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<strong>Un</strong>a domanda scomoda sul diritto all’as<strong>il</strong>o<br />

Prima di tutto Annet Henneman si pone a voce alta la stessa domanda che si pongono gli spettatori:<br />

“Servirà a qualcosa?”. È una caldissima giornata romana di fine maggio e siamo in piazza<br />

Montecitorio, davanti al Parlamento. La Henneman, regista olandese da anni impegnata in Italia,<br />

animatrice del “Teatro di nascosto” di Volterra, è al centro di un palcoscenico improvvisato sotto<br />

l’obelisco. Attorno a lei, una trentina di uomini e di donne vestiti di bianco raccontano la vita e la<br />

morte delle <strong>per</strong>sone che vengono da noi nella s<strong>per</strong>anza di ottenere l’as<strong>il</strong>o politico. Prima giacciono<br />

come morti sui sampietrini, poi, aiutati da una mano pietosa, “risorgono” e cominciano a mimare<br />

la traversata del deserto. Infine si schierano davanti al pubblico e uno di loro svolge una surreale<br />

lezione d’inglese sulle tecniche da adottare al momento dell’arrivo in Italia.<br />

“No passport, no dollars”, grida levando le braccia verso <strong>il</strong> cielo. “No passport, no dollars. As<strong>il</strong>o<br />

politico!”, rispondono in coro gli allievi. Ecco, siamo al punto, alla ragione <strong>per</strong> cui questa “Azione<br />

bianca”, come l’ha chiamata la Henneman, si svolge davanti a Montecitorio. Nel cosiddetto “pacchetto<br />

sicurezza” c’è l’ipotesi di ordinare l’espulsione immediata dei richiedenti as<strong>il</strong>o bocciati dalle<br />

commissioni territoriali. In pratica, eliminare <strong>il</strong> grado d’appello <strong>per</strong> una decisione sulla quale si<br />

gioca non solo <strong>il</strong> futuro ma, a volte, la stessa vita di una <strong>per</strong>sona.<br />

Anche tra i rifugiati che collaborano col “Teatro di nascosto” ce ne sono alcuni che sono stati riconosciuti<br />

tali solo nel giudizio di secondo grado. E, del resto, gli immigrati di questa categoria non<br />

sono una rarità: i giudici accolgono circa un terzo dei ricorsi. È dunque del tutto evidente che, se<br />

l’idea dell’espulsione immediata passerà, l’Italia in quello stesso momento avrà accettato <strong>il</strong> rischio<br />

di restituire ogni anno alcune migliaia di vittime al loro carnefice.<br />

Ma che peso può avere un lavoro teatrale rispetto ai “pacchetti sicurezza” e soprattutto rispetto alla<br />

paura diffusa quotidianamente dai giornali e dalle tv, oltre che da un allarmante numero di uomini<br />

politici poco responsab<strong>il</strong>i? È la domanda iniziale. Quel “Servirà a qualcosa?” individua <strong>il</strong> dubbio<br />

che coglie tutti quelli che, anche con la migliore disposizione d’animo, assistono alla “Azione<br />

bianca”.<br />

Perché è gigantesca la sproporzione tra questa <strong>per</strong>formance - realizzata con mezzi poveri davanti<br />

a una folla frettolosa e distratta di turisti e di passanti - e la potenza dei mezzi attraverso i quali,<br />

come ha denunciato Amnesty International, si diffonde la xenofobia in Italia. Né è una grande<br />

consolazione l’atto simbolico della consegna a un gruppo di deputati di una copia della “Carta di<br />

Volterra”, un documento che propone direttive <strong>per</strong> una migliore politica <strong>per</strong> l’as<strong>il</strong>o politico a livello<br />

europeo. Oggi, da noi, <strong>il</strong> problema non è tanto “migliorare” quanto “non peggiorare”.<br />

La risposta, nella forma di una nuova domanda, arriva poco dopo. Succede quando la scena cambia.<br />

<strong>Un</strong>o degli attori diventa l’aguzzino dei richiedenti as<strong>il</strong>o e comincia a sottoporli a feroci torture.<br />

Compiuta l’o<strong>per</strong>a, si dirige verso <strong>il</strong> pubblico e, indicando una delle sue vittime, chiede a uno<br />

spettatore scelto a caso: “Tu quella la conosci, è forse amica tua?”.<br />

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