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Il Cavaliere d'Africa, Ilaria Goffredo - Quelli di ZEd

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Questo libro è <strong>di</strong>sponibile anche in versione a stampa:<br />

PAGINE: 296<br />

PREZZO euro: 16,50<br />

ISBN: 978-88-6307-444-4


ILARIA GOFFREDO<br />

IL CAVALIERE D’AFRICA<br />

Viaggio in fondo al cuore<br />

www.0111e<strong>di</strong>zioni.com


www.0111e<strong>di</strong>zioni.com<br />

www.labandadelbook.it<br />

IL CAVALIERE D’AFRICA<br />

Copyright © 2012<br />

Zerounoun<strong>di</strong>ci E<strong>di</strong>zioni<br />

ISBN: 978-88-6578-142-5<br />

In copertina: Immagine<br />

Shutterstock.com


A tutte le persone meravigliose che<br />

ho conosciuto in Kenya,<br />

a tutti coloro che de<strong>di</strong>cano la<br />

propria esistenza<br />

a rendere migliore quella degli<br />

altri<br />

e all’Africa, terra <strong>di</strong> vita e<br />

immensità.


«E se i suoi occhi<br />

fossero nel cielo veramente e le<br />

stelle<br />

nel suo viso? Lo splendore del suo<br />

volto<br />

farebbe pallide le stelle, come la<br />

luce del giorno<br />

la fiamma d’una torcia.»<br />

William Shakespeare – Romeo e<br />

Giulietta


PROLOGO<br />

Spesso ripenso a com’ero prima.<br />

Non avrei mai immaginato che la<br />

mia vita sarebbe cambiata così, che<br />

io sarei cambiata così. Mi ritrovo a<br />

guardarmi allo specchio vedendo<br />

dall’altra parte qualcuno che non<br />

credevo potessi essere io e <strong>di</strong> certo<br />

trovo una persona migliore.<br />

La mia vita è completamente<br />

<strong>di</strong>versa da come immaginavo che<br />

sarebbe stata prima <strong>di</strong> quel giorno<br />

<strong>di</strong> settembre del 2005, quando ero<br />

una spensierata adolescente come<br />

tutte le altre della mia età.


PARTE PRIMA<br />

PRIMA DELLA LUCE<br />

Quando ero piccola ogni giorno mi<br />

veniva in mente una nuova<br />

professione che avrei voluto fare<br />

da grande. Verso gli otto anni<br />

volevo tanto <strong>di</strong>ventare<br />

un’astronauta. Mi avevano sempre<br />

affascinato il cielo, le stelle, la vita<br />

su altri pianeti. Guardavo sempre<br />

in televisione i documentari e le<br />

trasmissioni <strong>di</strong> astronomia; mi ero<br />

così appassionata che implorai mio<br />

padre <strong>di</strong> comprarmi l’intera<br />

enciclope<strong>di</strong>a dell’universo, con<br />

fascicoli, raccoglitori e<br />

videocassette. E lui, da brav’uomo<br />

qual era e meraviglioso padre


quale è sempre stato, acconsentì.<br />

Papà era un uomo magro e<br />

bassino, dal grande naso, ma io lo<br />

trovavo anche molto bello. Inoltre<br />

è sempre stato una persona calma e<br />

per stare con mia madre <strong>di</strong><br />

pazienza ce ne voleva tanta.<br />

Mamma era alta un centimetro in<br />

più <strong>di</strong> papà, aveva i capelli scuri ed<br />

era una bella donna anche se non si<br />

truccava mai e si vestiva sempre<br />

sportiva: tutti mi <strong>di</strong>cevano sempre<br />

che io le assomigliavo tantissimo.<br />

Quando ero piccola però<br />

litigavamo spesso: io ero una peste<br />

e lei era molto suscettibile. Finiva<br />

regolarmente che io piangevo. E<br />

poi c’era sempre papà che veniva a<br />

consolarmi: sentivo che era lui<br />

l’unico che mi capiva.<br />

L’enciclope<strong>di</strong>a dell’universo<br />

arrivava a casa ogni mese con due<br />

videocassette e due fascicoli (che<br />

io <strong>di</strong>voravo in <strong>di</strong>eci minuti) e papà<br />

pagava i bollettini postali


tranquillamente, solo per me,<br />

anche se il suo stipen<strong>di</strong>o (all’epoca<br />

in lire) non arrivava neanche a due<br />

milioni al mese. Io coltivavo con<br />

gioia i miei sogni, <strong>di</strong>segnavo<br />

astronauti, tute spaziali, buchi neri<br />

e supernove e immaginavo <strong>di</strong><br />

essere la prima donna a mettere<br />

piede su Marte.<br />

Un’altra passione che avevo erano<br />

gli animali, <strong>di</strong> tutti i tipi e <strong>di</strong> tutte<br />

le specie. Sognavo così <strong>di</strong> fare la<br />

veterinaria. Nella mia mente <strong>di</strong><br />

bambina credevo che ciò<br />

significasse solo passare tanto<br />

tempo con gli animali e non fare<br />

ciò che realmente fa un dottore<br />

veterinario. Purtroppo non ebbi<br />

nessun animale domestico in casa<br />

perché mia madre era fissata per la<br />

pulizia assoluta e non voleva<br />

nemmeno un pesce rosso.<br />

Altre volte sognavo <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare<br />

<strong>di</strong>segnatrice <strong>di</strong> manga, perché<br />

adoravo quei <strong>di</strong>segni e mi


cimentavo sempre nel realizzarli<br />

(ero anche piuttosto brava). Anche<br />

in quel caso convinsi papà a farmi<br />

seguire un corso <strong>di</strong> <strong>di</strong>segno per<br />

corrispondenza. Mi arrivavano<br />

cartelline portafogli, fogli e album<br />

da <strong>di</strong>segno, matite <strong>di</strong> tutti i tipi e<br />

colori, manichini <strong>di</strong> legno<br />

snodabili, inchiostro <strong>di</strong> china,<br />

retini, nonché fascicoli e<br />

raccoglitori.<br />

Ancora, adoravo i misteri<br />

dell’antichità e volevo scoprire le<br />

origini della storia <strong>di</strong>ventando<br />

un’archeologa… ma arrivata in<br />

terza me<strong>di</strong>a dovetti scegliere una<br />

scuola superiore. E cosa scelsi?<br />

Tecnico dei servizi turistici! Ora<br />

non ricordo neanche più il motivo.<br />

Fortunatamente non mi pentii della<br />

mia decisione, perché quella<br />

scuola mi permetteva <strong>di</strong> viaggiare<br />

tantissimo. Pensavo che una volta<br />

<strong>di</strong>plomata mi sarei iscritta<br />

all’università <strong>di</strong> Bologna per


<strong>di</strong>ventare manager d’albergo o<br />

qualcosa <strong>di</strong> simile. Devo <strong>di</strong>re però<br />

che la mia vita prese una piega<br />

decisamente inaspettata…<br />

La mia migliore amica era Fiorella,<br />

anche se in realtà eravamo molto<br />

<strong>di</strong>verse. Io ero semplice, introversa<br />

e determinata. E non provenivo da<br />

una famiglia benestante, anzi…<br />

eravamo in affitto in una casa <strong>di</strong><br />

sessantacinque metri quadrati:<br />

camera mia e <strong>di</strong> mio fratello<br />

maggiore Giacomo era<br />

praticamente nel soggiorno, poi<br />

c’era la piccola camera da letto dei<br />

miei, un modesto bagno e una<br />

cucina dove entrava solo un tavolo<br />

da quattro. Non avevo la<br />

possibilità <strong>di</strong> fare spesso shopping<br />

ma in fondo non mi mancava<br />

nulla.<br />

Fiorella invece era estroversa e<br />

sofisticata, ma nel profondo era<br />

molto fragile. Aveva una bella casa


e tanti sol<strong>di</strong>, indossava solo roba<br />

firmata Calvin Klein, Burberry,<br />

Hogan e altre marche che io<br />

neanche conoscevo. A scuola io<br />

ero fortissima, lei un po’ meno. Io<br />

ero alta, magra, occhi gran<strong>di</strong>,<br />

carina e con i capelli castano<br />

scuro; lei era bassina, dalle forme<br />

un po’ più piene delle mie, con i<br />

capelli rossi e lucenti e con delle<br />

simpatiche lentiggini sparse sul<br />

naso e sugli zigomi.<br />

Eravamo due mon<strong>di</strong> opposti, ma<br />

ciò che ci legava era una profonda<br />

amicizia nata nel momento del<br />

bisogno. In seconda superiore io<br />

fui lasciata dal mio fidanzato<br />

storico: Michele. Quella che allora<br />

credevo la mia migliore amica,<br />

invece <strong>di</strong> sostenermi, si allontanò<br />

da me e mi ritrovai sola. C’era solo<br />

Fiorella ad ascoltarmi e tirarmi su,<br />

mi telefonava per sapere come<br />

stavo e mi chiedeva <strong>di</strong> uscire<br />

insieme per farmi <strong>di</strong>strarre. Fu così


che pian piano ci avvicinammo e<br />

<strong>di</strong>ventammo inseparabili.<br />

Pranzavamo insieme, stu<strong>di</strong>avamo<br />

insieme, lei mi aiutava in<br />

matematica (l’unica materia a cui<br />

io non riconoscevo il merito <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>sciplina scolastica) e io la<br />

aiutavo in geografia (nella quale<br />

lei aveva una forte rivalità con il<br />

professore). Quando lei prese la<br />

patente, il pomeriggio uscivamo<br />

spesso con la sua macchina che era<br />

una bellissima Nissan Micra<br />

grigia, uscita da pochi mesi sul<br />

mercato. Cantavamo a<br />

squarciagola con la ra<strong>di</strong>o accesa e<br />

facevamo gli occhi dolci ai bei<br />

ragazzi fermi ai semafori. Spesso<br />

giravamo a vuoto per Martina<br />

Franca, la mia città. A noi si<br />

avvicinarono anche Cinzia e Piera.<br />

La prima un po’ piagnucolona ma<br />

molto dolce, la seconda invece era<br />

la tipa dura della situazione, quella<br />

che se la chiamavi non rispondeva


mai al cellulare: fu così che si creò<br />

un bel gruppo affiatato. Anche<br />

nella gite stavamo sempre insieme.<br />

Ricordo quando andammo in gita<br />

in Sicilia per quattro giorni.<br />

Alloggiavamo a Giar<strong>di</strong>ni Naxos,<br />

vicino a Messina, in un grazioso<br />

villaggio turistico con villette<br />

in<strong>di</strong>pendenti a due piani. Dopo le<br />

escursioni della giornata era la sera<br />

che arrivava il vero <strong>di</strong>vertimento.<br />

Facevamo tutto ciò che facevano<br />

dei giovani in gita: ballavamo<br />

musica rock sui letti, facevamo<br />

scherzi con il dentifricio ai nostri<br />

compagni (la vittima preferita era<br />

Viviana, grande ingenua) e<br />

bevevamo tutto ciò che <strong>di</strong> alcolico<br />

ci capitava tra le mani.<br />

Una sera Piera era seduta sul suo<br />

letto a gambe incrociate. Indossava<br />

scarpe da tennis verde militare, un<br />

jeans strappato, una magliettina<br />

con su scritto Viva l’America e una<br />

pashmina bianca sfilacciata, la sua


preferita. I capelli bion<strong>di</strong> erano<br />

raccolti in uno chignon, era magra<br />

e molto minuta e quella sua aria da<br />

ribelle le attirava non pochi fans.<br />

Cinzia uscì dal bagno dopo quasi<br />

un’ora passata nella vasca.<br />

Indossava un pigiamone una taglia<br />

più grande e delle pantofole a<br />

forma <strong>di</strong> coniglietto. Era un po’<br />

robusta, ma quei capelli ricci, corti<br />

e ribelli, la rendevano molto<br />

simpatica. Vide Piera che<br />

armeggiava con qualcosa tra le<br />

mani.<br />

«Ecco, ho finito!» esclamò Piera.<br />

«Che stai facendo?» chiese Cinzia<br />

sorpresa.<br />

«Zitta e fuma!» rispondemmo<br />

all’unisono io e Piera.<br />

Utilizzavamo quel tono autoritario<br />

ma scherzoso quando una <strong>di</strong> noi<br />

faceva troppe domande. Era<br />

superfluo spiegare a Cinzia che<br />

Piera aveva rollato una canna…


Ci sedemmo tutte e tre per terra sul<br />

balcone a guardare le stelle e quel<br />

cielo infinito che mi aveva sempre<br />

affascinato. Come in una pellicola<br />

lessi in quelle stelle la storia <strong>di</strong><br />

tutte le persone, <strong>di</strong> tutti i popoli<br />

che quel cielo aveva da sempre<br />

ammirato, alto su tutto e tutti,<br />

imperturbabile nella sua<br />

immensità.<br />

Fiorella ci raggiunse portando<br />

quattro bicchieri <strong>di</strong> plastica<br />

traballanti. Si <strong>di</strong>vertiva a fare la<br />

shaker e aveva preparato i nostri<br />

cocktail preferiti: Long Island per<br />

Piera (con cola, rum e non sapevo<br />

che altro), Mojito per Cinzia,<br />

Caipiroska alla fragola per lei (si<br />

sentiva il gusto <strong>di</strong> fragola ma era<br />

ben più forte quello <strong>di</strong> alcol e mi<br />

<strong>di</strong>sgustava) e vodka alla pesca con<br />

Redbull per me. Quello era il mio<br />

preferito e scendeva giù da solo<br />

perché aveva un gusto molto<br />

delicato.


Fiorella si sedette vicino a noi e<br />

brindammo a quella sera. Piera<br />

accese la canna e a turno<br />

fumammo. Per me era poco più<br />

che una normale sigaretta, non mi<br />

faceva un grande effetto, ma la<br />

cosa bella era fumare in<br />

compagnia delle mie amiche.<br />

L’odore dell’hashish ci entrava<br />

bruciante nelle narici.<br />

Improvvisammo un mimo sui<br />

professori e ridemmo fino alle<br />

lacrime. Quando tornammo in<br />

camera ci buttammo tutte e quattro<br />

sul lettone e ci addormentammo<br />

così: chi con una scarpa, chi<br />

vestita, chi con il pigiama,<br />

ascoltando le migliori canzoni soft<br />

degli Aerosmith. Mi faceva<br />

impazzire la voce grave del<br />

cantante e il modo in cui<br />

accarezzava le corde della sua<br />

chitarra.


La mia classe era <strong>di</strong>visa in<br />

sottogruppi. <strong>Il</strong> gruppo delle Papere,<br />

così chiamate perché ridevano<br />

sempre, composto da me, Fiorella,<br />

Cinzia e Piera, più Clarissa,<br />

Maristella e Angelica. Con loro tre<br />

non avevo un rapporto<br />

straor<strong>di</strong>nario ma eravamo buone<br />

amiche. Poi c’era il gruppo delle<br />

Becchine, così chiamate perché<br />

stavano sempre zitte per conto<br />

loro, parlavano solo quando c’era<br />

da criticare qualcuno e ridevano<br />

degli insuccessi altrui. C’era anche<br />

il gruppo delle Ping Pong, la cui<br />

presidente era Rebecca: queste<br />

ragazze saltavano dal nostro<br />

gruppo a quello delle becchine<br />

familiarizzando con tutte. Infine<br />

c’era il mitico Trio, composto dagli<br />

unici tre maschi della classe: Luca,<br />

Francesco e Orlando. Erano<br />

<strong>di</strong>ventati inseparabili da quando<br />

erano rimasti solo loro tre a<br />

rappresentare il genere maschile in


classe, tutti gli altri si erano ritirati<br />

da scuola o erano stati bocciati.<br />

Fuori dalla vita scolastica però<br />

ognuno aveva il suo mondo,<br />

soprattutto Luca che era un gran<br />

fighettino e voleva sempre fare il<br />

duro. Ma anche lui aveva dei<br />

sentimenti e io ero la sua migliore<br />

amica: solo con me riusciva a<br />

parlare, solo io potevo contrad<strong>di</strong>rlo<br />

senza che si offendesse, solo io<br />

riuscivo a fargli capire quando<br />

sbagliava. Francesco era alto,<br />

magro e buono. Lo chiamavamo lo<br />

zio perché era <strong>di</strong>ventato zio a<br />

quattor<strong>di</strong>ci anni. Orlando invece<br />

era alto e robusto, praticamente un<br />

arma<strong>di</strong>o. Era buono con tutte noi<br />

papere e ci proteggeva sempre, noi<br />

lo chiamavamo orsacchiotto.<br />

<strong>Il</strong> gruppo delle papere era il più in,<br />

eravamo noi a dettare legge in<br />

classe, anche se facevamo illudere<br />

il trio <strong>di</strong> avere un qualche potere<br />

decisionale. Sostenevamo il trio


quando cantavano il loro inno e<br />

cioè L’amor del trio è<br />

meraviglioso! e prendevamo in<br />

giro le becchine: avevamo anche<br />

eretto il muro del pianto in onore<br />

<strong>di</strong> una becchina che piangeva se<br />

prendeva brutti voti, e cioè<br />

sempre... Sofia. <strong>Il</strong> muro del pianto<br />

era un pilastro vicino alla prima<br />

finestra della classe e noi lo<br />

usavamo come monumento<br />

provocatorio nei confronti <strong>di</strong> chi ci<br />

criticava: appendevamo cartelloni,<br />

<strong>di</strong>segni, caricature e frasi celebri<br />

(comiche) delle nostre rivali. E<br />

ogni mattina entrando in classe lo<br />

salutavamo come se fosse un<br />

tempio.<br />

Una mattina uggiosa <strong>di</strong> febbraio<br />

tutte le classi furono chiamate in<br />

palestra perché gli studenti<br />

dovevano conoscere la presidente<br />

<strong>di</strong> un'associazione no profit: la<br />

nostra scuola partecipava spesso a


progetti umanitari per scuole,<br />

orfanotrofi e ospedali.<br />

«E vai! Saltiamo l’ora <strong>di</strong><br />

geografia!», esclamò Fiorella<br />

prendendomi per un braccio.<br />

«Sei sempre la solita caprona!»,<br />

ribattei io.<br />

«Non sono io, è lui che si fa<br />

o<strong>di</strong>are!»<br />

Si riferiva all’insegnante <strong>di</strong><br />

geografia turistica, il professor<br />

Cantore. Io invece lo trovavo<br />

simpatico o per lo meno giusto, era<br />

lui l’unico che metteva i voti che<br />

ognuno si meritava, senza sconti<br />

per nessuno. A pensarci bene forse<br />

era per questo che alcune mie<br />

amiche non lo vedevano <strong>di</strong> buon<br />

occhio.<br />

Sospirai: non c’era proprio niente<br />

da fare, Fiorella non avrebbe mai<br />

stu<strong>di</strong>ato quella materia.<br />

Entrammo in palestra. Dai vetri<br />

sporchi e semiaperti entrava<br />

l’odore della pioggia. Le gran<strong>di</strong>


lampade al neon sospese al soffitto<br />

da cavi poco rassicuranti erano<br />

accese e gli studenti delle altre<br />

classi erano seduti sul pavimento.<br />

Trovammo un posto tranquillo e ci<br />

accomodammo vicino a una parete.<br />

Nella nostra scuola non avevamo<br />

un’aula magna, infatti per fare le<br />

assemblee <strong>di</strong> istituto la scuola<br />

affittava la sala <strong>di</strong> un cinema dove,<br />

dopo l’assemblea (che durava in<br />

genere cinque minuti se non<br />

meno), veniva proiettato un film <strong>di</strong><br />

qualche anno prima al mo<strong>di</strong>co<br />

prezzo <strong>di</strong> 3 euro. In questo modo<br />

eravamo noi stessi a pagare<br />

l’affitto della sala. Bella la scuola<br />

pubblica, vero?<br />

«Salve ragazzi!», esordì una<br />

signora bassina e magra dal fondo<br />

della palestra, vicino a una<br />

cattedra. Aveva i capelli cortissimi<br />

che davano sul biondo o forse sul<br />

grigio, indossava un pantalone<br />

rosso, una camicia gialla a righe


arancioni e portava un ciondolo<br />

d’argento a forma del continente<br />

africano. Sembrava una donna<br />

frizzante. La platea, che fino a quel<br />

momento aveva chiacchierato con<br />

comodo, <strong>di</strong>venne più silenziosa.<br />

«Mi chiamo Filomena La Serra e<br />

sono la presidente<br />

dell’associazione ONLUS<br />

Compagni <strong>di</strong> Malin<strong>di</strong>. Sono qui<br />

per parlarvi del nostro progetto:<br />

con i fon<strong>di</strong> messi a <strong>di</strong>sposizione<br />

dai soci abbiamo acquistato un<br />

terreno <strong>di</strong> proprietà del governo<br />

kenyota nella citta<strong>di</strong>na <strong>di</strong> Malin<strong>di</strong>,<br />

in Kenya appunto, e stiamo<br />

iniziando la costruzione <strong>di</strong> una<br />

scuola. Sarà una scuola<br />

professionale e sarà frequentata da<br />

giovani come voi. Purtroppo però i<br />

costi sono elevati e con quello che<br />

abbiamo non riusciremo a finire <strong>di</strong><br />

costruirla, arredarla, portare acqua<br />

ed elettricità. Confido nel vostro<br />

buon cuore, ma non è


assolutamente obbligatorio. La<br />

nostra scuola deve essere costruita<br />

con le donazioni <strong>di</strong> chi realmente<br />

ci crede.»<br />

Ecco appunto. Crederci. Io non ci<br />

credevo minimamente.<br />

“Chissà dove finiranno i sol<strong>di</strong>… e<br />

se il progetto davvero esiste,<br />

resterà a metà!” pensai.<br />

«Quando riusciremo a completare<br />

la scuola e avviare i corsi…»<br />

continuò Filomena «sceglieremo<br />

degli alunni della vostra scuola per<br />

portarli lì, in Africa!»<br />

Ci fu silenzio generale. Non so se<br />

per l’incredulità a quella notizia o<br />

perché più <strong>di</strong> qualcuno si era<br />

addormentato. Io in verità ero<br />

abbastanza scettica.<br />

«Ma va’, figurati se ci portano<br />

davvero in Kenya!» <strong>di</strong>ssi a<br />

Clarissa che era affianco a me.<br />

«Lo sai che è solo una scusa per<br />

racimolare sol<strong>di</strong>!» rispose lei<br />

continuando a scrivere sms al suo


agazzo. Clarissa era una ragazza<br />

abbastanza alta e aveva forme<br />

generose. Era anche molto<br />

riservata e a chi non la conosceva<br />

poteva sembrare antipatica. Era<br />

fidanzata da anni con il suo<br />

Agostino, un carabiniere sempre in<br />

missione, non si vedevano quasi<br />

mai. Forse era per questo che<br />

stavano insieme da una vita.<br />

«Oggi sono a vostra <strong>di</strong>sposizione<br />

per qualsiasi chiarimento. Nei<br />

prossimi mesi documenterò i<br />

progressi del nostro progetto e<br />

manderò foto ai vostri insegnanti.<br />

Se volete sapere qualcosa in più<br />

chiedete a loro. Grazie per la<br />

vostra attenzione, ragazzi» terminò<br />

Filomena.<br />

Detto questo tutti si alzarono<br />

imme<strong>di</strong>atamente e si avviarono<br />

all’uscita della palestra. La nostra<br />

in<strong>di</strong>fferenza poteva sembrare una<br />

brutta cosa, ma si sentivano<br />

talmente tante truffe a Striscia la


notizia o Le iene che ormai<br />

nessuno credeva più in niente.<br />

Leggevo negli occhi dei miei<br />

compagni solo noia, nessun<br />

interesse reale o entusiasmo. Solo<br />

le becchine, dette anche lecchine,<br />

stavano già parlando con la<br />

coor<strong>di</strong>natrice <strong>di</strong> classe, la<br />

professoressa <strong>di</strong> tedesco Maria<br />

Grazia Nitti su come e quando<br />

raccogliere le donazioni della<br />

nostra classe. <strong>Il</strong> loro però non era<br />

vero interesse, le conoscevo bene,<br />

era solo un modo per farsi belle<br />

agli occhi degli insegnanti. La<br />

professoressa Nitti, che era una<br />

donna sempre entusiasta e carica al<br />

punto da riempirsi <strong>di</strong> una marea <strong>di</strong><br />

impegni e iniziative, stava già<br />

prendendo la sua agen<strong>di</strong>na per<br />

segnare anche questo nuovo<br />

progetto. Mentre uscivo dalla<br />

palestra mi voltai e vi<strong>di</strong> la signora<br />

Filomena parlare con il preside.<br />

Credevo che non l’avrei più rivista,


come tutti gli altri che<br />

raccoglievano fon<strong>di</strong>, invece mi<br />

sbagliavo.<br />

La mia vita continuò<br />

tranquillamente: casa, scuola, pub,<br />

casa <strong>di</strong> Fiorella. In quel periodo<br />

non ero molto attratta dai ragazzi o<br />

meglio non volevo esserlo. Dopo<br />

quello che avevo passato con<br />

Michele, che dopo anni <strong>di</strong><br />

fidanzamento mi aveva lasciata per<br />

un’altra, per me i ragazzi erano<br />

<strong>di</strong>ventati solo un gioco: se<br />

conoscevo uno carino provavo a<br />

uscirci, ma poi al primo incontro<br />

già mi stancavo. Preferivo stare<br />

con i miei amici, <strong>di</strong>vertirmi e non<br />

prendere niente sul serio.<br />

Arrivò l’estate e organizzammo<br />

delle feste in campagna da<br />

Maristella. Lei era sempre<br />

<strong>di</strong>sponibile e ormai non<br />

pensavamo più a trovare un posto<br />

per i nostri party, il nostro posto


era la sua campagna. Fu così anche<br />

per il 2 giugno, festa della<br />

Repubblica. Ricordavo benissimo<br />

il significato <strong>di</strong> quella ricorrenza<br />

perché alle me<strong>di</strong>e avevo una<br />

professoressa <strong>di</strong> storia che era<br />

terribile: picchiettando i suoi<br />

enormi anelli dorati sulla cattedra<br />

ci ripeteva la stessa cosa fin<br />

quando non l’avevamo imparata.<br />

Però dovevo ammettere che il suo<br />

metodo aveva funzionato: il 2<br />

giugno del 1946 in Italia ci fu il<br />

primo referendum a suffragio<br />

universale (fu la prima volta in cui<br />

votarono anche le donne) e il<br />

popolo italiano fu chiamato a<br />

scegliere tra monarchia e<br />

repubblica. Sappiamo benissimo<br />

che vinse la seconda alternativa.<br />

Per noi comunque ogni festa era<br />

un’occasione per festeggiare.<br />

<strong>Il</strong> giorno prima della festa io,<br />

Angelica, Cinzia e Fiorella<br />

andammo in campagna da


Maristella per aiutarla a dare una<br />

pulita veloce e preparare il tutto<br />

per il giorno seguente. <strong>Il</strong> villino <strong>di</strong><br />

Maristella si trovava nella<br />

bellissima Valle d’Itria, una valle<br />

ai pie<strong>di</strong> della nostra citta<strong>di</strong>na<br />

immersa nel verde e punteggiata<br />

da bianchi trulli, costruzioni in<br />

pietra a forma conica risalenti ai<br />

nostri avi. La maggior parte dei<br />

martinesi aveva una campagna,<br />

con trulli spesso ristrutturati, in<br />

genere ere<strong>di</strong>tata dai genitori. In<br />

inverno tutti abitavano in città,<br />

mentre d’estate usavano<br />

villeggiare in campagna. Io non<br />

avevo mai vissuto quest’esperienza<br />

perché noi non avevamo una<br />

campagna, non avevamo neanche<br />

una casa <strong>di</strong> proprietà a Martina!<br />

Solo qualche volta ero rimasta a<br />

dormire in campagna da Fiorella,<br />

che aveva un’immensa villa con<br />

tavernetta e giar<strong>di</strong>no con ulivi<br />

secolari.


Per arrivare in campagna da<br />

Maristella bisognava imboccare un<br />

vecchio tratturo senza asfalto: la<br />

sua casa era la prima sulla sinistra.<br />

<strong>Il</strong> cancello rosso si apriva su un<br />

piccolo spiazzo cementato che<br />

veniva usato come parcheggio.<br />

Particolare era un albero cresciuto<br />

proprio vicino a un angolo dello<br />

spiazzo, le cui ra<strong>di</strong>ci ne avevano<br />

provocato la rottura e il<br />

rigonfiamento. Quelle crepe erano<br />

da sempre nemiche dei pneumatici<br />

delle auto. C’era anche una piccola<br />

aiuola nella quale giaceva una<br />

vecchia altalena rossa e blu dove<br />

tutti gli anni la nostra classe si<br />

ammassava per fare la foto <strong>di</strong> rito.<br />

In un piccolo fabbricato si<br />

trovavano due piccole camere da<br />

letto, una cucina centrale con<br />

camino e un bagno rialzato.<br />

All’esterno un’altra piccola<br />

costruzione separata dalla prima<br />

costituiva il nostro salone per le


feste, era lì che davamo sfogo al<br />

nostro <strong>di</strong>vertimento.<br />

Mentre raggiungevamo la villetta,<br />

io e Fiorella fumavamo in<br />

macchina. La macchina <strong>di</strong> Cinzia<br />

era una vecchia Peugeot<br />

sgangherata, ma per noi giovani in<br />

cerca <strong>di</strong> libertà era il massimo.<br />

Inoltre Cinzia era stata la prima<br />

patentata e per il primo periodo<br />

faceva da autista per tutte le nostre<br />

escursioni.<br />

«Che <strong>di</strong>te, Maristella si sarà già<br />

svegliata?» chiese Angelica.<br />

«Bè, sono le un<strong>di</strong>ci, quin<strong>di</strong>…»<br />

stava rispondendo Cinzia.<br />

«…no!» finii la frase.<br />

Scoppiammo tutte a ridere.<br />

«Spero per lei che vi sbagliate,<br />

altrimenti un bel gavettone nel<br />

letto non glielo toglie nessuno!»<br />

esclamò Fiorella.<br />

«La solita bastarda!» convenni io.<br />

«Non credo proprio che la madre<br />

te lo permetterà!» continuò Cinzia.


«E no, guardate che oggi è<br />

mercoledì e la madre <strong>di</strong> Maristella<br />

è andata a lavoro presto!» ci<br />

informò Angelica.<br />

«E vai!» esclamammo noi in coro.<br />

Teresa, la madre <strong>di</strong> Maristella, era<br />

una brava signora ma <strong>di</strong> sicuro era<br />

meglio stare da sole. Potevamo<br />

mettere i pie<strong>di</strong> sul <strong>di</strong>vano e<br />

mangiare popcorn, e poi Maristella<br />

poteva fumare con noi. La signora<br />

Teresa lavorava al mercato del<br />

paese che si svolgeva ogni<br />

mercoledì vicino al foro boario,<br />

dove una volta si tenevano fiere <strong>di</strong><br />

animali. Aveva una bancarella <strong>di</strong><br />

strofinacci, asciugamani, tende e<br />

tappeti.<br />

Entrammo nel cancello e…<br />

incre<strong>di</strong>bile! Maristella era già in<br />

pie<strong>di</strong>. I capelli biondo scuro<br />

raccolti in una coda e le cosce<br />

larghe al vento. Non era molto<br />

cicciottella ma essendo bassa<br />

sembrava un po’ più tonda. Stava


trascinando delle se<strong>di</strong>e <strong>di</strong> plastica<br />

bianca nel grande salone.<br />

«Finalmente!» gracchiò con quella<br />

sua voce squillante vedendoci<br />

arrivare.<br />

«Peccato, missione gavettone<br />

fallita!» bofonchiò Fiorella tra sé.<br />

«Come mai sei già sveglia?»<br />

chiese Cinzia incredula, sbattendo<br />

la portiera <strong>di</strong>fettosa della<br />

macchina.<br />

«E voi a che ora volevate venire?<br />

Per pranzo?» rispose Maristella<br />

ignorando la provocazione <strong>di</strong><br />

Cinzia.<br />

«Dai, basta, al lavoro!» chiusi il<br />

<strong>di</strong>scorso. Anche se ci<br />

punzecchiavamo sempre non<br />

litigavamo mai.<br />

Entrammo nel salone a lasciare le<br />

borse e subito ci armammo <strong>di</strong><br />

scopa, paletta, secchio, pezze e<br />

soprattutto buona volontà.<br />

Sapevamo che se ci fossimo<br />

fermate non avremmo fatto più


niente. Dopo le pulizie aprimmo il<br />

tavolo al massimo (saremmo stati<br />

ventidue il giorno dopo, cioè tutta<br />

la classe tranne le becchine),<br />

apparecchiammo e sistemammo le<br />

se<strong>di</strong>e <strong>di</strong> plastica. Mettemmo un<br />

telo sul <strong>di</strong>vano in pelle bianca,<br />

anche se sapevamo già che il trio<br />

l’avrebbe gettato a terra nel giro <strong>di</strong><br />

un minuto. Preparammo lo stereo<br />

con tutti i nostri cd preferiti che<br />

comprendevano balli <strong>di</strong> gruppo,<br />

canzoni <strong>di</strong> Aerosmith, Nickelback,<br />

Goo goo dolls, Black eyed peas e<br />

Greenday. Spargemmo posaceneri<br />

per la stanza e per il giar<strong>di</strong>no, in<br />

modo che nessuno gettasse cicche<br />

nei fiori (sarebbe accaduto<br />

comunque). La madre <strong>di</strong> Maristella<br />

non tornava a pranzo così<br />

mangiammo panini e patatine,<br />

come facevamo a scuola dopo le<br />

lezioni.<br />

La mattina dopo, l’incontro era<br />

previsto per le 10.30 al Martina


Caffè per la colazione: riempimmo<br />

il bar come una banda <strong>di</strong> affamati.<br />

Quel bar aveva un enorme<br />

parcheggio e l’interno del locale<br />

era tutto giallo a esclusione del<br />

bancone rosso acceso. Ovviamente<br />

non tutti arrivarono in orario e<br />

quando arrivammo in campagna<br />

erano le 11.20.<br />

La signora Teresa aveva deciso<br />

come sempre <strong>di</strong> darci fiducia e si<br />

era tolta dai pie<strong>di</strong>. <strong>Il</strong> trio si mise<br />

subito a giocare a pallone<br />

<strong>di</strong>struggendo quei pochi tulipani<br />

non ancora appassiti che si<br />

trovavano vicino al cancello. Noi<br />

ragazze invece preparammo<br />

tramezzini al tonno, patatine e<br />

crepes alla nutella da mettere in<br />

frigo e mangiare come dolce.<br />

Ovviamente c’era sempre qualche<br />

furba delle ping pong che non<br />

aveva voglia <strong>di</strong> lavorare e se ne<br />

stava fuori facendo finta <strong>di</strong><br />

telefonare o prendere qualcosa in


macchina. Mangiammo spaghetti<br />

al pomodoro dopo un mare <strong>di</strong><br />

risate perché Angelica aveva<br />

buttato la pasta nell’acqua ancora<br />

fredda. Si vedeva che nelle nostre<br />

case non partecipavamo alle<br />

faccende domestiche! Ma era<br />

proprio quello il bello: arrangiarsi.<br />

Per secondo mangiammo insalata e<br />

cotolette fritte nella friggitrice<br />

formato famiglia <strong>di</strong> Maristella.<br />

Infine il dolce, tanto la frutta non<br />

la voleva nessuno. <strong>Il</strong> pomeriggio fu<br />

de<strong>di</strong>cato a una guerra <strong>di</strong> gavettoni,<br />

ai balli <strong>di</strong> gruppo, ai giochi con<br />

penitenze e, ovviamente per i<br />

maschi, al pallone.<br />

«Ma che ci trovano <strong>di</strong> tanto<br />

<strong>di</strong>vertente nel correre <strong>di</strong>etro a una<br />

palla? Anche il mio cane si <strong>di</strong>verte<br />

così!», sbuffò Fiorella che aveva<br />

tanto sperato <strong>di</strong> stare un po’ vicino<br />

a Luca, ma lui aveva altro a cui<br />

pensare.


Quella giornata si concluse in<br />

modo spensierato.<br />

Durante l’estate andavamo spesso<br />

al mare a Torre Canne, oltre i<br />

monti <strong>di</strong> Cisternino. Era il sito<br />

balneare più vicino: <strong>di</strong>stava solo<br />

venticinque chilometri da Martina<br />

Franca. <strong>Il</strong> mare veramente non era<br />

un granché ma a noi bastava<br />

<strong>di</strong>vertirci. Stendevamo i nostri teli<br />

sulla sabbia e, una volta<br />

appallottolati i vestiti negli zaini,<br />

correvamo in acqua. C’era sempre<br />

chi voleva entrare piano piano<br />

perché l’acqua era fredda ma alla<br />

fine veniva trascinato giù dagli<br />

altri. Meno volte invece andavamo<br />

a Pulsano, in provincia <strong>di</strong> Taranto,<br />

dove il mare era stupendo, ma<br />

come posto era molto più lontano.<br />

In quell’estate del 2004 non ci<br />

furono grossi cambiamenti nella<br />

mia vita, anzi a <strong>di</strong>r la verità non ci<br />

furono cambiamenti.


Ogni tanto uscivo con mio fratello.<br />

Giacomo era alto e magro, con<br />

capelli castano scuro e occhi<br />

marroni: secondo me era un bel<br />

ragazzo. Era sei anni più grande <strong>di</strong><br />

me e viveva ancora a casa con noi.<br />

Lavorava nel caseificio sotto casa<br />

da anni ormai, aiutava nella<br />

produzione <strong>di</strong> latticini come<br />

mozzarelle e scamorze e intanto<br />

era iscritto alla facoltà <strong>di</strong> biologia.<br />

Quando non lavorava frequentava<br />

le lezioni nel quartiere Paolo Sesto<br />

<strong>di</strong> Taranto, in una delle se<strong>di</strong><br />

tarantine dell’università degli stu<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong> Bari. Quando andava in quel<br />

quartiere malfamato per le lezioni,<br />

mamma era sempre preoccupata<br />

per lui.<br />

«Mi raccomando, chiu<strong>di</strong> le sicure<br />

quando sei in macchina! E non<br />

fermarti con nessuno!»<br />

E lui: «Mamma, ricordati che non<br />

ho più quattro anni!», e poi usciva.


Aveva tanta pazienza ed era un<br />

bravissimo ragazzo. E io ero anche<br />

gelosa <strong>di</strong> lui. Forse era una cosa<br />

stupida, però non volevo che<br />

avesse una ragazza perché non<br />

volevo che soffrisse e perché era<br />

mio fratello e nessuno me lo<br />

doveva toccare. La pecca che<br />

aveva era il fumo, come me del<br />

resto.<br />

«Selene non devi fumare!» mi<br />

rimproverava. Però io ovviamente<br />

continuavo imperterrita a fare <strong>di</strong><br />

testa mia.<br />

Una volta andai con lui a Tropea in<br />

Calabria, a trovare dei suoi amici<br />

in villeggiatura. Tropea sorgeva su<br />

<strong>di</strong> un promontorio roccioso e lì il<br />

mare era stupendo. Gli amici <strong>di</strong><br />

Giacomo avevano affittato una<br />

casa per un mese, erano in quattro:<br />

due ragazzi e due ragazze. Noi<br />

restammo lì per qualche giorno.<br />

C’era un suo amico, Cristian, che<br />

era davvero carino, alto, con occhi


gran<strong>di</strong> leggermente a mandorla,<br />

capelli lunghi e ondulati. Gli<br />

piaceva farsi un co<strong>di</strong>no alto e stava<br />

proprio bene. Sin da subito avevo<br />

il sospetto che mi guardasse un po’<br />

troppo, infatti ogni volta che<br />

andavo in veranda a fumare lui mi<br />

raggiungeva. I miei sospetti ebbero<br />

conferma una sera quando<br />

andammo a una festa in spiaggia.<br />

C’erano così tante fiaccole accese<br />

a ogni angolo che bastavano a<br />

rischiarare quella notte d’agosto.<br />

Sotto un gazebo in legno c’era il<br />

piano bar con dei tavolini<br />

improvvisati e sotto un tendone la<br />

postazione del dj. Tutti ballavano e<br />

si scatenavano in pista. Giacomo<br />

invece parlava con il barista e io<br />

gironzolavo attorno alla pista. Non<br />

mi piaceva mettermi in mostra e<br />

men che meno ballare da sola.<br />

Sentii una mano sulla spalla e mi<br />

voltai… Cristian mi sorrideva.<br />

«Che fai qui da sola?» chiese.


«Oh, niente, Giacomo si è<br />

allontanato un attimo…» risposi un<br />

po’ imbarazzata.<br />

«Dai, an<strong>di</strong>amo a fare una<br />

passeggiata», mi invitò.<br />

Sorrisi gentilmente ma rifiutai e mi<br />

allontanai verso non so dove.<br />

Anche se era carino, in quel<br />

momento mi resi conto che non<br />

volevo stare sola con lui in riva al<br />

mare e poi non volevo rovinare<br />

l’amicizia tra lui e mio fratello, nel<br />

caso le cose fossero andate per il<br />

verso sbagliato.<br />

Feci finta <strong>di</strong> avvicinarmi al dj e<br />

invece vagai da sola lì intorno per<br />

qualche minuto. A un certo punto<br />

vi<strong>di</strong> Giacomo con due bicchieri<br />

colorati in mano che camminava<br />

tra la gente guardandosi intorno.<br />

Andai alle sue spalle e gli <strong>di</strong>e<strong>di</strong><br />

una pacca gridando: «Ciao<br />

fratello!» Purtroppo per colpa mia<br />

gli cadde uno dei due bicchieri,<br />

rovesciandosi sulla sabbia.


«Complimenti!» rispose lui<br />

«Dov’eri finita? Ti avevo preso un<br />

cocktail!»<br />

«Ho fatto una passeggiata!<br />

Comunque grazie!» risposi<br />

prendendo il bicchiere pieno. Era<br />

un vodka alla pesca e Redbull. «Mi<br />

<strong>di</strong>spiace Già, ma è il tuo quello che<br />

è caduto!» ridacchiai.<br />

Lui si girò e si avviò verso il bar<br />

borbottando qualcosa <strong>di</strong><br />

incomprensibile.<br />

L’estate finì e arrivò settembre.<br />

L’autunno era la mia stagione<br />

preferita. Mi piaceva l’aria fresca<br />

del tramonto e il paesaggio<br />

colorato dalle foglie non più ver<strong>di</strong>.<br />

<strong>Il</strong> leggero venticello con i suoi<br />

odori <strong>di</strong> natura... qualcosa che mi<br />

accarezzava il naso.<br />

Martina Franca era piena <strong>di</strong> palazzi<br />

grigi ma c’erano anche tanti alberi<br />

e giar<strong>di</strong>netti e il cambiamento <strong>di</strong><br />

stagione era visibile per le strade.


Mi piaceva il colore del cielo del<br />

pomeriggio, con un sole più gentile<br />

rispetto all’estate, e poi si respirava<br />

aria <strong>di</strong> scuola. Adoravo andare nei<br />

negozi per comprare quaderni, libri<br />

e penne, mi piaceva l’odore della<br />

carta nuova e il fruscio dei fogli<br />

immacolati. Questo forse perché<br />

adoravo <strong>di</strong>segnare, colorare,<br />

scrivere: insomma tutto ciò che era<br />

creazione con la carta, era quella la<br />

mia arte.<br />

La scuola cominciò il 20<br />

settembre, era bello rivedere tutti i<br />

miei compagni dopo le vacanze.<br />

C’erano quelli abbronzati che<br />

erano stati in vacanza in Sardegna<br />

e quelli bianchi cadaverici come le<br />

becchine che sicuramente erano<br />

rimaste in casa tutta l’estate a<br />

stu<strong>di</strong>are.<br />

«Vai, raga’ un altro anno<br />

strippante!» <strong>di</strong>e<strong>di</strong> il benvenuto al<br />

gruppo delle papere.


Piera non c’era, tipico, Cinzia tirò<br />

fuori le carte da scala quaranta,<br />

Fiorella mi lanciò un sorriso,<br />

Clarissa continuò a messaggiare,<br />

Maristella e Angelica scoppiarono<br />

in una fragorosa risata interrotta<br />

però da una voce non familiare.<br />

«Buongiorno ragazzi!»<br />

Mi voltai. Era una donna sulla<br />

quarantina, magra e sorridente, con<br />

capelli mossi e rossi evidentemente<br />

tinti e abiti sportivi.<br />

«Angelini…» Iniziò a fare<br />

l’appello e tutti ci ricomponemmo.<br />

Al termine dell’appello ci spiegò<br />

che era la nuova insegnante <strong>di</strong><br />

religione. Insegnante mi sembrò<br />

una parola grossa perché negli<br />

ultimi do<strong>di</strong>ci anni <strong>di</strong> scuola l’ora <strong>di</strong><br />

religione era equivalsa alla<br />

ricreazione. Avevo sempre avuto<br />

come insegnanti <strong>di</strong> religione dei<br />

sacerdoti che o ci lasciavano<br />

giocare a carte mentre loro<br />

leggevano il giornale oppure ci


ifilavano un video su varie<br />

questioni teologiche mentre<br />

andavano a prendersi il caffè. Ma<br />

questa professoressa, Aminta<br />

Sardegna, ci insegnò davvero<br />

qualcosa. Giorno per giorno<br />

imparammo a conoscerla e a<br />

lasciarci guidare da lei. Era<br />

veramente l’unica che riusciva a<br />

catturare la nostra attenzione e<br />

farci stare attenti senza rimproveri<br />

e minacce ma con un sincero<br />

interesse. Tutto questo era davvero<br />

straor<strong>di</strong>nario considerando gli<br />

elementi della mia classe. A ogni<br />

lezione sceglievamo un argomento<br />

su cui <strong>di</strong>battere, per esempio il<br />

burqa, le mutilazioni genitali<br />

femminili, il traffico d’organi o la<br />

guerra in Iraq e dopo una sua<br />

brevissima introduzione metteva<br />

su una <strong>di</strong>scussione e poi ognuno <strong>di</strong><br />

noi <strong>di</strong>ceva la sua… veniva tutto da<br />

sé. Direi che operava una sorta <strong>di</strong><br />

brainstorming. Poco prima della


fine dell’ora ci faceva riflettere su<br />

ciò che avevamo detto anche<br />

presentandoci articoli <strong>di</strong> giornale,<br />

documenti e libri sull’argomento<br />

trattato. Per me l’ora <strong>di</strong> religione<br />

era <strong>di</strong>ventata un vero piacere. Fu<br />

grazie a lei che conobbi e lessi il<br />

libro Bruciata viva che racconta la<br />

storia vera <strong>di</strong> una donna<br />

musulmana (che non rivela né il<br />

suo nome né la sua provenienza<br />

per ragioni <strong>di</strong> sicurezza) che,<br />

ingannata da un uomo, rimane<br />

incinta senza essere sposata. Suo<br />

fratello e suo padre quando lo<br />

scoprono le rovesciano dell’acido<br />

su tutto il corpo. Lei, in gravissime<br />

con<strong>di</strong>zioni, riesce a scappare e,<br />

aiutata da dei volontari, viene<br />

curata e allontanata dal suo Paese.<br />

In Occidente questa donna scopre<br />

come non sia peccato parlare con<br />

gli uomini o camminare per la<br />

strada senza doversi coprire dalla<br />

testa a pie<strong>di</strong>. Alla fine dà alla luce


suo figlio e incontra un uomo che<br />

la ama nonostante il suo corpo sia<br />

interamente deturpato dalle<br />

cicatrici. Quando lessi questa<br />

storia mi fece rabbrivi<strong>di</strong>re e allo<br />

stesso tempo riflettere. Purtroppo<br />

esistono donne che nell’ignoranza<br />

accettano e legittimano tutto<br />

questo.<br />

L’anno scolastico proseguì senza<br />

problemi. Era ormai maggio 2005<br />

e avevo da qualche giorno<br />

compiuto <strong>di</strong>ciotto anni. <strong>Il</strong> mio<br />

compleanno era il 5 maggio e per<br />

quell’occasione papà decise <strong>di</strong><br />

affittare una grande sala in<br />

campagna e assumere un dj.<br />

Acquistò anche bibite (aranciata,<br />

cola, birra, spumante) e stuzzichini<br />

(patitine, focacce, panini), nonché<br />

una bella torta con la mia foto <strong>di</strong><br />

quando avevo un anno. Invitai tutta<br />

la classe, tranne le becchine, e<br />

pochi altri amici. Mi <strong>di</strong>vertii un


sacco, ovviamente con torta in<br />

faccia a fine serata. Non mi sentivo<br />

tanto cambiata in realtà anche se<br />

ero <strong>di</strong>ventata maggiorenne.<br />

Era quasi finito il quarto anno <strong>di</strong><br />

scuola superiore.<br />

Un caldo mattino <strong>di</strong> quel mese il<br />

preside riunì tutti gli alunni in<br />

palestra per una comunicazione.<br />

«Ehi, Fio’, ci saltiamo l’ora <strong>di</strong><br />

matematica!» <strong>di</strong>ssi a Fiorella<br />

mentre scendevamo le scale<br />

<strong>di</strong>pinte <strong>di</strong> un azzurro spento e un<br />

po’ rovinate. Anche se la mia<br />

scuola non era il massimo, ci ero<br />

molto affezionata.<br />

«Ti è andata bene!»<br />

«Una volta tanto un po’ <strong>di</strong><br />

fortuna!»<br />

«Ma per caso sai <strong>di</strong> cosa deve<br />

parlarci il preside?»<br />

Scossi la testa. Non ne avevo<br />

proprio idea.<br />

«Ho sentito parlare le becchine»,<br />

intervenne Rebecca, una ping pong


«<strong>di</strong>cono che ci sono notizie<br />

importanti da quel posto… come si<br />

chiama… ah, Malinda!»<br />

«Rebecca, vuoi <strong>di</strong>re Malin<strong>di</strong>!» la<br />

corresse Clarissa.<br />

«Bè, sì, quello!» la liquidò lei. Per<br />

Rebecca l’importante era dare le<br />

notizie, che fossero giuste o<br />

sbagliate non era un problema suo.<br />

“Era ora!” pensai “Si sono presi i<br />

sol<strong>di</strong> e basta!”<br />

Credevo che ci avrebbero mostrato<br />

foto o video della scuola costruita<br />

in Kenya, invece fu veramente una<br />

sorpresa.<br />

Entrai in palestra. Era piena <strong>di</strong><br />

ragazzi che chiacchieravano seduti<br />

sul pavimento pieno <strong>di</strong> graffi che<br />

forse un tempo era stato liscio. <strong>Il</strong><br />

preside era in pie<strong>di</strong> vicino al<br />

canestro e aspettava impaziente<br />

che arrivassero tutte le classi. Era<br />

un uomo alto con i capelli<br />

brizzolati, molto <strong>di</strong>stinto. Teneva


un foglio tra le mani e lo rigirava<br />

nell’attesa <strong>di</strong> leggerlo agli studenti.<br />

«Buongiorno a tutti!», iniziò a<br />

parlare una volta che tutti furono<br />

arrivati «Ricordate l’associazione<br />

Compagni <strong>di</strong> Malin<strong>di</strong>?»<br />

«Ehi, le becchine avevano<br />

ragione!» sussurrai all’orecchio <strong>di</strong><br />

Fiorella. Lei ridacchiò coprendosi<br />

la bocca con una mano. Quel<br />

giorno aveva uno smalto <strong>di</strong> un<br />

verde molto acceso, in tinta con la<br />

maglietta. Le piaceva un sacco<br />

cambiare smalto ogni giorno.<br />

“Quanto tempo libero!” pensai.<br />

«Le vostre donazioni, insieme a<br />

quelle degli studenti <strong>di</strong> altre<br />

scuole, sono giunte a destinazione.<br />

La costruzione della scuola in<br />

Kenya è terminata. Ci sono letti<br />

per gli studenti, banchi, lavagne,<br />

una cucina e acqua corrente!»<br />

“Bel lavoro!” <strong>di</strong>ssi tra me. Era una<br />

delle poche volte che avevamo


avuto un riscontro concreto<br />

sull’utilizzo delle nostre donazioni.<br />

«Vi porto inoltre i saluti e i<br />

ringraziamenti della signora La<br />

Serra. Lei ora si trova a Malin<strong>di</strong><br />

per organizzare l’inizio dei corsi <strong>di</strong><br />

stu<strong>di</strong>o per i ragazzi kenyoti,<br />

rientrerà a fine giugno. Intanto mi<br />

ha dato l’ok per scegliere quattro<br />

<strong>di</strong> voi che si recheranno in Kenya<br />

il prossimo settembre.» Fece una<br />

pausa.<br />

Io rimasi sorpresa, non avrei mai<br />

creduto che la signora Filomena<br />

avrebbe mantenuto la promessa.<br />

Anche gli altri ragazzi interruppero<br />

il loro chiacchiericcio e iniziarono<br />

ad interessarsi sul serio alle parole<br />

del preside.<br />

«Incre<strong>di</strong>bile!» esclamò Cinzia<br />

guardando me e Fiorella.<br />

«Bene, io e i vostri insegnanti<br />

abbiamo indetto una riunione<br />

qualche giorno fa per scegliere i<br />

fortunati. In realtà non si tratta <strong>di</strong>


fortuna: abbiamo selezionato gli<br />

studenti con il miglior ren<strong>di</strong>mento<br />

scolastico fin dal primo anno.»<br />

Sentii Nicla (una delle becchine)<br />

parlare alla sua fedele amica Sofia:<br />

«Sicuramente mi chiamano, ma io<br />

non ci vado in quel postaccio!»<br />

“Che stupida!” pensai. “Fa tanto la<br />

sapientona!”<br />

«Crede <strong>di</strong> essere la più brava della<br />

scuola, ma la sua non è vera<br />

cultura se non apprezza la<br />

possibilità <strong>di</strong> conoscere altre terre<br />

e tra<strong>di</strong>zioni!» <strong>di</strong>ssi nervosa a<br />

Fiorella.<br />

«Sì, hai ragione!» rispose lei, poi<br />

continuò «Però mi fai paura<br />

quando parli così da secchiona!»<br />

Mi <strong>di</strong>ede una pacca sulla spalla.<br />

«Oh, non si può mai parlare<br />

seriamente!» sbuffai.<br />

«Dai che scherzo!»<br />

<strong>Il</strong> preside proseguì: «Bene, ora<br />

chiamerò i prescelti che, dopo<br />

l’assemblea, verranno in


presidenza dove spiegherò tutto ciò<br />

che serve e a cosa vanno incontro.<br />

Naturalmente non sono obbligati<br />

ad accettare. Se qualcuno rifiuterà,<br />

la possibilità verrà data a chi segue<br />

nella graduatoria. Nizzi Maria<br />

Scala, è presente?»<br />

Non la conoscevo. Si sentì un<br />

presente <strong>di</strong> risposta seguito da<br />

gridolini <strong>di</strong> felicità.<br />

«Semeraro Annalia!»<br />

«Presente!» rispose una voce alle<br />

mie spalle. Non ricordo cosa stessi<br />

pensando in quel momento, forse<br />

volevo essere scelta ma non<br />

credevo che avrei sentito il mio<br />

nome.<br />

«Lofredo Selene!»<br />

«Presente!» risposi d’istinto, come<br />

quando facevamo l’appello in<br />

classe. Poi mi resi conto. Davvero?<br />

Mi aveva chiamata!<br />

“Ehi, non credevo <strong>di</strong> essere così<br />

forte a scuola!” pensai. Certo i<br />

miei voti erano sempre stati otto e


nove a fine anno, ma non<br />

pensavo… “Questo che vuol <strong>di</strong>re?<br />

Vado in Africa?”<br />

Vi<strong>di</strong> le mie amiche voltarsi verso<br />

<strong>di</strong> me e sentii i loro complimenti.<br />

Mentre mille pensieri mi<br />

turbinavano in testa, sentii anche<br />

un grugnito <strong>di</strong> Nicla e la voce del<br />

preside che <strong>di</strong>ventava sempre più<br />

lontana. Aveva chiamato un<br />

ragazzo, ma la voce dei miei<br />

pensieri era così forte che non<br />

riuscii a capire chi era. Ero<br />

davvero contenta.<br />

«Brava!» esclamò Fiorella<br />

gettandomi le braccia al collo.<br />

«L’ho sempre detto che sei una<br />

secchiona!» convenne Piera.<br />

«Bè, una secchiona in, però!»<br />

pensai e <strong>di</strong>ssi. Tutte risero.<br />

«Certo non come quella racchia <strong>di</strong><br />

Nicla!» mi <strong>di</strong>sse Luca. Sapevo che<br />

a modo suo quello era un<br />

complimento. Lo ricambiai con un<br />

occhiolino. Anche se eravamo una


agazza e un ragazzo ci volevamo<br />

bene davvero da amici: anche se ci<br />

abbracciavamo o mi sedevo in<br />

braccio a lui o viceversa tra <strong>di</strong> noi<br />

non era mai successo niente.<br />

Tutti rientrarono in classe per ciò<br />

che restava dell’ora <strong>di</strong> matematica,<br />

mentre io mi recai in presidenza.<br />

La porta in noce scuro era<br />

socchiusa. Che opportunità<br />

magnifica era quel viaggio…<br />

volevo vedere un continente nuovo<br />

e oltretutto era gratis! Bussai.<br />

«Avanti, avanti!» sentii la voce<br />

acuta del preside. Mi ritrovai nel<br />

suo ufficio, una stanza non molto<br />

grande ma ben illuminata. Sentii<br />

subito un forte odore <strong>di</strong> vaniglia.<br />

C’erano piantine grasse sul<br />

davanzale e ten<strong>di</strong>ne arancioni alla<br />

finestra. Un grosso archivio grigio<br />

si appoggiava al muro bianco e<br />

uno scaffale pieno <strong>di</strong> libri insieme<br />

a una cattedra si stagliavano<br />

dall’altra parte della stanza. C’era


anche un computer <strong>di</strong> ultima<br />

generazione: vi<strong>di</strong> la spia verde del<br />

modem che lampeggiava, era<br />

sicuramente collegato a internet.<br />

Quella era una delle poche stanze<br />

dell’e<strong>di</strong>ficio veramente pulita e<br />

or<strong>di</strong>nata, un’altra era la sala<br />

professori ovviamente.<br />

Davanti a me c’erano due ragazze<br />

e un ragazzo. Li squadrai dalla<br />

testa ai pie<strong>di</strong> per capire con chi<br />

avrei avuto a che fare durante il<br />

mio viaggio. Una delle ragazze era<br />

alta, mora, capelli ricci raccolti in<br />

una coda alta, occhiali da vista.<br />

Vestiva in stile hippie. L’altra<br />

ragazza era robusta, capelli castani<br />

a caschetto un po’ spettinati.<br />

Indossava un maglia verde chiaro<br />

attillata. <strong>Il</strong> ragazzo era alto quanto<br />

me, capelli scuri e ondulati, una<br />

barba appena accennata. Vestiva un<br />

po’ da fighettino: camicia bianca a<br />

righe blu infilata dentro i jeans,<br />

scarpe da tennis bianche. Tutti mi


guardavano. Io indossavo una<br />

maglietta bianca col cappuccio e<br />

senza maniche, jeans chiari e<br />

scarpe stile converse color argento.<br />

«Sei Lofredo?» mi chiese il<br />

preside.<br />

«Sì» risposi. Mi sentivo in<br />

imbarazzo perché ero al centro<br />

dell’attenzione.<br />

«Loro sono Nizzi Maria Scala…»<br />

in<strong>di</strong>cò la ragazza alta, «Semeraro<br />

Annalia e Volpe Antonello.»<br />

«Piacere» <strong>di</strong>ssi rivolta a tutti. Le<br />

ragazze risposero con un breve<br />

sorriso mentre Antonello mi salutò<br />

con un ciao entusiasta.<br />

«Bene, ragazzi. La possibilità che<br />

vi è stata offerta è molto<br />

importante. <strong>Il</strong> viaggio si svolgerà a<br />

settembre: partirete per il Kenya<br />

dove raggiungerete la scuola<br />

professionale <strong>di</strong> Filomena La<br />

Serra, a Malin<strong>di</strong>. Lì insegnerete<br />

l’italiano a giovani studenti<br />

kenyoti: a loro la lingua italiana


serve per lavorare negli alberghi<br />

del luogo dove ci sono<br />

prevalentemente turisti italiani.<br />

Sarete affiancati dagli educatori<br />

già presenti: Edward Murthi Ching<br />

e Salome Masawe. Nel frattempo<br />

parteciperete a escursioni nei<br />

territori limitrofi. Le spese del<br />

viaggio ovviamente sono a carico<br />

della scuola.»<br />

“Fantastico!” pensai. Non vedevo<br />

l’ora. Sarebbe stata un’esperienza<br />

unica.<br />

«<strong>Il</strong> problema è un altro» continuò<br />

il preside guardandoci uno a uno.<br />

«<strong>Il</strong> Kenya in questo momento è un<br />

Paese tranquillo, non ci sono<br />

guerre. Ma è comunque molto<br />

lontano, mancano le strutture<br />

sanitarie e sono presenti <strong>di</strong>verse<br />

malattie endemiche. Siete pronti ad<br />

affrontare questi rischi? E i vostri<br />

genitori? Sarà inoltre necessario<br />

effettuare <strong>di</strong>verse vaccinazioni.»


«Io sono sicura <strong>di</strong> accettare»<br />

risposi prontamente. Era<br />

un’opportunità che capitava una<br />

volta nella vita. Non mi facevo il<br />

problema dell’autorizzazione dei<br />

miei, perché fino a quel momento<br />

avevo sempre partecipato a tutte le<br />

gite.<br />

«Benissimo!» rispose il preside tra<br />

il sorpreso e lo scettico, data la mia<br />

risposta imme<strong>di</strong>ata. «Voialtri non<br />

siete obbligati a rispondere ora.<br />

Passate dalla segreteria e il<br />

vicepreside vi consegnerà il<br />

materiale informativo. Parlatene a<br />

casa e fatemi sapere.»<br />

«Grazie signor preside!» risposero<br />

quasi in coro le due ragazze… già<br />

non ricordavo i loro nomi. Si<br />

scambiavano occhiate e risatine,<br />

sembravano molto infantili.<br />

«Salve» salutai.<br />

Mentre il ragazzo si congedò con<br />

un saluto militare.


“Cretino!” pensai. Forse all’epoca<br />

ero un po’ dura, ma o<strong>di</strong>avo i<br />

pagliacci. Mentre quei tre<br />

socializzavano fuori dalla<br />

presidenza, andai subito dal<br />

vicepreside. La segreteria era<br />

proprio accanto alla presidenza,<br />

nel piccolo atrio d’ingresso della<br />

scuola. Ero già pronta ad ascoltare<br />

le lo<strong>di</strong> del vicepreside, il professor<br />

Miccolis, che in realtà era anche il<br />

mio professore <strong>di</strong> italiano e<br />

stravedeva per me. Era un uomo <strong>di</strong><br />

me<strong>di</strong>a altezza, oltre i sessant’anni,<br />

capelli completamente bianchi,<br />

baffi ingialliti dal fumo del sigaro,<br />

occhi azzurro cristallino. Sempre<br />

elegante, molto colto e amante<br />

della sua terra, adorava i miei temi<br />

e il mio modo <strong>di</strong> scrivere, la mia<br />

passione per la storia e la<br />

letteratura.<br />

«Salve, prof.!» esor<strong>di</strong>i sorridente<br />

entrando in segreteria. La porta era


già aperta. <strong>Il</strong> professore alzò lo<br />

sguardo dal suo registro.<br />

«Oh, Selene!» <strong>di</strong>sse subito<br />

alzandosi e venendomi incontro<br />

raggiante. Mi strinse la mano.<br />

«Sono fiero <strong>di</strong> te!» Una ventata <strong>di</strong><br />

acre odore <strong>di</strong> sigaro mi penetrò le<br />

narici. «Vieni, vieni!», mi trascinò<br />

verso la sua scrivania «Dentro<br />

questa cartellina c’è del materiale<br />

informativo sul posto,<br />

informazioni sulle vaccinazioni<br />

consigliate, la data del viaggio e<br />

l’autorizzazione da far firmare ai<br />

genitori.» Mi consegnò una<br />

cartellina <strong>di</strong> cartone verde con un<br />

elastico giallo.<br />

Ringraziai il professore e uscii in<br />

fretta dalla segreteria. Notai che gli<br />

altri tre ragazzi stavano arrivando,<br />

le ragazze mi rivolsero un quasi<br />

sorriso e ricambiai con un cenno<br />

del capo.<br />

Era quasi ora <strong>di</strong> uscire da scuola e<br />

volevo solo andare a casa per


avvisare subito i miei. Ero eccitata<br />

all’idea del viaggio, mi sembrava<br />

incre<strong>di</strong>bile. Davvero sarei andata<br />

così lontano? Ad<strong>di</strong>rittura a sud<br />

dell’equatore! Adoravo viaggiare e<br />

quello era il coronamento <strong>di</strong> un<br />

sogno. Non riuscivo a<br />

immaginarmi in terra kenyota,<br />

sarebbe stato fantastico!<br />

A pranzo trovai come sempre mia<br />

mamma e mio fratello. Papà<br />

lavorava a Taranto e tornava a casa<br />

all’ora <strong>di</strong> cena, mentre mio fratello<br />

era libero dal lavoro dalle 13.00<br />

alle 16.00. Quel giorno mamma<br />

aveva preparato uno dei miei piatti<br />

preferiti: pasta con zucchine e<br />

prosciutto. E poi c’erano<br />

mozzarelle e caciocavallo per<br />

secondo. Io e Giacomo adoravamo<br />

sciogliere il caciocavallo in padella<br />

per poi mangiarlo sul pane.<br />

«Sapete che sono stata scelta per<br />

un viaggio gratis in Kenya?» <strong>di</strong>ssi


mentre infilzavo una penna con la<br />

forchetta.<br />

«Cosa?» Mamma era un po’<br />

dubbiosa.<br />

«E perché hanno scelto te? Che hai<br />

<strong>di</strong> speciale?» mi punzecchiò invece<br />

Giacomo.<br />

«Ah ah, simpatico!» risposi in tono<br />

sarcastico.<br />

Lui sorrise.<br />

Spiegai a mamma tutto quanto e lei<br />

parve un po’ titubante. Giacomo in<br />

fondo era fiero <strong>di</strong> me, lo<br />

conoscevo, infatti mi appoggiò<br />

completamente. Papà telefonava<br />

sempre all’ora <strong>di</strong> pranzo, però<br />

mamma al telefono non gli <strong>di</strong>sse<br />

nulla del viaggio perché avremmo<br />

parlato con calma la sera a cena.<br />

<strong>Il</strong> pomeriggio in camera aprii la<br />

cartellina che mi aveva dato il<br />

professor Miccolis. C’erano tre<br />

brochure sul Kenya che <strong>di</strong>cevano<br />

un po’ <strong>di</strong> tutto, dei fogli riguardanti<br />

le vaccinazioni da fare e i


documenti necessari, un<br />

programma del viaggio e<br />

l’autorizzazione da firmare. Aprii<br />

un dépliant e lessi attentamente<br />

tutto ciò che riguardava la cultura e<br />

le <strong>di</strong>verse etnie (Maasai, Meru,<br />

Kikuyu, Samburu e Swahili erano<br />

le principali), la natura<br />

(cinquantanove riserve naturali), i<br />

panorami (tra cui la Great Rift<br />

Valley, il deserto del Chalbi, il<br />

monte Kenya e il lago Turkana), il<br />

mare (famosi Malin<strong>di</strong>, Watamu,<br />

Diani e Lamu)… ne restai<br />

estasiata.<br />

La sera papà mi fece i complimenti<br />

per essere stata scelta e poi valutò<br />

tutto con calma, parlò con mamma,<br />

lesse i dépliant, si informò su<br />

internet sulla situazione politica e<br />

alla fine mi <strong>di</strong>ede il suo consenso.<br />

La partenza era prevista per<br />

settembre, quin<strong>di</strong> avevo tutta<br />

l’estate per prepararmi. Mi serviva


il passaporto, però non andai a<br />

richiederlo dai carabinieri: mamma<br />

mi portò da una sua amica che<br />

aveva un’agenzia assicurativa e il<br />

mio passaporto fu pronto in un<br />

paio <strong>di</strong> settimane. Mi sentivo<br />

importante ad avere un passaporto<br />

perché voleva <strong>di</strong>re che viaggiavo<br />

fuori dall’Europa, che invece<br />

avevo già visitato con la scuola in<br />

lungo e in largo. Altro compito da<br />

svolgere in quell’estate fu la<br />

vaccinazione contro la febbre<br />

gialla.<br />

Una mattina io e mamma,<br />

armandoci <strong>di</strong> pazienza e della sua<br />

macchina (una Fiat 500, ma non<br />

quella d’epoca), andammo a<br />

Taranto perché a Martina Franca<br />

l’ASL non faceva quelle<br />

vaccinazioni. Guidava mamma<br />

perché io, presa dal viaggio che mi<br />

accingevo a compiere, avevo<br />

deciso <strong>di</strong> frequentare la scuola<br />

guida al mio ritorno e quin<strong>di</strong> non


avevo ancora la patente. Da<br />

Martina a Taranto c’era una<br />

superstrada e tutti guidavano<br />

veloce: anche mamma. Era un po’<br />

troppo spericolata e a volte temevo<br />

per la nostra incolumità. A Taranto<br />

vagammo per quattro uffici sanitari<br />

prima <strong>di</strong> giungere in quello giusto.<br />

In genere per andare in Kenya non<br />

erano richieste vaccinazioni<br />

obbligatorie, ma per chi si recava<br />

nell’entroterra per fare escursioni<br />

era consigliabile vaccinarsi contro<br />

la febbre gialla ed effettuare la<br />

profilassi antimalarica,<br />

quest’ultima da fare poco prima,<br />

durante e dopo il soggiorno. Dopo<br />

aver fatto una breve fila entrammo<br />

nell’ambulatorio: mi assegnarono<br />

un libretto internazionale <strong>di</strong><br />

vaccinazione e mi fecero una<br />

punturina. Quel tipo <strong>di</strong> vaccino<br />

copriva per <strong>di</strong>eci anni e non c’era<br />

bisogno <strong>di</strong> richiamo.<br />

“Meglio così!” pensai.


Anche quello era sistemato. Infine<br />

comprai un adattatore per la presa<br />

<strong>di</strong> corrente, in Kenya infatti c’era<br />

quella inglese e la forma era<br />

<strong>di</strong>versa da quella italiana.<br />

E finalmente riuscii un po’ a<br />

godermi l’estate. Andavo al mare<br />

in macchina con Fiorella,<br />

andavamo a ballare e il pomeriggio<br />

ci spostavamo <strong>di</strong> bar in bar tra<br />

merende e sigarette.<br />

«Tu mi lasci qua!» mi <strong>di</strong>sse un<br />

pomeriggio mentre eravamo stese<br />

al sole in riva al mare.<br />

«Eh?» risposi senza capire, quasi<br />

mezza addormentata.<br />

«Ho detto: te ne vai in Kenya e mi<br />

lasci qua. Che farò senza <strong>di</strong> te?» si<br />

spiegò meglio.<br />

Mi scappò una risata. «Guarda che<br />

starò via solo qualche settimana,<br />

mica mi trasferisco!»<br />

«Eh, appunto: qualche settimana!»


«E lo so, dai… se tu avessi<br />

stu<strong>di</strong>ato <strong>di</strong> più forse ora partiresti<br />

con me!»<br />

Fiorella si mise a sedere. Le sue<br />

lentiggini si moltiplicavano al sole.<br />

Indossava un bikini verde<br />

fosforescente che lasciava<br />

all’immaginazione ben poco delle<br />

sue forme prosperose. A volte la<br />

invi<strong>di</strong>avo: io ero asciutta e il mio<br />

bikini rosa non era così pieno<br />

come il suo.<br />

«Mi vuoi solo stuzzicare, ma io sto<br />

parlando seriamente!»<br />

«Lo so!» risposi schermandomi il<br />

viso con la mano, ma ancora la<br />

vedevo sfocata per la troppa luce.<br />

«Ci scherzo perché tanto non c’è<br />

niente da fare. Ti manderò un sms<br />

ogni giorno e ti porterò un bel<br />

regalo.»<br />

<strong>Il</strong> suo viso si rasserenò e io sorrisi,<br />

la conoscevo così bene! Comunque<br />

anche a me <strong>di</strong>spiaceva stare<br />

lontana da lei per un po’, mi


sarebbe piaciuto con<strong>di</strong>videre con la<br />

mia migliore amica<br />

quell’esperienza straor<strong>di</strong>naria.<br />

A fine agosto cominciai la<br />

profilassi antimalarica con il<br />

Malarone, una scatola <strong>di</strong> quel<br />

farmaco costava circa 60 euro.<br />

Bisognava prendere le compresse<br />

ogni giorno da una settimana<br />

prima della partenza, per tutto il<br />

soggiorno e per una settimana<br />

dopo il rientro, ma in realtà non era<br />

una protezione efficace al cento<br />

per cento, infatti mi avevano<br />

avvisata <strong>di</strong> usare anche la<br />

protezione spray speciale per<br />

zanzare tropicali. La valigia era<br />

pronta: vestiti leggeri, un paio <strong>di</strong><br />

felpe e <strong>di</strong> costumi da bagno, crema<br />

solare con fattore <strong>di</strong> protezione<br />

cinquanta, qualche vestito più<br />

elegante per uscire la sera,<br />

cellulare, un po’ <strong>di</strong> sol<strong>di</strong> e tanti<br />

farmaci (fermenti lattici, pillole


contro <strong>di</strong>sidratazione e <strong>di</strong>ssenteria,<br />

vitamine…).<br />

<strong>Il</strong> pomeriggio del 4 settembre 2005<br />

avevo l’appuntamento con gli altri<br />

partecipanti a Taranto davanti alla<br />

Banca d’Italia, in Piazza Ebalia.<br />

Ero impaziente <strong>di</strong> partire. Ad<br />

attendermi trovai un pullman blu<br />

enorme per poche persone.<br />

C’erano i tre ragazzi della mia<br />

scuola e un’insegnante che non<br />

conoscevo. Aveva lunghi capelli<br />

ricci biondo scuro e andava per i<br />

cinquanta.<br />

«Agata Magli!» si presentò appena<br />

scesi dall’auto con la mia famiglia.<br />

Notai anche altra gente davanti al<br />

pullman: un uomo alto e magro,<br />

l’autista; un uomo robusto e con i<br />

baffi che aveva l’aria <strong>di</strong> un<br />

professore, accompagnato da una<br />

donna <strong>di</strong> mezza età, probabilmente<br />

sua moglie; un ragazzo alto,<br />

magro, con gli occhiali, con la


tipica aria da secchione; vicino a<br />

lui fumava una ragazza bionda alta<br />

più o meno quanto me, indossava<br />

una tuta da ginnastica blu. Capii<br />

subito che partecipava anche<br />

un’altra scuola al viaggio e intuii<br />

anche che tutti aspettavano solo<br />

me. Giacomo portò la mia valigia<br />

all’autista che la caricò<br />

violentemente sul pullman.<br />

Mamma cominciò a piangere, al<br />

suo solito, e papà mi abbracciò<br />

<strong>di</strong>cendomi solo <strong>di</strong> stare attenta.<br />

Andai da Giacomo per salutarlo.<br />

«Sorellina, sei in gamba.<br />

Dimostralo anche in Africa!»<br />

Con quelle parole nel cuore salii<br />

sul pullman.


PARTE SECONDA<br />

KARIBUNI KENYA!<br />

La professoressa Magli si presentò<br />

al resto del gruppo e conobbi<br />

anche gli altri viaggiatori. L’uomo<br />

con i baffi era il professor<br />

Gennarini, dell’alberghiero <strong>di</strong><br />

Massafra, e viaggiava con sua<br />

moglie Stefania. <strong>Il</strong> ragazzo con gli<br />

occhiali si chiamava Marco e la<br />

ragazza Martina. Lei mi sembrava<br />

simpatica a <strong>di</strong>fferenza delle due<br />

ragazze della mia scuola, Maria e<br />

Annalia: stavano già sedute vicine<br />

facendo comunella. Mentre il


agazzo, Antonello, aveva preso<br />

posto vicino ai professori.<br />

“Che leccapie<strong>di</strong>!” pensai.<br />

Mi sedetti vicino a un finestrino <strong>di</strong><br />

metà pullman. Mi piaceva<br />

guardare fuori e poi mi aiutava a<br />

combattere il mio mal d’auto o in<br />

quel caso mal <strong>di</strong> pullman. Di<br />

sfuggita vi<strong>di</strong> l’auto <strong>di</strong> papà <strong>di</strong>etro<br />

l’angolo e mamma in macchina<br />

che si sbracciava per salutarmi. Era<br />

sempre la stessa: affrontava con<br />

enfasi ogni situazione e questo in<br />

un certo senso mi innervosiva.<br />

Da Bari prendemmo un aereo per<br />

Milano e durante il tragitto non<br />

parlai con nessuno. Con un<br />

pulmino interno da Milano<br />

Malpensa 1 raggiungemmo Milano<br />

Malpensa 2 da dove partivano i<br />

voli intercontinentali. Alle 22.00 ci<br />

imbarcammo per Mombasa.<br />

Durante il volo ebbi modo <strong>di</strong><br />

notare il carattere esuberante ed


eccentrico della professoressa<br />

Magli: faceva un sacco <strong>di</strong> battute<br />

per rendersi simpatica.<br />

<strong>Il</strong> volo fu una bella esperienza:<br />

mentre osservavamo Milano<br />

notturna dall’alto le hostess ci<br />

servirono la cena. Durante la notte<br />

però un po’ <strong>di</strong> turbolenze non mi<br />

permisero <strong>di</strong> dormire tranquilla.<br />

JUMATATU (LUNEDÌ), 05/09/2005<br />

Era una sensazione strana essere<br />

ancora in aereo dopo tante ore <strong>di</strong><br />

viaggio. Di mattina presto<br />

effettuammo uno scalo tecnico<br />

sull’isola <strong>di</strong> Zanzibar. Era un<br />

para<strong>di</strong>so in mezzo al mare<br />

circondato da tante piccole isolette


deserte: non riuscivo a credere ai<br />

miei occhi.<br />

Durante il viaggio parlai con<br />

Martina e scoprii che era una<br />

ragazza come me, a cui piaceva<br />

<strong>di</strong>vertirsi e stare in compagnia.<br />

Meno male, non avrei dovuto<br />

sopportare quelle due della mia<br />

scuola.<br />

Quando atterrammo a Mombasa<br />

erano passate circa nove ore <strong>di</strong><br />

volo e in Kenya dovetti regolare<br />

l’orologio del telefonino perché<br />

c’era un fuso orario <strong>di</strong> tre ore in<br />

avanti rispetto all’Italia.<br />

Appena uscii all’aperto un caldo<br />

opprimente mi schiacciò i<br />

polmoni. Che afa! Previdente mi<br />

ero vestita a cipolla quin<strong>di</strong>, tolta la<br />

felpa azzurra, rimasi con indosso<br />

una magliettina rosa dell’Hard<br />

Rock Café <strong>di</strong> Barcellona. Io e<br />

Fiorella ce l’eravamo comprata


uguale quando eravamo andate in<br />

gita in Spagna.<br />

L’aeroporto era spoglio e ridotto<br />

all’essenziale. Un tizio in scrivania<br />

rilasciava i visti turistici, pagai<br />

cinquanta euro. <strong>Il</strong> personale era<br />

ovviamente tutta gente del posto e<br />

grazie alla <strong>di</strong>visa bianca la loro<br />

pelle scura risaltava ancora <strong>di</strong> più.<br />

Avvisai sia i miei sia la mia<br />

migliore amica che ero arrivata<br />

sana e salva.<br />

Salimmo su <strong>di</strong> un pulmino messo a<br />

<strong>di</strong>sposizione apposta per noi da un<br />

sacerdote della Cattedrale <strong>di</strong><br />

Malin<strong>di</strong>. <strong>Il</strong> tragitto durò circa due<br />

ore e la strada <strong>di</strong>ssestata agì da<br />

massaggiatore per il mio<br />

fondoschiena.<br />

Rimasi a bocca aperta guardando il<br />

mondo fuori dal finestrino. Erano<br />

tutte strade sterrate fiancheggiate a<br />

volte da palme, a volte da capanne<br />

<strong>di</strong> fango e paglia, a volte da


aracche in lamiera; queste ultime<br />

erano praticamente dei negozi.<br />

Vi<strong>di</strong> tante persone camminare sul<br />

ciglio della strada: uomini e donne,<br />

la maggior parte scalzi, e bambini<br />

che giocavano a rincorrere le auto.<br />

Più tar<strong>di</strong> avrei capito che quei<br />

bambini non stavano affatto<br />

giocando.<br />

«Hai visto che belle tipe ci sono<br />

qui?» Era Antonello, che si era<br />

girato dal se<strong>di</strong>le davanti al mio per<br />

parlarmi. Erano le prime parole<br />

che mi rivolgeva dal giorno prima.<br />

«Vedrai che anche i tizi del posto<br />

ammireranno la bellezza<br />

me<strong>di</strong>terranea delle nostre ragazze,<br />

come per esempio… te!»<br />

Avevo capito bene? Gli rivolsi uno<br />

sguardo a metà tra la sorpresa e il<br />

rimprovero. Mi fece un sorriso e<br />

tornò a guardare fuori dal<br />

finestrino. Quello era ovviamente<br />

un tentativo <strong>di</strong> flirt! Non credevo


minimamente <strong>di</strong> potergli<br />

interessare!<br />

«Bene, siamo quasi arrivati!»<br />

annunciò in un italiano molto<br />

accentato Kafil, il nostro autista.<br />

Era un ragazzo minuto, con gli<br />

occhi svegli e la pelle scurissima.<br />

Quando sorrideva, i denti bianchi<br />

quasi brillavano.<br />

In una strada secondaria c’era un<br />

grande cancello in ferro.<br />

Entrammo e trovammo ad<br />

aspettarci una folla <strong>di</strong> ragazzi e<br />

ragazze sorridenti, erano circa una<br />

ventina. La loro accoglienza fu<br />

meravigliosa: cantavano e<br />

ballavano, regalandoci ghirlande <strong>di</strong><br />

fiori e gettando coriandoli colorati<br />

sulle nostre teste. Davvero<br />

commuovente. Non avevo mai<br />

visto degli estranei così<br />

amichevoli!<br />

Eravamo in uno spiazzale non<br />

asfaltato, che una decina <strong>di</strong> metri


più avanti lasciava spazio a un<br />

e<strong>di</strong>ficio bianco e grigio a staffa <strong>di</strong><br />

cavallo con davanti un cartello:<br />

Saint Francis Xavier Catholic<br />

Institute. Gli studenti ci travolsero<br />

con la loro gioia e i loro abbracci,<br />

portandoci in un piccolo atrio dove<br />

ci fecero accomodare su delle<br />

panchine e ci offrirono delle<br />

bevande fresche. <strong>Il</strong> rituale<br />

dell’accoglienza continuò: ci<br />

mostrarono balli e canti in swahili<br />

e devo <strong>di</strong>re che non capii<br />

assolutamente cosa <strong>di</strong>cessero le<br />

loro canzoni, ma erano allegre e<br />

travolgenti. Si presentarono tutti:<br />

Mundu, Helen, Josephine, Jante,<br />

Leah, Sabya, Mapenzi, John,<br />

Jahleel, Francis, Anthony, Idah,<br />

Gabriel, Lauren, Dafina, Millicent,<br />

Vincent, Monica, Davis e Kevin.<br />

Ad accoglierci c’erano anche<br />

Sister Lucy e Sister Rosina, le due<br />

suore che gestivano la scuola.


Erano entrambe bassine e robuste.<br />

Nonostante l’istituto fosse retto da<br />

suore cattoliche, notai subito<br />

ragazze con il velo sui capelli e<br />

capii che erano musulmane. Gli<br />

studenti erano <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse religioni<br />

ma andavano perfettamente<br />

d’accordo tra loro: lì non c’era<br />

traccia dell’o<strong>di</strong>o tra cristiani e<br />

musulmani con cui comunemente i<br />

mass me<strong>di</strong>a riempivano le nostre<br />

reti televisive. Era tutta<br />

un’esplosione <strong>di</strong> gioia e <strong>di</strong> vita allo<br />

stato puro.<br />

«Good morning italian sisters and<br />

brothers!» esordì Sister Rosina.<br />

Subito la professoressa Magli<br />

rispose con voce teatrale: «Good<br />

morning, sister!»<br />

Mi guardai intorno per cogliere lo<br />

sguardo dei miei compagni e trovai<br />

solo quello <strong>di</strong> Antonello che mi<br />

scoccò un occhiolino. Mi rigirai<br />

imme<strong>di</strong>atamente, quasi infasti<strong>di</strong>ta.


Non sapevo come interpretare<br />

quelle attenzioni… Lui non era<br />

decisamente il mio tipo: troppo<br />

esibizionista.<br />

«We all welcome you in our<br />

school» continuò Sister Rosina.<br />

Sentii passi alle spalle della suora.<br />

«Oh, here are our teachers: Salome<br />

Masawe and Edward Murthi<br />

Ching.» La suora si scostò<br />

leggermente e comparve una<br />

donna sui trent’anni. Era carina, i<br />

capelli crespi raccolti in uno<br />

chignon sulla nuca, la pelle<br />

scurissima e denti e occhi<br />

splendenti. Indossava una gonna<br />

beige lunga fin sotto il ginocchio e<br />

una maglietta rosa chiaro a<br />

maniche corte.<br />

«Salve a tutti!» ci salutò.<br />

Alle sue spalle apparve un ragazzo.<br />

Era molto alto, almeno un metro e<br />

novanta, con fisico scolpito e pelle<br />

d’ebano lucente. Guardai il viso:


lineamenti eleganti, naso<br />

affusolato, occhi gran<strong>di</strong>, scuri e<br />

intelligenti. La bocca era carnosa e<br />

sorridente. I capelli scuri erano<br />

raccolti in due treccioline che<br />

partivano separate sulla fronte, si<br />

univano in una sola treccia <strong>di</strong>etro<br />

la testa e infine si <strong>di</strong>videvano<br />

ancora in due sotto la nuca,<br />

ricadendogli sulle spalle per pochi<br />

centimetri. Io ero semplicemente…<br />

senza fiato. Era il ragazzo più bello<br />

che avessi mai visto: uno<br />

splendore assoluto.<br />

«Salve ragazzi, benvenuti. Io mi<br />

chiamo Edward e, insieme a<br />

Salome, vi farò da guida nelle ore<br />

scolastiche.» La sua voce era calda<br />

e cor<strong>di</strong>ale.<br />

Da Maria e Annalia si levò un<br />

gridolino. Martina e Marco erano<br />

quasi in<strong>di</strong>fferenti, mentre<br />

Antonello aveva un’espressione da<br />

superiore, come al solito, ormai


l’avevo inquadrato come persona.<br />

Riguardai Edward temendo che<br />

potesse cogliere l’ammirazione nei<br />

miei occhi, ma non mi guardava.<br />

Parlava con Salome in swahili<br />

mentre Sister Rosina ci in<strong>di</strong>cava le<br />

scale per raggiungere le nostre<br />

stanze.<br />

La scuola era composta da un atrio<br />

centrale all’aperto (dove ci<br />

trovavamo in quel momento) e su<br />

tre lati si estendeva una<br />

costruzione a due piani. Al piano<br />

terra c’erano tutte le aule e sulla<br />

destra la mensa, mentre al primo<br />

piano si trovavano a sinistra le<br />

camere degli ospiti come noi, al<br />

centro quelle dei professori e delle<br />

suore e a destra quelle degli<br />

studenti. C’erano <strong>di</strong>verse scale<br />

interne ed esterne per accedere al<br />

piano superiore. Alle spalle<br />

dell’e<strong>di</strong>ficio invece c’era una


piccola costruzione a<strong>di</strong>bita a<br />

chiesa.<br />

Fui travolta dall’entusiasmo degli<br />

studenti che ci aiutarono a portare<br />

le valigie pesanti su per le scale.<br />

Gabriel aiutò me: era un ragazzo<br />

molto timido che mi rivolse<br />

appena un rapido sorriso quando lo<br />

ringraziai. Ci avevano detto che le<br />

camere erano da due letti. Passai<br />

un attimo in rassegna i miei<br />

compagni <strong>di</strong> viaggio e alla fine<br />

guardai Martina, che era l’unica<br />

scelta non traumatica per me. Con<br />

sollievo notai che anche lei mi<br />

stava fissando.<br />

«An<strong>di</strong>amo?» le chiesi in<strong>di</strong>cando la<br />

prima camera sulla destra <strong>di</strong> un<br />

lungo corridoio.<br />

«Ah, meno male! Temevo che i<br />

professori ci avrebbero assegnato i<br />

compagni <strong>di</strong> stanza!»<br />

Aprii la porta verde ed entrai in<br />

una camera luminosa, pulita e


ospitale. C’erano due letti singoli<br />

coperti da ampie zanzariere, come<br />

quelle dei film de Le mille e una<br />

notte, un arma<strong>di</strong>o marrone stile<br />

arte povera con scrivania e se<strong>di</strong>a<br />

abbinate. Niente televisione. Bè,<br />

certo, che mi aspettavo? Di fronte<br />

a me una grande finestra senza<br />

vetro, solo con la zanzariera. Sulla<br />

destra una porta verde come quella<br />

d’ingresso che sicuramente dava<br />

sul bagno.<br />

«Mi aspettavo <strong>di</strong> peggio!» esclamò<br />

Martina gettandosi sul primo letto.<br />

«Bè, anch’io, non è niente male!<br />

Meglio <strong>di</strong> qualche ostello italiano<br />

in cui sono stata in gita!»<br />

convenni.<br />

Mi piaceva la sua compagnia. Era<br />

una ragazza semplice e simpatica,<br />

ero certa che mi sarei <strong>di</strong>vertita da<br />

morire e soprattutto avrei vissuto<br />

un’esperienza <strong>di</strong> vita veramente<br />

forte.


Erano ancora le 10.30, così<br />

decidemmo <strong>di</strong> farci una doccia<br />

prima <strong>di</strong> pranzo. <strong>Il</strong> bagno aveva<br />

lavan<strong>di</strong>no, water e un foro sul<br />

soffitto da cui usciva acqua,<br />

praticamente la doccia. <strong>Il</strong><br />

pavimento era cementato con una<br />

pendenza in corrispondenza dello<br />

scolo della doccia. Effettivamente<br />

non era per niente male<br />

considerando la povertà che<br />

avevamo visto per le strade. Per<br />

lavarci i denti però dovevamo<br />

usare acqua imbottigliata, perché<br />

l’acqua corrente non era sicura.<br />

Mentre mi rivestivo sentii il breve<br />

trillo del mio telefonino, era un<br />

sms <strong>di</strong> Fiorella:<br />

Ciao tesoro, allora? Che combini?<br />

Com’è il posto? C’è qualcuno<br />

carino? Fammi sapere le novità!<br />

Ricorda che TVB!


Sorrisi al pensiero della mia amica<br />

che era sempre la stessa, in<br />

qualsiasi situazione.<br />

«Allora, che ne pensi, ci<br />

<strong>di</strong>vertiremo?» chiesi a Martina<br />

mentre usciva dal bagno. Indossai<br />

un paio <strong>di</strong> pantaloncini verde<br />

militare, una canotta a strisce<br />

bianche e beige e un paio <strong>di</strong><br />

sandali infra<strong>di</strong>to.<br />

«Sì, per forza! È un posto<br />

bellissimo! Comunque dobbiamo<br />

prima preoccuparci <strong>di</strong> insegnare<br />

tutto ciò che possiamo agli<br />

studenti» rispose indossando un<br />

pantajazz nero e una maglietta<br />

fucsia.<br />

«Sì, sono fantastici!» Volevo<br />

chiederle cosa ne pensava <strong>di</strong><br />

Edward ma ancora non sapevo se<br />

potevo fidarmi totalmente <strong>di</strong> lei.<br />

A mezzogiorno qualcuno bussò<br />

alla porta. Mi stavo legando i


capelli ondulati in una coda alta e<br />

andai ad aprire con la mano libera.<br />

«Salve bellezze!» Era Antonello.<br />

«Stiamo scendendo tutti giù in<br />

mensa perché fra poco si mangia!<br />

Venite perché altrimenti non<br />

possiamo iniziare!»<br />

«Certo, sto morendo <strong>di</strong> fame!»<br />

risposi subito.<br />

Lui mi lanciò un occhiolino come<br />

aveva fatto poche ore prima e<br />

scese le scale. Chiusi la porta, mi<br />

voltai un po’ seccata e Martina mi<br />

capì al volo.<br />

«Non ti piace quel tipo, eh?»<br />

«Eh? No… veramente non mi<br />

piacciono le sue attenzioni così<br />

sfacciate!»<br />

«Sinceramente anche a me darebbe<br />

un po’ fasti<strong>di</strong>o. Ve<strong>di</strong>la così: vuol<br />

<strong>di</strong>re che piaci ai ragazzi!» <strong>di</strong>sse<br />

aprendo la porta.<br />

«Se vuoi te lo cedo volentieri!»<br />

risposi seguendola.


«Ok, scherzavo!» Stava già<br />

scendendo le scale.<br />

All’interno la scuola era semplice<br />

e lineare. <strong>Il</strong> pavimento in ceramica<br />

era chiaro e il muro era <strong>di</strong>pinto <strong>di</strong><br />

azzurro, qua e là qualche finestra<br />

con zanzariera.<br />

La mensa si trovava dall’altra parte<br />

dell’atrio. Mentre lo<br />

attraversavamo, qualche studente<br />

kenyota ci raggiunse e si unì a noi.<br />

«Jambo!» mi <strong>di</strong>sse Jante<br />

camminando al mio fianco.<br />

«Jambo!» risposi io: ormai avevo<br />

capito che jambo significava ciao<br />

in swahili, la lingua del Kenya.<br />

Comunque tutti parlavano inglese<br />

e nella zona <strong>di</strong> Malin<strong>di</strong> anche<br />

l’italiano. Ed erano così cor<strong>di</strong>ali!<br />

Entrai in mensa sperando <strong>di</strong><br />

trovare un po’ <strong>di</strong> frescura ma i<br />

ventilatori accesi appesi al soffitto<br />

non facevano altro che rimandare a<br />

terra l’aria bollente che usciva dai


pentoloni <strong>di</strong> cibo <strong>di</strong>sposti su <strong>di</strong> un<br />

lato della grande sala.<br />

«Mi <strong>di</strong>ci come facciamo a<br />

indossare vestiti lunghi per<br />

proteggerci dalle zanzare?»<br />

Martina mi rivolse uno sguardo<br />

preoccupato.<br />

«Ah, non lo so proprio!» Mi<br />

avvicinai a una pila <strong>di</strong> piatti puliti<br />

e ne presi uno.<br />

I ragazzi dello Saint Francis<br />

Xavier Catholic Institute<br />

stu<strong>di</strong>avano per <strong>di</strong>ventare<br />

receptionists, rior<strong>di</strong>natori <strong>di</strong> stanze<br />

d’albergo, camerieri ma anche<br />

cuochi. Proprio per questo<br />

facevano i turni a cucinare. Sorrisi<br />

quando vi<strong>di</strong> Gabriel e Davis in<br />

tenuta da chef vicino ai pentoloni.<br />

«Hi, miss!» mi salutò il primo<br />

«Would you like pasta?» In<strong>di</strong>cò la<br />

prima pentola.<br />

«Sì, grazie!»


Mi versò un mestolo <strong>di</strong> pennette e<br />

dalla pentola accanto prese un po’<br />

<strong>di</strong> sughetto. Salutai e mi affacciai<br />

verso i pentoloni dove c’era Davis.<br />

«Ciao amica!» Lui era molto più<br />

spigliato. «Qui ho carne e patate.<br />

Vuoi un po’?» mi chiese sforzando<br />

il suo italiano.<br />

«Certo!»<br />

Mi porse anche dell’insalata ma<br />

rifiutai. Benché io adorassi la<br />

verdura, i professori ci avevano<br />

detto <strong>di</strong> non mangiare cibi cru<strong>di</strong><br />

perché l’acqua con cui venivano<br />

lavati poteva essere contaminata<br />

con qualche bacillo che a noi<br />

europei poteva causare problemi<br />

seri. Mi voltai verso i lunghi tavoli<br />

marroni e solo allora mi resi conto<br />

<strong>di</strong> avere due piatti stracolmi.<br />

Avevo molta fame e <strong>di</strong> regola non<br />

me ne sarei vergognata, ma in quel<br />

momento mi balenò in mente che<br />

potevo trovare Edward seduto da


qualche parte… pazienza, ormai<br />

era fatta. Scrutai la grande sala.<br />

Lui non c’era. In realtà avevo<br />

voglia <strong>di</strong> rivedere le sue spalle<br />

larghe e i suoi occhi splendenti…<br />

«Vieni, <strong>di</strong> qua!» Martina mi stava<br />

chiamando. In<strong>di</strong>cò un tavolo a cui<br />

erano seduti i miei colleghi e una<br />

decina <strong>di</strong> ragazzi kenyoti.<br />

“Ottima scelta!” pensai. Dall’altro<br />

lato c’era un altro tavolo con i<br />

professori e le suore.<br />

Mi guardai intorno e salutai gli<br />

altri commensali facendo finta <strong>di</strong><br />

non notare lo sguardo <strong>di</strong> Antonello.<br />

Per tutta risposta lui prese i suoi<br />

piatti e si spostò al posto vuoto<br />

accanto a me.<br />

«Finalmente sei arrivata!»<br />

cominciò.<br />

«Tutti abbiamo fame, no?» risposi<br />

in modo generico sforzandomi <strong>di</strong><br />

non apparire irritata.


«Bè, allora bon appetit!» Tintinnò<br />

con la forchetta sul suo bicchiere.<br />

«Chakula chema! Buon appetito!»<br />

ci augurò una ragazza kenyota<br />

dall’altro lato del tavolo.<br />

«Chakula chema!» risposi con una<br />

pronuncia storpiata.<br />

La pasta era un po’ scotta e il sugo<br />

sembrava semplicemente succo <strong>di</strong><br />

pomodoro, però nel complesso era<br />

abbastanza buono: in fondo quei<br />

ragazzi stavano ancora stu<strong>di</strong>ando.<br />

La cucina italiana inoltre era<br />

profondamente <strong>di</strong>versa dalla loro.<br />

Quello che avevano mangiato per<br />

una vita non assomigliava<br />

minimamente alla pasta. La stessa<br />

cosa valeva per le ragazze che<br />

dovevano imparare a rior<strong>di</strong>nare le<br />

stanze. Venivano tutte dalla<br />

povertà più assoluta, avevano<br />

vissuto nelle capanne <strong>di</strong> fango e lì<br />

certo non c’erano letti da rifare. Mi<br />

resi conto che mi trovavo davvero


in un altro mondo. Tutte le<br />

certezze che avevo nella mia vita,<br />

nella mia quoti<strong>di</strong>anità, lì erano un<br />

miraggio che solo pochi riuscivano<br />

a raggiungere.<br />

Tutti i nostri nuovi amici<br />

sembravano così felici <strong>di</strong> averci lì<br />

con loro: scherzavano, ridevano, ci<br />

facevano tante domande per<br />

conoscerci meglio. Avevo quasi<br />

finito <strong>di</strong> mangiare quando mi<br />

accorsi che non avevo preso la mia<br />

bottiglietta d’acqua.<br />

«Già che ti alzi, ci porti la brocca<br />

dell’aranciata?»<br />

«Sì, Martina.»<br />

Mi <strong>di</strong>ressi verso il tavolo delle<br />

bevande, presi la brocca <strong>di</strong><br />

aranciata. Mi voltai per prendere la<br />

bottiglietta d’acqua e… andai a<br />

sbattere contro qualcosa con il<br />

risultato che la brocca rovinò sul<br />

pavimento, finendo in mille pezzi e<br />

bagnandomi i pie<strong>di</strong>. L’aranciata


ghiacciata sulla pelle mi fece<br />

trasalire. Misi a fuoco: all’altezza<br />

dei miei occhi c’era una maglia<br />

bianca <strong>di</strong> lino. Alzai lo sguardo<br />

e… credo proprio che <strong>di</strong>ventai<br />

rossa.<br />

«Scusami, non volevo» mi <strong>di</strong>sse<br />

Edward in un italiano perfetto. E<br />

poi sorrise. Era un sorriso appena<br />

accennato, ma dolce, sincero… e<br />

io ero lì imbambolata come una<br />

stupida. Si chinò per raccogliere i<br />

pezzi <strong>di</strong> vetro.<br />

«Oh, no, non preoccuparti!»<br />

risposi chinandomi anch’io.<br />

Avevo paura <strong>di</strong> raccogliere il vetro<br />

a mani nude ma lo feci lo stesso.<br />

C’era una scheggia appena vicino<br />

al mio alluce. Avvicinai la mano<br />

per prenderla ma lui ebbe la stessa<br />

idea. Un attimo… le sue <strong>di</strong>ta calde<br />

e scure sfiorarono le mie e io mi<br />

sentii avvampare. Edward prese la<br />

scheggia e si ritrasse. Ero


imbarazzatissima! Non avrei mai<br />

pensato che in quel viaggio mi<br />

sarebbe successa una cosa del<br />

genere… incontrare un bel<br />

ragazzo… non pensavo<br />

minimamente all’amore.<br />

«Allora, come ti chiami?» mi<br />

chiese lui raccogliendo l’ultimo<br />

coccio e alzandosi.<br />

«Mi chiamo Selene.»<br />

«Selene, la dea della luna!»<br />

«Conosci la mitologia greca?»<br />

chiesi abbastanza sorpresa.<br />

«Certo, l’ho stu<strong>di</strong>ata all’università<br />

<strong>di</strong> Nairobi.»<br />

Era così bello! «All’università?<br />

Posso chiederti quanti anni hai?»<br />

Subito dopo mi pentii per essere<br />

stata così <strong>di</strong>retta.<br />

«Ne ho venticinque.» Sorrise.<br />

“Pensavo <strong>di</strong> più, meno male!” mi<br />

balenò in mente questo pensiero;<br />

non mi accorsi che lui mi stava<br />

fissando.


Posai velocemente i frammenti <strong>di</strong><br />

vetro sul tavolo e al <strong>di</strong>avolo<br />

l’aranciata. «Scusa ma ora devo<br />

andare!» In<strong>di</strong>cai Martina che si<br />

stava alzando da tavola. Non so<br />

perché ma volevo andarmene,<br />

forse avevo già fatto troppe figure<br />

per i miei gusti.<br />

«Va bene, ci ve<strong>di</strong>amo a lezione,<br />

Selene.» Che bello sentire il mio<br />

nome pronunciato da lui!<br />

Sorrisi e mi <strong>di</strong>ressi verso Martina<br />

senza voltarmi.<br />

«Ehi, ma cosa…» riuscì a <strong>di</strong>re lei<br />

mentre la trascinavo fuori.<br />

Ci sedemmo sulle panchine in<br />

cemento dell’atrio e mi accesi una<br />

sigaretta. Era la prima volta che<br />

fumavo da quando ero in Kenya.<br />

In verità non era così piacevole<br />

fumare con il caldo del primo<br />

pomeriggio kenyota, ma in quel<br />

momento ne avevo proprio<br />

bisogno. La mia nuova amica mi


guardava in modo interrogativo,<br />

quin<strong>di</strong> le raccontai dell’incontro<br />

con Edward.<br />

«Ah, mi sa che qui qualcuno sta<br />

cedendo al fascino <strong>di</strong> un<br />

bell’imbusto tropicale!» fu il suo<br />

commento a fine racconto.<br />

«Ehi, che vuoi <strong>di</strong>re?» domandai<br />

aspirando l’ultima boccata. Mi<br />

accorsi che non c’erano cestini nei<br />

<strong>di</strong>ntorni perciò spensi la sigaretta<br />

sotto i sandali e la tenni in mano.<br />

Anche Martina finì <strong>di</strong> fumare e<br />

fece lo stesso.<br />

«Niente, voglio solo <strong>di</strong>re che devi<br />

aprire gli occhi. Anche se è carino,<br />

quel tipo non lo conosci per niente!<br />

E se facesse il cascamorto con tutte<br />

le ragazze?»<br />

Mi fece pensare. Ero verde<br />

d’invi<strong>di</strong>a all’idea <strong>di</strong> Edward con<br />

altre ragazze. Però in fondo<br />

Martina aveva ragione…


«Va bè, an<strong>di</strong>amo a riposarci che<br />

alle cinque abbiamo lezione!»<br />

terminai il <strong>di</strong>scorso.<br />

«Sempre se si riesce a dormire con<br />

questo caldo!» A volte sembrava<br />

che Martina mi leggesse nel<br />

pensiero.<br />

In camera non si stava male però<br />

mi spogliai, stavo più fresca in<br />

intimo. Sollevai la zanzariera e mi<br />

buttai sul letto, c’erano solo le<br />

lenzuola. Prima <strong>di</strong> addormentarmi<br />

mandai un sms a Fiorella:<br />

Ciao tesoro, non so che ora è lì da<br />

te, io adesso faccio un riposino.<br />

Sai, ho conosciuto un tipo troppo<br />

figo, ma non voglio farmi illusioni.<br />

Bacioni, tvb<br />

«Selene non ti <strong>di</strong>spiace se fumo in<br />

bagno?» Martina si affacciò dalla<br />

porta del bagno con in mano il<br />

telefono.


In genere mi dava fasti<strong>di</strong>o il fumo<br />

in ambienti chiusi, ma avevo<br />

bisogno <strong>di</strong> un’amica laggiù e<br />

acconsentii con un cenno della<br />

mano.<br />

Ricordo che ebbi un sonno non<br />

molto tranquillo e poi suonò la<br />

sveglia. Era così piacevole<br />

svegliarsi con quella musica. Era la<br />

canzone Wherever you will go <strong>di</strong><br />

uno dei miei gruppi preferiti, The<br />

Calling.<br />

Martina era già in pie<strong>di</strong>, mi vestii<br />

<strong>di</strong> corsa e scendemmo nell’atrio.<br />

Capii subito qual era la classe<br />

perché c’era un an<strong>di</strong>rivieni <strong>di</strong><br />

studenti kenyoti. Entrammo e ci<br />

ritrovammo in una stanza<br />

semplice, con quattro finestre, un<br />

tavolo che fungeva da cattedra e<br />

dei banchi simili a quelli<br />

universitari. Le se<strong>di</strong>e erano già<br />

tutte piene, c’erano anche i miei<br />

compagni <strong>di</strong> viaggio, i nostri


professori, Salome e… poi lo vi<strong>di</strong>:<br />

Edward, in tutta la sua bellezza<br />

esotica. Sembrò non accorgersi<br />

della mia presenza. Mi appoggiai<br />

al muro vicino al banco <strong>di</strong> Jante.<br />

«Jambo!» mi salutò lei sottovoce,<br />

ormai erano tutti in silenzio. Le<br />

sorrisi, era così dolce quella<br />

ragazza! Portava un velo azzurro<br />

cielo a raccoglierle i capelli.<br />

«Bene, ragazzi. Buon pomeriggio a<br />

tutti», ci salutò Edward parlando<br />

alla classe.<br />

«Our italian friends are going to<br />

teach you Italian» continuò in<br />

inglese. Avevo paura <strong>di</strong> guardarlo,<br />

temevo si accorgesse del mio<br />

sguardo incantato. Ma lui non mi<br />

degnò <strong>di</strong> un’occhiata per tutto il<br />

tempo e all’improvviso mi ricordai<br />

ciò che mi aveva detto Martina. Mi<br />

promisi <strong>di</strong> non fare la quin<strong>di</strong>cenne<br />

innamorata e <strong>di</strong> tenere un<br />

comportamento <strong>di</strong>gnitoso.


I professori <strong>di</strong>visero i ragazzi in<br />

due classi e assegnarono me,<br />

Martina e Antonello a una classe<br />

con la supervisione <strong>di</strong> Edward<br />

mentre Annalia, Maria e Marco<br />

con Salome nell’altra classe.<br />

Passai il resto della lezione a fare<br />

amicizia con i ragazzi kenyoti e<br />

scoprii che erano davvero forti.<br />

Non avevo mai visto gente<br />

estranea parlarmi con così tanto<br />

calore. Erano sempre pronti a<br />

donarmi un sorriso. C’era uno<br />

scambio culturale veramente<br />

formativo. In particolare strinsi<br />

amicizia con Jante, Helen e Davis.<br />

Jante aveva ventun anni e aveva<br />

tratti del viso gentili. I suoi<br />

genitori erano <strong>di</strong> origini in<strong>di</strong>ane<br />

ma lei aveva sempre vissuto in un<br />

villaggio vicino a Malin<strong>di</strong>. Era<br />

musulmana, ma la sua migliore<br />

amica Helen era cristiana. Helen<br />

era alta, scura e dalle forme


morbide, tipica bellezza africana.<br />

Prima <strong>di</strong> arrivare nella scuola<br />

viveva con sua madre e i suoi<br />

cinque fratelli in una capanna fuori<br />

Malin<strong>di</strong>. La cosa che adorava <strong>di</strong><br />

più era andare a messa. E poi c’era<br />

Davis, davvero un gran<br />

simpaticone, era anche abbastanza<br />

carino. Non gli piaceva molto<br />

parlare della sua famiglia.<br />

“Probabilmente perché ha avuto<br />

un’infanzia infelice!” pensai.<br />

Poi venni a sapere dalla<br />

professoressa Magli che Davis era<br />

stato uno streetchild, cioè un<br />

ragazzino che viveva per strada,<br />

generalmente in bande. Gli<br />

streetchildren erano figli <strong>di</strong><br />

prostituzione, non avevano<br />

famiglia, dormivano dove capitava<br />

e si de<strong>di</strong>cavano a piccole attività<br />

criminali come furti e rapine.<br />

Spesso erano costretti a sniffare<br />

una specie <strong>di</strong> colla per non sentire i


morsi della fame. Davis<br />

fortunatamente aveva incontrato<br />

Salome, che aveva creduto in lui e<br />

l’aveva portato in quella scuola per<br />

insegnargli un mestiere onesto. A<br />

una prima occhiata sembravano<br />

tutti spensierati quei ragazzi, ma<br />

pian piano capii che il mondo in<br />

cui mi stavo tuffando non era<br />

affatto felice.<br />

Dopo la lezione avevamo la messa.<br />

Uscendo dall’aula cercai Edward<br />

con lo sguardo.<br />

Martina mi raggiunse. «Se n’è già<br />

andato!»<br />

Diventai bordeaux. «Cosa? Chi?»<br />

Mi guardò con uno sguardo che<br />

voleva <strong>di</strong>re Tanto ti ho scoperta!,<br />

così cambiai <strong>di</strong>scorso. «Senti, vado<br />

a prendere un copri spalle<br />

altrimenti in chiesa non posso<br />

entrare. Come ci si arriva<br />

precisamente?»


«Ve<strong>di</strong> quel corridoio?» In<strong>di</strong>cò un<br />

corridoio dall’altra parte dell’atrio.<br />

«Superalo e gira a destra. Subito<br />

dopo il giar<strong>di</strong>no c’è la chiesetta. Io<br />

inizio ad andare così prendo i<br />

posti.»<br />

Le <strong>di</strong>e<strong>di</strong> l’ok con la mano e mi<br />

avviai a passo svelto verso le scale,<br />

arrivai davanti alla porta verde<br />

della mia stanza ed estrassi la<br />

chiave dai pantaloncini. Scelsi una<br />

pashmina rosa chiaro, la sistemai<br />

<strong>di</strong>spiegata sulle spalle e la fermai<br />

con un fiocco sulla clavicola.<br />

Mentre scendevo le scale sentii<br />

una voce dalla base della rampa.<br />

«Ehi, ciao!» Era Antonello.<br />

«Ah, ciao…» risposi stupita «non<br />

vai a messa?»<br />

«Sì, sono andato un attimo a<br />

sistemarmi i capelli», in<strong>di</strong>cò un<br />

piccolo spazio nel sottoscala da cui<br />

era stato ricavato un mini bagno.<br />

«An<strong>di</strong>amo insieme?» continuò.


«Beh, sì…» risposi intimi<strong>di</strong>ta. In<br />

fondo non c’era nulla <strong>di</strong> male.<br />

Uscimmo nell’atrio e ci <strong>di</strong>rigemmo<br />

verso il corridoio che mi aveva<br />

in<strong>di</strong>cato Martina. Mentre<br />

camminavamo, Antonello mi<br />

sfiorava le braccia con le sue; era<br />

una sensazione strana… era gentile<br />

nei mo<strong>di</strong> e nelle parole e quasi mi<br />

pentii <strong>di</strong> averlo ritenuto irritante.<br />

Arrivammo in fondo al corridoio<br />

spoglio e io girai a destra.<br />

«Ehi, dove vai?» mi bloccò<br />

Antonello.<br />

«Scusa, non è <strong>di</strong> qua la chiesa?»<br />

domandai.<br />

«Ti sbagli, è a sinistra!» <strong>di</strong>sse in<br />

tono canzonatorio.<br />

«No, Martina mi ha detto <strong>di</strong> girare<br />

a destra del corridoio!» replicai.<br />

Credevo <strong>di</strong> ricordare bene le parole<br />

della mia amica, ma la sua<br />

insistenza mi stava convincendo<br />

del contrario.


«Dai, vieni che facciamo tar<strong>di</strong>.»<br />

«Sei sicuro?»<br />

«Sì, fidati dolcezza.»<br />

Riluttante mi incamminai dalla<br />

parte opposta. Dopo aver svoltato<br />

un altro angolo non vedevo nessun<br />

giar<strong>di</strong>no, ma soltanto una porta,<br />

probabilmente un’aula. Mi guardai<br />

intorno.<br />

«Hai visto che era…» Non<br />

terminai la frase che lui mi posò un<br />

<strong>di</strong>to sulle labbra.<br />

Mi spinse piano verso la porta<br />

mentre si avvicinava sempre <strong>di</strong> più<br />

al mio viso. In quell’attimo non<br />

capii cosa stessa succedendo.<br />

«Sai…» mi sussurrò all’orecchio<br />

destro mentre con la mano mi<br />

cingeva la vita. «Dal primo istante<br />

che ti ho vista mi sono subito<br />

innamorato <strong>di</strong> te…»<br />

Rimasi stupita e cercai <strong>di</strong><br />

allontanarlo, ma lui aprì la porta<br />

alle mie spalle. Mi ritrovai in una


stanza luminosa e calda con pochi<br />

banchi.<br />

Antonello era ancora avvinghiato a<br />

me.<br />

«Senti, non mi piace stare qui,<br />

perché non ne parliamo in<br />

giar<strong>di</strong>no?» Cercai <strong>di</strong> <strong>di</strong>vincolarmi<br />

ma lui mi abbracciò più forte.<br />

Sentivo il suo respiro sul mio collo<br />

e il battito del suo cuore contro il<br />

mio. Avevo paura perché non<br />

sapevo che cosa avesse intenzione<br />

<strong>di</strong> fare. «Mi devi lasciare subito!»,<br />

insistetti.<br />

Mi spinse contro una parete. Le<br />

sue mani si spostavano lungo la<br />

mia schiena, salì più su e mi<br />

slacciò lo scialle.<br />

«Voglio solo un bacio…»<br />

mormorò.<br />

Cercai inutilmente <strong>di</strong> liberarmi ma<br />

mi strinse i polsi. Ora faceva male.<br />

«Guarda che mi metto a strillare!»,<br />

ringhiai.


«Se stai buona ce ne an<strong>di</strong>amo tra<br />

poco… e poi non ti sentirebbe<br />

nessuno, sono tutti in chiesa. Sai<br />

che c’è il canto d’apertura?»<br />

Sembrava così tranquillo, come se<br />

fosse naturale ciò che stava<br />

facendo. Mi baciò il collo una<br />

volta e poi, come un predatore che<br />

assapora la preda, mi baciò ancora<br />

e ancora, più insistentemente.<br />

Sentivo le sue labbra umide<br />

fremere sulla mia pelle.<br />

«Lasciami bastardo!» strillai<br />

sferrandogli una ginocchiata nelle<br />

parti basse che però lui bloccò con<br />

la coscia.<br />

«Baciami e ti lascio andare.»<br />

Mi stringeva più forte,<br />

schiacciandomi contro la parete.<br />

Poi si avventò sulle mie labbra,<br />

baciandomi, mordendomi, non<br />

sapevo se sentivo realmente dolore<br />

oppure era l’agitazione a farmi<br />

provare quelle sensazioni.


«Basta!» riuscii a urlare.<br />

«Dai… sei bellissima!» Mi infilò<br />

una mano sotto la maglietta.<br />

Ero terrorizzata, cercavo <strong>di</strong> urlare<br />

ma erano urla soffocate; volevo<br />

liberarmi ma se cercavo <strong>di</strong> farlo,<br />

sentivo i polsi stritolarsi. Chiusi gli<br />

occhi, non volevo vedere più<br />

quella faccia. Fino a che punto<br />

sarebbe arrivato? Io non volevo!<br />

Mi sollevò la maglia e mi baciò il<br />

petto e io mi sentivo in<strong>di</strong>fesa,<br />

violata e stupida per essermi fidata<br />

<strong>di</strong> lui.<br />

«Stronzo!» <strong>di</strong>ssi in un soffio.<br />

Continuò imperterrito, la sua mano<br />

scese giù, mi aprì i bottoni e le sue<br />

<strong>di</strong>ta entrarono nei miei<br />

pantaloncini. Cercai ancora<br />

<strong>di</strong>speratamente <strong>di</strong> <strong>di</strong>vincolarmi<br />

mentre lo sentivo muoversi sulla<br />

mia pelle. Volevo scappare ma mi<br />

schiacciava contro il muro con<br />

tutta la sua forza. Raccolsi tutto il


fiato che avevo in gola e lanciai un<br />

grido acuto <strong>di</strong> cui non credevo<br />

fossi capace.<br />

«Zitta!» Mi batté violentemente la<br />

testa contro il muro e in quel<br />

momento il dolore fisico prevalse<br />

su tutto. La testa mi esplodeva e<br />

sentii qualcosa <strong>di</strong> caldo colarmi<br />

lentamente sulla nuca.<br />

All’improvviso mi sentivo debole<br />

e mi girava la testa. Sentii le<br />

gambe cedere e la mia forza con<br />

loro. Mentre mi accasciavo a terra,<br />

capii che Antonello mi stava<br />

sfilando la maglietta…<br />

Rumore <strong>di</strong> passi…<br />

<strong>Il</strong> mio aggressore cadde a terra…<br />

Dei pie<strong>di</strong> davanti a me…<br />

<strong>Il</strong> buio.<br />

Strizzai gli occhi, non c’era tanta<br />

luce.<br />

La prima cosa che sentii fu una<br />

fitta lancinante alla testa, nella


parte posteriore. Gemetti per il<br />

dolore e richiusi gli occhi. Allungai<br />

la mano per raggiungere la parte<br />

dolorante e trovai una fasciatura<br />

sotto i capelli.<br />

«Ciao.»<br />

Una voce calda alla mia destra.<br />

Strizzai ancora gli occhi, non<br />

riuscivo a mettere a fuoco. Mi<br />

voltai verso la voce e vi<strong>di</strong> una<br />

sagoma scura: nella luce soffusa<br />

<strong>di</strong>stinsi due occhi gran<strong>di</strong> e una<br />

bocca carnosa, Edward.<br />

Richiusi gli occhi per un’altra fitta<br />

fortissima e lo sentii <strong>di</strong>re: Mi hai<br />

fatto preoccupare davvero!<br />

Li riaprii. Edward era esattamente<br />

nella stessa posizione <strong>di</strong> prima.<br />

“L’ho sognato!” pensai.<br />

Poi mi resi conto <strong>di</strong> essere sdraiata<br />

in un letto con lenzuola fresche e<br />

profumate. La luce tiepida<br />

proveniva da una lampada su <strong>di</strong> un<br />

como<strong>di</strong>no accanto al letto, nell’aria


profumo d’incenso. Tornai a<br />

guardare il suo viso e ragionai. Ero<br />

davvero in una stanza sola con<br />

Edward?<br />

«Come ti senti?» mi chiese. Era<br />

seduto su <strong>di</strong> una se<strong>di</strong>a accanto al<br />

letto.<br />

La mia risposta fu un lamento.<br />

«So che fa male. Salome ti darà un<br />

antidolorifico.»<br />

«Salome?» biascicai ancora<br />

intontita.<br />

Sorrise. «Salome è un me<strong>di</strong>co.<br />

Purtroppo da queste parti non ci<br />

sono ospedali in cui lavorare, e<br />

così fa l’educatrice… lasciamo<br />

stare. Comunque ti ha me<strong>di</strong>cata<br />

dopo che ti ho portata qui e ha<br />

detto che stai bene. Avrai solo un<br />

po’ <strong>di</strong> mal <strong>di</strong> testa.» Sorrise <strong>di</strong><br />

nuovo, così teneramente che non<br />

credetti che quel sorriso fosse<br />

proprio per me.


Chiusi gli occhi. “Sto sognando!”<br />

ripetei a me stessa. Ma quel dolore<br />

alla testa era reale. Aprii gli occhi:<br />

Edward era ancora lì.<br />

«Cos’è successo?» riuscii a<br />

chiedere.<br />

<strong>Il</strong> suo viso s’incupì. «Ho sentito<br />

delle urla mentre andavo in chiesa.<br />

Sono accorso e ti ho trovata in<br />

un’aula accasciata a terra con<br />

Antonello che…» s’interruppe.<br />

Ah, sì, ora ricordavo. Antonello.<br />

Come aveva potuto? Dopo che mi<br />

aveva fatto sbattere la testa contro<br />

il muro non ricordavo più nulla.<br />

«Che cosa…» sospirai. Era<br />

<strong>di</strong>fficile fare quella domanda.<br />

«Niente», intervenne lui «non ti ha<br />

fatto niente. Sono arrivato quando<br />

ti stava togliendo la maglietta.»<br />

«Oh Dio!» <strong>di</strong>ssi a bassa voce. Ero<br />

incredula, ferita… cominciai a<br />

piangere. Ogni singhiozzo era una<br />

fitta alla testa e questo mi faceva


piangere ancora <strong>di</strong> più. Ero<br />

arrabbiata e mi vergognavo.<br />

All’improvviso mi resi conto che<br />

ero in intimo sotto le lenzuola. Mi<br />

tirai il lenzuolo fin sopra il naso, vi<br />

affondai il viso e piansi ancora più<br />

forte.<br />

«Ti prego…» sussurrò Edward.<br />

Non avevo la forza <strong>di</strong> guardarlo.<br />

Non avevo più i capelli legati,<br />

erano sciolti e mi ricadevano sul<br />

viso. Mi sentivo protetta dagli<br />

occhi <strong>di</strong> Edward, però poteva<br />

sentirmi.<br />

«Ehi, mahaba yangu…» La sua<br />

voce era dolce e intensa. Con la<br />

mano mi sfiorò il viso scostandomi<br />

i capelli ormai fra<strong>di</strong>ci. A quel tocco<br />

tremai e lo guardai. Avevo gli<br />

occhi gonfi e mi sentivo debole.<br />

Sicuramente non avevo un<br />

bell’aspetto… mi sentivo nuda<br />

davanti ai suoi occhi. E poi come<br />

poteva lui essere così gentile con


me? In fondo non mi conosceva,<br />

eppure mi aveva salvata e ora mi<br />

stava vicino… non capivo più<br />

nulla. Lo osservai per un attimo: i<br />

suoi occhi erano tristi e mi<br />

fissavano in un modo che non<br />

seppi interpretare.<br />

Sentii ancora le lacrime rigarmi il<br />

viso. All’improvviso Edward mi<br />

tirò a sé e mi strinse al suo petto.<br />

Sentii il suo profumo inondarmi le<br />

narici e il suo calore scaldarmi il<br />

cuore. Le sue braccia forti erano<br />

come un nido in cui trovare riparo.<br />

Per un attimo smisi <strong>di</strong> piangere e<br />

forse anche <strong>di</strong> respirare.<br />

«Non devi avere paura. Ci sono io<br />

qui.»<br />

Una nuova ondata <strong>di</strong> lacrime<br />

esplose dai miei occhi. Era un<br />

pianto liberatore, stille amare<br />

contro quell’ingiustizia terribile da<br />

cui Edward mi aveva salvata.<br />

Sempre tenendomi stretta prese a


dondolare avanti e in<strong>di</strong>etro, lui<br />

sulla se<strong>di</strong>a, io seduta sul letto<br />

cullata da lui.<br />

«Tuingie, tuingie, kwa yawe<br />

bwana, furaha gani, siku ya leo…»<br />

lo sentii cantare sottovoce una<br />

melo<strong>di</strong>a armoniosa. Non ne capivo<br />

il significato, ma lui continuò<br />

finché lentamente le mie lacrime<br />

cessarono e io iniziai a rilassarmi.<br />

D’improvviso sentii bussare alla<br />

porta. Si staccò e mi guardò per<br />

assicurarsi che stessi meglio, poi<br />

mi sorrise. Ero così vicina al suo<br />

viso… volevo tuffarmi nei suoi<br />

occhi stupen<strong>di</strong> e baciare quelle<br />

labbra piene.<br />

«Come in», rispose in inglese<br />

adagiandomi sul cuscino e<br />

accarezzandomi la mano. Mi<br />

sentivo strana, era come se mi<br />

trovassi in un altro mondo…<br />

invece era vero, ero proprio lì: era


solo il primo giorno in Kenya e già<br />

erano successe così tante cose!<br />

Entrò Salome. «Ah, ti sei<br />

svegliata!» mi <strong>di</strong>sse in italiano.<br />

«Come ti senti?»<br />

Edward mi guardò. «Mi fa male la<br />

testa» risposi.<br />

«È normale. Nient’altro?»<br />

continuò la donna.<br />

Scossi la testa. Pessima idea, che<br />

dolore!<br />

«Bene. A proposito, ho preferito<br />

farti riposare senza vestiti per stare<br />

più fresca, fa molto caldo. Ti ho<br />

portato un antidolorifico, se ne hai<br />

bisogno più tar<strong>di</strong> pren<strong>di</strong>lo.» Anche<br />

lei, come Edward, parlava bene<br />

l’italiano.<br />

«Grazie Salome.» risposi<br />

tristemente.<br />

«È un piacere.» Sorrise. «Qui c’è<br />

qualcosa da mangiare» continuò<br />

in<strong>di</strong>cando il vassoio che teneva in<br />

mano.


«È già ora <strong>di</strong> cena?» chiesi allibita.<br />

Salome sorrise <strong>di</strong> nuovo. «Edward<br />

ti spiegherà tutto. Ora devo<br />

andare.»<br />

«Grazie» ripetei prima che uscisse.<br />

Guardai Edward e lui capì che<br />

volevo spiegazioni.<br />

«Sono le <strong>di</strong>eci. L’orario <strong>di</strong> cena è<br />

passato da un pezzo, però Salome<br />

ti ha tenuto in caldo qualcosa.»<br />

«In che stanza sono?» chiesi. Non<br />

era la mia, c’era solo un letto.<br />

«Bè… nella mia» rispose un po’<br />

imbarazzato. «Era l’unico posto in<br />

cui potevi stare tranquilla e dove<br />

Salome può accedere facilmente.»<br />

«Nella tua?» ripetei incredula. La<br />

sua stanza? Quin<strong>di</strong> quello era il<br />

suo letto?<br />

«Non fare quella faccia!» scherzò.<br />

«Ascolta, devo scendere nell’atrio<br />

per parlare con i professori e<br />

sistemare la situazione. Cosa vuoi<br />

che <strong>di</strong>ca loro?»


Esitai. Da una parte non volevo<br />

che gli altri sapessero, però<br />

dall’altra volevo farla pagare a<br />

quel verme <strong>di</strong> Antonello.<br />

«Quando torno in Italia lo<br />

denuncio <strong>di</strong> sicuro!» risposi.<br />

«Va bene, ho capito. Torno più<br />

tar<strong>di</strong> per vedere come stai.»<br />

Annuii. Ancora una volta: pessima<br />

idea, una fitta alla testa.<br />

Si alzò, era così alto! E il suo<br />

corpo era così armonioso… come<br />

modellato dalle mani <strong>di</strong> un artista<br />

dell’antica Grecia.<br />

«Edward» lo chiamai prima che<br />

uscisse. Ma poi mi pentii subito:<br />

che cavolo volevo <strong>di</strong>rgli? «Senti,<br />

io… volevo sapere…» Inspirai.<br />

«…Perché fai tutto questo per<br />

me?» chiesi tutto d’un fiato.<br />

Lui mi guardò, si avvicinò al letto<br />

e si chinò verso <strong>di</strong> me. Ero così<br />

tesa che strinsi le lenzuola nelle<br />

mani. Avvicinò il suo viso al mio e


mi inebriai del suo odore, sentivo<br />

il suo respiro. Mi guardò <strong>di</strong>ritta<br />

negli occhi. Anch’io lo guardai. Li<br />

chiuse e posò le sue labbra sulla<br />

mia fronte per un istante che a me<br />

parve lunghissimo, ma anche<br />

troppo breve. Poi, senza una<br />

parola, uscì. Anch’io ero senza<br />

parole.<br />

Mi lasciai cadere sul cuscino, la<br />

testa mi faceva troppo male. Decisi<br />

<strong>di</strong> prendere la pillola che Salome<br />

mi aveva lasciato sul como<strong>di</strong>no,<br />

avevo bisogno <strong>di</strong> rilassarmi.<br />

Ancora non riuscivo a credere <strong>di</strong><br />

essere nella stanza <strong>di</strong> Edward.<br />

Quella mattina, quando l’avevo<br />

visto per la prima volta, mi era<br />

parso così irraggiungibile… e<br />

invece ero lì. Non riuscivo neanche<br />

a credere a ciò che mi aveva fatto<br />

Antonello. Secondo lui nessuno lo<br />

avrebbe scoperto? Io non avrei<br />

parlato? Mah!


Bussarono alla porta. «Avanti»,<br />

risposi d’istinto.<br />

Poi pensai. “E se fosse Antonello?”<br />

Come potevo <strong>di</strong>fendermi? Prima<br />

che la porta si aprisse del tutto,<br />

afferrai la lampada dal como<strong>di</strong>no,<br />

scombussolando le ombre della<br />

stanza: era l’unico oggetto che<br />

assomigliava <strong>di</strong> più a un’arma.<br />

«Ehi, ma che fai?» Una voce<br />

femminile.<br />

«Martina, sei tu!» Che gran<br />

sollievo! Bè, probabilmente<br />

Antonello non avrebbe bussato.<br />

«Che volevi fare con quella<br />

lampada?»<br />

«Niente, niente!», mi affrettai a<br />

rispondere mettendola a posto.<br />

Mi guardò e mi porse degli abiti<br />

puliti, li aveva presi dalla mia<br />

valigia. Mi infilai solo la maglietta.<br />

«Grazie.»


Prese il vassoio dalla scrivania.<br />

«Tieni, mangia. Come ti senti?»<br />

Me lo posò sulle gambe.<br />

«Diciamo bene.» L’antidolorifico<br />

cominciava a fare effetto.<br />

«Mi spieghi cos’è successo? Sei<br />

sparita!» chiese accarezzandomi la<br />

testa fasciata. In fondo era una<br />

brava ragazza, se non ci fosse stata<br />

lei mi sarei sentita così sola!<br />

«Edward non ti ha raccontato<br />

niente?»<br />

«No. Gli ho chiesto spiegazioni,<br />

ma ha detto che dovevi essere tu a<br />

<strong>di</strong>rmelo.»<br />

“Che tenero!” pensai.<br />

«Va bene. Prima <strong>di</strong>mmi una cosa:<br />

Antonello dov’è?» chiesi.<br />

«Antonello? Non vedo nemmeno<br />

lui da un po’, ma ho sentito Sister<br />

Rosina parlare con Salome e<br />

<strong>di</strong>ceva che era chiuso in un’aula<br />

con la professoressa Magli.»


“Almeno lo tengono d’occhio!”<br />

pensai portando alla bocca una<br />

forchettata <strong>di</strong> spaghetti. Ora che ci<br />

pensavo avevo il vago ricordo <strong>di</strong><br />

averlo visto per terra prima che<br />

svenissi. Era stato Edward?<br />

Martina mi guardava impaziente,<br />

così le raccontai tutto. Mi ascoltò a<br />

bocca aperta, non aveva parole. E<br />

alla fine la canzonai per aver<br />

giu<strong>di</strong>cato Edward senza<br />

conoscerlo. Mi abbracciò senza<br />

<strong>di</strong>re niente. Avrei tanto voluto<br />

fumare, ma era meglio <strong>di</strong> no viste<br />

le mie con<strong>di</strong>zioni. Martina mi<br />

avvisò che per quella sera era<br />

prevista una passeggiata in città,<br />

ma dato che io non stavo bene, era<br />

stata rimandata al giorno seguente.<br />

Le luci si sarebbero spente a<br />

mezzanotte, era quasi ora e la mia<br />

amica decise <strong>di</strong> avviarsi alla nostra<br />

stanza. Io invece dovevo aspettare<br />

Edward.


Quando Martina aprì la porta, si<br />

trovò davanti Jante, Helen e Davis.<br />

«Jambo rafiki!» Si affacciò Jante.<br />

«Ciao!» Ero così felice <strong>di</strong> vederli.<br />

Le ragazze si fiondarono ad<br />

abbracciarmi, mentre Davis mi<br />

sorrise. Mi fece segno <strong>di</strong> avermi<br />

portato una bottiglietta d’acqua.<br />

«Grazie, thank you!» risposi.<br />

«Hasante sana!» mi corresse lui.<br />

Io però avevo uno sguardo<br />

interrogativo.<br />

«Hasante sana means grazie<br />

tante» chiarì Helen.<br />

«Oh, hasante sana Davis, Jante and<br />

Helen!» risposi allora.<br />

Rimasero un po’ con me senza<br />

chiedermi nulla, solo<br />

accarezzandomi e sorridendomi.<br />

Poi mi <strong>di</strong>ssero che dovevano<br />

andare a dormire prima che Sister<br />

Rosina si accorgesse che erano<br />

ancora in giro: erano molto


<strong>di</strong>ligenti. Li salutai e mi rilassai in<br />

quelle lenzuola.<br />

Pensai a Edward… aveva detto che<br />

sarebbe tornato, ma ancora non si<br />

vedeva. Chiusi gli occhi cercando<br />

<strong>di</strong> scacciare tutti i brutti eventi<br />

della giornata. Cosa sarebbe<br />

successo ad Antonello?<br />

Stavo per addormentarmi quando<br />

sentii il rumore della maniglia e il<br />

lieve cigolio della porta. Aprii gli<br />

occhi <strong>di</strong> scatto e vi<strong>di</strong> Edward.<br />

«Ti ho spaventata?» mi chiese a<br />

bassa voce.<br />

«No.» Era così bello!<br />

«Non parliamo ad alta voce,<br />

perché qui accanto ci sono le<br />

stanze delle sorelle, dei tuoi<br />

professori e <strong>di</strong> Salome.»<br />

«Va bene», risposi abbozzando un<br />

sorriso.<br />

Si sedette accanto a me sul letto e<br />

gli chiesi <strong>di</strong> raccontarmi tutto <strong>di</strong><br />

Antonello. Mi raccontò che per


togliermelo <strong>di</strong> dosso gli aveva<br />

sferrato un pugno.<br />

Poi mi aveva portata in camera sua<br />

e aveva chiamato Salome che,<br />

dopo avermi me<strong>di</strong>cata, era andata a<br />

visitare Antonello sia per vedere<br />

come stava che per tenerlo<br />

d’occhio. Per sua fortuna Edward<br />

era stato buono, infatti il mio<br />

aggressore aveva solo livi<strong>di</strong>.<br />

Edward aveva parlato con le suore<br />

e i professori nell’atrio<br />

raccontandogli la situazione e la<br />

mia volontà <strong>di</strong> sporgere denuncia<br />

contro Antonello che, sotto le<br />

domande pressanti dei professori,<br />

aveva confessato tutto: aveva detto<br />

che non voleva farmi del male,<br />

voleva solo che io lo baciassi.<br />

Siccome i professori non volevano<br />

rovinare il viaggio a tutti, il<br />

professor Gennarini e sua moglie<br />

si erano offerti <strong>di</strong> riportare in Italia<br />

Antonello in attesa del mio ritorno.


Ero felicissima <strong>di</strong> non doverlo più<br />

vedere. Sarebbe partito la mattina<br />

seguente.<br />

Mentre Edward mi parlava, io<br />

sentivo sempre più che mi stavo<br />

innamorando <strong>di</strong> lui. Forse anche<br />

lui notò qualcosa <strong>di</strong> strano, perché<br />

a un certo punto si fermò e mi<br />

chiese se stessi bene.<br />

«Sì, sì… ti ringrazio <strong>di</strong> tutto.»<br />

Lo guardai con gratitu<strong>di</strong>ne. Anche<br />

lui mi guardò. Mi sentivo catturata<br />

da quegli occhi e per un attimo mi<br />

sembrò che si stesse avvicinando.<br />

Invece si alzò e andò a spostare<br />

una piccola tenda in cotone<br />

in<strong>di</strong>ano che copriva parzialmente<br />

la finestra della stanza. Spense la<br />

lampada e la stanza si illuminò <strong>di</strong><br />

una luce can<strong>di</strong>da e delicata. Pensai<br />

che fosse la luce della luna.<br />

«Hai mai visto il cielo africano <strong>di</strong><br />

notte?» mi chiese.<br />

«No» risposi incuriosita.


«Allora non puoi perdertelo»<br />

continuò. Si voltò verso la finestra.<br />

«Dai, indossa i pantaloni che ti<br />

aiuto a venire qui. Non ti guardo.»<br />

Diventai <strong>di</strong> tutti i colori ma per<br />

fortuna lui non poteva vedermi.<br />

Ero tesa e felice al tempo stesso,<br />

non avevo mai conosciuto nessuno<br />

così dolce e premuroso. Mi accorsi<br />

d’un tratto che mi fidavo <strong>di</strong> lui<br />

incon<strong>di</strong>zionatamente, ma decisi<br />

che non volevo rovinare quel<br />

momento con i miei dubbi.<br />

«Fatto» <strong>di</strong>ssi a bassa voce. Non mi<br />

era costato tanta fatica vestirmi,<br />

però stando in pie<strong>di</strong> mi girava la<br />

testa. Edward si voltò e venne<br />

verso <strong>di</strong> me.<br />

«Mi permetti <strong>di</strong> aiutarti?» mi<br />

chiese.<br />

Annuii timidamente.<br />

«Ok. Metti un braccio qui.» Cinse<br />

la sua vita con il mio braccio<br />

sinistro. Indossava una camicia


coreana in lino leggero, potevo<br />

sentire il calore della sua pelle<br />

attraverso il tessuto. Non volevo<br />

stringere, temevo <strong>di</strong> sembrare<br />

sfacciata. Gentilmente fece<br />

scivolare la sua mano destra<br />

intorno alla mia vita. Mi si bloccò<br />

il respiro. Mi teneva in modo<br />

deciso ma delicato, aveva le mani<br />

gran<strong>di</strong> e forti. «Bene. Salome ha<br />

detto che per oggi dovevi solo<br />

riposare, ma se ti aiuto io non<br />

credo che sarà un problema<br />

raggiungere la finestra.»<br />

Aveva ragione. La finestra <strong>di</strong>stava<br />

circa tre metri dal letto e solo una<br />

volta dovetti fermarmi perché mi<br />

sembrava che la stanza si piegasse<br />

su se stessa. Approdai al<br />

davanzale: non era in marmo come<br />

in genere si usava in Italia, era <strong>di</strong><br />

un legno scuro e sottile.<br />

«Reggiti, eh» Si allungò per<br />

avvicinarmi una se<strong>di</strong>a vicina alla


porta del bagno, ma non lasciò mai<br />

la presa. Mi fece accomodare e mi<br />

<strong>di</strong>sse <strong>di</strong> alzare lo sguardo.<br />

Ciò che vi<strong>di</strong> fu un mantello scuro<br />

incastonato da migliaia <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>amanti. Non c’erano palazzi a<br />

ostruire la visuale, non c’era<br />

inquinamento da luce, era<br />

completamente buio fuori, e non<br />

c’era neanche quello strato <strong>di</strong><br />

smog che opacizzava un po’ il<br />

firmamento dalle mie parti. <strong>Il</strong> cielo<br />

era nitido e appariva in tutta la sua<br />

immensità, profon<strong>di</strong>tà. La luce che<br />

prima avevo notato entrare dalla<br />

finestra non era la luce della luna,<br />

che si trovava solo in un angolo,<br />

era la luce delle stelle. Tantissime<br />

stelle, luminosissime stelle che io<br />

non conoscevo. Avevo sempre<br />

scrutato il cielo fin da piccola, mi<br />

affascinava, faceva <strong>di</strong>ventare i miei<br />

problemi piccoli piccoli e respirare<br />

l’aria fresca della notte riempiva i


miei polmoni <strong>di</strong> immensità, <strong>di</strong><br />

notte, <strong>di</strong> mistero. Ma lì mi trovavo<br />

sotto l’equatore e quelle<br />

costellazioni non le conoscevo.<br />

Erano stelle nuove, un altro mondo<br />

da scoprire. Restai qualche minuto<br />

incantata a fissare quella<br />

meraviglia.<br />

«Wow», riuscii a <strong>di</strong>re poi.<br />

«Ti piace?»<br />

Mi voltai verso <strong>di</strong> lui. I suoi occhi<br />

brillavano <strong>di</strong> quel chiarore eterno<br />

che ci sovrastava.<br />

«Sì» risposi.<br />

Con fatica <strong>di</strong>stolse lo sguardo dal<br />

mio e mi in<strong>di</strong>cò un punto preciso<br />

del cielo. «Guarda. Quelle piccole<br />

stelle formano la Croce del Sud. È<br />

il nostro punto d’orientamento.»<br />

«Come per noi lo è la stella polare.<br />

È bellissima!» risposi guardando<br />

quel punto che ora <strong>di</strong>ventava più<br />

familiare.


«Sì, come te» mi <strong>di</strong>sse con voce<br />

profonda.<br />

Mi voltai a guardarlo. Avevo<br />

sentito bene? Eravamo così vicini!<br />

Avrei tanto voluto baciarlo, ma<br />

non sapevo cosa avrebbe<br />

pensato… lo conoscevo da poco e<br />

non volevo rovinare tutto, però <strong>di</strong><br />

certo non l’avrei respinto se fosse<br />

stato lui a fare la prima mossa.<br />

Anche lui mi guardava. Si avvicinò<br />

lentamente guardandomi prima gli<br />

occhi e poi le labbra. Si avvicinò<br />

ancora… si chinò da un lato e<br />

premette le labbra contro la mia<br />

guancia. Credetti <strong>di</strong> sciogliermi<br />

come un gelato al sole. Poi si<br />

allontanò lentamente e io lo fissai<br />

per un po’.<br />

Si alzò in pie<strong>di</strong> e mi tese la mano.<br />

«Che ne <strong>di</strong>ci <strong>di</strong> andare a dormire?»<br />

«Dove dormirò?» chiesi mentre mi<br />

avvolgeva con il braccio sinistro.<br />

Era una sensazione meravigliosa,


mi sentivo protetta. Eppure volevo<br />

sapere perché mi aveva baciata e<br />

poi all’improvviso voleva andare a<br />

dormire. La testa cominciava a<br />

farmi <strong>di</strong> nuovo male, ma non<br />

volevo altre me<strong>di</strong>cine, mi sarei<br />

rilassata dormendo.<br />

«Qui» rispose Edward facendomi<br />

sedere sul letto.<br />

Spalancai gli occhi. «Qui? E tu? E<br />

i professori lo sanno che sono in<br />

camera tua?»<br />

«Primo: io dormirò qui.» Tirò fuori<br />

da <strong>di</strong>etro l’arma<strong>di</strong>o una bran<strong>di</strong>na<br />

piegata in due. «Secondo: i<br />

professori si fidano <strong>di</strong> me perché<br />

anch’io sono un insegnante, quin<strong>di</strong><br />

non c’è problema.» Sorrise e mi si<br />

avvicinò. «Volevo chiederti scusa.»<br />

«E per cosa?» domandai<br />

esterrefatta. Era stato così gentile!<br />

«Per quello che è successo poco fa.<br />

Non avrei dovuto baciarti e non


voglio sembrare maleducato o<br />

spaventarti. Non si ripeterà.»<br />

“Oh, no!” pensai “Perché pensa<br />

che sia stato uno sbaglio?” Forse si<br />

era accorto che non gli piacevo<br />

abbastanza. Abbassai lo sguardo.<br />

«Non preoccuparti» risposi<br />

mestamente.<br />

«Ok, lala salama. Buonanotte<br />

Selene.»<br />

«Buonanotte Edward.»<br />

Chiusi gli occhi. Volevo lasciarmi<br />

andare, ma pensai a lungo a tutto<br />

quello che mi era successo in un<br />

solo giorno. Finalmente mi<br />

addormentai ed ebbi un sonno<br />

senza sogni o meglio, come <strong>di</strong>ceva<br />

la mia professoressa <strong>di</strong> psicologia:<br />

«Tutti sogniamo, tutte le notti.<br />

Solo che spesso non rimane<br />

neanche un minimo ricordo che ci<br />

faccia capire che abbiamo<br />

sognato.»


Io <strong>di</strong> quella notte non rammentavo<br />

sogni e per me era insolito, perché<br />

mi ricordavo sempre tutti i sogni<br />

che facevo, ogni notte. Anzi,<br />

qualche volta mi svegliavo stanca<br />

tanto il sogno era stato intenso e<br />

reale, che mi sembrava <strong>di</strong> non aver<br />

dormito affatto.<br />

JUMANNE (MARTEDÌ), 06/09/2005<br />

Bussarono alla porta <strong>di</strong>verse volte<br />

prima che potessi realizzare dove<br />

mi trovassi. La luce del mattino era<br />

penetrante e illuminava tutta la<br />

stanza.<br />

«Avanti…» <strong>di</strong>ssi con la bocca<br />

ancora impastata dal sonno.<br />

Era la professoressa Magli.<br />

«Buongiorno Lofredo!» trillò con


la sua voce squillante. Ascoltarla <strong>di</strong><br />

prima mattina era davvero<br />

irritante. Entrò con al seguito<br />

Maria e Annalia, sempre<br />

appiccicate come due comari.<br />

«Come ti senti?» mi chiese. Non<br />

avevo ancora avuto tempo <strong>di</strong><br />

pensarci, ma effettivamente la testa<br />

non mi faceva più male.<br />

«Bene, grazie.»<br />

«<strong>Il</strong> professor Gennarini è già<br />

partito» mi informò. Bene, non<br />

avrei rivisto più Antonello, era un<br />

sollievo. «Adesso Martina ti<br />

porterà la colazione e poi, se te la<br />

senti, raggiungi il professor Murthi<br />

Ching in classe per la lezione.<br />

Ragazze, salutate la vostra<br />

collega.»<br />

Già… Edward! Mi guardai attorno:<br />

la bran<strong>di</strong>na era a posto e <strong>di</strong> lui non<br />

c’era traccia, era uscito senza<br />

svegliarmi. Intanto sentivo come in<br />

lontananza le voci delle due


agazze che si alternavano nel<br />

<strong>di</strong>rmi parole gentili, <strong>di</strong> circostanza.<br />

Rispondevo con sorrisi, ma in<br />

realtà pensavo ad altro, alla sera<br />

prima. A un certo punto se ne<br />

andarono ed entrò Martina con un<br />

vassoio in una mano e nell’altra il<br />

mio cellulare e una busta con dei<br />

miei vestiti.<br />

«Buongiorno amo’!» Poggiò tutto<br />

sul letto.<br />

«Sei un tesoro!» la ringraziai.<br />

«Allora? Dimmi tutto! Notte <strong>di</strong><br />

fuoco?»<br />

«Ma che <strong>di</strong>ci?» risposi in fretta<br />

«Abbiamo solo parlato e poi<br />

dormito! Ognuno al proprio<br />

posto!» sottolineai. Non volevo<br />

raccontarle subito la storia del<br />

bacio anche perché Edward era<br />

sembrato quasi pentito. Dovevo<br />

prima capire cosa c’era tra noi, se<br />

c’era qualcosa.


«Se lo <strong>di</strong>ci tu! Comunque se te la<br />

senti, vestiti che an<strong>di</strong>amo a<br />

lezione.»<br />

Annuii senza esitazione, avevo<br />

voglia <strong>di</strong> uscire. Ma prima presi il<br />

telefono e trovai un sms <strong>di</strong><br />

Fiorella:<br />

Ingrata, mi farai morire! Che fine<br />

hai fatto?<br />

Anche papà mi aveva scritto un<br />

sms:<br />

Com’è stata la prima giornata in<br />

Kenya? Ti sei <strong>di</strong>vertita? Già ci<br />

manchi! Papà<br />

Papà mio! Se solo avesse saputo<br />

cos’era successo alla sua adorata<br />

figlia. Però non volevo far<br />

preoccupare i miei genitori, avrei<br />

raccontato loro l’accaduto con più<br />

calma, perciò gli scrissi:


Tutto bene qui, ho solo avuto un<br />

litigio con un compagno, non<br />

preoccupatevi. TVB un casino,<br />

baci a te, a mamma e a Giacomino<br />

mio!<br />

A Fiorella invece scrissi:<br />

Tesoro mio sapessi quante cose<br />

sono successe! Non basterebbero<br />

100 € <strong>di</strong> sms per spiegarti! Ti <strong>di</strong>co<br />

solo che qualcuno è stato un<br />

bastardo e qualcuno un angelo!<br />

TVB<br />

Pagavo un sacco a ogni sms e il<br />

cre<strong>di</strong>to volevo farlo durare almeno<br />

per un po’. Mangiai in fretta un<br />

toast vuoto, parte della mia<br />

colazione. Non c’erano né<br />

marmellata né nutella ovviamente.<br />

Alzandomi per cambiarmi notai<br />

con piacere che non mi girava più


la testa. Trovai un bigliettino sul<br />

como<strong>di</strong>no ma non era <strong>di</strong> Edward.<br />

Ti lascio questa pillola anti<br />

vertigini. Potresti averne bisogno<br />

oggi, riguardati, Salome<br />

“È un bravo me<strong>di</strong>co”, pensai<br />

mettendo la pillola nella tasca<br />

posteriore della gonna <strong>di</strong> jeans che<br />

Martina mi aveva portato.<br />

Indossai una maglietta arancione a<br />

maniche corte e, per coprire la<br />

benda, lasciai i capelli sciolti e<br />

indossai una bandana giallo chiaro.<br />

Infine un filo <strong>di</strong> matita, giusto<br />

perché volevo essere più<br />

presentabile per Edward rispetto al<br />

giorno prima. Scendemmo le scale,<br />

io sottobraccio a Martina.<br />

La lezione era nella stessa aula<br />

dove il pomeriggio precedente<br />

avevamo fatto amicizia con gli<br />

studenti, ma la porta era chiusa,


probabilmente eravamo in ritardo.<br />

Martina bussò e mi fece entrare.<br />

«Karibu, Selene! Welcome,<br />

Selene!» Sentii un coro generale e<br />

uno scroscio <strong>di</strong> mani. Tutti gli<br />

studenti mi accolsero e mentre mi<br />

sommergevano <strong>di</strong> abbracci per<br />

salutarmi vi<strong>di</strong> Edward con la coda<br />

dell’occhio. I suoi occhi si<br />

illuminarono e alzò la mano in<br />

gesto <strong>di</strong> saluto… sorrisi. Quando<br />

tutti tornarono a posto, io e<br />

Martina ci sedemmo accanto alla<br />

cattedra.<br />

Edward presentò l’argomento della<br />

giornata: in<strong>di</strong>cativo presente dei<br />

verbi essere e avere. Quando<br />

lavorava non mi guardava<br />

minimamente. Scrisse le<br />

coniugazioni alla lavagna, poi le<br />

fece leggere a Martina e passò la<br />

parola a me per fare degli esempi. I<br />

ragazzi prendevano appunti, ma<br />

non tutti avevano un quaderno,


alcuni <strong>di</strong> loro avevano solo dei<br />

fogli. Chi invece il quaderno ce<br />

l’aveva, cominciava a scrivere da<br />

sopra la copertina e non lasciava<br />

neanche un margine <strong>di</strong> spazio<br />

vuoto. Girai tra i banchi per vedere<br />

come se la cavavano: mi<br />

chiamavano da tutte le <strong>di</strong>rezioni<br />

per chiedermi se avevano scritto<br />

bene o per mostrarmi i quaderni<br />

nuovi. Poi inventammo un <strong>di</strong>alogo<br />

e prima lo interpretammo io e<br />

Martina, successivamente a coppie<br />

anche loro. Ero veramente stupita<br />

dalla voglia <strong>di</strong> imparare che<br />

avevano i ragazzi: capivo in quel<br />

momento che bene prezioso era<br />

l’istruzione. Per noi era una cosa<br />

normale e non l’apprezzavamo<br />

abbastanza. Ma quei ragazzi si<br />

rendevano conto <strong>di</strong> quanto fossero<br />

fortunati rispetto a molti loro<br />

coetanei, per loro stu<strong>di</strong>are era un<br />

privilegio che toccava a pochi.


Quella situazione mi fece pensare<br />

a quanto invece era superficiale la<br />

mia società. C’era tantissima gente<br />

che stava davvero male, mentre noi<br />

che avevamo tutto ci<br />

soffermavamo sulle cose futili.<br />

Pensai che la scuola in cui mi<br />

trovavo era davvero un’idea<br />

gran<strong>di</strong>osa che serviva a creare<br />

nuove coscienze professionali in<br />

un ambiente in cui la povertà e<br />

l’ignoranza regnavano sovrane.<br />

Quei ragazzi erano davvero<br />

meravigliosi: quando arrivò l’ora<br />

<strong>di</strong> fare pausa, controvoglia<br />

posarono le penne e uscirono fuori<br />

con noi. Volevo parlare con<br />

Edward ma lui stava parlando con<br />

Salome. Lei si accorse che li<br />

fissavo e fece cenno a Edward<br />

verso <strong>di</strong> me. Lui la salutò e mi<br />

venne incontro.<br />

«Ciao» lo salutai.<br />

«Come stai?» mi chiese tranquillo.


«Oggi abbastanza bene. Stamattina<br />

non ti ho sentito…»<br />

«Ho fatto piano perché non volevo<br />

svegliarti.» Abbozzò un sorriso.<br />

«Grazie <strong>di</strong> tutto. Sei stato<br />

veramente…», fui interrotta da<br />

un’ondata <strong>di</strong> visi sorridenti che mi<br />

chiedevano spiegazioni sulle frasi<br />

che avevamo stu<strong>di</strong>ato. Rimasi un<br />

po’ delusa perché volevo<br />

continuare a parlare con Edward<br />

ma non ne ebbi modo e alla fine lo<br />

persi <strong>di</strong> vista. Non riuscivo a<br />

rispondere a tutte le domande dei<br />

ragazzi, erano troppo euforici.<br />

Ritornammo in classe per<br />

riprendere la lezione e Edward<br />

riprese a non guardarmi.<br />

Finita la lezione era già ora <strong>di</strong><br />

pranzo. Uscii fuori e tirai Martina<br />

all’ombra <strong>di</strong> un albero, avevo<br />

voglia <strong>di</strong> fumare. Dopo il<br />

trambusto del giorno prima non ne<br />

avevo ancora avuto la possibilità.


«Se fumi prima <strong>di</strong> mangiare ti<br />

buchi lo stomaco!» mi rimproverò.<br />

«Proprio tu parli! Fammi<br />

accendere!» ribattei.<br />

Scrollò le spalle e mi porse<br />

l’accen<strong>di</strong>no. Lei fumava molto più<br />

<strong>di</strong> me.<br />

In mensa ci sedemmo al tavolo <strong>di</strong><br />

Jante, Helen e Davis. Edward era<br />

al tavolo dei professori e io non<br />

osavo né avvicinarmi né guardarlo.<br />

Quel giorno la messa era subito<br />

dopo pranzo. Non dovevo prendere<br />

niente dalla camera stavolta, restai<br />

con Martina e andammo in chiesa.<br />

In realtà non sembrava una chiesa:<br />

aveva lo stesso colore del resto<br />

dell’e<strong>di</strong>ficio, c’era solo una croce<br />

sulla porta d’ingresso. Entrai e<br />

trovai un ambiente modesto con<br />

una decina <strong>di</strong> panche <strong>di</strong> legno, un<br />

minuscolo leggio e un piccolo<br />

altare con tabernacolo. Niente<br />

sfarzi, niente oro come nelle nostre


chiese, solo un’immagine della<br />

Madonna appesa a un chiodo.<br />

Vi<strong>di</strong> per la prima volta Father<br />

Joseph, sacerdote della Cattedrale<br />

<strong>di</strong> Malin<strong>di</strong> che veniva a celebrare<br />

la messa nella scuola. Indossava<br />

una camicia bianca a maniche<br />

corte e pantaloni neri. Era magro,<br />

alto e dall’aria austera, ma a<br />

sentirlo parlare s’intuiva che in<br />

realtà era un pezzo <strong>di</strong> pane. Ci<br />

<strong>di</strong>ede il benvenuto come si<br />

salutano dei vecchi amici e<br />

annunciò il primo canto. Mi<br />

aspettavo <strong>di</strong> cantare canzoni<br />

antiche e noiose come facevo da<br />

<strong>di</strong>ciotto anni, invece assistetti a<br />

una cosa meravigliosa. Le<br />

studentesse della scuola si tolsero i<br />

sandali e a gruppi <strong>di</strong> due o tre<br />

ballarono davanti all’altare,<br />

cantando una canzone allegra in<br />

swahili. Poi passarono nel<br />

corridoio tra le panche gettando


petali su <strong>di</strong> noi e sui ragazzi che<br />

cantavano a strofe alterne,<br />

sorridevano e battevano le mani<br />

con energia. Era un ritmo<br />

travolgente, anch’io cominciai a<br />

ondeggiare a ritmo della musica.<br />

Era davvero un canto <strong>di</strong> gioia per il<br />

Signore, mi sentivo partecipe della<br />

messa come non mi era mai<br />

successo prima. <strong>Il</strong> sacerdote<br />

celebrò in inglese per dare anche a<br />

noi la possibilità <strong>di</strong> capire.<br />

Seguirono altri canti, tutti così<br />

energici e pieni <strong>di</strong> vita! A un certo<br />

punto le ragazze intonarono un<br />

canto armonioso e dolce:<br />

Tuingie tuingie, kwa yawe bwana,<br />

furaha gani, siku ya leo!<br />

Riconobbi subito la melo<strong>di</strong>a: era la<br />

canzone che Edward mi aveva<br />

cantato per farmi tranquillizzare la<br />

sera precedente. Lo cercai con lo


sguardo e lo trovai, finalmente mi<br />

stava guardando. Gli sorrisi e lui<br />

ricambiò il sorriso <strong>di</strong>rigendosi<br />

verso l’altare per ricevere l’ostia.<br />

Helen era accanto a Martina, mi<br />

sporsi e le chiesi il significato <strong>di</strong><br />

quella canzone. Mi <strong>di</strong>sse: «It<br />

means chiamate tutti per gioire<br />

insieme per il Signore, giorno<br />

dopo giorno!»<br />

Quella melo<strong>di</strong>a aveva avuto il<br />

potere <strong>di</strong> calmarmi quando ne<br />

avevo più bisogno. Edward doveva<br />

essere molto credente. Vivendo la<br />

religione come facevano loro, era<br />

una gioia: venivi trasportato dalla<br />

fede stessa.<br />

Finita la messa, Mapenzi, una<br />

ragazza molto esuberante, <strong>di</strong>sse a<br />

noi ospiti <strong>di</strong> aspettare perché<br />

doveva <strong>di</strong>rci qualcosa. Andò a<br />

parlare con Sister Lucy e dopo<br />

qualche istante tornò raggiante. Ci<br />

<strong>di</strong>sse che aveva avuto il permesso


<strong>di</strong> accompagnarci in spiaggia, però<br />

dovevamo tornare per le 18.30 in<br />

modo da essere puntali per la cena.<br />

Anch’io ero felice, volevo proprio<br />

andare al mare. Senza pensarci due<br />

volte io e Martina andammo in<br />

camera a cambiarci. Indossai il<br />

mio bikini rosa, maglietta azzurra<br />

aperta sulle spalle e pantaloncini<br />

bianchi. In uno zainetto misi la<br />

crema protettiva (protezione<br />

altissima perché avevo la pelle<br />

sensibile e il sole dell’equatore era<br />

molto più forte <strong>di</strong> quello a cui ero<br />

abituata), una bottiglietta d’acqua e<br />

un telo da mare. Era il mio<br />

preferito: bianco con fiori beige e<br />

blu, me lo aveva regalato Giacomo<br />

l’estate prima. Ero pronta.<br />

Ci avviammo verso il portone<br />

d’ingresso dove avevamo<br />

l’appuntamento con gli altri.<br />

Mapenzi era in compagnia <strong>di</strong>


Davis e saltava euforica intorno ad<br />

Annalia e Maria.<br />

«Jambo Mapenzi!» la salutai. Per<br />

tutta risposta corse a prendermi<br />

sottobraccio.<br />

«Ok, an<strong>di</strong>amo!» annunciò in tono<br />

solenne. <strong>Il</strong> suo italiano era<br />

veramente molto accentato.<br />

Usciti dal portone ci trovammo in<br />

una strada larga e sterrata con<br />

palme sui lati; la terra era chiara,<br />

quasi rossa. Qua e la c’erano ville<br />

<strong>di</strong> ricconi stranieri. Dopo trecento<br />

metri in cui mi riempii i pie<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

terreno, uscimmo in una strada<br />

asfaltata dove le vecchie macchine<br />

e i tuk tuk (veicoli a tre ruote usati<br />

per il trasporto <strong>di</strong> turisti)<br />

sfrecciavano a velocità folle. Per<br />

attraversare la strada bisognava<br />

correre al momento giusto. Dopo<br />

la corsa mi girò leggermente la<br />

testa ma mi passò subito. A sinistra<br />

su quella strada si vedevano solo


palme a per<strong>di</strong>ta d’occhio, mentre a<br />

destra a breve <strong>di</strong>stanza c’erano<br />

e<strong>di</strong>fici bassi e semplici, qualche<br />

bar e intravi<strong>di</strong> anche l’insegna<br />

Bank. Noi invece proseguimmo<br />

<strong>di</strong>ritto imboccando un sentiero<br />

strettissimo che si inoltrava in una<br />

bassa boscaglia <strong>di</strong> cycas alternata a<br />

spazi sabbiosi. Le piante<br />

pungevano.<br />

Dopo aver percorso un centinaio <strong>di</strong><br />

metri notai che Martina rideva.<br />

«Ma dove cavolo ci sta portando?»<br />

Non fece in tempo a <strong>di</strong>re altro che<br />

sbucammo in spiaggia. Era una<br />

spiaggia immensa e larghissima,<br />

dal mare ci separavano almeno<br />

duecentocinquanta metri. La<br />

sabbia era completamente<br />

appiattita e non c’era ombra <strong>di</strong><br />

orme umane. Niente ombrelloni,<br />

né persone, era completamente<br />

deserta. Quando andavo al mare a<br />

Torre Canne, c’erano spiagge


private con ombrelloni a<br />

pagamento, oppure sulla spiaggia<br />

libera dovevo destreggiarmi tra<br />

decine <strong>di</strong> bagnanti per trovare un<br />

posto in cui stendere il telo. Quella<br />

spiaggia invece era un sogno.<br />

«Ecco dove ci portava!» <strong>di</strong>ssi a<br />

Martina che aveva già cominciato<br />

a correre per raggiungere l’acqua.<br />

Io continuai con calma, affiancata<br />

da Davis che <strong>di</strong>ventava sempre più<br />

un buon amico.<br />

«Habari gani? Come stai?» mi<br />

chiese.<br />

«Ehm…» Cercai <strong>di</strong> ricordare come<br />

si <strong>di</strong>ceva bene. «Mzuri sana!»<br />

risposi trionfante. Lo swahili era<br />

una lingua completamente <strong>di</strong>versa<br />

dalla mia, ma con degli insegnanti<br />

come loro era facile imparare.<br />

Lasciai le scarpe dov’erano quelle<br />

degli altri, a una decina <strong>di</strong> metri<br />

dalla riva, mi spogliai e mi riempii<br />

subito <strong>di</strong> crema altrimenti mi sarei


ustionata. Edward non era venuto<br />

con noi. Dopo ciò che era successo<br />

la sera prima avevo tanta voglia <strong>di</strong><br />

restare sola con lui visto che<br />

davanti ad altre persone non era lo<br />

stesso.<br />

Gli altri erano già in acqua. Io<br />

avevo ancora la fasciatura sulla<br />

testa, quin<strong>di</strong> non potevo bagnarla,<br />

anche se mi piaceva tuffarmi,<br />

nuotare sott’acqua e osservare il<br />

mondo sottomarino. Sapevo<br />

nuotare benissimo, sempre grazie<br />

al mio papà, che quand’ero piccola<br />

mi aveva iscritta a dei corsi nella<br />

piscina comunale. Quel giorno<br />

dovetti accontentarmi <strong>di</strong> fare il<br />

bagno come lo faceva mamma cioè<br />

senza bagnarmi i capelli (ma lei a<br />

parte il fatto <strong>di</strong> non saper nuotare,<br />

non voleva rovinarsi la messa in<br />

piega). Trovai l’acqua<br />

piacevolmente tiepida, invece a<br />

Torre Canne ero abituata a


immergermi lentamente ed era<br />

sempre un evento traumatico<br />

perché l’acqua era gelida, vista la<br />

vicinanza <strong>di</strong> un fiumiciattolo. Mi<br />

<strong>di</strong>vertii tanto quel pomeriggio e<br />

questo mi aiutò a liberare la mente<br />

dalla brutta esperienza del giorno<br />

prima. In effetti trovavo un po’<br />

strano che nessuno dei miei nuovi<br />

amici mi avesse chiesto niente<br />

sull’argomento, forse erano solo<br />

molto educati.<br />

Mentre uscivo dall’acqua notai i<br />

nostri zaini e le nostre scarpe<br />

che… galleggiavano! Corsi fuori<br />

gridando in modo che anche gli<br />

altri accorressero. Era tutto<br />

fra<strong>di</strong>cio: vestiti, sandali, telo,<br />

zaino. Per fortuna riuscii a<br />

recuperare tutto. Non riuscivo a<br />

spiegarmi come fosse possibile che<br />

fossero finiti in acqua. Davis ci<br />

spiegò che a volte la marea saliva<br />

nel giro <strong>di</strong> pochissimi minuti. La


prossima volta dovevamo lasciare<br />

tutto molto più lontano.<br />

Mapenzi ci fece strada verso una<br />

cycas poco lontano sulla quale<br />

stendemmo i nostri abiti ad<br />

asciugare. Ci sedemmo all’ombra<br />

<strong>di</strong> una palma da dattero per<br />

ripararci dal sole che dopo un po’<br />

era davvero <strong>di</strong>fficile da tollerare.<br />

Mapenzi aveva fatto il bagno in<br />

pantaloncini e maglietta<br />

(probabilmente non aveva un<br />

costume) e rimase al sole per<br />

asciugarsi. Nel mentre vi<strong>di</strong> arrivare<br />

da lontano due piccole sagome<br />

scure: erano bambini. Potevano<br />

avere sette o otto anni ed erano<br />

completamente nu<strong>di</strong>. Vennero<br />

verso <strong>di</strong> noi canticchiando.<br />

«Hello, hallo, ciao, salut!» fece il<br />

primo.<br />

«Ciao!» rispose Annalia.<br />

«Oh, italiani!» esclamò il secondo<br />

bambino.


«Come stai?» <strong>di</strong>sse il primo<br />

rivolgendosi a tutti noi.<br />

«Bene. Habari?» chiesi io.<br />

«Mzuri!» sorrise l’altro.<br />

«Come ti chiami?» chiese Maria a<br />

uno <strong>di</strong> loro.<br />

«Gennaro!» rispose questo.<br />

«Io Antonio!» <strong>di</strong>sse l’altro. Rimasi<br />

un po’ stupita.<br />

I bambini ci chiesero se avevamo<br />

delle caramelle. Non avevamo<br />

niente <strong>di</strong> commestibile con noi,<br />

così regalai loro la mia bottiglietta<br />

d’acqua. La bevvero con foga metà<br />

ciascuno e poi corsero via<br />

giocando a calcio con la<br />

bottiglietta, ringraziandoci a gran<br />

voce.<br />

“Wow!” pensai “Basta così poco<br />

per renderli felici!”<br />

Sulla strada del ritorno parlai con<br />

Mapenzi e le chiesi se lei credeva<br />

davvero che quei bambini si<br />

chiamassero Gennaro e Antonio.


Fece un sorriso sorpreso e mi<br />

spiegò che ormai quella era una<br />

zona turistica: la gente cercava <strong>di</strong><br />

avvicinare i viaggiatori sperando <strong>di</strong><br />

ricevere qualcosa e perciò provava<br />

a parlarci in tutte le lingue. Se un<br />

turista era tedesco, le persone<br />

<strong>di</strong>cevano <strong>di</strong> chiamarsi con un<br />

nome tedesco, se uno era italiano<br />

avevano un nome italiano e così<br />

via. Insomma si sceglievano un<br />

nome per tutte le occasioni, ma i<br />

loro veri nomi probabilmente<br />

erano nomi swahili. Mi sembrava<br />

incre<strong>di</strong>bile cambiare se stessi per<br />

compiacere un estraneo, ma lo<br />

scopo <strong>di</strong> quella gente era mangiare<br />

qualcosa in più, quin<strong>di</strong> tutto<br />

<strong>di</strong>ventava accettabile. Chissà se<br />

Edward aveva un altro nome…<br />

non riuscivo proprio a immaginare<br />

quale, del resto conoscevo<br />

pochissimi nomi in swahili.


Quella sera era in programma una<br />

passeggiata per Malin<strong>di</strong>, perciò<br />

indossai una gonna <strong>di</strong> jeans<br />

sfilacciata con pezzi <strong>di</strong> tulle e velo<br />

sulle punte. La fasciatura<br />

purtroppo non potevo ancora<br />

toglierla e così conciata sembravo<br />

una ninja. La coprii alla meglio<br />

con i capelli sciolti e resi ondulati<br />

dall’aria <strong>di</strong> mare.<br />

La cena fu servita fuori perché<br />

c’era il pesce spada in spie<strong>di</strong> cotto<br />

sul fuoco vivo. I tavoli e le se<strong>di</strong>e<br />

erano <strong>di</strong>sposti <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>natamente<br />

per sfruttare lo spazio pianeggiante<br />

<strong>di</strong>sponibile nello spiazzale<br />

d’ingresso. In realtà era pieno <strong>di</strong><br />

pietre sul terreno sconnesso, infatti<br />

la mia se<strong>di</strong>a era un po’ in<br />

pendenza. Era comunque<br />

splen<strong>di</strong>do mangiare sotto le stelle<br />

con la sola luce del fuoco e <strong>di</strong><br />

qualche candela sui tavoli. Mentre<br />

Mundu impiattava il pesce spada


da lui arrostito, vi<strong>di</strong> Edward<br />

sempre al tavolo dei professori.<br />

Era molto bello e per la prima<br />

volta lo vedevo in jeans. I capelli<br />

<strong>di</strong>visi in due treccine lo rendevano<br />

davvero speciale, tutti gli altri<br />

ragazzi kenyoti che avevo<br />

conosciuto avevano i capelli rasati.<br />

Con questi pensieri nella mente<br />

assaggiai il pesce spada. Era<br />

veramente buono. A ciascuno <strong>di</strong><br />

noi spettavano due fette enormi ed<br />

era così carnoso che sembrava<br />

carne anziché pesce.<br />

«Buono questo pesce spada!»<br />

gridò Martina a Mundu. Lui si<br />

avvicinò e <strong>di</strong>sse qualcosa in<br />

swahili a Helen a tavola con noi<br />

che tradusse:<br />

«Non è pesce spada, è barracuda!»<br />

Barracuda? Non sapevo che si<br />

potesse mangiare. <strong>Il</strong> barracuda era<br />

più grande del pesce spada e più<br />

piccolo <strong>di</strong> uno squalo, ma molto


più feroce e aggressivo <strong>di</strong> qualsiasi<br />

specie <strong>di</strong> squalo.<br />

Dopo cena la mia amica Jante<br />

purtroppo tornò in camera sua,<br />

mentre gli altri che dovevano<br />

uscire si radunarono davanti al<br />

cancello. C’era anche Edward. Che<br />

gioia! Non gli parlavo dalla<br />

mattina, ma a me sembrava<br />

un’eternità. Eravamo una decina.<br />

La professoressa Magli ci spiegò<br />

che uscendo <strong>di</strong> sera in sole donne<br />

probabilmente qualcuno ci avrebbe<br />

aggre<strong>di</strong>to, mentre con la<br />

compagnia <strong>di</strong> qualche uomo del<br />

luogo nessuno si sarebbe<br />

avvicinato. Con noi c’erano<br />

Edward, Davis, Anthony e Gabriel.<br />

Inoltre non dovevamo allontanarci<br />

da soli ma restare in gruppo.<br />

Ci incamminammo verso gli<br />

e<strong>di</strong>fici che avevo visto sulla strada<br />

principale mentre andavamo al<br />

mare. Durante il tragitto si


avvicinarono a noi una decina <strong>di</strong><br />

tuk tuk, ma rifiutammo <strong>di</strong> salire.<br />

Vi<strong>di</strong> anche un’altra specie <strong>di</strong> taxi:<br />

una bici con doppio sellino fatto in<br />

casa, portava un turista per volta.<br />

Costeggiammo un bar malandato<br />

con la scritta Coca cola sulla porta,<br />

sembrava che ci fossero solo<br />

uomini. Poi entrammo nella zona<br />

turistica <strong>di</strong> Malin<strong>di</strong>, un viale tutto<br />

illuminato: sul lato del mare<br />

c’erano villaggi turistici uno<br />

accanto all’altro, mentre dall’altro<br />

lato bar, <strong>di</strong>scoteche e ristoranti tutti<br />

nuovi e dalle insegne scintillanti.<br />

Era un mondo d’illusione, una<br />

ricchezza finta ritagliata in uno<br />

spazio <strong>di</strong> infinita povertà.<br />

Durante il percorso restai accanto a<br />

Martina, fumammo e parlammo.<br />

Edward parlava con la<br />

professoressa. Non poteva<br />

piacermi uno studente? No,<br />

proprio l’insegnante dovevo


scegliere! A volte mi sembrava<br />

così irraggiungibile!<br />

Ci fermammo davanti a un locale<br />

con l’insegna luminosa Putipu:<br />

aveva bar, ristorante e <strong>di</strong>scoteca e<br />

quasi all’unanimità optammo per<br />

la <strong>di</strong>sco. Le ragazze non pagavano<br />

l’ingresso, mentre i ragazzi<br />

pagavano pochi scellini. Con me<br />

avevo solo euro, non li avevo<br />

ancora cambiati in scellini kenyoti.<br />

<strong>Il</strong> locale comunque, come la<br />

maggior parte, accettava euro e<br />

dollari, ma le consumazioni pagate<br />

in euro erano molto più care delle<br />

stesse pagate in scellini. Oppure il<br />

barista cambiava una cifra in<br />

scellini in cambio <strong>di</strong> una piccola<br />

provvigione. In banca invece il<br />

tasso <strong>di</strong> cambio variava <strong>di</strong> giorno<br />

in giorno a causa dell’inflazione<br />

della moneta del luogo.<br />

Entrai in <strong>di</strong>scoteca con Martina<br />

sottobraccio.


«Ora ci <strong>di</strong>vertiamo!» esclamò lei.<br />

Era un locale ampio con una<br />

grande pista centrale accanto al<br />

bancone del bar e tutt’intorno<br />

<strong>di</strong>vani e <strong>di</strong>vanetti su più livelli. La<br />

luce era intermittente e colorata, la<br />

musica assordante e l’aria puzzava<br />

<strong>di</strong> fumo. In Kenya non era vietato<br />

fumare nei locali. Raggiungemmo<br />

tutti dei <strong>di</strong>vanetti e subito arrivò il<br />

cameriere. Edward era rimasto in<br />

pie<strong>di</strong>.<br />

Martina si accese una sigaretta.<br />

«Di nuovo?!» le urlai all’orecchio.<br />

«Sì, bisogna inaugurare questo<br />

posto!»<br />

«Che pren<strong>di</strong> da bere?» le urlai<br />

ancora.<br />

«Birra!» Buona idea. Dovevamo<br />

bere solo bevande imbottigliate,<br />

quin<strong>di</strong> cocktail purtroppo niente<br />

perché c’era il ghiaccio<br />

ovviamente fatto con acqua a<br />

rischio.


<strong>Il</strong> cameriere mi stava guardando.<br />

«Two Tusker!» gli urlai. La Tusker<br />

era la birra kenyota per eccellenza,<br />

avevo visto un cartello davanti a<br />

un bar poco prima.<br />

«Ciao.» Era Edward. Si era seduto<br />

al posto libero vicino a me.<br />

Martina mi tirò una gomitata che<br />

mi fece sobbalzare. In quel<br />

momento la o<strong>di</strong>ai.<br />

«Ciao» risposi.<br />

Si avvicinò al mio orecchio<br />

sinistro. «Ti piace qui?»<br />

Ringraziai quella musica a così<br />

alto volume. «Molto!» risposi. Per<br />

un attimo riuscii a riconoscere il<br />

suo profumo tra la puzza <strong>di</strong> fumo<br />

che impestava l’aria.<br />

Arrivarono le birre, anche lui ne<br />

aveva presa una e brindai con<br />

Edward e Martina. Intanto la<br />

professoressa aveva trascinato<br />

Annalia e Maria in pista ballando<br />

entusiasticamente.


«Che ne pensi della tua<br />

professoressa?» mi chiese Edward<br />

osservando la scena.<br />

«È impreve<strong>di</strong>bile!» urlai.<br />

Rise… non l’avevo mai visto così,<br />

era ancora più bello. Martina mi<br />

<strong>di</strong>ede un pizzicotto e mi face segno<br />

che andava a ballare con Davis. Le<br />

feci l'occhiolino.<br />

Ora, a parte Marco e alcuni<br />

studenti della scuola seduti sul<br />

<strong>di</strong>vano <strong>di</strong> fronte e le decine <strong>di</strong><br />

turisti che affollavano il locale,<br />

eravamo soli. Bevvi un sorso <strong>di</strong><br />

birra e lo guardai. A gesti mi chiese<br />

se mi piaceva ballare e io scossi la<br />

testa imme<strong>di</strong>atamente. Non ero<br />

una gran ballerina da <strong>di</strong>scoteca,<br />

<strong>di</strong>ciamo che me la cavavo, ma non<br />

volevo fare brutta figura con lui.<br />

Sorrise.<br />

«Era tutto il giorno che volevo<br />

parlarti!» gli urlai.


«Non ho capito niente!» fu la<br />

risposta.<br />

Sospirai. Lui si alzò e mi fece<br />

segno <strong>di</strong> seguirlo. Mi alzai e scesi i<br />

gra<strong>di</strong>ni dopo <strong>di</strong> lui. Ci inoltrammo<br />

tra la folla, chi in fila al bar, chi in<br />

fila al bagno, chi ballava fuori<br />

pista. Notai anche delle ragazze<br />

kenyote vistosamente agghindate<br />

in atteggiamenti provocanti con<br />

uomini bianchi dall’aria<br />

benestante… prostitute. A volte<br />

qualcuno mi urtava o mi spingeva<br />

e per non perdermi Edward mi<br />

prese per mano. Intrecciò<br />

saldamente le <strong>di</strong>ta alle mie e io<br />

strinsi le sue. Dopo il bacio sulla<br />

guancia della sera prima non<br />

temevo la sua reazione per la mia<br />

stretta innocente.<br />

Arrivammo davanti a una porta<br />

scura e uscimmo in un piccolo<br />

giar<strong>di</strong>no. C’era solo una coppia in


un angolo che si baciava. L’aria<br />

pulita era un vero toccasana.<br />

«Vieni» mi <strong>di</strong>sse senza voltarsi e<br />

tenendomi ancora per mano.<br />

Avanzammo fino a metà cortile, mi<br />

lasciò la mano e si sedette a gambe<br />

leggermente <strong>di</strong>varicate sul bordo <strong>di</strong><br />

una fioriera spoglia. «Qui è<br />

meglio, non cre<strong>di</strong>?» mi <strong>di</strong>sse<br />

ancora a voce un po’ alta. Avevo<br />

anch’io i timpani che ancora<br />

vibravano.<br />

«Sì» risposi sedendomi accanto a<br />

lui. Ero un po’ in imbarazzo…<br />

sembravamo una coppietta che si<br />

era appartata.<br />

«Quasi nessuno viene qui. È<br />

perfetto per parlare.»<br />

«Sicuramente meglio <strong>di</strong> là dentro!»<br />

esclamai.<br />

«Cosa volevi <strong>di</strong>rmi?» continuò.<br />

«Cosa? Ah, sì, ho lasciato qualche<br />

vestito in camera tua stamattina»<br />

cominciai dalla cosa più facile.


«Quando torniamo seguimi che te<br />

li restituisco.» Fece una pausa.<br />

«Poi ti riaccompagno alla tua<br />

camera, non temere.» Sorrise<br />

dolcemente.<br />

«Come cavaliere ti tocca!»<br />

scherzai. Stavo iniziando a<br />

prendere coraggio.<br />

Rise. «Tutto qui?»<br />

«Bè, no… è tutto il giorno che mi<br />

eviti o sbaglio?» Avevo paura della<br />

risposta.<br />

Con calma rispose: «È solo che,<br />

dopo ieri, non voglio starti troppo<br />

addosso.»<br />

Non sapevo se credergli, ma quella<br />

risposta mi fece un po’ innervosire<br />

e quando mi innervosivo la mia<br />

timidezza svaniva.<br />

«Se pensi che quel bacio sia stato<br />

uno sbaglio, <strong>di</strong>mmelo subito<br />

così…»


«No», mi interruppe «non è stato<br />

uno sbaglio. Solo una mia<br />

debolezza.»<br />

Lo guardai. «Se si desidera<br />

qualcosa, non è una debolezza»,<br />

risposi lentamente.<br />

Mi guardò e abbozzò un sorriso.<br />

«Non è così semplice.»<br />

«Allora spiegamelo!» Ormai ero<br />

dentro, volevo andare fino in<br />

fondo. Non sapevo cosa pensare.<br />

«Non ti arren<strong>di</strong>, eh?» mi chiese<br />

scherzando. Guardò il cielo.<br />

«Mai!» risposi in tono <strong>di</strong> sfida.<br />

«Ok, ok!» Divenne serio e mi<br />

guardò così profondamente che<br />

temevo riuscisse a leggere nella<br />

mia anima. «Ieri ho esagerato»<br />

continuò. «Io… voglio farmi<br />

conoscere da te. Voglio andarci<br />

piano. Capisci?»<br />

«Sì» risposi con cautela.<br />

«Quin<strong>di</strong>… non mi illudo quando


mi sorri<strong>di</strong>?» Avevo fatto la figura<br />

dell’ingenua con quelle parole.<br />

«Non so cosa <strong>di</strong>rti. Spero solo <strong>di</strong><br />

non correre troppo.» Si alzò.<br />

Non è che avessi capito poi molto.<br />

«Gli altri si chiederanno dove<br />

siamo.»<br />

«Già…» risposi delusa da quella<br />

conversazione. Volevo bere e<br />

fumare.<br />

Tornammo dentro e fui investita<br />

dalla musica e dall’aria consumata.<br />

Questa volta io ero davanti,<br />

Edward mi mise una mano sulla<br />

vita e non si staccò finché non<br />

arrivammo ai nostri <strong>di</strong>vani. Con lui<br />

accanto sembravo una bambina. <strong>Il</strong><br />

mio metro e sessantadue <strong>di</strong> altezza<br />

nulla poteva contro il suo metro e<br />

novanta (almeno).<br />

Martina stava bevendo la mia<br />

birra.<br />

«Tu non venivi più!» si giustificò<br />

quando si accorse che la guardavo.


«Hai una sigaretta?» chiesi<br />

sedendomi accanto a lei. Martina<br />

fumava Marlboro rosse, erano più<br />

pesanti <strong>di</strong> quelle che fumavo io e<br />

in quel momento ne avevo<br />

bisogno. Mi <strong>di</strong>ede la sigaretta e<br />

l’accen<strong>di</strong>no e si alzò.<br />

«Fuma tesoro, vado a prendere due<br />

Smirnoff ice. Sai, è buonissimo!»<br />

Davis mi si avvicinò. «Are you<br />

enjoying yourself, rafiki?»<br />

«What’s the meaning for rafiki?»<br />

gli chiesi a mia volta.<br />

«Amico!» rispose lui.<br />

«Oh, sì, mi <strong>di</strong>verto rafiki!» Era<br />

veramente un bravo ragazzo<br />

nonostante il suo passato. Mi<br />

guardai attorno, Edward non si<br />

vedeva. Poi mi venne una<br />

curiosità: «What’s your real name?<br />

Your swahili name?»<br />

«Davis è mio nome. Solo Davis.<br />

Non ho altri. Mia mamma ha


chiamato Davis.» <strong>Il</strong> suo sorriso si<br />

spense un po’.<br />

«Quin<strong>di</strong> all’anagrafe c’è scritto<br />

Davis?» continuai, ma lui sembrò<br />

non capire.<br />

Cercai <strong>di</strong> spiegargli cos’era<br />

l’anagrafe, che in Italia ogni<br />

bambino che nasceva veniva<br />

registrato all’ufficio anagrafe con<br />

nome e cognome suo e dei<br />

genitori. Mi rispose che lì non<br />

funzionava così, non c’erano uffici<br />

su tutto il territorio. Nessuna delle<br />

persone che lui conosceva era<br />

registrato, ma una volta aveva<br />

sentito parlare <strong>di</strong> una cosa del<br />

genere da un suo amico <strong>di</strong><br />

Mombasa.<br />

Si avvicinò un ragazzo della<br />

scuola, Anthony. Conoscevo il suo<br />

nome ma non ci avevo mai parlato<br />

perché frequentava le lezioni nella<br />

classe <strong>di</strong> Annalia, Maria e Marco.


«Jambo rafiki!» mi salutò<br />

sedendosi accanto a Davis.<br />

«Jambo Anthony!» risposi.<br />

«Wewe ni mzuri sana!» mi <strong>di</strong>sse.<br />

Davis si mise a ridere e io gli<br />

chiesi <strong>di</strong> tradurre.<br />

«Anthony ha detto…» spiegò<br />

Davis «che tu sei molto bella!»<br />

«Oh!» esclamai arrossendo.<br />

«Hasante sana, Anthony! Thank<br />

you!» risposi imbarazzata.<br />

<strong>Il</strong> dj mise una canzone italiana che<br />

a me piaceva tantissimo ballare:<br />

Maracaibo <strong>di</strong> Raffaella Carrà.<br />

Guardai la pista e Anthony capì<br />

che volevo ballare.<br />

«Ballare?» mi chiese.<br />

Guardai Davis, lui si avvicinò e mi<br />

<strong>di</strong>sse all’orecchio: «Balla, lui è<br />

bravo ragazzo!» Gli sorrisi, era<br />

bello poter contare su un nuovo<br />

amico.<br />

Mi alzai e scesi gli scalini,<br />

Anthony mi seguì. Ci fermammo


in mezzo alla pista. Vi<strong>di</strong> Martina<br />

ballare e mi ricordai che non era<br />

più tornata con gli Smirnoff.<br />

«Scusa, mi ha trascinata qui!»<br />

gridò in<strong>di</strong>cando Gabriel.<br />

Scrollai le spalle e iniziai a ballare<br />

facendomi guidare dalla musica.<br />

Anthony era vicino a me, ma non<br />

troppo. Ogni tanto mi prendeva<br />

una mano e mi faceva girare su me<br />

stessa. Mi <strong>di</strong>vertivo tanto con lui,<br />

era gentile e rispettoso e mi<br />

sorrideva sempre. Ballammo per<br />

quattro o cinque canzoni <strong>di</strong> fila e<br />

un po’ cominciavo a essere stanca.<br />

All’improvviso le luci si<br />

abbassarono e la musica <strong>di</strong>venne<br />

soft, era il momento dei lenti. In<br />

quel momento Anthony fu travolto<br />

da una ragazza bassina e da una<br />

sua amica. Lo abbracciarono forte<br />

come se fosse il fratello e lo<br />

trascinarono via. Lui fece appena<br />

in tempo a guardarmi con aria


confusa e colpevole. Gli sorrisi<br />

leggermente e mi voltai per tornare<br />

al mio posto. La canzone era<br />

bellissima, ma in realtà non avevo<br />

voglia <strong>di</strong> ballare un lento con<br />

Anthony. A un tratto un omone mi<br />

urtò per passare e io inciampai in<br />

qualcosa, forse i pie<strong>di</strong> <strong>di</strong> qualcuno.<br />

Persi l’equilibrio ma a mezz’aria<br />

mi sentii afferrare le spalle da due<br />

mani gran<strong>di</strong>.<br />

«Presa!» Edward era <strong>di</strong> fronte a me<br />

e mi reggeva.<br />

«Gr… grazie!» balbettai.<br />

Restammo qualche secondo a<br />

fissarci sulle note <strong>di</strong> Goodbye my<br />

lover <strong>di</strong> James Blunt:<br />

…You touched my heart, you<br />

touched my soul,<br />

You changed my life and all my<br />

goals,<br />

And love is blind and I knew when,<br />

My heart was blinded by you,


I’ve kissed your lips and held your<br />

head,<br />

Shared your dreams and shared<br />

your bed,<br />

I know you well, I know your<br />

smell,<br />

I’ve been ad<strong>di</strong>cted to you…<br />

Edward si avvicinò a me. Le sue<br />

mani si spostarono sui miei fianchi<br />

e cominciammo a ballare<br />

lentamente, fissandoci, ipnotizzati<br />

l’uno dall’altra. Gli sfiorai le<br />

braccia possenti e arrivai alla sua<br />

vita. Non riuscivo a staccarmi da<br />

quegli occhi… li adoravo.<br />

James Blunt continuava:<br />

…And as you move on, remember<br />

me,<br />

Remember us and all we used to<br />

be.<br />

I’ve seen you cry, I’ve seen you<br />

smile,


I’ve watched you sleeping for a<br />

while…<br />

Avvertii un fremito quasi<br />

impercettibile delle sue <strong>di</strong>ta sul<br />

mio corpo. In genere mi sentivo a<br />

<strong>di</strong>sagio se qualcuno mi fissava a<br />

lungo negli occhi, ma con lui no,<br />

mi sentivo esattamente dove<br />

dovevo essere.<br />

…I know your fears and you know<br />

mine,<br />

We’ve had our doubts but now<br />

we’re fine,<br />

And I love you, I swear that’s true.<br />

I cannot live without you…<br />

Mi avvicinò a sé, stringendomi<br />

delicatamente. <strong>Il</strong> mio viso era<br />

quasi appoggiato al suo petto,<br />

potevo avvertire i movimenti del<br />

suo respiro. Chiusi gli occhi.<br />

Anche lui sentiva ciò che sentivo


io? Cosa ci stava succedendo?<br />

Cosa voleva <strong>di</strong>re tenendomi stretta<br />

in quel modo?<br />

La canzone cambiò. Ora era Celine<br />

Dion a cantare I’m your lady:<br />

…Cause I’m your lady<br />

And you are my man<br />

Whenever you reach for me<br />

I’ll do all that I can…<br />

Restammo nella stessa posizione,<br />

ondeggiando lievemente per<br />

seguire la musica. Era una<br />

sensazione meravigliosa, ma anche<br />

nuova: non mi ero mai sentita così<br />

in sintonia con una persona che<br />

conoscevo da così poco tempo.<br />

Un’altra canzone cominciò, cantata<br />

dai Savage Garden. Noi eravamo<br />

ancora così. In quel momento<br />

raccolsi tutto il mio coraggio e<br />

appoggiai la testa sul suo petto. Mi<br />

sembrava <strong>di</strong> sentire i battiti del suo


cuore nonostante la musica. Non si<br />

scostò, anzi, avvolse ancor <strong>di</strong> più<br />

le braccia attorno a me. Ormai era<br />

certo: mi stavo innamorando. E<br />

lui? Ne avevo visti tanti <strong>di</strong><br />

bastar<strong>di</strong>, e quello non era <strong>di</strong> certo<br />

l’atteggiamento <strong>di</strong> uno che voleva<br />

solo rimorchiare. Alla fine della<br />

canzone il dj la mixò con una<br />

movimentata, il momento<br />

romantico era finito, durato fin<br />

troppo per una <strong>di</strong>scoteca; la pista si<br />

gremì <strong>di</strong> gente e si accesero le luci<br />

psichedeliche. Godetti ancora<br />

qualche altro secondo del contatto<br />

con il corpo <strong>di</strong> Edward, poi mi<br />

allontanai un po’ e alzai lo<br />

sguardo. Anche lui mi guardava.<br />

«Hai sete?» mi chiese<br />

avvicinandosi al mio orecchio<br />

destro.<br />

Annuii.


«Vieni.» Mi prese per mano e mi<br />

portò al bar. Scelsi uno Smirnoff<br />

ice.<br />

Ne prese due e ci sedemmo sugli<br />

sgabelli alti vicino al bancone.<br />

Ormai avevo totalmente perso <strong>di</strong><br />

vista i miei amici, Martina, la<br />

professoressa… ero sola con lui.<br />

Doveva essere anche tar<strong>di</strong>. Brindò<br />

e bevve un sorso. Io ero in attesa.<br />

Volevo spiegazioni, volevo sapere<br />

cosa pensava, perché appariva e<br />

spariva e a volte era <strong>di</strong>stante e a<br />

volte invece mi rapiva tra le sue<br />

braccia. Seguì qualche secondo <strong>di</strong><br />

imbarazzo generale.<br />

«Prima sei sparito» gli <strong>di</strong>ssi per<br />

rompere il ghiaccio.<br />

«Ah, sì, ero qui al bar.» Mi guardò.<br />

«Io invece ti ho vista: ballavi con<br />

Anthony.» C’era un non so che <strong>di</strong><br />

strano nella sua voce.<br />

«Ah, sì, quella era la mia canzone<br />

da <strong>di</strong>scoteca preferita. In Italia la


allo sempre con la mia migliore<br />

amica.»<br />

«È simpatico Anthony?» mi<br />

chiese. Ma che domande mi stava<br />

facendo?<br />

«Beh, lo conosco da poco ma<br />

sembra <strong>di</strong> sì. Davis mi ha detto che<br />

è un bravo ragazzo.»<br />

«Di Davis ti puoi fidare. Se mai<br />

capiterà che io non sono presente e<br />

hai bisogno <strong>di</strong> qualcosa, rivolgiti a<br />

lui.»<br />

«Conto su <strong>di</strong> lui, è un buon<br />

amico.» Sorrisi pensando a Davis.<br />

Gli volevo già bene.<br />

«E io?» chiese lui.<br />

Lo guardai senza capire. «Tu<br />

cosa?»<br />

«Io sono un buon amico?»<br />

Rimasi senza parole un attimo.<br />

«Beh…» esitai. «Con Davis non<br />

ballerei come ho ballato con te.»<br />

Fissò la bottiglia e bevve un altro<br />

sorso. Non mi <strong>di</strong>sse nulla.


«Scusa, Edward» richiamai la sua<br />

attenzione. «Vorrei capire qual è il<br />

problema! Prima mi eviti, poi mi<br />

stringi… mi stai facendo <strong>di</strong>ventare<br />

matta.»<br />

Non riuscivo a credere <strong>di</strong> aver<br />

davvero pronunciato quelle parole.<br />

Forse tenevo così tanto a lui che la<br />

timidezza passava in secondo<br />

piano.<br />

Inspirò a fondo. «<strong>Il</strong> fatto è…» Pesò<br />

le parole. «Che non riesco a<br />

trovare la forza <strong>di</strong> resisterti.»<br />

«Allora non farlo» <strong>di</strong>ssi in un<br />

soffio. L’istinto aveva parlato, non<br />

la prudente e pacata Selene.<br />

FINE ANTEPRIMA

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