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internazionale<br />
casa comune<br />
STRATEGIA DA RILANCIARE,<br />
MA SERVE UN’“ANIMA SOCIALE”<br />
di Gianni Borsa inviato a Bruxelles dell’agenzia Sir<br />
La concorrenza sui mercati mondiali accelera il passo; Cina e India<br />
non guardano in faccia a nessuno e i mercati europei rischiano<br />
una “invasione pacifica” di prodotti d’oriente o battenti bandiera<br />
americana. Per rispondere alla sfida, l’Unione europea ha inventato nel<br />
2000 la Strategia di Lisbona, tesa a favorire la competitività e basata su<br />
un mix di ricerca, innovazione e formazione. Ma l’Europa non può limitarsi<br />
alla battaglia produttiva e commerciale. Deve promuovere risultati<br />
sui versanti dell’occupazione “di qualità”, della coesione sociale<br />
e della sostenibilità ambientale.<br />
Alla Strategia di Lisbona era dedicato<br />
il summit dei 25 capi di stato e di<br />
governo svoltosi a fine marzo a<br />
Bruxelles. Qualche passo avanti è stato<br />
compiuto (la “Strategia” finora era<br />
più o meno rimasta sulla carta). Ma è<br />
stata l’emergenza energetica a tenere<br />
banco durante il vertice Ue e si è più<br />
che mai imposta la convinzione che<br />
un unico mercato e un’unica politica<br />
energetica europea sono indilazionabili.<br />
Gli stati dell’Unione si sono impegnati<br />
in azioni efficaci sui temi del risparmio<br />
e dell’efficienza energetica, per la promozione di<br />
fonti rinnovabili e dei biocarburanti; nessun accordo, invece,<br />
sul nucleare (ciascuno proseguirà per la sua strada, chi<br />
a produrre e utilizzare energia atomica, chi a escluderla).<br />
Nel campo della ricerca, i 25 hanno dato il via libera al<br />
Settimo programma quadro Ue e al Programma per l’innovazione.<br />
Allo stesso tempo istruzione e formazione si<br />
confermano “fattori critici nel miglioramento della competitività<br />
e della coesione sociale”. I leader politici hanno<br />
poi ritenuto urgente sbloccare il potenziale delle imprese,<br />
soprattutto di piccole e medie dimensioni, per accrescere<br />
la forza d’urto del settore manifatturiero (sgravi fiscali,<br />
riduzione della burocrazia, investimenti per infrastrutture).<br />
Altro punto irrinunciabile – almeno nelle intenzioni<br />
– è la promozione di nuovi posti di lavoro, con<br />
34 ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006<br />
I leader dei 25 hanno<br />
fatto il punto<br />
sull’applicazione degli<br />
accordi di Lisbona in<br />
materia di concorrenza<br />
sui mercati globali.<br />
Qualche passo avanti<br />
per l’economia.<br />
Ma la coscienza<br />
europea, per rafforzarsi,<br />
ha bisogno d’altro<br />
un occhio di riguardo alle “categorie<br />
sensibili”: giovani, donne, disabili,<br />
immigrati.<br />
Concertare risposte<br />
Fin qui impegni e promesse. Una cosa<br />
è certa: i mercati mondiali non faranno<br />
sconti alle pigrizie della Ue e<br />
tanto meno lasceranno spazio di manovra<br />
a 25 sistemi economici nazionali.<br />
Ciò che però non è emerso dal<br />
vertice è l’“anima sociale” cui l’Europa<br />
non può più rinunciare. D’accordo<br />
concorrenza e mercati, ma non<br />
sarà solo attorno a essi che si costruirà<br />
la comunità sovranazionale,<br />
“unita nella diversità”, sognata dai<br />
padri fondatori e delineata nel Trattato<br />
costituzionale, siglato a Roma nell’ottobre<br />
2004 e oggi in stand by dopo<br />
il “no” di francesi e olandesi.<br />
Le banlieue parigine in rivolta dimostrano<br />
che c’è bisogno di altro.<br />
Così come chiedono altro i disoccupati<br />
del Mezzogiorno italiano e quelli<br />
delle regioni minerarie dell’Est, le giovani coppie tedesche<br />
che non hanno i mezzi per potersi sposare e le famiglie di<br />
Bucarest costrette alla coabitazione…<br />
È positivo che da qualche tempo i cittadini europei,<br />
con i loro problemi e le loro attese, bussino alle porte delle<br />
istituzioni di Bruxelles e Strasburgo: ne fanno fede le<br />
manifestazioni davanti all’Europarlamento contro la Direttiva<br />
servizi, o quelle dei portuali o degli agricoltori. Matura,<br />
anche per questa strada, una coscienza europea<br />
(purché la democrazia comunitaria non diventi ostaggio<br />
delle manifestazioni di piazza). A maggior ragione l’Ue<br />
deve assumersi la responsabilità di concertare risposte<br />
adeguate, in accordo con gli stati membri e nel rispetto<br />
dei principi di solidarietà e di sussidiarietà, che sono alla<br />
base del processo di integrazione continentale.<br />
internazionale<br />
DEBITO, PESO CHE RESTA<br />
MA IN ZAMBIA ORA SI SPERA<br />
di Massimo Pallotino<br />
Nella definizione dei temi fondamentali per un’agenda di riduzione dell’ingiustizia e della<br />
povertà nel mondo, il tema del debito merita ancora di essere considerato come prioritario.<br />
Dopo la grande mobilitazione dell’anno del Giubileo, l’attenzione dell’opinione<br />
pubblica è stata sollecitata negli ultimi anni da iniziative spesso più ad effetto che di reale<br />
efficacia. Ma in termini concreti, il totale del debito dei paesi in via di sviluppo, che nel<br />
1999, prima dell’avvio dell’iniziativa “rinforzata” Hipc (Heavily Indebted Poor Countries è il nome<br />
dell’iniziativa internazionale per la cancellazione del debito, ndr) era pari a 2.347 miliardi di dollari,<br />
è oggi (dato aggiornato al 2004) pari a 2.597 miliardi; i paesi dell’Africa subsahariana, che nel 1999<br />
pagavano 13,6 miliardi di dollari per rimborsare questo debito, ne hanno pagati nel 2004 15,23.<br />
Questi dati bastano a dare una prima indicazione sullo stato dei fatti: l’iniziativa internazionale<br />
di cancellazione del debito non ha risolto il problema. Ha semmai contribuito a evitare una situazione<br />
ancora più pesante, senza però trovare la via di uscita sostenibile invocata come una delle ra-<br />
gioni per procedere alla cancellazione. Ora si tratta di fare<br />
ogni sforzo perché le iniziative già adottate siano portate<br />
avanti in modo efficace e perché vengano introdotti correttivi<br />
per gli elementi che ne limitano l’efficacia. In questo,<br />
l’attenzione della società civile è fondamentale, se si vuole<br />
mantenere una giusta tensione su una questione che continua<br />
a influire in modo drammatico sulle condizioni di vita<br />
della maggior parte della popolazione mondiale.<br />
Difficoltà dai governi<br />
L’iniziativa di conversione del debito promossa dalla<br />
chiesa italiana, attraverso la Fondazione Giustizia e Solidarietà<br />
(nella quale sono coinvolti numerosi soggetti, tra<br />
cui <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>), è stata portata avanti con un impegno<br />
faticoso ma efficace, in continuità con la campagna<br />
ecclesiale per la riduzione del debito, lanciata nell’anno<br />
giubilare a seguito del pressante appello di Giovanni Paolo<br />
II. Questa iniziativa ha trovato le sue prime concretizzazioni<br />
in Guinea (dove il fondo di conversione del debito<br />
è attivo dal giugno 2003) ed è giunta anche in Zambia<br />
a una fase operativa.<br />
Proprio in Zambia la mancanza di un accordo tra i<br />
paesi debitori ha impedito a lungo di negoziare gli accordi<br />
bilaterali di cancellazione del debito e anche successivamente<br />
i due governi (zambiano e italiano) hanno frapposto<br />
numerose difficoltà all’ipotesi di creare un fondo di<br />
africa<br />
ANCORA<br />
PRIGIONIERI<br />
Una famiglia<br />
in Zambia, paese<br />
che, come molti<br />
altri stati poveri,<br />
soprattutto in Africa,<br />
continua a risentire<br />
in modo rilevante<br />
del peso<br />
del debito estero<br />
Le iniziative internazionali hanno<br />
impedito l’ulteriore esplosione del debito<br />
estero dei paesi poveri, ma non ne hanno<br />
ridotto la portata. Primi risultati<br />
dell’iniziativa della chiesa italiana<br />
in Zambia, dopo quelli in Guinea<br />
ITALIA CARITAS | MAGGIO 2006 35