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Milano, XVIII-XIX secolo - Sides

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LA COSTRUZIONE DELL’IDENTITÀ SOCIALE DEGLI ESPOSTI<br />

(<strong>XVIII</strong>-<strong>XIX</strong> SECOLO) *<br />

Flores Reggiani<br />

Università degli Studi di <strong>Milano</strong><br />

Dipartimento di Scienze della storia e della documentazione storica<br />

“Mal’augurati [sic] figli dell’indigenza o dello stravizzo” 1 , predestinati - loro e i loro figli 2 -<br />

a divenire delinquenti e vagabondi, se maschi, prostitute o, perlomeno, madri illegittime, se<br />

femmine. Chiusi per sempre i tempi in cui il mito poteva immaginare per gli esposti, proprio<br />

grazie al troncamento dei legami con i genitori biologici e alla loro “rinascita sociale”, un<br />

destino pubblico di fondatori di stati e di guide di popoli, dalla fine del <strong>XVIII</strong> <strong>secolo</strong> gli atti di<br />

governo e la saggistica descrivono sempre più spesso i trovatelli come una pericolosa comunità<br />

di emarginati e di devianti. Vediamo qualche esempio.<br />

Il ministro della giustizia del Regno Italico, Giuseppe Luosi, nel rapporto stilato insieme con<br />

il ministro per il culto Giovanni Bovara - rapporto che accompagnava il progetto del futuro<br />

decreto 4 dicembre 1806 (“diretto a migliorare la tutela, emancipazione e cura de’ figli<br />

abbandonati ed esposti” 3 ) - esordiva così:<br />

Di questi figli si ha il maggior numero di delinquenti abbandonati in tenera età<br />

a se stessi al bolore delle passioni e infelicemente l’esperienza dimostra in<br />

gran parte la fine de’ loro giorni o nelle prigioni o sui patiboli 4 .<br />

Lo stesso Bovara, l’anno seguente, aggiungeva che era necessario “purgare”, con opportune<br />

provvidenze, “le case di beneficenza, dove [....] crescono tante pesti velenose al corpo sociale” 5 .<br />

Quasi quarant’anni più tardi Andrea Buffini, direttore della Pia casa degli esposti e delle<br />

partorienti in Santa Caterina alla ruota di <strong>Milano</strong>, osservava, riferendosi in realtà - ed è molto<br />

importante sottolinearlo - non a tutti gli esposti, ma solo a quelli che migravano da una famiglia<br />

affidataria all’altra:<br />

Tali infelici vanno e vengono dal pio ricovero alla casa di gente nuova, da<br />

questa al ricovero, e son que’ che non apprendono un mestiere, non<br />

conoscono religione, che sono estranei ai sentimenti di riconoscenza, perché<br />

nulla devono ad alcuno, che malediscono (sic) ai genitori da cui furono<br />

abbandonati, che se femmine crescono il numero de’bastardi, se maschi<br />

molestano la società ed occupano i tribunali perché fuggitivi, vagabondi,<br />

furfanti, trasgressori in mille guise delle politiche discipline 6 .<br />

Pochi anni dopo, Antonio Triberti, medico anziano dell’Ospedale Maggiore di <strong>Milano</strong>,<br />

riteneva addirittura provvidenziale - per la società e per le finanze dell’ospedale, da cui<br />

dipendeva il brefotrofio - che l’alta mortalità contribuisse a ridimensionare la pericolosa<br />

collettività degli esposti:<br />

*<br />

Questa comunicazione costituisce parte di una ricerca più ampia sulla tutela degli esposti<br />

1<br />

Rapporto 1806 b<br />

2<br />

Polenghi 2003, 175 sgg.<br />

3<br />

Bollettino 1806, pp. 1041-1044<br />

4<br />

Rapporto 1806 a<br />

5<br />

Bovara 1807. Per l’attività di Bovara nel campo delle riforme della beneficenza pubblica si rimanda a<br />

Pederzani 2001<br />

6 Buffini 1844, Parte I, p. 171<br />

1


Se poi la mortalità della prima infanzia non scemasse d’assai il numero di<br />

queste misere creature, in venti anni noi avressimo una vera colonia di<br />

trentamila proletari tutti allevati dalla pubblica carità coll’ingente dispendio<br />

di più milioni di lire austriache all’anno da popolare la maggior parte di<br />

questi le prigioni, gli ergastoli e la classe dei mendicanti e delle prostitute 7 .<br />

Trentaquattro anni più tardi, uno dei successori di Buffini, Francesco Gallarini, riflettendo<br />

sulla proposta - emersa in Francia - di contrastare il calo della natalità riaprendo le ruote,<br />

prospettava inquietanti scenari di rivolta sociale:<br />

Non arrivo a comprendere di quale vantaggio possa essere ad una nazione<br />

l’aumento della popolazione, ottenuto con l’accrescimento di una turba di<br />

spostati, d’individui senza nome abbandonati a loro stessi, i quali potrebbero<br />

ad ogni momento insorgere contro questa società, che superbamente si chiama<br />

civile, e rinfacciarle l’ignominia della propria nascita e la vita umiliante<br />

dovuta alla carità legale 8 .<br />

Anche lo scrittore Ludovico Corio - e siamo ormai nel 1885 - chiosava, nel resoconto della<br />

sua inchiesta sociale <strong>Milano</strong> in ombra:<br />

Il lôcch (“malavitoso”, in dialetto milanese), di solito, nasce in un brefotrofio,<br />

passa l'adolescenza nel riformatorio, si sviluppa e vive nel carcere e muore<br />

all'ospitale. Tra l'uno e l'altro stadio di vita passa i giorni nel postribolo, nella<br />

taverna o sulla piazza.<br />

E aggiungeva, riportandole parole di un non meglio precisato “statista”:<br />

“Purtroppo, anche in questo anno, dei condannati per delitti comuni il<br />

maggiore contingente è fornito dai trovatelli. È questa una piaga alla quale<br />

conviene che la società ponga un rimedio provvidenziale ed efficace” 9 .<br />

I dati statistici – ma nessun numero accompagnava le parole – sembrano essere stati<br />

all’origine di queste osservazioni. Se, secondo la nota e spesso citata affermazione di Vincenzo<br />

Cuoco (1809), nel Regno di Napoli bastava “aprire i registri delle [...] corti criminali per<br />

avvedersi che il massimo numero dei condannati è[ra] composto dagli esposti” 10 , il decreto 12<br />

agosto 1807 del Regno Italico (“relativo alla pubblica tutela da estendersi agli esposti ed<br />

abbandonati” 11 ) trovò la propria genesi proprio nel rilievo fatto dal viceré Eugenio de<br />

Beauharnais, secondo il quale “fra gli individui convinti di vari delitti e condannati a delle pene<br />

afflittive, il maggior numero trovasi essere stato di quelli chiamati Colombo ossia degli<br />

Esposti” 12 . Il dato, in realtà, non dava indicazioni su una presunta maggior “propensione alla<br />

criminalità” - rispetto alla popolazione con diverso cognome e di pari condizioni sociali - da<br />

parte degli esposti milanesi. Poiché da tre secoli e mezzo i figli dell’Ospedale Maggiore<br />

traevano la loro parentela dall’insegna del padre istituzionale, i Colombo - come, peraltro,<br />

osservavano gli amministratori del nosocomio e lo stesso ministro Bovara - erano frequentissimi<br />

nel “basso popolo” e poteva quindi accadere “bene spesso” che fossero “colti in delitto” anche<br />

7<br />

Triberti 1850, p. 4<br />

8<br />

Gallarini 1884, p. 5<br />

9<br />

Corio 1885, pp. 10, 16<br />

10<br />

Rapporto al Re Gioacchino Murat per l’organizzazione della pubblica istruzione, in Polenghi 2003, p.<br />

179<br />

11<br />

Bollettino 1807, pp. 418-420<br />

12<br />

Beauharnais 1807. Per una puntuale ricostruzione della legislazione napoleonica nel contesto più<br />

generale della militarizzazione dell’infanzia assistita, si rimanda a Polenghi 2003<br />

2


coloro che erano solo discendenti, magari lontanissimi, di esposti 13 . Nelle liste di coscrizione,<br />

del resto, si osservava un fenomeno analogo, come lamentava Joseph Fauchet, prefetto del<br />

dipartimento d’Arno, a proposito della presenza del cognome Degl’Innocenti, attribuito da<br />

secoli agli esposti fiorentini 14 . L’alta frequenza dei Colombo nella società lombarda, e quindi<br />

anche fra i delinquenti comuni, confermava solo che l’Ospedale aveva assistito migliaia di<br />

individui 15 e, inoltre, che molti maschi avevano avuto la possibilità di sposarsi e di trasmettere<br />

per generazioni il loro cognome ai figli. Bovara aggiungeva, fra l’altro, che i “facinorosi” forse<br />

dichiaravano di chiamarsi Colombo proprio per restare “incogniti” 16 in una folla di omonimi.<br />

Queste notazioni non impedirono che l’immagine sociale profondamente negativa degli<br />

esposti si definisse e desse avvio ad un’attività normativa intesa a tutelare e, insieme, a<br />

disciplinare, l’intera collettività dei figli e delle figlie degli ospedali. Forse più ancora delle<br />

nuove disposizioni, che sarebbero poi state riprese dai vari Stati durante gli anni della<br />

Restaurazione, sembra interessante il dibattito interno che precedette la loro emanazione. Le<br />

argomentazioni che in quell’occasione furono avanzate nell’ambito del Consiglio di Stato e del<br />

Consiglio legislativo gettano, infatti, una certa luce non solo sulla percezione che, “dall’alto”, si<br />

aveva degli esposti, ma soprattutto, sulle “coordinate concettuali” che la sorreggevano.<br />

Nella prima fase della discussione ebbe un ruolo importante anche l’Ospedale Maggiore di<br />

<strong>Milano</strong>, sia perché, nonostante lo si negasse, era indirettamente accusato di essere una vera<br />

fucina di delinquenti, sia perché i suoi amministratori furono interpellati dal ministro Bovara per<br />

avere un parere “tecnico”. Inoltre, fra i membri del Consiglio di Stato che parteciparono con più<br />

vivacità alla discussione legislativa si distinse il direttore generale dell’istruzione pubblica, il<br />

celebre Pietro Moscati. Moscati conosceva molto bene, per averne fatta esperienza diretta, la<br />

realtà del brefotrofio milanese. Il futuro “medico di Napoleone”, infatti, aveva avuto un ruolo<br />

decisivo nella densa attività di progettazione che era stata alla base della fondazione, promossa<br />

dal governo austriaco nel 1780, della nuova Pia Casa degli esposti e delle partorienti in Santa<br />

Caterina alla ruota. Ma non solo: era stato il primo direttore sanitario (1785) dell’Ospedale<br />

Maggiore, di cui la Casa costituiva “emanazione e parte”, e, come professore d’ostetricia, aveva<br />

lavorato, insegnato e abitato per anni all’interno dell’ospizio 17 .<br />

La situazione milanese, tuttavia, non era generalizzabile al Regno italico, non tanto per l’alto<br />

numero di assistiti e per l’elevata presenza di figli legittimi fra gli esposti 18 , ma soprattutto<br />

perché (e i due fatti erano strettamente connessi) l’elargitore di quella generosa e indiscriminata<br />

assistenza non era un “semplice” brefotrofio dalle finanze incerte, ma un ricco ospedale<br />

generale che coordinava una vasta rete di ricoveri, accogliendo, fra gli altri poveri, anche i<br />

trovatelli: non dimentichiamo che la Ca’ Granda era il proprietario del più cospicuo patrimonio<br />

fondiario della Lombardia 19 . I vari ospizi per gli esposti - e questo dato emerse con chiarezza nel<br />

momento in cui si vagliò la possibilità di formulare un progetto disciplinare unico - costituivano<br />

realtà profondamente disomogenee: le loro “circostanze” erano “differentissime” “e per<br />

istituzione e per località e per rendite, e per costume, condizione e stato delle popolazioni a cui<br />

inservono”. Era quindi “cosa dificilissima che ciò che conv[eniva] ad alcuni po[tesse]<br />

13 Amministratori 1807; Bovara 1807. Per inciso, osserviamo che tutt’oggi Colombo è uno dei cognomi<br />

più diffusi in Lombardia e in Italia, benché dal 1825 non fosse più stato assegnato dal brefotrofio<br />

milanese, in applicazione della Circolare governativa 29 novembre 1825 per i territori del Regno<br />

Lombardo-Veneto (testo in Buffini 1844, Parte II, pp. 65-66)<br />

14 Corsini 2007, pp. 278-279; Rollet, Escuriol 2007, pp. 30-31<br />

15 Solo dal 1659 al 1800 erano stati assistiti dall’Ospedale Maggiore più di 91.000 fra bambini e bambine.<br />

Nel 20-25% dei casi, tuttavia, si trattava di neonati accolti per il baliatico gratuito, che, quindi,<br />

conservavano il proprio cognome. Reggiani, Paradisi 1991, p. 955<br />

16 Bovara 1807<br />

17 Su Pietro Moscati: Decio 1906, pp. 144-150, 160-182; Pecchiai 1927, pp. 347-385; Castelli 1940, pp.<br />

129-169; Ferrari 1982; Remotti 1998. Sul ruolo di Moscati che, fra l’altro, designò la Pia Casa di Santa<br />

Caterina come sua erede universale, nella fase di discussione, organizzazione e progettazione, anche<br />

architettonica, del nuovo brefotrofio, si rimanda a Reggiani 2008 a, p. 61; Reggiani 2008 b, p. 107<br />

18 Hunecke 1989; Reggiani, Paradisi 1991<br />

19 Sulle differenze fra “grandi” e “piccoli” brefotrofi, Hunecke 1991, p. 63<br />

3


indifferentemente convenire anche agli altri” 20 . Si può, tuttavia, tentare di cogliere, nell’estrema<br />

varietà delle situazioni locali, un’evoluzione di lungo periodo, sulla quale è opportuno<br />

soffermarsi brevemente, perché costituiva lo sfondo sul quale si posava lo “sguardo” dei<br />

legislatori.<br />

Modelli educativi e integrazione sociale<br />

Benché si ritenga talvolta che le norme dei brefotrofi siano rimaste immutate per secoli, è<br />

possibile individuare alcune importanti cesure, che, nonostante le sfasature cronologiche,<br />

appaiono comuni alla storia di molte istituzioni destinate agli esposti. La prima cesura<br />

determinò, in tempi assai diversi secondo le realtà locali, il passaggio da un modello<br />

assistenziale strettamente basato sulle differenze di genere - prevalentemente “chiuso” per le<br />

femmine e “semichiuso” per i maschi - e orientato sull’inserimento sociale urbano, a un modello<br />

“aperto”, teoricamente non differenziato per genere, se non per la presenza della dote assegnata<br />

alle ragazze, e orientato sull’inserimento degli assistiti nel mondo contadino. La seconda cesura,<br />

anche questa disomogenea nella cronologia e sulla quale tornerò più avanti, vide la<br />

trasformazione degli ospizi per gli esposti in enti assistenziali amministrati non più da “capitoli”<br />

di notabili o prelati, ma da funzionari statali. L’Ospedale Maggiore di <strong>Milano</strong> rappresenta un<br />

riferimento significativo per esemplificare questa evoluzione 21 , sia per la sua fondazione remota<br />

– che raccoglieva un’ancora più remota eredità assistenziale alto-medievale - sia perché sembra<br />

aver anticipato, insieme con l’Ospedale degli Innocenti di Firenze 22 , soluzioni che in seguito<br />

furono adottate anche dagli altri ospizi.<br />

La beneficenza offerta ai bambini dal nosocomio milanese si era andata articolando, dal<br />

1456, in un complesso sistema che prevedeva ricoveri a lungo termine, accettazioni temporanee<br />

ed "elemosine" per il baliatico. Per inciso, si noti che l’idea di un’assistenza riservata ai soli figli<br />

illegittimi non compare mai né nell’atto di fondazione né nelle delibere del consiglio<br />

d’amministrazione dell’Ospedale Maggiore. Rivendicazioni in tal senso, soprattutto da parte dei<br />

direttori, cominciarono solo negli anni Trenta-Quaranta dell’Ottocento e si concretizzarono - in<br />

verità solo molto parzialmente - nella pratica quotidiana unicamente dal 1867, dopo il passaggio<br />

di gestione del brefotrofio all’ente territoriale provinciale. Al contrario, in epoca moderna,<br />

spesso veniva ricordato che le varie forme di beneficenza che implicavano un ingresso palese<br />

dei bambini (baliatico gratuito ed elemosine di baliatico) erano offerte ai genitori legittimi<br />

proprio per evitare che questi ricorressero all’esposizione in luogo pubblico o attraverso il torno.<br />

Vediamo quali erano i caratteri del modello educativo rimasto in vigore a <strong>Milano</strong> fino alla<br />

metà del Seicento. Come è noto, dopo l'ingresso, i bambini, se erano ancora lattanti, venivano<br />

affidati ad una balia interna e poi, non appena possibile, ad una balia esterna ("forese"), per<br />

essere infine consegnati, con lo svezzamento, ad una nutrice. Nella prima età moderna tali<br />

affidamenti erano però considerati solo temporanei. L'età della restituzione all'Ospedale,<br />

indicata intorno ai quattro anni nel 1508, fu successivamente innalzata a sei anni nel 1558,<br />

quando si cominciò a prevedere anche la possibilità, per le famiglie affidatarie, di trattenere i<br />

bambini come figli propri oppure come servi, in seguito alla stipula di un regolare contratto.<br />

Infine (1594) il rientro fu fissato a sette anni. Dopo la riconsegna, analogamente a quanto<br />

accadeva negli orfanotrofi, per gli assistiti e le assistite aveva inizio un periodo riservato prima<br />

all'istruzione di base, scolastica e religiosa, impartita da sacerdoti, e poi all'addestramento<br />

professionale, impartito da maestre interne per le femmine, da maestri a contratto (tessitori,<br />

calzolai, calzettai) per i maschi. Al termine, i ragazzi erano assegnati alle botteghe cittadine,<br />

mentre le ragazze, in attesa del matrimonio o della monacazione, restavano recluse, impegnate<br />

nelle attività produttive (filatura e tessitura pregiate, fabbricazione di nastri, ricamo e cucito), di<br />

cui godevano i proventi, e nei servizi ospedalieri (cucina, lavanderia, assistenza agli infermi e ai<br />

20 Rapporto 1807 a<br />

21 Per un quadro più dettagliato, nonché per la vasta bibliografia, sulla storia e sulle consuetudini<br />

dell’Ospedale Maggiore di <strong>Milano</strong> nel campo dell’assistenza materno-infantile, si rimanda a Reggiani<br />

2008 a<br />

22 Sandri 1997; Sandri 2001 a; Sandri, 2002 b<br />

4


più piccoli) oppure venivano mandate, ma non senza esitazioni, ripensamenti e resistenze, anche<br />

da parte delle stesse assistite - che preferivano la vita protetta e poco faticosa dell’Ospedale - a<br />

servizio in case private "honeste et da bene" di nobili e di artigiani, sposati e residenti in città 23 .<br />

Il modello di riferimento per le esposte sembra quindi essere stato, più che quello degli<br />

orfanotrofi femminili (spesso totalmente chiuso), quello dei conservatori. Si noti che le ragazze<br />

erano richieste in città non tanto - o perlomeno non solo - per lo svolgimento dei lavori<br />

domestici generici, ma soprattutto perché molto esperte nella tessitura e nei lavori di cucito. Gli<br />

affidatari, con strumento notarile, si impegnavano a dotarle al termine del servizio o, nel caso<br />

dei maschi, a lasciare loro un piccolo capitale qualora fossero morti prima della scadenza del<br />

contratto.<br />

Dalla metà del XVII <strong>secolo</strong>, in concomitanza con la decadenza delle manifatture pregiate<br />

urbane e con gravi difficoltà gestionali, l'Ospedale Maggiore cambiò radicalmente politica<br />

assistenziale, passando ad un modello, che potremmo definire “aperto”, molto meno<br />

differenziato per genere. Si deliberò, infatti, di lasciare gli esposti e le esposte sani - che non<br />

fossero stati reclamati dai loro genitori - presso le famiglie contadine non solo per i primi anni<br />

di vita, ma per tutta la durata della tutela ospedaliera. Gli affidatari avrebbero ricevuto in<br />

cambio un salario decrescente fino al settimo anno d'età e il corredo fino all'abdicazione.<br />

Questa, per coloro che non si fossero rivelati inabili, sarebbe cessata con il compimento dei<br />

quindici anni. Tuttavia le femmine nubili avrebbero mantenuto fino al 1784 - all’epoca dei più<br />

drastici interventi statalistici dell’imperatore Giuseppe II, che comportarono anche la<br />

temporanea chiusura del torno - il diritto di tornare “in qualunque età” nell'Ospedale Maggiore,<br />

ovvero, dopo il 1780, nella nuova sede della Pia casa di Santa Caterina alla ruota. La dote era<br />

pagata dall’Ospedale, non più dagli affidatari, tranne che per le Colombe che rientravano<br />

all’Ospizio e che venivano collocate a servizio.<br />

La delega dell’educazione ai contadini, con la conseguente dequalificazione professionale<br />

degli assistiti e delle assistite, da quel momento in poi destinati in maggioranza al lavoro<br />

agricolo e al servizio domestico generico, diminuì significativamente la capacità dell’Ospedale<br />

di proteggere direttamente i propri figli e figlie, anche perché il loro numero diveniva sempre<br />

più elevato, secondo un trend ascendente che, iniziato negli anni Trenta del Settecento, non<br />

avrebbe più conosciuto decisive battute d’arresto fino al 1868. Se la lontananza dall’ospizio<br />

significava minori possibilità di controlli diretti - che furono, infatti, progressivamente trasferiti<br />

dagli ispettori ospedalieri ai parroci e alle autorità locali -, gli amministratori, d’altra parte,<br />

erano convinti che la campagna, rispetto alla città, offrisse maggiori possibilità di radicamento<br />

sociale e minori rischi di traviamento, soprattutto per le ragazze. In generale, questa strategia<br />

non sembra aver dato esiti negativi, se, come si è detto, a fine Settecento i Colombo erano ormai<br />

diffusi ovunque nella società lombarda. Per quanto riguarda le femmine, osserviamo che,<br />

nell’Ottocento, cioè nel periodo in cui la svolta assistenziale adottata a <strong>Milano</strong> era divenuta<br />

quella più comunemente adottata dai brefotrofi italiani, le possibilità di sposarsi, per le esposte,<br />

sembrano essere state addirittura migliori rispetto a quelle delle altre fanciulle povere, come<br />

dimostrerebbe il fatto che la loro età al primo matrimonio, calcolata in alcune aree emiliane,<br />

fosse inferiore a quella delle altre donne 24 . I matrimoni avvenivano spesso poco dopo la<br />

cessazione della tutela dell’ospizio: costituivano fattori favorevoli sia il contatto diretto con i<br />

potenziali coniugi, anche nella famiglia stessa dell’affidatario, sia l’assenza di vincoli che<br />

potevano essere imposti dai genitori alle figlie per soddisfare le esigenze produttive della<br />

famiglia, sia la risorsa economica rappresentata dalla dote. Per <strong>Milano</strong> le elaborazioni sono<br />

ancora in corso, ma sappiamo che gli amministratori dell’Ospedale Maggiore non sembrano<br />

essere stati più ossessivamente assillati dalla necessità di “sgombrare” le centinaia di esposte<br />

nubili ricoverate fra le loro mura, benché continuasse a sussistere il grave problema, che non<br />

affronterò qui, dell’assistenza agli assistiti e alle assistite non autosufficienti.<br />

23 Lombardi, Reggiani 1990<br />

24 Angeli 1991, p. 141-142; Kertzer, Sigle 1998, pp. 208-217; Mazzoni, Manfredini 2007<br />

5


La costruzione di un’identità negativa<br />

Il cognome unico degli esposti era stato per secoli, in una società di “corpi” e di privilegi,<br />

sinonimo di un’appartenenza 25 - non raramente “a vita” - spesso molto più solida di quella che<br />

avrebbero potuto offrire le famiglie d’origine, naturalmente per coloro che sopravvivevano.<br />

Dalla fine del <strong>XVIII</strong> <strong>secolo</strong>, la filiazione istituzionale sembra essersi trasformata, come si è<br />

accennato, in un marchio di infamia, perlomeno nella percezione dei governanti. E’ tuttavia<br />

opportuno osservare che la percezione del “basso popolo”, sembra essere stata a lungo diversa,<br />

perlomeno nel Milanese, come testimoniano i tentativi di coloro che, ormai adulti, fingevano di<br />

chiamarsi Colombo per ottenere l’ammissione nell’Ospedale Maggiore o le proteste di chi,<br />

viceversa, si vedeva assegnato un cognome diverso. E’ il caso di un vedovo sessantenne, di cui,<br />

nei rapporti, si segnalavano l’estrema povertà e la buona condotta morale, che fu ricoverato<br />

nella Pia Casa d’industria in San Vincenzo, nel 1847. Nella “fede” di battesimo, il parroco, forse<br />

per semplificare le pratiche di ammissione, che avrebbero richiesto una laboriosa ricerca<br />

nell’archivio del brefotrofio, lo aveva indicato come Antonio Maria Ignoto, nato da “genitori<br />

incogniti”. L’uomo aveva mostrato “qualche dispiacere” nell’apprendere che era stato così<br />

registrato e, dopo aver osservato che era sempre stato denominato Colombo, aveva pregato la<br />

direzione - che aveva acconsentito alla sua richiesta, tranne che per gli atti d’ufficio - di poter<br />

essere ancora designato con la sua “parentela” 26 .<br />

Cognome a parte, non sembra che il passaggio per il brefotrofio sia stato considerato<br />

infamante dai Milanesi nemmeno quando, all’indomani dell’unità d’Italia, l’Ospizio degli<br />

esposti, ormai divenuto “provinciale”, tentò - come altri in Italia - di limitare l’accettazione ai<br />

soli illegittimi chiudendo la ruota (1868) ed eliminando progressivamente la pratica del baliatico<br />

gratuito. Non pochi genitori regolarmente sposati, infatti, arrivarono a denunciare falsamente i<br />

neonati allo stato civile come figli di ignoti, per poterli ricoverare. A <strong>Milano</strong> i casi furono circa<br />

tremila in trent’anni, secondo la testimonianza del direttore del Brefotrofio, Ernesto Grassi 27 ,<br />

che promosse un’inchiesta proprio allo scopo di individuare questo genere di abusi, e un<br />

fenomeno analogo è documentato anche per Firenze 28 .<br />

Ma ritorniamo alla percezione “dall’alto”. Prima di tutto osserviamo alcuni elementi di<br />

sfondo. Dall’età delle Riforme, in Lombardia, e, in generale, dall’epoca napoleonica, la gestione<br />

della beneficenza, tradizionalmente affidata alla nobiltà cittadina, venne sottoposta a radicali<br />

interventi di pubblicizzazione e razionalizzazione da parte dei nascenti Stati amministrativi 29 .<br />

Ed è la seconda cesura storica cui prima si accennava. La criminalizzazione degli esposti<br />

cominciò proprio quando i nuovi funzionari statali cominciano a denunciare la disastrosa<br />

situazione finanziaria degli “stabilimenti oppressi dal peso ormai strabocchevole di cotesti rifiuti<br />

della paterna e materna dissolutezza od inclemenza” 30 . Nel progressivo e non lineare passaggio<br />

dalla beneficenza “a pioggia” e sostanzialmente poco curante delle passività di bilancio, tipica<br />

dell’antico regime, all’assistenza controllata dallo Stato, diveniva infatti essenziale individuare<br />

chi avesse “veramente diritto” all’aiuto pubblico e definire i modi e i tempi del “dovere” che nei<br />

suoi confronti dovevano assolvere la società e gli enti caritativi 31 .<br />

Sempre in quegli anni, il nuovo codice napoleonico ridefinì le basi giuridiche dei rapporti di<br />

filiazione artificiale. Le disposizioni più generali riguardanti la tutela dei minori orfani e<br />

illegittimi trovarono una peculiare applicazione nel caso degli esposti e delle esposte con il<br />

decreto 4 dicembre 1806 che, estendendo ai figli minorenni degli ospedali l’istituto del tutore e<br />

dei consigli di famiglia, identificava questi ultimi nei consigli d’amministrazione degli ospizi e<br />

25 Da Molin 1991, p. 458-460; Bardet, Brunet 2007, p. 11<br />

26 Antonio Maria Ignoto 1847. Sulle Pie Case d’industria milanesi, Zocchi 2001<br />

27 Grassi 1898, p. 116<br />

28 Rampinelli 2000, pp. 73-98<br />

29 Woolf 1988<br />

30 Bovara 1807<br />

31 Bressan 1998, p. 59<br />

6


il primo in uno dei loro membri. Ma queste norme - che nascevano, sull’orma di quanto era<br />

accaduto in Francia, più che altro per colmare un vuoto legislativo, poiché non era possibile<br />

formare per gli esposti un consiglio di famiglia costituito da parenti - finirono per intrecciarsi<br />

con il complesso delle nuove forme di controllo che i poteri pubblici stavano estendendo sulle<br />

classi “pericolose”. Questo intreccio è ben esemplificato dal caso del decreto 12 agosto 1807<br />

(“relativo alla pubblica tutela da estendersi agli esposti ed abbandonati”), il cui iter è stato<br />

attentamente ricostruito da Simonetta Polenghi 32 , e che qui esaminerò da un diverso punto di<br />

vista. Il codice napoleonico, infatti, prolungava la minorità e sostituiva un uniforme limite di<br />

legge alla variabilità di soglie - alcune delle quali sensibilmente basse - con cui, nello ius<br />

commune e nel diritto statutario precedente, si raggiungevano gradualmente le singole capacità<br />

giuridiche 33 . Il limite fu posto a ventuno anni, eccezion fatta per il consenso alle nozze dei<br />

maschi, per il quale il termine si innalzava ai venticinque anni, salvo il successivo dovere degli<br />

“atti rispettosi” 34 . Si apriva così, fra il momento dell’abdicazione dall’ospizio e la maggiore età,<br />

una pericolosa “zona grigia”, in cui gli esposti si sarebbero trovati soli, in preda all’esuberanza<br />

dei loro istinti. Si presumeva, infatti, che i deboli legami - ritenuti esclusivamente mercenari -<br />

fra tenutari e assistiti si sarebbero inevitabilmente spezzati con la cessazione dei vantaggi<br />

economici offerti dal brefotrofio 35 .<br />

Se tutti i membri del Consiglio legislativo e del Consiglio di Stato, nelle lunghe sedute in cui<br />

venne discusso e riformulato il decreto, concordavano sulla necessità sia di un controllo sia di<br />

un sostegno preventivo per evitare i temuti e, loro giudizio, inevitabili, traviamenti di questi<br />

giovani, l’individuazione delle forme in cui controlli e sostegni si sarebbero realizzati, nonché<br />

l’identificazione delle autorità che avrebbero dovuto esercitarli, non furono questioni di facile<br />

soluzione. La tendenza centralistica, infatti, che da lì a pochi mesi avrebbe avuto il sopravvento<br />

con la riorganizzazione di tutto il sistema assistenziale nelle Congregazioni di Carità 36 , si<br />

scontrava - per il momento - con un orientamento più rispettoso non solo nei confronti delle<br />

diverse tradizioni e consuetudini assistenziali, che prevedevano, fra l’altro, età di abdicazione<br />

molto diverse, ma anche nei confronti degli amministratori degli ospizi. Bisognava evitare, per<br />

non privarsi della loro benefica collaborazione, di “urtare” queste persone che, il più delle volte,<br />

erano “distintissime per dignità e per credito e carattere” 37 . Per fare un esempio, se si fosse<br />

introdotto, come avrebbe voluto Bovara, l’obbligo di aprire all’interno dei brefotrofi “scuole di<br />

leggere, scrivere ed elementi di aritmetica” e laboratori “di sarto, calzolaio, falegname e<br />

ferraio”, stabilendo per legge anche regole uniformi per i contratti, ciò avrebbe significato,<br />

secondo alcuni consiglieri, accusare indirettamente molti ospizi di aver tenuto fino a quel<br />

momento i loro figli in “un’oziosa e scioperata nullità” 38 . Quindi, anche in considerazione<br />

dell’impossibilità di imporre una norma unica sull’obbligo di allestire (o allestire di nuovo,<br />

come nel caso di <strong>Milano</strong>) manifatture nelle Pie Case e in considerazione degli effetti “ruinosi”<br />

(Moscati) che sarebbero sortiti dall’uniformare l’età alla dimissione degli assistiti, ci si limitò a<br />

una formula generica (”saranno stabiliti dei lavori”) e se ne demandò l’applicazione a<br />

“concertazioni” caso per caso fra il ministro per il culto e i singoli ospizi 39 . Allo stesso modo si<br />

ritenne che non fosse opportuno sovrapporre esplicitamente la vigilanza della polizia alla tutela<br />

paterna che gli amministratori esercitavano direttamente sugli esposti rimasti all’interno dei<br />

brefotrofi 40 .<br />

Più in generale, si avvertiva il pericolo che gli interventi normativi incrinassero quel rapporto<br />

di fiducia reciproca fra opere pie, benefattori e maggioranza delle famiglie affidatarie che,<br />

nonostante le frodi perpetrate da alcune balie e i casi - inevitabili - di incuria e maltrattamento,<br />

costituiva ormai il fondamento dell’attività e dell’identità caritativa dei brefotrofi. Venne quindi<br />

32 Polenghi 2003<br />

33 Niccoli 1995, pp. 3-19<br />

34 Sarti 2006, p. 213-215<br />

35 Bovara 1807<br />

36 Bressan 1998, pp. 54-59<br />

37 Rapporto 1807 b<br />

38 Osservazioni 1807<br />

39 Estratto 1807 b<br />

40 Ibidem<br />

7


contestata e rinviata ad altra disposizione - che si sarebbe però rivelata ben più drastica - la<br />

proposta ministeriale che prevedeva, per il governo, la possibilità di devolvere, stabilmente e<br />

con atto pubblico, le rendite di alcuni istituti verso i brefotrofi più bisognosi dello stesso<br />

dipartimento o distretto. Un intervento simile, con ogni probabilità, avrebbe fatto diminuire i<br />

legati, che costituivano ancora una risorsa economica fondamentale per le opere pie, poiché<br />

prospettava agli occhi dei possibili testatori - desiderosi di assegnare le loro sostanze a un<br />

“particolare stabilimento” per “speciale affezione” - il “non rimoto pericolo” di una deroga alle<br />

loro volontà 41 .<br />

Anche sul versante degli “allevatori” non mancavano i timori per interventi legislativi che -<br />

pensati per proteggere gli esposti da eventuali soprusi - avrebbero potuto avere effetti addirittura<br />

controproducenti. Molto pragmaticamente e sinteticamente, Pietro Moscati esprimeva questi<br />

timori, sostenendo che quanti più vincoli e incomodi si fossero messi agli “uomini di<br />

campagna”, tanto meno questi sarebbero venuti a ritirare i figli degli ospedali 42 . Faceva così eco<br />

alla voce degli amministratori dell’Ospedale Maggiore che avevano sottolineato “l’assoluta<br />

necessità” che non venisse “alterata o tolta la tendenza dei contadini o di altre opportune<br />

persone ad assumere ed allevare esposti”: “mancato o scemato” tale “sfogo”, ne sarebbero<br />

risultati “gravissimi inconvenienti e danni” al Luogo pio e agli stessi assistiti 43 . Proprio per<br />

questo, l’anno precedente, Moscati aveva contestato, ma senza successo, la norma che affidava<br />

la tutela giuridica degli esposti collocati in campagna alla “commissione amministrativa del<br />

luogo più vicino a quello della residenza attuale del fanciullo”: in tal modo - aveva sostenuto - si<br />

obbligavano i tenutari dei Colombini, ma anche gli stessi assistiti, a compiere viaggi lunghissimi<br />

solo per un atto di stato civile 44 .<br />

Problemi ancora più delicati poneva l’attività di polizia, attività, che, alla fine, restò l’unico<br />

terreno sul quale si potevano introdurre norme uniformi e che, peraltro, finì per costituire il vero<br />

obiettivo dell’intervento legislativo, nonostante le intenzioni “preventive” e umanitarie del<br />

ministro Bovara. La polizia, dunque, avrebbe esercitato la sua “speciale vigilanza” sugli esposti<br />

dal momento in cui fossero usciti dagli ospizi fino al raggiungimento della maggiore età. Si<br />

stabilì, tuttavia, che sarebbe stata norma poco efficace “far vegliare” direttamente gli assistiti<br />

minorenni dai prefetti e dai vice-prefetti, che, “assorbiti dal gran vortice degli affari”, non<br />

avevano “né tempo né comodo di occuparsi di un oggetto di polizia meramente elementare” e,<br />

tanto meno, dalle municipalità, che, “dovendo collegialmente deliberare nelle non frequenti<br />

convocazioni, erano trattenute dalla spedizione d’altri più urgenti affari” 45 . Si assegnò, quindi,<br />

tale compito ai podestà e ai sindaci dei comuni, come avevano chiesto gli amministratori<br />

dell’Ospedale Maggiore. Ma, anche in questo caso, poiché si voleva evitare di “urtare” i<br />

contadini, si preferì non esplicitare nel testo del decreto il fatto che i podestà e sindaci avrebbero<br />

“vegliato” anche su di loro 46 .<br />

Nel complesso, con il decreto del 1807 si mise in atto un sistema articolato di controlli<br />

incrociati sui figli e sulle figlie degli ospedali, complessivamente considerati tutti come<br />

potenziali criminali. Ogni anno, sulla base delle notifiche inviate dagli amministratori degli<br />

ospizi, i sindaci e i podestà avrebbero inviato al vice-prefetto “il quadro” degli esposti che si<br />

41 Rapporto 1807; Estratto 1807 a<br />

42 Estratto 1807 b<br />

43 Amministratori 1807. In quell’anno l’Ospedale Maggiore aveva a carico 2.500 bambini e bambine sotto<br />

i quindici anni, dei quali circa 132 dai 14 ai 15 anni e 700 dagli 11 ai 13 (Ibidem)<br />

44 In occasione della discussione sul decreto 1806, Moscati, sostenuto da Giovanni Battista Costabili<br />

Containi, aveva proposto di far svolgere alle municipalità le funzioni tutorie sugli esposti almeno per gli<br />

atti di stato civile, anche se non per le questioni patrimoniali, ma il suo emendamento non era stato<br />

accolto dal Consiglio di Stato perché, a giudizio degli altri ministri, la situazione del brefotrofio di<br />

<strong>Milano</strong>, che aveva “diecimila” figli e figlie sparsi per tutta la campagna lombarda, non era generalizzabile<br />

al Regno. Il Viceré aveva inoltre fatto un’osservazione piuttosto sconcertante: “se codesti figli avessero a<br />

certa distanza i loro genitori, certamente nissuno domanderebbe che venissero dispensati dall’andare a<br />

trovarli” (Estratto 1806). Una posizione analoga a quella di Moscati è nella lettera indirizzata dagli<br />

amministratori dell’Ospedale Maggiore a Bovara (Amministratori 1806)<br />

45 Rapporto 1807<br />

46 Estratto 1807 b<br />

8


allevavano nei loro comuni “colla fedele indicazione del contegno di ciascuno dei medesimi”. I<br />

“quadri” sarebbero arrivati per via gerarchica al Ministro per il culto, ma, in caso di<br />

“rimarchevoli mancanze”, a seconda della loro gravità, era previsto l’intervento dei vice-prefetti<br />

e del direttore generale di polizia. Dall’età di quindici anni tutti gli esposti dimessi dagli ospizi o<br />

dagli allevatori avrebbero dovuto possedere un certificato di buona condotta, rilasciato,<br />

rispettivamente, dagli amministratori dei brefotrofi o dalle autorità locali: queste ultime<br />

avrebbero dovuto poi provvedere a vidimarlo ogni sei mesi, fino alla maggiore età del giovane.<br />

Coloro che fossero stati trovati sprovvisti del certificato sarebbero stati puniti con l’arresto sino<br />

a dieci giorni e, in caso di “fondato sospetto” sulla loro condotta, sarebbero stati segnalati dal<br />

giudice di pace, per mezzo del prefetto, al direttore generale di polizia. Furono tuttavia respinte,<br />

perché ritenute non eque né ammissibili, le proposte estreme, che avrebbero privato “individui<br />

già sfortunati” anche del “civile diritto d’individuale libertà” 47 . Il progetto iniziale del decreto,<br />

infatti, prevedeva il ricovero nelle Case di lavoro forzato o volontario per gli esposti che, a<br />

diciotto anni, non avessero trovato il modo di applicarsi stabilmente ad un’arte per procurarsi<br />

“onesta sussistenza”. Tuttavia - si era osservato – non solo sarebbe stato diseducativo<br />

rinchiudere fra gli oziosi questi giovani, che, magari si trovavano disoccupati non per propria<br />

colpa, quando sarebbe stato meglio avviarli ad un’attività o al servizio militare, ma, soprattutto,<br />

nessuna legge del Regno prevedeva una simile pena per gli altri diciottenni senza lavoro 48 .<br />

La ricerca d’archivio sulla reale applicazione - e sugli esiti - di queste norme e di altre simili<br />

adottate durante la Restaurazione, è ancora in corso. Ciò che preme ora sottolineare è che tali<br />

norme nascevano da alcuni presupposti condivisi, che cercherò ora di individuare.<br />

“Uccisi moralmente e civilmente”<br />

Per comprendere meglio il profilarsi dello scontro fra “famiglie assistenziali” e controllo<br />

statale va innanzi tutto ricordato che, già a partire dal secondo Settecento, gli Stati assoluti<br />

avevano cominciato a considerare gli esposti e gli orfani, che erano allevati a spese pubbliche,<br />

non più come i “figli degli Ospedali” - cioè delle comunità cittadine che se ne facevano carico<br />

attraverso la beneficenza privata - ma dello Stato 49 . Lo Stato-padre riconosceva a se stesso il<br />

dovere e il diritto di salvaguardare (e di utilizzare) un patrimonio demografico che costituiva<br />

una delle proprie ricchezze, come testimoniano i progetti di militarizzazione dell’infanzia<br />

assistita che, in quegli anni, presero corpo un po’ovunque in Europa. Esemplarmente,<br />

sintetizzava Bovara: “Resi costoro subordinati fino ad un’età più ferma potranno essere<br />

utilissimi allo Stato nelle arti ed anco nella vita militare” 50 . Il decreto del 17 gennaio 1812, che<br />

imponeva l’obbligo del reclutamento per i “figli esposti, abbandonati ed orfani poveri” maggiori<br />

di undici anni in “istato di servire”, cioè sani, e, in alternativa, il loro apprendistato gratuito fino<br />

ai venticinque anni, costituì l’epilogo, sebbene effimero, di tale processo. In realtà, in questo<br />

caso i legislatori del Regno riuscirono a rendere l’adeguamento alla normativa francese solo<br />

parzialmente operante, poiché l’applicabilità del decreto fu limitata a coloro che fossero “a<br />

carico del luogo pio”, escludendo così i giovani che, quell’età, si trovassero materialmente<br />

presso gli ospizi: come sappiamo si trattava di una minoranza, perlopiù costituita da inabili non<br />

reclutabili 51 . Diversamente le cose andarono nel Dipartimento dell’Arno, che faceva parte<br />

dell’Impero 52 .<br />

Ma c’è di più. La costruzione dell’identità sociale negativa degli esposti sembra aver preso<br />

corpo dalla fine del Settecento non solo in concomitanza con le grandi riforme degli enti<br />

assistenziali e con i progetti più radicali di disciplinamento dei poveri, ma, come hanno<br />

sottolineato Jean-Pierre Bardet e Guy Brunet, anche in coincidenza con importanti mutamenti<br />

47<br />

Osservazioni 1807<br />

48<br />

Rapporto 1807; Osservazioni 1807<br />

49<br />

Polenghi 2003. Evidenziano questo aspetto per i domini austriaci Trisciuzzi, De Rosa 1986 e<br />

Pawlowski 2002<br />

50<br />

Rapporto 1806 a<br />

51<br />

Polenghi 2003, pp. 196-199<br />

52<br />

Corsini 1991, pp. 108-114; Corsini 2007<br />

9


nella storia delle mentalità. Se, dagli anni venti dell’Ottocento, i trovatelli avrebbero suscitato<br />

l’avversione dei malthusiani, che li avrebbero considerati come l’incarnazione dei danni<br />

provocati da una prolificità popolare eccessiva, la loro condizione apparve da subito conflittuale<br />

con l’enfasi sempre più forte assegnata ai legami familiari anche nell’ambito “politico” 53 . Il<br />

processo di valorizzazione della famiglia biologica - e, in generale, dei vincoli di sangue come<br />

fondamento di ogni comunità, anche nazionale 54 - si sviluppò parallelamente a quello che vide il<br />

rapporto fra Stato e cittadino divenire sempre più diretto. Poiché l’identità individuale e<br />

familiare (garantita dal cognome paterno) costituiva un momento essenziale di tale relazione -<br />

relazione, che, a sua volta, rappresentava uno dei presupposti necessari per la creazione di uno<br />

Stato “forte” - gli esposti non potevano che essere guardati con sospetto, così come i domestici,<br />

che, infatti, erano stati espulsi dalla famiglia giuridica. Esemplarmente, il direttore generale<br />

della divisione polizia, Diego Guicciardi, durante la seduta del Consiglio di Stato, aveva<br />

auspicato che il “corpo” degli esposti - dentro e fuori degli ospizi - fosse tutto assoggettato alla<br />

vigilanza della polizia, perché se ne potesse fare un “mirato elenco, con tutti i connotati<br />

particolari”, “per far cessare l’assurdo ogni giorno rinascente di scambiare uno per un altro e<br />

non essere mai certi, né negli arresti né in ogni altra occorrente misura”, dell’identità degli<br />

innumerevoli Luigi Colombo o Bianchi 55 . Non più figli di quegli ospedali che sembravano non<br />

offrire più una tutela sufficiente, gli esposti, ormai “figli della fortuna” 56 , dopo essere diventati<br />

temporaneamente “figli dello Stato”, si apprestavano a essere considerati, nel giro di qualche<br />

decennio, “figli di nessuno”.<br />

Ma non si trattava solo di relazioni politico-amministrative. Sappiamo che negli stessi anni, i<br />

medici, e non solo loro, cominciarono a demonizzare un’altra pratica, anche questa strettamente<br />

connessa alla condizione degli esposti: quella del baliatico 57 . L’osservazione di Ottavia<br />

Niccoli 58 , cioè che studiare il mondo dell’infanzia in età moderna partendo dalle relazioni<br />

familiari è anacronistico, perché significa applicare moduli affettivi e relazionali che sono in<br />

gran parte ottocenteschi e postrousseauiani, può trovare quindi un corollario. A coloro che, fra<br />

Settecento e Ottocento, cominciavano a leggere il mondo dell’infanzia secondo quei nuovi<br />

moduli “affettivi” gli individui che ne apparivano esclusi fin dalla nascita non potevano che<br />

rappresentare un anacronismo. Inutilmente Moscati, basandosi sull’esperienza che “sola poteva<br />

somministrare una norma”, poteva sostenere che, in mezzo a migliaia di esposti consegnati fuori<br />

degli ospizi, “pochissimi” erano stati i casi di abusi 59 . La convinzione generale era che, poiché i<br />

contadini allevavano i figli degli ospedali solo per interesse, dovessero trattarli con durezza. Noi<br />

stessi siamo forse inclini a sottoscrivere il giudizio di Bovara secondo il quale i trovatelli erano<br />

destinati al traviamento, proprio perché non conoscevano l’amore di una “vera” famiglia 60 , e,<br />

viceversa, a condividere l’opinione del consigliere Giovanni Maestri, secondo il quale “un padre<br />

ha sempre sentimenti d’affezione coi quali rattempera la severità della correzione” 61 . Riducendo<br />

al puro interesse materiale - che pure, ovviamente, esisteva e che poteva anche essere<br />

inizialmente prioritario - la motivazione degli “allevatori”, si dimenticava, fra l’altro, che la cura<br />

di un figlio dell’Ospedale - Ospedale non casualmente chiamato dai Milanesi Ca’ Granda - si<br />

inseriva in una complessa rete, anche simbolica, di scambi assistenziali. Fra i Milanesi, infatti,<br />

era radicata la convinzione popolare che la beneficenza fatta agli esposti da parte dei poveri<br />

“compensasse” quella delle persone facoltose che, sostenendo economicamente il nosocomio,<br />

offrivano un ricovero ai loro infermi: l’omaggio funebre reso a un parente defunto<br />

nell’Ospedale spesso coincideva, per i contadini che venivano a <strong>Milano</strong>, con il ritiro di un<br />

trovatello 62 . Eppure - si asseriva - senza legami di sangue, fra adulti e bambini non vi potevano<br />

53<br />

Bardet, Brunet 2007, pp. 13-14, 9-10<br />

54<br />

Banti 2006, pp. 61-72<br />

55<br />

Estratto 1807<br />

56<br />

Rapporto 1807<br />

57<br />

Pasi 1987, pp. 119-120<br />

58<br />

Niccoli 1995, p. X<br />

59<br />

Estratto 1807 b<br />

60<br />

Bovara 1807<br />

61<br />

Estratto 1807 b<br />

62<br />

Giulini 1885<br />

10


essere né affetto, né cura, né sottomissione filiale, ma solo “malcontentezza ed avvilimento”,<br />

solitudine, indipendenza e, quindi, delinquenza e disordine sociale 63 .<br />

Sappiamo, tuttavia, che, fino a tempi non lontanissimi, il lavoro fin dalle età più tenere e<br />

l’estraniamento precoce dalla famiglia erano realtà consuete per tutti i bambini indigenti e, fino<br />

a tempi meno recenti, anche per i figli degli artigiani, dei mercanti e dei nobili 64 . Sappiamo,<br />

soprattutto, che, in ogni tempo, il legame biologico non è condizione né necessaria né<br />

sufficiente perché si stabilisca un legame affettivo fra un adulto e un bambino. Ancora alle<br />

soglie del XX <strong>secolo</strong>, i fanciulli e le fanciulle di alcune regioni italiane venivano venduti dai<br />

genitori biologici a suonatori e a venditori ambulanti oppure, dopo la stipula di un contratto di<br />

apprendistato, erano ceduti ad intermediari che li collocavano presso le manifatture estere, in<br />

particolare nelle vetrerie francesi e belghe 65 . Nei primi vent’anni del Novecento, nel 70% dei<br />

casi, le piccole prostitute accolte nel milanese Asilo Mariuccia erano state vittime di stupro o<br />

incesto oppure provenivano da famiglie in cui c’erano stati episodi di incesto 66 . Le statistiche<br />

odierne, d’altra parte, ci dicono che violenze fisiche e abusi sessuali verso i minori avvengono<br />

prevalentemente per opera di parenti. Infine non dimentichiamo che i veri abbandonati (che il<br />

già citato decreto 17 gennaio 1812 avrebbe con precisione distinto dagli esposti) erano i<br />

“derelitti”: i figli legittimi di quei genitori che - invece di affidare consapevolmente i loro nati<br />

ad un’istituzione – si dileguavano più o meno volontariamente. Lasciati a mendicare per le<br />

strade, questi bambini venivano raccolti dalle forze dell’ordine e poi ricoverati fra i vagabondi.<br />

D’altra parte, mentre prestiamo - giustamente - fede alle denunce sui maltrattamenti subiti<br />

dai trovatelli da parte dei loro “allevatori”, siamo forse inclini a dubitare della buona fede di<br />

quegli stessi parroci e di quegli stessi amministratori quando, nella maggioranza dei casi,<br />

dichiaravano “soddisfacenti” - ovviamente nei limiti di contesti spesso di assoluta miseria - o<br />

addirittura buone, soprattutto dal punto di vista affettivo, le loro condizioni di vita 67 . In realtà,<br />

fino alla metà del <strong>XIX</strong> <strong>secolo</strong> - quando cominciarono le indagini sistematiche, prima per opera<br />

dei direttori dei brefotrofi e poi degli “ispettori viaggianti” - abbiamo solo poche testimonianze<br />

controverse sulla vita degli esposti presso le famiglie dei tenutari. Se non mancavano le<br />

prevaricazioni e l’incuria 68 , non mancavano nemmeno le affiliazioni, che comportavano la<br />

rinuncia al salario e il diritto all’eredità su una parte di beni dell’affidatario, come avveniva ad<br />

Agnosine, in provincia di Brescia 69 . Non mancavano neppure, infine, i casi di profonda e<br />

duratura affezione reciproca, come documentava lo stesso Buffini 70 . Il giurista Carlo Bellani,<br />

con molto realismo e con l’esperienza che gli proveniva sia dalla frequentazione dei tribunali<br />

penali sia dalla pluriennale attività direttiva dell’Ospedale Maggiore di <strong>Milano</strong>, riassumeva così<br />

la situazione, commentando nel 1825 la vicenda di un’assistita sedotta dal suo tenutario: “Nel<br />

grande numero di figlie che sono alla campagna qualch’una [sic] riesce male, come avviene<br />

anche di varie legitime” 71 .<br />

Per concludere sembra di poter affermare che lo status dei figli e delle figlie dell’Ospedale,<br />

qualunque fosse la realtà delle loro esistenze - in genere non molto diversa da quella, sempre<br />

molto dura, degli altri poveri - o la percezione dei loro pari, fosse inevitabilmente destinato, con<br />

la fine dell’Ancien Régime, ad entrare “di per sé” in collisione con la mentalità dei nuovi ceti<br />

dirigenti e, come tale, a essere rifiutato. La sempre più numerosa “non-famiglia” degli esposti,<br />

63 Bovara 1807<br />

64 Niccoli 1995. Interessanti elementi sullo scambio dei bambini fra le famiglie in epoca moderna sono<br />

emersi nel convegno Il posto dei bambini. Infanzia e mondo degli adulti tra Medioevo ed età<br />

contemporanea, Roma 5-6 ottobre 2009, in particolare negli interventi di S. Bellavitis, Lavoro,<br />

apprendistato e circolazione dei bambini in età moderna, e S. Feci, Crescere orfani. Famiglie e tutele<br />

dei minori a Roma in età moderna<br />

65 Zucchi 1999; Di Bello, Nuti 2001<br />

66 Buttafuoco 1988, pp. 108-110. Si vedano anche le testimonianze raccolte nelle Langhe da Revelli 1977,<br />

in particolare, vol. II, p. 203 e Cambi, Ulivieri 1988, p. 46<br />

67 Polenghi 2003, pp. 182-185<br />

68 Di Bello 1989, pp. 56-105; Sandri 2001 a; Sandri 2001 b; Sandri 2002<br />

69 Onger 1985, p. 59<br />

70 Buffini 1844, Parte II, pp. 160-162<br />

71 Bellani 1825<br />

11


costituita promiscuamente da figli legittimi e da “figli della colpa”, appariva come un’anomalia<br />

nel corpo sociale. Qualunque fosse la loro filiazione e prima ancora che i brefotrofi venissero<br />

“doverosamente” riservati, almeno ufficialmente, ai bambini nati fuori del matrimonio, i figli<br />

degli ospedali cominciarono ad essere percepiti, tutti quanti, come “illegittimi”. “Uccisi<br />

moralmente e civilmente” 72 , “marchiati da una specie d’ignominia per l’ignota presunta [loro]<br />

origine” 73 , apparivano pericolosamente estranei sia alla nuova legalità sia al nuovo ideale di<br />

famiglia.<br />

Fonti d’archivio<br />

Abbreviazioni<br />

AIPMi = Archivi istituti provinciali assistenza infanzia <strong>Milano</strong>.<br />

Provincia di <strong>Milano</strong>. Direzione centrale cultura e affari sociali<br />

ALPE = Archivio dei Luoghi Pii Elemosinieri (Azienda di Servizi<br />

alla persona “Golgi-Redaelli”), <strong>Milano</strong><br />

AOM = Archivio Ospedale Maggiore di <strong>Milano</strong><br />

ASMi = Archivio di Stato di <strong>Milano</strong><br />

b. = busta<br />

p.m. = parte moderna<br />

Amministratori 1807<br />

Amministratori dell’Ospedale civico e uniti di <strong>Milano</strong> al Ministro per il culto, 12 marzo 1807, in ASMi,<br />

Luoghi pii, p.m., b. 98<br />

Antonio Maria Ignoto 1847<br />

Fascicolo personale di Antonio Maria Ignoto, in ALPE, Archivio della Direzione. Case d’industria e di<br />

ricovero. Ospitalità. Ricoverati a carico di corpi, b. 20<br />

Bellani 1825<br />

C. Bellani a E. De Micheli, parroco di Ozzero, 14 ottobre 1825, in AIPMi, Brefotrofio. Bambini. Carte<br />

sciolte, b. 1, 727/1810<br />

Bovara 1807<br />

G. Bovara al ministro dell’interno, 21 marzo 1807, in ASMi, Luoghi pii, p.m., b. 98<br />

Beauharnais 1807<br />

Eugenio de Beauharnais ai ministri dell’interno e del culto, 2 marzo 1807, in ASMi, Luoghi pii, p.m., b.<br />

98<br />

Estratto 1806<br />

“Estratto del processo verbale del Consiglio di Stato della seduta del giorno 20 novembre 1806”, in<br />

ASMi, Luoghi pii, p.m., b. 98<br />

Estratto 1807 a<br />

“Estratto del processo verbale del Consiglio di Stato della seduta del giorno 3 luglio 1807”, in ASMi,<br />

Luoghi pii, p.m., b. 98<br />

Estratto 1807 b<br />

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