'UN MIRACOLO D'AMORE E COMPRENSIONE'.pdf
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Un miracolo d’amore...<br />
aveva portato i quadri salvati dalle macerie del<br />
bombardamento di Torino, in cui aveva fissato<br />
l’essenza eterna dei paesaggi lucani e dei molti<br />
volti di bambini, donne e uomini impressi<br />
per sempre nell’animo… nel momento in cui<br />
tutti i credenti nella nascita del bambino Gesù<br />
rievocano nel Natale la venuta del Salvatore,<br />
la sua discesa dal divino nell’umano, il suo<br />
abbassamento alla condizione umana, la sua<br />
kenosi… Carlo affidava alla scrittura la prima<br />
pagina di ciò che i suoi occhi, il suo cuore, la sua<br />
memoria, i suoi pennelli e le tavolozze di colori<br />
avevano vissuto intensamente sette anni prima:<br />
un miracolo di amore vero e comprensione<br />
profonda delle genti meridionali e delle loro<br />
terre desolate, senza conforto e dolcezza,<br />
dove Cristo però non sembrava essere disceso.<br />
E in quella giornata natalizia del ’43, quasi<br />
scrivendo sulle colline dietro Grassano e<br />
Aliano, su quei volti dipinti di bambini e genti<br />
del Sud, le seguenti splendide parole...<br />
« Sono passati molti anni, pieni di guerra, e di quello<br />
che si usa chiamare la Storia. Spinto qua e là alla<br />
ventura, non ho potuto finora mantenere la promessa<br />
fatta, lasciandoli, ai miei contadini, di tornare fra loro,<br />
e non so davvero se e quando potrò mai mantenerla. Ma,<br />
Carlo Levi, La porta del Sud<br />
Fossacesia<br />
Natale 2011<br />
chiuso in una stanza, e in un mondo chiuso, mi è grato<br />
riandare con la memoria a quell’altro mondo, serrato<br />
nel dolore e negli usi, negato alla Storia e allo Stato,<br />
eternamente paziente; a quella mia terra senza conforto<br />
e dolcezza, dove il contadino vive, nella miseria e nella<br />
lontananza, la sua immobile civiltà, su un suolo arido,<br />
nella presenza della morte. – Noi non siamo cristiani –<br />
essi dicono… non siamo uomini, non siamo considerati<br />
come uomini, ma bestie, bestie da soma, e ancor meno<br />
che le bestie, i fruschi, i frusculicchi, che vivono la<br />
loro vita diabolica o angelica, perché noi dobbiamo<br />
invece subire il mondo dei cristiani, che sono di là<br />
dall’orizzonte, e sopportarne il peso e il confronto ».<br />
Un altro figlio del meridione pietroso e arido,<br />
l’abruzzese Teofilo Patini, nativo di Castel di<br />
Sangro e allievo del vastese Filippo Palizzi,<br />
aveva già fissato in una grande tela del<br />
1886, scampata alla distruzione del recente<br />
terremoto a L’Aquila, il senso profondo delle<br />
parole leviane: Bestie da soma il suo titolo che,<br />
unitamente a L’erede e Vanga e latte, in quei<br />
corpi di donna sfiancati dalla fatica, costituisce<br />
un memoriale drammaticamente vivo della<br />
condizione contadina fissata nell’eterna<br />
essenza dell’arte. È la medesima fatica senza<br />
conforto, la stessa difficile vita contadina, da<br />
sempre sfruttata e incompresa, descritta nelle<br />
pagine di Levi…<br />
« Cristo non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo,<br />
né l’anima individuale, né la speranza, né il legame tra<br />
le cause e gli effetti, la ragione e la Storia… Nessuno<br />
ha toccato questa terra se non come un conquistatore o<br />
un nemico o un visitatore incomprensivo. Le stagioni<br />
scorrono sulla vita contadina, oggi come tremila anni<br />
prima di Cristo: nessun messaggio umano o divino si<br />
è rivolto a questa povertà refrattaria… in questa terra<br />
oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male<br />
non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta sempre<br />
nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a<br />
Eboli ».<br />
Dicembre del ’44…<br />
Ancora tempi di sofferenza e guerra in un Paese<br />
diviso, ma la speranza per una rinnovata luce di<br />
16<br />
- segue -