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LA FILOSOFIA MODERNA - 1

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12 - <strong>LA</strong> <strong>FILOSOFIA</strong> <strong>MODERNA</strong>: IL PROBLEMA DI DIO<br />

- Locke: il deismo<br />

La religione razionale<br />

La critica delle religioni rivelate<br />

La tolleranza<br />

Religione razionale e cristianesimo<br />

Le critiche degli illuministi<br />

- Spinoza: il panteismo<br />

La concezione panteistica<br />

La critica alla concezione ebraico-cristiana della divinità<br />

Il finalismo<br />

La rappresentazione antropomorfica<br />

- Pascal: la fede come dimensione esistenziale<br />

La prospettiva razionale e la prospettiva esistenziale<br />

La condizione umana come condizione tragica<br />

Il divertimento e la noia<br />

Filosofia e cristianesimo<br />

L’argomento della scommessa<br />

- La formazione dell'ateismo<br />

L'origine delle religioni<br />

Ateismo e moralità<br />

- Kant: Dio, una ragionevole speranza<br />

Il contributo kantiano<br />

Le critiche alle prove dell'esistenza di Dio e l’agnosticismo kantiano<br />

La morale e i postulati pratici<br />

La morale fondata sulla ragione dell'uomo<br />

I postulati pratici<br />

Locke: il deismo<br />

Pur all’interno di un atteggiamento sempre più laico, la necessità razionale<br />

dell’esistenza di Dio non venne in generale messa in dubbio dalla filosofia<br />

moderna; in essa sono riscontrabili quattro posizioni riguardo al problema di Dio:<br />

il deismo, il panteismo 1 , la fede come dimensione esistenziale e, infine, seppure<br />

ancora solo ai margini del dibattito culturale, le prime elaborazioni delle tesi atee.<br />

Il deismo è l’atteggiamento più diffuso, fatto proprio, ad esempio, da Cartesio,<br />

Locke e gran parte dell’illuminismo francese. Le altre posizioni sono, invece, più<br />

isolate: il panteismo è rappresentato da Spinoza, un filosofo olandese di origine<br />

ebraica, mentre la rilettura della fede in chiave esistenziale è legata soprattutto a<br />

Pascal, filosofo e matematico francese.<br />

I deisti riconoscono la necessità di ammettere l’esistenza di una religione<br />

razionale non fondata sulla rivelazione ma sulla ragione. Questa religione è il<br />

frutto di un atteggiamento naturale dell’uomo e perciò costituisce, per i deisti,<br />

IL PROBLEMA DI DIO NEL<strong>LA</strong><br />

Le posizioni:<br />

1 I panteisti identificano Dio con il tutto, ovvero con l’universo, opponendo alla concezione di un<br />

Dio trascendente, posto quindi su un piano superiore all’universo, quello di una divinità immanente,<br />

coincidente con il modo stesso.<br />

<strong>FILOSOFIA</strong> <strong>MODERNA</strong><br />

- _________________________________<br />

- _________________________________<br />

- _________________________________<br />

- __________________________________<br />

LOCKE: IL DEISMO<br />

<strong>LA</strong> RELIGIONE RAZIONALE<br />

1


una religione naturale. Essa consiste nell’ammettere l’esistenza di Dio e delle<br />

regole morali che ci impongono l’amore e il rispetto per gli altri.<br />

La religione naturale ha agli occhi dei deisti una duplice funzione razionale e<br />

sociale. Sul piano razionale Dio appare il garante della validità delle leggi che<br />

governano il mondo e che la scienza va scoprendo. Per dirla con le espressioni di<br />

Pascal, peraltro fiero avversario del deismo, Dio, per essi, svolge lo stesso ruolo<br />

di un orologiaio il quale, dopo aver costruito l’orologio (il mondo), lo mette in<br />

carica lasciandolo funzionare grazie al solo meccanismo interno (le leggi).<br />

Accanto a questa funzione razionale, la necessità dell’ammissione dell’esistenza<br />

di Dio appare ai deisti legata anche al fatto che essa si accompagna al<br />

riconoscimento delle fondamentali regoli morali che consentono la vita in<br />

società, tant’è che l’ateismo appariva sinonimo di immorale.<br />

<strong>LA</strong> RELIGIONE RAZIONALE<br />

- Fondata sulla __________________ e non sulla ______________________<br />

- poiché ____________________= ____________________ religione __________________<br />

- ammette l’esistenza di: a) _________ b) __________________________________<br />

- duplice funzione: a) ___________________: Dio garante ____________________________________________________________<br />

b) ___________________: ______________________________________________________________________<br />

Al nucleo della religione naturale, secondo il deismo, tutte le religioni rilevate<br />

aggiungono aspetti sostanzialmente dannosi e negativi, come i dogmi, credenze<br />

indimostrabili e quindi inaccettabili, e il culto, che secondo i deisti è in realtà una<br />

pratica di origine magica. Inoltre, nelle religioni rivelate la classe sacerdotale<br />

usurpa il ruolo che originariamente è di tutti i fedeli, riservando a sé il monopolio<br />

della intermediazione con il divino. Dogmi, culti e gerarchie ecclesiastiche<br />

costituiscono anche le uniche cause dell’intolleranza tra religioni.<br />

Sicuramente uno dei contributi maggiori che la filosofia deista ha dato alla<br />

cultura europea è legato all’affermazione del valore della tolleranza, in un<br />

momento di grandi conflitti religiosi in Europa che coinvolgevano protestanti e<br />

cattolici.<br />

J. Locke (1632-1704) 2 scrisse un testo fondamentale a questo proposito, “La<br />

lettera sulla tolleranza”, affermando due concetti che sono rimasti basilari.<br />

Innanzitutto la laicità dello stato fondata sul fatto che Chiesa e Stato hanno<br />

compiti diversi. La funzione dello Stato e di consentire e regolare la convivenza<br />

sociale, mentre la chiesa deve pensare alla salvezza delle anime. Queste funzioni<br />

devono essere assolte senza interferenza, perchè in caso contrario si affermerebbe<br />

uno stato confessionale, cioè non laico.<br />

In secondo luogo, la libertà religiosa: in quanto la fede deve essere una scelta<br />

libera, non frutto di una costrizione esterna. Le diverse chiese sono libere<br />

associazioni di persone che si riuniscono per adorare dio nel modo che credono<br />

più accetto per la divinità stessa.<br />

L’unica forma di intolleranza ammessa è quella contro gli atei che, secondo<br />

Locke e i deisti, sono esseri immorali , quindi incapaci di accettare le regole<br />

morali su cui si basa la società.<br />

Mentre i deisti del Seicento avevano riconosciuto nel cristianesimo una forma di<br />

religione razionale, nel Settecento, in ambiente illuminista, la critica alle<br />

religioni rivelate, e quindi anche al cristianesimo, si fece molto più serrata.<br />

2 Tra le opere di Locke ricordiamo: “Il saggio sull’intelletto umano”(1688), per quanto riguarda la<br />

teoria della conoscenza, “Due trattati sul governo”(1690) e “Lettera sulla tolleranza”(1689), per<br />

quel che riguarda le teorie politiche (vedi letture). Per la vita vedi “11 –La filosofia moderna: la<br />

giustificazione del sapere scientifico e la concezione della realtà”<br />

‘<br />

<strong>LA</strong> CRITICA DELLE RELIGIONI RIVE<strong>LA</strong>TE<br />

<strong>LA</strong> TOLLERANZA<br />

RELIGIONE RAZIONALE E CRISTIANESIMO<br />

2


L’antitesi tra religione naturale e religione positiva appare lo strumento polemico<br />

di cui l’illuminismo francese si avvale per procedere alla distruzione dei<br />

fondamenti della fede religiosa, così come questa è stata tramandata da parte<br />

della tradizione. La religione naturale è, infatti, una religione fondata<br />

esclusivamente sulla ragione, invece la religione positiva è fondata sulla<br />

tradizione e trae il proprio titolo di legittimità dal richiamo ad una originaria<br />

rivelazione. Ma fondare una religione sulla rivelazione vuol dire fondarla su un<br />

fatto storico e, per di più, su un fatto di dubbia attendibilità o risultato di una<br />

evidente mistificazione.<br />

L’ostilità dell’Illuminismo nei confronti delle religioni positive nasce da<br />

una serie di ragioni teoriche e pratiche strettamente connesse. In primo<br />

luogo deriva da una mentalità razionalistica, che, non riconoscendo altro<br />

criterio di verità all’infuori della ragione e dell’esperienza, misconosce il<br />

concetto di rivelazione, reputando inoltre che i vari dogmi, più che essere verità<br />

meta-razionali (secondo la tesi dei teologi), siano costitutivamente credenze<br />

anti-razionali. La stessa idea centrale del cristianesimo, quella di un Dio che<br />

dopo aver creato l’uomo viene a morire sulla croce per redimerlo, agli<br />

occhi degli autori più estremisti appare soltanto una “favola giudaica”, che<br />

secoli interi di educazione cristiana non bastano a rendere più credibile, o<br />

meno assurda, di fronte all’intelletto. In secondo luogo gli illuministi ritengono<br />

che le varie religioni della storia abbiano contribuito, insieme al potere<br />

politico, a tenere i popoli nell’ignoranza e nella servitù, ostacolando il<br />

progresso scientifico, economico e sociale dell’umanità e producendo per lo più<br />

intolleranza, fanatismo e divisione fra gli individui.<br />

In terzo luogo, gli illuministi, convinti che la ragione vuole la felicità,<br />

reputano che la religione, soprattutto quella cristiana, “imbrogliando i<br />

popoli”, li abbia intristiti con il senso del peccato, della morte e del castigo,<br />

impedendo una naturale ed armonica realizzazione del loro essere mondano.<br />

Questo tipo di critiche alle religioni positive, in tutta la loro forza polemica, si<br />

trova soprattutto nei cosiddetti “Manoscritti clandestini”, composti grosso<br />

modo tra il 1700 e il 1750, che circolarono clandestinamente, a causa dei<br />

controlli di polizia regia e delle persecuzioni ecclesiastiche, presso una<br />

fascia ristretta di intellettuali.<br />

Spinoza: il panteismo<br />

Spinoza (1632-1677) 3 si stacca nettamente da gran parte della metafisica<br />

occidentale, e in particolare dal filone ebraico-cristiano, in quanto ritiene che Dio<br />

e mondo non costituiscano due enti separati, ma uno stesso ente, poiché Dio non<br />

è fuori dal mondo, ma nel mondo e costituisce con esso quell'unica realtà globale<br />

che è la Natura. In tal modo, Spinoza perviene a una forma di panteismo che<br />

giunge a identificare Dio o la Sostanza con la Natura, considerata come realtà<br />

increata, eterna, infinita e unica da cui derivano e in cui sono tutte le cose.<br />

Sulla base di questa coincidenza tra Dio e mondo, considerati come un Sistema<br />

globale retto da leggi matematico-geometrico, Spinoza elabora una profonda<br />

critica a quella millenaria visione finalistica del mondo che si era espressa nella<br />

dottrina ebraico-cristiana di un Dio che crea liberamente il mondo secondo<br />

progetti implicanti la subordinazione intenzionale delle cose all'uomo (finalismo<br />

antropocentrico).<br />

La critica del finalismo è sicuramente un prodotto della rivoluzione scientifica, in<br />

quanto essa si fonda su un’immagine del mondo retto dalle leggi fisiche più che da<br />

fini ultimi. Galileo, infatti, pur non avendo affatto escluso le cause finali, aveva<br />

3 Per la vita e le opere di Spinoza vedi pag. 23<br />

SPINOZA: IL PANTEISMO<br />

<strong>LA</strong> CONCEZIONE PANTEISTICA<br />

3


sostenuto che noi non possiamo conoscerle. E Cartesio aveva incluso il proprio<br />

universo meccanicistico nei piani liberi e razionali del Creatore. Spinoza, invece,<br />

procedendo oltre Cartesio, afferma risolutamente che le cause finali non esistono, né in<br />

natura, né in Dio. In tal modo, egli porta la critica al finalismo a uno dei punti più<br />

estremi toccati dalla filosofia moderna. Secondo Spinoza ammettere l'esistenza di<br />

cause finali è un pregiudizio dovuto alla costituzione dell'intelletto umano. Gli uomini<br />

ritengono tutti di agire in vista di un fine, cioè di un vantaggio o di un bene che<br />

desiderano conseguire. E poiché trovano a loro disposizione un certo numero di mezzi<br />

per raggiungere i loro fini (ad esempio gli occhi per vedere, il sole per illuminare, le<br />

erbe e gli animali per nutrirsi ecc.), sono portati a considerare come mezzi tutte le cose<br />

naturali. E poiché sanno che tali mezzi non sono stati da loro stessi prodotti, credono<br />

che siano stati preparati per loro da Dio. Nasce così il pregiudizio che la divinità<br />

produca e governi le cose per l'uso degli uomini, per legare gli uomini a sé e per essere<br />

onorata da essi. Ma, dall'altro lato, gli uomini osservano che la natura offre loro non solo<br />

agevolezze e comodità, ma anche disagi e svantaggi di ogni genere (malattie, terremoti,<br />

intemperie ecc.) e credono allora che questi malanni derivino dallo sdegno della divinità<br />

per le loro mancanze nei suoi riguardi. E sebbene l'esperienza di ogni giorno mostri con<br />

infiniti esempi che vantaggi e danni si distribuiscono ugualmente tra i buoni e i cattivi,<br />

gli uomini preferiscono, anziché abbandonare il loro pregiudizio, ricorrere a un altro<br />

pregiudizio per puntellare il primo ammettendo che il giudizio divino superi di gran<br />

lunga l'intelletto dell'uomo.<br />

Per Spinoza, il limite maggiore del finalismo, filosoficamente parlando, è di<br />

considerare come causa ciò che in natura è effetto, e viceversa, mettendo dopo<br />

ciò che in natura è prima. Ad esempio: non è il calore trasmesso agli esseri viventi che è<br />

la causa del sole, ma il sole che è la causa del calore trasmesso agli esseri viventi (per cui<br />

si potrebbe dire, per esemplificare ulteriormente il pensiero di Spinoza, che l'errore del<br />

finalismo consiste nel non rendersi conto che non è l'ambiente, cioè il sole, l'erba ecc.,<br />

a conformarsi ai viventi, ma sono i viventi che si conformano all'ambiente).<br />

Inoltre il finalismo rende imperfetto ciò che è perfetto. Secondo Spinoza, infatti,<br />

perfetto è l'effetto che è prodotto immediatamente da Dio, imperfetto quello che, per<br />

essere prodotto, ha bisogno di cause intermedie. Evidentemente se talune cose<br />

fossero fatte da Dio come mezzi per conseguire un certo fine, esse sarebbero meno<br />

perfette delle altre.<br />

Infine, in terzo luogo, la dottrina delle cause finali non solo elimina la<br />

perfezione del mondo, ma toglie anche la perfezione di Dio. Se Dio agisse per<br />

un fine, necessariamente vorrebbe qualcosa di cui difetta.<br />

Limiti finalismo:<br />

La concezione finalistica del mondo non è che un prodotto dell'immaginazione:<br />

consiste nel tentativo di spiegare il mondo mediante nozioni come il bene, il<br />

male, l'ordine, la confusione, il caldo, il freddo, il bello, il brutto, le quali non<br />

esprimono se non il modo in cui le cose stesse colpiscono gli uomini e non<br />

hanno valore oggettivo, né possono comunque valere come criteri per intendere<br />

la realtà stessa. La critica spinoziana al finalismo si accompagna a un deciso rifiuto di<br />

ogni riduzione di Dio nei limiti dell'umano e quindi al rigetto di ogni antropomorfismo<br />

religioso. Per Spinoza, la visione biblica di Dio, considerato come una specie di superuomo,<br />

che ha una mente e una sensibilità simile alla nostra e che ama, odia, si<br />

ingelosisce, si arrabbia e punisce, è soltanto il prodotto dell'immaginazione<br />

superstiziosa di individui che «si vennero forgiando Dio a immagine dell'uomo,<br />

ora adirato, ora misericordioso, ora proteso nell'attesa del futuro, ora preso dalla<br />

LIMITI FINALISMO:<br />

1 ____________________________________ perchè __________________________________________________________________<br />

2________ ____________________________ perchè __________________________________________________________________<br />

3 ____________________________________ perchè __________________________________________________________________<br />

4


collera e dal sospetto, e ora persino preso in trappola dal demonio». Al Dio del volgo e<br />

dei teologi, che reputa frutto di una visione distorta della realtà, Spinoza<br />

sostituisce quindi la propria idea filosofica di un Dio sovrapersonale<br />

coincidente con il Tutto cosmico. Di conseguenza, la spaccatura tra lo spinozismo e la<br />

rappresentazione ebraico-cristiana della divinità risulta netta e radicale.<br />

Pascal: la fede come dimensione esistenziale<br />

Tra i filosofi dell’età moderna B. Pascal (1623-1662) 4 , legando la religione alla<br />

dimensione esistenziale, è sicuramente l’autore che maggiormente ha contribuito<br />

ad elaborare quella che è diventata la sensibilità religiosa contemporanea.<br />

Di fronte ai problemi dell'esistenza e della morale la ragione scientifica è,<br />

secondo Pascal, impotente: "quando ho cominciato lo studio dell'uomo, ho<br />

visto che le scienze esatte non sono proprie dell'uomo e che assai più mi sviavo io<br />

dalla mia condizione con l'approfondirle che gli altri con l'ignorarle". Nello studio<br />

dell'uomo lo spirito di geometria, che procede con le sue dimostrazioni a partire da<br />

principi primi ed è tipico della scienza, va quindi sostituito da una comprensione più<br />

profonda, dallo spirito di finezza, o dal "cuore", il quale "ha le sue ragioni che la<br />

ragione non conosce".<br />

La condizione umana è caratterizzata da una sproporzione fondamentale tra<br />

aspirazioni e realtà sia a livello conoscitivo sia a livello pratico. Indagando la<br />

natura cerchiamo la verità, ma riusciamo solo a "scorgere qualche apparenza di<br />

ciò che vi è di intermedio tra le cose", mentre "gli estremi, la fine delle cose e il<br />

loro principio" rimangono per noi "un segreto impenetrabile". Possiamo estendere<br />

indefinitamente le nostre conoscenze, ma i principi ultimi delle cose restano al di<br />

fuori della nostra portata; volerli comprendere "e di là giungere fino a conoscere<br />

tutto" rivela una presunzione tanto infinita quanto infinito è l'oggetto dell'indagine.<br />

In conclusione, siamo "incapaci sia di sapere in modo certo che di ignorare in<br />

modo assoluto".<br />

La stessa sproporzione definisce la condizione esistenziale dell’uomo. "Sperduto in<br />

questo remoto cantuccio dell'universo", l'uomo è come sospeso fra i due abissi<br />

dell'infinito e del nulla; egli è "un nulla nei confronti dell'infinito, un tutto rispetto al<br />

nulla, un qualcosa di mezzo tra nulla e tutto".<br />

La medesima sproporzione si riflette nella vita pratica. Cerchiamo la felicità in tutti i<br />

modi: "se gli uni vanno alla guerra e gli altri non ci vanno, è per questo stesso<br />

desiderio che agisce in entrambi accompagnato da vedute diverse... Questo è il<br />

motivo di tutte le azioni di tutti gli uomini, anche di quelli che s'impiccano". Ma,<br />

identificando il bene con cose particolari e contingenti - i piaceri, le scienze, la<br />

fama e così via -, siamo di continuo delusi: "il presente non ci soddisfa mai,<br />

l'esperienza ci inganna e di dolore in dolore ci conduce alla morte, che è il colmo<br />

dei mali ed eterno". E infatti "tutti si lagnano, principi e sudditi, nobili e villani,<br />

vecchi e giovani, forti e deboli, dotti e ignoranti, sani e malati, di ogni tempo, di<br />

ogni paese, di ogni età e condizione".<br />

La condizione umana, definita da questa sproporzione o contraddizione<br />

assolutamente insuperabile, è pertanto una condizione tragica. Occorre<br />

prenderne coscienza fino in fondo. La grandezza dell'uomo sta infatti nel<br />

pensiero: debole come un giunco, l'uomo è tuttavia "un giunco pensante"<br />

ed ha quindi la capacità di riconoscere la propria miseria: "l'uomo sa di essere<br />

miserabile: egli è dunque miserabile, perché lo è, ma è ben grande,<br />

perché lo sa". Questa "duplicità dell'uomo" va tenuta ben ferma: "è<br />

pericoloso mostrare troppo all'uomo quanto egli sia uguale alle bestie, senza<br />

mostrargli la sua grandezza; è pericoloso anche fargli vedere troppo la sua<br />

4 Per la vita e le opere di Pascal vedi pag. 22<br />

PASCAL: <strong>LA</strong> FEDE COME<br />

DIMENSIONE ESISTENZIALE<br />

5


grandezza senza la sua bassezza". Per comprendere veramente l'uomo, non<br />

bisogna né esaltarlo né abbassarlo in modo unilaterale, ma riconoscerne la<br />

contraddittorietà irriducibile, il suo essere un "paradosso di fronte a se stesso".<br />

Riflettere su noi stessi ossia riconoscere apertamente la tragicità della nostra<br />

condizione costa fatica e dolore. Perciò l'uomo fa di tutto per non pensarci e<br />

cerca il divertimento: "non avendo potuto guarire la morte, la miseria,<br />

l'ignoranza, gli uomini hanno deciso, per rendersi felici, di non pensarci".<br />

Divertimento è tutto ciò che ci distoglie dal pensare a noi stessi: non solo i<br />

giochi e le attività ricreative quindi, ma anche il lavoro, gli affari, le cariche<br />

pubbliche e così via. Gli uomini si assegnano "cariche e affari che li<br />

tengono in trambusto dallo spuntar del giorno" e in tal modo essi non<br />

pensano "a ciò che sono, donde vengono, dove vanno" e "se hanno<br />

qualche momento di tregua, si consiglia loro di impiegarlo a divertirsi, a<br />

giocare, a immergersi sempre interamente in un'occupazione".<br />

Nel divertimento non si cercano le cose per se stesse - il denaro che si può<br />

vincere al gioco, la lepre che si insegue, la carica per cui ci si affanna -, ma<br />

proprio il trambusto che ci distoglie dal pensare alla nostra infelice condizione:<br />

"ragion per cui si gusta più la caccia che la preda". Essenziale al<br />

divertimento è il movimento incessante, il variare ininterrotto delle attività, il non<br />

fermarsi mai e quindi il continuo assorbimento del presente nel futuro: "il passato<br />

e il presente sono i nostri mezzi, solo l'avvenire è il nostro scopo. E così non<br />

viviamo mai, ma speriamo di vivere; e, preparandoci sempre ad essere felici, è<br />

inevitabile che non lo siamo mai".<br />

Il divertimento si risolve in una promessa di felicità rinviata di continuo. Esso non<br />

produce felicità effettiva, ma evita la noia. In assenza di divertimenti, infatti,<br />

quando è in assoluto riposo, l'uomo "sente il proprio nulla, il proprio abbandono,<br />

la propria insufficienza, dipendenza, impotenza, il proprio vuoto. E immediatamente<br />

verrà su dal fondo della sua anima la noia, la tetraggine, la tristezza,<br />

l'affanno, il dispetto, la disperazione". Ma proprio in ciò si manifesta in pieno la<br />

funzione negativa, di copertura e di inganno, del divertimento: senza di esso la noia<br />

ci spingerebbe ad aprire gli occhi e a cercare una via d'uscita; invece "il divertimento<br />

ci diletta e così ci fa arrivare inavvertitamente alla morte".<br />

Condizione umana:<br />

1_____________________________<br />

sproporzione 2 _____________________________<br />

contraddizione tra<br />

___________________<br />

3 _____________________________ ____________ (fuga)<br />

condizione ____________<br />

___________<br />

La filosofia, che pur si pone, a differenza della scienza, il problema della<br />

condizione umana, non è in grado di darne una soluzione, poiché non la assume<br />

nella sua effettiva complessità. I filosofi tendono infatti ad esaltare uno dei due<br />

termini della contraddizione a scapito dell'altro, i "dogmatici" la ragione e la<br />

grandezza dell'uomo, gli scettici i suoi limiti conoscitivi e la sua miseria.<br />

Gravi e inconciliabili sono poi le divergenze tra i filosofi nella<br />

individuazione del bene. Di fronte alla estrema variabilità delle norme morali, delle<br />

leggi e dei costumi, la ragione è incapace di stabilire principi veramente universali.<br />

Sul piano razionale tutte le norme appaiono relative, frutto di abitudini, interessi,<br />

mode, tradizioni ecc. Ciò che chiamiamo giustizia non ha un fondamento<br />

razionale, ma puramente fattuale nella forza: "non potendosi procurare che ciò<br />

che è giusto fosse forte, si è procurato che ciò che è forte fosse giusto". La<br />

ragione, lasciata a se stessa, porta inevitabilmente allo scetticismo.<br />

Pascal non attribuisce, infine, una grande importanza nemmeno alle prove<br />

6


filosofiche dell'esistenza di Dio. In ogni caso il Dio a cui si perviene tramite la<br />

filosofia è un puro ente di ragione, "un Dio autore semplicemente delle verità<br />

geometriche e dell'ordine degli elementi", che non ha alcuna relazione con la<br />

vita e i problemi dell'uomo.<br />

Di fronte all'impotenza della ragione, il vero atteggiamento filosofico deve allora<br />

consistere nel "riconoscere che ci sono infinite cose che la sorpassano" e che<br />

"essa non è che una debole cosa, se non giunge a conoscere questo". La ragione<br />

è superata dalla fede, la filosofia dalla religione ossia dal Cristianesimo.<br />

Solo il Cristianesimo è in grado di dar conto della duplicità della condizione<br />

umana, poiché assume come principi fondamentali "la corruzione della natura umana"<br />

e "l'opera redentrice di Gesù Cristo". Il primo spiega la sproporzione<br />

esistenziale costitutiva dell'uomo, la sua grandezza e la sua miseria, la sua infelicità e<br />

la sua inquietudine: dopo la caduta, l'uomo è un "re spodestato" che ha il ricordo e il<br />

desiderio confuso del regno perduto. Il secondo segna la differenza tra il Dio<br />

della ragione filosofica, indifferente alla sofferenza umana, e il Dio "d'amore e<br />

di consolazione" della fede, "che riempie l'anima e il cuore"; "conoscere Dio<br />

senza Gesù Cristo non solo è impossibile, ma è anche inutile".<br />

Il Dio di Pascal, che gli “riempie l’anima e il cuore”, appare sicuramente agli<br />

antipodi del Dio della ragione dei deisti. Infatti, per i deisti Dio deve essere ammesso<br />

per una pura necessità razionale ed è visto come il distaccato creatore-orologiaio,<br />

secondo l’espressione già citata dello stesso Pascal, che una volta che ha creato il<br />

mondo si limita a dargli la carica disinteressandosene in quanto il mondo risulta retto<br />

dalle leggi che la scienza scopre. Per Pascal, invece, Dio non svolge un ruolo<br />

puramente di garante del funzionamento del mondo e delle nostre conoscenze, in<br />

quanto Dio risulta non indifferente alla sofferenza dell’uomo, anzi l’unica possibile<br />

risposta ai drammi della condizione esistenziale dell’uomo.<br />

Dio per i ______________________:<br />

1 - _________________________________________________________________________________________________________<br />

2 - _________________________________________________________________________________________________________<br />

Dio per _____________: _______________________________________________________________________________________<br />

Nel pensiero di Pascal il rapporto tra fede e ragione è di particolare complessità.<br />

Da una parte, la fede non è affatto contraria alla ragione: il Cristianesimo spiega<br />

ciò che la ragione non sa spiegare e in questo senso è del tutto ragionevole.<br />

Dall'altra, la fede non dipende dalla ragione, sia perché è un dono di Dio sia<br />

perché ciò che insegna non ammette una dimostrazione razionale ed anzi<br />

spesso contrasta con la ragione. Il peccato originale, che si propaga dal primo<br />

uomo a tutta l'umanità, è "un mistero incomprensibile", ma senza di esso "noi siamo<br />

incomprensibili a noi stessi": "il nodo della nostra condizione si avvolge e si<br />

annoda in questo abisso, cosicché l'uomo è più inconcepibile senza questo<br />

mistero di quanto questo mistero non sia inconcepibile per l'uomo".<br />

Non ha senso rinfacciare ai cristiani di non poter "provare" la loro religione,<br />

poiché essi sono i primi ad ammettere questa impossibilità: Dio è "infinitamente<br />

incomprensibile" e "noi non abbiamo alcuna proporzione con lui". L'esistenza di<br />

Dio è conoscibile grazie alla fede, ma è indimostrabile. D'altra parte è indimostrabile<br />

anche che Dio non esiste. La ragione qui non può determinare nulla, non può<br />

giustificare una decisione in un senso o nell'altro.<br />

La decisione a favore dell'esistenza di Dio può essere tuttavia sostenuta, secondo<br />

Pascal, da un argomento fondato sul calcolo delle probabilità, il famoso argomento<br />

della "scommessa". Dobbiamo scommettere su una delle due possibilità,<br />

"Dio esiste" o "Dio non esiste". Secondo ragione, esse si equivalgono, per cui<br />

forse si potrebbe affermare che "il partito giusto è di non scommettere affatto". Ma<br />

evitare di scommettere è in questo caso impossibile, poiché si tratta della nostra<br />

L’ARGOMENTO DEL<strong>LA</strong> SCOMMESSA<br />

7


esistenza: comunque la nostra vita sarà orientata, magari inconsapevolmente, da una<br />

o dall'altra delle due opzioni.<br />

Dal momento che scommettere è necessario, dobbiamo esaminare la posta in<br />

gioco: abbiamo "due cose da perdere, il vero e il bene; e due cose da impegnare<br />

nel gioco: la nostra ragione e la nostra volontà, la nostra conoscenza e la nostra<br />

beatitudine; e la nostra natura ha due cose da fuggire: l'errore e la miseria". Già sappiamo<br />

che la ragione non riceve maggior danno, scegliendo l'una o l'altra<br />

possibilità. Le cose però stanno ben diversamente per quanto riguarda la nostra<br />

beatitudine: se Dio esiste, guadagniamo tutto; se non esiste, non perdiamo niente.<br />

Bisogna pertanto scommettere senza esitare che egli esiste.<br />

Ma forse, scommettendo sull'esistenza di Dio, rischiamo troppo? Poiché è<br />

uguale la probabilità di guadagno e di perdita, se non avessimo da<br />

guadagnare che due vite contro una, scommettere sarebbe già conveniente;<br />

ma qui da guadagnare "c'è addirittura una eternità di vita e di felicità".<br />

"Ogni giocatore rischia con certezza per vincere con incertezza; e tuttavia<br />

arrischia certamente il finito per guadagnare senza sicurezza il finito, e ciò<br />

senza andare contro la ragione"; ma nel caso dell'esistenza di Dio "c'è il<br />

finito da arrischiare" e "l'infinito da guadagnare". Non occorre allora soppesare<br />

il pro e il contro; essendo forzati a giocare, "bisogna proprio aver rinunziato<br />

alla ragione, per voler conservare la vita anziché arrischiarla per il<br />

guadagno infinito, così facile a venire quanto la perdita del nulla".<br />

La formazione dell'ateismo<br />

Nell’ambito dell’illuminismo sono identificabili, per quel che riguarda i rapporti<br />

filosofia religione, due filoni: uno più moderato di orientamento deista, di cui<br />

abbiamo detto, ed uno più estremistico e di tendenza atee.<br />

L'indirizzo ateo trova i suoi rappresentanti più significativi in Meslier e in<br />

d'Holbach.<br />

Jean Meslier (1664-1733) 5 è una singolare figura di sacerdote che, divenuto<br />

parroco di Étrépigny, fu esemplare per condotta e spirito di pietà verso gli umili,<br />

ma che una crisi interiore portò dal cristianesimo al materialismo. Sebbene egli<br />

continuasse la vita sacerdotale e la missione di assistenza e di carità tra i fedeli, cui<br />

non rivelò mai le «profonde verità» custodite nel segreto della sua mente, scrisse tre<br />

manoscritti "clandestini" di 366 fogli (di cui abbiamo già citato alcuni passi) che<br />

furono trovati solo alla sua morte . Il deista Voltaire, che «fremette d'orrore» alla<br />

lettura di quello scritto, ne pubblicò, nel 1762, un estratto di 63 pagine, e dopo<br />

alcuni mesi ne curò una seconda edizione di ben cinquemila copie. Nel 1775 il<br />

Parlamento di Parigi ordinò che il Testamento fosse bruciato (una nuova edizione<br />

completa apparirà soltanto nella seconda metà dell'Ottocento).<br />

5 Per la vita e le opere di Meslier vedi pag. 23<br />

L’ARGOMENTO DEL<strong>LA</strong> SCOMMESSA<br />

La scommessa: _____________________ o _______________________<br />

per la ragione __________________________ non ___________________ impossibile perché _________________________<br />

se Dio non esiste non cambia nulla per la _______________ e la ________________________<br />

se Dio esiste non cambia nulla per la nostra __________________ ma ci assicuriamo la possibilità _______________________<br />

per cui a scommettere sulla _______________________ non perdiamo ________________ ma vinciamo _________________________<br />

<strong>LA</strong> FORMAZIONE DELL'ATEISMO<br />

8


Paul Henri Dietrich barone d'Holbach (1723-1789) 6 , che in parte si rifà a Meslier, è<br />

invece il maggior filosofo del materialismo francese.<br />

Mentre la corrente deista scinde, a proposito della religione, un momento fisiologico<br />

e uno patologico, un nucleo razionale e uno irrazionale, quella atea ritiene che la<br />

religione sia, di per sé, un fenomeno patologico e irrazionale, che non sgorga<br />

dall'intelletto, ma da fattori quali l'interesse e la paura.<br />

Jean Meslier, collegandosi a una linea di pensiero che risale ai sofisti, appare<br />

decisamente favorevole a un'interpretazione del fatto religioso in chiave politica,<br />

ritenendo che la sottomissione al Monarca divino voluta dalle religioni non sia altro<br />

che una manovra per sottomettere i popoli ai monarchi umani: “Tutte le leggi e le<br />

ordinanze emanate sotto il nome e l'autorità di Dio o degli dei non sono altro, in verità,<br />

che invenzioni umane. Esse sono state escogitate per fini e per motivi di astuzia<br />

politica; in seguito sono state coltivate e moltiplicate da falsi profeti, da seduttori e da<br />

impostori; infine, sono state mantenute e autorizzate dalle leggi dei principi e dei grandi<br />

della terra, i quali se ne sono serviti per tenere più facilmente in soggezione la massa<br />

degli uomini.”<br />

D'Holbach, sulla scia di Hobbes e soprattutto di Hume, pur denunciando la<br />

strumentalizzazione politica del fenomeno religioso, appare propenso a ricercarne<br />

l'origine soprattutto nel timore e nel disagio dell'uomo di fronte all'universo: “È il<br />

male che vede nel mondo che lo ha indotto a pensare alla Divinità. Il grandissimo<br />

numero dei mali, degli accidenti, delle malattie, dei disastri, degli scuotimenti del<br />

nostro globo, delle alterazioni, delle inondazioni, delle conflagrazioni suscitarono in<br />

lui spaventi. Fu allora che non vedendo sulla terra agenti abbastanza potenti da operare<br />

tali effetti, levò gli occhi al cielo, in cui suppose che risiedessero agenti ignoti,<br />

l'inimicizia dei quali distruggeva quaggiù la sua felicità.”.<br />

Ma se la religione affonda le sue radici nell'irrazionale e nella paura e obbedisce a<br />

interessi umani e di potere, la ricerca deistica di una "religione razionale"<br />

appare una contraddizione nei termini, poiché dove trionfa la ragione non c'è<br />

religione e viceversa. Di conseguenza, se Dio è soltanto una falsa proiezione<br />

della mente, l'unica verità, per Meslier come per d'Holbach, è da ricercarsi nel<br />

mondo reale, ossia nella natura, spinozisticamente e materialisticamente<br />

pensata come una realtà autosufficiente ed eterna e come sano criterio di<br />

comportamento: «Confrontate la morale religiosa con quella della natura: questa<br />

la contraddice ad ogni istante». Questo spiega perché d'Holbach veda<br />

nell'ateismo una scuola di vita e una condizione indispensabile per fondare una<br />

società migliore, opponendosi in ciò al deista Voltaire, che, facendosi<br />

portavoce dell'antica tesi (ancora presente in Locke) secondo cui il non<br />

credere in Dio genera immoralità e asocialità, scrive ad esempio: “l'ateismo è un<br />

mostro assai pericoloso in quelli che governano; lo è anche nelle persone di studio, se<br />

pure la loro vita è innocente, perché dal loro studio esso può arrivare sino a quelli che<br />

vivono in piazza; e, se non è certo funesto quanto il fanatismo, è tuttavia quasi sempre<br />

fatale alla virtù.”<br />

Rispondendo al quesito «se l'ateismo risulta compatibile con la morale»,<br />

d'Holbach controbatte invece che: “Se l'ateo nega l'esistenza di Dio, non può negare<br />

la propria esistenza, né quella degli esseri simili a lui. Non può dubitare dei rapporti<br />

che sussistono tra loro, né della necessità dei doveri che derivano da questi rapporti.<br />

Non può, dunque, dubitare dei principi della morale, la quale non è che la scienza dei<br />

rapporti sussistenti tra gli esseri che vivono in società.”<br />

6 Per la vita e le opere di D’Holbach vedi pag. 24<br />

9


Kant: Dio, una ragionevole speranza<br />

I. Kant (1724-1804) 7 , con cui si chiude la filosofia moderna, ha sottoposto a<br />

serrata critica il deismo considerando infondata la religione razionale, in quanto<br />

non è possibile una dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio.<br />

Kant riteneva che ciò che l’uomo può conoscere con certezza, scientificamente, è<br />

dato dall’elaborazione dei dati dell’esperienza attraverso le proprie strutture<br />

mentali. Siccome né la metafisica né la teologia partono da dati relativi<br />

all’esperienza, esse non possono essere considerate scienze.<br />

Il deismo e la teologia razionale, che credevano possibile dimostrare l’esistenza<br />

di Dio, sono perciò per Kant privi di valore. Secondo Kant, infatti, non è<br />

possibile dimostrare l’esistenza di Dio; per questo egli si propone di confutare le<br />

prove che avrebbero dovuto dimostrarne l’esistenza.<br />

Tra queste prove la prova a priori deduce l’esistenza di Dio non facendo ricorso<br />

all’esperienza, ma dalla presenza nella nostra mente dell’idea dell’ente<br />

perfettissimo. Se infatti nella nostra mente esiste l’idea di un ente perfettissimo<br />

esso non può non esistere, in quanto la non esistenza lo renderebbe imperfetto.<br />

Distinguendo criticamente tra piano della realtà e piano mentale, Kant obbietta<br />

che non si può passare dal piano della possibilità logica a quello della realtà, in<br />

quanto l’esistenza è qualcosa che possiamo constatare solo per via empirica e non<br />

dedurre razionalmente. Infatti, per esempio, per quanto io possa rappresentarmi<br />

nella mia mente 50 € perfettamente uguali a 50€ reali, non potrò mai di fatto<br />

utilizzare i 50 € pensati.<br />

Kant sottopone a critica anche le dimostrazioni a posteriori che partono dai dati<br />

dell’esperienza. La prova cosmologica sostiene che, siccome possiamo constatare<br />

tramite l’esperienza che tutte le cose che accadono hanno una causa, occorre<br />

necessariamente ammettere, per non cadere in un regresso all’infinito, una causa<br />

prima, incausata. Secondo Kant questo ragionamento fa un uso illegittimo del<br />

principio di causa, poiché esso serve a connettere i fenomeni di cui abbiamo<br />

esperienza e non questi con qualcosa che trascende l’esperienza stessa. Anche<br />

questa prova, dunque, non distingue il piano della realtà dal piano metafisico,<br />

facendo un salto ingiustificato dal piano reale, in cui vale il principio di causa, al<br />

piano metafisico, in cui questo principio non può essere correttamente applicato.<br />

Infine, la prova teleologica (la teleologia è la “scienza dei fini”) parte anch’essa<br />

dall’esperienza per sostenere che se l’universo è ordinato, in quanto ogni cosa ha<br />

un suo scopo,un suo fine, allora deve esistere colui che determina tale ordine.<br />

Questa prova, oltre a passare anche lei illegittimamente dall’ordine dei fenomeni<br />

osservabili a un ordine superiore, dimentica, secondo Kant, che l’ordine della<br />

natura potrebbe essere una conseguenza delle stessi leggi naturali o che l’ordine<br />

dell’universo appare tale solo in relazione ai nostri parameri mentali e non già in<br />

assoluto. In ogni caso in questo modo si potrebbe dimostrare l’esistenza di<br />

qualcosa che causa l’ordine, ma non necessariamente che lo crei.<br />

KANT: DIO, UNA RAGIONEVOLE<br />

SPERANZA<br />

IL CONTRIBUTO KANTIANO<br />

La critica al deismo<br />

LE CRITICHE ALLE PROVE<br />

___________________________________<br />

E L’________________________KANTIANO<br />

7 Per la vita e le opere di Kant vedi “11 –La filosofia moderna: la giustificazione del sapere scientifico e la concezione<br />

della realtà”.<br />

10


LE CRTITICHE ALLE PROVE DELL’ESISTENZA DI DIO:<br />

tutte le prove operano un passaggio illegittimo da ________________________________al _________________________________<br />

- a priori : al concetto di ente perfettissimo non può mancare l'esistenza<br />

critica: _____________________________________________________________________________________________________<br />

- cosmologica: _______________________________________________________________________________________________<br />

critica:_____________________________________________________________________________________________________<br />

- teleologica:_________________________ ________________________________________________________________________<br />

critica:_____________________________________________________________________________________________________<br />

Con la confutazione delle prove dell’esistenza di Dio Kant non ha voluto negare<br />

l’esistenza di Dio (ateismo), ma piuttosto mettere in discussione la possibilità di<br />

giungere a una sua dimostrazione razionale. Di conseguenza Kant non è ateo ma<br />

agnostico, in quanto pur non negando l’esistenza di Dio ritiene che la ragione<br />

umana non possa giungere a darne una dimostrazione.<br />

Secondo Kant infatti, se Dio non può costituire una certezza razionale, la sua<br />

esistenza può ritenersi una ragionevole speranza, fondando quest’ultima sulla<br />

nostre esperienza morale. Nonostante questa prospettiva Kant rovescia il rapporto<br />

religione-morale che era tale per cui l’intera tradizione occidentale, compresi i<br />

deisti (vedi la condanna dell’ateismo), aveva ritenuto essere la religione a fondare<br />

la morale.<br />

Kant, infatti, ritiene che una morale fondata sull’esistenza di Dio sia una falsa<br />

morale in quanto è una morale eteronoma, ovvero una morale fondata su<br />

qualcosa di diverso dal soggetto.<br />

Egli polemizza contro tutte le morali eteronome, fondate su qualcosa di esterno,<br />

di diverso dalla ragione del soggetto, ad esempio, sull’educazione ricevuta, sulla<br />

società o su Dio.<br />

D’altra parte la morale non può nemmeno essere determinata da motivi interni<br />

all’uomo, ma non dipendenti dalla sua ragione, come il piacere fisico o il<br />

benessere affettivo.<br />

In tutti questi casi la morale è condizionata al raggiungimento di uno scopo<br />

esterno o interno e si esprime sotto forma di un comando ipotetico del tipo : se<br />

vuoi … . devi. Ad esempio se vuoi essere gradito devi essere educato o se vuoi<br />

essere promosso devi studiare, ecc…<br />

Secondo Kant tale tipo di comportamento, dal momento che subordina il<br />

comportamento alla promessa di un vantaggio, non può essere considerato<br />

morale.<br />

<strong>LA</strong> CRITICA ALLE MORALI _________________<br />

Egli ritiene che per essere tale la morale debba essere autonoma, ovvero fondata<br />

La critica alle morali _________________<br />

A - se morale fondata su ____________________________________ allora è una morale _________________________ perché<br />

fondata su ______________________________________________________<br />

B - se morale fondata su ____________________________________ allora è una morale _________________________ perché<br />

fondata su ______________________________________________________<br />

A e B morale condizionata _____________________________________________________________________________________<br />

si esprime con un _________________________________: se _________ … … .. _______________<br />

11


sulla ragione del soggetto e, contemporaneamente, indipendente dai sentimenti,<br />

dai bisogni e dagli interessi dei singoli, perché solo in questo modo la morale<br />

acquista i caratteri che gli sono propri di assolutezza e universalità.<br />

L’opposizione tra morale e natura umana, che tende a negarne l’assolutezza e<br />

l’universalità, appare a Kant costitutiva della vita morale. Infatti se l’uomo fosse<br />

un essere tutto e solo razionale, egli seguirebbe senza grandi difficoltà i dettami<br />

della ragione anche nella vita pratica. Ma l’uomo non è tutto ragione: è anche<br />

sensibilità (corpo); e la sensibilità lo sollecita coi propri moventi e interessi.<br />

Ora, proprio questa natura duplice e contraddittoria dell’essere umano<br />

costituisce un presupposto della vita morale: un uomo tutto ragione si<br />

limiterebbe infatti ad attuare meccanicamente e dunque amoralmente i principi<br />

razionali relativi al suo agire pratico. Però è anche vero che, data tale natura, se<br />

la morale deve essere intesa (e per Kant lo deve essere indubitabilmente) come<br />

realizzazione pratica di principi strettamente razionali e universali, essa deve<br />

configurarsi come agire indipendentemente, anzi contrario rispetto alle pulsioni<br />

(non-razionali e non-universali) dell’uomo in quanto ente sensibile. Ma allora tale<br />

tipo di agire, intendendo porre in essere principi non elaborati spontaneamente<br />

da queste ultime (le quali si comporterebbero in modo egoistico ed edonistico)<br />

dovrà costituirsi come morale prescrittiva, come morale normativa, come una<br />

morale del dovere. In altre parole, la ragione, sola fonte dei principi propriamente<br />

morali, esprime tali principi sotto forma di leggi, anzi (come li chiama Kant) di<br />

imperativi categorici che ordinano un ben preciso genere di comportamenti.<br />

Gli imperativi morali, proprio perché assoluti, devono essere imperativi<br />

categorici determinando un comportamento che è tale incondizionatamente,<br />

assumendo quindi la forma: devi … . perché devi. Questo imperativo comanda<br />

quindi il dovere per il dovere, in quanto il dovere deve essere assolto perché è<br />

tale, e non per altri scopi.<br />

Se non condizionata, la morale risulta assoluta, e questo è il presupposto perché<br />

possa essere considerata universale, cioè condivisa da tutti. Infatti, mentre un<br />

imperativo ipotetico risulta valido esclusivamente per coloro che vedono un<br />

effettivo vantaggio nel fine da raggiungere, un imperativo categorico, non<br />

avendo alcun legame con un fine, può essere condiviso da tutti.<br />

In quanto universale e assoluto, l’imperativo categorico non può concretizzarsi<br />

nel prescrivere comportamenti particolari ma riveste un carattere puramente<br />

formale. Esso, infatti, non dice che cosa si deve fare, ma come si deve agire<br />

affinché l’azione possa essere considerata morale.<br />

Proprio per questo suo carattere formale l’imperativo categorico deve limitarsi a<br />

imporre la generalizzabilità del comportamento, ovvero a prescrivere di agire<br />

secondo una massima che vale per tutti. In altri termini, l’imperativo categorico è<br />

quel comando che prescrive di tener sempre presenti gli altri e che ci ricorda<br />

che un comportamento risulta morale solo se, e nella misura in cui, supera il test<br />

della generalizzabilità, ovvero se la sua massima pare universalizzabile. Ad<br />

esempio, chi mente compie un atto chiaramente immorale, poiché qualora<br />

venisse universalizzata, adottata da tutti, la massima dell’inganno i rapporti<br />

umani diventerebbero impossibili.<br />

Kant ha presentato l’imperativo categorico sotto altre due forme. La prima di queste<br />

identifica il comportamento generalizzabile con un comportamento che tende a<br />

valorizzare l’umanità presente nella propria persona e in quella degli altri, dal<br />

momento che tale valorizzazione costituisce lo scopo stessa della morale.<br />

Infine, l’ultima formulazione dell’imperativo categorico ricorda che occorre agire in<br />

modo che la volontà sia sottoposta alla ragione, infatti, poiché la razionalità si<br />

identifica con l’essenza dell’uomo stesso, obbedendo alla ragione l’uomo non<br />

obbedisce che a se stesso.<br />

La morale kantiana è pertanto un’etica dell’autonomia, nella quale l’uomo,<br />

attraverso la ragione, dà a se stesso la propria legge. Viceversa, ogni<br />

comportamento in cui la volontà sia determinata dalla sensibilità, o comunque<br />

<strong>LA</strong> MORALE FONDATA SUL<strong>LA</strong> RAGIONE<br />

DELL'UOMO: <strong>LA</strong> MORALE ________________<br />

12


da moventi non esclusivamente razionali (come accade negli imperativi<br />

ipotetici, in cui la ragione è piegata a un fine soggettivo dell’individuo), è<br />

espressione di eteronomia, poiché l’uomo subisce su di sé l’azione di qualcosa<br />

(compresa la sensibilità) che non coincide con la propria essenza.<br />

1 fondata sulla ragione<br />

LE CARATTERISTICHE DEL<strong>LA</strong> MORALE AUTONOMA:<br />

2 ____________________________________________________________________________________________________________<br />

3 del dovere, incondizionata per cui è _____________________ e ___________________<br />

si esprime con imperativi __________________________( devi perchè __________)<br />

4 _______________ impone la ________________________________ del comportamento<br />

Le tre forme dell’imperativo ____________________: il comportamento per essere morale deve<br />

1 - essere universalizzabile<br />

2 - ____________________________________________________________________________________________<br />

3 - ____________________________________________________________________________________________<br />

Dal fatto che esiste una legge morale incondizionata, assoluta e universale Kant<br />

pensa di poter trarre una serie di conclusioni che chiama postulati pratici.<br />

Postulati in quanto, come per la matematica, sono indimostrabili, ma vengono<br />

accolti per poter rendere evidenti alcune dimostrazioni e accettarne le<br />

conclusioni. Pratici in quanto non sono oggetto di una conoscenza scientifica,<br />

ma derivano dall’esigenze del comportamento pratico e quindi della morale in<br />

quanto deputata a regolarlo.<br />

Kant parte dall’osservazione che gli uomini non solo tendono ad essere virtuosi<br />

ma anche ad essere felici. La congiunzione di virtù e felicità, che Kant identifica<br />

nel sommo bene, non è però raggiungibile sulla terra, infatti non sempre i giusti<br />

sono felici e non sempre l’essere felici richiede la virtù.<br />

Per Kant non è possibile individuare una soluzione al problema se non<br />

ammettendo alcuni postulati che, non essendo oggetto della nostra esperienza,<br />

non sono razionalmente fondati.<br />

Tali postulati sono l’esistenza dell’al di là, l’immortalità dell’anima e l’esistenza<br />

di Dio. Infatti, se sulla terra non è possibile coniugare felicità e virtù, possiamo<br />

allora sperare nell’esistenza di un mondo dell’al di là in cui sia possibile<br />

realizzare ciò che non è possibile nell’al di qua, cioè la compresenza di virtù e<br />

felicità.<br />

Ammessa la necessità di postulare la vita eterna per raggiungere il sommo bene<br />

diventa ragionevole ammettere gli altri due postulati. L’immortalità dell’anima<br />

affinché possa partecipare alla vita eterna e l’esistenza di Dio che, in quanto<br />

volontà onnipotente, faccia corrispondere la felicità al merito.<br />

Oltre a questi tre postulati, Kant ne ammette un altro, ovvero la libertà dell’uomo.<br />

Essa viene ammessa in quanto condizione stessa della morale, poiché questa si<br />

realizza solo a condizione che il comportamento sia libero.<br />

Questi postulati che ci portano a pensare Dio come una ragionevole speranza, non<br />

hanno valore conoscitivo, non possono essere ritenuti certezze assolute. Infatti, se i<br />

postulati fossero delle certezze assolute comunque intese, la morale scivolerebbe<br />

immediatamente verso l’eteronomia e sarebbe nuovamente la religione a<br />

fondare la morale. Rovesciando il modo tradizionale di intendere il rapporto tra<br />

morale e religione, Kant sostiene invece a chiare lettere che non sono le verità<br />

religiose a fondare la morale, bensì la morale, sia pur sotto forma di postulati, a<br />

I POSTU<strong>LA</strong>TI PRATICI<br />

Postulati = No _______________________<br />

se ____________________________ allora<br />

_________________ fonda ____________<br />

13


fondare le verità religiose. In altri termini, Dio, per Kant, non sta all’inizio e<br />

alla base della vita morale, ma eventualmente alla fine, come suo possibile<br />

completamento. In altre parole ancora: l’uomo di Kant è colui che agisce seguendo<br />

solo il dovere per il dovere, con, in più, la ragionevole speranza nell’immortalità<br />

dell'anima e nell’esistenza di Dio.<br />

La filosofia di Kant ha dunque contribuito sia alla valorizzazione del soggetto sia<br />

al processo di laicizzazione della cultura. Infatti egli ha, da un lato, dimostrato la<br />

possibilità di giustificare la fondatezza delle conoscenze scientifiche sulla base<br />

delle strutture mentali del soggetto e della morale sulla sola ragione umana.<br />

Dall’altro ha separato la morale dalla religione, fondando quest’ultima sulla<br />

prima e non viceversa.<br />

La morale pur fondata sulla ragione dell’uomo conserva, agli occhi di Kant,<br />

comunque un valore assoluto e universale, caratteristiche che una parte<br />

significativa della filosofia dell’Ottocento e del Novecento tenderanno a rifiutare,<br />

scoprendo le dimensioni storiche dell’uomo e della morale.<br />

IN SINTESI:<br />

deismo: il Dio della _________________________________<br />

Spinoza: Dio = _______________<br />

Pascal: Dio come risposta _________________________________________________<br />

atei: l’origine ______________ (politica o dalle paure) della religione<br />

Kant: la religione come ____________________________<br />

Invece<br />

________________ fonda _____________<br />

Dio ______________________________<br />

I contributi di Kant alla filosofia moderna:<br />

14


13 - <strong>LA</strong> <strong>FILOSOFIA</strong> <strong>MODERNA</strong>: L’EMERGERE DEL<strong>LA</strong> SOGGETTIVITÀ<br />

20 –M. Foucault “La rimozione della follia e la costruzione del soggetto”<br />

L’emergere della soggettività nella filosofia moderna<br />

1.0 La Rivoluzione scientifica: il soggetto e il dominio<br />

1.1 Scienza, tecnica e dominio del mondo<br />

1.2 Bacone: la moderna utopia<br />

1.3 Cartesio: gli artefici che ci rendono padroni della natura<br />

1.4 L’emergere della soggettività e altri fattori storico-culturali<br />

2.0 Il soggetto nella filosofia moderna<br />

2.1 Il ruolo del soggetto nel processo conoscitivo<br />

2.1.1 Cartesio<br />

2.1.2 Kant<br />

2.1.3 Gli empiristi<br />

2.2 La dimensione razionale del soggetto<br />

2.2.1 Le caratteristiche del soggetto cartesiano<br />

2.2.2 Il dualismo cartesiano e la tradizione occidentale<br />

2.2.3 Le conseguenze del dualismo cartesiano: l’opposizione<br />

ragione/follia e il disciplinamento della società<br />

3.0 Dalla centralità di Dio alla centralità dell’uomo<br />

3.1 La nuova dimensione del soggetto: l’eticità<br />

3.2 L’abbandono del piano teologico<br />

1.0 La Rivoluzione scientifica: il soggetto e il dominio<br />

L’emergere della centralità del soggetto nella riflessione filosofica appare<br />

strettamente connesso ad altre importanti novità che appaiono anch’esse tra il<br />

Seicento e il Settecento e saranno destinate a caratterizzare la società<br />

contemporanea. Tra queste innanzitutto lo sviluppo della tecnica, consentito dalla<br />

rivoluzione scientifica, che ha radicalmente cambiato il rapporto uomo-mondo.<br />

Infatti, il mondo che prima rappresentava una potenza alle cui leggi si doveva<br />

ubbidire è diventato un oggetto da dominare, un insieme di cose a disposizione<br />

dell’uomo. Evidentemente anche l’uomo antico o quello medioevale tentavano di<br />

controllare, ad esempio, il corso delle acque, ma le loro tecniche non si<br />

promettevano che di perfezionare la natura entro i suoi stesi limiti. Nell’epoca<br />

moderna, invece, il rapporto uomo-mondo è radicalmente cambiato, il mondo da<br />

potenza estranea è diventato un oggetto che vale in quanto si può utilizzare. Ed è<br />

proprio contemporaneamente alla riduzione del mondo a oggetto che l’uomo<br />

occidentale ha preso coscienza di essere il soggetto di questo dominio.<br />

La consumazione di questo processo, che inizia il suo sviluppo agli inizi del mondo<br />

moderno, è l'epoca in cui viviamo, quella che Heidegger (1889-1976) chiama età della<br />

tecnica e che la scuola di Francoforte (anni ’30-’60 del Novecento) chiama età del<br />

capitalismo avanzato. Nel nostro tempo la natura diventa fino in fondo un<br />

insieme di enti disponibili per il soggetto; se è vero che noi abbiamo davanti una<br />

realtà disponibile senza una fisionomia autonoma, ne deriva che ci sentiamo liberi di<br />

utilizzarla secondo i nostri progetti. Secondo Marx (1818-1883) l'uomo moderno è<br />

libero, cioè emancipato, perché nella natura non vede più nulla di sacro; essa è solo ciò<br />

L’EMERGERE DEL<strong>LA</strong><br />

SOGGETTIVITÀ<br />

<strong>LA</strong> RIVOLUZIONE SCIENTIFICA: IL<br />

SOGGETTO E IL DOMINIO<br />

15


di cui si può disporre.<br />

L'esigenza del superamento di un sapere puramente formale e verbale, a favore di un altro che<br />

renda l'uomo padrone della natura, emerge già con chiarezza dal progetto di riforma del sapere<br />

sia di Cartesio che, in maniera ancora più chiara, di Bacone (1561-1626) 8 .<br />

Nel primo Libro del “Novum Organum” Bacone considera l'uomo ministro e<br />

interprete della natura: «La scienza e la potenza umana coincidono, poiché l'ignoranza<br />

della causa impedisce la produzione dell'effetto». Si stabilisce una<br />

connessione necessaria tra conoscere e operare, mentre nella scienza antica, quella<br />

aristotelica, la conoscenza aveva un valore solo contemplativo: per il sapiente la<br />

conoscenza era un fine e non un mezzo, poiché la natura era considerata<br />

immutabile e l'uomo non poteva fare altro che contemplare il suo ordine. Per<br />

Bacone, la natura può essere dominata soltanto attraverso il metodo della<br />

interpretazione che, penetrando fin nelle regioni più profonde e remote di essa,<br />

giunge a scoprire le sue leggi, che Bacone chiama assiomi. Ora, perché tale metodo<br />

abbia successo, è necessario prima di tutto liberare la mente umana dagli idoli,<br />

dai pregiudizi che impediscono la visione delle cose così come sono in se stesse e<br />

rendono vani gli sforzi di dominare la natura e di utilizzarla a vantaggio dell'uomo.<br />

Una volta che l'uomo, «emancipato e reso adulto» dal nuovo metodo induttivo,<br />

avrà purificato il proprio intelletto dai pregiudizi che ancora lo accecano, potrà<br />

riappropriarsi del suo destino e imporre di nuovo il dominio sulla natura. L’uomo<br />

infatti, fa notare Bacone alla fine del “Novum organum”, è caduto dal suo stato di<br />

innocenza e di dominio sulle creature solo in seguito al peccato originale.<br />

Entrambe le condizioni, tuttavia, si possono ancora ricostituire: «la prima, con la<br />

religione e la fede; la seconda, con le arti e le scienze».<br />

Con la fede l'uomo può riguadagnare il suo stato di innocenza, dal quale è decaduto<br />

in seguito al peccato originale; con le scienze e le arti, può riconquistare il suo<br />

dominio sulla natura. Nonostante la cacciata dal paradiso terrestre, infatti, «il creato<br />

non è diventato del tutto e per sempre ribelle». Quando Dio disse ad Adamo che<br />

avrebbe dovuto guadagnarsi il pane con il sudore della fronte, lasciò intendere<br />

che soltanto con la fatica, con l'arte e con la scienza, e non con le oziose dispute<br />

verbali o con gli improduttivi riti magici, il creato potrà di nuovo venire sottomesso<br />

dall'attività umana.<br />

Con Bacone la moderna Utopia assume le sembianze della tecnica. Nell’opera<br />

incompiuta “La nuova Atlantide” viene descritta un'isola sconosciuta i cui<br />

abitanti portano a compimento il progetto di una scienza diretta a realizzare il<br />

dominio tecnico dell'uomo sulla natura. In questo vero e proprio paradiso della<br />

tecnica, nel quale si realizza compiutamente il regno degli uomini sulla natura, i<br />

«nuovi santi» sono i grandi scienziati e inventori, ossia i «benefattori<br />

dell'umanità». Le «sacre reliquie» sono le invenzioni che rendono più felice la vita<br />

dell'uomo.<br />

Il filosofo-scienziato non è più il sapiente che persegue l'ideale aristotelicoscolastico<br />

della "vita contemplativa" rivolta a conoscere il reale. Egli si fa<br />

banditore di un progetto che prevede l'uso delle forze della natura per realizzare<br />

gli scopi umani. Lo stesso progetto anima anche il pensiero di Cartesio il quale<br />

nella sesta parte del “Discorso sul metodo”, sottolinea la superiorità della sua<br />

concezione matematico-meccanica della natura nei confronti di quella teleologico-sostanzialistica<br />

della tradizione aristotelico-scolastica. Le leggi matematicomeccaniche<br />

sono tali, scrive Cartesio, da «renderci padroni e possessori della<br />

natura», tali cioè da consentire all'uomo, attraverso l'invenzione di una infinità<br />

di "artifici", sia di godere senza alcuna pena «dei frutti della terra e di tutte le<br />

comodità», sia di combattere e sconfiggere un'infinità di malattie, corporee e<br />

spirituali, e forse anche «l'indebolimento della vecchiaia».<br />

L’emergere della centralità del soggetto è da collegarsi anche alla formazione di<br />

un nuovo modello di società, quello capitalista-borghese lo stesso che si è fatto<br />

8 Per la vita e le opere di Bacone vedi pag. 22<br />

16


promotore delle sviluppo tecnico-scientifico, che impone nuovi valori, dalla<br />

proprietà privata alla libertà individuale, e con essi una nuova concezione<br />

dell’individuo tesa a svincolare il soggetto dai limiti che ad esso erano posti<br />

dalla società tradizionale (vedi la lettura Fromm “Il significato psico-sociale delle dottrine di<br />

Lutero e Calvino”). Nella mentalità medioevale, come abbiamo detto, il singolo si<br />

identificava completamente con l’organizzazione sociale a cui apparteneva (per il<br />

monaco il suo ordine, per gli artigiani e i mercanti la corporazione, per i<br />

contadini il villaggio), ma già con il Rinascimento si era andata affermando una<br />

concezione dell’individualità come qualcosa di diverso dal gruppo sociale di<br />

appartenenza. Andavano nella direzione di promuovere una nuova immagine del<br />

soggetto anche altri fenomeni, di cui pure abbiamo già parlato, quali<br />

l’individualizzazione dell’intellettuale, il rapporto soggettivo con la parola,<br />

insieme con l’interiorizzazione della cultura favoriti dalla diffusione dei libri<br />

stampati, o il modo in cui si tentava di separare i sentimenti dalla partecipazione<br />

collettiva per farli diventare un sentire individuale, privato (vedi la lettura di<br />

Guarracino “La formazione dello stato moderno”a proposito della vendetta) e più in generale,<br />

come vedremo, l’intero processo di disciplinamento.<br />

2. Il soggetto nella filosofia moderna<br />

Benché gia durante il Rinascimento fossero state elaborate le prime concezioni<br />

naturalistiche dell’uomo (vedi, ad esempio, Giordano Bruno che individuava ciò<br />

che caratterizza l’uomo non più nel suo destino ultraterreno, bensì in ciò che esso<br />

è riuscito a costruire con le sue mani e la sua intelligenza che hanno fatto di lui<br />

un organismo in grado di lavorare e produrre “meravigliose invenzioni”) la<br />

centralità del soggetto, sul piano filosofico, è emersa solo con la filosofia<br />

moderna, poiché essa abbandonando progressivamente il piano teologico ha<br />

relegato Dio a coprire un campo al di fuori dell’umano (vedi deismo), finendo<br />

per porre al centro di almeno due rilevanti tematiche, il problema della<br />

conoscenza e quello delle istituzioni politiche, il ruolo del soggetto.<br />

Per Hegel (1770-1831) la filosofia moderna prende l’avvio dal cogito (Io penso)<br />

di Cartesio, poiché esso esprime l’emergere della tesi secondo la quale è il<br />

soggetto che fonda la conoscenza; in altri termini, il criterio per determinare il<br />

vero e il falso non sta fuori di noi ma dentro di noi, nel pensiero e non nelle<br />

“sostanze”, come per secoli aveva sostenuto la filosofia tradizionale (vedi “La<br />

filosofia moderna e la giustificazione del sapere scientifico”).<br />

Già il fatto che la messa in dubbio delle conoscenze e la ricerca di un loro<br />

fondamento sicuro che seguirà siano descritte da Cartesio in prima persona, come<br />

un’esperienza soggettiva (vedi anche lettura “Che cos’è la filosofia - Cartesio”), rivela<br />

chiaramente la nuova prospettiva che Cartesio vuole assumere orientata a far<br />

emergere la centralità del soggetto.<br />

Il primato della soggettività, sul piano teorico, è invece costituito dal fatto che il<br />

dubbio iperbolico (il “genio maligno”) viene definitivamente sconfitto dalla<br />

certezza dell’io penso. Si può dubitare della corrispondenza fra le idee e le cose<br />

così come sono in se stesse (il Sole come mi appare in cielo non corrisponde al<br />

Sole come è in se stesso), si può dubitare della possibilità di distinguere il<br />

sogno dalla realtà, ma non si potrà mai dubitare del fatto che se penso sono,<br />

ovvero esisto in quanto cosa che percepisce e pensa. L'io del cogito diviene in tal<br />

modo il soggetto per eccellenza, il fondamento indiscusso della verità, alla luce<br />

del quale soltanto è possibile ricostruire il rapporto con la realtà, e quindi<br />

riguadagnare la verità intesa come adeguazione dell’intelletto alle cose. D'ora in<br />

poi qualunque idea si presenti con la stessa evidenza del cogito sum dovrà<br />

essere ritenuta vera, ossia adeguata al proprio "oggetto".<br />

IL SOGGETTO NEL<strong>LA</strong> <strong>FILOSOFIA</strong><br />

<strong>MODERNA</strong><br />

La filosofia moderna e la centralità del<br />

__________________________ per:<br />

1 _________________________________<br />

2 _________________________________<br />

IL RUOLO DEL SOGGETTO NEL PROCESSO<br />

CONOSCITIVO<br />

17


Il cogito è sempre formulato in prima persona: questo è essenziale al suo<br />

successo perché solo io in prima persona posso essere certo di dubitare e quindi di<br />

esistere. Se dico "Paolo dubita" o anche "Descartes dubita" ciò non comporta che<br />

Paolo o Descartes stiano effettivamente dubitando: come faccio a esserne certo?<br />

Potrei sbagliarmi. Oppure potrebbero ingannarmi deliberatamente. Potrebbero<br />

dirmi "stiamo dubitando!" e assumere un'espressione perplessa, ma potrebbero<br />

fingere. Se invece sono io stesso che dubito, allora sono certo di dubitare e<br />

quindi posso essere certo di esistere. Il cogito, insomma, funziona solo se è<br />

vissuto in prima persona.<br />

Il nuovo ruolo del soggetto da un punto di vista filosofico emerge anche nelle regole<br />

del metodo cartesiano. Infatti, anche la prima regola attribuisce al soggetto una<br />

posizione di assoluta preminenza ai fini della costituzione della conoscenza,<br />

trascurando completamente l'apporto dell'oggetto, e individua la conoscenza vera solo<br />

grazie a segni impressi sul soggetto: mancanza di dubbio, chiarezza, distinzione.<br />

Dalla centralità antica e medievale dell'essere e della sostanza e quindi<br />

dell’oggetto, si passa con Cartesio ad una centratura sul soggetto che Kant<br />

contribuirà potentemente a rafforzare, poiché a differenza dei suoi predecessori<br />

razionalisti, che ancora ricorrevano a Dio come garante della corrispondenza fra<br />

pensiero e realtà, Kant pone il problema del fondamento della corrispondenza fra<br />

l’intelletto e la cosa in termini completamente nuovi. Soltanto l'unione delle forme a<br />

priori, che scaturiscono dall'intelletto, con gli oggetti dati dalla sensibilità, assicura ai<br />

suoi occhi la verità delle conoscenze.<br />

La ragione moderna non ha più bisogno di legittimare il proprio procedere conoscitivo<br />

ricorrendo alla natura esterna o al Dio trascendente; né sarà necessario che venga<br />

"istruita", come uno scolaro, dalla natura o da Dio, ma piuttosto, in qualità di<br />

giudice, «costringe i testimoni», vale a dire i fenomeni naturali, «a rispondere<br />

alle domande che rivolge loro», in basa al presupposto che essa delle cose conosce<br />

soltanto ciò che anticipatamente (a priori) vi pone. È questo l'aspetto fondamentale<br />

di quella «rivoluzione nel modo di pensare» che Kant indicherà come rivoluzione<br />

copernicana. In virtù di essa non è più la conoscenza umana a doversi regolare<br />

sugli oggetti, come avviene per la metafisica classica da Aristotele a Tommaso<br />

d'Aquino, ma all'opposto sono gli oggetti a doversi regolare sulla conoscenza umana e<br />

sulle sue "leggi".<br />

Anche nella tradizione empirista anglosassone assistiamo allo stesso<br />

spostamento del focus della filosofia dalla realtà al soggetto, infatti anche per<br />

essa non ci si chiede più come è fatto il mondo, ma quali sono gli strumenti<br />

conoscitivi del soggetto conoscente, per individuare che cosa è possibile<br />

conoscere con tali strumenti. Prospettiva che emerge bene, ad esempio,<br />

nella presentazione del “Saggio sull'intelligenza umana”di Locke nella quale<br />

egli ricorda che l'idea di comporlo nacque durante una disputa tra amici su<br />

argomenti religiosi. Di fronte alla diversità di opinioni esistente, ci si chiese se<br />

l'intelligenza umana fosse in grado di conoscere quel tipo di argomenti e quali<br />

ne fossero in generale le possibilità (vedi anche lettura “Che cos’è la filosofia –Locke).<br />

2.2 La dimensione razionale del soggetto<br />

Con Cartesio e l’inizio della filosofia moderna la dimensione del soggetto<br />

appare coincidere con la sola dimensione razionale. Infatti, Cartesio decidendo<br />

di sospendere il giudizio e di non accettare per vera alcuna conoscenza, finchè<br />

non fosse stato superato il dubbio, decide contemporaneamente che tale<br />

sospensione non è consentita nella vita pratica, dove mentre si dubita occorre<br />

pur continuare a vivere e quindi regolarsi su principi accettati. Egli decide<br />

quindi di regolarsi nella sua vita pratica ispirandosi a un prudente conformismo<br />

in fatto di opinioni politiche, religiose e comportamentali, seguendo le leggi, le<br />

norme comportamentali e la religione tradizionale, perseverando con<br />

<strong>LA</strong> DIMENSIONE RAZIONALE DEL<br />

SOGGETTO<br />

La coincidenza del _______________ con<br />

la ______________________ in Cartesio:<br />

1 - il _______________________ politico<br />

e ___________________: l’accettazione<br />

dell’ingerenza di __________ e _________<br />

sui _____________________ dell’______<br />

_________________<br />

18


isolutezza nella decisione presa per quanto opinabile e incerta 9 . L’aperta<br />

dichiarazione di conformismo e conservatorismo contenuto in tali regole vuole<br />

evitare le profonde conseguenze che avrebbe avuto l’applicare il suo<br />

razionalismo allo studio dei comportamenti umani, campo in cui Cartesio<br />

decide di accettare l’ingerenza delle autorità esterne (Chiesa e Stato) sul<br />

soggetto che invece in campo scientifico è continuamente richiamato alla<br />

necessità della chiarezza e dell’evidenza soggettiva.<br />

Il soggetto cartesiano, inoltre, è un soggetto neutro, capace di dominare le proprie<br />

passioni, , in grado di gettare uno sguardo "obiettivo" sulla realtà; si tratta del<br />

soggetto impersonale e astorico della conoscenza scientifica, del soggetto ridotto<br />

a cogito, caratterizzato unicamente dalla ragione «la sola cosa che ci rende<br />

uomini e ci distingue dalle bestie», come Cartesio scrive nel Discorso sul<br />

metodo. Anche in questo caso la soluzione cartesiana appare come la più vicina<br />

alla tradizione in quanto ripropone l’idea del dualismo anima-ragione e corpopassioni,<br />

di cui U. Galimberti 10 ha scritto che: “Se davvero platonismo e<br />

cristianesimo sono le due grandi correnti di pensiero che hanno dato vita e volto<br />

all'Occidente, la mortificazione del corpo da loro inaugurata ha trovato il suo<br />

proseguimento e la sua radicalizzazione nel sistema delle scienze moderne che Cartesio<br />

ha inaugurato e in cui ancora oggi, senza residui, l'Occidente si identifica. Per fondare<br />

questo mondo oggettivo e astratto Cartesio ha dovuto mettere tra parentesi la vita<br />

pre ed extra-scientifica e quindi tutte quelle formazioni di senso che si fondano<br />

sull'esperienza corporea attraverso cui il mondo ci è direttamente alla mano. L'io<br />

dell'uomo sensibilmente intuitivo della vita quotidiana venne spezzato in anima e<br />

corpo. Il corpo, da soggetto che esplora con i suoi sensi il mondo, venne risolto in oggetto,<br />

relegato nella “cosa estesa”, e inteso, al pari di tutti gli altri corpi, in base alle leggi fisiche<br />

che presiedono l'estensione e il movimento. L'anima, sottratta ad ogni influenza<br />

corporea, venne pensata come puro intelletto, come ego intersoggettivo nelle cui<br />

cogitazioni, rigorosamente eseguite con metodo matematico, c'è ogni possibile senso<br />

del mondo e di ogni io personale e soggettivo che abita il mondo. Da allora ogni<br />

produzione di senso non fu piú nell'originario rapporto dell'uomo col mondo, ma l'uomo<br />

e il mondo ricevettero il loro senso dalle cogitazioni dell'ego che complessivamente<br />

andavano componendo la nuova scienza. Nata dall'uomo nel mondo, la scienza s'è<br />

cosí trovata con Cartesio a dimenticare la propria origine, e, per effetto della sua<br />

impostazione metodologica, a porsi come unica soggettività in grado di fissare il senso<br />

esatto di quegli oggetti che erano per essa l'uomo e il mondo… .<br />

Tra l'io umano che abita il mondo e l'ego cogito che ne fissa esattamente le<br />

misure, attraverso un'operazione idealizzante che non ci mette a contatto con le cose,<br />

ma con le loro forme matematiche, c'è una sola differenza: l'io umano abita un<br />

9 Queste sono le prime due regole di una morale che Cartesio definisce come provvisoria ma a cui<br />

finirà per conferire progressivamente un valore definitivo.<br />

10 Umberto Galimberti (1942), filosofo italiano che indaga il rapporto che effettivamente sussiste tra<br />

l’uomo e la società della tecnica. Galimberti sostiene che nelle condizioni attuali l’uomo non è più al<br />

centro dell’universo come intendeva l’età umanistica: tutti i concetti chiave della filosofia<br />

(individuo, identità, libertà, salvezza, verità, senso, scopo, natura, etica, politica, religione, storia)<br />

dovranno essere riconsiderati in funzione della società tecnologica attuale. Secondo Galimberti la<br />

tecnica è il tratto comune e caratteristico dell’occidente. La tecnica è il luogo della razionalità<br />

assoluta, in cui non c’è spazio per le passioni o le pulsioni, è quindi il luogo specifico in cui la<br />

funzionalità e l’organizzazione guidano l’azione.<br />

Noi continuiamo a pensare la tecnica come uno strumento a nostra disposizione, mentre la tecnica è<br />

diventata l’ambiente che ci circonda e ci costituisce secondo quelle regole di razionalità (burocrazia,<br />

efficienza, organizzazione) che non esitano a subordinare le esigenze proprie dell’uomo alle<br />

esigenze specifiche dell’apparato tecnico. Tuttavia ancora non ci rendiamo conto che il rapporto<br />

uomo-tecnica si sia capovolto, e per questo ci comportiamo ancora come l’uomo pre-tecnologico che<br />

agiva in vista di scopi iscritti in un orizzonte di senso, con un bagaglio di idee e un corredo di<br />

sentimenti in cui si riconosceva. Ma la tecnica non tende a uno scopo, non promuove un senso, non<br />

apre scenari di salvezza, non redime, non svela verità: la tecnica funziona e basta.<br />

La citazione è tratta da “Psichiatria e fenomenologia”, 1979, Feltrinelli<br />

B –la capacità del soggetto ____________<br />

___________________________________<br />

e il dualismo ________________________<br />

LE CONSEGUENZE DEL DUALISMO<br />

CARTESIANO (U. GALIMBERTI)<br />

Platonismo, cristianesimo, scienza moderna<br />

(Cartesio) la mortificazione __________<br />

Cartesio:<br />

il corpo da ______________________ che<br />

__________________________ il mondo a<br />

_____________ tra gli altri_____________<br />

l’anima = puro _______________ che con<br />

metodo ________________ trova il senso<br />

del ________________ e dell’_______<br />

il senso non deriva più dal _____________<br />

_______________________<br />

19


corpo, l'ego cogito è pura mente..<br />

Preparato dall'anima platonica, il cui unico desiderio era quello di liberarsi dal corpo e<br />

dal mondo, l'ego cogito di Cartesio è ciò che resta di un'astrazione preliminare che<br />

prescinde da tutto ciò che è corporeo e mondano; è un io decorporeizzato e<br />

demondanizzato nelle cui funzioni razionali è il senso del mondo e dei corpi che lo<br />

abitano. Non è piú il mondo a dire di sé, ma sono le funzioni anticipanti dell'ego a dire che<br />

cos'è il mondo; queste funzioni, che sono a loro volta il prodotto del metodo matematicoquantitativo<br />

adottato, producono oggetti ideali che valgono come norma per<br />

l'interpretazione delle cose reali, per cui conoscere la natura non significa piú<br />

osservarla ma ricondurre le differenze qualitative che essa offre a quell'indifferente<br />

quantitativo che è l'indice matematico anticipato dalle funzioni dell'ego. Quest'indice<br />

non è qualcosa di reale, ma è un polo ideale, determinabile a priori, che funge da norma<br />

per il reale. …<br />

Vien da pensare che l'Occidente, percorrendo i sentieri della. filosofia prima e della<br />

scienza poi, non abbia inseguito altro scopo se non quello di difendersi dalla<br />

multiformità della natura mediante l'uniformità dell'idea. Lo scopo forse è stato<br />

raggiunto, ma al costo di profondissime lacerazioni che oggi non consentono piú<br />

all'uomo di abitare il mondo e nel mondo di ritrovare se stesso. Non stiamo facendo<br />

letteratura per difenderci dalla scienza. Il nostro intento è solo quello di sapere se oggi,<br />

componendo le sezioni della scienza, l'uomo è ancora in grado di trovare l'unità da cui<br />

risulta la sua vita. In caso diverso non resta che tornare all'origine o rassegnarsi al disagio<br />

della lacerazione.”<br />

Tra le lacerazioni prodotte dal dualismo cartesiano vi è sicuramente quella tra ragione e<br />

follia come ha fatto osservare M. Foucault 11<br />

(1926-84), il quale ritiene che<br />

l’identificazione tra uomo e ragione abbia comportato la messa fuori dal gioco di tutto<br />

ciò che ad essa si oppone che diventa per definizione “sragione”, follia. Infatti, il potere<br />

si sarebbe servito dell’identificazione operata dalla scienza moderna a partire dal cogito<br />

cartesiano per giustificare “il grande internamento”da esso operato all’inizio dell’epoca<br />

moderna. La tesi di fondo di Foucault è che “il grande internamento”– ovvero la<br />

segregazione dei “diversi”, folli, vagabondi, mendicanti in asili di pazzi, case di lavoro o<br />

prigioni che, come abbiamo visto, costituisce un aspetto essenziale del processo di<br />

disciplinamento della società volto a omogeneizzare i comportamenti - altro non sia che<br />

il segno di una loro criminalizzazione da parte della “ragione dominante”che, in ogni<br />

discorso o comportamento che pretende di deviare dalle sue regole, scorge il pericoloso<br />

delinearsi di un messaggio di ribellione.<br />

Ad accomunare Riforma e Controriforma è, infatti, l'azione dei tribunali<br />

dell'inquisizione, che si intensifica tra la seconda metà del XVI secolo e la prima del<br />

secolo successivo nei confronti di ogni comportamento considerato deviante rispetto<br />

all'ortodossia cristiana; l'accusa di stregoneria, strumento di disciplinamento sociale (e<br />

la conseguente opera di repressione) si diffonde tra Cinquecento e Seicento in<br />

Spagna, in Francia, nei Paesi Bassi, nell'Italia settentrionale, prima; poi in Gran<br />

Bretagna, in Svezia e in Polonia. Accanto ai tribunali ecclesiastici, e in alcune zone in<br />

sostituzione di questi, la repressione giudiziaria della stregoneria è portata avanti anche<br />

dai tribunali secolari.<br />

Tanto nell'Europa cattolica quanto in quella protestante vengono attuati<br />

provvedimenti legislativi che rendono legittima la segregazione (accompagnata<br />

dal lavoro coatto) di una quota consistente di emarginati in luoghi appositi. Il<br />

bisogno di controllo e di dominio connesso al lento precisarsi e<br />

consolidarsi degli apparati statuali allarga il campo dei comportamenti<br />

criminosi: l'internamento segnala materialmente il rifiuto della comunità di<br />

modelli considerati pericolosi e, nel contempo, mostra l'emergere di un nuovo<br />

ordine etico, in cui il lavoro è assunto come valore centrale. Il pauperismo crescente<br />

Io = mente + ____________<br />

Io cartesiano = ___________<br />

Metodo matematico<br />

funzioni _____________<br />

Oggetti _________<br />

Interpretazioni_________<br />

Scomparsa differenze _____<br />

Dalla __________________ della natura<br />

alla ______________________<br />

dell’__________<br />

Le ____________________ prodotte dal d<br />

dualismo cartesiano<br />

Ragione / ___________<br />

11 Michel Foucault, filosofo e saggista francese, ha dedicato gran parte della sua opera allo studio di<br />

come sia andata definendosi nella cultura occidentale l’identità del soggetto (vedi lettura 16 –<br />

Foucault “La rimozione della follia e la costruzione del soggetto”).<br />

Scienza: Uomo = ________________<br />

Potere: criminalizzazione del ___________<br />

folli, mendicanti, vagabondi<br />

Il processo di ________________________<br />

20


perde il suo carattere sacrale perché “nemico della dignità umana”e assume,<br />

invece, una valenza di pericolosità e di ostilità sociale.<br />

In questo modo osserva Foucault il moderno concetto di libertà individuale ha<br />

come contraltare l’istituirsi di una società di sorveglianza che si serve del sapere<br />

e di determinate istituzioni (dalla chiesa alla scuola, all’esercito, al carcere, al<br />

manicomio, all’ospedale, alla famiglia) e delle comunicazioni sociali per<br />

indirizzare il soggetto a una certa forma di autoconsapevolezza, ad agire secondo<br />

regole che finiscono per cristallizzare nella mentalità collettiva 12 . Il potere<br />

assoggetta così l’individuo non solo nel senso di controllarlo ma soprattutto<br />

vincolandolo alla propria individualità che è una delle possibili, poiché nasce<br />

dalla rimozione di alcuni aspetti perché altri possano essere messi in risalto.<br />

Infatti, l’attribuzione della razionalità quale qualità principale del soggetto ha<br />

implicato la rimozione di tutta una serie di aspetti della personalità (sfere di<br />

razionalità, sensibilità, realtà profonde) identificate come devianti, errori rispetto<br />

al modello, che sono stati etichettati come follia. L’affermazione dell’equazione<br />

normalità=razionalità si è accompagnata con l’imposizione da parte del potere<br />

della reclusione dei folli e dei vagabondi e in seguito della medicalizzazione della<br />

follia, con la creazione della psichiatria, e del lavoro coatto, con l’introduzione<br />

delle work-house, vere antenate delle fabbriche moderne (vedi lettura n 10).<br />

3. Dalla centralità di Dio alla centralità dell’uomo<br />

Come abbiamo visto Cartesio affida al soggetto il compito di controllare con la<br />

ragione le passioni, ma una ragione che in questo campo accetta anche ciò che può<br />

essere opinabile e incerto e solo sorretto dalla tradizione, a una ragione che si lascia<br />

guidare dall’autorità di Chiesa e Stato.<br />

L’estensione delle dimensioni del soggetto anche all’eticità avverrà sul finire della<br />

filosofia moderna con Kant agli occhi del quale qualsiasi morale fondata su<br />

qualcosa di diverso dal soggetto, ad esempio sull’esistenza di Dio o sulle regole<br />

sociali, è una falsa morale in quanto è una morale eteronoma. La morale<br />

kantiana si presenta pertanto come un’etica dell’autonomia, nella quale<br />

l’uomo, attraverso la ragione, dà a se stesso la propria legge. Viceversa, ogni<br />

comportamento in cui la volontà sia determinata da moventi non esclusivamente<br />

razionali è espressione di eteronomia, poiché l’uomo subisce su di sé<br />

l’azione di qualcosa (compresa, per Kant, la sensibilità legata al corpo) che<br />

non coincide con la propria essenza (vedi pag.12).<br />

Ritenendo che sia possibile fondare una morale che rimanga comunque<br />

universale e assoluta a partire dal solo soggetto, Kant compie un altro decisivo<br />

passo nel relegare Dio al di fuori dell’umano. Egli, infatti, può così sostenere che<br />

non sono le verità religiose a fondare la morale, bensì la morale, sia pur sotto<br />

forma di conoscenze non certe, a fondare le verità religiose. In altri termini,<br />

Dio, per Kant, non sta all’inizio e alla base della vita morale, ma<br />

eventualmente alla fine, come suo possibile completamento. In altre parole<br />

ancora: l’uomo di Kant è colui che agisce seguendo solo il dovere per il dovere, con,<br />

in più, la ragionevole speranza nell’immortalità dell'anima e nell’esistenza di<br />

Dio.<br />

Società di ______________________:<br />

_____________________ + istituzioni<br />

(famiglia, chiesa, scuola) + _____________<br />

__________<br />

12 Per quanto riguarda “la società di sorveglianza”vedi anche Prosperi “Tribunali della coscienza.<br />

Inquisitori, confessori, missionari”, nonché per quanto riguarda il disciplinamento della società gli<br />

altri articoli di Peter Burke “Il trionfo della Quaresima: la riforma della cultura popolare”, Carla<br />

Russo “Mentalità e comportamenti religiosi nell’Europa cattolica”e Carlo Ginzburg "Folklore,magia<br />

e religione".<br />

Mentalità _______________<br />

Autoconsapevolezza del ______________<br />

vincolata dalla __________________<br />

DAL<strong>LA</strong> CENTRALITÀ DI DIO AL<strong>LA</strong><br />

CENTRALITÀ DELL’UOMO<br />

21


In effetti, per molti versi l’emergere del ruolo centrale del soggetto avviene<br />

contemporaneamente all’accantonamento della centralità di Dio e, quindi,<br />

dell’abbandono del piano teologico che aveva caratterizzato la cultura europea<br />

per un millennio.<br />

In Hobbes (1588-1679) 13 il processo che detronizzerà il creatore divino a favore di quello<br />

umano è particolarmente evidente; infatti, scrive Hobbes nell’introduzione al<br />

"Leviatano", l'uomo è in grado di imitare il potere creatore di Dio poiché: "...così come<br />

Dio è in grado di produrre l'uomo naturale, l'uomo è in grado di produrre l'uomo<br />

artificiale". Mentre Dio e uomo sono artefici, uomo naturale e uomo artificiale sono<br />

artefatti; lo Stato è costituito per proteggere l'individuo dai rischi dello stato di<br />

natura. I patti e i concordati sono come l’atto creatore di Dio, imitandolo l'uomo<br />

produce la dimensione politica, mentre Dio, relegato a coprire un campo al di fuori dell'umano,<br />

si deve tenere da parte. In Hobbes la produzione dell'uomo è posta sul modello del produrre<br />

divino e viene così scatenata una concorrenza fra poteri creativi; per questo Hobbes è accusato<br />

di ateismo. Sul finire dell'epoca moderna la lotta si risolve a favore della creatività umana; da<br />

allora se l'uomo vuole essere pienamente soggetto, Dio non deve essere (da Marx, a<br />

Nietzsche(1844-1900) a Sartre (1905-1980)). Hobbes, anche se non ne è pienamente<br />

consapevole, introduce un'epoca nuova. Il principio teologico perde progressivamente peso e<br />

significato parallelamente all'imporsi di altri principi; la sua funzione si depotenzia perché<br />

Dio spiega sempre meno. Non serve più per giustificare lo Stato moderno, non orienta più gli<br />

uomini e le loro azioni. Si continua a parlare dei poteri che Dio ha dato all'uomo; ma con<br />

questi stessi poteri l'uomo si distacca da Dio.<br />

VITA ED OPERE<br />

Francis Bacon (Francesco Bacone, 1561-1626) nella rivoluzione scientifica ebbe un ruolo<br />

che non fu quello di uno scienziato e neppure di un filosofo «puro». Come uomo politico<br />

egli ebbe una vita travagliata e intrecciata alle alterne vicende del suo paese, l'Inghilterra, tra<br />

la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo. Lord guardasigilli e cancelliere sotto Giacomo I<br />

Stuart, venne condannato per concussione alla prigione e all'allontanamento dai pubblici uffici<br />

(1621); in seguito si ritirò a vita privata. A tali vicende egli fa corrispondere un impegno e<br />

interessi di studio che lo avvicinano ai dotti del Rinascimento ma, allo stesso tempo, una<br />

critica alla tradizione e la proposta di una nuova mentalità davvero «rivoluzionarla» nei<br />

confronti della scienza e della tecnica.<br />

Bacone è autore nel 1597 di una raccolta di Saggi, cui segue nel 1605 un'opera che denuncia<br />

già dal titolo i suoi interessi: Il progresso del sapere, redatta in inglese per facilitarne la<br />

divulgazione. La data centrale nella produzione scientifica di Bacone è tuttavia quella della<br />

pubblicazione della prima parte del suo progetto enciclopedico, l'Instauratio magna, che<br />

avviene assieme al Novum Organum nel 1620. Tre anni dopo è conclusa l'Historia naturalis<br />

che dovrebbe esserne parte. Bacone ci ha lasciato anche un importante frammento<br />

che accoppia utopia scientifica e politica: La nuova Atlantide (1627).<br />

L'insieme della riflessione di Bacone verte sul progetto di una Instauratio magna in cui<br />

l'uomo stabilisce il suo dominio sulla natura attraverso lo sviluppo di un sapere adeguato:<br />

tale progetto, pubblicato nel libro omonimo del 1620, prevede che la scienza sia anzitutto<br />

conoscenza tecnica in grado di penetrare le leggi della natura, secondo i due motti per cui<br />

«sapere è potere» e «la natura non si comanda se non obbedendole». Gli esiti sociali di<br />

questa svolta vengono esposti in un breve scritto pubblicato postumo, La nuova<br />

Atlantide (1627), in cui il filosofo immagina un paese governato e costituito da dotti dove si<br />

opera «per estendere i confini dell'impero umano in ogni cosa possibile» attraverso ogni<br />

sorta di ricerche e di invenzioni, dunque un vero e proprio «paradiso della tecnica».<br />

Allo studio del metodo necessario all'Instauratio magna è invece dedicato il<br />

Novum Organum (1620). Contrapposto fin dal titolo all'antico Organon aristotelico, Il<br />

Novum Organum di Bacone propone di sostituire al sapere speculativo e deduttivo<br />

13 Per quanto riguarda le teorie politiche le due opere principali di Hobbes sono: “De cive”(1641) e<br />

“Leviathan”(1651). Per la vita e le opere di Hobbes vedi “14- La filosofia moderna e la politica”<br />

22


della logica classica un nuovo sapere al servizio della tecnologia, incentrato sul metodo<br />

sperimentale e induttivo (che muove quindi dall'esperienza ai principi, e non viceversa).<br />

Blaise Pascal nacque nel 1623 a Clermont Ferrand da famiglia agiata, appartenente alla nobiltà<br />

di toga. II padre Etienne, magistrato, coltivava numerosi interessi culturali. II figlio Blaise sembra<br />

che abbia dimostrato, sin da piccolo, una notevole vivacità intellettuale, una sorta di "bambino<br />

prodigio", e il padre, per favorirne il talento, trasferì la famiglia a Parigi. Fino al 1654, anno della<br />

conversione definitiva al cristianesimo, la sua vita, a quanto dicono i biografi, rimase in bilico tra<br />

religiosità e mondanità. Si parla di conversione definitiva perché, già nel 1646, avrebbe<br />

aderito assieme a tutta la famiglia al giansenismo. Negli anni '40 sviluppa i suoi interessi<br />

matematici, fisici e geometrici: nel 1640 pubblica il Trattato sulle coniche e<br />

successivamente inizia a redigere il Trattato sulla pesantezza della massa d'aria e quello<br />

Sull'equilibrio dei liquidi, che però verranno conclusi nel 1654 e pubblicati postumi. Le sue<br />

ricerche matematiche ebbero anche delle applicazioni: Pascal è stato l'inventore, tra il 1642 e il<br />

1645, del primo modello di macchina calcolatrice, la cosiddetta pascaline. In questo<br />

periodo frequenta, a Parigi, il salotto di Madame de Sablé e diventa amico di svariati esponenti<br />

dell'alta società. Questa vita, nella quale convivono scienza, religione e mondanità, si interrompe<br />

nel 1654: durante una notte di novembre, come ha raccontato poi lo stesso Pascal, egli avrebbe<br />

avuto un'esperienza mistica molto intensa, sentendosi chiamato a Dio. Da quel momento in poi,<br />

concentrerà tutte le sue energie intellettuali e morali sul cristianesimo. Nel 1657 prende<br />

posizione nella polemica teologico morale fra giansenisti e gesuiti, pubblicando le Lettere<br />

provinciali, dove si schiera decisamente a favore dei giansenisti. In quegli stessi anni progetta<br />

un'opera di vaste dimensioni, una Apologia del cristianesimo, che non riuscì a portare a termine.<br />

Di questo progetto, rimane la testimonianza dei Pensieri, scritti a cominciare dal 1657 e<br />

pubblicati dopo la morte. II testo, benché incompiuto, è considerato il capolavoro di Pascal.<br />

Dal 1659, le sue condizioni di salute, già incerte, iniziano a peggiorare e nei 1662 muore a soli<br />

trentanove anni.<br />

Baruch Spinoza, sebbene nato e vissuto nei Paesi Bassi, dove nel XVII secolo vige più<br />

che altrove una parziale tolleranza religiosa, ebbe una vita caratterizzata dai contrasti e dalle<br />

persecuzioni per le proprie convinzioni filosofiche e teologiche. Nato nel 1632 da una famiglia<br />

ebraica portoghese emigrata in Olanda, Spinoza riceve un'educazione confessionale,<br />

ma si forma anche con lo studio del pensiero cristiano, della cultura classica, di grandi<br />

filosofi come Bacone, Cartesio, Hobbes. Il 1656 vede la sua cacciata dalla comunità ebraica<br />

come eretico, da cui deriva la rottura dei rapporti con la famiglia e le sue attività<br />

commerciali e la decisione di guadagnarsi da vivere come levigatore di lenti per<br />

cannocchiali e microscopi.<br />

La maggior parte degli scritti di Spinoza, e quasi tutti i più importanti, viene pubblicata solo<br />

postuma. Tale è la sorte del Breve trattato su Dio, l'uomo e la sua felicità, composto nel<br />

1660, del Tractalus de intellectus emendatione, scritto sotto forma di introduzione alla<br />

filosofia e mai terminato, di un Tractatus politicus e della sua opera più famosa, composta e<br />

rielaborata nel corso di tutta la vita: l'Ethica more geometrico demonstrata. Del resto<br />

l'uscita nel 1670 in forma anonima del suo Tractatus theologico-politicus, dove vengono<br />

esposte opinioni circa il diritto di esprimere liberamente la propria fede e le proprie<br />

convinzioni religiose, provoca violenti attacchi sia da parte protestante che cattolica. Nel<br />

frattempo Spinoza ha stretto rapporti con rappresentanti del pensiero scientifico di<br />

avanguardia e con uomini politici come Jan de Witt, capo dell'opposizione liberale<br />

olandese e fautore della tolleranza religiosa, che provvede al suo mantenimento. La<br />

rovina politica di quest'ultimo non impedisce al filosofo di rimanere fermo sulle proprie<br />

posizioni, tanto da rifiutare una cattedra di filosofia ad Heidelberg per mantenere la<br />

propria libertà di pensiero: Spinoza preferisce dedicarsi interamente allo studio,<br />

rinunciando tuttavia alla pubblicazione dei suoi scritti fino alla morte, avvenuta nel 1677.<br />

Jean Meslier nacque a Etrépigny, nella regione di Champagne, a pochi chilometri dalle<br />

Ardenne, nel 1664 da una famiglia agiata di mercanti di stoffe. Messo in seminario per<br />

volontà dei genitori, vi acquisì sicuramente una buona conoscenza teologica e ordinato<br />

sacerdote divenne parroco del paese, conservando l’incarico per tutta la vita e, nonostante la<br />

crisi interiore, svolgendolo le sue funzioni in modo esemplare, con una particolare<br />

attenzione ad alleviare le manifestazioni più gravi di ingiustizia sociale. La vita<br />

23


ecclesiastica gli permise comunque di continuare a studiare leggendo, tra il resto, Epicuro,<br />

Lucrezio, Montaigne, Cartesio. Nel 1724, sentendosi vicino alla morte, cominciò a stendere<br />

le sue memorie, finendo il suo testamento nel 1729. Quando nel 1733, a 69 anni, morì il<br />

suo sostituto trovò nel suo appartamento tre lettere piene di invettive antireligiose e di<br />

rancore verso quella religione e quella nobiltà che succhiava il sangue ai suoi amati<br />

parrocchiani, poveri contadini.<br />

Propugnatore di un ateismo senza concessioni e di una utopia anarco-comunista ante<br />

litteram, Jean Meslier non lascia molto spazio a dubbi: per lui il Cristianesimo, con la sua<br />

insistenza sulla sofferenza, la povertà e il dolore e la sua condanna del piacere ha<br />

anestetizzato gli uomini, legittimando i soprusi di re e nobiltà. Tutti gli uomini sono uguali,<br />

e la terra che lavorano appartiene a loro. Preti e nobili sono solo parassiti fannulloni e<br />

ipocriti. Quella del nostro autore è anche un'esplicita professione materialista: tutti i<br />

cambiamenti dell'uomo non sono che "fermentazioni", ed è ridicolo attribuire tutto a un<br />

Dio, se già la Natura è eterna e perfettamente regolata, tesi, questa, cara al marchese de<br />

Sade. Che il popolo si sollevi, allora, perché la terra produce abbastanza per tutti. Il<br />

testamento si chiude con l'estrema affermazione materialista: "presto non sarò più niente; i<br />

morti non hanno nulla di cui preoccuparsi. Presto non sarò più niente".<br />

Il Testamento di Jean Meslier fu presumibilmente il testo antireligioso più conosciuto e<br />

letto del XVIII secolo: Diderot lo conosceva bene e fece sue alcune frasi che gli valsero il<br />

carcere; il barone d'Holbach lo pubblicò insieme al Buon senso, opera la cui paternità fu a<br />

lungo attribuita allo stesso Meslier, pur essendo in realtà del Barone. L'edizione andò<br />

perduta e non se ne seppe più nulla: l'unica fonte era quella, abbondantemente riveduta ed<br />

emendata, di Voltaire. Il testo originale venne pubblicato nel 1864 in Olanda.<br />

Paul-Henry Dietrich d'Holbach (1723-1789) è il rappresentante forse più noto dell'ateismo<br />

materialista . Di origine tedesca, si formò in Francia e in Olanda e con la moglie diede<br />

vita, all'inizio degli anni Cinquanta, ad un salotto parigino dove si incontravano illuministi di<br />

diverse tendenze e ospiti stranieri provenienti dal fiore della nuova cultura europea. D'Holbach<br />

redasse quindi numerose voci tecnico-scientifiche dell'Encyclopédie e alcuni voci di<br />

contenuto politico-sociale.<br />

Il vero e proprio esordio filosofico è tuttavia nel 1766, con il ritorno da un viaggio in Inghilterra<br />

dove rimane impressionato dagli autori del deismo. Esce così il Cristianesimo svelato<br />

(1766) in edizione antedatata e a nome del defunto Nicolas-Antoine Boulanger, un'opera il<br />

cui possesso, in seguito, sarà punito con la tortura e nove anni di prigione. Fra i numerosi<br />

opuscoli successivi, anonimi o firmati con pseudonimi, prodotti e diffusi clandestinamente,<br />

d'Holbach realizza nel 1770 il suo scritto più noto, il Sistema della natura.<br />

Quest'opera traccia una interpretazione materialistica dell'uomo, sulla scorta della quale<br />

d'Holbach propone una rifondazione della morale e della vita sociale. Tale interpretazione<br />

presuppone la natura come totalità eterna di materia e movimento, al cui interno l'uomo è<br />

sottomesso agli stessi principi e alle stesse leggi. Come vi è attività nella materia, così è<br />

nell'uomo: pertanto il temperamento degli individui è semplicemente il prodotto di cause<br />

fisico-chimiche. In quanto macchina priva di anima l'uomo è sottomesso alle leggi<br />

dell'egoismo, dell'amore e dell'odio come esatti corrispettivi dei principi fisici di inerzia,<br />

attrazione e repulsione. La sua ricerca della felicità può essere soddisfatta solo nella<br />

vita sociale: sono dunque necessarie regole morali che insegnino a temperare l'amore di sé<br />

nel quadro del bene comune, e in ciò si trova anche il compito dello Stato.<br />

Negli anni Settanta gli scritti di d'Holbach si indirizzano sul fronte della politica, con opere<br />

come il Sistema sociale o principi naturali della morale e della politica (1773), oppure La<br />

morale universale o i doveri dell'uomo fondati sulla natura (1776), dove vengono<br />

semplicemente sviluppate le conseguenze di quanto era stato esposto nel Sistema della<br />

natura. Nel 1790, pochi mesi dopo la sua morte, usciranno ancora gli Elementi di morale<br />

universale o catechismo della natura.<br />

24


20 - FOUCAULT “<strong>LA</strong> RIMOZIONE DEL<strong>LA</strong> FOLLIA E <strong>LA</strong> COSTRUZIONE DEL<br />

SOGGETTO”<br />

In un saggio che ha avuto un notevole successo, Storia della follia (1961), Foucault<br />

studia il modo in cui l'uomo moderno ha costruito l'immagine di sé come persona<br />

razionale, dominatore del pensiero, signore della natura, padrone della scienza e<br />

delle tecnologie. Per farlo, sceglie di studiare la follia, e più esattamente il modo in<br />

cui dall'età degli umanisti a oggi l'uomo occidentale ha trattato il fenomeno della<br />

devianza psichica, quel fenomeno, cioè, che maggiormente mette in crisi il modello<br />

vincente di razionalità, la razionalità "cartesiana" del cogito. Attraverso minuziose<br />

e affascinanti analisi Foucault mette quindi in luce che il soggetto - il cartesiano<br />

soggetto che pensa - può autorappresentarsi come fondamento del divenire storico<br />

e del sapere soltanto se elimina come errore - "devianza" - tutti quei tratti della<br />

personalità umana che non possono essere conciliati con esso. La storia della follia<br />

è quindi interpretata come storia del tentativo, riuscito, di rimuovere (nel senso psicoanalitico<br />

del termine 14 ) alcuni aspetti dell'uomo perché altri possano essere messi<br />

in luce nella loro purezza. La civiltà occidentale è quindi il frutto di un processo di<br />

rimozione di intere sfere di razionalità, sensibilità, realtà profonde, identificate<br />

come devianti.<br />

Ciò che l'uomo moderno intende per follia nasconde invece in sé una grande<br />

ricchezza: se studiata da un'angolazione non deviata dalla cultura vincente, essa<br />

mette in luce aspetti estremamente interessanti della personalità umana, aspetti che<br />

potrebbero arricchire l'uomo se non venissero rimossi. Essi appartengono alla<br />

natura umana, se è ancora possibile parlare della natura umana come di qualche<br />

cosa di puro (così come si parla della natura di una cosa nella sua oggettiva<br />

esistenza materiale): l'uomo non è forse il prodotto del suo stesso rappresentarsi?<br />

Nella sua storia egli non è anche ciò che si rappresenta? La filosofia deve proporsi<br />

l'obiettivo di mettere in luce ciò che è nascosto nelle pieghe della razionalità<br />

vincente, perché c'è il rischio che la pura razionalità, poiché nasce da una<br />

rimozione, finisca col condurre l'uomo a distruggere l'uomo stesso. L'idea di<br />

progresso, ad esempio, poiché nasce da una sistematica rimozione di tutto ciò che<br />

non può conciliarsi con essa, rischia di lacerare l'uomo sviluppando solo alcuni<br />

aspetti della sua personalità, lasciando inaridire gli altri. Al vertice del progresso, in<br />

questo modo, potremmo ottenere, come massimo successo, quello di non avere più<br />

l'uomo.<br />

1 - La follia nel Rinascimento<br />

La Nave dei folli<br />

L’elemento tragico e l’elemento critico della follia<br />

Il prevalere dell’elemento critico<br />

Cervantes e Shakespeare: l’elemento tragico della follia<br />

2 - L’età moderna: il grande internamento<br />

Cartesio e l’esclusione della follia dalla ragione<br />

Il grande internamento<br />

Povertà e carità tra Rinascimento e Età moderna<br />

14 La rimozione, secondo Freud il padre della psicoanalisi, consiste nell’atto per cui un individuo<br />

rimuove dalla sua coscienza parti della sua personalità (ricordi, emozioni, affetti, tendenze), perché<br />

ritenute inaccettabili in quanto incompatibili con la morale e l’immagine che l’individuo ha di se<br />

stesso. La rimozione non porta però alla scomparsa di ciò che viene rimosso in quanto tali esperienze,<br />

benchè non più coscienti, continuano a interagire e a manifestarsi nell’individuo sotto forma di<br />

moventi inconsci. L’inconscio si manifesta sia nel comportamento degli individui normali (ad esempio<br />

nei sogni a causa della minor censura esercitata dall’individuo che da svegli impedisce il riaffiorare<br />

dell’inconscio) sia nelle nevrosi in cui l’interferenza degli elementi inconsci finisce per impedire<br />

all’individuo di assumere un comportamene “normale”.<br />

25


L’internamento: manodopera a buon mercato, protezione sociale e<br />

coscienza etica del lavoro<br />

Povertà, lavoro e ozio<br />

Internamento e nuova morale borghese: la morale amministrata.<br />

3 - Conclusioni<br />

La follia nel Rinascimento<br />

Alla fine del Medioevo la lebbra sparisce dal mondo occidentale. Ai margini della<br />

comunità, alle porte delle città, si aprono come dei grandi territori (i lebbrosari) che<br />

non sono più perseguitati dal male, ma che sono lasciati sterili e per lungo tempo<br />

abbandonati. Per secoli e secoli queste distese apparterranno all'inumano. Dal XIV al<br />

XVII secolo aspetteranno e solleciteranno, attraverso strani incantesimi, una nuova<br />

incarnazione del male, un'altra smorfia della paura, magie rinnovate di purificazione<br />

e di esclusione…<br />

Spesso negli stessi luoghi, due o tre secoli più tardi, si ritroveranno stranamente<br />

simili gli stessi meccanismi di esclusione. Poveri, vagabondi, corrigendi e "teste<br />

pazze" riassumeranno la parte abbandonata dal lebbroso e vedremo quale salvezza<br />

ci si aspetta da questa esclusione, per essi e per quelli stessi che li escludono. Con<br />

un senso tutto nuovo e in una cultura molto differente, le forme resisteranno:<br />

soprattutto quella importante di una separazione rigorosa che è esclusione sociale<br />

ma reintegrazione spirituale. Ma non anticipiamo.<br />

... Questo fenomeno è la follia. Ma<br />

occorrerà. un lungo periodo di latenza,<br />

quasi due secoli, perché questa nuova<br />

ossessione che succede alla lebbra come<br />

paura secolare susciti al pari di essa<br />

reazioni tendenti alla separazione,<br />

all'esclusione, alla purificazione, che pure<br />

le sono apparentate in modo evidente.<br />

Prima che la follia venga dominata, verso<br />

la metà del secolo XVII, prima che vecchi<br />

riti vengano risuscitati in suo favore, essa<br />

era rimasta ostinatamente legata a tutte le<br />

più importanti esperienze della<br />

Renaissance 15 .<br />

È questa presenza e alcuni dei suoi aspetti<br />

H. Bosch La nave dei folli (particolare)<br />

- 1490-1500<br />

essenziali che occorre ora ricordare molto<br />

frettolosamente.<br />

Cominciamo dal più semplice, ma anche<br />

dal più simbolico di questi aspetti.<br />

Un nuovo oggetto fa la sua, apparizione nel paesaggio immaginario del<br />

Rinascimento: ben presto occuperà in esso un posto privilegiato: è la Nave dei folli:<br />

strano battello ubriaco che fila lungo i fiumi della Renania e i canali fiamminghi.<br />

… I folli allora avevano spesso un'esistenza vagabonda. Le città li cacciavano<br />

volentieri dalle loro cerchie; li si lasciava scorrazzare in campagne lontane, quando<br />

non li si affidava a un gruppo di mercanti o di pellegrini. L'usanza era frequente<br />

soprattutto in Germania …<br />

Il fatto è che questa circolazione di folli, il gesto che li scaccia, la loro partenza<br />

non possono venir spiegati solo con l’utilità sociale o con la sicurezza dei cittadini.<br />

Altri significati più vicini al rito erano certamente presenti; ed è ancora possibile<br />

15 Rinascimento<br />

26


decifrarne alcune tracce. …<br />

Si comprende meglio allora la curiosa ricchezza di significati che si accumula sulla<br />

navigazione dei folli e che indubbiamente le conferisce il suo prestigio. Da un lato<br />

non bisogna contestare la sua efficacia pratica: affidare il folle ai marinai significa<br />

evitare certamente che si aggiri senza meta sotto le mura della città, assicurarsi che<br />

andrà lontano, renderlo prigioniero della sua stessa partenza. Ma a tutto questo<br />

l'acqua aggiunge la massa oscura dei suoi valori particolari; essa porta via, ma fa<br />

ancor più: essa purifica; e inoltre la navigazione abbandona l'uomo all'incertezza<br />

della sorte; là ognuno è affidato al suo destino, ogni imbarco è potenzialmente<br />

l'ultimo. È per l'altro mondo che parte il folle a bordo della sua folle navicella; è<br />

dall'altro mondo che arriva quando sbarca. Questa navigazione del pazzo è nello<br />

stesso tempo la separazione rigorosa e l'assoluto Passaggio. In un certo senso, essa<br />

non fa che sviluppare, lungo tutta una geografia semi-reale e semi-immaginaria, la<br />

situazione liminare del folle all'orizzonte dell'inquietudine dell'uomo medioevale;<br />

situazione insieme simbolizzata e realizzata dal privilegio che ha i1 folle di essere<br />

rinchiuso alle porte della città: la sua esclusione deve racchiuderlo; se egli non può<br />

e non deve avere altra prigione che la soglia stessa, lo si trattiene sul luogo di<br />

passaggio. È posto all'interno dell'esterno e viceversa. Posizione altamente<br />

simbolica, che resterà senza dubbio sua fino ai nostri giorni, qualora si ammetta che<br />

ciò che fu un tempo la fortezza visibile dell'ordine è diventato ora il castello della<br />

nostra coscienza 16 .<br />

L'acqua e la navigazione hanno davvero questo significato. Prigioniero nella nave<br />

da cui non si evade, il folle viene affidato al fiume dalle mille braccia, al mare dalle<br />

mille strade, a questa grande incertezza esteriore a tutto. Egli è prigioniero in<br />

mezzo alla più libera, alla più aperta delle strade: solidamente incatenato all'infinito<br />

crocevia. È il Passeggero per eccellenza, cioè il prigioniero del Passaggio. E non si<br />

conosce il paese al quale approderà, come, quando mette piede a terra, non si sa da<br />

quale paese venga. Egli non ha verità né patria se non in questa distesa infeconda<br />

fra due terre che non possono appartenergli. È questo il rituale che, a causa di<br />

questi valori, è all'origine della lunga parentela immaginaria che si può constatare<br />

lungo tutta la cultura occidentale? O, al contrario, è questa parentela che dal fondo<br />

dei tempi ha evocato e poi fissato il rito dell'imbarco? Una cosa almeno è certa:<br />

l'acqua e la follia sono legate per lungo tempo nei sonni dell'uomo europeo.<br />

… Da un lato Bosch, Brueghel, Thierry Bouts, Dürer 17 e tutto il silenzio delle<br />

immagini. È nello spazio della pura visione che la follia dispiega i suoi poteri.<br />

Fantasmi e minacce, pure apparenze del sogno e destino segreto del mondo: la<br />

follia detiene in questo caso una forza primitiva di rivelazione: rivelazione che<br />

l'onirico è reale, che la sottile superficie dell'illusione si apre su una profondità<br />

innegabile, e che il momentaneo brillio dell'immagine lascia il mondo in preda a<br />

16 Foucault allude a quel processo di formazione della coscienza che Fromm descriveva in questo<br />

modo: ”La «coscienza» è un aguzzino, che l'uomo mette entro se stesso. Lo spinge ad agire secondo<br />

desideri e fini che egli ritiene suoi, mentre in realtà sono l'interiorizzazione di imperativi sociali esterni.<br />

Lo perseguita con rigore e crudeltà, vietandogli il piacere e la felicità, rendendogli tutta la vita una<br />

espiazione di qualche misterioso peccato.”(vedi E. Fromm: “Il significato psico-sociale delle dottrine<br />

di Lutero e Calvino”, pag. 13). La tesi di fondo di Foucault è che il potere assoggetta l’individuo non solo<br />

nel senso di controllarlo ma soprattutto vincolandolo alla propria individualità che è una delle possibili,<br />

poiché nasce dalla rimozione di alcuni aspetti perché altri possano essere messi in risalto. Infatti, il<br />

potere si è servito dell’identificazione operata dalla scienza moderna a partire dal cogito cartesiano per giustificare<br />

“il grande internamento”da esso operato all’inizio dell’epoca moderna e “il grande internamento”–ovvero la<br />

segregazione dei “diversi”, folli, vagabondi, mendicanti in asili di pazzi, case di lavoro o prigioni - (entrambi gli<br />

aspetti saranno l’oggetto del secondo capitolo) altro non è che il segno di una loro criminalizzazione da parte della<br />

“ragione dominante”che, in ogni discorso o comportamento che pretende di deviare dalle sue regole, scorge il<br />

pericoloso delinearsi di un messaggio di ribellione.<br />

17 Pittori fiamminghi e tedeschi vissuti tra il XV e il XVI secolo<br />

27


simboli inquieti che si eternano nelle sue notti; e rivelazione inversa, ma altrettanto<br />

dolorosa, che tutta la realtà del mondo sarà assorbita un giorno nell'Immagine fantastica,<br />

nel momento<br />

intermedio dell'essere e del<br />

nulla che è il delirio della<br />

pura distruzione; il mondo<br />

già non è più, ma il silenzio<br />

e la notte non si sono<br />

ancora chiusi del tutto su di<br />

lui; esso vacilla in un<br />

ultimo scoppio, in un<br />

estremo disordine che<br />

precede immediatamente<br />

l'ordine monotono del<br />

compimento. È in questa<br />

immagine subito abolita<br />

P. Brueghel il Vecchio: Greta la pazza –1562<br />

che giunge a perdersi la<br />

verità del mondo. Tutte<br />

questa trama dell'apparenza<br />

e del segreto, dell'immagine immediata e dell'enigma non svelato si dispiega nella<br />

pittura del XV secolo come la tragica follia del mondo.<br />

Dall'altro lato, con Brandt 18 , con Erasmo 19 , con tutta la tradizione umanistica, la<br />

follia è accolta nell'universo del discorso. Essa viene raffinata, sottilizzata, ma<br />

anche disarmata. Essa viene considerata in un modo diverso; nasce nel cuore degli<br />

uomini, dà e toglie regola alla loro condotta; anche se governa le città, viene<br />

ignorata dalla calma verità delle cose e dalla grande natura. Essa sparisce in fretta<br />

quando appare l'essenziale, che è vita e morte, giustizia e verità. Può darsi che ogni<br />

uomo le sia sottomesso, ma il suo regno sarà sempre meschino e relativo; perché<br />

essa si mostrerà agli occhi del saggio nella sua mediocre verità. Per costui diventerà<br />

oggetto, e nel modo peggiore, perché sarà l'oggetto del suo riso. Anche in tal modo,<br />

i lauri che le vengono intrecciati la incatenano. Anche se fosse più saggia di ogni<br />

scienza, è necessario che s'inchini davanti alla saggezza che la considera follia. La<br />

follia può avere l'ultima parola, essa non è mai l'ultima parola della verità del<br />

mondo; il discorso con cui essa si giustifica deriva solo da una coscienza critica<br />

dell'uomo.<br />

Questo combaciare della coscienza critica e dell'esperienza tragica 20 anima tutto<br />

18 Sebastian Brant, (1458–1521), è stato un umanista e poeta satirico alsaziano, noto soprattutto per<br />

l'opera La nave dei folli, una satira allegorica e didascalica, stampata nel 1494 e accompagnata dalle<br />

litografie di Albrecht Dürer, che riscosse fin da subito un enorme successo letterario, testimoniato dalle<br />

numerose edizioni e traduzioni. Sotto forma di allegoria, una nave stipata di folli e guidata da folli, si<br />

dirige in un viaggio fantastico verso il paradiso dei folli, Narragonia, fino alla visita del Paese di<br />

Cuccagna e al tragico epilogo del naufragio finale. In quest'opera allegorica Brant sferza con<br />

implacabile vigore i vizi e le debolezze umane espresse dalla sua epoca.<br />

19 Erasmo da Rotterdam (1466-1536) persegue per tutta la vita l'ideale di una riforma delle cose umane<br />

e della religione ispirata dall’idea che il credente deve centrare la propria vita sull'imitazione di<br />

Cristo e la lettura personale della Bibbia: Erasmo provvede dunque a calare questo ideale nel<br />

modello umanistico del «ritorno alle fonti», redigendo un'edizione critica del Nuovo Testamento e<br />

di numerosi scritti dei Padri della Chiesa. A questo riguardo egli compone anche il Manuale del<br />

soldato cristiano, opera in cui, oltre a deplorare la corruzione monastica, sottolinea come la vera<br />

forza che produce conversione e rende autentici «soldati» cristiani è una vita ispirata al modello di<br />

Cristo, la «philosophia Christi». Lo scritto morale più noto di Erasmo è tuttavia l'Elogio della<br />

follia (1509) in cui la follia, personificata, tesse il proprio elogio, dimostrando come domini in tutte<br />

le cose umane, non lasciando indenni neppure il potere politico, la Chiesa e la cultura. Al termine<br />

della propria celebrazione, infine, cita le sue forme più alte: l'elevazione filosofica secondo l'ideale<br />

platonico e la fedeltà radicale all'insegnamento di Cristo<br />

20 La distinzione tra i due atteggiamenti risulta essenziale nel discorso di Foucault. L’esperienza tragica<br />

della follia consiste nella sua accettazione quale innegabile aspetto della personalità e dell’esperienza<br />

28


ciò che è stato sentito e formulato intorno alla follia all'inizio della Renaissance.<br />

Ma esso tuttavia sparirà presto e questa grande struttura, ancora così chiara e così<br />

spiccata all'inizio del XVI secolo, sarà scomparsa, o quasi, meno di cent'anni dopo.<br />

Sparire non è proprio il termine adatto a indicare con esattezza quanto è avvenuto.<br />

Si tratta piuttosto di un privilegio sempre più spiccato che la Renaissance ha<br />

accordato a uno degli elementi del sistema: a quello che faceva della follia<br />

un'esperienza nel campo del linguaggio, un'esperienza in cui l'uomo era confrontato<br />

alla sua verità morale, alle regole peculiari della sua natura e della sua verità. In<br />

breve, la coscienza critica della follia si è andata sempre più illuminando, mentre i<br />

suoi aspetti tragici si oscuravano progressivamente. Questi ultimi saranno presto<br />

del tutto evitati. Per molto tempo, si faticherebbe a trovarne la traccia; solo alcune<br />

pagine di Sade 21 e l'opera di Goya 22 testimoniano che questa sparizione non<br />

significa annientamento, che questa esperienza tragica sussiste ancora oscuramente<br />

nella notte del pensiero e dei sogni, e che nel XVI secolo non si è trattato di una<br />

distruzione radicale, ma soltanto di un occultamento. L'esperienza tragica e<br />

cosmica della follia è stata mascherata dai privilegi esclusivi di una coscienza<br />

critica. È per questo che l'esperienza classica, e attraverso di essa l'esperienza<br />

moderna della follia, non può essere considerata come un insieme totale in grado di<br />

arrivare in tal modo alla sua verità positiva; è un aspetto frammentario che<br />

abusivamente si presenta come esauriente; è un insieme squilibrato a causa di tutto<br />

ciò che gli manca, cioè a causa di tutto ciò che lo nasconde. Sotto la coscienza<br />

V. Van Gogh:<br />

Campo di grano<br />

con volo di<br />

corvi - 1890<br />

critica della follia e le sue norme<br />

filosofiche o scientifiche, morali o<br />

mediche, una sorda coscienza tragica<br />

non ha cessato di vegliare 23 .<br />

E lei che le ultime parole di<br />

Nietzsche 24 , le ultime visioni di Van<br />

Gogh 25 , hanno ridestato.<br />

È lei che indubbiamente Freud 26 ha cominciato a presentire all'estremità del suo<br />

cammino: sono le sue grandi lacerazioni che egli ha voluto simbolizzare con la<br />

lotta mitologica della libido e dell'istinto di morte. …<br />

umana, l’esperienza critica della follia, benchè non sia ancora, almeno nel Rinascimento, il rifiuto della<br />

follia, rappresenta però già un atteggiamento della ragione.<br />

21 Donatien-Alphonse-François de Sade, meglio conosciuto come Marchese de Sade, (1740–1814)<br />

scrittore, filosofo e aristocratico francese, autore di diversi libri erotici e di alcuni saggi filosofici, molti<br />

dei quali scritti mentre si trovava in prigione. Il suo nome è all'origine del termine sadismo,<br />

atteggiamento che emerge dai suoi romanzi. È considerato un esponente dell'ala più estremista del<br />

Libertinismo, nonché dell'Illuminismo più radicale.<br />

22 Francisco José de Goya y Lucientes (1746–1828) è stato un pittore e incisore spagnolo. Accanto a<br />

quadri idilliaci e a ritratti di reali e aristocratici spagnoli Goya ha mostrare un grande interesse per i<br />

criminali, scene violente, ingiustizie sociali, nonché per la stregoneria, un tema affrontato in alcune<br />

grandi opere pittoriche. L'interesse di Goya per il mondo magico e stregonesco nasce da un forte<br />

spirito critico sia verso le superstizioni popolari sia verso l'ipocrisia dell'aristocrazia e del clero di<br />

quell'epoca,: un fatto che emerge chiaramente dalla lettura dei manoscritti dello stesso Goya.<br />

23 La follia è considerata da Foucault non come malattia mentale che si oppone alla salute mentale, ma<br />

come prodotto storico dell’azione dei saperi (vedi più avanti la discussione sul dubbio cartesiano) e<br />

delle istituzioni (vedi l’analisi delle pratiche dell’internamento). Per Foucault la follia deve essere<br />

considerata una modalità dell’esistenza umana che come tale può essere rimossa ma non cancellata; in<br />

ogni caso la sua esclusione comporta un impoverimento dell’esperienza umana. A riprova della sua<br />

tesi l’autore ha già citato Sade e Goya e nel seguito citerà ancora Nietzsche, Van Gogh e Freud la cui<br />

opera è in diversi modi legata alla follia.<br />

24 F. Nietzsche (1844-1900), filosofo tedesco la cui vita risultò fortemente determinata dalla pazzia e il<br />

cui pensiero è risultato determinante per gli sviluppi di molta della filosofia del Novecento.<br />

25 V. Van Gogh (1853-1890), pittore olandese la cui biografia è anch’essa legata alla malattia mentale,<br />

ma la cui opera è stata fondamentale per la pittura successiva.<br />

26 S. Freud (1856-1939) il fondatore della psicoanalisi, vedi nota n 1.<br />

29


Sono queste estreme scoperte ed esse sole che ci consentono oggi di giudicare<br />

infine che l'esperienza della follia che si estende a partire dal XVI secolo fino ad<br />

oggi deve la sua fisionomia particolare e l'origine del suo significato a questa<br />

assenza, a questa notte e a tutto ciò che la riempie. Bisogna reinterpretare in una<br />

dimensione verticale la bella rettitudine che conduce il pensiero razionale fino<br />

all'analisi della follia come malattia mentale; sarà chiaro allora che sotto ognuna<br />

delle sue forme essa maschera in modo più completo, e anche più pericoloso,<br />

questa esperienza tragica, che tuttavia non ha potuto domare del tutto. Nel punto<br />

estremo della coercizione era necessaria la deflagrazione alla quale assistiamo a<br />

partire da Nietzsche.<br />

Ma come si sono costituiti nel XVI secolo, i privilegi della riflessione critica?<br />

In che modo l'esperienza della follia si è trovata infine confiscata da essi, tanto che<br />

sulla soglia dell'età classica tutte le immagini tragiche evocate nell'epoca<br />

precedente si saranno dissolte nell'ombra? In che modo si è concluso quel movimento<br />

che faceva dire ad Artaud 27 : "La Renaissance del XVI secolo ha rotto con<br />

una realtà che aveva le sue leggi, forse sovrumane, ma naturali; e l'Umanesimo<br />

della Renaissance non fu un ingrandimento ma una diminuzione dell'uomo"?<br />

Riassumiamo brevemente quanto in questa evoluzione è indispensabile per<br />

capire l'esperienza che il classicismo ha fatto della follia.<br />

1 °. La follia diventa una forma relativa alla ragione, o piuttosto follia e ragione<br />

entrano in una reazione eternamente reversibile che fa sì che ogni follia ha la sua<br />

ragione che la giudica e la domina, e ogni ragione la sua follia nella quale essa<br />

trova la sua verità derisoria. Ciascuna è la misura dell’altra, e in questo movimento<br />

di riferimento reciproco esse si respingono l'un l'altra, ma si fondano l'una per<br />

mezzo dell'altra. …<br />

2° La follia diviene una delle forme stesse della ragione. Essa si integra all'altra,<br />

costituendo tanto una delle sue forze segrete, quanto un momento della sua<br />

manifestazione, quanto ancora una forma paradossale nella quale essa può prendere<br />

coscienza di se stessa. In ogni modo, la follia non acquista significato né valore se<br />

non nel campo stesso della ragione.<br />

“La presunzione è la nostra malattia naturale e originaria. L'uomo è la più infelice e<br />

la più fragile fra tutte le creature, e nello stesso tempo la più orgogliosa. Egli si<br />

vede e si sente abitare qui, nella melma e nello sterco del mondo, legato e<br />

incatenato alla peggiore, alla più morta e alla più imputridita parte dell'universo,<br />

nell'infimo piano dell'abitazione e nel più lontano dalla volta celeste, con gli<br />

animali della peggior condizione fra le tre 28 ; e va a porsi con l'immaginazione sopra<br />

il cerchio della luna, mettendo il cielo sotto i piedi. Attraverso la vanità di questa<br />

stessa immaginazione egli si eguaglia a Dio”. Tale è la peggiore delle follie: non<br />

riconoscere la miseria nella quale si è imprigionati, la debolezza che ci impedisce<br />

di accedere al vero e al bene; non sapere quale parte di follia ci spetta. Rifiutare<br />

questa sragione che è il segno stesso della nostra condizione significa rinunciare a<br />

usare per sempre in modo ragionevole la propria ragione. Perché se la ragione<br />

esiste, essa consiste proprio nell'accettare questo cerchio continuo della saggezza e<br />

della follia, nell'essere chiaramente coscienti della loro reciprocità e della loro<br />

impossibile separazione. …<br />

Visitando Torquato Tasso in preda al delirio, Montaigne 29 prova più dispetto che<br />

27<br />

Antonin Artaud (1896-1948), saggista, regista e attore, ha scritto, un anno prima della morte, un saggio<br />

suVan Gogh, il suicida della società.<br />

28<br />

Ovvero la condizione terrestre. Alle altre due appartengono gli acquatici e i volatili. La citazione è<br />

tratta da Montaigne (vedi nota successiva).<br />

29<br />

Michel Eyquem de Montaigne (1533-1592), francese, il cui pensiero è legato a un recupero dello<br />

stoicismo e dello scetticismo e la cui opera principale è costituita dai Saggi, di cui i primi due libri<br />

escono nel 1580 .I Saggi divengono via via una raccolta di meditazioni di costume e personali, le<br />

quali traggono alimento anche da un lungo viaggio in diversi paesi d'Europa, fra cui l'Italia. Le<br />

30


pietà; ma in fondo, più di tutto ancora, prova ammirazione. Dispetto, indubbiamente<br />

nel vedere che la ragione è infinitamente vicina alla più profonda follia, anche<br />

quando tocca le sue cime: "Chi non sa quanto è impercettibile la vicinanza tra la<br />

follia e gli arditi innalzamenti di uno spirito libero, e gli effetti di una virtù suprema<br />

e straordinaria?" Ma in questo egli trova anche motivo per una paradossale<br />

ammirazione. È questo segno che la ragione ricava le più strane risorse da quella<br />

stessa follia. Se il Tasso, "uno dei poeti italiani più giudiziosi, più ingegnosi e più<br />

formati all'aria di quell'antica e pura poesia", si trova ora "in uno stato così pietoso,<br />

sopravvivendo a se stesso", non lo deve a "questa sua vivacità omicida? a questa<br />

chiarezza che l'ha accecato? a questa esatta e tenera comprensione della ragione<br />

che l'ha privato della ragione? alla curiosa e laboriosa ricerca delle scienze che l'ha<br />

condotto alla stupidità? a questa rara attitudine agli esercizi dell'anima che l'ha<br />

ridotto senza esercizio e senz'anima?" Se la follia giunge a sanzionare lo sforzo<br />

della ragione è perché essa faceva già parte di questo sforzo: la vivacità delle<br />

immagini, la violenza della passione, questo grande ritrarsi dello spirito in se<br />

stesso, che appartengono davvero alla follia, sono gli strumenti della ragione più<br />

pericolosi, perché più acuti. Non c'è ragione tanto forte da non doversi arrischiare<br />

nella follia per giungere al termine dell'opera, "nessun grande spirito senza<br />

mescolanza di follia ... In questo senso i saggi e i migliori poeti hanno talvolta<br />

consentito a folleggiare e a uscire dai gangheri ". La follia è un momento duro ma<br />

necessario nel lavorio della ragione; attraverso di essa, e perfino nelle sue vittorie<br />

apparenti, la ragione si manifesta e trionfa. La follia non era per essa se non la sua<br />

forza viva e segreta .<br />

A poco a poco la follia si trova disarmata, e i tempi stessi spostati; investita dalla<br />

ragione essa è come accolta e trapiantata in lei. Tale fu dunque il ruolo ambiguo di<br />

questo pensiero scettico o piuttosto di questa ragione così vivamente cosciente<br />

delle forme che la limitano e delle forze che la contraddicono: essa scopre la follia<br />

come uno dei suoi aspetti particolari (e questo è un modo di scongiurare tutto ciò<br />

che può essere potere esterno, ostilità irriducibile, segno di trascendenza) ma al<br />

tempo stesso essa pone la follia al centro del suo lavoro, designandola come un<br />

momento essenziale della propria natura. E oltre Montaigne, ma sempre in questo<br />

movimento di inserzione della follia nella natura stessa della ragione, vediamo<br />

disegnarsi la curva della riflessione di Pascal : «Gli uomini sono così<br />

necessariamente folli che il non esser folle equivarrebbe a esserlo secondo un'altra<br />

forma di follia". Riflessione in cui è raccolto e ripreso tutto il lungo lavoro che<br />

comincia con Erasmo: scoperta di una follia immanente alla ragione; in<br />

seguito, sdoppiamento: da una parte, una "folle follia" che rifiuta la follia<br />

caratteristica della ragione, e che, rifiutandola, la raddoppia: e in questo<br />

raddoppiamento cade nella più semplice, nella più chiusa, nella più immediata<br />

delle follie; dall'altra parte, una "saggia follia" che accoglie la follia della<br />

ragione, l'ascolta, riconosce i suoi diritti di cittadinanza, e si lascia penetrare<br />

dalle sue forze vive: ma in tal modo si protegge dalla follia più realmente di quanto<br />

possa fare l'ostinazione di un rifiuto sempre sconfitto in partenza.<br />

Il fatto è che ora la verità della follia è una sola e stessa cosa con la vittoria della<br />

ragione e il suo definitivo dominio: perché la verità della follia è di essere<br />

all'interno della ragione, di esserne un aspetto, una forza e come un bisogno<br />

momentaneo per diventare più sicura di se stessa.<br />

nuove aggiunte dell'edizione 1588 hanno richiesto un terzo libro: la morte coglie l'autore pochi anni<br />

dopo mentre sta preparando un'ulteriore edizione ampliata. I Saggi, opera fortemente originale per<br />

il suo tempo, procede per suggestioni e temi, coerente con la concezione sviluppata dall'autore<br />

sull'impossibilità di una filosofia generale e sistematica. Il tempo tormentato in cui vive<br />

(caratterizzato dalla crisi del geocentrismo, dalla scoperta delle Americhe, dalla Riforma e dalle<br />

guerre di religione) convince Montaigne che la vita di ognuno è incerta e soggetta a continui<br />

mutamenti: di fronte a tutto ciò filosofare può essere solo andare alla ricerca di un'adeguata saggezza<br />

di vita e «imparare a morire».<br />

31


Forse è qui il segreto della sua presenza molteplice nella letteratura della fine del<br />

XVI secolo e dell'inizio del XVII, un'arte che, nel suo sforzo di dominare questa<br />

ragione che cerca se stessa, riconosce la presenza della follia, della sua follia, la<br />

circonda, la investe, per trionfare infine. Giochi di un'età barocca.<br />

Ma qui come nel pensiero, si compie tutto un lavoro che porterà anch'esso alla<br />

conferma dell'esperienza tragica della follia in coscienza critica. Tralasciamo per il<br />

momento questo fenomeno e lasciamo che risaltino, nella loro indifferenza, gli<br />

aspetti che possiamo trovare tanto nel Don Chisciotte quanto nel Re-Lear … .<br />

Nell’opera di Shakespeare troviamo le follie che si imparentano con la morte e<br />

l’assassinio; in quella di Cervantes le forme che si assoggettano alla<br />

presunzione e a tutti i compiacimenti dell’immaginazione. Ma questi sono alti<br />

modelli che gli imitatori indeboliscono e disarmano. E indubbiamente l’uno e l'altro<br />

sono più i testimoni di un'esperienza della Follia nata nel XV secolo che quelli di<br />

un’esperienza critica e morale della Sragione che pur tuttavia si sviluppa nel loro<br />

secolo. Al di là del tempo, essi si ricollegano a un significato che sta per sparire la cui<br />

continuità sarà proseguita solo nelle tenebre…<br />

In Cervantes o in Shakespeare la follia occupa sempre una posizione estrema, nel<br />

senso che essa è senza rimedio. Niente la riporta mai alla verità e alla ragione. La<br />

follia nei suoi vani ragionamenti, non è vanità; il vuoto che la riempie è "un male molto al<br />

di là della mia scienza", come dice il medico a proposito di Lady Macbeth; è già la<br />

pienezza della morte: una follia che non ha bisogno di medico, ma della sola misericordia<br />

divina.. … Indubbiamente la morte di Don Chisciotte avviene in un paesaggio<br />

placato, che si è ricollegato all'ultimo istante con la ragione e con la verità.<br />

Tutt'a un tratto la follia del Cavaliere ha preso coscienza di se stessa e davanti ai<br />

propri occhi si tramuta in stupidità. Ma questa brusca saggezza della propria<br />

follia è qualcosa di diverso da "una nuova follia che gli è appena entrata<br />

nella testa"? Ecco un equivoco eternamente riversibile,<br />

che non può essere risolto, in ultima analisi,<br />

se non dalla morte stessa. La follia dissolta non può<br />

che confondersi con l'imminenza della fine; "e uno<br />

dei sintomi dai quali congetturarono che il malato<br />

stava per morire fu il fatto di essere tornato così<br />

in fretta dalla follia alla ragione". Ma la morte<br />

stessa non arreca la pace: la follia trionferà ancora:<br />

verità derisoriamente eterna, al di là del termine di<br />

una vita che tuttavia si era liberata della follia con<br />

questo stesso termine. Ironicamente la sua vita<br />

insensata lo insegue e lo immortalizza solo con la<br />

sua demenza; la follia è ancora la vita imperitura<br />

della morte: "Qui giace l'hidalgo temibile, che<br />

spinse così lontano il valore che la morte non poté<br />

trionfare della vita nel suo trapasso"<br />

Ma ben presto la follia abbandona queste regioni<br />

estreme in cui Cervantes e Shakespeare l'avevano<br />

collocata; e nella letteratura dell'inizio secolo<br />

occupa di preferenza una posizione mediana…<br />

Il fatto è che essa non è più considerata nella sua<br />

H. Bosch Trittico delle<br />

delizie, Giardino delle<br />

delizie (particolare) – 1510<br />

circa<br />

realtà tragica, nell'assoluta lacerazione che la<br />

introduce nell'altro mondo; ma solo nell’ironia delle<br />

sue illusioni. … Nasce l'esperienza classica della<br />

follia. Si attenua la grande minaccia sorta<br />

all'orizzonte del XV secolo, i poteri inquietanti che<br />

erano presenti nella pittura di Bosch hanno perduto la<br />

loro violenza. Sussistono alcune forme, ora trasparenti e docili, che costituiscono<br />

un corteo, l'inevitabile corteo della ragione. La follia ha cessato d'essere un simbolo<br />

32


escatologico ai confini del mondo, dell’uomo e della morte; la notte sulla quale<br />

essa fissava lo sguardo, e dalla quale nascevano le forme dell'impossibile, si<br />

dissolta. L’oblio cade sul mondo che era solcato dalla libera schiavitù della sua<br />

Nave: essa non andrà più, nel suo strano passaggio, da un aldiquà del mondo a un<br />

aldilà; essa non sarà mai più questo confine fuggitivo e assoluto. Eccola<br />

solidamente ormeggiata in mezzo alle cose e alle genti. Trattenuta e tenuta ferma.<br />

Non più barca ma ospedale.<br />

L’età moderna: il grande internamento<br />

L'età classica ridurrà al silenzio, con uno strano colpo di forza, la Follia, le cui<br />

voci erano appena state liberate dalla Renaissance, ma la cui violenza era stata già<br />

dominata.<br />

Nel cammino del dubbio, Descartes incontra la follia accanto al sogno e a tutte le<br />

forme d'errore. Questa possibilità di essere folle non rischia di privarlo del suo<br />

corpo, così come il mondo esterno può dissimularsi nell'errore, o la coscienza<br />

addormentarsi nel sogno? "Come potrei negare che queste mani e questo corpo mi<br />

appartengono, se non forse paragonandomi a certi insensati il cui cervello è<br />

talmente confuso e offuscato dai neri vapori della bile che essi affermano costantemente<br />

di essere dei re mentre sono poverissimi, di esser vestiti di porpora e d'oro<br />

mentre sono tutti nudi, o si immaginano d'essere delle brocche o di avere un corpo<br />

di vetro?" Ma Descartes non evita lo scoglio della follia nello stesso modo in cui<br />

aggira l'eventualità del sogno o dell'errore. In realtà, per quanto siano ingannatori, i<br />

sensi non possono alterare che «le cose molto poco sensibili e molto lontane»; la<br />

forza delle loro illusioni lascia sempre un residuo di verità, «il fatto d'esser qui,<br />

vicino al fuoco, in vestaglia». Quanto al sogno, esso può, come l'immaginazione<br />

dei pittori, rappresentare «sirene o satiri con figure bizzarre e straordinarie»; ma<br />

non può né creare né comporre da solo quelle cose «più semplici e più universali»<br />

la cui disposizione rende possibili le immagini fantastiche: «A questo genere di<br />

cose appartiene la natura corporale in generale e la sua estensione». Queste sono<br />

così poco fittizie da assicurare ai sogni la loro verosimiglianza: inevitabili indizi di<br />

una verità che il sogno non giunge a compromettere. Né il sogno popolato di<br />

immagini né la chiara coscienza che i sensi ci ingannano possono portare il dubbio<br />

fino al punto estremo della sua universalità; ammettiamo pure che gli occhi ci<br />

deludano, «supponiamo ora di essere addormentati», la verità non scivolerà per<br />

intero nella notte.<br />

Per la follia, è tutt'altra cosa; se i suoi pericoli non compromettono né il<br />

cammino né l'essenziale della verità, ciò non deriva dal fatto che una certa cosa,<br />

perfino nel pensiero di un folle, non può essere falsa; ma dal fatto che io che penso<br />

non posso essere folle. Quando io credo di avere un corpo, sono sicuro di possedere<br />

una verità più solida di colui che si immagina di avere un corpo di vetro?<br />

Certamente, perché «essi sono dei folli, e io non sarei meno stravagante di loro se<br />

mi regolassi sul loro esempio". Non è il permanere di una verità che garantisce il<br />

pensiero contro la follia, come gli permetteva di liberarsi da un errore o di<br />

emergere da un sogno; è un'impossibilità di essere folle, essenziale non all'oggetto<br />

del pensiero, ma al soggetto pensante. Si può supporre di sognare e d'identificarsi<br />

col soggetto che sogna per trovare "qualche ragione per dubitare": la verità appare<br />

ancora, come condizione della possibilità del sogno. Non si può, in compenso,<br />

supporre, neppure col pensiero, di esser folle, perché la follia è proprio<br />

l'impossibilità del pensiero: "Non sarei meno stravagante di loro" 30 ....<br />

30 Il dubbio è, naturalmente, quello a cui Cartesio, nelle Meditazioni metafisiche (1641-1642),<br />

sottopone tutto il nostro sapere per raggiungere, attraverso di esso, la certezza del cogito. Foucault<br />

allude qui al fatto che, nella prima Meditazione, nel corso dell'operazione del dubbio, Cartesio<br />

33


Nell'economia del dubbio c'è uno squilibrio fondamentale tra follia da una parte,<br />

sogno ed errore dall'altra. La loro situazione è diversa in rapporto alla verità e a<br />

colui che la cerca; sogni e illusioni sono superati nella struttura stessa della verità;<br />

ma la follia è esclusa dal soggetto che dubita. Come; ben presto sarà escluso che<br />

egli non pensi e che non esista Una certa decisione è stata presa, dal tempo degli<br />

Essais 31 . Quando Montaigne incontrava il Tasso, niente lo assicurava del fatto che<br />

ogni pensiero non fosse intriso di sragione. E il popolo? Il "povero popolo<br />

ingannato da queste follie"? L'uomo di pensiero è al sicuro da queste stravaganze?<br />

Egli stesso "perlomeno altrettanto da compiangere". E quale ragione potrebbe<br />

renderlo giudice della follia? "La ragione mi ha insegnato che il condannare così<br />

risolutamente una cosa come falsa e impossibile significa presumere di avere nella<br />

testa i confini e i limiti della volontà di Dio e della potenza di nostra madre Natura,<br />

e tuttavia non esiste al mondo follia più grande del riportarle alla misura della<br />

nostra capacità e della nostra sicumera". Fra tutte le altre forme di illusione, la<br />

follia traccia una delle vie del dubbio più frequentate ancora nel XVI secolo. Non si<br />

è mai sicuri di non sognare, non si è mai certi di<br />

non essere folli: "Quante volte non ci viene in<br />

mente la quantità di contraddizioni che noi<br />

sentiamo nel nostro stesso giudizio?"<br />

Ora, Descartes ha acquistato questa certezza e la<br />

conserva solidamente: la follia non può più<br />

riguardarlo. Sarebbe una stravaganza il supporre<br />

d'essere stravagante; come esperienza di pensiero<br />

la follia si implica da sola e conseguentemente si<br />

esclude dal progetto. Così il rischio della follia è<br />

scomparso dall'esercizio stesso della Ragione.<br />

Quest'ultima è ridotta a un pieno possesso di se<br />

stessa, in cui non può incontrare altre insidie che<br />

l'errore, altri pericoli che l'illusione. Il dubbio di<br />

Descartes scioglie gli incanti dei sensi, attraversa<br />

i paesaggi del sogno, guidato sempre dalla luce<br />

F. Goya: Il sonno della ragione fadelle<br />

cose vere; ma egli scaccia la follia in nome<br />

nascere mostri - 1793-98 di colui che dubita, e che non può più sragionare<br />

come non può non pensare o non essere. La<br />

problematica della follia - quella di Montaigne –è con ciò stesso modificata 32 . ...<br />

La Non-Ragione del XVI secolo formava una sorta di rischio aperto, le cui minacce<br />

potevano sempre, almeno di diritto, compromettere i rapporti della soggettività e<br />

della verità. Il procedere del dubbio cartesiano sembra testimoniare che nel XVII<br />

secolo il pericolo si trova scongiurato e che la follia viene posta fuori dal dominio<br />

di pertinenza nel quale il soggetto detiene i suoi diritti alla verità quel dominio che<br />

per il pensiero classico era la ragione stessa. Ormai la follia è esiliata. Se l'uomo<br />

può sempre essere folle, il pensiero, come esercizio della sovranità da parte di un<br />

ammette le esperienze del sogno e dell'errore come possibilità della ragione: la nostra ragione è così<br />

fatta che può confondere il sogno e la veglia, il falso e il vero. Egli esclude invece a priori che la follia<br />

possa investire la ragione come tale: se siamo esseri ragionevoli, non c'è alcun posto in noi per la follia,<br />

e viceversa. La follia è dunque una condizione che deve essere scartata a priori, esclusa dal soggetto<br />

che pensa.<br />

31 Sono i Saggi (1580-1592) di M. de Montaigne. Come è stato detto Montaigne, come altri esponenti<br />

della cultura rinascimentale (ad esempio Shakespeare), dà ancora piena dignità alla follia, dubita<br />

seriamente della superiorità della ragione su di essa.<br />

32 I1 cogito cartesiano ha spazzato via l’dea di complementarità fra ragione e follia che la riflessione del<br />

dubbio aveva anch'essa incontrato: la costituzione della razionalità moderna si realizza mediante<br />

questa operazione teorica. All’atto teoretico di esclusione della Sragione da parte del fondatore del<br />

razionalismo moderno corrisponderà l’internamento dei folli nei manicomi da parte del potere statale,<br />

come verrà esaminato nel seguito. Il punto di vista della ragione, della scienza matematica è quello che<br />

dà senso al mondo. Tutto ciò che è "insensato" viene fieramente combattuto.<br />

34


soggetto che si accinge a percepire il vero, non può essere insensato. Viene<br />

tracciata una linea di separazione che renderà ben presto impossibile l'esperienza,<br />

così familiare alla Renaissance, di una Ragione sragionevole e di una ragionevole<br />

Sragione. Fra Montaigne e Descartes si è prodotto un avvenimento: qualcosa che<br />

riguarda l'avvento di una ratio. Ma la storia di una ratio come quella del mondo<br />

occidentale è ben lontana dall'esaurirsi nel progresso di un "razionalismo"; essa è<br />

costituita, in parte altrettanto grande, anche se più segreta, dal movimento con cui<br />

la Sragione è sprofondata nel nostro suolo, per sparirvi senza dubbio, ma per<br />

prendervi radice 33 .<br />

È quest'altro aspetto dell'avvenimento classico che bisognerebbe ora render<br />

chiaro.<br />

Più di un sintomo lo tradisce, e non tutti derivano da un'esperienza filosofica o<br />

dallo sviluppo del sapere. Quello di cui vorremmo parlare appartiene a una<br />

superficie culturale assai vasta. Esso viene segnalato con molta precisione da una<br />

serie di date e, insieme con queste, da un complesso di istituzioni.<br />

È noto che il XVII secolo ha creato grandi case di internamento; ma è meno noto<br />

che in pochi mesi più di un parigino su cento ci si è trovato rinchiuso. Si sa che<br />

il potere assoluto ha fatto uso di lettres de cachet e di misure arbitrarie di<br />

imprigionamento; ma non si conosce altrettanto bene la coscienza giuridica che<br />

poteva animare queste pratiche. A partire da Pinel, Tuke, Wagnitz 34 , si sa che<br />

per un secolo e mezzo i folli sono stati sottoposti al regime di questo<br />

internamento, e che un giorno saranno scoperti nelle sale dell'Hopital général,<br />

nelle segrete delle case di correzione; ci si accorgerà che essi erano mescolati alla<br />

popolazione delle workhouses. Ma non è affatto accaduto che si precisasse con<br />

chiarezza quale fosse il loro statuto, né quale senso avesse quel vicinato che<br />

sembrava assegnare una stessa patria ai poveri, ai disoccupati, ai corrigendi e<br />

agli insensati. È fra le mura dell'internamento che Pinel e la psichiatria del XIX<br />

secolo incontrò i folli; e là, non dimentichiamolo, che li lasceranno, non senza<br />

gloriarsi di averli "liberati". A partire dalla metà del XVII secolo la follia è<br />

stata legata a questa terra dell'internaménto e al gesto che gliela indicava come suo<br />

1uogo naturale.<br />

Prendiamo i fatti nella loro formulazione più semplice, poiché l'internamento<br />

degli alienati è la struttura più - vistosa nell'esperienza classica della follia, e sarà<br />

la pietra dello scandalo quando questa esperienza sparirà dalla cultura occidentale.<br />

"Io li ho visti nudi, coperti di stracci, senz'altro che un pò di paglia per<br />

proteggessi dalla fredda umidità del selciato sul quale sono distesi. Li ho<br />

visti grossolanamente nutriti, privati d'aria per respirare, d'acqua per spegnere<br />

la loro sete, e delle cose più necessarie alla vita. Li ho visti in balìa di veri<br />

carcerieri, abbandonati alla loro brutale sorveglianza. Li ho visti in stambugi<br />

stretti, sporchi, infetti, senz'aria, senza luce, rinchiusi in antri dove si temerebbe di<br />

rinchiudere le bestie feroci che il lusso dei governi mantiene con grandi spese<br />

nelle capitali".<br />

Una data può servire come punto di riferimento: 1656, decreto di fondazione<br />

dell'Hópital général, a Parigi. A prima vista si tratta solo di una riforma: appena<br />

d'una riorganizzazione amministrativa. Diverse istituzioni già esistenti sono raggruppate<br />

sotto un'unica amministrazione: la Salpétrière, ricostruita sotto il regno<br />

33 La Sragione, tutto ciò che è escluso dalla Ragione (non solo la follia, ma come vedremo anche la<br />

povertà, la delinquenza, le malattia veneree, il rifiuto di conformarsi all'etica del lavoro e alla morale<br />

sessuale corrente) viene ridotta al silenzio, ma rimane presente. Non esiste, quindi, un progresso dalla<br />

Sragione alla Ragione, come volevano l'Illuminismo e parte del positivismo; per questo Foucault dice<br />

che la Sragione «è sprofondata nel nostro suolo, per sparirvi senza dubbio, ma per prendervi<br />

radice». Prendervi radici e riemergere, grazie alla voce di artisti, poeti e filosofi «estremi», come aveva<br />

osservato precedentemente.<br />

34 Precursori della moderna psichiatria.<br />

35


precedente per mettere al coperto un arsenale; Bicétre, che Luigi XIII aveva voluto<br />

dare alla commenda di Saint-Louis per farne una casa di riposo destinata agli<br />

invalidi dell'esercito … Tutto è ora destinato ai poveri di Parigi "di ogni sesso,<br />

provenienza ed età, di qualsiasi tipo ed estrazione, e in qualunque condizione si<br />

trovino, validi o invalidi, malati o convalescenti, curabili o incurabili". Si<br />

tratta di accogliere, di alloggiare e di nutrire coloro che si presentano da soli,<br />

o che sono inviati dall'autorità reale o giudiziaria; bisogna anche provvedere alla<br />

sussistenza, alla buona tenuta, all'ordine generale di quelli che non hanno potuto<br />

trovarvi posto, ma che potrebbero esservi o che lo meriterebbero. Questo incarico è<br />

affidato a direttori nominati a vita, che esercitano i loro poteri non solo negli<br />

edifici dell'Hópital, ma in tutta la città di Parigi, su tutti coloro che appartengono<br />

alla loro giurisdizione: "Essi hanno ogni potere di autorità, di direzione, di<br />

amministrazione, di commercio, di polizia, di giurisdizione, di correzione e<br />

punizione su tutti poveri di Parigi, tanto fuori che dentro l'Hópital général". Inoltre i<br />

direttori nominano un medico con stipendio annuo di mille lire; questi risiede alla<br />

Pitié, ma deve visitare ogni casa dell'Hópital due volte alla settimana. Un fatto è<br />

chiaro fin dall'inizio: l'Hópital général non è un'istituzione medica. È piuttosto una<br />

struttura semigiuridica, una specie di entità amministrativa che, accanto ai poteri<br />

già costituiti, e al di fuori dei tribunali, decide, giudica ed esegue. "A tal scopo i<br />

direttori avranno, secondo il loro avviso, pali, berline, prigioni e segrete nel suddetto<br />

Hópital général e nei luoghi che ne dipendono, e non è concessa facoltà di appello<br />

contro le disposizioni che saranno da loro prese per l'interno del suddetto Hópital; e<br />

quanto a quelle che verranno deliberate per l'esterno, saranno eseguite nella forma e<br />

nel contenuto<br />

indipendentemente da<br />

qualsiasi "opposizione o<br />

protesta presente o futura, e<br />

senza loro pregiudizio, e non<br />

saranno differite, nonostante<br />

ogni rifiuto e contestazione. "<br />

F. Goya:Il manicomio (particolare)<br />

Sovranità quasi assoluta,<br />

giurisdizione senza appello,<br />

diritto esecutivo contro il<br />

quale niente può prevalere;<br />

l'Hópital général è uno<br />

strano potere che il re crea<br />

tra la polizia e la giustizia,<br />

ai limiti della legge: il<br />

terzo stato della repressione.<br />

A questo mondo<br />

apparterranno gli alienati<br />

trovati da Pinel a Bicétre e<br />

alla Salpétrière… .<br />

In qualche anno tutto un<br />

reticolato è stato gettato sull'Europa. Alla fine del XVIII secolo Howard 35<br />

comincerà a percorrerlo; attraverso l'Inghilterra, l'Olanda, la Germania, la<br />

Francia, l'Italia, la Spagna, egli farà il pellegrinaggio di tutte le più importanti<br />

sedi d'internamento - "ospedali, prigioni, case di correzione" - e la sua filantropia<br />

si indignerà che si siano potuti relegare tra le stesse mura dei condannati di diritto<br />

comune, dei ragazzetti che turbavano il riposo della loro famiglia o ne dilapidavano<br />

35 John Howard , filantropo quacchero, il cui impegno risultò decisivo per il declino delle sanzioni<br />

corporali e la loro sostituzione, nell'arco di pochi decenni, con quella detentiva. Nel 1777, pubblicò una<br />

relazione sullo stato delle prigioni, proponendo il principio dell'isolamento come fattore di penitenza e<br />

di redenzione.<br />

36


le sostanze, della gente malfamata e degli insensati… . Qual era dunque la realtà<br />

presa di mira attraverso tutta questa popolazione, che si è trovata reclusa da un<br />

giorno all'altro o quasi, e bandita più severamente dei lebbrosi? Non bisogna<br />

dimenticare che pochi anni dopo la sua fondazione 1'Hopital général di Parigi<br />

raggruppava seimila persone, cioè circa l'uno per cento della popolazione. È stato<br />

necessario che si sia formata, sordamente e certo nel corso di lunghi anni, una<br />

sensibilità sociale comune alla cultura europea, e che bruscamente comincia a<br />

manifestarsi nella seconda metà del XVII secolo: è essa a isolare di colpo questa<br />

categoria destinata a popolare i luoghi d’internamento. …<br />

L'usanza dell'internamento indica una nuova reazione alla miseria, un nuovo<br />

patetico e, più in generale, un rapporto diverso dell'uomo verso ciò che può esserci di<br />

disumano nella sua esistenza. Il povero, il miserabile, l'uomo che non è padrone<br />

della propria esistenza, ha assunto lungo il XVI secolo un aspetto che il Medioevo<br />

non avrebbe riconosciuto.<br />

La Renaissance ha spogliato la miseria della sua positività mistica. E questo<br />

attraverso un duplice movimento di pensiero che toglie alla Povertà il suo significato<br />

assoluto, e alla Carità il valore che essa ricava dal soccorso a questa Povertà.<br />

Nel mondo di Lutero, in quello di Calvino soprattutto, le volontà particolari di Dio -<br />

questa "bontà singolare di Dio verso ognuno" - non lasciano alla felicità o<br />

all'infelicità, alla ricchezza o alla povertà, alla gloria o alla miseria, la cura<br />

di parlare da sole… La volontà singolare di Dio, quando si rivolge al povero, non<br />

gli parla di gloria promessa ma di predestinazione. Dio non esalta il povero in una<br />

specie di glorificazione inversa; lo umilia volontariamente nella sua collera, nel suo<br />

odio … Povertà significa punizione: "È per suo comando che il cielo s'indurisce,<br />

che i frutti sono divorati e consumati dalle acquerugiole e da altri elementi<br />

corruttori; e ogniqualvolta le vigne, i campi e i prati sono devastati dalla<br />

grandine e dalle tempeste, anche questo è testimonianza di qualche punizione<br />

speciale esercitata da lui" 36 La povertà e la ricchezza cantano nel mondo la stessa<br />

onnipotenza di Dio; ma il povero non può invocare che il malcontento del Signore,<br />

poiché la sua esistenza porta il marchio della maledizione di lui; così bisogna esortare<br />

"i poveri alla pazienza, affinché coloro che non si contentano del loro stato si<br />

sforzino, per quanto è loro possibile, di scuotere il giogo imposto loro da Dio".<br />

Quanto all'opera di carità, che cosa le può conferire il suo valore? Non la povertà che<br />

essa soccorre, in quanto quest'ultima non contiene più una gloria particolare; non<br />

colui che la compie, poiché attraverso il suo gesto si fa strada ancora una volontà<br />

singolare di Dio. Non è l'opera che giustifica ma la fede che la abbarbica a Dio.<br />

"Gli uomini non possono essere giustificati davanti a Dio per i loro sforzi, i loro<br />

meriti o le loro opere ma gratuitamente, per l'amore di Cristo e attraverso la<br />

fede". È noto questo grande rifiuto delle opere in Calvino, la cui proclamazione<br />

doveva risuonare così lontano nel pensiero protestante: "No, le opere non sono<br />

necessarie; no, esse non servono a niente per la santità". Ma questo rifiuto<br />

riguarda solo il significato delle opere in rapporto a Dio e alla salvezza; come ogni<br />

atto umano, esse portano i segni della finitezza e le stigmate della caduta; in questo<br />

"esse non sono che peccati e sudiciume". Ma sul piano umano le opere<br />

hanno un senso; se sono senza efficacia per la salvezza, hanno valore di<br />

indicazione e di testimonianza per la fede: "La fede non solo non ci rende<br />

negligenti alle buone azioni, ma è anzi la radice dalla quale esse sono<br />

prodotte". …<br />

Per strade diverse –e non senza molte difficoltà- il cattolicesimo giungerà alle<br />

stesse conclusioni approvando il grande internamento prescritto da Luigi XIV. …<br />

… i miserabili non sono più riguardati come il pretesto inviato da Dio per suscitare<br />

la carità del credente e fornirgli l'occasione di procurarsi la salvezza; ogni cattolico,<br />

36 Questa come le seguenti citazioni sono tratte da opere di Calvino<br />

37


secondo l'esempio dell'arcivescovo di Tours, comincia a vedere in essi "la feccia e il<br />

rifiuto della repubblica non tanto per le loro miserie corporali, di cui bisogna aver<br />

compassione, quanto per quelle spirituali, che fanno orrore".<br />

La Chiesa ha preso la sua decisione; e, ciò facendo, ha diviso il mondo cristiano<br />

della miseria, che il Medioevo aveva santificato nella sua totalità. Ci sarà da un<br />

lato la regione del bene, che è quella della povertà sottomessa e conforme all'ordine<br />

che le viene presentato; dall'altro lato la regione del male, cioè la povertà<br />

ribelle, che cerca di sfuggire a quest'ordine. - La prima accetta l'internamento e<br />

vi trova la sua pace; la seconda lo rifiuta, e per conseguenza lo merita. …<br />

L'internamento viene così giustificato doppiamente, in un indissociabile<br />

equivoco, a titolo di beneficio e a titolo di punizione. È insieme ricompensa e<br />

castigo, secondo il valore morale di coloro cui lo si impone. …<br />

L'internamento, questo fenomeno massiccio le cui tracce sono reperibili in tutta<br />

l'Europa del XVII secolo, è un affare di "police", nel senso molto preciso che a<br />

questo termine si dà nell'epoca classica, cioè l'insieme delle misure che rendono il<br />

lavoro sia possibile che necessario per tutti coloro che non saprebbero vivere senza<br />

di esso; …<br />

Prima di avere il senso medico che noi gli diamo, o che desideriamo supporre in<br />

esso, l'isolamento si è reso necessario per tutt'altra causa che la preoccupazione di<br />

guarire. Ciò che l'ha reso necessario è un imperativo di lavoro. La nostra filantropia<br />

vorrebbe volentieri riconoscere i segni di una benevolenza verso la malattia, là<br />

dove spicca solo la condanna dell'ozio. …<br />

In tutta l'Europa l'internamento ha lo stesso significato, almeno originariamente.<br />

Esso costituisce una delle risposte che vengono date dal XVII secolo a una crisi<br />

economica che interessa tutto il mondo occidentale nel suo insieme: ribasso dei<br />

salari, disoccupazione, rarefazione della moneta: un insieme di fatti dovuto<br />

probabilmente a una crisi nell'economia spagnola. …<br />

Ma fuori di questi periodi di crisi, l'internamento assume unaltro significato. La sua<br />

funzione repressiva si trova rafforzata a causa di una nuova utilità. Non si tratta<br />

più allora di rinchiudere i senza lavoro, ma di dar lavoro a coloro che sono stati<br />

rinchiusi e di farli così servire alla prosperità comune. L'alternanza è chiara:<br />

mano d'opera a buon mercato nei periodi di pieno impiego e di alti salari; e in<br />

periodo di disoccupazione riassorbimento degli oziosi e protezione sociale contro<br />

l'agitazione e le sommosse. Non dimentichiamo che le prime case d'internamento<br />

appaiono in Inghilterra nei centri più industrializzati del paese: Worcester,<br />

Norwich, Bristol; che il primo Hópital general è stato aperto a Lione, quarant'anni<br />

prima che a Parigi …<br />

Se si giudicano solo per il loro valore funzionale, la creazione delle case<br />

d'internamento può sembrare un fallimento. La loro scomparsa, all'inizio del XIX<br />

secolo, come centri di raccolta degli indigenti e prigioni della miseria, sanzionerà il<br />

loro insuccesso finale in quasi tutta l'Europa: rimedio transitorio e privo di<br />

efficacia, precauzione sociale abbastanza mal formulata dall'industrializzazione<br />

nascente. E tuttavia, in questo stesso fallimento, l'età classica faceva un'esperienza<br />

insostituibile. Quello che oggi ci appare come una dialettica maldestra della<br />

produzione e dei prezzi, possedeva allora il suo reale significato di una certa<br />

coscienza etica del lavoro in cui le difficoltà dei meccanismi economici perdevano<br />

la loro urgenza a vantaggio di un'affermazione di valore.<br />

In questo primo slancio del mondo industriale il lavoro non appare legato ai<br />

problemi che esso stesso susciterà; lo si concepisce invece come soluzione<br />

generale, panacea infallibile, rimedio a tutte le forme di miseria. Lavoro e povertà<br />

sono situati in un'opposizione semplice; le loro rispettive estensioni sarebbero in<br />

ragione inversa l'una dell'altra. Quanto al potere di far sparire la miseria, che<br />

38


sarebbe caratteristico del lavoro, questo, secondo il pensiero classico, non lo<br />

possiede tanto a causa della sua potenza produttiva quanto per una certa forza di<br />

incanto morale. L'efficacia del lavoro è riconosciuta in quanto è fondata sulla<br />

trascendenza etica. Dopo il peccato originale la fatica-punizione ha assunto un<br />

valore di penitenza e un potere di riscatto. Non è una legge di natura che obbliga<br />

l'uomo a lavorare, ma l'effetto di una maledizione. La terra è innocente di questa<br />

sterilità nella quale finirebbe con l'addormentarsi se l'uomo restasse ozioso: "La<br />

terra non aveva affatto peccato, e se è maledetta, è a causa del lavoro dell'uomo<br />

maledetto che la coltiva; non le si strappa alcun frutto, e soprattutto il frutto più<br />

necessario, se non con la forza e tra lavori continui" .<br />

L'obbligo del lavoro non è legato a nessuna fiducia nella natura; e non è neppure<br />

per un'oscura fedeltà che la terra deve ricompensare la fatica dell'uomo. Il tema che<br />

il lavoro non porta da solo i suoi frutti è costante nei cattolici come nei protestanti.<br />

Raccolto e ricchezza non si trovano al termine di una dialettica del lavoro e della<br />

natura. Ecco l'ammonimento di Calvino: "Non dobbiamo credere che gli uomini<br />

possano rendere fertile la loro terra a seconda di quanto saranno vigilanti e abili o<br />

di come avranno ben fatto il loro dovere; è la benedizione divina che guida tutto".<br />

E, a sua volta, Bossuet 37 riconosce questo rischio di un lavoro che resterebbe<br />

infecondo se Dio non intervenisse nella sua benevolenza : «In ogni istante può<br />

sfuggirci la speranza della messe, e il frutto unico di tutti i nostri lavori; noi siamo<br />

alla mercè del cielo incostante che fa piovere sulla tenera spiga". Questo lavoro<br />

precario al quale la natura non è mai costretta a corrispondere -se non per volontà<br />

particolare di Dio- è tuttavia rigorosamente obbligatorio: non sul piano delle sintesi<br />

naturali, ma sul piano delle sintesi morali. Il povero che, senza acconsentire a<br />

"tormentare" la terra, attende che Dio gli venga in aiuto, poiché Egli ha promesso<br />

di nutrire gli uccelli del cielo, disobbedirebbe alla grande legge della Scrittura:<br />

"Non tenterai l'Eterno, il tuo Signore". Non voler lavorare non significa forse<br />

"tentare oltre misura la potenza di Dio? Significa cercare di forzare il miracolo"<br />

mentre il miracolo è accordato quotidianamente all'uomo come ricompensa gratuita<br />

del suo lavoro. Se è vero che il lavoro non è iscritto tra le leggi della natura, esso è<br />

racchiuso nell'ordine del mondo decaduto. Per questo l'ozio è rivolta: la peggiore<br />

fra tutte, in un certo senso: poiché attende che la natura sia generosa come<br />

nell'innocenza degli inizi, e che essa voglia forzare una Bontà a cui l'uomo non ha<br />

più diritto dopo Adamo. L'orgoglio fu il peccato dell'uomo prima della caduta; ma<br />

il peccato dell'ozio è il supremo orgoglio dell'uomo una volta caduto, il risibile<br />

orgoglio della miseria. Nel nostro mondo, dove la terra è fertile solo di rovi e d'erbe<br />

selvatiche, è la colpa per eccellenza. Nel Medioevo il gran peccato, radix malorum<br />

omnium, fu la superbia. Secondo Huizinga 38 ci fu un momento, agli albori del<br />

Rinascimento, in cui il peccato supremo prese la forma dell'avarizia, la cieca<br />

cupidigia di Dante. Tutti i testi del XVII secolo annunciano al contrario l'infernale<br />

trionfo della pigrizia: è lei ora che conduce la ronda dei vizi e che li trascina. Non<br />

dimentichiamo che secondo l'editto di fondazione l'Hópital général deve impedire<br />

"la mendicità e l'ozio come fonti di ogni disordine". Bourdaloue 39 fa eco a queste<br />

condanne della pigrizia, miserabile orgoglio dell'uomo caduto : "Che cos'è, ancora<br />

una volta, il disordine di una vita oziosa? È, risponde sant'Ambrogio, a ben<br />

considerare, una seconda rivolta della creatura contro Dio". Il lavoro nelle case<br />

d'internamento assume così il suo significato etico: poiché la pigrizia è diventata la<br />

forma assoluta della rivolta, si costringeranno gli oziosi al lavoro, nella<br />

disposizione indefinita di una fatica senza utilità né profitto.<br />

37<br />

Jacques Bénigne Bossuet (1627–1704) è stato uno scrittore, vescovo cattolico, teologo e predicatore<br />

francese.<br />

38<br />

Johan Huizinga (1872 –1945) storico olandese, conosciuto soprattutto per alcuni importanti saggi sul<br />

XV, XVI e XVII secolo, divenuti col tempo dei veri e propri classici, primo fra tutti: L'autunno del<br />

medioevo.<br />

39<br />

Louis Bourdaloue (1632–1704) gesuita e predicatore francese, noto per l'eloquenza profusa nei<br />

sermoni che recitava, si dice, tenendo gli occhi chiusi, con magistrale teatralità.<br />

39


È in una certa esperienza del lavoro che si è formulata l'esigenza,<br />

indissociabilmente economica e morale, dell'internamento. Lavoro e ozio hanno<br />

tracciato nel mondo classico una linea di separazione che ha sostituito la grande<br />

esclusione della lebbra. L'asilo ha preso rigorosamente il posto del lebbrosario nella<br />

geografia dei luoghi maledetti come nei paesaggi dell'universo morale. Si è ripreso<br />

contatto coi vecchi riti della scomunica, ma nel mondo della produzione e del<br />

commercio. In questi luoghi dell'ozio maledetto e condannato, in questo spazio<br />

inventato da una società che decifrava nella legge del lavoro una trascendenza<br />

etica, la follia comparirà di nuovo e crescerà ben presto fino al punto di annetterli.<br />

La Congregazione di Carità di Savigliano venne<br />

fondata all’inizio del Settecento allo scopo di<br />

soccorrere i poveri, attraverso la distribuzione di<br />

viveri, e di controllarli.<br />

L'istituzione degli Ospedali di Carità o<br />

Congregazioni della Carità costituisce una delle<br />

iniziative della politica sociale dello stato<br />

piemontese, volute da Vittorio Amedeo II all'interno<br />

della sua politica di riforma assolutistica dello<br />

stato sabaudo. Esse avrebbe dovuto organizzare<br />

l'assistenza ai poveri coordinando l'azione delle<br />

confraternite religiose e dei privati.<br />

Accanto all'opera di assistenza e educazione la<br />

Congregazione, benché, non avendo mai eretto<br />

l'ospizio, non effettuasse delle reclusione in massa<br />

svolgeva anche compiti di controllo e repressione.<br />

Infatti, ad esempio, si legge negli ordinati che<br />

nell'aprile del 1725 si decise di procedere a "far un<br />

scrutinio, osia esame delle famiglie vergognose, e<br />

per ciò fare ha eletto gli Signori A. Filiberto<br />

Longis, teologo, e Canonico Carignani e Maurizio<br />

Derossi dandoli per ciò fare l'autorità necessaria ."<br />

La Congregazione raccoglieva informazioni per<br />

accertarsi del reale stato di bisogno degli assistiti e<br />

così, ad esempio, di fronte alla domanda di Laura<br />

Maria Botta di essere aiutata in quanto<br />

abbandonata dal marito si decise di obbligare lo<br />

suocero a provvedere ai bisogni della nuora poiché<br />

"è homo comodo per poterla mantenere"; è<br />

ipotizzabile quindi che trattando questioni di questo<br />

genere si finisse facilmente con l'interferire con la<br />

vita privata e famigliare degli individui.<br />

Inoltre, la congregazione manteneva due guardie<br />

armate con il compito, tra il resto, di custodire in<br />

due apposite stanze i poveri "inobedienti" che vi<br />

fossero stati rinchiusi. A dette guardie veniva<br />

Registro dei verbali della congregazione di carità<br />

(Archivio storico Ospedale SS. Annunziata di<br />

Savigliano)<br />

fornito l'abbigliamento costituita da "... vestito, Camisotta,<br />

Calze, Bandogliera, spada, cappello, Calzetti<br />

...".Sicuramente spesso povertà e illegalità, carità e<br />

repressione andavano di pari passo, così le carceri erano<br />

piene di " gran numero di poveri incarcerati, quali molti<br />

essendo miserabili non havevano altro soccorso se non<br />

quello che gli somministrava la Confraternita, per il che<br />

era di bisogno che si andasse alle case dei confratti e<br />

consuore, et anco di altri che erano devoti e benefattori<br />

della Confraternita per raccogliere gran parte del loro<br />

vitto, et a molti si pagarono i loro processi...".<br />

Tra i poteri della congregazione vi era infine anche quello<br />

di avviare i poveri al lavoro affidandoli ad artigiani che ne<br />

facessero richiesta. Così avvenne, ad esempio, a certo<br />

Antonio Bosio che nel 1725 venne affidato per due anni ad<br />

un sarto della città che si impegnava a "passare il pane ...<br />

pendente il tempo d'apprendere ... l'arte di sarto" a<br />

condizione che il Bosio non avesse a "far il licenzioso e<br />

non continuare ad imparar tal arte".<br />

Verrà un giorno in cui essa potrà raccogliere queste plaghe sterili dell'ozio per<br />

una sorta di antichissimo e oscuro diritto ereditario. Il XIX secolo accetterà, esigerà<br />

perfino, che si destinino esclusivamente ai folli le terre dove centocinquant'anni<br />

prima si era voluto rinchiudere i miserabili, i pezzenti, i disoccupati.<br />

Non è indifferente che i folli siano stati coinvolti nella grande proscrizione<br />

dell'ozio. Fin dall'inizio essi avranno il loro posto accanto ai poveri, buoni o cattivi,<br />

e agli oziosi, volontari o no. Come gli altri, saranno sottomessi alle leggi del lavoro<br />

obbligatorio; e più di una volta è avvenuto che essi abbiano preso il loro aspetto<br />

caratteristico proprio in questa coercizione uniforme. Nei laboratori dove erano<br />

confusi, si sono distinti da soli per la loro incapacità al lavoro e a seguire i ritmi<br />

40


della vita collettiva. La necessità, scoperta nel XVIII secolo, di dare un regime<br />

speciale agli alienati, e la grande crisi dell'internamento che precede di poco la<br />

Rivoluzione sono legate all'esperienza della follia che si è potuta fare nell'obbligo<br />

generale al lavoro. Non si è atteso il XVII secolo per "rinchiudere" i folli, ma già a<br />

quest'epoca si comincia a "internarli", mescolandoli a tutta una popolazione con la<br />

quale si pensa che essi abbiano una parentela. Fino alla Renaissance, la sensibilità<br />

verso la follia era legata alla presenza di trascendenze immaginarie. A partire<br />

dall'età classica, e per la prima volta, la follia è sentita attraverso una condanna<br />

etica dell'ozio e in un'immanenza sociale garantita dalla comunità di lavoro. Questa<br />

comunità acquista un potere etico di separazione, che le permette di respingere,<br />

come in un altro mondo, tutte le forme dell'inutilità sociale. La follia riceverà lo<br />

statuto che le conosciamo in quest'altro mondo, delimitato dalle potenze consacrate<br />

del lavoro. Se nella follia classica c'è qualcosa che parla di altrove e di qualcosa<br />

d'altro, ciò non deriva più dal fatto che il folle viene da un altro mondo, quello<br />

dell'insensato, e che ne porta i segni; ma dal fatto che egli oltrepassa da se stesso le<br />

frontiere dell'ordine borghese e si aliena al di fuori dei limiti consacrati della sua<br />

etica.<br />

Effettivamente il rapporto tra l'usanza dell'internamento e le esigenze del lavoro è<br />

ben lontano dall’essere definito interamente dalle condizioni economiche. Un<br />

sentimento morale l’anima e lo sostiene. Quando il Board of Trade pubblicò il suo<br />

rapporto sui poveri, nel quale erano proposti i modi "di renderli utili alla<br />

comunità", venne ben precisato che l'origine della povertà non era né la scarsezza<br />

delle derrate né la disoccupazione, ma "l'indebolimento della disciplina e il rilassamento<br />

dei costumi". Anche l'editto del 1656 portava strane minacce tra le denunce<br />

morali. "Il libertinaggio dei mendicanti si è spinto all'eccesso con uno sciagurato<br />

abbandono a ogni sorta di delitti, che attira la maledizione di Dio sugli stati,<br />

quando sono impuniti." Questo "libertinaggio" non è quello che si può definire in<br />

rapporto alla grande legge del lavoro, bensì un libertinaggio morale: "L'esperienza<br />

ha fatto sapere alle persone che si sono dedicate a occupazioni caritatevoli che<br />

molti di essi, dell'uno e dell'altro sesso, convivono senza essere sposati, che molti<br />

dei loro figli non sono stati battezzati, e che quasi tutti vivono nell'ignoranza della<br />

religione, nel disprezzo dei sacramenti e nella continua abitudine a ogni sorta di<br />

vizi". Egualmente, l'Hòpital général non ha solo la fisionomia di un semplice<br />

rifugio per coloro "che non sono in grado di lavorare a causa della vecchiaia,<br />

dell'infermità o della malattia; e neppure avrà solo l'aspetto di un laboratorio di<br />

lavoro forzato, ma piuttosto di un'istituzione morale incaricata di punire, di<br />

correggere una certa "vacanza" morale, che non merita il tribunale degli uomini,<br />

ma che non può essere corretta con la sola severità della penitenza. L'Hópital<br />

général ha uno statuto etico. I suoi direttori sono investiti di questo compito morale,<br />

e si attribuisce loro tutto l'apparato giuridico e materiale della repressione: "Essi<br />

hanno ogni potere di autorità, di direzione, di amministrazione, di polizia, di giurisdizione,<br />

di correzione e di punizione"; e per far fronte a questo compito si mettono<br />

a loro disposizione "pali e berline, prigioni e segrete".<br />

E in fondo, proprio in questo contesto l'obbligo del lavoro acquista il suo<br />

significato: a un tempo esercizio etico e garanzia morale. Esso servirà come ascesi,<br />

come punizione, come segno di un certo atteggiamento del cuore. Il prigioniero che<br />

può e vuole lavorare sarà liberato; non tanto perché egli sarà di nuovo utile alla<br />

società, ma perché egli ha sottoscritto di nuovo al grande patto etico dell'esistenza<br />

umana. Nell'aprile 1684 un decreto crea all'interno dell'ospedale una sezione per i<br />

ragazzi e le fanciulle al disotto dei venticinque anni; esso precisa che il lavoro deve<br />

occupare la maggior parte della giornata e accompagnarsi alla "lettura di qualche<br />

libro di pietà". Ma il regolamento definisce il carattere meramente repressivo di<br />

questo lavoro, lontano da ogni intento produttivo : "Li si farà lavorare il più a lungo<br />

possibile, e alle occupazioni più rudi che le loro forze e i luoghi in cui saranno<br />

41


potranno permettere". Allora, e solo allora, si potrà insegnar loro un mestiere "che<br />

convenga al loro sesso e alla loro inclinazione" nella misura in cui il loro zelo nei<br />

primi esercizi avrà permesso "di giudicare che essi vogliono emendarsi". Ogni<br />

mancanza infine "sarà punita con la riduzione del cibo, con l'aumento del lavoro,<br />

con la prigione e con altre pene usate nei suddetti ospedali, secondo il giudizio dei<br />

direttori". Basta leggere il "Regolamento generale della vita quotidiana nella<br />

Maison de Saint-Louis de la Salpétrière" per capire che l'esigenza stessa del lavoro<br />

era assoggettata a un esercizio di riforma e di coercizione morale, che fornisce, se<br />

non l'ultimo significato, almeno la giustificazione essenziale dell'internamento.<br />

È un fenomeno importante questa invenzione di un luogo di coercizione dove la<br />

morale infierisce per via d'assegnazione amministrativa. Per la prima volta si<br />

istituiscono delle fondazioni morali, dove si compie una stupefacente sintesi tra<br />

obbligo morale e legge civile. L'ordine degli stati non tollera più il disordine dei<br />

cuori. Beninteso, non è la prima volta nella cultura europea che la colpa morale,<br />

perfino nella sua forma più privata, prende l'aspetto di un attentato contro le leggi<br />

scritte o non scritte della città. Ma in questo grande internamento dell'età classica<br />

l'essenziale - e il fatto nuovo - è che la legge non condanna più: si viene rinchiusi<br />

nelle cittadelle della pura moralità, dove la legge che dovrebbe regnare sui cuori<br />

sarà applicata senza compromessi né mitigazioni, sotto le forme rigorose della<br />

coercizione fisica. Si suppone una specie di reversibilità dall'ordine morale dei<br />

problemi a quello fisico, una possibilità di passare dal primo al secondo senza<br />

residui, né violenza, né abuso di potere. L'applicazione integrale della legge morale<br />

non appartiene più agli adempimenti; essa può realizzarsi a partire dal piano delle<br />

sintesi sociali. La morale si lascia amministrare come il commercio o l'industria.<br />

Così vediamo inserirsi nelle istituzioni della monarchia assoluta.- in quelle stesse<br />

che restarono a lungo come il simbolo della sua arbitrarietà - la grande idea<br />

borghese, e ben presto repubblicana, che anche la virtù è un affare di stato, che si<br />

possono prendere provvedimenti per farla trionfare, che si può stabilire un'autorità<br />

per essere sicuri che la si rispetti. Le mura dell'internamento rinchiudono in un<br />

certo senso il negativo di questa cittadinanza morale, della quale la coscienza<br />

borghese comincia a sognare nel XVII secolo: cittadinanza morale destinata a<br />

coloro che vorrebbero di primo acchito sottrarvisi, cittadinanza nella quale il diritto<br />

regna soltanto in virtù di una forza senza appello: una specie di sovranità del bene<br />

dove trionfa la sola minaccia e dove la virtù, visto che ha il suo premio in se stessa,<br />

non ha per tutta ricompensa che lo sfuggire alla punizione. Nell'ombra della città<br />

borghese nasce questa strana repubblica del bene che è imposta con la forza a tutti<br />

coloro che sono sospettati di appartenere al male. È il rovescio del gran sogno e<br />

della grande preoccupazione della borghesia nell'epoca classica: la raggiunta<br />

identificazione delle leggi dello stato e di quelle del cuore. "Che i nostri uomini<br />

politici si degnino di sospendere i loro calcoli ... e che imparino finalmente che col<br />

denaro si ottiene tutto tranne buoni costumi e veri cittadini 40 ."<br />

Non è questo il sogno che sembra avere ossessionato i fondatori della casa<br />

d'internamento di Amburgo? Uno dei direttori deve vigilare a che "tutti coloro che<br />

sono nella casa adempiano i propri doveri religiosi e ne siano istruiti ... Il maestro<br />

di scuola deve istruire i ragazzi nella religione, ed esortarli, incoraggiarli a leggere,<br />

nei momenti liberi, diversi passi della Sacra Scrittura. Deve insegnargli a leggere, a<br />

scrivere, a far di conto, a essere garbati e decenti nei riguardi di coloro che visitano<br />

la casa. Deve aver cura che assistano al servizio divino, e che si comportino con<br />

modestia... " In Inghilterra, il regolamento delle workhouses dà molta importanza<br />

alla sorveglianza dei costumi e all'educazione religiosa. E così, per quanto riguarda<br />

la casa di Plymouth, è stata prevista la nomina di uno schoolmaster che deve<br />

rispondere alla triplice condizione di essere "pio, sobrio e discreto"; ogni mattina e<br />

ogni sera, a determinate ore, egli avrà il compito di presiedere alle preghiere; ogni<br />

sabato pomeriggio e ogni giorno festivo, dovrà rivolgersi agli internati, esortarli e<br />

40 Citato da Rousseau, “Discorso sulle scienze e sulle arti”<br />

42


istruirli intorno agli "elementi fondamentali della religione protestante,<br />

conformemente alla dottrina della Chiesa anglicana " . Ad Amburgo come a<br />

Plymouth, nelle Zuchthàuser come nelle workhouses, in tutta l'Europa protestante<br />

si edificano queste fortezze dell'ordine morale nelle quali si insegna della religione<br />

ciò che è necessario alla tranquillità delle città.<br />

In territorio cattolico lo scopo è lo stesso, ma l'impronta religiosa un po' più<br />

marcata. L'opera di san Vincenzo de’Paoli 41 ne fa fede. "Il fine principale per cui si<br />

è consentito a ritirare qui delle persone, lontano dal frastuono del gran mondo, e le<br />

si è fatte entrare in questa solitudine in qualità di pensionanti, era di salvarle dalla<br />

schiavitù del peccato, d'impedir loro di essere dannate in eterno e di fornir loro il<br />

modo di gioire di una perfetta contentezza in questa vita e nell'altra; esse faranno il<br />

possibile per adorare in questo la divina provvidenza ... L'esperienza ci convince<br />

disgraziatamente anche troppo che la fonte delle sregolatezze che noi vediamo oggi<br />

regnare tra la gioventù non proviene da altro che dal grado di mancanza<br />

d'istruzione e di docilità verso le cose spirituali, preferendo molto di più seguire le<br />

loro cattive inclinazioni piuttosto che le sante ispirazioni di Dio e i caritatevoli<br />

consigli dei loro genitori." Si tratta quindi di liberare i detenuti da un mondo che<br />

non è per la loro debolezza che un invito al peccato, richiamarli a una solitudine<br />

nella quale non avranno per compagni che i loro "angeli custodi" incarnati nella<br />

presenza quotidiana dei loro sorveglianti: costoro, effettivamente, "rendono loro gli<br />

stessi buoni servizi degli invisibili angeli custodi: e cioè, istruirli, consolarli e<br />

procurar loro la salvezza". Nelle case della Charité ci si adopera con la più grande<br />

cura a mettere ordine in tal modo nella. vita e nelle coscienze, e lungo tutto il XVIII<br />

secolo apparirà sempre più chiaramente che questa è la vera ragione<br />

dell'internamento. Nel 1765 viene stabilito un nuovo regolamento per la Charité di<br />

Chateau-Thierry. Vi è ben precisato che "il priore farà visita almeno una volta alla<br />

settimana a tutti i prigionieri, uno dopo l'altro e separatamente, per consolarli,<br />

richiamarli a una condotta migliore e assicurarsi di persona che siano trattati come<br />

devono esserlo; il vicepriore lo farà tutti i giorni".<br />

Tutte queste prigioni dell'ordine morale avrebbero potuto recare questo motto che<br />

Howard ha ancora potuto leggere su quella di Magonza: "Se si è riusciti a<br />

sottomettere al giogo taluni animali feroci, non si deve disperare di correggere l'uomo<br />

che si è fuorviato".<br />

3 - Conclusioni<br />

L'internamento è una creazione istituzionale caratteristica dei XVII secolo. Esso ha<br />

preso subito un'ampiezza che non consente di paragonarlo con l'imprigionamento<br />

così come lo si praticava nel Medioevo. Come misura economica e come<br />

precauzione sociale, esso ha valore di invenzione. Ma nella storia della sragione<br />

designa un evento decisivo: il momento in cui la follia è percepita nell'orizzonte<br />

sociale della povertà, dell'incapacità al lavoro, dell'impossibilità di integrarsi al<br />

gruppo; il momento in cui essa comincia a far parte dei problemi dell'ordinamento<br />

civile. I nuovi significati che vengono dati alla povertà, l'importanza attribuita<br />

all'obbligo del lavoro, e tutti i valori etici che le sono legati, determinano alla<br />

lontana l'esperienza che si fa della follia e ne mutano il significato.<br />

È nata una sensibilità che ha tracciato una linea, formato un limitare; e che sceglie,<br />

per bandire. Lo spazio concreto della società classica riserva una regione di<br />

neutralità, una pagina bianca in cui la vita reale della città è sospesa: lì l'ordine non<br />

affronta più liberamente il disordine, la ragione non tenta più di scavarsi con le sue<br />

forze la sua strada fra tutto ciò che può sottrarsi a lei o che tenta di rifiutarla. Essa<br />

41 Vincenzo de' Paoli, (1581–1660), sacerdote francese, fondatore e ispiratore di numerose<br />

congregazioni religiose, tipico santo controriformista.<br />

43


egna allo stato puro, in un trionfo che le viene preparato in anticipo, su una<br />

sragione scatenata. La follia è così strappata a quella libertà immaginaria che la<br />

faceva ancora crescere nel cielo della Renaissance. Non molto tempo prima essa si<br />

dibatteva in piena luce: ed era il Re Lear, era il Don Chisciotte. Ma in meno di<br />

mezzo secolo si è trovata reclusa e, nella fortezza dell'indeterminato, legata alla<br />

ragione, alle regole della morale e alle loro monotone notti.<br />

M. Foucault –“Storia della follia nell’età classica”, Rizzoli Editore, 1976, estratti pag. 17-<br />

112<br />

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