a Milano, dove sanno di poter ricevere<br />

aiuti e supporti adeguati. Ma<br />

mettere a disposizione un posto letto<br />

non basta. Per questo abbiamo deciso<br />

di partire con questo nuovo progetto».<br />

Una svolta epocale per Milano<br />

Ma che ne pensano dell’annunciato<br />

cambiamento gli addetti ai lavori? «Credo<br />

si tratti di una svolta epocale – dice<br />

don Leonello Bigelli, del centro di accoglienza<br />

“La casa di Gastone” –. Natural-<br />

<strong>scarp</strong>milano<br />

La storia<br />

«La prima notte è stata dura»<br />

Ma Adrian riparte da Ortles<br />

Adrian ha 20 anni, ma ha ancora la faccia da ragazzino. Parla<br />

con un filo di voce, appena lo fissi abbassa lo sguardo. Ha l’aria e i modi<br />

gentili di un giovane educato. Non sembra nemmeno essere cresciuto<br />

in strada. Eppure fin da piccolo la strada l’ha frequentata. Scappando da<br />

una situazione familiare tutt’altro che felice, laggiù in Romania. Adrian<br />

è in Italia da quattro anni. «Sono arrivato a Milano nel giugno 2006 –<br />

racconta – e sono andato ad abitare con mia sorella al campo di Triboniano.<br />

Poco a poco ho imparato la vostra lingua e ho iniziato a fare qualche<br />

lavoretto nell’edilizia, insieme a mio zio. Però la situazione con mia sorella<br />

non andava bene: alla fine, dopo lunghe discussioni, ho lasciato Triboniano<br />

per straferirmi in una baracca nel campo di Chiaravalle. Lì sono rimasto,<br />

finché dalla Romania sono arrivati i miei genitori. E i problemi...».<br />

Già, perchè nel frattempo Adrian, tra un lavoretto e l’altro, ha iniziato<br />

a frequentare il quartiere e ha conosciuto una ragazza italiana. «É la cosa<br />

più bella che mi sia mai capitata – racconta –: è solo grazie a lei se non<br />

ho preso strade sbagliate. Però lei è italiana. E a mia madre non piaceva:<br />

ha iniziato a dire che dovevo sposarmi con una ragazza della nostra gente<br />

e a farmi mille problemi. Per fortuna poco dopo i miei sono dovuti tornare<br />

in Romania per rifare i documenti. É stato un periodo duro, di lavoro ce<br />

n’era davvero poco: se sono andato avanti è solo grazie all’aiuto della mia<br />

fidanzata e di sua madre, che mi portavano da mangiare tutte le sere».<br />

Poi gli avvenimenti hanno preso un’accelerazione improvvisa. «Una notte<br />

una ragazza del campo si è addormentata con la candela accesa – racconta<br />

Adrian – e muovendosi nel sonno l’ha fatta cadere. In pochi minuti si è<br />

sviluppato un incendio che ha bruciato tutto, anche la mia baracca. A quel<br />

punto non avevo alternative: o andare a dormire dai miei parenti, o trovare<br />

una soluzione alternativa. Ho deciso di tentare con il dormitorio di viale<br />

Ortles». L’approccio non è stato dei migliori. «Dopo aver fatto domanda –<br />

racconta Adrian – mi hanno detto di presentarmi di martedì, mercoledì o<br />

venerdi per prendere un numerino all’entrata: i primi quattro sarebbero<br />

entrati, gli altri dovevano ritentare (era la vecchia procedura). Ci ho provato<br />

per tre settimane, alla fine ce l’ho fatta. Dopo un colloquio con l’assistente<br />

sociale (quella, bravissima, che mi segue ancora oggi), mi hanno fatto<br />

la prova per la tubercolosi e mi hanno assegnato un letto. La prima sera<br />

non è stato piacevole: non sono mai stato in carcere, ma mi sembrava<br />

di entrare in una cella, invece che in un dormitorio. Poi, però, poco alla volta,<br />

grazie ai tanti ragazzi che hanno diviso la stanza con me, tutte persone<br />

brave e oneste, finite sulla strada per i casi della vita, ho capito che il<br />

dormitorio è un luogo in cui puoi cercare di ripartire. Sono due anni<br />

che vivo lì, e ormai conosco tutti».<br />

Adrian ce la sta mettendo tutta per garantirsi un<br />

futuro migliore. Dopo aver lavorato come<br />

venditore a Scarp, ha iniziato un corso di<br />

formazione professionale per magazziniere,<br />

che lo porterà a una borsa lavoro con il comune<br />

di Milano. «Mi hanno assicurato – conclude il<br />

giovane – che una volta conclusa la borsa lavoro,<br />

se naturalmente avrò fatto bene, il lavoro<br />

potrebbe diventare a tempo indeterminato. Se<br />

così fosse potrei trovarmi una casa tutta mia.<br />

E pensare finalmente a metter su famiglia...».<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .31


l’altra milano<br />

Partite al Trenno: per i ragazzi stranieri il calcio è veicolo di socialità<br />

Gol “latinos” al parco,<br />

il pallone cementa amicizie<br />

di Antonio Vanzillotta<br />

I<br />

Manuel: «Qui ho conosciuto<br />

i primi amici, ho imparato<br />

le prime parole di italiano,<br />

ho subito i primi insulti...»<br />

l calcio è un potente veicolo di socialità per molti migranti che risiedono a Milano.<br />

Anzi, per molti è praticamente l’unico. Perché è grazie ai tornei improvvisati<br />

nei parchi cittadini che i ragazzi si conoscono e solidarizzano tra loro.<br />

Incontriamo un gruppo di sudamericani al parco di Trenno (zona San Siro) e<br />

li invitiamo a fare due chiacchiere. Parlano un italiano fluente, nonostante i<br />

tracci somatici “andini”: scopriamo che sono quasi tutti immigrati di seconda<br />

generazione e che,ormai, si considerano italiani. «I nostri genitori – spiega uno<br />

di loro – hanno fatto e continuano a fare grandi sacrifici per mandarci a scuola<br />

per sperare in un futuro migliore. Loro non hanno più possibilità, ma noi<br />

vogliamo un futuro diverso, in cui la gente non ci chieda se siamo o non siamo<br />

italiani, ma se siamo bravi a fare il nostro lavoro...».<br />

Il calcio per loro è svago e voglia di stare insieme. Il parco è la loro seconda<br />

casa. «Ci trovo qui tutti i giorni, soprattutto d’estate – spiega uno del gruppo –,<br />

con i nostri compagni di scuola e i vicini di casa. Ora che le scuole hanno riaperto,<br />

ci si trova il pomeriggio tardi, dopo i compiti, oppure nei week end».<br />

Esteban è il più spigliato del gruppo e tiene a sottolineare le proprie origini<br />

cilene: «In casa siamo in tanti – scherza –, troppi... Per fortuna i miei riescono<br />

a farci studiare, ma la nostra casa è sempre<br />

affollata. Meglio stare qui, al parco. Sono all’ultimo<br />

anno di liceo e sono il primo della classe; nessuno<br />

è più bravo do me, nemmeno i ragazzi italiani.<br />

Nemmeno in latino. Però non so, quando<br />

vedo come la gente ci guarda per strada, temo che<br />

questo non servirà a nulla». Carlos, poco più che<br />

ventenne, è di origine peruviana e fa l’elettricista. «Qui mi trovo bene, davvero<br />

– racconta –, nonostante sia venuto in Italia solo quando avevo 12 anni. Ha<br />

frequentato un istituto professionale e dopo la maturità, visto che in casa i soldi<br />

erano pochi, ho subito cercato lavoro. In questo parco ho trascorso degli anni<br />

bellissimi anche se adesso lo frequento un po’ meno: ho una ragazza. È italiana.<br />

E – ride – non la presento di certo a dei tipi del genere...».<br />

Manuel è un tipo mingherlino. Ci guarda con il pallone sotto il braccio e e<br />

non smette mai di annuire. «Abito a due passi – racconta – e si può dire che in<br />

questo parco ci sono cresciuto. Qui ho conosciuto i primi amici, ho imparato<br />

le prime parole di italiano, sopportato i primi insulti di chi, chissà perchè, non<br />

sopporta che giochiamo a calcio sul prato. Qui ci vengo anche al mattino a fare<br />

una corsetta prima di andare a scuola. Mi piace lo sport: in questo parco ci<br />

sono diversi percorsi della salute e io li faccio tutti. Poi è un posto sicuro: è molto<br />

frequentato e a qualsiasi ora trovi gente. Ora però dobbiamo giocare».<br />

Sposto lo sguardo dal suo bel sorriso e noto, in lontananza, un gruppo di ragazzi<br />

in pantaloncini corti. É arrivato il momento della sfida. Esteban agita le<br />

braccia indicando dove si gioca. Qui il calcio è una cosa seria..<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong><br />

.33


Estate al Giambellino: mica facile, soprattutto per gli anziani.<br />

Per fortuna a fare la spesa c’erano 25 volontari <strong>Caritas</strong>...<br />

Ernesto e Anna,<br />

i “personal shopper”<br />

Ernesto, 41 anni, infermiere. Mariangela 61 anni, casalinga. Mario, 39<br />

anni, ingegnere elettronico. Anna, 23 anni, in cerca di lavoro. Sono stati loro, insieme<br />

agli altri 21 volontari che hanno risposto in agosto all’appello lanciato da <strong>Caritas</strong><br />

Ambrosiana, i personal shopper degli anziani del Giambellino, storico quartiere<br />

popolare di Milano. Ogni giorno (domenica esclusa), questi angeli custodi con la<br />

sporta hanno consegnato a domicilio i pasti preparati dalle aziende di ristorazione<br />

convenzionate. Ma non solo. Hanno anche accompagnato gli anziani al supermercato,<br />

in posta per il ritiro della pensione, e quando era necessario, anche all’ambulatorio<br />

medico.<br />

I personal shopper <strong>Caritas</strong> sono intervenuti in favore dei cosiddetti “reclusi<br />

dell’estate”: anziani, disabili, soggetti<br />

deboli, rimasti in città anche quando<br />

Milano si spopola per le vacanze, i negozi<br />

chiudono per ferie, i quartieri diventano<br />

un deserto e sbrigare le faccende<br />

di tutti i giorni si trasforma in un<br />

calvario. La loro assistenza gentile e<br />

quotidiana è preziosissima e consente<br />

di prevenire, nel limite del possibile, le<br />

tragedie della solitudine e dell’indifferenza<br />

che spesso popolano le cronache<br />

agostane. La loro è stata una presenza<br />

quotidiana, discreta e gentile, che ha<br />

cercato di far sentire meno sole le persone,<br />

per lo più over 75, che in città d’estate<br />

non saprebbero a chi rivolgersi in<br />

caso di bisogno.<br />

«La squadra dei personal shopper sociali<br />

reclutati dalla <strong>Caritas</strong> Ambrosiana –<br />

che, naturalmente, poco hanno a che fare<br />

con gli “assistenti agli acquisti” dei<br />

vip – è composta da 25 persone, 15 uomini<br />

e 10 donne, mediamente sui 40 anni.<br />

Provengono da ceti sociali differenti e<br />

hanno, in molti casi, esperienze di volontariato<br />

già solide alle spalle. C’è chi<br />

insegna l’italiano agli stranieri in oratorio,<br />

chi assiste i disabili nelle case di cura»,<br />

spiegano gli operatori dello Sportello<br />

volontariato <strong>Caritas</strong>, che hanno raccolto<br />

le richieste e fatto i colloqui di “assunzione”.<br />

I volontari hanno operato al Giam-<br />

bellino dal 2 agosto fino alla fine del mese,<br />

dalle 11 alle 13 (per la consegna dei<br />

pasti) da lunedì a sabato. Gli anziani che<br />

hanno beneficiato dell’assistenza sono<br />

stati segnalati dai servizi sociali del comune.<br />

L’iniziativa rientrava, infatti, nel<br />

“Piano anticaldo” varato dall’amministrazione<br />

comunale, che ha visto la collaborazione,<br />

in altre zone della città, di<br />

altre associazioni di volontariato.<br />

Il sostegno di Avis Autonoleggio<br />

I personal shopper <strong>Caritas</strong> hanno potuto<br />

avvalersi di un’auto messa a disposizione<br />

gratuitamente dell’azienda Avis<br />

Autonoleggio, che ha voluto supportare<br />

<strong>Caritas</strong> in questa importante iniziativa<br />

di sostegno a chi in estate non può purtroppo<br />

andare in vacanza e resta ancora<br />

più solo in città semideserte. L’auto<br />

era contrassegnata da un adesivo sul<br />

cofano e le fiancate laterali con la scritta<br />

“<strong>Caritas</strong> Ambrosiana e Avis Autonoleggio<br />

– Insieme per la solidarietà”.<br />

Lo scorso anno nel quartiere di Baggio<br />

erano intervenuti 39 volontari: allora<br />

i pasti consegnati erano stati 850, 17<br />

gli anziani seguiti (14 donne e 3 uomini,<br />

di età compresa tra i 56 e i 98 anni), , 2 le<br />

persone ricoverate grazie alle segnalazioni<br />

della squadra del pronto intervento<br />

estivo..<br />

Il volontariato?<br />

Lo fanno i giovani<br />

Fare del volontariato in <strong>Caritas</strong><br />

Ambrosiana piace anche ai giovani.<br />

Quest’anno lo “Sportello<br />

volontariato” istituito<br />

dall’organismo diocesano<br />

ha ricevuto 350 richieste da<br />

persone tra i 30 e i 67 anni e quasi<br />

altrettante, 345, da ragazzi tra<br />

i 18 e i 30. Ma non solo. A questi<br />

ultimi, infatti, bisogna aggiungere<br />

i 98 volontari (tra i 18 e i 30 anni)<br />

che hanno scelto di trascorrere<br />

parte delle loro vacanze in uno<br />

degli 11 “Cantieri della<br />

solidarietà”, aperti da <strong>Caritas</strong><br />

in America Latina, Medio Oriente,<br />

Europa dell’Est, Asia e anche<br />

in altri territori d’Italia, per aiutare<br />

persone in difficoltà. E ancora,<br />

i 14 giovani tra i 19 e i 23 anni<br />

che hanno scelto di partecipare<br />

al servizio civile all’estero.<br />

A conti fatti, dunque, gli under 30<br />

rappresentano la quota maggiore<br />

delle persone che hanno bussato<br />

alle porte di <strong>Caritas</strong> per esprimere<br />

il desiderio di dedicarsi agli altri.<br />

«Questo non significa che non<br />

abbiamo un problema di ricambio<br />

generazionale – sottolinea<br />

il direttore, don Roberto Davanzo –.<br />

I 2.500 volontari impegnati nei<br />

300 centri di ascolto della diocesi<br />

sono per lo più adulti con i capelli<br />

bianchi, in genere pensionati. Detto<br />

questo, non è nemmeno vero che<br />

i ragazzi sono disinteressati:<br />

vi sono attività che continuano<br />

a trovare il loro favore».<br />

<strong>scarp</strong>milano<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .35


<strong>scarp</strong>milano<br />

Dietrofront di governo, comune e prefettura: negati i 25 alloggi<br />

promessi a chi sarà sgomberato. La reazione delle associazioni<br />

Niente case ai Rom<br />

Neppure a Romina...<br />

a cura della redazione<br />

Nella seconda metà di settembre è infuriata, a Milano, la polemica sui 25<br />

appartamenti Aler “da destinare ai Rom”, decisione bloccata – dopo interminabili discussioni<br />

e divisioni, all’interno della stessa maggioranza di centro-destra che governa<br />

la città – dal ministro dell’Interno Roberto Maroni, appositamente salito in città<br />

per dirimere la questione. In verità quegli appartamenti, tuttora inagibili e quindi<br />

non facenti parte del patrimonio Aler disponibile, rientravano in una convenzione<br />

firmata lo scorso 5 maggio da prefettura e comune con alcune realtà del privato sociale.<br />

La convenzione prevedeva, così come richiesto dal comune di Milano, l’assegnazione<br />

di 15 appartamenti alla fondazione Casa della carità, 5 al Centro ambrosiano<br />

di solidarietà e 5 al consorzio Farsi Prossimo.<br />

I tre enti avrebbero dovuto destinare<br />

le case a soggetti connotati da particolari<br />

fragilità. Una categoria nella quale<br />

rientrano alcuni nuclei famigliari che<br />

abitano nei campi regolari di via Triboniano<br />

e via Novara, prossimi allo sgombero.<br />

Nei giorni precedenti il “niet” del<br />

ministro, il cui Piano emergenza rom è<br />

all’origine delle decisioni assunte dalle<br />

istituzioni locali, 11 famiglie rom avevano<br />

già ottenuto l’assegnazione delle case,<br />

in base a un atto firmato da prefettura e<br />

comune. Insomma, la decisione del ministro<br />

Roberto Maroni è avvenuta, probabilmente<br />

per sciogliere un nodo politico<br />

interno al centro-destra, contraddicendo<br />

ciò che in parte era già stato attuato.<br />

Resta da capire cosa accadrà degli alloggi<br />

ancora da assegnare, nei quali le<br />

associazioni avrebbero potuto insediare<br />

(dopo averli ristrutturati) anche nuclei<br />

rom, che lì avrebbero avuto accoglienza<br />

temporanea, in attesa di sistemazioni<br />

definitve sul mercato privato delle locazioni.<br />

Dopo la decisione di Maroni, le associazioni<br />

hanno precisato che “qualora<br />

dovesse arrivare una comunicazione<br />

nella quale verrà indicato di non assegnare<br />

le case alle famiglie rom, prenderemmo<br />

atto del mutato stato di cose e<br />

metteremmo in discussione la convenzione.<br />

Perchè vogliamo operare, sia da<br />

36. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

un punto di vista culturale che sociale,<br />

senza mettere in atto forme di discriminazione”.<br />

In questo scenario, Scarp ha ricevuto<br />

la lettera di una cittadina, che racconta<br />

le vicissitudini di una giovane mamma<br />

rom, da lei conosciuta. Una vicenda emblematica<br />

di come il clima generalizzato<br />

di sfiducia e pregiudizio possa mettere<br />

a repentaglio il quotidiano, faticoso<br />

ma possibile lavoro di integrazione.<br />

***<br />

Ho conosciuto Romina circa tre anni fa.<br />

In una stazione della metropolitana. La<br />

vedevo tutte le mattine, da molto tempo<br />

ormai. L’ho vista con la prima pancia e<br />

poi con la seconda. Ha un sorriso dolce,<br />

Romina, e gli occhi tristi. Un giorno mi<br />

sono decisa a fermarmi, le ho dato una<br />

moneta e le ho chiesto il suo nome. E<br />

così è iniziata la mia storia con Romina.<br />

Da allora la nostra chiacchierata<br />

mattutina è diventata un piacevole appuntamento.<br />

A Romina piace parlare di<br />

sé e a me piace ascoltarla. Mi parla di un<br />

mondo che sembra appartenere ad<br />

un’altra galassia. Romina è una ragazza<br />

rom di 19 anni. Vive in una “baracchina”,<br />

così la chiama lei, nella periferia di<br />

Milano, ed è sposata. Penso che potrebbe<br />

quasi essere mia figlia e ora potrei essere<br />

nonna. «Come sei giovane – le di-<br />

co». Mi risponde che per la sua gente da<br />

quando hai 13 anni sei pronta per sposarti<br />

e per avere figli. A un certo punto i<br />

suoi genitori le hanno intimato «O ti<br />

trovi un marito, o ti sposiamo a tuo zio»,<br />

un uomo di venti anni più vecchio di lei.<br />

E Romina un marito se l’è trovato. È sorpresa<br />

quando le dico che sono single:<br />

«Non è facile trovare un uomo da amare<br />

e che ti ami». Mi guarda come se parlassi<br />

un’altra lingua, è un discorso incomprensibile<br />

per lei.<br />

Tolta da piccola alla famiglia<br />

Ora aspetta la seconda figlia, femmina<br />

come la prima. Dice di non volere più<br />

figli, ma certo il marito vuole un maschio.<br />

Al settimo mese di gravidanza<br />

una volontaria l’ha convinta a farsi visitare.<br />

La bambina non si era ancora girata,<br />

se all’ultima ecografia è ancora così<br />

bisognerà fare il cesareo. Romina è terrorizzata,<br />

mi dice che con la prima è andato<br />

tutto bene e non aveva fatto alcuna<br />

visita: «Non dovevo andare dal dottore».<br />

Cerco di farla ragionare.<br />

Lei è una buona osservatrice, si accorge<br />

subito quando mi taglio i capelli.<br />

«Non devi tagliarli – commenta –.<br />

Quando ero piccola avevo i capelli lunghissimi<br />

e li adoravo. Poi mi hanno<br />

mandato dalle suore e lì mi hanno tagliato<br />

i capelli corti. Ho pianto per giorni».<br />

L’hanno tolta alla famiglia e messa<br />

in una comunità, perché chiedeva l’elemosina.<br />

«Almeno avevi una casa», le dico.<br />

Mi risponde che avrebbe preferito<br />

non avere una casa e stare con la sua famiglia.<br />

Però l’hanno mandata a scuola e<br />

di questo è contenta.<br />

Ha fatto la scuola alberghiera, ma<br />

non l’ultimo anno, perché a 18 anni è<br />

uscita dalla comunità e si è sposata. Ma


Via Rubattino<br />

Alloggi ai rom più sgomberati<br />

ma solo grazie al quartiere<br />

I rom di via Rubattino possono vantare un primato: sono<br />

il gruppo di “nomadi” più sgomberati della città. In quasi due anni, circa<br />

300 cittadini di nazionalità rumena baraccati a Milano hanno subito<br />

ben 14 interventi di forza. Ogni volta, le ruspe hanno abbattuto. Ogni volta,<br />

loro hanno ricostruito. L’ultimo grande repulisti è avvenuto all’alba del<br />

7 settembre, un martedì mattina già autunnale, con pioggia e aria fredda.<br />

E anche questa volta il copione è stato rispettato. Prima sono arrivati<br />

gli agenti – 200 uomini, tra forze dell’ordine e polizia locale – a intimare<br />

l’allontanamento a uomini, donne e bambini (circa 250 persone). Quindi<br />

sono state rase al suolo un centinaio di baracche mentre gli operatori dei<br />

servizi sociali offrivano, ma solo a donne e bambini, un posto letto in viale<br />

Ortles. A un mese di distanza, nel dormitorio pubblico vivono ancora quasi<br />

tutte le mamme che avevano accettato di separarsi dai mariti: 15 persone,<br />

bambini compresi. Gli altri 235 rom si sono dispersi in cinque aree abusive<br />

sparse in città, ospiti di parenti e amici. Dei 29 bambini che frequentavano<br />

le scuole del quartiere, 17 – ed è già un miracolo – sono tornati in classe<br />

allo squillo della prima campanella dell’anno: i genitori li accompagnano,<br />

anche se ora devono compire ogni mattina lunghi viaggi sui mezzi pubblici.<br />

Nessuno, invece, ha lasciato il paese per tornarsene in Romania. Come<br />

hanno sempre fatto, presto o tardi torneranno. E saranno nuovamente<br />

sgomberati. Giostra ossessiva, odissea senza fine.<br />

In realtà, i baraccati di via Rubattino in due anni sono di poco diminuiti. Ma<br />

solo grazie alla buona volontà del quartiere e dei volontari della comunità<br />

di Sant’Egidio. Come hanno fatto? Offrendo un’alternativa: 14 famiglie rom,<br />

grazie a loro e alle associazioni di zona, hanno trovato casa. Proprio così.<br />

Alloggi, case vere, in muratura, di proprietà di associazioni, cooperative,<br />

affittate a canoni moderati agli “inaffidabili zingari”. Una piccola grande<br />

lezione al comune di Milano, che ai rom che sta per sfrattare da via<br />

Triboniano e via Novara non riesce a dare nemmeno 25 alloggi...<br />

<strong>scarp</strong>milano<br />

ora è pentita «Se avessi un titolo di studio,<br />

forse ora potrei trovare un lavoro.<br />

Ho paura che mi tolgano mia figlia e allora<br />

l’ho lasciata in Romania, con mia<br />

mamma. Mi manca tanto».<br />

Quale futuro per Romina?<br />

Ci siamo riviste questa settimana. Vorrei<br />

convincerla a fare l’ecografia. Stamattina<br />

non c’era e ho pensato fosse andata<br />

alla visita. L’ho incontrata per caso nel<br />

pomeriggio sulla 54 e mi ha spiegato:<br />

«Stamattina ci hanno sgomberati, la nostra<br />

“baracchina” non c’è più. Ai bambini<br />

del campo e alle madri è stato offerto<br />

un riparo, ma a noi no».<br />

Mancano solo due settimane al parto.<br />

Le spiego che io sto andando al Cie (il<br />

centro di identicazione ed espulsione)<br />

di via Corelli. Ed ecco un altro frammento<br />

della sua vita. «Sono stata a Corelli,<br />

con mia mamma, ero piccola. Ci<br />

hanno messo in una stanza e mi hanno<br />

dato un sacchetto con un mela, una bottiglia<br />

d’acqua e un panino. Poi ci hanno<br />

rimandate in Romania». Penso che la<br />

sua infanzia sia popolata da tanti brutti<br />

ricordi. E il presente non è migliore.<br />

Non so se Romina vorrà mai raccontare<br />

la sua storia a qualcuno. E allora<br />

ho pensato di farlo io. Con la speranza<br />

che possa aiutarla a dare ai suoi figli<br />

un futuro migliore..<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .37


Confronto nella redazione torinese: l’istituzione dell’anagrafe<br />

nazionale dei senza dimora solleva molte perplessità...<br />

dalla redazione<br />

Nell’ambito dei laboratori di scrittura e giornalismo di Scarp-<strong>Torino</strong>, abbiamo<br />

letto il Decreto del ministero dell’interno del 6 luglio <strong>2010</strong> sulle “Modalità di<br />

funzionamento del registro delle persone senza fissa dimora”, di cui Scarp ha parlato<br />

anche nello scorso numero. Un visto alla voce “senza fissa dimora” identificherà la<br />

condizione della persona nell’Anagrafe nazionale, l’elenco non sarà consultabile se<br />

non dal ministero e gli addetti dei comuni potranno solo aggiornare la posizione,<br />

ma non visualizzarla successivamente. Ma non è indicata (come invece speravano gli<br />

organismi per le persone senza dimora) l’esigenza di istituire nei comuni italiani una<br />

prassi condivisa per attribuire la residenza anagrafica agli homeless, condizione per<br />

ottenere per esempio la tessera sanitaria e la tessera elettorale. <strong>Torino</strong> è una delle po-<br />

chissime (e forse la prima) città in cui è<br />

stata istituita la “Via della Casa Comunale”,<br />

ma i tempi di accesso sono lunghi…<br />

Ecco allora cosa scrivono del de- Uguali<br />

creto i nostri amici di Scarp.<br />

C’è il ricco, il povero,<br />

Colpita nel profondo<br />

l’onesto e il disonesto.<br />

Se devo esprimere un pensiero sui di- Il ricco crede che la ricchezza<br />

versi decreti emanati ultimamente dagli<br />

gli dia anche la felicità.<br />

organi legislativi, vengo improvvisamente<br />

colta da nausea. E non credo che Il povero chiede solo di lavorare<br />

esista medicina capace di guarirmi. e non far male.<br />

Quello che mi sento di dire ai signori<br />

Il disonesto, pur di campare,<br />

ministri è questo: ma fatemi il piacere.<br />

La vita regolata da una spunta su una pensa ad arraffare e a volte<br />

pagina web? Siate più chiari, specifi- anche ad ammazzare.<br />

cando quali sono le reali finalità della<br />

L’uomo sia ricco,<br />

registrazione anagrafica dei senza fissa<br />

dimora. Volete solo un database così, sia povero, sia bianco,<br />

oppure nero<br />

sarebbe uguale<br />

in tutto il mondo<br />

se avesse voglia<br />

di trovare un’ora,<br />

un minuto, un secondo<br />

per parlare di pace<br />

e far felice così<br />

tutto il mondo..<br />

38. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

torino<br />

Nuovo registro,<br />

così proprio non va<br />

Piera Coppa<br />

tanto per, oppure a questo censimento<br />

seguirammo azioni concrete capaci di<br />

offrire a questo popolo di invisibili ciò<br />

che si merita, ovvero una vita che non<br />

sia solo all’ombra, restando sempre nella<br />

condizione di sofferenza e disagio,<br />

continuando a rimanere un numero,<br />

un’entità fantasma? Gli invisibili sono<br />

comunque vivi e la loro voce non sarà<br />

mai tacitata, anche nell’assordante silenzio<br />

attuale. La mia difficoltà non è<br />

quella della casa, ma nulla si può escludere.<br />

Se io fossi in quella situazione mi<br />

sentirei colpita nel profondo, e smetterei<br />

di lottare. Qualche giorno fa (con<br />

amarezza) celiando con un amico ho<br />

detto: chissà quando gli invisibili, finalmente,<br />

diventeranno visibili.<br />

Nemesi<br />

É un titolo nobiliare?<br />

Siamo molto contenti che qualcuno si<br />

sia finalmente deciso a fare un elenco<br />

delle persone senza dimora. Soprattutto<br />

se questo servirà per meglio programmare<br />

interventi di welfare. Le persone<br />

interessate al problema sono,<br />

però, molto numerose: si riusciranno a<br />

trovare soluzioni opportune e appropriate<br />

per tutti? Difficile pensare che<br />

sarà così, perché ogni caso è diverso dagli<br />

altri. Tutte le persone sono ombre in<br />

movimento, alla ricerca della propria sistemazione<br />

abitativa, lavorativa e sociale.<br />

Lo stato possiede anche le soluzioni?<br />

É una risposta difficile. Il problema<br />

più difficile sarà convincere i tanti<br />

datori di lavoro che non pagano gli operai,<br />

i lavoratori, o pagano in nero. E così<br />

non paghi l’affitto, perdi la casa, la residenza,<br />

ogni forma di sostegno è bloccata,<br />

e arriva il momento di ricevere il<br />

titolo nobiliare di “persona senza fissa


dimora”. Ma serve a qualcosa questo titolo?<br />

Di certo non al cittadino. Dovrà accettare<br />

prima questo titolo aristocratico<br />

e passeranno almeno quaranta giorni<br />

prima che sia confermato il nuovo “status”,<br />

verranno i vigili a verificare se si<br />

dorme davvero in un bosco, controllando<br />

se casualmente (non si sa mai...) ha<br />

cambiato bosco o panchina. Il decreto<br />

cita anche che si deve dichiarare il cambiamento<br />

di domicilio (io abito nella<br />

confortevole panchina numero 13, se<br />

non è già occupata).<br />

Gheorghe Mateciuc<br />

Ma le urgenze sono altre<br />

Le persone che sono prive di residenza,<br />

“senza fissa dimora”, per me non dovrebbero<br />

essere soggette a schedatura<br />

ma dovrebbero semplicemente avere<br />

maggiori facilitazioni per ottenere la residenza<br />

anagrafica. Questo decreto del<br />

governo non può andare bene per un<br />

motivo: è una legge sbagliata, perché<br />

nella sostanza rimane tutto come era<br />

per chi è in difficoltà. Così non si risolve<br />

nulla, perché le leggi le fate come volete<br />

voi al governo. Io, Roberto Capuano,<br />

sono da tanti anni a <strong>Torino</strong> e per avere la<br />

residenza, spostandola da Taranto a <strong>Torino</strong>,<br />

nella fittizia via Casa Comunale, ho<br />

aspettato due anni. È una vergogna.<br />

Questo è ciò che penso: invece di fare<br />

leggi sbagliate, fate cose serie per i senza<br />

dimora. Ci sono dormitori che chiudono,<br />

mense in cui si magia male, e non<br />

c’è lavoro. Queste sono cose serie, cui<br />

pensare subito. Se volete potete fare<br />

molte cose e invece nessuno si occupa<br />

davvero di noi. Spero mi capiate, voi al<br />

governo; spero che andiate avanti in<br />

un’altra direzione.<br />

Roberto Capuano<br />

La storia<br />

Oggi divento volontario,<br />

c’è molta luce nell’aria<br />

<strong>scarp</strong>torino<br />

Può capitare, a volte, di sentirsi come uno scolaretto,<br />

il primo giorno di scuola. Beh, a me è capitato oggi, mentre andavo<br />

al centro d’incontro di Opportunanda. Aprendo la porta della struttura,<br />

ho iniziato a scrivere un nuovo capitolo della mia vita: sarei diventato<br />

operatore volontario. Per me che sono stato, a più riprese, utente di<br />

varie strutture sociali, è parso un salto dall’altra parte della barricata,<br />

uno scambio di ruoli, un passare il Rubicone, un viaggio affascinante<br />

verso una parte di me stesso, che mi aspettava lì da chissà quanto<br />

tempo. E alla quale ho detto: «Scusa il ritardo, ma ho incontrato un po’<br />

di traffico sulla strada della mia vita». A pensarci bene, è roba che può<br />

anche commuovere, che ne dite? Sbircio all’interno del centro<br />

d’incontro e provo a fare un’entrata quasi trionfale (ho detto provo,<br />

in fondo poi tentare non nuoce, quasi sempre).<br />

La sala di Opportunanda era gremita di gente di varie etnie. Una babele<br />

postmoderna, dove fanno una domanda in romeno e rispondono<br />

in magrebino: la caleidoscopica umanità multietnica, dove ho deciso<br />

di tuffarmi. I volontari, alcuni dei quali conoscevo più o meno, mi hanno<br />

fatto capire che ero il benvenuto a bordo. È stato molto bello,<br />

e ho cominciato a servire: caffè, latte, tè, insomma un vero barman<br />

di vocazione. Mentre miscelavo bevande incontravo lo sguardo e i<br />

sorrisi di quelli che si avvicinavano. Quante cose si possono comunicare<br />

quasi senza parlare! Intorno a me c’erano vecchi frequentatori<br />

di Opportunanda, e insieme a loro ci siamo lasciati andare al flusso<br />

di ricordi, pensieri e parole color nostalgia. Rivisitando il passato,<br />

guardavo il presente e, come mi capita spesso, ho sognato il futuro.<br />

Antico e nuovo s’incontravano sulla soglia del mio animo, come se quel<br />

piccolo mondo fosse divenuto il riflesso di tanta parte della mia vita.<br />

Poi, quando Sabri mi ha dato il cambio in cucina, sono entrato in sala<br />

fra i tavoli e le sedie, confuso tra le parole di tante persone e un po’<br />

smarrito in quel groviglio di esistenze. Iniziava la cosa più difficile:<br />

l’ascolto, il dialogo, l’incontro empatico con l’altrui vita e l’emozione<br />

di cui ogni esistenza è colma. Ho dialogato con molte persone. Spesso<br />

i loro racconti erano vestiti di malinconia: la casa che non c’è, il lavoro<br />

che è solo un miraggio, la malattia, la droga, l’alcolismo, le proprie<br />

radici spezzate, rimaste in qualche angolo del mondo, lontano da qui.<br />

Storie di vita quotidiana, vicende piccole e grandi che intessono<br />

l’esistenza, di cui fa bene parlare per mantenersi vivi, per continuare<br />

a sperare. Mi è piaciuto ascoltare e, con rispetto, domandare qualche<br />

cosa. Incontrare gli altri è molto gratificante, forse perché gli altri<br />

siamo noi. Io credo che la partecipazione sia la più grande e autentica<br />

forma di libertà. Per questo mi sono sentito libero mentre aiutavo a<br />

scaricare le confezioni di cibo dall’auto di un operatore, roba donata da<br />

un supermercato, o mentre alla fine della mattinata facevo le pulizie.<br />

È permeando di noi stessi le piccole cose quotidiane che le rendiamo<br />

grandi, creando la novità e l’unicità di ogni nostro istante, gustando<br />

la pienezza della vita. Ovvio, ho molto da imparare, qualche cosa darò,<br />

qualche cosa avrò in dono e tutto questo mi aiuterà a crescere, giorno<br />

per giorno. Oggi c’è molta luce nell’aria, ed è più facile dare del tu alla<br />

propria vita. A guardar bene, intorno mi sembra di percepire una forte<br />

urgenza di vivere, di essere, e credo che questa sia una bella cosa.<br />

Paolo Fallico<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .39


40. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

genova<br />

Sesta fiera “Mondo in Pace”, percorso per educare<br />

alla nonviolenza e alla convivenza. A partire da un concetto...<br />

La bellezza,<br />

costruttrice di pace<br />

Occhi di cielo<br />

Poesia a te, occhi di cielo<br />

i miei occhi vedono il sole<br />

quando incontro<br />

il tuo sorriso,<br />

i tuoi baci sono caldi e dolci<br />

come l’estate,<br />

sei il brivido<br />

sulla mia pelle<br />

sei nel mio cuore,<br />

come il respiro<br />

che vive in me<br />

sei il mio amore<br />

e tremo come<br />

un’anima gemella..<br />

Roberto Capuano<br />

di Mirco Mazzoli<br />

Pace al centro di Genova. Da sei anni Palazzo Ducale ospita “Mondo<br />

in Pace. Fiera dell’Educazione alla Pace”. L’ultima edizione si è conclusa lo scorso<br />

9 <strong>ottobre</strong>. Come sempre, é stata una occasione di incontro e confronto fra tutte<br />

le realtà che nel territorio sono impegnate nell’educazione alla pace, con spazi<br />

espositivi, mostre, seminari, convegni, laboratori, spettacoli, incontri con testimoni<br />

significativi, di rilievo internazionale. Dietro c’è la storia di un ideale, promosso<br />

dalla <strong>Caritas</strong> diocesana, ma anche la storia di una persona.<br />

Nel 1996, Fabrizio Lertora è un quasi-ingegnere fresco di servizio civile: «Durante<br />

l’anno di impegno come obiettore di coscienza – rievoca – mi accosto al tema<br />

dell’educazione alla pace e mi colpisce, in particolare, comprendere che la pa-<br />

ce non è rimuovere il conflitto, ma affrontarlo<br />

in modo costruttivo e creativo.<br />

Per vivere in pace bisogna che l’uomo<br />

scovi e porti a reazione il meglio di sé.<br />

Una strada di crescita e libertà».<br />

Laborpace, gestione dei conflitti<br />

Fabrizio allora cambia strada, lascia<br />

ingegneria e si introduce allo studio<br />

della pedagogia applicata alla costruzione<br />

di percorsi di pace. Al momento<br />

del “congedo” dal suo anno di servizio,<br />

propone a <strong>Caritas</strong> la costituzione<br />

di un’équipe di ricerca e intervento<br />

educativo in questo ambito. Nasce così<br />

il primo nucleo di “LaborPace”, che<br />

oggi rappresenta una delle esperienze<br />

più avanzate a Genova nella elaborazione<br />

di esperienze educative per la<br />

gestione non violenta dei conflitti. I<br />

primi collaboratori sono obiettori di<br />

coscienza e ragazze impegnate nel cosiddetto<br />

Anno di volontariato sociale:<br />

età media al ribasso ed entusiasmo a<br />

mille, è gente che sta condividendo<br />

un anno di servizio alla povertà, vita<br />

di comunità, impegno per sensibiliz-


Mondo in Pace<br />

Nelle foto di queste pagine,<br />

due momenti, di dibattito<br />

e festa, che hanno caratterizzato<br />

la sesta edizione<br />

della Fiera dell’educazione alla pace<br />

zare piccoli spicchi di società a un altro<br />

mondo possibile.<br />

Di anno in anno “LaborPace” si<br />

specializza e raggiunge scuole, gruppi,<br />

associazioni, bambini, ragazzi, giovani,<br />

allievi di ogni ordine e grado, genitori,<br />

educatori, animatori, insegnanti.<br />

Usa un metodo che coinvolge attivamente<br />

chi partecipa, riesce a diversificare,<br />

passando dal laboratorio al seminario<br />

all’aggiornamento specializzato.<br />

Alcuni dei ragazzi della prima ora, dopo<br />

14 anni, continuano a portare il loro<br />

contributo, con maggiore esperienza<br />

e scelte professionali adatte, nel<br />

campo dell’insegnamento. Altri si sono<br />

affiancati strada facendo, formatori<br />

ed educatori professionali.<br />

Fabrizio nel frattempo è diventato<br />

anche formatore presso il “Centro psicopedagogico<br />

per la pace e la gestione<br />

dei conflitti” di Piacenza, diretto da<br />

Daniele Novara. Ha speso molte energie<br />

per dare sviluppo all’intuizione iniziale<br />

e la fiera “Mondo in Pace” ha rappresentato<br />

un’importante conferma<br />

per il progetto suo e della <strong>Caritas</strong>, innovativo<br />

sotto molti punti di vista.<br />

Tra Dostoyevsky e Impastato<br />

“Quale bellezza cambierà il mondo?”.<br />

È stata la domanda guida dell’edizione<br />

<strong>2010</strong> della fiera. «Un tema che ci appassiona<br />

e che sentiamo molto concreto<br />

– spiega Fabrizio –: il rapporto tra<br />

bellezza, etica, cambiamento e pace.<br />

Vengono subito in mente due persone<br />

e due frasi entro cui muovere la riflessione:<br />

da una parte Dostoyevsky con la<br />

sua celebre “La bellezza salverà il mondo”,<br />

dall’altra l’appello educativo di<br />

Peppino Impastato, che fu vittima della<br />

mafia: “Se si insegnasse la bellezza<br />

alla gente, la si fornirebbe di un’arma<br />

contro la rassegnazione, la paura e l’omertà”.<br />

Il nostro intento è stato indagare<br />

la “bellezza” come chiave interpretativa<br />

e ambito di ricerca per un<br />

progetto educativo capace di mettere<br />

al centro la persona, la relazione, la<br />

possibilità di convivenza. C’è una “bella<br />

educazione” da scoprire e riscoprire,<br />

per poter educare alla pace».<br />

<strong>scarp</strong>genova<br />

Durante i quattro giorni di fiera,<br />

grazie anche alla collaborazione dell’associazione<br />

“Buddismo per la pace”,<br />

alcuni monaci tibetani hanno composto<br />

un “Mandala della pace”, che è stato<br />

disperso nella acque del Porto Antico,<br />

a conclusione della manifestazione.<br />

Simbolo di una bellezza da coltivare<br />

con pazienza, e disseminare per<br />

l’intero pianeta. .<br />

Un evento sempre più ricco<br />

di contenuti, testimoni e proposte<br />

La Fiera dell’Educazione alla Pace ha rappresentato il coefficiente di<br />

penetrazione del dinamismo di certe idee in città. Circa seimila persone<br />

in sei edizioni, il sostegno della provincia di Genova, l’appoggio sempre<br />

più operativo della Fondazione per la cultura “Palazzo Ducale”, l’interesse<br />

crescente della stampa. Il programma si è arricchito via via di proposte<br />

diverse per molti destinatari, è cresciuta la rete di istituzioni, associazioni<br />

partner e realtà coinvolte nella progettazione e nella realizzazione degli eventi,<br />

è aumentato il numero di espositori, si è esteso il territorio coinvolto:<br />

oltre al comune di Genova, nelle diverse edizioni si sono aggiunti i comuni<br />

di Campomorone, Recco, Arenzano, Sestri Levante, Cogoleto e, nel <strong>2010</strong>,<br />

Lavagna, Busalla e Serra Riccò, con iniziative in programma fino al<br />

26 novembre. “Mondo in Pace” ha portato a Genova oltre 70 ospiti,<br />

tra cui figure di primo piano nel panorama internazionale come Pat Patfoort,<br />

Jean Marie Muller, Giovanni Salio, Massimo Toschi, Johan Galtung. Nel corso<br />

dell’edizione appena conclusa, “Mondo in Pace” è stata anche sede del<br />

Convegno internazionale di conclusione del Decennio Onu (2001-<strong>2010</strong>)<br />

per una cultura di nonviolenza e di pace per i bambini del mondo.<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .41


42.<br />

vicenza<br />

È un’idea della cooperativa Insieme: il locale propone stili<br />

di vita alternativi. E il consumo “consapevole” di alcolici<br />

Serata al Barco,<br />

si beve con la testa<br />

Serve tempo<br />

Il tempo è creato,<br />

Per essere apprezzato,<br />

Ogni giorno passato,<br />

Mai sarà ritornato.<br />

La vita di un uomo<br />

É separata in tre,<br />

Il passato e il presente<br />

Sono sempre insieme,<br />

Un giorno che si vive<br />

Rimane indietro.<br />

Soltanto il futuro<br />

É giorno di domani<br />

E stai pensando sempre<br />

A tanti anni avanti.<br />

Io personalmente,<br />

Secondo me ci penso<br />

Quanto son contento<br />

Ogni giorno che vivo.<br />

Forse sarà paura!<br />

Io non lo so che sia,<br />

Che domani mattina<br />

Non sarò sveglio.<br />

Che cosa devo fare?<br />

Quello che posso oggi<br />

Per essere tranquillo?<br />

Per domani<br />

niente da fare.<br />

Sergio<br />

<strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

di Cristina Salviati<br />

La cooperativa “Insieme” di Vicenza, che da oltre trent'anni si occupa<br />

di riuso e riciclaggio, ha inaugurato in estate un locale molto particolare. Si chiama<br />

“Al Barco” ed è un bar dall’ambientazione molto East coast statunitense, anche<br />

se vi si coniugano i buoni sapori all’italiana con un’attenzione all’uso di alcolici tra<br />

i giovani. L’arredamento proviene tutto dal riciclo: dal bancone realizzato con vecchie<br />

porte e sportelli, alle mensole (due comodini a zampe all’aria), ai tavoli e alle<br />

sedie, tutti diversi e ritoccati con allegria. E poi ancora piatti, tazzine e bicchieri: tutto<br />

viene dall’adiacente negozio di oggetti usati. Naturalmente anche al Barco si<br />

può acquistare tutto, dal bicchiere dove si è gustata la bibita o il vino, alla tazza per<br />

il tè, alla sedia dove ci si è seduti. E poi ancora, alle pareti, opere di arte riciclata, mo-<br />

bili di eco-design, libri vecchi e antichi.<br />

Entrando al Barco si può incontrare<br />

una signora americana che d’improvviso<br />

si sente a casa ed esclama di riconoscere<br />

lo stile di San Francisco; poi si<br />

siede, apre il diario, e comincia a scrivere,<br />

mentre il marito “pestola” perché<br />

hanno tanti impegni...<br />

Bisogna bere “con la testa”<br />

L’impresa è partita da un gruppetto di<br />

soci giovani della coopertiva, gli stessi<br />

che da anni tengono incontri e laboratori<br />

nelle scuole e spesso si incrociano<br />

con i progetti “Meno alcol più gusto”<br />

della Ulss e del comune. «Prima di aprire<br />

il bar – spiega la coordinatrice, Marina<br />

Fornasier – abbiamo incontrato gli<br />

operatori del Sert per confrontarci sul<br />

servizio di educazione al gusto e al consumo<br />

che intendiamo promuovere. Ci<br />

è stato subito detto che non dovevamo<br />

rinunciare all’alcol, correndo il rischio<br />

di non vedere più nemmeno l’ombra di<br />

un ragazzo. Invece abbiamo messo in<br />

atto strategie che stimolino la riflessione.<br />

Ecco perché i comodini-mensola<br />

hanno le “zampe” all’aria: lì dentro<br />

stanno i superalcolici, ed è così che ti ritrovi<br />

se ne fai un uso sbagliato...».<br />

Ed ecco perché, anche, si è scelto di<br />

servire vini di buona qualità a un prezzo<br />

superiore: «Abbiamo riflettuto sul<br />

fatto – continua Marina – che lo spritz o<br />

il bicchiere di vino, rispetto alla bibita<br />

analcolica, costano molto meno, un incentivo<br />

sicuro al consumo di alcolici.<br />

Distribuzioni all’ingrosso consentendo,<br />

cerchiamo allora di tenere bassi i prez-


zi di succhi e bibite».<br />

Il Barco si propone quindi alla città<br />

come luogo di incontro, adatto alle<br />

chiacchiere tra amici, ma anche ai discorsi<br />

più impegnativi e, grazie allo<br />

spazio creato appositamente proprio di<br />

fianco all’entrata del locale, anche a<br />

ospitare convegni, dibattiti e spettacoli.<br />

E in settembre è partita un’intensa<br />

programmazione: mostre d'arte, serate<br />

dedicate al consumo sostenibile, sfilate<br />

di abiti usati, spettacoli comici. E<br />

persino il mercatino delle borse realizzate<br />

riutilizzando camere d'aria... .<br />

Al Barco, via Dalla Scolla 255, Vicenza -<br />

tel. 0444.51.15.62<br />

http://albarco.wordpress.com<br />

Si beve e si pensa<br />

Giovani avventori nella sala del Barco<br />

La storia<br />

Una bottiglia per Gesù<br />

<strong>scarp</strong>vicenza<br />

Ti ci imbatti per strada, sempre con quell’altro, Almirante<br />

(lo chiamo così perché somiglia tanto allo scomparso onorevole del<br />

Movimento Sociale), l’amico del cuore e di inaudite sbornie. Invece lui<br />

lo chiamo Gesù, perché i suoi lunghi capelli neri e arruffati naufragano<br />

copiosi sul suo petto con l’impeto di onde smottate, e ha la barba<br />

sporca di polvere. Quando lo incontro mi faccio il segno della croce,<br />

alla maniera ortodossa – i miei nonni erano di Skopje e mi ha battezzato<br />

un prete povero – e lui giù a ridere: «Attento – gli strillo allora –, c’è<br />

un certo Ponzio Pilato che chiede in giro di te». L’ultima volta che<br />

l’ho visto gli ho fatto una promessa: quando torno da Sofia gli porto<br />

in regalo una bottiglia di Rakia, di quella che la gente fa in casa, la più<br />

buona. Non la finiva più di farmi le feste: «Gesù, ricordati di me quando<br />

sarai nel tuo Regno», gli dico sempre scherzando. «Puoi starne certo –<br />

risponde –, ma porta la bottiglia che hai promesso». Peter Murnau<br />

Vita vissuta<br />

Babele e cena al Mezzanino<br />

Ero stanca di camminare, non avevo niente da mangiare<br />

a casa e zero soldi in tasca. Così, qualche sera fa, dopo quattro anni,<br />

sono tornata al Mezzanino (la mensa per i poveri della san Vincenzo<br />

di Vicenza, ndr). Non ricordo bene la via, vago persa senza chiedere<br />

informazioni a nessuno. Mi vergogno? Forse. Sono quasi le sei di sera,<br />

l’ora del primo turno, del pasto caldo al Mezzanino. Allungo la falcata:<br />

ecco via San Faustino, ecco la mia felicità, ed ecco i miei ricordi di<br />

quand’ero una senza dimora. Brutti e belli insieme. Arrivo. Sorridendo<br />

mi danno un tesserino nero e mi dicono di accomodarmi. La serata è<br />

fresca e con grande stupore vedo persone in cerchio di diverse razze.<br />

Sorrido a tutti, come in un bazar. Poi il buon minestrone caldo e la babele<br />

di lingue in una tavola condivisa, come il pane. Torno a casa sazia e penso<br />

a chi ha più bisogno di me. Grazie, Mezzanino. Chiara Lambrocco<br />

Sportello Donna antiviolenza<br />

Richieste di aiuto in crescita<br />

Sono 280 le richieste pervenute allo Sportello Donna, rilevate<br />

da luglio 2007 a giugno <strong>2010</strong>, con un aumento negli ultimi tempi che ha<br />

destato preoccupazione in comune, a Vicenza. I servizi sociali, insieme<br />

alla Ulss 6, hanno pertanto deciso di potenziare l’organico dello<br />

sportello, incrementandone gli operatori, e a settembre è partito un<br />

corso di formazione rivolto a psicologi e assistenti sociali volontari.<br />

Le cinquanta adesioni dicono il grande interesse e la sensibilità per<br />

il soccorso alle donne maltrattate. Per contattare lo Sportello Donna<br />

è necessario chiedere un appuntamento telefonando al settore servizi<br />

sociali e abitativi del comune di Vicenza, in contrà Mure San Rocco 34<br />

(tel. 0444.22.25.50) dal lunedì al venerdì dalle 8.30 alle 13 e il martedì<br />

e il giovedì dalle 14.30 alle 17. I colloqui si svolgono il lunedì dalle 8.30<br />

alle 10.30 e il mercoledì dalle 11 alle 13. Al di fuori degli orari, è attiva<br />

una segreteria telefonica. Le richieste di aiuto che vengono inoltrate<br />

allo sportello sono per la maggior parte relative a casi di maltrattamento<br />

(79%). L’età media delle donne che si rivolgono allo sportello è<br />

di 41 anni; in particolare, il 42% delle richieste proviene da chi ha<br />

tra i 36 e i 50 anni. Il 70% è coniugata o convive, per il 95% si tratta<br />

di donne con figli. Le italiane sono il 53%, le straniere il 47%.<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .43


44. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

rimini<br />

Certi luoghi comuni fanno breccia. Ma gli stranieri che<br />

fruiscono di alloggi pubblici, in provincia, sono meno del 5%<br />

Non ci rubano<br />

le case popolari...<br />

di Stefano Rossini<br />

I luoghi comuni sono abitudini pericolose, ma anche buoni indicatori<br />

per capire il modo in cui evolve la nostra società. Il nome viene dalla disciplina retorica,<br />

che definiva luoghi, loci o topoi, le argomentazioni da usare nei discorsi. In<br />

particolare, i luoghi comuni sono punti di vista generalmente accettabili, che rispondono<br />

a opinioni diffuse. Spesso, però, più che da una verità o da un dato di<br />

fatto, nascono dalla percezione che si ha del reale. “Gli immigrati ci rubano il lavoro”,<br />

“Gli immigrati ci portano via le case”: sono due esempi di questa tendenza.<br />

Chi mette in circolazione o riutilizza queste frasi non ha sottomano numeri, cifre<br />

o resoconti, ma sente che la presenza di migranti nella società è troppo alta, e automaticamente<br />

reputa vere le affermazioni. Che i migranti non portino via il lavo-<br />

ro, ma anzi vadano proprio a occupare<br />

quelle posizioni umili di cui nessuno<br />

oggi si vuole fare carico, è ormai informazione<br />

abbastanza diffusa. Qual è invece<br />

la situazione nel settore dell’edilizia<br />

popolare? È proprio vero che gli immigrati<br />

scavalcano i cittadini nel ricevere<br />

gli alloggi?<br />

Gli stranieri? Sono il 5 per cento<br />

Secondo i dati dell’Acer, l’Azienda case<br />

Emilia Romagna, la presenza dei migranti<br />

nell’edilizia residenziale pubblica<br />

(Erp) è andata aumentando negli anni,<br />

ma sempre rimanendo marginale rispetto<br />

alla quota “italiana”. Per fare un<br />

esempio, nel 2005, su 66 nuove assegnazioni<br />

nel riminese, 60 erano per italiani<br />

e solo 6 per stranieri. Nel 2006 sono<br />

diventate 9 contro 106, poi 23 contro<br />

141 nel 2007 e infine 14 su 79 nel 2008.<br />

In media, la presenza di stranieri nell’edilizia<br />

pubblica è poco più del 5%, dato<br />

inferiore alla presenza di migranti nel<br />

territorio: la quota di migranti rispetto<br />

alla popolazione totale della provincia<br />

di Rimini, infatti, si attesta all’8,4%.<br />

«Questo significa – afferma Franco<br />

Carboni, direttore dell’Acer Rimini –<br />

che molti immigrati, pur in condizioni<br />

di difficoltà, cercano sistemazione per<br />

conto loro. Il problema non si pone: la<br />

quota di migranti che entra nell’asse-<br />

gnazione di affitti popolari non influisce<br />

sulla presenza dei cittadini italiani».<br />

E a queste considerazioni va aggiunta<br />

quella relativa alla marea di irregolari,<br />

che non possono neanche accedere<br />

alle graduatorie e che spesso<br />

vivono in condizioni estremamente<br />

difficoltose.<br />

Punteggi alti ma poche presenze<br />

Diverso è il discorso per quanto riguarda<br />

le assegnazioni. «Le liste per accedere<br />

all’edilizia pubblica sono dinamiche<br />

– continua Carboni – e vengono aggiornate<br />

ogni sei mesi. Questo significa<br />

che se una persona si trova al terzo posto<br />

ma, prima dell’assegnazione, entra<br />

in lista una famiglia in grande difficoltà<br />

col punteggio molto alto, chi si trova al<br />

terzo posto può anche essere scavalcato<br />

e rimanere in graduatoria a lungo».<br />

É difficile fare stime. In effetti può<br />

capitare che un migrante abbia una situazione<br />

di partenza più difficoltosa e<br />

questo gli garantisca un punteggio più<br />

alto. Ciò non toglie, però, che il numero<br />

di migranti è oggi pari al 5%: nelle case<br />

popolari ci sta una famiglia straniera<br />

ogni venti italiane. «Inoltre – continua<br />

Carboni – le assegnazioni devono rispondere<br />

anche ai requisiti richiesti.<br />

Una famiglia di 5 persone, anche se pri-<br />

ma della lista, deve attendere che sia disponibile<br />

una casa della metratura adeguata.<br />

Nel caso se ne liberi una più piccola,<br />

questa viene assegnata al secondo<br />

in lista, o il terzo, e così via».<br />

Alloggi per emergenza abitativa<br />

La provincia di Rimini dispone anche di<br />

un altro servizio per chi si trova in difficoltà:<br />

l’Emergenza abitativa. Questo<br />

servizio – nato proprio a Rimini – consiste<br />

nel trovare appartamenti privati con


un anno di canone concordato. «In pratica<br />

– spiega il direttore dell’Acer – il comune<br />

fa da garante e da intermediario<br />

tra il locatario e l’affittuario. Ci sono delle<br />

liste nelle quali i proprietari possono<br />

iscriversi e poi il comune sceglie a seconda<br />

della necessità. Per le famiglie in<br />

difficoltà, il comune attua una sorta di<br />

“avviamento”, pagando la prima parte<br />

dell’affitto. Poi, in seguito, esaurirà la<br />

sua parte e l’affittuario continuerà per<br />

conto proprio». I prezzi sono un po’ più<br />

bassi di quelli del mercato, ma di poco.<br />

Siamo attorno ai 400 euro per un bilocale<br />

e un po’ di più per un trilocale.<br />

Si può supporre che in una situazione<br />

di emergenza sia più alto il numero<br />

di migranti che, appena arrivati in Italia,<br />

si trovano in grosse difficoltà. E in effetti<br />

questo è vero, ma il numero dei migranti<br />

è comunque sempre inferiore a<br />

quello delle famiglie di italiani che accedono<br />

a tale opportunità. Oggi sono<br />

222 le famiglie che usufruiscono del servizio<br />

di Emergenza abitativa. Di queste,<br />

124 sono italiane (il 55,86%) e 98 sono<br />

straniere. Numeri alla mano, dunque, il<br />

problema non si pone. .<br />

<strong>scarp</strong>rimini<br />

La campagna<br />

Conoscere la povertà e batterla<br />

“Zero poverty” entra a scuola<br />

Conoscere la povertà e l'esclusione<br />

sociale per combatterle e, soprattutto, per<br />

“cambiare punto di vista e considerare<br />

i poveri non oggetti, ma soggetti attivi<br />

delle politiche e degli interventi di<br />

solidarietà”. Sono questi gli obiettivi<br />

delle iniziative che la <strong>Caritas</strong> diocesana<br />

di Rimini promuove nell'ambito<br />

dell’Anno europeo di lotta alla povertà.<br />

«Il nostro compito – spiega il direttore,<br />

don Renzo Gradara – non è solo sfamare chi<br />

ne ha bisogno, ma educare alla carità. Ecco<br />

perché coinvolgere le parrocchie in questi progetti diventa<br />

fondamentale». «Da tempo diverse <strong>Caritas</strong> parrocchiali e interparrocchiali<br />

della provincia – aggiunge il responsabile dei progetti “Zero poverty”<br />

(campagna europea di lotta alla poverta, promossa da <strong>Caritas</strong>) della<br />

<strong>Caritas</strong> riminese, Cesare Giorgetti – sono state invitate a collaborare<br />

all’Osservatorio promosso dalla <strong>Caritas</strong> diocesana e a realizzare azioni<br />

finalizzate a conoscere e combattere, in sinergia con gli enti pubblici,<br />

le situazioni di povertà presenti nel territorio».<br />

Situazioni che anche nel Riminese sono in progressivo aumento: nei primi<br />

sei mesi del <strong>2010</strong>, infatti, si sono rivolte alla <strong>Caritas</strong> di Rimini ben 1.569<br />

persone, il 3% in più rispetto allo stesso periodo del 2009.<br />

«É la presenza degli italiani, in particolare, ad aumentare – sottolinea<br />

don Gradara –. Si tratta, perlopiù, di uomini separati e divorziati, rimasti<br />

senza casa e lavoro; di famiglie con minori, che chiedono pacchi<br />

di viveri e contributi per spese quotidiane; infine di pensionati».<br />

Tra le azioni “Zero poverty” messe in campo dalla <strong>Caritas</strong> diocesana<br />

di Rimini, c’è anche il concorso “La scuola azzera la povertà”, rivolto<br />

agli studenti delle scuole primarie e secondarie della provincia.<br />

«Una sfida educativa importante – spiega ancora Giorgetti, membro<br />

della commissione che valuterà i lavori dei ragazzi –. Occorre far capire<br />

alle nuove generazioni che l’esclusione sociale non è un destino<br />

ineluttabile, bensì un effetto di certi meccanismi sociali, economici<br />

e politici che ogni uomo ha il dovere di modificare, e lo sviluppo<br />

e la ricchezza non sono valori misurabili con parametri semplicemente<br />

monetari. Solo in questo modo saremo in grado di cambiare per davvero<br />

alcuni meccanismi perversi».<br />

Attraverso i ragazzi è possibile, dunque, immettere nelle relazioni sociali<br />

una nuova cultura della solidarietà. Per le scuole elementari il concorso<br />

avrà come oggetto la conoscenza della povertà: «Aiuteremo gli alunni<br />

a crescere nella consapevolezza che la povertà non è qualcosa<br />

di lontano, che riguarda persone che, magari, si vedono solo in tv,<br />

ma una realtà sempre più vicina a loro, che interpella il nostro modo<br />

di vivere», conclude l’operatore <strong>Caritas</strong>. Il concorso si chiuderà<br />

il 22 dicembre e prevede come premio mille euro in materiali didattici.<br />

Gli studenti delle scuole medie e superiori invece sono chiamati<br />

a elaborare un’iniziativa di lotta alla povertà: i vincitori (uno per le medie,<br />

uno per le superiori) saranno premiati con una somma di 2.250 euro,<br />

da finalizzare al finanziamento di un progetto di solidarietà concordato<br />

tra comune, provincia e <strong>Caritas</strong>. Alessandra Leardini<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .45


46. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

firenze<br />

Casa Elios: da 7 anni il centro diurno per persone sieropositive<br />

emarginate è gestito da <strong>Caritas</strong> Firenze. Una testimonianza<br />

Si barcolla<br />

e ci si rialza<br />

di una ospite di Casa Elios<br />

Casa Elios è un centro diurno <strong>Caritas</strong> di Firenze. Si trova un po’ in collina,<br />

in una villa modernamente ristrutturata, circondata da un parco alle cui estremità<br />

si estendono frutteto, vigneto e orto e diversi laboratori, che ospitano attività<br />

di ceramica, sartoria, computeristica, arte, spettacolo e scrittura.<br />

Metaforicamente è un centro ipernoioso, nel senso lato della parola, ma riesce<br />

a dare a noi ospiti grandi opportunità a livello psicologico, morale e anche materiale,<br />

mantenendo le nostre giornate vive. La casa ci invita alla condivisione dei nostri<br />

problemi, che effettivamente non sono di piccola entità, ci incoraggia tutti insieme<br />

a tenerci per mano, data l’indifferenza che noi suscitiamo all’esterno, al mondo materialista<br />

che ci ha fatto soffrire dei nostri problemi derivati da vite incontrollate e<br />

trasgressive. A volte la convivenza può<br />

essere un po’ stressante, ma riesce, comunque,<br />

a farci superare momenti in<br />

cui la nostra capacità d’autocontrollo<br />

viene a mancare, scatenando bisticci e<br />

scatti d’ira per futili motivi. Un nervosismo<br />

diffuso, che nasce dai nostri stati<br />

d’animo, molto provati e agguerriti a<br />

causa della consapevolezza di non aver<br />

potuto ancora costruirci nulla.<br />

Un luogo finalmente normale<br />

Però, grazie all’aiuto di operatori disponibili<br />

e competenti, riusciamo pian<br />

piano a sentirci capaci di arrivare alla<br />

meta, che per noi significa normalità di<br />

vita. Il fatto di avere a disposizione<br />

docce, abiti puliti, ottimi pasti abbondanti,<br />

cucinati con volontà da noi ospiti<br />

(soprattutto uno, che si sbatte come<br />

un ossesso per accontentarci tutti), riesce<br />

a farci dimenticare il disagio in cui<br />

viviamo. Non per compiacere, ma per<br />

essere veramente realista: Casa Elios è<br />

un’opportunità mica da ridere.<br />

Ma chi siamo noi? Persone che suscitano<br />

sensibilità, fiducia e credibilità<br />

davvero a pochi. Siamo italiani e stranieri<br />

e, tutti, veniamo accolti indistintamente<br />

con una solidarietà che prescinde<br />

dal lavoro stesso degli operatori.<br />

Anche noi, con quel poco che possiamo,<br />

cerchiamo di renderci disponi-<br />

bili nelle attività: chi pulisce, chi aiuta<br />

chi ha bisogno, chi fa teatro, chi scrive,<br />

e chi invece è responsabile dei settori<br />

lavorativi.<br />

C’è anche Nikita, una lupaccia dolce<br />

come il miele, che lascia peli dappertutto,<br />

ma che siamo pronti a difen-<br />

dere a tutti i costi da chi la tratterebbe<br />

male (si fa per dire, perché qui non esiste<br />

violenza né verbale né materiale);<br />

corriamo ad esempio al canile a riprenderla,<br />

se fugge dal giardino e “l’arrestano”.<br />

Una vita vissuta sul limite<br />

Non faccio il mio nome, perché non mi<br />

piace, ma dico, per non nascondere<br />

nulla, che per lunghissimi periodi sono<br />

stata tossicodipendente (poi anche<br />

alcolista), infettandomi anche con lo<br />

stramaledetto virus Hiv nel lontano<br />

1984 e diventando cittadina del Nord<br />

Europa, fino ad approdare a diverse<br />

comunità terapeutiche, da San Patrignano<br />

al Ceis, senza però mai conclu-


Curarsi, ripensarsi<br />

Due interni del centro Casa Elios<br />

dere un programma. Questo centro,<br />

però, non è come gli altri. Non ti strappa<br />

il cervello, non si fanno genogrammi<br />

Nip o psicodrammi e autoipnosi<br />

forzati: se ti va di raccontare te stesso<br />

bene, altrimenti è lo stesso, anche se il<br />

supporto psicologico non manca e soprattutto<br />

non ti fa sentire in colpa per il<br />

tuo vissuto. Hai sbagliato, punto. Ricominci<br />

con l’aiuto di farti tirare fuori il<br />

meglio di te, il buono di te, più o meno<br />

latente, perché puoi di nuovo barcollare.<br />

Io l’ho fatto. Ancora e ancora. Altri<br />

barcollano e barcolleranno, ognuno a<br />

modo suo, ma qui ti sorreggono per<br />

non farti cadere di nuovo e non ti mettono<br />

alla porta definitivamente, come<br />

fanno certe altre comunità. Ti danno<br />

una mano, ma tu la devi prendere,<br />

quella mano, se non vuoi cascare.<br />

Sempre pronti ad aiutare<br />

Da più di un anno frequento questo<br />

centro: quante ne ho combinate e<br />

quanto ho barcollato! Ma sono ancora<br />

in piedi, ancora qui insieme agli altri.<br />

Qualcuno si è perso per la via, o per<br />

proprio volere o per volere di Dio. Ma<br />

siamo sempre di più e ogni ospite che<br />

arriva è un amico che cerchiamo di<br />

aiutare, e da cui cerchiamo di farci aiutare.<br />

Sono certa che questo centro è<br />

straordinariamente utile a tutti quelli<br />

che come noi sono in balìa dei venti.<br />

Quindi che dire di più? Solo che Casa<br />

Elios continua a esistere per me, per<br />

gli altri e per quelli che verranno. .<br />

La struttura<br />

Il cinema e il giardinaggio:<br />

un centro per riprogettarsi<br />

L’esperienza di Casa Elios comincia nel 2003, come centro<br />

diurno integrato per persone sieropositive emarginate o a rischio<br />

di emarginazione. Qui vengono svolte attività ricreazionali e socializzanti<br />

(cineforum, laboratorio teatrale, attività culturali) e attività preprofessionali<br />

(giardinaggio, coltivazione di frutta autoctona della Toscana,<br />

ceramica) con persone ospiti a Casa Vittoria e con utenti esterni.<br />

La struttura è caratterizzata da un impegno riabilitativo specialistico,<br />

che stimola la cura di sè (aderenza alle terapie), cura il reinserimento<br />

sociale e lavorativo, sostiene il recupero dell’affettività e accompagna<br />

l’ospite verso il raggiungimento dell’autonomia. I progetti individuali<br />

vengono elaborati tenendo conto delle reali risorse e competenze<br />

professionali di ciascun ospite, delle sue aspettative e del contesto<br />

sociale. Le attività servono a stimolare e a valorizzare le potenzialità di<br />

ciascuno, oltre a far trascorrere il tempo in modo sereno e piacevole.<br />

Casa Elios<br />

Viale Pieraccini 20, 50141 Firenze<br />

Tel. 055.43.68.851 - fax 055.42.49.352<br />

Il mio big bang<br />

<strong>scarp</strong>firenze<br />

Adesso è il buio dentro di me! Circonda tutta me stessa!<br />

Un lampo illumina la mia realtà…<br />

Colgo anomale immagini di diavoli arrabbiati e angeli con gli artigli.<br />

Mi sento assalita da loro, che mi trascinano attraverso porte enormi,<br />

in androni senza fine dove scorgo serpenti attorcigliati<br />

che cercano di attaccarmi con le loro lingue biforcute.<br />

È pazzia la mia? Pazzia degli orrori!<br />

Una paura indefinibile fa sprofondare il mio subconscio<br />

nel vuoto dell’analisi della mia vita,<br />

sprecata per una folle corsa verso l’impossibile.<br />

Un altro lampo accende di nuovo il buio della mia mente<br />

che si ribella, urla e si destreggia con l’abilità<br />

di una vita vissuta davvero.<br />

I diavoli arrabbiati e gli angeli senza volto lottano contro di me<br />

per farmi conquistare dai serpenti biforcuti.<br />

È una lotta estrema, senza tregua, dove io protagonista indiscussa<br />

combatto impugnando una grossa spada di nome Razionalità.<br />

La sento pesante, ma diventa leggera e invincibile fra le mie mani.<br />

Per un attimo vacillo, ma i miei occhi di ghiaccio<br />

paralizzano gli esseri infami che vedo fluttuare lentamente<br />

nel maledetto buio dal quale io cerco sempre più di allontanarmi.<br />

Forse li ho sconfitti, ma li sento ancora in agguato nel buio<br />

in attesa che io perda quella piccola luce<br />

in cui è posto il mio autocontrollo, che mi da vita, forza ed energia.<br />

Ora respiro… respiro a fatica!<br />

La battaglia è stata all’ultimo sangue<br />

e ha lasciato le mie membra stanche!<br />

La paura è tanta, ma la luce la vedo, la voglio vedere!<br />

Riuscirò a tenerli lontani? E te con loro!<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .47


48. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

napoli<br />

Da 18 anni i volontari di “Figli in Famiglia” lottano per cambiare<br />

un quartiere difficile. Salvatore ce l’ha fatta: oggi è un attore<br />

Un’Oasi di speranza<br />

per San Giovanni<br />

di Laura Guerra<br />

San Giovanni a Teduccio, ex zona industriale di Napoli. Un quartiere<br />

che morde la crisi, stretto com’è fra le difficoltà sociali della periferia e le prepotenze<br />

dei clan della camorra. Qui, giorno dopo giorno, da oltre 18 anni lavorano operatori<br />

e volontari dell’associazione “Figli in Famiglia”, che offrono a bambini e ragazzi<br />

in difficoltà prima accoglienza e ascolto. È un luogo dove poter stare, fare i<br />

compiti, giocare, frequentare laboratori in cui si impara a realizzare ceramiche, presepi<br />

artistici, cornici di pregio. Si interviene sui più piccoli ma poi, inevitabilmente,<br />

si incontrano e si supportano le famiglie, che raccontano storie di droga, carcere,<br />

violenza, nel migliore dei casi di incapacità di offrirsi come modello positivo ai<br />

figli. Fondatori, e anime di “Figli in famiglia”, sono Carmela Manco e don Gaetano<br />

Romano: circondati da tanti ex ragazzi<br />

diventati adulti al loro fianco, oggi alimentano<br />

le attività di una “famiglia”,<br />

che accompagna altre famiglie. I problemi<br />

Agorà, una piazza aperta a tutti<br />

Da quest’estate per incontrarsi, divertirsi<br />

e giocare c’è un nuovo spazio, l’Agorà<br />

nell’Oasi, piccolo parco multifunzionale,<br />

progettato e recuperato dall’associazione<br />

“Figli in Famiglia”. È stato<br />

inaugurato grazie al sostegno della Fondazione<br />

“Cannavaro-Ferrara”. Comprende<br />

un angolo giochi per i più piccoli,<br />

con scivoli, giostrine girevoli e altri<br />

É una vita infernale<br />

Non se ne può più<br />

Un problema dopo l’altro<br />

Ti va fuori la capa<br />

Macchè imbecille<br />

Non riesci a capire la vita<br />

La vita è<br />

un mare di problemi<br />

Il nuotarci sopra<br />

e non affogare<br />

Questo è il bello<br />

della vita<br />

Ciao Ciao<br />

Ti saluto<br />

e ti consiglio<br />

nuota, nuota<br />

sarai stanco<br />

Ma non avrai<br />

problemi.<br />

Ambrogio<br />

“Figli in famiglia”:<br />

un aiuto concreto<br />

“Figli in Famiglia” è una onlus<br />

nata nei primi anni Ottanta<br />

dall’impegno di alcuni giovani, che<br />

decisero di raccogliere le pressanti<br />

esigenze del quartiere di San<br />

Giovanni a Teduccio. Si trovarono<br />

a dover affrontare le drammatiche<br />

esperienze di degrado ambientale<br />

e sociale, in cui vivevano numerosi<br />

bambini e le loro famiglie.<br />

Il 4 marzo 1993 il gruppo<br />

si è costituito in associazione<br />

e ha continuato il suo cammino,<br />

sempre volgendo la sua attenzione<br />

alle famiglie multiproblematiche<br />

della città, promuovendone lo<br />

sviluppo sia culturale che sociale.<br />

Uno degli scopi dell’organizzazione<br />

è formare e orientare i minori<br />

alla convivenza civile, creando<br />

situazioni in grado di allontanarli<br />

dalla strada. L’organizzazione si<br />

pone come punto di riferimento<br />

nei confronti di genitori e figli,<br />

allo scopo di ristabilire i rapporti<br />

all’interno della famiglia, tra la<br />

famiglia e la scuola, tra la famiglia<br />

e la società e tra i giovani<br />

e il mondo del lavoro onesto<br />

e legale. L’obiettivo è sostenere<br />

l’individuo nella crescita e<br />

nella riscoperta della propria<br />

dignità, aiutiandolo a vedere<br />

modelli di vita alternativi a quelli<br />

che l’ambiente che lo circonda<br />

gli propone e restituendogli<br />

la possibilità di scegliere il proprio<br />

“progetto di vita”.


giochi; ci sono un campo bocce per i più<br />

grandi; quattro gazebo per genitori e un<br />

palcoscenico attrezzato per ospitare serate<br />

musicali e spettacoli teatrali.<br />

Utenti in costante crescita<br />

Si tratta di mille e duecento metri quadrati<br />

racchiusi in un paesaggio post-industriale,<br />

all’interno di uno stabilimento<br />

dismesso, dove verranno svolte numerose<br />

iniziative, dai laboratori artistico-artigianali<br />

ad attività sportive,<br />

dall’utilizzo di aree gioco all’organizzazione<br />

di feste e manifestazioni, dal cineforum<br />

al caffè letterario. La ristrutturazione<br />

dello spazio dell’Agorà permetterà<br />

all’associazione di raddoppiare il<br />

numero di utenti coinvolti nelle sue attività<br />

sociali, passando dai 500 ai mille<br />

giovani.<br />

Salvatore Presutto, 22 anni, giovane<br />

promessa del teatro napoletano, nato<br />

proprio a San Giovanni e “cresciuto”<br />

nell’associazione, ha un’ambizione: diventare<br />

attore professionista. É un desiderio<br />

superiore al destino dell’essere<br />

nato in un ambiente contiguo alla camorra.<br />

La sera dell’inaugurazione dell’Agorà<br />

ha recitato ’A livella di Totò e poi,<br />

con la stessa bravura messa nella sua<br />

prova d’attore, ha voluto fare un appello<br />

che è diventato il manifesto-ricordo<br />

della serata.<br />

Un’Agorà contro il degrado<br />

Un momento dell’inaugurazione<br />

dei nuovi spazi dentro l’Oasi.<br />

A sinistra, in basso, Salvatore Presutto<br />

«Questo spazio. Questo palco. Questo<br />

luogo. Sentiamolo nostro – ha scritto<br />

Salvatore –. Dobbiamo essere la risposta<br />

alla criminalità su tutti i fronti: ci<br />

sono persone a San Giovanni che sono<br />

buonissime e ti possono insegnare tanto,<br />

ma non lo fanno perché il quartiere ti<br />

porta su logiche sbagliate. Io sono orgo-<br />

Un grande sogno in allestimento<br />

già ospita la Scuola d’arte napoletana<br />

L’Oasi è un sogno. Un sogno che, lentamente, si sta realizzando. Si tratta<br />

di un progetto avviato nel 2002, con l’acquisizione di una parte (4 mila metri<br />

quadri) di quella che fu l’area industriale Seva di via Imparato, al fine di<br />

trasformarla in un centro polifunzionale. All’interno dell’Oasi troveranno posto<br />

alcune delle numerose attività realizzate dall’associazione, ma anche nuove<br />

attività, che contribuiranno a cambiare il modo di vivere dei cittadini della<br />

sesta municipalità. Attualmente nella struttura sono già state attivate<br />

quattro sezioni della Scuola d’arte napoletana (San) e la palestra; entro<br />

breve sarà inaugurata la bouvette. È prevista anche la realizzazione di altre<br />

cinque sezioni della San: ceramica, taglio e cucito, oreficeria, musicale e<br />

cucina della tradizione. E ancora: sei sale serviranno per i laboratori dedicati<br />

a ragazzi e bambini, cinque aule per la formazione, uno spazio verrà destinato<br />

a diventare il punto vendita dei prodotti realizzati all’interno dei laboratori<br />

della San, un salone polivalente ospiterà convegni, manifestazioni ed eventi,<br />

uno spazio aperto attrezzato eventi e manifestazioni. A tutto ciò si<br />

aggiungeranno gli uffici amministrativi e di direzione.<br />

<strong>scarp</strong>napoli<br />

glioso di essere di San Giovanni. Un orgoglio<br />

che dovremmo sentire tutti. Basterebbe<br />

poco, basterebbe impegnarsi<br />

singolarmente per ottenere il bene di<br />

tutti. Prendiamo il quartiere, questo<br />

quartiere così bistrattato e considerato<br />

male: se ognuno di noi avesse rispetto<br />

delle cose che ci sono, già si abbasserebbero<br />

i fenomeni di vandalismo. Io<br />

avevo un sogno: quello di fare l’attore,<br />

un sogno partito dalle quinte dell’Agorà.<br />

E che sta diventando realtà»..<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .49


Con il contributo di IED


Uno straniero attorno ai 40. Morto a Spaccanapoli, a fine<br />

agosto. Nell’indifferenza di tutti. Tranne due animali bianchi...<br />

Vicini vicini (a Tyson)<br />

eppure lontanissimi<br />

di Bruno Limone<br />

La morte di un barbone non interessa nessuno.<br />

E non fa notizia. Infatti il povero “Tyson”, trovato ai giardinetti<br />

di Santa Chiara, nel cuore del centro antico, nel suo<br />

sacco a pelo, morto da ben quattro giorni, ha meritato solo<br />

un trafiletto in prima pagina il mattino seguente. Poi più<br />

nulla. Io però da lì attorno ci passo sempre, ci vivo, e vedo<br />

ogni giorno quello che provano i suoi amici. Amici? Giovani senza casa e senza<br />

testa, lì a strimpellare una chitarra scordata per rimediare un cartone di pessimo<br />

vino e un tiro di erba di chissà quale prato. Giovani dementi, che per quattro giorni<br />

(e quattro notti) non si chiedono: «Ma che fa Tyson in quel sacco? Non man-<br />

gia? Non beve? Non…?». No, nessuno<br />

lo ha fatto.<br />

E così, sapete chi l’ha trovato quel<br />

pover’uomo? Una papera. Sì una papera<br />

bianca, Sacha, che – degna erede delle<br />

sue antenate del Campidoglio – ha<br />

iniziato a starnazzare richiamando l’attenzione<br />

del suo amico Pinter, un bel<br />

pastore bianco, che s’è messo ad abbaiare.<br />

E finalmente gli storditi hanno<br />

cominciato a pensare che forse c’era<br />

qualcosa che non andava dalle parti di<br />

quel sacco a pelo. Raccapricciante...<br />

Quei giardinetti sono lunghi una<br />

ventina di passi e larghi non più di un<br />

palmo. Stavano quindi tutti vicini vicini,<br />

ma lontanissimi, come tutti oggi,<br />

barboni e non. Meno male che c’erano<br />

due animali bianchi, l’unica nota chiara<br />

in questa storia nera. Di più, sporca.<br />

Utenti in costante crescita<br />

Morire in solitudine in pieno centro<br />

storico, dunque. È accaduto lo scorso<br />

22 agosto, a un uomo che gli esperti,<br />

chiamati sul posto a esaminare e ad<br />

archiviare prontamente il caso, hanno<br />

definito “extracomunitario dall’apparente<br />

età di 40 anni”, burocratica formula<br />

usata per chiudere la faccenda.<br />

Vagabondo di passaggio fra le strade<br />

di Spaccanapoli, era stato soprannominato<br />

“Tyson” per la sua figura im-<br />

I migliori amici dell’uomo<br />

A sinistra gli eroi di questa storia:<br />

la papera Sacha e il cane Pinter.<br />

ponente, anche se non era una<br />

presenza abituale nel gruppo dei<br />

clochard che stazionano da quelle<br />

parti. Nessuno sapeva il suo nome,<br />

senza nome è morto. Nella calura<br />

e nell’indifferenza agostana..<br />

<strong>scarp</strong>napoli<br />

Il ricordo<br />

Totò, principe amico del popolo<br />

Mi piace ricordare Totò: pur essendo un principe,<br />

quando si è avventurato a fare i film, neanche lui sapeva di avere<br />

tanta comicità. Penso che abbia studiato tante persone del popolo<br />

e da queste ha tratto aneddoti che, poi, messi insieme al suo<br />

personaggio, sono divenute delle gag uniche. Lui era una persona<br />

umile e tante distanze da principe non le ha mai avute. Era molto<br />

intelligente, e come molti uomini del mondo dello spettacolo era<br />

molto impegnato. Anche la figlia lo ricorda sempre come attore,<br />

né come principe né come padre. A un certo punto della sua vita<br />

ha composto una canzone, Malafemmina, che è diventata il ritratto<br />

della donna che lui ha sempre immaginato. Io penso che lui abbia<br />

voluto dedicare questa canzone a una donna bella; non una donna<br />

spregiudicata, ma una donna così bella da non poter mai appartenere<br />

a lui. “Malafemmina” è una canzone che racconta tutta la sofferenza<br />

che un uomo prova quando ha una delusione d’amore. Totò è stato<br />

anche un convinto sostenitore di una verità: gli uomini sono tutti<br />

uguali, come afferma nella Livella, poesia in cui argomenta che re e<br />

nobiluomini di fronte alla morte sono uguali a un netturbino. Perché,<br />

appunto, la “Signora con la falce” mette tutti sullo stesso piano.<br />

Ora sono passati 43 anni dalla sua morte, e continuano le iniziative<br />

per ricordare la sua persona e la sua arte. Fra queste un film<br />

e un libro. Il film documentario si intitola Omaggio a Totò, maschera<br />

principe e poeta, è stato ideato e firmato dal regista Arnaldo Ninchi<br />

e presentato a Napoli nella basilica di Santa Maria della Sanità.<br />

Il libro invece si intitola Malafemmina: scritto dalla figlia del grande<br />

comico, Liliana De’ Curtis, insieme a Matilde Amoroso, sta<br />

riscuotendo grande successo in un pubblico di fan affezionati.<br />

Antonio Pirozzi<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .51


52. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

catania<br />

Monica Felloni, regista teatrale, lavora con attori diversamente<br />

abili: «Sul palcoscenico la diversità di ognuno diviene ricchezza»<br />

Diversi in scena,<br />

attori per sempre<br />

di Grazia Di Stefano<br />

«Tutto è nato da un’esigenza, ma anche per curiosità». Così risponde<br />

la catanese Monica Felloni alla domanda sugli inizi della sua esperienza di<br />

regista. E regista che ha fatto una scelta non usuale: lavora, infatti, con ragazzi diversamente<br />

abili ed è stata fondatrice dell’associazione culturale “Neon” insieme<br />

al marito, Piero Ristagno. «Abbiamo esordito nel lontano 1989 – ricorda Monica<br />

–, mettendo in scena uno spettacolo realizzato insieme a persone sordomute.<br />

Ero rimasta incantata e incuriosita dal loro modo di esprimersi con le ma-<br />

ni e dai loro silenzi». Mi accorgo che<br />

Monica fa sul serio: è una persona che<br />

quando parla trasmette una certa sensibilità.<br />

Che emozioni hai provato entrando<br />

nel mondo della disabilità?”<br />

Il piacere di conoscere le persone per<br />

davvero. Piero e io abbiamo incontrato<br />

molte persone diversamente abili, e<br />

sempre siamo stati accolti. Inoltre abbiamo<br />

scoperto nuovi linguaggi e modi<br />

di espressione delle emozioni.<br />

Quando si va in scena la diversità che<br />

ognuno possiede diventa una ricchezza<br />

da mettere in comune.<br />

Puoi farmi un esempio?<br />

Anche il tuo modo di parlare (questa<br />

volta è Piero a rispondere) è particolare.<br />

Questo può diventaree un problema<br />

se qualcuno lo considera una differenza<br />

da correggere o eliminare. Invece<br />

è una tua peculiarità e non va nascosta<br />

o corretta, ma portata in scena<br />

così com’è.<br />

Come reagiscono i ragazzi all’esperienza<br />

del teatro?<br />

Per molti è diventato un vero motivo<br />

di vita. Ma è normale: gli attori, in generale,<br />

si sentono sempre importanti<br />

e riescono a creare un legame tra noi,<br />

loro e il pubblico.<br />

In che cosa vi sentite arricchiti grazie<br />

a questo lavoro?<br />

Abbiamo acquistato una leggerezza<br />

nell’affrontare i piccoli e grandi problemi<br />

che la vita ci mette davanti tutti<br />

i giorni, ma anche una nuova necessità:<br />

abbiamo bisogno di queste persone.<br />

È come avere fame, è un’esigenza<br />

da soddisfare.<br />

Come vi muovete dal punto di vista<br />

organizzativo?<br />

In genere sono le associazioni per i disabili<br />

a contattarci. Da un punto di vista<br />

artistico lo spettacolo viene fuori<br />

solo dopo aver incontrato e conosciuto<br />

i ragazzi. Nulla è stabilito a priori:<br />

tutto dipende dalle loro pecularità e da<br />

quello che si sentono pronti a fare. È<br />

così che si sceglie cosa portare in scena<br />

. Ecco perchè i nostri spettacoli sono<br />

sempre perfetti.<br />

E come reagisce il pubblico?<br />

Con trasporto, è coinvolto. L’ultimo<br />

spettacolo che abbiamo portato in scena<br />

è stato realizzato con i ragazzi dell’Oda<br />

(Opera diocesana di assistenza).<br />

Alla fine il pubblico era felice.<br />

E dopo la messa in scena cosa succede?<br />

Per i ragazzi l’esperienza finisce<br />

lì?<br />

No, il legame che si è creato non finisce<br />

mai. Quando sali su un palco sei<br />

attore per sempre .<br />

Teatro, motivo di vita<br />

Saluti al pubblico dopo uno spettacolo<br />

messo in scena dall’associazione “Neon”


Barakat e le api,<br />

incontro di Fortuna<br />

Quando si dice: baciati dalla<br />

fortuna. Questa volta la fortuna<br />

è arrivata con le sembianze di una<br />

donna eritrea, il cui nome è appunto<br />

Fortuna. Bene integrata a Catania,<br />

dove vive e lavora da diversi anni,<br />

ha conosciuto Antonio Coco,<br />

apicoltore, ed è diventa il tramite di<br />

un “fortunato” incontro tra Barakat,<br />

suo connazionale, e Antonio.<br />

Li ha messi in contatto circa un<br />

anno fa, quando Antonio era alla<br />

ricerca di qualcuno che lo aiutasse<br />

per una collaborazione parziale.<br />

Avendo preso a cuore lo stato<br />

di sofferenza psicologica<br />

e di estrema povertà in cui versava<br />

Barakat, e avendo capito che si<br />

tratta di una persona onesta e<br />

piena di buona volontà, Antonio<br />

ha iniziato ad aiutarlo procurandogli<br />

piccoli lavori, in alcune aziende<br />

agricole della zona, in attesa<br />

di poterlo prendere a lavorare<br />

con sé a tempo pieno. Barakat<br />

è scappato dall’Eritrea in guerra,<br />

dove era costretto a fare il soldato,<br />

ed è sbarcato clandestinamente<br />

in Sicilia dopo mille peripezie e tanti<br />

rischi. Al suo arrivo aveva trovato<br />

accoglienza alla <strong>Caritas</strong> di Catania,<br />

che gli aveva offerto, per tre mesi,<br />

un letto al dormitorio maschile<br />

e un pasto alla mensa. Privo di<br />

documenti, aveva in tasca solo un<br />

permesso di soggiorno temporaneo<br />

che la questura rilascia ai rifugiati<br />

politici. Oggi invece ha la carta<br />

d’identità, il codice fiscale e<br />

il permesso di guidare in Italia.<br />

È inserito in “Claim”, progetto nato<br />

per favorire l’integrazione lavorativa<br />

e sociale degli immigrati; sta<br />

facendo tirocinio nell’azienda<br />

di Antonio e percepisce un piccolo<br />

stipendio. Antonio lo ha ospitato per<br />

circa sei mesi nella sua casa,<br />

aiutandolo poi a trovare l’alloggio<br />

dove ora Barakat vive. La serenità<br />

è tornata nella sua vita: «Sono<br />

contento, sto imparando un<br />

mestiere difficile, a volte faticoso.<br />

Ma è così bello lavorare immerso<br />

nella natura!».<br />

Sissi Geraci<br />

<strong>scarp</strong>catania<br />

Al lido Don Bosco<br />

Anfass e “Manualmente”,<br />

vendita e sorrisi in riva al mare<br />

Quest’estate sono stata invitata a visitare un mercatino<br />

che si è tenuto al lido Don Bosco, un ostello colonia nella zona balneare di<br />

Catania. Il mercatino è stato organizzato dall’Anffas (Associazione nazionale<br />

famiglie di persone con disabilità), formata da familiari, parenti, amici di<br />

persone con disabilità. Vicino all’accesso al mare, lungo la spiaggia e tra<br />

gli ombrelloni, era allestito un banchetto con cappellini di diversi colori,<br />

borse con perline dai tessuti più disparati, t-shirt con disegni psichedelici,<br />

tovaglie pitturate a mano… I manufatti sono stati realizzati da chi frequenta<br />

“Manualmente”, un laboratorio tessile, nato circa due anni fa grazie<br />

all’esperienza sartoriale di Tania Nicosia e al supporto psicologico<br />

della dottoressa Paola Carli. I ragazzi sono coinvolti in tutte le fasi<br />

della lavorazione: sono loro a scegliere le stoffe che vengono comprate<br />

al mercato oppure regalate, e così le perline, i nastrini, tutto ciò che serve<br />

in una sartoria. “Manualmente” non è solo lavoro, ma anche relazione.<br />

«Lavorare in gruppo – spiega paola Carli – significa che ognuno di noi fa<br />

una parte del lavoro e questo vuol dire riconoscere ciò che ha fatto l’altro e<br />

i tempi degli altri, e imparare a stare meglio con gli altri».<br />

Il mio cicerone durante la visita è stata Maria, utente del centro, sorriso<br />

solare stampato in faccia. Mi ha mostrato gli oggetti fatti da lei, il metodo<br />

che utilizza per attaccare le perle sulle borse, i disegni a punto croce. Tutto<br />

ciò è stato possibile grazie alla disponibilità del Lido Don Bosco, che da<br />

trent’anni ospita l’associazione. Le idee, al responsabile salesiano, don Luigi<br />

Balestrieri, non mancano. Sta addirittura pensando di costruire una piscina<br />

per disabili, per dare la possibilità a chi non può nuotare in mare di fare il<br />

bagno, e offrire al contempo un prezioso strumento di riabilitazione.<br />

«I risultati del laboratorio sono stati assai positivi – si compiace Carlo<br />

Monteleone, direttore sanitario dell’Anffas –. E il mercatino, grazie alla<br />

disponibilità dei salesiani, ha dimostrato che le persone con difficoltà<br />

possono inserirsi normalmente nella città». Al lido l’Anffas per la prima volta<br />

ha portato i manufatti del laboratorio all’esterno dei propri circuiti:<br />

il risultato è stato eccezionale, i prodotti hanno attirato l’attenzione dei<br />

villeggianti. Sicuramente l’esperienza sarà ripetuta; nel frattempo si sta già<br />

pensando a cosa realizzare nel periodo natalizio. Lorena Cannizzaro<br />

La fortuna è dolce come il miele<br />

Antonio e Barakat insieme al lavoro<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .53


palermo<br />

Sono passati 17 anni dall’omicidio mafioso di padre Pino<br />

Puglisi, parroco di Brancaccio. La città onesta non dimentica<br />

Ricordo di “3P”<br />

martire del Vangelo<br />

di Rossella Russello<br />

Palermo si è stretta nel ricordo di don Pino Puglisi, il sacerdote che diciassette<br />

anni fa fu ucciso per ordine dei boss di Brancaccio. «Me l’aspettavo»: furono<br />

le ultime parole pronunciate con un filo di voce da padre Pino Puglisi davanti<br />

alla pistola impugnata da Giuseppe Grigoli. Era la sera del 15 settembre 1993, don<br />

Pino fu ucciso sotto casa, in piazzale Anita Garibaldi, nel giorno in cui compiva 56<br />

anni. La sua attività pastorale – come è stato ricostruito anche dalle inchieste giudiziarie<br />

– ha costituito il movente dell’omicidio. I killer erano attesi dal sacerdote,<br />

che era perfettamente consapevole del pericolo al quale si era esposto, con la sua<br />

azione di recupero dei giovani del quartiere, sottratti al dominio del clan dei Graviano.<br />

Gli esecutori e i mandanti mafiosi sono stati condannati con sentenze de-<br />

finitive. Ma fu proprio l’opera di rigenerazione<br />

delle coscienze, e di affermazione<br />

della legalità, che decretò la<br />

condanna a morte di don Pino Puglisi, La vita<br />

divenuto fin da subito il simbolo dell’impegno<br />

sociale della chiesa in un territorio<br />

controllato dalla mafia.<br />

Una vita per i giovani<br />

Don Giuseppe Puglisi (nella foto) era<br />

nato nella borgata palermitana di<br />

Brancaccio il 15 settembre 1937. Entrato<br />

nel seminario diocesano di Palermo<br />

nel 1953, era stato ordinato sacerdote<br />

dal cardinale Ernesto Ruffini il 2 luglio<br />

1960. Sin dai primi anni aveva seguito<br />

in particolare i giovani e si era interessato<br />

delle problematiche sociali dei<br />

quartieri emarginati della città. Il 9 agosto<br />

1978 era stato nominato pro-rettore<br />

del seminario minore di Palermo e<br />

l’anno seguente scelto dall’arcivescovo<br />

Salvatore Pappalardo come direttore<br />

del Centro diocesano vocazioni. Agli<br />

studenti e ai giovani del Centro diocesano<br />

vocazioni aveva dedicato con passione<br />

lunghi anni, realizzando, attraverso<br />

una serie di “campi scuola“, un<br />

percorso formativo esemplare dal punto<br />

di vista pedagogico e cristiano.<br />

Padre Puglisi era stato nominato<br />

parroco della chiesa di San Gaetano, a<br />

Brancaccio, il 29 settembre 1990. Nel<br />

54. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

Vorrei vivere libero,<br />

senza regole,<br />

senza giudizi.<br />

Vorrei essere me stesso<br />

con tutti,<br />

ma mi accorgo<br />

che è la vita<br />

che comanda<br />

su ognuno di noi.<br />

È la vita che decide<br />

come noi<br />

dobbiamo vivere.<br />

Peccato<br />

che l’uomo<br />

non si accorge<br />

di aver distrutto<br />

ciò che di unico<br />

Dio ci ha donato:<br />

la vita!<br />

Piero<br />

gennaio 1993<br />

aveva aperto<br />

il centro “Padre<br />

Nostro”,<br />

diventato in<br />

breve punto<br />

di riferimento<br />

per i giovani<br />

e le famiglie<br />

del quartiere.<br />

Aiutato<br />

anche da un<br />

gruppo di religiose,<br />

aveva avviato una collaborazione<br />

con i laici dell’associazione Intercondominiale<br />

per rivendicare i diritti<br />

civili nella borgata, denunciando collusioni<br />

e malaffari e subendo minacce e<br />

intimidazioni.<br />

Un santo, un esempio<br />

Il suo omicidio è dunque maturato come<br />

effetto dei grandi risultati che aveva<br />

ottenuto grazie all’opera di recupero<br />

dei giovani di Brancaccio, uno dei quartieri<br />

più disagiati e a maggior densità<br />

mafiosa di Palermo. Nel 1999 il cardinale<br />

De Giorgi ha aperto la causa di<br />

beatificazione di don Puglisi, proclamandolo<br />

“servo di Dio”. La prima fase<br />

del processo si è conclusa nel 2001; da<br />

allora il fascicolo è all’esame della Congregazione<br />

per le cause dei santi in Vaticano.<br />

«In questa nostra terra di Sicilia<br />

– scrivono le associazioni nella lettera<br />

inviata al segretario di Stato Tarcisio<br />

Bertone – il riconoscimento ecclesiale<br />

di questo martirio ha valore di segno e<br />

costituisce una svolta verso una pietà<br />

popolare orientata alla esemplarità<br />

evangelica».<br />

Dopo 17 anni la memoria e il coraggio<br />

del parroco di Brancaccio sono sta-


ti nuovamente ricordati da Palermo. Il<br />

14 settembre per le strade del quartiere<br />

una fiaccolata ha commemorato l’opera<br />

e l’esempio di “3P” (padre Pino Puglisi),<br />

il nomignolo con cui il pastore era<br />

conosciuto dagli amici, muovendosi<br />

dalla parrocchia San Gaetano fino al<br />

luogo dell’omicidio, in piazza Anita Garibaldi.<br />

E nella giornata dell’anniversario<br />

nella cattedrale di Palermo si è svolta<br />

una messa solenne, presieduta dal<br />

cardinale Salvatore De Giorgi.<br />

La salma di don Pino è tumulata<br />

nel cimitero di Sant’Orsola, nella cappella<br />

di Sant’Euno, di proprietà dell’omonima<br />

confraternita laicale. Nel ricordo<br />

del suo impegno, innumerevoli<br />

sono le scuole, i centri sociali, le strutture<br />

sportive, le strade e le piazze a lui<br />

intitolate a Palermo, in tutta la Sicilia,<br />

in Italia. Commemorazioni e iniziative<br />

si sono tenute dagli Stati Uniti al<br />

Congo all’Australia.<br />

La sua vita e la sua morte, d’altronde,<br />

hanno costituito testimonianze<br />

esemplari e hanno disvelato la malvagità<br />

e l’assoluta incompatibilità della<br />

mafia con il messaggio evangelico.<br />

Questo perché, come scrisse papa Giovanni<br />

Paolo II, «il credente che abbia<br />

preso in seria considerazione la propria<br />

vocazione cristiana, per la quale il martirio<br />

è una possibilità annunciata già<br />

nella rivelazione, non può escludere<br />

questa prospettiva dal proprio orizzonte<br />

di vita. I duemila anni dalla nascita di<br />

Cristo sono segnati dalla persistente testimonianza<br />

dei martiri». Quella di don<br />

Puglisi rimarrà a lungo nei cuori e nelle<br />

menti dei palermitani onesti. .<br />

<strong>scarp</strong>palermo<br />

La storia<br />

Sogno il sei al Superenalotto:<br />

se vinco impazzisco. O forse no<br />

Tutti pazzi, ma soprattutto tutti uguali di fronte al jackpot<br />

del Superenalotto. Dall’alto dei suoi 136 milioni di euro, il gigante Sisal<br />

non fa distinzioni etniche, politiche, sociali e di sesso. Siamo in tanti<br />

a tentare di centrare la sestina. Forse troppi. Da tempo sono in attesa<br />

della vincita fortunata. Da anni continuo a sognare: lotto, superenalotto,<br />

gratta e vinci sono diventati un mezzo per realizzare i sogni, qualcosa<br />

che ti aiuta a vivere meglio, ad avere la speranza in un futuro migliore.<br />

Al Superenalotto giocano tutti, perché il sogno di ricchezza non conosce<br />

né confini né condizioni sociali. C’è chi, come me, gioca piccole cifre,<br />

in attesa della grande svolta che, molto probabilmente, non verrà mai.<br />

E chi invece gioca per sfidare sempre più la vita e per potere un giorno,<br />

chissà, ricevere un’inaspettata sorpresa. Del resto chi non ci proverebbe<br />

per un solo euro? A volte, però, questo euro può creare dipendenza: per<br />

alcuni rimane sempre un gioco, per altri mi accorgo che non è più così.<br />

Io passo giornate intere in una ricevitoria (ormai il proprietario è diventato<br />

un mio amico), osservo le persone e cerco di capire come mai siamo tutti<br />

pazzi per un gioco così stupido. La risposta è ovvia: voglia di ricchezza<br />

e desiderio di fare una vita comoda e semplice. Ho notato che i meno<br />

interessati a sestine e sistemi sono i cinesi, più attratti da altri giochi, con<br />

vincite magari minori, ma dall’incasso immediato. Loro sono sempre furbi.<br />

Comunque il jackpot resta un bottino che fa gola al mondo intero,<br />

considerato che, al momento, quello messo in palio dal concorso più<br />

amato d’Italia rappresenta il più alto montepremi planetario. Francesi,<br />

austriaci, sloveni e croati, turisti in vacanza nella nostra città d’arte<br />

tra un monumento, un piatto di pasta e un buon caffè li vedo entrare nelle<br />

ricevitorie e marcare sei numeri su una schedina. Anche per loro il viaggio<br />

di piacere potrebbe diventare il sogno di una vita. Osservo, osservo,<br />

osservo le giocate effettuate in un giorno dai più svariati soggetti,<br />

sono veramente tante. Allora mi accorgo che per ora vince solo lo stato,<br />

è lui che si sta prendendo gioco di noi. E noi, stupidi mortali, continuiamo<br />

imperterriti a spendere invano i nostri pochi soldi.<br />

Se vincessi tutti quei soldi impazzirei, non saprei come gestirli. O forse sì.<br />

Come prima cosa comprerei una casa,<br />

per vivere tranquillamente la mia<br />

vecchiaia. O forse no. Lascerei<br />

Palermo per viaggiare, ma non conosco<br />

le lingue, non potrei comunicare e<br />

questo mi darebbe fastidio. No, non<br />

lascerei mai Palermo, tanto meno se<br />

diventassi ricco (mi fa ridere questa<br />

frase: «Diventare ricco»). Continuerei a<br />

vivere qui, probabilmente a fare la<br />

solita vita, magari un po’ più rilassato,<br />

con meno pensieri.<br />

Sarebbe un colpo grosso con una<br />

schedina di un solo euro vincerne<br />

136 milioni. Chissà che la dea bendata<br />

decida di baciarmi, alla prossima<br />

estrazione… Solo un euro, per<br />

cambiare la mia vita...<br />

Michele<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .55


La neve<br />

Vorrei abitare<br />

in un villaggio dove,<br />

da <strong>ottobre</strong> a maggio,<br />

la neve ricopra<br />

ogni cosa.<br />

Vorrei vivere<br />

con un grande<br />

cane peloso<br />

e fare insieme<br />

lunghe passeggiate<br />

sui sentieri<br />

ricoperti di neve.<br />

La neve mi piace,<br />

la neve mi colma,<br />

la neve mi disseta,<br />

la neve mi cura.<br />

La neve è bianca come<br />

la distrofia corneale<br />

che mi fa vedere,<br />

all’alba, il mondo<br />

bianco come il latte<br />

Silvia Giavarotti<br />

56 56. . <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

Nel mio<br />

giardino<br />

Mi piaci quando<br />

ti addormenti piano<br />

i tuoi riccioli<br />

appena appoggiati<br />

su una federa pulita<br />

mi piaci quando<br />

ti addormenti piani<br />

le tue labbra sottili,<br />

invisibili quando parli<br />

mi piaci quando<br />

ti addormenti piano<br />

l’elemosina che fai<br />

alla notte, che ti istiga<br />

come tori nell’arena<br />

mi piace quando<br />

ti addormenti piano<br />

pensieri passeggeri,<br />

più o meno veloci,<br />

come nuovole<br />

a passo d’uomo<br />

io, non posso<br />

arrivare da te:<br />

mi fermo prima.<br />

Purezza d’acqua,<br />

che tra le mani prosciuga<br />

come quando ti ritiri:<br />

genuflessa in quella<br />

calda chiesa<br />

di campagna.<br />

I tuoi silenzi e nulla più.<br />

Quanto prima,<br />

finirò di solcare<br />

i miei doveri di terra<br />

e passo dopo passo,<br />

fino a quando,<br />

dopo il tramonto,<br />

cresceranno<br />

le nostre ombre.<br />

Il sole così grande<br />

senza alcun rumore<br />

Ottavio Regolo<br />

Sorge il sole<br />

È buio intorno<br />

è tutto nero<br />

c’è una tetra atmosfera<br />

atmosfera di cimitero<br />

pian piano<br />

sorge il sole<br />

e sorgendo i suoi raggi<br />

armandosi<br />

di tavolozza e pennello<br />

come sommi pittori<br />

dipingono l’intero<br />

paesaggio<br />

di vivaci colori<br />

Mr Armonica<br />

poesie di strada<br />

Più<br />

fragile<br />

Vieni qui<br />

tocca i miei pensieri<br />

sai che mi sento<br />

più fragile<br />

quando in me<br />

qualcosa non va stringimi<br />

a te forte e fammi<br />

sentire importante Stai<br />

con me<br />

se ti accorgi<br />

dei miei momenti<br />

più fragili.<br />

Dammi forza con<br />

una tua carezza.<br />

Eri tu a dirmi<br />

che in amore ci si aiuta<br />

nei minuti più brutti<br />

Allora resta qui se ti<br />

accorgi che io, adesso,<br />

mi sento più fragile.<br />

Nino Moxedano<br />

Passione<br />

Nulla vi fu altro<br />

che la mia passione<br />

dovette inventarsi<br />

per godersi<br />

del breve<br />

momento di vita<br />

se non<br />

la passione stessa<br />

cosa per cui io vivo<br />

e ho vissuto e vivrò.<br />

Per te, passione,<br />

vivo per te,<br />

passione,<br />

ho vissuto per te,<br />

passione, vivrò.<br />

In alto i calici del<br />

frizzante goder di vita.<br />

Ambrogio<br />

Amati<br />

silenzi<br />

Mondi incantati,<br />

all’ombra di un chiostro<br />

rubato a volti indiscreti,<br />

amati silenzi<br />

se pur parlanti<br />

suoni gentili<br />

musica per l’anima<br />

Nemesi


ventuno<br />

Ventuno. Come il secolo nel<br />

quale viviamo, come l’agenda<br />

per il buon vivere, come<br />

l’articolo della Costituzione<br />

sulla libertà di espressione.<br />

Ventuno è la nostra<br />

idea di economia.<br />

Con qualche proposta per<br />

agire contro l’ingiustizia e<br />

l’esclusione sociale<br />

nelle scelte di ogni giorno.<br />

ventunodossier Numeri in crescita.<br />

Prestiti erogati in aumento. Anche<br />

nel nostro paese il microcredito sta<br />

prendendo piede. Strumento di lotta<br />

alla povertà, sostegno allo sviluppo<br />

della 1microimpresa. Veicolo<br />

di inclusione sociale. Ecco tutte<br />

le facce del “microcredito all’italiana”<br />

di Stefano Lampertico<br />

ventunosocietà Piovono scommesse.<br />

In arrivo oltre 200 nuovi casinò on<br />

line. Intanto i debiti delle famiglie<br />

aumentano, ma il gioco d’azzardo non<br />

conosce crisi<br />

di Max Mandello e Franco Schiena<br />

ventunorighe Credito: affermare<br />

un diritto sociale<br />

di Andrea La Regina - <strong>Caritas</strong> italiana<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .<br />

57


1<br />

ventunodossier<br />

Beneficiari in aumento, come il valore dei crediti erogati.<br />

Le idee, i talenti, le storie di successo: “micro” cambia la vita<br />

Microcredito<br />

all’italiana<br />

dossier a cura di Stefano Lampertico<br />

Non solo per interventi<br />

nel sud del mondo:<br />

il microcredito<br />

è uno strumento<br />

in forte ascesa anche<br />

in Italia. “Sociale”<br />

o “d’impresa”:<br />

combatte la povertà,<br />

ma soprattutto offre<br />

chance di futuro<br />

a soggetti considerati<br />

“non bancabili”<br />

I numeri<br />

del microcredito<br />

quasi 30 mila<br />

i beneficiari del microcredito<br />

in Italia a fine 2008<br />

106<br />

i programmi avviati in Italia<br />

9.800 euro<br />

il valore medio dei prestiti erogati.<br />

Quello complessivo erogato si<br />

avvicina ai 295 milioni di euro<br />

84.253<br />

i crediti erogati in Europa nel 2009<br />

828 milioni di euro<br />

il protafoglio complessivo di crediti<br />

erogati nel continente<br />

162<br />

le <strong>Caritas</strong> diocesane che dopo la crisi<br />

hanno attivato progetti di<br />

microcredito socio-assistenziale e<br />

d’impresa<br />

58. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

L’esercito dei non bancabili allo sportello<br />

Un futuro<br />

per i “fantasmi”<br />

Per le banche, sono quasi fantasmi. Spesso, sono da poco nel<br />

nostro paese. Sgobbano, certo. Hanno un lavoro, magari a tempo indeterminato.<br />

Ma non basta. A mancare, sono le garanzie patrimoniali. Ma alla<br />

banca, si sa, per concedere un prestito interessano soltanto quelle. E se<br />

non le hai, le garanzie, né una storia creditizia positiva, puoi anche avere<br />

in testa l’idea più brillante del secolo. Ma sei un “non bancabile”.<br />

Come Mohamed. La sua storia è una tra le tante. È ospite di un dormitorio<br />

pubblico e privo di un lavoro. Ha le idee confuse, ma vorrebbe avviare<br />

una piccola attività di commercio ambulante, vendere prodotti cosmetici<br />

in fiere e mercati. Il microcredito lo incontra, per caso, su una locan-<br />

dina affissa alle porte della chiesa.<br />

Ne parla con il parroco, che si dice<br />

disponibile a garantire moralmente<br />

per lui. Insieme si rivolgono a Per-<br />

Micro, società nata a <strong>Torino</strong> nel<br />

1997, oggi prima istituzione di microcredito<br />

in Italia per numero di<br />

microcrediti concessi (778) e ammontare<br />

erogato (oltre 4 milioni di<br />

euro). Insieme definiscono un business<br />

plan che stia in piedi. Il credito<br />

– anzi, il microcredito – viene<br />

erogato. Oggi Mohammed lavora<br />

stabilmente e ha potuto pagare la<br />

cauzione per l’affitto di una casa.<br />

Anche la storia di Jane, nigeriana,<br />

“svolta” con Permicro: oggi ha<br />

un avviato negozio di stoffe africane,<br />

per lei la garanzia morale l’ha<br />

firmata il capo religioso della comunità<br />

che frequenta da anni. Sto-<br />

ria di Mohammed, storia di Jane.<br />

Ma anche di Giulia, badante moldava,<br />

del calzolaio Enrique, del<br />

macellaio Mario. Storie di microcredito.<br />

Fenomeno in crescita<br />

I dati non sembrano lasciare spazio a<br />

dubbi. Il microcredito in Italia è fenomeno<br />

in crescita, con enormi potenzialità<br />

ancora inespresse. Lo dicono le tabelle<br />

del Quinto Rapporto sul microcredito<br />

in Italia, curato da Carlo Borgomeo<br />

(vedi tabella): testimoniano di una crescita<br />

nel tempo abbastanza regolare,<br />

con incrementi su base annua di circa<br />

50 milioni di euro, cui corrispondono<br />

circa 5 mila nuovi prestiti. Questi dati<br />

non si allontanano da uno studio, meno<br />

recente, della Fondazione Giordano


Bineta confeziona gioielli<br />

É arrivata dal Senegal, subito ha capito che i prodotti<br />

della sua Africa potevano avere un mercato. Grazie al<br />

prestito di PerMicro (10 mila euro) ha aperto a <strong>Torino</strong><br />

un negozio di prodotti etnici e africani: vestiti, accessori<br />

per la casa e l’igiene personale. E originali gioielli<br />

Laureate, educatrici: non più disoccupate<br />

<strong>Torino</strong> offre “Dieci talenti”<br />

Laura e Sonia ora hanno il nido<br />

Laura e Sonia erano stufe. Laureate a pieni voti, educatrici<br />

appassionate, a <strong>Torino</strong> non riuscivano a trovare un impiego stabile. E<br />

così, pur di mantenersi, capitava che facessero altri lavori. In realtà,<br />

un’idea ronzava loro in testa sin da quando si erano conosciute sui<br />

banchi dell’università: aprire un asilo nido. Avevano anche il progetto.<br />

Quindici posti, dettagli innovativi: spazi ampi, attività come<br />

drammatizzazione o acquaticità, mobilio ecocompatibile, cibo<br />

biologico. Mancava solo una cosa: il capitale per avviare l’attività.<br />

É qui che entrano in gioco i “Dieci Talenti”. Così si chiama il progetto<br />

della fondazione don Mario Operti, legata alla <strong>Caritas</strong> diocesana.<br />

«L’idea del microcredito – racconta la responsabile, Susanna Piccioni –<br />

era venuta già a don Mario. La fondazione, che la diocesi di <strong>Torino</strong> gli<br />

ha intitolato dopo la scomparsa, l’ha concretizzata dal 2003». E così<br />

ora un gruppo di 32 volontari, con un passato da bancari e industriali,<br />

garantisce a soggetti non bancabili, e molto spesso in situazioni di<br />

disagio, prestiti che vanno dai 2.500 ai 35 mila euro, nel caso di<br />

cooperative o piccole società intestate a più di una persona.<br />

Proprio come successo a Laura e Sonia, che hanno avuto in prestito la<br />

cifra massima per l’adeguamento di locali, impiantistica e arredi. E<br />

sono riuscite ad aprire il micronido.<br />

Arash, invece, è arrivato in Italia dall’Iran con in tasca una maturità<br />

artistica. Dal 2002 al 2006 ha frequentato la scuola per artigiani<br />

restauratori ed è diventato per tutti Tommaso. Grazie a “Dieci Talenti”,<br />

nel 2007 è riuscito a mettersi in proprio: con un prestito di 10 mila<br />

euro ha comprato i macchinari necessari ad avviare la sua piccola<br />

impresa. (Paolo Riva)<br />

microcredito<br />

dell’Amore, secondo cui dal 2007 a oggi<br />

la pratica del microcredito è quintuplicata,<br />

in Italia: sono cresciuti, in modo rilevante,<br />

sia il numero di prestiti erogati,<br />

sia il portafoglio (dai 3,63 milioni di euro<br />

del 2007 ai circa 11 di fine 2009). Lo<br />

studio, fondato su un campione significativo<br />

delle principali istituzioni di microfinanza<br />

operanti nel territorio nazionale,<br />

evidenzia che i beneficiari del microcredito,<br />

in Italia, sono principalmente<br />

donne e immigrati.<br />

Ma forse occorre fare un passo indietro.<br />

«Siamo in presenza di un fenomeno<br />

straordinariamente positivo –<br />

racconta Borgomeo –. Però occorre capire<br />

bene di cosa parliamo. Se ci limitiamo<br />

all’analisi superficiale del termine<br />

“microcredito”, verrebbe da pensare alle<br />

forme, penalizzanti per le famiglie e<br />

con meccanismi dei quali ci dovremmo<br />

vergognare, proprie del credito al consumo.<br />

Bisogna invece mettere a fuoco<br />

alcuni modelli. Il primo, ancora clamorosamente<br />

poco diffuso, è il “prestito<br />

d’onore”, ovvero agli studenti: nel nostro<br />

paese si registrano poche esperienze,<br />

meccanismi annunciati ma non attuati,<br />

operazioni poco rilevanti. Il secondo<br />

modello è il microcredito per fini<br />

indistinti: per esempio le tante<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .59


ventunodossier<br />

Le <strong>Caritas</strong> diocesane<br />

Mobilitazione anticrisi,<br />

microprestiti arma efficace<br />

Le iniziative delle chiese locali contro la crisi sono numerose e diversificate.<br />

<strong>Caritas</strong> Italiana ha effettuato un monitoraggio sulle attività avviate a partire<br />

dal 2008, dalle diocesi o dalle <strong>Caritas</strong> diocesane o da enti e organismi<br />

espressione della chiesa locale. Aggiornato al 23 giugno, il monitoraggio<br />

evidenzia la presenza di 635 iniziative in 196 diocesi (su un totale di 220<br />

dove è presente la <strong>Caritas</strong>). All’interno di tali iniziative spicca la presenza<br />

del microcredito, in due modalità differenti. Una prima è quella del<br />

“microcredito socio-assistenziale”: piccoli prestiti, legati in buona parte<br />

alle esigenze minime delle famiglie, che si avvalgono in genere di un fondo<br />

diocesano, di volta in volta denominato “di emergenza”, “di solidarietà”.<br />

In totale, sono 113 le diocesi che hanno attivato un progetto di<br />

microcredito socio-assistenziale per persone o famiglie in difficoltà: la<br />

diffusione maggiore è nelle regioni del nord (48 diocesi); seguono sud (40)<br />

e centro (25). Un secondo gruppo di iniziative consiste nel “microcredito<br />

per le imprese”: i piccoli prestiti sono a favore di realtà in fase d’avvio o già<br />

costituite, a elevato rischio finanziario e con oggettive difficoltà di accesso<br />

al credito. Sono 49 le diocesi che hanno attivato negli ultimi due anni<br />

progetti di microcredito per piccole imprese, spesso promosse da giovani o<br />

a conduzione familiare. In questo caso, è il sud a vantare il maggior numero<br />

di diocesi attive (24), seguito da nord (16) e centro (9).<br />

Qui Genova<br />

Pasquale che ha salvato<br />

il panificio di famiglia<br />

Pasquale ha 38 anni e lavora nel panificio di famiglia in provincia di Genova,<br />

insieme alla mamma e al fratello, da quando ne aveva 18. In tanto tempo<br />

passato in azienda, ha visto alternarsi momenti belli e brutti, ma quello più<br />

difficile, racconta, è stato sicuramente quando si è ritrovato a prendere<br />

direttamente in mano la gestione dell’attività, dopo la morte del padre.<br />

«Il panificio non aveva grosse passività con le banche – spiega –, ma a noi<br />

mancava sempre la liquidità per far fronte ai nostri impegni. Dove reperirla?<br />

Dopo la lunga malattia di mio padre, le finanze della famiglia non erano<br />

messe meglio di quelle dell’azienda. Quindi, dato che le banche ormai<br />

rifiutavano di farci credito, eravamo quasi giunti al punto di cadere nelle<br />

mani degli usurai». La situazione di Pasquale non è dissimile da quella in cui<br />

si vengono a trovare molti imprenditori, per i quali spesso la mancanza di<br />

garanzie reali o la carenza di liquidità rendono inavvicinabile l’utilizzo<br />

del credito bancario. Lo stesso vale per le imprese di nuova costituzione o<br />

per quelle in situazione di crisi temporanea, a causa di spese impreviste.<br />

Pasquale per fortuna ha trovato, come tanti altri, il sostegno nel<br />

microcredito. In Liguria, questa pratica di sostegno alla povertà e allo<br />

sviluppo della piccola impresa, si va diffondendo grazie a un’azione<br />

sinergica, sostenuta dalla provincia di Genova, di tre organismi: Banca<br />

Popolare Etica, PerMicro Microcredito in Italia e Fondazione Antiusura<br />

Santa Maria del Soccorso. Vengono in mente le parole di Muhammad<br />

Yunus: «I poveri sono bonsai. Non c’è nulla di male nei loro semi,<br />

semplicemente la società non ha mai concesso loro la base su cui<br />

crescere». E forse il microcredito può cominciare a dare loro un po’ di<br />

terreno su cui far crescere radici forti. Paola Malaspina<br />

60. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

iniziative condotte da realtà della chiesa<br />

italiana, nell’ambito delle quali il microcredito<br />

diventa strumento di lotta<br />

all’usura o alla povertà, o di sostegno in<br />

casi gravi di assenza di reddito. Terzo<br />

modello, il microcredito come forma di<br />

inclusione sociale: diversi esempi, messi<br />

in campo da istituti di credito insieme<br />

a organizzazioni territoriali, organismi<br />

non governativi, strutture decentrate.<br />

Infine il modello forse più interessante<br />

per gli studiosi, il microcredito<br />

come sostegno per mettersi in proprio:<br />

un prestito che consente a soggetti patrimonialmente<br />

deboli di avviare piccole<br />

attività economiche».<br />

Se le banche si accorgono...<br />

Negli ultimi due anni il microcredito in<br />

Italia è cresciuto, si diceva, del 500%. Fino<br />

a poco tempo fa, era una pratica associata<br />

soprattutto a progetti nei paesi<br />

in via di sviluppo, ma ora sembra essersi<br />

aperto un filone italiano. Il recente<br />

andamento dell’economia nei paesi<br />

occidentali ha ampliato la fascia di coloro<br />

che corrono il rischio di cadere in<br />

povertà a causa di difficoltà potenzialmente<br />

transitorie, che non riescono a<br />

fronteggiare con l’aiuto del credito tradizionale,<br />

in quanto considerati – appunto<br />

– soggetti “non bancabili”, perché<br />

non in grado di fornire adeguate<br />

garanzie di solvibilità o perché, per le<br />

loro dimensioni contenute, i crediti richiesti<br />

non risultano appetibili per le<br />

banche convenzionali, che riscuoterebbero<br />

interessi non sufficientemente<br />

remunerativi dei costi di gestione.<br />

Il tema ha dunque cominciato a interpellare<br />

le fondazioni di origine bancaria,<br />

sempre più impegnate a sostenere<br />

progetti in questo campo e convinte<br />

che il microcredito possa rappresentare<br />

una forte leva di inclusione e<br />

coesione sociale. Per questo motivo è<br />

stata recentemente istituita all’interno<br />

dell’Acri (l’associazione delle fondazioni<br />

bancarie) una speciale commissione<br />

per il microcredito. E la lombarda<br />

Fondazione Cariplo, oltre a finanziare<br />

progetti di microcredito promosso da<br />

enti non profit, ha avviato un’iniziativa<br />

pionieristica: l’investimento di parte<br />

del proprio patrimonio in attività di<br />

microfinanza.<br />

Ma il mondo del credito attribuisce<br />

sufficiente attenzione a questo stru


Valore dei prestiti<br />

per soggetto promotore<br />

CONFIDI<br />

MAG<br />

ENTI PRIVATI<br />

AMM. CENTRALI<br />

ENTI RELIGIOSI<br />

UNIVERSITÀ<br />

ENTE LOCALE<br />

BANCA NAZIONALE<br />

FOND. NON BANCARIA<br />

BANCA LOCALE<br />

FONDAZ. BANCARIA<br />

Nuove esigenze<br />

Ahmed di casa tra Orvieto e Marocco<br />

«Ma la crisi ci impone più assistenza»<br />

Sono bastati 25 mila euro, per sette lunghi anni. Fino alla<br />

crisi. A tanto ammontava il fondo di garanzia con cui nel 2003<br />

la <strong>Caritas</strong> di Orvieto-Todi, in collaborazione con la Banca<br />

Popolare di Ancora, ha dato il via a un progetto di<br />

microcredito, per rispondere alle tante sollecitazioni giunte<br />

dai centri d’ascolto del territorio. La <strong>Caritas</strong> umbra, da allora,<br />

ha erogato centinaia di microprestiti (limite massimo 3 mila<br />

euro), ha sostenuto numerosi giovani (per questioni abitative<br />

e lavorative) e ha registrato tassi di insolvenza molto bassi, di<br />

gran lunga migliori di quelli delle banche tradizionali. «L’utenza<br />

era composta per la maggior parte da stranieri – racconta il<br />

direttore, Marcello Rinaldi –. Rispetto agli italiani, però, erano<br />

anche più precisi nel restituire l’importo prestato».<br />

Ahmed, per esempio, ventunenne marocchino che in Italia fa il<br />

muratore, ha restituito tutti i tremila euro che <strong>Caritas</strong> gli ha<br />

mento? «L’attenzione del mondo bancario<br />

agli strumenti del microcredito –<br />

afferma Alessandro Messina, dell’Associazione<br />

banche italiane – è crescente.<br />

Un dato: tra le 700 banche italiane, 250<br />

hanno in corso progetti di microcredito,<br />

e sono rappresentative del 70% del<br />

mercato italiano del credito. Certo, gli<br />

approcci sono differenti. Alcuni istituti<br />

di credito hanno assunto un ruolo attivo,<br />

altri hanno cercato partnership con<br />

soggetti non profit, altri ancora hanno<br />

deciso di entrare nel capitale di soggetti<br />

specializzati. C’è chi opera con spirito<br />

filantropico, chi lo fa con spirito imprenditoriale,<br />

tenendo un occhio al business».<br />

Perché «la leva finanziaria non<br />

può essere ignorata: essa presuppone,<br />

insieme a un grado di redditività per<br />

chi lo eroga, una capacità di restituzione<br />

da parte del soggetto che riceve il<br />

prestito».<br />

10% 20% 30% 40% 50% 60%<br />

2004<br />

2008<br />

INDISTINTI<br />

ENTI NON PROFT<br />

PERSONE SINGOLE<br />

O PERS. GIURIDICHE<br />

PERSONE<br />

GIURIDICHE<br />

GRUPPI DI DUE<br />

O PIÙ PERSONE<br />

PERSONE<br />

SINGOLE<br />

E nelle economie occidentali?<br />

Il dibattito è senza dubbio interessante.<br />

Come riportare nelle economie occidentali<br />

un modello che funziona nel<br />

sud del mondo?<br />

Quali correttivi apportare? Come<br />

analizzare i risultati? «Un credito di 500<br />

dollari a un commerciante che sta nella<br />

periferia di Città del Messico, e deve<br />

trasportare le sue merci in centro, può<br />

essere sufficiente a generare una microimpresa,<br />

farsi restituire il prestito e<br />

creare un margine per l’operatore che<br />

eroga il credito – chiarisce Messina –.<br />

Ma nelle economie sviluppate i parametri<br />

sono altri».<br />

Il dibattito è interessante. Molti, anche<br />

operatori professionali di microcredito,<br />

non bancari, sono convinti che lo<br />

strumento produca i risultati migliori<br />

dove ci sono economie informali e situazioni<br />

tecnologicamente arretrate. E<br />

Numerosità dei prestiti<br />

per tipologia dei beneficiari<br />

microcredito<br />

20% 40% 60% 80%<br />

2004<br />

2008<br />

messo a disposizione per tornare in patria e, durante le ferie,<br />

costruire una bella casa per la famiglia. Poi, una volta<br />

rientrato, senza più l’assillo di dover spedire tutti i guadagni a<br />

casa, è riuscito a mettersi in proprio: ora ha una piccola<br />

azienda edile. Insomma, ricorda orgoglioso Rinaldi, «il<br />

progetto ha dato ottimi risultati».<br />

Fino alla crisi, si diceva. Che ha bruscamente interrotto il<br />

circolo virtuoso, in virtù del quale i prestiti restituiti<br />

finanziavano i nuovi. «Le richieste sono aumentate e<br />

cambiate: molte più persone si sono rivolte a noi perché non<br />

riuscivano a pagare le bollette, così abbiamo deciso di<br />

attingere in modo più assistenziale al fondo, che ora è da<br />

rifinanziare. Non sarà una scelta in linea con le logiche del<br />

microcredito. Ma – conclude il direttore – si è trattato di<br />

venire incontro alla popolazione in una fase particolare». (pr)<br />

quindi dove c’è la possibilità di far discendere,<br />

dalle microsomme prestate,<br />

impatti sociali molto forti. «La povertà<br />

propriamente detta si combatte anzitutto<br />

con strumenti di politiche pubbliche<br />

– suggerisce Alessandra Viscovi, direttore<br />

di Etica sgr, società di raccolta<br />

del risparmio di Banca Etica –. Ma il microcredito<br />

può essere uno strumento<br />

che bene si integra con esse. A patto di<br />

declinarlo nelle nostre economie. Dove<br />

può essere strumento di inclusione sociale<br />

e promozione dell’impresa».<br />

Etica sgr, come il gruppo Banca Etica,<br />

ha sempre prestato attenzione particolare<br />

al microcredito.<br />

Chi sottoscrive i fondi Valori Responsabili<br />

della sgr non paga commissioni<br />

di entrata, ma devolve lo 0,1% del<br />

capitale sottoscritto (un euro su mille) a<br />

favore di un fondo che fa da garanzia a<br />

progetti in Italia.<br />

Fonte: Carlo Borgomeo, Quinto Rapporto sul microcredito in Italia,<br />

settembre <strong>2010</strong> (dati aggiornati al 31 dicembre 2008)<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .61


ventunodossier<br />

La garanzia delle reti<br />

PerMicro spa, società torinese fondata<br />

da Oltre Venture, Fondazione Paideia e<br />

sostenuta da Ubi banca, Fondazione<br />

Sviluppo e crescita – Crt e PhiTrust, dimostra<br />

quanto sia importante la sinergia<br />

tra diversi soggetti, in questo campo.<br />

«Abbiamo un’idea precisa del microcredito<br />

– chiarisce Andrea Limone, amministratore<br />

delegato di PerMicro –: si tratta<br />

di un credito dato in condizioni di<br />

economicità per entrambe le parti a un<br />

soggetto “non bancabile”. Per esempio<br />

la badante moldava che guadagna 1.100<br />

euro al mese e utilizza i risparmi per l’università<br />

della figlia: caratteristiche socio-personali<br />

ottime, reddito a tempo<br />

indeterminato, ma esclusa dal circuito<br />

tradizionale del credito. Noi cerchiamo<br />

di fare un passo in più, insieme a lei.<br />

Partendo dal concetto di “garanzia sociale”:<br />

offerta da una rete nella quale il<br />

soggetto che chiede il prestito è inserito,<br />

è motivo di merito creditizio. E così<br />

cerchiamo di guardare a proposte e richieste<br />

di chi intende avviare una mi-<br />

L’interlocutore istituzionale<br />

Mario Baccini è il presidente<br />

del Comitato nazionale italiano<br />

permanente per il microcredito<br />

62. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

croimpresa, con criteri di valutazioni<br />

forse più complessi, ma meno penalizzanti».<br />

L’importante, per ottenere soldi e<br />

garantire che verranno restituiti, è non<br />

essere soli. Le relazioni, insomma, inducono<br />

fiducia.<br />

E possono, potranno, addirittura arrivare<br />

a sciogliere il cuore duro delle<br />

banche. .<br />

Via maestra oltre la crisi<br />

L’italia si sta attrezzando<br />

Mario Baccini, un passato nell’Udc e altre formazioni “centriste”, già<br />

ministro, oggi parlamentare Pdl, è il presidente del Comitato nazionale italiano permanente<br />

per il microcredito, istituito presso il ministero dello sviluppo economico<br />

per promuovere la conoscenza del microcredito e stimolare lo sviluppo di iniziative<br />

nel settore. Dunque, è l’interlocutore istituzionale più attendibile per capire se,<br />

in Italia, il microcredito è una realtà promettente, o un oggetto misterioso.<br />

Presidente, quale funzione sociale<br />

può esercitare il microcredito in Italia?<br />

Può essere utile come strumento<br />

di lotta alla povertà?<br />

Il microcredito può svolgere una funzione<br />

primaria nella lotta alla povertà<br />

e all’esclusione sociale, perché rivaluta<br />

il valore della persona e le sue potenzialità.<br />

Attraverso forme di finanziamento<br />

del lavoro e della progettualità<br />

che non si fondano su garanzie<br />

reali, ma personali, e su una pianificazione<br />

attenta, costante, studiata e seguita,<br />

può re-immettere nel circuito<br />

virtuoso della contribuzione anche<br />

persone appartenenti a fasce sociali<br />

Le borse di Susana<br />

Arrivata dall’Argentina, aveva<br />

vent’anni di esperienza di lavoro<br />

nel settore calzaturiero. Grazie<br />

a un finanziamento di PerMicro,<br />

la donna ha aperto a <strong>Torino</strong><br />

un negozio di riparazioni<br />

di <strong>scarp</strong>e e borse,<br />

dove lavora insieme al marito<br />

deboli e svantaggiate.<br />

Microcredito, occasione di riscatto.<br />

Ma può anche essere leva di promozione<br />

dell’impresa sociale, e più in<br />

generale della microimpresa?<br />

Per sua natura il microcredito si divide<br />

in “sociale” (mira ad aumentare il livello<br />

di inclusione sociale e finanziaria<br />

delle persone in difficoltà) e “d’impresa”<br />

o “imprenditoriale”. In questo<br />

caso il riferimento è a tutte le norme e<br />

gli strumenti, nazionali e regionali, che<br />

prevedono la concessione di incentivi<br />

mirati all’avvio e al consolidamento di<br />

attività microimprenditoriali, anche


L’esperienza di Calabria Etica<br />

Una rete Amica di chi è in difficoltà<br />

«Ma il futuro sono le piccole aziende»<br />

Domenico non aveva una pensione esagerata, ma non aveva<br />

quasi mai avuto problemi economici, finché era stato bene.<br />

Poi, quando all’ospedale di Crotone gli hanno diagnosticato<br />

un tumore, non ce l’ha più fatta e si è rivolto a Calabria Etica.<br />

Lo stesso è successo a Lucia e Antonio. Sposati, laureati, ma<br />

precari, dovevano ristrutturare la loro piccola casa, nei pressi<br />

di Catanzaro, per accogliere il nuovo arrivato Marco.<br />

Guadagnavano a sufficienza per restituire un prestito, ma<br />

nessuna banca li considerava affidabili. E anche loro hanno<br />

dovuto chiedere aiuto.<br />

Calabria Etica è una fondazione di solidarietà sociale che<br />

dal 2007 ha avviato un progetto di microcredito, AMiCa, in<br />

collaborazione con le <strong>Caritas</strong> di Catanzaro, Crotone, Lamezia<br />

Terme, Rossano e del capoluogo Reggio. Con l’appoggio di<br />

Banca Etica, eroga prestiti a scopo socio-assistenziale (da<br />

mille a 5 mila euro) e finanziamenti per la piccola impresa<br />

(da 5 a 15 mila euro). «Dalla prima categoria proviene la<br />

maggior parte delle richieste, dato allarmante – spiega la<br />

responsabile, Marinella Marino –: la povertà colpisce, nella<br />

nostra regione, fasce di popolazione sempre più ampie».<br />

La maggior parte dei prestiti di Azione MIcrocredito<br />

da parte di soggetti svantaggiati, che<br />

abbiano un organico inferiore a 10<br />

persone e presentino un fatturato-bilancio<br />

annuo non superiore ai 2 milioni<br />

di euro. Va da sé che i finanziamenti,<br />

in questo caso, sono molto più elevati<br />

di quelli previsti nel caso del microcredito<br />

sociale.<br />

Le più recenti analisi dicono che l’Italia,<br />

rispetto agli altri paesi d’Europa,<br />

è ancora arretrata, in termini sia<br />

di microcrediti erogati che di portafogli.<br />

Quali barriere si frappongono,<br />

nel nostro sistema bancario,<br />

economico e sociale, alla diffusione<br />

del microcredito?<br />

Il microcredito è la strada maestra per<br />

risollevare l’economia globale dalla<br />

pesante crisi attuale. Per essere efficace<br />

e sviluppare produttività, però, non<br />

può essere confuso né con il credito al<br />

consumo e i piccoli prestiti che agevolano<br />

il mènage familiare, né con la beneficenza.<br />

È un sistema di credito che<br />

va disciplinato da una normativa ad<br />

hoc, in Italia ancora non compiutamente<br />

sviluppata. La direttiva approvata<br />

dal consiglio dei ministri rappre-<br />

« Il microcredito<br />

rivaluta<br />

la centralità<br />

della persona.<br />

Ci stiamo<br />

dotando<br />

di leggi<br />

adeguate»<br />

senta un primo tentativo del governo<br />

di definire la sfera d’azione del microcredito<br />

e individuare le tipologie esistenti<br />

nel paese. La direttiva afferma<br />

alcune priorità: rilancio degli istituti<br />

di sostegno alla persona nelle situazioni<br />

di difficoltà economica determinate<br />

o inasprite dalla crisi; realizzazione<br />

di un contesto economico<br />

aperto e inclusivo, che favorisca la<br />

creazione di una società più equa e<br />

solidale; governance degli strumenti<br />

microfinanziari attivati a livello centrale<br />

e locale; infine, attivazione del<br />

necessario monitoraggio degli inter-<br />

microcredito<br />

Calabria serve dunque a soggetti difficilmente bancabili,<br />

selezionati dalle <strong>Caritas</strong>, per uscire da momenti difficili.<br />

Ma ci sono anche storie come quella di Giuseppe, che a<br />

Calabria Etica si è rivolto per far fare il salto di qualità al bar<br />

che aveva aperto da poco e che, grazie ai 15 mila euro<br />

ottenuti, è diventato in breve un punto di riferimento del suo<br />

paese. «Caso emblematico – afferma convinto il presidente<br />

di Calabria Etica, Luigi Bulotta –: una cifra non enorme può<br />

aiutare un giovane imprenditore a non emigrare da una terra<br />

di povertà come la nostra. In tre anni i prestiti per<br />

microimprese sono stati una decina, per il futuro puntiamo<br />

forte su questa attività».<br />

Bulotta è al lavoro per allargare il progetto anche alle<br />

altre <strong>Caritas</strong> diocesane calabresi. Inoltre punta a stipulare<br />

nuove convenzioni con altri istituti bancari, da affiancare a<br />

Banca Etica, per avere tassi più vantaggiosi e aumentare il<br />

fondo di garanzia, che oggi ammonta a 100 mila euro. «Il<br />

progetto ha generato parecchi consensi e ora vogliamo<br />

espanderci – conclude –. Con le banche all’inizio non è stato<br />

facile, ma ora sembrano meglio predisposte nei confronti di<br />

questo strumento». (pr)<br />

venti che promuovono microcredito<br />

e microfinanza.<br />

A che punto è questo strumento?<br />

La direttiva è stata ufficializzata a settembre.<br />

Tra le altre cose, indirizza tutti<br />

gli enti e le istituzioni a servirsi del<br />

Comitato nazionale italiano permanente<br />

per il micorcredito quale strumento<br />

di studio del fenomeno e di diffusione<br />

di modelli progettuali e operativi.<br />

Atto diverso, invece, è il decreto<br />

legislativo n. 141, che attua una direttiva<br />

europea in materia. La nuova disciplina<br />

affida anche ai soggetti senza<br />

fini di lucro la possibilità di realizzare<br />

il microcredito. Dopo Francia e Romania,<br />

l’Italia è dunque il terzo paese dell’Unione<br />

ad avere una legislazione ad<br />

hoc sul microcredito: attraverso questa<br />

riforma, ha dimostrato ancora una<br />

volta una particolare attenzione verso<br />

gli strumenti di politica economica di<br />

lotta alla povertà e all’esclusione sociale.<br />

Tanto però deve ancora essere<br />

fatto: per esempio sulle questioni fiscali<br />

inerenti il microcredito, o attraverso<br />

la costituzione di fondi di garanzia<br />

pubblici. .<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .63


1 ventunosocietà<br />

In arrivo 200 nuovi casinò on line. I debiti delle famiglie<br />

aumentano, ma il gioco d’azzardo non conosce crisi...<br />

Piovono<br />

scommesse<br />

di Max Mandello e Franco Schiena<br />

La notizia è passata quasi in sordina, mentre sulle spiagge si piegavano<br />

gli ombrelloni. Da fine agosto sono on line le versioni per la rete del Casinò di Venezia<br />

e di quello di Sanremo. Ma attenzione: è solo un’avanguardia. In internet, se<br />

supereranno alcuni scogli di natura giuridico-amministrativa, sono attesi, dal prossimo<br />

mese di marzo, altri 200 casinò virtuali. Ovviamente certificati, se le procedure<br />

avviate dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di stato (Aams) supereranno<br />

lo scoglio del Tar (potremmo scommettere anche su questo...).<br />

Torneranno così “legali” i siti internet di migliaia di casinò on line, che erano<br />

stati oscurati dopo l’approvazione della Finanzaria 2006, che aveva di fatto bloccato<br />

questi sistemi di gioco. Poker, slot machine, casinò virutali. Tutto parrebbe pronto,<br />

dunque, per ripartire. «Sarà possibile giocare in qualunque momento e in qua-<br />

lunque luogo – dice il sociologo Maurizio<br />

Fiasco, consulente della Consulta<br />

delle fondazioni antiusura e da anni attento<br />

osservatore del fenomeno del gioco<br />

d’azzardo –, visto che si potrà anche<br />

fare a meno dello stesso computer e del-<br />

64. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

la connessione Adsl: basterà uno<br />

smartphone, un telefonino evoluto da<br />

tenere nel taschino». I casinò virtuali<br />

(che, secondo il sociologo, «surclasseranno<br />

presto» i sempre più in crisi ca-<br />

Un popolo<br />

di giocatori<br />

55%<br />

la quota di giocatori sull’intera<br />

popolazione italiana<br />

700 mila<br />

la stima dei giocatori patologici,<br />

applicando i criteri dell’Oms<br />

+7%<br />

aumento tra i giovani nel 2008-2009<br />

68%<br />

la percentuale degli studenti italiani<br />

tra i 16 e i 19 anni che hanno tentato<br />

la fortuna almeno una volta<br />

Fonti: Cnr e Nomisma


sinò italiani di Sanremo, Campione d’Italia,<br />

Venezia e Saint-Vincent), sono<br />

inoltre destinati ad aprire nuovi scenari<br />

sul terreno estremamente mobile e volubile<br />

della patologia da gioco d’azzardo.<br />

«La spesa d’investimento è talmente<br />

modesta (un milione e mezzo di euro)<br />

che è facile prevedere un boom di<br />

iniziative dei biscazzieri – prevede Fiasco<br />

–. Sarà la combinazione tra tecnologia<br />

e gioco a fare la differenza. Facile<br />

prevedere che i casinò on line genereranno<br />

anche una più rapida e potente<br />

compulsività. Coinvolgeranno nuovo<br />

pubblico, colpendo target di mercato<br />

“vergini” e incrementando in proporzioni<br />

fantastiche il reclutamento di altre<br />

fasce di popolazione e l’indurimento<br />

della dipendenza psicologica».<br />

Soldi, soldi, soldi<br />

Nell’Italia del declino economico, della<br />

disoccupazione a livelli sbalorditivi, dei<br />

consumi ridotti al lumicino, una sola<br />

impresa pare dunque non conosce crisi:<br />

quella del gioco.<br />

Per quanto possa sembrare paradossale,<br />

gli italiani, che secondo l’Istat<br />

hanno addirittura cominciato a ridurre<br />

gli acquisti alimentari, nei primi sei mesi<br />

del <strong>2010</strong> hanno invece speso (per lotto,<br />

supernealotto, gratta e vinci, Win for<br />

life e simili) il 14% in più rispetto alla prima<br />

metà del 2009 (dati ufficiali dei Mo-<br />

ll j’accuse di monsignor Alberto D’Urso<br />

Le Fondazioni antiusura:<br />

«La politica apra gli occhi»<br />

«La diffusione di massa del “gioco d’azzardo legale” è tra<br />

le prime cause dell’indebitamento delle famiglie. Ed è l’anticamera<br />

del ricorso al prestito usuraio». Monsignor Alberto D’Urso, segretario<br />

della Consulta nazionale antiusura (che riunisce 27 fondazioni di matrice<br />

cattolica), non poteva essere più esplicito. E le sue parole, pronunciate<br />

davanti alla Commissione parlamentare antimafia, a fine giugno, hanno<br />

fatto rumore.<br />

Monsignor D’Urso, il suo j’accuse sugli intrecci tra l’aumento della spesa<br />

delle famiglie italiane per le scommese e la diffusione dell’usura è<br />

stato netto. Quel è stata la reazione dei parlamentari presenti?<br />

Ho notato un silenzio imbarazzato. Probabilmente non si aspettavano che<br />

fossi così esplicito. Il che mi sorprende, perché è almeno da dieci anni<br />

che la Consulta mette in luce lo stretto rapporto tra gioco d’azzardo<br />

legale e prestito illegale, in gran parte in mano alla malavita. Da allora<br />

avremmo fatto centinaia di comunicati. Mi chiedo, francamente, dove<br />

fossero i nostri politici, mentre noi pubblicamente segnalavamo<br />

l’emergere di queste connessioni.<br />

Che spiegazione si è dato di tanta distrazione da parte del nostro ceto<br />

politico?<br />

C’è senza dubbio un disinteresse generale dei più, e un interesse<br />

privatissimo di pochi.<br />

A che cosa si riferisce?<br />

Non voglio fare i nomi. Ma basta buttare un occhio nei cda delle società<br />

che gestiscono i bingo, o i casinò, per trovare spesso ai vertici uomini<br />

politici. Esiste un intreccio d’interessi diretto tra alcuni spezzoni della<br />

politica, trasversali agli schieramenti, e quello che io continuo a<br />

chiamare gioco d’azzardo. C’è poi l’interesse dello stato che dai giochi,<br />

tassandoli, guadagna denaro per le proprie casse. Un interesse evidente<br />

e che pare irrinunciabile se portò, durante un incontro pubblico, anche un<br />

uomo colto e raffinato, come Giuliano Amato, all’epoca ministro del<br />

tesoro, a liquidarmi dicendomi: «Monsignore, di quei soldi lo stato ha<br />

bisogno…».<br />

Siete in grado di documentare l’interconnessione tra gioco e usura?<br />

Esistono molti di studi di sociologi e psicologi, con i quali collaboriamo,<br />

secondo cui ormai i giocatori compulsivi sono tra il 3 e il 4% delle<br />

persone che si avvicinano al gioco. I “compulsivi” sono paragonabili ai<br />

tossicodipendenti. Dipendono dal gioco, come un tossicomane dipende<br />

dalle sostanze. E sono pronti a tutto, pur di tornare a ripetere<br />

l’esperienza adrenalinica della scommessa. Queste persone, quando<br />

hanno esaurito le proprie risorse economiche, fatalmente cadono nelle<br />

mani degli strozzini. Gli operatori delle fondazioni antiusura possono<br />

raccontare centinaia di storie di famiglie distrutte dai drogati di gioco.<br />

Non solo. Orami le sale scommesse, spuntate come funghi nelle nostre<br />

città, sono uno dei teatri di azione privilegiati degli usurai. Loro, o più<br />

spesso i loro mandatari, si appostano in questi luoghi in attesa della<br />

preda che, naturalmente, aggrediscono quando ha ancora qualcosa da<br />

dare: denaro, o più spesso un’attività o una casa. Quando lo stato fa il<br />

bilancio degli incassi dei giochi per l’erario, dovrebbe considerare sia i<br />

costi sociali di questa attività, deviata nelle sue forme patologiche, sia il<br />

volano che essa rappresenta proprio per gli affari illeciti che sul fronte<br />

repressivo lo stato stesso tenta di contrastare. Invece ci si accontenta<br />

di assicurare parte di questi proventi alle campagne di prevenzione.<br />

Francamente, è davvero poco. .<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .65


ventunosocietà<br />

66.<br />

nopoli di stato), che già era stato un anno<br />

record. A parere degli esperti questo<br />

ulteriore balzo in avanti, che si somma a<br />

una lunga serie di performance positive,<br />

farà raggiungere alla fine dell’anno al<br />

business del gioco la cifra di 60 miliardi<br />

di euro (erano 53,4 nel 2009), equivalenti<br />

a mille euro di spesa media annua per<br />

ogni italiano, record mondiale del settore.<br />

Una somma enorme, quattro volte e<br />

mezzo superiore a quella del 2001. Equivalente,<br />

giusto per fare un paragone, a<br />

più del doppio della manovra finanziaria<br />

correttiva approvata in estate dal governo<br />

(25 miliardi di euro).<br />

In termini assoluti, con 4,5 miliardi<br />

di euro di soldi giocati, l’on line non è il<br />

settore che ha incassato di più, ma è<br />

quello che in termini di crescita percentuale<br />

nel <strong>2010</strong> ha dato le soddisfazioni<br />

maggiori. Già, soddisfazioni? Ma per<br />

chi? Chi ci guadagna davvero, con il<br />

boom del gioco?<br />

Le sale come i funghi<br />

Senza dubbio a sorridere sono i Monopoli<br />

di stato (e attraverso di esso il fisco)<br />

e i concessionari (cioè le aziende a cui lo<br />

stato ha dato la concessione per gestire<br />

i giochi). Ma, a voler essere più precisi,<br />

in realtà più i secondi che i primi. Dal<br />

momento che, pur di favorire lo sviluppo<br />

dei giochi e la potente lobby che li<br />

controlla, legata spesso a doppio filo<br />

con la politica, i governi di destra e di sinistra<br />

dell’ultimo decennio hanno scelto<br />

di tenere bassa la pressione fiscale<br />

<strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

sulle nuove scommesse via via introdotte,<br />

tassandole in alcuni casi con la stessa<br />

aliquota, il 4%, che viene applicata sui<br />

generi di prima necessità.<br />

Assai poco ha guadagnato dalla<br />

smania del gioco, invece, chi lo ha alimentato<br />

con le proprie sostanze (grandi<br />

e piccole, più spesso piccolissime): i<br />

cittadini. «Benché il 60% della spesa torni<br />

nelle tasche dei giocatori, i soldi vinti,<br />

in gran parte piccole vincite, vengono rimessi<br />

nel circuito del gioco – dice ancora<br />

Maurizio Fiasco –. Le indagini dimostrano<br />

che a tentare la fortuna sono<br />

spesso persone di ceti sociali mediobassi,<br />

poco scolarizzate, con scarso potere<br />

di acquisto, che evidentemente sperano,<br />

irrazionalmente, nel colpo di Fortuna<br />

per mutare la propria condizione<br />

di vita».<br />

Chi, senza dubbio, non ha guadagnato<br />

nulla sono i giocatori patologici.<br />

«Si tratta di persone comuni, che sviluppano<br />

nei confronti del gioco una dipendenza<br />

molto simile a quella dei tossicomani<br />

per le sostanze: il brivido della<br />

scommessa è in grado di sollecitare, come<br />

fa ad esempio la cocaina, una zona<br />

del nostro cervello che produce dopamina<br />

ed endorfine, molecole che danno<br />

sensazioni piacevoli. Sensazioni che,<br />

proprio perché procurano benessere,<br />

ogni volta l’individuo tenta di sperimentare<br />

di nuovo», spiega Michele Sforza,<br />

psicoterapeuta e psicanalista della casa<br />

di cura “Le Betulle”, clinica privata di Appiano<br />

Gentile, in provincia di Como,<br />

I numeri<br />

del gioco<br />

60 miliardi<br />

il giro di affari, in euro, previsto in<br />

Italia per il <strong>2010</strong>; erano 53,4 miliardi<br />

nel 2009. La spesa media annua per<br />

ogni italiano è di 890 euro<br />

300%<br />

l’aumento delle scommesse sportive<br />

dal 2004 al 2008<br />

580%<br />

l’aumento delle apparecchiature<br />

elettroniche dal 2004 al 2008<br />

2600<br />

le sale scommesse in Italia<br />

+15%<br />

l’aumento delle sale tra 2008 e 2009<br />

specializzata nella cura della depressione,<br />

e da alcuni anni anche delle dipendenze<br />

da gioco.<br />

Ma quanti sono i “drogati dal gioco”?<br />

Secondo le stime dell’Organizzazione<br />

mondiale della sanità, sarebbero l’1,5%<br />

dei giocatori. Quindi, in Italia, più di 700<br />

mila persone.<br />

Il ruolo delle <strong>Caritas</strong><br />

Tra i primi a puntare il dito sugli effetti<br />

sociali della sbornia da gioco, già negli<br />

scorsi anni, sono stati i centri d’ascolto<br />

<strong>Caritas</strong> e le Fondazioni antiusura di matrice<br />

cattolica. Ultimamente il direttore<br />

della Conferenza nazionale che le riunisce,<br />

monsignor Alberto D’Urso, ha denunciato,<br />

davanti ai parlamentari della<br />

Commissione antimafia, il dramma del<br />

crescente indebitamento e dell’accesso<br />

al prestito usuraio delle famiglie rovinate<br />

dal gioco.<br />

Luciano Gualzetti, vicedirettore di<br />

<strong>Caritas</strong> Ambrosiana e presidente della<br />

Fondazione san Bernardino, promossa<br />

dai vescovi lombardi, conferma: «Ai nostri<br />

centri e sportelli si rivolgono sempre<br />

più spesso persone che hanno dilapidato<br />

i loro conti correnti per effetto delle<br />

scommesse. Si tratta spesso di gente già<br />

disagiata: pensionati che si sono fatti<br />

prendere la mano dai gratta e vinci, cassintegrati<br />

che si sono buttati sulle slot<br />

machine, con la speranza di recuperare<br />

alla macchinette il reddito perso sul lavoro».<br />

Vittime due volte: di storie difficili,<br />

e della Fortuna. .<br />

Fonti: Aams,Censis e Camera di Commercio di Milano<br />

2


1 ventunobrevi<br />

Studio di Sos Impresa<br />

Commerciante,<br />

sotto i 50:<br />

è la vittima dell’usura<br />

Uomini, non ancora cinquantenni<br />

e provenienti prevalentemente<br />

dal sud e dalle isole, di professione<br />

commercianti o imprenditori. È questo<br />

l’identikit della vittima di usura, in<br />

base a uno studio condotto per la<br />

terza volta da Sos Impresa. L’indagine<br />

– basata sull’elaborazione di dati in<br />

parte provenienti da Unioncamere<br />

e in parte dalle denunce pervenute<br />

alle prefetture e alla Commissione<br />

antiracket – rileva che le vittime sono<br />

nel 73% dei casi uomini e nel 27%<br />

donne. Nell’83% dei casi, invece, l’età<br />

è inferiore ai 50 anni, con punte<br />

del 31% nella fascia 31-40 e con<br />

un preoccupante 22% nella fascia<br />

al di sotto dei 30. Nel 52% dei casi<br />

le vittime risiedono nel sud Italia e<br />

nelle isole, nel 26% nel centro, nel<br />

18% nel nord Italia e nel 4% vengono<br />

dall’estero. Sono i commercianti,<br />

inoltre, le principali vittime di usura,<br />

seguiti da imprenditori e artigiani,<br />

con percentuali pari rispettivamente<br />

ConsumAttori<br />

al 46%, al 30% e al 10%. Tra le<br />

professioni rappresentate, tuttavia,<br />

non mancano i lavoratori dipendenti<br />

che si attestano a quota 7%. Quanto<br />

allo stato dell’attività professionale,<br />

nel 70% dei casi risulta in attivo<br />

e nel restante 30% cessata<br />

[redattore sociale].<br />

Rapporto Italia in Tavola<br />

Agroalimentare,<br />

business appetibile<br />

per la criminalità<br />

«I dati sulla difesa della sicurezza<br />

alimentare dimostrano come questa<br />

battaglia per la legalità sia necessaria<br />

per tutelare la salute dei cittadini,<br />

ma anche per proteggere dalla lunga<br />

mano dei truffatori e della criminalità<br />

organizzata un comparto importante<br />

come l’agroalimentare». È questo<br />

il commento di Francesco Ferrante,<br />

della segreteria nazionale<br />

di Legambiente e senatore Pd,<br />

al rapporto “Italia a tavola <strong>2010</strong>”,<br />

il rapporto di Legambiente e<br />

Movimento difesa del cittadino<br />

sulle illegalità che colpiscono il cibo<br />

made in Italy, e non solo.<br />

a cura del Movimento Consumatori tel. 06.48.80.053 - info@movimentoconsumatori.it<br />

Mediaset Premium, aumenti illegittimi<br />

Aumenti illegittimi da parte delle televisioni<br />

Mediaset. L'Antitrust, accogliendo le richieste<br />

avanzate dal Movimento Consumatori, ha accertato<br />

che Rti del gruppo Mediaset ha realizzato una<br />

variazione tariffaria “mascherata da una mera<br />

modifica dei programmi televisivi”, condannando la<br />

società al pagamento della sanzione di 130 mila euro.<br />

Il fatto: Rti nel mese di gennaio <strong>2010</strong> ha introdotto<br />

nel pacchetto “Mediaset Premium Gallery”<br />

due nuovi canali cinema, denominati “Cinema Energy”<br />

e “Cinema Emotion”, aumentando il canone<br />

di 2 o 4 euro al mese (a seconda del tipo di<br />

abbonamento in essere).<br />

L’aumento del prezzo è avvenuto con il meccanismo<br />

del silenzio-assenso, a seguito dell’invio di una lettera<br />

anonima e dal contenuto del tutto assimilabile<br />

a un messaggio pubblicitario, con la quale non è stato<br />

«Non è un caso che a crescere siano<br />

proprio le falsificazioni dei prodotti<br />

tipici certificati e di quel made in Italy,<br />

famoso in tutto il mondo, che<br />

alimenta buona parte delle nostre<br />

esportazioni – rileva Ferrante –. Con<br />

particolare attenzione vanno quindi<br />

difese dalle frodi le nostre piccole<br />

e medie aziende, che rappresentano<br />

il target più sensibile per le mire<br />

dei gruppi organizzati, che speculano<br />

sul settore con profitti di milioni<br />

di euro». Il rapporto “Italia a tavola<br />

<strong>2010</strong>” «conferma che il business<br />

dell’agroalimentare è sempre<br />

più appetibile per la criminalità<br />

organizzata e l’industria della<br />

contraffazione, a causa del valore<br />

crescente in termini economici<br />

del Made in Italy – aggiunge Antonio<br />

Longo, presidente del Movimento<br />

difesa del cittadino –. Per fortuna<br />

il rapporto ci conferma anche<br />

che il sistema dei controlli funziona<br />

e lavora bene, nonostante il taglio<br />

di fondi e di uomini e nonostante<br />

l'incredibile cancellazione<br />

dell’Agenzia nazionale per<br />

la sicurezza alimentare».<br />

correttamente segnalato che si trattava<br />

di un aumento tariffario che consentiva<br />

all’abbonato di recedere dal contratto.<br />

Considerata la grave illegittimità del comportamento<br />

tenuto da Rti, il Movimento Consumatori chiederà<br />

al Tribunale di Roma di inibire l’applicazione delle<br />

nuove tariffe e di informare tutti gli abbonati del<br />

diritto di ottenere in restituzione quanto corrisposto<br />

in seguito agli illegittimi aumenti tariffari.<br />

Se il gruppo Mediaset non restituirà spontaneamente<br />

gli illegittimi aumenti delle tariffe, l’associazione<br />

si vedrà costretta a promuovere una class action<br />

per tutelare i consumatori danneggiati.<br />

Il Movimento Consumatori invita tutti coloro<br />

che intendano ottenere il rimborsi da Rti a contattare<br />

l’associazione a questo indirizzo:<br />

azioni.collettive@movimentoconsumatori.it<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .67


ventun<br />

righe<br />

Credito: affermare un diritto sociale<br />

Il microcredito, in Italia, non gode di una grande attenzione mediatica. Eppure<br />

l’esperienza di molte <strong>Caritas</strong> diocesane mostra che, quando è rettamente inteso,<br />

è realmente uno strumento dell’economia solidale, e un mezzo efficace nella lotta<br />

alla povertà. Perché il ricorso al microcredito non sia più una scelta di nicchia,<br />

è necessario però un cambiamento culturale, al quale possono contribuire comunità<br />

cristiane e soggetti della società civile. La recente approvazione di una norma sul<br />

microcredito, da parte del governo, va in questa direzione (anche se essa accomuna<br />

il microcredito “sociale” e quello per le piccole imprese, che dovrebbero invece<br />

essere oggetto di discipline differenti, e inoltre non considera<br />

e non valorizza il ruolo sussidiario del terzo settore, pur riconoscendo ai soggetti<br />

non profit la possibilità di fare microcredito).<br />

Il cristiano sa che il dono è una scelta evangelica, espressione piena di carità.<br />

Ma accanto al dono c’è una solidarietà più complessa, che si fonda su una<br />

relazione e un accompagnamento che sollecitano responsabilità e “restituzione”<br />

da parte di chi riceve. E che considerano le garanzie collaterali che possono essere<br />

fornite da un soggetto in difficoltà economica, senza concentrarsi solo sulle<br />

garanzie patrimoniali, fondamentali ed esclusive per l’accesso al credito<br />

“tradizionale”. Il microcredito, insomma, punta ad attivare le persone beneficiarie:<br />

rende effettivo un diritto sociale, in quanto strumento che aiuta il cittadino<br />

a riappropriarsi della dignità e del futuro, sovente negati da un sistema bancario<br />

che agisce orientato al profitto, rinunciando a contribuire alla lotta a povertà e usura.<br />

68. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

di Andrea La Regina<br />

<strong>Caritas</strong> Italiana


Le dritte di<br />

Yamada<br />

Quest’agosto mi hanno tenuto compagnia<br />

due libri meravigliosi, scelti appositamente per la loro<br />

estrema cromìa: uno con la copertina tutta nera<br />

(Everyman, di Philip Roth), l’altro con la copertina tutta<br />

bianca (Lo spazio bianco, di Valeria Parrella).<br />

Al libro tutto nero giravo intorno da tempo. Non avevo<br />

ancora letto nulla di Roth – uno dei più grandi scrittori<br />

americani viventi – e di sicuro ho cominciato dal suo<br />

libro più feroce e senza maschera. Il libro tutto bianco<br />

è stata, invece, una necessità, un approdo<br />

sorprendente e benedetto, che mi ha dato asilo svelandosi<br />

vivo. Batteva il cuore di questo librino<br />

abbacinante, e batteva nella mia borsa, nella mia<br />

mente, in metropolitana di giorno, sul comodino di<br />

notte: non l’ho mai lasciato, ho vegliato sulla vicenda<br />

che stava succedendo, riga dopo riga.<br />

Protagonista della storia è Maria, quarantaduenne<br />

che la letteratura medica definirebbe “primipara<br />

attempata”, insegnante di materie letterarie in una<br />

scuola media serale di Napoli. È una donna piena di<br />

interessi, molto consapevole del ruolo che lo studio<br />

avrebbe giocato nella realizzazione di sé: figlia di<br />

operaio negli anni Settanta, “proprio per questo<br />

si intestardisce sui libri,diventando parte di quella<br />

generazione dello scarto intellettuale, che aveva in<br />

dotazione un’arroganza di fondo”. La sua biografia di<br />

bambina è uno spaccato sociologico dell’Italia di quegli<br />

anni: il rapimento di Aldo Moro, una zia emigrata a<br />

<strong>Torino</strong>, sua madre a cui viene iniettato una dose di Vaccino<br />

Sclavo contro il colera, e suo padre che porta tutta<br />

la famiglia trenta chilometri più a sud di Napoli perché<br />

lì, nello stabilimento della Cirio, c’è il lavoro. Maria<br />

patisce la chiusura della provincia “immobile”. Ha<br />

nostalgia di Napoli “e del suo trionfo di umanità che ti<br />

abbraccia e poi ti scarica”. Nella sua famiglia si mescolano<br />

le lotte di fabbrica del padre, al tavolo coi dirigenti,<br />

e i “mezzucci con cui insieme a mia madre brigava perché<br />

finissi nella migliore sezione del Magistrale”.<br />

Uomini<br />

in fuga,<br />

volti e paure<br />

Storie di uomini<br />

e donne in fuga.<br />

E di un’Italia<br />

divisa tra paura<br />

e solidarietà.<br />

Le racconta<br />

la portavoce<br />

dell’Alto<br />

commissariato<br />

Onu per i rifugiati<br />

(Unhcr), l’italiana<br />

Laura Boldrini.<br />

Lunga esperienza<br />

nelle battaglie<br />

a favore di<br />

richiedenti asilo e<br />

rifugiati, l’autrice<br />

si chiede cosa<br />

spinga migliaia di<br />

persone a cercare<br />

di raggiungere le<br />

frontiere italiane,<br />

sfidando ogni<br />

genere di pericolo.<br />

E cosa sappiamo<br />

davvero di loro, se<br />

dobbiamo averne<br />

paura, se sia<br />

giusto respingerli.<br />

Laura Boldrini<br />

Tutti indietro<br />

Rizzoli<br />

pagine 252<br />

Euro 18<br />

Riesce a sgusciargli via, quando si iscrive a Lettere, potendo così ritornare a Napoli. Si<br />

laurea, e sceglie di lavorare come insegnante in una scuola serale. Le mancano tre<br />

mesi al parto quando una sera sente un dolore “rotondo e forte” che l’allarma: decide<br />

di salire la strada degli Incurabili, che porta a un pronto soccorso, da dove viene trasferita<br />

in ambulanza in un centro specializzato. Lì le fanno un cesareo che separa lei dalla<br />

sua bambina prematura. Aspetterà quaranta giorni per sapere se Irene riuscirà a<br />

respirare, e tutto quello che si legge nel libro sono i pensieri di Maria in questo tempo<br />

d’attesa che la prende per mano e la trasforma, da “buco vuoto che ogni mattina<br />

prendeva una metropolitana per l’ospedale”, in madre. Non svelo niente, vi lascio scoprire<br />

cosa accade alla protagonista: i suoi giorni all’apparenza pieni di gesti ripetuti,<br />

i suoi amici e i suoi alunni preoccupati per lei, i caffè bevuti alla macchinetta, le sigarette<br />

sbuffate da una finestra lunga e stretta, da dove Napoli si prende in carico lo<br />

sguardo dolorante di Maria e lo distrae, con la sua bellezza “involontaria e infame”.<br />

Questa storia ve la porterete appresso, come è successo a me. .<br />

LO SPAZIO BIANCO di Valeria Parrella, Einaudi,<br />

collana super T, 10 euro<br />

Forse<br />

era meglio<br />

non partire...<br />

Quando arrivano<br />

nel Belpaese,<br />

attraversando<br />

la frontiera dopo<br />

una lunga corsa<br />

a ostacoli (spesso<br />

drammatica), dopo<br />

poco tempo si<br />

rendono conto<br />

che forse era<br />

meglio non partire<br />

affatto. Questo è<br />

il senso delle<br />

testimonianze<br />

di alcuni ottimi<br />

scrittori stranieri,<br />

che raccontano la<br />

loro esperienza di<br />

migrante in Italia.<br />

Sedici storie,<br />

scritte con incisiva<br />

lucidità, ironia.<br />

E pochi lampi di<br />

ottimismo.<br />

Autori vari<br />

Permesso<br />

di soggiorno.<br />

Gli scrittori stranieri<br />

raccontano l’Italia<br />

Ediesse<br />

Pagine 201<br />

Euro 10<br />

lo scaffale<br />

Un naso<br />

davvero<br />

speciale<br />

Il naso del<br />

pagliaccio Miloud<br />

Oukili è un naso<br />

speciale: ha<br />

percorso le strade<br />

della Romania,<br />

incontrando<br />

i ragazzi che<br />

sulla strada sono<br />

costretti a viverci<br />

e a morire. Il libro<br />

racconta la storia<br />

di Ciprian, bambino<br />

di Bucarest<br />

rimasto in strada<br />

a 10 dieci anni.<br />

L’incontro con<br />

Miloud lo salverà.<br />

Il ricavato del libro<br />

va alla Fondazione<br />

Parada Italia,<br />

attiva nel<br />

nostro paese<br />

per sostenere<br />

i progetti di Parada<br />

Bucarest.<br />

Anna Bulgarelli<br />

e Caterina<br />

Lopreiato<br />

Un naso davvero<br />

speciale<br />

Monti<br />

Pagine 63<br />

Euro 11


On<br />

E in India la prigione<br />

diventa laboratorio commerciale<br />

Poche prigioni possono vantare un<br />

proprio brand riconosciuto, una catena<br />

di negozi e un sito di vendite online<br />

come il carcere di Tihar, a Nuova Delhi,<br />

in India. Il marchio TJ infatti, che sta<br />

per Tihar Jail, può essere riconosciuto<br />

su mobili, snack, prodotti da forno e<br />

vestiti. La merce realizzata nel carcere<br />

di Tihar sta incontrando un grande<br />

successo di vendite; per questo<br />

i responsabili vogliono espandere<br />

il mercato, aprendo un negozio online.<br />

I carcerati di Tihar ogni giorno<br />

producono 1.200 pani, tre quintali di<br />

patatine, cinque di salatini e oltre 90<br />

chili di biscotti. Lo scorso anno sono<br />

stati fabbricati oltre mille banchi per le<br />

scuole della città. I detenuti-operai,<br />

che lavorano otto ore al giorno, sei<br />

giorni alla settimana, vengono pagati<br />

in base alle loro abilità, mentre i profitti<br />

derivanti dalla vendita dei prodotti<br />

vengono destinati alle spese correnti<br />

di mantenimento del penitenziario.<br />

Off<br />

Fitofarmaci in tavola<br />

oltre i limiti consentiti<br />

Il secondo rapporto di Legambiente,<br />

dal titolo Pesticidi nel piatto, lancia<br />

qualche serio allarme. Seppure<br />

Legambiente riconosca gli sforzi fatti<br />

dal nostro paese per un uso sostenibile<br />

dei fitofarmaci, allo stesso tempo<br />

evidenzia come, rispetto allo scorso<br />

anno, cresce la diffusione di verdura,<br />

frutta e derivati contaminati oltre<br />

il livello di sicurezza. In particolare, è<br />

stata rilevata una maggiore presenza<br />

di campioni multiresiduo (3% in più<br />

rispetto al 2009), ovvero quelli in cui<br />

sono contenuti contemporaneamente<br />

più residui chimici diversi. È la verdura<br />

a presentare maggiori criticità, con<br />

l’1,3% dei campioni fuori legge. Quello<br />

che ha colpito i ricercatori, però,<br />

è stata la presenza di un campione di<br />

insalata contaminato da tracce di Ddt,<br />

bandito in Italia dal 1978.<br />

70. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

Milano<br />

“Happy hour”<br />

multiculturali<br />

anche in periferia<br />

Nocetum è un’associazione che<br />

accoglie famiglie in difficoltà<br />

provenienti da tutto il mondo.<br />

Lo scopo dell’ospitalità è avviare<br />

all’autonomia e al lavoro le famiglie.<br />

Per questo al centro Nocetum,<br />

in via San Dionigi 77, si svolgono<br />

anche corsi di formazione e di lingua<br />

per persone straniere. Fra le tante<br />

iniziative del centro, una bella novità<br />

è costituita dagli “Happy hour<br />

multiculturali”, progetto pensato per<br />

far interagire le famiglie ospitate con<br />

i cittadini del quartiere. Le serate<br />

si propongono di favorire l’incontro<br />

e uno scambio culturale fra persone<br />

di popoli diversi: danze, musiche e<br />

filmati del paese prescelto, insieme<br />

a testimonianze e cibo “bio”.<br />

Una volta al mese: dopo il 9 <strong>ottobre</strong><br />

(protagoniste le cascine milanesi),<br />

il 20 novembre tocca alla Spagna.<br />

INFO www.nocetum.it<br />

Milano<br />

L’Africa<br />

che non ti aspetti<br />

nei viaggi di Macondo<br />

L’associazione Macondo per l’incontro<br />

e la comunicazione fra i popoli<br />

organizza un viaggio in Camerun,<br />

nell’Africa non raccontata dal mondo<br />

occidentale: dal 6 al 19 dicembre<br />

(ma occorre prenotare con largo<br />

anticipo), partenza da Milano. Scopo<br />

del viaggio è anche continuare<br />

il rapporto di collaborazione con<br />

i giovani dell’associazione africana<br />

Ajd (Associazione dei giovani per<br />

lo sviluppo) per la realizzazione del<br />

“Progetto Ngambè Tikar”, che prevede<br />

la costruzione di un centro sociale,<br />

luogo di ritrovo e di formazione per<br />

i giovani del villaggio africano.<br />

INFO bollettin.federico@libero.it<br />

Milano<br />

ArchéCucina,<br />

piccoli e grandi cuochi<br />

per i diritti dei bambini<br />

Sono aperte le iscrizioni al<br />

programma “ArchéCucina”, corsi<br />

di cucina per bambini e mamme<br />

organizzato dall’associazione<br />

omonima in collaborazione con<br />

Kitchen in via De Amicis 45 a Milano.<br />

Il ricavato dei corsi è a sostegno dei<br />

progetti sociali di Arché, associazione<br />

per i minori in difficoltà. L’iniziativa,<br />

alla sua prima edizione, prevede<br />

cinque incontri monotematici,<br />

condotti da Antonella Pavanello;<br />

tre sono riservati ai bambini<br />

dai 6 ai 12 anni e si svolgono il<br />

sabato pomeriggio dalle 16 alle 18.<br />

Programma degli incontri: 9 <strong>ottobre</strong>,<br />

“Facciamo la pasta”, 23 <strong>ottobre</strong>,<br />

“Facciamo i biscotti”, 20 novembre<br />

(Giornata dei diritti del bambino),<br />

“Giochiamo in cucina”. Due incontri<br />

sono invece riservati alle mamme<br />

e si svolgono il martedì mattina<br />

dalle 10 alle 13.<br />

INFO info@milanoarche.it<br />

<strong>Torino</strong><br />

“Salone del gusto”,<br />

esperienza che educa<br />

i palati e i consumi<br />

Ottava edizione per il “Salone del<br />

Gusto”, l’appuntamento per i palati<br />

raffinati e con l’occhio attento<br />

all’etica e all’ambiente. Anche<br />

quest’anno, infatti, il Salone si apre<br />

nel capoluogo piemontese<br />

su iniziativa dell’associazione<br />

“Terra Madre”. Il “Salone del Gusto”<br />

è forse l’unico luogo al mondo dove<br />

contadini e artigiani, il mondo della<br />

cultura accademica e cuochi, grandi<br />

cultori dell’enogastronomia e semplici<br />

neofiti si possono incontrare, dando<br />

vita a scambi e amicizie. È il luogo<br />

dove si realizza una fitta rete<br />

di relazioni, in nome di un cibo<br />

“sostenibile”: un evento educativo,<br />

quindi, ma soprattutto una festa,<br />

fatta per conoscere ciò che


mangiamo e per celebrare l’umanità<br />

che è coinvolta nella sua produzione.<br />

Dal 21 al 25 <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong>.<br />

INFO www.salonedelgusto.it<br />

<strong>Torino</strong><br />

Appuntamento<br />

con i giovani<br />

per la Pace<br />

Arriva a <strong>Torino</strong> la seconda tappa del<br />

terzo appuntamento mondiale Giovani<br />

della Pace in programma il 16 <strong>ottobre</strong><br />

<strong>2010</strong>. Tutti sono invitati in piazza San<br />

Carlo a partire dalle ore 14 con<br />

l’accoglienza dei partecipanti da parte<br />

delle Università torinesi, seguirà<br />

l’incontro: “Una buona notizia. Il<br />

mondo si può cambiare”. Parleranno<br />

non i soliti noti ma giovani e testimoni<br />

di questo tempo: solidarietà,<br />

responsabilità e pace saranno i temi<br />

dell’incontro collettivo al quale ci si<br />

può iscrivere sul sito<br />

INFO www.mondialedeigiovani.org<br />

Genova<br />

Festival della Scienza,<br />

edizione per riflettere<br />

sulla biodiversità<br />

Il <strong>2010</strong> è l’Anno internazionale della<br />

biodiversità: il Festival della Scienza<br />

di Genova (29 <strong>ottobre</strong> – 7 novembre)<br />

celebrerà la ricorrenza con una<br />

programmazione ricca di iniziative:<br />

mostre, laboratori per bambini,<br />

conferenze, eventi speciali e<br />

spettacoli. Il ricco programma<br />

ha l’obiettivo di sensibilizzare<br />

il cittadino sulle conseguenze sociali,<br />

economiche, ecologiche e culturali<br />

della perdita di biodiversità.<br />

INFO www.festivalscienza.it<br />

Genova<br />

Viaggio multimediale<br />

nelle suggestioni<br />

del Meditarraneo<br />

Fino al 7 novembre a Palazzo Ducale<br />

è possibile visitare la mostra<br />

“Meditazioni Mediterraneo. In viaggio<br />

attraverso sei paesaggi instabili”:<br />

è un itinerario nei sensi e nei luoghi<br />

del Mediterraneo, per comprendere<br />

atmosfere, suoni, arti e mestieri dei<br />

paesi e dei popoli che nel tempo<br />

Miriguarda<br />

di Emma Neri<br />

“Attraversare la città”: i giovani<br />

e i nuovi percorsi di cittadinanza<br />

Un gruppo di giovani, con culture, stili di vita, provenienze<br />

geografiche diversi, decide di intrapredere un cammino per scoprire<br />

luoghi nuovi. E conoscere persone impegnate a costruire una città più<br />

accogliente, solidale, interculturale. Non si<br />

tratta di un racconto, ma di un progetto che il<br />

Coe (Centro orientamento educativo), l’Azione<br />

cattolica del decanato di Zara, con<br />

l’Osservatorio sul Territorio, insieme a Scarp<br />

de’ <strong>tenis</strong>, hanno elaborato. L’iniziativa nasce dal<br />

desiderio di dare vita a un percorso capace di<br />

avvicinare le nuove generazioni ad alcuni luoghi<br />

nascosti della città di Milano, che senza dare<br />

spettacolo offrono speranza a molte persone<br />

in difficoltà, o promuovono dialogo<br />

interculturare, sostenendo che il concetto di<br />

cittadinanza, nel ventunesimo secolo, debba<br />

essere inclusivo e capace di integrazione,<br />

accoglienza e solidarietà. Come mette bene in<br />

luce (immagine a fianco) il disegno di Valentina<br />

Simonati (giovane artista dell’Accademia di<br />

Brera), il senso di Milano non può essere<br />

racchiusto solo nei suoi simboli. “Attraversare la città” vuole allora<br />

essere un percorso di educazione alla cittadinanza. Un cammino che<br />

parte dal pensiero del cardinale Carlo Maria Martini (pubblicato nel<br />

recente volume: Liberi di credere. I giovani verso una fede consapevole,<br />

In Dialogo, Milano 2009): “Attraversate la città contemporanea con il<br />

desiderio di ascoltarla, di comprenderla, senza schemi riduttivi e senza<br />

paure ingiustificate, sapendo che insieme è possibile conoscerla nella<br />

sua varietà diversificata, nelle rete di amicizie e di incontri, nella<br />

collaborazione tra i gruppi e le istituzioni. Favorite i rapporti tra persone<br />

che sono diverse per storia, per provenienza, per formazione culturale<br />

e religiosa. Possiate essere il fermento e i promotori di nuove agorà,<br />

dove si possa dialogare anche tra coloro che la pensano diversamente<br />

in una ricerca appassionata e comune”.<br />

Gli incontri si terranno secondo il seguente programma in alcune<br />

domeniche (ore 15.30-18.30): 7 novembre, “Milano multiculturale”;<br />

16 gennaio, “Milano solidale”; 20 febbraio, “Una rivista che pensa a chi<br />

vive il/la strada in modo diverso”; 22 maggio, “Una casa per tutti.<br />

Le culture del mondo a Milano”.<br />

INFO Prashanth Cattaneo (Coe), p.cattaneo@coeweb.org -<br />

www.coeweb.org - tel. 02.6696258, cell. 339.5335242<br />

hanno abitato e percorso il bacino<br />

del “Mare nostrum”. Mescolanza<br />

di razze, religioni e costumi,<br />

il Mediterraneo è un’area geografica<br />

che testimonia che il dialogo fra<br />

i popoli è sinonimo di ricchezza<br />

culturale e di benessere materiale.<br />

INFO www.palazzoducale.genova.it<br />

caleidoscopio<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> .71


Street art<br />

di Emma Neri<br />

“Picturin”, il festival<br />

dell’arte murale<br />

“riqualifica” la città<br />

“<strong>Torino</strong> <strong>2010</strong> - Capitale<br />

europea dei giovani”, propone per<br />

l’autunno un evento internazionale<br />

di “arte murale”: il “Picturin Festival”,<br />

che contribuirà alla riqualificazione di<br />

alcune aree della città, portando decine<br />

di artisti nazionali e internazionali a<br />

confrontarsi con le esperienze locali.<br />

Il festival sarà un luogo per ritrovarsi e<br />

dare espressione alla propria creatività.<br />

Allo stesso tempo, il pubblico avrà<br />

l’opportunità di avvicinarsi all’arte<br />

del “muralismo” contemporaneo e ai<br />

suoi significati più profondi.<br />

La città, dal centro alle periferie, verrà<br />

travolta da un’onda di colore e<br />

immagini su una decina di pareti cieche<br />

e altri spazi cittadini, per un totale di<br />

oltre 3.500 metri quadri di superfici<br />

murali dipinte. Il festival comprenderà<br />

inoltre molte iniziative legate al mondo<br />

dell’arte urbana e delle culture<br />

underground: vi saranno svariati<br />

happening (mostre, conferenze, serate<br />

musicali, ecc) a carattere artistico,<br />

che attingeranno dal vivace e attivo<br />

movimento culturale torinese per creare<br />

momenti di relax e aggregazione tra<br />

artisti e fruitori del festival.<br />

Fra gli artisti di strada che<br />

parteciperanno, tanti italiani: da<br />

Agostino Lacurci a Cacktus & Maria,<br />

da Hemo a Morcky, e poi Reser, Wany,<br />

Zeus40. E molti spagnoli: Aryz, Sague,<br />

Spok, Xtrm. Fino alla fine di novembre.<br />

INFO www.picturin-festival.com<br />

72. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

Genova<br />

Il teatro entra a scuola<br />

e prepara il terreno<br />

all’integrazione<br />

Prosegue fino al 30 dicembre<br />

il laboratorio teatrale, per gruppi<br />

scolastici dai 14 ai 18 anni, dal titolo<br />

“Dall’immagine all’immaginazione”.<br />

Si tratta di un laboratorio costituito<br />

da sei incontri, di due ore ciascuno,<br />

svolto direttamente presso la scuola<br />

interessata. L’obiettivo del progetto,<br />

curato dal Teatro delle Nuvole<br />

di Genova, è promuovere la creazione<br />

di un terreno comune per superare<br />

le possibili difficoltà di integrazione<br />

tra gli studenti, all’interno di classi<br />

multietniche. L’idea di base è mettere<br />

in comune le esperienze degli<br />

studenti e creare nella classe<br />

un “territorio” condiviso, attraverso<br />

l’incontro con il mondo delle immagini<br />

e il linguaggio teatrale.<br />

INFO www.teatrodellenuvole.it<br />

Vicenza<br />

Lo Sportello Donna<br />

funziona<br />

e viene potenziato<br />

“Sportello Donna - Rete di aiuto”<br />

è un servizio gestito dal comune<br />

di Vicenza e offre (alle donne vittime<br />

di maltrattamenti e di violenza)<br />

azioni di accoglienza, ascolto,<br />

supporto emotivo e psicologico, aiuto<br />

nei percorsi di cura e nel progetto di<br />

uscita dalla situazione maltrattante o<br />

violenta. Tutto avviene attraverso<br />

consulenze legali e facendo rete con<br />

altri servizi del territorio. L’iniziativa<br />

ha riscosso successo e il servizio è<br />

stato potenziato, con l’apporto di<br />

psicologi e assistenti sociali, nonché<br />

di molte volontarie donne. Per chi<br />

volesse diventare volontaria, si<br />

svolgono corsi di formazione.<br />

INFO Sportello Donna,<br />

tel. 0444.222.550<br />

Commercio equosolidale<br />

“Io faccio<br />

la spesa giusta”.<br />

A dispetto della crisi...<br />

Dal 16 al 31 <strong>ottobre</strong> torna “Io faccio<br />

la spesa giusta”, iniziativa promossa<br />

da Fairtrade Italia (il marchio<br />

di certificazione dei prodotti<br />

equosolidali). Quest’anno si<br />

preannuncia ricca di novità: incontri,<br />

cene, degustazioni, promozioni e<br />

sconti si svolgeranno nei principali<br />

punti vendita della distribuzione<br />

italiana, veicolo per far conoscere<br />

meglio al grande pubblico il<br />

commercio equo e solidale, il cui<br />

volume di affari è in crescita: in Italia<br />

i dati 2009 parlano di un aumento<br />

del 10% nella vendita dei prodotti.<br />

INFO www.fairtradeitalia.it<br />

Editoria sociale<br />

Un Salone fa incontrare<br />

realtà non profit<br />

e della comunicazione<br />

Torna a Roma, dal 22 al 24 <strong>ottobre</strong>,<br />

per il secondo anno consecutivo,<br />

il “Salone dell’editoria sociale”, nello<br />

spazio exGil. Editori, organizzazioni<br />

del terzo settore e mondo<br />

del volontariato si confrontano<br />

quest’anno sul tema “Educazione<br />

e intervento sociale”. Tra le novità,<br />

la presentazione<br />

del primo<br />

“Rapporto<br />

sull’editoria sociale<br />

in Italia” e un cartellone ancora più<br />

ricco della prima edizione:<br />

presentazioni di libri, tavole rotonde,<br />

dibattiti, multimedia. Appuntamento<br />

per tutti, anche non specialisti.<br />

INFO www.editoriasociale.info


Disabilità/1<br />

Il gioco di Alessandro:<br />

in carrozzina?<br />

Sì, ma “Trovo Amici”<br />

Alessandro Casadio ha 53 anni<br />

ed è fumettista, è poliomelitico<br />

dalla nascita ma questo non gli ha<br />

impedito di avere amici. Adesso<br />

Alessandro ha creato un gioco da<br />

tavola dal titolo eloquente: “Trovo<br />

Amici”, realizzato con l’associazione<br />

Gruppo Amici Insieme e finanziato<br />

da Volabo. L’idea del gioco nasce<br />

dal vivere quotidiano di un disabile:<br />

i concorrenti devono girare per il<br />

quartiere, nonostante gli ostacoli<br />

rappresentati dalle barriere<br />

architettoniche, ma anche da quelle<br />

psicologiche, non meno frequenti.<br />

INFO www.fumodicasa.net<br />

Disabilità/2<br />

“Storie della giungla”,<br />

un fumetto per<br />

vincere i pregiudizi<br />

L’Anffas del Trentino ha lanciato una<br />

collana di racconti per spiegare la<br />

disabilità ai bambini con il linguaggio<br />

che preferiscono: il fumetto. Il primo<br />

volume di “Le storie della giungla”<br />

racconta la storia di Gary, bianco e<br />

sorridente cagnone bobtail, e di<br />

Spike, chihuahua specialista nel<br />

cacciarsi nei guai. I protagonisti<br />

conosceranno Ricky, un cucciolo di<br />

rinoceronte senza corno, per questo<br />

emarginato dal branco, che viene<br />

portato dalla sua famiglia nel villaggio<br />

di Rin Town, dove si pratica il rispetto<br />

per la diversità. Il testo sarà distribuito<br />

nelle scuole, nelle biblioteche e<br />

durante le iniziative di sensibilizzazione<br />

promosse da Anffas.<br />

INFO www.anffas.tn.it<br />

Internet<br />

Lavoro e giovani a Sud:<br />

nuovo portale<br />

di Progetto Policoro<br />

Un nuovo portale. Più moderno,<br />

più ricco di contenuti e documenti, più<br />

interattivo, più<br />

usabile. Progetto<br />

Policoro (iniziativa<br />

della chiesa<br />

italiana, per dare<br />

risposte al problema della<br />

disoccupazione nelle regioni<br />

meridionali) inaugura una stagione<br />

web più al passo con i tempi. Il nuovo<br />

portale è attivo da metà settembre:<br />

contiene un’aggiornata sezione sulle<br />

realtà di cooperazione e imprenditoria<br />

sociale nel Meridione, oltre che<br />

informazioni sulle attività territoriali e<br />

sui progetti che, nel corso degli anni,<br />

l’iniziativa ha consentito di sviluppare.<br />

Progetto Policoro è nato nel 1995, con<br />

un primo incontro nell’omonima<br />

cittadina lucana, ed è sostenuto da tre<br />

organismi Cei (Servizio di pastorale<br />

giovanile, l’Ufficio per i problemi sociali<br />

e del lavoro, <strong>Caritas</strong> Italiana).<br />

INFO www.progettopolicoro.it<br />

Tarchiato Tappo - Il sollevatore di pesi<br />

Pillole<br />

senza dimora<br />

caleidoscopio<br />

Lo “zaino solidale” parte da Milano<br />

Una campagna di sensibilizzazione e<br />

solidarietà sulla condizione di chi vive<br />

in strada, avvita dall’associazione<br />

“Sos Stazione Centrale”: è iniziata<br />

con la distribuzione ai senza tetto<br />

che gravitano in stazione di 150 zaini<br />

“di sopravvivenza”, donati al centro<br />

per gravi emarginati della Fondazione<br />

Exodus, grazie anche all’associazione<br />

Progetto Arca. Lo zainetto contiene<br />

prodotti igienici e indumenti intimi,<br />

molto utili per chi vive in strada.<br />

“Invisibili” nel cuore della Città eterna<br />

Sono 24 mila persone, di cui l’84%<br />

stranieri: a questa cifra ammonta<br />

il popolo dei senza dimora di Roma.<br />

Sono ventiquattromila persone<br />

“invisibili”, perché senza diritti.<br />

Sono stati “contati” con un lavoro<br />

congiunto dall’anagrafe di Roma,<br />

da associazioni di volontariato e<br />

da comunità religiose, che hanno<br />

cercato di realizzare un lavoro<br />

accurato, censendo i casi noti<br />

e le persone con cui hanno relazione,<br />

e “cassando” i nomi di coloro<br />

che non sono rintracciabili<br />

da più di sei mesi.<br />

pagine a cura<br />

di Daniela Palumbo<br />

per segnalazioni<br />

dpalumbo@coopoltre.it<br />

<strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong> <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong><br />

. 73


Ex broker, dorme all’ostello. È uno dei molti nuovi homeless a New York<br />

Chung dall’aragosta al toast<br />

«Mi manca quell’adrenalina...»<br />

di Damiano Beltrami da New York<br />

GUADAGNAVA OLTRE UN MILIONE DI DOLLARI ALL’ANNO COME BROKER AWALL STREET. Abitava in un<br />

appartamento da diecimila euro al mese nell’Upper East Side, una delle zone più care<br />

di New York City. Nel tempo libero tirava a lucido auto d’epoca, gingilli da collezionisti<br />

come Chevrolet Chevelle SS 6 decappottabili.<br />

Oggi possiede solo un armadietto alla Rescue Mission, un malfamato ostello per<br />

senza dimora a due passi da Chinatown. Protetti da un lucchetto di quarta mano, Jim<br />

Chung conserva solo un pugno di ricordi: il tesserino di quando era alla banca d’affari<br />

Lehman Brothers, una cravatta griffata Armani, una foto in cui siede al tavolo di un scintillante<br />

bar assaporando carne di aragosta.<br />

«Questo non è il Four Seasons – scherza alla mensa dell’ostello Chung, mentre addenta<br />

una coscia di pollo bollito con contorno di carote –. Ma abbiamo ottimi dessert,<br />

addolciscono un po’ la malinconia». Per Chung, un cinquantasettenne secco come un<br />

biscotto e dalla parlantina inarrestabile , i guai sono cominciati<br />

alla fine del 2006, quando si è licenziato dall’azienda<br />

di brokeraggio in cui era andato a lavorare dopo<br />

diversi anni a Lehman Brothers. Voleva fondare una piccola<br />

banca d’affari per far lievitare ulteriormente il suo<br />

stipendio da nababbo. Ma dopo aver assunto più di cento<br />

persone, nel 2008 la banca è rimasta invischiata nella<br />

crisi economica. Per mancanza di clienti ha dovuto prima<br />

disfarsi di buona parte dei dipendenti, poi chiudere<br />

del tutto. Il che ha assottigliato ulteriormente i suoi conti<br />

in banca, già provati da due divorzi dispendiosi.<br />

74. <strong>scarp</strong> de’ <strong>tenis</strong> <strong>ottobre</strong> <strong>2010</strong><br />

america street<br />

«Con la nuova azienda di soldi ne ho bruciati un sacco<br />

– spiega Chung allargando le braccia –. Dovevo pagare<br />

puntualmente gli stipendi, comprare computer e altro.<br />

E nel frattempo, avevo zero entrate...».<br />

Chung è una delle 38 mila persone che vivono negli ostelli per senzatetto di New<br />

York. Ma è anche un caso estremo dell’impoverimento di migliaia di newyorkesi. I senza<br />

dimora sono aumentati del 34% dall’inizio della grande recessione, stando ai dati<br />

del comune. In alcuni casi, questi nuovi homeless sono ex componenti della classe media<br />

che si sono ritrovati senza lavoro: impiegati della metropolitana con figli a carico, insegnanti<br />

in esubero, a volte perfino gente facoltosa come Chung. Gente che prima della<br />

crisi si poteva permettere di volare in Francia per il fine settimana solo per provare un<br />

piatto di linguine ai gamberi, e adesso si deve accontentare di spalmare burro di arachidi<br />

su pan carré stantio per soffocare l’appetito.<br />

Oggi Chung vive la sua vita come un incubo, da cui spera di risvegliarsi presto. Inganna<br />

il tempo spazzando la mensa, lucida i corridoi e ritira il bucato dalla lavatrice. Trova<br />

un po’ di pace, spiega, solamente leggendo il Vangelo. Di tanto in tanto, però, s’infila<br />

nella minuscola biblioteca dell’ostello, spulcia il Wall Street Journal e si concede il lusso<br />

di arrendersi a un sogno: «Se Dio vuole tornerò presto nel Grande Gioco della finanza<br />

– sorride raggiante –. Quell’adrenalina mi manca da morire...»..<br />

L’armadietto di Chung alla Rescue Mission<br />

Abitava un appartamento da diecimila dollari al mese. E<br />

tirava a lucido, per hobby, vecchie auto d’epoca. Ora ha<br />

solo un piccolo ripostiglio nell’ostello per senza dimora


Ferro<br />

C omunicazionedesig<br />

omunicazionedesign<br />

PPremio<br />

remio<br />

Ethic<br />

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pe per r iniziative iniziati<br />

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<strong>Caritas</strong><br />

Ambrosiana,<br />

che<br />

serve<br />

ad<br />

aiutare<br />

persone<br />

bisognose.<br />

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