Il Cavaliere d'Africa, Ilaria Goffredo - Quelli di ZEd
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Questo libro è <strong>di</strong>sponibile anche in versione a stampa:<br />
PAGINE: 296<br />
PREZZO euro: 16,50<br />
ISBN: 978-88-6307-444-4
ILARIA GOFFREDO<br />
IL CAVALIERE D’AFRICA<br />
Viaggio in fondo al cuore<br />
www.0111e<strong>di</strong>zioni.com
www.0111e<strong>di</strong>zioni.com<br />
www.labandadelbook.it<br />
IL CAVALIERE D’AFRICA<br />
Copyright © 2012<br />
Zerounoun<strong>di</strong>ci E<strong>di</strong>zioni<br />
ISBN: 978-88-6578-142-5<br />
In copertina: Immagine<br />
Shutterstock.com
A tutte le persone meravigliose che<br />
ho conosciuto in Kenya,<br />
a tutti coloro che de<strong>di</strong>cano la<br />
propria esistenza<br />
a rendere migliore quella degli<br />
altri<br />
e all’Africa, terra <strong>di</strong> vita e<br />
immensità.
«E se i suoi occhi<br />
fossero nel cielo veramente e le<br />
stelle<br />
nel suo viso? Lo splendore del suo<br />
volto<br />
farebbe pallide le stelle, come la<br />
luce del giorno<br />
la fiamma d’una torcia.»<br />
William Shakespeare – Romeo e<br />
Giulietta
PROLOGO<br />
Spesso ripenso a com’ero prima.<br />
Non avrei mai immaginato che la<br />
mia vita sarebbe cambiata così, che<br />
io sarei cambiata così. Mi ritrovo a<br />
guardarmi allo specchio vedendo<br />
dall’altra parte qualcuno che non<br />
credevo potessi essere io e <strong>di</strong> certo<br />
trovo una persona migliore.<br />
La mia vita è completamente<br />
<strong>di</strong>versa da come immaginavo che<br />
sarebbe stata prima <strong>di</strong> quel giorno<br />
<strong>di</strong> settembre del 2005, quando ero<br />
una spensierata adolescente come<br />
tutte le altre della mia età.
PARTE PRIMA<br />
PRIMA DELLA LUCE<br />
Quando ero piccola ogni giorno mi<br />
veniva in mente una nuova<br />
professione che avrei voluto fare<br />
da grande. Verso gli otto anni<br />
volevo tanto <strong>di</strong>ventare<br />
un’astronauta. Mi avevano sempre<br />
affascinato il cielo, le stelle, la vita<br />
su altri pianeti. Guardavo sempre<br />
in televisione i documentari e le<br />
trasmissioni <strong>di</strong> astronomia; mi ero<br />
così appassionata che implorai mio<br />
padre <strong>di</strong> comprarmi l’intera<br />
enciclope<strong>di</strong>a dell’universo, con<br />
fascicoli, raccoglitori e<br />
videocassette. E lui, da brav’uomo<br />
qual era e meraviglioso padre
quale è sempre stato, acconsentì.<br />
Papà era un uomo magro e<br />
bassino, dal grande naso, ma io lo<br />
trovavo anche molto bello. Inoltre<br />
è sempre stato una persona calma e<br />
per stare con mia madre <strong>di</strong><br />
pazienza ce ne voleva tanta.<br />
Mamma era alta un centimetro in<br />
più <strong>di</strong> papà, aveva i capelli scuri ed<br />
era una bella donna anche se non si<br />
truccava mai e si vestiva sempre<br />
sportiva: tutti mi <strong>di</strong>cevano sempre<br />
che io le assomigliavo tantissimo.<br />
Quando ero piccola però<br />
litigavamo spesso: io ero una peste<br />
e lei era molto suscettibile. Finiva<br />
regolarmente che io piangevo. E<br />
poi c’era sempre papà che veniva a<br />
consolarmi: sentivo che era lui<br />
l’unico che mi capiva.<br />
L’enciclope<strong>di</strong>a dell’universo<br />
arrivava a casa ogni mese con due<br />
videocassette e due fascicoli (che<br />
io <strong>di</strong>voravo in <strong>di</strong>eci minuti) e papà<br />
pagava i bollettini postali
tranquillamente, solo per me,<br />
anche se il suo stipen<strong>di</strong>o (all’epoca<br />
in lire) non arrivava neanche a due<br />
milioni al mese. Io coltivavo con<br />
gioia i miei sogni, <strong>di</strong>segnavo<br />
astronauti, tute spaziali, buchi neri<br />
e supernove e immaginavo <strong>di</strong><br />
essere la prima donna a mettere<br />
piede su Marte.<br />
Un’altra passione che avevo erano<br />
gli animali, <strong>di</strong> tutti i tipi e <strong>di</strong> tutte<br />
le specie. Sognavo così <strong>di</strong> fare la<br />
veterinaria. Nella mia mente <strong>di</strong><br />
bambina credevo che ciò<br />
significasse solo passare tanto<br />
tempo con gli animali e non fare<br />
ciò che realmente fa un dottore<br />
veterinario. Purtroppo non ebbi<br />
nessun animale domestico in casa<br />
perché mia madre era fissata per la<br />
pulizia assoluta e non voleva<br />
nemmeno un pesce rosso.<br />
Altre volte sognavo <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare<br />
<strong>di</strong>segnatrice <strong>di</strong> manga, perché<br />
adoravo quei <strong>di</strong>segni e mi
cimentavo sempre nel realizzarli<br />
(ero anche piuttosto brava). Anche<br />
in quel caso convinsi papà a farmi<br />
seguire un corso <strong>di</strong> <strong>di</strong>segno per<br />
corrispondenza. Mi arrivavano<br />
cartelline portafogli, fogli e album<br />
da <strong>di</strong>segno, matite <strong>di</strong> tutti i tipi e<br />
colori, manichini <strong>di</strong> legno<br />
snodabili, inchiostro <strong>di</strong> china,<br />
retini, nonché fascicoli e<br />
raccoglitori.<br />
Ancora, adoravo i misteri<br />
dell’antichità e volevo scoprire le<br />
origini della storia <strong>di</strong>ventando<br />
un’archeologa… ma arrivata in<br />
terza me<strong>di</strong>a dovetti scegliere una<br />
scuola superiore. E cosa scelsi?<br />
Tecnico dei servizi turistici! Ora<br />
non ricordo neanche più il motivo.<br />
Fortunatamente non mi pentii della<br />
mia decisione, perché quella<br />
scuola mi permetteva <strong>di</strong> viaggiare<br />
tantissimo. Pensavo che una volta<br />
<strong>di</strong>plomata mi sarei iscritta<br />
all’università <strong>di</strong> Bologna per
<strong>di</strong>ventare manager d’albergo o<br />
qualcosa <strong>di</strong> simile. Devo <strong>di</strong>re però<br />
che la mia vita prese una piega<br />
decisamente inaspettata…<br />
La mia migliore amica era Fiorella,<br />
anche se in realtà eravamo molto<br />
<strong>di</strong>verse. Io ero semplice, introversa<br />
e determinata. E non provenivo da<br />
una famiglia benestante, anzi…<br />
eravamo in affitto in una casa <strong>di</strong><br />
sessantacinque metri quadrati:<br />
camera mia e <strong>di</strong> mio fratello<br />
maggiore Giacomo era<br />
praticamente nel soggiorno, poi<br />
c’era la piccola camera da letto dei<br />
miei, un modesto bagno e una<br />
cucina dove entrava solo un tavolo<br />
da quattro. Non avevo la<br />
possibilità <strong>di</strong> fare spesso shopping<br />
ma in fondo non mi mancava<br />
nulla.<br />
Fiorella invece era estroversa e<br />
sofisticata, ma nel profondo era<br />
molto fragile. Aveva una bella casa
e tanti sol<strong>di</strong>, indossava solo roba<br />
firmata Calvin Klein, Burberry,<br />
Hogan e altre marche che io<br />
neanche conoscevo. A scuola io<br />
ero fortissima, lei un po’ meno. Io<br />
ero alta, magra, occhi gran<strong>di</strong>,<br />
carina e con i capelli castano<br />
scuro; lei era bassina, dalle forme<br />
un po’ più piene delle mie, con i<br />
capelli rossi e lucenti e con delle<br />
simpatiche lentiggini sparse sul<br />
naso e sugli zigomi.<br />
Eravamo due mon<strong>di</strong> opposti, ma<br />
ciò che ci legava era una profonda<br />
amicizia nata nel momento del<br />
bisogno. In seconda superiore io<br />
fui lasciata dal mio fidanzato<br />
storico: Michele. Quella che allora<br />
credevo la mia migliore amica,<br />
invece <strong>di</strong> sostenermi, si allontanò<br />
da me e mi ritrovai sola. C’era solo<br />
Fiorella ad ascoltarmi e tirarmi su,<br />
mi telefonava per sapere come<br />
stavo e mi chiedeva <strong>di</strong> uscire<br />
insieme per farmi <strong>di</strong>strarre. Fu così
che pian piano ci avvicinammo e<br />
<strong>di</strong>ventammo inseparabili.<br />
Pranzavamo insieme, stu<strong>di</strong>avamo<br />
insieme, lei mi aiutava in<br />
matematica (l’unica materia a cui<br />
io non riconoscevo il merito <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>sciplina scolastica) e io la<br />
aiutavo in geografia (nella quale<br />
lei aveva una forte rivalità con il<br />
professore). Quando lei prese la<br />
patente, il pomeriggio uscivamo<br />
spesso con la sua macchina che era<br />
una bellissima Nissan Micra<br />
grigia, uscita da pochi mesi sul<br />
mercato. Cantavamo a<br />
squarciagola con la ra<strong>di</strong>o accesa e<br />
facevamo gli occhi dolci ai bei<br />
ragazzi fermi ai semafori. Spesso<br />
giravamo a vuoto per Martina<br />
Franca, la mia città. A noi si<br />
avvicinarono anche Cinzia e Piera.<br />
La prima un po’ piagnucolona ma<br />
molto dolce, la seconda invece era<br />
la tipa dura della situazione, quella<br />
che se la chiamavi non rispondeva
mai al cellulare: fu così che si creò<br />
un bel gruppo affiatato. Anche<br />
nella gite stavamo sempre insieme.<br />
Ricordo quando andammo in gita<br />
in Sicilia per quattro giorni.<br />
Alloggiavamo a Giar<strong>di</strong>ni Naxos,<br />
vicino a Messina, in un grazioso<br />
villaggio turistico con villette<br />
in<strong>di</strong>pendenti a due piani. Dopo le<br />
escursioni della giornata era la sera<br />
che arrivava il vero <strong>di</strong>vertimento.<br />
Facevamo tutto ciò che facevano<br />
dei giovani in gita: ballavamo<br />
musica rock sui letti, facevamo<br />
scherzi con il dentifricio ai nostri<br />
compagni (la vittima preferita era<br />
Viviana, grande ingenua) e<br />
bevevamo tutto ciò che <strong>di</strong> alcolico<br />
ci capitava tra le mani.<br />
Una sera Piera era seduta sul suo<br />
letto a gambe incrociate. Indossava<br />
scarpe da tennis verde militare, un<br />
jeans strappato, una magliettina<br />
con su scritto Viva l’America e una<br />
pashmina bianca sfilacciata, la sua
preferita. I capelli bion<strong>di</strong> erano<br />
raccolti in uno chignon, era magra<br />
e molto minuta e quella sua aria da<br />
ribelle le attirava non pochi fans.<br />
Cinzia uscì dal bagno dopo quasi<br />
un’ora passata nella vasca.<br />
Indossava un pigiamone una taglia<br />
più grande e delle pantofole a<br />
forma <strong>di</strong> coniglietto. Era un po’<br />
robusta, ma quei capelli ricci, corti<br />
e ribelli, la rendevano molto<br />
simpatica. Vide Piera che<br />
armeggiava con qualcosa tra le<br />
mani.<br />
«Ecco, ho finito!» esclamò Piera.<br />
«Che stai facendo?» chiese Cinzia<br />
sorpresa.<br />
«Zitta e fuma!» rispondemmo<br />
all’unisono io e Piera.<br />
Utilizzavamo quel tono autoritario<br />
ma scherzoso quando una <strong>di</strong> noi<br />
faceva troppe domande. Era<br />
superfluo spiegare a Cinzia che<br />
Piera aveva rollato una canna…
Ci sedemmo tutte e tre per terra sul<br />
balcone a guardare le stelle e quel<br />
cielo infinito che mi aveva sempre<br />
affascinato. Come in una pellicola<br />
lessi in quelle stelle la storia <strong>di</strong><br />
tutte le persone, <strong>di</strong> tutti i popoli<br />
che quel cielo aveva da sempre<br />
ammirato, alto su tutto e tutti,<br />
imperturbabile nella sua<br />
immensità.<br />
Fiorella ci raggiunse portando<br />
quattro bicchieri <strong>di</strong> plastica<br />
traballanti. Si <strong>di</strong>vertiva a fare la<br />
shaker e aveva preparato i nostri<br />
cocktail preferiti: Long Island per<br />
Piera (con cola, rum e non sapevo<br />
che altro), Mojito per Cinzia,<br />
Caipiroska alla fragola per lei (si<br />
sentiva il gusto <strong>di</strong> fragola ma era<br />
ben più forte quello <strong>di</strong> alcol e mi<br />
<strong>di</strong>sgustava) e vodka alla pesca con<br />
Redbull per me. Quello era il mio<br />
preferito e scendeva giù da solo<br />
perché aveva un gusto molto<br />
delicato.
Fiorella si sedette vicino a noi e<br />
brindammo a quella sera. Piera<br />
accese la canna e a turno<br />
fumammo. Per me era poco più<br />
che una normale sigaretta, non mi<br />
faceva un grande effetto, ma la<br />
cosa bella era fumare in<br />
compagnia delle mie amiche.<br />
L’odore dell’hashish ci entrava<br />
bruciante nelle narici.<br />
Improvvisammo un mimo sui<br />
professori e ridemmo fino alle<br />
lacrime. Quando tornammo in<br />
camera ci buttammo tutte e quattro<br />
sul lettone e ci addormentammo<br />
così: chi con una scarpa, chi<br />
vestita, chi con il pigiama,<br />
ascoltando le migliori canzoni soft<br />
degli Aerosmith. Mi faceva<br />
impazzire la voce grave del<br />
cantante e il modo in cui<br />
accarezzava le corde della sua<br />
chitarra.
La mia classe era <strong>di</strong>visa in<br />
sottogruppi. <strong>Il</strong> gruppo delle Papere,<br />
così chiamate perché ridevano<br />
sempre, composto da me, Fiorella,<br />
Cinzia e Piera, più Clarissa,<br />
Maristella e Angelica. Con loro tre<br />
non avevo un rapporto<br />
straor<strong>di</strong>nario ma eravamo buone<br />
amiche. Poi c’era il gruppo delle<br />
Becchine, così chiamate perché<br />
stavano sempre zitte per conto<br />
loro, parlavano solo quando c’era<br />
da criticare qualcuno e ridevano<br />
degli insuccessi altrui. C’era anche<br />
il gruppo delle Ping Pong, la cui<br />
presidente era Rebecca: queste<br />
ragazze saltavano dal nostro<br />
gruppo a quello delle becchine<br />
familiarizzando con tutte. Infine<br />
c’era il mitico Trio, composto dagli<br />
unici tre maschi della classe: Luca,<br />
Francesco e Orlando. Erano<br />
<strong>di</strong>ventati inseparabili da quando<br />
erano rimasti solo loro tre a<br />
rappresentare il genere maschile in
classe, tutti gli altri si erano ritirati<br />
da scuola o erano stati bocciati.<br />
Fuori dalla vita scolastica però<br />
ognuno aveva il suo mondo,<br />
soprattutto Luca che era un gran<br />
fighettino e voleva sempre fare il<br />
duro. Ma anche lui aveva dei<br />
sentimenti e io ero la sua migliore<br />
amica: solo con me riusciva a<br />
parlare, solo io potevo contrad<strong>di</strong>rlo<br />
senza che si offendesse, solo io<br />
riuscivo a fargli capire quando<br />
sbagliava. Francesco era alto,<br />
magro e buono. Lo chiamavamo lo<br />
zio perché era <strong>di</strong>ventato zio a<br />
quattor<strong>di</strong>ci anni. Orlando invece<br />
era alto e robusto, praticamente un<br />
arma<strong>di</strong>o. Era buono con tutte noi<br />
papere e ci proteggeva sempre, noi<br />
lo chiamavamo orsacchiotto.<br />
<strong>Il</strong> gruppo delle papere era il più in,<br />
eravamo noi a dettare legge in<br />
classe, anche se facevamo illudere<br />
il trio <strong>di</strong> avere un qualche potere<br />
decisionale. Sostenevamo il trio
quando cantavano il loro inno e<br />
cioè L’amor del trio è<br />
meraviglioso! e prendevamo in<br />
giro le becchine: avevamo anche<br />
eretto il muro del pianto in onore<br />
<strong>di</strong> una becchina che piangeva se<br />
prendeva brutti voti, e cioè<br />
sempre... Sofia. <strong>Il</strong> muro del pianto<br />
era un pilastro vicino alla prima<br />
finestra della classe e noi lo<br />
usavamo come monumento<br />
provocatorio nei confronti <strong>di</strong> chi ci<br />
criticava: appendevamo cartelloni,<br />
<strong>di</strong>segni, caricature e frasi celebri<br />
(comiche) delle nostre rivali. E<br />
ogni mattina entrando in classe lo<br />
salutavamo come se fosse un<br />
tempio.<br />
Una mattina uggiosa <strong>di</strong> febbraio<br />
tutte le classi furono chiamate in<br />
palestra perché gli studenti<br />
dovevano conoscere la presidente<br />
<strong>di</strong> un'associazione no profit: la<br />
nostra scuola partecipava spesso a
progetti umanitari per scuole,<br />
orfanotrofi e ospedali.<br />
«E vai! Saltiamo l’ora <strong>di</strong><br />
geografia!», esclamò Fiorella<br />
prendendomi per un braccio.<br />
«Sei sempre la solita caprona!»,<br />
ribattei io.<br />
«Non sono io, è lui che si fa<br />
o<strong>di</strong>are!»<br />
Si riferiva all’insegnante <strong>di</strong><br />
geografia turistica, il professor<br />
Cantore. Io invece lo trovavo<br />
simpatico o per lo meno giusto, era<br />
lui l’unico che metteva i voti che<br />
ognuno si meritava, senza sconti<br />
per nessuno. A pensarci bene forse<br />
era per questo che alcune mie<br />
amiche non lo vedevano <strong>di</strong> buon<br />
occhio.<br />
Sospirai: non c’era proprio niente<br />
da fare, Fiorella non avrebbe mai<br />
stu<strong>di</strong>ato quella materia.<br />
Entrammo in palestra. Dai vetri<br />
sporchi e semiaperti entrava<br />
l’odore della pioggia. Le gran<strong>di</strong>
lampade al neon sospese al soffitto<br />
da cavi poco rassicuranti erano<br />
accese e gli studenti delle altre<br />
classi erano seduti sul pavimento.<br />
Trovammo un posto tranquillo e ci<br />
accomodammo vicino a una parete.<br />
Nella nostra scuola non avevamo<br />
un’aula magna, infatti per fare le<br />
assemblee <strong>di</strong> istituto la scuola<br />
affittava la sala <strong>di</strong> un cinema dove,<br />
dopo l’assemblea (che durava in<br />
genere cinque minuti se non<br />
meno), veniva proiettato un film <strong>di</strong><br />
qualche anno prima al mo<strong>di</strong>co<br />
prezzo <strong>di</strong> 3 euro. In questo modo<br />
eravamo noi stessi a pagare<br />
l’affitto della sala. Bella la scuola<br />
pubblica, vero?<br />
«Salve ragazzi!», esordì una<br />
signora bassina e magra dal fondo<br />
della palestra, vicino a una<br />
cattedra. Aveva i capelli cortissimi<br />
che davano sul biondo o forse sul<br />
grigio, indossava un pantalone<br />
rosso, una camicia gialla a righe
arancioni e portava un ciondolo<br />
d’argento a forma del continente<br />
africano. Sembrava una donna<br />
frizzante. La platea, che fino a quel<br />
momento aveva chiacchierato con<br />
comodo, <strong>di</strong>venne più silenziosa.<br />
«Mi chiamo Filomena La Serra e<br />
sono la presidente<br />
dell’associazione ONLUS<br />
Compagni <strong>di</strong> Malin<strong>di</strong>. Sono qui<br />
per parlarvi del nostro progetto:<br />
con i fon<strong>di</strong> messi a <strong>di</strong>sposizione<br />
dai soci abbiamo acquistato un<br />
terreno <strong>di</strong> proprietà del governo<br />
kenyota nella citta<strong>di</strong>na <strong>di</strong> Malin<strong>di</strong>,<br />
in Kenya appunto, e stiamo<br />
iniziando la costruzione <strong>di</strong> una<br />
scuola. Sarà una scuola<br />
professionale e sarà frequentata da<br />
giovani come voi. Purtroppo però i<br />
costi sono elevati e con quello che<br />
abbiamo non riusciremo a finire <strong>di</strong><br />
costruirla, arredarla, portare acqua<br />
ed elettricità. Confido nel vostro<br />
buon cuore, ma non è
assolutamente obbligatorio. La<br />
nostra scuola deve essere costruita<br />
con le donazioni <strong>di</strong> chi realmente<br />
ci crede.»<br />
Ecco appunto. Crederci. Io non ci<br />
credevo minimamente.<br />
“Chissà dove finiranno i sol<strong>di</strong>… e<br />
se il progetto davvero esiste,<br />
resterà a metà!” pensai.<br />
«Quando riusciremo a completare<br />
la scuola e avviare i corsi…»<br />
continuò Filomena «sceglieremo<br />
degli alunni della vostra scuola per<br />
portarli lì, in Africa!»<br />
Ci fu silenzio generale. Non so se<br />
per l’incredulità a quella notizia o<br />
perché più <strong>di</strong> qualcuno si era<br />
addormentato. Io in verità ero<br />
abbastanza scettica.<br />
«Ma va’, figurati se ci portano<br />
davvero in Kenya!» <strong>di</strong>ssi a<br />
Clarissa che era affianco a me.<br />
«Lo sai che è solo una scusa per<br />
racimolare sol<strong>di</strong>!» rispose lei<br />
continuando a scrivere sms al suo
agazzo. Clarissa era una ragazza<br />
abbastanza alta e aveva forme<br />
generose. Era anche molto<br />
riservata e a chi non la conosceva<br />
poteva sembrare antipatica. Era<br />
fidanzata da anni con il suo<br />
Agostino, un carabiniere sempre in<br />
missione, non si vedevano quasi<br />
mai. Forse era per questo che<br />
stavano insieme da una vita.<br />
«Oggi sono a vostra <strong>di</strong>sposizione<br />
per qualsiasi chiarimento. Nei<br />
prossimi mesi documenterò i<br />
progressi del nostro progetto e<br />
manderò foto ai vostri insegnanti.<br />
Se volete sapere qualcosa in più<br />
chiedete a loro. Grazie per la<br />
vostra attenzione, ragazzi» terminò<br />
Filomena.<br />
Detto questo tutti si alzarono<br />
imme<strong>di</strong>atamente e si avviarono<br />
all’uscita della palestra. La nostra<br />
in<strong>di</strong>fferenza poteva sembrare una<br />
brutta cosa, ma si sentivano<br />
talmente tante truffe a Striscia la
notizia o Le iene che ormai<br />
nessuno credeva più in niente.<br />
Leggevo negli occhi dei miei<br />
compagni solo noia, nessun<br />
interesse reale o entusiasmo. Solo<br />
le becchine, dette anche lecchine,<br />
stavano già parlando con la<br />
coor<strong>di</strong>natrice <strong>di</strong> classe, la<br />
professoressa <strong>di</strong> tedesco Maria<br />
Grazia Nitti su come e quando<br />
raccogliere le donazioni della<br />
nostra classe. <strong>Il</strong> loro però non era<br />
vero interesse, le conoscevo bene,<br />
era solo un modo per farsi belle<br />
agli occhi degli insegnanti. La<br />
professoressa Nitti, che era una<br />
donna sempre entusiasta e carica al<br />
punto da riempirsi <strong>di</strong> una marea <strong>di</strong><br />
impegni e iniziative, stava già<br />
prendendo la sua agen<strong>di</strong>na per<br />
segnare anche questo nuovo<br />
progetto. Mentre uscivo dalla<br />
palestra mi voltai e vi<strong>di</strong> la signora<br />
Filomena parlare con il preside.<br />
Credevo che non l’avrei più rivista,
come tutti gli altri che<br />
raccoglievano fon<strong>di</strong>, invece mi<br />
sbagliavo.<br />
La mia vita continuò<br />
tranquillamente: casa, scuola, pub,<br />
casa <strong>di</strong> Fiorella. In quel periodo<br />
non ero molto attratta dai ragazzi o<br />
meglio non volevo esserlo. Dopo<br />
quello che avevo passato con<br />
Michele, che dopo anni <strong>di</strong><br />
fidanzamento mi aveva lasciata per<br />
un’altra, per me i ragazzi erano<br />
<strong>di</strong>ventati solo un gioco: se<br />
conoscevo uno carino provavo a<br />
uscirci, ma poi al primo incontro<br />
già mi stancavo. Preferivo stare<br />
con i miei amici, <strong>di</strong>vertirmi e non<br />
prendere niente sul serio.<br />
Arrivò l’estate e organizzammo<br />
delle feste in campagna da<br />
Maristella. Lei era sempre<br />
<strong>di</strong>sponibile e ormai non<br />
pensavamo più a trovare un posto<br />
per i nostri party, il nostro posto
era la sua campagna. Fu così anche<br />
per il 2 giugno, festa della<br />
Repubblica. Ricordavo benissimo<br />
il significato <strong>di</strong> quella ricorrenza<br />
perché alle me<strong>di</strong>e avevo una<br />
professoressa <strong>di</strong> storia che era<br />
terribile: picchiettando i suoi<br />
enormi anelli dorati sulla cattedra<br />
ci ripeteva la stessa cosa fin<br />
quando non l’avevamo imparata.<br />
Però dovevo ammettere che il suo<br />
metodo aveva funzionato: il 2<br />
giugno del 1946 in Italia ci fu il<br />
primo referendum a suffragio<br />
universale (fu la prima volta in cui<br />
votarono anche le donne) e il<br />
popolo italiano fu chiamato a<br />
scegliere tra monarchia e<br />
repubblica. Sappiamo benissimo<br />
che vinse la seconda alternativa.<br />
Per noi comunque ogni festa era<br />
un’occasione per festeggiare.<br />
<strong>Il</strong> giorno prima della festa io,<br />
Angelica, Cinzia e Fiorella<br />
andammo in campagna da
Maristella per aiutarla a dare una<br />
pulita veloce e preparare il tutto<br />
per il giorno seguente. <strong>Il</strong> villino <strong>di</strong><br />
Maristella si trovava nella<br />
bellissima Valle d’Itria, una valle<br />
ai pie<strong>di</strong> della nostra citta<strong>di</strong>na<br />
immersa nel verde e punteggiata<br />
da bianchi trulli, costruzioni in<br />
pietra a forma conica risalenti ai<br />
nostri avi. La maggior parte dei<br />
martinesi aveva una campagna,<br />
con trulli spesso ristrutturati, in<br />
genere ere<strong>di</strong>tata dai genitori. In<br />
inverno tutti abitavano in città,<br />
mentre d’estate usavano<br />
villeggiare in campagna. Io non<br />
avevo mai vissuto quest’esperienza<br />
perché noi non avevamo una<br />
campagna, non avevamo neanche<br />
una casa <strong>di</strong> proprietà a Martina!<br />
Solo qualche volta ero rimasta a<br />
dormire in campagna da Fiorella,<br />
che aveva un’immensa villa con<br />
tavernetta e giar<strong>di</strong>no con ulivi<br />
secolari.
Per arrivare in campagna da<br />
Maristella bisognava imboccare un<br />
vecchio tratturo senza asfalto: la<br />
sua casa era la prima sulla sinistra.<br />
<strong>Il</strong> cancello rosso si apriva su un<br />
piccolo spiazzo cementato che<br />
veniva usato come parcheggio.<br />
Particolare era un albero cresciuto<br />
proprio vicino a un angolo dello<br />
spiazzo, le cui ra<strong>di</strong>ci ne avevano<br />
provocato la rottura e il<br />
rigonfiamento. Quelle crepe erano<br />
da sempre nemiche dei pneumatici<br />
delle auto. C’era anche una piccola<br />
aiuola nella quale giaceva una<br />
vecchia altalena rossa e blu dove<br />
tutti gli anni la nostra classe si<br />
ammassava per fare la foto <strong>di</strong> rito.<br />
In un piccolo fabbricato si<br />
trovavano due piccole camere da<br />
letto, una cucina centrale con<br />
camino e un bagno rialzato.<br />
All’esterno un’altra piccola<br />
costruzione separata dalla prima<br />
costituiva il nostro salone per le
feste, era lì che davamo sfogo al<br />
nostro <strong>di</strong>vertimento.<br />
Mentre raggiungevamo la villetta,<br />
io e Fiorella fumavamo in<br />
macchina. La macchina <strong>di</strong> Cinzia<br />
era una vecchia Peugeot<br />
sgangherata, ma per noi giovani in<br />
cerca <strong>di</strong> libertà era il massimo.<br />
Inoltre Cinzia era stata la prima<br />
patentata e per il primo periodo<br />
faceva da autista per tutte le nostre<br />
escursioni.<br />
«Che <strong>di</strong>te, Maristella si sarà già<br />
svegliata?» chiese Angelica.<br />
«Bè, sono le un<strong>di</strong>ci, quin<strong>di</strong>…»<br />
stava rispondendo Cinzia.<br />
«…no!» finii la frase.<br />
Scoppiammo tutte a ridere.<br />
«Spero per lei che vi sbagliate,<br />
altrimenti un bel gavettone nel<br />
letto non glielo toglie nessuno!»<br />
esclamò Fiorella.<br />
«La solita bastarda!» convenni io.<br />
«Non credo proprio che la madre<br />
te lo permetterà!» continuò Cinzia.
«E no, guardate che oggi è<br />
mercoledì e la madre <strong>di</strong> Maristella<br />
è andata a lavoro presto!» ci<br />
informò Angelica.<br />
«E vai!» esclamammo noi in coro.<br />
Teresa, la madre <strong>di</strong> Maristella, era<br />
una brava signora ma <strong>di</strong> sicuro era<br />
meglio stare da sole. Potevamo<br />
mettere i pie<strong>di</strong> sul <strong>di</strong>vano e<br />
mangiare popcorn, e poi Maristella<br />
poteva fumare con noi. La signora<br />
Teresa lavorava al mercato del<br />
paese che si svolgeva ogni<br />
mercoledì vicino al foro boario,<br />
dove una volta si tenevano fiere <strong>di</strong><br />
animali. Aveva una bancarella <strong>di</strong><br />
strofinacci, asciugamani, tende e<br />
tappeti.<br />
Entrammo nel cancello e…<br />
incre<strong>di</strong>bile! Maristella era già in<br />
pie<strong>di</strong>. I capelli biondo scuro<br />
raccolti in una coda e le cosce<br />
larghe al vento. Non era molto<br />
cicciottella ma essendo bassa<br />
sembrava un po’ più tonda. Stava
trascinando delle se<strong>di</strong>e <strong>di</strong> plastica<br />
bianca nel grande salone.<br />
«Finalmente!» gracchiò con quella<br />
sua voce squillante vedendoci<br />
arrivare.<br />
«Peccato, missione gavettone<br />
fallita!» bofonchiò Fiorella tra sé.<br />
«Come mai sei già sveglia?»<br />
chiese Cinzia incredula, sbattendo<br />
la portiera <strong>di</strong>fettosa della<br />
macchina.<br />
«E voi a che ora volevate venire?<br />
Per pranzo?» rispose Maristella<br />
ignorando la provocazione <strong>di</strong><br />
Cinzia.<br />
«Dai, basta, al lavoro!» chiusi il<br />
<strong>di</strong>scorso. Anche se ci<br />
punzecchiavamo sempre non<br />
litigavamo mai.<br />
Entrammo nel salone a lasciare le<br />
borse e subito ci armammo <strong>di</strong><br />
scopa, paletta, secchio, pezze e<br />
soprattutto buona volontà.<br />
Sapevamo che se ci fossimo<br />
fermate non avremmo fatto più
niente. Dopo le pulizie aprimmo il<br />
tavolo al massimo (saremmo stati<br />
ventidue il giorno dopo, cioè tutta<br />
la classe tranne le becchine),<br />
apparecchiammo e sistemammo le<br />
se<strong>di</strong>e <strong>di</strong> plastica. Mettemmo un<br />
telo sul <strong>di</strong>vano in pelle bianca,<br />
anche se sapevamo già che il trio<br />
l’avrebbe gettato a terra nel giro <strong>di</strong><br />
un minuto. Preparammo lo stereo<br />
con tutti i nostri cd preferiti che<br />
comprendevano balli <strong>di</strong> gruppo,<br />
canzoni <strong>di</strong> Aerosmith, Nickelback,<br />
Goo goo dolls, Black eyed peas e<br />
Greenday. Spargemmo posaceneri<br />
per la stanza e per il giar<strong>di</strong>no, in<br />
modo che nessuno gettasse cicche<br />
nei fiori (sarebbe accaduto<br />
comunque). La madre <strong>di</strong> Maristella<br />
non tornava a pranzo così<br />
mangiammo panini e patatine,<br />
come facevamo a scuola dopo le<br />
lezioni.<br />
La mattina dopo, l’incontro era<br />
previsto per le 10.30 al Martina
Caffè per la colazione: riempimmo<br />
il bar come una banda <strong>di</strong> affamati.<br />
Quel bar aveva un enorme<br />
parcheggio e l’interno del locale<br />
era tutto giallo a esclusione del<br />
bancone rosso acceso. Ovviamente<br />
non tutti arrivarono in orario e<br />
quando arrivammo in campagna<br />
erano le 11.20.<br />
La signora Teresa aveva deciso<br />
come sempre <strong>di</strong> darci fiducia e si<br />
era tolta dai pie<strong>di</strong>. <strong>Il</strong> trio si mise<br />
subito a giocare a pallone<br />
<strong>di</strong>struggendo quei pochi tulipani<br />
non ancora appassiti che si<br />
trovavano vicino al cancello. Noi<br />
ragazze invece preparammo<br />
tramezzini al tonno, patatine e<br />
crepes alla nutella da mettere in<br />
frigo e mangiare come dolce.<br />
Ovviamente c’era sempre qualche<br />
furba delle ping pong che non<br />
aveva voglia <strong>di</strong> lavorare e se ne<br />
stava fuori facendo finta <strong>di</strong><br />
telefonare o prendere qualcosa in
macchina. Mangiammo spaghetti<br />
al pomodoro dopo un mare <strong>di</strong><br />
risate perché Angelica aveva<br />
buttato la pasta nell’acqua ancora<br />
fredda. Si vedeva che nelle nostre<br />
case non partecipavamo alle<br />
faccende domestiche! Ma era<br />
proprio quello il bello: arrangiarsi.<br />
Per secondo mangiammo insalata e<br />
cotolette fritte nella friggitrice<br />
formato famiglia <strong>di</strong> Maristella.<br />
Infine il dolce, tanto la frutta non<br />
la voleva nessuno. <strong>Il</strong> pomeriggio fu<br />
de<strong>di</strong>cato a una guerra <strong>di</strong> gavettoni,<br />
ai balli <strong>di</strong> gruppo, ai giochi con<br />
penitenze e, ovviamente per i<br />
maschi, al pallone.<br />
«Ma che ci trovano <strong>di</strong> tanto<br />
<strong>di</strong>vertente nel correre <strong>di</strong>etro a una<br />
palla? Anche il mio cane si <strong>di</strong>verte<br />
così!», sbuffò Fiorella che aveva<br />
tanto sperato <strong>di</strong> stare un po’ vicino<br />
a Luca, ma lui aveva altro a cui<br />
pensare.
Quella giornata si concluse in<br />
modo spensierato.<br />
Durante l’estate andavamo spesso<br />
al mare a Torre Canne, oltre i<br />
monti <strong>di</strong> Cisternino. Era il sito<br />
balneare più vicino: <strong>di</strong>stava solo<br />
venticinque chilometri da Martina<br />
Franca. <strong>Il</strong> mare veramente non era<br />
un granché ma a noi bastava<br />
<strong>di</strong>vertirci. Stendevamo i nostri teli<br />
sulla sabbia e, una volta<br />
appallottolati i vestiti negli zaini,<br />
correvamo in acqua. C’era sempre<br />
chi voleva entrare piano piano<br />
perché l’acqua era fredda ma alla<br />
fine veniva trascinato giù dagli<br />
altri. Meno volte invece andavamo<br />
a Pulsano, in provincia <strong>di</strong> Taranto,<br />
dove il mare era stupendo, ma<br />
come posto era molto più lontano.<br />
In quell’estate del 2004 non ci<br />
furono grossi cambiamenti nella<br />
mia vita, anzi a <strong>di</strong>r la verità non ci<br />
furono cambiamenti.
Ogni tanto uscivo con mio fratello.<br />
Giacomo era alto e magro, con<br />
capelli castano scuro e occhi<br />
marroni: secondo me era un bel<br />
ragazzo. Era sei anni più grande <strong>di</strong><br />
me e viveva ancora a casa con noi.<br />
Lavorava nel caseificio sotto casa<br />
da anni ormai, aiutava nella<br />
produzione <strong>di</strong> latticini come<br />
mozzarelle e scamorze e intanto<br />
era iscritto alla facoltà <strong>di</strong> biologia.<br />
Quando non lavorava frequentava<br />
le lezioni nel quartiere Paolo Sesto<br />
<strong>di</strong> Taranto, in una delle se<strong>di</strong><br />
tarantine dell’università degli stu<strong>di</strong><br />
<strong>di</strong> Bari. Quando andava in quel<br />
quartiere malfamato per le lezioni,<br />
mamma era sempre preoccupata<br />
per lui.<br />
«Mi raccomando, chiu<strong>di</strong> le sicure<br />
quando sei in macchina! E non<br />
fermarti con nessuno!»<br />
E lui: «Mamma, ricordati che non<br />
ho più quattro anni!», e poi usciva.
Aveva tanta pazienza ed era un<br />
bravissimo ragazzo. E io ero anche<br />
gelosa <strong>di</strong> lui. Forse era una cosa<br />
stupida, però non volevo che<br />
avesse una ragazza perché non<br />
volevo che soffrisse e perché era<br />
mio fratello e nessuno me lo<br />
doveva toccare. La pecca che<br />
aveva era il fumo, come me del<br />
resto.<br />
«Selene non devi fumare!» mi<br />
rimproverava. Però io ovviamente<br />
continuavo imperterrita a fare <strong>di</strong><br />
testa mia.<br />
Una volta andai con lui a Tropea in<br />
Calabria, a trovare dei suoi amici<br />
in villeggiatura. Tropea sorgeva su<br />
<strong>di</strong> un promontorio roccioso e lì il<br />
mare era stupendo. Gli amici <strong>di</strong><br />
Giacomo avevano affittato una<br />
casa per un mese, erano in quattro:<br />
due ragazzi e due ragazze. Noi<br />
restammo lì per qualche giorno.<br />
C’era un suo amico, Cristian, che<br />
era davvero carino, alto, con occhi
gran<strong>di</strong> leggermente a mandorla,<br />
capelli lunghi e ondulati. Gli<br />
piaceva farsi un co<strong>di</strong>no alto e stava<br />
proprio bene. Sin da subito avevo<br />
il sospetto che mi guardasse un po’<br />
troppo, infatti ogni volta che<br />
andavo in veranda a fumare lui mi<br />
raggiungeva. I miei sospetti ebbero<br />
conferma una sera quando<br />
andammo a una festa in spiaggia.<br />
C’erano così tante fiaccole accese<br />
a ogni angolo che bastavano a<br />
rischiarare quella notte d’agosto.<br />
Sotto un gazebo in legno c’era il<br />
piano bar con dei tavolini<br />
improvvisati e sotto un tendone la<br />
postazione del dj. Tutti ballavano e<br />
si scatenavano in pista. Giacomo<br />
invece parlava con il barista e io<br />
gironzolavo attorno alla pista. Non<br />
mi piaceva mettermi in mostra e<br />
men che meno ballare da sola.<br />
Sentii una mano sulla spalla e mi<br />
voltai… Cristian mi sorrideva.<br />
«Che fai qui da sola?» chiese.
«Oh, niente, Giacomo si è<br />
allontanato un attimo…» risposi un<br />
po’ imbarazzata.<br />
«Dai, an<strong>di</strong>amo a fare una<br />
passeggiata», mi invitò.<br />
Sorrisi gentilmente ma rifiutai e mi<br />
allontanai verso non so dove.<br />
Anche se era carino, in quel<br />
momento mi resi conto che non<br />
volevo stare sola con lui in riva al<br />
mare e poi non volevo rovinare<br />
l’amicizia tra lui e mio fratello, nel<br />
caso le cose fossero andate per il<br />
verso sbagliato.<br />
Feci finta <strong>di</strong> avvicinarmi al dj e<br />
invece vagai da sola lì intorno per<br />
qualche minuto. A un certo punto<br />
vi<strong>di</strong> Giacomo con due bicchieri<br />
colorati in mano che camminava<br />
tra la gente guardandosi intorno.<br />
Andai alle sue spalle e gli <strong>di</strong>e<strong>di</strong><br />
una pacca gridando: «Ciao<br />
fratello!» Purtroppo per colpa mia<br />
gli cadde uno dei due bicchieri,<br />
rovesciandosi sulla sabbia.
«Complimenti!» rispose lui<br />
«Dov’eri finita? Ti avevo preso un<br />
cocktail!»<br />
«Ho fatto una passeggiata!<br />
Comunque grazie!» risposi<br />
prendendo il bicchiere pieno. Era<br />
un vodka alla pesca e Redbull. «Mi<br />
<strong>di</strong>spiace Già, ma è il tuo quello che<br />
è caduto!» ridacchiai.<br />
Lui si girò e si avviò verso il bar<br />
borbottando qualcosa <strong>di</strong><br />
incomprensibile.<br />
L’estate finì e arrivò settembre.<br />
L’autunno era la mia stagione<br />
preferita. Mi piaceva l’aria fresca<br />
del tramonto e il paesaggio<br />
colorato dalle foglie non più ver<strong>di</strong>.<br />
<strong>Il</strong> leggero venticello con i suoi<br />
odori <strong>di</strong> natura... qualcosa che mi<br />
accarezzava il naso.<br />
Martina Franca era piena <strong>di</strong> palazzi<br />
grigi ma c’erano anche tanti alberi<br />
e giar<strong>di</strong>netti e il cambiamento <strong>di</strong><br />
stagione era visibile per le strade.
Mi piaceva il colore del cielo del<br />
pomeriggio, con un sole più gentile<br />
rispetto all’estate, e poi si respirava<br />
aria <strong>di</strong> scuola. Adoravo andare nei<br />
negozi per comprare quaderni, libri<br />
e penne, mi piaceva l’odore della<br />
carta nuova e il fruscio dei fogli<br />
immacolati. Questo forse perché<br />
adoravo <strong>di</strong>segnare, colorare,<br />
scrivere: insomma tutto ciò che era<br />
creazione con la carta, era quella la<br />
mia arte.<br />
La scuola cominciò il 20<br />
settembre, era bello rivedere tutti i<br />
miei compagni dopo le vacanze.<br />
C’erano quelli abbronzati che<br />
erano stati in vacanza in Sardegna<br />
e quelli bianchi cadaverici come le<br />
becchine che sicuramente erano<br />
rimaste in casa tutta l’estate a<br />
stu<strong>di</strong>are.<br />
«Vai, raga’ un altro anno<br />
strippante!» <strong>di</strong>e<strong>di</strong> il benvenuto al<br />
gruppo delle papere.
Piera non c’era, tipico, Cinzia tirò<br />
fuori le carte da scala quaranta,<br />
Fiorella mi lanciò un sorriso,<br />
Clarissa continuò a messaggiare,<br />
Maristella e Angelica scoppiarono<br />
in una fragorosa risata interrotta<br />
però da una voce non familiare.<br />
«Buongiorno ragazzi!»<br />
Mi voltai. Era una donna sulla<br />
quarantina, magra e sorridente, con<br />
capelli mossi e rossi evidentemente<br />
tinti e abiti sportivi.<br />
«Angelini…» Iniziò a fare<br />
l’appello e tutti ci ricomponemmo.<br />
Al termine dell’appello ci spiegò<br />
che era la nuova insegnante <strong>di</strong><br />
religione. Insegnante mi sembrò<br />
una parola grossa perché negli<br />
ultimi do<strong>di</strong>ci anni <strong>di</strong> scuola l’ora <strong>di</strong><br />
religione era equivalsa alla<br />
ricreazione. Avevo sempre avuto<br />
come insegnanti <strong>di</strong> religione dei<br />
sacerdoti che o ci lasciavano<br />
giocare a carte mentre loro<br />
leggevano il giornale oppure ci
ifilavano un video su varie<br />
questioni teologiche mentre<br />
andavano a prendersi il caffè. Ma<br />
questa professoressa, Aminta<br />
Sardegna, ci insegnò davvero<br />
qualcosa. Giorno per giorno<br />
imparammo a conoscerla e a<br />
lasciarci guidare da lei. Era<br />
veramente l’unica che riusciva a<br />
catturare la nostra attenzione e<br />
farci stare attenti senza rimproveri<br />
e minacce ma con un sincero<br />
interesse. Tutto questo era davvero<br />
straor<strong>di</strong>nario considerando gli<br />
elementi della mia classe. A ogni<br />
lezione sceglievamo un argomento<br />
su cui <strong>di</strong>battere, per esempio il<br />
burqa, le mutilazioni genitali<br />
femminili, il traffico d’organi o la<br />
guerra in Iraq e dopo una sua<br />
brevissima introduzione metteva<br />
su una <strong>di</strong>scussione e poi ognuno <strong>di</strong><br />
noi <strong>di</strong>ceva la sua… veniva tutto da<br />
sé. Direi che operava una sorta <strong>di</strong><br />
brainstorming. Poco prima della
fine dell’ora ci faceva riflettere su<br />
ciò che avevamo detto anche<br />
presentandoci articoli <strong>di</strong> giornale,<br />
documenti e libri sull’argomento<br />
trattato. Per me l’ora <strong>di</strong> religione<br />
era <strong>di</strong>ventata un vero piacere. Fu<br />
grazie a lei che conobbi e lessi il<br />
libro Bruciata viva che racconta la<br />
storia vera <strong>di</strong> una donna<br />
musulmana (che non rivela né il<br />
suo nome né la sua provenienza<br />
per ragioni <strong>di</strong> sicurezza) che,<br />
ingannata da un uomo, rimane<br />
incinta senza essere sposata. Suo<br />
fratello e suo padre quando lo<br />
scoprono le rovesciano dell’acido<br />
su tutto il corpo. Lei, in gravissime<br />
con<strong>di</strong>zioni, riesce a scappare e,<br />
aiutata da dei volontari, viene<br />
curata e allontanata dal suo Paese.<br />
In Occidente questa donna scopre<br />
come non sia peccato parlare con<br />
gli uomini o camminare per la<br />
strada senza doversi coprire dalla<br />
testa a pie<strong>di</strong>. Alla fine dà alla luce
suo figlio e incontra un uomo che<br />
la ama nonostante il suo corpo sia<br />
interamente deturpato dalle<br />
cicatrici. Quando lessi questa<br />
storia mi fece rabbrivi<strong>di</strong>re e allo<br />
stesso tempo riflettere. Purtroppo<br />
esistono donne che nell’ignoranza<br />
accettano e legittimano tutto<br />
questo.<br />
L’anno scolastico proseguì senza<br />
problemi. Era ormai maggio 2005<br />
e avevo da qualche giorno<br />
compiuto <strong>di</strong>ciotto anni. <strong>Il</strong> mio<br />
compleanno era il 5 maggio e per<br />
quell’occasione papà decise <strong>di</strong><br />
affittare una grande sala in<br />
campagna e assumere un dj.<br />
Acquistò anche bibite (aranciata,<br />
cola, birra, spumante) e stuzzichini<br />
(patitine, focacce, panini), nonché<br />
una bella torta con la mia foto <strong>di</strong><br />
quando avevo un anno. Invitai tutta<br />
la classe, tranne le becchine, e<br />
pochi altri amici. Mi <strong>di</strong>vertii un
sacco, ovviamente con torta in<br />
faccia a fine serata. Non mi sentivo<br />
tanto cambiata in realtà anche se<br />
ero <strong>di</strong>ventata maggiorenne.<br />
Era quasi finito il quarto anno <strong>di</strong><br />
scuola superiore.<br />
Un caldo mattino <strong>di</strong> quel mese il<br />
preside riunì tutti gli alunni in<br />
palestra per una comunicazione.<br />
«Ehi, Fio’, ci saltiamo l’ora <strong>di</strong><br />
matematica!» <strong>di</strong>ssi a Fiorella<br />
mentre scendevamo le scale<br />
<strong>di</strong>pinte <strong>di</strong> un azzurro spento e un<br />
po’ rovinate. Anche se la mia<br />
scuola non era il massimo, ci ero<br />
molto affezionata.<br />
«Ti è andata bene!»<br />
«Una volta tanto un po’ <strong>di</strong><br />
fortuna!»<br />
«Ma per caso sai <strong>di</strong> cosa deve<br />
parlarci il preside?»<br />
Scossi la testa. Non ne avevo<br />
proprio idea.<br />
«Ho sentito parlare le becchine»,<br />
intervenne Rebecca, una ping pong
«<strong>di</strong>cono che ci sono notizie<br />
importanti da quel posto… come si<br />
chiama… ah, Malinda!»<br />
«Rebecca, vuoi <strong>di</strong>re Malin<strong>di</strong>!» la<br />
corresse Clarissa.<br />
«Bè, sì, quello!» la liquidò lei. Per<br />
Rebecca l’importante era dare le<br />
notizie, che fossero giuste o<br />
sbagliate non era un problema suo.<br />
“Era ora!” pensai “Si sono presi i<br />
sol<strong>di</strong> e basta!”<br />
Credevo che ci avrebbero mostrato<br />
foto o video della scuola costruita<br />
in Kenya, invece fu veramente una<br />
sorpresa.<br />
Entrai in palestra. Era piena <strong>di</strong><br />
ragazzi che chiacchieravano seduti<br />
sul pavimento pieno <strong>di</strong> graffi che<br />
forse un tempo era stato liscio. <strong>Il</strong><br />
preside era in pie<strong>di</strong> vicino al<br />
canestro e aspettava impaziente<br />
che arrivassero tutte le classi. Era<br />
un uomo alto con i capelli<br />
brizzolati, molto <strong>di</strong>stinto. Teneva
un foglio tra le mani e lo rigirava<br />
nell’attesa <strong>di</strong> leggerlo agli studenti.<br />
«Buongiorno a tutti!», iniziò a<br />
parlare una volta che tutti furono<br />
arrivati «Ricordate l’associazione<br />
Compagni <strong>di</strong> Malin<strong>di</strong>?»<br />
«Ehi, le becchine avevano<br />
ragione!» sussurrai all’orecchio <strong>di</strong><br />
Fiorella. Lei ridacchiò coprendosi<br />
la bocca con una mano. Quel<br />
giorno aveva uno smalto <strong>di</strong> un<br />
verde molto acceso, in tinta con la<br />
maglietta. Le piaceva un sacco<br />
cambiare smalto ogni giorno.<br />
“Quanto tempo libero!” pensai.<br />
«Le vostre donazioni, insieme a<br />
quelle degli studenti <strong>di</strong> altre<br />
scuole, sono giunte a destinazione.<br />
La costruzione della scuola in<br />
Kenya è terminata. Ci sono letti<br />
per gli studenti, banchi, lavagne,<br />
una cucina e acqua corrente!»<br />
“Bel lavoro!” <strong>di</strong>ssi tra me. Era una<br />
delle poche volte che avevamo
avuto un riscontro concreto<br />
sull’utilizzo delle nostre donazioni.<br />
«Vi porto inoltre i saluti e i<br />
ringraziamenti della signora La<br />
Serra. Lei ora si trova a Malin<strong>di</strong><br />
per organizzare l’inizio dei corsi <strong>di</strong><br />
stu<strong>di</strong>o per i ragazzi kenyoti,<br />
rientrerà a fine giugno. Intanto mi<br />
ha dato l’ok per scegliere quattro<br />
<strong>di</strong> voi che si recheranno in Kenya<br />
il prossimo settembre.» Fece una<br />
pausa.<br />
Io rimasi sorpresa, non avrei mai<br />
creduto che la signora Filomena<br />
avrebbe mantenuto la promessa.<br />
Anche gli altri ragazzi interruppero<br />
il loro chiacchiericcio e iniziarono<br />
ad interessarsi sul serio alle parole<br />
del preside.<br />
«Incre<strong>di</strong>bile!» esclamò Cinzia<br />
guardando me e Fiorella.<br />
«Bene, io e i vostri insegnanti<br />
abbiamo indetto una riunione<br />
qualche giorno fa per scegliere i<br />
fortunati. In realtà non si tratta <strong>di</strong>
fortuna: abbiamo selezionato gli<br />
studenti con il miglior ren<strong>di</strong>mento<br />
scolastico fin dal primo anno.»<br />
Sentii Nicla (una delle becchine)<br />
parlare alla sua fedele amica Sofia:<br />
«Sicuramente mi chiamano, ma io<br />
non ci vado in quel postaccio!»<br />
“Che stupida!” pensai. “Fa tanto la<br />
sapientona!”<br />
«Crede <strong>di</strong> essere la più brava della<br />
scuola, ma la sua non è vera<br />
cultura se non apprezza la<br />
possibilità <strong>di</strong> conoscere altre terre<br />
e tra<strong>di</strong>zioni!» <strong>di</strong>ssi nervosa a<br />
Fiorella.<br />
«Sì, hai ragione!» rispose lei, poi<br />
continuò «Però mi fai paura<br />
quando parli così da secchiona!»<br />
Mi <strong>di</strong>ede una pacca sulla spalla.<br />
«Oh, non si può mai parlare<br />
seriamente!» sbuffai.<br />
«Dai che scherzo!»<br />
<strong>Il</strong> preside proseguì: «Bene, ora<br />
chiamerò i prescelti che, dopo<br />
l’assemblea, verranno in
presidenza dove spiegherò tutto ciò<br />
che serve e a cosa vanno incontro.<br />
Naturalmente non sono obbligati<br />
ad accettare. Se qualcuno rifiuterà,<br />
la possibilità verrà data a chi segue<br />
nella graduatoria. Nizzi Maria<br />
Scala, è presente?»<br />
Non la conoscevo. Si sentì un<br />
presente <strong>di</strong> risposta seguito da<br />
gridolini <strong>di</strong> felicità.<br />
«Semeraro Annalia!»<br />
«Presente!» rispose una voce alle<br />
mie spalle. Non ricordo cosa stessi<br />
pensando in quel momento, forse<br />
volevo essere scelta ma non<br />
credevo che avrei sentito il mio<br />
nome.<br />
«Lofredo Selene!»<br />
«Presente!» risposi d’istinto, come<br />
quando facevamo l’appello in<br />
classe. Poi mi resi conto. Davvero?<br />
Mi aveva chiamata!<br />
“Ehi, non credevo <strong>di</strong> essere così<br />
forte a scuola!” pensai. Certo i<br />
miei voti erano sempre stati otto e
nove a fine anno, ma non<br />
pensavo… “Questo che vuol <strong>di</strong>re?<br />
Vado in Africa?”<br />
Vi<strong>di</strong> le mie amiche voltarsi verso<br />
<strong>di</strong> me e sentii i loro complimenti.<br />
Mentre mille pensieri mi<br />
turbinavano in testa, sentii anche<br />
un grugnito <strong>di</strong> Nicla e la voce del<br />
preside che <strong>di</strong>ventava sempre più<br />
lontana. Aveva chiamato un<br />
ragazzo, ma la voce dei miei<br />
pensieri era così forte che non<br />
riuscii a capire chi era. Ero<br />
davvero contenta.<br />
«Brava!» esclamò Fiorella<br />
gettandomi le braccia al collo.<br />
«L’ho sempre detto che sei una<br />
secchiona!» convenne Piera.<br />
«Bè, una secchiona in, però!»<br />
pensai e <strong>di</strong>ssi. Tutte risero.<br />
«Certo non come quella racchia <strong>di</strong><br />
Nicla!» mi <strong>di</strong>sse Luca. Sapevo che<br />
a modo suo quello era un<br />
complimento. Lo ricambiai con un<br />
occhiolino. Anche se eravamo una
agazza e un ragazzo ci volevamo<br />
bene davvero da amici: anche se ci<br />
abbracciavamo o mi sedevo in<br />
braccio a lui o viceversa tra <strong>di</strong> noi<br />
non era mai successo niente.<br />
Tutti rientrarono in classe per ciò<br />
che restava dell’ora <strong>di</strong> matematica,<br />
mentre io mi recai in presidenza.<br />
La porta in noce scuro era<br />
socchiusa. Che opportunità<br />
magnifica era quel viaggio…<br />
volevo vedere un continente nuovo<br />
e oltretutto era gratis! Bussai.<br />
«Avanti, avanti!» sentii la voce<br />
acuta del preside. Mi ritrovai nel<br />
suo ufficio, una stanza non molto<br />
grande ma ben illuminata. Sentii<br />
subito un forte odore <strong>di</strong> vaniglia.<br />
C’erano piantine grasse sul<br />
davanzale e ten<strong>di</strong>ne arancioni alla<br />
finestra. Un grosso archivio grigio<br />
si appoggiava al muro bianco e<br />
uno scaffale pieno <strong>di</strong> libri insieme<br />
a una cattedra si stagliavano<br />
dall’altra parte della stanza. C’era
anche un computer <strong>di</strong> ultima<br />
generazione: vi<strong>di</strong> la spia verde del<br />
modem che lampeggiava, era<br />
sicuramente collegato a internet.<br />
Quella era una delle poche stanze<br />
dell’e<strong>di</strong>ficio veramente pulita e<br />
or<strong>di</strong>nata, un’altra era la sala<br />
professori ovviamente.<br />
Davanti a me c’erano due ragazze<br />
e un ragazzo. Li squadrai dalla<br />
testa ai pie<strong>di</strong> per capire con chi<br />
avrei avuto a che fare durante il<br />
mio viaggio. Una delle ragazze era<br />
alta, mora, capelli ricci raccolti in<br />
una coda alta, occhiali da vista.<br />
Vestiva in stile hippie. L’altra<br />
ragazza era robusta, capelli castani<br />
a caschetto un po’ spettinati.<br />
Indossava un maglia verde chiaro<br />
attillata. <strong>Il</strong> ragazzo era alto quanto<br />
me, capelli scuri e ondulati, una<br />
barba appena accennata. Vestiva un<br />
po’ da fighettino: camicia bianca a<br />
righe blu infilata dentro i jeans,<br />
scarpe da tennis bianche. Tutti mi
guardavano. Io indossavo una<br />
maglietta bianca col cappuccio e<br />
senza maniche, jeans chiari e<br />
scarpe stile converse color argento.<br />
«Sei Lofredo?» mi chiese il<br />
preside.<br />
«Sì» risposi. Mi sentivo in<br />
imbarazzo perché ero al centro<br />
dell’attenzione.<br />
«Loro sono Nizzi Maria Scala…»<br />
in<strong>di</strong>cò la ragazza alta, «Semeraro<br />
Annalia e Volpe Antonello.»<br />
«Piacere» <strong>di</strong>ssi rivolta a tutti. Le<br />
ragazze risposero con un breve<br />
sorriso mentre Antonello mi salutò<br />
con un ciao entusiasta.<br />
«Bene, ragazzi. La possibilità che<br />
vi è stata offerta è molto<br />
importante. <strong>Il</strong> viaggio si svolgerà a<br />
settembre: partirete per il Kenya<br />
dove raggiungerete la scuola<br />
professionale <strong>di</strong> Filomena La<br />
Serra, a Malin<strong>di</strong>. Lì insegnerete<br />
l’italiano a giovani studenti<br />
kenyoti: a loro la lingua italiana
serve per lavorare negli alberghi<br />
del luogo dove ci sono<br />
prevalentemente turisti italiani.<br />
Sarete affiancati dagli educatori<br />
già presenti: Edward Murthi Ching<br />
e Salome Masawe. Nel frattempo<br />
parteciperete a escursioni nei<br />
territori limitrofi. Le spese del<br />
viaggio ovviamente sono a carico<br />
della scuola.»<br />
“Fantastico!” pensai. Non vedevo<br />
l’ora. Sarebbe stata un’esperienza<br />
unica.<br />
«<strong>Il</strong> problema è un altro» continuò<br />
il preside guardandoci uno a uno.<br />
«<strong>Il</strong> Kenya in questo momento è un<br />
Paese tranquillo, non ci sono<br />
guerre. Ma è comunque molto<br />
lontano, mancano le strutture<br />
sanitarie e sono presenti <strong>di</strong>verse<br />
malattie endemiche. Siete pronti ad<br />
affrontare questi rischi? E i vostri<br />
genitori? Sarà inoltre necessario<br />
effettuare <strong>di</strong>verse vaccinazioni.»
«Io sono sicura <strong>di</strong> accettare»<br />
risposi prontamente. Era<br />
un’opportunità che capitava una<br />
volta nella vita. Non mi facevo il<br />
problema dell’autorizzazione dei<br />
miei, perché fino a quel momento<br />
avevo sempre partecipato a tutte le<br />
gite.<br />
«Benissimo!» rispose il preside tra<br />
il sorpreso e lo scettico, data la mia<br />
risposta imme<strong>di</strong>ata. «Voialtri non<br />
siete obbligati a rispondere ora.<br />
Passate dalla segreteria e il<br />
vicepreside vi consegnerà il<br />
materiale informativo. Parlatene a<br />
casa e fatemi sapere.»<br />
«Grazie signor preside!» risposero<br />
quasi in coro le due ragazze… già<br />
non ricordavo i loro nomi. Si<br />
scambiavano occhiate e risatine,<br />
sembravano molto infantili.<br />
«Salve» salutai.<br />
Mentre il ragazzo si congedò con<br />
un saluto militare.
“Cretino!” pensai. Forse all’epoca<br />
ero un po’ dura, ma o<strong>di</strong>avo i<br />
pagliacci. Mentre quei tre<br />
socializzavano fuori dalla<br />
presidenza, andai subito dal<br />
vicepreside. La segreteria era<br />
proprio accanto alla presidenza,<br />
nel piccolo atrio d’ingresso della<br />
scuola. Ero già pronta ad ascoltare<br />
le lo<strong>di</strong> del vicepreside, il professor<br />
Miccolis, che in realtà era anche il<br />
mio professore <strong>di</strong> italiano e<br />
stravedeva per me. Era un uomo <strong>di</strong><br />
me<strong>di</strong>a altezza, oltre i sessant’anni,<br />
capelli completamente bianchi,<br />
baffi ingialliti dal fumo del sigaro,<br />
occhi azzurro cristallino. Sempre<br />
elegante, molto colto e amante<br />
della sua terra, adorava i miei temi<br />
e il mio modo <strong>di</strong> scrivere, la mia<br />
passione per la storia e la<br />
letteratura.<br />
«Salve, prof.!» esor<strong>di</strong>i sorridente<br />
entrando in segreteria. La porta era
già aperta. <strong>Il</strong> professore alzò lo<br />
sguardo dal suo registro.<br />
«Oh, Selene!» <strong>di</strong>sse subito<br />
alzandosi e venendomi incontro<br />
raggiante. Mi strinse la mano.<br />
«Sono fiero <strong>di</strong> te!» Una ventata <strong>di</strong><br />
acre odore <strong>di</strong> sigaro mi penetrò le<br />
narici. «Vieni, vieni!», mi trascinò<br />
verso la sua scrivania «Dentro<br />
questa cartellina c’è del materiale<br />
informativo sul posto,<br />
informazioni sulle vaccinazioni<br />
consigliate, la data del viaggio e<br />
l’autorizzazione da far firmare ai<br />
genitori.» Mi consegnò una<br />
cartellina <strong>di</strong> cartone verde con un<br />
elastico giallo.<br />
Ringraziai il professore e uscii in<br />
fretta dalla segreteria. Notai che gli<br />
altri tre ragazzi stavano arrivando,<br />
le ragazze mi rivolsero un quasi<br />
sorriso e ricambiai con un cenno<br />
del capo.<br />
Era quasi ora <strong>di</strong> uscire da scuola e<br />
volevo solo andare a casa per
avvisare subito i miei. Ero eccitata<br />
all’idea del viaggio, mi sembrava<br />
incre<strong>di</strong>bile. Davvero sarei andata<br />
così lontano? Ad<strong>di</strong>rittura a sud<br />
dell’equatore! Adoravo viaggiare e<br />
quello era il coronamento <strong>di</strong> un<br />
sogno. Non riuscivo a<br />
immaginarmi in terra kenyota,<br />
sarebbe stato fantastico!<br />
A pranzo trovai come sempre mia<br />
mamma e mio fratello. Papà<br />
lavorava a Taranto e tornava a casa<br />
all’ora <strong>di</strong> cena, mentre mio fratello<br />
era libero dal lavoro dalle 13.00<br />
alle 16.00. Quel giorno mamma<br />
aveva preparato uno dei miei piatti<br />
preferiti: pasta con zucchine e<br />
prosciutto. E poi c’erano<br />
mozzarelle e caciocavallo per<br />
secondo. Io e Giacomo adoravamo<br />
sciogliere il caciocavallo in padella<br />
per poi mangiarlo sul pane.<br />
«Sapete che sono stata scelta per<br />
un viaggio gratis in Kenya?» <strong>di</strong>ssi
mentre infilzavo una penna con la<br />
forchetta.<br />
«Cosa?» Mamma era un po’<br />
dubbiosa.<br />
«E perché hanno scelto te? Che hai<br />
<strong>di</strong> speciale?» mi punzecchiò invece<br />
Giacomo.<br />
«Ah ah, simpatico!» risposi in tono<br />
sarcastico.<br />
Lui sorrise.<br />
Spiegai a mamma tutto quanto e lei<br />
parve un po’ titubante. Giacomo in<br />
fondo era fiero <strong>di</strong> me, lo<br />
conoscevo, infatti mi appoggiò<br />
completamente. Papà telefonava<br />
sempre all’ora <strong>di</strong> pranzo, però<br />
mamma al telefono non gli <strong>di</strong>sse<br />
nulla del viaggio perché avremmo<br />
parlato con calma la sera a cena.<br />
<strong>Il</strong> pomeriggio in camera aprii la<br />
cartellina che mi aveva dato il<br />
professor Miccolis. C’erano tre<br />
brochure sul Kenya che <strong>di</strong>cevano<br />
un po’ <strong>di</strong> tutto, dei fogli riguardanti<br />
le vaccinazioni da fare e i
documenti necessari, un<br />
programma del viaggio e<br />
l’autorizzazione da firmare. Aprii<br />
un dépliant e lessi attentamente<br />
tutto ciò che riguardava la cultura e<br />
le <strong>di</strong>verse etnie (Maasai, Meru,<br />
Kikuyu, Samburu e Swahili erano<br />
le principali), la natura<br />
(cinquantanove riserve naturali), i<br />
panorami (tra cui la Great Rift<br />
Valley, il deserto del Chalbi, il<br />
monte Kenya e il lago Turkana), il<br />
mare (famosi Malin<strong>di</strong>, Watamu,<br />
Diani e Lamu)… ne restai<br />
estasiata.<br />
La sera papà mi fece i complimenti<br />
per essere stata scelta e poi valutò<br />
tutto con calma, parlò con mamma,<br />
lesse i dépliant, si informò su<br />
internet sulla situazione politica e<br />
alla fine mi <strong>di</strong>ede il suo consenso.<br />
La partenza era prevista per<br />
settembre, quin<strong>di</strong> avevo tutta<br />
l’estate per prepararmi. Mi serviva
il passaporto, però non andai a<br />
richiederlo dai carabinieri: mamma<br />
mi portò da una sua amica che<br />
aveva un’agenzia assicurativa e il<br />
mio passaporto fu pronto in un<br />
paio <strong>di</strong> settimane. Mi sentivo<br />
importante ad avere un passaporto<br />
perché voleva <strong>di</strong>re che viaggiavo<br />
fuori dall’Europa, che invece<br />
avevo già visitato con la scuola in<br />
lungo e in largo. Altro compito da<br />
svolgere in quell’estate fu la<br />
vaccinazione contro la febbre<br />
gialla.<br />
Una mattina io e mamma,<br />
armandoci <strong>di</strong> pazienza e della sua<br />
macchina (una Fiat 500, ma non<br />
quella d’epoca), andammo a<br />
Taranto perché a Martina Franca<br />
l’ASL non faceva quelle<br />
vaccinazioni. Guidava mamma<br />
perché io, presa dal viaggio che mi<br />
accingevo a compiere, avevo<br />
deciso <strong>di</strong> frequentare la scuola<br />
guida al mio ritorno e quin<strong>di</strong> non
avevo ancora la patente. Da<br />
Martina a Taranto c’era una<br />
superstrada e tutti guidavano<br />
veloce: anche mamma. Era un po’<br />
troppo spericolata e a volte temevo<br />
per la nostra incolumità. A Taranto<br />
vagammo per quattro uffici sanitari<br />
prima <strong>di</strong> giungere in quello giusto.<br />
In genere per andare in Kenya non<br />
erano richieste vaccinazioni<br />
obbligatorie, ma per chi si recava<br />
nell’entroterra per fare escursioni<br />
era consigliabile vaccinarsi contro<br />
la febbre gialla ed effettuare la<br />
profilassi antimalarica,<br />
quest’ultima da fare poco prima,<br />
durante e dopo il soggiorno. Dopo<br />
aver fatto una breve fila entrammo<br />
nell’ambulatorio: mi assegnarono<br />
un libretto internazionale <strong>di</strong><br />
vaccinazione e mi fecero una<br />
punturina. Quel tipo <strong>di</strong> vaccino<br />
copriva per <strong>di</strong>eci anni e non c’era<br />
bisogno <strong>di</strong> richiamo.<br />
“Meglio così!” pensai.
Anche quello era sistemato. Infine<br />
comprai un adattatore per la presa<br />
<strong>di</strong> corrente, in Kenya infatti c’era<br />
quella inglese e la forma era<br />
<strong>di</strong>versa da quella italiana.<br />
E finalmente riuscii un po’ a<br />
godermi l’estate. Andavo al mare<br />
in macchina con Fiorella,<br />
andavamo a ballare e il pomeriggio<br />
ci spostavamo <strong>di</strong> bar in bar tra<br />
merende e sigarette.<br />
«Tu mi lasci qua!» mi <strong>di</strong>sse un<br />
pomeriggio mentre eravamo stese<br />
al sole in riva al mare.<br />
«Eh?» risposi senza capire, quasi<br />
mezza addormentata.<br />
«Ho detto: te ne vai in Kenya e mi<br />
lasci qua. Che farò senza <strong>di</strong> te?» si<br />
spiegò meglio.<br />
Mi scappò una risata. «Guarda che<br />
starò via solo qualche settimana,<br />
mica mi trasferisco!»<br />
«Eh, appunto: qualche settimana!»
«E lo so, dai… se tu avessi<br />
stu<strong>di</strong>ato <strong>di</strong> più forse ora partiresti<br />
con me!»<br />
Fiorella si mise a sedere. Le sue<br />
lentiggini si moltiplicavano al sole.<br />
Indossava un bikini verde<br />
fosforescente che lasciava<br />
all’immaginazione ben poco delle<br />
sue forme prosperose. A volte la<br />
invi<strong>di</strong>avo: io ero asciutta e il mio<br />
bikini rosa non era così pieno<br />
come il suo.<br />
«Mi vuoi solo stuzzicare, ma io sto<br />
parlando seriamente!»<br />
«Lo so!» risposi schermandomi il<br />
viso con la mano, ma ancora la<br />
vedevo sfocata per la troppa luce.<br />
«Ci scherzo perché tanto non c’è<br />
niente da fare. Ti manderò un sms<br />
ogni giorno e ti porterò un bel<br />
regalo.»<br />
<strong>Il</strong> suo viso si rasserenò e io sorrisi,<br />
la conoscevo così bene! Comunque<br />
anche a me <strong>di</strong>spiaceva stare<br />
lontana da lei per un po’, mi
sarebbe piaciuto con<strong>di</strong>videre con la<br />
mia migliore amica<br />
quell’esperienza straor<strong>di</strong>naria.<br />
A fine agosto cominciai la<br />
profilassi antimalarica con il<br />
Malarone, una scatola <strong>di</strong> quel<br />
farmaco costava circa 60 euro.<br />
Bisognava prendere le compresse<br />
ogni giorno da una settimana<br />
prima della partenza, per tutto il<br />
soggiorno e per una settimana<br />
dopo il rientro, ma in realtà non era<br />
una protezione efficace al cento<br />
per cento, infatti mi avevano<br />
avvisata <strong>di</strong> usare anche la<br />
protezione spray speciale per<br />
zanzare tropicali. La valigia era<br />
pronta: vestiti leggeri, un paio <strong>di</strong><br />
felpe e <strong>di</strong> costumi da bagno, crema<br />
solare con fattore <strong>di</strong> protezione<br />
cinquanta, qualche vestito più<br />
elegante per uscire la sera,<br />
cellulare, un po’ <strong>di</strong> sol<strong>di</strong> e tanti<br />
farmaci (fermenti lattici, pillole
contro <strong>di</strong>sidratazione e <strong>di</strong>ssenteria,<br />
vitamine…).<br />
<strong>Il</strong> pomeriggio del 4 settembre 2005<br />
avevo l’appuntamento con gli altri<br />
partecipanti a Taranto davanti alla<br />
Banca d’Italia, in Piazza Ebalia.<br />
Ero impaziente <strong>di</strong> partire. Ad<br />
attendermi trovai un pullman blu<br />
enorme per poche persone.<br />
C’erano i tre ragazzi della mia<br />
scuola e un’insegnante che non<br />
conoscevo. Aveva lunghi capelli<br />
ricci biondo scuro e andava per i<br />
cinquanta.<br />
«Agata Magli!» si presentò appena<br />
scesi dall’auto con la mia famiglia.<br />
Notai anche altra gente davanti al<br />
pullman: un uomo alto e magro,<br />
l’autista; un uomo robusto e con i<br />
baffi che aveva l’aria <strong>di</strong> un<br />
professore, accompagnato da una<br />
donna <strong>di</strong> mezza età, probabilmente<br />
sua moglie; un ragazzo alto,<br />
magro, con gli occhiali, con la
tipica aria da secchione; vicino a<br />
lui fumava una ragazza bionda alta<br />
più o meno quanto me, indossava<br />
una tuta da ginnastica blu. Capii<br />
subito che partecipava anche<br />
un’altra scuola al viaggio e intuii<br />
anche che tutti aspettavano solo<br />
me. Giacomo portò la mia valigia<br />
all’autista che la caricò<br />
violentemente sul pullman.<br />
Mamma cominciò a piangere, al<br />
suo solito, e papà mi abbracciò<br />
<strong>di</strong>cendomi solo <strong>di</strong> stare attenta.<br />
Andai da Giacomo per salutarlo.<br />
«Sorellina, sei in gamba.<br />
Dimostralo anche in Africa!»<br />
Con quelle parole nel cuore salii<br />
sul pullman.
PARTE SECONDA<br />
KARIBUNI KENYA!<br />
La professoressa Magli si presentò<br />
al resto del gruppo e conobbi<br />
anche gli altri viaggiatori. L’uomo<br />
con i baffi era il professor<br />
Gennarini, dell’alberghiero <strong>di</strong><br />
Massafra, e viaggiava con sua<br />
moglie Stefania. <strong>Il</strong> ragazzo con gli<br />
occhiali si chiamava Marco e la<br />
ragazza Martina. Lei mi sembrava<br />
simpatica a <strong>di</strong>fferenza delle due<br />
ragazze della mia scuola, Maria e<br />
Annalia: stavano già sedute vicine<br />
facendo comunella. Mentre il
agazzo, Antonello, aveva preso<br />
posto vicino ai professori.<br />
“Che leccapie<strong>di</strong>!” pensai.<br />
Mi sedetti vicino a un finestrino <strong>di</strong><br />
metà pullman. Mi piaceva<br />
guardare fuori e poi mi aiutava a<br />
combattere il mio mal d’auto o in<br />
quel caso mal <strong>di</strong> pullman. Di<br />
sfuggita vi<strong>di</strong> l’auto <strong>di</strong> papà <strong>di</strong>etro<br />
l’angolo e mamma in macchina<br />
che si sbracciava per salutarmi. Era<br />
sempre la stessa: affrontava con<br />
enfasi ogni situazione e questo in<br />
un certo senso mi innervosiva.<br />
Da Bari prendemmo un aereo per<br />
Milano e durante il tragitto non<br />
parlai con nessuno. Con un<br />
pulmino interno da Milano<br />
Malpensa 1 raggiungemmo Milano<br />
Malpensa 2 da dove partivano i<br />
voli intercontinentali. Alle 22.00 ci<br />
imbarcammo per Mombasa.<br />
Durante il volo ebbi modo <strong>di</strong><br />
notare il carattere esuberante ed
eccentrico della professoressa<br />
Magli: faceva un sacco <strong>di</strong> battute<br />
per rendersi simpatica.<br />
<strong>Il</strong> volo fu una bella esperienza:<br />
mentre osservavamo Milano<br />
notturna dall’alto le hostess ci<br />
servirono la cena. Durante la notte<br />
però un po’ <strong>di</strong> turbolenze non mi<br />
permisero <strong>di</strong> dormire tranquilla.<br />
JUMATATU (LUNEDÌ), 05/09/2005<br />
Era una sensazione strana essere<br />
ancora in aereo dopo tante ore <strong>di</strong><br />
viaggio. Di mattina presto<br />
effettuammo uno scalo tecnico<br />
sull’isola <strong>di</strong> Zanzibar. Era un<br />
para<strong>di</strong>so in mezzo al mare<br />
circondato da tante piccole isolette
deserte: non riuscivo a credere ai<br />
miei occhi.<br />
Durante il viaggio parlai con<br />
Martina e scoprii che era una<br />
ragazza come me, a cui piaceva<br />
<strong>di</strong>vertirsi e stare in compagnia.<br />
Meno male, non avrei dovuto<br />
sopportare quelle due della mia<br />
scuola.<br />
Quando atterrammo a Mombasa<br />
erano passate circa nove ore <strong>di</strong><br />
volo e in Kenya dovetti regolare<br />
l’orologio del telefonino perché<br />
c’era un fuso orario <strong>di</strong> tre ore in<br />
avanti rispetto all’Italia.<br />
Appena uscii all’aperto un caldo<br />
opprimente mi schiacciò i<br />
polmoni. Che afa! Previdente mi<br />
ero vestita a cipolla quin<strong>di</strong>, tolta la<br />
felpa azzurra, rimasi con indosso<br />
una magliettina rosa dell’Hard<br />
Rock Café <strong>di</strong> Barcellona. Io e<br />
Fiorella ce l’eravamo comprata
uguale quando eravamo andate in<br />
gita in Spagna.<br />
L’aeroporto era spoglio e ridotto<br />
all’essenziale. Un tizio in scrivania<br />
rilasciava i visti turistici, pagai<br />
cinquanta euro. <strong>Il</strong> personale era<br />
ovviamente tutta gente del posto e<br />
grazie alla <strong>di</strong>visa bianca la loro<br />
pelle scura risaltava ancora <strong>di</strong> più.<br />
Avvisai sia i miei sia la mia<br />
migliore amica che ero arrivata<br />
sana e salva.<br />
Salimmo su <strong>di</strong> un pulmino messo a<br />
<strong>di</strong>sposizione apposta per noi da un<br />
sacerdote della Cattedrale <strong>di</strong><br />
Malin<strong>di</strong>. <strong>Il</strong> tragitto durò circa due<br />
ore e la strada <strong>di</strong>ssestata agì da<br />
massaggiatore per il mio<br />
fondoschiena.<br />
Rimasi a bocca aperta guardando il<br />
mondo fuori dal finestrino. Erano<br />
tutte strade sterrate fiancheggiate a<br />
volte da palme, a volte da capanne<br />
<strong>di</strong> fango e paglia, a volte da
aracche in lamiera; queste ultime<br />
erano praticamente dei negozi.<br />
Vi<strong>di</strong> tante persone camminare sul<br />
ciglio della strada: uomini e donne,<br />
la maggior parte scalzi, e bambini<br />
che giocavano a rincorrere le auto.<br />
Più tar<strong>di</strong> avrei capito che quei<br />
bambini non stavano affatto<br />
giocando.<br />
«Hai visto che belle tipe ci sono<br />
qui?» Era Antonello, che si era<br />
girato dal se<strong>di</strong>le davanti al mio per<br />
parlarmi. Erano le prime parole<br />
che mi rivolgeva dal giorno prima.<br />
«Vedrai che anche i tizi del posto<br />
ammireranno la bellezza<br />
me<strong>di</strong>terranea delle nostre ragazze,<br />
come per esempio… te!»<br />
Avevo capito bene? Gli rivolsi uno<br />
sguardo a metà tra la sorpresa e il<br />
rimprovero. Mi fece un sorriso e<br />
tornò a guardare fuori dal<br />
finestrino. Quello era ovviamente<br />
un tentativo <strong>di</strong> flirt! Non credevo
minimamente <strong>di</strong> potergli<br />
interessare!<br />
«Bene, siamo quasi arrivati!»<br />
annunciò in un italiano molto<br />
accentato Kafil, il nostro autista.<br />
Era un ragazzo minuto, con gli<br />
occhi svegli e la pelle scurissima.<br />
Quando sorrideva, i denti bianchi<br />
quasi brillavano.<br />
In una strada secondaria c’era un<br />
grande cancello in ferro.<br />
Entrammo e trovammo ad<br />
aspettarci una folla <strong>di</strong> ragazzi e<br />
ragazze sorridenti, erano circa una<br />
ventina. La loro accoglienza fu<br />
meravigliosa: cantavano e<br />
ballavano, regalandoci ghirlande <strong>di</strong><br />
fiori e gettando coriandoli colorati<br />
sulle nostre teste. Davvero<br />
commuovente. Non avevo mai<br />
visto degli estranei così<br />
amichevoli!<br />
Eravamo in uno spiazzale non<br />
asfaltato, che una decina <strong>di</strong> metri
più avanti lasciava spazio a un<br />
e<strong>di</strong>ficio bianco e grigio a staffa <strong>di</strong><br />
cavallo con davanti un cartello:<br />
Saint Francis Xavier Catholic<br />
Institute. Gli studenti ci travolsero<br />
con la loro gioia e i loro abbracci,<br />
portandoci in un piccolo atrio dove<br />
ci fecero accomodare su delle<br />
panchine e ci offrirono delle<br />
bevande fresche. <strong>Il</strong> rituale<br />
dell’accoglienza continuò: ci<br />
mostrarono balli e canti in swahili<br />
e devo <strong>di</strong>re che non capii<br />
assolutamente cosa <strong>di</strong>cessero le<br />
loro canzoni, ma erano allegre e<br />
travolgenti. Si presentarono tutti:<br />
Mundu, Helen, Josephine, Jante,<br />
Leah, Sabya, Mapenzi, John,<br />
Jahleel, Francis, Anthony, Idah,<br />
Gabriel, Lauren, Dafina, Millicent,<br />
Vincent, Monica, Davis e Kevin.<br />
Ad accoglierci c’erano anche<br />
Sister Lucy e Sister Rosina, le due<br />
suore che gestivano la scuola.
Erano entrambe bassine e robuste.<br />
Nonostante l’istituto fosse retto da<br />
suore cattoliche, notai subito<br />
ragazze con il velo sui capelli e<br />
capii che erano musulmane. Gli<br />
studenti erano <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse religioni<br />
ma andavano perfettamente<br />
d’accordo tra loro: lì non c’era<br />
traccia dell’o<strong>di</strong>o tra cristiani e<br />
musulmani con cui comunemente i<br />
mass me<strong>di</strong>a riempivano le nostre<br />
reti televisive. Era tutta<br />
un’esplosione <strong>di</strong> gioia e <strong>di</strong> vita allo<br />
stato puro.<br />
«Good morning italian sisters and<br />
brothers!» esordì Sister Rosina.<br />
Subito la professoressa Magli<br />
rispose con voce teatrale: «Good<br />
morning, sister!»<br />
Mi guardai intorno per cogliere lo<br />
sguardo dei miei compagni e trovai<br />
solo quello <strong>di</strong> Antonello che mi<br />
scoccò un occhiolino. Mi rigirai<br />
imme<strong>di</strong>atamente, quasi infasti<strong>di</strong>ta.
Non sapevo come interpretare<br />
quelle attenzioni… Lui non era<br />
decisamente il mio tipo: troppo<br />
esibizionista.<br />
«We all welcome you in our<br />
school» continuò Sister Rosina.<br />
Sentii passi alle spalle della suora.<br />
«Oh, here are our teachers: Salome<br />
Masawe and Edward Murthi<br />
Ching.» La suora si scostò<br />
leggermente e comparve una<br />
donna sui trent’anni. Era carina, i<br />
capelli crespi raccolti in uno<br />
chignon sulla nuca, la pelle<br />
scurissima e denti e occhi<br />
splendenti. Indossava una gonna<br />
beige lunga fin sotto il ginocchio e<br />
una maglietta rosa chiaro a<br />
maniche corte.<br />
«Salve a tutti!» ci salutò.<br />
Alle sue spalle apparve un ragazzo.<br />
Era molto alto, almeno un metro e<br />
novanta, con fisico scolpito e pelle<br />
d’ebano lucente. Guardai il viso:
lineamenti eleganti, naso<br />
affusolato, occhi gran<strong>di</strong>, scuri e<br />
intelligenti. La bocca era carnosa e<br />
sorridente. I capelli scuri erano<br />
raccolti in due treccioline che<br />
partivano separate sulla fronte, si<br />
univano in una sola treccia <strong>di</strong>etro<br />
la testa e infine si <strong>di</strong>videvano<br />
ancora in due sotto la nuca,<br />
ricadendogli sulle spalle per pochi<br />
centimetri. Io ero semplicemente…<br />
senza fiato. Era il ragazzo più bello<br />
che avessi mai visto: uno<br />
splendore assoluto.<br />
«Salve ragazzi, benvenuti. Io mi<br />
chiamo Edward e, insieme a<br />
Salome, vi farò da guida nelle ore<br />
scolastiche.» La sua voce era calda<br />
e cor<strong>di</strong>ale.<br />
Da Maria e Annalia si levò un<br />
gridolino. Martina e Marco erano<br />
quasi in<strong>di</strong>fferenti, mentre<br />
Antonello aveva un’espressione da<br />
superiore, come al solito, ormai
l’avevo inquadrato come persona.<br />
Riguardai Edward temendo che<br />
potesse cogliere l’ammirazione nei<br />
miei occhi, ma non mi guardava.<br />
Parlava con Salome in swahili<br />
mentre Sister Rosina ci in<strong>di</strong>cava le<br />
scale per raggiungere le nostre<br />
stanze.<br />
La scuola era composta da un atrio<br />
centrale all’aperto (dove ci<br />
trovavamo in quel momento) e su<br />
tre lati si estendeva una<br />
costruzione a due piani. Al piano<br />
terra c’erano tutte le aule e sulla<br />
destra la mensa, mentre al primo<br />
piano si trovavano a sinistra le<br />
camere degli ospiti come noi, al<br />
centro quelle dei professori e delle<br />
suore e a destra quelle degli<br />
studenti. C’erano <strong>di</strong>verse scale<br />
interne ed esterne per accedere al<br />
piano superiore. Alle spalle<br />
dell’e<strong>di</strong>ficio invece c’era una
piccola costruzione a<strong>di</strong>bita a<br />
chiesa.<br />
Fui travolta dall’entusiasmo degli<br />
studenti che ci aiutarono a portare<br />
le valigie pesanti su per le scale.<br />
Gabriel aiutò me: era un ragazzo<br />
molto timido che mi rivolse<br />
appena un rapido sorriso quando lo<br />
ringraziai. Ci avevano detto che le<br />
camere erano da due letti. Passai<br />
un attimo in rassegna i miei<br />
compagni <strong>di</strong> viaggio e alla fine<br />
guardai Martina, che era l’unica<br />
scelta non traumatica per me. Con<br />
sollievo notai che anche lei mi<br />
stava fissando.<br />
«An<strong>di</strong>amo?» le chiesi in<strong>di</strong>cando la<br />
prima camera sulla destra <strong>di</strong> un<br />
lungo corridoio.<br />
«Ah, meno male! Temevo che i<br />
professori ci avrebbero assegnato i<br />
compagni <strong>di</strong> stanza!»<br />
Aprii la porta verde ed entrai in<br />
una camera luminosa, pulita e
ospitale. C’erano due letti singoli<br />
coperti da ampie zanzariere, come<br />
quelle dei film de Le mille e una<br />
notte, un arma<strong>di</strong>o marrone stile<br />
arte povera con scrivania e se<strong>di</strong>a<br />
abbinate. Niente televisione. Bè,<br />
certo, che mi aspettavo? Di fronte<br />
a me una grande finestra senza<br />
vetro, solo con la zanzariera. Sulla<br />
destra una porta verde come quella<br />
d’ingresso che sicuramente dava<br />
sul bagno.<br />
«Mi aspettavo <strong>di</strong> peggio!» esclamò<br />
Martina gettandosi sul primo letto.<br />
«Bè, anch’io, non è niente male!<br />
Meglio <strong>di</strong> qualche ostello italiano<br />
in cui sono stata in gita!»<br />
convenni.<br />
Mi piaceva la sua compagnia. Era<br />
una ragazza semplice e simpatica,<br />
ero certa che mi sarei <strong>di</strong>vertita da<br />
morire e soprattutto avrei vissuto<br />
un’esperienza <strong>di</strong> vita veramente<br />
forte.
Erano ancora le 10.30, così<br />
decidemmo <strong>di</strong> farci una doccia<br />
prima <strong>di</strong> pranzo. <strong>Il</strong> bagno aveva<br />
lavan<strong>di</strong>no, water e un foro sul<br />
soffitto da cui usciva acqua,<br />
praticamente la doccia. <strong>Il</strong><br />
pavimento era cementato con una<br />
pendenza in corrispondenza dello<br />
scolo della doccia. Effettivamente<br />
non era per niente male<br />
considerando la povertà che<br />
avevamo visto per le strade. Per<br />
lavarci i denti però dovevamo<br />
usare acqua imbottigliata, perché<br />
l’acqua corrente non era sicura.<br />
Mentre mi rivestivo sentii il breve<br />
trillo del mio telefonino, era un<br />
sms <strong>di</strong> Fiorella:<br />
Ciao tesoro, allora? Che combini?<br />
Com’è il posto? C’è qualcuno<br />
carino? Fammi sapere le novità!<br />
Ricorda che TVB!
Sorrisi al pensiero della mia amica<br />
che era sempre la stessa, in<br />
qualsiasi situazione.<br />
«Allora, che ne pensi, ci<br />
<strong>di</strong>vertiremo?» chiesi a Martina<br />
mentre usciva dal bagno. Indossai<br />
un paio <strong>di</strong> pantaloncini verde<br />
militare, una canotta a strisce<br />
bianche e beige e un paio <strong>di</strong><br />
sandali infra<strong>di</strong>to.<br />
«Sì, per forza! È un posto<br />
bellissimo! Comunque dobbiamo<br />
prima preoccuparci <strong>di</strong> insegnare<br />
tutto ciò che possiamo agli<br />
studenti» rispose indossando un<br />
pantajazz nero e una maglietta<br />
fucsia.<br />
«Sì, sono fantastici!» Volevo<br />
chiederle cosa ne pensava <strong>di</strong><br />
Edward ma ancora non sapevo se<br />
potevo fidarmi totalmente <strong>di</strong> lei.<br />
A mezzogiorno qualcuno bussò<br />
alla porta. Mi stavo legando i
capelli ondulati in una coda alta e<br />
andai ad aprire con la mano libera.<br />
«Salve bellezze!» Era Antonello.<br />
«Stiamo scendendo tutti giù in<br />
mensa perché fra poco si mangia!<br />
Venite perché altrimenti non<br />
possiamo iniziare!»<br />
«Certo, sto morendo <strong>di</strong> fame!»<br />
risposi subito.<br />
Lui mi lanciò un occhiolino come<br />
aveva fatto poche ore prima e<br />
scese le scale. Chiusi la porta, mi<br />
voltai un po’ seccata e Martina mi<br />
capì al volo.<br />
«Non ti piace quel tipo, eh?»<br />
«Eh? No… veramente non mi<br />
piacciono le sue attenzioni così<br />
sfacciate!»<br />
«Sinceramente anche a me darebbe<br />
un po’ fasti<strong>di</strong>o. Ve<strong>di</strong>la così: vuol<br />
<strong>di</strong>re che piaci ai ragazzi!» <strong>di</strong>sse<br />
aprendo la porta.<br />
«Se vuoi te lo cedo volentieri!»<br />
risposi seguendola.
«Ok, scherzavo!» Stava già<br />
scendendo le scale.<br />
All’interno la scuola era semplice<br />
e lineare. <strong>Il</strong> pavimento in ceramica<br />
era chiaro e il muro era <strong>di</strong>pinto <strong>di</strong><br />
azzurro, qua e là qualche finestra<br />
con zanzariera.<br />
La mensa si trovava dall’altra parte<br />
dell’atrio. Mentre lo<br />
attraversavamo, qualche studente<br />
kenyota ci raggiunse e si unì a noi.<br />
«Jambo!» mi <strong>di</strong>sse Jante<br />
camminando al mio fianco.<br />
«Jambo!» risposi io: ormai avevo<br />
capito che jambo significava ciao<br />
in swahili, la lingua del Kenya.<br />
Comunque tutti parlavano inglese<br />
e nella zona <strong>di</strong> Malin<strong>di</strong> anche<br />
l’italiano. Ed erano così cor<strong>di</strong>ali!<br />
Entrai in mensa sperando <strong>di</strong><br />
trovare un po’ <strong>di</strong> frescura ma i<br />
ventilatori accesi appesi al soffitto<br />
non facevano altro che rimandare a<br />
terra l’aria bollente che usciva dai
pentoloni <strong>di</strong> cibo <strong>di</strong>sposti su <strong>di</strong> un<br />
lato della grande sala.<br />
«Mi <strong>di</strong>ci come facciamo a<br />
indossare vestiti lunghi per<br />
proteggerci dalle zanzare?»<br />
Martina mi rivolse uno sguardo<br />
preoccupato.<br />
«Ah, non lo so proprio!» Mi<br />
avvicinai a una pila <strong>di</strong> piatti puliti<br />
e ne presi uno.<br />
I ragazzi dello Saint Francis<br />
Xavier Catholic Institute<br />
stu<strong>di</strong>avano per <strong>di</strong>ventare<br />
receptionists, rior<strong>di</strong>natori <strong>di</strong> stanze<br />
d’albergo, camerieri ma anche<br />
cuochi. Proprio per questo<br />
facevano i turni a cucinare. Sorrisi<br />
quando vi<strong>di</strong> Gabriel e Davis in<br />
tenuta da chef vicino ai pentoloni.<br />
«Hi, miss!» mi salutò il primo<br />
«Would you like pasta?» In<strong>di</strong>cò la<br />
prima pentola.<br />
«Sì, grazie!»
Mi versò un mestolo <strong>di</strong> pennette e<br />
dalla pentola accanto prese un po’<br />
<strong>di</strong> sughetto. Salutai e mi affacciai<br />
verso i pentoloni dove c’era Davis.<br />
«Ciao amica!» Lui era molto più<br />
spigliato. «Qui ho carne e patate.<br />
Vuoi un po’?» mi chiese sforzando<br />
il suo italiano.<br />
«Certo!»<br />
Mi porse anche dell’insalata ma<br />
rifiutai. Benché io adorassi la<br />
verdura, i professori ci avevano<br />
detto <strong>di</strong> non mangiare cibi cru<strong>di</strong><br />
perché l’acqua con cui venivano<br />
lavati poteva essere contaminata<br />
con qualche bacillo che a noi<br />
europei poteva causare problemi<br />
seri. Mi voltai verso i lunghi tavoli<br />
marroni e solo allora mi resi conto<br />
<strong>di</strong> avere due piatti stracolmi.<br />
Avevo molta fame e <strong>di</strong> regola non<br />
me ne sarei vergognata, ma in quel<br />
momento mi balenò in mente che<br />
potevo trovare Edward seduto da
qualche parte… pazienza, ormai<br />
era fatta. Scrutai la grande sala.<br />
Lui non c’era. In realtà avevo<br />
voglia <strong>di</strong> rivedere le sue spalle<br />
larghe e i suoi occhi splendenti…<br />
«Vieni, <strong>di</strong> qua!» Martina mi stava<br />
chiamando. In<strong>di</strong>cò un tavolo a cui<br />
erano seduti i miei colleghi e una<br />
decina <strong>di</strong> ragazzi kenyoti.<br />
“Ottima scelta!” pensai. Dall’altro<br />
lato c’era un altro tavolo con i<br />
professori e le suore.<br />
Mi guardai intorno e salutai gli<br />
altri commensali facendo finta <strong>di</strong><br />
non notare lo sguardo <strong>di</strong> Antonello.<br />
Per tutta risposta lui prese i suoi<br />
piatti e si spostò al posto vuoto<br />
accanto a me.<br />
«Finalmente sei arrivata!»<br />
cominciò.<br />
«Tutti abbiamo fame, no?» risposi<br />
in modo generico sforzandomi <strong>di</strong><br />
non apparire irritata.
«Bè, allora bon appetit!» Tintinnò<br />
con la forchetta sul suo bicchiere.<br />
«Chakula chema! Buon appetito!»<br />
ci augurò una ragazza kenyota<br />
dall’altro lato del tavolo.<br />
«Chakula chema!» risposi con una<br />
pronuncia storpiata.<br />
La pasta era un po’ scotta e il sugo<br />
sembrava semplicemente succo <strong>di</strong><br />
pomodoro, però nel complesso era<br />
abbastanza buono: in fondo quei<br />
ragazzi stavano ancora stu<strong>di</strong>ando.<br />
La cucina italiana inoltre era<br />
profondamente <strong>di</strong>versa dalla loro.<br />
Quello che avevano mangiato per<br />
una vita non assomigliava<br />
minimamente alla pasta. La stessa<br />
cosa valeva per le ragazze che<br />
dovevano imparare a rior<strong>di</strong>nare le<br />
stanze. Venivano tutte dalla<br />
povertà più assoluta, avevano<br />
vissuto nelle capanne <strong>di</strong> fango e lì<br />
certo non c’erano letti da rifare. Mi<br />
resi conto che mi trovavo davvero
in un altro mondo. Tutte le<br />
certezze che avevo nella mia vita,<br />
nella mia quoti<strong>di</strong>anità, lì erano un<br />
miraggio che solo pochi riuscivano<br />
a raggiungere.<br />
Tutti i nostri nuovi amici<br />
sembravano così felici <strong>di</strong> averci lì<br />
con loro: scherzavano, ridevano, ci<br />
facevano tante domande per<br />
conoscerci meglio. Avevo quasi<br />
finito <strong>di</strong> mangiare quando mi<br />
accorsi che non avevo preso la mia<br />
bottiglietta d’acqua.<br />
«Già che ti alzi, ci porti la brocca<br />
dell’aranciata?»<br />
«Sì, Martina.»<br />
Mi <strong>di</strong>ressi verso il tavolo delle<br />
bevande, presi la brocca <strong>di</strong><br />
aranciata. Mi voltai per prendere la<br />
bottiglietta d’acqua e… andai a<br />
sbattere contro qualcosa con il<br />
risultato che la brocca rovinò sul<br />
pavimento, finendo in mille pezzi e<br />
bagnandomi i pie<strong>di</strong>. L’aranciata
ghiacciata sulla pelle mi fece<br />
trasalire. Misi a fuoco: all’altezza<br />
dei miei occhi c’era una maglia<br />
bianca <strong>di</strong> lino. Alzai lo sguardo<br />
e… credo proprio che <strong>di</strong>ventai<br />
rossa.<br />
«Scusami, non volevo» mi <strong>di</strong>sse<br />
Edward in un italiano perfetto. E<br />
poi sorrise. Era un sorriso appena<br />
accennato, ma dolce, sincero… e<br />
io ero lì imbambolata come una<br />
stupida. Si chinò per raccogliere i<br />
pezzi <strong>di</strong> vetro.<br />
«Oh, no, non preoccuparti!»<br />
risposi chinandomi anch’io.<br />
Avevo paura <strong>di</strong> raccogliere il vetro<br />
a mani nude ma lo feci lo stesso.<br />
C’era una scheggia appena vicino<br />
al mio alluce. Avvicinai la mano<br />
per prenderla ma lui ebbe la stessa<br />
idea. Un attimo… le sue <strong>di</strong>ta calde<br />
e scure sfiorarono le mie e io mi<br />
sentii avvampare. Edward prese la<br />
scheggia e si ritrasse. Ero
imbarazzatissima! Non avrei mai<br />
pensato che in quel viaggio mi<br />
sarebbe successa una cosa del<br />
genere… incontrare un bel<br />
ragazzo… non pensavo<br />
minimamente all’amore.<br />
«Allora, come ti chiami?» mi<br />
chiese lui raccogliendo l’ultimo<br />
coccio e alzandosi.<br />
«Mi chiamo Selene.»<br />
«Selene, la dea della luna!»<br />
«Conosci la mitologia greca?»<br />
chiesi abbastanza sorpresa.<br />
«Certo, l’ho stu<strong>di</strong>ata all’università<br />
<strong>di</strong> Nairobi.»<br />
Era così bello! «All’università?<br />
Posso chiederti quanti anni hai?»<br />
Subito dopo mi pentii per essere<br />
stata così <strong>di</strong>retta.<br />
«Ne ho venticinque.» Sorrise.<br />
“Pensavo <strong>di</strong> più, meno male!” mi<br />
balenò in mente questo pensiero;<br />
non mi accorsi che lui mi stava<br />
fissando.
Posai velocemente i frammenti <strong>di</strong><br />
vetro sul tavolo e al <strong>di</strong>avolo<br />
l’aranciata. «Scusa ma ora devo<br />
andare!» In<strong>di</strong>cai Martina che si<br />
stava alzando da tavola. Non so<br />
perché ma volevo andarmene,<br />
forse avevo già fatto troppe figure<br />
per i miei gusti.<br />
«Va bene, ci ve<strong>di</strong>amo a lezione,<br />
Selene.» Che bello sentire il mio<br />
nome pronunciato da lui!<br />
Sorrisi e mi <strong>di</strong>ressi verso Martina<br />
senza voltarmi.<br />
«Ehi, ma cosa…» riuscì a <strong>di</strong>re lei<br />
mentre la trascinavo fuori.<br />
Ci sedemmo sulle panchine in<br />
cemento dell’atrio e mi accesi una<br />
sigaretta. Era la prima volta che<br />
fumavo da quando ero in Kenya.<br />
In verità non era così piacevole<br />
fumare con il caldo del primo<br />
pomeriggio kenyota, ma in quel<br />
momento ne avevo proprio<br />
bisogno. La mia nuova amica mi
guardava in modo interrogativo,<br />
quin<strong>di</strong> le raccontai dell’incontro<br />
con Edward.<br />
«Ah, mi sa che qui qualcuno sta<br />
cedendo al fascino <strong>di</strong> un<br />
bell’imbusto tropicale!» fu il suo<br />
commento a fine racconto.<br />
«Ehi, che vuoi <strong>di</strong>re?» domandai<br />
aspirando l’ultima boccata. Mi<br />
accorsi che non c’erano cestini nei<br />
<strong>di</strong>ntorni perciò spensi la sigaretta<br />
sotto i sandali e la tenni in mano.<br />
Anche Martina finì <strong>di</strong> fumare e<br />
fece lo stesso.<br />
«Niente, voglio solo <strong>di</strong>re che devi<br />
aprire gli occhi. Anche se è carino,<br />
quel tipo non lo conosci per niente!<br />
E se facesse il cascamorto con tutte<br />
le ragazze?»<br />
Mi fece pensare. Ero verde<br />
d’invi<strong>di</strong>a all’idea <strong>di</strong> Edward con<br />
altre ragazze. Però in fondo<br />
Martina aveva ragione…
«Va bè, an<strong>di</strong>amo a riposarci che<br />
alle cinque abbiamo lezione!»<br />
terminai il <strong>di</strong>scorso.<br />
«Sempre se si riesce a dormire con<br />
questo caldo!» A volte sembrava<br />
che Martina mi leggesse nel<br />
pensiero.<br />
In camera non si stava male però<br />
mi spogliai, stavo più fresca in<br />
intimo. Sollevai la zanzariera e mi<br />
buttai sul letto, c’erano solo le<br />
lenzuola. Prima <strong>di</strong> addormentarmi<br />
mandai un sms a Fiorella:<br />
Ciao tesoro, non so che ora è lì da<br />
te, io adesso faccio un riposino.<br />
Sai, ho conosciuto un tipo troppo<br />
figo, ma non voglio farmi illusioni.<br />
Bacioni, tvb<br />
«Selene non ti <strong>di</strong>spiace se fumo in<br />
bagno?» Martina si affacciò dalla<br />
porta del bagno con in mano il<br />
telefono.
In genere mi dava fasti<strong>di</strong>o il fumo<br />
in ambienti chiusi, ma avevo<br />
bisogno <strong>di</strong> un’amica laggiù e<br />
acconsentii con un cenno della<br />
mano.<br />
Ricordo che ebbi un sonno non<br />
molto tranquillo e poi suonò la<br />
sveglia. Era così piacevole<br />
svegliarsi con quella musica. Era la<br />
canzone Wherever you will go <strong>di</strong><br />
uno dei miei gruppi preferiti, The<br />
Calling.<br />
Martina era già in pie<strong>di</strong>, mi vestii<br />
<strong>di</strong> corsa e scendemmo nell’atrio.<br />
Capii subito qual era la classe<br />
perché c’era un an<strong>di</strong>rivieni <strong>di</strong><br />
studenti kenyoti. Entrammo e ci<br />
ritrovammo in una stanza<br />
semplice, con quattro finestre, un<br />
tavolo che fungeva da cattedra e<br />
dei banchi simili a quelli<br />
universitari. Le se<strong>di</strong>e erano già<br />
tutte piene, c’erano anche i miei<br />
compagni <strong>di</strong> viaggio, i nostri
professori, Salome e… poi lo vi<strong>di</strong>:<br />
Edward, in tutta la sua bellezza<br />
esotica. Sembrò non accorgersi<br />
della mia presenza. Mi appoggiai<br />
al muro vicino al banco <strong>di</strong> Jante.<br />
«Jambo!» mi salutò lei sottovoce,<br />
ormai erano tutti in silenzio. Le<br />
sorrisi, era così dolce quella<br />
ragazza! Portava un velo azzurro<br />
cielo a raccoglierle i capelli.<br />
«Bene, ragazzi. Buon pomeriggio a<br />
tutti», ci salutò Edward parlando<br />
alla classe.<br />
«Our italian friends are going to<br />
teach you Italian» continuò in<br />
inglese. Avevo paura <strong>di</strong> guardarlo,<br />
temevo si accorgesse del mio<br />
sguardo incantato. Ma lui non mi<br />
degnò <strong>di</strong> un’occhiata per tutto il<br />
tempo e all’improvviso mi ricordai<br />
ciò che mi aveva detto Martina. Mi<br />
promisi <strong>di</strong> non fare la quin<strong>di</strong>cenne<br />
innamorata e <strong>di</strong> tenere un<br />
comportamento <strong>di</strong>gnitoso.
I professori <strong>di</strong>visero i ragazzi in<br />
due classi e assegnarono me,<br />
Martina e Antonello a una classe<br />
con la supervisione <strong>di</strong> Edward<br />
mentre Annalia, Maria e Marco<br />
con Salome nell’altra classe.<br />
Passai il resto della lezione a fare<br />
amicizia con i ragazzi kenyoti e<br />
scoprii che erano davvero forti.<br />
Non avevo mai visto gente<br />
estranea parlarmi con così tanto<br />
calore. Erano sempre pronti a<br />
donarmi un sorriso. C’era uno<br />
scambio culturale veramente<br />
formativo. In particolare strinsi<br />
amicizia con Jante, Helen e Davis.<br />
Jante aveva ventun anni e aveva<br />
tratti del viso gentili. I suoi<br />
genitori erano <strong>di</strong> origini in<strong>di</strong>ane<br />
ma lei aveva sempre vissuto in un<br />
villaggio vicino a Malin<strong>di</strong>. Era<br />
musulmana, ma la sua migliore<br />
amica Helen era cristiana. Helen<br />
era alta, scura e dalle forme
morbide, tipica bellezza africana.<br />
Prima <strong>di</strong> arrivare nella scuola<br />
viveva con sua madre e i suoi<br />
cinque fratelli in una capanna fuori<br />
Malin<strong>di</strong>. La cosa che adorava <strong>di</strong><br />
più era andare a messa. E poi c’era<br />
Davis, davvero un gran<br />
simpaticone, era anche abbastanza<br />
carino. Non gli piaceva molto<br />
parlare della sua famiglia.<br />
“Probabilmente perché ha avuto<br />
un’infanzia infelice!” pensai.<br />
Poi venni a sapere dalla<br />
professoressa Magli che Davis era<br />
stato uno streetchild, cioè un<br />
ragazzino che viveva per strada,<br />
generalmente in bande. Gli<br />
streetchildren erano figli <strong>di</strong><br />
prostituzione, non avevano<br />
famiglia, dormivano dove capitava<br />
e si de<strong>di</strong>cavano a piccole attività<br />
criminali come furti e rapine.<br />
Spesso erano costretti a sniffare<br />
una specie <strong>di</strong> colla per non sentire i
morsi della fame. Davis<br />
fortunatamente aveva incontrato<br />
Salome, che aveva creduto in lui e<br />
l’aveva portato in quella scuola per<br />
insegnargli un mestiere onesto. A<br />
una prima occhiata sembravano<br />
tutti spensierati quei ragazzi, ma<br />
pian piano capii che il mondo in<br />
cui mi stavo tuffando non era<br />
affatto felice.<br />
Dopo la lezione avevamo la messa.<br />
Uscendo dall’aula cercai Edward<br />
con lo sguardo.<br />
Martina mi raggiunse. «Se n’è già<br />
andato!»<br />
Diventai bordeaux. «Cosa? Chi?»<br />
Mi guardò con uno sguardo che<br />
voleva <strong>di</strong>re Tanto ti ho scoperta!,<br />
così cambiai <strong>di</strong>scorso. «Senti, vado<br />
a prendere un copri spalle<br />
altrimenti in chiesa non posso<br />
entrare. Come ci si arriva<br />
precisamente?»
«Ve<strong>di</strong> quel corridoio?» In<strong>di</strong>cò un<br />
corridoio dall’altra parte dell’atrio.<br />
«Superalo e gira a destra. Subito<br />
dopo il giar<strong>di</strong>no c’è la chiesetta. Io<br />
inizio ad andare così prendo i<br />
posti.»<br />
Le <strong>di</strong>e<strong>di</strong> l’ok con la mano e mi<br />
avviai a passo svelto verso le scale,<br />
arrivai davanti alla porta verde<br />
della mia stanza ed estrassi la<br />
chiave dai pantaloncini. Scelsi una<br />
pashmina rosa chiaro, la sistemai<br />
<strong>di</strong>spiegata sulle spalle e la fermai<br />
con un fiocco sulla clavicola.<br />
Mentre scendevo le scale sentii<br />
una voce dalla base della rampa.<br />
«Ehi, ciao!» Era Antonello.<br />
«Ah, ciao…» risposi stupita «non<br />
vai a messa?»<br />
«Sì, sono andato un attimo a<br />
sistemarmi i capelli», in<strong>di</strong>cò un<br />
piccolo spazio nel sottoscala da cui<br />
era stato ricavato un mini bagno.<br />
«An<strong>di</strong>amo insieme?» continuò.
«Beh, sì…» risposi intimi<strong>di</strong>ta. In<br />
fondo non c’era nulla <strong>di</strong> male.<br />
Uscimmo nell’atrio e ci <strong>di</strong>rigemmo<br />
verso il corridoio che mi aveva<br />
in<strong>di</strong>cato Martina. Mentre<br />
camminavamo, Antonello mi<br />
sfiorava le braccia con le sue; era<br />
una sensazione strana… era gentile<br />
nei mo<strong>di</strong> e nelle parole e quasi mi<br />
pentii <strong>di</strong> averlo ritenuto irritante.<br />
Arrivammo in fondo al corridoio<br />
spoglio e io girai a destra.<br />
«Ehi, dove vai?» mi bloccò<br />
Antonello.<br />
«Scusa, non è <strong>di</strong> qua la chiesa?»<br />
domandai.<br />
«Ti sbagli, è a sinistra!» <strong>di</strong>sse in<br />
tono canzonatorio.<br />
«No, Martina mi ha detto <strong>di</strong> girare<br />
a destra del corridoio!» replicai.<br />
Credevo <strong>di</strong> ricordare bene le parole<br />
della mia amica, ma la sua<br />
insistenza mi stava convincendo<br />
del contrario.
«Dai, vieni che facciamo tar<strong>di</strong>.»<br />
«Sei sicuro?»<br />
«Sì, fidati dolcezza.»<br />
Riluttante mi incamminai dalla<br />
parte opposta. Dopo aver svoltato<br />
un altro angolo non vedevo nessun<br />
giar<strong>di</strong>no, ma soltanto una porta,<br />
probabilmente un’aula. Mi guardai<br />
intorno.<br />
«Hai visto che era…» Non<br />
terminai la frase che lui mi posò un<br />
<strong>di</strong>to sulle labbra.<br />
Mi spinse piano verso la porta<br />
mentre si avvicinava sempre <strong>di</strong> più<br />
al mio viso. In quell’attimo non<br />
capii cosa stessa succedendo.<br />
«Sai…» mi sussurrò all’orecchio<br />
destro mentre con la mano mi<br />
cingeva la vita. «Dal primo istante<br />
che ti ho vista mi sono subito<br />
innamorato <strong>di</strong> te…»<br />
Rimasi stupita e cercai <strong>di</strong><br />
allontanarlo, ma lui aprì la porta<br />
alle mie spalle. Mi ritrovai in una
stanza luminosa e calda con pochi<br />
banchi.<br />
Antonello era ancora avvinghiato a<br />
me.<br />
«Senti, non mi piace stare qui,<br />
perché non ne parliamo in<br />
giar<strong>di</strong>no?» Cercai <strong>di</strong> <strong>di</strong>vincolarmi<br />
ma lui mi abbracciò più forte.<br />
Sentivo il suo respiro sul mio collo<br />
e il battito del suo cuore contro il<br />
mio. Avevo paura perché non<br />
sapevo che cosa avesse intenzione<br />
<strong>di</strong> fare. «Mi devi lasciare subito!»,<br />
insistetti.<br />
Mi spinse contro una parete. Le<br />
sue mani si spostavano lungo la<br />
mia schiena, salì più su e mi<br />
slacciò lo scialle.<br />
«Voglio solo un bacio…»<br />
mormorò.<br />
Cercai inutilmente <strong>di</strong> liberarmi ma<br />
mi strinse i polsi. Ora faceva male.<br />
«Guarda che mi metto a strillare!»,<br />
ringhiai.
«Se stai buona ce ne an<strong>di</strong>amo tra<br />
poco… e poi non ti sentirebbe<br />
nessuno, sono tutti in chiesa. Sai<br />
che c’è il canto d’apertura?»<br />
Sembrava così tranquillo, come se<br />
fosse naturale ciò che stava<br />
facendo. Mi baciò il collo una<br />
volta e poi, come un predatore che<br />
assapora la preda, mi baciò ancora<br />
e ancora, più insistentemente.<br />
Sentivo le sue labbra umide<br />
fremere sulla mia pelle.<br />
«Lasciami bastardo!» strillai<br />
sferrandogli una ginocchiata nelle<br />
parti basse che però lui bloccò con<br />
la coscia.<br />
«Baciami e ti lascio andare.»<br />
Mi stringeva più forte,<br />
schiacciandomi contro la parete.<br />
Poi si avventò sulle mie labbra,<br />
baciandomi, mordendomi, non<br />
sapevo se sentivo realmente dolore<br />
oppure era l’agitazione a farmi<br />
provare quelle sensazioni.
«Basta!» riuscii a urlare.<br />
«Dai… sei bellissima!» Mi infilò<br />
una mano sotto la maglietta.<br />
Ero terrorizzata, cercavo <strong>di</strong> urlare<br />
ma erano urla soffocate; volevo<br />
liberarmi ma se cercavo <strong>di</strong> farlo,<br />
sentivo i polsi stritolarsi. Chiusi gli<br />
occhi, non volevo vedere più<br />
quella faccia. Fino a che punto<br />
sarebbe arrivato? Io non volevo!<br />
Mi sollevò la maglia e mi baciò il<br />
petto e io mi sentivo in<strong>di</strong>fesa,<br />
violata e stupida per essermi fidata<br />
<strong>di</strong> lui.<br />
«Stronzo!» <strong>di</strong>ssi in un soffio.<br />
Continuò imperterrito, la sua mano<br />
scese giù, mi aprì i bottoni e le sue<br />
<strong>di</strong>ta entrarono nei miei<br />
pantaloncini. Cercai ancora<br />
<strong>di</strong>speratamente <strong>di</strong> <strong>di</strong>vincolarmi<br />
mentre lo sentivo muoversi sulla<br />
mia pelle. Volevo scappare ma mi<br />
schiacciava contro il muro con<br />
tutta la sua forza. Raccolsi tutto il
fiato che avevo in gola e lanciai un<br />
grido acuto <strong>di</strong> cui non credevo<br />
fossi capace.<br />
«Zitta!» Mi batté violentemente la<br />
testa contro il muro e in quel<br />
momento il dolore fisico prevalse<br />
su tutto. La testa mi esplodeva e<br />
sentii qualcosa <strong>di</strong> caldo colarmi<br />
lentamente sulla nuca.<br />
All’improvviso mi sentivo debole<br />
e mi girava la testa. Sentii le<br />
gambe cedere e la mia forza con<br />
loro. Mentre mi accasciavo a terra,<br />
capii che Antonello mi stava<br />
sfilando la maglietta…<br />
Rumore <strong>di</strong> passi…<br />
<strong>Il</strong> mio aggressore cadde a terra…<br />
Dei pie<strong>di</strong> davanti a me…<br />
<strong>Il</strong> buio.<br />
Strizzai gli occhi, non c’era tanta<br />
luce.<br />
La prima cosa che sentii fu una<br />
fitta lancinante alla testa, nella
parte posteriore. Gemetti per il<br />
dolore e richiusi gli occhi. Allungai<br />
la mano per raggiungere la parte<br />
dolorante e trovai una fasciatura<br />
sotto i capelli.<br />
«Ciao.»<br />
Una voce calda alla mia destra.<br />
Strizzai ancora gli occhi, non<br />
riuscivo a mettere a fuoco. Mi<br />
voltai verso la voce e vi<strong>di</strong> una<br />
sagoma scura: nella luce soffusa<br />
<strong>di</strong>stinsi due occhi gran<strong>di</strong> e una<br />
bocca carnosa, Edward.<br />
Richiusi gli occhi per un’altra fitta<br />
fortissima e lo sentii <strong>di</strong>re: Mi hai<br />
fatto preoccupare davvero!<br />
Li riaprii. Edward era esattamente<br />
nella stessa posizione <strong>di</strong> prima.<br />
“L’ho sognato!” pensai.<br />
Poi mi resi conto <strong>di</strong> essere sdraiata<br />
in un letto con lenzuola fresche e<br />
profumate. La luce tiepida<br />
proveniva da una lampada su <strong>di</strong> un<br />
como<strong>di</strong>no accanto al letto, nell’aria
profumo d’incenso. Tornai a<br />
guardare il suo viso e ragionai. Ero<br />
davvero in una stanza sola con<br />
Edward?<br />
«Come ti senti?» mi chiese. Era<br />
seduto su <strong>di</strong> una se<strong>di</strong>a accanto al<br />
letto.<br />
La mia risposta fu un lamento.<br />
«So che fa male. Salome ti darà un<br />
antidolorifico.»<br />
«Salome?» biascicai ancora<br />
intontita.<br />
Sorrise. «Salome è un me<strong>di</strong>co.<br />
Purtroppo da queste parti non ci<br />
sono ospedali in cui lavorare, e<br />
così fa l’educatrice… lasciamo<br />
stare. Comunque ti ha me<strong>di</strong>cata<br />
dopo che ti ho portata qui e ha<br />
detto che stai bene. Avrai solo un<br />
po’ <strong>di</strong> mal <strong>di</strong> testa.» Sorrise <strong>di</strong><br />
nuovo, così teneramente che non<br />
credetti che quel sorriso fosse<br />
proprio per me.
Chiusi gli occhi. “Sto sognando!”<br />
ripetei a me stessa. Ma quel dolore<br />
alla testa era reale. Aprii gli occhi:<br />
Edward era ancora lì.<br />
«Cos’è successo?» riuscii a<br />
chiedere.<br />
<strong>Il</strong> suo viso s’incupì. «Ho sentito<br />
delle urla mentre andavo in chiesa.<br />
Sono accorso e ti ho trovata in<br />
un’aula accasciata a terra con<br />
Antonello che…» s’interruppe.<br />
Ah, sì, ora ricordavo. Antonello.<br />
Come aveva potuto? Dopo che mi<br />
aveva fatto sbattere la testa contro<br />
il muro non ricordavo più nulla.<br />
«Che cosa…» sospirai. Era<br />
<strong>di</strong>fficile fare quella domanda.<br />
«Niente», intervenne lui «non ti ha<br />
fatto niente. Sono arrivato quando<br />
ti stava togliendo la maglietta.»<br />
«Oh Dio!» <strong>di</strong>ssi a bassa voce. Ero<br />
incredula, ferita… cominciai a<br />
piangere. Ogni singhiozzo era una<br />
fitta alla testa e questo mi faceva
piangere ancora <strong>di</strong> più. Ero<br />
arrabbiata e mi vergognavo.<br />
All’improvviso mi resi conto che<br />
ero in intimo sotto le lenzuola. Mi<br />
tirai il lenzuolo fin sopra il naso, vi<br />
affondai il viso e piansi ancora più<br />
forte.<br />
«Ti prego…» sussurrò Edward.<br />
Non avevo la forza <strong>di</strong> guardarlo.<br />
Non avevo più i capelli legati,<br />
erano sciolti e mi ricadevano sul<br />
viso. Mi sentivo protetta dagli<br />
occhi <strong>di</strong> Edward, però poteva<br />
sentirmi.<br />
«Ehi, mahaba yangu…» La sua<br />
voce era dolce e intensa. Con la<br />
mano mi sfiorò il viso scostandomi<br />
i capelli ormai fra<strong>di</strong>ci. A quel tocco<br />
tremai e lo guardai. Avevo gli<br />
occhi gonfi e mi sentivo debole.<br />
Sicuramente non avevo un<br />
bell’aspetto… mi sentivo nuda<br />
davanti ai suoi occhi. E poi come<br />
poteva lui essere così gentile con
me? In fondo non mi conosceva,<br />
eppure mi aveva salvata e ora mi<br />
stava vicino… non capivo più<br />
nulla. Lo osservai per un attimo: i<br />
suoi occhi erano tristi e mi<br />
fissavano in un modo che non<br />
seppi interpretare.<br />
Sentii ancora le lacrime rigarmi il<br />
viso. All’improvviso Edward mi<br />
tirò a sé e mi strinse al suo petto.<br />
Sentii il suo profumo inondarmi le<br />
narici e il suo calore scaldarmi il<br />
cuore. Le sue braccia forti erano<br />
come un nido in cui trovare riparo.<br />
Per un attimo smisi <strong>di</strong> piangere e<br />
forse anche <strong>di</strong> respirare.<br />
«Non devi avere paura. Ci sono io<br />
qui.»<br />
Una nuova ondata <strong>di</strong> lacrime<br />
esplose dai miei occhi. Era un<br />
pianto liberatore, stille amare<br />
contro quell’ingiustizia terribile da<br />
cui Edward mi aveva salvata.<br />
Sempre tenendomi stretta prese a
dondolare avanti e in<strong>di</strong>etro, lui<br />
sulla se<strong>di</strong>a, io seduta sul letto<br />
cullata da lui.<br />
«Tuingie, tuingie, kwa yawe<br />
bwana, furaha gani, siku ya leo…»<br />
lo sentii cantare sottovoce una<br />
melo<strong>di</strong>a armoniosa. Non ne capivo<br />
il significato, ma lui continuò<br />
finché lentamente le mie lacrime<br />
cessarono e io iniziai a rilassarmi.<br />
D’improvviso sentii bussare alla<br />
porta. Si staccò e mi guardò per<br />
assicurarsi che stessi meglio, poi<br />
mi sorrise. Ero così vicina al suo<br />
viso… volevo tuffarmi nei suoi<br />
occhi stupen<strong>di</strong> e baciare quelle<br />
labbra piene.<br />
«Come in», rispose in inglese<br />
adagiandomi sul cuscino e<br />
accarezzandomi la mano. Mi<br />
sentivo strana, era come se mi<br />
trovassi in un altro mondo…<br />
invece era vero, ero proprio lì: era
solo il primo giorno in Kenya e già<br />
erano successe così tante cose!<br />
Entrò Salome. «Ah, ti sei<br />
svegliata!» mi <strong>di</strong>sse in italiano.<br />
«Come ti senti?»<br />
Edward mi guardò. «Mi fa male la<br />
testa» risposi.<br />
«È normale. Nient’altro?»<br />
continuò la donna.<br />
Scossi la testa. Pessima idea, che<br />
dolore!<br />
«Bene. A proposito, ho preferito<br />
farti riposare senza vestiti per stare<br />
più fresca, fa molto caldo. Ti ho<br />
portato un antidolorifico, se ne hai<br />
bisogno più tar<strong>di</strong> pren<strong>di</strong>lo.» Anche<br />
lei, come Edward, parlava bene<br />
l’italiano.<br />
«Grazie Salome.» risposi<br />
tristemente.<br />
«È un piacere.» Sorrise. «Qui c’è<br />
qualcosa da mangiare» continuò<br />
in<strong>di</strong>cando il vassoio che teneva in<br />
mano.
«È già ora <strong>di</strong> cena?» chiesi allibita.<br />
Salome sorrise <strong>di</strong> nuovo. «Edward<br />
ti spiegherà tutto. Ora devo<br />
andare.»<br />
«Grazie» ripetei prima che uscisse.<br />
Guardai Edward e lui capì che<br />
volevo spiegazioni.<br />
«Sono le <strong>di</strong>eci. L’orario <strong>di</strong> cena è<br />
passato da un pezzo, però Salome<br />
ti ha tenuto in caldo qualcosa.»<br />
«In che stanza sono?» chiesi. Non<br />
era la mia, c’era solo un letto.<br />
«Bè… nella mia» rispose un po’<br />
imbarazzato. «Era l’unico posto in<br />
cui potevi stare tranquilla e dove<br />
Salome può accedere facilmente.»<br />
«Nella tua?» ripetei incredula. La<br />
sua stanza? Quin<strong>di</strong> quello era il<br />
suo letto?<br />
«Non fare quella faccia!» scherzò.<br />
«Ascolta, devo scendere nell’atrio<br />
per parlare con i professori e<br />
sistemare la situazione. Cosa vuoi<br />
che <strong>di</strong>ca loro?»
Esitai. Da una parte non volevo<br />
che gli altri sapessero, però<br />
dall’altra volevo farla pagare a<br />
quel verme <strong>di</strong> Antonello.<br />
«Quando torno in Italia lo<br />
denuncio <strong>di</strong> sicuro!» risposi.<br />
«Va bene, ho capito. Torno più<br />
tar<strong>di</strong> per vedere come stai.»<br />
Annuii. Ancora una volta: pessima<br />
idea, una fitta alla testa.<br />
Si alzò, era così alto! E il suo<br />
corpo era così armonioso… come<br />
modellato dalle mani <strong>di</strong> un artista<br />
dell’antica Grecia.<br />
«Edward» lo chiamai prima che<br />
uscisse. Ma poi mi pentii subito:<br />
che cavolo volevo <strong>di</strong>rgli? «Senti,<br />
io… volevo sapere…» Inspirai.<br />
«…Perché fai tutto questo per<br />
me?» chiesi tutto d’un fiato.<br />
Lui mi guardò, si avvicinò al letto<br />
e si chinò verso <strong>di</strong> me. Ero così<br />
tesa che strinsi le lenzuola nelle<br />
mani. Avvicinò il suo viso al mio e
mi inebriai del suo odore, sentivo<br />
il suo respiro. Mi guardò <strong>di</strong>ritta<br />
negli occhi. Anch’io lo guardai. Li<br />
chiuse e posò le sue labbra sulla<br />
mia fronte per un istante che a me<br />
parve lunghissimo, ma anche<br />
troppo breve. Poi, senza una<br />
parola, uscì. Anch’io ero senza<br />
parole.<br />
Mi lasciai cadere sul cuscino, la<br />
testa mi faceva troppo male. Decisi<br />
<strong>di</strong> prendere la pillola che Salome<br />
mi aveva lasciato sul como<strong>di</strong>no,<br />
avevo bisogno <strong>di</strong> rilassarmi.<br />
Ancora non riuscivo a credere <strong>di</strong><br />
essere nella stanza <strong>di</strong> Edward.<br />
Quella mattina, quando l’avevo<br />
visto per la prima volta, mi era<br />
parso così irraggiungibile… e<br />
invece ero lì. Non riuscivo neanche<br />
a credere a ciò che mi aveva fatto<br />
Antonello. Secondo lui nessuno lo<br />
avrebbe scoperto? Io non avrei<br />
parlato? Mah!
Bussarono alla porta. «Avanti»,<br />
risposi d’istinto.<br />
Poi pensai. “E se fosse Antonello?”<br />
Come potevo <strong>di</strong>fendermi? Prima<br />
che la porta si aprisse del tutto,<br />
afferrai la lampada dal como<strong>di</strong>no,<br />
scombussolando le ombre della<br />
stanza: era l’unico oggetto che<br />
assomigliava <strong>di</strong> più a un’arma.<br />
«Ehi, ma che fai?» Una voce<br />
femminile.<br />
«Martina, sei tu!» Che gran<br />
sollievo! Bè, probabilmente<br />
Antonello non avrebbe bussato.<br />
«Che volevi fare con quella<br />
lampada?»<br />
«Niente, niente!», mi affrettai a<br />
rispondere mettendola a posto.<br />
Mi guardò e mi porse degli abiti<br />
puliti, li aveva presi dalla mia<br />
valigia. Mi infilai solo la maglietta.<br />
«Grazie.»
Prese il vassoio dalla scrivania.<br />
«Tieni, mangia. Come ti senti?»<br />
Me lo posò sulle gambe.<br />
«Diciamo bene.» L’antidolorifico<br />
cominciava a fare effetto.<br />
«Mi spieghi cos’è successo? Sei<br />
sparita!» chiese accarezzandomi la<br />
testa fasciata. In fondo era una<br />
brava ragazza, se non ci fosse stata<br />
lei mi sarei sentita così sola!<br />
«Edward non ti ha raccontato<br />
niente?»<br />
«No. Gli ho chiesto spiegazioni,<br />
ma ha detto che dovevi essere tu a<br />
<strong>di</strong>rmelo.»<br />
“Che tenero!” pensai.<br />
«Va bene. Prima <strong>di</strong>mmi una cosa:<br />
Antonello dov’è?» chiesi.<br />
«Antonello? Non vedo nemmeno<br />
lui da un po’, ma ho sentito Sister<br />
Rosina parlare con Salome e<br />
<strong>di</strong>ceva che era chiuso in un’aula<br />
con la professoressa Magli.»
“Almeno lo tengono d’occhio!”<br />
pensai portando alla bocca una<br />
forchettata <strong>di</strong> spaghetti. Ora che ci<br />
pensavo avevo il vago ricordo <strong>di</strong><br />
averlo visto per terra prima che<br />
svenissi. Era stato Edward?<br />
Martina mi guardava impaziente,<br />
così le raccontai tutto. Mi ascoltò a<br />
bocca aperta, non aveva parole. E<br />
alla fine la canzonai per aver<br />
giu<strong>di</strong>cato Edward senza<br />
conoscerlo. Mi abbracciò senza<br />
<strong>di</strong>re niente. Avrei tanto voluto<br />
fumare, ma era meglio <strong>di</strong> no viste<br />
le mie con<strong>di</strong>zioni. Martina mi<br />
avvisò che per quella sera era<br />
prevista una passeggiata in città,<br />
ma dato che io non stavo bene, era<br />
stata rimandata al giorno seguente.<br />
Le luci si sarebbero spente a<br />
mezzanotte, era quasi ora e la mia<br />
amica decise <strong>di</strong> avviarsi alla nostra<br />
stanza. Io invece dovevo aspettare<br />
Edward.
Quando Martina aprì la porta, si<br />
trovò davanti Jante, Helen e Davis.<br />
«Jambo rafiki!» Si affacciò Jante.<br />
«Ciao!» Ero così felice <strong>di</strong> vederli.<br />
Le ragazze si fiondarono ad<br />
abbracciarmi, mentre Davis mi<br />
sorrise. Mi fece segno <strong>di</strong> avermi<br />
portato una bottiglietta d’acqua.<br />
«Grazie, thank you!» risposi.<br />
«Hasante sana!» mi corresse lui.<br />
Io però avevo uno sguardo<br />
interrogativo.<br />
«Hasante sana means grazie<br />
tante» chiarì Helen.<br />
«Oh, hasante sana Davis, Jante and<br />
Helen!» risposi allora.<br />
Rimasero un po’ con me senza<br />
chiedermi nulla, solo<br />
accarezzandomi e sorridendomi.<br />
Poi mi <strong>di</strong>ssero che dovevano<br />
andare a dormire prima che Sister<br />
Rosina si accorgesse che erano<br />
ancora in giro: erano molto
<strong>di</strong>ligenti. Li salutai e mi rilassai in<br />
quelle lenzuola.<br />
Pensai a Edward… aveva detto che<br />
sarebbe tornato, ma ancora non si<br />
vedeva. Chiusi gli occhi cercando<br />
<strong>di</strong> scacciare tutti i brutti eventi<br />
della giornata. Cosa sarebbe<br />
successo ad Antonello?<br />
Stavo per addormentarmi quando<br />
sentii il rumore della maniglia e il<br />
lieve cigolio della porta. Aprii gli<br />
occhi <strong>di</strong> scatto e vi<strong>di</strong> Edward.<br />
«Ti ho spaventata?» mi chiese a<br />
bassa voce.<br />
«No.» Era così bello!<br />
«Non parliamo ad alta voce,<br />
perché qui accanto ci sono le<br />
stanze delle sorelle, dei tuoi<br />
professori e <strong>di</strong> Salome.»<br />
«Va bene», risposi abbozzando un<br />
sorriso.<br />
Si sedette accanto a me sul letto e<br />
gli chiesi <strong>di</strong> raccontarmi tutto <strong>di</strong><br />
Antonello. Mi raccontò che per
togliermelo <strong>di</strong> dosso gli aveva<br />
sferrato un pugno.<br />
Poi mi aveva portata in camera sua<br />
e aveva chiamato Salome che,<br />
dopo avermi me<strong>di</strong>cata, era andata a<br />
visitare Antonello sia per vedere<br />
come stava che per tenerlo<br />
d’occhio. Per sua fortuna Edward<br />
era stato buono, infatti il mio<br />
aggressore aveva solo livi<strong>di</strong>.<br />
Edward aveva parlato con le suore<br />
e i professori nell’atrio<br />
raccontandogli la situazione e la<br />
mia volontà <strong>di</strong> sporgere denuncia<br />
contro Antonello che, sotto le<br />
domande pressanti dei professori,<br />
aveva confessato tutto: aveva detto<br />
che non voleva farmi del male,<br />
voleva solo che io lo baciassi.<br />
Siccome i professori non volevano<br />
rovinare il viaggio a tutti, il<br />
professor Gennarini e sua moglie<br />
si erano offerti <strong>di</strong> riportare in Italia<br />
Antonello in attesa del mio ritorno.
Ero felicissima <strong>di</strong> non doverlo più<br />
vedere. Sarebbe partito la mattina<br />
seguente.<br />
Mentre Edward mi parlava, io<br />
sentivo sempre più che mi stavo<br />
innamorando <strong>di</strong> lui. Forse anche<br />
lui notò qualcosa <strong>di</strong> strano, perché<br />
a un certo punto si fermò e mi<br />
chiese se stessi bene.<br />
«Sì, sì… ti ringrazio <strong>di</strong> tutto.»<br />
Lo guardai con gratitu<strong>di</strong>ne. Anche<br />
lui mi guardò. Mi sentivo catturata<br />
da quegli occhi e per un attimo mi<br />
sembrò che si stesse avvicinando.<br />
Invece si alzò e andò a spostare<br />
una piccola tenda in cotone<br />
in<strong>di</strong>ano che copriva parzialmente<br />
la finestra della stanza. Spense la<br />
lampada e la stanza si illuminò <strong>di</strong><br />
una luce can<strong>di</strong>da e delicata. Pensai<br />
che fosse la luce della luna.<br />
«Hai mai visto il cielo africano <strong>di</strong><br />
notte?» mi chiese.<br />
«No» risposi incuriosita.
«Allora non puoi perdertelo»<br />
continuò. Si voltò verso la finestra.<br />
«Dai, indossa i pantaloni che ti<br />
aiuto a venire qui. Non ti guardo.»<br />
Diventai <strong>di</strong> tutti i colori ma per<br />
fortuna lui non poteva vedermi.<br />
Ero tesa e felice al tempo stesso,<br />
non avevo mai conosciuto nessuno<br />
così dolce e premuroso. Mi accorsi<br />
d’un tratto che mi fidavo <strong>di</strong> lui<br />
incon<strong>di</strong>zionatamente, ma decisi<br />
che non volevo rovinare quel<br />
momento con i miei dubbi.<br />
«Fatto» <strong>di</strong>ssi a bassa voce. Non mi<br />
era costato tanta fatica vestirmi,<br />
però stando in pie<strong>di</strong> mi girava la<br />
testa. Edward si voltò e venne<br />
verso <strong>di</strong> me.<br />
«Mi permetti <strong>di</strong> aiutarti?» mi<br />
chiese.<br />
Annuii timidamente.<br />
«Ok. Metti un braccio qui.» Cinse<br />
la sua vita con il mio braccio<br />
sinistro. Indossava una camicia
coreana in lino leggero, potevo<br />
sentire il calore della sua pelle<br />
attraverso il tessuto. Non volevo<br />
stringere, temevo <strong>di</strong> sembrare<br />
sfacciata. Gentilmente fece<br />
scivolare la sua mano destra<br />
intorno alla mia vita. Mi si bloccò<br />
il respiro. Mi teneva in modo<br />
deciso ma delicato, aveva le mani<br />
gran<strong>di</strong> e forti. «Bene. Salome ha<br />
detto che per oggi dovevi solo<br />
riposare, ma se ti aiuto io non<br />
credo che sarà un problema<br />
raggiungere la finestra.»<br />
Aveva ragione. La finestra <strong>di</strong>stava<br />
circa tre metri dal letto e solo una<br />
volta dovetti fermarmi perché mi<br />
sembrava che la stanza si piegasse<br />
su se stessa. Approdai al<br />
davanzale: non era in marmo come<br />
in genere si usava in Italia, era <strong>di</strong><br />
un legno scuro e sottile.<br />
«Reggiti, eh» Si allungò per<br />
avvicinarmi una se<strong>di</strong>a vicina alla
porta del bagno, ma non lasciò mai<br />
la presa. Mi fece accomodare e mi<br />
<strong>di</strong>sse <strong>di</strong> alzare lo sguardo.<br />
Ciò che vi<strong>di</strong> fu un mantello scuro<br />
incastonato da migliaia <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>amanti. Non c’erano palazzi a<br />
ostruire la visuale, non c’era<br />
inquinamento da luce, era<br />
completamente buio fuori, e non<br />
c’era neanche quello strato <strong>di</strong><br />
smog che opacizzava un po’ il<br />
firmamento dalle mie parti. <strong>Il</strong> cielo<br />
era nitido e appariva in tutta la sua<br />
immensità, profon<strong>di</strong>tà. La luce che<br />
prima avevo notato entrare dalla<br />
finestra non era la luce della luna,<br />
che si trovava solo in un angolo,<br />
era la luce delle stelle. Tantissime<br />
stelle, luminosissime stelle che io<br />
non conoscevo. Avevo sempre<br />
scrutato il cielo fin da piccola, mi<br />
affascinava, faceva <strong>di</strong>ventare i miei<br />
problemi piccoli piccoli e respirare<br />
l’aria fresca della notte riempiva i
miei polmoni <strong>di</strong> immensità, <strong>di</strong><br />
notte, <strong>di</strong> mistero. Ma lì mi trovavo<br />
sotto l’equatore e quelle<br />
costellazioni non le conoscevo.<br />
Erano stelle nuove, un altro mondo<br />
da scoprire. Restai qualche minuto<br />
incantata a fissare quella<br />
meraviglia.<br />
«Wow», riuscii a <strong>di</strong>re poi.<br />
«Ti piace?»<br />
Mi voltai verso <strong>di</strong> lui. I suoi occhi<br />
brillavano <strong>di</strong> quel chiarore eterno<br />
che ci sovrastava.<br />
«Sì» risposi.<br />
Con fatica <strong>di</strong>stolse lo sguardo dal<br />
mio e mi in<strong>di</strong>cò un punto preciso<br />
del cielo. «Guarda. Quelle piccole<br />
stelle formano la Croce del Sud. È<br />
il nostro punto d’orientamento.»<br />
«Come per noi lo è la stella polare.<br />
È bellissima!» risposi guardando<br />
quel punto che ora <strong>di</strong>ventava più<br />
familiare.
«Sì, come te» mi <strong>di</strong>sse con voce<br />
profonda.<br />
Mi voltai a guardarlo. Avevo<br />
sentito bene? Eravamo così vicini!<br />
Avrei tanto voluto baciarlo, ma<br />
non sapevo cosa avrebbe<br />
pensato… lo conoscevo da poco e<br />
non volevo rovinare tutto, però <strong>di</strong><br />
certo non l’avrei respinto se fosse<br />
stato lui a fare la prima mossa.<br />
Anche lui mi guardava. Si avvicinò<br />
lentamente guardandomi prima gli<br />
occhi e poi le labbra. Si avvicinò<br />
ancora… si chinò da un lato e<br />
premette le labbra contro la mia<br />
guancia. Credetti <strong>di</strong> sciogliermi<br />
come un gelato al sole. Poi si<br />
allontanò lentamente e io lo fissai<br />
per un po’.<br />
Si alzò in pie<strong>di</strong> e mi tese la mano.<br />
«Che ne <strong>di</strong>ci <strong>di</strong> andare a dormire?»<br />
«Dove dormirò?» chiesi mentre mi<br />
avvolgeva con il braccio sinistro.<br />
Era una sensazione meravigliosa,
mi sentivo protetta. Eppure volevo<br />
sapere perché mi aveva baciata e<br />
poi all’improvviso voleva andare a<br />
dormire. La testa cominciava a<br />
farmi <strong>di</strong> nuovo male, ma non<br />
volevo altre me<strong>di</strong>cine, mi sarei<br />
rilassata dormendo.<br />
«Qui» rispose Edward facendomi<br />
sedere sul letto.<br />
Spalancai gli occhi. «Qui? E tu? E<br />
i professori lo sanno che sono in<br />
camera tua?»<br />
«Primo: io dormirò qui.» Tirò fuori<br />
da <strong>di</strong>etro l’arma<strong>di</strong>o una bran<strong>di</strong>na<br />
piegata in due. «Secondo: i<br />
professori si fidano <strong>di</strong> me perché<br />
anch’io sono un insegnante, quin<strong>di</strong><br />
non c’è problema.» Sorrise e mi si<br />
avvicinò. «Volevo chiederti scusa.»<br />
«E per cosa?» domandai<br />
esterrefatta. Era stato così gentile!<br />
«Per quello che è successo poco fa.<br />
Non avrei dovuto baciarti e non
voglio sembrare maleducato o<br />
spaventarti. Non si ripeterà.»<br />
“Oh, no!” pensai “Perché pensa<br />
che sia stato uno sbaglio?” Forse si<br />
era accorto che non gli piacevo<br />
abbastanza. Abbassai lo sguardo.<br />
«Non preoccuparti» risposi<br />
mestamente.<br />
«Ok, lala salama. Buonanotte<br />
Selene.»<br />
«Buonanotte Edward.»<br />
Chiusi gli occhi. Volevo lasciarmi<br />
andare, ma pensai a lungo a tutto<br />
quello che mi era successo in un<br />
solo giorno. Finalmente mi<br />
addormentai ed ebbi un sonno<br />
senza sogni o meglio, come <strong>di</strong>ceva<br />
la mia professoressa <strong>di</strong> psicologia:<br />
«Tutti sogniamo, tutte le notti.<br />
Solo che spesso non rimane<br />
neanche un minimo ricordo che ci<br />
faccia capire che abbiamo<br />
sognato.»
Io <strong>di</strong> quella notte non rammentavo<br />
sogni e per me era insolito, perché<br />
mi ricordavo sempre tutti i sogni<br />
che facevo, ogni notte. Anzi,<br />
qualche volta mi svegliavo stanca<br />
tanto il sogno era stato intenso e<br />
reale, che mi sembrava <strong>di</strong> non aver<br />
dormito affatto.<br />
JUMANNE (MARTEDÌ), 06/09/2005<br />
Bussarono alla porta <strong>di</strong>verse volte<br />
prima che potessi realizzare dove<br />
mi trovassi. La luce del mattino era<br />
penetrante e illuminava tutta la<br />
stanza.<br />
«Avanti…» <strong>di</strong>ssi con la bocca<br />
ancora impastata dal sonno.<br />
Era la professoressa Magli.<br />
«Buongiorno Lofredo!» trillò con
la sua voce squillante. Ascoltarla <strong>di</strong><br />
prima mattina era davvero<br />
irritante. Entrò con al seguito<br />
Maria e Annalia, sempre<br />
appiccicate come due comari.<br />
«Come ti senti?» mi chiese. Non<br />
avevo ancora avuto tempo <strong>di</strong><br />
pensarci, ma effettivamente la testa<br />
non mi faceva più male.<br />
«Bene, grazie.»<br />
«<strong>Il</strong> professor Gennarini è già<br />
partito» mi informò. Bene, non<br />
avrei rivisto più Antonello, era un<br />
sollievo. «Adesso Martina ti<br />
porterà la colazione e poi, se te la<br />
senti, raggiungi il professor Murthi<br />
Ching in classe per la lezione.<br />
Ragazze, salutate la vostra<br />
collega.»<br />
Già… Edward! Mi guardai attorno:<br />
la bran<strong>di</strong>na era a posto e <strong>di</strong> lui non<br />
c’era traccia, era uscito senza<br />
svegliarmi. Intanto sentivo come in<br />
lontananza le voci delle due
agazze che si alternavano nel<br />
<strong>di</strong>rmi parole gentili, <strong>di</strong> circostanza.<br />
Rispondevo con sorrisi, ma in<br />
realtà pensavo ad altro, alla sera<br />
prima. A un certo punto se ne<br />
andarono ed entrò Martina con un<br />
vassoio in una mano e nell’altra il<br />
mio cellulare e una busta con dei<br />
miei vestiti.<br />
«Buongiorno amo’!» Poggiò tutto<br />
sul letto.<br />
«Sei un tesoro!» la ringraziai.<br />
«Allora? Dimmi tutto! Notte <strong>di</strong><br />
fuoco?»<br />
«Ma che <strong>di</strong>ci?» risposi in fretta<br />
«Abbiamo solo parlato e poi<br />
dormito! Ognuno al proprio<br />
posto!» sottolineai. Non volevo<br />
raccontarle subito la storia del<br />
bacio anche perché Edward era<br />
sembrato quasi pentito. Dovevo<br />
prima capire cosa c’era tra noi, se<br />
c’era qualcosa.
«Se lo <strong>di</strong>ci tu! Comunque se te la<br />
senti, vestiti che an<strong>di</strong>amo a<br />
lezione.»<br />
Annuii senza esitazione, avevo<br />
voglia <strong>di</strong> uscire. Ma prima presi il<br />
telefono e trovai un sms <strong>di</strong><br />
Fiorella:<br />
Ingrata, mi farai morire! Che fine<br />
hai fatto?<br />
Anche papà mi aveva scritto un<br />
sms:<br />
Com’è stata la prima giornata in<br />
Kenya? Ti sei <strong>di</strong>vertita? Già ci<br />
manchi! Papà<br />
Papà mio! Se solo avesse saputo<br />
cos’era successo alla sua adorata<br />
figlia. Però non volevo far<br />
preoccupare i miei genitori, avrei<br />
raccontato loro l’accaduto con più<br />
calma, perciò gli scrissi:
Tutto bene qui, ho solo avuto un<br />
litigio con un compagno, non<br />
preoccupatevi. TVB un casino,<br />
baci a te, a mamma e a Giacomino<br />
mio!<br />
A Fiorella invece scrissi:<br />
Tesoro mio sapessi quante cose<br />
sono successe! Non basterebbero<br />
100 € <strong>di</strong> sms per spiegarti! Ti <strong>di</strong>co<br />
solo che qualcuno è stato un<br />
bastardo e qualcuno un angelo!<br />
TVB<br />
Pagavo un sacco a ogni sms e il<br />
cre<strong>di</strong>to volevo farlo durare almeno<br />
per un po’. Mangiai in fretta un<br />
toast vuoto, parte della mia<br />
colazione. Non c’erano né<br />
marmellata né nutella ovviamente.<br />
Alzandomi per cambiarmi notai<br />
con piacere che non mi girava più
la testa. Trovai un bigliettino sul<br />
como<strong>di</strong>no ma non era <strong>di</strong> Edward.<br />
Ti lascio questa pillola anti<br />
vertigini. Potresti averne bisogno<br />
oggi, riguardati, Salome<br />
“È un bravo me<strong>di</strong>co”, pensai<br />
mettendo la pillola nella tasca<br />
posteriore della gonna <strong>di</strong> jeans che<br />
Martina mi aveva portato.<br />
Indossai una maglietta arancione a<br />
maniche corte e, per coprire la<br />
benda, lasciai i capelli sciolti e<br />
indossai una bandana giallo chiaro.<br />
Infine un filo <strong>di</strong> matita, giusto<br />
perché volevo essere più<br />
presentabile per Edward rispetto al<br />
giorno prima. Scendemmo le scale,<br />
io sottobraccio a Martina.<br />
La lezione era nella stessa aula<br />
dove il pomeriggio precedente<br />
avevamo fatto amicizia con gli<br />
studenti, ma la porta era chiusa,
probabilmente eravamo in ritardo.<br />
Martina bussò e mi fece entrare.<br />
«Karibu, Selene! Welcome,<br />
Selene!» Sentii un coro generale e<br />
uno scroscio <strong>di</strong> mani. Tutti gli<br />
studenti mi accolsero e mentre mi<br />
sommergevano <strong>di</strong> abbracci per<br />
salutarmi vi<strong>di</strong> Edward con la coda<br />
dell’occhio. I suoi occhi si<br />
illuminarono e alzò la mano in<br />
gesto <strong>di</strong> saluto… sorrisi. Quando<br />
tutti tornarono a posto, io e<br />
Martina ci sedemmo accanto alla<br />
cattedra.<br />
Edward presentò l’argomento della<br />
giornata: in<strong>di</strong>cativo presente dei<br />
verbi essere e avere. Quando<br />
lavorava non mi guardava<br />
minimamente. Scrisse le<br />
coniugazioni alla lavagna, poi le<br />
fece leggere a Martina e passò la<br />
parola a me per fare degli esempi. I<br />
ragazzi prendevano appunti, ma<br />
non tutti avevano un quaderno,
alcuni <strong>di</strong> loro avevano solo dei<br />
fogli. Chi invece il quaderno ce<br />
l’aveva, cominciava a scrivere da<br />
sopra la copertina e non lasciava<br />
neanche un margine <strong>di</strong> spazio<br />
vuoto. Girai tra i banchi per vedere<br />
come se la cavavano: mi<br />
chiamavano da tutte le <strong>di</strong>rezioni<br />
per chiedermi se avevano scritto<br />
bene o per mostrarmi i quaderni<br />
nuovi. Poi inventammo un <strong>di</strong>alogo<br />
e prima lo interpretammo io e<br />
Martina, successivamente a coppie<br />
anche loro. Ero veramente stupita<br />
dalla voglia <strong>di</strong> imparare che<br />
avevano i ragazzi: capivo in quel<br />
momento che bene prezioso era<br />
l’istruzione. Per noi era una cosa<br />
normale e non l’apprezzavamo<br />
abbastanza. Ma quei ragazzi si<br />
rendevano conto <strong>di</strong> quanto fossero<br />
fortunati rispetto a molti loro<br />
coetanei, per loro stu<strong>di</strong>are era un<br />
privilegio che toccava a pochi.
Quella situazione mi fece pensare<br />
a quanto invece era superficiale la<br />
mia società. C’era tantissima gente<br />
che stava davvero male, mentre noi<br />
che avevamo tutto ci<br />
soffermavamo sulle cose futili.<br />
Pensai che la scuola in cui mi<br />
trovavo era davvero un’idea<br />
gran<strong>di</strong>osa che serviva a creare<br />
nuove coscienze professionali in<br />
un ambiente in cui la povertà e<br />
l’ignoranza regnavano sovrane.<br />
Quei ragazzi erano davvero<br />
meravigliosi: quando arrivò l’ora<br />
<strong>di</strong> fare pausa, controvoglia<br />
posarono le penne e uscirono fuori<br />
con noi. Volevo parlare con<br />
Edward ma lui stava parlando con<br />
Salome. Lei si accorse che li<br />
fissavo e fece cenno a Edward<br />
verso <strong>di</strong> me. Lui la salutò e mi<br />
venne incontro.<br />
«Ciao» lo salutai.<br />
«Come stai?» mi chiese tranquillo.
«Oggi abbastanza bene. Stamattina<br />
non ti ho sentito…»<br />
«Ho fatto piano perché non volevo<br />
svegliarti.» Abbozzò un sorriso.<br />
«Grazie <strong>di</strong> tutto. Sei stato<br />
veramente…», fui interrotta da<br />
un’ondata <strong>di</strong> visi sorridenti che mi<br />
chiedevano spiegazioni sulle frasi<br />
che avevamo stu<strong>di</strong>ato. Rimasi un<br />
po’ delusa perché volevo<br />
continuare a parlare con Edward<br />
ma non ne ebbi modo e alla fine lo<br />
persi <strong>di</strong> vista. Non riuscivo a<br />
rispondere a tutte le domande dei<br />
ragazzi, erano troppo euforici.<br />
Ritornammo in classe per<br />
riprendere la lezione e Edward<br />
riprese a non guardarmi.<br />
Finita la lezione era già ora <strong>di</strong><br />
pranzo. Uscii fuori e tirai Martina<br />
all’ombra <strong>di</strong> un albero, avevo<br />
voglia <strong>di</strong> fumare. Dopo il<br />
trambusto del giorno prima non ne<br />
avevo ancora avuto la possibilità.
«Se fumi prima <strong>di</strong> mangiare ti<br />
buchi lo stomaco!» mi rimproverò.<br />
«Proprio tu parli! Fammi<br />
accendere!» ribattei.<br />
Scrollò le spalle e mi porse<br />
l’accen<strong>di</strong>no. Lei fumava molto più<br />
<strong>di</strong> me.<br />
In mensa ci sedemmo al tavolo <strong>di</strong><br />
Jante, Helen e Davis. Edward era<br />
al tavolo dei professori e io non<br />
osavo né avvicinarmi né guardarlo.<br />
Quel giorno la messa era subito<br />
dopo pranzo. Non dovevo prendere<br />
niente dalla camera stavolta, restai<br />
con Martina e andammo in chiesa.<br />
In realtà non sembrava una chiesa:<br />
aveva lo stesso colore del resto<br />
dell’e<strong>di</strong>ficio, c’era solo una croce<br />
sulla porta d’ingresso. Entrai e<br />
trovai un ambiente modesto con<br />
una decina <strong>di</strong> panche <strong>di</strong> legno, un<br />
minuscolo leggio e un piccolo<br />
altare con tabernacolo. Niente<br />
sfarzi, niente oro come nelle nostre
chiese, solo un’immagine della<br />
Madonna appesa a un chiodo.<br />
Vi<strong>di</strong> per la prima volta Father<br />
Joseph, sacerdote della Cattedrale<br />
<strong>di</strong> Malin<strong>di</strong> che veniva a celebrare<br />
la messa nella scuola. Indossava<br />
una camicia bianca a maniche<br />
corte e pantaloni neri. Era magro,<br />
alto e dall’aria austera, ma a<br />
sentirlo parlare s’intuiva che in<br />
realtà era un pezzo <strong>di</strong> pane. Ci<br />
<strong>di</strong>ede il benvenuto come si<br />
salutano dei vecchi amici e<br />
annunciò il primo canto. Mi<br />
aspettavo <strong>di</strong> cantare canzoni<br />
antiche e noiose come facevo da<br />
<strong>di</strong>ciotto anni, invece assistetti a<br />
una cosa meravigliosa. Le<br />
studentesse della scuola si tolsero i<br />
sandali e a gruppi <strong>di</strong> due o tre<br />
ballarono davanti all’altare,<br />
cantando una canzone allegra in<br />
swahili. Poi passarono nel<br />
corridoio tra le panche gettando
petali su <strong>di</strong> noi e sui ragazzi che<br />
cantavano a strofe alterne,<br />
sorridevano e battevano le mani<br />
con energia. Era un ritmo<br />
travolgente, anch’io cominciai a<br />
ondeggiare a ritmo della musica.<br />
Era davvero un canto <strong>di</strong> gioia per il<br />
Signore, mi sentivo partecipe della<br />
messa come non mi era mai<br />
successo prima. <strong>Il</strong> sacerdote<br />
celebrò in inglese per dare anche a<br />
noi la possibilità <strong>di</strong> capire.<br />
Seguirono altri canti, tutti così<br />
energici e pieni <strong>di</strong> vita! A un certo<br />
punto le ragazze intonarono un<br />
canto armonioso e dolce:<br />
Tuingie tuingie, kwa yawe bwana,<br />
furaha gani, siku ya leo!<br />
Riconobbi subito la melo<strong>di</strong>a: era la<br />
canzone che Edward mi aveva<br />
cantato per farmi tranquillizzare la<br />
sera precedente. Lo cercai con lo
sguardo e lo trovai, finalmente mi<br />
stava guardando. Gli sorrisi e lui<br />
ricambiò il sorriso <strong>di</strong>rigendosi<br />
verso l’altare per ricevere l’ostia.<br />
Helen era accanto a Martina, mi<br />
sporsi e le chiesi il significato <strong>di</strong><br />
quella canzone. Mi <strong>di</strong>sse: «It<br />
means chiamate tutti per gioire<br />
insieme per il Signore, giorno<br />
dopo giorno!»<br />
Quella melo<strong>di</strong>a aveva avuto il<br />
potere <strong>di</strong> calmarmi quando ne<br />
avevo più bisogno. Edward doveva<br />
essere molto credente. Vivendo la<br />
religione come facevano loro, era<br />
una gioia: venivi trasportato dalla<br />
fede stessa.<br />
Finita la messa, Mapenzi, una<br />
ragazza molto esuberante, <strong>di</strong>sse a<br />
noi ospiti <strong>di</strong> aspettare perché<br />
doveva <strong>di</strong>rci qualcosa. Andò a<br />
parlare con Sister Lucy e dopo<br />
qualche istante tornò raggiante. Ci<br />
<strong>di</strong>sse che aveva avuto il permesso
<strong>di</strong> accompagnarci in spiaggia, però<br />
dovevamo tornare per le 18.30 in<br />
modo da essere puntali per la cena.<br />
Anch’io ero felice, volevo proprio<br />
andare al mare. Senza pensarci due<br />
volte io e Martina andammo in<br />
camera a cambiarci. Indossai il<br />
mio bikini rosa, maglietta azzurra<br />
aperta sulle spalle e pantaloncini<br />
bianchi. In uno zainetto misi la<br />
crema protettiva (protezione<br />
altissima perché avevo la pelle<br />
sensibile e il sole dell’equatore era<br />
molto più forte <strong>di</strong> quello a cui ero<br />
abituata), una bottiglietta d’acqua e<br />
un telo da mare. Era il mio<br />
preferito: bianco con fiori beige e<br />
blu, me lo aveva regalato Giacomo<br />
l’estate prima. Ero pronta.<br />
Ci avviammo verso il portone<br />
d’ingresso dove avevamo<br />
l’appuntamento con gli altri.<br />
Mapenzi era in compagnia <strong>di</strong>
Davis e saltava euforica intorno ad<br />
Annalia e Maria.<br />
«Jambo Mapenzi!» la salutai. Per<br />
tutta risposta corse a prendermi<br />
sottobraccio.<br />
«Ok, an<strong>di</strong>amo!» annunciò in tono<br />
solenne. <strong>Il</strong> suo italiano era<br />
veramente molto accentato.<br />
Usciti dal portone ci trovammo in<br />
una strada larga e sterrata con<br />
palme sui lati; la terra era chiara,<br />
quasi rossa. Qua e la c’erano ville<br />
<strong>di</strong> ricconi stranieri. Dopo trecento<br />
metri in cui mi riempii i pie<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />
terreno, uscimmo in una strada<br />
asfaltata dove le vecchie macchine<br />
e i tuk tuk (veicoli a tre ruote usati<br />
per il trasporto <strong>di</strong> turisti)<br />
sfrecciavano a velocità folle. Per<br />
attraversare la strada bisognava<br />
correre al momento giusto. Dopo<br />
la corsa mi girò leggermente la<br />
testa ma mi passò subito. A sinistra<br />
su quella strada si vedevano solo
palme a per<strong>di</strong>ta d’occhio, mentre a<br />
destra a breve <strong>di</strong>stanza c’erano<br />
e<strong>di</strong>fici bassi e semplici, qualche<br />
bar e intravi<strong>di</strong> anche l’insegna<br />
Bank. Noi invece proseguimmo<br />
<strong>di</strong>ritto imboccando un sentiero<br />
strettissimo che si inoltrava in una<br />
bassa boscaglia <strong>di</strong> cycas alternata a<br />
spazi sabbiosi. Le piante<br />
pungevano.<br />
Dopo aver percorso un centinaio <strong>di</strong><br />
metri notai che Martina rideva.<br />
«Ma dove cavolo ci sta portando?»<br />
Non fece in tempo a <strong>di</strong>re altro che<br />
sbucammo in spiaggia. Era una<br />
spiaggia immensa e larghissima,<br />
dal mare ci separavano almeno<br />
duecentocinquanta metri. La<br />
sabbia era completamente<br />
appiattita e non c’era ombra <strong>di</strong><br />
orme umane. Niente ombrelloni,<br />
né persone, era completamente<br />
deserta. Quando andavo al mare a<br />
Torre Canne, c’erano spiagge
private con ombrelloni a<br />
pagamento, oppure sulla spiaggia<br />
libera dovevo destreggiarmi tra<br />
decine <strong>di</strong> bagnanti per trovare un<br />
posto in cui stendere il telo. Quella<br />
spiaggia invece era un sogno.<br />
«Ecco dove ci portava!» <strong>di</strong>ssi a<br />
Martina che aveva già cominciato<br />
a correre per raggiungere l’acqua.<br />
Io continuai con calma, affiancata<br />
da Davis che <strong>di</strong>ventava sempre più<br />
un buon amico.<br />
«Habari gani? Come stai?» mi<br />
chiese.<br />
«Ehm…» Cercai <strong>di</strong> ricordare come<br />
si <strong>di</strong>ceva bene. «Mzuri sana!»<br />
risposi trionfante. Lo swahili era<br />
una lingua completamente <strong>di</strong>versa<br />
dalla mia, ma con degli insegnanti<br />
come loro era facile imparare.<br />
Lasciai le scarpe dov’erano quelle<br />
degli altri, a una decina <strong>di</strong> metri<br />
dalla riva, mi spogliai e mi riempii<br />
subito <strong>di</strong> crema altrimenti mi sarei
ustionata. Edward non era venuto<br />
con noi. Dopo ciò che era successo<br />
la sera prima avevo tanta voglia <strong>di</strong><br />
restare sola con lui visto che<br />
davanti ad altre persone non era lo<br />
stesso.<br />
Gli altri erano già in acqua. Io<br />
avevo ancora la fasciatura sulla<br />
testa, quin<strong>di</strong> non potevo bagnarla,<br />
anche se mi piaceva tuffarmi,<br />
nuotare sott’acqua e osservare il<br />
mondo sottomarino. Sapevo<br />
nuotare benissimo, sempre grazie<br />
al mio papà, che quand’ero piccola<br />
mi aveva iscritta a dei corsi nella<br />
piscina comunale. Quel giorno<br />
dovetti accontentarmi <strong>di</strong> fare il<br />
bagno come lo faceva mamma cioè<br />
senza bagnarmi i capelli (ma lei a<br />
parte il fatto <strong>di</strong> non saper nuotare,<br />
non voleva rovinarsi la messa in<br />
piega). Trovai l’acqua<br />
piacevolmente tiepida, invece a<br />
Torre Canne ero abituata a
immergermi lentamente ed era<br />
sempre un evento traumatico<br />
perché l’acqua era gelida, vista la<br />
vicinanza <strong>di</strong> un fiumiciattolo. Mi<br />
<strong>di</strong>vertii tanto quel pomeriggio e<br />
questo mi aiutò a liberare la mente<br />
dalla brutta esperienza del giorno<br />
prima. In effetti trovavo un po’<br />
strano che nessuno dei miei nuovi<br />
amici mi avesse chiesto niente<br />
sull’argomento, forse erano solo<br />
molto educati.<br />
Mentre uscivo dall’acqua notai i<br />
nostri zaini e le nostre scarpe<br />
che… galleggiavano! Corsi fuori<br />
gridando in modo che anche gli<br />
altri accorressero. Era tutto<br />
fra<strong>di</strong>cio: vestiti, sandali, telo,<br />
zaino. Per fortuna riuscii a<br />
recuperare tutto. Non riuscivo a<br />
spiegarmi come fosse possibile che<br />
fossero finiti in acqua. Davis ci<br />
spiegò che a volte la marea saliva<br />
nel giro <strong>di</strong> pochissimi minuti. La
prossima volta dovevamo lasciare<br />
tutto molto più lontano.<br />
Mapenzi ci fece strada verso una<br />
cycas poco lontano sulla quale<br />
stendemmo i nostri abiti ad<br />
asciugare. Ci sedemmo all’ombra<br />
<strong>di</strong> una palma da dattero per<br />
ripararci dal sole che dopo un po’<br />
era davvero <strong>di</strong>fficile da tollerare.<br />
Mapenzi aveva fatto il bagno in<br />
pantaloncini e maglietta<br />
(probabilmente non aveva un<br />
costume) e rimase al sole per<br />
asciugarsi. Nel mentre vi<strong>di</strong> arrivare<br />
da lontano due piccole sagome<br />
scure: erano bambini. Potevano<br />
avere sette o otto anni ed erano<br />
completamente nu<strong>di</strong>. Vennero<br />
verso <strong>di</strong> noi canticchiando.<br />
«Hello, hallo, ciao, salut!» fece il<br />
primo.<br />
«Ciao!» rispose Annalia.<br />
«Oh, italiani!» esclamò il secondo<br />
bambino.
«Come stai?» <strong>di</strong>sse il primo<br />
rivolgendosi a tutti noi.<br />
«Bene. Habari?» chiesi io.<br />
«Mzuri!» sorrise l’altro.<br />
«Come ti chiami?» chiese Maria a<br />
uno <strong>di</strong> loro.<br />
«Gennaro!» rispose questo.<br />
«Io Antonio!» <strong>di</strong>sse l’altro. Rimasi<br />
un po’ stupita.<br />
I bambini ci chiesero se avevamo<br />
delle caramelle. Non avevamo<br />
niente <strong>di</strong> commestibile con noi,<br />
così regalai loro la mia bottiglietta<br />
d’acqua. La bevvero con foga metà<br />
ciascuno e poi corsero via<br />
giocando a calcio con la<br />
bottiglietta, ringraziandoci a gran<br />
voce.<br />
“Wow!” pensai “Basta così poco<br />
per renderli felici!”<br />
Sulla strada del ritorno parlai con<br />
Mapenzi e le chiesi se lei credeva<br />
davvero che quei bambini si<br />
chiamassero Gennaro e Antonio.
Fece un sorriso sorpreso e mi<br />
spiegò che ormai quella era una<br />
zona turistica: la gente cercava <strong>di</strong><br />
avvicinare i viaggiatori sperando <strong>di</strong><br />
ricevere qualcosa e perciò provava<br />
a parlarci in tutte le lingue. Se un<br />
turista era tedesco, le persone<br />
<strong>di</strong>cevano <strong>di</strong> chiamarsi con un<br />
nome tedesco, se uno era italiano<br />
avevano un nome italiano e così<br />
via. Insomma si sceglievano un<br />
nome per tutte le occasioni, ma i<br />
loro veri nomi probabilmente<br />
erano nomi swahili. Mi sembrava<br />
incre<strong>di</strong>bile cambiare se stessi per<br />
compiacere un estraneo, ma lo<br />
scopo <strong>di</strong> quella gente era mangiare<br />
qualcosa in più, quin<strong>di</strong> tutto<br />
<strong>di</strong>ventava accettabile. Chissà se<br />
Edward aveva un altro nome…<br />
non riuscivo proprio a immaginare<br />
quale, del resto conoscevo<br />
pochissimi nomi in swahili.
Quella sera era in programma una<br />
passeggiata per Malin<strong>di</strong>, perciò<br />
indossai una gonna <strong>di</strong> jeans<br />
sfilacciata con pezzi <strong>di</strong> tulle e velo<br />
sulle punte. La fasciatura<br />
purtroppo non potevo ancora<br />
toglierla e così conciata sembravo<br />
una ninja. La coprii alla meglio<br />
con i capelli sciolti e resi ondulati<br />
dall’aria <strong>di</strong> mare.<br />
La cena fu servita fuori perché<br />
c’era il pesce spada in spie<strong>di</strong> cotto<br />
sul fuoco vivo. I tavoli e le se<strong>di</strong>e<br />
erano <strong>di</strong>sposti <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>natamente<br />
per sfruttare lo spazio pianeggiante<br />
<strong>di</strong>sponibile nello spiazzale<br />
d’ingresso. In realtà era pieno <strong>di</strong><br />
pietre sul terreno sconnesso, infatti<br />
la mia se<strong>di</strong>a era un po’ in<br />
pendenza. Era comunque<br />
splen<strong>di</strong>do mangiare sotto le stelle<br />
con la sola luce del fuoco e <strong>di</strong><br />
qualche candela sui tavoli. Mentre<br />
Mundu impiattava il pesce spada
da lui arrostito, vi<strong>di</strong> Edward<br />
sempre al tavolo dei professori.<br />
Era molto bello e per la prima<br />
volta lo vedevo in jeans. I capelli<br />
<strong>di</strong>visi in due treccine lo rendevano<br />
davvero speciale, tutti gli altri<br />
ragazzi kenyoti che avevo<br />
conosciuto avevano i capelli rasati.<br />
Con questi pensieri nella mente<br />
assaggiai il pesce spada. Era<br />
veramente buono. A ciascuno <strong>di</strong><br />
noi spettavano due fette enormi ed<br />
era così carnoso che sembrava<br />
carne anziché pesce.<br />
«Buono questo pesce spada!»<br />
gridò Martina a Mundu. Lui si<br />
avvicinò e <strong>di</strong>sse qualcosa in<br />
swahili a Helen a tavola con noi<br />
che tradusse:<br />
«Non è pesce spada, è barracuda!»<br />
Barracuda? Non sapevo che si<br />
potesse mangiare. <strong>Il</strong> barracuda era<br />
più grande del pesce spada e più<br />
piccolo <strong>di</strong> uno squalo, ma molto
più feroce e aggressivo <strong>di</strong> qualsiasi<br />
specie <strong>di</strong> squalo.<br />
Dopo cena la mia amica Jante<br />
purtroppo tornò in camera sua,<br />
mentre gli altri che dovevano<br />
uscire si radunarono davanti al<br />
cancello. C’era anche Edward. Che<br />
gioia! Non gli parlavo dalla<br />
mattina, ma a me sembrava<br />
un’eternità. Eravamo una decina.<br />
La professoressa Magli ci spiegò<br />
che uscendo <strong>di</strong> sera in sole donne<br />
probabilmente qualcuno ci avrebbe<br />
aggre<strong>di</strong>to, mentre con la<br />
compagnia <strong>di</strong> qualche uomo del<br />
luogo nessuno si sarebbe<br />
avvicinato. Con noi c’erano<br />
Edward, Davis, Anthony e Gabriel.<br />
Inoltre non dovevamo allontanarci<br />
da soli ma restare in gruppo.<br />
Ci incamminammo verso gli<br />
e<strong>di</strong>fici che avevo visto sulla strada<br />
principale mentre andavamo al<br />
mare. Durante il tragitto si
avvicinarono a noi una decina <strong>di</strong><br />
tuk tuk, ma rifiutammo <strong>di</strong> salire.<br />
Vi<strong>di</strong> anche un’altra specie <strong>di</strong> taxi:<br />
una bici con doppio sellino fatto in<br />
casa, portava un turista per volta.<br />
Costeggiammo un bar malandato<br />
con la scritta Coca cola sulla porta,<br />
sembrava che ci fossero solo<br />
uomini. Poi entrammo nella zona<br />
turistica <strong>di</strong> Malin<strong>di</strong>, un viale tutto<br />
illuminato: sul lato del mare<br />
c’erano villaggi turistici uno<br />
accanto all’altro, mentre dall’altro<br />
lato bar, <strong>di</strong>scoteche e ristoranti tutti<br />
nuovi e dalle insegne scintillanti.<br />
Era un mondo d’illusione, una<br />
ricchezza finta ritagliata in uno<br />
spazio <strong>di</strong> infinita povertà.<br />
Durante il percorso restai accanto a<br />
Martina, fumammo e parlammo.<br />
Edward parlava con la<br />
professoressa. Non poteva<br />
piacermi uno studente? No,<br />
proprio l’insegnante dovevo
scegliere! A volte mi sembrava<br />
così irraggiungibile!<br />
Ci fermammo davanti a un locale<br />
con l’insegna luminosa Putipu:<br />
aveva bar, ristorante e <strong>di</strong>scoteca e<br />
quasi all’unanimità optammo per<br />
la <strong>di</strong>sco. Le ragazze non pagavano<br />
l’ingresso, mentre i ragazzi<br />
pagavano pochi scellini. Con me<br />
avevo solo euro, non li avevo<br />
ancora cambiati in scellini kenyoti.<br />
<strong>Il</strong> locale comunque, come la<br />
maggior parte, accettava euro e<br />
dollari, ma le consumazioni pagate<br />
in euro erano molto più care delle<br />
stesse pagate in scellini. Oppure il<br />
barista cambiava una cifra in<br />
scellini in cambio <strong>di</strong> una piccola<br />
provvigione. In banca invece il<br />
tasso <strong>di</strong> cambio variava <strong>di</strong> giorno<br />
in giorno a causa dell’inflazione<br />
della moneta del luogo.<br />
Entrai in <strong>di</strong>scoteca con Martina<br />
sottobraccio.
«Ora ci <strong>di</strong>vertiamo!» esclamò lei.<br />
Era un locale ampio con una<br />
grande pista centrale accanto al<br />
bancone del bar e tutt’intorno<br />
<strong>di</strong>vani e <strong>di</strong>vanetti su più livelli. La<br />
luce era intermittente e colorata, la<br />
musica assordante e l’aria puzzava<br />
<strong>di</strong> fumo. In Kenya non era vietato<br />
fumare nei locali. Raggiungemmo<br />
tutti dei <strong>di</strong>vanetti e subito arrivò il<br />
cameriere. Edward era rimasto in<br />
pie<strong>di</strong>.<br />
Martina si accese una sigaretta.<br />
«Di nuovo?!» le urlai all’orecchio.<br />
«Sì, bisogna inaugurare questo<br />
posto!»<br />
«Che pren<strong>di</strong> da bere?» le urlai<br />
ancora.<br />
«Birra!» Buona idea. Dovevamo<br />
bere solo bevande imbottigliate,<br />
quin<strong>di</strong> cocktail purtroppo niente<br />
perché c’era il ghiaccio<br />
ovviamente fatto con acqua a<br />
rischio.
<strong>Il</strong> cameriere mi stava guardando.<br />
«Two Tusker!» gli urlai. La Tusker<br />
era la birra kenyota per eccellenza,<br />
avevo visto un cartello davanti a<br />
un bar poco prima.<br />
«Ciao.» Era Edward. Si era seduto<br />
al posto libero vicino a me.<br />
Martina mi tirò una gomitata che<br />
mi fece sobbalzare. In quel<br />
momento la o<strong>di</strong>ai.<br />
«Ciao» risposi.<br />
Si avvicinò al mio orecchio<br />
sinistro. «Ti piace qui?»<br />
Ringraziai quella musica a così<br />
alto volume. «Molto!» risposi. Per<br />
un attimo riuscii a riconoscere il<br />
suo profumo tra la puzza <strong>di</strong> fumo<br />
che impestava l’aria.<br />
Arrivarono le birre, anche lui ne<br />
aveva presa una e brindai con<br />
Edward e Martina. Intanto la<br />
professoressa aveva trascinato<br />
Annalia e Maria in pista ballando<br />
entusiasticamente.
«Che ne pensi della tua<br />
professoressa?» mi chiese Edward<br />
osservando la scena.<br />
«È impreve<strong>di</strong>bile!» urlai.<br />
Rise… non l’avevo mai visto così,<br />
era ancora più bello. Martina mi<br />
<strong>di</strong>ede un pizzicotto e mi face segno<br />
che andava a ballare con Davis. Le<br />
feci l'occhiolino.<br />
Ora, a parte Marco e alcuni<br />
studenti della scuola seduti sul<br />
<strong>di</strong>vano <strong>di</strong> fronte e le decine <strong>di</strong><br />
turisti che affollavano il locale,<br />
eravamo soli. Bevvi un sorso <strong>di</strong><br />
birra e lo guardai. A gesti mi chiese<br />
se mi piaceva ballare e io scossi la<br />
testa imme<strong>di</strong>atamente. Non ero<br />
una gran ballerina da <strong>di</strong>scoteca,<br />
<strong>di</strong>ciamo che me la cavavo, ma non<br />
volevo fare brutta figura con lui.<br />
Sorrise.<br />
«Era tutto il giorno che volevo<br />
parlarti!» gli urlai.
«Non ho capito niente!» fu la<br />
risposta.<br />
Sospirai. Lui si alzò e mi fece<br />
segno <strong>di</strong> seguirlo. Mi alzai e scesi i<br />
gra<strong>di</strong>ni dopo <strong>di</strong> lui. Ci inoltrammo<br />
tra la folla, chi in fila al bar, chi in<br />
fila al bagno, chi ballava fuori<br />
pista. Notai anche delle ragazze<br />
kenyote vistosamente agghindate<br />
in atteggiamenti provocanti con<br />
uomini bianchi dall’aria<br />
benestante… prostitute. A volte<br />
qualcuno mi urtava o mi spingeva<br />
e per non perdermi Edward mi<br />
prese per mano. Intrecciò<br />
saldamente le <strong>di</strong>ta alle mie e io<br />
strinsi le sue. Dopo il bacio sulla<br />
guancia della sera prima non<br />
temevo la sua reazione per la mia<br />
stretta innocente.<br />
Arrivammo davanti a una porta<br />
scura e uscimmo in un piccolo<br />
giar<strong>di</strong>no. C’era solo una coppia in
un angolo che si baciava. L’aria<br />
pulita era un vero toccasana.<br />
«Vieni» mi <strong>di</strong>sse senza voltarsi e<br />
tenendomi ancora per mano.<br />
Avanzammo fino a metà cortile, mi<br />
lasciò la mano e si sedette a gambe<br />
leggermente <strong>di</strong>varicate sul bordo <strong>di</strong><br />
una fioriera spoglia. «Qui è<br />
meglio, non cre<strong>di</strong>?» mi <strong>di</strong>sse<br />
ancora a voce un po’ alta. Avevo<br />
anch’io i timpani che ancora<br />
vibravano.<br />
«Sì» risposi sedendomi accanto a<br />
lui. Ero un po’ in imbarazzo…<br />
sembravamo una coppietta che si<br />
era appartata.<br />
«Quasi nessuno viene qui. È<br />
perfetto per parlare.»<br />
«Sicuramente meglio <strong>di</strong> là dentro!»<br />
esclamai.<br />
«Cosa volevi <strong>di</strong>rmi?» continuò.<br />
«Cosa? Ah, sì, ho lasciato qualche<br />
vestito in camera tua stamattina»<br />
cominciai dalla cosa più facile.
«Quando torniamo seguimi che te<br />
li restituisco.» Fece una pausa.<br />
«Poi ti riaccompagno alla tua<br />
camera, non temere.» Sorrise<br />
dolcemente.<br />
«Come cavaliere ti tocca!»<br />
scherzai. Stavo iniziando a<br />
prendere coraggio.<br />
Rise. «Tutto qui?»<br />
«Bè, no… è tutto il giorno che mi<br />
eviti o sbaglio?» Avevo paura della<br />
risposta.<br />
Con calma rispose: «È solo che,<br />
dopo ieri, non voglio starti troppo<br />
addosso.»<br />
Non sapevo se credergli, ma quella<br />
risposta mi fece un po’ innervosire<br />
e quando mi innervosivo la mia<br />
timidezza svaniva.<br />
«Se pensi che quel bacio sia stato<br />
uno sbaglio, <strong>di</strong>mmelo subito<br />
così…»
«No», mi interruppe «non è stato<br />
uno sbaglio. Solo una mia<br />
debolezza.»<br />
Lo guardai. «Se si desidera<br />
qualcosa, non è una debolezza»,<br />
risposi lentamente.<br />
Mi guardò e abbozzò un sorriso.<br />
«Non è così semplice.»<br />
«Allora spiegamelo!» Ormai ero<br />
dentro, volevo andare fino in<br />
fondo. Non sapevo cosa pensare.<br />
«Non ti arren<strong>di</strong>, eh?» mi chiese<br />
scherzando. Guardò il cielo.<br />
«Mai!» risposi in tono <strong>di</strong> sfida.<br />
«Ok, ok!» Divenne serio e mi<br />
guardò così profondamente che<br />
temevo riuscisse a leggere nella<br />
mia anima. «Ieri ho esagerato»<br />
continuò. «Io… voglio farmi<br />
conoscere da te. Voglio andarci<br />
piano. Capisci?»<br />
«Sì» risposi con cautela.<br />
«Quin<strong>di</strong>… non mi illudo quando
mi sorri<strong>di</strong>?» Avevo fatto la figura<br />
dell’ingenua con quelle parole.<br />
«Non so cosa <strong>di</strong>rti. Spero solo <strong>di</strong><br />
non correre troppo.» Si alzò.<br />
Non è che avessi capito poi molto.<br />
«Gli altri si chiederanno dove<br />
siamo.»<br />
«Già…» risposi delusa da quella<br />
conversazione. Volevo bere e<br />
fumare.<br />
Tornammo dentro e fui investita<br />
dalla musica e dall’aria consumata.<br />
Questa volta io ero davanti,<br />
Edward mi mise una mano sulla<br />
vita e non si staccò finché non<br />
arrivammo ai nostri <strong>di</strong>vani. Con lui<br />
accanto sembravo una bambina. <strong>Il</strong><br />
mio metro e sessantadue <strong>di</strong> altezza<br />
nulla poteva contro il suo metro e<br />
novanta (almeno).<br />
Martina stava bevendo la mia<br />
birra.<br />
«Tu non venivi più!» si giustificò<br />
quando si accorse che la guardavo.
«Hai una sigaretta?» chiesi<br />
sedendomi accanto a lei. Martina<br />
fumava Marlboro rosse, erano più<br />
pesanti <strong>di</strong> quelle che fumavo io e<br />
in quel momento ne avevo<br />
bisogno. Mi <strong>di</strong>ede la sigaretta e<br />
l’accen<strong>di</strong>no e si alzò.<br />
«Fuma tesoro, vado a prendere due<br />
Smirnoff ice. Sai, è buonissimo!»<br />
Davis mi si avvicinò. «Are you<br />
enjoying yourself, rafiki?»<br />
«What’s the meaning for rafiki?»<br />
gli chiesi a mia volta.<br />
«Amico!» rispose lui.<br />
«Oh, sì, mi <strong>di</strong>verto rafiki!» Era<br />
veramente un bravo ragazzo<br />
nonostante il suo passato. Mi<br />
guardai attorno, Edward non si<br />
vedeva. Poi mi venne una<br />
curiosità: «What’s your real name?<br />
Your swahili name?»<br />
«Davis è mio nome. Solo Davis.<br />
Non ho altri. Mia mamma ha
chiamato Davis.» <strong>Il</strong> suo sorriso si<br />
spense un po’.<br />
«Quin<strong>di</strong> all’anagrafe c’è scritto<br />
Davis?» continuai, ma lui sembrò<br />
non capire.<br />
Cercai <strong>di</strong> spiegargli cos’era<br />
l’anagrafe, che in Italia ogni<br />
bambino che nasceva veniva<br />
registrato all’ufficio anagrafe con<br />
nome e cognome suo e dei<br />
genitori. Mi rispose che lì non<br />
funzionava così, non c’erano uffici<br />
su tutto il territorio. Nessuna delle<br />
persone che lui conosceva era<br />
registrato, ma una volta aveva<br />
sentito parlare <strong>di</strong> una cosa del<br />
genere da un suo amico <strong>di</strong><br />
Mombasa.<br />
Si avvicinò un ragazzo della<br />
scuola, Anthony. Conoscevo il suo<br />
nome ma non ci avevo mai parlato<br />
perché frequentava le lezioni nella<br />
classe <strong>di</strong> Annalia, Maria e Marco.
«Jambo rafiki!» mi salutò<br />
sedendosi accanto a Davis.<br />
«Jambo Anthony!» risposi.<br />
«Wewe ni mzuri sana!» mi <strong>di</strong>sse.<br />
Davis si mise a ridere e io gli<br />
chiesi <strong>di</strong> tradurre.<br />
«Anthony ha detto…» spiegò<br />
Davis «che tu sei molto bella!»<br />
«Oh!» esclamai arrossendo.<br />
«Hasante sana, Anthony! Thank<br />
you!» risposi imbarazzata.<br />
<strong>Il</strong> dj mise una canzone italiana che<br />
a me piaceva tantissimo ballare:<br />
Maracaibo <strong>di</strong> Raffaella Carrà.<br />
Guardai la pista e Anthony capì<br />
che volevo ballare.<br />
«Ballare?» mi chiese.<br />
Guardai Davis, lui si avvicinò e mi<br />
<strong>di</strong>sse all’orecchio: «Balla, lui è<br />
bravo ragazzo!» Gli sorrisi, era<br />
bello poter contare su un nuovo<br />
amico.<br />
Mi alzai e scesi gli scalini,<br />
Anthony mi seguì. Ci fermammo
in mezzo alla pista. Vi<strong>di</strong> Martina<br />
ballare e mi ricordai che non era<br />
più tornata con gli Smirnoff.<br />
«Scusa, mi ha trascinata qui!»<br />
gridò in<strong>di</strong>cando Gabriel.<br />
Scrollai le spalle e iniziai a ballare<br />
facendomi guidare dalla musica.<br />
Anthony era vicino a me, ma non<br />
troppo. Ogni tanto mi prendeva<br />
una mano e mi faceva girare su me<br />
stessa. Mi <strong>di</strong>vertivo tanto con lui,<br />
era gentile e rispettoso e mi<br />
sorrideva sempre. Ballammo per<br />
quattro o cinque canzoni <strong>di</strong> fila e<br />
un po’ cominciavo a essere stanca.<br />
All’improvviso le luci si<br />
abbassarono e la musica <strong>di</strong>venne<br />
soft, era il momento dei lenti. In<br />
quel momento Anthony fu travolto<br />
da una ragazza bassina e da una<br />
sua amica. Lo abbracciarono forte<br />
come se fosse il fratello e lo<br />
trascinarono via. Lui fece appena<br />
in tempo a guardarmi con aria
confusa e colpevole. Gli sorrisi<br />
leggermente e mi voltai per tornare<br />
al mio posto. La canzone era<br />
bellissima, ma in realtà non avevo<br />
voglia <strong>di</strong> ballare un lento con<br />
Anthony. A un tratto un omone mi<br />
urtò per passare e io inciampai in<br />
qualcosa, forse i pie<strong>di</strong> <strong>di</strong> qualcuno.<br />
Persi l’equilibrio ma a mezz’aria<br />
mi sentii afferrare le spalle da due<br />
mani gran<strong>di</strong>.<br />
«Presa!» Edward era <strong>di</strong> fronte a me<br />
e mi reggeva.<br />
«Gr… grazie!» balbettai.<br />
Restammo qualche secondo a<br />
fissarci sulle note <strong>di</strong> Goodbye my<br />
lover <strong>di</strong> James Blunt:<br />
…You touched my heart, you<br />
touched my soul,<br />
You changed my life and all my<br />
goals,<br />
And love is blind and I knew when,<br />
My heart was blinded by you,
I’ve kissed your lips and held your<br />
head,<br />
Shared your dreams and shared<br />
your bed,<br />
I know you well, I know your<br />
smell,<br />
I’ve been ad<strong>di</strong>cted to you…<br />
Edward si avvicinò a me. Le sue<br />
mani si spostarono sui miei fianchi<br />
e cominciammo a ballare<br />
lentamente, fissandoci, ipnotizzati<br />
l’uno dall’altra. Gli sfiorai le<br />
braccia possenti e arrivai alla sua<br />
vita. Non riuscivo a staccarmi da<br />
quegli occhi… li adoravo.<br />
James Blunt continuava:<br />
…And as you move on, remember<br />
me,<br />
Remember us and all we used to<br />
be.<br />
I’ve seen you cry, I’ve seen you<br />
smile,
I’ve watched you sleeping for a<br />
while…<br />
Avvertii un fremito quasi<br />
impercettibile delle sue <strong>di</strong>ta sul<br />
mio corpo. In genere mi sentivo a<br />
<strong>di</strong>sagio se qualcuno mi fissava a<br />
lungo negli occhi, ma con lui no,<br />
mi sentivo esattamente dove<br />
dovevo essere.<br />
…I know your fears and you know<br />
mine,<br />
We’ve had our doubts but now<br />
we’re fine,<br />
And I love you, I swear that’s true.<br />
I cannot live without you…<br />
Mi avvicinò a sé, stringendomi<br />
delicatamente. <strong>Il</strong> mio viso era<br />
quasi appoggiato al suo petto,<br />
potevo avvertire i movimenti del<br />
suo respiro. Chiusi gli occhi.<br />
Anche lui sentiva ciò che sentivo
io? Cosa ci stava succedendo?<br />
Cosa voleva <strong>di</strong>re tenendomi stretta<br />
in quel modo?<br />
La canzone cambiò. Ora era Celine<br />
Dion a cantare I’m your lady:<br />
…Cause I’m your lady<br />
And you are my man<br />
Whenever you reach for me<br />
I’ll do all that I can…<br />
Restammo nella stessa posizione,<br />
ondeggiando lievemente per<br />
seguire la musica. Era una<br />
sensazione meravigliosa, ma anche<br />
nuova: non mi ero mai sentita così<br />
in sintonia con una persona che<br />
conoscevo da così poco tempo.<br />
Un’altra canzone cominciò, cantata<br />
dai Savage Garden. Noi eravamo<br />
ancora così. In quel momento<br />
raccolsi tutto il mio coraggio e<br />
appoggiai la testa sul suo petto. Mi<br />
sembrava <strong>di</strong> sentire i battiti del suo
cuore nonostante la musica. Non si<br />
scostò, anzi, avvolse ancor <strong>di</strong> più<br />
le braccia attorno a me. Ormai era<br />
certo: mi stavo innamorando. E<br />
lui? Ne avevo visti tanti <strong>di</strong><br />
bastar<strong>di</strong>, e quello non era <strong>di</strong> certo<br />
l’atteggiamento <strong>di</strong> uno che voleva<br />
solo rimorchiare. Alla fine della<br />
canzone il dj la mixò con una<br />
movimentata, il momento<br />
romantico era finito, durato fin<br />
troppo per una <strong>di</strong>scoteca; la pista si<br />
gremì <strong>di</strong> gente e si accesero le luci<br />
psichedeliche. Godetti ancora<br />
qualche altro secondo del contatto<br />
con il corpo <strong>di</strong> Edward, poi mi<br />
allontanai un po’ e alzai lo<br />
sguardo. Anche lui mi guardava.<br />
«Hai sete?» mi chiese<br />
avvicinandosi al mio orecchio<br />
destro.<br />
Annuii.
«Vieni.» Mi prese per mano e mi<br />
portò al bar. Scelsi uno Smirnoff<br />
ice.<br />
Ne prese due e ci sedemmo sugli<br />
sgabelli alti vicino al bancone.<br />
Ormai avevo totalmente perso <strong>di</strong><br />
vista i miei amici, Martina, la<br />
professoressa… ero sola con lui.<br />
Doveva essere anche tar<strong>di</strong>. Brindò<br />
e bevve un sorso. Io ero in attesa.<br />
Volevo spiegazioni, volevo sapere<br />
cosa pensava, perché appariva e<br />
spariva e a volte era <strong>di</strong>stante e a<br />
volte invece mi rapiva tra le sue<br />
braccia. Seguì qualche secondo <strong>di</strong><br />
imbarazzo generale.<br />
«Prima sei sparito» gli <strong>di</strong>ssi per<br />
rompere il ghiaccio.<br />
«Ah, sì, ero qui al bar.» Mi guardò.<br />
«Io invece ti ho vista: ballavi con<br />
Anthony.» C’era un non so che <strong>di</strong><br />
strano nella sua voce.<br />
«Ah, sì, quella era la mia canzone<br />
da <strong>di</strong>scoteca preferita. In Italia la
allo sempre con la mia migliore<br />
amica.»<br />
«È simpatico Anthony?» mi<br />
chiese. Ma che domande mi stava<br />
facendo?<br />
«Beh, lo conosco da poco ma<br />
sembra <strong>di</strong> sì. Davis mi ha detto che<br />
è un bravo ragazzo.»<br />
«Di Davis ti puoi fidare. Se mai<br />
capiterà che io non sono presente e<br />
hai bisogno <strong>di</strong> qualcosa, rivolgiti a<br />
lui.»<br />
«Conto su <strong>di</strong> lui, è un buon<br />
amico.» Sorrisi pensando a Davis.<br />
Gli volevo già bene.<br />
«E io?» chiese lui.<br />
Lo guardai senza capire. «Tu<br />
cosa?»<br />
«Io sono un buon amico?»<br />
Rimasi senza parole un attimo.<br />
«Beh…» esitai. «Con Davis non<br />
ballerei come ho ballato con te.»<br />
Fissò la bottiglia e bevve un altro<br />
sorso. Non mi <strong>di</strong>sse nulla.
«Scusa, Edward» richiamai la sua<br />
attenzione. «Vorrei capire qual è il<br />
problema! Prima mi eviti, poi mi<br />
stringi… mi stai facendo <strong>di</strong>ventare<br />
matta.»<br />
Non riuscivo a credere <strong>di</strong> aver<br />
davvero pronunciato quelle parole.<br />
Forse tenevo così tanto a lui che la<br />
timidezza passava in secondo<br />
piano.<br />
Inspirò a fondo. «<strong>Il</strong> fatto è…» Pesò<br />
le parole. «Che non riesco a<br />
trovare la forza <strong>di</strong> resisterti.»<br />
«Allora non farlo» <strong>di</strong>ssi in un<br />
soffio. L’istinto aveva parlato, non<br />
la prudente e pacata Selene.<br />
FINE ANTEPRIMA