10.06.2013 Views

Sussidio della Lectio - Centro Giovanile Antonianum

Sussidio della Lectio - Centro Giovanile Antonianum

Sussidio della Lectio - Centro Giovanile Antonianum

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

<strong>Lectio</strong> divina mensile al <strong>Centro</strong> <strong>Giovanile</strong> <strong>Antonianum</strong><br />

8° incontro (18.05.2008)<br />

“Uno, figlio d’uomo, il cui potere è eterno” (Dan 7,13–14).<br />

L’attesa di un Salvatore.<br />

Introduzione<br />

Nella settima puntata abbiamo considerato l’enorme fecondità del tempo dell’esilio. Quella che poteva essere la<br />

fine è divenuta l’occasione di una crescita e di un approfondimento dell’esperienza di fede. Il periodo successivo<br />

fino alla venuta di Gesù è in parte una storia ben conosciuta e in parte un crogiuolo poco conosciuto: gli imperi<br />

si succedono nell’occupazione e le culture si avvicendano, mentre, salvo il breve periodo <strong>della</strong> rivolta dei<br />

Maccabei e <strong>della</strong> dinastia Asmonea, la restaurazione del regno di Israele resta un utopia. Ma è proprio in questo<br />

periodo che si rafforza l’identità spirituale e religiosa del popolo di Dio, soprattutto di un “resto” di Israele<br />

dedito alla preghiera, all’elemosina e al digiuno, i 3 capisaldi in cui si esprime la pietà post esilica. È in questo<br />

tempo che matura anche la letteratura sapienziale e si affaccia l’apocalittica. I “poveri del Signore” vivono<br />

all’ombra delle grandi vicende, ma crescono nella fiducia che Dio porta sempre a compimento la Sue promesse:<br />

sono quindi in attesa del conforto di Israele e <strong>della</strong> redenzione di Gerusalemme: “Gli uomini e le donne che<br />

incontriamo sulle soglie del NT sono membri di questo “resto” e gli eredi di una tale spiritualità: Giuseppe e<br />

Maria di Nazaret (Mt 1,19; Lc 1,38); Zaccaria ed Elisabetta (Lc 1,6.13); i pastori <strong>della</strong> regione di Betlemme (Lc<br />

2,8-20); Giovanni Battista (Lc 1,15b.80b); Simeone (Lc 2,25.29-30) e Anna (Lc 2,37-38); persino fuori del<br />

popolo giudaico, come l’etiope, funzionario <strong>della</strong> regina Candace (At 8,27-31), e Cornelio, il centurione <strong>della</strong><br />

coorte Italica (At 10,1-4.22.30-33). Uomini e donne costantemente guidati dallo Spirito Santo, come sarà vero in<br />

modo eminente del Messia Gesù (Lc 3,22; 4,1 bis .14.18, ecc.) e del “resto” costituito dai suoi discepoli.” (RdG).<br />

Storia<br />

(LUCA MAZZINGHI, Storia di Israele. Dalle origini al periodo romano, EDB, Bologna 2008, 99–128 passim )<br />

Successore di Cambise fu il re Dario (522-485 a.C.), un’altra figura importante nella storia dell’epoca: egli riuscì<br />

a sedare le rivolte e i disordini che erano scoppiati sotto Cambise e intraprese una completa riforma<br />

amministrativa del suo vasto impero, che si rifletterà anche sulla Giudea. Qui, continuando la politica di Ciro,<br />

Dario nomina come governatore un certo Zorobabele, israelita <strong>della</strong> famiglia di David, cui viene affiancata<br />

l’autorità religiosa del sommo sacerdote Giosuè, di stirpe sadocita. In Ag 2,20-23 e Zac 6,9-l4 si parla di<br />

Zorobabele in termini quasi messianici: il profeta Aggeo annunzia poi la venuta del regno di Dio, proprio sulla<br />

base di queste speranze; in ogni caso la speranza di una restaurazione <strong>della</strong> monarchia davidica non sembra<br />

affatto scomparsa.<br />

Il momento storico in cui cade questo annunzio è la morte di Cambise, seguita dalla lotta per la successione,<br />

dalla quale Dario uscirà vincitore. Forse furono proprio le mai sopite speranze di restaurare la monarchia<br />

davidica, speranze riposte dagli esuli nella persona di Zorobabele, che spinsero Dario a toglierlo<br />

improvvisamente dalla scena. L’autorità politica non scompare, perché al posto di Zorobabele vi sarà sempre un<br />

governatore, rappresentante del re persiano; tuttavia, agli occhi degli Israeliti, la vera autorità rimane quella<br />

religiosa: è da questo momento infatti che il potere del sommo sacerdote inizia ad essere sempre più importante,<br />

caratterizzando la vita <strong>della</strong> comunità giudaica, sempre più stretta intorno alla sua fede e alle sue osservanze<br />

cultuali.<br />

Negli anni del re Serse (485-465 a.C.), l’impero persiano entra in una fase di crisi. Dopo Dario, uscito sconfitto<br />

dalla ben nota battaglia di Maratona, anche Serse viene sconfitto dai greci, in mare a Salamina e in terra a Platea;<br />

il tentativo persiano di sottomettere la Grecia fallisce mentre anche l’Egitto cerca di ritrovare la perduta<br />

indipendenza.<br />

Ciò che avvenne nel corso di questi anni nella piccola provincia persiana <strong>della</strong> Giudea, che probabilmente non<br />

contava all’epoca più di 50.000 abitanti, ci è largamente ignoto: neppure i testi biblici, infatti, ci sono di aiuto. Si<br />

può pensare che è questo il tempo in cui in Israele nasce una visione più universalistica, più aperta cioè agli altri<br />

popoli. La terza parte di Isaia (capitoli 56-66) annunzia per il futuro la conversione dei pagani e l’avvento di un<br />

regno universale di Dio, dopo più di un secolo di esperienze fatte come vassalli di questa o quest’altra potenza.<br />

Una forte critica al particolarismo e al nazionalismo giudaico, che si farà sentire soprattutto all’epoca di Neemia<br />

ed Esdra, è contenuta nei due piccoli ma preziosi libretti di Rut e di Giona, racconti edificanti composti forse<br />

proprio in questo periodo e rappresentanti di un altro tipo di giudaismo: il libro di Rut presenta la splendida<br />

figura dell’omonima protagonista, una straniera proveniente dall’odiato paese di Moab, sposa dell’israelita Booz,<br />

antenata del re David; Giona è il recalcitrante profeta israelita mandato a predicare ai pagani di Ninive, i nemici<br />

storici di Israele, i quali, con suo grande disappunto, si convertono. In entrambi i casi il messaggio è chiaro:<br />

Pagina 1 di 8


<strong>Lectio</strong> divina mensile al <strong>Centro</strong> <strong>Giovanile</strong> <strong>Antonianum</strong><br />

8° incontro (18.05.2008)<br />

anche stranieri e pagani (e persino le loro donne!) possono convertirsi ed entrare così in relazione con il popolo<br />

eletto.<br />

/…/ Il libro del profeta Malachia, composto probabilmente proprio verso la fine di questo periodo, parla di gravi<br />

carenze nel comportamento dei sacerdoti, di prevaricazioni in campo morale, esprimendo allo stesso tempo<br />

l’attesa di un mutamento radicale.<br />

L’impero persiano, intanto, è riuscito, almeno in parte, a riprendersi dalla sua crisi; l’opposizione esistente tra le<br />

città greche di Sparta e Atene, infatti, favorisce Artaserse, il successore di Serse (465-424 a.C.) che riesce ad<br />

assorbire le precedenti sconfitte patite contro i greci. Ulteriori segni di cedimento dell’impero si avranno<br />

comunque qualche anno più tardi, sotto Artaserse II (405-359 a.C. ca.) quando l’Egitto riuscirà a recuperare la<br />

sua indipendenza. E’ in questo contesto storico che si colloca la missione di due personaggi, Esdra e Neemia,<br />

ricordati nei due libri che ne portano il nome.<br />

Secondo la cronologia tradizionale, quella cioè riportata dai testi biblici in questione, Esdra, un giudeo anch’egli<br />

esule a Babilonia, si reca nel 458 a Gerusalemme, come incaricato del re Artaserse I (Esd 7,7). Nel 445 verrà<br />

seguito da un secondo personaggio, il governatore Neemia, anch’egli un incaricato del re (Ne 2,1). Il vero<br />

riformatore <strong>della</strong> vita sociale, politica e soprattutto religiosa dei giudei appare, come vedremo, Esdra. La<br />

missione di Neemia sembra inoltre ignorare l’opera da lui compiuta. Inoltre, la missione di Esdra sembra<br />

presupporre una Gerusalemme già ricostruita, cosa che di fatto non avviene se non sotto Neemia.<br />

Queste difficoltà sono state risolte in vari modi… La soluzione forse più semplice, oggi seguita da molti storici,<br />

sta nell’ammettere che l’Artaserse di cui si parla a proposito di Esdra sia in realtà Artaserse II. Così la missione<br />

di Esdra viene a collocarsi dopo quella di Neemia, di cui costituisce il logico completamento. Avremmo allora<br />

una cronologia rovesciata, rispetto all’ordine biblico: non dunque Esdra – Neemia, ma Neemia - Esdra. Nel 445,<br />

sotto Artaserse I, si colloca l’arrivo di Neemia a Gerusalemme, che si trova di fronte a una situazione di crisi e ad<br />

una città ancora non completamente ricostruita. Questa missione sarà seguita, nel 398, da quella di Esdra, sotto il<br />

regno di Artaserse II.<br />

Il libro di Neemia contiene il racconto, non sappiamo quanto amplificato ed epicizzato, <strong>della</strong> ricostruzione delle<br />

mura di Gerusalemme che, superando le varie difficoltà, vengono ultimate nel 444 a.C. Dopo dodici anni di<br />

permanenza a Gerusalemme Neemia fa ritorno a Babilonia, ma nel 432 lo rivediamo nuovamente in Giudea (Ne<br />

5,14), dove si impegna a dare attuazione ad alcune riforme, sia sul piano sociale che su quello religioso. Sul<br />

piano sociale, Neemia si trova di fronte a una situazione di diffusa povertà (5,15). L’eccessiva fiscalizzazione e<br />

le difficoltà economiche in cui gli esuli si dibattevano li costringevano a vendere le loro proprietà e anche a<br />

vendere i propri figli come schiavi (Ne 5,1-5). Neemia cerca di combattere questa situazione obbligando i<br />

proprietari a restituire le proprietà ipotecate di cui si erano impadroniti e a liberare gli israeliti venduti come<br />

schiavi per pagare i loro debiti, riducendo poi l’eccessiva gravosità del sistema fiscale persiano.<br />

Sul piano religioso, Neemia tentò di restaurare il sacerdozio contrapponendosi a quei sacerdoti e leviti che<br />

evidentemente abusavano o si disinteressavano del loro ministero (Ne 13,4-13; cf. anche Ne 7,64 – i sacerdoti<br />

sospesi dal servizio, e 7,6-4, la ricerca delle genealogie autentiche): ciò è in linea con gli ammonimenti contenuti<br />

nel libro del profeta Malachia; in ogni caso, Malachia riserva ai soli sacerdoti l’interpretazione <strong>della</strong> Legge (cf.<br />

Mal 2,7), sancendone così l’autorità anche in campo civile. Neemia si batte ancora per il rispetto dell’osservanza<br />

<strong>della</strong> legge del sabato, adottando una misura drastica, cioè la chiusura, in giorno di sabato, delle porte <strong>della</strong> città<br />

(Ne 13,15-22). Egli proibisce poi i matrimoni misti con donne pagane (13,23-27), problema che si farà sentire<br />

ancora con Esdra.<br />

Il periodo che va dalla seconda missione di Neemia a quella di Esdra ci è del tutto ignoto. Esdra (forma greca<br />

dell’ebraico Ezra, “Dio aiuta”) viene presentato, nel libro omonimo, che del resto è anche l’unica fonte a nostra<br />

disposizione, come un sacerdote, esperto nella “legge di Mosè” (Esd 7,1-6) che si sarebbe recato a<br />

Gerusalemme, nel 398 a.C., alla testa di un nuovo gruppo di esuli, come una sorta di incaricato del re per gli<br />

affari religiosi. Riprende alcuni elementi dell’opera di Neemia, come le leggi relative al culto e la proibizione dei<br />

matrimoni misti e la Tôrah, la Legge mosaica, diviene ormai la legge che regola l’intera vita d’Israele. Nasce una<br />

realtà nuova, il giudaismo: una comunità basata non più su fattori unicamente politici, una comunità sempre più<br />

separata rispetto agli altri popoli. /…/<br />

Scomparsa la monarchia, affievolitosi gradualmente il movimento profetico, il potere del sommo sacerdote<br />

diventa sempre più ampio fino a comprendere, nel successivo periodo ellenistico, un effettivo potere politico... Il<br />

punto culminante di questo processo si avrà con la dinastia asmonea, dove il sommo sacerdote è allo stesso<br />

tempo il re; solo a questo punto sarebbe forse possibile parlare di “teocrazia”, ma l’accento sarà posto così<br />

fortemente sull’aspetto politico che i giudei più fedeli vedranno negli Asmonei piuttosto un tradimento<br />

dell’ideale teocratico. In epoca romana, mentre i farisei si rifugeranno nell’obbedienza <strong>della</strong> Legge, espressione<br />

<strong>della</strong> volontà di YHWH-Re, gruppi più estremisti come gli zeloti cercheranno di instaurare una teocrazia<br />

Pagina 2 di 8


<strong>Lectio</strong> divina mensile al <strong>Centro</strong> <strong>Giovanile</strong> <strong>Antonianum</strong><br />

8° incontro (18.05.2008)<br />

effettiva, attraverso la rivolta e la lotta armata contro i romani e la proclamazione <strong>della</strong> regalità di YHWH, unico<br />

Signore di Israele.<br />

In conclusione, la comunità giudaica che emerge dalle riforme di Neemia e Esdra non è tanto uno Stato retto da<br />

principi religiosi (uno Stato governato dalla religione) quanto piuttosto una comunità unita da legami religiosi.<br />

Non esiste più una nazione giudaica, ma esiste un popolo, radunato attorno alla sua fede. La Legge e il culto,<br />

prima ancora che le preoccupazioni razziali (cf. l’importante libro di Rut!), divengono infatti i pilastri su cui si<br />

costruisce la vita di Israele, mentre senza dubbio aumenta sempre più l’autorità del sacerdozio… La Legge è<br />

considerata la diretta espressione <strong>della</strong> volontà di Dio che regola la vita quotidiana dell’uomo, in ogni suo<br />

aspetto; il culto diventa l’aspetto più elevato <strong>della</strong> vita religiosa, il mezzo per entrare in rapporto con Dio. Ma la<br />

chiusura di fronte all’ambiente circostante non è totale; Rut e Giona, ad esempio, suggeriscono la possibilità<br />

dell’accoglienza e <strong>della</strong> conversione. A lato di queste idee di fondo, troviamo in questo periodo lo svilupparsi di<br />

attese escatologiche e messianiche riscontrabili già nei testi di Is 56-66, di Aggeo, di Malachia, <strong>della</strong> seconda<br />

parte di Zaccaria (Zac 9-14); come più avanti vedremo si gettano i germi dell’importante tradizione apocalittica.<br />

Sempre in questo momento storico si colloca il grande sviluppo <strong>della</strong> letteratura sapienziale: la sapienza israelita,<br />

nata già all’epoca monarchica attraverso il contatto con la sapienza dei popoli vicini, diventa una proposta di vita<br />

in una società da ricostruire, un tentativo di armonizzare l’esperienza umana e la riflessione critica sulla realtà<br />

con la fede nel Dio di Israele. Il saggio israelita cerca una via per una educazione integrale dell’uomo, un “saper<br />

vivere” e un “saper fare” che tocchi ogni aspetto <strong>della</strong> vita. Verso la fine del V o più probabilmente durante il IV<br />

secolo a.C., si colloca la redazione finale del libro dei Proverbi, con la quale un ignoto autore raccoglie e<br />

pubblica una raccolta di detti (i ‘proverbi’ appunto) appartenenti alla sapienza antica, a partire dalla fine<br />

dell’epoca salomonica. Di datazione più incerta, ma sempre riferibile a questo periodo del post-esilio, è poi il<br />

libro di Giobbe, impostato sul problema del rapporto che il fedele può avere con un Dio che permette il dolore,<br />

in polemica con la visione tradizionale (deuteronomica!) <strong>della</strong> retribuzione. /…/<br />

Il periodo che va dalla missione di Esdra alla conquista di Alessandro Magno ci è largamente ignoto, per quanto<br />

riguarda le sorti <strong>della</strong> Giudea. Dalla morte di Artaserse II, nel 358 a.C., l’impero persiano si trascina, tra alterne<br />

vicende, sino al 333: in questo anno il re macedone Alessandro Magno sconfigge nella celebre battaglia di Isso<br />

l’esercito persiano di Dario III ed estende il suo regno dalla Macedonia sino al fiume Indo. Nel 332 Alessandro<br />

Magno invade anche l’Egitto, passando per la Galilea, la Samaria e la Giudea, che vengono annesse quasi senza<br />

colpo ferire: inizia così un’epoca del tutto nuova, l’epoca ellenistica. Ancora una volta le sorti di Israele<br />

dipendono dal mutamento del quadro internazionale e dal sorgere di una nuova potenza. Ma mentre in<br />

precedenza assiri, egiziani, babilonesi e persiani erano tutti popoli spesso relativamente vicini a Israele per<br />

lingua, per cultura, per usi e costumi, questa volta il giudaismo viene a contatto con un mondo totalmente nuovo,<br />

quello greco. /…/ Il processo di ellenizzazione non fu uniforme: più superficiale in alcuni paesi, come ad<br />

esempio in Mesopotamia, fu molto più profondo in Asia Minore e in Egitto; anche Israele deve confrontarsi con<br />

questa nuova visione del mondo. /…/<br />

Alessandro non ebbe il tempo necessario per consolidare le sue conquiste: morì infatti improvvisamente nel 323<br />

a.C. a soli 33 anni lasciando il suo regno nel caos. I suoi generali (i cosiddetti diadochi, parola greca che<br />

significa ‘successori’) si spartirono i vari territori conquistati: Tolomeo, figlio di Lago, si impossessò dell’Egitto;<br />

Antigono <strong>della</strong> Macedonia e <strong>della</strong> Grecia, mentre l’Asia Minore e la regione siro-babilonese passarono a<br />

Seleuco.<br />

Il governatore d’Egitto, Tolomeo, che fondò la dinastia dei Lagidi, dopo alterne vicende, riesce, nel 312 a.C., a<br />

occupare la Giudea e Gerusalemme, strappandola alla famiglia dei Seleucidi, che nel frattempo avevano preso il<br />

potere in Siria. La Giudea resterà sotto il dominio tolemaico per più di un secolo. Si deve notare come gli storici<br />

greci dell’epoca che si occupano di questo periodo non dicono praticamente nulla sulla Giudea e i suoi abitanti,<br />

segno che si trattava di una regione geograficamente isolata, politicamente ed economicamente piuttosto<br />

insignificante agli occhi dei sovrani ellenistici. La situazione <strong>della</strong> Giudea fu all’inizio difficile: tutta la regione<br />

era stata il teatro delle guerre tra Tolomei e Seleucidi, durate molti anni. Almeno in un primo momento, il re<br />

Tolomeo I, dopo aver conquistato Gerusalemme, ne trattò la popolazione con durezza, deportandone anche una<br />

parte in Egitto. Ma con il passare del tempo, il dominio tolemaico si rivelerà un periodo di pace e relativa<br />

prosperità. A questo proposito abbiamo informazioni dirette, le uniche relative direttamente alla Giudea,<br />

attraverso i diari di viaggio di un certo Zenone, funzionario del fisco tolemaico, che visitò la regione palestinese<br />

tra il 260 e il 258 a.C. Questi diari testimoniano l’esistenza di una situazione economica piuttosto fiorente e<br />

soprattutto di un commercio molto vivo, diretto ovviamente verso l’Egitto, basato soprattutto sull’olio, il vino, i<br />

cereali, il balsamo delle piantagioni di Gerico, la vendita degli schiavi. Il rapporto dei Giudei con la monarchia<br />

tolemaica doveva essere nel complesso piuttosto buono, sia in Giudea sia nella diaspora d’Egitto, dove molti<br />

ebrei serviranno come mercenari nell’esercito tolemaico.<br />

Pagina 3 di 8


<strong>Lectio</strong> divina mensile al <strong>Centro</strong> <strong>Giovanile</strong> <strong>Antonianum</strong><br />

8° incontro (18.05.2008)<br />

La Giudea è una delle tante province del regno tolemaico, la cui amministrazione fa capo ad un governatore<br />

civile, che per lungo tempo è scelto dalla potente famiglia giudaica dei Tobiadi, mentre per tutto ciò che riguarda<br />

l’ordinamento interno il sommo sacerdote gode di ampia autonomia.<br />

E’ in questo ambiente che nasce il libro del Qohelet (o l’Ecclesiaste), che presenta una società opulenta,<br />

governata da una burocrazia fortemente gerarchizzata e avida di denaro (5,7-8). Allo stesso tempo, il saggio<br />

autore del libro apre un primo confronto con il pensiero greco che metteva in crisi le certezze tradizionali di<br />

Israele.<br />

Il dominio tolemaico durò sino al 200 a.C. Tra il 201 e il 200 a.C. il re Antioco III, <strong>della</strong> famiglia dei Seleucidi, i<br />

sovrani <strong>della</strong> Siria, riesce a strappare ai Tolomei l’intera regione palestinese, Giudea compresa: ancora una volta<br />

Israele si trova a dover cambiare padrone. Le relazioni dei Giudei con il nuovo sovrano sembrano essere state<br />

inizialmente molto buone. Secondo Flavio Giuseppe, gli ebrei avrebbero addirittura aiutato Antioco III a<br />

sopraffare la guarnigione tolemaica presente a Gerusalemme. In ogni caso, la Giudea fece prontamente un<br />

completo atto di sottomissione e i Seleucidi ne mantennero in cambio lo statuto di autonomia interna, già goduto<br />

sotto i Tolomei, oltre ad una serie di non trascurabili privilegi fiscali. Flavio Giuseppe riferisce ancora di una<br />

lettera che Antioco III avrebbe indirizzato agli ebrei di Gerusalemme per ringraziarli dell’aiuto prestato e<br />

garantirne tali privilegi.<br />

L’influenza <strong>della</strong> cultura ellenistica, intanto, continua a farsi sentire in maniera sempre più decisa trovando però<br />

l’opposizione degli ambienti giudaici più fedeli alla tradizione. Risale ad esempio a questo periodo un editto che<br />

vieta agli stranieri l’ingresso nel Tempio oltre l’allevamento e il commercio di animali impuri a Gerusalemme,<br />

leggi che avevano lo scopo di salvaguardare la purità rituale <strong>della</strong> città santa. Ma tali prescrizioni dovettero<br />

urtare con l’opposizione di almeno una parte delle classi ricche e degli stessi sacerdoti tra le quali la cultura<br />

ellenistica si stava sempre più progressivamente diffondendo.<br />

Un radicale cambiamento <strong>della</strong> situazione viene anche questa volta da un mutamento <strong>della</strong> situazione politica<br />

avvenuto nel lontano Occidente: il nascente astro di Roma. Nello stesso anno in cui Antioco III conquistava la<br />

Giudea, infatti, Roma entrava in guerra con Filippo V il Macedone,di cui Antioco era alleato. Nel 197 Roma<br />

infligge a Filippo una dura sconfitta e nel 190 anche Antioco III subisce una pesante disfatta nella battaglia di<br />

Magnesia. L’esercito seleucida, rinforzato da alleati e mercenari, non regge l’urto delle legioni romane, pur<br />

inferiori di numero, guidate dal celebre Scipione l’Africano. Il trattato di pace imposto dai romani ad Antioco III<br />

(pace di Apamea, 188 a.C.), prevede condizioni durissime. Antioco deve abbandonare tutti i suoi territori in Asia<br />

Minore e pagare un tributo di 12.000 talenti, una cifra davvero enorme, che costringe lo Stato seleucida sull’orlo<br />

<strong>della</strong> bancarotta. Le conseguenze <strong>della</strong> sconfitta di Magnesia peseranno in modo decisivo sull’atteggiamento del<br />

governo seleucida nei confronti dei Giudei.<br />

Il successore di Antioco, ucciso nel 187, il figlio Seleuco IV, pensò di ovviare alle disastrose condizioni<br />

economiche in cui versava oramai il suo regno saccheggiandone i templi più ricchi e, tra questi, anche quello di<br />

Gerusalemme. Il gesto da lui compiuto, sottrarre oro alle casse ben fornite del Tempio, era visto, nell’ottica del<br />

re, come un suo ovvio diritto, ma fu considerato dai Giudei come un autentico sacrilegio, andato a vuoto,<br />

secondo il racconto di 2Mac 3, in seguito a un intervento miracoloso di Dio.<br />

A Seleuco IV succede Antioco IV (175-164 a.C.) che si autoimpone il nome di Epifanès, che in greco significa<br />

«(dio) rivelato», nome che il popolo muterà ironicamente in Epimanès, «pazzo», soprannome che già ci dice<br />

qualcosa sulla personalità di Antioco, o almeno su come era considerato dai suoi sudditi.<br />

Nei primi anni del suo regno, o forse negli ultimi di quello di Seleuco IV, viene composto il libro del Siracide<br />

(noto alla tradizione latina come Ecclesiastico), opera di Gesù figlio di Sirach (in ebraico Ben Sira), scriba di<br />

Gerusalemme. La bella preghiera di Sir 36,1-17 può essere anche interpretata come una supplica a Dio per la<br />

liberazione di Israele dal dominio straniero: “alza la tua mano sulle nazioni straniere, perché vedano la tua<br />

potenza!”.<br />

Sotto Antioco IV, la situazione dei Giudei muta decisamente in peggio. Nella letteratura apocalittica, che trova<br />

proprio in quest’epoca uno dei suoi periodi più fiorenti, Antioco diventa il modello delle potenze del male (per<br />

es. Dan 7,25 e 11,36-39). Antioco, bisognoso di fondi, approfitta del suo diritto di gradimento sulla nomina del<br />

sommo sacerdote, che fino a quel momento era stato un membro <strong>della</strong> famiglia sadocita. A Gerusalemme, un tal<br />

Giasone, giudeo di famiglia sacerdotale ma fortemente ellenizzato, si spinge sino a comprare dal re la carica di<br />

sommo sacerdote. Giasone, con l’appoggio di altri membri <strong>della</strong> classe sacerdotale, inizia un deciso processo di<br />

ellenizzazione: a Gerusalemme viene aperto un ginnasio, sullo stile greco; alcuni giovani ebrei vengono inviati a<br />

partecipare ai giochi di Tiro (2Mac 4,12.18-19), mentre si propone di dare a Gerusalemme lo status di una città<br />

(pólis) ellenizzata, allo stesso modo di tante altre città del Vicino Oriente mediterraneo. Ciò avrebbe comportato<br />

di fatto l’abolizione <strong>della</strong> Tôrah come legge dello civile in vigore a Gerusalemme. Secondo il testo di 2Mac<br />

4,13-15 molti Giudei seguirono queste nuove tendenze.<br />

Pagina 4 di 8


<strong>Lectio</strong> divina mensile al <strong>Centro</strong> <strong>Giovanile</strong> <strong>Antonianum</strong><br />

8° incontro (18.05.2008)<br />

Bisogna pensare che nella mentalità greca ogni altro stile di vita, come quello degli ebrei, era di per se stesso<br />

considerato ‘barbaro’ e che l’ebraismo era troppo distante dal modo di vivere e di pensare dei greci per poter<br />

arrivare a un compromesso pacifico: era necessario scegliere e, mentre per molti ebrei la scelta di rimanere fedeli<br />

alle proprie tradizioni fu del tutto naturale, per altri – meno numerosi – la decisione fu quella di vivere al modo<br />

greco. Ciò che nell’ottica greca costituiva un atto di tolleranza, per molti ebrei rappresentava un intollerabile<br />

sincretismo.<br />

Nel frattempo, intorno al 172 a.C. un secondo personaggio, un certo Menelao, riuscì a prendere il posto di<br />

Giasone, dopo aver offerto al re 300 talenti in più (2Mac 4,24). Per garantirsi la carica Menelao fece uccidere,<br />

l’anno seguente, l’ultimo sommo sacerdote legittimo, Onia III (2Mac 4,30-35), deposto in precedenza da<br />

Giasone che, tra l’altro, era suo fratello: a questo assassinio si riferisce il testo di Dan 9,26: “un consacrato sarà<br />

soppresso senza colpa in lui”. In questa situazione intricata e corrotta si collocano le due campagne intraprese da<br />

Antioco IV contro l’Egitto, campagne bruscamente interrotte per l’ultimatum posto da Roma al re seleucida. E’<br />

in questi anni (169-168 a.C.) che il rapporto di Antioco con i Giudei precipita in modo irreparabile.<br />

Già al ritorno dalla prima campagna militare contro l’Egitto, passando da Gerusalemme, Antioco avrebbe attinto<br />

denaro alle casse del Tempio, come aveva fatto in precedenza Seleuco IV (1Mac 1,21-24). Al termine <strong>della</strong><br />

seconda campagna, probabilmente frustrato per il suo fallimento e l’umiliazione patita da parte dei Romani,<br />

Antioco approfitta di un tentativo di Giasone di riprendersi la carica di sommo sacerdote sottrattagli da Menelao<br />

per intervenire militarmente nella Giudea. Entrato a Gerusalemme tratta con estrema durezza la popolazione, ne<br />

saccheggia il Tempio e ordina la costruzione di un presidio militare (chiamato l’Akra) dove lascia una<br />

guarnigione. Inoltre Antioco ordina la costruzione di un altare a Zeus Olimpio, al posto dell’altare degli<br />

olocausti, nel cuore del Tempio. Questo evento, avvenuto nel dicembre del 167 a.C, è l’episodio che Dan 9,26<br />

definisce “abominio <strong>della</strong> desolazione”. Vengono prese inoltre precise misure repressive contro il culto ebraico,<br />

proibendo la pratica <strong>della</strong> circoncisione e la celebrazione del sabato e delle altre feste giudaiche, sotto pena di<br />

morte (1Mac 1,41-50).<br />

Non si deve tuttavia pensare ad Antioco come a un crudele persecutore intento a distruggere, puramente e<br />

semplicemente, la fede giudaica. Il quadro terribile presentatoci da 1Mac - e quello ancora più drammatico dei<br />

noti racconti di 2Mac 6-7, il martirio di Eleazaro e la tortura dei sette giovani fratelli e <strong>della</strong> loro madre - non dà<br />

conto di quelle che furono probabilmente le reali intenzioni del re.<br />

Egli era spinto innanzitutto da motivazioni politiche (sopprimere il tentativo di rivolta di Giasone e dirimere una<br />

volta per tutte la situazione caotica creatasi a Gerusalemme) ed economiche (il bisogno di denaro). Anche il<br />

fattore emotivo non va dimenticato, se si pensa che Antioco tornava da una campagna fallita per la cocente<br />

umiliazione impostagli dai romani. Persino l’imposizione di un culto greco in Giudea era, nella prospettiva di<br />

Antioco, un fatto relativamente normale, accettato in genere senza troppi drammi dagli altri popoli. A questo<br />

proposito è interessante il giudizio dello storico romano Tacito, secondo il quale l’intenzione di Antioco era<br />

quella di far progredire quella “triste genìa” degli ebrei “cambiandoli in meglio”, abolendo il loro fanatismo e<br />

trasmettendo loro costumi greci.<br />

A Gerusalemme esisteva poi, come si è visto, un partito filo-ellenistico molto forte tra gli stessi Giudei, partito di<br />

cui lo stesso sommo sacerdote faceva parte e che certo non deve aver visto male, se non addirittura appoggiato,<br />

l’opera di ellenizzazione iniziata da Antioco. Forse proprio questa corrente interna al giudaismo deve essere stata<br />

la causa di violenze contro altri ebrei, violenze acuite dalle lotte di potere interne allo stesso sacerdozio di<br />

Gerusalemme, che segneranno la fine del sacerdozio sadocita. /…/ La persecuzione, o meglio, l’opera di<br />

ellenizzazione forzata di Antioco IV trovò, com’è logico, l’opposizione dei Giudei più fedeli alle loro tradizioni,<br />

all’inizio soltanto piccoli gruppi che presto assumeranno il nome di hasidim, i ‘pii’ (cf. 1Mac 2,42), un gruppo<br />

dal quale discendono molto probabilmente i più noti farisei. Dopo sporadici tentativi di rivolta, nasce ben presto<br />

una vera resistenza organizzata. I due libri dei Maccabei insistono soprattutto sulle motivazioni religiose che<br />

animavano questi movimenti di opposizione alla politica seleucida (1Mac 2,19-22).<br />

Non è possibile seguire qui in dettaglio le alterne vicende di questo periodo, narrate in tono epico dagli autori di<br />

1-2 Maccabei. Il successo di Giuda Maccabeo sta soprattutto nel fatto che egli evitò uno scontro frontale con gli<br />

eserciti seleucidi, dai quali sarebbe stato subito schiacciato, dandosi invece ad azioni di guerriglia nelle quali era<br />

certamente superiore: i Seleucidi infatti erano stati colti di sorpresa - Antioco IV si trovava impegnato in una<br />

campagna in Oriente - e le tattiche di combattimento adottate dai ribelli, insieme alle motivazioni che li<br />

animavano, li portarono subito a conseguire notevoli successi. In tal modo, nel dicembre del 164 a.C. Giuda<br />

Maccabeo riuscì a riconquistare Gerusalemme, ad eccezione <strong>della</strong> fortezza dell’Akra. Come primo atto, il 25 di<br />

Kislew (18 dicembre) del 164 Giuda fece riconsacrare il Tempio profanato e riprendere il culto interrotto (1Mac<br />

4,36-61). Ancora oggi gli ebrei celebrano la festa <strong>della</strong> Hanukkah, <strong>della</strong> ‘dedicazione’, a ricordo di questo<br />

evento, festa cui anche Gesù deve aver partecipato, come è ricordato in Gv 10,22. Nello stesso anno Antioco IV<br />

Pagina 5 di 8


<strong>Lectio</strong> divina mensile al <strong>Centro</strong> <strong>Giovanile</strong> <strong>Antonianum</strong><br />

8° incontro (18.05.2008)<br />

muore, nel corso <strong>della</strong> campagna in cui era impegnato e Giuda riesce ad ottenere dal suo successore, Antioco V,<br />

impegnato nei problemi legati alla successione, un editto di tolleranza per i Giudei.<br />

Nel frattempo a Gerusalemme si erano riaccesi i contrasti già visti a proposito <strong>della</strong> carica del sommo sacerdote,<br />

detenuta sino ad allora dal filo-ellenista Menelao. La fazione ellenista fece appello a Demetrio I, successore di<br />

Antioco V, il quale, nel 161, inviò come sommo sacerdote un certo Alcimo, di tendenze ellenizzanti ma anche<br />

<strong>della</strong> stirpe di Aronne: una figura di compromesso che riuscì in effetti a dividere i Giudei, come Demetrio<br />

voleva. La parte più conciliante e pacifista del movimento maccabeo accettò Alcimo come nuovo sommo sacerdote,<br />

mentre l’ala più intransigente lo rifiutò, vedendolo come una imposizione del re Demetrio. Approfittando<br />

di questi contrasti Demetrio riprese la politica repressiva di Antioco IV, questa volta con una campagna militare<br />

condotta su larga scala. Nel corso di questa campagna, Giuda Maccabeo muore, nel 161 a.C., in uno scontro con<br />

le truppe di Bacchide, generale di Demetrio (1Mac 7,1-9,22).<br />

Alla guida del movimento di resistenza succede Gionata (161-143 a.C.), uno dei fratelli di Giuda. Egli,<br />

approfittando delle continue lotte tra i vari pretendenti al trono di Siria, riesce, nel 152, ad ottenere da Alessandro<br />

Balas, uno dei pretendenti di turno al trono seleucide, la carica di sommo sacerdote, oltre ad una dichiarazione di<br />

autonomia pressoché totale per la Giudea (1Mac 10,15-21); Gionata fu poi il primo a far coniare monete con il<br />

suo nome, segno di una indipendenza ormai quasi effettiva. Va ricordato che Gionata non era di famiglia<br />

sadocita, la famiglia dalla quale veniva normalmente scelto il sommo sacerdote, cosa che alienò ai Maccabei<br />

gran parte delle simpatie che essi godevano presso il gruppo dei ‘pii’. Vittima delle sue stesse macchinazioni,<br />

Gionata, nel tentativo di concludere una alleanza con l’ennesimo pretendente al trono seleucida, viene ucciso a<br />

tradimento nel 143 a.C. (cf. 1Mac 12,39-53), dopo essere riuscito a concludere alleanze con Sparta e, soprattutto,<br />

con i Romani (1Mac 8,17-18).<br />

Nella guida del movimento maccabaico succede a Gionata un terzo fratello, Simone (143-134 a.C.) che riuscì a<br />

mantenere la carica di sommo sacerdote, facendosi riconoscere dal re seleucida Demetrio II come «sommo<br />

sacerdote, stratega e capo dei Giudei» (cf. 1Mac 13,42). Ancora una volta il movimento maccabeo si appoggia<br />

alle difficoltà interne <strong>della</strong> Siria, ma questa volta il riconoscimento ottenuto da Simone è molto importante: egli<br />

può infatti concentrare nelle sue mani il potere civile, quello religioso e quello militare e ottenere per la Giudea<br />

un’indipendenza effettiva, allontanando ormai definitivamente i Seleucidi. Anche Simone finirà assassinato,<br />

questa volta da un suo parente, nel 134 a.C., ma il suo successore, il figlio Giovanni Ircano I, può essere ormai<br />

considerato come il fondatore di una vera e propria dinastia, quella degli Asmonei, la prima dopo il crollo <strong>della</strong><br />

monarchia in seguito all’esilio babilonese. Il movimento maccabeo, nato da un desiderio di rivolta e resistenza<br />

contro il dominio seleucida, si è poco a poco trasformato a sua volta in uno strumento di dominio. Alle<br />

motivazioni religiose e sociali si sono presto sostituite motivazioni politiche molto meno gloriose.<br />

Il periodo che va dall’inizio del regno di Giovanni Ircano I fino alla conquista romana, operata da Pompeo nel 63<br />

a.C., non ha riscontro nei testi biblici, ma è ugualmente importante perché ci permette di capire lo sfondo<br />

immediato delle vicende in cui si muoverà la storia di Israele al tempo di Cristo.<br />

Giovanni Ircano I (134-104 a.C.) si dedicò soprattutto a campagne militari di espansione, servendosi di un<br />

esercito di professione composto da mercenari. ‘Convertì’ a forza i Samaritani, distruggendone il tempio sul<br />

monte Garizim e rendendo definitiva la separazione con i Giudei; sottomise poi gli Idumei, popolazione <strong>della</strong><br />

Transgiordania (gli antichi Edomiti) emigrata all’epoca nella parte meridionale <strong>della</strong> Giudea, tra Hebron e<br />

Bersabea, obbligandoli alla circoncisione.<br />

I confini del regno di Ircano I, negli anni 106-107 a.C, al termine delle sue campagne di espansione,<br />

corrispondono a quelli ricordati dal libro di Giuditta. Il libro è ambientato all’epoca di Nabucodonosor, ma è<br />

stato scritto in realtà in questi anni e riflette la lotta del popolo ebraico contro l’invasore straniero.<br />

Si sviluppano poi definitivamente in questo periodo i gruppi dei sadducei, dei farisei e probabilmente anche degli<br />

esseni. I farisei si dimostrano molto critici verso la politica di Giovanni, che accusavano soprattutto di aver<br />

voluto concentrare nelle sue mani il potere civile e quello religioso, di comportarsi in maniera tirannica e soprattutto<br />

di essere più incline all’ellenismo che fedele al giudaismo. E’ certo che Giovanni perse poco per volta il<br />

consenso popolare, giungendo a governare come gli altri sovrani ellenistici con la forza di un esercito mercenario<br />

e la ricchezza di un esoso sistema fiscale.<br />

Un aspetto illuminante di questo atteggiamento di Ircano I si riflette all’interno dei due libri dei Maccabei, la cui<br />

composizione potrebbe esser fatta risalire proprio a questo periodo. In 1Mac 12,6-23 e 14,20-23 sono riportati<br />

scambi epistolari che sarebbero avvenuti tra i Maccabei e gli Spartani e in 12,21 si arriva ad ipotizzare<br />

un’improbabile parentela comune tra i due popoli, entrambi <strong>della</strong> “stirpe di Abramo”. Quale segno migliore<br />

dell’ammirazione provata dagli ebrei nei confronti dei greci? A ciò si aggiunga il già ricordato passo di 1Mac,<br />

che contiene uno straordinario elogio dei romani, il quale non può che stupire posto com’è in bocca a un autore<br />

giudeo (1Mac 8,1-16).<br />

Pagina 6 di 8


<strong>Lectio</strong> divina mensile al <strong>Centro</strong> <strong>Giovanile</strong> <strong>Antonianum</strong><br />

8° incontro (18.05.2008)<br />

L’atteggiamento di Giovanni Ircano I è proseguito dal figlio Aristobulo (104-103 a.C.) che, nel corso del suo<br />

brevissimo regno, dopo aver fatto assassinare sua madre e suo fratello, si autoimpose il titolo di ‘re’, che ancora<br />

mancava agli Asmonei. Durante il suo regno riuscì ad impadronirsi <strong>della</strong> Galilea, ampliando ancor più i confini<br />

di Israele.<br />

Il successore di Aristobulo fu il fratello Alessandro Janneo (103-76 a.C.), sotto il cui regno la dinastia asmonea<br />

raggiunge il suo periodo di splendore, ma allo stesso tempo il culmine del contrasto già esistente con i gruppi<br />

farisaici. Alessandro arrivò a compiere gesti di inaudita crudeltà, quando, per reprimere l’opposizione dei farisei<br />

ne fece crocifiggere qualche centinaio attorno alle mura di Gerusalemme, facendone poi massacrare mogli e figli<br />

davanti ai loro occhi. Questo fatto causò un profondo turbamento nel popolo - tra l’altro la pena <strong>della</strong><br />

crocifissione era del tutto sconosciuta al diritto israelita. E’ chiaro ormai che la monarchia asmonea si è<br />

trasformata in una delle tante piccole monarchie orientali di stampo ellenistico presenti nel Medio Oriente, del<br />

tutto simile a quella dei Seleucidi, in opposizione alla quale era paradossalmente nata: un paradossale<br />

rovesciamento di prospettiva per come le cose erano iniziate, sessanta anni prima.<br />

Alla morte di Alessandro Janneo gli succede la vedova, Alessandra Salome (76-67 a.C.); /…/ alla sua morte<br />

nasce una lotta accanita per la successione al trono tra i suoi due figli, Ircano II, che deteneva la carica di sommo<br />

sacerdote donatagli dalla madre, e Aristobulo II, l’erede al trono. Lo scontro arrivò a un punto tale che Ircano<br />

preferì ricorrere all’aiuto di Roma, rivolgendosi a Pompeo, che ormai era arrivato a conquistare Damasco e a<br />

distruggere il regno seleucida. I Romani non persero la ghiotta occasione e Pompeo, nelle vesti di arbitro e paciere,<br />

poté, nel 63 a.C., entrare in Giudea con le sue legioni e conquistare Gerusalemme, le cui porte gli furono<br />

aperte dai partigiani di Ircano II, mentre quelli di Aristobulo II, rifugiatisi nel Tempio, furono massacrati dopo<br />

tre mesi di assedio.<br />

Testi biblici<br />

Neemia 8,1–10,40; Daniele 7,1–9,27; Sir 2,1–18.<br />

<strong>Sussidio</strong> n° 1<br />

(P. STANCARI, La novità di Dio, Marietti 1820, Genova 2003, 129–132)<br />

Due premesse circa il messaggio apocalittico.<br />

La prima premessa. Il messaggio apocalittico è un messaggio di consolazione. Questo va precisato con molta<br />

fermezza. Avviene qualche volta che, nel nostro linguaggio corrente, quando si dice «apocalisse» si intenda<br />

qualcosa di equivalente all'annuncio di una catastrofe. L'apocalisse è un messaggio di consolazione! È vero,<br />

comunque, che questo messaggio di consolazione si confronta con la realtà di questo mondo, che è considerata<br />

nei suoi aspetti catastrofici, ma l'apocalisse - per se stessa - non è affatto l'annuncio di una catastrofe; è<br />

l'annuncio di una consolazione che riguarda la catastrofe, ossia in un contesto di negatività. D'altra parte, il<br />

messaggio apocalittico emerge e assume la sua configurazione più precisa nel corso dell'epoca postesilica, ossia<br />

nel contesto di quella fase conclusiva <strong>della</strong> storia <strong>della</strong> salvezza, nella quale il popolo di Dio visse momenti di<br />

negatività più intensa che mai, forse non sempre in senso quantitativo, ma almeno in senso qualitativo. C’è,<br />

infatti, una negatività che può essere calcolata misurando dolori e tribolazioni, fino ad abituarsi a stragi e<br />

calamità di ogni genere; e c’è una negatività che è sperimentata nell'intimo delle coscienze, come<br />

sconvolgimento degli animi, come turbamento e angoscia nella profondità dei cuori. Ebbene, nel contesto di una<br />

negatività sperimentata con una viscerale sofferenza, travolgente ed esasperata, più che mai il messaggio<br />

apocalittico annuncia consolazione, spesso la nostra difficoltà nel prendere contatto con testi apocalittici antico e<br />

neotestamentari, forse dipende dal fatto che non abbiamo ancora sperimentato quella tribolazione che fa da<br />

contesto all'annuncio di questo messaggio. Non abbiamo patito abbastanza per ricevere, attraverso il messaggio<br />

apocalittico, la consolazione da esso annunciata. D’altra parte, a qualcuno che sta male - che sta veramente male<br />

- si parla con un linguaggio appropriato. Il modo comune di argomentare non è mai adatto a consolare chi<br />

veramente si trovi in situazioni catastrofiche. Abbiamo a che fare, dunque, con un linguaggio modulato<br />

appositamente, che fa ampio uso di simboli, di espressioni forti e dolci allo stesso tempo, di suggestioni poetiche<br />

ed emotive. Si tratta, comunque, dell’unico linguaggio che sia adatto a cogliere e interpretare le diverse e<br />

molteplici situazioni di grande dolore in cui versa l'umanità, quando appunto ogni altro discorso risulterebbe<br />

superfluo, né sarebbe proprio il caso di stare a sofisticare con le interpretazioni di ordine teoretico. L’urgenza del<br />

dramma nel quale si è coinvolti esige l’intervento di qualcuno che forse urlerà, forse addirittura strapazzerà, o<br />

forse invece sussurrerà, o forse inventerà una tavoletta che lì per lì svolge la sua funzione: in ogni caso, è proprio<br />

quello che ci vuole per annunciare un messaggio di consolazione a chi sta veramente male.<br />

La seconda premessa. Quando noi parliamo di «apocalisse» nel nostro linguaggio corrente, spesso intendiamo<br />

qualcosa di simile a un annuncio che riguarda quel che deve succedere da qui alla fine. Il messaggio apocalittico<br />

sarebbe qualcosa di simile a una specie di previsione circa il percorso che ancora deve essere compiuto per<br />

Pagina 7 di 8


<strong>Lectio</strong> divina mensile al <strong>Centro</strong> <strong>Giovanile</strong> <strong>Antonianum</strong><br />

8° incontro (18.05.2008)<br />

arrivare alla fine. E la fine ci spaventa. Bisogna allora cercare il modo per tenerla il più lontano possibile da noi,<br />

proprio perché è la fine. Per questo il messaggio apocalittico, che ci aiuterebbe a discernere il percorso in vista<br />

<strong>della</strong> fine, deve essere considerato con molta circospezione, perché bisogna studiare con cura tutti i passaggi, in<br />

modo tale da stare attenti a non perderne nemmeno uno e non precipitare in direzione <strong>della</strong> fine prima del<br />

necessario.<br />

Le cose non stanno così. Questo deve essere chiarissimo. Il messaggio apocalittico, infatti, non ci prospetta<br />

l'itinerario da percorrere per arrivare alla fine, quasi che potessimo approfittarne per imparare i trucchi che<br />

tengono la fine più lontano che è possibile da noi. È esattamente all'opposto che vanno le cose. Il messaggio<br />

apocalittico viene dalla fine e si rivolge a noi, nel nostro tempo, nella nostra realtà personale e sociale, nella<br />

nostra generazione, nell'oggi <strong>della</strong> nostra storia. Il messaggio apocalittico parte dalla fine: la fine è già scontata,<br />

la fine è già realizzata, la fine è già avvenuta. La forza del messaggio apocalittico sta proprio in questo<br />

protendersi di esso verso di noi a partire dalla fine, dal momento che la fine appartiene a Dio.<br />

E la fine non è lo spauracchio. La fine è la rivelazione <strong>della</strong> signoria di Dio! La fine non è quell'eventualità più o<br />

meno remota, rispetto alla quale bisogna destreggiarsi con genialità sempre più agguerrita, per evitare con essa il<br />

contatto. La fine appartiene a Dio; la fine è rivelazione <strong>della</strong> signoria di Dio! Ed è proprio a partire dalla fine e in<br />

nome <strong>della</strong> fine, che può essere finalmente spiegato, compreso e illuminato quello che sta avvenendo adesso e<br />

qui; la nostra storia diviene vivibile, abitabile, interpretabile a partire dalla fine. Naturalmente, proprio perché il<br />

messaggio apocalittico contempla tutto il percorso <strong>della</strong> storia umana, nella sua estensione ma anche nella sua<br />

profondità, acquista particolari note di universalità. Esso considera, infatti, tutto lo spessore <strong>della</strong> vicenda umana,<br />

dalle sue espressioni più elevate e più vistose alle situazioni più nascoste e più impenetrabili, fin dentro agli<br />

abissi infernali delle coscienze e delle istituzioni. Tutto l'orizzonte <strong>della</strong> storia viene scrutato nella sua vastità,<br />

nella sua immensità, nella sua complessità. Così pure la realtà nascosta nel profondo del cuore umano viene<br />

scandagliata, in modo da decifrarne tutti i segreti, perché tutto appartiene a Dio e la signoria dell'Onnipotente è<br />

ormai instaurata. A lui l'onore, la potenza e la gloria! Il messaggio apocalittico ci aiuta a considerare lo<br />

svolgimento <strong>della</strong> storia umana e a interpretare quello che sta avvenendo oggi e qui – così come altrove e sempre<br />

– in forza di quella chiarezza con cui ormai è possibile testimoniare che la potenza di Dio è vittoriosa. Tutte le<br />

creature, che da lui provengono, a lui ritornano. E tutta la creazione è trasformata in obbedienza alla sua<br />

provvidenziale volontà d'amore.<br />

<strong>Sussidio</strong> n° 2<br />

(F. ROSSI DE GASPERIS, Prendi il libro e mangia! 3.1. Dall’esilio alla nuova alleanza: storia e profezia, EDB, Bologna 2002, 215–217)<br />

Il libro di Daniele è, senza dubbio, uno dei testi più presenti alla rilettura neotestamentaria … il primo esempio di<br />

ciò viene offerto dal titolo preferito da Gesù per designare se stesso, quello di «Figlio dell’uomo» (ho hyios tou<br />

anthrôpou). Lo troviamo presso i quattro evangelisti usato solamente da lui (e da Stefano in At 7,56). Questo<br />

titolo in Dan 7 designa il soggetto di un regno veramente umano, che succede ai regni bestiali degli imperialismi<br />

terreni, ed è una simbolica personificazione corporativa del popolo dei santi dell’Altissimo (Dn 7,13 va<br />

interpretato con i vv. 18.22.27 dello stesso capitolo). Il giudaismo intertestamentario … ha visto in questa figura<br />

un personaggio individuale e concreto, procedente dal mondo stesso di Dio, di cui è l’Eletto, molto più che un<br />

semplice messia davidico umano. Egli è pure il supremo Giudice universale, che distruggerà i malvagi e salverà i<br />

giusti (cf. Mt 25,31). Questa figura, che richiama quella del servo del Secondo Isaia, sembra fare da sfondo al<br />

modo con cui Gesù, impersonandola, ha compreso se stesso e si è presentato al suo tempo 1 .<br />

Un’altra occasione in cui il libro di Daniele (9,27; 11,31; 12,11) viene esplicitamente richiamato da Gesù è il<br />

discorso escatologico, in Mt 24,15-25; Mc 13,14-23, dove si allude all’abominio <strong>della</strong> desolazione, che sta nel<br />

luogo santo (Mt), o là dove non conviene (Mc). La grande tribolazione che, secondo la parola di Gesù, precederà<br />

l’avvento del Figlio dell’uomo (Mt 24,21: Mc 13,18-19) allude a Dn 12,1.<br />

1 Molto importante e significativa è la risposta che egli dà a Caifa, il sommo sacerdote, il quale, davanti a un improvvisato tribunale<br />

giudaico, lo interroga circa la propria identità. In Mt 26,63b-64 alla domanda, ancora ambigua, che gli viene rivolta se egli sia il Messia, il<br />

figlio di Dio, Gesù risponde: «Sei tu che dici questo. Io anzi vi dico: d’ora in poi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra <strong>della</strong><br />

Potenza e venire sulle nubi del cielo»: un modo inequivoco di chiarificare che il suo “messianismo” (se proprio si vuole riconoscergliene<br />

uno) è trascendente e scende dal cielo di Dio (cf. Gv 3,11-13.27.31-36): il carattere divino del procedere (sedere e venire) del Figlio<br />

dell’uomo è garantito dalla citazione del Salmo 110,1, abbinata a quella di Dn 7,13-14. Il testo parallelo di Mc 14,62 cita la traduzione di<br />

Teodozione, che segue l’aramaico: «venire con le nubi del cielo», mentre Mt segue la LXX, per cui il Figlio dell’uomo viene sulle nubi<br />

del cielo), come già in Mt 24,30 (Mc 13,26 e Lc 21,27 hanno: nelle nubi o nella nube). Ap 1,7 segue Teodozione, mentre in Ap 14,14-16<br />

un figlio d’uomo siede sulla nube bianca.<br />

Pagina 8 di 8

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!