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Consulta la scheda scientifica - Museo Poldi Pezzoli

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Scheda tratta da Le Muse e il Principe. Arte di corte nel<br />

Rinascimento Padano, catalogo del<strong>la</strong> mostra tenutasi a Mi<strong>la</strong>no nel<br />

1991, Mi<strong>la</strong>no 1991<br />

Cosmè Tura<br />

Ferrara, 1430 circa-1495<br />

San Maurelio<br />

Tempera su tavo<strong>la</strong>; 24 x 11,2cm (n. inv. 1556)<br />

Nel<strong>la</strong> prima metà del secolo scorso queste due piccole tavole si trovavano insieme a Ferrara nel<strong>la</strong> collezione<br />

di Giovan Battista Costabili già correttamente attribuite da Camillo Laderchi a Cosmè Tura (1838, I, p. 28).<br />

Verosimilmente già negli anni ‘60 il San Giorgio finì in Gran Bretagna, nel<strong>la</strong> collezione Barker (fino al 1874)<br />

e, in un secondo tempo, presso Lord Rosebery i cui eredi lo cedettero nel 1940 al collezionista statunitense<br />

Siegrid Kamarsky. Dopo <strong>la</strong> guerra <strong>la</strong> tavo<strong>la</strong> rientrò in Italia e venne acquistata da Vittorio Cini nel 1954. Il<br />

San Maurelio invece, rimasto invenduto nel 1871 (Catalogo dei quadri... n. 24) sarebbe stato acquistato dal<br />

<strong>Museo</strong> <strong>Poldi</strong> <strong>Pezzoli</strong> ad una seconda vendita di dipinti Costabili tenuta presso <strong>la</strong> Galleria Sambon a Mi<strong>la</strong>no<br />

nel 1885 (Catalogue des tableaux..., 1885, p. 18, n. 33). Nel 1894 Adolfo Venturi accostò il San Maurelio ad<br />

una Annunciata di casa Colonna (tavo<strong>la</strong> cm. 21 x 12) ipotizzando una loro comune origine da una perduta<br />

pa<strong>la</strong> d’altare, mentre nel 1940 Roberto Longhi, (ed. 1956, p. 127) avrebbe aggiunto al gruppo anche il San<br />

Giorgio riaffermando <strong>la</strong> provenienza di queste tre tavole dai pi<strong>la</strong>strini esterni ed opposti di un altare oggi<br />

disfatto. Eberhard Ruhmer (1958, pp. 170-171) provò ad immaginarie come parte di una eventuale predel<strong>la</strong><br />

del<strong>la</strong> Pa<strong>la</strong> Fesch (A<strong>la</strong>ccio, Musée Fesch), una proposta che ha goduto di un certo credito (Bianconi 1963,<br />

pp. 52-54; Riccomini 1965, p. 8; Mo<strong>la</strong>joli 1974, p. 79), nonostante risultasse negata già dal fatto che il<br />

supporto del dipinto di Ajaccio è una te<strong>la</strong> e non una tavo<strong>la</strong>. Molto più p<strong>la</strong>usibilmente Mario Salmi (1957, p.<br />

53) e Federico Zeri (cit. in Natale 1982, p. 118) hanno ipotizzato che i tre frammenti fossero in origine gli<br />

sportelli di un piccolo trittico, dipinti su entrambi i <strong>la</strong>ti e poi segati in epoca moderna e ciò risulta confermato<br />

dall’aspetto attuale dei tre dipinti, incol<strong>la</strong>ti a delle tavolette lignee fra loro simili che non consentono di<br />

scorgere i retri originali. M. Natale (1982, p. 118) non escludeva che il centro di tale altarolo potesse essere<br />

costituito da un reliquario mentre, per parte mia (1990, p. 5) ho prospettato <strong>la</strong> possibilità di riconoscerlo in<br />

una tavo<strong>la</strong> oggi nota del Tura vale a dire nel<strong>la</strong> cosiddetta Madonna dello Zodiaco (cm. 21 x 13) conservata<br />

anch’essa presso i Colonna a Roma. Mi sembra infatti che le caratteristiche tecniche compositive e stilistiche<br />

di questo dipinto siano del tutto simili a quelle degli altri tre; anche le dimensioni non parranno inadeguate<br />

(sono esattamente identiche a quelle delle tavole <strong>Poldi</strong> <strong>Pezzoli</strong>, Cini e dell’Annunciata Colonna) se si tiene<br />

presente che l’elemento centrale poteva essere fornito di un’incorniciatura lignea più cospicua, a<br />

compensare i pochi centimetri di margine (non più di sei, sette per <strong>la</strong>to) necessari a raggiungere una<br />

<strong>la</strong>rghezza pari al<strong>la</strong> somma di quel<strong>la</strong> delle due tavole <strong>la</strong>terali.<br />

Non è improbabile che in origine l’altarolo Cini Colonna fosse incorniciato ‘cum foiami minuti e <strong>la</strong>vori<br />

a<strong>la</strong>ntiqua’ simili a quelli che aveva eseguito l’intagliatore Bernardino da Venezia per un complesso che si<br />

immagina non molto diverso, dipinto nel 1475 da Cosmè Tura per Ercole I d’Este. Quest’ultimo viene<br />

dettagliamente descritto in un documento pubblicato nel secolo scorso da Venturi (1898, pp. 24-25) ma non<br />

sembra possibile identificarlo con il nostro poiché comprendeva quattro Santi nel<strong>la</strong> parte esterna e quattro<br />

nel<strong>la</strong> parte interna (quindi nessuna Annunciazione) e al centro una ‘nostra dona cum il fiolo in brazo’. Per le<br />

stesse ragioni è d’altronde difficile prendere in considerazione il tentativo di identificarne dei frammenti nelle


quattro tavolette del<strong>la</strong> National Gallery di Washington, con San Francesco, San Maurelio e l’Annunciazione<br />

(cfr. Orto<strong>la</strong>ni 1941, pp. 70-71).<br />

È dunque impossibile stabilire <strong>la</strong> destinazione originaria del nostro trittico poiché <strong>la</strong> presenza di San Giorgio<br />

e di San Maurelio si rive<strong>la</strong> probante solo ai fini di stabilirne <strong>la</strong> provenienza ferrarese. Questi due Santi sono<br />

infatti i protettori del<strong>la</strong> città e ricorrono congiuntamente in numerose opere figurative del Quattrocento. La<br />

raffigurazione di Maurelio il cui culto rimane esclusivamente locale, prende piede proprio in questo secolo.<br />

Vissuto nel VII secolo, egli, dopo essere succeduto al padre come sovrano di Edessa, venne ordinato<br />

sacerdote dal vescovo di Smirne e si recò quindi a Roma. Qui, nel 636, al papa Eugenio IV apparve in sogno<br />

San Giorgio convincendolo a nominare il giovane re, vescovo di Ferrara (<strong>la</strong> sede episcopale era allora a<br />

Voghenza). Poco dopo saputo che a Edessa, Rivallo, suo fratello, aveva preso il potere e aveva abiurato il<br />

cristianesimo il santo partì al<strong>la</strong> volta del<strong>la</strong> città natale dove sarebbe stato prima incarcerato e poi fatto<br />

uccidere dal fratello. La sua salma fu trasportata a Ferrara, ad opera di Enrico III soltanto nel 1106, e venne<br />

solenni mente riesumata nel 1419. È propri dopo questa data che l’immagine, di Maurelio, dapprima<br />

confinata a sigilli monete, diviene ricorrente nel<strong>la</strong> pittura ferrarese. A testimonianza di come non fosse stata<br />

definita un’iconografia canonica del Santo è significativo notare che lo stesso Tura lo rappresenta talvolta<br />

senza barba e più giovane di come non appaia nel<strong>la</strong> tavo<strong>la</strong> <strong>Poldi</strong> <strong>Pezzoli</strong> nei due tondi del<strong>la</strong> Pinacoteca di<br />

Ferrara: in uno dei pannelli <strong>la</strong>terali del polittico Roverel<strong>la</strong> (Roma, collezione Colonna), e anche nel<strong>la</strong> tavoletta<br />

del<strong>la</strong> National Gallery di Washington (in queste ultimo caso tuttavia l’identificazione con Maurelio non è forse<br />

definitiva). Una tipologia iconografica del tutto simile a quel<strong>la</strong> del nostro dipinto <strong>la</strong> ritroviamo invece in una<br />

incisione del 1489 che, secondo L.N. Cittadel<strong>la</strong> (1864, I, p. 698) deriverebbe dal pannello centrale del<strong>la</strong> pa<strong>la</strong><br />

dedicata al Santo, dipinta da Tura per San Giorgio fuori le Mura e da cui provengono i due tondi oggi nel<strong>la</strong><br />

Pinacoteca di Ferrara. Come un vescovo anziano lo raffigurano anche gli scultori: con <strong>la</strong> barba nel<strong>la</strong> statua<br />

bronzea del<strong>la</strong> Cattedrale principiata dal Baroncelli e portata a compimento nel 1456 da Domenico di Paris,<br />

sbarbato invece nello straordinario marmo del <strong>Museo</strong> dell’opera del Duomo, attribuito anche recentemente a<br />

Jacopo del<strong>la</strong> Quercia (cfr. Giovannucci Vigi 1989, p. 32). Quest’ultimo merita sicuramente una<br />

considerazione più attenta di quel<strong>la</strong> finora riservatagli ma in questa circostanza voglio almeno segna<strong>la</strong>re<br />

l’inconsistenza dell’attribuzione a Jacopo. È infatti, ad evidenza, più tardo, scolpito dopo <strong>la</strong> prima metà del<br />

secolo, e costiuisce piuttosto il parallelo più significativo, offerto dal<strong>la</strong> coeva scultura ferrarese, all’opera<br />

pittorica di Cosmè. Lo indica <strong>la</strong> struttura elegantemente dinocco<strong>la</strong>ta del<strong>la</strong> figura, che richiama, anche nel<br />

gesto con cui <strong>la</strong> mano sinistra regge il libro, il San Francesco del<strong>la</strong> National Gallery di Washington. Non<br />

meno turiano è il tortuoso avvilupparsi dei panneggi, mentre l’aspro espressionismo del volto scavato dagli<br />

anni e <strong>la</strong> secchezza smagrita del collo trovano calzanti termini di confronto in tavole come il San Nico<strong>la</strong> di<br />

Nantes e il Sant’Antonio da Padova del<strong>la</strong> Galleria Estense. Il Cittadel<strong>la</strong> (1864, p. 56), e prima di lui lo<br />

Sca<strong>la</strong>brini (ms. I, 447, c. 59) facevano il nome di un certo Paolo di Luca fiorentino, documentato a Ferrara<br />

nel 1458 per alcuni <strong>la</strong>vori eseguiti nel<strong>la</strong> Sacrestia del<strong>la</strong> Cattedrale, e di cui oggi non si conosce alcuna<br />

scultura. In ogni caso è tempo di abbandonare definitivamente l’ipotesi deviante in favore di Jacopo del<strong>la</strong><br />

Quercia e collocare invece questa immagine a fianco delle opere di Tura rendendo così ragione di una<br />

ardimentosità espressiva anche più intensa di quel<strong>la</strong> che connota le opere di Domenico di Paris.<br />

Tornando infine all’oggetto principale di questa <strong>scheda</strong>, il trittico Cmi, Colonna, <strong>Poldi</strong> <strong>Pezzoli</strong>, va ricordato<br />

che come di consueto nel Tura rimane molto dibattuta <strong>la</strong> questione re<strong>la</strong>tiva al<strong>la</strong> sua posizione cronologica<br />

entro lo svolgimento dell’artista. Nel caso specifico, l’opinione di Longhi (1934, ed. 1956, p. 23; 1940, ed.<br />

1956, p. 127) che lo leggeva in prossimità del<strong>la</strong> pa<strong>la</strong> di Ajaccio si è rive<strong>la</strong>ta condizionante e quindi è stato


volta a volta posto al principio (Ruhmer 1958, pp. 170-171; Volpe 1961, p. 155; BosKovits 1978, p. 378)<br />

ovvero al termine del suo percorso (Orto<strong>la</strong>ni 1951, p. 77; Bianconi 1963, pp. 52-54; Mo<strong>la</strong>joli 1974, p. 89;<br />

Natale 1982, p. 118) a seconda del<strong>la</strong> diversa datazione assegnata al<strong>la</strong> pa<strong>la</strong>; solo recentemente, dopo che si<br />

è raggiunta una re<strong>la</strong>tiva concordia circa <strong>la</strong> precocità di quest’ultima, eseguita in una data non lontana dal<br />

1455 (cfr., p. 128) è stato infine precisato che i resti dell’altarolo qui discusso non sono coevi all’esecuzione<br />

del<strong>la</strong> te<strong>la</strong> e vanno piuttosto collocati in un momento successivo (cfr. Boskovits, cit. in Thiebaut 1987, p. 128,<br />

e Bacchi 1990, pp. 5-6). Pur nel<strong>la</strong> precarietà che ogni proposta di sistemazione cronologica re<strong>la</strong>tiva a Tura<br />

inevitabilmente comporta, mi sembra che una datazione agli anni settanta, e cioè nell’arco cronologico<br />

compreso fra le ante d’organo del<strong>la</strong> Cattedrale (1469) e i due tondi con Storie di San Maurelio del<strong>la</strong><br />

Pinacoteca di Ferrara (1480 ca.), possa essere <strong>la</strong> più p<strong>la</strong>usibile.<br />

Esposizioni:<br />

San Giorgio, Londra, 1937, n. 111; Venezia, 1990, n. 1.<br />

Bibliografia aggiornata al 2012<br />

Bibliografia tratta dal catalogo Le muse e il principe:<br />

L. Laderchi, Descrizione del<strong>la</strong> Quadreria Costabili, 4 voll., Ferrara 1838-1841, 1838, p. 28.<br />

A. Venturi, Documenti re<strong>la</strong>tivi al Tura, a Michele dello Scalcagna, a Guido Mazzoni, a Pellegrino Munari, al<br />

Boccaccino, ad Antonio Lombardi, a Cristoforo So<strong>la</strong>ri, in “Archivio Storico dell’arte”, VII, 1894, p. 90.<br />

A. Venturi, Storia dell’arte italiana, VII/3, Mi<strong>la</strong>no 1914, p. 538.<br />

R. Longhi, Officina ferrarese (1934) seguita dagli Ampliamenti (1940) e dai Nuovi ampliamenti (1940-1956),<br />

vol. V delle Opere complete di Roberto Longhi, Firenze 1956 (1934).<br />

R. Longhi, Ampliamenti nell’officina ferrarese, in “Critica d’arte”, IV, 1940, ried. in Officina Ferrarese (1934-<br />

1956), V volume delle Opere complete di Roberto Longhi, Firenze 1956, p. 127.<br />

S. Orto<strong>la</strong>ni, Cosmè Tura, Francesco Del Cossa, Ercole de’ Roberti, Mi<strong>la</strong>no 1941, p. 77.<br />

E. Ruhmer, Tura. Paintings and Drawings. Complete edition, London 1958, pp. 170.171.<br />

C. Volpe, L’apice espressionistico ferrarese di Liberale da Verona, in “Arte antica e moderna”, 13-16, 1961,<br />

pp. 154-157, pp. 155-156.<br />

P. Bianconi, Tutta <strong>la</strong> pittura di Cosmè Tura, Mi<strong>la</strong>no 1963, pp. 53-54.<br />

E. Riccomini, Cosmè Tura (“Maestri del colore”, n. 98, Mi<strong>la</strong>no 1965, p. 5.<br />

P. Berenson, Italian Pictures of the Reinassance. Venetian School, I, London 1968.<br />

R. Mo<strong>la</strong>joli, L’opera completa di Cosmè Tura e i grandi pittori ferraresi del suo tempo (“C<strong>la</strong>ssici dell’arte<br />

Rizzoli”, n. 73), Mi<strong>la</strong>no 1974, p. 89, nn. 38, 39.<br />

M. Boskovits, Ferrarese Painting about 1450: Some New Arguments, in “The Burlington Magazine”, CXX, n.<br />

903, 1978, pp. 370-385, p. 378.<br />

M. Natale, Dipinti, il <strong>Museo</strong> <strong>Poldi</strong> <strong>Pezzoli</strong>. Dipinti, Mi<strong>la</strong>no 1982, pp. 118-119.<br />

D. Thiebaut, Ajaccio. Musée Fesch. Les Primitifs italiens, Paris 1987, pp. 128-130.<br />

A. Bacchi, Dipinti ferraresi del<strong>la</strong> collezione Vittorio Cini, Venezia 1990, pp. 5-7.<br />

Le Muse e il Principe. Arte di corte nel Rinascimento padano, Mi<strong>la</strong>no 1991, cat. 83b, pp. 334-337.<br />

Scheda n. 79, in La miniatura a Ferrara dal tempo di Cosmè Tura all’eredità di Ercole de’ Roberti, Modena<br />

1998, p. 328 - 329

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