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Il decennio perduto dell'economia giapponese - Dipartimento di ...

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Maurizio Russo…………………………………….. 594461<br />

Carlo Villa………………………………………….. 538102<br />

Monica Nuzzolo……………………………………. 026908<br />

Manuela Lostumbo ………………………………… 596397<br />

Manuel Fenaroli……………………………………. 026743<br />

Luciano Fusco……………………………………… 035530<br />

1. Introduzione<br />

POLITICA ECONOMICA mod.A<br />

a.a 2002/2003<br />

IL DECENNIO PERDUTO DELL’ECONOMIA GIAPPONESE<br />

I mitici anni in cui il Giappone cresceva ad un tasso doppio rispetto alla me<strong>di</strong>a<br />

ocidentale e si conquistava un primato in tutti i settori industriali <strong>di</strong> punta sono<br />

finiti ormai da tempo.<br />

L’economia <strong>giapponese</strong> aveva attirato su <strong>di</strong> sé l’attenzione del mondo intero<br />

per la sua potenza e per la sua relativa stabilità, durate fino alla fine degli anni<br />

80. <strong>Il</strong> paese si è regolarmente ripreso dai danni provocati dalle crisi petrolifere<br />

del 1973-75 e del 1979-83, mantenendo un tasso <strong>di</strong> crescita (3,9% annuo nel<br />

periodo dal 1974 al 1990) più elevato rispetto alla maggior parte delle<br />

economie più avanzate (circa il 2.8% nello stesso periodo nell’area OCSE)<br />

benché si trattasse <strong>di</strong> un ritmo pari a meno della metà <strong>di</strong> quello raggiunto<br />

durante la fase del boom economico del sol levante, dalla fine della II guerra<br />

mon<strong>di</strong>ale alla metà degli anni 70. È fuori <strong>di</strong>scussione che il metodo <strong>giapponese</strong><br />

<strong>di</strong> gestione aziendale, caratterizzato dalla garanzia dell’impiego a vita per i<br />

lavoratori, da aumenti salariali fondati sul criterio dell’anzianità e da un<br />

sindacalismo su base aziendale, abbia <strong>di</strong>mostrato efficacia nel garantire la<br />

compartecipazione dei lavoratori ai destini delle aziende e perció, nonostante la<br />

notevole rivalutazione dello yen nel corso del tempo, nel rafforzare la<br />

competitività sul mercato mon<strong>di</strong>ale che ha consentito un costante saldo attivo<br />

della bilancia dei pagamenti. Nel 1987 il red<strong>di</strong>to nazionale pro capite del<br />

Giappone si trovò a superare quello degli Stati Uniti, fornendo la forte<br />

impressione che il Giappone fosse ormai <strong>di</strong>ventato “il numero uno” nel mondo.<br />

Negli anni 90 l’economia <strong>giapponese</strong> è tuttavia drammaticamente peggiorata. <strong>Il</strong><br />

tasso <strong>di</strong> crescita è <strong>di</strong>minuito in me<strong>di</strong>a sino all’1% annuo, in alcuni anni cadendo<br />

anche al <strong>di</strong> sotto dello zero.<br />

Ciò ha fatto definire gli anni 90 come il “<strong>decennio</strong> <strong>perduto</strong> dell’economia<br />

<strong>giapponese</strong>”.


2. Un passaggio <strong>di</strong>alettico dal successo al fallimento<br />

Nella lunga storia del capitalismo, i passaggi <strong>di</strong>alettici dal successo al<br />

fallimento, o dalla prosperità alle crisi auto<strong>di</strong>struttive ed alla depressione si<br />

sono ripetuti spesso, in vari perio<strong>di</strong> e con aspetti <strong>di</strong>versi. Lo spettacolare<br />

peggioramento dell’economia <strong>giapponese</strong> negli anni 90 è paradossalmente<br />

derivato anche dal successo che essa aveva conseguito nelle ristrutturazioni<br />

effettuate negli anni 80. Grazie alla compartecipazione dei lavoratori e dei<br />

sindacati, le gran<strong>di</strong> imprese hanno accresciuto la loro capacità competitiva sul<br />

mercato mon<strong>di</strong>ale attraverso l’introduzione <strong>di</strong> tecnologie informatiche e <strong>di</strong><br />

un’automazione sempre più sofisticata da una parte e l’uso <strong>di</strong> un numero<br />

sempre maggiore <strong>di</strong> lavoratori irregolari, part time e <strong>di</strong> ogni genere possibile <strong>di</strong><br />

lavoro a costi più bassi. I salari reali (in termini <strong>di</strong> potere d’acquisto) sono così<br />

rimasti invariati a partire dalla metà degli anni 70 in poi.<br />

La maggior parte delle imprese giapponesi sono poi riuscite a cancellare i debiti<br />

contratti con le banche e a cominciare ad accumulare riserve interne <strong>di</strong> capitale<br />

monetario, lasciato inattivo perché non esistevano progetti <strong>di</strong> investimento.<br />

Oltre a ciò, le gran<strong>di</strong> aziende hanno aumentato il loro intervento <strong>di</strong>retto sui<br />

mercati finanziari interni ed esteri per ottenere ulteriore capitale monetario<br />

attraverso l’emissione <strong>di</strong> azioni, <strong>di</strong> obbligazioni convertibili (ossia trasformabili<br />

in azioni) e <strong>di</strong> titoli <strong>di</strong> vario genere. Le gran<strong>di</strong> banche giapponesi <strong>di</strong>pendevano<br />

tra<strong>di</strong>zionalmente dalla como<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> un tasso <strong>di</strong> risparmio delle famiglie<br />

relativamente elevato (negli anni 80 pari a più del 20% secondo un indagine<br />

sulle famiglie svolta dall’agenzia <strong>di</strong> ricerche della presidenza del governo) che<br />

poi impiegavano per effettuare prestiti alle gran<strong>di</strong> imprese. Quando le banche<br />

hanno perso questi sicuri clienti tra<strong>di</strong>zionali tra le gran<strong>di</strong> imprese, <strong>di</strong>venute<br />

relativamente più autonome, hanno iniziato ad esplorare nuove possibilità <strong>di</strong><br />

fare affari attraverso prestiti alle piccole e me<strong>di</strong>e aziende, la concessione <strong>di</strong><br />

cre<strong>di</strong>ti al consumo, specialmente per finanziare l’acquisto della casa, e prestiti<br />

alle compagnie immobiliari e al settore delle costruzioni.<br />

<strong>Il</strong> capitale delle gran<strong>di</strong> imprese giapponesi accumulato come denaro prese a<br />

venire riversato nelle attività speculative del mercato degli immobili e nella<br />

borsa <strong>di</strong> Tokyo. Anche le banche giapponesi e le altre istituzioni finanziarie<br />

spostarono, <strong>di</strong>rettamente o in<strong>di</strong>rettamente, le loro capacità <strong>di</strong> concedere cre<strong>di</strong>ti<br />

in maniera flessibile verso la speculazione sui mercati immobiliare e azionario.<br />

Così, a partire dal 1986 fino alla fine degli anni 80 si assistette allo sviluppo <strong>di</strong><br />

una enorme bolla sia nel settore immobiliare <strong>giapponese</strong> sia nel mercato<br />

finanziario, bolla collassata proprio all’inizio degli anni 90.<br />

…………………………………..<br />

Alla fine degli anni ’80 i fondamentali dell’economia <strong>giapponese</strong><br />

sembravano particolarmente soli<strong>di</strong>.<br />

La bilancia commerciale mostrava un attivo ingente, il bilancio pubblico<br />

si trovava in surplus e l’inflazione era quasi inesistente, nonostante la<br />

situazione <strong>di</strong> piena occupazione.


Inoltre il Giappone poteva contare su un tasso <strong>di</strong> risparmio delle<br />

famiglie elevato, che, riciclato da un settore bancario apparentemente<br />

robusto ed efficiente , finanziava investimenti lungimiranti, capaci <strong>di</strong><br />

sostenere dal lato dell’offerta, l’eccezionale crescita della domanda.<br />

La <strong>di</strong>namica della produttività negli anni ’80 sembrava in<strong>di</strong>care che il<br />

Giappone aveva sviluppato meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> management e <strong>di</strong> organizzazione<br />

della produzione (just in time, lean production) più efficaci <strong>di</strong> quelli<br />

occidentali.<br />

Alla fine degli anni 80 il Giappone appariva dunque come il modello<br />

vincente: le rigi<strong>di</strong>tà flessibili giapponesi come: l’occupazione a vita , gli<br />

stretti legami informali tra banca ed industria, l’esistenza <strong>di</strong> settori<br />

integrati verticalmente sembravano mostrare la loro superiorità rispetto<br />

alla flessibilità anglosassone , focalizzata sul breve periodo.<br />

L’economia <strong>giapponese</strong> entrava negli anni ’90 a grande velocità , seguita<br />

dai dragoni e dalle tigri dell’Estremo Oriente; non sembravano esserci<br />

dubbi: il XXI secolo sarebbe stato il secolo del Pacifico, centrato su due<br />

poli: il Giappone e l’innovativa costa ovest degli Stati Uniti.<br />

3. Lo scoppio della bolla speculativa<br />

<strong>Il</strong> 29 <strong>di</strong>cembre la borsa <strong>di</strong> Tokyo stabiliva un nuovo record positivo, ma<br />

nessuno prevedeva allora che sarebbe stato l’ultimo del ventesimo secolo.<br />

L’esplosione della bolla stessa ha provocato un calo della domanda effettiva<br />

attraverso la <strong>di</strong>ssoluzione dei valori dei patrimoni azionari, obbligazionari e<br />

fon<strong>di</strong>ari. L’in<strong>di</strong>ce Nikkei relativo della Borsa <strong>di</strong> Tokyo scese dal suo picco<br />

massimo <strong>di</strong> 38915 yen alla fine del 1989 al livello <strong>di</strong> circa 8370 yen attuali.<br />

Le banche e le altre corporation finanziarie vennero colpite da una <strong>di</strong>struzione<br />

dei valori patrimoniali persistente e gigantesca, proporzionale alle enormi<br />

quantità <strong>di</strong> denaro prestato al mercato speculativo <strong>di</strong> immobili e <strong>di</strong> azioni.<br />

L’ammontare complessivo <strong>di</strong> valori patrimoniali <strong>di</strong>ssolti per la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> capitale<br />

nel settore immobiliare e nel mercato finanziario raggiunse l’ammontare <strong>di</strong> un<br />

milione <strong>di</strong> miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> yen verso la metà degli anni ‘90, cifra che corrisponde a<br />

2,4 volte il PIL. Si tratta <strong>di</strong> un valore enormemente grande e devastante, se si<br />

pensa che la <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> capitale avvenuta negli Stati Uniti durante la Grande<br />

Crisi dopo il 1929 fu pari a “solo” 1,9 volte il PIL.<br />

L’essenza della faccenda é che si é venuto ad innescare un circolo vizioso<br />

costituito da <strong>di</strong>fficoltà delle banche, violento restringimento del cre<strong>di</strong>to per le<br />

piccole e me<strong>di</strong>e imprese, peggioramento dell’occupazione e delle entrate dei<br />

lavoratori, calo della domanda <strong>di</strong> consumo, <strong>di</strong>minuzione continua del valore dei<br />

patrimoni immobiliari e dei titoli.


PERCHE’ LA POLITICA ECONOMICA E’ STATA COSI’ INEFFICACE?<br />

Gli anni ’90 sono stati il <strong>decennio</strong> <strong>perduto</strong> dell’economia <strong>giapponese</strong>, gli<br />

squilibri macroeconomici si sono aggravati drammaticamente e con essi i<br />

rischi <strong>di</strong> una prolungata stagnazione che , nel peggiore degli scenari ,<br />

potrebbe trasformarsi in una spirale depressiva.<br />

Come e’ stato possibile che l’economia considerata negli anni ’80 come<br />

la più <strong>di</strong>namica e stabile tra quelle dei paesi del G7 si trovi, dopo solo<br />

<strong>di</strong>eci anni tra i gran<strong>di</strong> malati , attanagliata da una profonda recessione<br />

e con un settore bancario sull’orlo <strong>di</strong> una crisi sistemica?<br />

Perche’ la riduzione dei tassi <strong>di</strong> interesse dall’8% del 1991 allo 0% del<br />

1999 , l’introduzione <strong>di</strong> pacchetti <strong>di</strong> rilancio fiscale <strong>di</strong> un ammontare<br />

totale pari al 25% del PIL , l’iniezione <strong>di</strong> decine <strong>di</strong> miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> dollari per<br />

ricapitalizzare il settore bancario e vari programmi strutturali non sono<br />

riusciti a stabilizzare l’economia <strong>giapponese</strong> e a ricondurla su un<br />

sentiero <strong>di</strong> crescita stabile e sostenibile?<br />

Perchè la politica fiscale espansiva non è stata in grado <strong>di</strong> provocare un jump-<br />

start nell’attività economica? E’ la prova finale del fallimento delle politiche<br />

keynesiane (la politica fiscale non funziona neanche in una situazione <strong>di</strong><br />

trappola della liqui<strong>di</strong>tà), o una <strong>di</strong>versa struttura nella composizione,<br />

sequenza e <strong>di</strong>mensione dell’intervento fiscale avrebbe prodotto un esito<br />

<strong>di</strong>verso?<br />

1. L’Inizio delle <strong>di</strong>fficoltà giapponesi: la liberalizzazione finanziaria<br />

della metà degli anni’80<br />

Gli autori convinti della superiorità del modello <strong>giapponese</strong> rispetto al<br />

modello anglosassone, rinvengono nel processo <strong>di</strong> liberalizzazione<br />

finanziaria l’inizio dei problemi per l’economia <strong>giapponese</strong>.<br />

La liberalizzazione, spingendo sia le imprese, sia le banche a focalizzarsi<br />

su questioni <strong>di</strong> profittabilità finanziaria <strong>di</strong> breve termine e riducendo gli<br />

incentivi in favore <strong>di</strong> una cooperazione lungimirante, avrebbe alimentato<br />

la speculazione finanziaria e, in seguito , nel periodo dello sgonfiamento<br />

della bolla, reso impossibile una soluzione cooperativa dei problemi.<br />

Questa interpretazione della crisi <strong>giapponese</strong> è lungi dall’essere<br />

convincente.<br />

Certo, non c’è dubbio che la parziale liberalizzazione finanziaria che ha<br />

luogo in Giappone tra il 1984 e il 1986 ha contribuito allo sviluppo<br />

della bolla speculativa, in quanto ha spinto le banche a finanziare attività<br />

speculative.<br />

Tuttavia questi fattori non sono <strong>di</strong> per sé sufficienti a spiegare la<br />

persistenza e la profon<strong>di</strong>tà della crisi <strong>giapponese</strong>.<br />

Che la liberalizzazione finanziaria non sia la sola o principale origine della<br />

lunga stagnazione è <strong>di</strong>mostrato anche dai problemi nascosti, ma non<br />

meno reali, del settore produttivo <strong>giapponese</strong>. Esso procede troppo<br />

lentamente ; per esempio molte imprese giapponesi negli anni ’80 non


hanno una vera strategia impren<strong>di</strong>toriale , cercano solo <strong>di</strong> aumentare le<br />

loro quote <strong>di</strong> mercato.<br />

I nuovi investimenti delle imprese inoltre presentano ren<strong>di</strong>menti<br />

decrescenti e l’eccesso della capacità produttiva inizia ad accumularsi.<br />

In parallelo con l’eccesso <strong>di</strong> investimento, si accresce il loro livello <strong>di</strong><br />

indebitamento che <strong>di</strong>ventera’ un importante vincolo per gli investimenti<br />

quando l’economia entrerà in recessione.<br />

D’altra parte non tutte le imprese giapponesi sono un esempio <strong>di</strong><br />

efficienza e <strong>di</strong> competitività e anzi solo una parte <strong>di</strong> esse lo sono.<br />

L’economia <strong>giapponese</strong> si è progressivamente sclerotizzata in un dualismo<br />

settori <strong>di</strong>namici/ settori protetti che ha drasticamente ridotto gli spillover<br />

dei primi sui secon<strong>di</strong> ( tra i secon<strong>di</strong> troviamo le imprese <strong>di</strong> costruzione o<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>stribuzione).<br />

Contrariamente a quanto esposto dai teorici della superiorità del<br />

modello <strong>giapponese</strong>, gli eccessi della finanza nipponica non sono dovuti<br />

ad una liberalizzazione che non si doveva fare, ma ad una liberalizzazione<br />

nella quale i meccanismi che garantivano una certa <strong>di</strong>sciplina nel passato,<br />

sono stati allentati senza essere rimpiazzati da nuovi.<br />

La crescita della produttività <strong>giapponese</strong> in quel periodo fu particolarmente<br />

forte, il giappone era il più grande cre<strong>di</strong>tore al mondo e procedeva a ritmi<br />

degni della “new economy”. La situazione economica era troppo buona per<br />

evitare lo sviluppo della bolla speculativa.<br />

Tuttavia con dei sistemi <strong>di</strong> controllo e supervisione adeguati essa non avrebbe<br />

assunto le <strong>di</strong>mensioni del 1989 e sarebbe stato molto più facile per le autorità<br />

risolvere i problemi strutturali determinati dal suo sgonfiamento.<br />

2. La crisi del sistema decisionale <strong>giapponese</strong><br />

All’inizio degli anni ’90 il governo e la burocrazia giapponesi devono<br />

fronteggiare una situazione inaspettata: la crescita è in forte decelerazione in<br />

quanto lo sgonfiamento della bolla speculativa deprime i consumi; inoltre le<br />

imprese, avendo un enorme ammontare <strong>di</strong> capacità produttiva inutilizzata ed<br />

in presenza del deterioramento della propria con<strong>di</strong>zione finanziaria, rivedono al<br />

ribasso i programmi d’investimento.<br />

I problemi più drammatici si trovano nel settore finanziario: le banche e le<br />

numerose compagnie finanziarie sono sommerse da un enorme ammontare <strong>di</strong><br />

prestiti non recuperabili. La stabilità delle banche è a rischio.<br />

La cattiva allocazione del risparmio comincia ad aggravarsi: da un lato le<br />

banche continuano a concede cre<strong>di</strong>ti ad imprese già indebitate sperando che<br />

queste riescano a risollevarsi in futuro; dall’altro, in presenza del<br />

deterioramento dei bilanci esse <strong>di</strong>ventano più caute nella concessione <strong>di</strong> nuovi<br />

prestiti, il che penalizza l’entrata nel mercato e lo sviluppo <strong>di</strong> nuove imprese .<br />

Le autorità <strong>di</strong> politica economica scelgono <strong>di</strong> rilanciare la crescita attraverso<br />

una politica fiscale espansiva.<br />

A partire dal 1992 i governi varano una serie <strong>di</strong> piani <strong>di</strong> rilancio, volti a<br />

sostenere la domanda effettiva attraverso l’aumento della spesa pubblica.


La manovra monetaria procederà più lentamente ma nel 1993 <strong>di</strong>venterà<br />

espansiva.<br />

La stagnazione dell’economia <strong>giapponese</strong> non spinge le autorità <strong>di</strong> politica<br />

economica ad affrontare <strong>di</strong> petto la questione del sistema bancario.<br />

L’immobilismo dei decision-makers giapponesi fu un immobilismo deciso, il<br />

cui fine era quello <strong>di</strong> guadagnare tempo nella speranza del successo della<br />

politica fiscale.<br />

Tuttavia tale politica se da un lato evita una recessione severa, dall’altro rende<br />

la spesa pubblica in<strong>di</strong>spensabile non più soltanto a stabilizzare il ciclo, ma ad<br />

evitare che i problemi strutturali spingano l’economia in una spirale depressiva.<br />

Lo stimolo fiscale, invece <strong>di</strong> essere temporaneo ed anti-ciclico tende a<br />

perpetuarsi .<br />

Non stupisce che la politica fiscale perda la propria efficacia come strumento <strong>di</strong><br />

stabilizzazione del ciclo ed abbia nel contempo l’effetto indesiderato <strong>di</strong><br />

aumentare il deficit ed il debito pubblico.<br />

Tale politica macroeconomica produrrà una stagnazione senza recessione,<br />

ma anche senza reali prospettive <strong>di</strong> una ripresa durevole e sostenibile.<br />

3. <strong>Il</strong> governo Hashimoto<br />

Nel 1996 Hashimoto ed i suoi consiglieri avevano in mente un ambizioso<br />

programma <strong>di</strong> riforme strutturali basato su sette pilastri :<br />

Dare rilancio ad un settore finanziario in per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> velocità,<br />

tecnologicamente in ritardo ed appesantito dai problemi strutturali<br />

attraverso misure <strong>di</strong> liberalizzazione e <strong>di</strong> deregolamentazione che<br />

riguar<strong>di</strong>no i mercati azionari ed obbligazionari.<br />

In<strong>di</strong>pendenza della banca centrale<br />

Consolidamento fiscale attraverso il varo della nuova legge <strong>di</strong> riforma<br />

strutturale del fisco. La nuova riforma obbliga il governo <strong>giapponese</strong> a<br />

ridurre il deficit pubblico a meno del 3% del Pil entro il 2003. <strong>Il</strong> deficit<br />

pubblico previsto per il 1997 è vicino al 6% del PIL <strong>giapponese</strong>. Per<br />

raggiungere tale scopo le spese pubbliche non possono superare certi tetti e<br />

vengono inoltre introdotti obiettivi specificati in termini quantitativi.<br />

Dovendo fronteggiare gravi problemi strutturali, in primis il rapido<br />

invecchiamento della popolazione, che rischiano <strong>di</strong> fare esplodere la spesa<br />

pubblica, il governo intende giocare d’anticipo ed evitare che la spesa<br />

pubblica influenzi in modo negativo la crescita <strong>di</strong> lungo periodo<br />

dell’economia <strong>giapponese</strong>.<br />

Riforma del sistema <strong>di</strong> tassazione attraverso l’aumento della tassa sui<br />

consumi dal 3% al 5%. L’aumento dell’imposizione in<strong>di</strong>retta è un passo<br />

necessario verso la riforma <strong>di</strong> un sistema <strong>di</strong> tassazione estremamente<br />

progressivo, pieno <strong>di</strong> esenzioni e deduzioni che ne limitavano<br />

drammaticamente la base imponibile.


Riforma del Walfare realizzata attraverso una riforma del sistema <strong>di</strong><br />

assicurazione sanitaria e l’aumento dei contributi per finanziare le pensioni<br />

con lo scopo <strong>di</strong> tenere sotto controllo l’evoluzione delle finanze pubbliche.<br />

Programma <strong>di</strong> regolamentazione: il settore delle telecomunicazioni, fino ad<br />

allora monopolizzato, comincia ad essere liberalizzato; inoltre altri settori<br />

significativamente influenzati dal processo <strong>di</strong> deregulation sono: l’energia,<br />

l’elettricità e la <strong>di</strong>stribuzione .<br />

Programma <strong>di</strong> riforma dell’amministrazione pubblica. La legge <strong>di</strong> riforma<br />

amministrativa prevede uno snellimento dei ministeri (da 22 a 12) .<br />

Le riforme elaborate non mancano <strong>di</strong> ambizione, ma colpiscono per la loro<br />

mancanza <strong>di</strong> originalità.<br />

<strong>Il</strong> fallimento degli sforzi riformatori <strong>di</strong> Hashimoto fu determinato<br />

essenzialmente da due fattori:<br />

La <strong>di</strong>storsione restrittiva <strong>di</strong> cui soffriva l’intero piano a livello<br />

macroeconomico e dunque la sua insostenibilità <strong>di</strong> breve periodo;<br />

L’assenza <strong>di</strong> coerenza nel piano stesso , dovuta all’esigenza <strong>di</strong> proteggere<br />

alcuni importanti interessi della burocrazia e dell’impren<strong>di</strong>toria.<br />

E’ sorprendente notare come i policy-makers giapponesi non abbiano tenuto<br />

conto che l’aumento della tassa sui consumi si sovrapponeva all’aumento dei<br />

contributi per finanziare il sistema del welfare ed alla scadenza <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong><br />

sgravi fiscali.<br />

Congiuntamente tali misure ebbero un impatto recessivo significativo (attorno<br />

al 2% del PIL).<br />

Al fine <strong>di</strong> giustificare la drastica manovra restrittiva il governo lanciò una<br />

campagna <strong>di</strong> informazione che sottolineava la situazione drammatica della<br />

finanza pubblica <strong>giapponese</strong>. <strong>Il</strong> risultato fu quello <strong>di</strong> alimentare un sentiero <strong>di</strong><br />

insicurezza generalizzato, che si trasformerà in panico al momento del<br />

fallimento <strong>di</strong> un certo numero <strong>di</strong> istituzioni bancarie e finanziarie.<br />

La fiducia dei consumatori cominciò a declinare , le scorte balzarono verso l’alto<br />

e gli investimenti si contrassero fortemente.<br />

Questi fattori congiuntamente con la crisi finanziaria asiatica ed una politica<br />

monetaria ancora una volta troppo lenta ad aggiustarsi alla nuova situazione,<br />

daranno il colpo <strong>di</strong> grazia all’economia <strong>giapponese</strong> poichè venne scatenata una<br />

drammatica contrazione del red<strong>di</strong>to .<br />

4. Recessione e ripresa: quali politiche economiche?<br />

Nel 1998 il PIL <strong>giapponese</strong> subì una contrazione dell’1,1%, ma il risultato<br />

sarebbe stato ben peggiore se non fossero stati varati due piani <strong>di</strong> rilancio<br />

fiscale. <strong>Il</strong> governo procedette inoltre ad una significativa iniezione <strong>di</strong> denaro<br />

pubblico nel sistema bancario e la banca centrale aumentò la liqui<strong>di</strong>tà nel<br />

sistema economico.


L’enorme stimolo fiscale e il rilassamento della politica monetaria riuscirono ad<br />

evitare lo svilupparsi <strong>di</strong> una spirale deflazionistica ma non a produrre<br />

l’agognato jump-start e ristabilire le con<strong>di</strong>zioni per una ripresa sostenibile<br />

dell’economia.<br />

Diversi fattori contribuiscono a spiegare tale risultato.<br />

Una politica monetaria idonea ad evitare il collasso ma inadeguata a<br />

combattere le tendenze deflazionistiche. Con la politica del tasso <strong>di</strong> interesse<br />

a zero la banca centrale <strong>giapponese</strong> ha esaurito la gamma degli interventi<br />

monetari accettabili. Spetta dunque alla politica fiscale fornire gli impulsi per<br />

il rilancio dell’attività economica.Tuttavia così facendo , essa invece <strong>di</strong><br />

contribuire a fornire certezza agli agenti economici è <strong>di</strong>ventato uno dei<br />

fattori che alimentano l’instabilità del sistema economico <strong>giapponese</strong>.<br />

<strong>Il</strong> drammatico crollo della domanda effettiva determina un cambio <strong>di</strong> rotta<br />

nella politica fiscale del governo nipponico. Vennero varate una serie <strong>di</strong><br />

misure fiscali espansive. I pacchetti <strong>di</strong> rilancio furono usati per finanziare<br />

lavori pubblici e la costruzione <strong>di</strong> nuove infrastrutture, spesso inutili e<br />

costose. <strong>Il</strong> loro impatto sulla domanda è stato moderato poiché l’aumento<br />

della spesa pubblica ha avuto un effetto <strong>di</strong> crow<strong>di</strong>ng out sul consumo.Tale<br />

effetto <strong>di</strong>pese non solo dall’equivalenza ricar<strong>di</strong>ana, ma anche dal fatto che<br />

un crescente segmento della popolazione si sta avvicinando all’età<br />

pensionabile e il pubblico ha risposto al crescente aumento della spesa<br />

pubblica aumentando la quota <strong>di</strong> risparmio sul PIL. Inoltre occorre<br />

sottolineare che i progetti realizzati presentano una debole produttività ed<br />

alti costi <strong>di</strong> mantenimento. L’aspetto più grave riguarda però la<br />

politicizzazione della spesa pubblica, ossia l’uso <strong>di</strong> pacchetti fiscali prima<br />

delle elezioni per aumentare le chances <strong>di</strong> vittoria del partito.<br />

Numerose istituzioni bancarie e finanziarie fallirono e i risparmiatori<br />

iniziarono a ritirare i loro depositi. In assenza <strong>di</strong> una ricapitalizzazione<br />

bancaria finanziata da fon<strong>di</strong> pubblici il collasso del sistema bancario è<br />

inevitabile. Diciotto delle <strong>di</strong>ciannove gran<strong>di</strong> banche giapponesi accettarono<br />

l’iniezione <strong>di</strong> denaro pubblico; tuttavia tutte le banche, in<strong>di</strong>pendentemente<br />

dalla loro con<strong>di</strong>zione economica e finanziaria richiesero un contributo dello<br />

stesso ammontare: 100 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> yen. L’atteggiamento <strong>di</strong> arroganza<br />

economica delle banche fa perdere loro cre<strong>di</strong>bilità a livello internazionale,<br />

mentre continua, a livello interno, il ritiro dei risparmi. <strong>Il</strong> rischio <strong>di</strong> bank run<br />

non è più una possibilità remota.<br />

5. L’esperimento <strong>di</strong> koizumi<br />

Nel 2000 la ripresa congiunturale iniziata nel 1999 grazie alla politica<br />

macroeconomica espansiva si affloscia, quando alcuni dei principali in<strong>di</strong>catori<br />

(in primis gli investimenti) cominciano a segnare un rallentamento dell’attività<br />

economica, dovuto in parte al rallentamento in atto nell’economia americana.<br />

Koizumi <strong>di</strong>venta primo ministro nel 2001, la propria campagna si basa<br />

sull’impegno <strong>di</strong> procedere ad un rapido consolidamento fiscale (in primis<br />

attraverso la drastica riduzione degli investimenti pubblici) e sull’accelerazione


delle riforme strutturali senza risparmiare i terreni protetti : una “riforma senza<br />

santuari”.<br />

Sono tre le priorità <strong>di</strong> tale governo :<br />

1) La risoluzione delle sofferenze bancarie ,<br />

2) <strong>Il</strong> rafforzamento della politica della concorrenza,<br />

3) <strong>Il</strong> consolidamento fiscale.<br />

Tuttavia in tale programma riformatore manca una sequenza appropriata <strong>di</strong><br />

obiettivi intertemporali e presenta limiti importanti.<br />

Vengono preparati piani <strong>di</strong> cancellazione delle sofferenze bancarie, ma viene<br />

escluso l’utilizzo <strong>di</strong> denaro pubblico, perché sarebbe in contrad<strong>di</strong>zione con gli<br />

sforzi <strong>di</strong> riportare la spesa pubblica sotto controllo.<br />

Con un’economia che si contrae ad un tasso annuale del 4,8% (nel secondo<br />

semestre del 2001) procedere, nel bel mezzo della recessione, al<br />

consolidamento fiscale significa inviare l’economia in una spirale deflazionistica.<br />

<strong>Il</strong> governo Koizumi adottò una politica fiscale più flessibile, anche se nel campo<br />

della politica fiscale il maggior pragmatismo è in sé insufficiente se l’obbiettivo<br />

è quello <strong>di</strong> rimettere in moto l’economia.<br />

Con un sistema bancario vicino all’insolvenza, solo una significativa<br />

ricapitalizzazione, che potrebbe condurre alla nazionalizzazione <strong>di</strong> numerose<br />

banche, può rappresentare una risposta efficace e definitiva ai problemi che si<br />

trascinano da più <strong>di</strong> un <strong>decennio</strong>. <strong>Il</strong> prezzo iniziale da pagare, in termini <strong>di</strong><br />

deficit pubblico, sarà certamente grande; ma il tutto deve essere confrontato<br />

con il costo attualizzato dell’inazione che rischia <strong>di</strong> essere ben più elevato.<br />

<strong>Il</strong> risultato attuato dal governo Koizumi è una politica <strong>di</strong> wait and see che non<br />

giova a nessuno, ma che nessuno ha la forza <strong>di</strong> mettere in <strong>di</strong>scussione.<br />

La trage<strong>di</strong>a del Giappone <strong>di</strong> oggi sta nella mancanza <strong>di</strong> un forte partito <strong>di</strong><br />

opposizione che rappresenti gli interessi della classe dei lavoratori e sia in<br />

grado <strong>di</strong> criticare chiaramente le politiche governative per cercare <strong>di</strong><br />

mo<strong>di</strong>ficarle efficacemente.<br />

……………..<br />

Possono queste considerazioni rappresentare la risposta ai nostri interrogativi<br />

iniziali o forse il perchè dell’inefficacia delle politiche economiche attuate va<br />

ricercato altrove?


QUALI LEZIONI DAL GIAPPONE ?<br />

Le convulsioni delle politica economica <strong>giapponese</strong> dell’ultimo <strong>decennio</strong><br />

possono fornire alcune interessanti lezioni <strong>di</strong> politica economica in quattro<br />

campi:<br />

LA POLITICA FISCALE<br />

Inferire dall’esperienza <strong>giapponese</strong> che una politica fiscale anticiclica è<br />

inefficace nel breve periodo e pregiu<strong>di</strong>zievole per la crescita nel lungo<br />

periodo è probabilmente scorretto.<br />

L’espansione fiscale ha avuto un ruolo essenziale nell’evitare un<br />

aggravamento drammatico della crisi <strong>giapponese</strong>. Certo una sua <strong>di</strong>versa<br />

composizione avrebbe potuto aumentare l’impatto sia in termini <strong>di</strong> creazione<br />

della domanda effettiva sia dal lato dell’offerta: per esempio attraverso il<br />

finanziamento <strong>di</strong> progetti con più elevati ren<strong>di</strong>menti economici e sociali; ciò<br />

non toglie che essa sia riuscita a stabilizzare la situazione, evitando lo<br />

svilupparsi <strong>di</strong> una spirale depressiva. Al contrario, la sottovalutazione<br />

dell’impatto recessivo <strong>di</strong> una politica fiscale troppo restrittiva ha contribuito<br />

non poco ad aggravare la situazione congiunturale contribuendo o al<br />

capovolgimento del ciclo o all’accelerazione della caduta del red<strong>di</strong>to.<br />

D’altra parte l’esperienza <strong>giapponese</strong> mostra che, se la politica fiscale<br />

<strong>di</strong>venta ostaggio del political business cycle, il suo impatto è non solo<br />

negativo sul me<strong>di</strong>o-lungo periodo a causa della per<strong>di</strong>ta del controllo da parte<br />

dell’autorità <strong>di</strong> politica economica sull’evoluzione del deficit e<br />

sull’accumulazione del debito pubblico, ma è inefficace anche nel breve<br />

periodo. Poiché la spesa pubblica è chiamata a sostenere le declinanti<br />

fortune del partito o della coalizione al governo, il suo utilizzo gioca sempre<br />

meno un ruolo <strong>di</strong> stabilizzatore del ciclo (salvo nell’improbabile caso che<br />

ciclo politico e ciclo economico coincidano perfettamente). E’ chiaro che, con<br />

deficit elevati ed un alto e crescente debito pubblico in una situazione in cui<br />

l’utilizzo della spesa pubblica viene considerato subottimale, l’aumento del<br />

risparmio precauzionale sembra altamente probabile.<br />

E’ illusorio pensare che una politica <strong>di</strong> rilancio fiscale possa essere condotta<br />

senza interferenze <strong>di</strong> pura convenienza politica, è importante però che<br />

queste non finiscano per prendere il sopravvento facendo passare in<br />

secondo piano l’obiettivo principale: la stabilizzazione del ciclo in attesa della<br />

ripresa della domanda privata..<br />

<strong>Il</strong> problema <strong>di</strong> fondo nel valutare l’efficienza <strong>di</strong> un pacchetto fiscale non<br />

consiste nella presenza o meno <strong>di</strong> opere pubbliche o infrastrutture, consiste<br />

invece nell’osservare se queste opere sono o meno sussi<strong>di</strong> nascosti, decisi<br />

con criteri <strong>di</strong> convenienza politica, piuttosto che sulla base del loro<br />

ren<strong>di</strong>mento economico.<br />

La politica fiscale <strong>di</strong>screzionale resta uno strumento molto <strong>di</strong>fficile da gestire<br />

non solo per i ritar<strong>di</strong> nella sua attuazione, che aumentano i rischi <strong>di</strong><br />

prociclicità , ma anche perché considerazioni <strong>di</strong>verse da quelle legate alla<br />

stabilizzazione del ciclo entrano inevitabilmente in gioco.Se esse <strong>di</strong>ventano<br />

dominanti, l’esperienza <strong>giapponese</strong> mostra che possono generare effetti<br />

perversi con conseguenze durature.


LA POLITICA MONETARIA<br />

La Banca Centrale <strong>giapponese</strong> ha cercato <strong>di</strong> far fronte alle pressioni<br />

deflazionistiche, che fecero seguito allo scoppio della bolla speculativa<br />

finanziaria, con una riduzione graduale dei tassi.<br />

Una più rapida riduzione dei tassi era resa <strong>di</strong>fficile dall’improvviso aumento<br />

dell'inflazione. L’approccio gradualista della politica monetaria ha tuttavia<br />

prodotto risultati deludenti: la politica monetaria è rimasta restrittiva fino al<br />

1993, ed il suo contributo al sostegno dell’attività economica ed alla lotta<br />

alle tendenze deflative fu limitato ed inefficace.<br />

L’evoluzione economica del Giappone sembra confermare che una politica<br />

monetaria gradualista è troppo lenta nel produrre risultati se confrontata a<br />

shock <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni che producono squilibri significativi sia a livello<br />

macro sia a livelli micro.<br />

La Banca Centrale del Giappone ha sempre affermato il suo impegno a<br />

fornire ampia liqui<strong>di</strong>tà al sistema bancario, in caso <strong>di</strong> necessità tuttavia essa<br />

si è sempre opposta all’impiego <strong>di</strong> mezzi eterodossi (per es: interventi non<br />

sterilizzati sul mercato dei cambi, la monetarizzazione del debito pubblico o<br />

l’introduzione <strong>di</strong> un obiettivo inflazionistico reso cre<strong>di</strong>bile da una espansione<br />

della base monetaria) per riportare la <strong>di</strong>namica dei prezzi su valori positivi.<br />

L’opposizione è legata a due affermazioni:<br />

Le misure eterodosse creano un potenziale inflazionistico nel lungo<br />

termine<br />

Misure eterodosse e inflazione nuociono gravemente alla cre<strong>di</strong>bilità della<br />

banca centrale se non si raggiungono gli obiettivi.<br />

Nonostante questa posizione della banca centrale nipponica, la<br />

continuazione della deflazione non può che spingere ancora più in basso la<br />

già limitata cre<strong>di</strong>bilità della banca centrale stessa.<br />

La conclusione che è possibile trarre da queste considerazioni è che un<br />

banchiere conservatore (Banca del Giappone) è forse la risposta ottimale<br />

per condurre la politica monetaria attraverso cicli economici normali, che<br />

caratterizzano le economie capitalistiche avanzate, ma sembra inadeguato<br />

per situazioni eccezionali, quali la lunga deflazione <strong>giapponese</strong>. In questi<br />

casi un banchiere centrale, con una più elevata propensione al rischio,<br />

pronto a condurre politiche monetarie aggressive, potrebbe produrre<br />

risultati superiori, sia in termini <strong>di</strong> crescita del red<strong>di</strong>to, che <strong>di</strong> stabilità dei<br />

prezzi.<br />

LE RIFORME STRUTTURALI<br />

I governi giapponesi hanno tentato <strong>di</strong>versi approcci <strong>di</strong> riforme strutturali per<br />

cercare <strong>di</strong> <strong>di</strong>namicizzare l’economia. Tuttavia gli approcci seguiti hanno<br />

prodotto risultati insod<strong>di</strong>sfacenti. I tentativi graduali mancavano <strong>di</strong> obiettivi<br />

forti e si sono ridotti poco a poco all’eliminazione <strong>di</strong> regolamentazioni inutili<br />

in un certo numero <strong>di</strong> settori.


Nell’insieme sia i piani <strong>di</strong> liberalizzazione e deregolamentazione gradualisti,<br />

sia quelli più ambiziosi con<strong>di</strong>vidono uno stesso limite: si tratta <strong>di</strong> piani<br />

statici, privi <strong>di</strong> vere priorità e <strong>di</strong> una sequenza coerente che li renda<br />

compatibili con la situazione macroeconomica, efficaci nell’eliminare gli<br />

ostacoli principali alla rivitalizzazione dell’economia e capaci <strong>di</strong> servire a<br />

successive riforme.<br />

LA RISTRUTTURAZIONE BANCARIA<br />

Per il Giappone la prima riforma che genera riforme avrebbe dovuto essere<br />

la soluzione dei problemi del sistema bancario. Ex post è chiaro che i<br />

meccanismi posti in essere per: mascherare , minimizzare, nascondere e<br />

aggirare la cancellazione delle sofferenze bancarie hanno logorato i<br />

meccanismi <strong>di</strong> regolazione finanziaria.<br />

Infatti, in assenza <strong>di</strong> un funzionamento normale del sistema cre<strong>di</strong>tizio, i<br />

meccanismi <strong>di</strong> trasmissione monetaria vengono depotenziati e le politiche<br />

monetarie espansive producono solo una frazione dei risultati attesi.<br />

COCLUSIONE<br />

Tra le molte riforme <strong>di</strong> cui il giappone ha bisogno una delle più urgenti ed importanti<br />

e quella che riguarda la modernizzazione dei meccanismi istituzionali <strong>di</strong> presa delle<br />

decisioni. Senza una tale riforma in grado <strong>di</strong> garantire più trasparenza e <strong>di</strong> consentire<br />

la rapida emersione <strong>di</strong> questioni che possono avere importanti ripercussioni<br />

economiche o sociali e <strong>di</strong> conseguenza ridurre le collusioni esistenti tra decisori e<br />

<strong>di</strong>fensori <strong>di</strong> interessi costituiti, risulta <strong>di</strong>fficile vedere come il giappone possa in<br />

futuro evitare <strong>di</strong> ripetere gli errori compiuti nell’affrontare i problemi <strong>di</strong> ogni settore.<br />

<strong>Il</strong> giappone nelle <strong>di</strong>fficili con<strong>di</strong>zioni attuali non può permettersi il lusso <strong>di</strong><br />

commettere nuovi errori stategici.

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