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Matteo Magri - Comune di Arcene

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TITOLO: 21 FEBBRAIO 2010<br />

CAPITOLO PRIMO, BUENOS AIRES, 21 FEBBRAIO 2010, 17.59<br />

Trema. E’ la prima volta che capita. Nemmeno la prima volta ti è successo. Il fucile trema, la mano, il braccio<br />

stanno tremando. Hai voglia <strong>di</strong> nicotina ma non hai nessuna sigaretta nello zaino, non ne portavi mai<br />

durante il lavoro, il fumo può renderlo visibile. E’ anche la prima volta che desideri una sigaretta mentre sei<br />

con l’in<strong>di</strong>ce sul grilletto e l’occhio sinistro dentro il mirino. “Che cazzo mi succede, è il solito lavoro”.<br />

Uccidere è il tuo lavoro.<br />

CAPITOLO SECONDO, MILANO 5 GENNAIO 2010, ORE 07.46<br />

“Pronto, sono io, hai tempo il mese prossimo?”. Carlos esor<strong>di</strong>va sempre così. Non un “come stai?”, oppure<br />

un “ciao, come ti va?”. Mai. Carlos era fatto così, sapeva che non ti doveva fare troppe domande perché tu<br />

non avresti risposto. Anche quella mattina il telefonino era squillato ed anche quella mattina il tuo datore<br />

<strong>di</strong> lavoro si era limitato a chiedere la sua <strong>di</strong>sponibilità.<br />

“Non ho nessun particolare impegno. Quanto?”, gli avevi chiesto.<br />

“100mila”, la risposta.<br />

“Non sono pochi”, <strong>di</strong>sse quasi sorpreso.<br />

“Sì ma stavolta l’obiettivo è importante. Quin<strong>di</strong>?”, la domanda impaziente.<br />

“Ok”.<br />

“Bene, entro un paio <strong>di</strong> ore ti mando la solita mail con il dettaglio sul carico”. Il carico era un uomo o donna,<br />

<strong>di</strong>pendeva. Uomo o donna da uccidere, far sparire.<br />

CAPITOLO TERZO, BUENOS AIRES, 21 FEBBRAIO 2010, ORE 18.00<br />

Anche il sudore ci si mette. Non c’è niente da fare, sei teso, senti la paura. Stai sentendo un’emozione: è da<br />

anni che non ti capita e la novità ti spaventa. Altra emozione, due nel giro <strong>di</strong> venti secon<strong>di</strong>. Cerca <strong>di</strong> stare<br />

calmo, recupera i nervi sal<strong>di</strong>, l’hai sempre fatto. Cerca <strong>di</strong> capire la causa <strong>di</strong> tutto questo. E’ tutto normale,<br />

nessuno ti ha visto, le quattro guar<strong>di</strong>e del corpo si trovano a 200 metri e sembrano annoiate, annoiate dalla<br />

routine perché mai nessuno si è azzardato solamente a guardare nel buen retiro dell’amministratore<br />

delegato, figurarsi se mai qualcuno si è azzardato a volergli fare male a casa sua, nel luogo dove –<br />

teoricamente – è inattaccabile. Nessuno, fino a quel momento.<br />

CAPITOLO QUARTO, MILANO 5 GENNAIO 2010, ORE 10.00<br />

La mail era arrivata puntuale. Maschio, 44 anni, amministratore delegato della più importante azienda<br />

elettronica americana. L’appuntamento era fissato in Sudamerica ma non era un problema, circa il 30 per


cento dei lavori venivano svolti all’estero: Irlanda, In<strong>di</strong>a, Cina, Canada, l’importante è che tu abbia un<br />

obiettivo, che ti senta vivo per qualche giorno prima <strong>di</strong> risprofondare nella morte.<br />

CAPITOLO QUINTO, BUENOS AIRES 21 FEBBRAIO 2010, ORE 18.05.<br />

Forse stai recuperando la calma, il sudore è sparito ma comunque non riesci a capire da dove arrivi quel<br />

panico. Anche il viaggio è andato benissimo, hai preferito utilizzare il passaporto <strong>di</strong> Fernando Capuano nato<br />

a Cefalù il 15 <strong>di</strong>cembre 1973 e residente a Monza. Professione ingegnere informatico, hai spiegato a quelli<br />

della dogana che ti hanno fermato per una perquisizione <strong>di</strong> routine che stai andando a Buenos Aires per<br />

fare una consulenza per la Sfrulli inc., società guidata da un tuo vecchio amico che vuole potenziare il<br />

sistema antivirus dopo un paio <strong>di</strong> tentativi <strong>di</strong> hackeraggio subiti negli ultimi due mesi. Anche all’albergo non<br />

c’era stato nessun problema e per non dare nell’occhio sei arrivato una settimana prima dell’appuntamento<br />

ed ogni giorno avevi scelto <strong>di</strong> fare le stesse cose. La routine aiuta a non dare nell’occhio. Uscivi alle 08.30<br />

con una ventiquattrore in mano, salivi sul taxi che prenotavi la sera prima e ti facevi lasciare sempre nella<br />

stessa zona in centro. Quin<strong>di</strong> sceglievi un bar dove faceva colazione, meglio se affollato, or<strong>di</strong>navi un caffè,<br />

pagavi e andavi in bagno dove ti mettevi dei vestiti como<strong>di</strong> per la perlustrazione. Altro taxi che ti lasciava a<br />

qualche centinaia <strong>di</strong> metri dall’appuntamento dove iniziavi a perlustrare la zona, appuntarsi orari,<br />

fotografare mentalmente i visi della gente che bazzicavano nei <strong>di</strong>ntorni della villa. Eri un mago in questo, la<br />

pianificazione rappresentava il 70 per cento della riuscita del lavoro. Ed il lavoro l’avevi sempre completato<br />

anche la prima volta.<br />

CAPITOLO SESTO, SCANSANO (GROSSETO), 3 SETTEMBRE 2003, ORE 02.33<br />

Non senti la tensione anche se non sai bene come comportarti perché se anche hai ucciso un uomo prima<br />

d’ora, l’avevi fatto durante una guerra. Una guerra dove sei alla pari: c’è un nemico anch’esso armato e<br />

come te sa quali rischi corre. Sa che il rischio maggiore è passare all’altro creatore. Questa volta non è così<br />

perché l’arma nella fon<strong>di</strong>na l’hai solo tu ed il nemico è <strong>di</strong>sarmato. Il nemico ha l’unica colpa <strong>di</strong> essere finito<br />

nella lista nera <strong>di</strong> qualche potente o delinquente <strong>di</strong> turno che si è affidato a Carlos per far sì che il suo nome<br />

finisse barrato con una penna da quella lista. Lo stai aspettando su quella strada buia dove dopo le 22<br />

passano 3 macchine all’ora. Il periodo ti aiuta, c’è vendemmia, e tutti gli ubriaconi che <strong>di</strong> solito passano <strong>di</strong><br />

qui per rientrare nei propri casolari se ne stanno a letto a riposare con la schiena a pezzi dopo 8 ore a<br />

tagliare grappoli <strong>di</strong> vite. Per essere sicuro sei passato dai due bar in centro ed hai notato che la massa <strong>di</strong><br />

gente che li frequenta è <strong>di</strong>minuita con l’inizio dei lavori del vino. C’è chi può comunque permettersi <strong>di</strong><br />

scarrozzare allegramente anche in un mercoledì sera, come Sergio Marchi, figlio del cavalier Marchi<br />

proprietario dell’omonima azienda vinicola, una delle più gran<strong>di</strong> della Maremma. 23 anni, classico figlio <strong>di</strong><br />

papà, per te uno sconosciuto fino a 4 settimane prima quando Carlos ti aveva inviato la mail con i dettagli.<br />

La sua colpa è aver pestato i pie<strong>di</strong> della figlia <strong>di</strong> qualcuno. L’aveva ad<strong>di</strong>rittura picchiata lasciandola a terra<br />

sanguinante. Niente <strong>di</strong> grave, al pronto soccorso l’ex fidanzata era stata curata con una me<strong>di</strong>cazione<br />

blanda. Ma tanto era bastato a scatenare l’ira del padre che aveva deciso <strong>di</strong> eliminare colui che si era<br />

permesso <strong>di</strong> trattare così la figlia. Pagamento 22mila, come al solito 11 andavano a lui, l’altra metà a Carlos.<br />

Insomma Marchi pagava l’essersi innamorato e l’essere stato abbandonato per il suo vizietto con la cocaina<br />

che Flavia, il nome della ragazza, non sopportava. Quando era in botta però Sergio <strong>di</strong>ventava un violento e<br />

l’aveva <strong>di</strong>mostrato ad inizio agosto mandandola all’ospedale. Questo era quanto era scritto sul rapporto<br />

presente nella sua posta elettronica che comprendeva anche i dati personali del ragazzo ed un paio <strong>di</strong>


informazioni sulle sue abitu<strong>di</strong>ni. Come quella <strong>di</strong> uscire ogni santa sera per recarsi in centro a Grosseto,<br />

sbaraccare con un paio <strong>di</strong> Morellini in compagnia, farsi un paio <strong>di</strong> tiri <strong>di</strong> bamba e tornare a casa. Qualche<br />

volta si fermava da Iolanda, una vecchia troia <strong>di</strong> 45 anni che riceveva in casa, ma non quella sera. C’era<br />

stato 24 ore prima e non ci andava mai per due giorni consecutivi. Eccolo il Bmw cabrio che si avvicina. E’<br />

tutto pronto, il golf preso a noleggio a Pisa si trova a bordo strada con il cofano aperto: per Marco deve<br />

sembrare che l’auto sia in panne. Si avvicina e ti butti per strada sbracciando. Come previsto il Bmw si<br />

ferma, accosta. Ti avvicini alla portiera e lo riconosci: è la stessa persona che hai osservato nelle tre foto che<br />

sono arrivate con il rapporto in mail. “C’è qualche problem…”. Tum. La prima pallottola gli entra dritto in<br />

fronte ed esce nella parte posteriore del cranio fermandosi nel se<strong>di</strong>le. Tum. La seconda gli trapassa il petto.<br />

Fine del gioco. Il peso del corpo sta andando verso il volante. Mossa da evitare perché il clacson inizierebbe<br />

a suonare schiacciato dalla testa ciondolante. Gli fai cambiare traettoria dando un colpo alla tempia sinistra<br />

con il calcio della pistola e il cadavere <strong>di</strong> Sergio si sposta lento verso il se<strong>di</strong>le del guidatore rimanendo<br />

sospeso innaturalmente, imbrigliato tra la forza <strong>di</strong> gravità che lo vorrebbe adagiato sul se<strong>di</strong>le e la cintura <strong>di</strong><br />

sicurezza che lo tiene ancorato al suo <strong>di</strong> se<strong>di</strong>le. Controlli il battito del suo cuore. Assente. Puoi<br />

abbandonare l’appuntamento. Chiu<strong>di</strong> il cofano del Golf, rimetti in moto e rientri all’agriturismo Cinghiale<br />

che si trova a 14 chilometri da lì. Nessuna anima viva intorno, gli spari sono stati solamente uno sbuffo<br />

impercettibile grazie al silenziatore. 6 chilometri prima <strong>di</strong> rientrare ti fermi, smonti l’arma e butti i pezzi<br />

all’interno <strong>di</strong> un cassonetto. La raccolta è prevista per domani, l’arma del delitto se ne andrà con lei. Sei<br />

<strong>di</strong>ventato un assassino. Un assassino <strong>di</strong> professione.<br />

CAPITOLO SETTIMO, RIMINI, 8 AGOSTO 2003, ORE 15.56<br />

Il tuo nuovo “lavoro” inizia da qui, da quando nel pomeriggio in spiaggia mentre stai cercando <strong>di</strong> togliere il<br />

pensiero <strong>di</strong> Lei guardando il mare, steso sul salviettone, senti un colpetto alla spalla. Ti giri e attraverso i<br />

tuoi Ray Ban lo riconosci subito.<br />

“Ciao, è da un po’ che non si vede. Come stai? Che fai qui?”. Cazzo non vedo Carlos da do<strong>di</strong>ci anni e già mi<br />

tempesta <strong>di</strong> domande. Non è cambiato.<br />

“Solito. Sono qui in vacanza”. Non hai voglia <strong>di</strong> parlare. E’ da mesi che non hai voglia <strong>di</strong> parlare.<br />

“Immaginavo. Ma insomma, che combini? Cazzo sono quasi quattro anni…”<br />

“Cinque il mese prossimo”, lo correggi.<br />

“Esatto, sono cinque anni che non ti vedo, dalla tua ultima missione in Romania. Poi hai abbandonato per<br />

sposarti mi sembra”.<br />

“Sì”, per sposare quella troia.<br />

“Non ti offendere, ma una volta avevi più parole nel serbatoio” ti apostrofa ridendo. Una volta eri <strong>di</strong>verso,<br />

una volta eri vivo.<br />

“Quin<strong>di</strong>?”.<br />

“Ma niente, ti ho visto qui, sono qui con Suzi, una bulgara spaziale <strong>di</strong> vent’anni che ho conosciuto un paio <strong>di</strong><br />

mesi fa a Varna. Con mia moglie ho rotto ed ora sono un’altra persona. La ve<strong>di</strong>? E’ quella in fondo”. Giri


ancor <strong>di</strong> più la testa e noti una ragazza castana a quin<strong>di</strong>ci metri da voi. Una bella ragazza non c’è che <strong>di</strong>re.<br />

Fortunato Carlos che sta cercando <strong>di</strong> rifarsi una vita andando in giro a scopare queste puttanelle.<br />

“Tu invece?”, ti chiede.<br />

“Tu invece che cosa?”, rispon<strong>di</strong>.<br />

“Ma sì, tua moglie dov’è?”.<br />

“Non c’è più”.<br />

“Ah mi spiace veramente”. Questo cretino pensa che sia morta. In effetti non è tanto lontano dalla verità.<br />

“Cambiano <strong>di</strong>scorso. Il lavoro? Le ultime notizie che mi avevano dato i nostri vecchi collaboratori <strong>di</strong>cevano<br />

che ti eri impiegato nell’azienda del suocero”.<br />

“Ora sono <strong>di</strong>soccupato”. La vecchia cerchia era peggio del Kgb, anche se eri fuori dal giro tutti sapevano<br />

quello che facevi: l’impiegato in ufficio, a scaldare con il tuo culo una se<strong>di</strong>a in un locale riscaldato d’inverno<br />

e rinfrescato dal con<strong>di</strong>zionatore in estate. Una roba noiosa ma che avevi fatto volentieri per accontentare<br />

Lei.<br />

“Certo che passare dai corpi speciali alla scrivania è stato un bel salto”. Carlos ha ragione, per noi abituati a<br />

rischiare la pelle in missioni top secret standosene magari giorni nella giungla coperti dal fango, passare del<br />

tempo con altri colletti bianchi il cui massimo del rischio è stato prendere il traffico citta<strong>di</strong>no nell’ora <strong>di</strong><br />

punta era un bel salto.<br />

“Hai ragione ma ora è acqua passata. Sono <strong>di</strong>soccupato”, ripeti.<br />

Carlos ti osserva e sta notando che non navighi nell’oro, i Ray Ban sono consumati, le lenti coperte da solchi<br />

ed anche il telefonino che tieni in mano non è dell’ultima generazione, tu che eri abituato ad avere tutto<br />

lucido e perfetto; ci tenevi a presentarti al prossimo in un certo modo e ad avere in mano sempre aggeggi<br />

ultratecnologici. Retaggi dell’essere stato un agente speciale.<br />

“Non sembra che te la stia passando bene, senza offesa ovviamente. Ma hai qualcosa in giro?”, ti fa<br />

cercando <strong>di</strong> osservarti negli occhi nascosti dagli occhiali da sole.<br />

“Non molto, sai non posso scrivere nel curriculum <strong>di</strong> essere stato un soldato perché ufficialmente non lo<br />

sono, anzi non lo siamo mai stati. Ed inoltre con la crisi che c’è in giro uno ci pensa un paio <strong>di</strong> volte prima <strong>di</strong><br />

assumere un impiegato cacciato dal posto <strong>di</strong> lavoro precedente”. E’ la prima volta che formuli una frase che<br />

duri per più <strong>di</strong> cinque secon<strong>di</strong> da quando se ne è andata.<br />

“Capisco, se ti va ho un lavoro da proporti ed in qualche modo riprenderesti a fare quello che hai sempre<br />

saputo fare meglio degli altri”. La <strong>di</strong>scussione per la prima volta prende una piega interessante, ti togli i Ray<br />

Ban e fai: “Dimmi”.<br />

CAPITOLO OTTAVO, MILANO 5 GENNAIO 2003, ORE 18.31<br />

“Me ne vado. E’ finita”. Le 18.31 del 5 gennaio 2003 tu sei morto.


CAPITOLO NONO, RIMINI 8 AGOSTO 2003, ORE 16.10<br />

“Toglimi una curiosità, perché stai accettando? Non capita tutti i giorni che qualcuno ti offra <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare un<br />

killer a pagamento…”, ti chiede titubante Carlos.<br />

“Cazzi miei”, la tua risposta secca. E da questo momento Carlos capisce che non deve farti troppe domande<br />

anche se un motivo ce l’hai. Cercare <strong>di</strong> rivivere attraverso la morte degli altri anche se per te perfetti<br />

sconosciuti. Rivivere dopo che sei morto da qualche mese.<br />

CAPITOLO DECIMO, MILANO 5 GENNAIO 2003, ORE 18.44<br />

Ti sei lasciato andare sulla poltrona in salotto, per fortuna hai il mobile bar vicino, hai appena terminato il<br />

secondo mezzo bicchiere <strong>di</strong> Glen Grant e ti prepari a versarne un terzo. Sei frastornato, deluso, arrabbiato,<br />

impotente, incredulo; tutto, sei tutto. Via il terzo bicchiere, ti senti la mente più leggera e inizi a slegarti,<br />

inizi a farti delle domande. Perché? Dove se ne è andata? E’ tutto vero? Me lo merito? Possibile che non<br />

abbia capito un cazzo? Possibile che abbia buttato via cinque anni <strong>di</strong> matrimonio più tre <strong>di</strong> fidanzamento?<br />

Cioè è possibile che abbia buttato via 8 anni su 33 che compirò tra un paio <strong>di</strong> mesi? Possibile,<br />

possibilissimo: è appena accaduto.<br />

CAPITOLO UNDICESIMO, BUENOS AIRES 21 FEBBRAIO, ORE 18.05<br />

Eccolo puntuale come un orologio arrivare a casa. Ci impiega trentacinque minuti a percorrere la strada che<br />

dal Consolato porta a casa sua. Sembra che ti sia ripreso ma non ti senti ancora al cento per cento. Senti<br />

che c’è qualcosa che non quadra o che non quadrerà a breve ma l’appuntamento sembra perfetto. Sei<br />

mimetizzato alla perfezione su quell’altura, il tuo fucile è perfetto, la situazione nel giar<strong>di</strong>no è perfetta. Tra<br />

<strong>di</strong>eci minuti al massimo uscirà dalla porta finestra del salotto e si metterà a boccheggiare un Cohiba<br />

accompagnato da un bicchiere <strong>di</strong> Rhum bianco delle Antille. Questo è il suo unico vero momento <strong>di</strong> relax<br />

della giornata, l’unico vero momento in cui si sente un uomo come tutti gli altri. Un uomo che al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong><br />

quei 40 minuti in cui è impegnato a sentire la fragranza del sigaro <strong>di</strong>venta speciale. Diventa uno degli<br />

uomini più potenti del Sudamerica sebbene non sia presidente <strong>di</strong> nessuno Stato, non abbia nessuna<br />

azienda, nonostante sia un semplice funzionario europeo che lavora per conto del suo governo in una<br />

nazione estera. Ma c’è dell’altro.<br />

CAPITOLO DODICESIMO, MILANO 5 GENNAIO 2003, ORE 19.15<br />

Sei quasi sbronzo, la bottiglia <strong>di</strong> whisky ti è caduta e sta inondando il tappeto ma non te ne frega. Sei<br />

amorfo, con le braccia molli che penzolano dalla poltrona. Ripensi a lei, a come eravate felici fino a pochi<br />

mesi fa. Tutta colpa del suo fottuto nuovo lavoro al Ministero; d’accordo era il sogno della sua vita coronato<br />

grazie ad una brillante vittoria al concorso pubblico. Si era trasferita a Roma ma il giovedì sera rientrava a<br />

Milano. Le prime settimane era entusiasta <strong>di</strong> rivederti, raccontare la sua nuova vita e dopo fare l’amore<br />

quasi ininterrottamente fino alla domenica sera quando tu la riportavi in aeroporto per prendere<br />

l’aeroplano. Stavi pensando <strong>di</strong> trasferirti con lei perché il tuo capo, cioè il tuo suocero, era intenzionato ad<br />

aprire una filiale dell’azienda nel cuore politico italiano. “Entro <strong>di</strong>cembre sarà operativa - ti ripeteva - e<br />

potrai raggiungere mia figlia”. In un certo senso anche al suocero premeva che tu stessi vicino a tua moglie.


Avevi capito che qualcosa non funzionava quando, dopo tre mesi, aveva cominciato a tornare il venerdì<br />

sera. “Motivi <strong>di</strong> lavoro, sto lavorando come una pazza”. Gli stessi motivi <strong>di</strong> lavoro che causavano stress e le<br />

impe<strong>di</strong>vano <strong>di</strong> fare l’amore come pazzi. Dopo cinque mesi l’aveva chiamato il venerdì alle 19 per avvisarlo<br />

che quella settimana non sarebbe tornata a casa. “Devo accompagnare a Palermo il mio capo”, la<br />

spiegazione. Le antenne si erano drizzate ma non avevi dato grande importanza. Per cercare <strong>di</strong> riavvicinarti<br />

le avevi fatto una sorpresa prima dello scorso natale, avevi preso qualche giorno <strong>di</strong> ferie extra per<br />

raggiungerla, per poi salire insieme e festeggiare il Natale con il resto della famiglia. Volevi farle una<br />

sorpresa.<br />

CAPITOLO TREDICESIMO, BUENOS AIRES 21 FEBBRAIO, ORE 18.12<br />

L’obiettivo ha mansioni che vanno oltre a quello per cui è stipen<strong>di</strong>ato dal suo Paese. Quel 45enne seduto e<br />

che si sta accendendo il Cohiba ha affari loschi, loschissimi in Argentina; dalla sua piccola posizione <strong>di</strong><br />

potere ha scalato la vetta ed è <strong>di</strong>ventato il principale controllore del traffico <strong>di</strong> droga dal continente latino<br />

verso quello europeo. Tra una cerimonia ufficiale, un incontro con il primo ministro e l’assistere ad<br />

un’amichevole della Celeste alla Bombonera, controlla i suoi traffici. Con il beneplacito dello stesso governo<br />

argentino. Incre<strong>di</strong>bile ma geniale allo stesso tempo. Lo Stato non avendo armi per combattere la legalità, ha<br />

deciso <strong>di</strong> scendere nello stesso campo <strong>di</strong> gioco della criminalità organizzata affidando il compito <strong>di</strong> gestire la<br />

“remuntada” nei confronti della malavita al funzionario europeo che si è <strong>di</strong>mostrato particolarmente<br />

adatto al compito e sta mettendo in ginocchio tutti i trafficanti <strong>di</strong> droga sudamericani. E dall’Europa? Sanno<br />

tutto ma stanno zitti perché il lavoro frutta denaro anche per il Vecchio Continente. Si è deciso <strong>di</strong> prendere<br />

quello che non è stato possibile combattere. Geniale, ma non hanno fatto i conti con chi si ritrova, grazie a<br />

questo stratagemma, a non avere più un soldo in tasca e a trovarsi <strong>di</strong>soccupato quasi dall’oggi al domani. E<br />

quando uno si trova ad annegare e con l’acqua alla gola, il primo appiglio che trova se lo tiene stretto.<br />

Quell’appiglio per tutto il mondo malavitoso che ha fatto sol<strong>di</strong> con la droga negli ultimi decenni sei tu, il<br />

migliore in circolazione per fare certi lavoretti.<br />

CAPITOLO QUATTORDICESIMO, ROMA 22 DICEMBRE 2002, ORE 18.14<br />

Hai preso l’aereo il lunedì mattina presto e sei partito per Roma. “Le farà piacere – avevi pensato – Ci<br />

riavvicineremo un po’ dopo un periodo così così”. Non sapevi che il piacere si sarebbe trasformato in dolore<br />

in un attimo. Da Fiumicino avevi preso un taxi verso il centro: l’in<strong>di</strong>rizzo l’avevi appuntato la sera prima su<br />

un foglietto, con il sorriso sulle labbra. Arrivato davanti al palazzo dell’appartamento avevi atteso che<br />

qualcuno uscisse dal portone per entrare senza citofonarle. Alla signora le avevi chiesto il piano facendo<br />

finta <strong>di</strong> essere lì per una commissione. Eri stato fortunato perché ti aveva in<strong>di</strong>cato il piano esatto, il settimo.<br />

Salite le scale, ora sei arrivato davanti alla porta dell’appartamento. Guar<strong>di</strong> l’orologio, le 8 in punto.<br />

“Dovrebbe essere in pie<strong>di</strong> da poco, le preparerò la colazione come faccio <strong>di</strong> solito quando è a casa”, ti <strong>di</strong>ci.<br />

Bussi. Nulla. Ribussi. La porta si apre. Gelo. Davanti a c’è un uomo in boxer che ti fissa. Lo riconosci subito.<br />

“Amore, chi è?”, senti alle spalle dell’uomo e coperta solo da un lenzuolo compare lei. Ti ha visto ed è<br />

immobile, muta, incapace <strong>di</strong> <strong>di</strong>re qualsiasi cosa. “Lei chi è?”, ti chiede l’uomo. La tua risposta è una sola, un<br />

<strong>di</strong>retto destro che si schianta contro il suo naso. Senti le ossa frantumarsi, ve<strong>di</strong> il getto <strong>di</strong> sangue uscire dal<br />

suo viso e finire ovunque, compreso sul tuo cappotto. Lo osservi cadere come una pera cotta. Senti, mentre<br />

scen<strong>di</strong> le scale, urlare tua moglie: “Lo hai ucciso!”. Le urla terminano quando le porte dell’ascensore si<br />

chiudono. E’ ancora presto per uccidere.


CAPITOLO QUINDICESIMO, BUENOS AIRES 21 FEBBRAIO, ORE 18.15<br />

Ti considerano il migliore ma francamente non l’hai mai capito e probabilmente non ti interessa nemmeno<br />

capire: l’importante è che paghino ma che soprattutto ti <strong>di</strong>ano stimoli per poter resuscitare una volta ogni<br />

tanto. Ti considerano il migliore perché in 32 missioni non hai mai fallito e sei sempre sparito senza lasciare<br />

tracce e senza permettere che risalissero al tuo committente, sia che questo sia un teppista <strong>di</strong> città, il capo<br />

della Camorra o il presidente degli Stati Uniti. Per te era semplice, il segreto è in due componenti <strong>di</strong>stinte:<br />

un piano in cui considerare tutte le variabili, con un’adeguata preparazione preliminare dello stesso, e la<br />

freddezza. Se per la prima parte non avevi problemi grazie alla preparazione nei corpi speciali e<br />

all’esperienza che ti eri fatto sul campo da quando hai intrapreso questo nuovo “mestiere”, men che meno<br />

ne avevi per la seconda parte perché da quel 2003 sei <strong>di</strong>ventato freddo in un istante.<br />

CAPITOLO SEDICESIMO, MILANO 23 DICEMBRE 2002, ORE 10.14<br />

“Sono <strong>di</strong>sposto a perdonarti, Sali che c’è il pranzo <strong>di</strong> Natale con tutta la famiglia… come non sali? Che<br />

significa che lui ti ha lasciato? Ma cazzo, sono io tuo marito! Cosa significa che vuoi il <strong>di</strong>vorzio? Io non sto<br />

capendo un cazzo, andava tutto bene e improvvisamente sei cambiata… io sono cambiato? Ma come? Chi<br />

ha scopato con un altro, io o tu?...Non <strong>di</strong>scutiamone al telefono, sali , ti prego… come vuoi dei giorni per<br />

pensarci, domani è la vigilia, che cazzo <strong>di</strong>rò ai tuoi?...Andava tutto bene…”. Era la quinta telefonata <strong>di</strong> quel<br />

tenore e dopo quella deci<strong>di</strong> <strong>di</strong> aspettare a parlarle quando la rivedrai a quattr’occhi. “Ha fatto una cazzata,<br />

capirà. E tutto tornerà come prima”, <strong>di</strong>ci a voce alta. Ma nulla tornerà come prima, tutto cambierà.<br />

CAPITOLO DICIASSETTESIMO, BUENOS AIRES 21 FEBBRAIO 2010, ORE 18.21<br />

Ha fatto cinque minuti <strong>di</strong> ritardo. Strano per uno preciso come lui. Se non avesse fatto della precisione la<br />

sua maggiore virtù non sarebbe arrivato fino a questo punto. Sfortuna che tu sia più bravo <strong>di</strong> lui in questo.<br />

“Chissà che piccolo contrattempo avrà avuto, cinque minuti per lui sono due ore per un normale essere<br />

umano”, ti chie<strong>di</strong>. Poco male, si è messo sulla solita sdraio dopo aver tolto le scarpe. Ora darà qualche<br />

boccata <strong>di</strong> sigaro fino a quando gli rimarrà tra l’in<strong>di</strong>ce e il pollice destro una cicca molliccia. Da adesso in poi<br />

qualsiasi momento è buono. Bene, sembra che tu abbia recuperato al 100 per 100 il tuo controllo, chiu<strong>di</strong><br />

l’occhio sinistro e infili il destro nel mirino. Ogni momento è buono per premere il grilletto, mandare al<br />

creatore l’obiettivo e mandare una cospicua somma <strong>di</strong> denaro sul tuo conto corrente. Nel mirino è sparito,<br />

ritrai la testa e riapri l’occhio destro. Lo ve<strong>di</strong> in pie<strong>di</strong> che parla con una donna. Richiu<strong>di</strong> l’occhio destro e<br />

reinfili il sinistro nel mirino che punti in loro <strong>di</strong>rezione. E il sangue ti si gela nelle vene.<br />

CAPITOLO DICIOTTESIMO, MILANO 5 GENNAIO 2003, ORE 18.28<br />

Hai sentito bussare, per fortuna ti eri preso due settimane <strong>di</strong> ferie e saresti rientrato al lavoro solamente il 7<br />

gennaio. I giorni dopo Roma erano stati un inferno, Lei non ti aveva più chiamato ma eri sicuro che tutte le<br />

cose si sarebbero sistemate. Hai aperto la porta. Era Lei.<br />

“Eccoti amore, sei tornata”.


“Sì ma me ne vado”, aveva <strong>di</strong>chiarato entrando in casa, scansandoti, e <strong>di</strong>rigendosi verso la camera da letto.<br />

“Che vuol <strong>di</strong>re che te ne vai?”, avevi detto con un filo <strong>di</strong> voce, inseguendola.<br />

Lei aveva aperto le due ante dell’arma<strong>di</strong>o, preso la valigia rossa buttandola aperta sul letto. Il vostro letto.<br />

“Ma che stai facendo, ora?”, le avevi chiesto mentre la osservavi buttare a casaccio i vestiti invernali nella<br />

valigia.<br />

“Quello che ti ho detto, me ne sto andando - poi aveva alzato gli occhi, incrociando il tuo sguardo - sono<br />

stanca <strong>di</strong> noi e <strong>di</strong> te, pensavo fosse <strong>di</strong>verso. E’ anche colpa mia ma non è funzionato”.<br />

“Ma che cazzo <strong>di</strong>ci - il battito del tuo cuore si era fatto più incalzante - vuoi buttare via tutti questi anni <strong>di</strong><br />

matrimonio per una scappatella?”.<br />

“Assolutamente no, voglio buttarli via, come <strong>di</strong>ci tu, perché non sono più innamorata. L’uomo che hai quasi<br />

ucciso quel giorno non centra nulla, mi ha ad<strong>di</strong>rittura lasciata”, ti aveva risposto urlando e chiudendo la<br />

valigia mezza vuota.<br />

“Ancora con questa storia! Cazzo! Sono io tuo marito! Che cazzo vuol <strong>di</strong>re che ti hai lasciata?”<br />

“Sono innamorata <strong>di</strong> lui”.<br />

Rimani immobile a sentire quella frase che ti rimbalza nel cervello cose fosse una biglia impazzita in un<br />

flipper impazzito. Rimane immobile mentre lei ti passa ad un centimetro per uscire dalla stanza da letto.<br />

“Me ne vado. E’ finita”. Sono le 18.31 del 5 gennaio 2003 tu sei morto.<br />

CAPITOLO DICIANNOVESIMO, BUENOS AIRES 21 FEBBRAIO 2010, ORE 18.29<br />

Il sangue è ghiacciato. “Non è possibile”. Ritrai il viso dal fucile ti rimetti al mirino. La donna in pie<strong>di</strong> e che<br />

parla animatamente con il tuo obiettivo è Lei. Hai ancora qualche dubbio e aumenti lo zoom facendo<br />

entrare l’intero suo viso nel mirino. E’ lei. E’ la tua ex moglie. Il sangue continua a non scorrere nelle vene.<br />

Hai mille pensieri in testa perché è da anni che non la ve<strong>di</strong>, da quando lei ha chiuso la porta del vostro<br />

appartamento in quel lontano 5 gennaio. Sei confuso ma incominci a riprendere luci<strong>di</strong>tà e capisci un paio <strong>di</strong><br />

cose che non ti avevano convinto nel rapporto <strong>di</strong> Carlos. Era accennato qualcosa riguardo la vita sociale<br />

dell’obiettivo: sposato da cinque anni con due figli ma niente <strong>di</strong> più. Il <strong>di</strong> più lo hai scoperto adesso. E’<br />

probabile che Carlos non abbia ritenuto importante darti l’identità della moglie anche perché la sua<br />

presenza non era prevista: infatti non l’avevi notata durante la ricognizione dei giorni precedenti. La<br />

famiglia abitava in una tenuta in campagna nei <strong>di</strong>ntorni <strong>di</strong> Bahia Blanca. Sei sorpreso ma non ne hai motivi.<br />

Dopo quel gennaio non hai più avuto nemmeno la forza <strong>di</strong> cercarla, la sua decisione ti aveva mandato al<br />

tappeto e avevi pensato, violentandoti, che ricercarla, scoprire che faceva, tormentarla non te l’avrebbe più<br />

ridata. Semplicemente avevi lasciato perdere. Avevi lasciato perdere pure a vivere ricominciando a farlo<br />

solamente quando ti muovevi per andare ad uccidere. Pensi che lo shock poteva essere peggiore ma già ti<br />

risenti nuovamente te stesso: il tempo e quello che avevi subìto erano stati una me<strong>di</strong>cina valida. Ora sei<br />

curioso e segui attentamente la scena. Sembra che stiano litigando ma dopo pochi secon<strong>di</strong> a Lei torna il<br />

sorriso e lo stringe in un tenero abbraccio. Ora sono nuovamente l’uno <strong>di</strong> fronte all’altro e lui gli tiene le<br />

mani. Sorri<strong>di</strong> ripensando a quanto ti aveva urlato il giorno in cui avevi spaccato il naso all’amante <strong>di</strong> Roma:


“Lo hai ucciso”. “Pensa che ora te lo uccido veramente il tuo uomo”. Ti senti vivo forse per la prima volta.<br />

Forse per la prima volta sei tornato quello che eri prima che iniziasse il naufragio. Senti la vita nuovamente<br />

e poco importa se il ritorno <strong>di</strong> essa coincida con la morte <strong>di</strong> un altro uomo. Anzi, il fatto che tu debba<br />

uccidere l’uomo in questione contribuisce a pomparti nell’anima quella vita che avevi perso in modo<br />

veemente. Sorri<strong>di</strong> ancora. Ogni momento è buono e ti concentri, sfiorando il grilletto con l’in<strong>di</strong>ce. I due si<br />

trovano a tre metri. “Ora lo vedrai cadere proprio a due passi da te”. C’è anche un senso <strong>di</strong> vendetta in<br />

tutto ciò e ti compiaci che questo senso sia arrivato a chiudere un cerchio lungo 7 anni.<br />

Ora lei sta guardando nella tua <strong>di</strong>rezione e l’espressione è cambiata, da felice a seria. Ora sul suo viso si<br />

legge il terrore. Urla e ti in<strong>di</strong>ca. Sposti velocemente il mirino nella <strong>di</strong>rezione dell’obiettivo. Accade tutto<br />

velocemente. Tum, senti una fitta alla spalla destra, stacchi gli occhi dal mirino e noti che il sangue sta<br />

sgorgando a fiotti, rigiri al capo verso l’obiettivo e noti che dal tetto della casa è spuntato un uomo con un<br />

fucile <strong>di</strong> precisione puntato verso <strong>di</strong> te. Tum, un potente mal <strong>di</strong> testa e <strong>di</strong>venta tutto nero. Sono le 18.31 del<br />

20 febbraio ed è finita. Per sempre.

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