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Numero 4 - Caritas Italiana

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POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA<br />

MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XXXIX - NUMERO 4 - WWW.CARITASITALIANA.IT<br />

Italia <strong>Caritas</strong><br />

maggio 2006<br />

MIGRANTI, WELFARE, LAVORO: PROMEMORIA PER LA POLITICA<br />

ITALIA OLTRE LE QUOTE<br />

FRIULI TERREMOTO E SOLIDARIETÀ, UNA MEMORIA VIVA<br />

INDONESIA PROVE DI PACE E DIALOGO TRA I DETRITI DELL’ONDA<br />

DEBITO L’AFRICA CHE REAGISCE A UN PESO OPPRIMENTE


sommario ANNO XXXIX NUMERO 4<br />

IN COPERTINA<br />

Giovani italiani e immigrati<br />

al lavoro in un centro<br />

di formazione professionale.<br />

Una gestione dell’immigrazione<br />

più razionale, idee per il welfare:<br />

dopo le elezioni, la politica<br />

è chiamata a scelte cruciali<br />

foto Romano Siciliani<br />

editoriale di Vittorio Nozza<br />

IL SERVIZIO COME SCELTA, NON DIMENTICHIAMO I POVERI 3<br />

parola e parole di Giovanni Nicolini<br />

OFFRIRE SE STESSI, L'ARMA CHE VINCE L'INIMICIZIA 5<br />

verso verona di Salvatore Ferdinandi<br />

LA VITA È “TRADIZIONE”, CONSEGNAMO LA SPERANZA 6<br />

nazionale<br />

SANATORIA MASCHERATA, “QUOTE” DA SUPERARE 8<br />

di Oliviero Forti e Giancarlo Perego<br />

dall’altro mondo di Luca Disciullo 12<br />

WELFARE PER LO SVILUPPO, APPUNTI PER RIPARTIRE 13<br />

di Paolo Pezzana<br />

LEGITTIMA DIFESA, UNA SCELTA PREISTORICA 15<br />

di Giancarlo Perego<br />

database di Walter Nanni 16<br />

FRIULI, QUANDO L’ITALIA SI SCOPRÌ CAPACE D’AIUTO 17<br />

di Pietro Gava<br />

contrappunto di Domenico Rosati 22<br />

panoramacaritas RAPPORTO ANNUALE, LOCRIDE, IRAN 23<br />

progetti AIUTO ALL’EUROPA 24<br />

internazionale<br />

ACEH, PROVE DI DIALOGO TRA I DETRITI DELL'ONDA 26<br />

testo di Alberto Chiara foto di Nino Leto<br />

COME RAYMOND DOPO IL SISMA È DIVENTATO UN “UOMO NUOVO” 30<br />

di Barbara Dettori<br />

PAD E PRADEEP, VITTIME DI UNA GUERRA CHE NON SI ARRESTA 32<br />

di Francesco Paletti<br />

guerre alla finestra di Paolo Beccegato 33<br />

casa comune di Gianni Borsa 34<br />

DEBITO, PESO CHE RESTA. MA IN ZAMBIA ORA SI SPERA 35<br />

di Massimo Pallotino e Stefano Verdecchia<br />

contrappunto di Alberto Bobbio 39<br />

agenda territori 40<br />

villaggio globale 44<br />

ritratto d’autore di Claudia Koll<br />

CERCARE SASSI PER GIULIA CHE AMA SU UNA SEDIA A ROTELLE 47<br />

POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA<br />

MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XXXIX - NUMERO 4 - WWW.CARITASITALIANA.IT<br />

maggio 2006<br />

Italia <strong>Caritas</strong><br />

MIGRANTI, WELFARE, LAVORO: PROMEMORIA PER LA POLITICA<br />

ITALIA OLTRE LE QUOTE<br />

FRIULI TERREMOTO E SOLIDARIETÀ, UNA MEMORIA VIVA<br />

INDONESIA PROVE DI PACE E DIALOGO TRA I DETRITI DELL’ONDA<br />

DEBITO L’AFRICA CHE REAGISCE A UN PESO OPPRIMENTE<br />

Italia <strong>Caritas</strong><br />

Mensile della <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong><br />

Organismo Pastorale della Cei<br />

viale F. Baldelli, 41<br />

00146 Roma<br />

www.caritasitaliana.it<br />

email:<br />

italiacaritas@caritasitaliana.it<br />

direttore<br />

Don Vittorio Nozza<br />

direttore responsabile<br />

Ferruccio Ferrante<br />

coordinatore di redazione<br />

Paolo Brivio<br />

in redazione<br />

Danilo Angelelli, Paolo Beccegato,<br />

Renato Marinaro, Francesco Marsico,<br />

Francesco Meloni, Giancarlo Perego,<br />

Domenico Rosati<br />

progetto grafico e impaginazione<br />

Francesco Camagna (francesco@camagna.it)<br />

Simona Corvaia (simona.corvaia@fastwebnet.it)<br />

stampa<br />

Omnimedia<br />

via Lucrezia Romana, 58 - 00043 Ciampino (Rm)<br />

Tel. 06 7989111 - Fax 06 798911408<br />

sede legale<br />

viale F. Baldelli, 41 - 00146 Roma<br />

tel. 06 541921 (centralino)<br />

06 54192226-7-77 (redazione)<br />

offerte<br />

Paola Bandini (pbandini@caritasitaliana.it)<br />

tel. 06 54192205<br />

inserimenti e modifiche nominativi<br />

richiesta copie arretrate<br />

Marina Olimpieri (molimpieri@caritasitaliana.it)<br />

tel. 06 54192202<br />

spedizione<br />

in abbonamento postale<br />

D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46)<br />

art.1 comma 2 DCB - Roma<br />

Autorizzazione numero 12478<br />

dell’8/2/1969 Tribunale di Roma<br />

Chiuso in redazione il 21/4/2006<br />

AVVISO AI LETTORI<br />

Per ricevere Italia <strong>Caritas</strong> per un anno occorre versare<br />

un contributo alle spese di realizzazione di almeno<br />

15 euro: causale contributo Italia <strong>Caritas</strong>.<br />

La <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>, su autorizzazione della Cei, può<br />

trattenere fino al 5% sulle offerte per coprire i costi di<br />

organizzazione, funzionamento e sensibilizzazione.<br />

Le offerte vanno inoltrate a <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> tramite:<br />

● Versamento su c/c postale n. 347013<br />

● Bonifico una tantum o permanente a:<br />

- Banca Popolare Etica, piazzetta Forzaté 2, Padova<br />

Cin: S - Abi: 05018 - Cab: 12100<br />

conto corrente 11113<br />

Iban: IT23 S050 1812 1000 0000 0011 113<br />

Bic: CCRTIT2T84A<br />

- Banca Intesa, piazzale Gregorio VII, Roma<br />

Cin: D - Abi: 03069 - Cab: 05032<br />

conto corrente 10080707<br />

Iban: IT20 D030 6905 0320 0001 0080 707<br />

Bic: BCITITMM700<br />

● Donazione con Cartasì e Diners,<br />

telefonando a <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> 06 541921<br />

Cartasì anche on line, sul sito<br />

www.caritasitaliana.it (Come contribuire)<br />

5 PER MILLE<br />

Per destinarlo a <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>, firmare il primo<br />

dei quattro riquadri sulla dichiarazione dei redditi<br />

e indicare il codice fiscale 80102590587<br />

editoriale<br />

IL SERVIZIO COME SCELTA,<br />

NON DIMENTICHIAMO I POVERI<br />

Viviamo in un momento di cambiamenti epocali. Secondo<br />

Jim Wolfensohn, ex capo della Banca Mondiale, nel 2040<br />

vi saranno sul nostro pianeta altri due miliardi di abitanti.<br />

E l’80% sarà nato nei paesi in via di sviluppo. La classifica<br />

mondiale delle potenze economiche registrerà colossali cambiamenti:<br />

già nel 2025-30 la Cina potrebbe occupare il primo<br />

posto nella gerarchia delle potenze economiche e India, Brasile<br />

e Russia potrebbero figurare ai primi posti, sottolineando<br />

il ridimensionamento degli Stati Uniti<br />

e quello ancor più profondo di<br />

Giappone e paesi europei. Nello stesso<br />

tempo viviamo in un mondo in cui<br />

le disuguaglianze appaiono sempre<br />

più inaccettabili. Nel 2004 le spese<br />

per armamenti hanno raggiunto i 975<br />

miliardi di dollari, il 2,6% del prodotto<br />

interno lordo mondiale, ossia 162<br />

dollari per abitante della terra. Secondo<br />

la Banca Mondiale 2,7 miliardi di<br />

persone vivono con meno di 2 dollari<br />

al giorno, ma ogni mucca europea riceve<br />

più di due dollari al giorno. Intanto<br />

1,4 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua<br />

potabile e 800 milioni di persone soffrono per malnutrizione<br />

grave. Ma, nello stesso tempo, il mondo non ha mai<br />

posseduto tanta ricchezza. L’inaccettabilità di un simile<br />

mondo sta per raggiungere livelli di pericolo: le attuali correnti<br />

di emigrazione ne sono un segno tangibile.<br />

La grande forza di attrazione che l’Europa ha esercitato<br />

negli ultimi decenni verso molti altri paesi risiede anche<br />

nel fatto che insieme ai principi di pace, giustizia e libertà<br />

l’Unione europea ha sempre indicato la solidarietà con le<br />

aree più deboli del mondo come uno dei valori fondanti<br />

della sua collettività. L’Italia, per molti anni, è stato uno dei<br />

paesi maggiormente impegnati su questo fronte. E proprio<br />

per questo si segnala ora con una certa preoccupazione la<br />

recente inversione di tendenza, che vede il nostro paese<br />

Le disuguaglianze,<br />

a livello planetario,<br />

si fanno sempre più aspre.<br />

E il panorama nazionale<br />

presenta forti contrasti.<br />

Le responsabilità<br />

della politica.E il ruolo<br />

della chiesa, chiamata<br />

ad annunciare<br />

una “civiltà dell’amore”<br />

di Vittorio Nozza<br />

sempre più inadempiente verso gli<br />

obblighi di contribuzione obbligatoria<br />

alle agenzie delle Nazioni Unite<br />

che hanno tra i loro obiettivi lo sviluppo<br />

del Sud del mondo. Ma quello che<br />

preoccupa è soprattutto l’assenza di<br />

un dibattito pubblico sui nostri impegni<br />

per l’aiuto allo sviluppo, che non<br />

corrisponde alla diffusa sensibilità<br />

degli italiani in materia. Oggi siamo,<br />

tra i paesi donatori, all’ultimo posto<br />

con al cifra dello 0,13% del Pil, nonostante<br />

qualche timido tentativo di<br />

correggere la tendenza.<br />

Educare di nuovo alla legalità<br />

In ambito nazionale, diverse sono le<br />

questioni che preoccupano. E che<br />

vanno sottoposti all’attenzione del<br />

nuovo governo e del nuovo parlamento.<br />

Solo alcuni cenni. Solidarietà,<br />

fisco e condoni: come sono vissuti e<br />

gestiti, oggi i doveri inderogabili di<br />

solidarietà di cui parla la Costituzio-<br />

ne? Non è cessato il malcostume del-<br />

l’evasione e dell’elusione fiscale. Chi denuncia tutto viene<br />

escluso, chi denuncia meno del dovuto ottiene benefici<br />

cui non avrebbe diritto. Welfare,cittadinanza e compatibilità:<br />

il metodo da seguire è l’individuazione delle esigenze<br />

basilari delle persone, delle famiglie, delle comunità e,<br />

conseguentemente, la predisposizione delle risorse necessarie<br />

per affrontarle. Devoluzione, federalismo e… bene<br />

comune: il capitolo della finzione devolutiva si inserisce<br />

agevolmente nel quadro già preoccupante della corrosione<br />

della democrazia e denota un’ulteriore difficoltà non<br />

solo per le politiche sociali, ma soprattutto per la politica<br />

tout court, come scienza e arte del bene comune. Di positivo<br />

c’è soltanto il fatto che la maggior parte delle regioni<br />

ha cominciato a operare sulla base dell’unico strumento<br />

disponibile, in materia di politiche sociali, vale a dire la<br />

ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 3


editoriale<br />

legge 328/00. La famiglia: purtroppo viene vista, di volta<br />

in volta, solo come fattore di contrasto del decremento<br />

demografico oppure come fattore di compensazione delle<br />

lacune del welfare.<br />

I soggetti sociali: l’esperienza accumulata consente di<br />

mettere meglio a fuoco il ruolo dei vari soggetti sociali in<br />

rapporto al welfare, distinguendo quelli che hanno vocazione<br />

imprenditoriale (impresa sociale) regolata dal profitto,<br />

anche se non redistribuito, e quelli che hanno vocazione<br />

compassionevole o meglio solidaristica, regolata<br />

dalla logica del dono. In ogni caso va posto in evidenza il<br />

problema dell’indipendenza dei soggetti e delle opere. Le<br />

opere cattoliche potrebbero assumere al riguardo un ruolo<br />

di prima linea.<br />

I comportamenti pubblici negativi: le convenienze della<br />

politica tendono ad ammortizzare gli aspetti etici negativi<br />

dei comportamenti pubblici. La catechesi di Giovanni<br />

Paolo II, basata sul Salmo 100, si è concentrata sulle virtù<br />

dell’onestà, della lealtà, del rigore, del disinteresse personale<br />

come caratteristiche del servizio agli altri. Il mancato<br />

contrasto di comportamenti eticamente riprovevoli si ripercuote<br />

sul popolo come una sorta di lasciapassare: se si<br />

accetta una situazione moralmente riprovevole in alto,<br />

perché censurarla in basso? Va ripresa senza riserva l’educazione<br />

alla legalità.<br />

I riferimenti costituzionali: nella ricerca dell’etica comune<br />

i riferimenti ai principi costituzionali hanno un valore<br />

importante. Si tratta di concetti costruiti sulla base di<br />

un consenso espresso da soggetti diversi, con matrici e<br />

orientamenti difformi. Potersi richiamare a principi condivisi<br />

in materia di famiglia, lavoro, tutele sociali, regole<br />

del buon governo è un vaccino contro le derive degenerative<br />

della democrazia, che fallisce quando si riduce a mera<br />

legge del numero.<br />

Sprerare dentro il quotidiano<br />

Dobbiamo nutrire soprattutto un sogno: che quanto<br />

diciamo in difesa degli ultimi a livello internazionale e<br />

nazionale (ma anche locale e diocesano) risuoni come<br />

condiviso nei nostri territori, non perché diremo parole<br />

meno esigenti, ma in quanto saranno parole familiari,<br />

ascoltate e vissute, che hanno già aperto il cuore e la<br />

mente delle nostre comunità parrocchiali, che le hanno<br />

già liberate dai luoghi comuni, dagli slogan di divisione,<br />

dalle culture di esclusione. L’essere a servizio deve<br />

essere sempre più una scelta consapevole e matura,<br />

non un fardello pesante da portare, una servitù ingrata<br />

a un mondo e a un territorio spesso difficili, a storie e a<br />

volti che faticano a liberarsi dalle schiavitù a cui sono<br />

costretti. L’essere a servizio deve portare a sperare dentro<br />

l’orizzonte, pure difficile, del quotidiano. Non c’è<br />

che da accogliere, tutti, l’invito di Benedetto XVI rivolto<br />

ai cardinali nel Concistoro: «Conto su di voi perché,<br />

grazie all’attenta valorizzazione dei piccoli e dei poveri,<br />

la Chiesa offra al mondo in modo incisivo l’annuncio e<br />

la sfida della civiltà dell’amore».<br />

MONSIGNOR VITTORIO NOZZA<br />

CONFERMATO DIRETTORE DI CARITAS ITALIANA<br />

Il Consiglio episcopale permanente della Cei, nel corso della sessione primaverile svoltasi a Roma dal 20<br />

al 22 marzo, ha proceduto a varie nomine. Tra queste, figura la conferma di monsignor Vittorio Nozza a direttore<br />

della <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> per un altro quinquennio. Nato nel 1948, sacerdote della diocesi di Bergamo,<br />

già cappellano del carcere orobico e direttore della <strong>Caritas</strong> diocesana, monsignor Nozza era stato nominato<br />

direttore di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> nel marzo 2001, dopo aver ricoperto l’incarico di responsabile dell’area Promozione<br />

<strong>Caritas</strong> diocesane e formazione. A monsignor Nozza Italia <strong>Caritas</strong> formula i migliori auguri di buon<br />

lavoro per il nuovo importante mandato pastorale.<br />

OFFRIRE SE STESSI,<br />

L’ARMA CHE VINCE L’INIMICIZIA<br />

Anni fa un importante prelato, rimproverandomi per quello che lui<br />

ritiene un mio eccessivo “pacifismo”, citava il Vangelo secondo<br />

Giovanni e l’immagine del Buon Pastore per ricordarmi che l’assalto<br />

del lupo richiede la difesa delle pecore. Un certo timore reverenziale<br />

per il personaggio non mi consentì di rispondere con prontezza, e<br />

quando volli provarci era già scomparso tra i suoi molti impegni. Avrei<br />

voluto dirgli che il lupo è talmente potente che non è pensabile abbatterlo<br />

con i sistemi della solita violenza. Ne occorre una nuova e ben più<br />

potente: ed è la potenza-potere di<br />

“offrire la vita per le pecore”.<br />

Il vecchio gesto di Caino si rivela<br />

sempre più non solo inadeguato a<br />

risolvere il dramma della storia, ma<br />

addirittura fonte di nuovi mali,<br />

spesso ben più gravi di quelli che si<br />

vorrebbero risolvere. Non molti mesi<br />

fa, guai a protestare per l’inutile<br />

strage della guerra nell’antica terra<br />

tra i due fiumi, la terra della famiglia<br />

di Abramo! Oggi questo non lo si<br />

sente ricordare dai censori di ieri,<br />

tutti infervorati (allora) intorno alla<br />

difesa dei valori dell’occidente e solerti esportatori delle<br />

democrazie occidentali.<br />

La Pasqua è invece l’assunzione della storia da parte<br />

di questo Pastore Buono, che ci regala l’arma più potente,<br />

veramente l’unica, per abbattere il grande Nemico,<br />

che è l’Inimicizia. Noi, i suoi amici, suoi discepoli e fratelli,<br />

dispersi nelle nostre piccole chiese in mezzo ai popoli,<br />

abbiamo il dono e la responsabilità di essere i testimoni<br />

del Pastore. Di Lui si dice che conosce le sue pecore<br />

con la preziosità di una relazione intima e profonda,<br />

paragonabile solo alla conoscenza tra il Figlio e il Padre.<br />

Anche l’agnello più piccolo e ferito Egli conosce per<br />

nome. E lo chiama e lo conduce fuori da ogni prigionia<br />

perchè gli è caro.<br />

Il vecchio gesto<br />

di Caino non risolve<br />

il dramma della storia<br />

e si rivela, anche oggi,<br />

fonte di nuovi mali.<br />

Invece il Buon Pastore,<br />

che si offre per le pecore<br />

di ogni ovile, ci salva.<br />

E comunica<br />

il suo potere<br />

a chi lo accoglie<br />

parola e parole<br />

di Giovanni Nicolini<br />

Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. (Giovanni 10, 11-18)<br />

Prendere le parti di tutti<br />

Questo Pastore delle pecore non lo è<br />

di un solo ovile. Non è un pastore “di<br />

parte”, non si identifica con una nazione<br />

o una cultura. Se mai, è capace<br />

di entrare in tutte le etnìe e in tutte<br />

le culture, di purificarle, e di rinnovarle<br />

per la potenza della sua Parola,<br />

che è Spirito e Vita. La sua signorìa<br />

non è quella fragile, estrinseca,<br />

di un impero mondano. È invece<br />

il potere che gli viene riconosciuto<br />

da chi ascolta la sua voce, ed entra<br />

nella sua sapienza d’amore.<br />

Il Pastore, infatti, non solamente<br />

salva, ma anche comunica il suo<br />

potere a chi lo accoglie. A partire dal<br />

tessuto più ordinario della vita quotidiana,<br />

tutti possiamo esprimere e<br />

affermare la potenza del Pastore.<br />

Non si tratta di sperare in un illusorio<br />

disarmo, ma nell’assunzione<br />

della nuova arma del “dono di sé”.<br />

Dono reciproco, s’intende. E nessuno<br />

può toglierci questa vita nuova<br />

che abbiamo ricevuto da Lui. Siamo noi, e solo noi, che<br />

possiamo offrirla per poi riprenderla di nuovo.<br />

Dice un antico canto cristiano che la morte ha inghiottito<br />

la vita. Ma ha dovuto poi vomitarla, perchè è impossibile<br />

che la morte possa tenere prigioniera la vita. Le<br />

comunità cristiane sono caldamente invitate dal loro Signore<br />

a ritrovare la loro forza pasquale. Davanti alla grande<br />

ferita del mondo non si può essere di parte. E neanche<br />

neutrali. Bisogna prendere le parti di tutti perchè tutti sono<br />

cari al Padre, fino al Sangue del Figlio. E per fare questo<br />

bisogna abbattere il muro di separazione, il muro dell’inimicizia,<br />

da Gerusalemme a Pechino, da casa nostra<br />

alle nostre relazioni più preziose e delicate. Il Vangelo del<br />

Signore e il Signore del Vangelo: questa è l’arma.<br />

4 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 5


LA VITA È “TRADIZIONE”,<br />

CONSEGNIAMO LA SPERANZA<br />

Il termine “tradizione” non gode oggi di buona fama, perché sa di<br />

staticità e conservazione. È accolto positivamente solo se si presenta<br />

al plurale e accompagnato da aggettivi: tradizioni popolari, etniche,<br />

folkloristiche. Ma la tradizione rimanda all’azione del “trasmettere”<br />

(tradere) in riferimento al “patrimonio vitale e culturale della società”. La<br />

riflessione avviata da Cei e <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> in vista del Convegno ecclesiale<br />

di Verona evidenzia che la comunicazione del Vangelo passa attraverso<br />

il dialogo con la cultura e che il credente è invitato a entrare<br />

nel dibattito con creatività e originalità,<br />

sia per contribuire al costi- Nell’epoca attuale<br />

tuirsi di una tradizione di verità, sia<br />

non è facile realizzare<br />

per far presente la propria tradizio-<br />

la trasmissione della fede.<br />

ne religiosa, salvaguardando la sana<br />

laicità dello stato.<br />

Tempo, persone, racconto:<br />

Il mutamento epocale e l’appiatti- le dimensioni<br />

mento sul presente, tratti tipici della della tradizione vanno<br />

nostra cultura, sono una delle cause percorse dalla Chiesa,<br />

della difficoltà di trasmettere la fede per aiutare l’uomo<br />

sia tra generazioni diverse, sia all’in- a scoprire la sua<br />

terno della stessa generazione. Eppure “vocazione integrale”<br />

è innegabile che la vita stessa è “tradizione”;<br />

e il primo bene che viene consegnato<br />

da una generazione all’altra è proprio la vita. Allora,<br />

come attivare percorsi capaci di recuperare passato e futuro?<br />

Come aiutare famiglie, parrocchie, scuola, i luoghi<br />

classici della trasmissione, a esercitare il loro compito?<br />

Anzitutto la tradizione è legame rispetto al tempo.<br />

La visione cristiana della storia emerge proprio in questa<br />

tensione tra la memoria dell’opera redentiva compiuta<br />

da Gesù Cristo, l’esperienza di questa nel presente<br />

e l’attesa del suo compimento.<br />

Ma la tradizione è anche legame rispetto alle persone,<br />

si attua sempre in un rapporto interpersonale, tra un soggetto<br />

che “consegna” e uno che “riceve”. Di conseguenza è<br />

un legame rispetto alla collettività, in quanto diventa patrimonio<br />

prezioso per ogni gruppo sociale, conferisce senso<br />

di appartenenza e identità collettiva. È legame e crea lega-<br />

6 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />

verso verona<br />

di Salvatore Ferdinandi<br />

mi. E spinge la collettività verso una<br />

convivialità delle diversità, terreno di<br />

dialogo tra le culture, unica alternativa<br />

al conflitto.<br />

Infine, la tradizione è tale in quanto<br />

è narrata e il racconto rappresenta<br />

lo strumento privilegiato per la comprensione<br />

del reale e la comunicazione<br />

dell’identità individuale e collettiva.<br />

Questo è vero soprattutto per il<br />

narratore cristiano, portatore della<br />

“buona notizia”, in grado di rispondere<br />

alle esigenze di fondo che muovono<br />

il cuore umano, avendo non solo<br />

maggior consapevolezza del dono ricevuto,<br />

ma anche maggior fiducia nella<br />

proposta cristiana e nell’uomo chiamato<br />

alla speranza e alla salvezza in<br />

Gesù Cristo.<br />

La memoria della dignità<br />

Riguardo al compito educativo, la<br />

Chiesa è chiamata ad aiutare l’uomo<br />

a scoprire e a realizzare dentro<br />

la storia la sua dignità e la sua voca-<br />

zione integrale. Questo è lo spazio proprio della chiesa<br />

per “contribuire al costituirsi di una tradizione di verità”<br />

di cui parla la Traccia Cei verso Verona, evitando che la<br />

cultura si appiattisca sulla dimensione oggettivo-descrittiva,<br />

riducendosi a formalità esteriore.<br />

Occorre essere consapevoli dell’“immenso patrimonio<br />

della nostra tradizione culturale, impregnato di valori cristiani”<br />

(n. 27 della Nota pastorale dopo Palermo) per attuare<br />

validamente l’esercizio del trasmettere e per rispondere<br />

alla vocazione educativa, illuminati e sorretti dalla speranza.<br />

Per favorire e stimolare questa consapevolezza, è però<br />

necessario recuperare la memoria della nostra dignità. Solo<br />

la consapevolezza gioiosa della rigenerazione nel mistero<br />

pasquale per mezzo dello Spirito ci rende capaci di trasmettere<br />

ciò che abbiamo ricevuto.<br />

Italia <strong>Caritas</strong> + Valori<br />

È un mensile di economia sociale e finanza etica promosso da Banca Etica.<br />

Propone ogni mese “Osservatorio nuove povertà”, in collaborazione con <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>.<br />

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valori<br />

Mensile di economia sociale e finanza etica<br />

SHOBHA / CONTRASTO<br />

Fotoreportage > Mafia<br />

Leggo doppio<br />

Leggo solidale<br />

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Italia <strong>Caritas</strong><br />

maggio 2006<br />

MIGRANTI, WELFARE, LAVORO: PROMEMORIA PER LA POLITICA<br />

ITALIA OLTRE LE QUOTE<br />

FRIULI TERREMOTO E SOLIDARIETÀ, UNA MEMORIA VIVA<br />

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MIGRANTI, WELFARE, LAVORO: PROMEMORIA PER LA POLITICA<br />

ITALIA OLTRE LE QUOTE<br />

FRIULI TERREMOTO E SOLIDARIETÀ, UNA MEMORIA VIVA<br />

INDONESIA PROVE DI PACE E DIALOGO TRA I DETRITI DELL’ONDA<br />

DEBITO L’AFRICA CHE REAGISCE A UN PESO OPPRIMENTE<br />

+<br />

+<br />

Anno 6 numero 39.<br />

Maggio 2006.<br />

€ 3,50<br />

osservatorio<br />

nuove<br />

povertà<br />

La risposta della città d’arte<br />

e cultura alla scarsità di alloggi<br />

e ai bassi redditi: Pisa<br />

apre le porte delle istituzioni<br />

ai migranti e alla solidarietà<br />

Dossier > Oltre le intimidazioni la lotta contro la ‘ndrangheta è continua<br />

L’ora del riscatto<br />

Fair Trade > Raddoppiano le vendite di prodotti equo solidali in Europa<br />

Messico > Il muro statunitense di mattoni e norme contro tutti i migranti<br />

Pedavena > La storica birra batte la globalizzazione e torna in attività<br />

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.P.<br />

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nazionale<br />

SANATORIA MASCHERATA,<br />

“QUOTE” DA SUPERARE<br />

di Giancarlo Perego e Oliviero Forti<br />

La corsa all’accaparramento di quote, in occasione del recente decreto sui flussi di ingresso<br />

nel nostro paese, ha proposto ancora una volta la questione dell’efficacia di<br />

un sistema che non sembra riuscire a soddisfare né i lavoratori (o aspiranti tali) stranieri,<br />

né i datori di lavoro italiani. Lo scorso 14 marzo alle Poste italiane sono state<br />

presentate circa mezzo milione di domande, a fronte di una disponibilità di 170 mila<br />

posti fissata dal governo uscente. Tutto ciò, senza considerare che i kit ritirati per<br />

la compilazione delle domande sono stati oltre un milione. Il fatto che non si siano verificati<br />

particolari problemi in sede di presentazione delle domande non toglie dall’imbarazzo chi ancora<br />

oggi cerca di capire come mai a presentare la domanda ci fossero soprattutto quegli stessi<br />

lavoratori che, per la legge, in quel momento dovevano trovarsi nel proprio paese, e non invece<br />

i loro potenziali datori di lavoro.<br />

A questo punto si impone una riflessione circa la validità<br />

di un modello che ha mostrato tutta la sua debolezza<br />

e la sua ipocrisia, costringendo le parti interessate, ministero<br />

dell’interno compreso, a muoversi in una zona<br />

grigia, nella quale la legalità troppo spesso contrasta con<br />

la realtà delle cose. Insomma, da un lato c’è una norma<br />

sull’immigrazione che afferma con chiarezza la necessità,<br />

per il datore di lavoro che intenda assumere un immigrato<br />

residente all’estero, di affrontare la complessa<br />

procedura dei flussi attraverso la presentazione di una<br />

domanda alle Poste. Dall’altro ci troviamo di fronte a file<br />

formate al 90% da lavoratori già impiegati irregolarmente<br />

e che presentano al posto del proprio datore di lavoro<br />

la domanda della loro assunzione.<br />

Rigidità e mancato ascolto<br />

Non è allora scorretto parlare di una sanatoria mascherata<br />

né, al contempo, si dovrebbe essere troppo severi con il<br />

ministro della giustizia del governo Berlusconi, Roberto<br />

Castelli, quando se l’è presa provocatoriamente con il collega<br />

dell’interno, Giuseppe Pisanu, per non aver intercettato<br />

davanti agli uffici postali coloro che per legge non sono<br />

altro che irregolari o addirittura clandestini, quindi<br />

soggetti da espellere.<br />

Purtroppo il torto questa volta non è né di chi chiede<br />

rigidamente l’applicazione della legge né di chi cerca di<br />

interpretarla in modo estensivo, ma piuttosto di un siste-<br />

8 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />

MODELLO<br />

IPOCRITA<br />

L’attuale sistema<br />

delle quote<br />

richiederebbe<br />

ai lavoratori<br />

stranieri<br />

di avanzare<br />

domanda<br />

dall’estero.<br />

Ma loro sono<br />

già in Italia...<br />

L’ingresso di lavoratori stranieri<br />

in Italia non può essere affrontato<br />

con le norme attuali.La chiusura<br />

non premia: tre consigli<br />

per il nuovo governo. E un monito:<br />

le politiche del lavoro e per<br />

l’integrazione non vanno separate<br />

ma normativo che appare inadeguato a gestire un fenomeno<br />

complesso quale l’ingresso e l’inserimento di cittadini<br />

stranieri nel mercato del lavoro. Da diverso tempo<br />

<strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> ribadisce i numerosi elementi critici e di<br />

rigidità di questa normativa, ma i tavoli di confronto a livello<br />

istituzionale in questi anni sono stati pochi. E soprattutto<br />

è venuta meno nel tempo la volontà di ascoltare<br />

sistematicamente gli organismi del mondo della società<br />

civile, che a vario titolo lavorano in questo ambito. Di questi<br />

elementi critici dovrà tenere conto il nuovo governo,<br />

uscito dalle urne del 10 aprile.<br />

La gestione dei flussi è ormai, d’altro canto, una questione<br />

europea. Lo ribadiscono recenti prese di posizione,<br />

come quella del ministero degli interni olandese e soprattutto<br />

quella del ministro dell’interno tedesco, Wolfgang<br />

Schauble, che ha parlato con preoccupazione dell’elevato<br />

ROMANO SICILIANI<br />

Trieste: «Difficoltà per tutti, esiste un mercato nero dei kit»<br />

Tullio Burzachechi, operatore dello sportello<br />

di consulenza legale per gli immigrati della <strong>Caritas</strong><br />

diocesana di Trieste, denuncia che non solo<br />

gli immigrati, ma anche i datori di lavoro italiani<br />

hanno incontrato problemi nella compilazione<br />

dei kit di marzo per l’ottenimento del permesso<br />

di soggiorno. Il servizio in cui opera è promosso<br />

dal 1991, cioè da quando ha aperto i battenti,<br />

dalla <strong>Caritas</strong> e dalle Acli provinciali, in convenzione<br />

con il comune di Trieste.<br />

Chi si rivolge al vostro sportello?<br />

Il servizio è molto conosciuto in città, la tipologia<br />

di chi chiede informazioni è molto varia, dagli studenti<br />

universitari stranieri ai soggetti che richiedono asilo<br />

politico. In occasione del decreto sui flussi, a marzo,<br />

ci hanno chiesto aiuto anche molti anziani interessati<br />

a mettere in regola i lavoratori domestici.<br />

Quante persone sono venute da voi?<br />

Abbiamo offerto 560 consulenze per la compilazione<br />

dei kit, non poche ai datori di lavoro. Per scelta<br />

sosteniamo in modo particolare i lavoratori domestici,<br />

migranti<br />

per quanto riguarda il lavoro subordinato è giusto<br />

siano direttamente le aziende ad occuparsi delle<br />

pratiche. Abbiamo compilato 100 kit, li abbiamo<br />

avuti direttamente dalle poste e sono stati rilasciati<br />

alle persone solo una volta inseriti i dati. Valutiamo<br />

caso per caso l’opportunità di accompagnare<br />

le persone presso i servizi sociali e demografici,<br />

generalmente abbiamo un’attenzione particolare<br />

per le persone arrivate da poco nel nostro paese.<br />

Purtroppo esiste un mercato nero dei kit, in certi<br />

momenti sembravano introvabili, esistono i “bagarini”<br />

in questo settore...<br />

Come sono i vostri rapporti con il comune,<br />

la questura e la prefettura?<br />

Con la questura e la prefettura abbiamo buonissime<br />

relazioni. Siamo ascoltati, si fidano della nostra<br />

esperienza, lavoriamo molto insieme. Con il comune<br />

abbiamo minori occasioni di contatto. Pur rinnovando<br />

la convenzione, negli ultimi anni la giunta<br />

di centrodestra ha tagliato i fondi destinati<br />

al nostro servizio. [Pietro Gava]<br />

ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 9


nazionale<br />

MANODOPERA A PREZZI STRACCIATI<br />

Stranieri in un’azienda agricola. Gli stagionali ammessi per il 2006<br />

sono 50mila, ma il ricorso al lavoro nero resta elevato<br />

numero di lavoratori immigrati presenti nel suo paese. La<br />

Germania, d’altronde, ha approvato una legge che limita<br />

fortemente l’ingresso dei lavoratori altamente qualificati,<br />

rendendo più complicato presentare una domanda di regolarizzazione<br />

e facilitando le espulsioni.<br />

Si tratta di un diffuso atteggiamento di chiusura, che<br />

però non premierà né nel breve né nel lungo periodo. L’e-<br />

La corsa al posto in Italia quest’anno ha avuto per<br />

teatro gli uffici postali. A metà marzo quasi mezzo<br />

milione di persone hanno avanzato domanda per<br />

ottenere (o vedere riconosciuto) un posto di lavoro in<br />

Italia. Gli sportelli postali sono stati destinati ad<br />

accogliere le buste di assicurata postale, con all’interno<br />

la documentazione per la richiesta dei lavoratori, ai<br />

sensi del decreto che ha fissato le quote di ingresso in<br />

Italia per il 2006. Il decreto sui flussi pubblicato sulla<br />

Gazzetta Ufficiale del 7 marzo ha previsto un tetto<br />

massimo di 170 mila assunzioni di lavoratori<br />

extracomunitari, ripartite come nella tabella sopra.<br />

Poste Italiane ha distribuito un milione e mezzo di kit<br />

per la presentazione dei moduli di richiesta. Le<br />

domande avanzate sono state circa 470 mila.<br />

10 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />

QUOTE INGRESSI 2006<br />

sperienza italiana, in questo senso, è emblematica.<br />

L’approvazione della legge Bossi-Fini,<br />

nel 2002, attraverso la quale è stato riletto<br />

in maniera restrittiva il testo unico sull’immigrazione<br />

del 1998, non sembra aver risolto<br />

il problema dell’irregolarità, stimata in<br />

Italia in oltre 500 mila persone; davanti agli<br />

uffici postali si sono in effetti presentate, due<br />

mesi fa, circa 470 mila persone che risiedevano<br />

irregolarmente in Italia. Restringere i<br />

canali di ingresso regolare, in altre parole,<br />

non produce altro effetto che l’aumento dell’irregolarità.<br />

Funziona come un efficacissimo<br />

sistema di vasi comunicanti: se si riduce<br />

il flusso da una parte, aumenta dall’altra.<br />

Recupero periodico<br />

A fronte di una seria e reale difficoltà di gestione<br />

dei flussi di lavoratori migranti sono<br />

opportuni, dunque, nuovi approcci in termini<br />

di politica migratoria. Essi devono<br />

sempre tenere in considerazione la percentuale<br />

fisiologica di irregolarità che connota ogni sistema,<br />

anche se in possesso di un’ottima legge sull’immigrazione.<br />

Gli obiettivi da proporre alla nuova stagione<br />

politica sono quindi molteplici.<br />

Anzitutto, occorre ridurre sensibilmente le occasioni<br />

di irregolarità, cominciando a riformare il mercato del lavoro<br />

nazionale attraverso incentivi ai datori di lavoro che<br />

Decreto flussi, corsa alle poste: le richieste sono il triplo delle quote<br />

ROMANO SICILIANI<br />

Lavoratori non stagionali<br />

(quote riservate ai cittadini di paesi<br />

sottoscrittori di accordi di cooperazione) 38.000<br />

Lavoratori dall’America Latina<br />

di origine italiana 500<br />

Lavoratori non stagionali 78.500<br />

Lavoratori autonomi 3.000<br />

Lavoratori stagionali 50.000<br />

TOTALE QUOTE DISPONIBILI 170.000<br />

TOTALE DOMANDE AVANZATE 470.000<br />

Formia: «Era forte il timore<br />

di sbagliare le domande…»<br />

Suor Cleofe Falletta assiste le persone immigrate<br />

al centro d’ascolto San Vincenzo Pallotti a Formia,<br />

in provincia di Latina, nella diocesi di Gaeta.<br />

Oltre ad ascoltare i bisogni, la struttura della <strong>Caritas</strong><br />

diocesana offre un servizio mensa, a pranzo, da lunedì<br />

a sabato, la possibilità di lavarsi due volte a settimana,<br />

distribuisce vestiti e offre informazioni sui servizi sociali<br />

e sanitari. Dopo l’uscita del decreto sui flussi, il centro<br />

d’ascolto si è attivato per promuovere una rete<br />

di volontari in grado di offrire la propria professionalità<br />

per la compilazione dei kit.<br />

Ci sono state difficoltà nel trovare volontari?<br />

Abbiamo buoni contatti. In particolare, un commercialista<br />

ci ha aiutato tantissimo. Compilare i kit non era affatto<br />

semplice. Il timore di fare sbagli e compromettere<br />

l’esito delle domande era alto, così abbiamo deciso<br />

di mettere in contatto le persone immigrate con lo studio<br />

del commercialista.<br />

Come avete avuto i kit?<br />

Abbiamo potuto contare su 40 kit resi disponibili<br />

dalla prefettura di Latina, li ha ritirati il responsabile<br />

del centro d’ascolto.<br />

Sono venuti da voi anche i datori di lavoro?<br />

Sì, abbiamo cercato di dare informazioni utili a tutti,<br />

naturalmente anche dopo aver finito i kit. [Pietro Gava]<br />

optano per le vie della legalità e colpendo chi, nonostante<br />

ciò, si ostina a considerare il lavoratore una semplice merce<br />

da sfruttare a basso costo.<br />

In secondo luogo, bisogna superare il sistema delle<br />

quote, permettendo, ogni volta che si presenti l’opportunità,<br />

l’assunzione di lavoratori extracomunitari dietro precise<br />

garanzie, tramite domanda da rivolgere agli Sportelli<br />

unici per l’immigrazione. In questo modo si potrebbe recuperare<br />

la posizione di tutti i cittadini che risiedono irregolarmente,<br />

ma che nel frattempo sono venuti in contatto<br />

con un datore di lavoro che si è dimostrato disponibile ad<br />

assumerlo (recupero periodico della irregolarità fisiologica);<br />

in sostanza, si legalizzerebbe una prassi ormai consolidata.<br />

E d’altro canto si potrebbe rispondere efficacemente<br />

alle esigenze di imprenditori e famiglie nel corso dell’anno<br />

e nelle diverse stagioni; costoro, a fronte di una domanda<br />

di assunzione, vedrebbero soddisfatta la propria<br />

richiesta senza dove sopportare il calvario oggi previsto<br />

migranti<br />

Crotone: «L’informazione è vitale<br />

per indirizzare gli stranieri»<br />

Francesco Vizza, 36 anni, responsabile dell’area immigrati<br />

della <strong>Caritas</strong> diocesana di Crotone, racconta il servizio<br />

offerto dallo sportello di orientamento e assistenza<br />

alle persone immigrate, che serve tutte le 84 parrocchie<br />

presenti nel territorio diocesano.<br />

Dopo la pubblicazione del decreto sui flussi quanti<br />

lavoratori avete accolto?<br />

Abbiamo aiutato 400 persone, grazie anche alla collaborazione<br />

di un commercialista. In particolare, per quanto riguarda<br />

la compilazione dei moduli di colf e badanti siamo riusciti<br />

a sostenere 100 richieste direttamente allo sportello.<br />

Come accompagnate i percorsi di regolarizzazione?<br />

Valutiamo caso per caso. Alcune volte ci rechiamo<br />

con loro agli uffici competenti per le pratiche, altre<br />

volte è sufficiente una nostra lettera di presentazione.<br />

Cerchiamo di curare i rapporti con le istituzioni<br />

e facilitiamo le relazioni degli immigrati con esse.<br />

Cosa comporta l’organizzazione di un servizio dedicato<br />

alla compilazione dei moduli?<br />

Un’informazione puntuale è vitale. Ci siamo aggiornati<br />

in modo costante sui modelli da riempire, internet è stata<br />

una risorsa fondamentale. È stata preziosa la collaborazione<br />

con la <strong>Caritas</strong> diocesana di Roma, abbiamo ricevuto notizie<br />

utilissime e 200 kit. Li abbiamo potuti distribuire<br />

gratuitamente. [Pietro Gava]<br />

dalla normativa. Inoltre un sistema così flessibile sarebbe<br />

molto meno oneroso per la pubblica amministrazione.<br />

Infine, questo impianto andrebbe rafforzato attraverso<br />

la previsione di un permesso di soggiorno per ricerca<br />

di lavoro valido da sei mesi a un anno, che consentirebbe<br />

di far incontrare regolarmente domanda e offerta di lavoro<br />

innescando un circuito virtuoso che, pur non debellando<br />

completamente il fenomeno della irregolarità, lo<br />

conterrebbe molto.<br />

Per governare l’immigrazione, comunque, la politica<br />

del lavoro e della sicurezza non va mai disgiunta da<br />

serie politiche di integrazione, che manifestino attenzione<br />

ai ricongiungimenti familiari, alla casa, al dialogo<br />

culturale e religioso, alla scuola. Una politica inadeguata<br />

sul fronte del lavoro, ma anche distante dai problemi<br />

di chi lascia il proprio paese per costruirsi una vita migliore,<br />

genera solo disagio ed esclusione sociale, contrapposizioni<br />

e conflitti.<br />

ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 11


nazionale<br />

LA FATICA DI INTEGRARE,<br />

ITALIA A VELOCITÀ VARIABILI<br />

di Luca Disciullo<br />

degli immigrati nella nostra società è una dinamica<br />

complessa, solo in parte misurabile attraverso le statisti-<br />

L’integrazione<br />

che. Perché i numeri esprimano il potenziale di integrazione<br />

di cui ogni regione e provincia italiana è capace, bisogna che siano<br />

utilizzati in maniera corretta. Ma il fenomeno è sempre più marcato:<br />

lo testimoniano, ad esempio, il numero in costante aumento degli<br />

stranieri, le famiglie che si ricompongono, i minori che vanno a scuola,<br />

l’acquisto delle case. Il 22 marzo è stato presentato il quarto Rapporto<br />

sugli indici di integrazione degli immigrati in Italia, che il Cnel<br />

(organismo nazionale di coordinamento<br />

delle politiche di integrazione<br />

sociale dei cittadini stranieri) ha<br />

nuovamente commissionato all’équipe<br />

del Dossier statistico immigrazione<br />

<strong>Caritas</strong> - Migrantes. Tre sono<br />

gli indici considerati dal rapporto<br />

(capacità di attrarre e trattenere<br />

sul territorio la popolazione straniera;<br />

grado di radicamento stabile e di<br />

inserimento sociale; livello e qualità<br />

dell’inserimento lavorativo) e ventuno<br />

gli indicatori che li compongono:<br />

il confronto tra territori che ne è<br />

scaturito non aveva l’intento di assegnare la pagella a<br />

regioni e province, ma intendeva acquisire informazioni<br />

utili dalle situazioni locali, cercando di capire perché<br />

alcuni territori vengano a trovarsi prima o dopo di altri.<br />

E puntava, senza far torto ad alcun contesto territoriale<br />

e tanto meno ai rispettivi amministratori locali, a favorire<br />

una riflessione attraverso un’analisi comparativa.<br />

L’anno più recente a cui il Rapporto si è riferito è il<br />

2003, quando gli immigrati regolari erano circa<br />

2.600.000 (oggi sono più di 3 milioni). È innegabile il<br />

differente potenziale di integrazione tra le diverse aree<br />

territoriali: al primo posto troviamo il nord, in particolare<br />

il nord-est; segue il centro, quindi il meridione. In<br />

ciascuna area, ovviamente, alcune realtà territoriale<br />

sono meglio caratterizzate dalle altre. Questa stratifi-<br />

12 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />

L’integrazione<br />

degli immigrati<br />

è una dinamica sempre<br />

più marcata, anche<br />

se difficile da valutare<br />

con oggettività.<br />

Un rapporto analizza<br />

la capacità<br />

di integrazione<br />

di province e regioni:<br />

emergono forti disparità<br />

dall’altro mondo<br />

cazione si basa sulla diversa capacità<br />

di richiamo dell’immigrazione<br />

da parte dei singoli territori e sulle<br />

diverse potenzialità economiche e<br />

sociali. Le differenze che caratterizzano<br />

il paese (specialmente il<br />

Mezzogiorno) anche in altri ambiti<br />

ritornano anche nel Rapporto; si<br />

accredita, così, l’obiettivo di condurre<br />

politiche nazionali e locali<br />

atte a favorire un più omogeneo tenore<br />

di vita per tutti.<br />

Dal Veneto alla Campania<br />

Spesso le distanze riscontrate sono<br />

rilevanti: tra la regione a più alto potenziale<br />

d’integrazione (Veneto con<br />

1.543 punti) e l’ultima (Campania<br />

con 464) la differenza è di circa<br />

1.000 punti; tra le province il punteggio<br />

va dai 1.356 punti di Treviso<br />

ai 531 di Napoli. Il Rapporto cerca di<br />

spiegare questi divari e incentiva i<br />

decisori pubblici a meglio individuare<br />

cosa fare nel futuro o per<br />

mantenere buoni standard o per raggiungerli.<br />

In generale gli eventi – anche drammatici – di questa<br />

fase storica, l’aumento significativo degli immigrati e la<br />

molteplicità delle nazionalità presenti (portatrici di differenze<br />

etniche, culturali e religiose) impongono che si<br />

arrivi a un modello di integrazione né lesivo dei principi<br />

che reggono la nostra società, né spregiativo delle differenze<br />

degli immigrati, che possono essere armonizzate<br />

in maniera costruttiva. È il grande compito che ci attende<br />

e dal quale dipende se la nostra società riuscirà a<br />

essere coesa e prospera. Il quarto Rapporto sull’integrazione<br />

è un sussidio conoscitivo che spinge in questa direzione,<br />

senza ripetere gli errori del passato, valorizzando<br />

quando di valido è emerso e mantenendo l’apertura<br />

a quanto di positivo si può ancora fare.<br />

nazionale<br />

Il compimento di scelte e l’assegnazione di priorità sono tra i compiti principali della politica<br />

e ne costituiscono una fondamentale responsabilità. Passata la virulenta campagna<br />

elettorale ed esercitata la scelta fondamentale dei cittadini, ora tocca al parlamento e al governo<br />

eletti fare la propria parte. Il quadro socio-economico del paese è sconfortante e va<br />

affrontato con rigore e coerenza. Se, come tutti ritengono necessario, crescita e sviluppo<br />

devono essere le determinanti dell’azione del nuovo governo, è fondamentale che le scelte<br />

esplicitino da subito il modello di sviluppo che intendono adottare.<br />

<strong>Caritas</strong> ritiene, sapendo di non essere la sola, che non possa esserci vero sviluppo senza inclusione<br />

e coesione sociale, dunque senza giustizia e solidarietà. Qualunque crescita, anche quella del<br />

Pil, va accompagnata e sostenuta con politiche sociali reali ed efficaci, che attivino la comunità, ri-<br />

fiutino l’assistenzialismo, contrastino la<br />

povertà, governino gli squilibri del mercato<br />

del lavoro e del rapporto tra domanda<br />

e offerta di servizi. Tutto questo non è<br />

impossibile, ma occorre che l’agenda politica<br />

assuma, coraggiosamente e definitivamente,<br />

il welfare come fattore di sviluppo<br />

e non come costo.<br />

Politiche tout court<br />

In campagna elettorale abbiamo ascoltato su questo punto<br />

le affermazioni più disparate. Ora è tempo di fatti. I<br />

campi di azione non mancano, ma alcuni sono essenziali<br />

e più urgenti di altri: lotta alla povertà; promozione del<br />

mezzogiorno; garanzia dei livelli essenziali dei servizi e<br />

delle prestazioni sociali in tutto il territorio nazionale; tutela<br />

della non autosufficienza; integrazione degli immigrati;<br />

accesso all’abitazione. Si tratta quasi sempre di aree di<br />

bisogno che sollecitano risposte multidimensionali, complesse<br />

e integrate. E non richiedono soltanto politiche sociali,<br />

bensì politiche tout court, al tempo stesso economiche,<br />

sociali, sanitarie, previdenziali, fiscali e del lavoro, capaci<br />

di mobilitare tutti gli attori sociali, non solo quelli<br />

operanti nell’ambito della solidarietà. Per ciascuna di queste<br />

aree esistono interventi possibili, da costruire con il<br />

concorso responsabile delle parti sociali, magari adottando<br />

criteri di applicazione graduale ma in una logica di effettività<br />

nel lungo periodo, non di mera sperimentazione.<br />

Alcuni di questi interventi non possono più essere ri-<br />

politiche sociali<br />

WELFARE PER LO SVILUPPO<br />

APPUNTI PER RIPARTIRE<br />

di Paolo Pezzana<br />

LO SVILUPPO<br />

DEVE INCLUDERE<br />

Volontaria<br />

di una ronda<br />

con una homeless.<br />

Tra le scelte<br />

prioritarie<br />

per parlamento<br />

e governo,<br />

figura la lotta<br />

alla povertà<br />

Inclusione e coesione sociale non possono essere<br />

trascurate dall’agenda politica. Lotta alla povertà,<br />

mezzogiorno, livelli essenziali dei servizi,<br />

non autosufficienza: ecco le priorità<br />

che interpellano il nuovo parlamento e governo<br />

ROMANO SICILIANI


nazionale<br />

Povera una famiglia su cinque, Fondo politiche sociali dimezzato<br />

Alcune cifre, indizi di una situazione socio-economica<br />

che il nuovo parlamento e il nuovo governo dovranno<br />

incaricarsi di correggere.<br />

■ Il tasso di povertà relativa è rimasto sostanzialmente<br />

stabile (dati Istat), ma negli ultimi tre anni (2002-2004)<br />

le famiglie in condizioni di povertà sono cresciute di 220<br />

mila unità; gli individui di circa 450 mila unità. Sono il 20%<br />

(una su cinque) le famiglie sicuramente, appena o quasi<br />

povere. Nessun dato è invece disponibile circa le povertà<br />

estreme, ma l’esperienza di chi lavora in questo settore<br />

dimostra che sono in forte aumento.<br />

■ Occupazione: pur essendo generalmente cresciuta<br />

nell’ultimo quinquennio, è stata caratterizzata da un’ampia<br />

diffusione di forme di precariato dovute alla flessibilità;<br />

mandati. Nel campo della lotta alla povertà è indifferibile<br />

l’adozione di una misura universale di sostegno al reddito,<br />

riprendendo e migliorando la sperimentazione del reddito<br />

minimo di inserimento, mai adeguatamente valutata.<br />

Quanto al mezzogiorno, occorre investire subito nei servizi<br />

pubblici essenziali, lasciando perdere sprechi di risorse<br />

legati a infrastrutture di dubbia utilità e definendo piuttosto<br />

un’accurata programmazione delle risorse aggiuntive<br />

che i fondi strutturali europei per la politica regionale ancora<br />

destineranno al sud Italia nel periodo 2007-2013. Per<br />

quanto riguarda i livelli essenziali delle prestazioni e dei<br />

servizi sociali, non è più tollerabile che l’articolo 117 della<br />

Costituzione resti lettera morta: va in primo luogo rifinanziato<br />

e potenziato il fondo nazionale per le politiche sociali,<br />

dimezzato dal precedente governo, in modo che regioni<br />

ed enti locali siano stimolati a fare la propria parte; va inoltre<br />

abbandonata la politica inefficace dei bonus diretti in<br />

denaro ai cittadini, che lasciano sole le famiglie a procurarsi<br />

sul mercato servizi spesso inesistenti o inaccessibili;<br />

va infine approntato un rigoroso piano di definizione e attivazione<br />

progressiva dei livelli essenziali delle prestazioni<br />

in tutto il territorio nazionale, a partire dal diritto a un reddito<br />

minimo, dal segretariato sociale, dal diritto a un’accoglienza<br />

di prima necessità in caso di perdita della dimora.<br />

Anche la tutela della non autosufficienza di anziani e portatori<br />

di handicap, emergenza per molte famiglie, va assunta<br />

come priorità, istituendo un fondo per la non autosufficienza<br />

in collaborazione con le regioni e riconoscendo<br />

il lavoro domestico di cura prestato dai famigliari.<br />

14 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />

politiche sociali<br />

inoltre nel 2005 è tornata a scendere dopo molti anni<br />

(meno 102 mila posti di lavoro rispetto al 2004).<br />

■ Il Fondo nazionale per le politiche sociali è stato<br />

tagliato di oltre il 50% negli ultimi due anni: da oltre<br />

un miliardo a 518 milioni di euro.<br />

■ I finanziamenti statali per la sanità sono diminuiti<br />

di 5 miliardi di euro: le spese sanitarie a carico<br />

delle famiglie sono cresciute di 1,35 miliardi e il costo<br />

dei medicinali è salito del 29%.<br />

■ Immigrazione: secondo la Corte dei Conti, nel 2005<br />

sono state impiegati 115 milioni di euro nell’attività<br />

di contrasto all’immigrazione clandestina e solo<br />

29 milioni in iniziative di sostegno e integrazione<br />

(nel 2001 il rapporto era uno a uno).<br />

La questione della casa<br />

Ultima, ma non ultima, è la questione dell’abitazione, bene<br />

ormai irraggiungibile per moltissime famiglie, fonte di<br />

insicurezza per le giovani coppie, ostacolo alla mobilità<br />

nel paese, oggetto di speculazione finanziaria e immobilizzazione<br />

improduttiva di risorse. In questo campo, come<br />

negli altri, non esistono ricette semplici, ma oggi più che<br />

mai non può essere abbandonata la logica dell’intervento<br />

pubblico nel mercato delle locazioni, in termini di sostegno<br />

agli affitti, di garanzia ai proprietari che accettino di<br />

locare a canone concordato i loro immobili, di mantenimento,<br />

riqualificazione e potenziamento del patrimonio<br />

di edilizia residenziale pubblica a favore delle famiglie<br />

meno abbienti.<br />

Affinché tutto questo non prolunghi passate e fallimentari<br />

logiche assistenzialiste è necessario coinvolgere<br />

comunità ed enti locali, in una logica di welfare plurale<br />

delle responsabilità, in cui l’ente pubblico lasci dove possibile<br />

le funzioni gestionali a soggetti privati accreditati,<br />

preferibilmente non profit, e assuma più fortemente il<br />

ruolo di regia e controllo, promuovendo la qualità degli<br />

interventi, l’efficienza della spesa pubblica e la responsabilità<br />

sociale dei territori e delle forze sociali. Alla base sta<br />

l’esigenza di una rinnovata “tensione morale” verso le<br />

questioni sociali, da sviluppare nel paese a partire dalle<br />

forze politiche, ma senza pretendere da queste ciò che le<br />

altre componenti della società non esigono da loro stesse.<br />

È forse questa la principale sfida che, insieme al nuovo governo,<br />

ci lancia il futuro prossimo.<br />

nazionale<br />

di Giancarlo Perego<br />

Ivescovi italiani, a conclusione dell’ultimo Consiglio permanente della Cei (23-26 gennaio<br />

2006), commentando la modifica dell’articolo 52 del codice penale, hanno auspicato “che<br />

la normativa sull’uso delle armi per la legittima difesa non oscuri o relativizzi il valore della<br />

vita umana e non indebolisca l’impegno delle istituzioni per la difesa e la tutela dei cittadini”.<br />

Su questa scia i circa trecento partecipanti all’incontro nazionale dei giovani in<br />

servizio civile (provenienti da più di 40 <strong>Caritas</strong> diocesane) hanno approvato a Trani il 12<br />

marzo, giorno dedicato alla memoria di san Massimiliano, martire per obiezione di coscienza<br />

al servizio militare, una mozione in cui si chiede al parlamento italiano di rivedere la legge<br />

sulla legittima difesa e, più in generale, di avviare una politica di drastica riduzione delle spese militari,<br />

potenziare le forme di difesa civile e nonviolenta, lavorare per il rafforzamento di organi so-<br />

vranazionali che sottraggano agli stati il potere dell’uso della forza.<br />

Le recenti modifiche alla legge sulla “legittima difesa”<br />

prevedono che i singoli cittadini, legalmente in possesso<br />

di un’arma, la possano utilizzare di fronte a un pericolo di<br />

aggressione che metta a rischio l’incolumità propria o altrui<br />

oppure i beni propri o altrui. La legge, oltre a mettere<br />

sullo stesso piano il valore della vita dell’uomo e quello dei<br />

suoi beni, criterio che contrasta palesemente con la morale<br />

cristiana e i numerosi appelli del papa sul valore inviolabile<br />

e preminente della vita umana, restituisce al cittadino<br />

il potere dell’uso delle armi: potere che il diritto<br />

delle società moderne ha sottratto ai singoli per affidarlo<br />

allo stato, che lo esercita nell’interesse delle persone, misurando<br />

anche la proporzione tra minaccia e reazione.<br />

Questa legge, pertanto, non solo ripropone le difficoltà<br />

della politica e della cultura a prendere in considerazione<br />

una seria opzione nonviolenta e non armata, ma addirittura<br />

costituisce un passo indietro riguardo al diritto elaborato<br />

nei secoli sull’uso delle armi.<br />

Una domanda nelle nostre case<br />

Purtroppo occorre constatare che, insieme alle armi, la<br />

violenza continua a costituire l’ombra inquietante di Caino<br />

sul cammino della storia dell’uomo e lo riporta verso la<br />

preistoria, invece di proiettarlo verso il futuro. Nel tempo<br />

pasquale i giovani in servizio civile hanno dunque voluto<br />

invitare tutti a un impegno quotidiano in nome della nonviolenza,<br />

facendo memoria della figura di san Massimiliano.<br />

Costui, insieme ad altri straordinari “testimoni della<br />

sicurezza e pace<br />

LEGITTIMA DIFESA,<br />

UNA SCELTA PREISTORICA<br />

Sparare all’aggressore: la modifica<br />

dell’articolo 52 del codice penale viola<br />

il principio del primato della vita umana<br />

e costituisce un passo indietro<br />

per il nostro diritto. Appello al parlamento<br />

dei giovani in servizio civile<br />

coscienza” (come Franz Jaegerstaetter e Josef Mayr-Nusser,<br />

che rifiutarono a costo della vita di imbracciare le armi),<br />

dimostra che il non uccidere, la nonviolenza e l’amore<br />

disarmato per il nemico sono “l’arma di gran lunga più<br />

potente del mondo” (Martin Luther King).<br />

Con l’impegno quotidiano nel servizio civile, accanto<br />

ai poveri, sul territorio e in tanti paesi del mondo, in progetti<br />

di solidarietà, giustizia e salvaguardia del creato, 40<br />

mila giovani ogni anno difendono senza armi la nostra patria<br />

ed educano alla pace, come “utopia”, cioè come desiderio<br />

e interesse forte, luogo da creare ogni volta, riconoscendo<br />

e abitando i piccoli e grandi conflitti di ogni giorno.<br />

Davvero si può così ribadire con Benedetto XVI l’interrogativo<br />

contenuto nel messaggio per la Giornata della pace<br />

2006: “Quale avvenire di pace sarà mai possibile, se si continua<br />

a investire nella produzione di armi e nella ricerca<br />

applicata a svilupparne di nuove?”. Una domanda che non<br />

può non risuonare anche nelle nostre case e famiglie.<br />

ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 15


nazionale<br />

Gli anziani italiani si sentono “utili”, ma ritengono peggiorati alcuni<br />

aspetti della loro vita quotidiana. È, in sintesi, ciò che<br />

emerge dal quinto Rapporto Censis - Salute La Repubblica sulle<br />

condizioni di vita della popolazione anziana in Italia, condotto su<br />

un campione rappresentativo di mille anziani over60. Anzitutto, il<br />

rapporto evidenzia che gli anziani italiani sono sostanzialmente in<br />

buona salute: il 94,9% è autosufficiente (82,4% totalmente, 12,5% con<br />

qualche aiuto per il disbrigo di alcune attività quotidiane).<br />

esclusione politiche database sociale sociali<br />

ANZIANI UTILI E FRAGILI,<br />

MOLTI AMICI MA LA VITA PEGGIORA<br />

di Walter Nanni ufficio studi e ricerche <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong><br />

Tra i sessantenni la quota di autosufficienza<br />

raggiunge il 98%, mentre tra<br />

Rapporto<br />

gli ottantenni scende all’85%.<br />

Gli anziani italiani sembrano avere<br />

una vita relazionale abbastanza intensa:<br />

il 42% dichiara di avere molti<br />

amici (più di sei) e il 33,3% di averne<br />

da quattro a sei. Gli anziani non vivono<br />

isolati dalle altre generazioni: il<br />

57% dice di avere molti (22,1%) o abbastanza<br />

(34,7%) amici di altre generazioni;<br />

il 53,3% dichiara di non avere<br />

difficoltà a “dialogare con le altre generazioni”.<br />

Per l’anziano risulta importante la fiducia delle persone:<br />

in Italia, il 71% è convinto che le persone che lo circondano<br />

confidino in lui/lei; il 78,1% si definisce “sicuramente<br />

utile agli altri”; il 73,2% è “appagato da quello che ha già<br />

fatto nella vita”; il 68,1% si ritiene “libero di fare quello che<br />

desidera”; il 57,2% si considera “aperto a nuovi incontri,<br />

conoscenze, amicizie”. Gli anziani non sono privi di progetti<br />

e speranze per il futuro: il 37,4% si dichiara “impegnato<br />

e proiettato verso nuovi obiettivi e nuovi progetti”.<br />

Gli aspetti più negativi della condizione anziana interessano<br />

quote meno elevate. Non è però da sottovalutare<br />

che il 32,6% si dichiari “stanco e con tanta voglia di riposare”;<br />

il 28,4% “troppo preso dai propri problemi”; il 26,1%<br />

“deluso perché si aspettava più riconoscenza dai familiari<br />

e dalla società per quello che ha fatto”. Emergono inoltre<br />

16 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />

Censis - Repubblica:<br />

gli “over60” italiani<br />

godono di buona salute<br />

e hanno una vita<br />

relazionale intensa,<br />

ma ritengono<br />

che negli ultimi cinque<br />

anni le cose siano<br />

peggiorate. Discreto<br />

interesse per la politica<br />

atteggiamenti strumentali da parte<br />

dei familiari: il 12,2% degli anziani afferma<br />

che “i parenti si rivolgono a me<br />

solo quando hanno bisogno”. Invece<br />

il 19,1% si definisce “fragile, spesso indeciso<br />

sulle cose da fare”.<br />

Sì all’impegno, no al Partito<br />

La condizione anziana non significa<br />

disinteresse verso la realtà socio-politica.<br />

Il rapporto Censis si sofferma<br />

quest’anno sulle relazioni degli anziani<br />

con la politica e le istituzioni.<br />

Oltre l’86% degli intervistati ha dichiarato<br />

che alle elezioni politiche si<br />

sarebbe recato a votare. Il 30,6% degli<br />

anziani dichiara inoltre di essere “interessato<br />

alla politica, anche se non<br />

con continuità”, il 27,6% “la segue, anche<br />

se di rado”, oltre il 17% si dichiara<br />

“molto coinvolto, e di seguirla con attenzione”,<br />

mentre la quota di estranei<br />

alla politica è il 24,7%.<br />

La grande maggioranza degli anziani,<br />

il 63,2%, ha però la percezione<br />

che la politica guardi alla terza età come a un peso, per i<br />

suoi effetti sui costi del welfare e per l’incidenza sulla spesa<br />

pubblica; la metà del campione, il 50,7%, ritiene che solo<br />

impegnandosi direttamente in politica gli oltre quattordici<br />

milioni di voti “anziani” potrebbero finalmente contare;<br />

ma l’11,6% non vorrebbe affatto un Partito degli anziani,<br />

e decisamente contrari a questa ipotesi è il 26,9%.<br />

Infine, la maggioranza degli anziani (62%) è convinta<br />

che la propria vita negli ultimi cinque anni sia complessivamente<br />

peggiorata. Si raggiungono punte di insoddisfazione<br />

del 75,1% nel centro Italia, del 72,3% fra i<br />

possessori di diploma media inferiore, di oltre il 72% fra<br />

le persone con bassi redditi, di oltre il 66% nelle famiglie<br />

con più di due componenti e del 77,4% nelle famiglie<br />

monogenitoriali.<br />

nazionale<br />

emergenze<br />

FRIULI, QUANDO L’ITALIA<br />

SI SCOPRÌ CAPACE D’AIUTO<br />

di Pietro Gava<br />

foto archivio La vita cattolica di Udine<br />

Trent’anni fa un fortissimo<br />

terremoto devastò<br />

una regione<br />

periferica ma fiera.<br />

Alla mobilitazione<br />

nazionale che ne seguì<br />

partecipò anche<br />

la “giovane” <strong>Caritas</strong>.<br />

Un rapporto ripercorre<br />

35 anni di emergenze<br />

T<br />

rent’anni fa la terra scosse e ferì a morte una regione geograficamente<br />

periferica, ma forte e fiera. L’Italia non stette<br />

a guardare: reagì con quella che è stata giudicata la prima<br />

mobilitazione su scala nazionale all’indomani di una catastrofe<br />

naturale. Il terremoto che sconvolse il Friuli il 6 maggio<br />

1976 (la scossa toccò il grado 6,4 della scala Richter,<br />

“doppiata” 15 settembre da un’altra di magnitudo 5) ancora<br />

oggi è sinonimo, nella memoria collettiva, di morte e distruzione.<br />

Quasi mille persone uccise dai crolli, quasi centomila<br />

senza tetto, in macerie case, chiese e fabbriche, servizi<br />

sociali senza la possibilità di agire, opere d’arte di valore<br />

inestimabile gravemente danneggiate.<br />

Il mondo cascò addosso ai friulani alle 21.06 del 6 maggio,<br />

la paura si mescolò al buio. Dodici ore dopo il governo<br />

monocolore Dc, guidato da Aldo Moro, nominò commissario<br />

straordinario per i soccorsi in Friuli l’onorevole Giu-<br />

ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 17


nazionale<br />

seppe Zamberletti, sottosegretario al ministero degli interni.<br />

Era un segnale di reazione da parte delle istituzioni. Ma<br />

il paese manifestò anche una volontà di reazione spontanea:<br />

società civile, volontariato e organismi ecclesiali dimostrarono,<br />

sin dalle prime ore dopo il sisma, e poi per<br />

mesi e anni, che la parola solidarietà non aveva più senso<br />

solo all’ombra dei campanili e in chiave localistica.<br />

Così il 7 maggio il cardinale Antonio Poma, presidente<br />

della Conferenza episcopale italiana, inviò un messaggio a<br />

monsignor Alfredo Battisti, arcivescovo di Udine, in cui assicurava<br />

le preghiere e l’impegno dei vescovi italiani “per<br />

venire incontro alle necessità più urgenti” della popolazione.<br />

Lo stesso giorno alla presenza di monsignor Giuseppe<br />

Pasini, segretario generale di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> (organismo<br />

nato da soli cinque anni), le <strong>Caritas</strong> diocesane del Triveneto<br />

si radunarono a Venezia, in un incontro presieduto dal<br />

patriarca Albino Luciani. La catastrofe indirizzava l’attenzione<br />

del paese su una regione povera, terra di emigrazione,<br />

gelosa delle proprie tradizioni e delle proprie lingue. Il<br />

dolore composto di quella terra non lasciò spazio, nemmeno<br />

all’inizio, all’abbattimento e alla rassegnazione.<br />

Soldi e condivisione<br />

Per la chiesa e per <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> il terremoto del Friuli fu<br />

palestra di un impegno corale, che vide coinvolte moltissime<br />

diocesi, comunità e persone, e che ha fatto da mo-<br />

Nelle difficoltà si vede l’amore autentico e gratuito.<br />

Dopo il 6 maggio 1976 il Friuli è stato “invaso”<br />

da volontari di tutte le età e condizioni sociali. I<br />

giovani avevano un ruolo dominante. Agesci e<br />

Comunione e Liberazione si resero presenti con<br />

migliaia di ragazze e ragazzi. Ma anche altre associazioni e<br />

movimenti ecclesiali diedero un contributo non trascurabile,<br />

insieme ai gruppi spontanei nati nelle parrocchie italiane.<br />

Aiuti pervennero persino dall’estero. Anche molti<br />

militari furono impegnati nei soccorsi. «Come sarebbe bello<br />

– scrisse in quel periodo Italia <strong>Caritas</strong> – se un giorno la<br />

18 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />

dello per gli interventi in occasione di successive emergenze.<br />

Già l’8 maggio <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> offrì una forte somma<br />

per gli aiuti; grazie alla <strong>Caritas</strong> diocesana di Genova<br />

arrivarono in Friuli 30 tendoni. La prima domenica dopo<br />

il disastro la Cei indisse una colletta nazionale e invitò<br />

tutte le comunità a riunirsi in preghiera. In Friuli le chiese<br />

locali affiancarono l’operato dello stato; a Udine fu costituito<br />

un comitato interdiocesano. Le autorità civili divisero<br />

il territorio colpito in otto zone operative (Maiano,<br />

Gemona, San Daniele, Osoppo, Tarcento, Resiutta e Tolmezzo<br />

in diocesi di Udine, Spilimbergo in diocesi di Pordenone)<br />

e i parroci nominano un rappresentante per ciascuna<br />

di esse. Nelle parrocchie nacquero gruppi di volontari<br />

per supportare i comitati comunali per la ricostruzione;<br />

con il tempo, molti di essi si sono trasformati<br />

in <strong>Caritas</strong> parrocchiali.<br />

Intanto in Friuli arrivavano volontari da tutto il paese. E<br />

<strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>, oltre ai soldi, cominciò a offrire idee e percorsi<br />

di condivisione, concretizzatisi in quelli che sono stati<br />

chiamati “Centri della comunità”, solide strutture polivalenti<br />

dove i bambini si ritrovano per studiare e gli adulti per<br />

ricevere assistenza, discutere, partecipare alla messa.<br />

In Friuli si collaudò anche un modello (empirico, non<br />

programmato) di collaborazione fra istituzione e forze sociali<br />

e del volontariato per gestire l’emergenza. All’inizio la<br />

macchina dei soccorsi operò per mantenere l’ordine pub-<br />

I giovani e le suore, mille volti<br />

di una solidarietà generosa<br />

In Friuli ebbe un ruolo cruciale l’impegno degli aderenti a organismi<br />

ecclesiali, ma anche di singoli cittadini. <strong>Caritas</strong> coordinò 16 mila volontari<br />

leva fosse semplicemente una chiamata, pur disciplinata,<br />

a un anno di “servizio sociale” a favore della comunità per<br />

migliaia di giovani che si “annoiano” nelle caserme».<br />

I gemellaggi tra le diocesi italiane e le parrocchie terremotate<br />

si rivelarono un bene spirituale per le comunità<br />

cristiane e un metodo capace di offrire risposte efficaci ai<br />

bisogni. Le adesioni delle diocesi arrivano a <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong><br />

che, insieme alle <strong>Caritas</strong> di Udine e Pordenone, sceglieva<br />

gli abbinamenti con estrema attenzione, per evitare<br />

iniquità nella distribuzione delle risorse. «Le necessità<br />

di quelle popolazioni, dopo il primo esplodere generosis-<br />

blico, poi l’adozione di criteri di autonomia, responsabilizzazione<br />

e suddivisione del lavoro alimentò un clima collaborativo<br />

tra stato, amministrazioni locali, comitati e singoli<br />

cittadini. La scossa del 15 settembre mise di nuovo a dura<br />

prova la regione. «Il terremoto del 6 maggio ha demolito<br />

il Friuli; quello di settembre ha demolito i friulani – affermò<br />

monsignor Battisti –. Il primo ha distrutto le case ma ha lasciato<br />

la speranza; il secondo sembra aver intaccato anche<br />

la speranza». Il commissario Zamberletti ordinò l’evacuazione<br />

totale della zona disastrata: la tensione tra popolazione<br />

e autorità salì alle stelle, più di 40mila persone dovettero<br />

adeguarsi a un esodo verso le zone costiere della regione.<br />

Un uguale numero di cittadini decise di non partire<br />

per vigilare sui beni rimasti e per continuare il lavoro.<br />

Ringraziarsi a vicenda<br />

Fu una dura lotta, anche contro i rigori dell’inverno della<br />

Carnia, e per ottenere in tempi accettabili roulotte e prefabbricati<br />

al posto delle tende. A quel punto monsignor<br />

simo di solidarietà, si faranno acute quando i mezzi di comunicazione<br />

sociale cesseranno di parlarne – scrisse<br />

monsignor Motolese ai vescovi –. Esse si renderanno conto<br />

completamente di ciò che è successo e si troveranno<br />

sole ad affrontare l'inverno: si rende perciò necessario un<br />

sostegno morale e materiale, che duri durante tutto il periodo<br />

della ricostruzione».<br />

Ma la vicinanza di migliaia di volontari non venne meno,<br />

anche a mesi di distanza. Dal 19 al 21 aprile 1977 si<br />

svolse a Udine una conferenza programmatica con tutte<br />

le <strong>Caritas</strong> diocesane gemellate e le parrocchie terremota-<br />

emergenze<br />

Guglielmo Motolese, vicepresidente della Cei e neopresidente<br />

di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>, con una lettera a tutti i vescovi<br />

d’Italia lanciò l’iniziativa del gemellaggio: risposero 81<br />

diocesi, che affiancarono 73 parrocchie terremotate.<br />

I gemellaggi furono incoraggiati come segno del<br />

nuovo volto della chiesa maturato dal Concilio. In alcune<br />

realtà furono la spinta per far nascere le <strong>Caritas</strong><br />

diocesane. E costituirono un modello di condivisione<br />

e solidarietà, replicato in occasione di numerose altre<br />

catastrofi nei tre decenni successivi. Il rapporto (oltre<br />

cento pagine) che dà conto dell’opera di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong><br />

dalla fondazione, 35 anni fa, a oggi e che ha un<br />

capitolo introduttivo legato alle azioni caritative della<br />

chiesa italiana condotte nel periodo dal dopoguerra al<br />

terremoto del Friuli, sarà presentato a Gemona il<br />

prossimo 5 maggio, in occasione della giornata promossa<br />

dalla chiesa friulana per ricordare lo strazio e la<br />

prova di umanità che scaturì da quei giorni. Sono invitati<br />

i rappresentanti di tutte le diocesi allora gemellate:<br />

sarà un modo non<br />

solo per ricordare, ma<br />

anche per ringraziarsi a<br />

vicenda. Gli uni per essere<br />

stati aiutati, gli altri<br />

per essere stati sollecitati<br />

ad aiutare.<br />

DOLORE<br />

COMPOSTO<br />

Friuli, primavera<br />

1976: scene<br />

di vita quotidiana<br />

in una terra ferita<br />

ma non vinta<br />

te. Furono concordati diversi tipi di intervento: informazione<br />

sulla ricostruzione, modalità di comunicazione alla<br />

popolazione friulana, animazione delle baraccopoli, sistemazione<br />

degli anziani soli, collaborazione con i comitati<br />

comunali per la gestione dei Centri della comunità,<br />

coordinamento dei volontari di ispirazione cristiana e sostegno<br />

a iniziative locali per la tutela dei beni culturali. Il<br />

ruolo dei volontari fu centrale nella ricostruzione e nel<br />

perseguimento degli obiettivi dei gemellaggi. Furono 16<br />

mila i volontari impegnati con continuità, provenienti<br />

dalle fila di Azione Cattolica, Agesci, Comunione e Libera-<br />

ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 19


nazionale<br />

zione, Mani Tese, Comunità di Capodarco, Volontariato<br />

vincenziano, Giovani cooperatori salesiani e anche da alcuni<br />

istituti missionari (Comboniani, Consolata e Saveriani).<br />

Nei campi di lavoro per la riparazione delle case furono<br />

accettate solo persone che avevano esperienza di lavoro<br />

in campo edilizio; i volontari vennero inseriti nei cantieri<br />

dall'Associazione alpini d’Italia.<br />

Il periodo della diaspora<br />

In Friuli la presenza delle suore ebbe un ruolo straordinario.<br />

Molte di loro si misero al servizio della popolazione già<br />

dal 7 maggio 1976. Il 21 agosto dello stesso anno a Gemona<br />

fu elaborato un piano di collaborazione fra la Federazione<br />

italiana religiose assistenti sociali nazionale, le Su-<br />

20 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />

periori generali del Triveneto, <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> e le diocesi<br />

di Udine e Pordenone. Si stabilì che le religiose sarebbero<br />

rimaste nelle zone terremotate per un periodo di uno o<br />

due anni, operando nei Centri della comunità. Al piano,<br />

concordato con i parroci delle località colpite dal sisma, e<br />

all’appello di monsignor Alfredo Battisti risposero con entusiasmo<br />

oltre 90 suore provenienti da tutta Italia e appartenenti<br />

a 34 congregazioni: lavoravano in gruppi intercongregazionali,<br />

inserite nella pastorale della chiesa locale<br />

e attente alle esigenze dei più soli e deboli. La scossa del<br />

15 settembre 1976 diede origine a un’ulteriore emergenza:<br />

la popolazione fu costretta a rifugiarsi a Lignano, Grado,<br />

Jesolo. Molte religiose seguirono la popolazione nell’esodo;<br />

durante il periodo della diaspora si adoperano anche<br />

«La seconda scossa ci piegò<br />

e lo stato nascondeva i problemi»<br />

Il palpitante ricordo di don Angelo Zanello, oggi parroco di Tolmezzo. «Dopo<br />

il sisma di settembre il momento più duro. Ma i gemellaggi furono benedetti»<br />

Don Angelo Zanello, oggi parroco di Tolmezzo,<br />

in provincia di Udine, e arcidiacono della<br />

Carnia, un territorio ricco di storia che è un<br />

terzo della diocesi di Udine, è stato uno dei<br />

protagonisti della ricostruzione del Friuli dopo<br />

i terremoti del 1976.<br />

Dove si trovava al momento delle scosse?<br />

Ero cappellano ad Artenia, comune che ebbe gravissimi<br />

danni, a tre chilometri da Gemona, epicentro dei sisma.<br />

La sera del 6 maggio ero in piazza con un gruppo di giovani<br />

e il parroco don Gelindo Lavaroni, avevamo appena<br />

finito di dire il rosario. Mentre il 15 settembre fu una giornata<br />

terribile, perché il terremoto arrivò mentre pensavamo<br />

a come superare l’inverno.<br />

Quali sono stati i momenti più duri della ricostruzione?<br />

Senza dubbio il periodo successivo alla seconda scossa.<br />

Avevamo le forze per rialzarci dopo il primo terremoto.<br />

Avevamo lavorato tutta l’estate, encomiabile è stato il lavoro<br />

svolto dagli alpini per rimettere in piedi i servizi che<br />

ci sarebbero stati utili durante l’inverno. Le persone non si<br />

fermavano neanche il sabato e la domenica, pur di ristabilire<br />

condizioni di vita accettabili. Ma arrivò il secondo<br />

terremoto e spazzò via tutto ciò che avevamo realizzato.<br />

Vi tagliò le gambe...<br />

Tantissimi cittadini furono costretti a riparare nella zona<br />

costiera della regione, molti decisero di rimanere anche<br />

per non lasciare il posto di lavoro e passarono l’inverno<br />

in tende, roulotte e stamberghe. Io stesso organizzai l’esodo<br />

della comunità di Artenia a Lignano Sabbiadoro, in<br />

accordo con il sindaco; ci trasferimmo con gli autobus<br />

ma ottenemmo che ci fossero garantite vie di comunicazione<br />

con le zone evacuate dove si trovavano le fabbriche.<br />

Ogni mattina, molto presto, partivano da Lignano<br />

pullman pieni di operai.<br />

Come ricorda le relazioni tra istituzioni e chiesa?<br />

Molto tese. Lo stato cercava di far apparire che fosse tutto<br />

sotto controllo, in particolare sui mass media; le elezioni<br />

politiche erano alle porte, si votò nel giugno 1976.<br />

Ma chi era nel territorio si rendeva conto benissimo dei<br />

problemi. Venivano annunciati aiuti che non arrivavano,<br />

se le tende bastarono per tutti fu anche grazie a <strong>Caritas</strong><br />

per mantenere stretti i legami tra gli sfollati e chi aveva<br />

preferito rimanere accanto alle proprie cose.<br />

Nell’introdurre i lavori di gruppo durante il quarto<br />

convegno nazionale delle <strong>Caritas</strong> diocesane, in programma<br />

a Pescara il 14 settembre 1977, monsignor Giovanni<br />

Nervo, direttore di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>, ebbe ad affermare: «La<br />

comunione ecclesiale che si vive in Friuli, questo piccolo<br />

ma vivo grano di senapa, non potrebbe diventare un grande<br />

albero se fosse piantato anche in altre situazioni di difficoltà<br />

presenti nella chiesa italiana e diventasse un costume<br />

di vita, ad esempio nel rapporto fra diocesi del nord e<br />

diocesi del sud e all’interno di una stessa diocesi fra parrocchie<br />

più ricche e parrocchie più povere?». Un interrogativo<br />

che risuona ancora attuale.<br />

SENZA TETTO<br />

DI MONTAGNA<br />

Baraccati<br />

dopo<br />

il terremoto<br />

del maggio‘76,<br />

ai piedi<br />

dei monti<br />

di Carnia<br />

<strong>Italiana</strong>. I dispacci dei comitati cittadini inviati alla sede<br />

Ansa di Trieste non venivano resi noti. Grazie ai rapporti<br />

con testate austriache e tedesche alcuni riuscivano a comunicare<br />

al mondo notizie dal cuore delle zone colpite.<br />

Poi le notizie “rimbalzavano” sui quotidiani italiani. I volontari<br />

cattolici venivano scambiati o venivano volutamente<br />

scambiati dalle autorità per estremisti di destra o<br />

di sinistra. I primi giorni di settembre venne in Friuli Giulio<br />

Andreotti, allora presidente del consiglio; desiderava<br />

parlare a porte chiuse nella caserma Goi a Gemona, in<br />

provincia di Udine, con monsignor Battisti. L’arcivescovo<br />

chiedeva di essere ricevuto con tutti cittadini presenti, vide<br />

rifiutare la sua proposta e decise di rimanere fuori dai<br />

cancelli con la popolazione.<br />

emergenze<br />

DANNI E AIUTI,TERREMOTO IN CIFRE<br />

Comuni che hanno riportato seri danni<br />

(zona più colpita a nord di Udine) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .77<br />

Morti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .965<br />

Persone senza tetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .93.400<br />

Persone costrette a ricorrere<br />

a ripari provvisori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .oltre 100 mila<br />

Persone in diaspora<br />

nelle zone rivierasche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .circa 40 mila<br />

Vani distrutti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .80 mila<br />

Vani lesionati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .100 mila<br />

Volontari presenti nell’arco di due anni,<br />

provenienti da parrocchie, associazioni<br />

e organismi ecclesiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .16 mila<br />

Centri della comunità realizzati<br />

tramite <strong>Caritas</strong> . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .67<br />

Dicesi gemellate che hanno mantenuto<br />

un legame attivo per almeno cinque anni<br />

con altrettante parrocchie terremotate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .81<br />

Suore giunte da altre diocesi<br />

(di cui rimaste per un lungo periodo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .750 (90)<br />

Qual è stato il ruolo dei volontari?<br />

È stata una stagione magnifica. Da tanto dolore vidi sorgere<br />

in modo inaspettato tanta solidarietà e fratellanza. In<br />

particolare l’entusiasmo dei giovani: la dedizione e i segni<br />

che hanno lasciato nella nostra terra sono stati indimenticabili.<br />

Nell’estate 1976 si riversarono in Friuli migliaia e<br />

migliaia di ragazze e ragazzi; seppero vivere accanto a noi<br />

e ci dettero un sostegno fondamentale nell’assistere, segnalare<br />

e comunicare i nostri disagi.<br />

Come valuta l’esperienza dei gemellaggi tra diocesi<br />

italiane e parrocchie friulane terremotate?<br />

Ci furono gemellaggi splendidi. Amo raccontare l’esperienza<br />

ancora vivissima del rapporto tra la comunità di<br />

Sammardenchia di Tarcento e la diocesi di Città di Castello.<br />

Sono nate relazioni stupende, matrimoni e anche<br />

una vocazione al sacerdozio. Ancora benedico chi ebbe<br />

l’intuizione di far sorgere i Centri della comunità, in<br />

quei luoghi si recuperava il senso della dignità umana e<br />

della speranza. E poi, quando ci fu il terremoto in Irpinia,<br />

molte persone di Città di Castello e di Sammardenchia<br />

di Tarcento andarono insieme ad aiutare la popolazione<br />

campana…<br />

ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 21


nazionale<br />

Il tema della riforma della Costituzione, che aveva infiammato gli<br />

animi nella passata legislatura, è stato tenuto sostanzialmente fuori<br />

dall’agenda degli argomenti della campagna elettorale in vista del<br />

9 aprile. Né i fautori della riforma (devolution e dintorni) si sono sbracciati<br />

a sostenerla, né gli avversari si sono scalmanati a contrastala. Il<br />

mancato dibattito ha però sottratto agli elettori una delle materie fondamentali<br />

del bilancio del governo di centrodestra; anzi, a guardare bene<br />

la più importante e impegnativa tra quelle trattate (o maltrattate, secondo<br />

i punti di vista) nel quinquennio. Sicuramente una riforma più<br />

“strutturale” delle tante leggi e leggine più o meno personalizzate di cui<br />

è costellato il consuntivo della ex<br />

maggioranza; soprattutto più influente<br />

sul futuro del paese.<br />

È vero che il centrodestra non ha<br />

mostrato entusiasmo nel giudizio sul<br />

proprio operato a proposito delle regole<br />

della vita pubblica, ma proprio<br />

per questo su chi si era opposto alla<br />

riforma incombeva l’onere di richiamare<br />

l’attenzione dei cittadini. Certamente<br />

nella campagna referendaria<br />

ci sarà modo di svolgere i capitoli<br />

della riforma in modo esplicito e<br />

concentrato: dalla portata di un decentramento<br />

“esclusivo” di competenze, al bilanciamento<br />

dei poteri tra capo dello stato, parlamento e governo,<br />

alle prerogative di un “premier” tendente (si è valutato)<br />

all’onnipotenza; dalla trafila delle leggi tra due camere<br />

con competenze non si sa se più differenziate o più confuse,<br />

alla sequenza indefinita delle norme transitorie.<br />

Ma ne consegue un rischio. E cioè che il dibattito referendario<br />

diventi una confronto tra “esperti”, per non dire<br />

tra “iniziati”, consolidando così l’abitudine di considerare<br />

la Costituzione una materia riservata ai costituzionalisti.<br />

Mentre al contrario si tratta di un bene appartenente<br />

senza mediazioni al popolo sovrano, il quale non a caso<br />

viene chiamato a confermare o respingere ciò che il<br />

parlamento ha confezionato.<br />

contrappunto<br />

COSTITUZIONE RIFORMATA,<br />

NON È FACCENDA PER INIZIATI<br />

di Domenico Rosati<br />

22 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />

La riforma<br />

delle Costituzione<br />

è rimasta in ombra<br />

nel confronto elettorale<br />

prima del 9 aprile.<br />

È tempo di rimediare:<br />

il referendum di giugno<br />

reclama dai cittadini<br />

una assunzione<br />

di responsabilità. Senza<br />

deleghe agli esperti<br />

I limiti della sovranità<br />

Il referendum sarà un’occasione<br />

perduta se non si trasformerà in un<br />

momento di affermazione di una<br />

padronanza popolare sulla Costituzione.<br />

Meglio, una riappropriazione<br />

di contenuti, principi, valori e regole<br />

della carta fondamentale. Principi,<br />

valori e regole non sono entità<br />

separabili. Non può ulteriormente<br />

durare l’atteggiamento con cui si è<br />

artificialmente disgiunta la prima<br />

dalla seconda parte della Costituzione<br />

(il catalogo delle intenzioni<br />

della repubblica dal… regolamento<br />

del condominio). E bisogna superare<br />

ritardi e omissioni gravissimi sul<br />

piano culturale, prima ancora che<br />

politico. La Costituzione è stata infatti<br />

più riverita che studiata, più<br />

declamata che intesa come una guida<br />

unitaria del cammino della repubblica.<br />

Ma il referendum non interpella<br />

i cittadini sul punto se siano favorevoli<br />

o contrari al “senato delle<br />

regioni” o al “superpremier” o al conferimento esclusivo<br />

alle regioni di sanità, scuola e polizia (locale?); in<br />

realtà chiede loro di valutare se quelle norme non intacchino<br />

la pienezza della cittadinanza o non aggravino<br />

le disuguaglianze territoriali con la rottura dell’unità<br />

sociale del paese.<br />

“La sovranità appartiene al popolo, che la esercita<br />

nelle forme e nei limiti della Costituzione”, si legge all’articolo<br />

1. Ecco: il referendum ci chiede di valutare se<br />

le “forme” e i “limiti” ridefiniti dal legislatore siano tali<br />

da rendere effettivo l’esercizio della sovranità popolare,<br />

o se invece non ne riducano raggio e significato. Il “si” o<br />

il “no” riguardano, insomma, il cuore – e non solo le<br />

membra – della nostra repubblica democratica.<br />

CARITAS ITALIANA<br />

Rapporto annuale:<br />

attività e progetti<br />

anche in digitale<br />

Una foto grandangolare su<br />

un anno di attività, iniziative<br />

e progetti. Ma soprattutto il<br />

resoconto della prosecuzione<br />

di un cammino. Viene<br />

pubblicato a maggio<br />

il “Rapporto annuale 2005”,<br />

strumento che registra<br />

il percorso di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong><br />

nelle sue attività istituzionali<br />

e di partecipazione<br />

(Convegno nazionale delle<br />

<strong>Caritas</strong> diocesane, Gruppi<br />

nazionali, incontri con<br />

le delegazioni regionali<br />

<strong>Caritas</strong>, luoghi e tavoli di<br />

partecipazione), nelle attività<br />

di promozione, formazione,<br />

accompagnamento,<br />

animazione, comunicazione<br />

e documentazione.<br />

E che racconta con dovizia<br />

di particolari tutte le attività<br />

e i progetti in Italia e nel<br />

mondo. Quest’anno è anche<br />

in versione digitale,<br />

con allegato a ogni copia<br />

cartacea un cd e schede<br />

con dati, grafici, percentuali.<br />

INFO: tel. 06.54.19.21 -<br />

www.caritasitaliana.it<br />

LOTTA ALLE MAFIE<br />

Solidarietà<br />

alle cooperative<br />

di Locri-Gerace<br />

La scomunica «contro coloro<br />

che fanno abortire la vita dei<br />

nostri giovani, uccidendo e<br />

sparando, e delle nostre<br />

terre, avvelenando i nostri<br />

campi». Il segnale forte,<br />

lanciato nel tempo di<br />

Quaresima dal vescovo<br />

di Locri-Gerace, monsignor<br />

Giancarlo Bregantini,<br />

è venuto dopo i ripetuti atti<br />

intimidatori (l’avvelenamento<br />

delle serre, nella foto prima<br />

dell’attentato, l’incendio di un<br />

deposito) che la ‘ndrangheta<br />

ha perpetrato ai danni delle<br />

cooperative Valle del<br />

Bonamico e Frutti del Sole,<br />

nate in seguito all’iniziativa<br />

del vescovo e della chiesa<br />

locale, per dare opportunità<br />

di riscatto e futuro a tanti<br />

giovani calabresi. <strong>Caritas</strong><br />

<strong>Italiana</strong> ha espresso piena<br />

solidarietà nella preghiera<br />

al vescovo, alla chiesa<br />

locale, alle famiglie delle<br />

troppe vittime della<br />

criminalità organizzata,<br />

ai giovani e a tutti coloro che<br />

ne sostengono formazione<br />

e promozione. «Servire<br />

al meglio le chiese locali, nei<br />

poveri e nell’intera comunità<br />

– ha dichiarato monsignor<br />

Vittorio Nozza, direttore di<br />

<strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> –, resta per<br />

noi un impegno primario da<br />

attuare, accompagnando<br />

l’opera efficace e discreta<br />

delle <strong>Caritas</strong> diocesane».<br />

Tra le espressioni di vicinanza<br />

alle comunità meridionali,<br />

figura il Progetto Policoro<br />

(promosso da <strong>Caritas</strong><br />

<strong>Italiana</strong> e uffici Cei), grazie<br />

a cui è sorta nella Locride<br />

la cooperativa di giovani<br />

vittima dei recenti attentati.<br />

FEDERCASSE<br />

Molise, prestiti a<br />

famiglie e società<br />

dopo il sisma<br />

Per completare l'attività di<br />

ricostruzione, <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong><br />

e Federcasse (la Federazione<br />

italiana delle banche di<br />

credito cooperativo e casse<br />

rurali) hanno sottoscritto<br />

un protocollo di intesa<br />

finalizzato alla concessione<br />

di prestiti a favore di famiglie<br />

(italiane o immigrate)<br />

e piccole e medie imprese<br />

delle zone colpite dal<br />

terremoto dell'ottobre 2002<br />

in Molise e alta Puglia.<br />

Il protocollo prevede<br />

l'erogazione di prestiti<br />

(cinque anni per le imprese<br />

e tre per le famiglie, importo<br />

massimo 30 mila e 15 mila<br />

euro, per un plafond<br />

complessivo di 2 milioni<br />

di euro) per fare fronte<br />

a necessità abitative,<br />

ricostruire o ristrutturare<br />

immobili, attivare utenze,<br />

affrontare spese sanitarie e<br />

scolastiche, acquistare mezzi<br />

di trasporto o strumenti per<br />

realizzare progetti<br />

di promozione sociale ed<br />

economica. L'intesa prevede<br />

la costituzione di un fondo<br />

di garanzia con fondi resi<br />

disponibili da <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong><br />

presso la Banca di credito<br />

cooperativo del Molise<br />

di San Martino in Pensilis<br />

e Bagnoli del Trigno (Cb),<br />

che erogherà i prestiti.<br />

panoramacaritas<br />

IRAN<br />

Grave terremoto<br />

nel Lorestan,<br />

aiuti <strong>Caritas</strong><br />

Nella notte tra il 30 e il 31<br />

marzo violente scosse di<br />

terremoto (tra 4.7 e 6.1 gradi<br />

della scala Richter) hanno<br />

colpito la provincia di<br />

Lorestan (Iran occidentale)<br />

a circa 400 chilometri da<br />

Teheran. Le stime ufficiali<br />

parlano di 70 morti e 1.248<br />

feriti; i villaggi colpiti<br />

sono stati 330, con una<br />

percentuale di distruzione<br />

dal 10 al 100%. Almeno 15<br />

mila sono<br />

i senza<br />

tetto;<br />

in almeno<br />

40 villaggi<br />

le scuole<br />

devono<br />

essere<br />

ricostruite, molti centri sanitari<br />

di villaggio sono danneggiati,<br />

così come le reti idriche.<br />

Dal 1° aprile una delegazione<br />

di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>, presente in<br />

Iran dopo il terremoto di Bam<br />

(26 dicembre 2003), si è<br />

recata sul luogo del disastro.<br />

La delegazione ha avuto,<br />

insieme ai rappresentanti<br />

di organismi internazionali,<br />

incontri con le autorità locali,<br />

alle quali ha espresso<br />

solidarietà e ha offerto<br />

la disponibilità ad aiutare<br />

le vittime. A <strong>Caritas</strong> le autorità<br />

hanno chiesto un intervento<br />

di sanità pubblica:<br />

servono 190 mila euro<br />

per 300 docce e 300 servizi<br />

igienici da distribuire<br />

nei villaggi più colpiti.<br />

ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 23


internazionale<br />

[ ]<br />

MODALITÀ<br />

OFFERTE E 5 PER MILLE<br />

A PAGINA 2<br />

LISTA COMPLETA<br />

MICROREALIZZAZIONI,<br />

TEL. 06.54.19.22.28<br />

a cura dell’Area internazionale<br />

La nuova Unione europea<br />

a 25 paesi pone importanti<br />

sfide economiche e sociali,<br />

culturali e politiche. Ma corre<br />

il rischio di emarginare<br />

ancora di più i paesi<br />

che ne restano fuori,<br />

soprattutto nell’area<br />

dei Balcani e dell’ex Urss.<br />

Nel 2005 <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong><br />

ha curato molto<br />

l’accompagnamento<br />

e il rafforzamento delle <strong>Caritas</strong><br />

dell’Europa orientale, grazie<br />

a stanziamenti per 1.012.364<br />

euro, impegnati in progetti<br />

di tutela dei diritti umani,<br />

attenzione ai fenomeni<br />

di esclusione sociale,<br />

educazione alla pace<br />

e alla riconciliazione,<br />

promozione socio-economica,<br />

formazione di operatori<br />

sociali, dialogo ecumenico,<br />

microrealizzazioni<br />

nel settore idrico. L’impegno<br />

prosegue nel 2006.<br />

24 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />

BOSNIA ED HERZEGOVINA RUSSIA<br />

In cammino con le associazioni di famigliari<br />

A oltre dieci anni dalla fine della guerra, il progetto prevede<br />

un lavoro di accompagnamento e formazione delle associazione<br />

di famigliari di vittime, persone scomparse, ex prigionieri<br />

dei campi di detenzione e prigionieri politici. L’iniziativa mira<br />

a potenziare le capacità di queste associazioni nel rispondere<br />

a interessi, bisogni e preoccupazioni dei propri membri, oltre<br />

che a stimolare il loro coinvolgimento nei processi decisionali<br />

in ambito locale e a favorire il lavoro di rete tra associazioni<br />

di diverse nazionalità (croate, serbe, musulmane e albanesi).<br />

> Costo 50 mila euro (per due anni di attività)<br />

> Causale Bosnia e Herzegovina / sostegno associazioni familiari<br />

KOSOVO<br />

Un centro per le famiglie<br />

di scomparsi ed ex detenuti politici<br />

Il Centro kosovaro per l’auto mutuo aiuto è il risultato di tre anni<br />

di esperienza e lavoro con 15 gruppi, composti sia da famigliari<br />

di persone scomparse che da ex detenuti politici. I gruppi hanno<br />

rappresentato un’occasione di incontro tra persone unite<br />

da uno stesso problema. È stato quindi creato un piccolo centro<br />

per continuare a offrire sostegno e servizi a persone e famiglie,<br />

fornendo un’assistenza rispondente ai loro bisogni soprattutto<br />

nei settori in cui le istituzioni socio-sanitarie locali<br />

sono impreparate (dipendenza, traumi, disabilità, ecc.).<br />

> Costo 50 mila euro (per un anno di attività)<br />

> Causale Kosovo / Auto mutuo aiuto<br />

SERBIA<br />

Salute mentale e anziani,<br />

l’obiettivo è formare volontari<br />

<strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> e <strong>Caritas</strong> Serbia e Montenegro<br />

hanno riavviato con le sette <strong>Caritas</strong> diocesane locali,<br />

per il biennio 2006-’07, un piano di sensibilizzazione<br />

che punta a coinvolgere la comunità locale<br />

e le istituzioni nelle attività di salute mentale<br />

e di assistenza degli anziani.<br />

L’obiettivo è la formazione di volontari<br />

che si facciano carico dell’attenzione alle fasce<br />

più deboli e bisognose della popolazione.<br />

Il piano pevede la preparazione di materiali<br />

di animazione e didattici e una serie di incontri,<br />

attività pianificate e campagne di lotta ai pregiudizi,<br />

di concerto anche con l’ufficio della presidenza<br />

della repubblica, altre confessioni religiose e varie<br />

organizzazioni di solidarietà e tutela dei diritti umani.<br />

> Costo 25 mila euro<br />

> Causale Serbia / pace e dialogo<br />

progetti > aiuto all’europa<br />

Un team di aiuto per gli anziani soli a Mosca<br />

Le rigide temperature del recente inverno hanno aggravato i disagi<br />

per gli anziani poveri. <strong>Caritas</strong> Mosca ha attivato una team di<br />

operatori sociali che si prendono cura di 40 anziani soli e non<br />

autosufficienti, inclusi alcuni malati terminali e pazienti con disturbi<br />

psichici. Il programma include servizio di cucina a domicilio, pulizia<br />

dell’abitazione, aiuto per l’igiene personale, servizi medici e curativi,<br />

distribuzione di alimenti specifici, medicine e capi di vestiario,<br />

assegnazione di articoli ortopedici in caso di necessità, assistenza<br />

per evitare crisi dovute alla solitudine. I pazienti sono visitati dai<br />

volontari da una a due volte la settimana, costante è il contatto<br />

telefonico.<br />

> Costo 10 mila euro (per un anno di attività)<br />

> Causale Russia/assistenza anziani<br />

ARMENIA<br />

Acqua potabile<br />

per rifornire villaggi e scuole<br />

Nella zona settentrionale del paese, in cui opera<br />

<strong>Caritas</strong> Armenia, sono molti i villaggi in cui il servizio<br />

idrico non è più agibile da anni. Grazie a tecnici<br />

collegati alla <strong>Caritas</strong> si prevede di ristrutturare<br />

e riattivare due impianti.<br />

Il primo si trova nel villaggio di Voskehask, dove vivono<br />

114 famiglie che da sei anni non possono usufruire<br />

di acqua potabile per il deperimento di due sezioni<br />

del sistema idrico.<br />

> Costo 5 mila euro > Causale MP 75/06 Armenia<br />

Il secondo intervento va a beneficio di due scuole<br />

secondarie della cittadina di Metsavan (7.200 abitanti).<br />

Verranno ristrutturate e ripristinate le tubature<br />

di adduzione di acque bianche e nere; le scuole sono<br />

frequentate da 818 studenti e 86 tra docenti e operatori.<br />

> Costo 5 mila euro > Causale MP 76/06 Armenia<br />

ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 25


internazionale<br />

ACEH, PROVE DI DIALOGO<br />

TRA I DETRITI DELL’ONDA<br />

L<br />

reportage di Alberto Chiara<br />

foto di Nino Leto per Famiglia Cristiana<br />

La ricostruzione della provincia,<br />

epicentro della catastrofe<br />

dello tsunami, ha tempi lunghi.<br />

Intanto, però, gli operatori umanitari<br />

hanno “imposto” la pace tra<br />

ribelli e governo. E anche islam<br />

e cristiani cercano di convivere<br />

26 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />

a normalità desiderata, promessa, ma di fatto<br />

sospesa tra il già realizzato e il non ancora finito<br />

ha lo sguardo mite di Nanda, 9 anni, che a quindici<br />

mesi dallo tsunami vive sotto una tenda nel<br />

campo di Mon Ikeun, a ridosso della città di<br />

Banda Aceh, alla mercé della precarietà e del fango. E tuttavia<br />

al mattino ha ricominciato ad andare a scuola, impeccabile<br />

nella sua divisa che sa di bucato.<br />

Quel tragico 26 dicembre 2004 morirono suo padre e<br />

un suo fratello. Lei e la madre (Zuriah, 45 anni) insieme<br />

con un fratello e una sorella più grandi sono sopravvissuti<br />

alla furia dell’acqua. A Mon Ikeun sono arrivati un paio<br />

di settimane dopo il maremoto. «Gli sfollati che vivono in<br />

tenda sono ancora 30 mila», afferma Wahyu Mukti Kusu-<br />

maningtias, dell’Icmc (International Catholic Migration<br />

Commission). A marzo si sarebbero dovuti chiudere tutti i<br />

campi. Impossibile rispettare la scadenza, nonostante il<br />

fiorire di cantieri dia la misura degli sforzi febbrili delle autorità<br />

e delle tante organizzazioni non governative (tra locali<br />

e straniere ne risultano registrate 438). «Avremo presto<br />

un’abitazione», afferma convinta Nanda, correndo verso i<br />

compagni di quarta elementare. La mamma conferma,<br />

prima di mostrare orgogliosa come ha cercato di ingentilire<br />

la tenda: per pavimento un telo di nylon, cinque orsetti<br />

di peluche appesi a un sostegno, un ventilatore e una<br />

tv con antenna satellitare a rammentare che siamo nell’epoca<br />

hi-tech.<br />

Anticipo di risurrezione<br />

A diversi chilometri di distanza, la gioia trasfigura i 60 anni<br />

e le rughe di Muhammad Daud. Come lui, tanti agricoltori<br />

riscoprono il sorriso. L’intero villaggio di Keuneueu,<br />

nella provincia di<br />

Aceh, nord di Sumatra, è in<br />

festa. «Oggi cominciamo a<br />

raccogliere il riso – afferma<br />

–. I seimila metri quadrati<br />

della mia proprietà producevano<br />

4-5 tonnellate all’anno.<br />

Lo tsunami ha trascinato<br />

fin qui detriti d’ogni<br />

genere, per non parlare<br />

di sale e sabbia. È stata dura<br />

pulire tutto, ma ce l’abbiamo<br />

fatta. La qualità del<br />

mio riso quest’anno non<br />

sarà ottimale. E anche la<br />

produzione sarà limitata.<br />

Ma si ritorna a vivere».<br />

La festa corona l’impegno<br />

congiunto di un’organizzazione<br />

umanitaria e<br />

delle autorità locali. Si tratta,<br />

in fondo, di poche risaie,<br />

32 ettari in tutto; ma per<br />

Keuneueu, per la provincia<br />

di Aceh, per l’Indonesia flagellata dal maremoto è un autentico<br />

anticipo di resurrezione. Una speciale agenzia governativa,<br />

la Badan Rehabilitasi dan Rekonstruksi (Brr),<br />

coordina gli interventi nella provincia e nelle altre zone distrutte.<br />

Le cifre ufficiali dei suoi rapporti disegnano i contorni<br />

della catastrofe: “In pochi istanti sono stati sconvolti<br />

indonesia<br />

800 chilometri di costa (come da Venezia a Taranto, ndr); i<br />

morti accertati sono 130 mila; i dispersi (da considerarsi<br />

ormai morti) 37 mila. Circa 120 mila abitazioni risultano<br />

distrutte. Tra scuole, ambulatori e ospedali, migliaia di locali<br />

sono stati gravemente danneggiati. Alla fine, il costo<br />

complessivo dei progetti volti a riparare i danni sarà di 5,8<br />

miliardi di dollari”. Il governo centrale di Giacarta ha stanziato<br />

2,1 miliardi di dollari. Le autorità locali hanno approvato<br />

spese straordinarie aggiuntive. Il resto lo ha fatto<br />

e lo fa la solidarietà internazionale: governi, agenzie Onu,<br />

ong. <strong>Caritas</strong> in testa.<br />

Heinrich Terhorst, 44 anni, è il capo missione della <strong>Caritas</strong><br />

tedesca. «Nella provincia di Aceh sono presenti –<br />

chiarisce – le <strong>Caritas</strong> di Usa (Crs), Gran Bretagna, Irlanda<br />

(Trocaire), Olanda (Cordaid), Germania, Repubblica Ceca,<br />

Austria e Svizzera; agiamo inoltre in contatto con<br />

Icmc. La situazione politico-sociale a Sumatra è nettamente<br />

migliorata dal 15 agosto, da quando cioè a Helsinki<br />

è stato firmato un accordo<br />

che pone fine agli scontri<br />

tra le forze governative e<br />

quelle ribelli di Aceh».<br />

TRA CORANO<br />

E VANGELO<br />

Fedeli in una<br />

moschea<br />

e in una chiesa<br />

a Sumatra.<br />

L’88% degli<br />

indonesiani<br />

è musulmano,<br />

i cristiani<br />

sono 16 milioni<br />

Più conveniente<br />

che combattere<br />

Il trattato ferma una guerra<br />

civile che durava da<br />

trent’anni e che ha portato<br />

alla morte di 15 mila persone.<br />

Lo tsunami ha fatto<br />

scoprire all’opinione pubblica<br />

mondiale quest’angolo<br />

travagliato del pianeta:<br />

le centinaia di operatori<br />

umanitari si sono trasformati<br />

in una sorta di irresistibile<br />

missione di pace. A<br />

quel punto le parti in lotta<br />

hanno convenuto che far<br />

tacere le armi – oltreché<br />

eticamente doveroso – era<br />

anche più conveniente che<br />

continuare a combattersi. «Il maremoto ha reso la pace<br />

più urgente e ha convogliato su Aceh l’attenzione della<br />

comunità internazionale, unitamente a molti milioni di<br />

dollari in aiuti – ha dichiarato Liem Soei Liong, noto attivista<br />

per i diritti umani, all’agenzia di stampa Misna –. Ma<br />

vanno segnalati anche altri cambiamenti per cui questo<br />

ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 27


internazionale<br />

processo di pace è potenzialmente solido. Innanzitutto il<br />

presidente indonesiano Susilo Bambang Yudhoyono, ex<br />

generale dell’esercito, e il suo vice Yussuf Kalla, ex uomo<br />

d’affari, hanno compreso che il conflitto non aveva soluzione<br />

militare e che le massicce operazioni sul campo<br />

avevano costi troppo alti. Da parte loro i leader del Gam (i<br />

ribelli del Movimento per Aceh libera) hanno compreso<br />

che il futuro per Aceh non è nell’indipendenza politica,<br />

ma nell’integrazione in un nuovo panorama regionale<br />

asiatico in pieno sviluppo economico».<br />

Rinunciando definitivamente alle rivendicazioni secessioniste,<br />

i ribelli hanno avuto in cambio dal parlamento<br />

locale significative autonomie decisionali sulla gestione<br />

dei giacimenti di gas naturale e petrolio, tra i più importanti<br />

dell’Indonesia. Inoltre il Gam ha ottenuto negli accordi<br />

di pace siglati ad agosto<br />

quello che gli era stato<br />

sempre negato, cioè l’autorizzazione<br />

a diventare il<br />

primo partito politico indonesiano<br />

a connotazione<br />

regionale. «In pochi si sono<br />

veramente resi conto di<br />

quali importanti conseguenze<br />

ciò avrà sulla politica<br />

interna indonesiana»,<br />

afferma Liem. La costituzione,<br />

infatti, prevede l’esistenza<br />

solo di partiti nazionali,<br />

temendo che forze<br />

politiche locali rafforzino le<br />

tendenze secessioniste<br />

presenti in più parti del vasto<br />

arcipelago indonesiano.<br />

«Sono ottimista; credo<br />

che l’esempio di Aceh abbia rotto un tabù e possa alla fine<br />

dimostrarsi utile per risolvere altre tensioni, come in<br />

Papua o nelle Molucche», conclude Liem Soei Liong.<br />

Suherman va al mercato<br />

E allora si lavora sodo. A Banda Aceh, nel mercato del pesce<br />

di Lampulo rimesso a nuovo, Suherman, 48 anni,<br />

stringe la mano a Ferry Suferilla, della <strong>Caritas</strong> tedesca.<br />

Suherman coordina una cooperativa di pescatori. La tragedia<br />

gli ha ucciso la moglie e quattro figli su cinque. Lui<br />

stesso è stato sorpreso dall’onda e trascinato per due chilometri.<br />

«Non so come abbia fatto a uscirne vivo», ricorda.<br />

A Lampulo c’era un efficiente mercato coperto; ora la Ca-<br />

28 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />

LA CONVENIENZA DEL DIALOGO<br />

Bambini in una strada di Banda Aceh. Nella provincia<br />

indonesiana gli ingenti aiuti post-tsunami e l’afflusso<br />

di operatori umanitari hanno indotto ribelli indipendentisti<br />

e governo a stringere un accordo<br />

ritas tedesca ha donato camion frigoriferi e box refrigerati<br />

per riavviare trasporto e commercio del pesce. E a<br />

Sengko Pulat o a Lampuyang, due esempi tra i tanti possibili,<br />

la rete <strong>Caritas</strong> ha finito di costruire abitazioni ancora<br />

provvisorie, ma tutto sommato belle, o case definitive,<br />

funzionali e confortevoli. Molti cantieri sono ancora<br />

aperti. Tra i tanti, anche quello che vede crescere la casa<br />

in cui si trasferirà Nanda, con quello che rimane della sua<br />

famiglia.<br />

L’onda lunga degli aiuti è anche un laboratorio per il<br />

possibile dialogo tra islam e cristianesimo. Al riguardo,<br />

l’Indonesia suscita molto interesse. È il quarto stato più<br />

popolato del pianeta (dopo Cina, India e Usa), ma è soprattutto<br />

il primo paese musulmano al mondo: almeno<br />

l’88% dei suoi abitanti (tra 210 e 240 milioni, dipende dalle<br />

stime) crede e prega secondo<br />

il Corano, a fronte di<br />

una minoranza cristiana<br />

composta da circa 10 milioni<br />

di protestanti e oltre 6<br />

milioni di cattolici.<br />

«Guardi qua». Padre<br />

Ferdinando Severi, 71 anni,<br />

romagnolo, missionario<br />

francescano, posa sul tavolo<br />

un giornale datato giovedì<br />

23 marzo 2006. «È il<br />

quotidiano più diffuso nella<br />

provincia di Aceh – assicura<br />

–. La testata la dice<br />

lunga. Si chiama Serambi<br />

Indonesia, in italiano potremmo<br />

tradurre “Il portico<br />

(sottinteso: di La Mecca)<br />

in Indonesia”». Una pausa,<br />

un sorso d’acqua, giusto per reagire ai 28 gradi e all’alto<br />

tasso di umidità che tolgono il fiato. Poi padre Ferdinando<br />

riprende spedito: «Oggi polemizzano con l’agenzia governativa<br />

che coordina il lavoro di ricostruzione ad Aceh<br />

e nell’isola di Nias perché, a loro dire, non persegue con il<br />

vigore necessario la presunta opera di evangelizzazione<br />

compiuta dal personale di alcune tra le tante ong. E dire<br />

che l’agenzia voluta dal governo centrale una commissione<br />

d’inchiesta l’ha pure istituita. Se non viene fuori nulla<br />

è segno che non c’è nulla, non le pare?».<br />

Un’altra pausa. Ancora acqua. «Però io non ribatterò –<br />

continua padre Ferdinando –. In passato ho provato a replicare,<br />

facendo presente il punto di vista mio e della co-<br />

munità cattolica di Banda Aceh. Ma non mi hanno mai<br />

pubblicato un rigo. Il dialogo è quanto meno faticoso.<br />

Tuttavia ho molti amici musulmani. Lo scriva perché è<br />

vero. E dica anche che la situazione non è disperata. Ho<br />

superato momenti più brutti, mi creda».<br />

Vero. L’ultima minaccia di morte, padre Ferdinando se<br />

l’è vista recapitare da un ignaro postino a ridosso di Natale.<br />

La lettera era datata 12 dicembre 2005. Firmata (ma in<br />

modo praticamente illeggibile) da due esponenti del<br />

“Movimento contro la conversione”, al quartultimo capoverso<br />

prometteva guai seri: “La tigre sta ancora dormendo.<br />

Non azzardatevi a svegliarla. Morirete tutti, uno ad<br />

uno. Non permetteremo che convertiate i musulmani.<br />

Ditelo ai preti, ai pastori, alle suore, e anche al Papa (rigorosamente<br />

con la maiuscola, ndr). Aspettiamo di capire<br />

se lasciate perdere. Morirete tutti, uno a uno. E non c’importa<br />

se si tratta di un uomo o di una donna, di un giovane<br />

o un anziano, un indonesiano o uno straniero”.<br />

Padre Ferdinando (che da anni tiene aperti scuole e<br />

un centro per disabili, frequentati principalmente da musulmani)<br />

sdrammatizza con un sorriso. «Abbiamo denunciato<br />

il fatto alla polizia, che ci ha protetto per un paio<br />

di settimane. Non è successo nulla, ringraziando il Cielo.<br />

Credo si tratti di qualche universitario fanatico. Quando il<br />

mondo islamico s’è infiammato contro le vignette danesi<br />

ritenute blasfeme, qui si sono radunati giovani che hanno<br />

scandito slogan ostili, ma niente di più. In Indonesia il fanatismo<br />

islamico, che pure esiste e ha seguaci, non è ap-<br />

indonesia<br />

QUOTIDIANITÀ<br />

E RADICALITÀ<br />

Donne velate<br />

in un mercato<br />

di Banda Aceh.<br />

Da qualche anno<br />

qui si applica<br />

la sharia,<br />

ma senza<br />

le asprezze<br />

di altri paesi<br />

e contesti<br />

islamici<br />

poggiato dalla maggioranza dei musulmani, che è moderata.<br />

Di certo non è appoggiato dal governo centrale».<br />

Sharia, ma senza pena di morte<br />

«È permesso?». Nella stanza entra padre Sebastianus Eka,<br />

42 anni, sacerdote che con padre Ferdinando, tre suore e<br />

mille fedeli costituisce la comunità della parrocchia del<br />

Sacro Cuore di Banda Aceh. La sua storia personale racconta<br />

meglio di tante parole cos’era e cos’è ancora, in<br />

parte, l’Indonesia. «Sono nato a Giava. I miei quattro nonni<br />

erano musulmani. Papà ha aderito al cristianesimo durante<br />

gli studi in una scuola cattolica. Mamma ha chiesto<br />

il battesimo quando ha deciso di sposare mio padre. Tutto<br />

è stato fatto in piena libertà e senza che le famiglie di<br />

origine osteggiassero la scelta».<br />

Continua a essere così? «Oggi i pochi che si convertono<br />

al cristianesimo devono lasciare Aceh – ammette padre<br />

Ferdinando –. Da qualche anno qui si applica la sharia.<br />

In queste settimane stanno mettendo a punto un regolamento<br />

di attuazione. Il governo centrale di Giacarta<br />

ha escluso che possa venire comminata la condanna a<br />

morte o che si possa procedere all’amputazione di arti,<br />

tagliando ad esempio la mano ai ladri. È possibile invece<br />

frustare in pubblico gli adulteri, i giocatori d’azzardo e coloro<br />

che bevono alcolici. Sul finire di gennaio ci hanno<br />

chiesto di compilare un questionario. Chiedeva un parere<br />

su una serie di questioni, dalla possibile estensione dell’obbligo<br />

a tutte le donne, non musulmane incluse, di gi-<br />

ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 29


internazionale<br />

rare velate, all’ipotizzata chiusura di tutti i negozi di alimentari<br />

e dei ristoranti durante i giorni del Ramadan.<br />

Può immaginare cosa ho risposto…».<br />

«La popolazione di Aceh non è pronta all’applicazione<br />

rigorosa della sharia nei modi e nelle forme di altri<br />

paesi – ragiona però H. Ameer Hamzah, teologo musulmano,<br />

giornalista e deputato eletto nel parlamento di<br />

Aceh –. Sarà il governo di Giacarta a dirci fin dove possiamo<br />

spingerci. Tuttavia non verrà mai meno il rispetto per<br />

le altre religioni. Qui in Indonesia siamo sunniti. Esiste un<br />

Islam moderato. Sappiamo discernere tra scelte politiche<br />

compiute dai governi occidentali e genuine ispirazioni<br />

religiose delle popolazioni cristiane. Non dimentichiamo<br />

certi apprezzati gesti di Giovanni Paolo II, come la sua visita<br />

alla moschea di Damasco, o certe sue prese di posizione,<br />

come la sua palese contrarietà alla guerra contro<br />

di Barbara Dettori<br />

Selamat datang di Nias, bevenuta a Nias. Era il<br />

maggio 2005, quando cominciava la mia avventura<br />

nella piccola e sfortunata isola dell’Indonesia,<br />

lungo le coste nord-occidentali di Sumatra.<br />

Ad accogliermi all’aeroporto, padre Raymond<br />

Laia, cappuccino di 42 anni, originario di Nias centrale, la<br />

parte più povera dell’isola.<br />

Padre Raymond ha studiato a Sumatra, poi ha operato<br />

in Germania per undici anni come cappellano negli<br />

ospedali e collaboratore di una radio. Così nel dicembre<br />

2004 il padre provinciale decise di rimandarlo a Nias, per<br />

avviare un’emittente cattolica (i cattolici sono il 20% della<br />

popolazione dell’isola). Ma tre settimane dopo il maremoto<br />

colpì la parte occidentale di Nias e il 28 marzo 2005<br />

un terribile terremoto (magnitudo 8,7) la distrusse quasi<br />

completamente. In un’isola dove c’era pochissimo, il terremoto<br />

ha lasciato il nulla, solo disperazione.<br />

La chiesa locale si è data da fare per prestare soccorso.<br />

Ma già dopo lo tsunami il nunzio apostolico aveva convinto<br />

i vescovi che serviva una <strong>Caritas</strong> per prestare aiuto<br />

l’Iraq. Per noi musulmani di Aceh, la triste vicenda delle<br />

vignette blasfeme non influenza i rapporti con i cristiani<br />

e le ong. Non abbiamo nulla a che spartire con il terrorismo<br />

cosiddetto islamico, frutto perverso delle politiche di<br />

Usa, Gran Bretagna, Francia e Israele. Sappiamo distinguere.<br />

E ci battiamo per una convivenza pacifica».<br />

La partita dei radicali<br />

H. Abdul Rhaffar, 73 anni, è l’imam della piccola moschea<br />

Al Islah (pace), nel villaggio di Lamkruet, fuori città. «Non<br />

c’è nessun scontro di civiltà, nessun conflitto – considera<br />

–. Qui, dopo la tragedia dello tsunami, la <strong>Caritas</strong> ha ricostruito<br />

i nostri luoghi di preghiera e le nostre scuole coraniche.<br />

Siamo loro riconoscenti. Accogliamo volentieri coloro<br />

che vengono ad aiutarci senza secondi fini. La violenza?<br />

L’Islam insegna solo cose buone. Semmai sono i<br />

Come Raymond dopo il sisma<br />

è diventato un “uomo nuovo”<br />

Un prete cappuccino. Incaricato di avviare la <strong>Caritas</strong> sull’isola di Nias.Tante<br />

incomprensioni. Ma la voglia di far rinascere la propria terra dà i primi frutti<br />

in maniera organizzata e professionale. Eppure, al mio<br />

arrivo a Nias, tutto ciò che ho trovato è stato un ufficio di<br />

due metri per tre, equipaggiato di un vecchio computer;<br />

due impiegati senza guida; un direttore assente perché<br />

occupato da mille impegni in diocesi. E padre Raymond.<br />

Il quale era stato nominato segretario della <strong>Caritas</strong> di<br />

Nias, ma, mi confessò, non sapeva cosa volesse dire. All’inizio<br />

doveva elemosinare i soldi dal parroco per le spese<br />

dell’organismo. Non aveva auto per spostarsi, gli impiegati<br />

non gli obbedivano. Pochi a Nias lo conoscevano,<br />

nessuno gli dava corda. E soprattutto il trauma del terremoto,<br />

che colpisce tutti indiscriminatamente, gli toglieva<br />

l’energia di pensare a prospettive future.<br />

Al lavoro per lo sviluppo<br />

Ma il futuro dell’isola non poteva essere solo nelle mani<br />

dei missionari tedeschi o delle ong internazionali. I Nias<br />

sono oggi un popolo provato da tante vicissitudini, ma<br />

un tempo la loro è stata una terra di grande cultura e di<br />

grande fascino antropologico ed etnologico. La cultura è<br />

singoli che commettono iniquità».<br />

Forte di oltre 30 milioni di aderenti, il Nahdlatul Ulama<br />

(Nu) è l’organizzazione islamica più grande in Indonesia<br />

e nel mondo. Il suo leader storico, Abdurrahman<br />

Wahid, ha testimoniato più volte l’indole moderata e fautrice<br />

del dialogo propria del movimento. Di recente s’è<br />

fatto fischiare a Giacarta dai duri, quando ha difeso una<br />

scuola gestita da suore, dicendo che i cattolici sono fratelli,<br />

non nemici. Nell’isola di Nias, il coordinatore di Nahdlatul<br />

Ulama è A. Majid, 44 anni. Anch’egli sottolinea che<br />

«la benedizione di Dio abbraccia tutti, non solo i musulmani».<br />

E aggiunge: «Condanniamo la violenza. Tutta.<br />

Senza sconti».<br />

Quella per la tolleranza religiosa è ovviamente una<br />

partita che va ben oltre l’Indonesia. Se la convivenza resiste<br />

qui, l’Islam radicale, concordano gli osservatori più at-<br />

stata in gran parte spazzata via dai missionari protestanti,<br />

che hanno fatto dell’isola un unicum in Indonesia, con<br />

la sua maggioranza cristiana.<br />

Così, con padre Raymond, abbiamo cominciato un<br />

percorso di crescita, fatto di mille ostacoli, in cui si ha<br />

spesso l’impressione di fare cinque passi avanti e dieci indietro.<br />

Un percorso in cui non è stato facile mettere a fuoco<br />

lo spirito <strong>Caritas</strong>, anche a causa delle critiche e di alcune<br />

gelosie («Perché un progetto in quella parrocchia, e<br />

non nella mia?»). Padre Raymond, nominato nel frattempo<br />

vicedirettore, dopo un periodo di scoraggiamento ha<br />

però visto arrivare i primi risultati e i primi apprezzamenti.<br />

L’unico centro per bambini disabili rimesso in<br />

piedi, le case per le vittime dello tsunami ricostruite, un<br />

programma di borse di studio interamente gestito da lui:<br />

indonesia<br />

tenti, avrà perso la sua battaglia in Asia. E forse in tutto il<br />

mondo musulmano. «A Nias ci si limita a vivere insieme<br />

senza disturbarsi a vicenda. A Sibolga le cose vanno meglio:<br />

gli esponenti delle religioni si trovano una volta ogni<br />

due mesi; se sorge qualche problema, le riunioni si fanno<br />

più frequenti. Finalmente ci sono musulmani che denunciano<br />

con coraggio gli atti di violenza e terrorismo<br />

fatti da chi si dice islamico», interviene monsignor Barnabas<br />

Winkler, amministratore apostolico della diocesi di<br />

Sibolga. E mentre diversi settori della chiesa cattolica<br />

prendono le distanze dall’iperattivismo delle sette cristiane<br />

di stampo fondamentalista, tutti si augurano che non<br />

si debbano più piangere vittime. O, peggio ancora, martiri<br />

veri e propri. Come le tre ragazze (di 15, 16 e 19 anni)<br />

sgozzate a Poso, nel Sulawesi centrale. Era il 29 ottobre<br />

2005. La loro colpa? Essere semplicemente cristiane.<br />

PADRE RAYMOND<br />

E I SUOI RAGAZZI<br />

A sinistra, operatori e volontari<br />

di <strong>Caritas</strong> Nias.<br />

A destra, padre Raymond Laia,<br />

direttore della <strong>Caritas</strong> sull’isola<br />

indonesiana colpita da un grave<br />

terremoto nel marzo 2005<br />

altrettanti motivi per ritenere non vana la fatica di tanti<br />

mesi di lavoro.<br />

Oggi, a un anno dal terremoto, padre Raymond è il capufficio<br />

della <strong>Caritas</strong> diocesana a Nias. Tutti lo conoscono<br />

e lo rispettano. La <strong>Caritas</strong> ha un bella sede dove tanta<br />

gente viene a chiedere aiuto. È inserita nella rete di ong e<br />

organizzazioni internazionali che lavorano per la ricostruzione<br />

e lo sviluppo. Gestisce sei progetti, un altro sta<br />

per partire. Quando qualche missionario ancora chiede<br />

perché non si distribuiscono i soldi alla gente, padre Raymond<br />

spiega con passione che non si fa assistenzialismo,<br />

ma si lavora per uno sviluppo sostenibile. E qualcuno capisce.<br />

Sono processi lenti, ma cominciano a far breccia.<br />

Oggi padre Raymond crede nella <strong>Caritas</strong> e nell’impatto<br />

forte che potrà avere in futuro, quando, finita la ricostruzione,<br />

comincerà a operare per lo sviluppo comunitario.<br />

Me lo ripeteva sempre: «Me lo sono scelto io, il nome<br />

Raymond, quando sono diventato cappuccino. Da Raimundus,<br />

“uomo nuovo”». E un uomo nuovo è diventato.<br />

Un uomo <strong>Caritas</strong>, adesso.<br />

30 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 31


internazionale<br />

32 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />

dopo lo tsunami<br />

Pad e Pradeep, vittime innocenti<br />

di una guerra che non si arresta<br />

Sono saltati su una mina il 10 aprile. Lavoravano per i minori in difficoltà con<br />

<strong>Caritas</strong> Jaffna: morti per una violenza che continua a dilaniare lo Sri Lanka<br />

di Francesco Paletti<br />

Si chiamavano Pathmanathan Shanmugaratnam e<br />

Salvendra Pradeepkumar, 55 anni e due figli il primo,<br />

29 anni il secondo. Per tutti, negli uffici di Hudec<br />

- <strong>Caritas</strong> Jaffna, erano, semplicemente, Pad e<br />

Pradeep. Sono morti la mattina del 10 aprile, ammazzati<br />

da una mina di tipo claymore, indirizzata a una<br />

camionetta dell’esercito srilankese. Andavano in auto a<br />

Kilinochchi, nella uncleared zone, l’area controllata dalle<br />

forze ribelli dell’Ltte (le cosiddette Tigri Tamil), un territorio<br />

devastato da venti anni di guerra civile e duramente<br />

colpito dallo tsunami del dicembre 2004. In quella zona<br />

si trovano alcune delle strutture d’accoglienza<br />

per orfani e minori in difficoltà<br />

seguite dal “Children Programme”,<br />

il programma per il quale lavoravano<br />

i due operatori di <strong>Caritas</strong> Jaffna,<br />

supportato anche da <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong><br />

e da alcune <strong>Caritas</strong> diocesane e<br />

delegazioni regionali d’Italia.<br />

Chi ha collocato e azionato la mina,<br />

ovviamente, non ha nome né vol-<br />

to: l’attentato non è stato rivendicato,<br />

come quasi sempre accade da<br />

trent’anni. Ma che dietro questa ennesima<br />

tragedia srilankese vi possano essere<br />

le Tigri è decisamente più di un sospetto: Tamilnet, la<br />

velina dell’Ltte, ricostruendo l’episodio ha provato ad addossare<br />

una parte di responsabilità all’imperizia del conducente,<br />

“accusato” di aver tentato il sorpasso del convoglio<br />

militare proprio nel momento in cui è stata azionata la mina,<br />

una mossa che nella uncleared zone non si deve mai fare.<br />

E, infatti, non c’è stato alcun sorpasso, come ha chiarito<br />

prontamente il nunzio apostolico monsignor Mario Zenari:<br />

il veicolo di Hudec, vessillo dell’organizzazione ben in vista,<br />

procedeva in senso contrario sulla A9, la strada principale,<br />

percorsa ogni giorno da tutti i convogli umanitari.<br />

Sangue nonostante i negoziati<br />

Con Pad e Pradeep sono stati ammazzati anche cinque<br />

MORTI E RINASCITE<br />

Inaugurazione di case ricostruite dopo<br />

lo tsunami in Sri Lanka. Ma la guerra<br />

continua a seminare lutti nell’isola<br />

soldati dell’esercito srilankese, obiettivo della mina. Feriti,<br />

invece, il conducente dell’auto (che ha perso un occhio) e<br />

l’altro operatore di <strong>Caritas</strong> Jaffna. Altre sette vittime di una<br />

striscia di sangue che non accenna ad arrestarsi, nonostante<br />

il cessate il fuoco stipulato nel 2002 e i negoziati attualmente<br />

in corso: sono circa 65 mila le vittime dall’inizio<br />

del conflitto, oltre duecento da gennaio all’11 aprile,<br />

quando a Trincomalee un ordigno a frammentazione ha<br />

fatto saltare un autobus della marina militare srilankese,<br />

uccidendo dodici persone e ferendone otto.<br />

Ma Pad e Preedep erano due tamil, operatori di un’organizzazione<br />

locale che da vent’anni<br />

opera sia nella zona in mano alle Tigri<br />

che in quella controllata dal governo,<br />

senza essere mai stata coinvolta in incidenti<br />

legati al conflitto. Un elemento<br />

che ha sconvolto lo staff della <strong>Caritas</strong><br />

diocesana e ha scosso anche una<br />

città come Jaffna, assuefatta alla violenza<br />

da decenni di guerra.<br />

Ferme le parole di condanna del<br />

vescovo, Thomas Savundaranayagam,<br />

durante i funerali: «Invito tutti a<br />

riflettere, anche chi crede in certe forme<br />

di lotta, perché questa tragedia,<br />

più di altre, è rivolta contro il popolo Tamil». Dello stesso<br />

tenore la presa di posizione del segretario generale di <strong>Caritas</strong><br />

Internationalis, Duncan MacLaren: «Anche in zone<br />

di conflitto l’uccisione di esseri umani non è mai accettabile;<br />

quando a morire sono civili innocenti impegnati nella<br />

ricostruzione di un paese devastato dalla guerra, ci troviamo<br />

di fronte a un vero e proprio oltraggio all’umanità».<br />

Ma soprattutto conta la reazione della città: per quanto<br />

scossa, si è unita attorno alle famiglie delle vittime e a<br />

Hudec - <strong>Caritas</strong> Jaffna. Ai funerali hanno partecipato tantissime<br />

organizzazioni della società civile del distretto, i<br />

bambini e gli educatori delle strutture d’accoglienza in cui<br />

erano impegnati i due operatori e moltissimi cittadini. Segni<br />

di speranza, ai bordi di una tragedia.<br />

internazionale<br />

guerre alla finestra<br />

STRESS DOPO IL TRAUMA,<br />

LA MEDICINA È CONDIVIDERE<br />

di Paolo Beccegato<br />

Milioni di morti e feriti costituiscono solo una parte delle vittime<br />

che vengono causate da guerre e violenze. Più di un miliardo<br />

sono i civili che hanno subito, in oltre cinquanta paesi negli ultimi<br />

trent’anni, traumi psicologici spesso devastanti, i cui effetti perdurano<br />

anche per decenni. La guerra è sporca: in nessuna parola, in<br />

nessuna metafora, in nessuna etichetta diagnostica può essere condensata<br />

la cifra dell’immenso dolore, spesso silenzioso e dimenticato,<br />

che accompagna tutte le guerre di tutti i tempi. Perché, diceva Erodoto<br />

mezzo millennio prima di Cristo, “i grandi dolori sono muti”.<br />

Le invisibili “ferite dell’anima” e i<br />

traumi psichici colpiscono da sempre<br />

i sopravvissuti di una guerra, soldati e<br />

civili. Tuttavia, solo nel 1980 è stata introdotta<br />

la categoria del “Disturbo post-traumatico<br />

da stress” nell’edizione<br />

del manuale diagnostico dell’Associazione<br />

psichiatrica americana. In<br />

vent’anni, conosciuta con l’acronimo<br />

inglese Ptsd, questa nozione diagnostica<br />

si è perfezionata e diffusa per designare<br />

le conseguenze psichiatriche<br />

non solo dei traumi delle guerre, ma<br />

anche delle catastrofi naturali e antropiche,<br />

degli abusi sessuali, delle rapine, degli incidenti, con<br />

una diffusione che, ad esempio, negli Usa è stimata attorno<br />

all’8% della popolazione.<br />

Acuto e cronico<br />

Il trauma colpisce persone che sono state esposte a un<br />

evento traumatico che ha implicato morte o minaccia di<br />

morte o gravi ferite all’integrità fisica propria o altrui. In<br />

tale contesto la persona ha provato paura intensa, sentimenti<br />

di impotenza od orrore. L’evento traumatico viene<br />

rivissuto in maniera persistente dalla persona che l’ha<br />

subito o ne è stata testimone, attraverso ricordi spiacevoli<br />

che comprendono immagini, pensieri e percezioni; sogni<br />

ricorrenti dell’evento traumatico; reazioni comportamentali<br />

come se l’episodio si ripetesse; disagio psicologi-<br />

Tra le vittime di guerre<br />

e violenze ci sono anche<br />

milioni di persone che<br />

si portano appresso<br />

anche per decenni<br />

traumi psichici<br />

laceranti. La loro forma<br />

clinica è codificata solo<br />

dal 1980. Le risposte<br />

mediche non bastano<br />

co intenso di fronte a situazioni che<br />

assomigliano o simbolizzano quelle<br />

sperimentate; reazioni fisiologiche<br />

che simbolizzano alcuni aspetti dell’evento<br />

traumatico. La persona cerca<br />

in tutti i modi di evitare gli stimoli<br />

associati con il trauma. Il quale causa<br />

una marcata riduzione dell’interesse<br />

e della partecipazione ad attività<br />

significative, sentimenti di distacco<br />

o di estraneità agli altri, ridotta<br />

capacità affettiva, riduzione delle<br />

prospettive future di una vita normale.<br />

La persona prova difficoltà ad addormentarsi<br />

o a mantenere il sonno,<br />

irritabilità e scoppi di collera, difficoltà<br />

a concentrarsi, ipervigilanza,<br />

esagerate risposte di allarme. Il disturbo<br />

provoca anche disagio clinicamente<br />

significativo o menomazione<br />

del funzionamento sociale, lavorativo<br />

o di altre aree importanti. Può<br />

condurre persino al suicidio.<br />

La durata dei sintomi deve essere<br />

superiore a un mese. Se il dolore<br />

dura meno di tre mesi si considera acuto; dopo i tre mesi<br />

si considera cronico. Ci può essere anche un disturbo<br />

a esordio ritardato, dopo vari mesi dall’evento.<br />

I professionisti della medicina, della psicologia e<br />

della psichiatria occidentale non hanno medicine magiche<br />

per far guarire dai traumi psichici della guerra, ferite<br />

che lasciano un segno profondo e indelebile nelle<br />

persone e nelle comunità. Ma, insieme ad altri uomini<br />

di buona volontà, professionisti e volontari, religiosi e<br />

gente comune, possono prendersi cura delle persone<br />

traumatizzate dagli orrori delle guerre, condividendo il<br />

peso del loro dolore, accompagnandone il lento lavoro<br />

di elaborazione del lutto, trasformare il trauma subito in<br />

testimonianza per la pace. È anche questo il lavoro della<br />

<strong>Caritas</strong>, in tante parti del mondo.<br />

ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 33


internazionale<br />

casa comune<br />

STRATEGIA DA RILANCIARE,<br />

MA SERVE UN’“ANIMA SOCIALE”<br />

di Gianni Borsa inviato a Bruxelles dell’agenzia Sir<br />

La concorrenza sui mercati mondiali accelera il passo; Cina e India<br />

non guardano in faccia a nessuno e i mercati europei rischiano<br />

una “invasione pacifica” di prodotti d’oriente o battenti bandiera<br />

americana. Per rispondere alla sfida, l’Unione europea ha inventato nel<br />

2000 la Strategia di Lisbona, tesa a favorire la competitività e basata su<br />

un mix di ricerca, innovazione e formazione. Ma l’Europa non può limitarsi<br />

alla battaglia produttiva e commerciale. Deve promuovere risultati<br />

sui versanti dell’occupazione “di qualità”, della coesione sociale<br />

e della sostenibilità ambientale.<br />

Alla Strategia di Lisbona era dedicato<br />

il summit dei 25 capi di stato e di<br />

governo svoltosi a fine marzo a<br />

Bruxelles. Qualche passo avanti è stato<br />

compiuto (la “Strategia” finora era<br />

più o meno rimasta sulla carta). Ma è<br />

stata l’emergenza energetica a tenere<br />

banco durante il vertice Ue e si è più<br />

che mai imposta la convinzione che<br />

un unico mercato e un’unica politica<br />

energetica europea sono indilazionabili.<br />

Gli stati dell’Unione si sono impegnati<br />

in azioni efficaci sui temi del risparmio<br />

e dell’efficienza energetica, per la promozione di<br />

fonti rinnovabili e dei biocarburanti; nessun accordo, invece,<br />

sul nucleare (ciascuno proseguirà per la sua strada, chi<br />

a produrre e utilizzare energia atomica, chi a escluderla).<br />

Nel campo della ricerca, i 25 hanno dato il via libera al<br />

Settimo programma quadro Ue e al Programma per l’innovazione.<br />

Allo stesso tempo istruzione e formazione si<br />

confermano “fattori critici nel miglioramento della competitività<br />

e della coesione sociale”. I leader politici hanno<br />

poi ritenuto urgente sbloccare il potenziale delle imprese,<br />

soprattutto di piccole e medie dimensioni, per accrescere<br />

la forza d’urto del settore manifatturiero (sgravi fiscali,<br />

riduzione della burocrazia, investimenti per infrastrutture).<br />

Altro punto irrinunciabile – almeno nelle intenzioni<br />

– è la promozione di nuovi posti di lavoro, con<br />

34 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />

I leader dei 25 hanno<br />

fatto il punto<br />

sull’applicazione degli<br />

accordi di Lisbona in<br />

materia di concorrenza<br />

sui mercati globali.<br />

Qualche passo avanti<br />

per l’economia.<br />

Ma la coscienza<br />

europea, per rafforzarsi,<br />

ha bisogno d’altro<br />

un occhio di riguardo alle “categorie<br />

sensibili”: giovani, donne, disabili,<br />

immigrati.<br />

Concertare risposte<br />

Fin qui impegni e promesse. Una cosa<br />

è certa: i mercati mondiali non faranno<br />

sconti alle pigrizie della Ue e<br />

tanto meno lasceranno spazio di manovra<br />

a 25 sistemi economici nazionali.<br />

Ciò che però non è emerso dal<br />

vertice è l’“anima sociale” cui l’Europa<br />

non può più rinunciare. D’accordo<br />

concorrenza e mercati, ma non<br />

sarà solo attorno a essi che si costruirà<br />

la comunità sovranazionale,<br />

“unita nella diversità”, sognata dai<br />

padri fondatori e delineata nel Trattato<br />

costituzionale, siglato a Roma nell’ottobre<br />

2004 e oggi in stand by dopo<br />

il “no” di francesi e olandesi.<br />

Le banlieue parigine in rivolta dimostrano<br />

che c’è bisogno di altro.<br />

Così come chiedono altro i disoccupati<br />

del Mezzogiorno italiano e quelli<br />

delle regioni minerarie dell’Est, le giovani coppie tedesche<br />

che non hanno i mezzi per potersi sposare e le famiglie di<br />

Bucarest costrette alla coabitazione…<br />

È positivo che da qualche tempo i cittadini europei,<br />

con i loro problemi e le loro attese, bussino alle porte delle<br />

istituzioni di Bruxelles e Strasburgo: ne fanno fede le<br />

manifestazioni davanti all’Europarlamento contro la Direttiva<br />

servizi, o quelle dei portuali o degli agricoltori. Matura,<br />

anche per questa strada, una coscienza europea<br />

(purché la democrazia comunitaria non diventi ostaggio<br />

delle manifestazioni di piazza). A maggior ragione l’Ue<br />

deve assumersi la responsabilità di concertare risposte<br />

adeguate, in accordo con gli stati membri e nel rispetto<br />

dei principi di solidarietà e di sussidiarietà, che sono alla<br />

base del processo di integrazione continentale.<br />

internazionale<br />

DEBITO, PESO CHE RESTA<br />

MA IN ZAMBIA ORA SI SPERA<br />

di Massimo Pallotino<br />

Nella definizione dei temi fondamentali per un’agenda di riduzione dell’ingiustizia e della<br />

povertà nel mondo, il tema del debito merita ancora di essere considerato come prioritario.<br />

Dopo la grande mobilitazione dell’anno del Giubileo, l’attenzione dell’opinione<br />

pubblica è stata sollecitata negli ultimi anni da iniziative spesso più ad effetto che di reale<br />

efficacia. Ma in termini concreti, il totale del debito dei paesi in via di sviluppo, che nel<br />

1999, prima dell’avvio dell’iniziativa “rinforzata” Hipc (Heavily Indebted Poor Countries è il nome<br />

dell’iniziativa internazionale per la cancellazione del debito, ndr) era pari a 2.347 miliardi di dollari,<br />

è oggi (dato aggiornato al 2004) pari a 2.597 miliardi; i paesi dell’Africa subsahariana, che nel 1999<br />

pagavano 13,6 miliardi di dollari per rimborsare questo debito, ne hanno pagati nel 2004 15,23.<br />

Questi dati bastano a dare una prima indicazione sullo stato dei fatti: l’iniziativa internazionale<br />

di cancellazione del debito non ha risolto il problema. Ha semmai contribuito a evitare una situazione<br />

ancora più pesante, senza però trovare la via di uscita sostenibile invocata come una delle ra-<br />

gioni per procedere alla cancellazione. Ora si tratta di fare<br />

ogni sforzo perché le iniziative già adottate siano portate<br />

avanti in modo efficace e perché vengano introdotti correttivi<br />

per gli elementi che ne limitano l’efficacia. In questo,<br />

l’attenzione della società civile è fondamentale, se si vuole<br />

mantenere una giusta tensione su una questione che continua<br />

a influire in modo drammatico sulle condizioni di vita<br />

della maggior parte della popolazione mondiale.<br />

Difficoltà dai governi<br />

L’iniziativa di conversione del debito promossa dalla<br />

chiesa italiana, attraverso la Fondazione Giustizia e Solidarietà<br />

(nella quale sono coinvolti numerosi soggetti, tra<br />

cui <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>), è stata portata avanti con un impegno<br />

faticoso ma efficace, in continuità con la campagna<br />

ecclesiale per la riduzione del debito, lanciata nell’anno<br />

giubilare a seguito del pressante appello di Giovanni Paolo<br />

II. Questa iniziativa ha trovato le sue prime concretizzazioni<br />

in Guinea (dove il fondo di conversione del debito<br />

è attivo dal giugno 2003) ed è giunta anche in Zambia<br />

a una fase operativa.<br />

Proprio in Zambia la mancanza di un accordo tra i<br />

paesi debitori ha impedito a lungo di negoziare gli accordi<br />

bilaterali di cancellazione del debito e anche successivamente<br />

i due governi (zambiano e italiano) hanno frapposto<br />

numerose difficoltà all’ipotesi di creare un fondo di<br />

africa<br />

ANCORA<br />

PRIGIONIERI<br />

Una famiglia<br />

in Zambia, paese<br />

che, come molti<br />

altri stati poveri,<br />

soprattutto in Africa,<br />

continua a risentire<br />

in modo rilevante<br />

del peso<br />

del debito estero<br />

Le iniziative internazionali hanno<br />

impedito l’ulteriore esplosione del debito<br />

estero dei paesi poveri, ma non ne hanno<br />

ridotto la portata. Primi risultati<br />

dell’iniziativa della chiesa italiana<br />

in Zambia, dopo quelli in Guinea<br />

ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 35


internazionale<br />

Evoluzione del debito internazionale (dati in mld di dollari)<br />

1982 1996 1999 2001 2003 2004<br />

Paesi in via di sviluppo<br />

Debito estero totale [DET] 715,79 2044,97 2346,64 2260,52 2554,14 2597,06<br />

Servizio del debito pagato 108,38 262,55 352,22 365,52 419,77 373,80<br />

di cui interessi 62,85 96,15 113,88 110,33 101,18 103,14<br />

Asia orientale e Pacifico [DET] 88,17 494,03 538,61 501,98 525,54 536,54<br />

Europa e Asia centrale [DET] 88,46 368,32 503,45 507,78 676,00 728,47<br />

America Latina e Caraibi [DET] 333,14 638,47 771,83 749,18 779,63 773,46<br />

Medio Oriente Nord Africa [DET] 82,33 163,18 155,80 142,14 158,83 155,47<br />

Asia Meridionale [DET] 47,35 149,62 161,99 156,25 182,79 184,72<br />

Africa sub-sahariana [DET] 76,34 231,35 214,96 203,19 231,36 218,41<br />

conversione del debito, come nel caso della Guinea. Per<br />

questa ragione, alla fine del 2004, il consiglio di amministrazione<br />

della Fondazione aveva stabilito di aprire un<br />

Fondo di riduzione della povertà, in accordo con la chiesa<br />

zambiana e amministrato secondo gli stessi criteri inizialmente<br />

individuati per la gestione del Fondo di conversione<br />

del debito, cioè con una larga rappresentanza della società<br />

civile zambiana. L’idea era che l’avvio unilaterale di<br />

questo fondo servisse anche come stimolo ai due governi.<br />

Dell’ammontare destinato dalla Fondazione allo Zambia,<br />

pari a 10 milioni di euro, la metà è stata in un primo momento<br />

attribuita a questo fondo, in attesa di vedere se i<br />

due governi avrebbero dato seguito all’impegno circa il<br />

monitoraggio delle risorse liberate dalla cancellazione.<br />

Rendere conto ai cittadini<br />

Oggi, a un anno di distanza, entrambe le prospettive sembrano<br />

aver trovato concretizzazione: il Fondo Giustizia e<br />

Solidarietà per la riduzione della povertà (Jsprf) è attivo e<br />

ha già identificato i primi progetti cui offrire un sostegno<br />

finanziario; i due governi hanno firmato nel gennaio 2006<br />

un’intesa per la costituzione di un comitato di informazione,<br />

che avrà il compito di mettere a disposizione la documentazione<br />

riguardante l’impiego delle risorse liberate<br />

in seguito alla cancellazione del debito da parte del governo<br />

italiano (ai sensi della legge 209 del 2000) e in cui siederanno<br />

i rappresentanti dei due governi, un rappresentante<br />

della fondazione e un rappresentante della struttura<br />

operativa della chiesa zambiana, come garanzia di collegamento<br />

con la società civile locale.<br />

Quest’ultima circostanza è significativa: il monitoraggio<br />

dell’uso delle risorse liberate con la cancellazione del<br />

debito è stato, negli anni scorsi, materia di accesa discussione<br />

nel dibattito pubblico in Zambia e ora per la prima<br />

volta i rappresentanti della società civile vengono coinvol-<br />

36 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />

Fonte: elaborazione su dati della Banca Mondiale<br />

ti nello scambio di informazioni tra<br />

governi. Si tratta di un risultato politicamente<br />

importante: si afferma infatti<br />

il principio per cui è ai cittadini, in<br />

primo luogo dei paesi che beneficiano<br />

della cancellazione, che occorre<br />

rendere conto dell’uso delle risorse liberate.<br />

Un concetto di accountability<br />

verso il basso, ben diverso dalle condizioni<br />

unilateralmente poste dai governi<br />

creditori o dalle istituzioni finanziarie<br />

internazionali.<br />

Società civile coinvolta<br />

Il comitato di informazione non ha collegamento funzionale<br />

con il Fondo di riduzione della povertà istituito in collaborazione<br />

con la chiesa zambiana, ma le due iniziative<br />

rispondono allo spirito originario della campagna giubilare,<br />

in particolare all’idea di un coinvolgimento diretto della<br />

società civile nella trasformazione della schiavitù del debito<br />

in nuove opportunità di sviluppo. Proprio in seguito<br />

alla costituzione del comitato di informazione, il consiglio<br />

di amministrazione della Fondazione ha avviato la riflessione<br />

sull’impiego della seconda metà dei 10 milioni.<br />

Pochi mesi di attività del Jsprf sono sufficienti per tracciare<br />

un primo bilancio. Il comitato di gestione è presieduto<br />

da una rappresentante della chiesa zambiana e<br />

comprende rappresentanti delle principali reti di società<br />

civile, inclusa la più grande federazione di produttori agricoli<br />

(i piccoli contadini sono il primo “target sociale” delle<br />

attività del fondo); nel comitato siedono anche due rappresentanti<br />

delle espressioni della chiesa italiana in Zambia<br />

(missionari e volontari). Il comitato, riunitosi per la<br />

prima volta nel novembre 2005, ha dato impulso all’intervento<br />

nei primi quattro distretti (Petauke, Kasempa, Isoka<br />

e Gwembe). È in corso una riflessione che potrebbe condurre<br />

all’allargamento delle aree coperte, senza tuttavia<br />

venir meno a un principio di concentrazione delle azioni,<br />

necessario per evitare interventi a pioggia, poco efficaci e<br />

di difficile gestione. Al momento sono stati finanziati 9<br />

progetti per 485 mila euro: si tratta soprattutto di progetti<br />

di supporto alle attività economiche (produzione, stoccaggio,<br />

trasformazione e commercializzazione di prodotti<br />

agricoli), ma non mancano iniziative di microfinanza e<br />

di miglioramento dei servizi scolastici. Oltre ai progetti già<br />

approvati, sono oltre 160 le proposte depositate da diversi<br />

attori della società civile e si può prevedere nei prossimi<br />

mesi un’accelerazione nel ritmo degli stanziamenti.<br />

La scommessa di Diakolidou,<br />

società civile protagonista<br />

Un villaggio di foresta ai margini della Guinea. Una comunità penalizzata dal<br />

debito e dalle importazioni dall’estero. Che prova a reagire, grazie al Foguired...<br />

di Stefano Verdecchia<br />

Diakolidou è un villaggio agli estremi confini della<br />

Guinea. Si trova nella regione forestale del<br />

paese, vicino alle frontiere con Costa d’Avorio e<br />

Mali. Per raggiungerlo, durante la stagione secca,<br />

si percorrono lunghe piste polverose di terra<br />

rossa. Nonostante la distanza dalla capitale Conakry, i<br />

produttori di riso di Diakolidou hanno appreso e seguito<br />

con particolare attenzione le notizie in arrivo dalla capitale<br />

riguardo lo sciopero nazionale a oltranza, cominciato il<br />

primo marzo. A Diakolidou s’ignorano i giochi politici che<br />

africa<br />

MAI PIÙ SCHIAVI Giovani zambiani in un’area rurale. Per lo sviluppo, occorre puntare sui piccoli contadini<br />

vedono protagonisti sindacati, partiti e istituzioni e contribuiscono<br />

a rendere il paese sempre più instabile, ma<br />

una cosa è certa: nel villaggio in mezzo alla foresta si ha la<br />

piena consapevolezza dell’aumento costante e incontrollato<br />

dei prezzi dei beni al consumo. E non si sottovaluta<br />

nemmeno l’aumento esponenziale delle importazioni di<br />

riso e di olio di palma dal sud-est asiatico o di cipolle e patate<br />

dall’Olanda, nonostante la Guinea sia un forte produttore<br />

di tutti questi prodotti, base della dieta giornaliera<br />

delle famiglie guineane.<br />

ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 37


internazionale<br />

Evoluzione del debito nei due Paesi africani<br />

oggetto dell’iniziativa italiana<br />

(dati in mililoni di dollari)<br />

1982 1996 2001 2004<br />

Guinea (Hipc: decision point)<br />

Debito estero totale 1365,60 3240,30 3254,30 3538,40<br />

Servizio del debito pagato 88,90 113,50 105,40 171,80<br />

Zambia (Hipc: completion point)<br />

Debito estero totale 3658,00 7060,10 6069,10 7245,80<br />

Servizio del debito pagato 333,70 250,70 185,00 419,40<br />

38 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />

Fonte: elaborazione su dati della Banca Mondiale<br />

La politica indiscriminata di<br />

importazione di prodotti-chiave<br />

strozza i contadini di Diakolidou<br />

e non permette loro di potenziare<br />

la propria produzione agricola,<br />

dunque l’autosufficienza alimentare<br />

del villaggio. E c’è di più: ogni<br />

contadino di Diakolidou ha sulle<br />

proprie spalle, come accade a<br />

ciascuno dei suoi connazionali,<br />

un debito immobilizzante, che<br />

paga ogni giorno attraverso una mancanza di opportunità<br />

per il miglioramento delle proprie condizioni di vita<br />

e di quelle della propria famiglia, a cominciare da educazione<br />

e salute.<br />

Fondo guineano-italiano<br />

Diakolidou è solo uno delle migliaia di insediamenti rurali<br />

della Guinea, che nonostante tutto dimostrano una adattabilità<br />

notevole ai rovesci della natura e della storia, ovvero<br />

una capacità arcaica di gestire piogge, stagioni secche,<br />

invasioni di cavallette, ma anche effetti dell’aggiustamento<br />

strutturale, del debito estero, di politiche commerciali irresponsabili.<br />

Diakolidou però ha avuto anche l’opportunità di beneficiare<br />

di una concreta leva di sviluppo, resa disponibile dal<br />

Foguired (Fonds Guineo-Italien de Reconversion de la Dette,<br />

Fondo guineano-italiano di riconversione del debito).<br />

Creato nel 2003 per iniziativa della Conferenza episcopale<br />

italiana tramite la Fondazione Giustizia e Solidarietà, il Foguired<br />

è lo strumento che sta lavorando, grazie alla compartecipazione<br />

di soggetti istituzionali e della società civile<br />

guineani, per tradurre in progetti di sviluppo comunitario<br />

e contro la povertà i fondi raccolti in Italia in vista del Giubileo<br />

del 2000 e il corrispettivo messo a disposizione dal<br />

governo guineano. Le sue disponibilità sono pari a 7,5 milioni<br />

di euro; 1,5 sono versati dal governo guineano (in va-<br />

africa<br />

luta locale) e corrispondono a una parte del debito verso<br />

l’Italia cancellato dall’accordo bilaterale, i restanti 6 sono<br />

versati da Giustizia e Solidarietà. Finora sono stati approvati<br />

dal Foguired 200 progetti, per<br />

RIPARTIRE<br />

2,2 milioni di euro; sono in istrut-<br />

DAL BASSO<br />

toria avanzata circa 500 altri pro-<br />

Un progetto<br />

getti (per altri 2 milioni di euro).<br />

rurale finanziato<br />

in Guinea<br />

Ulteriori iniziative sono state già<br />

dal Foguired<br />

identificate e si prevede che entro<br />

fine 2006 verrà allocata la totalità o<br />

quasi dei fondi disponibili.<br />

A Diakolidou il Foguired sta<br />

cercando di valorizzare capacità,<br />

risorse e saperi locali, con un intervento<br />

che mira a migliorare le<br />

produzioni rurali. Analoghi progetti<br />

sono in corso in diverse zone<br />

della Guinea: oltre agli interventi a<br />

supporto di attività produttive, il<br />

fondo opera nel settore sanitario,<br />

dell’educazione, della formazione<br />

degli adulti e dei diritti sociali.<br />

Nel caso di Diakolidou, come in tante altre comunità<br />

toccate in questi anni, la scommessa è però più ambiziosa:<br />

si punta, infatti, ad andare oltre il puro e semplice appoggio<br />

alla produzione, per creare dinamiche virtuose<br />

nella società civile, affinché ai diversi livelli di partecipazione<br />

e nei diversi ambiti istituzionali, in città come in periferia,<br />

si organizzino presenze capaci di favorire un cambiamento,<br />

concreto e democratico.<br />

Un altro esempio di partecipazione attiva della società<br />

civile lo fornisce il Carp (College Acteurs pour la Réduction<br />

de la Pauvreté), sostenuto dal Foguired e direttamente da<br />

Giustizia e Solidarietà. Questa rete di ong e associazioni<br />

lavora capillarmente in scuole, università e luoghi di lavoro,<br />

con l’intento di aiutare gli abitanti di alcuni quartieri di<br />

Conakry a comprendere i meccanismi che li mantengono<br />

in condizioni di esclusione, cercando di fare luce sulle<br />

cause politiche, economiche e sociali della povertà. Anche<br />

in questo caso, in città come a Diakolidou in piena brousse,<br />

l’obiettivo ultimo è rafforzare la società civile e creare<br />

coscienza. Perché da essa nasca un atteggiamento di responsabilità,<br />

da parte della popolazione, nei confronti del<br />

“bene comune”. È la sola condizione per influenzare la<br />

politica, che lasciata a se stessa minaccia di trascinare il<br />

paese nel baratro della guerra civile. Ed è una scommessa<br />

di maturazione collettiva, che prova a fiorire sul terreno<br />

della liberazione dal debito.<br />

internazionale<br />

DIRITTI UMANI,<br />

L’ORA DEL CATTIVO CONSIGLIO<br />

di Alberto Bobbio<br />

L’<br />

ultimo pasticcio si chiama Consiglio Onu per i diritti umani. È<br />

stato appoggiato dai premi Nobel e dalle ong, ma farne una<br />

rappresentazione buonista non serve. L’idea di un’entità so-<br />

vranazionale per vigilare sui diritti umani è ottima, però non basta. Occorre<br />

che cammini e risulti efficace. Proprio quello che il nuovo Consiglio<br />

non è. Finora a occuparsi di diritti umani c’era la vecchia Commissione,<br />

con sede a Ginevra. Era discreditata soprattutto dopo che, di recente,<br />

alla sua presidenza era stato eletto il rappresentante della Libia,<br />

paese campione del rispetto dei diritti umani… Da qualche tempo, su<br />

sollecitazione di 160 ong, si discuteva della possibilità di superare la<br />

Commissione con uno strumento<br />

più agile e ristretto, in grado di reagire<br />

con rapidità ed efficacia alle violazioni<br />

dei diritti umani nelle diverse<br />

parti del mondo. La costituzione del<br />

nuovo Consiglio è stata approvata da<br />

tutti i paesi membri dell’Onu, eccetto<br />

isole Palau, isole Marshall, Israele e<br />

Stati Uniti. Così si è gridato insieme<br />

alla vittoria e allo scandalo.<br />

Ma cos’è il Consiglio? Una cosetta<br />

simile alla vecchia Commissione.<br />

Sarà composto da 47 membri invece<br />

di 53. Si riunirà almeno tre volte all’anno. Potrà fare studi,<br />

indagini, inchieste, ma non avrà poteri decisionali. Per<br />

qualsiasi decisione, secondo statuto, occorre la maggioranza<br />

dei due terzi; essendo la maggior parte dei membri<br />

dell’Onu paesi deficitari, per varie ragioni, in tema di diritti<br />

umani, è evidente che il Consiglio è solo uno dei tanti<br />

modi per ripulirsi pubblicamente la coscienza.<br />

Gli Stati Uniti chiedevano maggiore potere per il Consiglio,<br />

ben sapendo che il livello di compromessi bilanciati<br />

sui quali si regge qualsiasi decisione che si prende alle<br />

Nazioni Unite avrebbe impedito di arrivare a tanto. La<br />

posizione Usa è schizofrenica: vanno in giro per il mondo<br />

a imporre democrazia in punta di fucile, ma consentono<br />

l’esistenza di Abu Ghraib e Guantanamo. Non si sono<br />

È stato approvato<br />

da tutti i paesi<br />

del mondo meno quattro<br />

(tra cui Usa e Israele).<br />

Ma non è un grande<br />

affare: il nuovo<br />

organismo Onu<br />

è farraginoso come<br />

la vecchia Commissione.<br />

Servirà solo<br />

a lavare le coscienze?<br />

contrappunto<br />

quindi dati da fare per cercare ulteriori<br />

mediazioni. Forse a Washington<br />

bastava che la vecchia Commissione<br />

saltasse al più presto, per evitare che<br />

prendesse in esame il Rapporto su<br />

Guantanamo, assai pesante per<br />

l’amministrazione americana.<br />

Arnesi imbarazzanti<br />

Chi siederà nel nuovo consiglio? I<br />

membri verranno eletti dall’Assemblea<br />

generale a maggioranza assoluta.<br />

Ma non è certo che si riesca a<br />

tener fuori, per esempio, Sudan,<br />

Iran o Cuba. E poi chi avrà il coraggio<br />

di analizzare i casi di Cina, Russia<br />

o Turchia, insomma di occuparsi<br />

davvero di sanzionare chi non rispetta<br />

i diritti umani?<br />

Nell’ultimo decennio si è pensato<br />

che le sanzioni dovessero essere di tipo<br />

giudiziario, quando il mancato rispetto<br />

dei diritti umani sfociava nelle<br />

tragedie dei genocidi. Si è inventato<br />

prima il Tribunale penale dell’Aja per<br />

la ex Jugoslavia e poi quello di Arusha<br />

per il Ruanda e quello della Sierra Leone per giudicare i<br />

criminali, ma in realtà anche i sistemi politici. Eppure,<br />

anche in questi casi, le regole previste hanno bloccato<br />

qualsiasi possibilità di ricostruire memorie giudiziarie e<br />

punire i colpevoli. È sufficiente, per la scena mediatica e<br />

per la politica scellerata delle consegne in cambio di silenzio,<br />

rifilare ai tribunali ogni tanto qualche vecchio arnese<br />

che imbarazza. È accaduto per Milosevic, per il generale<br />

croato Gotovina, recentemente per Taylor, macellaio<br />

della Liberia, arrestato in Nigeria e spedito in Sierra<br />

Leone. Ma quella dei diritti umani rischia di essere una<br />

battaglia persa, se viene isolata dal contesto della giustizia<br />

economica e sociale, della costruzione della pace, della<br />

questione delle armi.<br />

ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 39


agenda territori<br />

NAPOLI<br />

Mediatori culturali sugli autobus<br />

per viaggi di conoscenza e fiducia<br />

Ventisei mediatori culturali formati dalla <strong>Caritas</strong><br />

diocesana di Napoli sono all’opera come<br />

facilitatori di integrazione, da fine marzo,<br />

su cinque autolinee della Compagnia di trasporti<br />

pubblici (Ctp), nell’ambito del progetto Contact 2.<br />

I mediatori culturali operano, sui mezzi pubblici,<br />

per creare relazioni e facilitare i rapporti tra viaggiatori italiani e persone<br />

straniere, spesso a disagio in un ambiente non sempre accogliente e diverso<br />

dai loro per cultura e abitudini. «L’autobus è in genere considerato solo<br />

un mezzo di trasporto e talvolta isola le persone nonostante la vicinanza –<br />

ha spiegato monsignor Vincenzo Mango, direttore della <strong>Caritas</strong> diocesana<br />

di Napoli –. Noi proviamo a favorire un processo di integrazione e dialogo:<br />

così il bus diventa un luogo per un viaggio della conoscenza e della fiducia».<br />

Contact è un progetto (il primo proposto in Italia da un’azienda di trasporti<br />

pubblici, sostenuto dalla provincia e realizzato anche grazie alla cooperativa<br />

sociale La Locomotiva) pone Napoli come capofila per lo sviluppo di buone<br />

prassi per l’integrazione e sarà presto ripreso ad Alessandria e Firenze.<br />

PADOVA E ROVIGO<br />

Microcredito per<br />

soggetti in difficoltà<br />

e nuove cooperative<br />

Si chiama “Progetto Microcredito”<br />

la nuova iniziativa promossa<br />

dalla Fondazione Cassa di Risparmio<br />

di Padova e Rovigo, in collaborazione con<br />

le <strong>Caritas</strong> diocesane di Padova e Adria-<br />

Rovigo. L’obiettivo è offrire sostegno a<br />

persone e famiglie che vivono situazioni<br />

economiche precarie e rischiano l’usura<br />

e il progressivo indebitamento, oppure<br />

a nuove società di persone o cooperative<br />

sociali, costituite per intraprendere<br />

un’attività lavorativa. Il progetto prevede<br />

anche il sostegno a necessità abitative<br />

(mensilità anticipate, acquisto mobili,<br />

attivazione utenze), a spese sanitarie,<br />

scolastiche o al mantenimento delle<br />

relazioni con la famiglia di origine<br />

da parte degli stranieri. La Fondazione<br />

ha messo a disposizione delle <strong>Caritas</strong><br />

200 mila euro per un fondo di garanzia<br />

presso la Cassa di Risparmio di Padova<br />

e Rovigo, che concederà i finanziamenti.<br />

La restituzione progressiva consentirà<br />

al fondo di garanzia di autoalimentarsi,<br />

ampliando il numero dei potenziali<br />

beneficiari. Alle <strong>Caritas</strong> è affidato<br />

il compito di svolgere l’attività istruttoria<br />

e di accompagnare i soggetti richiedenti<br />

con un’attività di verifica e tutoraggio.<br />

VICENZA<br />

Nuovi centri d’aiuto<br />

sul disagio psichico,<br />

corso per volontari<br />

È partito a fine aprile un corso di<br />

formazione in quattro incontri, destinato<br />

a persone motivate a prestare servizio di<br />

volontariato a favore di chi soffre<br />

un disagio di tipo psichico. L’iniziativa<br />

fa parte del “Progetto Dialogo. Prossimità<br />

e cura delle relazioni: la persona come<br />

risorsa” ed è proposta dalla <strong>Caritas</strong><br />

diocesana vicentina, in collaborazione<br />

con altri uffici diocesani e altre realtà<br />

ecclesiali. Il progetto prevede la nascita<br />

nel territorio diocesano di centri<br />

di ascolto differenziati a seconda della<br />

tipologia delle “fatiche” che fiaccano<br />

le famiglie, in particolare quelle legate<br />

alle relazioni di coppia, alla genitorialità,<br />

alla fragilità giovanile e, appunto,<br />

alla sofferenza psichica. L’attività di<br />

ascolto, accompagnamento e prossimità<br />

rispetto a tali sofferenze prevede anche<br />

la creazione di specifici gruppi di automutuo<br />

aiuto, sostenuti da équipe<br />

di esperti, che si metteranno in rete<br />

con i servizi sociali pubblici.<br />

BOLOGNA<br />

Sartoria “solidale”<br />

nella bottega<br />

“Per filo e per segno”<br />

Tagliano, aggiustano e cuciono<br />

in una bottega del centro città. È il nuovo<br />

laboratorio di sartoria aperto nel punto<br />

vendita “Per filo e per segno. Abiti e<br />

abilità sociali”; all’interno del laboratorio,<br />

gestito dalle cooperative sociali Siamo<br />

Qua e Piccola Carovana, lavorano alcune<br />

sarte professioniste di nazionalità<br />

straniera, affiancate da donne italiane<br />

e straniere in condizione di grave disagio<br />

sociale. Il tutto a prezzi imbattibili:<br />

orli e riparazioni a macchina costano<br />

5 euro, eseguiti a mano 7 euro.<br />

“Per filo e per segno” è un progetto<br />

promosso dalla <strong>Caritas</strong> diocesana<br />

a partire da settembre 2004, con altri<br />

enti e cooperative; è uno spazio<br />

di incontro tra diverse realtà del territorio,<br />

che operano per promuovere<br />

l’integrazione sociale, valorizzando<br />

individui fragili. [redattore sociale]<br />

parrocchia e mondialità di Francesco Campagna<br />

Palermo, l’apertura al mondo parte dai migranti<br />

E grazie ad Anthony comincia un dialogo con il Ghana<br />

SGUARDO OLTRE L’ISOLA<br />

Due immagini della manifestazione<br />

“Palermondo”, che ha visto<br />

coinvolta la <strong>Caritas</strong> diocesana<br />

Nel corso di questo anno pastorale, la <strong>Caritas</strong> diocesana di Palermo<br />

ha promosso una serie di iniziative nel campo dell’educazione alla mondialità.<br />

La portata innovativa della proposta ha tuttavia incontrato la resistenza<br />

di molte comunità parrocchiali: «Perché occuparsi dei poveri che si trovano<br />

dall’altra parte del pianeta – hanno obiettato alcuni –, quando i poveri di casa<br />

nostra bussano con insistenza alle porte delle nostre parrocchie?».<br />

Bisogna ammettere che l’operato di molte parrocchie risulta centrato<br />

sulla condizione locale, mentre la prospettiva globale rimane ancora estranea<br />

alle dinamiche della pastorale ordinaria. Inoltre è particolarmente difficile<br />

l’impegno per un’azione pastorale coordinata, capace di superare gli ostacoli<br />

posti dalla molteplicità degli uffici diocesani che, a vario titolo, si occupano<br />

di pace, mondialità, tutela dei diritti fondamentali della persona, diritto<br />

allo sviluppo, ecc.<br />

Parimenti, non è semplice coinvolgere le comunità dei religiosi<br />

e delle religiose presenti in diocesi: il patrimonio di esperienze, testimonianze<br />

e progettualità che tante congregazioni sviluppano con coraggio in terra<br />

di missione – con il coinvolgimento di tanti laici – non è ancora<br />

adeguatamente condiviso dall’intera comunità ecclesiale, ma rimane<br />

per lo più all’interno dei confini delle comunità di riferimento.<br />

Il dramma, poi la conoscenza<br />

Pur tenendo presente questo contesto, irto di condizioni sfavorevoli, la scelta iniziale effettuata dalla<br />

<strong>Caritas</strong> diocesana è stata netta. Per aprirsi alla prospettiva della mondialità, bisogna farsi interrogare<br />

dalla presenza delle comunità di immigrati nella città di Palermo: attraverso l’incontro con i volti<br />

e le storie di migranti (uomini e donne provenienti da Sri Lanka, Filippine, isole Mauritius, dal Maghreb<br />

e dalle regioni dell'Africa centrale) è stato possibile avviare una riflessione sulle povertà che oggi<br />

segnano la società globalizzata e tracciano in essa i confini, ai margini dei quali viene violentata<br />

l’umanità sofferente.<br />

Nel cammino pastorale non mancano dunque le difficoltà, ma costituiscono un motivo di speranza<br />

le esperienze di fraternità e di condivisione che molte parrocchie hanno già sperimentato. La parrocchia<br />

Sant’Oliva a Palermo, per esempio, si è fatta carico della situazione di Anthony, un giovane ghanese.<br />

Giunto in città nel 1999, Anthony comincia a lavorare ai mercati generali. Nel 2001 accusa problemi<br />

di salute e due anni dopo viene colto da un ictus emorragico, che lo ha reso inabile al cento per cento.<br />

La <strong>Caritas</strong> parrocchiale si è fatta carico della sua situazione, adoperandosi per garantire ad Anthony<br />

un’assistenza adeguata e il riconoscimento del diritto a riunirsi con la propria famiglia che, rimasta<br />

in Ghana, era stata contattata e sostenuta economicamente da una rete di famiglie solidali.<br />

La presenza di un sacerdote missionario nel villaggio di origine di Anthony si è rivelata l’occasione<br />

propizia per aprire un dialogo con la moglie e i figli, con il risultato del coinvolgimento dell’intera<br />

comunità parrocchiale e, di recente, anche di una scuola media del quartiere, che si è impegnata<br />

a sostenere un’iniziativa in favore del villaggio. E questo è solo l’inizio del cammino.<br />

40 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 41


sto in campagna a cura di Paolo Riva<br />

Il mondo in marcia contro la fame,<br />

<strong>Caritas</strong> appoggia l’iniziativa Pam<br />

L’appuntamento<br />

È il principale evento mondiale per sensibilizzare l’opinione pubblica<br />

sul pressante problema della fame, che falcidia ancora tante persone<br />

e in particolare molti bambini in ogni parte del mondo. L’iniziativa<br />

“Fight hunger – Walk the world” (“Il mondo in marcia contro la fame”)<br />

si svolgerà in contemporanea in tutto il pianeta il 21 maggio. Promossa<br />

dal Programma alimentare mondiale (Wfp-Pam) delle Nazoni Unite, con<br />

l’adesione di molte organizzazioni della società civile, tra cui la rete <strong>Caritas</strong><br />

Internationalis, l’iniziativa vuole<br />

contribuire a raggiungere il traguardo,<br />

fissato negli Obiettivi del Millennio, del<br />

dimezzamento del numero di persone<br />

che soffrono di fame entro il 2015.<br />

Un intento tanto ambizioso quanto<br />

realizzabile, che necessita però di una<br />

presa di coscienza del problema a livello mondiale, non legata solamente<br />

a situazioni di emergenza oppure a eventi straordinari. Ecco quindi un’intera<br />

giornata dedicata al problema, una giornata in cui “a tutte le latitudini<br />

e lungo tutti i fusi orari, nelle stesse ore, ricchi e poveri, adulti e bambini si<br />

uniscono e camminano insieme per dire basta alla fame e alla sofferenza<br />

dei bambini”. Anche l’Italia sarà coinvolta nella manifestazione e diverse<br />

saranno le città nelle quali si marcerà contro la fame. Oltre a Roma, che si<br />

conferma dopo aver già ospitato la scorsa edizione dell’evento, quest’anno<br />

ci saranno anche Trento, Monza, Firenze, Bologna, Pesaro, Brindisi<br />

e Catania, oltre alle città che decideranno di unirsi nelle ultime settimane.<br />

Il progetto e la sua storia<br />

Il Pam-Wfp assiste ogni anno circa 100 milioni di persone in più di 80 paesi,<br />

puntando principalmente sul programma “School feeding”, per mezzo<br />

del quale viene fornito cibo alle mense scolastiche dei paesi sottosviluppati.<br />

Per raccogliere ulteriori fondi in supporto a questa ed altre attività, nel 2003<br />

è nata la marcia “Fight Hunger”, grazie alla collaborazione del Programma<br />

con la grande azienda Tnt. Da allora l’iniziativa si è diffusa notevolmente,<br />

arrivando lo scorso anno a mobilitare 201 mila persone sparse in ogni parte<br />

del globo: le marce si sono svolte in ben 266 località di 91 paesi e 24 fusi<br />

orari diversi. Un risultato che ha portato a raccogliere fondi sufficienti<br />

per sfamare 70 mila bambini per un intero anno. L’obiettivo per l’edizione<br />

2006 è toccare quota 750 mila partecipanti.<br />

Per saperne di più www.fighthunger.org e www.wfp.it<br />

ROMA<br />

Assistere stranieri<br />

e persone fragili,<br />

lezioni per infermieri<br />

Senza dimora, immigrati, emarginati:<br />

l’esperienza dei medici <strong>Caritas</strong> viene<br />

messa a disposizione degli operatori<br />

del 118. A Roma è stato avviato a fine<br />

marzo un corso di formazione, rivolto<br />

a trenta infermieri in servizio nei centri<br />

di emergenza del Lazio, sull’approccio<br />

interculturale nell’assistenza a persone<br />

fragili ed emarginate. Organizzata<br />

dalla <strong>Caritas</strong> diocesana di Roma,<br />

in collaborazione con l’Azienda regionale<br />

Ares 118, l’esperienza formativa verterà<br />

sugli aspetti medici e sociosanitari<br />

dell’assistenza agli immigrati, agli<br />

emarginati e in genere a tutti coloro che<br />

soffrono di traumi sociali. L’esperienza<br />

dei medici <strong>Caritas</strong> sarà condivisa con<br />

gli operatori dell’Ares 118 per migliorare<br />

il loro servizio; essi poi si impegneranno<br />

in servizi di volontariato e campagne<br />

di promozione della salute promossi<br />

da <strong>Caritas</strong> Roma. [redattore sociale]<br />

CAMPOBASSO<br />

“Fotopetizione”:<br />

volti per battere<br />

i commerci di armi<br />

La <strong>Caritas</strong> diocesana<br />

organizza dal 7 al 14<br />

maggio al convitto<br />

“Mario Pagano” di<br />

Campobasso la mostra<br />

fotografica “Control Arms”, sostenuta dal<br />

gruppo molisano di Amnesty International<br />

e dal comitato regionale Unicef-Molise.<br />

Elaborata dalla campagna internazionale<br />

Control Arms e diffusa in numerose<br />

lingue, la mostra consiste in 29 pannelli<br />

con immagini e commenti che illustrano<br />

come, in ogni parte del globo, la<br />

diffusione incontrollata di armi sia<br />

disastrosa per la vita e lo sviluppo<br />

delle popolazioni. I visitatori della mostra<br />

potranno aderire alla fotopetizione<br />

“Un milione di volti”, strumento visuale<br />

di pressione contro la diffusione<br />

incontrollata delle armi nel mondo.<br />

L’iniziativa si propone di raccogliere in<br />

tutto il mondo un milione di ritratti entro<br />

il 2006, come supporto a Control Arms,<br />

per chiedere la stipula di un trattato<br />

internazionale sul commercio di armi.<br />

RAGUSA<br />

Povertà in diocesi,<br />

sempre più donne<br />

e coppie in crisi<br />

Donna, separata, italiana, con un’età<br />

compresa tra i 19 e i 44 anni. Questo<br />

è l’identikit della persona che più<br />

frequentemente si è rivolta ai centri<br />

di ascolto della <strong>Caritas</strong> di Ragusa<br />

nel 2005. La relazione annuale<br />

dell’Osservatorio delle povertà della<br />

diocesi iblea raccoglie i dati relativi a 395<br />

utenti, 239 femmine e 156 maschi;<br />

gli interventi realizzati dai centri d’ascolto<br />

<strong>Caritas</strong> sono stati 1.611 e hanno<br />

riguardato povertà sottostimate e altre<br />

più facilmente percettibili. Tra le prime<br />

occupano una posizione di rilievo<br />

la situazione dei carcerati e quella<br />

dei dipendenti da sostanze o da gioco.<br />

Le situazioni più gravi di fragilità, tuttavia,<br />

riguardano tre grandi temi. La famiglia è<br />

problematica nel 40% dei casi; i casi di<br />

separati o divorziati sul totale dell’utenza<br />

superano il 15%, la fine o la crisi di<br />

un progetto di coppia coincide spesso<br />

con l’inizio di una sofferenza economica.<br />

Disoccupazione e lavoro nero risultano<br />

anche molto diffusi. Non mancano infine<br />

casi di impoverimento dovuti alla cattiva<br />

gestione del reddito o all’indebitamento,<br />

con i connessi rischi di usura.<br />

agenda territori<br />

bacheca a cura dell’Ufficio comunicazione<br />

Da “Terra Futura” a “Civitas”,<br />

primavera solidale e sostenibile<br />

Primavera, solidarietà in mostra. Da Firenze<br />

a Padova. Dopo il successo della rassegna<br />

toscana Terra Futura, torna dal 5 al 7<br />

maggio nella fiera del capoluogo veneto Civitas, mostra-convegno<br />

della solidarietà e dell’economia sociale e civile. Giunta all’undicesima<br />

edizione, Civitas si concentra quest’anno sul tema “GenerAzioni.<br />

Generare partecipazione, buone pratiche, valore, bene comune”.<br />

I protagonisti dell’evento sono, come sempre, i cittadini, la società<br />

civile (associazioni, ong, movimenti), le imprese e le istituzioni, chiamati<br />

a momenti di confronto e scambio di esperienze e buone pratiche.<br />

Nel 2006 saranno confermati i numeri del 2005, quando gli oltre 680<br />

espositori e i 5 mila metri quadrati di esposizione, gli oltre cento<br />

convegni e 600 relatori attirarono circa 50 mila visitatori. <strong>Caritas</strong><br />

<strong>Italiana</strong> sarà presente a Civitas con due strumenti. Anzitutto animerà<br />

una tavola rotonda, il 7 maggio, sul tema “<strong>Caritas</strong> e ambiente: 35 anni<br />

tra emergenze e salvaguardia del creato”, con la presenza del direttore<br />

monsignor Vittorio Nozza, di un alto dirigente della Protezione civile<br />

nazionale e la presentazione di alcune esperienze diocesane; la tavola<br />

rotonda servirà anche per presentare alcuni sussidi sul tema. Inoltre<br />

uno stand promosso da <strong>Caritas</strong> Ambrosiana ospiterà anche l’organismo<br />

nazionale e <strong>Caritas</strong> Padova.<br />

Confronto nella Fortezza<br />

Dal 31 marzo al 2 aprile si è invece svolta<br />

nella Fortezza da Basso, a Firenze, la terza<br />

edizione di Terra Futura: i 78 mila visitatori,<br />

i 390 espositori e gli oltre 190<br />

appuntamenti culturali, animazioni<br />

e laboratori hanno decretato il successo dell’evento, che si propone<br />

di far dialogare soggetti che operano per costruire un futuro<br />

di sostenibilità. Come produrre e utilizzare energie alternative,<br />

promuovere filiere corte per economie leggere, vivere con stile<br />

sostenibile i consumi quotidiani, gestire in modo partecipato le scelte<br />

importanti per le città, fare pressioni sulle imprese non sostenibili<br />

e sui governi, sollecitare politiche ambientali e sociali integrate: su<br />

questi temi si è sviluppato un serrato confronto, al quale ha dato il suo<br />

contributo anche <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>, copromotore del programma culturale,<br />

tramite conferenze, tavole rotonde e testimonianze. Allo stand <strong>Caritas</strong>,<br />

operatori e volontari delle <strong>Caritas</strong> toscane hanno condotto un ampio<br />

sondaggio tra i visitatori sul rapporto tra chiesa e temi ambientali.<br />

42 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 43


villaggio globale<br />

GIORNALI DI STRADA<br />

“Scarp de’ tenis”,<br />

cento passi<br />

coi senza dimora<br />

Cento passi, e ancora tanta voglia<br />

di camminare. Anche se l’unico veicolo è<br />

quello – povero – espresso dalla testata,<br />

che rimanda a una nota canzone di Enzo<br />

Jannacci. Scarp de’ tenis, mensile<br />

di strada edito da cooperativa Oltre<br />

e promosso dalla <strong>Caritas</strong> Ambrosiana,<br />

ha compiuto ad aprile cento numeri.<br />

In dieci anni ha consentito a centinaia<br />

di persone senza dimora e con problemi<br />

di povertà e disagio di raccontarsi,<br />

ma anche di avere<br />

un’opportunità lavorativa,<br />

di reddito, di reinserimento<br />

sociale. Viene in parte scritto e<br />

diffuso (in strada, sui sagrati di<br />

circa 900 parrocchie e in una<br />

ventina di aziende non solo<br />

a Milano, ma anche a Torino,<br />

Genova e Napoli) da una cinquantina di<br />

homeless, che trattengono un euro per<br />

copia venduta. Il numero 100, con Dylan<br />

Dog in copertina, ripercorre le tappe<br />

di un lungo cammino, il suo significato,<br />

i traguardi raggiunti, la collaborazione<br />

con tanti partner del mondo ecclesiale,<br />

del volontariato e sindacale.<br />

RADIO<br />

Psicoradio e Rete 180,<br />

nell’etere la voce<br />

di “chi sente le voci”<br />

Programmi radiofonici realizzati da<br />

pazienti con problemi psichici, in onda<br />

su emittenti locali e in futuro in internet.<br />

È partito a marzo il progetto Psicoradio,<br />

promosso dall’onlus Arte e Salute<br />

e dal dipartimento di salute mentale<br />

dell’Azienda Usl di Bologna. La prima<br />

emittente a inserire nel proprio<br />

CINEMA<br />

Telecamere sulla via di Verona,<br />

“corti” per raccontare il lavoro<br />

Al Convegno ecclesiale nazionale di Verona ci si può<br />

preparare in tanti modi. Anche… con una telecamera. Le<br />

Acli, in collaborazione con il Servizio nazionale per il Progetto<br />

culturale della Cei, propongono infatti “Lavori in… corto”,<br />

un concorso per cortometraggi sui temi del lavoro, rivolto a<br />

tutte le parrocchie e diocesi italiane, ai centri di promozione<br />

della cultura cristiana e, in generale, ai gruppi che si<br />

occupano di cinema amatoriale. “Lavori in.... corto” è una proposta diretta<br />

soprattutto ai giovani e cerca di coniugare il linguaggio cinematografico con<br />

l’attenzione alle sempre più complesse questioni del lavoro. Ogni video deve<br />

raccontare una o più storie legate al mondo del lavoro e avere una durata<br />

massima di 15 minuti. Nella giuria ci saranno personaggi autorevoli del<br />

mondo dell’arte e dello spettacolo, premiazione il 24 giugno a Rimini.<br />

INFO Tel. 06.58.40.207; lavoriincorto@acli.it; www.lavoriincorto.it<br />

palinsesto i programmi di Psicoradio<br />

(che vertono su salute mentale,<br />

cronaca, arte e immigrazione)<br />

è la bolognese Radio Città del Capo.<br />

L’idea ha riscosso grande entusiasmo<br />

anche in alcuni celebri attori: Alessandro<br />

Bergonzoni, Lella Costa e Paola Pitagora<br />

hanno assicurato la loro partecipazione<br />

ad alcuni programmi. A Mantova, invece,<br />

si può ascoltare Rete 180 - La voce di<br />

chi sente le voci. È un’emittente in cui<br />

lavorano persone che hanno (o hanno<br />

avuto) una malattia mentale e sono<br />

in contatto con un centro psicosociale<br />

della locale Asl. Su Rete 180 musica e<br />

le “pillole” del centro; si può contattare<br />

anche il sito internet (www.rete180.it).<br />

LIBRI<br />

“Strettamente<br />

personale”, letture<br />

per adolescenti<br />

L’adolescenza, con le trasformazioni,<br />

la gioia e gli eccessi che la<br />

caratterizzano, non è quasi mai un’isola<br />

felice. Strettamente personale è il titolo<br />

di una nuova collana, proposta dalle<br />

Edizioni Paoline, di testi narrativi per<br />

adolescenti scritti in forma di diario:<br />

racconta storie in cui gli adolescenti<br />

possono specchiarsi e affronta i temi<br />

dell’età. La sua particolarità, oltre alla<br />

forma<br />

diaristica, è<br />

nel contatto<br />

diretto con<br />

la realtà:<br />

la parte finale di ogni libro è redatta<br />

insieme a una associazione vicina agli<br />

adolescenti e apre una finestra sul<br />

mondo reale, mettendo a disposizione<br />

informazioni utili. La collana può<br />

diventare anche uno strumento per<br />

operatori e genitori. Finora sono usciti<br />

due titoli: Solo un anno. Diario di<br />

un adolescente (su innamoramento e<br />

rapporti con l’altro sesso, insieme ad<br />

Agesci) e Come un pinguino. Storia<br />

di un’amicizia speciale (sulla realtà<br />

dei diversamente abili, insieme<br />

ad Aias - Associazione italiana<br />

assistenza spastici).<br />

a tu per tu di Danilo Angelelli<br />

L’oca di Tabucchi difende la libertà di parola:<br />

«Dialogo e cittadinanza contro il buio di questo tempo»<br />

LA LEZIONE<br />

PORTOGHESE<br />

Un bel primo piano<br />

di Antonio Tabucchi;<br />

sotto, la copertina<br />

del suo ultimo libro.<br />

Pisano, 63 anni,<br />

Tabucchi<br />

è un profondo<br />

conoscitore<br />

della letteratura<br />

portoghese<br />

(che insegna<br />

all’università<br />

di Siena) e dell’opera<br />

di Fernando Pessoa,<br />

dal quale<br />

ha attinto i concetti<br />

della saudade,<br />

della finzione<br />

e degli eteronimi.<br />

I suoi romanzi<br />

e saggi sono stati<br />

tradotti in 18 paesi:<br />

tra i più famosi,<br />

Sostiene Pereira.<br />

Una testimonianza<br />

(1994) e La testa<br />

perduta di<br />

Damasceno<br />

Monteiro (1997)<br />

In Sostiene Pereira tratteggia la figura di un giornalista simbolo della difesa della libertà<br />

di informazione per gli oppositori di tutti i regimi. Nell’ultimo L’oca al passo. Notizie dal buio che<br />

stiamo attraversando, pamphlet che raccoglie una serie di articoli pubblicati su alcuni dei più<br />

autorevoli giornali italiani e stranieri, mette in guardia anche da chi possiede il quasi-monopolio<br />

dell’informazione. E il premio della Federazione europea della Stampa nel 2004 è andato<br />

proprio a lui, Antonio Tabucchi. Motivazione: «Aver contribuito all’affermazione della libertà<br />

di parola in un momento in cui la concentrazione dei mezzi di informazione nelle mani di poche<br />

persone preoccupa l’Europa».<br />

Poco è stato scritto su L’oca al passo. Le sue opinioni sono troppo scomode?<br />

Può darsi. Colgo adesso in Italia, da parte delle istituzioni, una sorta di prudenza rispetto<br />

al pensiero libero espresso dagli scrittori, dagli intellettuali. La prudenza è una grande virtù,<br />

ma quando diventa vigliaccheria è un grande difetto e forse un peccato.<br />

In questo suo lavoro parla di bellicismo, terrorismo e antiterrorismo, revisionismo, tentazioni<br />

totalitarie, razzismo e xenofobia. Lei è considerato il più europeo dei nostri autori:<br />

come è percepita negli altri paesi l’accoglienza degli italiani nei confronti degli immigrati?<br />

Abbastanza male. Anzitutto penso che l’Europa non abbia ancora elaborato una buona politica<br />

di accoglienza, fatta in maniera intelligente, prudente e nel contempo generosa. Tuttavia mi<br />

pare che l’Italia sia sicuramente uno dei paesi in cui, anche per l’affermazione di alcuni politici,<br />

abbiamo dovuto sentire espressioni che ci ricordano i peggiori momenti del Novecento.<br />

Lei ha due patrie, Italia e Portogallo. È un’occasione per capire meglio la disperazione<br />

di chi non ha un paese?<br />

Penso di sì e per questo insisto sul concetto di cittadinanza. L’Europa dovrebbe elaborarlo<br />

bene, traendolo da una grande e nobile tradizione culturale che abbiamo, a cominciare<br />

dalla polis greca, passando attraverso Aristotele e arrivando fino a Kant, all’Illuminismo<br />

e ai pensatori migliori della nostra cultura. Se l’Europa lo facesse, probabilmente riuscirebbe<br />

a imporlo in certi paesi in cui la xenofobia è prevalente.<br />

Quale dei 253 personaggi citati ne L’oca al passo rappresenta una luce?<br />

Il già citato Kant, un economista come Keynes e poi gli artisti – uno su tutti, Stanley Kubrick –<br />

che hanno sempre interpretato le esigenze più profonde della persona umana.<br />

In una parte del libro ripete più volte: «Se essere italiani significa… lascio questa italianità<br />

a voi». A quale italianità, invece, lei tiene con orgoglio?<br />

A un’italianità consapevole che la nostra grande cultura è soprattutto frutto di un incontro<br />

di culture, credenze, appartenenze, religioni, etnie diverse, e (come direbbe sciaguratamente<br />

anche qualche personaggio dei nostri tempi) “razze” diverse.<br />

Sull’affermazione «tratta il prossimo tuo come te stesso» non è possibile equivocare,<br />

come ricorda nel libro. Il buio del titolo rende più difficile trattare il prossimo come se stessi?<br />

Se intorno è buio è anche più difficile dialogare e amare. Io credo che il fatto<br />

di non riconoscere il nostro prossimo come noi stessi fa entrare le persone in una sorta<br />

di automatismo e di isolamento personale che diventa una malattia. E la malattia personale<br />

poi si trasforma in malattia sociale, perché diventa una sorta di autismo.<br />

44 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 45


pagine altre pagine di Francesco Meloni<br />

Luigi, Carlo, Zeno e Tonino:<br />

il vangelo vissuto e incarnato<br />

di quattro “preti di frontiera”<br />

Più che “maestri”, il mondo di oggi reclama e invoca<br />

“testimoni”, persone che sulla propria pelle e nell’anima,<br />

nei pensieri e nelle riflessioni, nella vita personale<br />

e sociale, incarnano e mettono in gioco se stessi,<br />

affiancando la loro passione di vivere al tormentato<br />

e precario andare di tante altre persone, soprattutto<br />

se esili, deboli e indifese. Tra i testimoni di fede cattolica<br />

vi sono molti preti, che hanno plasmato la loro vita con<br />

il vangelo vissuto. Una figura di testimone che ha lasciato<br />

la sua impronta, non solo in ambito ecclesiale<br />

o della <strong>Caritas</strong>, è raccontata nel libro di Pino Ciociola<br />

Luigi Di Liegro. Prete di frontiera (Editrice Ancora 2006,<br />

pagine 159). L’autore ci presenta un uomo animato<br />

da una formidabile passione per l’umanità, che lo portava<br />

a indignarsi davanti alle ingiustizie e a spendersi senza<br />

risparmio. Ideatore e guida per quasi vent’anni della<br />

<strong>Caritas</strong> diocesana di Roma, è stato definito “il monsignore<br />

dei poveri”, ma è stato prima di tutto prete di chiunque.<br />

Il libro ospita anche i contributi-testimonianza di Alda Merini,<br />

Walter Veltroni e Giulio Andreotti.<br />

Poi c’è la figura di don Carlo Gnocchi, che in una sua lettera<br />

al cugino Mario Biassoni così sintetizza l’essenza del cristianesimo:<br />

“Dio è tutto qui: nel fare del bene a quelli che soffrono e hanno<br />

bisogno di un aiuto materiale o morale. Il cristianesimo,<br />

e il Vangelo, a quelli che lo capiscono veramente, non comanda<br />

altro. Tutto il resto viene dopo e viene da sé”. Don Carlo Gnocchi.<br />

Dio è tutto qui - lettere di una vita (Mondatori 2006, pagine 368)<br />

è stato curato da Oliviero Arzuffi, Annamaria Braccini, Edoardo<br />

Bressan, Renata Broggini; prefazione del compianto storico Giorgio<br />

Rumi. Di don Zeno Saltini, fondatore di Nomadelfia, si occupa<br />

invece Zeno, obbedientissimo ribelle. Autobiografia (La Meridiana<br />

2006, pagine 280, a cura di Fausto Martinetti). Venendo infine<br />

ad anni più recenti, c’è la mite e discreta figura di don Tonino Bello,<br />

un altro “prete di frontiera” che ha sempre denunciato le ingiustizie<br />

e ha testardamente camminato al fianco dei poveri. Parola di uomo:<br />

Tonino Bello, un vescovo per amico, di Domenico Cives (Edizioni<br />

San Paolo 2004, pagine 192+8) continua a diffonderne<br />

la testimonianza, avendo ormai raggiunto la quarta edizione.<br />

villaggio globale<br />

SEGNALAZIONI<br />

I cittadini<br />

a basso costo<br />

e le reclute “dentro”<br />

Proponiamo ai lettori libri e audiovisivi<br />

che meritano attenzione. Ulteriori<br />

suggerimenti su www.caritasitaliana.it<br />

Arlie Russell Hochschild,<br />

Per amore o per denaro.<br />

La commercializzazione della<br />

vita intima (Il Mulino 2006,<br />

pagine 256). Il libro teorizza che le<br />

“emozioni” quotidiane, se ben osservate<br />

e ascoltate, possono sottrarre la nostra<br />

vita (in famiglia, sul lavoro, a scuola) alla<br />

tirannia commerciale del mercato.<br />

Massimo Gaggi - Edoardo<br />

Narduzzi, La fine del ceto<br />

medio e la nascita della<br />

società low cost (Einaudi<br />

2006, pagine 142).<br />

Nell’osservare la società contemporanea,<br />

gli autori analizzano il fenomeno<br />

dell’assottigliamento progressivo del ceto<br />

medio (impoverimento vero o presunto?)<br />

e l’avanzare di una nuova massa<br />

di consumatori low cost (a basso costo),<br />

sospinta da un capitalismo che<br />

standardizza ogni cosa. Un cambiamento<br />

insidioso per la politica e l’organizzazione<br />

della vita pubblica e collettiva.<br />

Francesco Berté, Nuovi giunti. Racconti<br />

dal carcere (editrice Monti 2006, pagine<br />

142). “Nuovi giunti” è<br />

un’espressione carceraria che<br />

raffigura coloro che varcano<br />

la soglia delle prigione<br />

ed entrano in un mondo dove<br />

vengono fotografati, catalogati, visitati,<br />

rinchiusi… e spesso lasciati soli. Come<br />

trascorrono le loro giornate? Cosa passa<br />

nella loro testa e nel loro cuore? Cosa<br />

vogliono e cosa vorrebbero? In queste<br />

pagine sono loro a raccontare, a se stessi<br />

e a noi che stiamo “fuori”, le loro storie.<br />

I fiori sul terrazzino,<br />

un crocifisso in dono,<br />

i bavaglini<br />

per il battesimo,<br />

i ragazzi da preparare<br />

alla Cresima: incontro<br />

con una donna costretta<br />

all’immobilità<br />

da una malattia.<br />

Ma capace<br />

di accogliere e aiutare<br />

ritratto d’autore<br />

di Claudia Koll attrice<br />

CERCARE SASSI PER GIULIA<br />

CHE AMA SU UNA SEDIA A ROTELLE<br />

Ainizio aprile ho preso parte a una Via Crucis che ha girato per le diocesi della Puglia.<br />

A Monopoli, dove facevamo base, ero solita andare alla santa messa la mattina.<br />

Sono stata accolta con grande affetto dalla comunità e dal suo parroco,<br />

don Vito Schiavone. E ho conosciuto Paola, che ogni mattina mi portava in chiesa<br />

e poi a fare piccole commissioni, Fernando, che mi ha aiutato con i capelli, Maria,<br />

con i suoi regalini. Insieme abbiamo pregato, gioito, condiviso le sofferenze.<br />

Un giorno Maria mi dà un biglietto, è di Giulia: ha una malattia, è sulla sedia a rotelle,<br />

le sue parole mi spingono a dire «domani vorrei andare a trovarla». Giulia l’avevo<br />

conosciuta a Monopoli la scorsa estate, così semplicemente a una lettura sulla vita<br />

di Giovanni Paolo II, era seduta con gli altri, i nostri occhi si sono incrociati,<br />

non l’ho dimenticata. Il giorno dopo sono a casa sua: si muove su una sedia con le ruote,<br />

l’arredamento è semplice ma mi colpiscono i fiori molti e colorati sul terrazzino e anche<br />

nel saloncino. C’è una grazia in questa casa che accoglie, che accoglie. Non posso<br />

dimenticare Giulia perché comprendo come la sofferenza vissuta nella fede sia sorgente<br />

di grazia. Il mio cuore è commosso dalla bellezza della sua anima. Non ricordo molti<br />

particolari, forse abbiamo bevuto il caffè, Giulia mi ha regalato un crocifisso da lei lavorato,<br />

la dedica è questa: “Io, quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me” Gv 12, 32 -<br />

5 aprile 2006 “A Claudia perché viva di questo Amore”.<br />

Come lo conosce bene Giulia questo Amore. Ridendo mi ha raccontato<br />

che dalla parrocchia, quando ci sono ragazzi problematici al catechismo<br />

della Cresima, li mandano da lei a prepararsi. E diventano agnellini. Prepara<br />

bavaglini ricamati per bambini, in cambio vuole solo una foto del bambino<br />

con su il bavaglino, perché ama i bambini. Mi ha anche regalato un sasso con<br />

la decalcomania di Gesù Risorto, lei non sa che amo i sassi e a casa ne ho tanti.<br />

È un modello per quelli che sta preparando per un convegno. Ne servono<br />

un centinaio. L’indomani sono sulla spiaggia a cercare sassi per Giulia.<br />

Lei ha un’infiammazione alle articolazioni, la gamba si sta gonfiando e le dà<br />

fastidio. Ed è preoccupata. Preghiamo il Signore con Paola, Maria e Angela, tutte<br />

insieme. Accendiamo la candela, i fiori, Gesù Misericordioso che le ho portato<br />

è appoggiato ai fiori con grazia. È l’immagine di Gesù benedicente con i segni<br />

della crocifissione nelle mani e nei piedi, i raggi uno pallido e l’altro rosso<br />

che fuoriescono dalla veste bianca all’altezza del cuore. È Gesù Risorto che sta<br />

per entrare nel Cenacolo come è apparso a suor Faustina Kowalska. Leggiamo<br />

il Vangelo del giorno e da lì parte la meditazione. Preghiamo l’una per l’altra e per la pace,<br />

per tutti i figli di Abramo, preghiamo con fiducia, chiediamo la guarigione per la gamba<br />

di Giulia nel nome di Gesù. Il controllo del medico il giorno dopo conferma e dissipa<br />

le ultime preoccupazioni, la sua gamba è a posto, non ha nulla. Il Signore ha risposto<br />

alla nostra preghiera. C’è una frase di Madre Teresa che Giulia incarna perfettamente:<br />

“Noi non possiamo fare cose grandi, ma soltanto piccole cose con grande amore”. Grazie<br />

Signore perché mi hai fatto incontrare Giulia. Grazie Signore perché Tu sei grande nella Tua<br />

Misericordia, perché stai portando a compimento un’opera meravigliosa nella vita di Giulia.<br />

46 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 47


www.creativisinasce.it<br />

Sezione manifesti<br />

annuncio stampa<br />

MENZIONE<br />

SPECIALE<br />

DI MERITO<br />

CARITAS ITALIANA<br />

Corrado Gemini,<br />

Azzurra Bongiorno,<br />

Mariangela Ranieri<br />

Accademia<br />

di Comunicazione<br />

Milano<br />

Quarta edizione<br />

Premiazione<br />

a Salerno<br />

2 giugno 2005<br />

I lettori, utilizzando il c.c.p. allegato e specificandolo nella causale, possono contribuire ai costi di realizzazione,<br />

stampa e spedizione di Italia <strong>Caritas</strong>, come pure a progetti e interventi di solidarietà, con offerte da far pervenire a:<br />

<strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> - c.c.p. 347013 - viale F. Baldelli, 41 - 00146 Roma - www.caritasitaliana.it

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