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'UN MIRACOLO D'AMORE E COMPRENSIONE'.pdf

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Un miracolo d’amore<br />

e comprensione di Gianni Rodini<br />

Dicembre del ’42…<br />

Erano tempi bui, pieni di sofferenza e guerra,<br />

ma con la dolente speranza di tornare ad<br />

essere, prima o poi, nuovamente padroni del<br />

proprio destino, nella Storia fatta nel bene e<br />

nel male sempre dagli uomini.<br />

Luisa scriveva ansiosa al fratello Carlo, dopo i<br />

pesanti bombardamenti su Torino che avevano<br />

colpito anche la loro casa paterna. La bomba<br />

era entrata dallo studio ed era scoppiata in<br />

cantina, uccidendo sei soldati. Da Firenze,<br />

con il fratello minore Riccardo, Carlo si recò<br />

il sabato successivo in via Bezzecca… e così<br />

scriveva alla carissima madre: “Il pavimento<br />

del salotto è come una cupola, sollevato dalla<br />

pressione inferiore dell’aria. I magazzini sono<br />

un gran cumulo di macerie, con porte e oggetti<br />

vari ammonticchiati, ma mi sembra aver visto<br />

che le casse siano sane, e probabilmente potrò<br />

recuperare gran parte dei quadri. Spero che<br />

potrò togliere molte cose dalle macerie, ma<br />

sarà un lavoro difficile, in quella confusione<br />

di cose rotte, di mattoni, di legnami. La città<br />

è impressionante. Sono contento che della<br />

casa se ne possa salvare una parte, forse un<br />

giorno si ricostruirà: così il panorama della<br />

nostra infanzia e giovinezza non sarà del tutto<br />

scomparso. Il paesaggio cinese che vedevo dal<br />

mio letto non sarà guardato da nessuno per<br />

moltissimo tempo e forse per sempre, e resterà<br />

soltanto in un tempo segreto e perduto, che è<br />

quello della memoria”.<br />

Dicembre del ’43…<br />

Giorno di Natale. Il paesaggio negli<br />

occhi di Carlo non era più quello torinese<br />

della sua infanzia, ma quello dolente di<br />

un’altra umanità in un’altra Italia, diversa<br />

e lontanissima da quella del fascismo che<br />

lui combatteva con intransigenza e anche<br />

Fossacesia<br />

Natale 2011<br />

« A che vale leggere per noi, ve lo dice<br />

questo libro… Con un libro al capezzale,<br />

anche la morte è una tenera amante »<br />

Autoritratto di Carlo Levi con la sorella<br />

da quella dell’antifascismo, cui aveva sin<br />

da giovanissimo aderito dopo l’incontro<br />

fondamentale della sua vita con Piero<br />

Gobetti, potente antidoto per chiunque alla<br />

mediocrità di pensiero ed azione. Quell’altra<br />

Italia gli era già nota teoricamente dai libri<br />

di Giustino Fortunato, Gaetano Salvemini,<br />

Guido Dorso: l’Appello ai meridionali sulle<br />

pagine di Rivoluzione Liberale o, dapprima, le<br />

pagine salveminiane de L’Unità o gli scritti di<br />

colui che per primo usò il termine “questione<br />

meridionale” e dette il titolo Le due Italie ad<br />

un suo saggio erano materia consaputa<br />

attraverso lo sguardo profondo e sensibile di<br />

storici figli del meridione, nati ad Avellino,<br />

Molfetta, Rionero in Vulture; ma poteva<br />

un torinese come Carlo Levi comprendere<br />

davvero, attraverso l’esperienza del confino in<br />

Basilicata, quell’umile Italia contadina “per<br />

cui morì la vergine Camilla, Eurialo e Turne<br />

e Niso di ferute”?<br />

In quel giorno di Natale del ’43, dopo anni dal<br />

suo ritorno dalle terre di Grassano e Aliano, in<br />

quello studio di Firenze dove probabilmente<br />

15<br />

- segue -


Un miracolo d’amore...<br />

aveva portato i quadri salvati dalle macerie del<br />

bombardamento di Torino, in cui aveva fissato<br />

l’essenza eterna dei paesaggi lucani e dei molti<br />

volti di bambini, donne e uomini impressi<br />

per sempre nell’animo… nel momento in cui<br />

tutti i credenti nella nascita del bambino Gesù<br />

rievocano nel Natale la venuta del Salvatore,<br />

la sua discesa dal divino nell’umano, il suo<br />

abbassamento alla condizione umana, la sua<br />

kenosi… Carlo affidava alla scrittura la prima<br />

pagina di ciò che i suoi occhi, il suo cuore, la sua<br />

memoria, i suoi pennelli e le tavolozze di colori<br />

avevano vissuto intensamente sette anni prima:<br />

un miracolo di amore vero e comprensione<br />

profonda delle genti meridionali e delle loro<br />

terre desolate, senza conforto e dolcezza,<br />

dove Cristo però non sembrava essere disceso.<br />

E in quella giornata natalizia del ’43, quasi<br />

scrivendo sulle colline dietro Grassano e<br />

Aliano, su quei volti dipinti di bambini e genti<br />

del Sud, le seguenti splendide parole...<br />

« Sono passati molti anni, pieni di guerra, e di quello<br />

che si usa chiamare la Storia. Spinto qua e là alla<br />

ventura, non ho potuto finora mantenere la promessa<br />

fatta, lasciandoli, ai miei contadini, di tornare fra loro,<br />

e non so davvero se e quando potrò mai mantenerla. Ma,<br />

Carlo Levi, La porta del Sud<br />

Fossacesia<br />

Natale 2011<br />

chiuso in una stanza, e in un mondo chiuso, mi è grato<br />

riandare con la memoria a quell’altro mondo, serrato<br />

nel dolore e negli usi, negato alla Storia e allo Stato,<br />

eternamente paziente; a quella mia terra senza conforto<br />

e dolcezza, dove il contadino vive, nella miseria e nella<br />

lontananza, la sua immobile civiltà, su un suolo arido,<br />

nella presenza della morte. – Noi non siamo cristiani –<br />

essi dicono… non siamo uomini, non siamo considerati<br />

come uomini, ma bestie, bestie da soma, e ancor meno<br />

che le bestie, i fruschi, i frusculicchi, che vivono la<br />

loro vita diabolica o angelica, perché noi dobbiamo<br />

invece subire il mondo dei cristiani, che sono di là<br />

dall’orizzonte, e sopportarne il peso e il confronto ».<br />

Un altro figlio del meridione pietroso e arido,<br />

l’abruzzese Teofilo Patini, nativo di Castel di<br />

Sangro e allievo del vastese Filippo Palizzi,<br />

aveva già fissato in una grande tela del<br />

1886, scampata alla distruzione del recente<br />

terremoto a L’Aquila, il senso profondo delle<br />

parole leviane: Bestie da soma il suo titolo che,<br />

unitamente a L’erede e Vanga e latte, in quei<br />

corpi di donna sfiancati dalla fatica, costituisce<br />

un memoriale drammaticamente vivo della<br />

condizione contadina fissata nell’eterna<br />

essenza dell’arte. È la medesima fatica senza<br />

conforto, la stessa difficile vita contadina, da<br />

sempre sfruttata e incompresa, descritta nelle<br />

pagine di Levi…<br />

« Cristo non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo,<br />

né l’anima individuale, né la speranza, né il legame tra<br />

le cause e gli effetti, la ragione e la Storia… Nessuno<br />

ha toccato questa terra se non come un conquistatore o<br />

un nemico o un visitatore incomprensivo. Le stagioni<br />

scorrono sulla vita contadina, oggi come tremila anni<br />

prima di Cristo: nessun messaggio umano o divino si<br />

è rivolto a questa povertà refrattaria… in questa terra<br />

oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male<br />

non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta sempre<br />

nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a<br />

Eboli ».<br />

Dicembre del ’44…<br />

Ancora tempi di sofferenza e guerra in un Paese<br />

diviso, ma la speranza per una rinnovata luce di<br />

16<br />

- segue -


Un miracolo d’amore...<br />

libertà era viva più che mai. Carlo continuava<br />

a dipingere e scrivere, e al contempo dirigeva<br />

il quotidiano La Nazione del Popolo, organo del<br />

Comitato Toscano di Liberazione Nazionale;<br />

da Firenze inviava una lettera a sua sorella<br />

Lelle, la cui esistenza a Napoli era stata<br />

meravigliosamente rischiarata oltre che dalla<br />

Liberazione della città l’anno prima, dalla<br />

nascita di un bambino… vero dono, grazia<br />

e perdono del tempo: “Cara Lelle mia, sono<br />

felice delle tue notizie, tanto sospirate. Avevo<br />

mosso mezzo mondo per averle, ma ora sono<br />

migliori di quanto potevo aspettarmi, perché<br />

non siete più due, ma tre… con la nascita del<br />

bambino penso che tante difficoltà o oscurità<br />

dell’animo si siano dileguate, e che tu abbia<br />

raggiunto una pienezza di vita mai prima<br />

provata. E a me pare ora di averti ritrovata,<br />

dopo questo angoscioso intervallo in cui anche<br />

le memorie parevano pericolanti. Io sto bene,<br />

dirigo questo quotidiano, andrò a Roma a fare<br />

una esposizione, vedrò di farne anche una a<br />

Napoli per avere l’occasione di stare un po’<br />

con te: ma sono un po’ troppo occupato per<br />

ora per poter dipingere come vorrei. La vita<br />

è qui ancora piuttosto dura, dopo i giorni<br />

tragici dell’insurrezione. Di mamma non ho<br />

lettere; quelle poche che avevo le ho distrutte<br />

quando ero troppo attivamente ricercato. Le<br />

ultime notizie sono di maggio o giugno… ora<br />

non possiamo far altro che sperare in una<br />

liberazione rapida, e senza battaglie laggiù,<br />

come spero avverrà dopo la liberazione di<br />

Bologna. Ti devo scrivere infinite cose. Ho<br />

scritto un libro sull’Italia Meridionale che si<br />

intitola Cristo si è fermato a Eboli.”<br />

Dicembre del ’45…<br />

“Lelle carissima, siamo liberati”… aveva già<br />

scritto Carlo mesi prima da una Firenze estiva<br />

e ansiosa di futuro. Il libro sul Meridione<br />

annunziato con entusiasmo dolente e fiduciosa<br />

speranza alla sorella, scritto in quei difficili<br />

mesi tra il Natale del ’43 e l’estate del ’44, ha<br />

avuto la pubblicazione presso la casa editrice<br />

Einaudi: la scrittura del miracolo d’amore e<br />

comprensione era compiuta. Il monumento<br />

alla solidarietà umana e alla civiltà contadina<br />

Fossacesia<br />

Natale 2011<br />

Ritratto leviano di Rocco Scotellaro<br />

era stato eretto, inaugurando un nuovo e<br />

fondamentale filone di studi meridionalistici.<br />

Il sindaco-poeta della libertà contadina, Rocco<br />

Scotellaro, un altro figlio del Sud, nativo di<br />

Tricarico, la cui esistenza terrena spezzatasi<br />

a trent’anni fu troppo breve e a cui Carlo si<br />

legò profondamente, aveva salutato lo scritto<br />

come “il più appassionato e crudo memoriale<br />

dei nostri paesi”. Lo avrebbe letto anni dopo<br />

in carcere ai suoi diciotto compagni di cella,<br />

durante il periodo dell’ingiusta detenzione<br />

seguita ad un’accusa falsa ed infamante, prova<br />

anch’essa di un certo costume italico che tradì<br />

subito, con la caduta nel dicembre 1945 del<br />

governo azionista e resistenziale di Ferruccio<br />

Parri, gli ideali della Liberazione. Una bella<br />

e significativa metafora del giovane sindacopoeta<br />

di Tricarico sulle genti meridionali: “Noi<br />

siamo acini maturi, ma piccoli in un grappolo<br />

di uva puttanella”; e proprio quello di Uva<br />

puttanella sarà il titolo del libro autobiografico<br />

che verrà pubblicato nel 1955, a due anni<br />

dalla morte prematura del suo autore, con<br />

17<br />

- segue -


Un miracolo d’amore...<br />

una commossa prefazione di Carlo Levi e<br />

l’immagine di un suo bel quadro in copertina.<br />

Per la saggezza degli antichi, muore giovane<br />

chi è caro agli Dei.<br />

Dicembre 2011…<br />

Sono passati da allora anni… e poi ancora<br />

anni. Carlo Levi ha voluto più volte tornare<br />

tra i suoi contadini, fino all’ultimo… ed<br />

ora riposa là, in terra lucana, ad Aliano: la<br />

promessa fatta ai suoi contadini nel maggio<br />

del ’36 ha voluto mantenerla fino in fondo.<br />

Più a nord, poco distante da Grassano, nella<br />

sua Tricarico riposa Rocco Scotellaro. Il<br />

poeta della libertà contadina era rimasto<br />

ingiustamente recluso in prigione per circa<br />

due mesi agli inizi del 1949; ma il suo senso di<br />

giustizia sociale, la sua levatura morale, il suo<br />

impegno civile non potevano non cogliere con<br />

acutezza e chiarezza la dimensione carceraria<br />

nei suoi problemi irrisolti allora, come ancora<br />

tutt’oggi. Riprendiamo, quindi, le pagine del<br />

suo libro che tanto commuovevano Carlo Levi<br />

in questo dicembre 2011, in attesa del Natale<br />

e del misterioso messaggio di salvezza nato dal<br />

grembo di una donna lontanissima nel tempo<br />

e nello spazio…<br />

« La mia fila di letti andava dal cancello alla finestra,<br />

la fila opposta partiva dal gabinetto, di fronte al<br />

cancello: in mezzo altri tre detenuti si stendevano<br />

il pagliericcio per terra. In diciotto si stava a largo:<br />

la camerata era undici passi lunga e larga sette. La<br />

lampada pioveva una luce di calce sulle coperte grigio<br />

ferro con l’iscrizione ricamata in filo bianco “Carceri<br />

giudiziarie”.<br />

A che vale leggere per noi, ve lo dice questo libro, che<br />

spiega pure quando e come e perché uno scrive. Io ho<br />

avuto la fortuna di conoscere Carlo Levi, l’uomo che<br />

l’ha scritto; non è veramente mio amico, non è nemmeno,<br />

vi avverto, un vostro amico. Ha scritto questo che è il<br />

più appassionato e crudo memoriale dei nostri paesi.<br />

Ci sono parole e fatti da fare schiattare le molli pance<br />

dei signori nel sonno, meccanicamente, per la forza di<br />

verità. Ci sono morti e lamenti da fare impallidire i<br />

santi martiri per la forza di verità. E le nostre terre<br />

si muovono da parere fiumi e i morti, tutti i morti i<br />

bambini e i vecchi vivono sulle nude terre tremanti e<br />

Fossacesia<br />

Natale 2011<br />

nei boschi… Però vi dicevo dello scrittore, che non è<br />

mio amico. Non è un amico, come non può esserlo<br />

il padre, la madre, il fratello. Amico è l’avvocato, il<br />

medico, il testimone, il deputato, il prete. Quest’uomo<br />

è un fratellastro, mio, nostro, che abbiamo un giorno<br />

incontrato per avventura. Ciò che ci lega a lui è la<br />

fiducia reciproca per un fatto accaduto a lui e a noi<br />

e un amore della propria somiglianza. Eccolo qui,<br />

alla prima pagina, comincia, sentite! È stato anche<br />

lui in galera e va dicendo che ognuno dal presidente<br />

al cancelliere, dal miliardario al pezzente, dovrebbe<br />

andarci una volta… leggiamo ora. Nelle sere<br />

seguenti il libro lo consumammo come un pasto: da<br />

zingari, da abigeatari, da amici in una festa. E già<br />

le camerate ce lo chiedevano come una sigaretta. Io<br />

pensavo al fratellastro, che intanto, mite e solenne, nel<br />

suo carcere, che era una barca nell’aria, con l’occhio<br />

destro spezzava i volti, il pane, i tetti, i gufi, la<br />

luna, i fiori, la terra, il cielo e il mare, e con quello<br />

sinistro amava queste cose e le pativa. Ora, nell’alto<br />

silenzio di casa sua, egli avvertiva il molteplice rumore<br />

del tempo e le voci delle campagne e delle sirene, le<br />

parole delle strade, i concerti degli uccelli affastellati<br />

nella notte, il lontano brulicare delle foreste. Noi ci<br />

addormentavamo felici bambini con l’ultima parola<br />

di quella lettura che era una preghiera comune: chi<br />

pensava più all’interrogatorio e ai giri di vite del<br />

processo, al tragico momento della gabbia? Con un<br />

libro al capezzale, anche la morte è una tenera amante.<br />

A lui decidemmo di chiedere grazia dei nostri peccati,<br />

sapendo che egli non ce li perdonava, ma li amava e li<br />

pativa; con l’occhio destro e con l’occhio sinistro egli ci<br />

avrebbe guardati ».<br />

Dopo queste parole così lontane dagli odierni<br />

scenari – così desolati, difficili e deserti di<br />

spiritualità, fatti d’egoismo rampante e di<br />

consumata politica ad uso personale di pochi<br />

– non si può che invocare in questo Natale<br />

la vera solidarietà umana… e augurarci,<br />

sempre di più, nuovi miracoli d’amore e<br />

comprensione.<br />

Al caro sorriso di Beatrice Russo…<br />

per sempre.<br />

Gianni Rodini<br />

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