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POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA<br />
MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XXXIX - NUMERO 4 - WWW.CARITASITALIANA.IT<br />
Italia <strong>Caritas</strong><br />
maggio 2006<br />
MIGRANTI, WELFARE, LAVORO: PROMEMORIA PER LA POLITICA<br />
ITALIA OLTRE LE QUOTE<br />
FRIULI TERREMOTO E SOLIDARIETÀ, UNA MEMORIA VIVA<br />
INDONESIA PROVE DI PACE E DIALOGO TRA I DETRITI DELL’ONDA<br />
DEBITO L’AFRICA CHE REAGISCE A UN PESO OPPRIMENTE
sommario ANNO XXXIX NUMERO 4<br />
IN COPERTINA<br />
Giovani italiani e immigrati<br />
al lavoro in un centro<br />
di formazione professionale.<br />
Una gestione dell’immigrazione<br />
più razionale, idee per il welfare:<br />
dopo le elezioni, la politica<br />
è chiamata a scelte cruciali<br />
foto Romano Siciliani<br />
editoriale di Vittorio Nozza<br />
IL SERVIZIO COME SCELTA, NON DIMENTICHIAMO I POVERI 3<br />
parola e parole di Giovanni Nicolini<br />
OFFRIRE SE STESSI, L'ARMA CHE VINCE L'INIMICIZIA 5<br />
verso verona di Salvatore Ferdinandi<br />
LA VITA È “TRADIZIONE”, CONSEGNAMO LA SPERANZA 6<br />
nazionale<br />
SANATORIA MASCHERATA, “QUOTE” DA SUPERARE 8<br />
di Oliviero Forti e Giancarlo Perego<br />
dall’altro mondo di Luca Disciullo 12<br />
WELFARE PER LO SVILUPPO, APPUNTI PER RIPARTIRE 13<br />
di Paolo Pezzana<br />
LEGITTIMA DIFESA, UNA SCELTA PREISTORICA 15<br />
di Giancarlo Perego<br />
database di Walter Nanni 16<br />
FRIULI, QUANDO L’ITALIA SI SCOPRÌ CAPACE D’AIUTO 17<br />
di Pietro Gava<br />
contrappunto di Domenico Rosati 22<br />
panoramacaritas RAPPORTO ANNUALE, LOCRIDE, IRAN 23<br />
progetti AIUTO ALL’EUROPA 24<br />
internazionale<br />
ACEH, PROVE DI DIALOGO TRA I DETRITI DELL'ONDA 26<br />
testo di Alberto Chiara foto di Nino Leto<br />
COME RAYMOND DOPO IL SISMA È DIVENTATO UN “UOMO NUOVO” 30<br />
di Barbara Dettori<br />
PAD E PRADEEP, VITTIME DI UNA GUERRA CHE NON SI ARRESTA 32<br />
di Francesco Paletti<br />
guerre alla finestra di Paolo Beccegato 33<br />
casa comune di Gianni Borsa 34<br />
DEBITO, PESO CHE RESTA. MA IN ZAMBIA ORA SI SPERA 35<br />
di Massimo Pallotino e Stefano Verdecchia<br />
contrappunto di Alberto Bobbio 39<br />
agenda territori 40<br />
villaggio globale 44<br />
ritratto d’autore di Claudia Koll<br />
CERCARE SASSI PER GIULIA CHE AMA SU UNA SEDIA A ROTELLE 47<br />
POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA<br />
MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XXXIX - NUMERO 4 - WWW.CARITASITALIANA.IT<br />
maggio 2006<br />
Italia <strong>Caritas</strong><br />
MIGRANTI, WELFARE, LAVORO: PROMEMORIA PER LA POLITICA<br />
ITALIA OLTRE LE QUOTE<br />
FRIULI TERREMOTO E SOLIDARIETÀ, UNA MEMORIA VIVA<br />
INDONESIA PROVE DI PACE E DIALOGO TRA I DETRITI DELL’ONDA<br />
DEBITO L’AFRICA CHE REAGISCE A UN PESO OPPRIMENTE<br />
Italia <strong>Caritas</strong><br />
Mensile della <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong><br />
Organismo Pastorale della Cei<br />
viale F. Baldelli, 41<br />
00146 Roma<br />
www.caritasitaliana.it<br />
email:<br />
italiacaritas@caritasitaliana.it<br />
direttore<br />
Don Vittorio Nozza<br />
direttore responsabile<br />
Ferruccio Ferrante<br />
coordinatore di redazione<br />
Paolo Brivio<br />
in redazione<br />
Danilo Angelelli, Paolo Beccegato,<br />
Renato Marinaro, Francesco Marsico,<br />
Francesco Meloni, Giancarlo Perego,<br />
Domenico Rosati<br />
progetto grafico e impaginazione<br />
Francesco Camagna (francesco@camagna.it)<br />
Simona Corvaia (simona.corvaia@fastwebnet.it)<br />
stampa<br />
Omnimedia<br />
via Lucrezia Romana, 58 - 00043 Ciampino (Rm)<br />
Tel. 06 7989111 - Fax 06 798911408<br />
sede legale<br />
viale F. Baldelli, 41 - 00146 Roma<br />
tel. 06 541921 (centralino)<br />
06 54192226-7-77 (redazione)<br />
offerte<br />
Paola Bandini (pbandini@caritasitaliana.it)<br />
tel. 06 54192205<br />
inserimenti e modifiche nominativi<br />
richiesta copie arretrate<br />
Marina Olimpieri (molimpieri@caritasitaliana.it)<br />
tel. 06 54192202<br />
spedizione<br />
in abbonamento postale<br />
D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46)<br />
art.1 comma 2 DCB - Roma<br />
Autorizzazione numero 12478<br />
dell’8/2/1969 Tribunale di Roma<br />
Chiuso in redazione il 21/4/2006<br />
AVVISO AI LETTORI<br />
Per ricevere Italia <strong>Caritas</strong> per un anno occorre versare<br />
un contributo alle spese di realizzazione di almeno<br />
15 euro: causale contributo Italia <strong>Caritas</strong>.<br />
La <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>, su autorizzazione della Cei, può<br />
trattenere fino al 5% sulle offerte per coprire i costi di<br />
organizzazione, funzionamento e sensibilizzazione.<br />
Le offerte vanno inoltrate a <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> tramite:<br />
● Versamento su c/c postale n. 347013<br />
● Bonifico una tantum o permanente a:<br />
- Banca Popolare Etica, piazzetta Forzaté 2, Padova<br />
Cin: S - Abi: 05018 - Cab: 12100<br />
conto corrente 11113<br />
Iban: IT23 S050 1812 1000 0000 0011 113<br />
Bic: CCRTIT2T84A<br />
- Banca Intesa, piazzale Gregorio VII, Roma<br />
Cin: D - Abi: 03069 - Cab: 05032<br />
conto corrente 10080707<br />
Iban: IT20 D030 6905 0320 0001 0080 707<br />
Bic: BCITITMM700<br />
● Donazione con Cartasì e Diners,<br />
telefonando a <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> 06 541921<br />
Cartasì anche on line, sul sito<br />
www.caritasitaliana.it (Come contribuire)<br />
5 PER MILLE<br />
Per destinarlo a <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>, firmare il primo<br />
dei quattro riquadri sulla dichiarazione dei redditi<br />
e indicare il codice fiscale 80102590587<br />
editoriale<br />
IL SERVIZIO COME SCELTA,<br />
NON DIMENTICHIAMO I POVERI<br />
Viviamo in un momento di cambiamenti epocali. Secondo<br />
Jim Wolfensohn, ex capo della Banca Mondiale, nel 2040<br />
vi saranno sul nostro pianeta altri due miliardi di abitanti.<br />
E l’80% sarà nato nei paesi in via di sviluppo. La classifica<br />
mondiale delle potenze economiche registrerà colossali cambiamenti:<br />
già nel 2025-30 la Cina potrebbe occupare il primo<br />
posto nella gerarchia delle potenze economiche e India, Brasile<br />
e Russia potrebbero figurare ai primi posti, sottolineando<br />
il ridimensionamento degli Stati Uniti<br />
e quello ancor più profondo di<br />
Giappone e paesi europei. Nello stesso<br />
tempo viviamo in un mondo in cui<br />
le disuguaglianze appaiono sempre<br />
più inaccettabili. Nel 2004 le spese<br />
per armamenti hanno raggiunto i 975<br />
miliardi di dollari, il 2,6% del prodotto<br />
interno lordo mondiale, ossia 162<br />
dollari per abitante della terra. Secondo<br />
la Banca Mondiale 2,7 miliardi di<br />
persone vivono con meno di 2 dollari<br />
al giorno, ma ogni mucca europea riceve<br />
più di due dollari al giorno. Intanto<br />
1,4 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua<br />
potabile e 800 milioni di persone soffrono per malnutrizione<br />
grave. Ma, nello stesso tempo, il mondo non ha mai<br />
posseduto tanta ricchezza. L’inaccettabilità di un simile<br />
mondo sta per raggiungere livelli di pericolo: le attuali correnti<br />
di emigrazione ne sono un segno tangibile.<br />
La grande forza di attrazione che l’Europa ha esercitato<br />
negli ultimi decenni verso molti altri paesi risiede anche<br />
nel fatto che insieme ai principi di pace, giustizia e libertà<br />
l’Unione europea ha sempre indicato la solidarietà con le<br />
aree più deboli del mondo come uno dei valori fondanti<br />
della sua collettività. L’Italia, per molti anni, è stato uno dei<br />
paesi maggiormente impegnati su questo fronte. E proprio<br />
per questo si segnala ora con una certa preoccupazione la<br />
recente inversione di tendenza, che vede il nostro paese<br />
Le disuguaglianze,<br />
a livello planetario,<br />
si fanno sempre più aspre.<br />
E il panorama nazionale<br />
presenta forti contrasti.<br />
Le responsabilità<br />
della politica.E il ruolo<br />
della chiesa, chiamata<br />
ad annunciare<br />
una “civiltà dell’amore”<br />
di Vittorio Nozza<br />
sempre più inadempiente verso gli<br />
obblighi di contribuzione obbligatoria<br />
alle agenzie delle Nazioni Unite<br />
che hanno tra i loro obiettivi lo sviluppo<br />
del Sud del mondo. Ma quello che<br />
preoccupa è soprattutto l’assenza di<br />
un dibattito pubblico sui nostri impegni<br />
per l’aiuto allo sviluppo, che non<br />
corrisponde alla diffusa sensibilità<br />
degli italiani in materia. Oggi siamo,<br />
tra i paesi donatori, all’ultimo posto<br />
con al cifra dello 0,13% del Pil, nonostante<br />
qualche timido tentativo di<br />
correggere la tendenza.<br />
Educare di nuovo alla legalità<br />
In ambito nazionale, diverse sono le<br />
questioni che preoccupano. E che<br />
vanno sottoposti all’attenzione del<br />
nuovo governo e del nuovo parlamento.<br />
Solo alcuni cenni. Solidarietà,<br />
fisco e condoni: come sono vissuti e<br />
gestiti, oggi i doveri inderogabili di<br />
solidarietà di cui parla la Costituzio-<br />
ne? Non è cessato il malcostume del-<br />
l’evasione e dell’elusione fiscale. Chi denuncia tutto viene<br />
escluso, chi denuncia meno del dovuto ottiene benefici<br />
cui non avrebbe diritto. Welfare,cittadinanza e compatibilità:<br />
il metodo da seguire è l’individuazione delle esigenze<br />
basilari delle persone, delle famiglie, delle comunità e,<br />
conseguentemente, la predisposizione delle risorse necessarie<br />
per affrontarle. Devoluzione, federalismo e… bene<br />
comune: il capitolo della finzione devolutiva si inserisce<br />
agevolmente nel quadro già preoccupante della corrosione<br />
della democrazia e denota un’ulteriore difficoltà non<br />
solo per le politiche sociali, ma soprattutto per la politica<br />
tout court, come scienza e arte del bene comune. Di positivo<br />
c’è soltanto il fatto che la maggior parte delle regioni<br />
ha cominciato a operare sulla base dell’unico strumento<br />
disponibile, in materia di politiche sociali, vale a dire la<br />
ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 3
editoriale<br />
legge 328/00. La famiglia: purtroppo viene vista, di volta<br />
in volta, solo come fattore di contrasto del decremento<br />
demografico oppure come fattore di compensazione delle<br />
lacune del welfare.<br />
I soggetti sociali: l’esperienza accumulata consente di<br />
mettere meglio a fuoco il ruolo dei vari soggetti sociali in<br />
rapporto al welfare, distinguendo quelli che hanno vocazione<br />
imprenditoriale (impresa sociale) regolata dal profitto,<br />
anche se non redistribuito, e quelli che hanno vocazione<br />
compassionevole o meglio solidaristica, regolata<br />
dalla logica del dono. In ogni caso va posto in evidenza il<br />
problema dell’indipendenza dei soggetti e delle opere. Le<br />
opere cattoliche potrebbero assumere al riguardo un ruolo<br />
di prima linea.<br />
I comportamenti pubblici negativi: le convenienze della<br />
politica tendono ad ammortizzare gli aspetti etici negativi<br />
dei comportamenti pubblici. La catechesi di Giovanni<br />
Paolo II, basata sul Salmo 100, si è concentrata sulle virtù<br />
dell’onestà, della lealtà, del rigore, del disinteresse personale<br />
come caratteristiche del servizio agli altri. Il mancato<br />
contrasto di comportamenti eticamente riprovevoli si ripercuote<br />
sul popolo come una sorta di lasciapassare: se si<br />
accetta una situazione moralmente riprovevole in alto,<br />
perché censurarla in basso? Va ripresa senza riserva l’educazione<br />
alla legalità.<br />
I riferimenti costituzionali: nella ricerca dell’etica comune<br />
i riferimenti ai principi costituzionali hanno un valore<br />
importante. Si tratta di concetti costruiti sulla base di<br />
un consenso espresso da soggetti diversi, con matrici e<br />
orientamenti difformi. Potersi richiamare a principi condivisi<br />
in materia di famiglia, lavoro, tutele sociali, regole<br />
del buon governo è un vaccino contro le derive degenerative<br />
della democrazia, che fallisce quando si riduce a mera<br />
legge del numero.<br />
Sprerare dentro il quotidiano<br />
Dobbiamo nutrire soprattutto un sogno: che quanto<br />
diciamo in difesa degli ultimi a livello internazionale e<br />
nazionale (ma anche locale e diocesano) risuoni come<br />
condiviso nei nostri territori, non perché diremo parole<br />
meno esigenti, ma in quanto saranno parole familiari,<br />
ascoltate e vissute, che hanno già aperto il cuore e la<br />
mente delle nostre comunità parrocchiali, che le hanno<br />
già liberate dai luoghi comuni, dagli slogan di divisione,<br />
dalle culture di esclusione. L’essere a servizio deve<br />
essere sempre più una scelta consapevole e matura,<br />
non un fardello pesante da portare, una servitù ingrata<br />
a un mondo e a un territorio spesso difficili, a storie e a<br />
volti che faticano a liberarsi dalle schiavitù a cui sono<br />
costretti. L’essere a servizio deve portare a sperare dentro<br />
l’orizzonte, pure difficile, del quotidiano. Non c’è<br />
che da accogliere, tutti, l’invito di Benedetto XVI rivolto<br />
ai cardinali nel Concistoro: «Conto su di voi perché,<br />
grazie all’attenta valorizzazione dei piccoli e dei poveri,<br />
la Chiesa offra al mondo in modo incisivo l’annuncio e<br />
la sfida della civiltà dell’amore».<br />
MONSIGNOR VITTORIO NOZZA<br />
CONFERMATO DIRETTORE DI CARITAS ITALIANA<br />
Il Consiglio episcopale permanente della Cei, nel corso della sessione primaverile svoltasi a Roma dal 20<br />
al 22 marzo, ha proceduto a varie nomine. Tra queste, figura la conferma di monsignor Vittorio Nozza a direttore<br />
della <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> per un altro quinquennio. Nato nel 1948, sacerdote della diocesi di Bergamo,<br />
già cappellano del carcere orobico e direttore della <strong>Caritas</strong> diocesana, monsignor Nozza era stato nominato<br />
direttore di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> nel marzo 2001, dopo aver ricoperto l’incarico di responsabile dell’area Promozione<br />
<strong>Caritas</strong> diocesane e formazione. A monsignor Nozza Italia <strong>Caritas</strong> formula i migliori auguri di buon<br />
lavoro per il nuovo importante mandato pastorale.<br />
OFFRIRE SE STESSI,<br />
L’ARMA CHE VINCE L’INIMICIZIA<br />
Anni fa un importante prelato, rimproverandomi per quello che lui<br />
ritiene un mio eccessivo “pacifismo”, citava il Vangelo secondo<br />
Giovanni e l’immagine del Buon Pastore per ricordarmi che l’assalto<br />
del lupo richiede la difesa delle pecore. Un certo timore reverenziale<br />
per il personaggio non mi consentì di rispondere con prontezza, e<br />
quando volli provarci era già scomparso tra i suoi molti impegni. Avrei<br />
voluto dirgli che il lupo è talmente potente che non è pensabile abbatterlo<br />
con i sistemi della solita violenza. Ne occorre una nuova e ben più<br />
potente: ed è la potenza-potere di<br />
“offrire la vita per le pecore”.<br />
Il vecchio gesto di Caino si rivela<br />
sempre più non solo inadeguato a<br />
risolvere il dramma della storia, ma<br />
addirittura fonte di nuovi mali,<br />
spesso ben più gravi di quelli che si<br />
vorrebbero risolvere. Non molti mesi<br />
fa, guai a protestare per l’inutile<br />
strage della guerra nell’antica terra<br />
tra i due fiumi, la terra della famiglia<br />
di Abramo! Oggi questo non lo si<br />
sente ricordare dai censori di ieri,<br />
tutti infervorati (allora) intorno alla<br />
difesa dei valori dell’occidente e solerti esportatori delle<br />
democrazie occidentali.<br />
La Pasqua è invece l’assunzione della storia da parte<br />
di questo Pastore Buono, che ci regala l’arma più potente,<br />
veramente l’unica, per abbattere il grande Nemico,<br />
che è l’Inimicizia. Noi, i suoi amici, suoi discepoli e fratelli,<br />
dispersi nelle nostre piccole chiese in mezzo ai popoli,<br />
abbiamo il dono e la responsabilità di essere i testimoni<br />
del Pastore. Di Lui si dice che conosce le sue pecore<br />
con la preziosità di una relazione intima e profonda,<br />
paragonabile solo alla conoscenza tra il Figlio e il Padre.<br />
Anche l’agnello più piccolo e ferito Egli conosce per<br />
nome. E lo chiama e lo conduce fuori da ogni prigionia<br />
perchè gli è caro.<br />
Il vecchio gesto<br />
di Caino non risolve<br />
il dramma della storia<br />
e si rivela, anche oggi,<br />
fonte di nuovi mali.<br />
Invece il Buon Pastore,<br />
che si offre per le pecore<br />
di ogni ovile, ci salva.<br />
E comunica<br />
il suo potere<br />
a chi lo accoglie<br />
parola e parole<br />
di Giovanni Nicolini<br />
Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. (Giovanni 10, 11-18)<br />
Prendere le parti di tutti<br />
Questo Pastore delle pecore non lo è<br />
di un solo ovile. Non è un pastore “di<br />
parte”, non si identifica con una nazione<br />
o una cultura. Se mai, è capace<br />
di entrare in tutte le etnìe e in tutte<br />
le culture, di purificarle, e di rinnovarle<br />
per la potenza della sua Parola,<br />
che è Spirito e Vita. La sua signorìa<br />
non è quella fragile, estrinseca,<br />
di un impero mondano. È invece<br />
il potere che gli viene riconosciuto<br />
da chi ascolta la sua voce, ed entra<br />
nella sua sapienza d’amore.<br />
Il Pastore, infatti, non solamente<br />
salva, ma anche comunica il suo<br />
potere a chi lo accoglie. A partire dal<br />
tessuto più ordinario della vita quotidiana,<br />
tutti possiamo esprimere e<br />
affermare la potenza del Pastore.<br />
Non si tratta di sperare in un illusorio<br />
disarmo, ma nell’assunzione<br />
della nuova arma del “dono di sé”.<br />
Dono reciproco, s’intende. E nessuno<br />
può toglierci questa vita nuova<br />
che abbiamo ricevuto da Lui. Siamo noi, e solo noi, che<br />
possiamo offrirla per poi riprenderla di nuovo.<br />
Dice un antico canto cristiano che la morte ha inghiottito<br />
la vita. Ma ha dovuto poi vomitarla, perchè è impossibile<br />
che la morte possa tenere prigioniera la vita. Le<br />
comunità cristiane sono caldamente invitate dal loro Signore<br />
a ritrovare la loro forza pasquale. Davanti alla grande<br />
ferita del mondo non si può essere di parte. E neanche<br />
neutrali. Bisogna prendere le parti di tutti perchè tutti sono<br />
cari al Padre, fino al Sangue del Figlio. E per fare questo<br />
bisogna abbattere il muro di separazione, il muro dell’inimicizia,<br />
da Gerusalemme a Pechino, da casa nostra<br />
alle nostre relazioni più preziose e delicate. Il Vangelo del<br />
Signore e il Signore del Vangelo: questa è l’arma.<br />
4 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 5
LA VITA È “TRADIZIONE”,<br />
CONSEGNIAMO LA SPERANZA<br />
Il termine “tradizione” non gode oggi di buona fama, perché sa di<br />
staticità e conservazione. È accolto positivamente solo se si presenta<br />
al plurale e accompagnato da aggettivi: tradizioni popolari, etniche,<br />
folkloristiche. Ma la tradizione rimanda all’azione del “trasmettere”<br />
(tradere) in riferimento al “patrimonio vitale e culturale della società”. La<br />
riflessione avviata da Cei e <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> in vista del Convegno ecclesiale<br />
di Verona evidenzia che la comunicazione del Vangelo passa attraverso<br />
il dialogo con la cultura e che il credente è invitato a entrare<br />
nel dibattito con creatività e originalità,<br />
sia per contribuire al costi- Nell’epoca attuale<br />
tuirsi di una tradizione di verità, sia<br />
non è facile realizzare<br />
per far presente la propria tradizio-<br />
la trasmissione della fede.<br />
ne religiosa, salvaguardando la sana<br />
laicità dello stato.<br />
Tempo, persone, racconto:<br />
Il mutamento epocale e l’appiatti- le dimensioni<br />
mento sul presente, tratti tipici della della tradizione vanno<br />
nostra cultura, sono una delle cause percorse dalla Chiesa,<br />
della difficoltà di trasmettere la fede per aiutare l’uomo<br />
sia tra generazioni diverse, sia all’in- a scoprire la sua<br />
terno della stessa generazione. Eppure “vocazione integrale”<br />
è innegabile che la vita stessa è “tradizione”;<br />
e il primo bene che viene consegnato<br />
da una generazione all’altra è proprio la vita. Allora,<br />
come attivare percorsi capaci di recuperare passato e futuro?<br />
Come aiutare famiglie, parrocchie, scuola, i luoghi<br />
classici della trasmissione, a esercitare il loro compito?<br />
Anzitutto la tradizione è legame rispetto al tempo.<br />
La visione cristiana della storia emerge proprio in questa<br />
tensione tra la memoria dell’opera redentiva compiuta<br />
da Gesù Cristo, l’esperienza di questa nel presente<br />
e l’attesa del suo compimento.<br />
Ma la tradizione è anche legame rispetto alle persone,<br />
si attua sempre in un rapporto interpersonale, tra un soggetto<br />
che “consegna” e uno che “riceve”. Di conseguenza è<br />
un legame rispetto alla collettività, in quanto diventa patrimonio<br />
prezioso per ogni gruppo sociale, conferisce senso<br />
di appartenenza e identità collettiva. È legame e crea lega-<br />
6 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />
verso verona<br />
di Salvatore Ferdinandi<br />
mi. E spinge la collettività verso una<br />
convivialità delle diversità, terreno di<br />
dialogo tra le culture, unica alternativa<br />
al conflitto.<br />
Infine, la tradizione è tale in quanto<br />
è narrata e il racconto rappresenta<br />
lo strumento privilegiato per la comprensione<br />
del reale e la comunicazione<br />
dell’identità individuale e collettiva.<br />
Questo è vero soprattutto per il<br />
narratore cristiano, portatore della<br />
“buona notizia”, in grado di rispondere<br />
alle esigenze di fondo che muovono<br />
il cuore umano, avendo non solo<br />
maggior consapevolezza del dono ricevuto,<br />
ma anche maggior fiducia nella<br />
proposta cristiana e nell’uomo chiamato<br />
alla speranza e alla salvezza in<br />
Gesù Cristo.<br />
La memoria della dignità<br />
Riguardo al compito educativo, la<br />
Chiesa è chiamata ad aiutare l’uomo<br />
a scoprire e a realizzare dentro<br />
la storia la sua dignità e la sua voca-<br />
zione integrale. Questo è lo spazio proprio della chiesa<br />
per “contribuire al costituirsi di una tradizione di verità”<br />
di cui parla la Traccia Cei verso Verona, evitando che la<br />
cultura si appiattisca sulla dimensione oggettivo-descrittiva,<br />
riducendosi a formalità esteriore.<br />
Occorre essere consapevoli dell’“immenso patrimonio<br />
della nostra tradizione culturale, impregnato di valori cristiani”<br />
(n. 27 della Nota pastorale dopo Palermo) per attuare<br />
validamente l’esercizio del trasmettere e per rispondere<br />
alla vocazione educativa, illuminati e sorretti dalla speranza.<br />
Per favorire e stimolare questa consapevolezza, è però<br />
necessario recuperare la memoria della nostra dignità. Solo<br />
la consapevolezza gioiosa della rigenerazione nel mistero<br />
pasquale per mezzo dello Spirito ci rende capaci di trasmettere<br />
ciò che abbiamo ricevuto.<br />
Italia <strong>Caritas</strong> + Valori<br />
È un mensile di economia sociale e finanza etica promosso da Banca Etica.<br />
Propone ogni mese “Osservatorio nuove povertà”, in collaborazione con <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>.<br />
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valori<br />
Mensile di economia sociale e finanza etica<br />
SHOBHA / CONTRASTO<br />
Fotoreportage > Mafia<br />
Leggo doppio<br />
Leggo solidale<br />
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Italia <strong>Caritas</strong><br />
maggio 2006<br />
MIGRANTI, WELFARE, LAVORO: PROMEMORIA PER LA POLITICA<br />
ITALIA OLTRE LE QUOTE<br />
FRIULI TERREMOTO E SOLIDARIETÀ, UNA MEMORIA VIVA<br />
INDONESIA PROVE DI PACE E DIALOGO TRA I DETRITI DELL’ONDA<br />
DEBITO L’AFRICA CHE REAGISCE A UN PESO OPPRIMENTE<br />
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FRIULI TERREMOTO E SOLIDARIETÀ, UNA MEMORIA VIVA<br />
INDONESIA PROVE DI PACE E DIALOGO TRA I DETRITI DELL’ONDA<br />
DEBITO L’AFRICA CHE REAGISCE A UN PESO OPPRIMENTE<br />
+<br />
+<br />
Anno 6 numero 39.<br />
Maggio 2006.<br />
€ 3,50<br />
osservatorio<br />
nuove<br />
povertà<br />
La risposta della città d’arte<br />
e cultura alla scarsità di alloggi<br />
e ai bassi redditi: Pisa<br />
apre le porte delle istituzioni<br />
ai migranti e alla solidarietà<br />
Dossier > Oltre le intimidazioni la lotta contro la ‘ndrangheta è continua<br />
L’ora del riscatto<br />
Fair Trade > Raddoppiano le vendite di prodotti equo solidali in Europa<br />
Messico > Il muro statunitense di mattoni e norme contro tutti i migranti<br />
Pedavena > La storica birra batte la globalizzazione e torna in attività<br />
Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.P.<br />
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nazionale<br />
SANATORIA MASCHERATA,<br />
“QUOTE” DA SUPERARE<br />
di Giancarlo Perego e Oliviero Forti<br />
La corsa all’accaparramento di quote, in occasione del recente decreto sui flussi di ingresso<br />
nel nostro paese, ha proposto ancora una volta la questione dell’efficacia di<br />
un sistema che non sembra riuscire a soddisfare né i lavoratori (o aspiranti tali) stranieri,<br />
né i datori di lavoro italiani. Lo scorso 14 marzo alle Poste italiane sono state<br />
presentate circa mezzo milione di domande, a fronte di una disponibilità di 170 mila<br />
posti fissata dal governo uscente. Tutto ciò, senza considerare che i kit ritirati per<br />
la compilazione delle domande sono stati oltre un milione. Il fatto che non si siano verificati<br />
particolari problemi in sede di presentazione delle domande non toglie dall’imbarazzo chi ancora<br />
oggi cerca di capire come mai a presentare la domanda ci fossero soprattutto quegli stessi<br />
lavoratori che, per la legge, in quel momento dovevano trovarsi nel proprio paese, e non invece<br />
i loro potenziali datori di lavoro.<br />
A questo punto si impone una riflessione circa la validità<br />
di un modello che ha mostrato tutta la sua debolezza<br />
e la sua ipocrisia, costringendo le parti interessate, ministero<br />
dell’interno compreso, a muoversi in una zona<br />
grigia, nella quale la legalità troppo spesso contrasta con<br />
la realtà delle cose. Insomma, da un lato c’è una norma<br />
sull’immigrazione che afferma con chiarezza la necessità,<br />
per il datore di lavoro che intenda assumere un immigrato<br />
residente all’estero, di affrontare la complessa<br />
procedura dei flussi attraverso la presentazione di una<br />
domanda alle Poste. Dall’altro ci troviamo di fronte a file<br />
formate al 90% da lavoratori già impiegati irregolarmente<br />
e che presentano al posto del proprio datore di lavoro<br />
la domanda della loro assunzione.<br />
Rigidità e mancato ascolto<br />
Non è allora scorretto parlare di una sanatoria mascherata<br />
né, al contempo, si dovrebbe essere troppo severi con il<br />
ministro della giustizia del governo Berlusconi, Roberto<br />
Castelli, quando se l’è presa provocatoriamente con il collega<br />
dell’interno, Giuseppe Pisanu, per non aver intercettato<br />
davanti agli uffici postali coloro che per legge non sono<br />
altro che irregolari o addirittura clandestini, quindi<br />
soggetti da espellere.<br />
Purtroppo il torto questa volta non è né di chi chiede<br />
rigidamente l’applicazione della legge né di chi cerca di<br />
interpretarla in modo estensivo, ma piuttosto di un siste-<br />
8 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />
MODELLO<br />
IPOCRITA<br />
L’attuale sistema<br />
delle quote<br />
richiederebbe<br />
ai lavoratori<br />
stranieri<br />
di avanzare<br />
domanda<br />
dall’estero.<br />
Ma loro sono<br />
già in Italia...<br />
L’ingresso di lavoratori stranieri<br />
in Italia non può essere affrontato<br />
con le norme attuali.La chiusura<br />
non premia: tre consigli<br />
per il nuovo governo. E un monito:<br />
le politiche del lavoro e per<br />
l’integrazione non vanno separate<br />
ma normativo che appare inadeguato a gestire un fenomeno<br />
complesso quale l’ingresso e l’inserimento di cittadini<br />
stranieri nel mercato del lavoro. Da diverso tempo<br />
<strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> ribadisce i numerosi elementi critici e di<br />
rigidità di questa normativa, ma i tavoli di confronto a livello<br />
istituzionale in questi anni sono stati pochi. E soprattutto<br />
è venuta meno nel tempo la volontà di ascoltare<br />
sistematicamente gli organismi del mondo della società<br />
civile, che a vario titolo lavorano in questo ambito. Di questi<br />
elementi critici dovrà tenere conto il nuovo governo,<br />
uscito dalle urne del 10 aprile.<br />
La gestione dei flussi è ormai, d’altro canto, una questione<br />
europea. Lo ribadiscono recenti prese di posizione,<br />
come quella del ministero degli interni olandese e soprattutto<br />
quella del ministro dell’interno tedesco, Wolfgang<br />
Schauble, che ha parlato con preoccupazione dell’elevato<br />
ROMANO SICILIANI<br />
Trieste: «Difficoltà per tutti, esiste un mercato nero dei kit»<br />
Tullio Burzachechi, operatore dello sportello<br />
di consulenza legale per gli immigrati della <strong>Caritas</strong><br />
diocesana di Trieste, denuncia che non solo<br />
gli immigrati, ma anche i datori di lavoro italiani<br />
hanno incontrato problemi nella compilazione<br />
dei kit di marzo per l’ottenimento del permesso<br />
di soggiorno. Il servizio in cui opera è promosso<br />
dal 1991, cioè da quando ha aperto i battenti,<br />
dalla <strong>Caritas</strong> e dalle Acli provinciali, in convenzione<br />
con il comune di Trieste.<br />
Chi si rivolge al vostro sportello?<br />
Il servizio è molto conosciuto in città, la tipologia<br />
di chi chiede informazioni è molto varia, dagli studenti<br />
universitari stranieri ai soggetti che richiedono asilo<br />
politico. In occasione del decreto sui flussi, a marzo,<br />
ci hanno chiesto aiuto anche molti anziani interessati<br />
a mettere in regola i lavoratori domestici.<br />
Quante persone sono venute da voi?<br />
Abbiamo offerto 560 consulenze per la compilazione<br />
dei kit, non poche ai datori di lavoro. Per scelta<br />
sosteniamo in modo particolare i lavoratori domestici,<br />
migranti<br />
per quanto riguarda il lavoro subordinato è giusto<br />
siano direttamente le aziende ad occuparsi delle<br />
pratiche. Abbiamo compilato 100 kit, li abbiamo<br />
avuti direttamente dalle poste e sono stati rilasciati<br />
alle persone solo una volta inseriti i dati. Valutiamo<br />
caso per caso l’opportunità di accompagnare<br />
le persone presso i servizi sociali e demografici,<br />
generalmente abbiamo un’attenzione particolare<br />
per le persone arrivate da poco nel nostro paese.<br />
Purtroppo esiste un mercato nero dei kit, in certi<br />
momenti sembravano introvabili, esistono i “bagarini”<br />
in questo settore...<br />
Come sono i vostri rapporti con il comune,<br />
la questura e la prefettura?<br />
Con la questura e la prefettura abbiamo buonissime<br />
relazioni. Siamo ascoltati, si fidano della nostra<br />
esperienza, lavoriamo molto insieme. Con il comune<br />
abbiamo minori occasioni di contatto. Pur rinnovando<br />
la convenzione, negli ultimi anni la giunta<br />
di centrodestra ha tagliato i fondi destinati<br />
al nostro servizio. [Pietro Gava]<br />
ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 9
nazionale<br />
MANODOPERA A PREZZI STRACCIATI<br />
Stranieri in un’azienda agricola. Gli stagionali ammessi per il 2006<br />
sono 50mila, ma il ricorso al lavoro nero resta elevato<br />
numero di lavoratori immigrati presenti nel suo paese. La<br />
Germania, d’altronde, ha approvato una legge che limita<br />
fortemente l’ingresso dei lavoratori altamente qualificati,<br />
rendendo più complicato presentare una domanda di regolarizzazione<br />
e facilitando le espulsioni.<br />
Si tratta di un diffuso atteggiamento di chiusura, che<br />
però non premierà né nel breve né nel lungo periodo. L’e-<br />
La corsa al posto in Italia quest’anno ha avuto per<br />
teatro gli uffici postali. A metà marzo quasi mezzo<br />
milione di persone hanno avanzato domanda per<br />
ottenere (o vedere riconosciuto) un posto di lavoro in<br />
Italia. Gli sportelli postali sono stati destinati ad<br />
accogliere le buste di assicurata postale, con all’interno<br />
la documentazione per la richiesta dei lavoratori, ai<br />
sensi del decreto che ha fissato le quote di ingresso in<br />
Italia per il 2006. Il decreto sui flussi pubblicato sulla<br />
Gazzetta Ufficiale del 7 marzo ha previsto un tetto<br />
massimo di 170 mila assunzioni di lavoratori<br />
extracomunitari, ripartite come nella tabella sopra.<br />
Poste Italiane ha distribuito un milione e mezzo di kit<br />
per la presentazione dei moduli di richiesta. Le<br />
domande avanzate sono state circa 470 mila.<br />
10 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />
QUOTE INGRESSI 2006<br />
sperienza italiana, in questo senso, è emblematica.<br />
L’approvazione della legge Bossi-Fini,<br />
nel 2002, attraverso la quale è stato riletto<br />
in maniera restrittiva il testo unico sull’immigrazione<br />
del 1998, non sembra aver risolto<br />
il problema dell’irregolarità, stimata in<br />
Italia in oltre 500 mila persone; davanti agli<br />
uffici postali si sono in effetti presentate, due<br />
mesi fa, circa 470 mila persone che risiedevano<br />
irregolarmente in Italia. Restringere i<br />
canali di ingresso regolare, in altre parole,<br />
non produce altro effetto che l’aumento dell’irregolarità.<br />
Funziona come un efficacissimo<br />
sistema di vasi comunicanti: se si riduce<br />
il flusso da una parte, aumenta dall’altra.<br />
Recupero periodico<br />
A fronte di una seria e reale difficoltà di gestione<br />
dei flussi di lavoratori migranti sono<br />
opportuni, dunque, nuovi approcci in termini<br />
di politica migratoria. Essi devono<br />
sempre tenere in considerazione la percentuale<br />
fisiologica di irregolarità che connota ogni sistema,<br />
anche se in possesso di un’ottima legge sull’immigrazione.<br />
Gli obiettivi da proporre alla nuova stagione<br />
politica sono quindi molteplici.<br />
Anzitutto, occorre ridurre sensibilmente le occasioni<br />
di irregolarità, cominciando a riformare il mercato del lavoro<br />
nazionale attraverso incentivi ai datori di lavoro che<br />
Decreto flussi, corsa alle poste: le richieste sono il triplo delle quote<br />
ROMANO SICILIANI<br />
Lavoratori non stagionali<br />
(quote riservate ai cittadini di paesi<br />
sottoscrittori di accordi di cooperazione) 38.000<br />
Lavoratori dall’America Latina<br />
di origine italiana 500<br />
Lavoratori non stagionali 78.500<br />
Lavoratori autonomi 3.000<br />
Lavoratori stagionali 50.000<br />
TOTALE QUOTE DISPONIBILI 170.000<br />
TOTALE DOMANDE AVANZATE 470.000<br />
Formia: «Era forte il timore<br />
di sbagliare le domande…»<br />
Suor Cleofe Falletta assiste le persone immigrate<br />
al centro d’ascolto San Vincenzo Pallotti a Formia,<br />
in provincia di Latina, nella diocesi di Gaeta.<br />
Oltre ad ascoltare i bisogni, la struttura della <strong>Caritas</strong><br />
diocesana offre un servizio mensa, a pranzo, da lunedì<br />
a sabato, la possibilità di lavarsi due volte a settimana,<br />
distribuisce vestiti e offre informazioni sui servizi sociali<br />
e sanitari. Dopo l’uscita del decreto sui flussi, il centro<br />
d’ascolto si è attivato per promuovere una rete<br />
di volontari in grado di offrire la propria professionalità<br />
per la compilazione dei kit.<br />
Ci sono state difficoltà nel trovare volontari?<br />
Abbiamo buoni contatti. In particolare, un commercialista<br />
ci ha aiutato tantissimo. Compilare i kit non era affatto<br />
semplice. Il timore di fare sbagli e compromettere<br />
l’esito delle domande era alto, così abbiamo deciso<br />
di mettere in contatto le persone immigrate con lo studio<br />
del commercialista.<br />
Come avete avuto i kit?<br />
Abbiamo potuto contare su 40 kit resi disponibili<br />
dalla prefettura di Latina, li ha ritirati il responsabile<br />
del centro d’ascolto.<br />
Sono venuti da voi anche i datori di lavoro?<br />
Sì, abbiamo cercato di dare informazioni utili a tutti,<br />
naturalmente anche dopo aver finito i kit. [Pietro Gava]<br />
optano per le vie della legalità e colpendo chi, nonostante<br />
ciò, si ostina a considerare il lavoratore una semplice merce<br />
da sfruttare a basso costo.<br />
In secondo luogo, bisogna superare il sistema delle<br />
quote, permettendo, ogni volta che si presenti l’opportunità,<br />
l’assunzione di lavoratori extracomunitari dietro precise<br />
garanzie, tramite domanda da rivolgere agli Sportelli<br />
unici per l’immigrazione. In questo modo si potrebbe recuperare<br />
la posizione di tutti i cittadini che risiedono irregolarmente,<br />
ma che nel frattempo sono venuti in contatto<br />
con un datore di lavoro che si è dimostrato disponibile ad<br />
assumerlo (recupero periodico della irregolarità fisiologica);<br />
in sostanza, si legalizzerebbe una prassi ormai consolidata.<br />
E d’altro canto si potrebbe rispondere efficacemente<br />
alle esigenze di imprenditori e famiglie nel corso dell’anno<br />
e nelle diverse stagioni; costoro, a fronte di una domanda<br />
di assunzione, vedrebbero soddisfatta la propria<br />
richiesta senza dove sopportare il calvario oggi previsto<br />
migranti<br />
Crotone: «L’informazione è vitale<br />
per indirizzare gli stranieri»<br />
Francesco Vizza, 36 anni, responsabile dell’area immigrati<br />
della <strong>Caritas</strong> diocesana di Crotone, racconta il servizio<br />
offerto dallo sportello di orientamento e assistenza<br />
alle persone immigrate, che serve tutte le 84 parrocchie<br />
presenti nel territorio diocesano.<br />
Dopo la pubblicazione del decreto sui flussi quanti<br />
lavoratori avete accolto?<br />
Abbiamo aiutato 400 persone, grazie anche alla collaborazione<br />
di un commercialista. In particolare, per quanto riguarda<br />
la compilazione dei moduli di colf e badanti siamo riusciti<br />
a sostenere 100 richieste direttamente allo sportello.<br />
Come accompagnate i percorsi di regolarizzazione?<br />
Valutiamo caso per caso. Alcune volte ci rechiamo<br />
con loro agli uffici competenti per le pratiche, altre<br />
volte è sufficiente una nostra lettera di presentazione.<br />
Cerchiamo di curare i rapporti con le istituzioni<br />
e facilitiamo le relazioni degli immigrati con esse.<br />
Cosa comporta l’organizzazione di un servizio dedicato<br />
alla compilazione dei moduli?<br />
Un’informazione puntuale è vitale. Ci siamo aggiornati<br />
in modo costante sui modelli da riempire, internet è stata<br />
una risorsa fondamentale. È stata preziosa la collaborazione<br />
con la <strong>Caritas</strong> diocesana di Roma, abbiamo ricevuto notizie<br />
utilissime e 200 kit. Li abbiamo potuti distribuire<br />
gratuitamente. [Pietro Gava]<br />
dalla normativa. Inoltre un sistema così flessibile sarebbe<br />
molto meno oneroso per la pubblica amministrazione.<br />
Infine, questo impianto andrebbe rafforzato attraverso<br />
la previsione di un permesso di soggiorno per ricerca<br />
di lavoro valido da sei mesi a un anno, che consentirebbe<br />
di far incontrare regolarmente domanda e offerta di lavoro<br />
innescando un circuito virtuoso che, pur non debellando<br />
completamente il fenomeno della irregolarità, lo<br />
conterrebbe molto.<br />
Per governare l’immigrazione, comunque, la politica<br />
del lavoro e della sicurezza non va mai disgiunta da<br />
serie politiche di integrazione, che manifestino attenzione<br />
ai ricongiungimenti familiari, alla casa, al dialogo<br />
culturale e religioso, alla scuola. Una politica inadeguata<br />
sul fronte del lavoro, ma anche distante dai problemi<br />
di chi lascia il proprio paese per costruirsi una vita migliore,<br />
genera solo disagio ed esclusione sociale, contrapposizioni<br />
e conflitti.<br />
ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 11
nazionale<br />
LA FATICA DI INTEGRARE,<br />
ITALIA A VELOCITÀ VARIABILI<br />
di Luca Disciullo<br />
degli immigrati nella nostra società è una dinamica<br />
complessa, solo in parte misurabile attraverso le statisti-<br />
L’integrazione<br />
che. Perché i numeri esprimano il potenziale di integrazione<br />
di cui ogni regione e provincia italiana è capace, bisogna che siano<br />
utilizzati in maniera corretta. Ma il fenomeno è sempre più marcato:<br />
lo testimoniano, ad esempio, il numero in costante aumento degli<br />
stranieri, le famiglie che si ricompongono, i minori che vanno a scuola,<br />
l’acquisto delle case. Il 22 marzo è stato presentato il quarto Rapporto<br />
sugli indici di integrazione degli immigrati in Italia, che il Cnel<br />
(organismo nazionale di coordinamento<br />
delle politiche di integrazione<br />
sociale dei cittadini stranieri) ha<br />
nuovamente commissionato all’équipe<br />
del Dossier statistico immigrazione<br />
<strong>Caritas</strong> - Migrantes. Tre sono<br />
gli indici considerati dal rapporto<br />
(capacità di attrarre e trattenere<br />
sul territorio la popolazione straniera;<br />
grado di radicamento stabile e di<br />
inserimento sociale; livello e qualità<br />
dell’inserimento lavorativo) e ventuno<br />
gli indicatori che li compongono:<br />
il confronto tra territori che ne è<br />
scaturito non aveva l’intento di assegnare la pagella a<br />
regioni e province, ma intendeva acquisire informazioni<br />
utili dalle situazioni locali, cercando di capire perché<br />
alcuni territori vengano a trovarsi prima o dopo di altri.<br />
E puntava, senza far torto ad alcun contesto territoriale<br />
e tanto meno ai rispettivi amministratori locali, a favorire<br />
una riflessione attraverso un’analisi comparativa.<br />
L’anno più recente a cui il Rapporto si è riferito è il<br />
2003, quando gli immigrati regolari erano circa<br />
2.600.000 (oggi sono più di 3 milioni). È innegabile il<br />
differente potenziale di integrazione tra le diverse aree<br />
territoriali: al primo posto troviamo il nord, in particolare<br />
il nord-est; segue il centro, quindi il meridione. In<br />
ciascuna area, ovviamente, alcune realtà territoriale<br />
sono meglio caratterizzate dalle altre. Questa stratifi-<br />
12 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />
L’integrazione<br />
degli immigrati<br />
è una dinamica sempre<br />
più marcata, anche<br />
se difficile da valutare<br />
con oggettività.<br />
Un rapporto analizza<br />
la capacità<br />
di integrazione<br />
di province e regioni:<br />
emergono forti disparità<br />
dall’altro mondo<br />
cazione si basa sulla diversa capacità<br />
di richiamo dell’immigrazione<br />
da parte dei singoli territori e sulle<br />
diverse potenzialità economiche e<br />
sociali. Le differenze che caratterizzano<br />
il paese (specialmente il<br />
Mezzogiorno) anche in altri ambiti<br />
ritornano anche nel Rapporto; si<br />
accredita, così, l’obiettivo di condurre<br />
politiche nazionali e locali<br />
atte a favorire un più omogeneo tenore<br />
di vita per tutti.<br />
Dal Veneto alla Campania<br />
Spesso le distanze riscontrate sono<br />
rilevanti: tra la regione a più alto potenziale<br />
d’integrazione (Veneto con<br />
1.543 punti) e l’ultima (Campania<br />
con 464) la differenza è di circa<br />
1.000 punti; tra le province il punteggio<br />
va dai 1.356 punti di Treviso<br />
ai 531 di Napoli. Il Rapporto cerca di<br />
spiegare questi divari e incentiva i<br />
decisori pubblici a meglio individuare<br />
cosa fare nel futuro o per<br />
mantenere buoni standard o per raggiungerli.<br />
In generale gli eventi – anche drammatici – di questa<br />
fase storica, l’aumento significativo degli immigrati e la<br />
molteplicità delle nazionalità presenti (portatrici di differenze<br />
etniche, culturali e religiose) impongono che si<br />
arrivi a un modello di integrazione né lesivo dei principi<br />
che reggono la nostra società, né spregiativo delle differenze<br />
degli immigrati, che possono essere armonizzate<br />
in maniera costruttiva. È il grande compito che ci attende<br />
e dal quale dipende se la nostra società riuscirà a<br />
essere coesa e prospera. Il quarto Rapporto sull’integrazione<br />
è un sussidio conoscitivo che spinge in questa direzione,<br />
senza ripetere gli errori del passato, valorizzando<br />
quando di valido è emerso e mantenendo l’apertura<br />
a quanto di positivo si può ancora fare.<br />
nazionale<br />
Il compimento di scelte e l’assegnazione di priorità sono tra i compiti principali della politica<br />
e ne costituiscono una fondamentale responsabilità. Passata la virulenta campagna<br />
elettorale ed esercitata la scelta fondamentale dei cittadini, ora tocca al parlamento e al governo<br />
eletti fare la propria parte. Il quadro socio-economico del paese è sconfortante e va<br />
affrontato con rigore e coerenza. Se, come tutti ritengono necessario, crescita e sviluppo<br />
devono essere le determinanti dell’azione del nuovo governo, è fondamentale che le scelte<br />
esplicitino da subito il modello di sviluppo che intendono adottare.<br />
<strong>Caritas</strong> ritiene, sapendo di non essere la sola, che non possa esserci vero sviluppo senza inclusione<br />
e coesione sociale, dunque senza giustizia e solidarietà. Qualunque crescita, anche quella del<br />
Pil, va accompagnata e sostenuta con politiche sociali reali ed efficaci, che attivino la comunità, ri-<br />
fiutino l’assistenzialismo, contrastino la<br />
povertà, governino gli squilibri del mercato<br />
del lavoro e del rapporto tra domanda<br />
e offerta di servizi. Tutto questo non è<br />
impossibile, ma occorre che l’agenda politica<br />
assuma, coraggiosamente e definitivamente,<br />
il welfare come fattore di sviluppo<br />
e non come costo.<br />
Politiche tout court<br />
In campagna elettorale abbiamo ascoltato su questo punto<br />
le affermazioni più disparate. Ora è tempo di fatti. I<br />
campi di azione non mancano, ma alcuni sono essenziali<br />
e più urgenti di altri: lotta alla povertà; promozione del<br />
mezzogiorno; garanzia dei livelli essenziali dei servizi e<br />
delle prestazioni sociali in tutto il territorio nazionale; tutela<br />
della non autosufficienza; integrazione degli immigrati;<br />
accesso all’abitazione. Si tratta quasi sempre di aree di<br />
bisogno che sollecitano risposte multidimensionali, complesse<br />
e integrate. E non richiedono soltanto politiche sociali,<br />
bensì politiche tout court, al tempo stesso economiche,<br />
sociali, sanitarie, previdenziali, fiscali e del lavoro, capaci<br />
di mobilitare tutti gli attori sociali, non solo quelli<br />
operanti nell’ambito della solidarietà. Per ciascuna di queste<br />
aree esistono interventi possibili, da costruire con il<br />
concorso responsabile delle parti sociali, magari adottando<br />
criteri di applicazione graduale ma in una logica di effettività<br />
nel lungo periodo, non di mera sperimentazione.<br />
Alcuni di questi interventi non possono più essere ri-<br />
politiche sociali<br />
WELFARE PER LO SVILUPPO<br />
APPUNTI PER RIPARTIRE<br />
di Paolo Pezzana<br />
LO SVILUPPO<br />
DEVE INCLUDERE<br />
Volontaria<br />
di una ronda<br />
con una homeless.<br />
Tra le scelte<br />
prioritarie<br />
per parlamento<br />
e governo,<br />
figura la lotta<br />
alla povertà<br />
Inclusione e coesione sociale non possono essere<br />
trascurate dall’agenda politica. Lotta alla povertà,<br />
mezzogiorno, livelli essenziali dei servizi,<br />
non autosufficienza: ecco le priorità<br />
che interpellano il nuovo parlamento e governo<br />
ROMANO SICILIANI
nazionale<br />
Povera una famiglia su cinque, Fondo politiche sociali dimezzato<br />
Alcune cifre, indizi di una situazione socio-economica<br />
che il nuovo parlamento e il nuovo governo dovranno<br />
incaricarsi di correggere.<br />
■ Il tasso di povertà relativa è rimasto sostanzialmente<br />
stabile (dati Istat), ma negli ultimi tre anni (2002-2004)<br />
le famiglie in condizioni di povertà sono cresciute di 220<br />
mila unità; gli individui di circa 450 mila unità. Sono il 20%<br />
(una su cinque) le famiglie sicuramente, appena o quasi<br />
povere. Nessun dato è invece disponibile circa le povertà<br />
estreme, ma l’esperienza di chi lavora in questo settore<br />
dimostra che sono in forte aumento.<br />
■ Occupazione: pur essendo generalmente cresciuta<br />
nell’ultimo quinquennio, è stata caratterizzata da un’ampia<br />
diffusione di forme di precariato dovute alla flessibilità;<br />
mandati. Nel campo della lotta alla povertà è indifferibile<br />
l’adozione di una misura universale di sostegno al reddito,<br />
riprendendo e migliorando la sperimentazione del reddito<br />
minimo di inserimento, mai adeguatamente valutata.<br />
Quanto al mezzogiorno, occorre investire subito nei servizi<br />
pubblici essenziali, lasciando perdere sprechi di risorse<br />
legati a infrastrutture di dubbia utilità e definendo piuttosto<br />
un’accurata programmazione delle risorse aggiuntive<br />
che i fondi strutturali europei per la politica regionale ancora<br />
destineranno al sud Italia nel periodo 2007-2013. Per<br />
quanto riguarda i livelli essenziali delle prestazioni e dei<br />
servizi sociali, non è più tollerabile che l’articolo 117 della<br />
Costituzione resti lettera morta: va in primo luogo rifinanziato<br />
e potenziato il fondo nazionale per le politiche sociali,<br />
dimezzato dal precedente governo, in modo che regioni<br />
ed enti locali siano stimolati a fare la propria parte; va inoltre<br />
abbandonata la politica inefficace dei bonus diretti in<br />
denaro ai cittadini, che lasciano sole le famiglie a procurarsi<br />
sul mercato servizi spesso inesistenti o inaccessibili;<br />
va infine approntato un rigoroso piano di definizione e attivazione<br />
progressiva dei livelli essenziali delle prestazioni<br />
in tutto il territorio nazionale, a partire dal diritto a un reddito<br />
minimo, dal segretariato sociale, dal diritto a un’accoglienza<br />
di prima necessità in caso di perdita della dimora.<br />
Anche la tutela della non autosufficienza di anziani e portatori<br />
di handicap, emergenza per molte famiglie, va assunta<br />
come priorità, istituendo un fondo per la non autosufficienza<br />
in collaborazione con le regioni e riconoscendo<br />
il lavoro domestico di cura prestato dai famigliari.<br />
14 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />
politiche sociali<br />
inoltre nel 2005 è tornata a scendere dopo molti anni<br />
(meno 102 mila posti di lavoro rispetto al 2004).<br />
■ Il Fondo nazionale per le politiche sociali è stato<br />
tagliato di oltre il 50% negli ultimi due anni: da oltre<br />
un miliardo a 518 milioni di euro.<br />
■ I finanziamenti statali per la sanità sono diminuiti<br />
di 5 miliardi di euro: le spese sanitarie a carico<br />
delle famiglie sono cresciute di 1,35 miliardi e il costo<br />
dei medicinali è salito del 29%.<br />
■ Immigrazione: secondo la Corte dei Conti, nel 2005<br />
sono state impiegati 115 milioni di euro nell’attività<br />
di contrasto all’immigrazione clandestina e solo<br />
29 milioni in iniziative di sostegno e integrazione<br />
(nel 2001 il rapporto era uno a uno).<br />
La questione della casa<br />
Ultima, ma non ultima, è la questione dell’abitazione, bene<br />
ormai irraggiungibile per moltissime famiglie, fonte di<br />
insicurezza per le giovani coppie, ostacolo alla mobilità<br />
nel paese, oggetto di speculazione finanziaria e immobilizzazione<br />
improduttiva di risorse. In questo campo, come<br />
negli altri, non esistono ricette semplici, ma oggi più che<br />
mai non può essere abbandonata la logica dell’intervento<br />
pubblico nel mercato delle locazioni, in termini di sostegno<br />
agli affitti, di garanzia ai proprietari che accettino di<br />
locare a canone concordato i loro immobili, di mantenimento,<br />
riqualificazione e potenziamento del patrimonio<br />
di edilizia residenziale pubblica a favore delle famiglie<br />
meno abbienti.<br />
Affinché tutto questo non prolunghi passate e fallimentari<br />
logiche assistenzialiste è necessario coinvolgere<br />
comunità ed enti locali, in una logica di welfare plurale<br />
delle responsabilità, in cui l’ente pubblico lasci dove possibile<br />
le funzioni gestionali a soggetti privati accreditati,<br />
preferibilmente non profit, e assuma più fortemente il<br />
ruolo di regia e controllo, promuovendo la qualità degli<br />
interventi, l’efficienza della spesa pubblica e la responsabilità<br />
sociale dei territori e delle forze sociali. Alla base sta<br />
l’esigenza di una rinnovata “tensione morale” verso le<br />
questioni sociali, da sviluppare nel paese a partire dalle<br />
forze politiche, ma senza pretendere da queste ciò che le<br />
altre componenti della società non esigono da loro stesse.<br />
È forse questa la principale sfida che, insieme al nuovo governo,<br />
ci lancia il futuro prossimo.<br />
nazionale<br />
di Giancarlo Perego<br />
Ivescovi italiani, a conclusione dell’ultimo Consiglio permanente della Cei (23-26 gennaio<br />
2006), commentando la modifica dell’articolo 52 del codice penale, hanno auspicato “che<br />
la normativa sull’uso delle armi per la legittima difesa non oscuri o relativizzi il valore della<br />
vita umana e non indebolisca l’impegno delle istituzioni per la difesa e la tutela dei cittadini”.<br />
Su questa scia i circa trecento partecipanti all’incontro nazionale dei giovani in<br />
servizio civile (provenienti da più di 40 <strong>Caritas</strong> diocesane) hanno approvato a Trani il 12<br />
marzo, giorno dedicato alla memoria di san Massimiliano, martire per obiezione di coscienza<br />
al servizio militare, una mozione in cui si chiede al parlamento italiano di rivedere la legge<br />
sulla legittima difesa e, più in generale, di avviare una politica di drastica riduzione delle spese militari,<br />
potenziare le forme di difesa civile e nonviolenta, lavorare per il rafforzamento di organi so-<br />
vranazionali che sottraggano agli stati il potere dell’uso della forza.<br />
Le recenti modifiche alla legge sulla “legittima difesa”<br />
prevedono che i singoli cittadini, legalmente in possesso<br />
di un’arma, la possano utilizzare di fronte a un pericolo di<br />
aggressione che metta a rischio l’incolumità propria o altrui<br />
oppure i beni propri o altrui. La legge, oltre a mettere<br />
sullo stesso piano il valore della vita dell’uomo e quello dei<br />
suoi beni, criterio che contrasta palesemente con la morale<br />
cristiana e i numerosi appelli del papa sul valore inviolabile<br />
e preminente della vita umana, restituisce al cittadino<br />
il potere dell’uso delle armi: potere che il diritto<br />
delle società moderne ha sottratto ai singoli per affidarlo<br />
allo stato, che lo esercita nell’interesse delle persone, misurando<br />
anche la proporzione tra minaccia e reazione.<br />
Questa legge, pertanto, non solo ripropone le difficoltà<br />
della politica e della cultura a prendere in considerazione<br />
una seria opzione nonviolenta e non armata, ma addirittura<br />
costituisce un passo indietro riguardo al diritto elaborato<br />
nei secoli sull’uso delle armi.<br />
Una domanda nelle nostre case<br />
Purtroppo occorre constatare che, insieme alle armi, la<br />
violenza continua a costituire l’ombra inquietante di Caino<br />
sul cammino della storia dell’uomo e lo riporta verso la<br />
preistoria, invece di proiettarlo verso il futuro. Nel tempo<br />
pasquale i giovani in servizio civile hanno dunque voluto<br />
invitare tutti a un impegno quotidiano in nome della nonviolenza,<br />
facendo memoria della figura di san Massimiliano.<br />
Costui, insieme ad altri straordinari “testimoni della<br />
sicurezza e pace<br />
LEGITTIMA DIFESA,<br />
UNA SCELTA PREISTORICA<br />
Sparare all’aggressore: la modifica<br />
dell’articolo 52 del codice penale viola<br />
il principio del primato della vita umana<br />
e costituisce un passo indietro<br />
per il nostro diritto. Appello al parlamento<br />
dei giovani in servizio civile<br />
coscienza” (come Franz Jaegerstaetter e Josef Mayr-Nusser,<br />
che rifiutarono a costo della vita di imbracciare le armi),<br />
dimostra che il non uccidere, la nonviolenza e l’amore<br />
disarmato per il nemico sono “l’arma di gran lunga più<br />
potente del mondo” (Martin Luther King).<br />
Con l’impegno quotidiano nel servizio civile, accanto<br />
ai poveri, sul territorio e in tanti paesi del mondo, in progetti<br />
di solidarietà, giustizia e salvaguardia del creato, 40<br />
mila giovani ogni anno difendono senza armi la nostra patria<br />
ed educano alla pace, come “utopia”, cioè come desiderio<br />
e interesse forte, luogo da creare ogni volta, riconoscendo<br />
e abitando i piccoli e grandi conflitti di ogni giorno.<br />
Davvero si può così ribadire con Benedetto XVI l’interrogativo<br />
contenuto nel messaggio per la Giornata della pace<br />
2006: “Quale avvenire di pace sarà mai possibile, se si continua<br />
a investire nella produzione di armi e nella ricerca<br />
applicata a svilupparne di nuove?”. Una domanda che non<br />
può non risuonare anche nelle nostre case e famiglie.<br />
ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 15
nazionale<br />
Gli anziani italiani si sentono “utili”, ma ritengono peggiorati alcuni<br />
aspetti della loro vita quotidiana. È, in sintesi, ciò che<br />
emerge dal quinto Rapporto Censis - Salute La Repubblica sulle<br />
condizioni di vita della popolazione anziana in Italia, condotto su<br />
un campione rappresentativo di mille anziani over60. Anzitutto, il<br />
rapporto evidenzia che gli anziani italiani sono sostanzialmente in<br />
buona salute: il 94,9% è autosufficiente (82,4% totalmente, 12,5% con<br />
qualche aiuto per il disbrigo di alcune attività quotidiane).<br />
esclusione politiche database sociale sociali<br />
ANZIANI UTILI E FRAGILI,<br />
MOLTI AMICI MA LA VITA PEGGIORA<br />
di Walter Nanni ufficio studi e ricerche <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong><br />
Tra i sessantenni la quota di autosufficienza<br />
raggiunge il 98%, mentre tra<br />
Rapporto<br />
gli ottantenni scende all’85%.<br />
Gli anziani italiani sembrano avere<br />
una vita relazionale abbastanza intensa:<br />
il 42% dichiara di avere molti<br />
amici (più di sei) e il 33,3% di averne<br />
da quattro a sei. Gli anziani non vivono<br />
isolati dalle altre generazioni: il<br />
57% dice di avere molti (22,1%) o abbastanza<br />
(34,7%) amici di altre generazioni;<br />
il 53,3% dichiara di non avere<br />
difficoltà a “dialogare con le altre generazioni”.<br />
Per l’anziano risulta importante la fiducia delle persone:<br />
in Italia, il 71% è convinto che le persone che lo circondano<br />
confidino in lui/lei; il 78,1% si definisce “sicuramente<br />
utile agli altri”; il 73,2% è “appagato da quello che ha già<br />
fatto nella vita”; il 68,1% si ritiene “libero di fare quello che<br />
desidera”; il 57,2% si considera “aperto a nuovi incontri,<br />
conoscenze, amicizie”. Gli anziani non sono privi di progetti<br />
e speranze per il futuro: il 37,4% si dichiara “impegnato<br />
e proiettato verso nuovi obiettivi e nuovi progetti”.<br />
Gli aspetti più negativi della condizione anziana interessano<br />
quote meno elevate. Non è però da sottovalutare<br />
che il 32,6% si dichiari “stanco e con tanta voglia di riposare”;<br />
il 28,4% “troppo preso dai propri problemi”; il 26,1%<br />
“deluso perché si aspettava più riconoscenza dai familiari<br />
e dalla società per quello che ha fatto”. Emergono inoltre<br />
16 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />
Censis - Repubblica:<br />
gli “over60” italiani<br />
godono di buona salute<br />
e hanno una vita<br />
relazionale intensa,<br />
ma ritengono<br />
che negli ultimi cinque<br />
anni le cose siano<br />
peggiorate. Discreto<br />
interesse per la politica<br />
atteggiamenti strumentali da parte<br />
dei familiari: il 12,2% degli anziani afferma<br />
che “i parenti si rivolgono a me<br />
solo quando hanno bisogno”. Invece<br />
il 19,1% si definisce “fragile, spesso indeciso<br />
sulle cose da fare”.<br />
Sì all’impegno, no al Partito<br />
La condizione anziana non significa<br />
disinteresse verso la realtà socio-politica.<br />
Il rapporto Censis si sofferma<br />
quest’anno sulle relazioni degli anziani<br />
con la politica e le istituzioni.<br />
Oltre l’86% degli intervistati ha dichiarato<br />
che alle elezioni politiche si<br />
sarebbe recato a votare. Il 30,6% degli<br />
anziani dichiara inoltre di essere “interessato<br />
alla politica, anche se non<br />
con continuità”, il 27,6% “la segue, anche<br />
se di rado”, oltre il 17% si dichiara<br />
“molto coinvolto, e di seguirla con attenzione”,<br />
mentre la quota di estranei<br />
alla politica è il 24,7%.<br />
La grande maggioranza degli anziani,<br />
il 63,2%, ha però la percezione<br />
che la politica guardi alla terza età come a un peso, per i<br />
suoi effetti sui costi del welfare e per l’incidenza sulla spesa<br />
pubblica; la metà del campione, il 50,7%, ritiene che solo<br />
impegnandosi direttamente in politica gli oltre quattordici<br />
milioni di voti “anziani” potrebbero finalmente contare;<br />
ma l’11,6% non vorrebbe affatto un Partito degli anziani,<br />
e decisamente contrari a questa ipotesi è il 26,9%.<br />
Infine, la maggioranza degli anziani (62%) è convinta<br />
che la propria vita negli ultimi cinque anni sia complessivamente<br />
peggiorata. Si raggiungono punte di insoddisfazione<br />
del 75,1% nel centro Italia, del 72,3% fra i<br />
possessori di diploma media inferiore, di oltre il 72% fra<br />
le persone con bassi redditi, di oltre il 66% nelle famiglie<br />
con più di due componenti e del 77,4% nelle famiglie<br />
monogenitoriali.<br />
nazionale<br />
emergenze<br />
FRIULI, QUANDO L’ITALIA<br />
SI SCOPRÌ CAPACE D’AIUTO<br />
di Pietro Gava<br />
foto archivio La vita cattolica di Udine<br />
Trent’anni fa un fortissimo<br />
terremoto devastò<br />
una regione<br />
periferica ma fiera.<br />
Alla mobilitazione<br />
nazionale che ne seguì<br />
partecipò anche<br />
la “giovane” <strong>Caritas</strong>.<br />
Un rapporto ripercorre<br />
35 anni di emergenze<br />
T<br />
rent’anni fa la terra scosse e ferì a morte una regione geograficamente<br />
periferica, ma forte e fiera. L’Italia non stette<br />
a guardare: reagì con quella che è stata giudicata la prima<br />
mobilitazione su scala nazionale all’indomani di una catastrofe<br />
naturale. Il terremoto che sconvolse il Friuli il 6 maggio<br />
1976 (la scossa toccò il grado 6,4 della scala Richter,<br />
“doppiata” 15 settembre da un’altra di magnitudo 5) ancora<br />
oggi è sinonimo, nella memoria collettiva, di morte e distruzione.<br />
Quasi mille persone uccise dai crolli, quasi centomila<br />
senza tetto, in macerie case, chiese e fabbriche, servizi<br />
sociali senza la possibilità di agire, opere d’arte di valore<br />
inestimabile gravemente danneggiate.<br />
Il mondo cascò addosso ai friulani alle 21.06 del 6 maggio,<br />
la paura si mescolò al buio. Dodici ore dopo il governo<br />
monocolore Dc, guidato da Aldo Moro, nominò commissario<br />
straordinario per i soccorsi in Friuli l’onorevole Giu-<br />
ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 17
nazionale<br />
seppe Zamberletti, sottosegretario al ministero degli interni.<br />
Era un segnale di reazione da parte delle istituzioni. Ma<br />
il paese manifestò anche una volontà di reazione spontanea:<br />
società civile, volontariato e organismi ecclesiali dimostrarono,<br />
sin dalle prime ore dopo il sisma, e poi per<br />
mesi e anni, che la parola solidarietà non aveva più senso<br />
solo all’ombra dei campanili e in chiave localistica.<br />
Così il 7 maggio il cardinale Antonio Poma, presidente<br />
della Conferenza episcopale italiana, inviò un messaggio a<br />
monsignor Alfredo Battisti, arcivescovo di Udine, in cui assicurava<br />
le preghiere e l’impegno dei vescovi italiani “per<br />
venire incontro alle necessità più urgenti” della popolazione.<br />
Lo stesso giorno alla presenza di monsignor Giuseppe<br />
Pasini, segretario generale di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> (organismo<br />
nato da soli cinque anni), le <strong>Caritas</strong> diocesane del Triveneto<br />
si radunarono a Venezia, in un incontro presieduto dal<br />
patriarca Albino Luciani. La catastrofe indirizzava l’attenzione<br />
del paese su una regione povera, terra di emigrazione,<br />
gelosa delle proprie tradizioni e delle proprie lingue. Il<br />
dolore composto di quella terra non lasciò spazio, nemmeno<br />
all’inizio, all’abbattimento e alla rassegnazione.<br />
Soldi e condivisione<br />
Per la chiesa e per <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> il terremoto del Friuli fu<br />
palestra di un impegno corale, che vide coinvolte moltissime<br />
diocesi, comunità e persone, e che ha fatto da mo-<br />
Nelle difficoltà si vede l’amore autentico e gratuito.<br />
Dopo il 6 maggio 1976 il Friuli è stato “invaso”<br />
da volontari di tutte le età e condizioni sociali. I<br />
giovani avevano un ruolo dominante. Agesci e<br />
Comunione e Liberazione si resero presenti con<br />
migliaia di ragazze e ragazzi. Ma anche altre associazioni e<br />
movimenti ecclesiali diedero un contributo non trascurabile,<br />
insieme ai gruppi spontanei nati nelle parrocchie italiane.<br />
Aiuti pervennero persino dall’estero. Anche molti<br />
militari furono impegnati nei soccorsi. «Come sarebbe bello<br />
– scrisse in quel periodo Italia <strong>Caritas</strong> – se un giorno la<br />
18 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />
dello per gli interventi in occasione di successive emergenze.<br />
Già l’8 maggio <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> offrì una forte somma<br />
per gli aiuti; grazie alla <strong>Caritas</strong> diocesana di Genova<br />
arrivarono in Friuli 30 tendoni. La prima domenica dopo<br />
il disastro la Cei indisse una colletta nazionale e invitò<br />
tutte le comunità a riunirsi in preghiera. In Friuli le chiese<br />
locali affiancarono l’operato dello stato; a Udine fu costituito<br />
un comitato interdiocesano. Le autorità civili divisero<br />
il territorio colpito in otto zone operative (Maiano,<br />
Gemona, San Daniele, Osoppo, Tarcento, Resiutta e Tolmezzo<br />
in diocesi di Udine, Spilimbergo in diocesi di Pordenone)<br />
e i parroci nominano un rappresentante per ciascuna<br />
di esse. Nelle parrocchie nacquero gruppi di volontari<br />
per supportare i comitati comunali per la ricostruzione;<br />
con il tempo, molti di essi si sono trasformati<br />
in <strong>Caritas</strong> parrocchiali.<br />
Intanto in Friuli arrivavano volontari da tutto il paese. E<br />
<strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>, oltre ai soldi, cominciò a offrire idee e percorsi<br />
di condivisione, concretizzatisi in quelli che sono stati<br />
chiamati “Centri della comunità”, solide strutture polivalenti<br />
dove i bambini si ritrovano per studiare e gli adulti per<br />
ricevere assistenza, discutere, partecipare alla messa.<br />
In Friuli si collaudò anche un modello (empirico, non<br />
programmato) di collaborazione fra istituzione e forze sociali<br />
e del volontariato per gestire l’emergenza. All’inizio la<br />
macchina dei soccorsi operò per mantenere l’ordine pub-<br />
I giovani e le suore, mille volti<br />
di una solidarietà generosa<br />
In Friuli ebbe un ruolo cruciale l’impegno degli aderenti a organismi<br />
ecclesiali, ma anche di singoli cittadini. <strong>Caritas</strong> coordinò 16 mila volontari<br />
leva fosse semplicemente una chiamata, pur disciplinata,<br />
a un anno di “servizio sociale” a favore della comunità per<br />
migliaia di giovani che si “annoiano” nelle caserme».<br />
I gemellaggi tra le diocesi italiane e le parrocchie terremotate<br />
si rivelarono un bene spirituale per le comunità<br />
cristiane e un metodo capace di offrire risposte efficaci ai<br />
bisogni. Le adesioni delle diocesi arrivano a <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong><br />
che, insieme alle <strong>Caritas</strong> di Udine e Pordenone, sceglieva<br />
gli abbinamenti con estrema attenzione, per evitare<br />
iniquità nella distribuzione delle risorse. «Le necessità<br />
di quelle popolazioni, dopo il primo esplodere generosis-<br />
blico, poi l’adozione di criteri di autonomia, responsabilizzazione<br />
e suddivisione del lavoro alimentò un clima collaborativo<br />
tra stato, amministrazioni locali, comitati e singoli<br />
cittadini. La scossa del 15 settembre mise di nuovo a dura<br />
prova la regione. «Il terremoto del 6 maggio ha demolito<br />
il Friuli; quello di settembre ha demolito i friulani – affermò<br />
monsignor Battisti –. Il primo ha distrutto le case ma ha lasciato<br />
la speranza; il secondo sembra aver intaccato anche<br />
la speranza». Il commissario Zamberletti ordinò l’evacuazione<br />
totale della zona disastrata: la tensione tra popolazione<br />
e autorità salì alle stelle, più di 40mila persone dovettero<br />
adeguarsi a un esodo verso le zone costiere della regione.<br />
Un uguale numero di cittadini decise di non partire<br />
per vigilare sui beni rimasti e per continuare il lavoro.<br />
Ringraziarsi a vicenda<br />
Fu una dura lotta, anche contro i rigori dell’inverno della<br />
Carnia, e per ottenere in tempi accettabili roulotte e prefabbricati<br />
al posto delle tende. A quel punto monsignor<br />
simo di solidarietà, si faranno acute quando i mezzi di comunicazione<br />
sociale cesseranno di parlarne – scrisse<br />
monsignor Motolese ai vescovi –. Esse si renderanno conto<br />
completamente di ciò che è successo e si troveranno<br />
sole ad affrontare l'inverno: si rende perciò necessario un<br />
sostegno morale e materiale, che duri durante tutto il periodo<br />
della ricostruzione».<br />
Ma la vicinanza di migliaia di volontari non venne meno,<br />
anche a mesi di distanza. Dal 19 al 21 aprile 1977 si<br />
svolse a Udine una conferenza programmatica con tutte<br />
le <strong>Caritas</strong> diocesane gemellate e le parrocchie terremota-<br />
emergenze<br />
Guglielmo Motolese, vicepresidente della Cei e neopresidente<br />
di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>, con una lettera a tutti i vescovi<br />
d’Italia lanciò l’iniziativa del gemellaggio: risposero 81<br />
diocesi, che affiancarono 73 parrocchie terremotate.<br />
I gemellaggi furono incoraggiati come segno del<br />
nuovo volto della chiesa maturato dal Concilio. In alcune<br />
realtà furono la spinta per far nascere le <strong>Caritas</strong><br />
diocesane. E costituirono un modello di condivisione<br />
e solidarietà, replicato in occasione di numerose altre<br />
catastrofi nei tre decenni successivi. Il rapporto (oltre<br />
cento pagine) che dà conto dell’opera di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong><br />
dalla fondazione, 35 anni fa, a oggi e che ha un<br />
capitolo introduttivo legato alle azioni caritative della<br />
chiesa italiana condotte nel periodo dal dopoguerra al<br />
terremoto del Friuli, sarà presentato a Gemona il<br />
prossimo 5 maggio, in occasione della giornata promossa<br />
dalla chiesa friulana per ricordare lo strazio e la<br />
prova di umanità che scaturì da quei giorni. Sono invitati<br />
i rappresentanti di tutte le diocesi allora gemellate:<br />
sarà un modo non<br />
solo per ricordare, ma<br />
anche per ringraziarsi a<br />
vicenda. Gli uni per essere<br />
stati aiutati, gli altri<br />
per essere stati sollecitati<br />
ad aiutare.<br />
DOLORE<br />
COMPOSTO<br />
Friuli, primavera<br />
1976: scene<br />
di vita quotidiana<br />
in una terra ferita<br />
ma non vinta<br />
te. Furono concordati diversi tipi di intervento: informazione<br />
sulla ricostruzione, modalità di comunicazione alla<br />
popolazione friulana, animazione delle baraccopoli, sistemazione<br />
degli anziani soli, collaborazione con i comitati<br />
comunali per la gestione dei Centri della comunità,<br />
coordinamento dei volontari di ispirazione cristiana e sostegno<br />
a iniziative locali per la tutela dei beni culturali. Il<br />
ruolo dei volontari fu centrale nella ricostruzione e nel<br />
perseguimento degli obiettivi dei gemellaggi. Furono 16<br />
mila i volontari impegnati con continuità, provenienti<br />
dalle fila di Azione Cattolica, Agesci, Comunione e Libera-<br />
ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 19
nazionale<br />
zione, Mani Tese, Comunità di Capodarco, Volontariato<br />
vincenziano, Giovani cooperatori salesiani e anche da alcuni<br />
istituti missionari (Comboniani, Consolata e Saveriani).<br />
Nei campi di lavoro per la riparazione delle case furono<br />
accettate solo persone che avevano esperienza di lavoro<br />
in campo edilizio; i volontari vennero inseriti nei cantieri<br />
dall'Associazione alpini d’Italia.<br />
Il periodo della diaspora<br />
In Friuli la presenza delle suore ebbe un ruolo straordinario.<br />
Molte di loro si misero al servizio della popolazione già<br />
dal 7 maggio 1976. Il 21 agosto dello stesso anno a Gemona<br />
fu elaborato un piano di collaborazione fra la Federazione<br />
italiana religiose assistenti sociali nazionale, le Su-<br />
20 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />
periori generali del Triveneto, <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> e le diocesi<br />
di Udine e Pordenone. Si stabilì che le religiose sarebbero<br />
rimaste nelle zone terremotate per un periodo di uno o<br />
due anni, operando nei Centri della comunità. Al piano,<br />
concordato con i parroci delle località colpite dal sisma, e<br />
all’appello di monsignor Alfredo Battisti risposero con entusiasmo<br />
oltre 90 suore provenienti da tutta Italia e appartenenti<br />
a 34 congregazioni: lavoravano in gruppi intercongregazionali,<br />
inserite nella pastorale della chiesa locale<br />
e attente alle esigenze dei più soli e deboli. La scossa del<br />
15 settembre 1976 diede origine a un’ulteriore emergenza:<br />
la popolazione fu costretta a rifugiarsi a Lignano, Grado,<br />
Jesolo. Molte religiose seguirono la popolazione nell’esodo;<br />
durante il periodo della diaspora si adoperano anche<br />
«La seconda scossa ci piegò<br />
e lo stato nascondeva i problemi»<br />
Il palpitante ricordo di don Angelo Zanello, oggi parroco di Tolmezzo. «Dopo<br />
il sisma di settembre il momento più duro. Ma i gemellaggi furono benedetti»<br />
Don Angelo Zanello, oggi parroco di Tolmezzo,<br />
in provincia di Udine, e arcidiacono della<br />
Carnia, un territorio ricco di storia che è un<br />
terzo della diocesi di Udine, è stato uno dei<br />
protagonisti della ricostruzione del Friuli dopo<br />
i terremoti del 1976.<br />
Dove si trovava al momento delle scosse?<br />
Ero cappellano ad Artenia, comune che ebbe gravissimi<br />
danni, a tre chilometri da Gemona, epicentro dei sisma.<br />
La sera del 6 maggio ero in piazza con un gruppo di giovani<br />
e il parroco don Gelindo Lavaroni, avevamo appena<br />
finito di dire il rosario. Mentre il 15 settembre fu una giornata<br />
terribile, perché il terremoto arrivò mentre pensavamo<br />
a come superare l’inverno.<br />
Quali sono stati i momenti più duri della ricostruzione?<br />
Senza dubbio il periodo successivo alla seconda scossa.<br />
Avevamo le forze per rialzarci dopo il primo terremoto.<br />
Avevamo lavorato tutta l’estate, encomiabile è stato il lavoro<br />
svolto dagli alpini per rimettere in piedi i servizi che<br />
ci sarebbero stati utili durante l’inverno. Le persone non si<br />
fermavano neanche il sabato e la domenica, pur di ristabilire<br />
condizioni di vita accettabili. Ma arrivò il secondo<br />
terremoto e spazzò via tutto ciò che avevamo realizzato.<br />
Vi tagliò le gambe...<br />
Tantissimi cittadini furono costretti a riparare nella zona<br />
costiera della regione, molti decisero di rimanere anche<br />
per non lasciare il posto di lavoro e passarono l’inverno<br />
in tende, roulotte e stamberghe. Io stesso organizzai l’esodo<br />
della comunità di Artenia a Lignano Sabbiadoro, in<br />
accordo con il sindaco; ci trasferimmo con gli autobus<br />
ma ottenemmo che ci fossero garantite vie di comunicazione<br />
con le zone evacuate dove si trovavano le fabbriche.<br />
Ogni mattina, molto presto, partivano da Lignano<br />
pullman pieni di operai.<br />
Come ricorda le relazioni tra istituzioni e chiesa?<br />
Molto tese. Lo stato cercava di far apparire che fosse tutto<br />
sotto controllo, in particolare sui mass media; le elezioni<br />
politiche erano alle porte, si votò nel giugno 1976.<br />
Ma chi era nel territorio si rendeva conto benissimo dei<br />
problemi. Venivano annunciati aiuti che non arrivavano,<br />
se le tende bastarono per tutti fu anche grazie a <strong>Caritas</strong><br />
per mantenere stretti i legami tra gli sfollati e chi aveva<br />
preferito rimanere accanto alle proprie cose.<br />
Nell’introdurre i lavori di gruppo durante il quarto<br />
convegno nazionale delle <strong>Caritas</strong> diocesane, in programma<br />
a Pescara il 14 settembre 1977, monsignor Giovanni<br />
Nervo, direttore di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>, ebbe ad affermare: «La<br />
comunione ecclesiale che si vive in Friuli, questo piccolo<br />
ma vivo grano di senapa, non potrebbe diventare un grande<br />
albero se fosse piantato anche in altre situazioni di difficoltà<br />
presenti nella chiesa italiana e diventasse un costume<br />
di vita, ad esempio nel rapporto fra diocesi del nord e<br />
diocesi del sud e all’interno di una stessa diocesi fra parrocchie<br />
più ricche e parrocchie più povere?». Un interrogativo<br />
che risuona ancora attuale.<br />
SENZA TETTO<br />
DI MONTAGNA<br />
Baraccati<br />
dopo<br />
il terremoto<br />
del maggio‘76,<br />
ai piedi<br />
dei monti<br />
di Carnia<br />
<strong>Italiana</strong>. I dispacci dei comitati cittadini inviati alla sede<br />
Ansa di Trieste non venivano resi noti. Grazie ai rapporti<br />
con testate austriache e tedesche alcuni riuscivano a comunicare<br />
al mondo notizie dal cuore delle zone colpite.<br />
Poi le notizie “rimbalzavano” sui quotidiani italiani. I volontari<br />
cattolici venivano scambiati o venivano volutamente<br />
scambiati dalle autorità per estremisti di destra o<br />
di sinistra. I primi giorni di settembre venne in Friuli Giulio<br />
Andreotti, allora presidente del consiglio; desiderava<br />
parlare a porte chiuse nella caserma Goi a Gemona, in<br />
provincia di Udine, con monsignor Battisti. L’arcivescovo<br />
chiedeva di essere ricevuto con tutti cittadini presenti, vide<br />
rifiutare la sua proposta e decise di rimanere fuori dai<br />
cancelli con la popolazione.<br />
emergenze<br />
DANNI E AIUTI,TERREMOTO IN CIFRE<br />
Comuni che hanno riportato seri danni<br />
(zona più colpita a nord di Udine) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .77<br />
Morti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .965<br />
Persone senza tetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .93.400<br />
Persone costrette a ricorrere<br />
a ripari provvisori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .oltre 100 mila<br />
Persone in diaspora<br />
nelle zone rivierasche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .circa 40 mila<br />
Vani distrutti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .80 mila<br />
Vani lesionati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .100 mila<br />
Volontari presenti nell’arco di due anni,<br />
provenienti da parrocchie, associazioni<br />
e organismi ecclesiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .16 mila<br />
Centri della comunità realizzati<br />
tramite <strong>Caritas</strong> . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .67<br />
Dicesi gemellate che hanno mantenuto<br />
un legame attivo per almeno cinque anni<br />
con altrettante parrocchie terremotate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .81<br />
Suore giunte da altre diocesi<br />
(di cui rimaste per un lungo periodo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .750 (90)<br />
Qual è stato il ruolo dei volontari?<br />
È stata una stagione magnifica. Da tanto dolore vidi sorgere<br />
in modo inaspettato tanta solidarietà e fratellanza. In<br />
particolare l’entusiasmo dei giovani: la dedizione e i segni<br />
che hanno lasciato nella nostra terra sono stati indimenticabili.<br />
Nell’estate 1976 si riversarono in Friuli migliaia e<br />
migliaia di ragazze e ragazzi; seppero vivere accanto a noi<br />
e ci dettero un sostegno fondamentale nell’assistere, segnalare<br />
e comunicare i nostri disagi.<br />
Come valuta l’esperienza dei gemellaggi tra diocesi<br />
italiane e parrocchie friulane terremotate?<br />
Ci furono gemellaggi splendidi. Amo raccontare l’esperienza<br />
ancora vivissima del rapporto tra la comunità di<br />
Sammardenchia di Tarcento e la diocesi di Città di Castello.<br />
Sono nate relazioni stupende, matrimoni e anche<br />
una vocazione al sacerdozio. Ancora benedico chi ebbe<br />
l’intuizione di far sorgere i Centri della comunità, in<br />
quei luoghi si recuperava il senso della dignità umana e<br />
della speranza. E poi, quando ci fu il terremoto in Irpinia,<br />
molte persone di Città di Castello e di Sammardenchia<br />
di Tarcento andarono insieme ad aiutare la popolazione<br />
campana…<br />
ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 21
nazionale<br />
Il tema della riforma della Costituzione, che aveva infiammato gli<br />
animi nella passata legislatura, è stato tenuto sostanzialmente fuori<br />
dall’agenda degli argomenti della campagna elettorale in vista del<br />
9 aprile. Né i fautori della riforma (devolution e dintorni) si sono sbracciati<br />
a sostenerla, né gli avversari si sono scalmanati a contrastala. Il<br />
mancato dibattito ha però sottratto agli elettori una delle materie fondamentali<br />
del bilancio del governo di centrodestra; anzi, a guardare bene<br />
la più importante e impegnativa tra quelle trattate (o maltrattate, secondo<br />
i punti di vista) nel quinquennio. Sicuramente una riforma più<br />
“strutturale” delle tante leggi e leggine più o meno personalizzate di cui<br />
è costellato il consuntivo della ex<br />
maggioranza; soprattutto più influente<br />
sul futuro del paese.<br />
È vero che il centrodestra non ha<br />
mostrato entusiasmo nel giudizio sul<br />
proprio operato a proposito delle regole<br />
della vita pubblica, ma proprio<br />
per questo su chi si era opposto alla<br />
riforma incombeva l’onere di richiamare<br />
l’attenzione dei cittadini. Certamente<br />
nella campagna referendaria<br />
ci sarà modo di svolgere i capitoli<br />
della riforma in modo esplicito e<br />
concentrato: dalla portata di un decentramento<br />
“esclusivo” di competenze, al bilanciamento<br />
dei poteri tra capo dello stato, parlamento e governo,<br />
alle prerogative di un “premier” tendente (si è valutato)<br />
all’onnipotenza; dalla trafila delle leggi tra due camere<br />
con competenze non si sa se più differenziate o più confuse,<br />
alla sequenza indefinita delle norme transitorie.<br />
Ma ne consegue un rischio. E cioè che il dibattito referendario<br />
diventi una confronto tra “esperti”, per non dire<br />
tra “iniziati”, consolidando così l’abitudine di considerare<br />
la Costituzione una materia riservata ai costituzionalisti.<br />
Mentre al contrario si tratta di un bene appartenente<br />
senza mediazioni al popolo sovrano, il quale non a caso<br />
viene chiamato a confermare o respingere ciò che il<br />
parlamento ha confezionato.<br />
contrappunto<br />
COSTITUZIONE RIFORMATA,<br />
NON È FACCENDA PER INIZIATI<br />
di Domenico Rosati<br />
22 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />
La riforma<br />
delle Costituzione<br />
è rimasta in ombra<br />
nel confronto elettorale<br />
prima del 9 aprile.<br />
È tempo di rimediare:<br />
il referendum di giugno<br />
reclama dai cittadini<br />
una assunzione<br />
di responsabilità. Senza<br />
deleghe agli esperti<br />
I limiti della sovranità<br />
Il referendum sarà un’occasione<br />
perduta se non si trasformerà in un<br />
momento di affermazione di una<br />
padronanza popolare sulla Costituzione.<br />
Meglio, una riappropriazione<br />
di contenuti, principi, valori e regole<br />
della carta fondamentale. Principi,<br />
valori e regole non sono entità<br />
separabili. Non può ulteriormente<br />
durare l’atteggiamento con cui si è<br />
artificialmente disgiunta la prima<br />
dalla seconda parte della Costituzione<br />
(il catalogo delle intenzioni<br />
della repubblica dal… regolamento<br />
del condominio). E bisogna superare<br />
ritardi e omissioni gravissimi sul<br />
piano culturale, prima ancora che<br />
politico. La Costituzione è stata infatti<br />
più riverita che studiata, più<br />
declamata che intesa come una guida<br />
unitaria del cammino della repubblica.<br />
Ma il referendum non interpella<br />
i cittadini sul punto se siano favorevoli<br />
o contrari al “senato delle<br />
regioni” o al “superpremier” o al conferimento esclusivo<br />
alle regioni di sanità, scuola e polizia (locale?); in<br />
realtà chiede loro di valutare se quelle norme non intacchino<br />
la pienezza della cittadinanza o non aggravino<br />
le disuguaglianze territoriali con la rottura dell’unità<br />
sociale del paese.<br />
“La sovranità appartiene al popolo, che la esercita<br />
nelle forme e nei limiti della Costituzione”, si legge all’articolo<br />
1. Ecco: il referendum ci chiede di valutare se<br />
le “forme” e i “limiti” ridefiniti dal legislatore siano tali<br />
da rendere effettivo l’esercizio della sovranità popolare,<br />
o se invece non ne riducano raggio e significato. Il “si” o<br />
il “no” riguardano, insomma, il cuore – e non solo le<br />
membra – della nostra repubblica democratica.<br />
CARITAS ITALIANA<br />
Rapporto annuale:<br />
attività e progetti<br />
anche in digitale<br />
Una foto grandangolare su<br />
un anno di attività, iniziative<br />
e progetti. Ma soprattutto il<br />
resoconto della prosecuzione<br />
di un cammino. Viene<br />
pubblicato a maggio<br />
il “Rapporto annuale 2005”,<br />
strumento che registra<br />
il percorso di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong><br />
nelle sue attività istituzionali<br />
e di partecipazione<br />
(Convegno nazionale delle<br />
<strong>Caritas</strong> diocesane, Gruppi<br />
nazionali, incontri con<br />
le delegazioni regionali<br />
<strong>Caritas</strong>, luoghi e tavoli di<br />
partecipazione), nelle attività<br />
di promozione, formazione,<br />
accompagnamento,<br />
animazione, comunicazione<br />
e documentazione.<br />
E che racconta con dovizia<br />
di particolari tutte le attività<br />
e i progetti in Italia e nel<br />
mondo. Quest’anno è anche<br />
in versione digitale,<br />
con allegato a ogni copia<br />
cartacea un cd e schede<br />
con dati, grafici, percentuali.<br />
INFO: tel. 06.54.19.21 -<br />
www.caritasitaliana.it<br />
LOTTA ALLE MAFIE<br />
Solidarietà<br />
alle cooperative<br />
di Locri-Gerace<br />
La scomunica «contro coloro<br />
che fanno abortire la vita dei<br />
nostri giovani, uccidendo e<br />
sparando, e delle nostre<br />
terre, avvelenando i nostri<br />
campi». Il segnale forte,<br />
lanciato nel tempo di<br />
Quaresima dal vescovo<br />
di Locri-Gerace, monsignor<br />
Giancarlo Bregantini,<br />
è venuto dopo i ripetuti atti<br />
intimidatori (l’avvelenamento<br />
delle serre, nella foto prima<br />
dell’attentato, l’incendio di un<br />
deposito) che la ‘ndrangheta<br />
ha perpetrato ai danni delle<br />
cooperative Valle del<br />
Bonamico e Frutti del Sole,<br />
nate in seguito all’iniziativa<br />
del vescovo e della chiesa<br />
locale, per dare opportunità<br />
di riscatto e futuro a tanti<br />
giovani calabresi. <strong>Caritas</strong><br />
<strong>Italiana</strong> ha espresso piena<br />
solidarietà nella preghiera<br />
al vescovo, alla chiesa<br />
locale, alle famiglie delle<br />
troppe vittime della<br />
criminalità organizzata,<br />
ai giovani e a tutti coloro che<br />
ne sostengono formazione<br />
e promozione. «Servire<br />
al meglio le chiese locali, nei<br />
poveri e nell’intera comunità<br />
– ha dichiarato monsignor<br />
Vittorio Nozza, direttore di<br />
<strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> –, resta per<br />
noi un impegno primario da<br />
attuare, accompagnando<br />
l’opera efficace e discreta<br />
delle <strong>Caritas</strong> diocesane».<br />
Tra le espressioni di vicinanza<br />
alle comunità meridionali,<br />
figura il Progetto Policoro<br />
(promosso da <strong>Caritas</strong><br />
<strong>Italiana</strong> e uffici Cei), grazie<br />
a cui è sorta nella Locride<br />
la cooperativa di giovani<br />
vittima dei recenti attentati.<br />
FEDERCASSE<br />
Molise, prestiti a<br />
famiglie e società<br />
dopo il sisma<br />
Per completare l'attività di<br />
ricostruzione, <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong><br />
e Federcasse (la Federazione<br />
italiana delle banche di<br />
credito cooperativo e casse<br />
rurali) hanno sottoscritto<br />
un protocollo di intesa<br />
finalizzato alla concessione<br />
di prestiti a favore di famiglie<br />
(italiane o immigrate)<br />
e piccole e medie imprese<br />
delle zone colpite dal<br />
terremoto dell'ottobre 2002<br />
in Molise e alta Puglia.<br />
Il protocollo prevede<br />
l'erogazione di prestiti<br />
(cinque anni per le imprese<br />
e tre per le famiglie, importo<br />
massimo 30 mila e 15 mila<br />
euro, per un plafond<br />
complessivo di 2 milioni<br />
di euro) per fare fronte<br />
a necessità abitative,<br />
ricostruire o ristrutturare<br />
immobili, attivare utenze,<br />
affrontare spese sanitarie e<br />
scolastiche, acquistare mezzi<br />
di trasporto o strumenti per<br />
realizzare progetti<br />
di promozione sociale ed<br />
economica. L'intesa prevede<br />
la costituzione di un fondo<br />
di garanzia con fondi resi<br />
disponibili da <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong><br />
presso la Banca di credito<br />
cooperativo del Molise<br />
di San Martino in Pensilis<br />
e Bagnoli del Trigno (Cb),<br />
che erogherà i prestiti.<br />
panoramacaritas<br />
IRAN<br />
Grave terremoto<br />
nel Lorestan,<br />
aiuti <strong>Caritas</strong><br />
Nella notte tra il 30 e il 31<br />
marzo violente scosse di<br />
terremoto (tra 4.7 e 6.1 gradi<br />
della scala Richter) hanno<br />
colpito la provincia di<br />
Lorestan (Iran occidentale)<br />
a circa 400 chilometri da<br />
Teheran. Le stime ufficiali<br />
parlano di 70 morti e 1.248<br />
feriti; i villaggi colpiti<br />
sono stati 330, con una<br />
percentuale di distruzione<br />
dal 10 al 100%. Almeno 15<br />
mila sono<br />
i senza<br />
tetto;<br />
in almeno<br />
40 villaggi<br />
le scuole<br />
devono<br />
essere<br />
ricostruite, molti centri sanitari<br />
di villaggio sono danneggiati,<br />
così come le reti idriche.<br />
Dal 1° aprile una delegazione<br />
di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>, presente in<br />
Iran dopo il terremoto di Bam<br />
(26 dicembre 2003), si è<br />
recata sul luogo del disastro.<br />
La delegazione ha avuto,<br />
insieme ai rappresentanti<br />
di organismi internazionali,<br />
incontri con le autorità locali,<br />
alle quali ha espresso<br />
solidarietà e ha offerto<br />
la disponibilità ad aiutare<br />
le vittime. A <strong>Caritas</strong> le autorità<br />
hanno chiesto un intervento<br />
di sanità pubblica:<br />
servono 190 mila euro<br />
per 300 docce e 300 servizi<br />
igienici da distribuire<br />
nei villaggi più colpiti.<br />
ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 23
internazionale<br />
[ ]<br />
MODALITÀ<br />
OFFERTE E 5 PER MILLE<br />
A PAGINA 2<br />
LISTA COMPLETA<br />
MICROREALIZZAZIONI,<br />
TEL. 06.54.19.22.28<br />
a cura dell’Area internazionale<br />
La nuova Unione europea<br />
a 25 paesi pone importanti<br />
sfide economiche e sociali,<br />
culturali e politiche. Ma corre<br />
il rischio di emarginare<br />
ancora di più i paesi<br />
che ne restano fuori,<br />
soprattutto nell’area<br />
dei Balcani e dell’ex Urss.<br />
Nel 2005 <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong><br />
ha curato molto<br />
l’accompagnamento<br />
e il rafforzamento delle <strong>Caritas</strong><br />
dell’Europa orientale, grazie<br />
a stanziamenti per 1.012.364<br />
euro, impegnati in progetti<br />
di tutela dei diritti umani,<br />
attenzione ai fenomeni<br />
di esclusione sociale,<br />
educazione alla pace<br />
e alla riconciliazione,<br />
promozione socio-economica,<br />
formazione di operatori<br />
sociali, dialogo ecumenico,<br />
microrealizzazioni<br />
nel settore idrico. L’impegno<br />
prosegue nel 2006.<br />
24 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />
BOSNIA ED HERZEGOVINA RUSSIA<br />
In cammino con le associazioni di famigliari<br />
A oltre dieci anni dalla fine della guerra, il progetto prevede<br />
un lavoro di accompagnamento e formazione delle associazione<br />
di famigliari di vittime, persone scomparse, ex prigionieri<br />
dei campi di detenzione e prigionieri politici. L’iniziativa mira<br />
a potenziare le capacità di queste associazioni nel rispondere<br />
a interessi, bisogni e preoccupazioni dei propri membri, oltre<br />
che a stimolare il loro coinvolgimento nei processi decisionali<br />
in ambito locale e a favorire il lavoro di rete tra associazioni<br />
di diverse nazionalità (croate, serbe, musulmane e albanesi).<br />
> Costo 50 mila euro (per due anni di attività)<br />
> Causale Bosnia e Herzegovina / sostegno associazioni familiari<br />
KOSOVO<br />
Un centro per le famiglie<br />
di scomparsi ed ex detenuti politici<br />
Il Centro kosovaro per l’auto mutuo aiuto è il risultato di tre anni<br />
di esperienza e lavoro con 15 gruppi, composti sia da famigliari<br />
di persone scomparse che da ex detenuti politici. I gruppi hanno<br />
rappresentato un’occasione di incontro tra persone unite<br />
da uno stesso problema. È stato quindi creato un piccolo centro<br />
per continuare a offrire sostegno e servizi a persone e famiglie,<br />
fornendo un’assistenza rispondente ai loro bisogni soprattutto<br />
nei settori in cui le istituzioni socio-sanitarie locali<br />
sono impreparate (dipendenza, traumi, disabilità, ecc.).<br />
> Costo 50 mila euro (per un anno di attività)<br />
> Causale Kosovo / Auto mutuo aiuto<br />
SERBIA<br />
Salute mentale e anziani,<br />
l’obiettivo è formare volontari<br />
<strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> e <strong>Caritas</strong> Serbia e Montenegro<br />
hanno riavviato con le sette <strong>Caritas</strong> diocesane locali,<br />
per il biennio 2006-’07, un piano di sensibilizzazione<br />
che punta a coinvolgere la comunità locale<br />
e le istituzioni nelle attività di salute mentale<br />
e di assistenza degli anziani.<br />
L’obiettivo è la formazione di volontari<br />
che si facciano carico dell’attenzione alle fasce<br />
più deboli e bisognose della popolazione.<br />
Il piano pevede la preparazione di materiali<br />
di animazione e didattici e una serie di incontri,<br />
attività pianificate e campagne di lotta ai pregiudizi,<br />
di concerto anche con l’ufficio della presidenza<br />
della repubblica, altre confessioni religiose e varie<br />
organizzazioni di solidarietà e tutela dei diritti umani.<br />
> Costo 25 mila euro<br />
> Causale Serbia / pace e dialogo<br />
progetti > aiuto all’europa<br />
Un team di aiuto per gli anziani soli a Mosca<br />
Le rigide temperature del recente inverno hanno aggravato i disagi<br />
per gli anziani poveri. <strong>Caritas</strong> Mosca ha attivato una team di<br />
operatori sociali che si prendono cura di 40 anziani soli e non<br />
autosufficienti, inclusi alcuni malati terminali e pazienti con disturbi<br />
psichici. Il programma include servizio di cucina a domicilio, pulizia<br />
dell’abitazione, aiuto per l’igiene personale, servizi medici e curativi,<br />
distribuzione di alimenti specifici, medicine e capi di vestiario,<br />
assegnazione di articoli ortopedici in caso di necessità, assistenza<br />
per evitare crisi dovute alla solitudine. I pazienti sono visitati dai<br />
volontari da una a due volte la settimana, costante è il contatto<br />
telefonico.<br />
> Costo 10 mila euro (per un anno di attività)<br />
> Causale Russia/assistenza anziani<br />
ARMENIA<br />
Acqua potabile<br />
per rifornire villaggi e scuole<br />
Nella zona settentrionale del paese, in cui opera<br />
<strong>Caritas</strong> Armenia, sono molti i villaggi in cui il servizio<br />
idrico non è più agibile da anni. Grazie a tecnici<br />
collegati alla <strong>Caritas</strong> si prevede di ristrutturare<br />
e riattivare due impianti.<br />
Il primo si trova nel villaggio di Voskehask, dove vivono<br />
114 famiglie che da sei anni non possono usufruire<br />
di acqua potabile per il deperimento di due sezioni<br />
del sistema idrico.<br />
> Costo 5 mila euro > Causale MP 75/06 Armenia<br />
Il secondo intervento va a beneficio di due scuole<br />
secondarie della cittadina di Metsavan (7.200 abitanti).<br />
Verranno ristrutturate e ripristinate le tubature<br />
di adduzione di acque bianche e nere; le scuole sono<br />
frequentate da 818 studenti e 86 tra docenti e operatori.<br />
> Costo 5 mila euro > Causale MP 76/06 Armenia<br />
ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 25
internazionale<br />
ACEH, PROVE DI DIALOGO<br />
TRA I DETRITI DELL’ONDA<br />
L<br />
reportage di Alberto Chiara<br />
foto di Nino Leto per Famiglia Cristiana<br />
La ricostruzione della provincia,<br />
epicentro della catastrofe<br />
dello tsunami, ha tempi lunghi.<br />
Intanto, però, gli operatori umanitari<br />
hanno “imposto” la pace tra<br />
ribelli e governo. E anche islam<br />
e cristiani cercano di convivere<br />
26 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />
a normalità desiderata, promessa, ma di fatto<br />
sospesa tra il già realizzato e il non ancora finito<br />
ha lo sguardo mite di Nanda, 9 anni, che a quindici<br />
mesi dallo tsunami vive sotto una tenda nel<br />
campo di Mon Ikeun, a ridosso della città di<br />
Banda Aceh, alla mercé della precarietà e del fango. E tuttavia<br />
al mattino ha ricominciato ad andare a scuola, impeccabile<br />
nella sua divisa che sa di bucato.<br />
Quel tragico 26 dicembre 2004 morirono suo padre e<br />
un suo fratello. Lei e la madre (Zuriah, 45 anni) insieme<br />
con un fratello e una sorella più grandi sono sopravvissuti<br />
alla furia dell’acqua. A Mon Ikeun sono arrivati un paio<br />
di settimane dopo il maremoto. «Gli sfollati che vivono in<br />
tenda sono ancora 30 mila», afferma Wahyu Mukti Kusu-<br />
maningtias, dell’Icmc (International Catholic Migration<br />
Commission). A marzo si sarebbero dovuti chiudere tutti i<br />
campi. Impossibile rispettare la scadenza, nonostante il<br />
fiorire di cantieri dia la misura degli sforzi febbrili delle autorità<br />
e delle tante organizzazioni non governative (tra locali<br />
e straniere ne risultano registrate 438). «Avremo presto<br />
un’abitazione», afferma convinta Nanda, correndo verso i<br />
compagni di quarta elementare. La mamma conferma,<br />
prima di mostrare orgogliosa come ha cercato di ingentilire<br />
la tenda: per pavimento un telo di nylon, cinque orsetti<br />
di peluche appesi a un sostegno, un ventilatore e una<br />
tv con antenna satellitare a rammentare che siamo nell’epoca<br />
hi-tech.<br />
Anticipo di risurrezione<br />
A diversi chilometri di distanza, la gioia trasfigura i 60 anni<br />
e le rughe di Muhammad Daud. Come lui, tanti agricoltori<br />
riscoprono il sorriso. L’intero villaggio di Keuneueu,<br />
nella provincia di<br />
Aceh, nord di Sumatra, è in<br />
festa. «Oggi cominciamo a<br />
raccogliere il riso – afferma<br />
–. I seimila metri quadrati<br />
della mia proprietà producevano<br />
4-5 tonnellate all’anno.<br />
Lo tsunami ha trascinato<br />
fin qui detriti d’ogni<br />
genere, per non parlare<br />
di sale e sabbia. È stata dura<br />
pulire tutto, ma ce l’abbiamo<br />
fatta. La qualità del<br />
mio riso quest’anno non<br />
sarà ottimale. E anche la<br />
produzione sarà limitata.<br />
Ma si ritorna a vivere».<br />
La festa corona l’impegno<br />
congiunto di un’organizzazione<br />
umanitaria e<br />
delle autorità locali. Si tratta,<br />
in fondo, di poche risaie,<br />
32 ettari in tutto; ma per<br />
Keuneueu, per la provincia<br />
di Aceh, per l’Indonesia flagellata dal maremoto è un autentico<br />
anticipo di resurrezione. Una speciale agenzia governativa,<br />
la Badan Rehabilitasi dan Rekonstruksi (Brr),<br />
coordina gli interventi nella provincia e nelle altre zone distrutte.<br />
Le cifre ufficiali dei suoi rapporti disegnano i contorni<br />
della catastrofe: “In pochi istanti sono stati sconvolti<br />
indonesia<br />
800 chilometri di costa (come da Venezia a Taranto, ndr); i<br />
morti accertati sono 130 mila; i dispersi (da considerarsi<br />
ormai morti) 37 mila. Circa 120 mila abitazioni risultano<br />
distrutte. Tra scuole, ambulatori e ospedali, migliaia di locali<br />
sono stati gravemente danneggiati. Alla fine, il costo<br />
complessivo dei progetti volti a riparare i danni sarà di 5,8<br />
miliardi di dollari”. Il governo centrale di Giacarta ha stanziato<br />
2,1 miliardi di dollari. Le autorità locali hanno approvato<br />
spese straordinarie aggiuntive. Il resto lo ha fatto<br />
e lo fa la solidarietà internazionale: governi, agenzie Onu,<br />
ong. <strong>Caritas</strong> in testa.<br />
Heinrich Terhorst, 44 anni, è il capo missione della <strong>Caritas</strong><br />
tedesca. «Nella provincia di Aceh sono presenti –<br />
chiarisce – le <strong>Caritas</strong> di Usa (Crs), Gran Bretagna, Irlanda<br />
(Trocaire), Olanda (Cordaid), Germania, Repubblica Ceca,<br />
Austria e Svizzera; agiamo inoltre in contatto con<br />
Icmc. La situazione politico-sociale a Sumatra è nettamente<br />
migliorata dal 15 agosto, da quando cioè a Helsinki<br />
è stato firmato un accordo<br />
che pone fine agli scontri<br />
tra le forze governative e<br />
quelle ribelli di Aceh».<br />
TRA CORANO<br />
E VANGELO<br />
Fedeli in una<br />
moschea<br />
e in una chiesa<br />
a Sumatra.<br />
L’88% degli<br />
indonesiani<br />
è musulmano,<br />
i cristiani<br />
sono 16 milioni<br />
Più conveniente<br />
che combattere<br />
Il trattato ferma una guerra<br />
civile che durava da<br />
trent’anni e che ha portato<br />
alla morte di 15 mila persone.<br />
Lo tsunami ha fatto<br />
scoprire all’opinione pubblica<br />
mondiale quest’angolo<br />
travagliato del pianeta:<br />
le centinaia di operatori<br />
umanitari si sono trasformati<br />
in una sorta di irresistibile<br />
missione di pace. A<br />
quel punto le parti in lotta<br />
hanno convenuto che far<br />
tacere le armi – oltreché<br />
eticamente doveroso – era<br />
anche più conveniente che<br />
continuare a combattersi. «Il maremoto ha reso la pace<br />
più urgente e ha convogliato su Aceh l’attenzione della<br />
comunità internazionale, unitamente a molti milioni di<br />
dollari in aiuti – ha dichiarato Liem Soei Liong, noto attivista<br />
per i diritti umani, all’agenzia di stampa Misna –. Ma<br />
vanno segnalati anche altri cambiamenti per cui questo<br />
ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 27
internazionale<br />
processo di pace è potenzialmente solido. Innanzitutto il<br />
presidente indonesiano Susilo Bambang Yudhoyono, ex<br />
generale dell’esercito, e il suo vice Yussuf Kalla, ex uomo<br />
d’affari, hanno compreso che il conflitto non aveva soluzione<br />
militare e che le massicce operazioni sul campo<br />
avevano costi troppo alti. Da parte loro i leader del Gam (i<br />
ribelli del Movimento per Aceh libera) hanno compreso<br />
che il futuro per Aceh non è nell’indipendenza politica,<br />
ma nell’integrazione in un nuovo panorama regionale<br />
asiatico in pieno sviluppo economico».<br />
Rinunciando definitivamente alle rivendicazioni secessioniste,<br />
i ribelli hanno avuto in cambio dal parlamento<br />
locale significative autonomie decisionali sulla gestione<br />
dei giacimenti di gas naturale e petrolio, tra i più importanti<br />
dell’Indonesia. Inoltre il Gam ha ottenuto negli accordi<br />
di pace siglati ad agosto<br />
quello che gli era stato<br />
sempre negato, cioè l’autorizzazione<br />
a diventare il<br />
primo partito politico indonesiano<br />
a connotazione<br />
regionale. «In pochi si sono<br />
veramente resi conto di<br />
quali importanti conseguenze<br />
ciò avrà sulla politica<br />
interna indonesiana»,<br />
afferma Liem. La costituzione,<br />
infatti, prevede l’esistenza<br />
solo di partiti nazionali,<br />
temendo che forze<br />
politiche locali rafforzino le<br />
tendenze secessioniste<br />
presenti in più parti del vasto<br />
arcipelago indonesiano.<br />
«Sono ottimista; credo<br />
che l’esempio di Aceh abbia rotto un tabù e possa alla fine<br />
dimostrarsi utile per risolvere altre tensioni, come in<br />
Papua o nelle Molucche», conclude Liem Soei Liong.<br />
Suherman va al mercato<br />
E allora si lavora sodo. A Banda Aceh, nel mercato del pesce<br />
di Lampulo rimesso a nuovo, Suherman, 48 anni,<br />
stringe la mano a Ferry Suferilla, della <strong>Caritas</strong> tedesca.<br />
Suherman coordina una cooperativa di pescatori. La tragedia<br />
gli ha ucciso la moglie e quattro figli su cinque. Lui<br />
stesso è stato sorpreso dall’onda e trascinato per due chilometri.<br />
«Non so come abbia fatto a uscirne vivo», ricorda.<br />
A Lampulo c’era un efficiente mercato coperto; ora la Ca-<br />
28 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />
LA CONVENIENZA DEL DIALOGO<br />
Bambini in una strada di Banda Aceh. Nella provincia<br />
indonesiana gli ingenti aiuti post-tsunami e l’afflusso<br />
di operatori umanitari hanno indotto ribelli indipendentisti<br />
e governo a stringere un accordo<br />
ritas tedesca ha donato camion frigoriferi e box refrigerati<br />
per riavviare trasporto e commercio del pesce. E a<br />
Sengko Pulat o a Lampuyang, due esempi tra i tanti possibili,<br />
la rete <strong>Caritas</strong> ha finito di costruire abitazioni ancora<br />
provvisorie, ma tutto sommato belle, o case definitive,<br />
funzionali e confortevoli. Molti cantieri sono ancora<br />
aperti. Tra i tanti, anche quello che vede crescere la casa<br />
in cui si trasferirà Nanda, con quello che rimane della sua<br />
famiglia.<br />
L’onda lunga degli aiuti è anche un laboratorio per il<br />
possibile dialogo tra islam e cristianesimo. Al riguardo,<br />
l’Indonesia suscita molto interesse. È il quarto stato più<br />
popolato del pianeta (dopo Cina, India e Usa), ma è soprattutto<br />
il primo paese musulmano al mondo: almeno<br />
l’88% dei suoi abitanti (tra 210 e 240 milioni, dipende dalle<br />
stime) crede e prega secondo<br />
il Corano, a fronte di<br />
una minoranza cristiana<br />
composta da circa 10 milioni<br />
di protestanti e oltre 6<br />
milioni di cattolici.<br />
«Guardi qua». Padre<br />
Ferdinando Severi, 71 anni,<br />
romagnolo, missionario<br />
francescano, posa sul tavolo<br />
un giornale datato giovedì<br />
23 marzo 2006. «È il<br />
quotidiano più diffuso nella<br />
provincia di Aceh – assicura<br />
–. La testata la dice<br />
lunga. Si chiama Serambi<br />
Indonesia, in italiano potremmo<br />
tradurre “Il portico<br />
(sottinteso: di La Mecca)<br />
in Indonesia”». Una pausa,<br />
un sorso d’acqua, giusto per reagire ai 28 gradi e all’alto<br />
tasso di umidità che tolgono il fiato. Poi padre Ferdinando<br />
riprende spedito: «Oggi polemizzano con l’agenzia governativa<br />
che coordina il lavoro di ricostruzione ad Aceh<br />
e nell’isola di Nias perché, a loro dire, non persegue con il<br />
vigore necessario la presunta opera di evangelizzazione<br />
compiuta dal personale di alcune tra le tante ong. E dire<br />
che l’agenzia voluta dal governo centrale una commissione<br />
d’inchiesta l’ha pure istituita. Se non viene fuori nulla<br />
è segno che non c’è nulla, non le pare?».<br />
Un’altra pausa. Ancora acqua. «Però io non ribatterò –<br />
continua padre Ferdinando –. In passato ho provato a replicare,<br />
facendo presente il punto di vista mio e della co-<br />
munità cattolica di Banda Aceh. Ma non mi hanno mai<br />
pubblicato un rigo. Il dialogo è quanto meno faticoso.<br />
Tuttavia ho molti amici musulmani. Lo scriva perché è<br />
vero. E dica anche che la situazione non è disperata. Ho<br />
superato momenti più brutti, mi creda».<br />
Vero. L’ultima minaccia di morte, padre Ferdinando se<br />
l’è vista recapitare da un ignaro postino a ridosso di Natale.<br />
La lettera era datata 12 dicembre 2005. Firmata (ma in<br />
modo praticamente illeggibile) da due esponenti del<br />
“Movimento contro la conversione”, al quartultimo capoverso<br />
prometteva guai seri: “La tigre sta ancora dormendo.<br />
Non azzardatevi a svegliarla. Morirete tutti, uno ad<br />
uno. Non permetteremo che convertiate i musulmani.<br />
Ditelo ai preti, ai pastori, alle suore, e anche al Papa (rigorosamente<br />
con la maiuscola, ndr). Aspettiamo di capire<br />
se lasciate perdere. Morirete tutti, uno a uno. E non c’importa<br />
se si tratta di un uomo o di una donna, di un giovane<br />
o un anziano, un indonesiano o uno straniero”.<br />
Padre Ferdinando (che da anni tiene aperti scuole e<br />
un centro per disabili, frequentati principalmente da musulmani)<br />
sdrammatizza con un sorriso. «Abbiamo denunciato<br />
il fatto alla polizia, che ci ha protetto per un paio<br />
di settimane. Non è successo nulla, ringraziando il Cielo.<br />
Credo si tratti di qualche universitario fanatico. Quando il<br />
mondo islamico s’è infiammato contro le vignette danesi<br />
ritenute blasfeme, qui si sono radunati giovani che hanno<br />
scandito slogan ostili, ma niente di più. In Indonesia il fanatismo<br />
islamico, che pure esiste e ha seguaci, non è ap-<br />
indonesia<br />
QUOTIDIANITÀ<br />
E RADICALITÀ<br />
Donne velate<br />
in un mercato<br />
di Banda Aceh.<br />
Da qualche anno<br />
qui si applica<br />
la sharia,<br />
ma senza<br />
le asprezze<br />
di altri paesi<br />
e contesti<br />
islamici<br />
poggiato dalla maggioranza dei musulmani, che è moderata.<br />
Di certo non è appoggiato dal governo centrale».<br />
Sharia, ma senza pena di morte<br />
«È permesso?». Nella stanza entra padre Sebastianus Eka,<br />
42 anni, sacerdote che con padre Ferdinando, tre suore e<br />
mille fedeli costituisce la comunità della parrocchia del<br />
Sacro Cuore di Banda Aceh. La sua storia personale racconta<br />
meglio di tante parole cos’era e cos’è ancora, in<br />
parte, l’Indonesia. «Sono nato a Giava. I miei quattro nonni<br />
erano musulmani. Papà ha aderito al cristianesimo durante<br />
gli studi in una scuola cattolica. Mamma ha chiesto<br />
il battesimo quando ha deciso di sposare mio padre. Tutto<br />
è stato fatto in piena libertà e senza che le famiglie di<br />
origine osteggiassero la scelta».<br />
Continua a essere così? «Oggi i pochi che si convertono<br />
al cristianesimo devono lasciare Aceh – ammette padre<br />
Ferdinando –. Da qualche anno qui si applica la sharia.<br />
In queste settimane stanno mettendo a punto un regolamento<br />
di attuazione. Il governo centrale di Giacarta<br />
ha escluso che possa venire comminata la condanna a<br />
morte o che si possa procedere all’amputazione di arti,<br />
tagliando ad esempio la mano ai ladri. È possibile invece<br />
frustare in pubblico gli adulteri, i giocatori d’azzardo e coloro<br />
che bevono alcolici. Sul finire di gennaio ci hanno<br />
chiesto di compilare un questionario. Chiedeva un parere<br />
su una serie di questioni, dalla possibile estensione dell’obbligo<br />
a tutte le donne, non musulmane incluse, di gi-<br />
ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 29
internazionale<br />
rare velate, all’ipotizzata chiusura di tutti i negozi di alimentari<br />
e dei ristoranti durante i giorni del Ramadan.<br />
Può immaginare cosa ho risposto…».<br />
«La popolazione di Aceh non è pronta all’applicazione<br />
rigorosa della sharia nei modi e nelle forme di altri<br />
paesi – ragiona però H. Ameer Hamzah, teologo musulmano,<br />
giornalista e deputato eletto nel parlamento di<br />
Aceh –. Sarà il governo di Giacarta a dirci fin dove possiamo<br />
spingerci. Tuttavia non verrà mai meno il rispetto per<br />
le altre religioni. Qui in Indonesia siamo sunniti. Esiste un<br />
Islam moderato. Sappiamo discernere tra scelte politiche<br />
compiute dai governi occidentali e genuine ispirazioni<br />
religiose delle popolazioni cristiane. Non dimentichiamo<br />
certi apprezzati gesti di Giovanni Paolo II, come la sua visita<br />
alla moschea di Damasco, o certe sue prese di posizione,<br />
come la sua palese contrarietà alla guerra contro<br />
di Barbara Dettori<br />
Selamat datang di Nias, bevenuta a Nias. Era il<br />
maggio 2005, quando cominciava la mia avventura<br />
nella piccola e sfortunata isola dell’Indonesia,<br />
lungo le coste nord-occidentali di Sumatra.<br />
Ad accogliermi all’aeroporto, padre Raymond<br />
Laia, cappuccino di 42 anni, originario di Nias centrale, la<br />
parte più povera dell’isola.<br />
Padre Raymond ha studiato a Sumatra, poi ha operato<br />
in Germania per undici anni come cappellano negli<br />
ospedali e collaboratore di una radio. Così nel dicembre<br />
2004 il padre provinciale decise di rimandarlo a Nias, per<br />
avviare un’emittente cattolica (i cattolici sono il 20% della<br />
popolazione dell’isola). Ma tre settimane dopo il maremoto<br />
colpì la parte occidentale di Nias e il 28 marzo 2005<br />
un terribile terremoto (magnitudo 8,7) la distrusse quasi<br />
completamente. In un’isola dove c’era pochissimo, il terremoto<br />
ha lasciato il nulla, solo disperazione.<br />
La chiesa locale si è data da fare per prestare soccorso.<br />
Ma già dopo lo tsunami il nunzio apostolico aveva convinto<br />
i vescovi che serviva una <strong>Caritas</strong> per prestare aiuto<br />
l’Iraq. Per noi musulmani di Aceh, la triste vicenda delle<br />
vignette blasfeme non influenza i rapporti con i cristiani<br />
e le ong. Non abbiamo nulla a che spartire con il terrorismo<br />
cosiddetto islamico, frutto perverso delle politiche di<br />
Usa, Gran Bretagna, Francia e Israele. Sappiamo distinguere.<br />
E ci battiamo per una convivenza pacifica».<br />
La partita dei radicali<br />
H. Abdul Rhaffar, 73 anni, è l’imam della piccola moschea<br />
Al Islah (pace), nel villaggio di Lamkruet, fuori città. «Non<br />
c’è nessun scontro di civiltà, nessun conflitto – considera<br />
–. Qui, dopo la tragedia dello tsunami, la <strong>Caritas</strong> ha ricostruito<br />
i nostri luoghi di preghiera e le nostre scuole coraniche.<br />
Siamo loro riconoscenti. Accogliamo volentieri coloro<br />
che vengono ad aiutarci senza secondi fini. La violenza?<br />
L’Islam insegna solo cose buone. Semmai sono i<br />
Come Raymond dopo il sisma<br />
è diventato un “uomo nuovo”<br />
Un prete cappuccino. Incaricato di avviare la <strong>Caritas</strong> sull’isola di Nias.Tante<br />
incomprensioni. Ma la voglia di far rinascere la propria terra dà i primi frutti<br />
in maniera organizzata e professionale. Eppure, al mio<br />
arrivo a Nias, tutto ciò che ho trovato è stato un ufficio di<br />
due metri per tre, equipaggiato di un vecchio computer;<br />
due impiegati senza guida; un direttore assente perché<br />
occupato da mille impegni in diocesi. E padre Raymond.<br />
Il quale era stato nominato segretario della <strong>Caritas</strong> di<br />
Nias, ma, mi confessò, non sapeva cosa volesse dire. All’inizio<br />
doveva elemosinare i soldi dal parroco per le spese<br />
dell’organismo. Non aveva auto per spostarsi, gli impiegati<br />
non gli obbedivano. Pochi a Nias lo conoscevano,<br />
nessuno gli dava corda. E soprattutto il trauma del terremoto,<br />
che colpisce tutti indiscriminatamente, gli toglieva<br />
l’energia di pensare a prospettive future.<br />
Al lavoro per lo sviluppo<br />
Ma il futuro dell’isola non poteva essere solo nelle mani<br />
dei missionari tedeschi o delle ong internazionali. I Nias<br />
sono oggi un popolo provato da tante vicissitudini, ma<br />
un tempo la loro è stata una terra di grande cultura e di<br />
grande fascino antropologico ed etnologico. La cultura è<br />
singoli che commettono iniquità».<br />
Forte di oltre 30 milioni di aderenti, il Nahdlatul Ulama<br />
(Nu) è l’organizzazione islamica più grande in Indonesia<br />
e nel mondo. Il suo leader storico, Abdurrahman<br />
Wahid, ha testimoniato più volte l’indole moderata e fautrice<br />
del dialogo propria del movimento. Di recente s’è<br />
fatto fischiare a Giacarta dai duri, quando ha difeso una<br />
scuola gestita da suore, dicendo che i cattolici sono fratelli,<br />
non nemici. Nell’isola di Nias, il coordinatore di Nahdlatul<br />
Ulama è A. Majid, 44 anni. Anch’egli sottolinea che<br />
«la benedizione di Dio abbraccia tutti, non solo i musulmani».<br />
E aggiunge: «Condanniamo la violenza. Tutta.<br />
Senza sconti».<br />
Quella per la tolleranza religiosa è ovviamente una<br />
partita che va ben oltre l’Indonesia. Se la convivenza resiste<br />
qui, l’Islam radicale, concordano gli osservatori più at-<br />
stata in gran parte spazzata via dai missionari protestanti,<br />
che hanno fatto dell’isola un unicum in Indonesia, con<br />
la sua maggioranza cristiana.<br />
Così, con padre Raymond, abbiamo cominciato un<br />
percorso di crescita, fatto di mille ostacoli, in cui si ha<br />
spesso l’impressione di fare cinque passi avanti e dieci indietro.<br />
Un percorso in cui non è stato facile mettere a fuoco<br />
lo spirito <strong>Caritas</strong>, anche a causa delle critiche e di alcune<br />
gelosie («Perché un progetto in quella parrocchia, e<br />
non nella mia?»). Padre Raymond, nominato nel frattempo<br />
vicedirettore, dopo un periodo di scoraggiamento ha<br />
però visto arrivare i primi risultati e i primi apprezzamenti.<br />
L’unico centro per bambini disabili rimesso in<br />
piedi, le case per le vittime dello tsunami ricostruite, un<br />
programma di borse di studio interamente gestito da lui:<br />
indonesia<br />
tenti, avrà perso la sua battaglia in Asia. E forse in tutto il<br />
mondo musulmano. «A Nias ci si limita a vivere insieme<br />
senza disturbarsi a vicenda. A Sibolga le cose vanno meglio:<br />
gli esponenti delle religioni si trovano una volta ogni<br />
due mesi; se sorge qualche problema, le riunioni si fanno<br />
più frequenti. Finalmente ci sono musulmani che denunciano<br />
con coraggio gli atti di violenza e terrorismo<br />
fatti da chi si dice islamico», interviene monsignor Barnabas<br />
Winkler, amministratore apostolico della diocesi di<br />
Sibolga. E mentre diversi settori della chiesa cattolica<br />
prendono le distanze dall’iperattivismo delle sette cristiane<br />
di stampo fondamentalista, tutti si augurano che non<br />
si debbano più piangere vittime. O, peggio ancora, martiri<br />
veri e propri. Come le tre ragazze (di 15, 16 e 19 anni)<br />
sgozzate a Poso, nel Sulawesi centrale. Era il 29 ottobre<br />
2005. La loro colpa? Essere semplicemente cristiane.<br />
PADRE RAYMOND<br />
E I SUOI RAGAZZI<br />
A sinistra, operatori e volontari<br />
di <strong>Caritas</strong> Nias.<br />
A destra, padre Raymond Laia,<br />
direttore della <strong>Caritas</strong> sull’isola<br />
indonesiana colpita da un grave<br />
terremoto nel marzo 2005<br />
altrettanti motivi per ritenere non vana la fatica di tanti<br />
mesi di lavoro.<br />
Oggi, a un anno dal terremoto, padre Raymond è il capufficio<br />
della <strong>Caritas</strong> diocesana a Nias. Tutti lo conoscono<br />
e lo rispettano. La <strong>Caritas</strong> ha un bella sede dove tanta<br />
gente viene a chiedere aiuto. È inserita nella rete di ong e<br />
organizzazioni internazionali che lavorano per la ricostruzione<br />
e lo sviluppo. Gestisce sei progetti, un altro sta<br />
per partire. Quando qualche missionario ancora chiede<br />
perché non si distribuiscono i soldi alla gente, padre Raymond<br />
spiega con passione che non si fa assistenzialismo,<br />
ma si lavora per uno sviluppo sostenibile. E qualcuno capisce.<br />
Sono processi lenti, ma cominciano a far breccia.<br />
Oggi padre Raymond crede nella <strong>Caritas</strong> e nell’impatto<br />
forte che potrà avere in futuro, quando, finita la ricostruzione,<br />
comincerà a operare per lo sviluppo comunitario.<br />
Me lo ripeteva sempre: «Me lo sono scelto io, il nome<br />
Raymond, quando sono diventato cappuccino. Da Raimundus,<br />
“uomo nuovo”». E un uomo nuovo è diventato.<br />
Un uomo <strong>Caritas</strong>, adesso.<br />
30 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 31
internazionale<br />
32 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />
dopo lo tsunami<br />
Pad e Pradeep, vittime innocenti<br />
di una guerra che non si arresta<br />
Sono saltati su una mina il 10 aprile. Lavoravano per i minori in difficoltà con<br />
<strong>Caritas</strong> Jaffna: morti per una violenza che continua a dilaniare lo Sri Lanka<br />
di Francesco Paletti<br />
Si chiamavano Pathmanathan Shanmugaratnam e<br />
Salvendra Pradeepkumar, 55 anni e due figli il primo,<br />
29 anni il secondo. Per tutti, negli uffici di Hudec<br />
- <strong>Caritas</strong> Jaffna, erano, semplicemente, Pad e<br />
Pradeep. Sono morti la mattina del 10 aprile, ammazzati<br />
da una mina di tipo claymore, indirizzata a una<br />
camionetta dell’esercito srilankese. Andavano in auto a<br />
Kilinochchi, nella uncleared zone, l’area controllata dalle<br />
forze ribelli dell’Ltte (le cosiddette Tigri Tamil), un territorio<br />
devastato da venti anni di guerra civile e duramente<br />
colpito dallo tsunami del dicembre 2004. In quella zona<br />
si trovano alcune delle strutture d’accoglienza<br />
per orfani e minori in difficoltà<br />
seguite dal “Children Programme”,<br />
il programma per il quale lavoravano<br />
i due operatori di <strong>Caritas</strong> Jaffna,<br />
supportato anche da <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong><br />
e da alcune <strong>Caritas</strong> diocesane e<br />
delegazioni regionali d’Italia.<br />
Chi ha collocato e azionato la mina,<br />
ovviamente, non ha nome né vol-<br />
to: l’attentato non è stato rivendicato,<br />
come quasi sempre accade da<br />
trent’anni. Ma che dietro questa ennesima<br />
tragedia srilankese vi possano essere<br />
le Tigri è decisamente più di un sospetto: Tamilnet, la<br />
velina dell’Ltte, ricostruendo l’episodio ha provato ad addossare<br />
una parte di responsabilità all’imperizia del conducente,<br />
“accusato” di aver tentato il sorpasso del convoglio<br />
militare proprio nel momento in cui è stata azionata la mina,<br />
una mossa che nella uncleared zone non si deve mai fare.<br />
E, infatti, non c’è stato alcun sorpasso, come ha chiarito<br />
prontamente il nunzio apostolico monsignor Mario Zenari:<br />
il veicolo di Hudec, vessillo dell’organizzazione ben in vista,<br />
procedeva in senso contrario sulla A9, la strada principale,<br />
percorsa ogni giorno da tutti i convogli umanitari.<br />
Sangue nonostante i negoziati<br />
Con Pad e Pradeep sono stati ammazzati anche cinque<br />
MORTI E RINASCITE<br />
Inaugurazione di case ricostruite dopo<br />
lo tsunami in Sri Lanka. Ma la guerra<br />
continua a seminare lutti nell’isola<br />
soldati dell’esercito srilankese, obiettivo della mina. Feriti,<br />
invece, il conducente dell’auto (che ha perso un occhio) e<br />
l’altro operatore di <strong>Caritas</strong> Jaffna. Altre sette vittime di una<br />
striscia di sangue che non accenna ad arrestarsi, nonostante<br />
il cessate il fuoco stipulato nel 2002 e i negoziati attualmente<br />
in corso: sono circa 65 mila le vittime dall’inizio<br />
del conflitto, oltre duecento da gennaio all’11 aprile,<br />
quando a Trincomalee un ordigno a frammentazione ha<br />
fatto saltare un autobus della marina militare srilankese,<br />
uccidendo dodici persone e ferendone otto.<br />
Ma Pad e Preedep erano due tamil, operatori di un’organizzazione<br />
locale che da vent’anni<br />
opera sia nella zona in mano alle Tigri<br />
che in quella controllata dal governo,<br />
senza essere mai stata coinvolta in incidenti<br />
legati al conflitto. Un elemento<br />
che ha sconvolto lo staff della <strong>Caritas</strong><br />
diocesana e ha scosso anche una<br />
città come Jaffna, assuefatta alla violenza<br />
da decenni di guerra.<br />
Ferme le parole di condanna del<br />
vescovo, Thomas Savundaranayagam,<br />
durante i funerali: «Invito tutti a<br />
riflettere, anche chi crede in certe forme<br />
di lotta, perché questa tragedia,<br />
più di altre, è rivolta contro il popolo Tamil». Dello stesso<br />
tenore la presa di posizione del segretario generale di <strong>Caritas</strong><br />
Internationalis, Duncan MacLaren: «Anche in zone<br />
di conflitto l’uccisione di esseri umani non è mai accettabile;<br />
quando a morire sono civili innocenti impegnati nella<br />
ricostruzione di un paese devastato dalla guerra, ci troviamo<br />
di fronte a un vero e proprio oltraggio all’umanità».<br />
Ma soprattutto conta la reazione della città: per quanto<br />
scossa, si è unita attorno alle famiglie delle vittime e a<br />
Hudec - <strong>Caritas</strong> Jaffna. Ai funerali hanno partecipato tantissime<br />
organizzazioni della società civile del distretto, i<br />
bambini e gli educatori delle strutture d’accoglienza in cui<br />
erano impegnati i due operatori e moltissimi cittadini. Segni<br />
di speranza, ai bordi di una tragedia.<br />
internazionale<br />
guerre alla finestra<br />
STRESS DOPO IL TRAUMA,<br />
LA MEDICINA È CONDIVIDERE<br />
di Paolo Beccegato<br />
Milioni di morti e feriti costituiscono solo una parte delle vittime<br />
che vengono causate da guerre e violenze. Più di un miliardo<br />
sono i civili che hanno subito, in oltre cinquanta paesi negli ultimi<br />
trent’anni, traumi psicologici spesso devastanti, i cui effetti perdurano<br />
anche per decenni. La guerra è sporca: in nessuna parola, in<br />
nessuna metafora, in nessuna etichetta diagnostica può essere condensata<br />
la cifra dell’immenso dolore, spesso silenzioso e dimenticato,<br />
che accompagna tutte le guerre di tutti i tempi. Perché, diceva Erodoto<br />
mezzo millennio prima di Cristo, “i grandi dolori sono muti”.<br />
Le invisibili “ferite dell’anima” e i<br />
traumi psichici colpiscono da sempre<br />
i sopravvissuti di una guerra, soldati e<br />
civili. Tuttavia, solo nel 1980 è stata introdotta<br />
la categoria del “Disturbo post-traumatico<br />
da stress” nell’edizione<br />
del manuale diagnostico dell’Associazione<br />
psichiatrica americana. In<br />
vent’anni, conosciuta con l’acronimo<br />
inglese Ptsd, questa nozione diagnostica<br />
si è perfezionata e diffusa per designare<br />
le conseguenze psichiatriche<br />
non solo dei traumi delle guerre, ma<br />
anche delle catastrofi naturali e antropiche,<br />
degli abusi sessuali, delle rapine, degli incidenti, con<br />
una diffusione che, ad esempio, negli Usa è stimata attorno<br />
all’8% della popolazione.<br />
Acuto e cronico<br />
Il trauma colpisce persone che sono state esposte a un<br />
evento traumatico che ha implicato morte o minaccia di<br />
morte o gravi ferite all’integrità fisica propria o altrui. In<br />
tale contesto la persona ha provato paura intensa, sentimenti<br />
di impotenza od orrore. L’evento traumatico viene<br />
rivissuto in maniera persistente dalla persona che l’ha<br />
subito o ne è stata testimone, attraverso ricordi spiacevoli<br />
che comprendono immagini, pensieri e percezioni; sogni<br />
ricorrenti dell’evento traumatico; reazioni comportamentali<br />
come se l’episodio si ripetesse; disagio psicologi-<br />
Tra le vittime di guerre<br />
e violenze ci sono anche<br />
milioni di persone che<br />
si portano appresso<br />
anche per decenni<br />
traumi psichici<br />
laceranti. La loro forma<br />
clinica è codificata solo<br />
dal 1980. Le risposte<br />
mediche non bastano<br />
co intenso di fronte a situazioni che<br />
assomigliano o simbolizzano quelle<br />
sperimentate; reazioni fisiologiche<br />
che simbolizzano alcuni aspetti dell’evento<br />
traumatico. La persona cerca<br />
in tutti i modi di evitare gli stimoli<br />
associati con il trauma. Il quale causa<br />
una marcata riduzione dell’interesse<br />
e della partecipazione ad attività<br />
significative, sentimenti di distacco<br />
o di estraneità agli altri, ridotta<br />
capacità affettiva, riduzione delle<br />
prospettive future di una vita normale.<br />
La persona prova difficoltà ad addormentarsi<br />
o a mantenere il sonno,<br />
irritabilità e scoppi di collera, difficoltà<br />
a concentrarsi, ipervigilanza,<br />
esagerate risposte di allarme. Il disturbo<br />
provoca anche disagio clinicamente<br />
significativo o menomazione<br />
del funzionamento sociale, lavorativo<br />
o di altre aree importanti. Può<br />
condurre persino al suicidio.<br />
La durata dei sintomi deve essere<br />
superiore a un mese. Se il dolore<br />
dura meno di tre mesi si considera acuto; dopo i tre mesi<br />
si considera cronico. Ci può essere anche un disturbo<br />
a esordio ritardato, dopo vari mesi dall’evento.<br />
I professionisti della medicina, della psicologia e<br />
della psichiatria occidentale non hanno medicine magiche<br />
per far guarire dai traumi psichici della guerra, ferite<br />
che lasciano un segno profondo e indelebile nelle<br />
persone e nelle comunità. Ma, insieme ad altri uomini<br />
di buona volontà, professionisti e volontari, religiosi e<br />
gente comune, possono prendersi cura delle persone<br />
traumatizzate dagli orrori delle guerre, condividendo il<br />
peso del loro dolore, accompagnandone il lento lavoro<br />
di elaborazione del lutto, trasformare il trauma subito in<br />
testimonianza per la pace. È anche questo il lavoro della<br />
<strong>Caritas</strong>, in tante parti del mondo.<br />
ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 33
internazionale<br />
casa comune<br />
STRATEGIA DA RILANCIARE,<br />
MA SERVE UN’“ANIMA SOCIALE”<br />
di Gianni Borsa inviato a Bruxelles dell’agenzia Sir<br />
La concorrenza sui mercati mondiali accelera il passo; Cina e India<br />
non guardano in faccia a nessuno e i mercati europei rischiano<br />
una “invasione pacifica” di prodotti d’oriente o battenti bandiera<br />
americana. Per rispondere alla sfida, l’Unione europea ha inventato nel<br />
2000 la Strategia di Lisbona, tesa a favorire la competitività e basata su<br />
un mix di ricerca, innovazione e formazione. Ma l’Europa non può limitarsi<br />
alla battaglia produttiva e commerciale. Deve promuovere risultati<br />
sui versanti dell’occupazione “di qualità”, della coesione sociale<br />
e della sostenibilità ambientale.<br />
Alla Strategia di Lisbona era dedicato<br />
il summit dei 25 capi di stato e di<br />
governo svoltosi a fine marzo a<br />
Bruxelles. Qualche passo avanti è stato<br />
compiuto (la “Strategia” finora era<br />
più o meno rimasta sulla carta). Ma è<br />
stata l’emergenza energetica a tenere<br />
banco durante il vertice Ue e si è più<br />
che mai imposta la convinzione che<br />
un unico mercato e un’unica politica<br />
energetica europea sono indilazionabili.<br />
Gli stati dell’Unione si sono impegnati<br />
in azioni efficaci sui temi del risparmio<br />
e dell’efficienza energetica, per la promozione di<br />
fonti rinnovabili e dei biocarburanti; nessun accordo, invece,<br />
sul nucleare (ciascuno proseguirà per la sua strada, chi<br />
a produrre e utilizzare energia atomica, chi a escluderla).<br />
Nel campo della ricerca, i 25 hanno dato il via libera al<br />
Settimo programma quadro Ue e al Programma per l’innovazione.<br />
Allo stesso tempo istruzione e formazione si<br />
confermano “fattori critici nel miglioramento della competitività<br />
e della coesione sociale”. I leader politici hanno<br />
poi ritenuto urgente sbloccare il potenziale delle imprese,<br />
soprattutto di piccole e medie dimensioni, per accrescere<br />
la forza d’urto del settore manifatturiero (sgravi fiscali,<br />
riduzione della burocrazia, investimenti per infrastrutture).<br />
Altro punto irrinunciabile – almeno nelle intenzioni<br />
– è la promozione di nuovi posti di lavoro, con<br />
34 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />
I leader dei 25 hanno<br />
fatto il punto<br />
sull’applicazione degli<br />
accordi di Lisbona in<br />
materia di concorrenza<br />
sui mercati globali.<br />
Qualche passo avanti<br />
per l’economia.<br />
Ma la coscienza<br />
europea, per rafforzarsi,<br />
ha bisogno d’altro<br />
un occhio di riguardo alle “categorie<br />
sensibili”: giovani, donne, disabili,<br />
immigrati.<br />
Concertare risposte<br />
Fin qui impegni e promesse. Una cosa<br />
è certa: i mercati mondiali non faranno<br />
sconti alle pigrizie della Ue e<br />
tanto meno lasceranno spazio di manovra<br />
a 25 sistemi economici nazionali.<br />
Ciò che però non è emerso dal<br />
vertice è l’“anima sociale” cui l’Europa<br />
non può più rinunciare. D’accordo<br />
concorrenza e mercati, ma non<br />
sarà solo attorno a essi che si costruirà<br />
la comunità sovranazionale,<br />
“unita nella diversità”, sognata dai<br />
padri fondatori e delineata nel Trattato<br />
costituzionale, siglato a Roma nell’ottobre<br />
2004 e oggi in stand by dopo<br />
il “no” di francesi e olandesi.<br />
Le banlieue parigine in rivolta dimostrano<br />
che c’è bisogno di altro.<br />
Così come chiedono altro i disoccupati<br />
del Mezzogiorno italiano e quelli<br />
delle regioni minerarie dell’Est, le giovani coppie tedesche<br />
che non hanno i mezzi per potersi sposare e le famiglie di<br />
Bucarest costrette alla coabitazione…<br />
È positivo che da qualche tempo i cittadini europei,<br />
con i loro problemi e le loro attese, bussino alle porte delle<br />
istituzioni di Bruxelles e Strasburgo: ne fanno fede le<br />
manifestazioni davanti all’Europarlamento contro la Direttiva<br />
servizi, o quelle dei portuali o degli agricoltori. Matura,<br />
anche per questa strada, una coscienza europea<br />
(purché la democrazia comunitaria non diventi ostaggio<br />
delle manifestazioni di piazza). A maggior ragione l’Ue<br />
deve assumersi la responsabilità di concertare risposte<br />
adeguate, in accordo con gli stati membri e nel rispetto<br />
dei principi di solidarietà e di sussidiarietà, che sono alla<br />
base del processo di integrazione continentale.<br />
internazionale<br />
DEBITO, PESO CHE RESTA<br />
MA IN ZAMBIA ORA SI SPERA<br />
di Massimo Pallotino<br />
Nella definizione dei temi fondamentali per un’agenda di riduzione dell’ingiustizia e della<br />
povertà nel mondo, il tema del debito merita ancora di essere considerato come prioritario.<br />
Dopo la grande mobilitazione dell’anno del Giubileo, l’attenzione dell’opinione<br />
pubblica è stata sollecitata negli ultimi anni da iniziative spesso più ad effetto che di reale<br />
efficacia. Ma in termini concreti, il totale del debito dei paesi in via di sviluppo, che nel<br />
1999, prima dell’avvio dell’iniziativa “rinforzata” Hipc (Heavily Indebted Poor Countries è il nome<br />
dell’iniziativa internazionale per la cancellazione del debito, ndr) era pari a 2.347 miliardi di dollari,<br />
è oggi (dato aggiornato al 2004) pari a 2.597 miliardi; i paesi dell’Africa subsahariana, che nel 1999<br />
pagavano 13,6 miliardi di dollari per rimborsare questo debito, ne hanno pagati nel 2004 15,23.<br />
Questi dati bastano a dare una prima indicazione sullo stato dei fatti: l’iniziativa internazionale<br />
di cancellazione del debito non ha risolto il problema. Ha semmai contribuito a evitare una situazione<br />
ancora più pesante, senza però trovare la via di uscita sostenibile invocata come una delle ra-<br />
gioni per procedere alla cancellazione. Ora si tratta di fare<br />
ogni sforzo perché le iniziative già adottate siano portate<br />
avanti in modo efficace e perché vengano introdotti correttivi<br />
per gli elementi che ne limitano l’efficacia. In questo,<br />
l’attenzione della società civile è fondamentale, se si vuole<br />
mantenere una giusta tensione su una questione che continua<br />
a influire in modo drammatico sulle condizioni di vita<br />
della maggior parte della popolazione mondiale.<br />
Difficoltà dai governi<br />
L’iniziativa di conversione del debito promossa dalla<br />
chiesa italiana, attraverso la Fondazione Giustizia e Solidarietà<br />
(nella quale sono coinvolti numerosi soggetti, tra<br />
cui <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>), è stata portata avanti con un impegno<br />
faticoso ma efficace, in continuità con la campagna<br />
ecclesiale per la riduzione del debito, lanciata nell’anno<br />
giubilare a seguito del pressante appello di Giovanni Paolo<br />
II. Questa iniziativa ha trovato le sue prime concretizzazioni<br />
in Guinea (dove il fondo di conversione del debito<br />
è attivo dal giugno 2003) ed è giunta anche in Zambia<br />
a una fase operativa.<br />
Proprio in Zambia la mancanza di un accordo tra i<br />
paesi debitori ha impedito a lungo di negoziare gli accordi<br />
bilaterali di cancellazione del debito e anche successivamente<br />
i due governi (zambiano e italiano) hanno frapposto<br />
numerose difficoltà all’ipotesi di creare un fondo di<br />
africa<br />
ANCORA<br />
PRIGIONIERI<br />
Una famiglia<br />
in Zambia, paese<br />
che, come molti<br />
altri stati poveri,<br />
soprattutto in Africa,<br />
continua a risentire<br />
in modo rilevante<br />
del peso<br />
del debito estero<br />
Le iniziative internazionali hanno<br />
impedito l’ulteriore esplosione del debito<br />
estero dei paesi poveri, ma non ne hanno<br />
ridotto la portata. Primi risultati<br />
dell’iniziativa della chiesa italiana<br />
in Zambia, dopo quelli in Guinea<br />
ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 35
internazionale<br />
Evoluzione del debito internazionale (dati in mld di dollari)<br />
1982 1996 1999 2001 2003 2004<br />
Paesi in via di sviluppo<br />
Debito estero totale [DET] 715,79 2044,97 2346,64 2260,52 2554,14 2597,06<br />
Servizio del debito pagato 108,38 262,55 352,22 365,52 419,77 373,80<br />
di cui interessi 62,85 96,15 113,88 110,33 101,18 103,14<br />
Asia orientale e Pacifico [DET] 88,17 494,03 538,61 501,98 525,54 536,54<br />
Europa e Asia centrale [DET] 88,46 368,32 503,45 507,78 676,00 728,47<br />
America Latina e Caraibi [DET] 333,14 638,47 771,83 749,18 779,63 773,46<br />
Medio Oriente Nord Africa [DET] 82,33 163,18 155,80 142,14 158,83 155,47<br />
Asia Meridionale [DET] 47,35 149,62 161,99 156,25 182,79 184,72<br />
Africa sub-sahariana [DET] 76,34 231,35 214,96 203,19 231,36 218,41<br />
conversione del debito, come nel caso della Guinea. Per<br />
questa ragione, alla fine del 2004, il consiglio di amministrazione<br />
della Fondazione aveva stabilito di aprire un<br />
Fondo di riduzione della povertà, in accordo con la chiesa<br />
zambiana e amministrato secondo gli stessi criteri inizialmente<br />
individuati per la gestione del Fondo di conversione<br />
del debito, cioè con una larga rappresentanza della società<br />
civile zambiana. L’idea era che l’avvio unilaterale di<br />
questo fondo servisse anche come stimolo ai due governi.<br />
Dell’ammontare destinato dalla Fondazione allo Zambia,<br />
pari a 10 milioni di euro, la metà è stata in un primo momento<br />
attribuita a questo fondo, in attesa di vedere se i<br />
due governi avrebbero dato seguito all’impegno circa il<br />
monitoraggio delle risorse liberate dalla cancellazione.<br />
Rendere conto ai cittadini<br />
Oggi, a un anno di distanza, entrambe le prospettive sembrano<br />
aver trovato concretizzazione: il Fondo Giustizia e<br />
Solidarietà per la riduzione della povertà (Jsprf) è attivo e<br />
ha già identificato i primi progetti cui offrire un sostegno<br />
finanziario; i due governi hanno firmato nel gennaio 2006<br />
un’intesa per la costituzione di un comitato di informazione,<br />
che avrà il compito di mettere a disposizione la documentazione<br />
riguardante l’impiego delle risorse liberate<br />
in seguito alla cancellazione del debito da parte del governo<br />
italiano (ai sensi della legge 209 del 2000) e in cui siederanno<br />
i rappresentanti dei due governi, un rappresentante<br />
della fondazione e un rappresentante della struttura<br />
operativa della chiesa zambiana, come garanzia di collegamento<br />
con la società civile locale.<br />
Quest’ultima circostanza è significativa: il monitoraggio<br />
dell’uso delle risorse liberate con la cancellazione del<br />
debito è stato, negli anni scorsi, materia di accesa discussione<br />
nel dibattito pubblico in Zambia e ora per la prima<br />
volta i rappresentanti della società civile vengono coinvol-<br />
36 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />
Fonte: elaborazione su dati della Banca Mondiale<br />
ti nello scambio di informazioni tra<br />
governi. Si tratta di un risultato politicamente<br />
importante: si afferma infatti<br />
il principio per cui è ai cittadini, in<br />
primo luogo dei paesi che beneficiano<br />
della cancellazione, che occorre<br />
rendere conto dell’uso delle risorse liberate.<br />
Un concetto di accountability<br />
verso il basso, ben diverso dalle condizioni<br />
unilateralmente poste dai governi<br />
creditori o dalle istituzioni finanziarie<br />
internazionali.<br />
Società civile coinvolta<br />
Il comitato di informazione non ha collegamento funzionale<br />
con il Fondo di riduzione della povertà istituito in collaborazione<br />
con la chiesa zambiana, ma le due iniziative<br />
rispondono allo spirito originario della campagna giubilare,<br />
in particolare all’idea di un coinvolgimento diretto della<br />
società civile nella trasformazione della schiavitù del debito<br />
in nuove opportunità di sviluppo. Proprio in seguito<br />
alla costituzione del comitato di informazione, il consiglio<br />
di amministrazione della Fondazione ha avviato la riflessione<br />
sull’impiego della seconda metà dei 10 milioni.<br />
Pochi mesi di attività del Jsprf sono sufficienti per tracciare<br />
un primo bilancio. Il comitato di gestione è presieduto<br />
da una rappresentante della chiesa zambiana e<br />
comprende rappresentanti delle principali reti di società<br />
civile, inclusa la più grande federazione di produttori agricoli<br />
(i piccoli contadini sono il primo “target sociale” delle<br />
attività del fondo); nel comitato siedono anche due rappresentanti<br />
delle espressioni della chiesa italiana in Zambia<br />
(missionari e volontari). Il comitato, riunitosi per la<br />
prima volta nel novembre 2005, ha dato impulso all’intervento<br />
nei primi quattro distretti (Petauke, Kasempa, Isoka<br />
e Gwembe). È in corso una riflessione che potrebbe condurre<br />
all’allargamento delle aree coperte, senza tuttavia<br />
venir meno a un principio di concentrazione delle azioni,<br />
necessario per evitare interventi a pioggia, poco efficaci e<br />
di difficile gestione. Al momento sono stati finanziati 9<br />
progetti per 485 mila euro: si tratta soprattutto di progetti<br />
di supporto alle attività economiche (produzione, stoccaggio,<br />
trasformazione e commercializzazione di prodotti<br />
agricoli), ma non mancano iniziative di microfinanza e<br />
di miglioramento dei servizi scolastici. Oltre ai progetti già<br />
approvati, sono oltre 160 le proposte depositate da diversi<br />
attori della società civile e si può prevedere nei prossimi<br />
mesi un’accelerazione nel ritmo degli stanziamenti.<br />
La scommessa di Diakolidou,<br />
società civile protagonista<br />
Un villaggio di foresta ai margini della Guinea. Una comunità penalizzata dal<br />
debito e dalle importazioni dall’estero. Che prova a reagire, grazie al Foguired...<br />
di Stefano Verdecchia<br />
Diakolidou è un villaggio agli estremi confini della<br />
Guinea. Si trova nella regione forestale del<br />
paese, vicino alle frontiere con Costa d’Avorio e<br />
Mali. Per raggiungerlo, durante la stagione secca,<br />
si percorrono lunghe piste polverose di terra<br />
rossa. Nonostante la distanza dalla capitale Conakry, i<br />
produttori di riso di Diakolidou hanno appreso e seguito<br />
con particolare attenzione le notizie in arrivo dalla capitale<br />
riguardo lo sciopero nazionale a oltranza, cominciato il<br />
primo marzo. A Diakolidou s’ignorano i giochi politici che<br />
africa<br />
MAI PIÙ SCHIAVI Giovani zambiani in un’area rurale. Per lo sviluppo, occorre puntare sui piccoli contadini<br />
vedono protagonisti sindacati, partiti e istituzioni e contribuiscono<br />
a rendere il paese sempre più instabile, ma<br />
una cosa è certa: nel villaggio in mezzo alla foresta si ha la<br />
piena consapevolezza dell’aumento costante e incontrollato<br />
dei prezzi dei beni al consumo. E non si sottovaluta<br />
nemmeno l’aumento esponenziale delle importazioni di<br />
riso e di olio di palma dal sud-est asiatico o di cipolle e patate<br />
dall’Olanda, nonostante la Guinea sia un forte produttore<br />
di tutti questi prodotti, base della dieta giornaliera<br />
delle famiglie guineane.<br />
ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 37
internazionale<br />
Evoluzione del debito nei due Paesi africani<br />
oggetto dell’iniziativa italiana<br />
(dati in mililoni di dollari)<br />
1982 1996 2001 2004<br />
Guinea (Hipc: decision point)<br />
Debito estero totale 1365,60 3240,30 3254,30 3538,40<br />
Servizio del debito pagato 88,90 113,50 105,40 171,80<br />
Zambia (Hipc: completion point)<br />
Debito estero totale 3658,00 7060,10 6069,10 7245,80<br />
Servizio del debito pagato 333,70 250,70 185,00 419,40<br />
38 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />
Fonte: elaborazione su dati della Banca Mondiale<br />
La politica indiscriminata di<br />
importazione di prodotti-chiave<br />
strozza i contadini di Diakolidou<br />
e non permette loro di potenziare<br />
la propria produzione agricola,<br />
dunque l’autosufficienza alimentare<br />
del villaggio. E c’è di più: ogni<br />
contadino di Diakolidou ha sulle<br />
proprie spalle, come accade a<br />
ciascuno dei suoi connazionali,<br />
un debito immobilizzante, che<br />
paga ogni giorno attraverso una mancanza di opportunità<br />
per il miglioramento delle proprie condizioni di vita<br />
e di quelle della propria famiglia, a cominciare da educazione<br />
e salute.<br />
Fondo guineano-italiano<br />
Diakolidou è solo uno delle migliaia di insediamenti rurali<br />
della Guinea, che nonostante tutto dimostrano una adattabilità<br />
notevole ai rovesci della natura e della storia, ovvero<br />
una capacità arcaica di gestire piogge, stagioni secche,<br />
invasioni di cavallette, ma anche effetti dell’aggiustamento<br />
strutturale, del debito estero, di politiche commerciali irresponsabili.<br />
Diakolidou però ha avuto anche l’opportunità di beneficiare<br />
di una concreta leva di sviluppo, resa disponibile dal<br />
Foguired (Fonds Guineo-Italien de Reconversion de la Dette,<br />
Fondo guineano-italiano di riconversione del debito).<br />
Creato nel 2003 per iniziativa della Conferenza episcopale<br />
italiana tramite la Fondazione Giustizia e Solidarietà, il Foguired<br />
è lo strumento che sta lavorando, grazie alla compartecipazione<br />
di soggetti istituzionali e della società civile<br />
guineani, per tradurre in progetti di sviluppo comunitario<br />
e contro la povertà i fondi raccolti in Italia in vista del Giubileo<br />
del 2000 e il corrispettivo messo a disposizione dal<br />
governo guineano. Le sue disponibilità sono pari a 7,5 milioni<br />
di euro; 1,5 sono versati dal governo guineano (in va-<br />
africa<br />
luta locale) e corrispondono a una parte del debito verso<br />
l’Italia cancellato dall’accordo bilaterale, i restanti 6 sono<br />
versati da Giustizia e Solidarietà. Finora sono stati approvati<br />
dal Foguired 200 progetti, per<br />
RIPARTIRE<br />
2,2 milioni di euro; sono in istrut-<br />
DAL BASSO<br />
toria avanzata circa 500 altri pro-<br />
Un progetto<br />
getti (per altri 2 milioni di euro).<br />
rurale finanziato<br />
in Guinea<br />
Ulteriori iniziative sono state già<br />
dal Foguired<br />
identificate e si prevede che entro<br />
fine 2006 verrà allocata la totalità o<br />
quasi dei fondi disponibili.<br />
A Diakolidou il Foguired sta<br />
cercando di valorizzare capacità,<br />
risorse e saperi locali, con un intervento<br />
che mira a migliorare le<br />
produzioni rurali. Analoghi progetti<br />
sono in corso in diverse zone<br />
della Guinea: oltre agli interventi a<br />
supporto di attività produttive, il<br />
fondo opera nel settore sanitario,<br />
dell’educazione, della formazione<br />
degli adulti e dei diritti sociali.<br />
Nel caso di Diakolidou, come in tante altre comunità<br />
toccate in questi anni, la scommessa è però più ambiziosa:<br />
si punta, infatti, ad andare oltre il puro e semplice appoggio<br />
alla produzione, per creare dinamiche virtuose<br />
nella società civile, affinché ai diversi livelli di partecipazione<br />
e nei diversi ambiti istituzionali, in città come in periferia,<br />
si organizzino presenze capaci di favorire un cambiamento,<br />
concreto e democratico.<br />
Un altro esempio di partecipazione attiva della società<br />
civile lo fornisce il Carp (College Acteurs pour la Réduction<br />
de la Pauvreté), sostenuto dal Foguired e direttamente da<br />
Giustizia e Solidarietà. Questa rete di ong e associazioni<br />
lavora capillarmente in scuole, università e luoghi di lavoro,<br />
con l’intento di aiutare gli abitanti di alcuni quartieri di<br />
Conakry a comprendere i meccanismi che li mantengono<br />
in condizioni di esclusione, cercando di fare luce sulle<br />
cause politiche, economiche e sociali della povertà. Anche<br />
in questo caso, in città come a Diakolidou in piena brousse,<br />
l’obiettivo ultimo è rafforzare la società civile e creare<br />
coscienza. Perché da essa nasca un atteggiamento di responsabilità,<br />
da parte della popolazione, nei confronti del<br />
“bene comune”. È la sola condizione per influenzare la<br />
politica, che lasciata a se stessa minaccia di trascinare il<br />
paese nel baratro della guerra civile. Ed è una scommessa<br />
di maturazione collettiva, che prova a fiorire sul terreno<br />
della liberazione dal debito.<br />
internazionale<br />
DIRITTI UMANI,<br />
L’ORA DEL CATTIVO CONSIGLIO<br />
di Alberto Bobbio<br />
L’<br />
ultimo pasticcio si chiama Consiglio Onu per i diritti umani. È<br />
stato appoggiato dai premi Nobel e dalle ong, ma farne una<br />
rappresentazione buonista non serve. L’idea di un’entità so-<br />
vranazionale per vigilare sui diritti umani è ottima, però non basta. Occorre<br />
che cammini e risulti efficace. Proprio quello che il nuovo Consiglio<br />
non è. Finora a occuparsi di diritti umani c’era la vecchia Commissione,<br />
con sede a Ginevra. Era discreditata soprattutto dopo che, di recente,<br />
alla sua presidenza era stato eletto il rappresentante della Libia,<br />
paese campione del rispetto dei diritti umani… Da qualche tempo, su<br />
sollecitazione di 160 ong, si discuteva della possibilità di superare la<br />
Commissione con uno strumento<br />
più agile e ristretto, in grado di reagire<br />
con rapidità ed efficacia alle violazioni<br />
dei diritti umani nelle diverse<br />
parti del mondo. La costituzione del<br />
nuovo Consiglio è stata approvata da<br />
tutti i paesi membri dell’Onu, eccetto<br />
isole Palau, isole Marshall, Israele e<br />
Stati Uniti. Così si è gridato insieme<br />
alla vittoria e allo scandalo.<br />
Ma cos’è il Consiglio? Una cosetta<br />
simile alla vecchia Commissione.<br />
Sarà composto da 47 membri invece<br />
di 53. Si riunirà almeno tre volte all’anno. Potrà fare studi,<br />
indagini, inchieste, ma non avrà poteri decisionali. Per<br />
qualsiasi decisione, secondo statuto, occorre la maggioranza<br />
dei due terzi; essendo la maggior parte dei membri<br />
dell’Onu paesi deficitari, per varie ragioni, in tema di diritti<br />
umani, è evidente che il Consiglio è solo uno dei tanti<br />
modi per ripulirsi pubblicamente la coscienza.<br />
Gli Stati Uniti chiedevano maggiore potere per il Consiglio,<br />
ben sapendo che il livello di compromessi bilanciati<br />
sui quali si regge qualsiasi decisione che si prende alle<br />
Nazioni Unite avrebbe impedito di arrivare a tanto. La<br />
posizione Usa è schizofrenica: vanno in giro per il mondo<br />
a imporre democrazia in punta di fucile, ma consentono<br />
l’esistenza di Abu Ghraib e Guantanamo. Non si sono<br />
È stato approvato<br />
da tutti i paesi<br />
del mondo meno quattro<br />
(tra cui Usa e Israele).<br />
Ma non è un grande<br />
affare: il nuovo<br />
organismo Onu<br />
è farraginoso come<br />
la vecchia Commissione.<br />
Servirà solo<br />
a lavare le coscienze?<br />
contrappunto<br />
quindi dati da fare per cercare ulteriori<br />
mediazioni. Forse a Washington<br />
bastava che la vecchia Commissione<br />
saltasse al più presto, per evitare che<br />
prendesse in esame il Rapporto su<br />
Guantanamo, assai pesante per<br />
l’amministrazione americana.<br />
Arnesi imbarazzanti<br />
Chi siederà nel nuovo consiglio? I<br />
membri verranno eletti dall’Assemblea<br />
generale a maggioranza assoluta.<br />
Ma non è certo che si riesca a<br />
tener fuori, per esempio, Sudan,<br />
Iran o Cuba. E poi chi avrà il coraggio<br />
di analizzare i casi di Cina, Russia<br />
o Turchia, insomma di occuparsi<br />
davvero di sanzionare chi non rispetta<br />
i diritti umani?<br />
Nell’ultimo decennio si è pensato<br />
che le sanzioni dovessero essere di tipo<br />
giudiziario, quando il mancato rispetto<br />
dei diritti umani sfociava nelle<br />
tragedie dei genocidi. Si è inventato<br />
prima il Tribunale penale dell’Aja per<br />
la ex Jugoslavia e poi quello di Arusha<br />
per il Ruanda e quello della Sierra Leone per giudicare i<br />
criminali, ma in realtà anche i sistemi politici. Eppure,<br />
anche in questi casi, le regole previste hanno bloccato<br />
qualsiasi possibilità di ricostruire memorie giudiziarie e<br />
punire i colpevoli. È sufficiente, per la scena mediatica e<br />
per la politica scellerata delle consegne in cambio di silenzio,<br />
rifilare ai tribunali ogni tanto qualche vecchio arnese<br />
che imbarazza. È accaduto per Milosevic, per il generale<br />
croato Gotovina, recentemente per Taylor, macellaio<br />
della Liberia, arrestato in Nigeria e spedito in Sierra<br />
Leone. Ma quella dei diritti umani rischia di essere una<br />
battaglia persa, se viene isolata dal contesto della giustizia<br />
economica e sociale, della costruzione della pace, della<br />
questione delle armi.<br />
ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 39
agenda territori<br />
NAPOLI<br />
Mediatori culturali sugli autobus<br />
per viaggi di conoscenza e fiducia<br />
Ventisei mediatori culturali formati dalla <strong>Caritas</strong><br />
diocesana di Napoli sono all’opera come<br />
facilitatori di integrazione, da fine marzo,<br />
su cinque autolinee della Compagnia di trasporti<br />
pubblici (Ctp), nell’ambito del progetto Contact 2.<br />
I mediatori culturali operano, sui mezzi pubblici,<br />
per creare relazioni e facilitare i rapporti tra viaggiatori italiani e persone<br />
straniere, spesso a disagio in un ambiente non sempre accogliente e diverso<br />
dai loro per cultura e abitudini. «L’autobus è in genere considerato solo<br />
un mezzo di trasporto e talvolta isola le persone nonostante la vicinanza –<br />
ha spiegato monsignor Vincenzo Mango, direttore della <strong>Caritas</strong> diocesana<br />
di Napoli –. Noi proviamo a favorire un processo di integrazione e dialogo:<br />
così il bus diventa un luogo per un viaggio della conoscenza e della fiducia».<br />
Contact è un progetto (il primo proposto in Italia da un’azienda di trasporti<br />
pubblici, sostenuto dalla provincia e realizzato anche grazie alla cooperativa<br />
sociale La Locomotiva) pone Napoli come capofila per lo sviluppo di buone<br />
prassi per l’integrazione e sarà presto ripreso ad Alessandria e Firenze.<br />
PADOVA E ROVIGO<br />
Microcredito per<br />
soggetti in difficoltà<br />
e nuove cooperative<br />
Si chiama “Progetto Microcredito”<br />
la nuova iniziativa promossa<br />
dalla Fondazione Cassa di Risparmio<br />
di Padova e Rovigo, in collaborazione con<br />
le <strong>Caritas</strong> diocesane di Padova e Adria-<br />
Rovigo. L’obiettivo è offrire sostegno a<br />
persone e famiglie che vivono situazioni<br />
economiche precarie e rischiano l’usura<br />
e il progressivo indebitamento, oppure<br />
a nuove società di persone o cooperative<br />
sociali, costituite per intraprendere<br />
un’attività lavorativa. Il progetto prevede<br />
anche il sostegno a necessità abitative<br />
(mensilità anticipate, acquisto mobili,<br />
attivazione utenze), a spese sanitarie,<br />
scolastiche o al mantenimento delle<br />
relazioni con la famiglia di origine<br />
da parte degli stranieri. La Fondazione<br />
ha messo a disposizione delle <strong>Caritas</strong><br />
200 mila euro per un fondo di garanzia<br />
presso la Cassa di Risparmio di Padova<br />
e Rovigo, che concederà i finanziamenti.<br />
La restituzione progressiva consentirà<br />
al fondo di garanzia di autoalimentarsi,<br />
ampliando il numero dei potenziali<br />
beneficiari. Alle <strong>Caritas</strong> è affidato<br />
il compito di svolgere l’attività istruttoria<br />
e di accompagnare i soggetti richiedenti<br />
con un’attività di verifica e tutoraggio.<br />
VICENZA<br />
Nuovi centri d’aiuto<br />
sul disagio psichico,<br />
corso per volontari<br />
È partito a fine aprile un corso di<br />
formazione in quattro incontri, destinato<br />
a persone motivate a prestare servizio di<br />
volontariato a favore di chi soffre<br />
un disagio di tipo psichico. L’iniziativa<br />
fa parte del “Progetto Dialogo. Prossimità<br />
e cura delle relazioni: la persona come<br />
risorsa” ed è proposta dalla <strong>Caritas</strong><br />
diocesana vicentina, in collaborazione<br />
con altri uffici diocesani e altre realtà<br />
ecclesiali. Il progetto prevede la nascita<br />
nel territorio diocesano di centri<br />
di ascolto differenziati a seconda della<br />
tipologia delle “fatiche” che fiaccano<br />
le famiglie, in particolare quelle legate<br />
alle relazioni di coppia, alla genitorialità,<br />
alla fragilità giovanile e, appunto,<br />
alla sofferenza psichica. L’attività di<br />
ascolto, accompagnamento e prossimità<br />
rispetto a tali sofferenze prevede anche<br />
la creazione di specifici gruppi di automutuo<br />
aiuto, sostenuti da équipe<br />
di esperti, che si metteranno in rete<br />
con i servizi sociali pubblici.<br />
BOLOGNA<br />
Sartoria “solidale”<br />
nella bottega<br />
“Per filo e per segno”<br />
Tagliano, aggiustano e cuciono<br />
in una bottega del centro città. È il nuovo<br />
laboratorio di sartoria aperto nel punto<br />
vendita “Per filo e per segno. Abiti e<br />
abilità sociali”; all’interno del laboratorio,<br />
gestito dalle cooperative sociali Siamo<br />
Qua e Piccola Carovana, lavorano alcune<br />
sarte professioniste di nazionalità<br />
straniera, affiancate da donne italiane<br />
e straniere in condizione di grave disagio<br />
sociale. Il tutto a prezzi imbattibili:<br />
orli e riparazioni a macchina costano<br />
5 euro, eseguiti a mano 7 euro.<br />
“Per filo e per segno” è un progetto<br />
promosso dalla <strong>Caritas</strong> diocesana<br />
a partire da settembre 2004, con altri<br />
enti e cooperative; è uno spazio<br />
di incontro tra diverse realtà del territorio,<br />
che operano per promuovere<br />
l’integrazione sociale, valorizzando<br />
individui fragili. [redattore sociale]<br />
parrocchia e mondialità di Francesco Campagna<br />
Palermo, l’apertura al mondo parte dai migranti<br />
E grazie ad Anthony comincia un dialogo con il Ghana<br />
SGUARDO OLTRE L’ISOLA<br />
Due immagini della manifestazione<br />
“Palermondo”, che ha visto<br />
coinvolta la <strong>Caritas</strong> diocesana<br />
Nel corso di questo anno pastorale, la <strong>Caritas</strong> diocesana di Palermo<br />
ha promosso una serie di iniziative nel campo dell’educazione alla mondialità.<br />
La portata innovativa della proposta ha tuttavia incontrato la resistenza<br />
di molte comunità parrocchiali: «Perché occuparsi dei poveri che si trovano<br />
dall’altra parte del pianeta – hanno obiettato alcuni –, quando i poveri di casa<br />
nostra bussano con insistenza alle porte delle nostre parrocchie?».<br />
Bisogna ammettere che l’operato di molte parrocchie risulta centrato<br />
sulla condizione locale, mentre la prospettiva globale rimane ancora estranea<br />
alle dinamiche della pastorale ordinaria. Inoltre è particolarmente difficile<br />
l’impegno per un’azione pastorale coordinata, capace di superare gli ostacoli<br />
posti dalla molteplicità degli uffici diocesani che, a vario titolo, si occupano<br />
di pace, mondialità, tutela dei diritti fondamentali della persona, diritto<br />
allo sviluppo, ecc.<br />
Parimenti, non è semplice coinvolgere le comunità dei religiosi<br />
e delle religiose presenti in diocesi: il patrimonio di esperienze, testimonianze<br />
e progettualità che tante congregazioni sviluppano con coraggio in terra<br />
di missione – con il coinvolgimento di tanti laici – non è ancora<br />
adeguatamente condiviso dall’intera comunità ecclesiale, ma rimane<br />
per lo più all’interno dei confini delle comunità di riferimento.<br />
Il dramma, poi la conoscenza<br />
Pur tenendo presente questo contesto, irto di condizioni sfavorevoli, la scelta iniziale effettuata dalla<br />
<strong>Caritas</strong> diocesana è stata netta. Per aprirsi alla prospettiva della mondialità, bisogna farsi interrogare<br />
dalla presenza delle comunità di immigrati nella città di Palermo: attraverso l’incontro con i volti<br />
e le storie di migranti (uomini e donne provenienti da Sri Lanka, Filippine, isole Mauritius, dal Maghreb<br />
e dalle regioni dell'Africa centrale) è stato possibile avviare una riflessione sulle povertà che oggi<br />
segnano la società globalizzata e tracciano in essa i confini, ai margini dei quali viene violentata<br />
l’umanità sofferente.<br />
Nel cammino pastorale non mancano dunque le difficoltà, ma costituiscono un motivo di speranza<br />
le esperienze di fraternità e di condivisione che molte parrocchie hanno già sperimentato. La parrocchia<br />
Sant’Oliva a Palermo, per esempio, si è fatta carico della situazione di Anthony, un giovane ghanese.<br />
Giunto in città nel 1999, Anthony comincia a lavorare ai mercati generali. Nel 2001 accusa problemi<br />
di salute e due anni dopo viene colto da un ictus emorragico, che lo ha reso inabile al cento per cento.<br />
La <strong>Caritas</strong> parrocchiale si è fatta carico della sua situazione, adoperandosi per garantire ad Anthony<br />
un’assistenza adeguata e il riconoscimento del diritto a riunirsi con la propria famiglia che, rimasta<br />
in Ghana, era stata contattata e sostenuta economicamente da una rete di famiglie solidali.<br />
La presenza di un sacerdote missionario nel villaggio di origine di Anthony si è rivelata l’occasione<br />
propizia per aprire un dialogo con la moglie e i figli, con il risultato del coinvolgimento dell’intera<br />
comunità parrocchiale e, di recente, anche di una scuola media del quartiere, che si è impegnata<br />
a sostenere un’iniziativa in favore del villaggio. E questo è solo l’inizio del cammino.<br />
40 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 41
sto in campagna a cura di Paolo Riva<br />
Il mondo in marcia contro la fame,<br />
<strong>Caritas</strong> appoggia l’iniziativa Pam<br />
L’appuntamento<br />
È il principale evento mondiale per sensibilizzare l’opinione pubblica<br />
sul pressante problema della fame, che falcidia ancora tante persone<br />
e in particolare molti bambini in ogni parte del mondo. L’iniziativa<br />
“Fight hunger – Walk the world” (“Il mondo in marcia contro la fame”)<br />
si svolgerà in contemporanea in tutto il pianeta il 21 maggio. Promossa<br />
dal Programma alimentare mondiale (Wfp-Pam) delle Nazoni Unite, con<br />
l’adesione di molte organizzazioni della società civile, tra cui la rete <strong>Caritas</strong><br />
Internationalis, l’iniziativa vuole<br />
contribuire a raggiungere il traguardo,<br />
fissato negli Obiettivi del Millennio, del<br />
dimezzamento del numero di persone<br />
che soffrono di fame entro il 2015.<br />
Un intento tanto ambizioso quanto<br />
realizzabile, che necessita però di una<br />
presa di coscienza del problema a livello mondiale, non legata solamente<br />
a situazioni di emergenza oppure a eventi straordinari. Ecco quindi un’intera<br />
giornata dedicata al problema, una giornata in cui “a tutte le latitudini<br />
e lungo tutti i fusi orari, nelle stesse ore, ricchi e poveri, adulti e bambini si<br />
uniscono e camminano insieme per dire basta alla fame e alla sofferenza<br />
dei bambini”. Anche l’Italia sarà coinvolta nella manifestazione e diverse<br />
saranno le città nelle quali si marcerà contro la fame. Oltre a Roma, che si<br />
conferma dopo aver già ospitato la scorsa edizione dell’evento, quest’anno<br />
ci saranno anche Trento, Monza, Firenze, Bologna, Pesaro, Brindisi<br />
e Catania, oltre alle città che decideranno di unirsi nelle ultime settimane.<br />
Il progetto e la sua storia<br />
Il Pam-Wfp assiste ogni anno circa 100 milioni di persone in più di 80 paesi,<br />
puntando principalmente sul programma “School feeding”, per mezzo<br />
del quale viene fornito cibo alle mense scolastiche dei paesi sottosviluppati.<br />
Per raccogliere ulteriori fondi in supporto a questa ed altre attività, nel 2003<br />
è nata la marcia “Fight Hunger”, grazie alla collaborazione del Programma<br />
con la grande azienda Tnt. Da allora l’iniziativa si è diffusa notevolmente,<br />
arrivando lo scorso anno a mobilitare 201 mila persone sparse in ogni parte<br />
del globo: le marce si sono svolte in ben 266 località di 91 paesi e 24 fusi<br />
orari diversi. Un risultato che ha portato a raccogliere fondi sufficienti<br />
per sfamare 70 mila bambini per un intero anno. L’obiettivo per l’edizione<br />
2006 è toccare quota 750 mila partecipanti.<br />
Per saperne di più www.fighthunger.org e www.wfp.it<br />
ROMA<br />
Assistere stranieri<br />
e persone fragili,<br />
lezioni per infermieri<br />
Senza dimora, immigrati, emarginati:<br />
l’esperienza dei medici <strong>Caritas</strong> viene<br />
messa a disposizione degli operatori<br />
del 118. A Roma è stato avviato a fine<br />
marzo un corso di formazione, rivolto<br />
a trenta infermieri in servizio nei centri<br />
di emergenza del Lazio, sull’approccio<br />
interculturale nell’assistenza a persone<br />
fragili ed emarginate. Organizzata<br />
dalla <strong>Caritas</strong> diocesana di Roma,<br />
in collaborazione con l’Azienda regionale<br />
Ares 118, l’esperienza formativa verterà<br />
sugli aspetti medici e sociosanitari<br />
dell’assistenza agli immigrati, agli<br />
emarginati e in genere a tutti coloro che<br />
soffrono di traumi sociali. L’esperienza<br />
dei medici <strong>Caritas</strong> sarà condivisa con<br />
gli operatori dell’Ares 118 per migliorare<br />
il loro servizio; essi poi si impegneranno<br />
in servizi di volontariato e campagne<br />
di promozione della salute promossi<br />
da <strong>Caritas</strong> Roma. [redattore sociale]<br />
CAMPOBASSO<br />
“Fotopetizione”:<br />
volti per battere<br />
i commerci di armi<br />
La <strong>Caritas</strong> diocesana<br />
organizza dal 7 al 14<br />
maggio al convitto<br />
“Mario Pagano” di<br />
Campobasso la mostra<br />
fotografica “Control Arms”, sostenuta dal<br />
gruppo molisano di Amnesty International<br />
e dal comitato regionale Unicef-Molise.<br />
Elaborata dalla campagna internazionale<br />
Control Arms e diffusa in numerose<br />
lingue, la mostra consiste in 29 pannelli<br />
con immagini e commenti che illustrano<br />
come, in ogni parte del globo, la<br />
diffusione incontrollata di armi sia<br />
disastrosa per la vita e lo sviluppo<br />
delle popolazioni. I visitatori della mostra<br />
potranno aderire alla fotopetizione<br />
“Un milione di volti”, strumento visuale<br />
di pressione contro la diffusione<br />
incontrollata delle armi nel mondo.<br />
L’iniziativa si propone di raccogliere in<br />
tutto il mondo un milione di ritratti entro<br />
il 2006, come supporto a Control Arms,<br />
per chiedere la stipula di un trattato<br />
internazionale sul commercio di armi.<br />
RAGUSA<br />
Povertà in diocesi,<br />
sempre più donne<br />
e coppie in crisi<br />
Donna, separata, italiana, con un’età<br />
compresa tra i 19 e i 44 anni. Questo<br />
è l’identikit della persona che più<br />
frequentemente si è rivolta ai centri<br />
di ascolto della <strong>Caritas</strong> di Ragusa<br />
nel 2005. La relazione annuale<br />
dell’Osservatorio delle povertà della<br />
diocesi iblea raccoglie i dati relativi a 395<br />
utenti, 239 femmine e 156 maschi;<br />
gli interventi realizzati dai centri d’ascolto<br />
<strong>Caritas</strong> sono stati 1.611 e hanno<br />
riguardato povertà sottostimate e altre<br />
più facilmente percettibili. Tra le prime<br />
occupano una posizione di rilievo<br />
la situazione dei carcerati e quella<br />
dei dipendenti da sostanze o da gioco.<br />
Le situazioni più gravi di fragilità, tuttavia,<br />
riguardano tre grandi temi. La famiglia è<br />
problematica nel 40% dei casi; i casi di<br />
separati o divorziati sul totale dell’utenza<br />
superano il 15%, la fine o la crisi di<br />
un progetto di coppia coincide spesso<br />
con l’inizio di una sofferenza economica.<br />
Disoccupazione e lavoro nero risultano<br />
anche molto diffusi. Non mancano infine<br />
casi di impoverimento dovuti alla cattiva<br />
gestione del reddito o all’indebitamento,<br />
con i connessi rischi di usura.<br />
agenda territori<br />
bacheca a cura dell’Ufficio comunicazione<br />
Da “Terra Futura” a “Civitas”,<br />
primavera solidale e sostenibile<br />
Primavera, solidarietà in mostra. Da Firenze<br />
a Padova. Dopo il successo della rassegna<br />
toscana Terra Futura, torna dal 5 al 7<br />
maggio nella fiera del capoluogo veneto Civitas, mostra-convegno<br />
della solidarietà e dell’economia sociale e civile. Giunta all’undicesima<br />
edizione, Civitas si concentra quest’anno sul tema “GenerAzioni.<br />
Generare partecipazione, buone pratiche, valore, bene comune”.<br />
I protagonisti dell’evento sono, come sempre, i cittadini, la società<br />
civile (associazioni, ong, movimenti), le imprese e le istituzioni, chiamati<br />
a momenti di confronto e scambio di esperienze e buone pratiche.<br />
Nel 2006 saranno confermati i numeri del 2005, quando gli oltre 680<br />
espositori e i 5 mila metri quadrati di esposizione, gli oltre cento<br />
convegni e 600 relatori attirarono circa 50 mila visitatori. <strong>Caritas</strong><br />
<strong>Italiana</strong> sarà presente a Civitas con due strumenti. Anzitutto animerà<br />
una tavola rotonda, il 7 maggio, sul tema “<strong>Caritas</strong> e ambiente: 35 anni<br />
tra emergenze e salvaguardia del creato”, con la presenza del direttore<br />
monsignor Vittorio Nozza, di un alto dirigente della Protezione civile<br />
nazionale e la presentazione di alcune esperienze diocesane; la tavola<br />
rotonda servirà anche per presentare alcuni sussidi sul tema. Inoltre<br />
uno stand promosso da <strong>Caritas</strong> Ambrosiana ospiterà anche l’organismo<br />
nazionale e <strong>Caritas</strong> Padova.<br />
Confronto nella Fortezza<br />
Dal 31 marzo al 2 aprile si è invece svolta<br />
nella Fortezza da Basso, a Firenze, la terza<br />
edizione di Terra Futura: i 78 mila visitatori,<br />
i 390 espositori e gli oltre 190<br />
appuntamenti culturali, animazioni<br />
e laboratori hanno decretato il successo dell’evento, che si propone<br />
di far dialogare soggetti che operano per costruire un futuro<br />
di sostenibilità. Come produrre e utilizzare energie alternative,<br />
promuovere filiere corte per economie leggere, vivere con stile<br />
sostenibile i consumi quotidiani, gestire in modo partecipato le scelte<br />
importanti per le città, fare pressioni sulle imprese non sostenibili<br />
e sui governi, sollecitare politiche ambientali e sociali integrate: su<br />
questi temi si è sviluppato un serrato confronto, al quale ha dato il suo<br />
contributo anche <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>, copromotore del programma culturale,<br />
tramite conferenze, tavole rotonde e testimonianze. Allo stand <strong>Caritas</strong>,<br />
operatori e volontari delle <strong>Caritas</strong> toscane hanno condotto un ampio<br />
sondaggio tra i visitatori sul rapporto tra chiesa e temi ambientali.<br />
42 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 43
villaggio globale<br />
GIORNALI DI STRADA<br />
“Scarp de’ tenis”,<br />
cento passi<br />
coi senza dimora<br />
Cento passi, e ancora tanta voglia<br />
di camminare. Anche se l’unico veicolo è<br />
quello – povero – espresso dalla testata,<br />
che rimanda a una nota canzone di Enzo<br />
Jannacci. Scarp de’ tenis, mensile<br />
di strada edito da cooperativa Oltre<br />
e promosso dalla <strong>Caritas</strong> Ambrosiana,<br />
ha compiuto ad aprile cento numeri.<br />
In dieci anni ha consentito a centinaia<br />
di persone senza dimora e con problemi<br />
di povertà e disagio di raccontarsi,<br />
ma anche di avere<br />
un’opportunità lavorativa,<br />
di reddito, di reinserimento<br />
sociale. Viene in parte scritto e<br />
diffuso (in strada, sui sagrati di<br />
circa 900 parrocchie e in una<br />
ventina di aziende non solo<br />
a Milano, ma anche a Torino,<br />
Genova e Napoli) da una cinquantina di<br />
homeless, che trattengono un euro per<br />
copia venduta. Il numero 100, con Dylan<br />
Dog in copertina, ripercorre le tappe<br />
di un lungo cammino, il suo significato,<br />
i traguardi raggiunti, la collaborazione<br />
con tanti partner del mondo ecclesiale,<br />
del volontariato e sindacale.<br />
RADIO<br />
Psicoradio e Rete 180,<br />
nell’etere la voce<br />
di “chi sente le voci”<br />
Programmi radiofonici realizzati da<br />
pazienti con problemi psichici, in onda<br />
su emittenti locali e in futuro in internet.<br />
È partito a marzo il progetto Psicoradio,<br />
promosso dall’onlus Arte e Salute<br />
e dal dipartimento di salute mentale<br />
dell’Azienda Usl di Bologna. La prima<br />
emittente a inserire nel proprio<br />
CINEMA<br />
Telecamere sulla via di Verona,<br />
“corti” per raccontare il lavoro<br />
Al Convegno ecclesiale nazionale di Verona ci si può<br />
preparare in tanti modi. Anche… con una telecamera. Le<br />
Acli, in collaborazione con il Servizio nazionale per il Progetto<br />
culturale della Cei, propongono infatti “Lavori in… corto”,<br />
un concorso per cortometraggi sui temi del lavoro, rivolto a<br />
tutte le parrocchie e diocesi italiane, ai centri di promozione<br />
della cultura cristiana e, in generale, ai gruppi che si<br />
occupano di cinema amatoriale. “Lavori in.... corto” è una proposta diretta<br />
soprattutto ai giovani e cerca di coniugare il linguaggio cinematografico con<br />
l’attenzione alle sempre più complesse questioni del lavoro. Ogni video deve<br />
raccontare una o più storie legate al mondo del lavoro e avere una durata<br />
massima di 15 minuti. Nella giuria ci saranno personaggi autorevoli del<br />
mondo dell’arte e dello spettacolo, premiazione il 24 giugno a Rimini.<br />
INFO Tel. 06.58.40.207; lavoriincorto@acli.it; www.lavoriincorto.it<br />
palinsesto i programmi di Psicoradio<br />
(che vertono su salute mentale,<br />
cronaca, arte e immigrazione)<br />
è la bolognese Radio Città del Capo.<br />
L’idea ha riscosso grande entusiasmo<br />
anche in alcuni celebri attori: Alessandro<br />
Bergonzoni, Lella Costa e Paola Pitagora<br />
hanno assicurato la loro partecipazione<br />
ad alcuni programmi. A Mantova, invece,<br />
si può ascoltare Rete 180 - La voce di<br />
chi sente le voci. È un’emittente in cui<br />
lavorano persone che hanno (o hanno<br />
avuto) una malattia mentale e sono<br />
in contatto con un centro psicosociale<br />
della locale Asl. Su Rete 180 musica e<br />
le “pillole” del centro; si può contattare<br />
anche il sito internet (www.rete180.it).<br />
LIBRI<br />
“Strettamente<br />
personale”, letture<br />
per adolescenti<br />
L’adolescenza, con le trasformazioni,<br />
la gioia e gli eccessi che la<br />
caratterizzano, non è quasi mai un’isola<br />
felice. Strettamente personale è il titolo<br />
di una nuova collana, proposta dalle<br />
Edizioni Paoline, di testi narrativi per<br />
adolescenti scritti in forma di diario:<br />
racconta storie in cui gli adolescenti<br />
possono specchiarsi e affronta i temi<br />
dell’età. La sua particolarità, oltre alla<br />
forma<br />
diaristica, è<br />
nel contatto<br />
diretto con<br />
la realtà:<br />
la parte finale di ogni libro è redatta<br />
insieme a una associazione vicina agli<br />
adolescenti e apre una finestra sul<br />
mondo reale, mettendo a disposizione<br />
informazioni utili. La collana può<br />
diventare anche uno strumento per<br />
operatori e genitori. Finora sono usciti<br />
due titoli: Solo un anno. Diario di<br />
un adolescente (su innamoramento e<br />
rapporti con l’altro sesso, insieme ad<br />
Agesci) e Come un pinguino. Storia<br />
di un’amicizia speciale (sulla realtà<br />
dei diversamente abili, insieme<br />
ad Aias - Associazione italiana<br />
assistenza spastici).<br />
a tu per tu di Danilo Angelelli<br />
L’oca di Tabucchi difende la libertà di parola:<br />
«Dialogo e cittadinanza contro il buio di questo tempo»<br />
LA LEZIONE<br />
PORTOGHESE<br />
Un bel primo piano<br />
di Antonio Tabucchi;<br />
sotto, la copertina<br />
del suo ultimo libro.<br />
Pisano, 63 anni,<br />
Tabucchi<br />
è un profondo<br />
conoscitore<br />
della letteratura<br />
portoghese<br />
(che insegna<br />
all’università<br />
di Siena) e dell’opera<br />
di Fernando Pessoa,<br />
dal quale<br />
ha attinto i concetti<br />
della saudade,<br />
della finzione<br />
e degli eteronimi.<br />
I suoi romanzi<br />
e saggi sono stati<br />
tradotti in 18 paesi:<br />
tra i più famosi,<br />
Sostiene Pereira.<br />
Una testimonianza<br />
(1994) e La testa<br />
perduta di<br />
Damasceno<br />
Monteiro (1997)<br />
In Sostiene Pereira tratteggia la figura di un giornalista simbolo della difesa della libertà<br />
di informazione per gli oppositori di tutti i regimi. Nell’ultimo L’oca al passo. Notizie dal buio che<br />
stiamo attraversando, pamphlet che raccoglie una serie di articoli pubblicati su alcuni dei più<br />
autorevoli giornali italiani e stranieri, mette in guardia anche da chi possiede il quasi-monopolio<br />
dell’informazione. E il premio della Federazione europea della Stampa nel 2004 è andato<br />
proprio a lui, Antonio Tabucchi. Motivazione: «Aver contribuito all’affermazione della libertà<br />
di parola in un momento in cui la concentrazione dei mezzi di informazione nelle mani di poche<br />
persone preoccupa l’Europa».<br />
Poco è stato scritto su L’oca al passo. Le sue opinioni sono troppo scomode?<br />
Può darsi. Colgo adesso in Italia, da parte delle istituzioni, una sorta di prudenza rispetto<br />
al pensiero libero espresso dagli scrittori, dagli intellettuali. La prudenza è una grande virtù,<br />
ma quando diventa vigliaccheria è un grande difetto e forse un peccato.<br />
In questo suo lavoro parla di bellicismo, terrorismo e antiterrorismo, revisionismo, tentazioni<br />
totalitarie, razzismo e xenofobia. Lei è considerato il più europeo dei nostri autori:<br />
come è percepita negli altri paesi l’accoglienza degli italiani nei confronti degli immigrati?<br />
Abbastanza male. Anzitutto penso che l’Europa non abbia ancora elaborato una buona politica<br />
di accoglienza, fatta in maniera intelligente, prudente e nel contempo generosa. Tuttavia mi<br />
pare che l’Italia sia sicuramente uno dei paesi in cui, anche per l’affermazione di alcuni politici,<br />
abbiamo dovuto sentire espressioni che ci ricordano i peggiori momenti del Novecento.<br />
Lei ha due patrie, Italia e Portogallo. È un’occasione per capire meglio la disperazione<br />
di chi non ha un paese?<br />
Penso di sì e per questo insisto sul concetto di cittadinanza. L’Europa dovrebbe elaborarlo<br />
bene, traendolo da una grande e nobile tradizione culturale che abbiamo, a cominciare<br />
dalla polis greca, passando attraverso Aristotele e arrivando fino a Kant, all’Illuminismo<br />
e ai pensatori migliori della nostra cultura. Se l’Europa lo facesse, probabilmente riuscirebbe<br />
a imporlo in certi paesi in cui la xenofobia è prevalente.<br />
Quale dei 253 personaggi citati ne L’oca al passo rappresenta una luce?<br />
Il già citato Kant, un economista come Keynes e poi gli artisti – uno su tutti, Stanley Kubrick –<br />
che hanno sempre interpretato le esigenze più profonde della persona umana.<br />
In una parte del libro ripete più volte: «Se essere italiani significa… lascio questa italianità<br />
a voi». A quale italianità, invece, lei tiene con orgoglio?<br />
A un’italianità consapevole che la nostra grande cultura è soprattutto frutto di un incontro<br />
di culture, credenze, appartenenze, religioni, etnie diverse, e (come direbbe sciaguratamente<br />
anche qualche personaggio dei nostri tempi) “razze” diverse.<br />
Sull’affermazione «tratta il prossimo tuo come te stesso» non è possibile equivocare,<br />
come ricorda nel libro. Il buio del titolo rende più difficile trattare il prossimo come se stessi?<br />
Se intorno è buio è anche più difficile dialogare e amare. Io credo che il fatto<br />
di non riconoscere il nostro prossimo come noi stessi fa entrare le persone in una sorta<br />
di automatismo e di isolamento personale che diventa una malattia. E la malattia personale<br />
poi si trasforma in malattia sociale, perché diventa una sorta di autismo.<br />
44 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 45
pagine altre pagine di Francesco Meloni<br />
Luigi, Carlo, Zeno e Tonino:<br />
il vangelo vissuto e incarnato<br />
di quattro “preti di frontiera”<br />
Più che “maestri”, il mondo di oggi reclama e invoca<br />
“testimoni”, persone che sulla propria pelle e nell’anima,<br />
nei pensieri e nelle riflessioni, nella vita personale<br />
e sociale, incarnano e mettono in gioco se stessi,<br />
affiancando la loro passione di vivere al tormentato<br />
e precario andare di tante altre persone, soprattutto<br />
se esili, deboli e indifese. Tra i testimoni di fede cattolica<br />
vi sono molti preti, che hanno plasmato la loro vita con<br />
il vangelo vissuto. Una figura di testimone che ha lasciato<br />
la sua impronta, non solo in ambito ecclesiale<br />
o della <strong>Caritas</strong>, è raccontata nel libro di Pino Ciociola<br />
Luigi Di Liegro. Prete di frontiera (Editrice Ancora 2006,<br />
pagine 159). L’autore ci presenta un uomo animato<br />
da una formidabile passione per l’umanità, che lo portava<br />
a indignarsi davanti alle ingiustizie e a spendersi senza<br />
risparmio. Ideatore e guida per quasi vent’anni della<br />
<strong>Caritas</strong> diocesana di Roma, è stato definito “il monsignore<br />
dei poveri”, ma è stato prima di tutto prete di chiunque.<br />
Il libro ospita anche i contributi-testimonianza di Alda Merini,<br />
Walter Veltroni e Giulio Andreotti.<br />
Poi c’è la figura di don Carlo Gnocchi, che in una sua lettera<br />
al cugino Mario Biassoni così sintetizza l’essenza del cristianesimo:<br />
“Dio è tutto qui: nel fare del bene a quelli che soffrono e hanno<br />
bisogno di un aiuto materiale o morale. Il cristianesimo,<br />
e il Vangelo, a quelli che lo capiscono veramente, non comanda<br />
altro. Tutto il resto viene dopo e viene da sé”. Don Carlo Gnocchi.<br />
Dio è tutto qui - lettere di una vita (Mondatori 2006, pagine 368)<br />
è stato curato da Oliviero Arzuffi, Annamaria Braccini, Edoardo<br />
Bressan, Renata Broggini; prefazione del compianto storico Giorgio<br />
Rumi. Di don Zeno Saltini, fondatore di Nomadelfia, si occupa<br />
invece Zeno, obbedientissimo ribelle. Autobiografia (La Meridiana<br />
2006, pagine 280, a cura di Fausto Martinetti). Venendo infine<br />
ad anni più recenti, c’è la mite e discreta figura di don Tonino Bello,<br />
un altro “prete di frontiera” che ha sempre denunciato le ingiustizie<br />
e ha testardamente camminato al fianco dei poveri. Parola di uomo:<br />
Tonino Bello, un vescovo per amico, di Domenico Cives (Edizioni<br />
San Paolo 2004, pagine 192+8) continua a diffonderne<br />
la testimonianza, avendo ormai raggiunto la quarta edizione.<br />
villaggio globale<br />
SEGNALAZIONI<br />
I cittadini<br />
a basso costo<br />
e le reclute “dentro”<br />
Proponiamo ai lettori libri e audiovisivi<br />
che meritano attenzione. Ulteriori<br />
suggerimenti su www.caritasitaliana.it<br />
Arlie Russell Hochschild,<br />
Per amore o per denaro.<br />
La commercializzazione della<br />
vita intima (Il Mulino 2006,<br />
pagine 256). Il libro teorizza che le<br />
“emozioni” quotidiane, se ben osservate<br />
e ascoltate, possono sottrarre la nostra<br />
vita (in famiglia, sul lavoro, a scuola) alla<br />
tirannia commerciale del mercato.<br />
Massimo Gaggi - Edoardo<br />
Narduzzi, La fine del ceto<br />
medio e la nascita della<br />
società low cost (Einaudi<br />
2006, pagine 142).<br />
Nell’osservare la società contemporanea,<br />
gli autori analizzano il fenomeno<br />
dell’assottigliamento progressivo del ceto<br />
medio (impoverimento vero o presunto?)<br />
e l’avanzare di una nuova massa<br />
di consumatori low cost (a basso costo),<br />
sospinta da un capitalismo che<br />
standardizza ogni cosa. Un cambiamento<br />
insidioso per la politica e l’organizzazione<br />
della vita pubblica e collettiva.<br />
Francesco Berté, Nuovi giunti. Racconti<br />
dal carcere (editrice Monti 2006, pagine<br />
142). “Nuovi giunti” è<br />
un’espressione carceraria che<br />
raffigura coloro che varcano<br />
la soglia delle prigione<br />
ed entrano in un mondo dove<br />
vengono fotografati, catalogati, visitati,<br />
rinchiusi… e spesso lasciati soli. Come<br />
trascorrono le loro giornate? Cosa passa<br />
nella loro testa e nel loro cuore? Cosa<br />
vogliono e cosa vorrebbero? In queste<br />
pagine sono loro a raccontare, a se stessi<br />
e a noi che stiamo “fuori”, le loro storie.<br />
I fiori sul terrazzino,<br />
un crocifisso in dono,<br />
i bavaglini<br />
per il battesimo,<br />
i ragazzi da preparare<br />
alla Cresima: incontro<br />
con una donna costretta<br />
all’immobilità<br />
da una malattia.<br />
Ma capace<br />
di accogliere e aiutare<br />
ritratto d’autore<br />
di Claudia Koll attrice<br />
CERCARE SASSI PER GIULIA<br />
CHE AMA SU UNA SEDIA A ROTELLE<br />
Ainizio aprile ho preso parte a una Via Crucis che ha girato per le diocesi della Puglia.<br />
A Monopoli, dove facevamo base, ero solita andare alla santa messa la mattina.<br />
Sono stata accolta con grande affetto dalla comunità e dal suo parroco,<br />
don Vito Schiavone. E ho conosciuto Paola, che ogni mattina mi portava in chiesa<br />
e poi a fare piccole commissioni, Fernando, che mi ha aiutato con i capelli, Maria,<br />
con i suoi regalini. Insieme abbiamo pregato, gioito, condiviso le sofferenze.<br />
Un giorno Maria mi dà un biglietto, è di Giulia: ha una malattia, è sulla sedia a rotelle,<br />
le sue parole mi spingono a dire «domani vorrei andare a trovarla». Giulia l’avevo<br />
conosciuta a Monopoli la scorsa estate, così semplicemente a una lettura sulla vita<br />
di Giovanni Paolo II, era seduta con gli altri, i nostri occhi si sono incrociati,<br />
non l’ho dimenticata. Il giorno dopo sono a casa sua: si muove su una sedia con le ruote,<br />
l’arredamento è semplice ma mi colpiscono i fiori molti e colorati sul terrazzino e anche<br />
nel saloncino. C’è una grazia in questa casa che accoglie, che accoglie. Non posso<br />
dimenticare Giulia perché comprendo come la sofferenza vissuta nella fede sia sorgente<br />
di grazia. Il mio cuore è commosso dalla bellezza della sua anima. Non ricordo molti<br />
particolari, forse abbiamo bevuto il caffè, Giulia mi ha regalato un crocifisso da lei lavorato,<br />
la dedica è questa: “Io, quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me” Gv 12, 32 -<br />
5 aprile 2006 “A Claudia perché viva di questo Amore”.<br />
Come lo conosce bene Giulia questo Amore. Ridendo mi ha raccontato<br />
che dalla parrocchia, quando ci sono ragazzi problematici al catechismo<br />
della Cresima, li mandano da lei a prepararsi. E diventano agnellini. Prepara<br />
bavaglini ricamati per bambini, in cambio vuole solo una foto del bambino<br />
con su il bavaglino, perché ama i bambini. Mi ha anche regalato un sasso con<br />
la decalcomania di Gesù Risorto, lei non sa che amo i sassi e a casa ne ho tanti.<br />
È un modello per quelli che sta preparando per un convegno. Ne servono<br />
un centinaio. L’indomani sono sulla spiaggia a cercare sassi per Giulia.<br />
Lei ha un’infiammazione alle articolazioni, la gamba si sta gonfiando e le dà<br />
fastidio. Ed è preoccupata. Preghiamo il Signore con Paola, Maria e Angela, tutte<br />
insieme. Accendiamo la candela, i fiori, Gesù Misericordioso che le ho portato<br />
è appoggiato ai fiori con grazia. È l’immagine di Gesù benedicente con i segni<br />
della crocifissione nelle mani e nei piedi, i raggi uno pallido e l’altro rosso<br />
che fuoriescono dalla veste bianca all’altezza del cuore. È Gesù Risorto che sta<br />
per entrare nel Cenacolo come è apparso a suor Faustina Kowalska. Leggiamo<br />
il Vangelo del giorno e da lì parte la meditazione. Preghiamo l’una per l’altra e per la pace,<br />
per tutti i figli di Abramo, preghiamo con fiducia, chiediamo la guarigione per la gamba<br />
di Giulia nel nome di Gesù. Il controllo del medico il giorno dopo conferma e dissipa<br />
le ultime preoccupazioni, la sua gamba è a posto, non ha nulla. Il Signore ha risposto<br />
alla nostra preghiera. C’è una frase di Madre Teresa che Giulia incarna perfettamente:<br />
“Noi non possiamo fare cose grandi, ma soltanto piccole cose con grande amore”. Grazie<br />
Signore perché mi hai fatto incontrare Giulia. Grazie Signore perché Tu sei grande nella Tua<br />
Misericordia, perché stai portando a compimento un’opera meravigliosa nella vita di Giulia.<br />
46 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 47
www.creativisinasce.it<br />
Sezione manifesti<br />
annuncio stampa<br />
MENZIONE<br />
SPECIALE<br />
DI MERITO<br />
CARITAS ITALIANA<br />
Corrado Gemini,<br />
Azzurra Bongiorno,<br />
Mariangela Ranieri<br />
Accademia<br />
di Comunicazione<br />
Milano<br />
Quarta edizione<br />
Premiazione<br />
a Salerno<br />
2 giugno 2005<br />
I lettori, utilizzando il c.c.p. allegato e specificandolo nella causale, possono contribuire ai costi di realizzazione,<br />
stampa e spedizione di Italia <strong>Caritas</strong>, come pure a progetti e interventi di solidarietà, con offerte da far pervenire a:<br />
<strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> - c.c.p. 347013 - viale F. Baldelli, 41 - 00146 Roma - www.caritasitaliana.it