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Il Rinascimento e la nascita della scienza moderna - 1

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F - LA NASCITA DELLA CULTURA LAICA E LA FILOSOFIA MODERNA<br />

10 - <strong>Il</strong> <strong>Rinascimento</strong> e <strong>la</strong> <strong>nascita</strong> del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong> <strong>moderna</strong><br />

13 - Montaigne: “Un nuovo modo di indagare se stessi”<br />

14 –E. Fromm “Fuga dal<strong>la</strong> libertà. <strong>Il</strong> significati psico-sociale delle<br />

dottrine di Lutero e Calvino”<br />

15 - Abbagnano-Fornero “Galileo Galilei e <strong>la</strong> rivoluzione<br />

scientifica”<br />

9 - IL RINASCIMENTO E LA NASCITA DELLA SCIENZA MODERNA<br />

1. <strong>Il</strong> <strong>Rinascimento</strong><br />

2. Lo spirito scientifico del <strong>Rinascimento</strong><br />

3. Giordano Bruno: <strong>la</strong> concezione naturalista dell’uomo<br />

4. Un intellettuale di tipo nuovo: Montaigne<br />

5. La Rivoluzione scientifica<br />

1 - IL RINASCIMENTO<br />

1.1 Inquadramento storico<br />

1.2 I temi fondamentali del<strong>la</strong> nuova cultura<br />

<strong>Il</strong> termine <strong>Rinascimento</strong> indica quell'ampio e artico<strong>la</strong>to processo storico che<br />

ha profondamente rinnovato il mondo europeo, portandolo - in poco più di<br />

due secoli - dal<strong>la</strong> civiltà medievale alle soglie di quel<strong>la</strong> <strong>moderna</strong>. Per un <strong>la</strong>to,<br />

esso vede il progressivo abbandono di tutte le regole che durante il medioevo<br />

avevano costituito altrettanti limiti invalicabili all'attività umana sia teoretica sia<br />

pratica (nel campo del<strong>la</strong> morale come in quello del<strong>la</strong> metodologia scientifica, in<br />

quello del<strong>la</strong> politica come in quelli del<strong>la</strong> religione e dell'arte); per l'altro, vede il<br />

sorgere di nuove strutture economico-politiche e di nuovi valori culturali.<br />

Da un punto di vista storico-sociale il <strong>Rinascimento</strong> è caratterizzato, sul piano<br />

economico, dal<strong>la</strong> comparsa delle prime forme di economia capitalista con<br />

l’al<strong>la</strong>rgamento dell’economia di mercato che inizia a sostituire quel<strong>la</strong>, ancora<br />

prevalente, di sussistenza. La forma più innovativa del mercato è rappresentata<br />

dal mercato coloniale, mentre sul piano produttivo si assiste al<strong>la</strong> comparsa delle<br />

prime forme di produzione capitalista, con l’industria a domicilio e le prime<br />

manifatture. Queste trasformazioni favoriscono l’affermazione di una nuova<br />

c<strong>la</strong>sse sociale, <strong>la</strong> borghesia mercantile, <strong>la</strong> quale investendo i propri capitali<br />

consente <strong>la</strong> circo<strong>la</strong>zione delle merci e finanzia l’opera di organizzazione<br />

burocratica e amministrativa dello stato centrale.<br />

Stato centrale che, durante il <strong>Rinascimento</strong>, assume le forme dello stato<br />

regionale (signorie o principati italiane) o dello stato nazionale (Francia,<br />

Inghilterra, Spagna). La formazione dello stato funge da stimolo allo sviluppo<br />

economico, poiché comporta un bisogno di risorse da parte dell’autorità centrale<br />

che stimo<strong>la</strong> <strong>la</strong> produzione, con l’introduzione di nuove tecnologie (polvere da<br />

sparo, stampa) e <strong>la</strong> comparsa di nuove tecniche finanziarie, e, comunque,<br />

l’evoluzione dell’economia.<br />

E. Bloch 1 ((1885-1977) ha così descritto il legame tra queste trasformazioni<br />

sociali e politiche, riassumibili nell’affermazione dello stato centrale e delle<br />

1 Ernest Bloch, filosofo marxista dissidente, ha avuto un notevole influsso sulle varie forme di<br />

marxismo critico e su alcune correnti di teologia protestante e cattolica del Novecento. Bloch<br />

sostiene che <strong>la</strong> speranza, cioè l’attesa del nuovo che apporta cambiamenti, è costitutiva dell’uomo<br />

IL RINASCIMENTO<br />

INQUADRAMENTO STORICO<br />

Passaggio dal _______________________<br />

all’____________________________:<br />

una nuova ____________________ e una<br />

nuova __________________________<br />

UNA NUOVA __________________<br />

- l’economia ______________________<br />

e <strong>la</strong> __________________________<br />

- lo Stato _______________________<br />

IL LEGAME TRA NUOVA ______________<br />

E NUOVA _________________________<br />

1


orghesia mercantile, e <strong>la</strong> nuova situazione culturale che si afferma con il<br />

<strong>Rinascimento</strong>: ”<strong>Il</strong> modo protocapitalistico dell'economia si fa avanti<br />

baldanzoso, dal punto di vista economico questa è l'epoca in cui <strong>la</strong> borghesia<br />

urbana cerca di spezzare il codice del feudalesimo alleandosi con <strong>la</strong> monarchia<br />

in lotta per l'affermazione del suo potere assoluto. Fu soprattutto il capitale<br />

commerciale ad assumere una nuova forma imprenditoriale: <strong>la</strong> prima banca fu<br />

fondata a Firenze dai Medici. La manifattura cominciò ad affermarsi a <strong>la</strong>tere e<br />

contro l'artigianato, prese piede il calcolo, ormai indispensabile ad un mercato<br />

che valicando le mura cittadine si avviava ad aprirsi al mondo. Era in pieno<br />

rigoglio l'economia protocapitalistica di merci, e l'Italia fu il primo luogo in<br />

cui furono spezzati i vincoli economici del feudalesimo; per questo è<br />

considerata <strong>la</strong> cul<strong>la</strong> del <strong>Rinascimento</strong>. <strong>Il</strong> nuovo si manifesta così in duplice<br />

forma: da un <strong>la</strong>to come co<strong>scienza</strong> dell'individuo sul<strong>la</strong> base dell'individualistico<br />

modo economico del capitalismo, contrapposto al modo corporativo del<br />

mercato chiuso; e dall'altro come impeto e co<strong>scienza</strong> dell'ampiezza smisurata<br />

di contro all'organica e conchiusa immagine del mondo del<strong>la</strong> società feudalteologica.<br />

Veniamo innanzitutto all'individuo, all'homo faber. Anche per l'artista si<br />

afferma l'uso del nomignolo personale. Nel singolo individuo vengono<br />

scoperte e intuite forze fino ad allora ignote: forze che non appaiono di<br />

minor rilievo di quelle che <strong>la</strong> nuova tecnica aveva, per l'identica committenza<br />

sociale, il compito di liberare. <strong>Il</strong> <strong>Rinascimento</strong> è l'epoca del<strong>la</strong> scoperta di<br />

nuovi mezzi di produzione, e proprio <strong>la</strong> Musa di Leonardo si applicava<br />

ampiamente a questa nuova tecnica. Ma l'inventore, l'audace sperimentatore<br />

è esso stesso un novum tra le forze produttive. Ciò si riflette nel<strong>la</strong><br />

sovrastruttura: anche nel teatro avanza in primo piano l'individuo; sulle<br />

maschere e i tipi fissi del<strong>la</strong> tradizione di corte prevale l'individuale dramma<br />

di carattere. L'apice è Shakespeare, nel quale fa <strong>la</strong> sua apparizione <strong>la</strong><br />

persona interessante, inconfondibile, di contro al<strong>la</strong> omogenea, composta e stilizzata<br />

aulicità degli appartenenti al<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse alta e ai tipi fissi del villico e<br />

del cittadino delle rappresentazioni medievali. Dopo l'homo faber ecco l'ampiezza.<br />

Dal punto di vista geografico, con <strong>la</strong> committenza sociale del profitto<br />

abbiamo, oltre all'epoca delle scoperte, l'epoca dei Colombo e dei Magel<strong>la</strong>no<br />

con <strong>la</strong> sua prima circumnavigazione del globo, etc. In stretta re<strong>la</strong>zione con <strong>la</strong><br />

stessa committenza, <strong>la</strong> cosmologia abbandona il punto di vista geocentrico e<br />

si assiste al trionfo dell'eliocentrismo copernicano. La tesi che fosse <strong>la</strong><br />

Terra a girare attorno al sole era già stata formu<strong>la</strong>ta, nell'antichità da<br />

Archita di Taranto. Nel XIV secolo il francese Niccolo di Oresme, l'unico<br />

matematico di rango del Medioevo, avanzò anch'egli <strong>la</strong> tesi eliocentrica, sul<strong>la</strong><br />

base di un apparato di calcoli che gli esperti assicurano fosse migliore di<br />

quello di Copernico; tuttavia non esisteva ancora, all'epoca, una<br />

committenza sociale che ne rendesse auspicabile e possibile l'accoglimento.<br />

Nel <strong>Rinascimento</strong> questa committenza si fa avanti sotto forma di volontà di<br />

ampiezza e di espansione, e diviene subito evidente qualcosa che prima era<br />

considerato un paradosso privo di senso, se non era esplicitamente vietato da<br />

un'altra committenza sociale: <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> del potere ecclesiastico. Questa paro<strong>la</strong><br />

si richiamava ad una tesi biblica, per <strong>la</strong> quale sole e luna sono « lumi » che<br />

ruotano attorno al<strong>la</strong> Terra. <strong>Il</strong> sistema eliocentrico si afferma dunque soltanto<br />

in ambito rinascimentale, anche se fra mille ostacoli residui, come<br />

testimoniano il rogo di Giordano Bruno e l'ultimatum a Galilei.”<br />

che non è appagato dal<strong>la</strong> realtà. La negatività del presente, che chiede di essere superata, è al<strong>la</strong><br />

base del<strong>la</strong> speranza e <strong>la</strong> rivoluzione, che porta al superamento del<strong>la</strong> negatività, realizza <strong>la</strong><br />

speranza. Bloch vede nel marxismo l’erede di tutte le utopie che hanno attraversato i secoli in<br />

mille forme diverse tra cui quel<strong>la</strong> religiosa.<br />

UNA NUOVA __________________<br />

1_________________________________<br />

struttura ______________________:<br />

- ________________________________<br />

Analisi ____________________________<br />

sovrastruttura __________________:<br />

- ________________________________<br />

2 - ________________________________<br />

- __________________________________<br />

- __________________________________<br />

___________________________________<br />

___________________________________<br />

2


Nuova società Nuova cultura<br />

_____________________________________________________ _______________________________________________________<br />

___________________________________________ _____________________________________________<br />

____________<br />

____________<br />

___________________________________________ _____________________________________________<br />

_____________________________________________________ _______________________________________________________<br />

L’affermarsi di questa nuova committenza sociale e delle nuove idee, dei<br />

nuovi modi di vedere il mondo e dei nuovi valori di cui essa si faceva<br />

portatrice è stata resa possibile o comunque si è accompagnata ad alcune<br />

trasformazioni avvenute sul piano socio-culturale, le quali hanno consentito<br />

una nuova organizzazione del<strong>la</strong> vita culturale.<br />

Una delle più significative novità di questo periodo consistette nel<strong>la</strong> <strong>nascita</strong> di<br />

nuove istituzioni culturali accanto a quelle già esistenti in età medievale, in<br />

primo luogo le vecchie università.<br />

<strong>Il</strong> luogo caratteristico del<strong>la</strong> produzione e circo<strong>la</strong>zione del<strong>la</strong> cultura nel <strong>Rinascimento</strong><br />

fu <strong>la</strong> corte signorile. La corte assunse questa decisiva e importante<br />

funzione per diversi motivi. La profonda trasformazione culturale del nuovo ceto<br />

dirigente dell'epoca rispetto al<strong>la</strong> rozza nobiltà feudale diede origine al fenomeno<br />

del mecenatismo. Accogliendo intellettuali, poeti e artisti il principe ottenne un<br />

duplice risultato. Da un <strong>la</strong>to accrebbe il suo prestigio sociale e dall'altro poté<br />

disporre di personale intellettuale qualificato, cui affidare compiti di carattere<br />

politico e diplomatico.<br />

Presso <strong>la</strong> corte, o gravitante attorno a essa, si formarono gruppi di intellettuali che<br />

trovavano nel<strong>la</strong> protezione del principe anche <strong>la</strong> possibilità di organizzarsi in<br />

forme e istituzioni alternative rispetto a quelle del passato. È il caso delle<br />

accademie che, a partire dal Quattrocento, sorsero sempre più numerose e <strong>la</strong> cui<br />

fondazione continuò per tutto il secolo successivo.<br />

Sorte dapprima spontaneamente, informalmente e in seguito sempre più<br />

formalizzate e istituite direttamente dai principi (come, ad esempio, nel caso del<br />

Collège de France sorto nel 1531), ma comunque legate al<strong>la</strong> nuova committenza<br />

sociale, esse scalfivano il seco<strong>la</strong>re controllo del<strong>la</strong> Chiesa sul<strong>la</strong> produzione<br />

culturale 2 .<br />

Con le accademie si affermava un nuovo modo di produrre <strong>la</strong> cultura stessa;<br />

infatti, le accademie non erano scuole, come le università medioevale, bensì luoghi<br />

di dibattito fra coloro che coltivano una stessa disciplina. Dibattito che ora<br />

appariva meno condizionato dal ricorso all’auctoritas (testi sacri, Padri del<strong>la</strong><br />

Chiesa, autorità ecclesiastiche, ecc… ) che non costituivano più il criterio di<br />

verità delle teorie, in quanto era lo stesso dibattito fra gli intellettuali a<br />

determinarne il valore di verità.<br />

Anche <strong>la</strong> figura dell’intellettuale subì profonde modifiche. Infatti, durante il<br />

<strong>Rinascimento</strong> giunse a compimento il processo, già avviato durante gli ultimi<br />

secoli del Medioevo, di individualizzazione dell’intellettuale di cui par<strong>la</strong>va<br />

anche Bloch nel<strong>la</strong> citazione esaminata. Ad esempio, in campo artistico emerse <strong>la</strong><br />

figura del pittore e in seguito quel<strong>la</strong> dell’architetto e dell’ingegnere, prima<br />

confuse all’interno degli artigiani che <strong>la</strong>voravano nei cantieri edile delle grandi<br />

cattedrali. Lo stesso avvenne a livello letterario e filosofico, infatti, mentre<br />

2 È da osservare che, almeno nel periodo antecedente il Concilio di Trento (1542-1563), <strong>la</strong> corte<br />

papale svolse spesso un ruolo non diverso da quelle delle altre corti principesche, risalendo il<br />

distacco delle gerarchie ecclesiastiche dalle idee che stavano emergendo dal<strong>la</strong> nuova cultura al<br />

periodo controriformista aperto dal Concilio di Trento. L’importanza del<strong>la</strong> committenza<br />

ecclesiastica rimase comunque rilevante ancora per almeno tutto il Seicento.<br />

1 –________________________________<br />

3


durante il medioevo il filosofo era sempre il rappresentante di un certo ordine<br />

monastico e il suo modo di pensare era profondamente legato al<strong>la</strong> tradizione<br />

culturale dell’ordine a cui apparteneva e in cui avveniva <strong>la</strong> sua formazione, con<br />

il <strong>Rinascimento</strong> si assiste all’affermazione del singolo come autore del testo<br />

letterario o filosofico.<br />

Inoltre l’intellettuale, proprio in quanto svico<strong>la</strong>to dalle strutture ecclesiastiche,<br />

era sempre più spesso un <strong>la</strong>ico al sevizio, come abbiamo visto, del<strong>la</strong> nuova<br />

committenza <strong>la</strong>ica che era anche <strong>la</strong> causa di una crescita degli intellettuali; in<br />

partico<strong>la</strong>re emergevano nuove figure di tecnici (architetti e ingegneri, ad<br />

esempio, Leonardo da Vinci) che trovavano impiego in opere pubbliche sia civili<br />

che militari. A contribuire a questo al<strong>la</strong>rgamento vi era poi <strong>la</strong> burocrazia statale<br />

che richiedeva nuovi <strong>la</strong>voratori intellettuali.<br />

Anche <strong>la</strong> diffusione del<strong>la</strong> stampa a caratteri mobili provocò una serie di<br />

ripercussioni a catena, alcune delle quali riguardavano direttamente il modo di<br />

<strong>la</strong>vorare dell’intellettuale. Aumentando il numero dei libri in circo<strong>la</strong>zione e<br />

diminuendo il loro costo di produzione, rispetto all'epoca degli amanuensi,<br />

consentiva a un lettore (che evidentemente, da un punto di vista sociale,<br />

costituiva un’élite) di poter acquistare un numero di libri più elevato a un<br />

costo minore e leggerli tranquil<strong>la</strong>mente a casa propria.<br />

Questo determinò, in primo luogo, un forte incremento del mercato letterario<br />

che, da un <strong>la</strong>to, potenziò enormemente il dibattito tra gli intellettuali, in quanto<br />

autori dei testi, e, dall’altro, formò l’opinione pubblica che, promossa dal<strong>la</strong><br />

lettura, a sua volta esercitava un’influenza sul mercato editoriale. La diffusione<br />

dei libri modificò così l’ottica di chi scriveva, infatti mentre il testo medioevale<br />

Le novità socio-culturali del <strong>Rinascimento</strong><br />

1 __________________________________________________________<br />

2 - _________________________________________________________<br />

3 –La stampa<br />

4 - __________________________________________________________<br />

5 - __________________________________________________________<br />

La stampa: + libri a disposizione a minor prezzo<br />

1 - _______________________________________________________<br />

2 - _______________________________________________________<br />

A - ______________________________________ 3 - _______________________________________________________<br />

4 - _______________________________________________________<br />

5 - _______________________________________________________<br />

1 - _______________________________________________________<br />

B –socio-culturali 2 - _______________________________________________________<br />

3 - _______________________________________________________<br />

4


era prodotto per una ristretta cerchia di lettori ben conosciuta dall’autore,<br />

l’ordine monastico e l’università in cui <strong>la</strong>vorava, gli intellettuali del<br />

<strong>Rinascimento</strong> si rivolgevano a un pubblico di intellettuali, che continuava a<br />

rappresentare un’élite, ma che era diventato più vasto e in gran parte<br />

sconosciuto all’autore.<br />

Nel lungo periodo, <strong>la</strong> maggior diffusione dei libri ebbe come sua conseguenza<br />

anche una maggior omogeneizzazione delle c<strong>la</strong>ssi colte, dal momento che essi<br />

consentivano una decisamente più rapida e capil<strong>la</strong>re diffusione delle idee. L’élite<br />

dominante che sinora, soprattutto quel<strong>la</strong> civile ma spesso anche quel<strong>la</strong><br />

ecclesiastica, aveva fatta sua <strong>la</strong> stessa cultura prodotta dalle c<strong>la</strong>ssi inferiori<br />

cominciava ora a distinguersi non solo più per il monopolio del<strong>la</strong> violenza ma<br />

anche perché colta, ovvero portatrice di una cultura diversa e che, come<br />

accenneremo fra poco, si preparava a riformare quel<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>re.<br />

<strong>Il</strong> moltiplicarsi delle possibilità di utilizzare i libri non solo modificò il dibattito<br />

culturale ma cambiò anche in altri modi il <strong>la</strong>voro degli intellettuali.<br />

<strong>Il</strong> libro a stampa, innanzitutto, produsse una modificazione molto significativa<br />

nel<strong>la</strong> tecnica del<strong>la</strong> lettura; prima del XV secolo i libri venivano letti ad alta<br />

voce, anche dall'uomo di cultura nel chiuso del suo studio; <strong>la</strong> "lettura<br />

silenziosa", certamente favorita dal<strong>la</strong> stampa, divenne invece quel<strong>la</strong> più<br />

comune per gli uomini dei tempi moderni, conducendo a un sapere più astratto e<br />

interiorizzato, a un rapporto nuovo con <strong>la</strong> paro<strong>la</strong>. Per <strong>la</strong> maggior parte degli<br />

uomini del Medioevo <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> era qualcosa di oggettivo, pronunciata di fronte<br />

a un pubblico reale o virtuale da un predicatore, da un professore, dal lettore<br />

stesso; per l'uomo moderno <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> divenne un fatto soggettivo, il muto<br />

risuonare del pensiero nel<strong>la</strong> co<strong>scienza</strong>. Ciò era vero solo per chi sapeva leggere,<br />

ma il loro numero, almeno nelle città, crebbe rapidamente dal Quattrocento al<br />

Cinquecento e questo fatto non mancò di avere le più profonde conseguenze su<br />

tutti gli aspetti del<strong>la</strong> vita sociale.<br />

Disponendo contemporaneamente di più libri sul proprio tavolo, gli eruditi,<br />

come gli studenti universitari, presero l'abitudine di confrontare un libro con<br />

l'altro e di paragonare le opinioni e le informazioni. Le contraddizioni tra i vari<br />

testi divennero più visibili e più evidenti le discordanze tra le varie tradizioni:<br />

l'accettazione dell'opinione comune, che in precedenza dipendeva anche dal<strong>la</strong><br />

mancanza d'informazioni parallele, fu sostituita da un modo di pensare<br />

maggiormente critico.<br />

Un'altra importante conseguenza dell'invenzione del<strong>la</strong> stampa fu <strong>la</strong><br />

standardizzazione, cioè l'effetto determinato dall'esistenza di copie tutte<br />

identiche (o quasi) di uno stesso libro. Per <strong>la</strong> prima volta nel<strong>la</strong> storia<br />

dell'umanità, gli studiosi di una stessa epoca, in città e regioni diverse<br />

dell'Europa, poterono <strong>la</strong>vorare e discutere su copie di opere che sapevano uguali a<br />

quelle possedute dai loro colleghi: veniva meno il dubbio che un passo preso in<br />

esame e ritenuto fondamentale per una determinata interpretazione non fosse<br />

contenuto nell'esemp<strong>la</strong>re a disposizione di un altro studioso o vi fosse presente<br />

sotto forma diversa.<br />

La diffusione del<strong>la</strong> stampa favorì, inoltre, il rafforzamento di una mentalità<br />

sistematica. Di<strong>la</strong>gò, anzitutto, l'uso dell'ordine alfabetico, certo non ignoto al<strong>la</strong><br />

cultura medievale, ma non adeguatamente diffuso. La diffusione dell'ordine<br />

alfabetico fu imposta universalmente dai cataloghi di libri, che gli stampatori<br />

diffondevano per propagandare i propri prodotti, dai criteri di schedatura nelle<br />

biblioteche, dove i libri affluivano ora in misura sempre più consistente.<br />

Indubbiamente <strong>la</strong> produzione culturale dell'epoca ebbe una circo<strong>la</strong>zione e una<br />

fruizione ristrette, trovando il proprio destinatario in un pubblico prevalentemente<br />

aristocratico che per formazione culturale, gusto e possibilità economiche<br />

rappresentava una ristretta élite privilegiata. Lo stesso recupero del<br />

<strong>la</strong>tino c<strong>la</strong>ssico, ossia di una lingua ormai morta e ben lontana dal <strong>la</strong>tino<br />

"imbarbarito" eppure vivo, insegnato e utilizzato nelle scuole, il rifiuto del<br />

5


volgare e, infine, <strong>la</strong> sua ripresa nel Cinquecento ma in una forma altamente<br />

raffinata (che lo rendeva assai distante dal<strong>la</strong> lingua par<strong>la</strong>ta), possono venire<br />

assunti a testimonianza di questa separazione tra cultura e società nel<br />

<strong>Rinascimento</strong>.<br />

Si andava annunciando <strong>la</strong> separazione tra <strong>la</strong> cultura dell’élite e <strong>la</strong> cultura<br />

popo<strong>la</strong>re. In realtà in quest'epoca, <strong>la</strong> cultura popo<strong>la</strong>re, che si esprimeva<br />

soprattutto nelle feste, nell’umorismo popo<strong>la</strong>re e nel<strong>la</strong> religione popo<strong>la</strong>re, non<br />

escludeva le c<strong>la</strong>ssi alte. Come gli altri giovani, gli studenti ricoprivano un<br />

ruolo importante nel carnevale, mentre Lorenzo de' Medici, Niccolo<br />

Machiavelli e altri intellettuali fiorentini scrissero canzoni carnascialesche.<br />

Potremmo quindi affermare che, se vi erano due culture, esse non<br />

corrispondevano ancora esattamente ai due principali gruppi sociali e<br />

culturali, dotti e incolti, o dominanti e subordinati. In questo caso vi era una<br />

asimmetria fondamentale. La gente comune era effettivamente esclusa dal<strong>la</strong><br />

cultura dotta, poiché non conosceva il <strong>la</strong>tino e non aveva frequentato i luoghi<br />

dove tale cultura veniva trasmessa. D'altro canto, <strong>la</strong> gente colta poteva<br />

partecipare, e spesso lo faceva, alle manifestazioni del<strong>la</strong> cultura popo<strong>la</strong>re.<br />

Ciò però iniziava a essere disapprovato da una minoranza di intellettuali e<br />

già nei secoli XIV-XV si incontrano gruppi di uomini colti, in maggioranza<br />

ecclesiastici, che si stavano allontanando dal<strong>la</strong> cultura popo<strong>la</strong>re con<br />

l'intenzione di purificar<strong>la</strong> o di riformar<strong>la</strong>. Sembra che <strong>la</strong> maggior parte del<br />

clero amasse indossare maschere e costumi, mangiare, bere e bal<strong>la</strong>re con i<br />

propri parrocchiani durante le feste principali, destando <strong>la</strong> disapprovazione<br />

di personaggi come il Savonaro<strong>la</strong> in Italia o più tardi di Erasmo in O<strong>la</strong>nda.<br />

Essi biasimavano le feste popo<strong>la</strong>ri, perché irriverenti, e disapprovavano<br />

anche <strong>la</strong> vita religiosa quotidiana, <strong>la</strong> cui immagine e i cui riti apparivano ai<br />

loro occhi associati al<strong>la</strong> carne anziché allo spirito, all'apparenza anziché<br />

all'essenza. In luogo di quegli aspetti esteriori essi insistevano sul potere del<strong>la</strong><br />

paro<strong>la</strong> scritta e par<strong>la</strong>ta, sull'importanza dei sermoni, nonché dei trattati di<br />

devozione che, sul finire del sec. XV, cominciavano a circo<strong>la</strong>re grazie al<strong>la</strong><br />

stampa.<br />

L’ultima caratteristica dell’evoluzione delle strutture culturali rinascimentali è<br />

legata all’accelerazione del processo di europeizzazione del<strong>la</strong> civiltà occidentale<br />

con il definitivo spostamento, al<strong>la</strong> fine del <strong>Rinascimento</strong>, del suo centro<br />

dall’Europa del sud (Italia, sul piano culturale ed economico, <strong>la</strong> Spagna sul piano<br />

economico e politico) all’Europa del nord.<br />

Infatti, fino al<strong>la</strong> seconda metà del XVI secolo <strong>la</strong> vita economica e culturale<br />

europea aveva visto l’incontrastata egemonia dell’Italia. La Toscana e <strong>la</strong><br />

Lombardia erano all’avanguardia in campo produttivo , Venezia e Genova<br />

conservavano una netta superiorità nel settore commerciale, Roma e Firenze<br />

erano le capitali dell’arte rinascimentale. A partire dal XVII secolo il nord<br />

Europa (Paesi Bassi, Francia, Inghilterra) assunse il ruolo di zona guida dello<br />

sviluppo del commercio capitalistico, allo stesso modo al<strong>la</strong> leadership dell’Italia<br />

si sostituì una sempre maggior influenza degli intellettuali e delle istituzioni del<br />

nord Europa.<br />

Infine, tale processo di europeizzazione è caratterizzato anche dal fatto che il<br />

dibattito culturale europeo perse i suoi legami di dipendenza da altre culture,<br />

come, ad esempio, quel<strong>la</strong> araba.<br />

I principali nodi emersi dal dibattito culturale di questo periodo sono costituiti<br />

dal<strong>la</strong> formazione di una nuova concezione dell’uomo, del<strong>la</strong> storia e del<strong>la</strong> natura,<br />

che emerge dal recupero del<strong>la</strong> cultura c<strong>la</strong>ssica con l’Umanesimo quattrocentesco<br />

e caratterizzano il <strong>Rinascimento</strong> vero e proprio. Inoltre, il problema religioso,<br />

con <strong>la</strong> diffusione del protestantesimo e <strong>la</strong> conseguente frattura dell’unitarietà del<br />

cristianesimo che sino ad allora aveva caratterizzato <strong>la</strong> stessa identità europea.<br />

I TEMI FONDAMENTALI DELLA<br />

NUOVA CULTURA<br />

1- _________________________________<br />

2 - ________________________________<br />

3 - ________________________________<br />

6


Infine, l’e<strong>la</strong>borazione del metodo matematico-sperimentale e <strong>la</strong> <strong>nascita</strong> del<strong>la</strong><br />

<strong>scienza</strong> <strong>moderna</strong>.<br />

Ci occuperemo qui del primo aspetto, rimandando per il secondo al<strong>la</strong> lettura del<br />

testo di Fromm “<strong>Il</strong> significato psicologico delle dottrine di Lutero e Calvino”, e<br />

agli argomenti successivi per il terzo.<br />

L’e<strong>la</strong>borazione di una nuova concezione dell’individuo e dell’azione come<br />

espressione dell’individualità richiese il superamento del<strong>la</strong> mentalità<br />

medioevale, in quanto in essa gli sforzi e le conquiste degli uomini in ambito<br />

mondano non avevano valore, perchè <strong>la</strong> visione dell’uomo era incentrata sul<br />

concetto di trascendenza: lo scopo del<strong>la</strong> vita era ultraterreno.<br />

L’uomo del<strong>la</strong> civiltà comunale nel suo agire pratico aveva già rotto con questa<br />

concezione trascendente del<strong>la</strong> vita: un mercante o un banchiere agivano in base<br />

alle leggi di mercato, mirando ad arricchirsi, un uomo politico non viveva il<br />

potere come servizio ai più deboli, come insegnava <strong>la</strong> chiesa, ma ricercava il<br />

potere per se stesso. L’uomo dell’ultimo medioevo non riusciva però a<br />

giustificare teoricamente ciò che faceva praticamente. La chiesa stessa veniva<br />

incontro al<strong>la</strong> contraddizione dell’uomo medioevale enfatizzando il sacramento<br />

dell’estrema unzione, che consentiva di allinearsi agli insegnamenti del<strong>la</strong> chiesa<br />

ed essere perdonati per i propri peccati.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Rinascimento</strong>, invece, prende co<strong>scienza</strong> di queste contraddizioni fra <strong>la</strong> vita<br />

vissuta e <strong>la</strong> morale e procede consapevolmente all’e<strong>la</strong>borazione di una nuova<br />

concezione dell’individuo e del<strong>la</strong> sua azione. Nell’uomo non si vede più il<br />

fedele, destinato a una vita ultraterrena, ma l’uomo che opera concretamente nel<br />

mondo e questo suo operare viene valutato non più in base ai fini ultraterreni<br />

dell’uomo, ma sul<strong>la</strong> base dei risultati che essa ottiene nel mondo terreno. Si<br />

acquisiva così una mentalità <strong>la</strong>ica che non vuol dire, ovviamente, ripudio di<br />

qualsiasi forma di religiosità ma affermazione dell'autosufficienza e del<br />

valore autonomo delle attività umane, considerate in se stesse, con un<br />

riferimento al<strong>la</strong> loro funzione in seno al<strong>la</strong> società e non più in connessione<br />

determinante con una vita futura, extrasocietaria, eterna. L'opera d'arte come<br />

<strong>la</strong> politica, <strong>la</strong> <strong>scienza</strong> come <strong>la</strong> storia venivano ora valutate per se stesse,<br />

indipendentemente da qualsiasi considerazione metafisica. Come <strong>la</strong> teorizzazione<br />

politica non sentiva più il bisogno di cercare una legittimazione del<br />

potere nelle teorie “discendenti”(per cui il potere discende da Dio), ma<br />

considerava <strong>la</strong> vita civile come un valore autonomo, così libri di storia non<br />

seguirono più l'itinerario tracciato dal<strong>la</strong> Bibbia e riuscirono a par<strong>la</strong>re delle<br />

lotte politiche del recente passato senza risalire necessariamente ad Adamo ed<br />

Eva.<br />

Nel<strong>la</strong> mentalità medioevale, inoltre, il singolo si identificava completamente con<br />

l’organizzazione sociale a cui apparteneva (per il monaco il suo ordine, per gli<br />

artigiani e i mercanti <strong>la</strong> corporazione, per i contadini il vil<strong>la</strong>ggio), con il<br />

<strong>Rinascimento</strong>, invece, si afferma una concezione dell’individualità come<br />

qualcosa di diverso dal gruppo sociale di appartenenza.<br />

Andavano in questa direzione fenomeni di cui abbiamo già par<strong>la</strong>to, quali<br />

l’individualizzazione dell’intellettuale, il rapporto soggettivo con <strong>la</strong> paro<strong>la</strong><br />

insieme con l’interiorizzazione del<strong>la</strong> cultura favoriti dal<strong>la</strong> diffusione dei libri<br />

stampati.<br />

L’individualismo, però, non si manifestava solo in quelle forti personalità di<br />

artisti, uomini politici e intellettuali, ma anche nel modo in cui si tentava di<br />

separare i sentimenti dal<strong>la</strong> partecipazione collettiva per farli diventare un sentire<br />

individuale, privato (vedi <strong>la</strong> lettura di Guarracino “La formazione dello stato<br />

moderno”a proposito del<strong>la</strong> vendetta).<br />

Per gli umanisti e per gli intellettuali del <strong>Rinascimento</strong> l’individuo, il singolo,<br />

diventa l’artefice del<strong>la</strong> propria vita e del<strong>la</strong> propria fortuna, che si realizza<br />

attraverso l’operare concreto, il <strong>la</strong>voro, che diventa <strong>la</strong> manifestazione del<strong>la</strong><br />

A –LA NUOVA CONCEZIONE DELL’________<br />

____________________<br />

<strong>Il</strong> superamento del<strong>la</strong> concezione<br />

__________________________:<br />

1 –dal valore _______________________<br />

dell’agire umano al suo valore __________<br />

_______________________<br />

l’estrema ______________________ e le<br />

_______________________ dell’uomo<br />

medioevale<br />

La mentalità _____________________<br />

dal<strong>la</strong> mentalità ______________________<br />

al<strong>la</strong> mentalità _______________________<br />

2 –dal ____________________________<br />

all’_______________________________<br />

a- _________________________________<br />

b - ________________________________<br />

c - ________________________________<br />

l’individuo come _____________________<br />

___________________________________<br />

7


personalità, del<strong>la</strong> dignità dell’uomo.<br />

La dignità dell'uomo è un tema centrale nell'Umanesimo. Nelle opere che più<br />

compiutamente esprimono questo tema, come 1'Oratio de hominis dignitate<br />

(1486) di Pico del<strong>la</strong> Mirando<strong>la</strong> (1463-1494), <strong>la</strong> dignità dell'uomo viene<br />

celebrata attraverso il valore attribuito alle arti, alle tecniche, alle dottrine di<br />

cui l'uomo si serve per vincere <strong>la</strong> natura, dare ordine al<strong>la</strong> società, accrescere <strong>la</strong><br />

propria conoscenza del mondo, apprezzare le bellezze del<strong>la</strong> vita. Nel<strong>la</strong><br />

prospettiva più filosofica di Marsilio Ficino (1433-1499) l'uomo appare<br />

addirittura come una mirabile sintesi dell'ordine universale, vero e proprio<br />

microcosmo nel quale si fondono divinità e natura. Ma sarà, come vedremo,<br />

Giordano Bruno (1548-1600), nel secolo successivo, a e<strong>la</strong>borare <strong>la</strong> più compiuta<br />

visione naturalista dell’uomo prodotta dal<strong>la</strong> cultura rinascimentale.<br />

Contemporaneamente all’esaltazione del<strong>la</strong> capacità dell’individuo, del suo essere<br />

artefice del<strong>la</strong> propria vita diventa ossessiva anche <strong>la</strong> paura del fallimento;<br />

vengono meno le sicurezze che <strong>la</strong> mentalità medioevale offriva (<strong>la</strong> possibilità di<br />

pentirsi, il riconoscersi in un gruppo sociale). L’uomo si ritrova solo di fronte al<br />

suo destino potendo avere successo come andare incontro al fallimento (per<br />

questi aspetti vedi <strong>la</strong> lettura di Fromm “<strong>Il</strong> significato psicologico delle dottrine di<br />

Lutero e Calvino”).<br />

Per quanto riguarda <strong>la</strong> storia il contributo maggiore del <strong>Rinascimento</strong> è legato<br />

al<strong>la</strong> conquista del<strong>la</strong> prospettiva storica. Lo sforzo di e<strong>la</strong>borare una nuova<br />

concezione dell’individuo era partito da un recupero del<strong>la</strong> cultura greco-romana,<br />

infatti gli umanisti 3 del XV secolo vedevano come motivo fondamentale del<strong>la</strong><br />

cultura antica l’esaltazione del<strong>la</strong> personalità nel<strong>la</strong> sua completezza, dalle sue<br />

passioni alle sue aspirazioni. Lo studio del mondo c<strong>la</strong>ssico si concretizzò<br />

nell’indagine filologica che mira a studiare i testi nel<strong>la</strong> loro forma originale; tale<br />

atteggiamento nei confronti dei testi sottintendeva un nuovo atteggiamento nei<br />

confronti del passato.<br />

Nel medioevo <strong>la</strong> prospettiva storica era completamente ignorata: l’uomo<br />

medioevale viveva il passato come contemporaneo, riconoscendo validità a ciò<br />

che esso aveva prodotto solo nel<strong>la</strong> misura in cui corrispondevano ai suoi valori e<br />

ai suoi interessi. La sfera di questi valori era, infatti, vista non come il frutto<br />

del<strong>la</strong> propria epoca, ma come qualcosa di universale, coincidente con gli<br />

interessi ed i valori degli uomini di tutte le epoche. Nel<strong>la</strong> filologia rinascimentale<br />

<strong>la</strong> ricerca dell’autenticità del testo, invece, diventa consapevolezza del<strong>la</strong> diversità<br />

fra passato e presente.<br />

Si vuole il testo non più interpo<strong>la</strong>to o deformato con pie intenzioni, bensì<br />

trascritto nel<strong>la</strong> sua originalità; non più studiato per trovarvi conferme a una<br />

concezione teologico-filosofica ben consolidata, ma per servire al<strong>la</strong> conoscenza<br />

del passato nel<strong>la</strong> sua oggettività. Una seria indagine filologica diventa, da questo<br />

punto di vista, il complemento indispensabile del ritorno al mondo c<strong>la</strong>ssico: <strong>la</strong><br />

premessa necessaria di ogni seria discussione intorno ad esso.<br />

<strong>Il</strong> filologo umanista percepisce con estrema chiarezza <strong>la</strong> differenza tra autentica<br />

cultura c<strong>la</strong>ssica e permanenza di temi c<strong>la</strong>ssici nel<strong>la</strong> cultura posteriore; coglie<br />

l'irriducibilità del mondo greco-romano a quello instaurato dal<strong>la</strong> cristianità;<br />

perde ogni illusione circa l'unità e continuità tra antico e moderno. Si rivolge<br />

insomma ai testi c<strong>la</strong>ssici, per studiarvi il pensiero degli antichi, per cercarvi il<br />

passato in quanto passato: il suo amore per <strong>la</strong> purezza del testo antico diventa<br />

3 I due termini, Umanesimo e <strong>Rinascimento</strong>, vengono usati a volte indifferentemente per<br />

segnare una periodizzazione interna al<strong>la</strong> storia europea che coincide con il passaggio dall'età<br />

medievale a quel<strong>la</strong> <strong>moderna</strong>. Più spesso invece i due termini sono usati per indicare periodi<br />

distinti. <strong>Il</strong> primo à allora riferito soprattutto al<strong>la</strong> riscoperta dei c<strong>la</strong>ssici dell'antichità, un fenomeno<br />

prevalentemente italiano che può datarsi dal<strong>la</strong> metà del XIV secolo. L'Umanesimo così<br />

inteso è una delle componenti del <strong>Rinascimento</strong> europeo, epoca che viene compresa di solito<br />

fra il 1450 e il 1530.<br />

La dignità __________________________<br />

La paura ___________________________<br />

B –LA NUOVA CONCEZIONE DELLA<br />

____________________<br />

La scoperta del<strong>la</strong> _____________________<br />

_____________________<br />

Per ________________________:<br />

passato = ___________________<br />

La ______________________________:<br />

<strong>la</strong> frattura tra _______________________<br />

tra ______________________________ e<br />

__________________________________<br />

8


consapevolezza del<strong>la</strong> diversità fra antico e presente, cioè consapevolezza del<br />

fluire del<strong>la</strong> storia.<br />

Anche se lo sforzo di cogliere il mondo antico nel<strong>la</strong> sua obiettività storica è<br />

compiuto, dagli umanisti, nel<strong>la</strong> speranza di trarne suggerimento per <strong>la</strong> risoluzione<br />

dei nuovi problemi del secolo in cui vivono, il presupposto da cui essi<br />

partono è l'esistenza di una frattura fra questi problemi e quelli dell'antichità.<br />

Tale frattura è rappresentata, secondo essi, dal pensiero medievale: e proprio<br />

<strong>la</strong> loro polemica contro il medioevo non fa che accentuare sempre più <strong>la</strong><br />

profondità del<strong>la</strong> frattura stessa, cioè rendere via via maggiore <strong>la</strong> distanza fra il<br />

presente e l'antico.<br />

Allo stesso modo nel<strong>la</strong> pittura del XV secolo si afferma una rappresentazione<br />

dello spazio completamente diversa da quel<strong>la</strong> del Medioevo. Non solo per <strong>la</strong><br />

pittura, ma per l'intera cultura medievale lo spazio era inconcepibile al di<br />

fuori dei criteri dell'ordinamento gerarchico: <strong>la</strong> dimensione alto-basso era<br />

quel<strong>la</strong> prevalente e i movimenti ascendente e discendente quelli decisivi,<br />

tanto nel<strong>la</strong> fisica rie<strong>la</strong>borata da quel<strong>la</strong> aristotelica che nel<strong>la</strong> rappresentazione<br />

simbolica offerta dal<strong>la</strong> Commedia dantesca. La discesa e l'ascesa di Gesù<br />

erano i momenti salienti del<strong>la</strong> storia del mondo, <strong>la</strong> salita in cielo o <strong>la</strong> discesa<br />

nell'inferno le alternative del destino dell'uomo. In questo spazio privo del<strong>la</strong><br />

terza dimensione, del<strong>la</strong> profondità, tutto si appiattiva intorno alle figure<br />

simboliche dei protagonisti del<strong>la</strong> storia del<strong>la</strong> salvezza, rappresentate senza<br />

dare molta importanza alle proporzioni realistiche e al<strong>la</strong> natura dello sfondo,<br />

che poteva essere costituito da oggetti allegorici come il trono di maestà<br />

del<strong>la</strong> vergine Maria o semplicemente da un fondale d'oro.<br />

L’interesse per l’osservazione del mondo reale portò al<strong>la</strong> sostituzione di<br />

questo spazio simbolico con lo spazio prospettico, in cui le cose e i<br />

personaggi non sono più collocati in base al loro valore ideale, bensì in uno<br />

spazio reale anche quando si tratta di rappresentazioni sacre.<br />

La conquista del<strong>la</strong> prospettiva storica e del<strong>la</strong> prospettiva ottica costituiscono i<br />

risultati maggiori raggiunti nel <strong>Rinascimento</strong> nello sforzo di acquisire un punto<br />

di vista più oggettivo, in grado di cogliere le distanze spazio-temporali fra gli<br />

avvenimenti, fra gli oggetti e fra questi e l’osservatore.<br />

L’e<strong>la</strong>borazione di una nuova concezione del<strong>la</strong> natura fu preceduta da una<br />

ri<strong>nascita</strong> dell’interesse per <strong>la</strong> natura e per i dispositivi tecnici che consentono di<br />

utilizzar<strong>la</strong> a proprio vantaggio. L'atteggiamento tecnico-operativo condusse<br />

l'uomo a trasformare radicalmente il proprio metodo di studiare <strong>la</strong> natura,<br />

rinunciando in modo definitivo a far coincidere <strong>la</strong> <strong>scienza</strong> con <strong>la</strong> ricerca di teorie<br />

generali volte a spiegare tutto l'universo. Fu <strong>la</strong> sterilità di queste teorie, ai fini<br />

del<strong>la</strong> trasformazione dei fenomeni, che dimostrò il loro scarso valore scientifico.<br />

Fu <strong>la</strong> necessità di ottenere risultati utili che costrinse gli studiosi a circoscrivere le<br />

proprie indagini, ad accontentarsi di schemi partico<strong>la</strong>ri validi per gruppi limitati<br />

di fenomeni.<br />

L'accentrarsi dell'indagine naturalistica su problemi partico<strong>la</strong>ri e concreti,<br />

anziché su teorie generali, fu soprattutto dovuto all'insistenza con cui <strong>la</strong> nuova<br />

società chiese, ai suoi uomini maggiormente preparati, di fornirle mezzi di produzione<br />

via via più efficienti, di aiutar<strong>la</strong> cioè a compiere passi sempre più rapidi<br />

sul<strong>la</strong> strada del progresso. Fu questa atmosfera di generale rinnovamento,<br />

questa continua ricerca di accrescere <strong>la</strong> potenza dell'uomo sul<strong>la</strong> natura, che pose<br />

decisamente fine all'antico divorzio tra teoria e pratica, tra <strong>scienza</strong> e tecnica. La<br />

società antica non seppe avanzare una richiesta altrettanto pressante agli<br />

scienziati alessandrini, e ciò fu una tra le cause del mancato sviluppo di<br />

tutte le possibilità insite nelle loro conoscenze teoretiche. La società del<br />

<strong>Rinascimento</strong> non commise più lo stesso errore, e con le sue fortissime istanze<br />

pratiche impedì al<strong>la</strong> nuova <strong>scienza</strong> di isterilirsi come quel<strong>la</strong> antica.<br />

Va, infine, aggiunto che furono proprio le ricerche partico<strong>la</strong>ri a porre in luce<br />

La polemica con _____________________<br />

La scoperta del<strong>la</strong> _____________________<br />

___________________________<br />

La _____________________________<br />

medievale:<br />

- alto / _________<br />

- le figure ______________________<br />

Spazio ________________________ e<br />

spazio ___________________<br />

Prospettiva _____________________ e<br />

_____________________ = ___________<br />

___________________________________<br />

C –LA NUOVA CONCEZIONE DELLA<br />

____________________<br />

L’interesse __________________________<br />

per <strong>la</strong> natura<br />

conseguenze:<br />

1 –dalle ____________________________<br />

alle ________________________________<br />

e ai _______________________________<br />

2 - ________________________________<br />

__________________________________<br />

3 - ________________________________<br />

___________________________________<br />

9


l'importanza delle matematica per lo studio dell'esperienza. Nul<strong>la</strong>, infatti, risultò<br />

più idoneo che le linee e i numeri a formu<strong>la</strong>re schemi precisi dei singoli fenomeni,<br />

a stabilire con esattezza i loro effettivi rapporti. In questo modo anche <strong>la</strong> più<br />

astratta delle scienze conosciute dall'umanità, acquistò un significato nuovo: il<br />

significato di strumento indispensabile per leggere e penetrare il grande libro<br />

del<strong>la</strong> natura.<br />

Come si cercava di svinco<strong>la</strong>re <strong>la</strong> concezione dell’uomo dall’interpretazione<br />

religiosa, così avvenne anche per <strong>la</strong> natura di cui si cercò di e<strong>la</strong>borare una nuova<br />

concezione che ne garantisse <strong>la</strong> piena autonomia. Essa nel Medioevo era vista in<br />

termini negativi come copia del mondo ideale, luogo contemporaneamente di<br />

tentazione e di espiazioni dai peccati. La si pensava organizzata gerarchicamente<br />

e l’uomo occupava il posto più alto, più vicino a Dio.<br />

La nuova concezione venne e<strong>la</strong>borata dapprima vedendo <strong>la</strong> natura, in un’ottica<br />

neop<strong>la</strong>tonica, come ciò che rive<strong>la</strong> <strong>la</strong> saggezza e <strong>la</strong> bellezza di Dio (scuo<strong>la</strong> del<strong>la</strong><br />

cattedrale di Chartres e gli umanisti). In un secondo tempo si affermò, in maghi e<br />

scienziati, una visione animista, magica del<strong>la</strong> natura come popo<strong>la</strong>ta di forze<br />

occulte, che l’uomo si illude di poter dominare, ove, è palese l'abisso con<br />

l’atteggiamento di chi nel<strong>la</strong> natura ricercava vestigie, immagini e similitudini<br />

del<strong>la</strong> divinità trascendente). Furono proprio i tentativi di porre in atto questo<br />

controllo che portarono, infine, al<strong>la</strong> formu<strong>la</strong>zione del metodo scientifico (ad<br />

opera di Galileo).<br />

L’interesse per <strong>la</strong> natura è nel <strong>Rinascimento</strong> strettamente connesso con l’altra<br />

tematica dominante, cioè <strong>la</strong> nuova concezione dell’individuo. Questo stretto<br />

legame è dato dal fatto che l’individuo si esprime nell’azione, <strong>la</strong> quale viene<br />

ottimizzata dallo studio del<strong>la</strong> natura. Inoltre, il <strong>Rinascimento</strong> scopre <strong>la</strong><br />

dimensione naturale dell’uomo vedendolo come un elemento appartenente al<strong>la</strong><br />

natura. In una concezione magica l’uomo è visto come un microcosmo che<br />

riflette in sé gli aspetti dell’intero universo; in questa nuova ottica lo studio del<strong>la</strong><br />

natura non è più una fuga rispetto a se stessi, fuga di fronte all’interiorità o<br />

distrazione rispetto al destino ultraterreno, ma un modo per conoscersi.<br />

A –individuo espresso dall’<br />

La concezione del<strong>la</strong> natura _____________<br />

1 - ________________________________<br />

2 - ________________________________<br />

3 - ________________________________<br />

Dal<strong>la</strong> concezione _____________________<br />

a Galilei:<br />

1 –umanisti:<br />

NUOVA CONCEZIONE DELLA _______________ E NUOVA CONCEZIONE DELL’_______________<br />

_____________________ ottimizzata dallo<br />

2 –LO SPIRITO SCIENTIFICO DEL RINASCIMENTO<br />

2.1 I fattori del<strong>la</strong> ri<strong>nascita</strong> degli studi scientifici<br />

2.2 La cattiva empiria e <strong>la</strong> cattiva generalizzazione<br />

2.3 Magia e <strong>scienza</strong> <strong>moderna</strong><br />

2.4 Le indagini scientifiche e tecniche del <strong>Rinascimento</strong><br />

Benché l’inizio del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong> <strong>moderna</strong> coincida con <strong>la</strong> svolta metodologica<br />

imposta da Galilei nel Seicento, è indubbio che tale svolta affondi le sue radici<br />

nel<strong>la</strong> ri<strong>nascita</strong> dell’interesse scientifico avvenuto nel <strong>Rinascimento</strong>. Tra le cause<br />

di questa ri<strong>nascita</strong> vanno sicuramente annoverate, come abbiamo già detto, le<br />

sempre più precise e pressanti richieste che venivano da ogni parte rivolte ai<br />

tecnici per. rendere più efficienti i mezzi di produzione, di comunicazione, di<br />

natura =____________________________<br />

2 - ________________________________:<br />

concezione _________________________<br />

3 –Galilei:<br />

___________________________________<br />

Nuova concezione del<strong>la</strong> _______________<br />

e nuova concezione dell’_______________<br />

______________________________<br />

B –uomo = _____________________________________ un modo per ______________________<br />

non _____________________________<br />

LO SPIRITO SCIENTIFICO DEL<br />

RINASCIMENTO<br />

I FATTORI DELLA RINASCITA DEGLI STUDI<br />

SCIENTIFICI<br />

10


distruzione, ecc. ; e nel<strong>la</strong> impossibilità - da parte dei tecnici - di risolvere i nuovi<br />

problemi senza l'ausilio di meditate riflessioni, sistematicamente condotte con<br />

tutti gli strumenti teorici e pratici allora posseduti.<br />

D’altronde furono queste stesse richieste, volte a rispondere a esigenze pratiche,<br />

a determinare le caratteristiche del nuovo tipo di sapere, strettamente legato al<strong>la</strong><br />

vita pratica, e quindi un sapere volto a risolvere problemi concreti (<strong>la</strong> bonifica di<br />

un territorio, <strong>la</strong> sua difesa militare, ..). Un sapere inoltre che, almeno in parte è<br />

collettivo, in quanto nasce nelle botteghe e nelle officine ed è il frutto<br />

dell’esperienza e del<strong>la</strong> col<strong>la</strong>borazione di generazioni di artigiani e tecnici.<br />

Questo sapere, infine, è progressivo nel<strong>la</strong> misura in cui consente di soddisfare<br />

sempre meglio le esigenze pratiche che ne stanno al<strong>la</strong> base.<br />

Un’altra causa del<strong>la</strong> ri<strong>nascita</strong> dell’interesse scientifico va connessa al<br />

rinnovato risveglio delle ricerche filologiche che misero a disposizione degli<br />

studiosi rinascimentali molte opere greche (tradotte in <strong>la</strong>tino o in lingue<br />

moderne) e <strong>la</strong>tine - fino allora ignote o mal note - di argomenti scientifici e<br />

tecnici.<br />

Con <strong>la</strong> conquista di Bisanzio da parte dei Turchi molti intellettuali giunsero in<br />

Europa, portando con sé molti di questi testi.. Venne così recuperato il<br />

patrimonio di conoscenze prodotto e sistemato dagli scienziati ellenisti che,<br />

insieme al patrimonio del<strong>la</strong> tradizione araba, costituì il punto di partenza del<strong>la</strong><br />

nuova <strong>scienza</strong>. Venne in questo modo riscoperta l’opera scientifica di Euclide<br />

(geometria), Archimede (fisica), Galeno, Ippocrate (medicina). Queste opere<br />

vennero lette però in un’ottica <strong>moderna</strong>, cercando in essi una risposta alle<br />

esigenze tecniche; ciò porto al<strong>la</strong> scoperta del<strong>la</strong> loro scarsa efficacia e<br />

inadeguatezza e, di conseguenza, del<strong>la</strong> necessità di andare oltre al patrimonio di<br />

conoscenze avuto in eredità dagli antichi.<br />

_____________________________________________________________________________:<br />

1 - __________________________________________________________________________________________________________<br />

2 - ___________________________________________________________________________________________________________<br />

______________________________________________________________________________:<br />

1 - __________________________________________________________________________________________________________<br />

2 - ___________________________________________________________________________________________________________<br />

3 - __________________________________________________________________________________________________________<br />

G. Micheli, uno studioso contemporaneo del<strong>la</strong> storia del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong>, ha<br />

scritto che “una cattiva empiria collegata ad un’altrettanta cattiva<br />

generalizzazione sono le caratteristiche essenziali del<strong>la</strong> cultura scientifica<br />

rinascimentale: gli intellettuali tipici del periodo sono dei maghi sperimentatori<br />

come Cardano o Del<strong>la</strong> Porta che attestano in sommo grado tale <strong>la</strong>cerazione.”<br />

<strong>Il</strong> rifarsi all'esperienza diretta nell’indagine sul<strong>la</strong> natura è una conseguenza di<br />

quell'atteggiamento di maggior concretezza rivendicato dagli umanisti che si<br />

estende nell'età rinascimentale, oltre che al mondo storico e a quello dei rapporti<br />

civili e sociali tra gli uomini, anche allo studio del mondo esterno. In verità, il<br />

rapporto che l'uomo di <strong>scienza</strong> rinascimentale ha verso <strong>la</strong> natura è ancora<br />

abbastanza analogo a quello puntuale, concreto dell'esperienza comune, senza<br />

nessuna esigenza di ordine e sistematicità. La puntualità e <strong>la</strong> concretezza,<br />

ovviamente si accompagnano all'imprecisione e al<strong>la</strong> mancanza di rigore tipiche<br />

del linguaggio e dell'esperienza comuni; il controllo critico è sommario e<br />

generico e le cose più stravaganti o inconsuete, appunto perché tali, attirano<br />

LA CATTIVA EMPIRIA E LA CATTIVA<br />

GENERALIZZAZIONE<br />

SCIENZA RINASCIMENTALE =<br />

“cattiva empiria +____________________<br />

_______________________________<br />

_____________ _____________________<br />

perché:<br />

1 - empiria = ________________________<br />

2 –linguaggio ____________________<br />

11


maggiormente l'attenzione. L'entusiasmo e <strong>la</strong> passione con cui si propugnano<br />

e si conducono nuove esperienze si connette con il fatto, tipico e<br />

caratteristico, che si hanno poche esperienze effettivamente vinco<strong>la</strong>nti, in<br />

grado di dirimere una questione. « È <strong>la</strong> curiosità senza limiti, l’acutezza di<br />

visione e lo spirito d'avventura che conducono ai grandi viaggi di scoperta<br />

e alle grandi opere di descrizione. Ricorderò so<strong>la</strong>mente <strong>la</strong> scoperta dell'America,<br />

<strong>la</strong> circumnavigazione dell'Africa, <strong>la</strong> circumnavigazione del mondo che arricchiscono<br />

prodigiosamente <strong>la</strong> conoscenza dei fatti e che nutrono <strong>la</strong> curiosità per i<br />

fatti, per <strong>la</strong> ricchezza del mondo, per <strong>la</strong> varietà e <strong>la</strong> molteplicità delle cose.<br />

Ovunque sia sufficiente una raccolta di fatti e una accumu<strong>la</strong>zione di sapere<br />

ovunque non si abbia bisogno di teoria, il XVI secolo ha prodotto cose<br />

meravigliose » (Koyré 4 ).<br />

A questa fede cieca nei fatti concreti, a questo vivissimo interesse per le cose<br />

nel<strong>la</strong> loro molteplice e multiforme varietà, fa da naturale contrappunto una<br />

visione magica e animistica che rappresenta l’altro aspetto caratteristico del<strong>la</strong><br />

cultura rinascimentale: <strong>la</strong> cattiva generalizzazione. Connessa al recupero del<strong>la</strong><br />

grande tradizione p<strong>la</strong>tonica, a cui i testi c<strong>la</strong>ssici dell'occultismo si ricollegano, fa<br />

risorgere a nuova vita <strong>la</strong> teoria del<strong>la</strong> corrispondenza tra macrocosmo e<br />

microcosmo, quel<strong>la</strong> dell'armonia del mondo e, in generale, l'idea di un<br />

universo animato in cui tutti gli elementi sono collegati fra di loro da<br />

simpatie, da nessi nascosti, da colleganze misteriose che l'uomo può cogliere<br />

in virtù di pratiche occulte per soddisfare i suoi fini di potenza. La<br />

reviviscenza del<strong>la</strong> magia presenta, nell'Umanesimo e nel <strong>Rinascimento</strong>, caratteri<br />

abbastanza diversi da quelli originari e da quelli formatisi nell'età<br />

medievale. « La distanza tra medioevo ed età nuova è <strong>la</strong> distanza medesima<br />

che corre fra un universo conchiuso, astorico, atemporale, immoto, senza<br />

possibilità, definito, ed un universo infinito, aperto, tutto possibilità. Nell'ordine<br />

del primo, il mago è so<strong>la</strong>mente <strong>la</strong> tentazione demoniaca che vuole<br />

incrinare un mondo pacificato e perfetto. Per. questo è combattuto,<br />

perseguitato, bruciato, e <strong>la</strong> magia è relegata fuori delle scienze degne dell'uomo:<br />

è solo un precipitare nell'informe, un ascoltare <strong>la</strong> seduzione del diavolo, che è <strong>la</strong><br />

seduzione del mostruoso » (E. Garin 5 ). Ora, invece, nelle discipline magiche si<br />

fanno luce due diverse tendenze. Una, che si può definire cerimoniale, in cui <strong>la</strong><br />

tradizione occultistica viene inserita in un quadro teologico molto ampio in cui<br />

è predominante il tema del<strong>la</strong> concordanza con <strong>la</strong> tradizione cristiana (Marsilio<br />

Ficino e Pico del<strong>la</strong> Mirando<strong>la</strong>). L'altra tendenza, a carattere naturalistico, trova il<br />

suo più ampio sviluppo nel pieno <strong>Rinascimento</strong> e tende a contrapporsi al<strong>la</strong> magia<br />

cerimoniale e demoniaca del medioevo: in tale senso <strong>la</strong> magia è l'apice del<strong>la</strong><br />

filosofi naturale e il mago è il ministro del<strong>la</strong> natura, colui che sollecita le forze<br />

oscure e misteriose che nel<strong>la</strong> natura operano perché abbiano luogo quegli effetti<br />

meravigliosi che il volgo reputa miracoli ( Paracelso, Cardano). La distinzione<br />

tra magia naturale e magia cerimoniale si trova già in funzione apologetica negli<br />

scrittori di occultismo del <strong>Rinascimento</strong> ed è stata ripresa dagli storici moderni<br />

che hanno visto da un <strong>la</strong>to « già albori di ricerca scientifica », dall'altro « relitti di<br />

antiche religioni e spunti di superstizioni nuove ».<br />

Infatti, i due tipi di magia si differenziano per il tipo di prassi che promuovono.<br />

Nel<strong>la</strong> magia cerimoniale <strong>la</strong> prassi è rituale e liturgica; si pensa che i riti possano<br />

modificare <strong>la</strong> volontà delle forze occulte. Nel<strong>la</strong> magia naturale invece <strong>la</strong> prassi è<br />

di tipo operativo, in quanto si cerca di e<strong>la</strong>borare tecniche in grado di sfruttare le<br />

3 –controllo critico ________________<br />

(curiosità)<br />

Causa = poche _______________________<br />

__________________<br />

___________________________________<br />

perché:<br />

prevalere concezioni ________________<br />

caratterizzate da:<br />

1__________________________________<br />

2 teoria dell’armonia __________________<br />

3__________________________________<br />

___________________________________<br />

La FIGURA DEL MAGO<br />

nel Medioevo<br />

mago ____________ l’ordine del mondo <br />

__________________________________<br />

nel <strong>Rinascimento</strong> accettazione magia<br />

2 concezioni:<br />

4 A. Koyré (1892-1964) è considerato uno dei più autorevoli storici del pensiero scientifico.<br />

L'opera storiografica di Koyré è incentrata sul<strong>la</strong> rivoluzione scientifica in astronomia e fisica e le<br />

sue ricerche in genere mirano a rilevare le influenze esercitate sulle concezioni ed il <strong>la</strong>voro dei<br />

grandi protagonisti di quel<strong>la</strong> rivoluzione dalle idee filosofiche. Egli ha visto nel<strong>la</strong> rivoluzione<br />

scientifica il passaggio dal mondo chiuso del medioevo all’universo infinito, dal mondo del<br />

pressappochismo al mondo del calcolo, del<strong>la</strong> precisione<br />

5 E. Garin (1909) studioso italiano del pensiero umanistico.<br />

A –MAGIA ___________________<br />

Quadro teologico concorde con _________<br />

___________________________________<br />

Prassi: _____________________________<br />

riti modificano ______________________<br />

costituisce un relitto di antiche _________<br />

__________________________________<br />

B –MAGIA ________________________<br />

Mago opera per ______________________<br />

___________________________________<br />

12


forze occulte per soddisfare una qualche esigenza dell’uomo.<br />

Tipico rappresentante del<strong>la</strong> magia naturale è Paracelso (1493-1541) 6 che si<br />

propose di fondare <strong>la</strong> medicina come tecnica in grado di sfruttare queste forze<br />

per curare le ma<strong>la</strong>ttie.<br />

<strong>Il</strong> quadro teorico entro cui Paracelso, come <strong>la</strong> maggioranza dei maghi, e<strong>la</strong>bora <strong>la</strong><br />

propria teoria presuppone una corrispondenza fra microcosmo e macrocosmo,<br />

caratterizzante l’intera magia naturale e le pratiche astrologiche e alchemiche.<br />

Tale teoria implica l’idea che per conoscere <strong>la</strong> parte occorre conoscere il tutto,<br />

per cui, ad esempio, per conoscere l’uomo bisogna prima conoscere <strong>la</strong> natura.<br />

Inoltre, essa consente di stabilire una corrispondenza fra l’uomo e gli altri<br />

elementi del<strong>la</strong> natura e teorizzare <strong>la</strong> possibilità di operare su di una parte per<br />

mutare quello che ad essa corrisponde in un ordine parallelo. Ciò consente,<br />

secondo Paracelso, di congiungere fra <strong>la</strong> loro medicina ed astrologia e medicina<br />

ed alchimia; <strong>la</strong> corrispondenza fra corpi celesti e parti del corpo umano, ad<br />

esempio, consente di individuare possibili influenze benefiche o malefiche degli<br />

astri e quindi di rafforzarle o prevenirle.<br />

<strong>Il</strong> nesso fra medicina e alchimia risiede invece nel parallelismo fra elementi<br />

naturali (minerali e vegetali) e corpo umano visto come un sistema di elementi<br />

chimici. Su questo parallelismo Paracelso basa <strong>la</strong> sua sperimentazione<br />

farmacologica che rappresenta l’aspetto operativo del<strong>la</strong> sua concezione magica.<br />

Pur all’interno di questo quadro interpretativo che si rifaceva al<strong>la</strong> magia, il<br />

<strong>la</strong>voro di Paracelso ha contribuito al<strong>la</strong> <strong>nascita</strong> del<strong>la</strong> <strong>moderna</strong> medicina in quanto<br />

ha introdotto alcune prospettive che resteranno tipiche del<strong>la</strong> medicina scientifica<br />

come, ad esempio, <strong>la</strong> concezione del<strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia come un processo naturale<br />

specifico su cui il medico può agire solo conoscendo le forze e le operazioni che<br />

<strong>la</strong> natura in essa compie. All’idea del<strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia come processo specifico si<br />

accompagna inoltre l’idea che su ciascuna ma<strong>la</strong>ttia funzioneranno rimedi<br />

altrettanto specifici, mentre tradizionalmente <strong>la</strong> medicina si proponeva di<br />

individuare medicine utili per tutte le ma<strong>la</strong>ttie.<br />

Per valutare il prevalere delle concezioni magiche nel<strong>la</strong> <strong>scienza</strong> rinascimentale,<br />

occorre tenere conto del fatto che l’interpretazione magica era propria di tutta <strong>la</strong><br />

6 Per le opere e <strong>la</strong> vita vedi pag.<br />

PARACELSO<br />

La corrispondenza tra _________________ e _____________________ per cui:<br />

Prassi ______________________________<br />

e<strong>la</strong>borare tecniche che_________________<br />

_____________ per __________________<br />

______________________<br />

1 - ____________________________________________________________________________________________<br />

2 - ____________________________________________________________________________________________<br />

3 - ____________________________________________________________________________________________<br />

da cui:<br />

a - i rapporti tra _________________________________________________________<br />

b - rapporti tra ________________________________________________________<br />

<strong>la</strong> sperimentazione _______________________________<br />

I contributi di Paracelso al<strong>la</strong> _________________________________<br />

1 ____________________________________________________________________________________________<br />

2______________________________________________________________________________________________<br />

PARACELSO<br />

13


cultura, era parte integrante del senso comune. Nel Cinquecento tutti vedevano<br />

<strong>la</strong> natura interamente pervasa da forze di tipo magico: popolo e preti<br />

par<strong>la</strong>vano continuamente di miracoli compiuti da dio o dal demonio, streghe<br />

e stregoni eseguivano ogni giorno i più strani esorcismi; nul<strong>la</strong> di più<br />

comprensibile, dunque, che anche gli studiosi ricorressero senza alcuna<br />

ripugnanza concettuale a tipi di forze che oggi non potrebbero venire invocati<br />

se non da persone in ma<strong>la</strong> fede o visionarie.<br />

La magia naturale, però, dava alle proprie ricerche una impostazione ben<br />

diversa da quel<strong>la</strong> che stava al<strong>la</strong> base dei vari generi di esorcismi. <strong>Il</strong> mago<br />

ammetteva sì l'esistenza di fenomeni « strani » (cioè non rientranti nelle solite<br />

norme dell'esperienza quotidiana) e riteneva di poter intervenire sul<strong>la</strong> loro<br />

produzione, ma li considerava in ogni caso come naturali, cioè come effetti di<br />

forze occulte di carattere naturale e non sovrannaturale.<br />

Pur muovendosi all’interno di questo quadro teorico in seguito abbandonato<br />

dal<strong>la</strong> <strong>scienza</strong>, l’attività del mago rinascimentale finì per prefigurare in diversi<br />

modo l’attività dello scienziato. Già abbiamo detto che il mago non si accontenta<br />

di contemp<strong>la</strong>re passivamente i fenomeni del<strong>la</strong> natura, ma vuole modificarli. La<br />

sua non è una disciplina puramente specu<strong>la</strong>tiva; vuole essere attiva, operativa,<br />

capace di accrescere in concreto <strong>la</strong> potenza dell'uomo. Ed è presumibile che le<br />

tecniche del mago qualche successo (reale o apparente) riuscissero a<br />

conseguirlo, se tanto profonda e tanto diffusa era <strong>la</strong> fiducia in esso riposta.<br />

Egli osservava pazientemente (se pure senza sistematicità) il corso dei<br />

fenomeni; tentava di compiere autentici esperimenti (ovviamente senza condurli<br />

con « metodo scientifico »); si sforzava di tentare di connettere fra loro tali<br />

fenomeni (poniamo, <strong>la</strong> comparsa di una cometa con il verificarsi di una partico<strong>la</strong>re<br />

catastrofe), attività che rientrava abbastanza bene nel quadro di<br />

un'indagine, se non scientifica, almeno ipotetico-scientifica, e le ipotesi usate da<br />

maghi, astrologi, alchimisti apparivano, in quel secolo, perfettamente p<strong>la</strong>usibili<br />

per dare una qualche interpretazione dei pochi e disorganici risultati scoperti<br />

(interpretazione per lui p<strong>la</strong>usibile, anche se per noi pazzesca); nul<strong>la</strong> di<br />

sorprendente, quindi, se le sue indicazioni per intervenire sul<strong>la</strong> natura (per<br />

corregger<strong>la</strong>, trasformar<strong>la</strong>, ecc.) dovessero, almeno in qualche caso, risultare più<br />

efficaci delle azioni istintive dell'uomo comune non fondate su alcuna forma di<br />

« sapere »<br />

Fino a che punto possiamo dire che gli artifizi ideati dal mago e dall'alchimista<br />

fossero veramente degni del nome di tecniche? Oggi noi sappiamo, per<br />

esempio, che gli alchimisti avevano scoperto molte proprietà effettive di talune<br />

importanti sostanze chimiche e che in qualche caso queste proprietà si erano<br />

rive<strong>la</strong>te assai utili nel<strong>la</strong> preparazione di medicinali, nel<strong>la</strong> <strong>la</strong>vorazione di metalli,<br />

ecc. Ma spesso ritroviamo accanto ad esse altre nozioni alchimistiche<br />

assolutamente inaccettabili, cui veniva tributata altrettanta fiducia. Dove<br />

passava <strong>la</strong> linea di demarcazione effettiva fra tecniche serie e tecniche non<br />

serie, fra nozioni fondate e nozioni cervellotiche?<br />

È tutt'altro che facile rispondere a questa domanda. E forse è inutile, o<br />

almeno storicamente erroneo, tentare di rispondervi. L'unica cosa da fare è<br />

prendere atto che <strong>la</strong> ricerca in quell'epoca si svolgeva veramente così e che,<br />

bene o male, essa costituì l'humus dal quale nacque l'autentica osservazione<br />

scientifica. Per studiare seriamente <strong>la</strong> <strong>scienza</strong> cinquecentesca bisogna tener conto<br />

anche dei fattori irrazionali (non scientifici) in essa presenti e invece di<br />

discutere fino a che punto i loro risultati fossero veri o falsi (nel senso che lo<br />

scienziato di oggi attribuisce a questo termine), bisogna cercare di chiarire<br />

quale fu il « fatto nuovo » che a un certo momento intervenne a separare, nel<br />

MAGIA E SCIENZA MODERNA<br />

___________________________________<br />

___________________________________<br />

___________________________________<br />

___________________________________<br />

___________________________________<br />

___________________________________<br />

___________________________________<br />

___________________________________<br />

___________________________________<br />

___________________________________<br />

14


ANALOGIE ATTIVITÀ MAGO E SCIENZIATO<br />

1 ____________________________________________________________________________________________________________<br />

2 ____________________________________________________________________________________________________________<br />

3 ____________________________________________________________________________________________________________<br />

4 ____________________________________________________________________________________________________________<br />

5 ____________________________________________________________________________________________________________<br />

complesso delle indagini sul<strong>la</strong> natura, quelle autenticamente scientifiche da quelle<br />

puramente magiche. Gli odierni storici del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong> ritengono che tale fatto<br />

nuovo fu <strong>la</strong> sistematica alleanza di essa con <strong>la</strong> meccanica; di qui l'importanza<br />

centrale - per tutta <strong>la</strong> <strong>scienza</strong> - del<strong>la</strong> rivoluzione delle ricerche meccaniche<br />

maturatasi nel Cinquecento e portata a termine da Galileo.<br />

Comunque, non sarebbe esatto ritenere che magia e astrologia siano state d'un<br />

tratto respinte fuori dal campo delle ricerche « serie ». Al contrario, molti<br />

continuarono a lungo a prestar loro una certa fiducia. Furono soprattutto i risultati<br />

pratici a sgreto<strong>la</strong>re questa fiducia: si vide infatti che, mentre le ricerche<br />

scientifiche razionali erano feconde di applicazioni via via maggiori, le arti occulte<br />

non portavano ad alcun effettivo successo. Risultò in tal modo sempre<br />

più chiara <strong>la</strong> frattura tra <strong>scienza</strong> e non-<strong>scienza</strong> e l'uomo finì col considerare <strong>la</strong> ricerca<br />

scientifica come l’unico strumento efficace per <strong>la</strong> conoscenza e il dominio<br />

dei fenomeni.<br />

Da un punto di vista scientifico, le due discipline che nel Cinquecento hanno<br />

avuto un progresso più notevole sono state l’astronomia e <strong>la</strong> meccanica.<br />

L’astronomia ebbe una rilevanza maggiore del<strong>la</strong> meccanica sul piano culturale,<br />

in quanto le nuove concezioni sollevavano problemi direttamente collegati al<strong>la</strong><br />

filosofia e al<strong>la</strong> teologia. Ad esempio, <strong>la</strong> scoperta che terra e cielo sono composti<br />

dal<strong>la</strong> stessa materia metteva in crisi l’idea dell’eternità del cielo in quanto sede di<br />

Dio.<br />

La cosiddetta rivoluzione astronomica ruota attorno a Copernico, le cui<br />

concezioni furono riprese da Keplero e Galilei.<br />

All’interno del dibattito che le teorie copernicane sollevarono emerse <strong>la</strong> <strong>moderna</strong><br />

concezione dell’universo eliocentrica ed infinita; il contributo filosofico<br />

maggiore fu apportato a queste teorie da Giordano Bruno.<br />

Per quanto riguarda <strong>la</strong> formazione del metodo scientifico fu sicuramente molto<br />

più importante <strong>la</strong> meccanica. La meccanica fu <strong>la</strong> <strong>scienza</strong> nel<strong>la</strong> quale si<br />

affermarono per <strong>la</strong> prima volta l’esigenza del ricorso al<strong>la</strong> matematica, per<br />

un’esatta descrizione dei fenomeni, e del ricorso all’esperimento, per verificare<br />

le ipotesi. Infine, in essa si stabilì presto uno stretto legame fra conoscenza<br />

scientifica e tecnica. Nicolò Tartaglia, ad esempio, nei suoi studi dei moti partiva<br />

dall’esigenza pratica di determinare <strong>la</strong> traiettoria dei proiettili.<br />

___________________________________<br />

___________________________________<br />

LE INDAGINI SCIENTIFICHE E TECNICHE DEL<br />

RINASCIMENTO<br />

1 _________________________________<br />

+ importanza ______________________<br />

protagonisti:________________________<br />

___________________________________<br />

2 - ________________________________<br />

+ importanza ________________________<br />

a - ________________________________<br />

b - ________________________________<br />

c - ________________________________<br />

15


3 –GIORDANO BRUNO<br />

3.1 La complessità di Bruno<br />

3.2 La nuova concezione del<strong>la</strong> natura<br />

3.3 La nuova concezione dell'uomo<br />

3.4 <strong>Il</strong> processo e <strong>la</strong> condanna (vedi film “Giordano Bruno”di G. Montaldo)<br />

Sia le tesi filosofiche, sia le vicende biografiche di Giordano Bruno (1548-<br />

1600) 7 sono straordinariamente complesse. Muovendo dall'originaria No<strong>la</strong> e<br />

dal convento napoletano dei domenicani, dove si svolse <strong>la</strong> sua formazione, Bruno dal<br />

momento in cui <strong>la</strong>scia l’ordine fino al rogo, percorse in lungo e in <strong>la</strong>rgo l'Europa<br />

insanguinata dalle guerre di religione, da Ginevra a Parigi, da Londra a Praga, da<br />

Francoforte a Venezia, per diffondere <strong>la</strong> propria filosofia, suscitando ovunque<br />

discussioni e accese controversie. Arrestato per ordine dell'Inquisitore veneto e<br />

tradotto a Roma con l'accusa di eresia, fu riconosciuto eretico - rifiutandosi di<br />

abiurare - condannato al rogo. La tenacia nel difendere le proprie idee e <strong>la</strong> tragica<br />

fine ne fecero nei secoli successivi un martire del<strong>la</strong> nuova <strong>scienza</strong> e del libero<br />

pensiero e un antesignano dell'autonomia del<strong>la</strong> ricerca scientifica nei confronti<br />

delle ingerenze del potere politico e religioso.<br />

Egli nelle sue continue peregrinazioni ricercava nuovi stimoli culturali; ad<br />

esempio a Parigi venne a contatto con le teorie copernicane, qui e poi a Ginevra<br />

si confrontò con i Calvinisti e a Francoforte con i Luterani. Bruno cercava un<br />

ambiente in grado di accettare le sue idee e spesso non trovandolo fu costretto,<br />

dal clima di intolleranza che regnava un pò ovunque in Europa, a fuggire.<br />

Inoltre, avendo <strong>la</strong>sciato l’ordine, Bruno doveva ricercare per il suo<br />

sostentamento l’accoglienza di un’università o <strong>la</strong> protezione di un principe o di<br />

un ricco mercante (vedi <strong>la</strong> nuova committenza <strong>la</strong>ica).<br />

Sul piano teorico questa complessità è giustificata dal fatto che nel pensiero di<br />

Giordano Bruno confluiscono , o come oggetto di polemica o come elementi<br />

costitutivi, tutte le espressioni del<strong>la</strong> filosofia cinquecentesca; ma anche gli<br />

obiettivi che <strong>la</strong> riflessione filosofica di Bruno si proponeva erano molto vasti:<br />

l’e<strong>la</strong>borazione di una nuova concezione dell’universo in sintonia con i risultati<br />

del<strong>la</strong> ricerca scientifica, in partico<strong>la</strong>re con le teorie copernicane, e l’e<strong>la</strong>borazione<br />

di un nuova concezione dell’uomo in grado di rinnovare <strong>la</strong> vita sociale e morale<br />

del<strong>la</strong> civiltà europea. In effetti il programma di Bruno non si limita a proporre un<br />

mutamento del modo di concepire il mondo fisico e <strong>la</strong> ricerca scientifica, ma propone<br />

La complessità __________________________________<br />

una riforma complessiva del<strong>la</strong> filosofia e del<strong>la</strong> vita civile europea, nel<strong>la</strong><br />

7 Per le opere e <strong>la</strong> vita vedi pag. 29<br />

GIORDANO BRUNO<br />

LA COMPLESSITÀ DI BRUNO<br />

A - ________________________________<br />

I motivi delle ________________________<br />

___________________________________<br />

1 - ________________________________<br />

2 - ________________________________<br />

3 - ________________________________<br />

B - ________________________________<br />

1 - _________________________________________________________________________________________________________<br />

2 - ________________________________:<br />

a - _____________________________________________: ____________________________________________________<br />

____________________________________________________<br />

b - _____________________________________________: ____________________________________________________<br />

passività ctr ______________________<br />

16


seconda metà del Cinquecento, di<strong>la</strong>niata dalle guerre di religione.<br />

Sul piano cosmologico-metafisico, <strong>la</strong> critica di Bruno all'aristotelismo mette<br />

capo al<strong>la</strong> visione di un mondo infinito, popo<strong>la</strong>to di infiniti enti nei quali si<br />

esplica l’infinita potenza produttiva di un'unica sostanza: <strong>la</strong> materia-vita. Sul<br />

piano etico politico Bruno si presenta come portatore di una radicale riforma<br />

anticristiana del<strong>la</strong> società europea. Al<strong>la</strong> passività e al<strong>la</strong> rassegnazione, cui il<br />

cristianesimo consegna i credenti, <strong>la</strong> riforma di Bruno vuole sostituire<br />

un'umanità nuova, fiduciosa delle proprie risorse intellettuali e tecniche.<br />

La nuova concezione del<strong>la</strong> natura e<strong>la</strong>borata da Bruno si fonda su un duplice<br />

modo di intendere Dio. Dio può venir pensato, secondo Bruno, innanzitutto<br />

come mente al di sopra di tutto quindi fuori dal cosmo, ma, in quanto<br />

trascendente, Dio è allora inconoscibile; infatti, come da una statua non è<br />

possibile risalire all’autore, così dall’universo, creato da Dio, non si può arrivare<br />

a conoscere Dio. Dio perciò può essere solo oggetto di fede, conoscibile<br />

attraverso <strong>la</strong> rive<strong>la</strong>zione. Dio può, inoltre, essere pensato come mente presente in<br />

tutte le cose, immanente e quindi conoscibile tramite <strong>la</strong> ragione.<br />

Nonostante questa ed altre concessioni al<strong>la</strong> tradizionale trascendenza divina,<br />

rintracciabili nelle suo pensiero, appare innegabile che l’atteggiamento<br />

prevalente, e comunque quello che maggiormente si connette con il resto del suo<br />

pensiero, sia <strong>la</strong> propensione, tipica del <strong>Rinascimento</strong>, a vedere il divino nel<br />

mondo.<br />

Da questo punto di vista <strong>la</strong> teoria del<strong>la</strong> duplice natura divina, simultaneamente<br />

dentro e fuori dell’universo, appare come una sorta di “doppia verità”, volta a<br />

tentare una possibile conciliazione tra il proprio pensiero e le dottrine ufficiali<br />

del<strong>la</strong> Chiesa. Durante le prime fasi del processo, infatti, lo stesso Bruno impostò<br />

<strong>la</strong> sua difesa su questa linea, che in seguito abbandonò.<br />

In quanto mente presente in tutte le cose, Dio ne rappresenta l’artefice interno,<br />

causa e principio di tutti i fenomeni naturali. In questo modo <strong>la</strong> negazione del<strong>la</strong><br />

trascendenza divina conduce all’identificazione tra Dio e natura che consente a<br />

Bruno di giustificare l’interpretazione magica del<strong>la</strong> natura, tipica del<br />

<strong>Rinascimento</strong>.<br />

L’azione di Dio nel mondo è spiegata ricorrendo a concetti neop<strong>la</strong>tonici: Dio si<br />

rive<strong>la</strong> nel mondo come l’anima del mondo che p<strong>la</strong>sma dal di dentro <strong>la</strong> materia,<br />

agendo come forza intrinseca al<strong>la</strong> materia. La sua azione è paragonata da Bruno<br />

al seme che dal suo interno caccia fuori le radici e il fusto, quali sue potenzialità<br />

interne.<br />

Su queste base Bruno costruisce <strong>la</strong> sua critica al<strong>la</strong> teoria aristotelica del<strong>la</strong><br />

separazione tra forma e materia; critica che investe soprattutto il concetto di<br />

materia intesa dall’aristotelismo come pura potenzialità. Bruno a questo<br />

proposito osserva che non si può considerare <strong>la</strong> materia come qualcosa di<br />

inesistente di per sé, pura potenzialità, altrimenti non si spiega <strong>la</strong> sua unione con<br />

<strong>la</strong> forma. Nel<strong>la</strong> realtà in effetti, osserva ancora Bruno, non si può dare una<br />

materia senza forma, perchè risulterebbe inesistente, né ha senso concepire una<br />

forma senza materia.<br />

Bruno e<strong>la</strong>bora quindi il concetto di una materia-natura intesa come principio<br />

attivo, tensione interna, vera e propria energia produttrice, infatti forma e materia<br />

non sono due diverse sostanze ma piuttosto due aspetti di una unica sostanza che<br />

è <strong>la</strong> natura.<br />

La negazione del<strong>la</strong> trascendenza del<strong>la</strong> divinità e del<strong>la</strong> separazione tra forma e<br />

materia comportano, in Bruno, l’accettazione di una visione animistica del<strong>la</strong><br />

natura che appare come un essere animato in ogni suo frammento, dal momento<br />

che l’anima del mondo trasforma tutta <strong>la</strong> materia in materia vivente. Questa<br />

sostanziale omogeneità qualitativa del<strong>la</strong> natura, rive<strong>la</strong>ta dal<strong>la</strong> presenza<br />

dell’anima del mondo ovunque, giustifica l’azione del<strong>la</strong> magia; infatti l’uomo, in<br />

LA NUOVA CONCEZIONE DELLA NATURA<br />

La duplice concezione di ____________:<br />

1 –come ___________________________<br />

oggetto di ___________________<br />

2 –come ___________________________<br />

oggetto ____________________________<br />

come _____________________________<br />

DIO COME ___________________________<br />

___________________________________<br />

A - Negazione trascendenza divina:<br />

1 - Identificazione<br />

___ __________ = ___________________<br />

Dio anima del _______________________<br />

2 - La rivalutazione del<strong>la</strong> ______________<br />

critiche ____________________________<br />

Natura = ____________________ = ____<br />

______________________<br />

B - ________________________________<br />

L’animismo<br />

17


quanto elemento del<strong>la</strong> natura, può inserirsi con <strong>la</strong> sua azione, volta a utilizzare le<br />

forze che animano <strong>la</strong> natura, all’interno dell’universale animazione. In questo<br />

modo l’uomo può utilizzare le forze che agiscono nel<strong>la</strong> natura.<br />

La negazione del<strong>la</strong> trascendenza di Dio rispetto al<strong>la</strong> natura si accompagna non<br />

solo a questa visione magico-animista ma anche, come vedremo,<br />

all’accettazione delle teorie copernicane, a cui Bruno non apporta alcun<br />

contributo scientifico (come farà invece Galileo), ma di cui sa cogliere le più<br />

importanti conseguenze sul piano filosofico. Dopo aver radicalmente mutato il<br />

rapporto tra Dio e il mondo, risolvendolo con l’identificazione di Dio con il<br />

mondo, <strong>la</strong> natura, Bruno può infatti costruire <strong>la</strong> sua nuova concezione<br />

dell’universo, attribuendo a quest’ultimo le stesse caratteristiche che <strong>la</strong><br />

tradizione attribuiva al<strong>la</strong> divinità, in partico<strong>la</strong>re l’infinità spazio-temporale.<br />

La negazione del<strong>la</strong> trascendenza di Dio e <strong>la</strong> sua identificazione con <strong>la</strong> natura è<br />

uno dei temi caratteristici del<strong>la</strong> cultura rinascimentale, Bruno è però il più<br />

coerente nel trarne le conseguenze per ciò che riguarda <strong>la</strong> visione dell’uomo. La<br />

concezione dell’uomo di Bruno è strettamente legata al<strong>la</strong> sua nuova concezione<br />

dell’universo che <strong>la</strong>scia cadere qualsiasi ordine gerarchico, ogni distinzione tra<br />

materia e forma, universo e Dio. Queste considerazioni che sono valide per ogni<br />

organismo, sono naturalmente valide anche per <strong>la</strong> natura dell'uomo. <strong>Il</strong> genere<br />

umano non ha alcun privilegio metafisico rispetto ad altro vivente, è anch’esso un<br />

elemento del<strong>la</strong> natura. Questo rifiuto dell’ordine gerarchico, frutto anch’esso del<strong>la</strong><br />

negazione del<strong>la</strong> trascendenza del<strong>la</strong> divinità, porta Bruno a rifiutare <strong>la</strong> concezione<br />

medioevale e a e<strong>la</strong>borare una nuova concezione antropologica naturalistica, ovvero<br />

che non fa ricorso a elementi o a forze di tipo trascendentale o metafisico.<br />

L’anima umana è principio di aggregazione, di movimento e di vita come in ogni<br />

altro essere e, individualizzata in ogni singolo uomo, non ha per sé il destino<br />

dell'immortalità: dato che so<strong>la</strong> immortale è l'anima del mondo che presiede al<strong>la</strong><br />

vicissitudine del tutto.<br />

In ogni essere l'elemento «spirituale», o anima, entra a vivificare il corpo e il tipo di<br />

organismo vivente che esce da questo connubio deriva dal tipo di corpo che è<br />

l'oggetto di questa azione. Gli istinti di ogni animale derivano dall'animazione che<br />

lo «spirito» può conferire al sistema organico di quel<strong>la</strong> struttura corporea. Nel caso<br />

dell'uomo ci troviamo di fronte ad un vivente dotato di uno strumento eccezionale -<br />

le mani - e quindi l'intelligenza che lo anima, unendosi a questo strumento, dà<br />

luogo ad un organismo che é in grado di <strong>la</strong>vorare e quindi di produrre «meravigliose<br />

invenzioni». Mani ed intelletto costituiscono dunque l'elemento specifico che<br />

individua <strong>la</strong> specie umana di fronte alle altre.<br />

Come ciò che distingue l’uomo non è il possesso di un’anima speciale, ma una<br />

determinata struttura corporea, così allo stesso modo all’uomo non è riconosciuto<br />

alcun destino certo o privilegiato (tipo <strong>la</strong> vita eterna). L’uomo è «gettato» nel<br />

contesto naturale, perché questa è <strong>la</strong> condizione di ogni altro vivente, e non c'è alcun<br />

luogo nel cosmo che sia tipicamente suo.<br />

Tuttavia l'uomo è un vivente che è in grado di provocare <strong>la</strong> diversità e l'artificio.<br />

L'intelletto e le mani sono <strong>la</strong> dotazione di un essere che può creare nel cosmo uno<br />

«spazio umano». E d'altro canto l'artificio, l'invenzione, le istituzioni non sono<br />

scopi che l'uomo può evadere, dato che essi sono tipici del<strong>la</strong> sua natura. Ogni essere<br />

è dotato di un desiderio di permanenza che lo impegna nel<strong>la</strong> sua re<strong>la</strong>zione con<br />

l'ambiente. Così l'uomo, obbedendo a questa tensione che è tipica di ogni vivente, si<br />

costruisce un suo mondo artificiale(<strong>la</strong> società, l’economia, lo stato, ...), diverso da<br />

quello naturale che gli consente di raggiungere meglio i sui scopi.<br />

Questo mondo artificiale costituisce l’unico spazio del cosmo destinato in modo<br />

privilegiato all’uomo, ma esso è una costruzione artificiale, frutto del <strong>la</strong>voro<br />

dell’uomo. Tale mondo si costruisce attraverso sedimentazioni, perfezionamenti e<br />

accumuli successivi poiché l’uomo può riconoscersi nei risultati conseguiti dal<br />

C - ________________________________<br />

L’universo _________________________<br />

(vedi pag. 23)<br />

D - LA NUOVA CONCEZIONE DELL'UOMO<br />

18


proprio genere. D’altronde <strong>la</strong> superiorità dell'uomo risiede proprio in ciò che esso è<br />

divenuto, nel mondo artificiale che si è saputo creare, in ciò che egli è diventato<br />

grazie al<strong>la</strong> sua struttura corporea.<br />

La diversità e l’artificiosità del mondo umano non implicano però alcuna frattura tra<br />

natura e civiltà, dal momento che <strong>la</strong> civiltà si presenta come il frutto delle<br />

strutture corporali dell’uomo e dell’intelligenza di cui è naturalmente dotato.<br />

Ritenendo che <strong>la</strong> civiltà costituisca una realizzazione del genere umano, e<br />

sottolineando il suo legame col passato, Bruno si avvicina al concetto di storicità<br />

del<strong>la</strong> civiltà e di progresso (un’altra delle intuizioni bruniane che ne sottolineano<br />

<strong>la</strong> modernità). In Bruno questa concezione non comporta ancora l’abbandono<br />

del<strong>la</strong> tradizionale concezione ciclica del<strong>la</strong> storia (<strong>nascita</strong>-fioritura-decadenza<br />

delle civiltà). Ciclicità del<strong>la</strong> storia che però in Bruno non implica il semplice<br />

ripetersi di situazioni precedenti, proprio perché l’uomo ha in sé <strong>la</strong> capacità<br />

promuovere e di accrescere <strong>la</strong> civiltà.<br />

All’interno del mondo artificiale che l’uomo si costruisce, e che in definitiva si<br />

identifica con <strong>la</strong> civiltà e <strong>la</strong> società, trovano posto le leggi e le istituzioni,<br />

anch’esse create dall’ uomo. Istituzioni e leggi che, in quanto creazioni<br />

dell’uomo, non possono che trovare il loro fine nel<strong>la</strong> conservazione del<strong>la</strong><br />

convivenza umana e nell’incremento del bene comune.<br />

Proprio perché ciò che è bene e ciò che è male dipende dall’essere o meno<br />

conveniente al<strong>la</strong> conservazione del<strong>la</strong> convivenza, l’azione morale perde qualsiasi<br />

carattere interiore; un’azione è giusta in quanto i suoi effetti sociali sono buoni,<br />

Universo non ___________________ Dio = ________________ e non Dio<br />

cioè favoriscano <strong>la</strong> convivenza e <strong>la</strong> tolleranza. Da questo punto di vista l’etica è<br />

________________<br />

_____________________ = senza privilegi anima = _________________________________<br />

_________________________________<br />

presupposti Uomo = 1 - elemento ________________________________<br />

concezione<br />

Uomo = anima + corpo _____________________________ +<br />

2 - nessun destino privilegiato –nessun _______________________<br />

_____________________________ = “meravigliose __________________”<br />

<strong>Il</strong> destino dell’uomo dipende ____________________________ con __________________________<br />

__________ l’uomo crea __________________________________________________________________<br />

(___________________________________________________________)<br />

Storia ______________________________________________________________________________________<br />

atropologica<br />

_____________________________________________________________________________________<br />

___________ leggi e istituzioni rego<strong>la</strong>no _________________________________________________________________<br />

sono creazioni ____________________ fine = _____________________________________________<br />

___________ valutano le azioni in base a _______________________________ bene = ___________________________<br />

male = ____________________________<br />

19


innanzitutto, per Bruno, l’esercizio politico che deve rego<strong>la</strong>re <strong>la</strong> comunità umana<br />

affinché ne venga incrementato al massimo grado il bene comune.<br />

Occorre anche sottolineare come Bruno, nei suoi continui spostamenti per<br />

l’Europa, si impegnasse concretamente nel dibattito politico; in partico<strong>la</strong>re egli<br />

appare, in Francia, molto vicino al cosiddetto “partito dei politici” che<br />

teorizzava <strong>la</strong> necessità di un’autorità centrale forte in grado di opporsi ai<br />

partico<strong>la</strong>rismi e al fanatismo religioso. <strong>Il</strong> suo soggiorno a Londra è da<br />

considerarsi, secondo alcuni storici, come il tentativo voluto da questo ambiente,<br />

e appoggiato dal re francese Enrico III, di favorire anche in Inghilterra <strong>la</strong><br />

formazione di una corrente politica moderata che avrebbe dovuto portare a<br />

un’alleanza fra le due nazioni. <strong>Il</strong> fallimento di questo disegno fu <strong>la</strong> causa<br />

dell’abbandono da parte di Bruno di Londra e, in seguito, del<strong>la</strong> stessa Francia.<br />

La giustificazione naturalistica e quindi <strong>la</strong>ica dell’uomo, del<strong>la</strong> società, del<strong>la</strong><br />

civiltà, del<strong>la</strong> storia, del<strong>la</strong> politica e del<strong>la</strong> morale rappresenta un’intuizione che<br />

non verrà colta all’epoca di Bruno, ma sarà ripresa so<strong>la</strong> dal<strong>la</strong> cultura<br />

contemporanea. Ad esempio, <strong>la</strong> concezione dell’uomo come caratterizzata dal<strong>la</strong><br />

sua struttura fisica è condivisa dall’antropologia culturale <strong>moderna</strong>, come nel<br />

nostro senso comune è presente anche l’idea del<strong>la</strong> società come frutto del <strong>la</strong>voro<br />

dell’uomo. L’idea del<strong>la</strong> civiltà e del<strong>la</strong> storia come un accumulo di progresso<br />

verrà riconosciuta solo a partire dall’Ottocento ad opera di Hegel, Marx e<br />

Positivisti.<br />

Bruno è perfettamente cosciente del contrasto fra <strong>la</strong> sua concezione e quel<strong>la</strong> del<br />

cristianesimo sia cattolico che protestante; ai suoi occhi i valori affermati dal<br />

cristianesimo appaiono opposti a quelli propri dell’umanità. L'operosità<br />

intellettuale e manuale è ciò che rende umana <strong>la</strong> vita dell'uomo; che, anzi, gli<br />

permette di "indiarsi", di farsi egli stesso Dio, in quanto coartefice del<strong>la</strong> realtà,<br />

poiché autore del mondo umano. L'operosità è dunque <strong>la</strong> virtù umana per<br />

eccellenza e l'ozio con <strong>la</strong> rassegnazione sono i vizi più gravi, che fanno<br />

rassomigliare l'uomo ai bruti. All’opposto con l'affermazione del cristianesimo<br />

ha avuto avvio un processo degenerativo, le cui radici affondano nel<strong>la</strong><br />

predicazione di Cristo e, soprattutto, di Paolo di Tarso. I fondatori del<strong>la</strong> civiltà<br />

cristiana, infatti, predicando l'ascolto passivo e obbediente del<strong>la</strong> Paro<strong>la</strong>, l'umiltà,<br />

<strong>la</strong> rassegnazione, hanno avviato un ciclo storico in cui l'operosità intellettuale e<br />

manuale dell'uomo, invece di essere esaltata, è divenuta oggetto di spregio.<br />

L’elogio dell’ascolto passivo, <strong>la</strong> valorizzazione dell’orecchio, contrapposto al<strong>la</strong><br />

mano quale simbolo del<strong>la</strong> operosità, costituiscono ciò che Bruno indica<br />

polemicamente come <strong>la</strong> “santa asinità”, ovvero il modello antropologico<br />

dell’uomo cristiano.<br />

Nel Protestantesimo Bruno vede l’epilogo del<strong>la</strong> passività imposta dal<br />

cristianesimo. Infatti, Lutero negando il libero arbitrio e conseguentemente il<br />

valore delle opere nel<strong>la</strong> conquista del<strong>la</strong> salvezza e attaccandosi al significato<br />

letterale delle Scritture, non fa che esaltare al suo massimo grado<br />

l’atteggiamento passivo che caratterizza l’intero cristianesimo.<br />

Al cristianesimo, “cattiva”religione, Bruno oppone una religione “buona”che<br />

non pretende <strong>la</strong> rinuncia a quanto di più proprio ha l’uomo, ma anzi valorizza<br />

<strong>la</strong> sua naturale operosità.<br />

In alcuni testi Bruno identifica tale religione in quel<strong>la</strong> degli antichi egizi così<br />

come è stata tramandata, secondo lui, dai testi dell’ermetismo. D’altra parte<br />

Bruno appare convinto che tutte le religioni rive<strong>la</strong>te abbiano <strong>la</strong> loro ragione<br />

d’essere in quanto costituiscono una guida morale ai popoli rozzi e ignoranti.<br />

Ai pochi, e cioè ai filosofi, che riescono a guidarsi secondo ragione è destinata<br />

invece una religione puramente naturale, ovvero non positiva, senza testi scritti e<br />

organizzazioni gerarchiche. Questa religiosità si concretizza in un atteggiamento<br />

interiore che Bruno definisce di eroico furore. Si tratta di una forza interiore che<br />

spinge l’uomo a liberarsi dal<strong>la</strong> passività, dal<strong>la</strong> supina accettazione di “essere una<br />

cosa nel mondo”, dal<strong>la</strong> “santa asinità” per conquistare <strong>la</strong> piena consapevolezza<br />

LA POLEMICA CONTRO IL _______________<br />

__________________________________<br />

(mano)<br />

farsi Dio perché ____________________<br />

vs<br />

____________________<br />

__________________________________<br />

(_________________________)<br />

ascolto passivo, ___________________<br />

e _____________________________<br />

Protestantesimo epilogo del<strong>la</strong> ___________<br />

perché:<br />

1 - ________________________________<br />

2 - ________________________________<br />

La funzione delle ____________________<br />

________________________________<br />

La religione _________________________<br />

Eroico _____________________<br />

vs<br />

_________________________________<br />

20


di se stesso e delle sue capacità. <strong>Il</strong> raggiungimento di questa consapevolezza non<br />

è il risultato di un pacato ragionamento, ma è il frutto di un’avventura estrema<br />

dell’intelligenza, non di un suo uso equilibrato (in questo senso Bruno usa il<br />

termine furioso, ovvero folle). È, inoltre, un’avventura eroica nel senso<br />

etimologico del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong>, cioè amorosa, poiché coinvolge l’intera personalità<br />

dell’uomo intelletto e volontà, ragione e passione.<br />

La consapevolezza che viene raggiunta con l’eroico furore è innanzitutto un<br />

prendere co<strong>scienza</strong> che essendo una parte del tutto l’uomo è egli stesso una<br />

divinità, in quanto <strong>la</strong> capacità di conoscere e di operare sono poteri divini. La<br />

forza che spinge l’uomo in questa avventura, in questa impresa conoscitiva è,<br />

non <strong>la</strong> grazia divina, ma appunto l’eroico furore, una forza interiore che trova in<br />

se stessa <strong>la</strong> sua giustificazione non avendo alcun bisogno di un premio finale.<br />

<strong>Il</strong> concetto di eroico furore appare perfettamente coerente con l’etica attivistica<br />

di Bruno: in quanto s<strong>la</strong>ncio eroico esso è il culmine dell’attivo operare<br />

dell’uomo; in quanto immedesimazione in Dio, è spinta ad operare come Dio.<br />

4 - UN INTELLETTUALE DI TIPO NUOVO: MONTAIGNE<br />

5.1 L’autore dei Saggi<br />

5.2 Stile dell’opera e natura dell’oggetto<br />

5.3 La realtà mutevole e partico<strong>la</strong>re<br />

5.4 <strong>Il</strong> riferimento all’io narrante: <strong>la</strong> filosofia come autobiografia<br />

5.5 Una visione re<strong>la</strong>tivista<br />

5.6 Montaigne scopritore del moderno<br />

Nel processo di formazione del<strong>la</strong> modernità come consapevole presa di distanze<br />

dal passato e come nuova centralità assunta dal soggetto, si inquadra il pensiero<br />

di Michel Eyquem de Montaigne (1533-1592) 8 , figura esemp<strong>la</strong>re del nuovo<br />

clima culturale cinquecentesco: da un <strong>la</strong>to, testimone del<strong>la</strong> crisi dei valori e delle<br />

conoscenze tradizionali prodotta dai grandi rivolgimenti del secolo XVI;<br />

dall'altro, promotore di modello di saggezza, in cui <strong>la</strong> sensibilità umanistica<br />

verso il mondo c<strong>la</strong>ssico si intreccia con percezione del<strong>la</strong> sua distanza dal<br />

presente e in cui <strong>la</strong> emerge <strong>la</strong> centralità dell’esperienza del soggetto.<br />

Le vicende biografiche e intellettuali di Montaigne sono indice di un'esperienza<br />

aperta a varie interessi, in bilico fra <strong>la</strong> presenza nel<strong>la</strong> vita pubblica e il ritiro nel<br />

privato. Educato secondo principi umanistici, Montaigne si dedica agli studi di<br />

diritto, ma conta amicizie soprattutto fra letterati e poeti. La sua vita alterna<br />

momenti di partecipazione agli eventi del tempo (nel 1581 è nominato sindaco<br />

di Bordeaux) a periodi di meditazione nel castello di famiglia (a Montaigne, nei<br />

pressi di Bordeaux). Qui, fra il 1572 e il 1573, Montaigne inizia <strong>la</strong> scrittura del<strong>la</strong><br />

sua opera più celebre, i Saggi (Essais), pubblicati in prima edizione nel 1580, più<br />

volte ristampati e ampliati negli anni successivi.<br />

La paro<strong>la</strong> francese essai, prima di designare uno specifico genere letterario,<br />

significava, al tempo di Montaigne: esercizio, preludio, prova, tentativo,<br />

tentazione. Così pure il verbo essaier: tastare, verificare, gustare, provare,<br />

indurre in tentazione, intraprendere, esporsi a un pericolo, correre un rischio,<br />

pesare, calco<strong>la</strong>re, prender lo s<strong>la</strong>ncio.<br />

Montaigne sfrutta davvero mirabilmente questa ambiguità e ricchezza semantica<br />

del termine per piegare <strong>la</strong> propria scrittura, <strong>moderna</strong>mente libera da impacci<br />

8 Per le opere e <strong>la</strong> vita vedi pag. 30<br />

Eroico ______________________<br />

vs<br />

_________________________________<br />

UN INTELLETTUALE DI TIPO NUOVO:<br />

MONTAIGNE<br />

i _____________<br />

L’AUTORE DEI SAGGI<br />

STILE DELL’OPERA E NATURA DELL’OGGETTO<br />

<strong>Il</strong> significato originario di _____________<br />

il __________________________<br />

21


etorici e da forme chiuse e codificate, al<strong>la</strong> inedita materia del saggio.<br />

Si è par<strong>la</strong>to di frammentarismo a proposito dello stile dei Saggi. In effetti<br />

Montaigne dà uno svolgimento estremamente libero e aperto al<strong>la</strong> propria<br />

materia. Raramente i titoli dei singoli saggi corrispondono agli argomenti trattati,<br />

che possono essere i più disparati. Può capitare che l'argomento principale venga<br />

ben presto abbandonato, per inseguireI spunti o associazioni suggerite da una<br />

paro<strong>la</strong> o da un concetto. Questi continui excursus non fanno però mai perdere il<br />

filo del discorso che ritorna, per passaggi a volte sfumati e quasi impercettibili,<br />

sotto <strong>la</strong> penna dell' autore.<br />

Egli stesso paragona <strong>la</strong> propria scrittura a un "vagabondaggio", a un cammino<br />

intrapreso senza una direzione precisa, ma che finisce sempre per riportarci a<br />

qualche luogo familiare. <strong>Il</strong> frammentarismo saggistico è in stretto rapporto con<br />

lo scetticismo di Montaigne.<br />

Con non ce<strong>la</strong>ta ironia egli se <strong>la</strong> prende con quegli autori dogmatici che<br />

pretendono di poter tutto comprendere e spiegare: «Prendo a caso il primo<br />

argomento. Tutti mi vanno ugualmente bene. E non mi propongo di trattarli per<br />

intero. Infatti non vedo il tutto di nul<strong>la</strong>. E non lo vedono nemmeno quelli che<br />

promettono di farcelo vedere».<br />

<strong>Il</strong> gusto del frammento non obbedisce solo a una scelta estetica o stilistica, ma<br />

corrisponde al<strong>la</strong> natura dell'oggetto da indagare. <strong>Il</strong> frammento corrisponde cioè a<br />

una consapevole autolimitazione dello sguardo, suggerita dal<strong>la</strong> prudenza chiaroveggente<br />

del suo scetticismo: «se <strong>la</strong> mia anima potesse stabilizzarsi — scrive<br />

Montaigne — non mi saggerei, mi risolverei».<br />

I Saggi accompagnano il lettore al<strong>la</strong> scoperta di un mondo in continua<br />

trasformazione, «incerto e vacil<strong>la</strong>nte». Le grandi sintesi del<strong>la</strong> Sco<strong>la</strong>stica, ma<br />

anche l'armoniosa visione delle cose, tipica del pensiero umanisticorinascimentale,<br />

si sfaldano di fronte al<strong>la</strong> presa di co<strong>scienza</strong> che <strong>la</strong> realtà non è<br />

altro che oscil<strong>la</strong>zione senza fine. Lo dimostra <strong>la</strong> caduta di antiche certezze,<br />

messe in crisi dalle scoperte geografiche, e lo dimostrano i mutamenti in corso<br />

nell'Europa del tempo.<br />

<strong>Il</strong> cambiamento non è uno stato transitorio, a cui segua una fase di<br />

stabilizzazione del mondo umano; più o meno forte, esso è un fattore<br />

permanente. Ciò significa, sul piano del<strong>la</strong> conoscenza, che non è possibile<br />

raggiungere alcuna verità o certezza definitiva; ogni conoscenza umana si basa<br />

su fondamenti empirici, dunque parziali, così che nessuna affermazione può<br />

essere ritenuta sicura e vinco<strong>la</strong>nte.<br />

Montaigne dichiara allora il suo scetticismo nei confronti delle sistemazioni<br />

concettuali che pretendono di cogliere <strong>la</strong> realtà in un quadro unitario fondato<br />

sul<strong>la</strong> ragione, come avevano sostenuto gli stoici (di cui Montaigne, peraltro,<br />

condivide alcune tesi di fondo). Al<strong>la</strong> ragione stoica egli rimprovera <strong>la</strong> pretesa di<br />

valere come principio-guida universale, capace di indicare a tutti gli individui<br />

ugualmente <strong>la</strong> via del<strong>la</strong> liberazione, quando invece essa è condizionata dalle<br />

eredità storiche, dalle consuetudini prevalenti, dagli influssi geografici. La natura,<br />

che secondo lo stoicismo costituisce un sicuro punto di riferimento per l'agire<br />

umano (il principio del «vivere secondo natura» o «secondo ragione», al<strong>la</strong> base<br />

dell'etica stoica), si dissolve in una pluralità di nature, cioè di usanze, di modi di<br />

essere, di comportamenti pratici.<br />

Anche <strong>la</strong> pretesa umanistica di fare dell'uomo il centro dell'universo si infrange<br />

contro l'inconsistenza di ogni immagine universale dell'uomo stesso; nel<strong>la</strong> realtà<br />

esistono solo individui concreti, collocati ciascuno in un determinato spazio e in<br />

un determinato tempo. E se ogni uomo porta nel proprio io interiore idee, affetti,<br />

sensazioni, che sono gli elementi costitutivi del<strong>la</strong> condizione umana, in cui tutti<br />

gli uomini sono accomunati, non per questo esiste l'uomo inteso in senso<br />

universale, come una forma per sé sussistente al di là degli individui concreti, i<br />

<strong>la</strong> scrittura come ___________________<br />

Stile e _____________________________<br />

LA REALTÀ MUTEVOLE E PARTICOLARE<br />

Realtà = __________________________<br />

<strong>Il</strong> _______________________________<br />

come fattore permanente = conoscenza<br />

umana _________________<br />

dal quadro __________________ al<strong>la</strong><br />

___________________________<br />

individui e _______________________<br />

22


soli che davvero esistono.<br />

Perciò Montaigne ritrova l'uomo attraverso se stesso, consapevole tuttavia di<br />

essere solo una parte — una piccolissima parte, nel<strong>la</strong> sua singo<strong>la</strong>rità — dei vasti<br />

insiemi in cui è compreso l'individuo: <strong>la</strong> natura, <strong>la</strong> società, il tempo storico che<br />

diviene. Da qui discende il carattere autobiografico del<strong>la</strong> filosofia come è da lui<br />

intesa: un continuo chiarimento dell'esistenza, di cui è protagonista l'io singolo,<br />

personale e irripetibile.<br />

Si comprende allora <strong>la</strong> presentazione che Montaigne fa dei suoi Saggi come di<br />

un autoritratto, dove <strong>la</strong> propria esperienza privata è il fondamento su cui si<br />

costruisce un'immagine ricca, variegata, anche contraddittoria dell'uomo,<br />

un'immagine in continuo sviluppo, perché continua mente messa al<strong>la</strong> prova nel<br />

susseguirsi di esperienze diverse. Al centro dell'autoritratto è l'uomo interiore,<br />

libero dai condizionamenti esterni, volto al<strong>la</strong> ricerca di una nuova<br />

consapevolezza di sé, secondo il principio socratico del «conosci te stesso».<br />

<strong>Il</strong> protagonista onnipresente e unico degli Essais è Michel de Montaigne, sia<br />

quando par<strong>la</strong> del suo amore per i viaggi o del modo di amministrare <strong>la</strong> casa, sia<br />

che commenti o discuta le più disparate e curiose questioni di storia, letteratura,<br />

filosofia, estetica o morale.<br />

In ogni caso ciò che è in gioco è il suo modo personale e soggettivo di reagire di<br />

fronte ai fatti o alle altrui opinioni; solo l'anima, scopo e oggetto dell'analisi<br />

mondana dell'individuo da parte di se stesso, è al centro delle sue considerazioni.<br />

Da questo punto di vista si può ritenere Montaigne l'erede seco<strong>la</strong>re di<br />

sant'Agostino e di Petrarca.<br />

La filosofia così intesa non è fine a se stessa: secondo un orientamento<br />

ispirazione stoica, il suo scopo è <strong>la</strong> conquista del<strong>la</strong> saggezza, che significa<br />

l'autocontrollo, dell'anima, l'equilibrio delle passioni e degli impulsi soggettivi,<br />

<strong>la</strong> liberazione dagli affanni quotidiani e dalle convenzioni sociali che producono<br />

timori e desideri artificiosi, l'emancipazione dalle paure, fra cui soprattutto<br />

quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> morte.<br />

<strong>Il</strong> problema del<strong>la</strong> morte, serenamente accettata al di fuori di considerazioni<br />

conso<strong>la</strong>torie di natura religiosa, che vedono nell'aldilà il vero fine dell'esistenza<br />

umana, è centrale nei Saggi:filosofare — scrive Montaigne — è imparare a<br />

morire; non è necessario fare appello a una realtà trascendente per dare un senso<br />

all'esistenza umana, che trova <strong>la</strong> propria realizzazione e il proprio valore<br />

unicamente in se stessa.<br />

In tal modo Montaigne tende a condividere gli obiettivi di natura etica che lo<br />

stoicismo, e in generale le filosofie postaristoteliche, avevano formu<strong>la</strong>to, pur non<br />

aderendo al<strong>la</strong> concezione metafisica dello stoicismo e in partico<strong>la</strong>re al<strong>la</strong> dottrina<br />

di un Logos universale che permea <strong>la</strong> realtà. Stoicismo, scetticismo e socratismo<br />

non sono d'altronde dottrine alle quali il filosofo rimanga incatenato, bensì<br />

orientamenti di pensiero attraverso i quali Montaigne si muove liberamente,<br />

attingendo di volta in volta spunti e motivi tipici per meglio delineare <strong>la</strong><br />

condizione umana in questo mondo. Socratico è, oltre al modo di ragionare di sé,<br />

il carattere aperto e volutamente mai conclusivo del<strong>la</strong> sua riflessione.<br />

Nel<strong>la</strong> formazione dei principi-base del pensiero di Montaigne — l'incessante<br />

oscil<strong>la</strong>re delle cose, l'impossibilità di ogni conoscenza totale e definitiva, il<br />

significato dell'individuo concreto e del<strong>la</strong> sua esperienza — assumono un valore<br />

rilevante le scoperte geografiche.<br />

Le notizie sul continente americano, sugli uomini che lo abitano, sulle loro leggi<br />

e consuetudini sono oggetto di dibattito all'interno del<strong>la</strong> cultura europea, che si<br />

divide nel giudizio sulle popo<strong>la</strong>zioni indigene d'America, da un <strong>la</strong>to bol<strong>la</strong>ndole<br />

IL RIFERIMENTO ALL’IO NARRANTE: LA<br />

FILOSOFIA COME AUTOBIOGRAFIA<br />

Filosofia = io ______________ che<br />

chiarisce ________________________<br />

<strong>la</strong> centralità dell’____________________<br />

_____________________________<br />

Montaigne, ________________________,<br />

________________________<br />

Scopo del<strong>la</strong> filosofia =_______________ =<br />

- autocontrollo<br />

- liberazione da:<br />

____________ _____________________<br />

____ _____________________________<br />

__ _______________(___________)<br />

stoicismo, ______________________ e<br />

____________________ in Montaigne<br />

UNA VISIONE RELATIVISTA<br />

Le _______________________________<br />

giudizio __________________________:<br />

a - ________________________________<br />

23


come selvagge, una sorta di sottospecie umana che giustifica <strong>la</strong> sua riduzione in<br />

schiavitù da parte dei conquistatori europei, dall'altra vedendole semplicemente<br />

come “altre”, diverse rispetto agli europei. Su questa seconda linea si colloca<br />

Montaigne, per il quale <strong>la</strong> scoperta di popoli finora sconosciuti impone di<br />

ripensare l'idea che i valori morali riconosciuti dal<strong>la</strong> tradizione siano eterni e<br />

immutabili, universalmente validi per tutti gli uomini.<br />

Da qui nasce <strong>la</strong> critica al<strong>la</strong> presunta universalità dei valori propri del<strong>la</strong> cultura<br />

europea e al<strong>la</strong> pretesa dei “conquistatori”di qualificare come barbarie tutto ciò<br />

che si distingue dal costume europeo. L'umanità — dichiara Montaigne sul<strong>la</strong><br />

base delle nuove conoscenze — si esprime in molte e varie forme; perciò non è<br />

corretto definire “barbarie”(in quanto opposto di civiltà) regole e consuetudini<br />

che non corrispondono ai nostri principi e modelli di comportamento, né è lecito<br />

giudicare i popoli appena scoperti in base al punto di vista europeo e cristiano.<br />

La conseguenza che ne deriva sul piano teorico è di grande rilievo: i principi e i<br />

modelli in cui si identifica una civiltà non hanno valore assoluto e lo stesso<br />

giudizio su principi e modelli dipende dall'angolo visuale da cui li si guarda. In<br />

questo senso <strong>la</strong> posizione di Montaigne rappresenta una forma di re<strong>la</strong>tivismo.<br />

Montaigne porta così in luce un tema che assumerà valore centrale nel<strong>la</strong> cultura<br />

<strong>moderna</strong>, quello del “diverso”, che nasce dal<strong>la</strong> constatazione dell'esistenza di<br />

popoli diversi, dotati di altri costumi e che si richiamano a differenti valori. Si<br />

tratta del<strong>la</strong> ripresa di una tematica già introdotta nel pensiero antico dai sofisti,<br />

ma che ora assume maggiore peso per <strong>la</strong> consapevolezza tutta <strong>moderna</strong> che gli<br />

spazi popo<strong>la</strong>ti dal<strong>la</strong> presenza umana sono enormemente più ampi di quelli fino<br />

allora ipotizzati e che proprio per questo <strong>la</strong> varietà dei modi di vita è destinata a<br />

rive<strong>la</strong>rsi sempre più ampia e sfaccettata.<br />

Grazie al<strong>la</strong> co<strong>scienza</strong> del<strong>la</strong> diversità, si possono allora confrontare, senza<br />

pregiudizi, leggi e costumi del<strong>la</strong> propria civiltà con quelli di civiltà diverse, ma si<br />

può anche guardare al mondo di cui si è parte da un altro angolo visuale, quello<br />

appunto di chi è diverso, ricavandone un'immagine più ricca e complessa, fuori<br />

dagli schemi usuali.<br />

Secondo <strong>la</strong> definizione fornita da Hegel 9 il moderno consiste in una conversione<br />

dal cielo al<strong>la</strong> terra, mettendo in luce come <strong>la</strong> differenza più evidente –almeno in<br />

prima analisi –tra l’età medievale e quel<strong>la</strong> <strong>moderna</strong> sia da rintracciarsi in una<br />

diversa concezione del mondano e del terreno: mero teatro in cui si vedono<br />

all’opera le qualità dei singoli individui che così possono guadagnarsi l’accesso<br />

al<strong>la</strong> vita eterna, il mondo terreno, infestato dai mali e dal<strong>la</strong> presenza di un<br />

diavolo che ci tenta in ogni istante, è per i Medioevali una semplice anticamera<br />

al vero mondo celeste, di fronte al quale il nostro perde ogni valore. Al contrario,<br />

nell’età <strong>moderna</strong> gli uomini tornano coi piedi per terra, abbandonando i nebbiosi<br />

cieli del<strong>la</strong> vita eterna e prendendo co<strong>scienza</strong> di come quello in cui<br />

quotidianamente si trovano a vivere sia il mondo reale, con l’inevitabile<br />

conseguenza che <strong>la</strong> prospettiva teocentrica cede il passo a quel<strong>la</strong> antropocentrica,<br />

le certezze rive<strong>la</strong>te dai Testi sacri vengono sostituite da una ragione che –<br />

ridestatasi dopo il lungo letargo medievale, in cui era relegata al ruolo di ancil<strong>la</strong><br />

theologiae –torna ad essere socraticamente curiosa di tutto. Ma <strong>la</strong> conversione<br />

di cui par<strong>la</strong> Hegel non consiste esclusivamente in un abbandono dei cieli del<strong>la</strong><br />

religione, ma anche di quelli –altrettanto nebulosi distanti dal<strong>la</strong> vita reale –del<strong>la</strong><br />

metafisica e delle sue certezze inattaccabili: le categorie p<strong>la</strong>tonico-aristoteliche<br />

del vero e del falso, del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto assolutamente<br />

intesi si fanno in disparte e il loro posto è ora occupato da nuovi parametri<br />

b - _________________________<br />

<strong>la</strong> critica __________________________<br />

____________________________<br />

<strong>Il</strong> _______________________________<br />

La co<strong>scienza</strong> del<strong>la</strong> ___________________<br />

MONTAIGNE SCOPRITORE DEL MODERNO<br />

Moderno =<br />

9 G. W. F. Hegel (1770-1831), filosofo tedesco, massimo rappresentante dell’idealismo, considerato il primo grande<br />

autore del<strong>la</strong> filosofia contemporanea.<br />

(1) dal<strong>la</strong> prospettiva __________________<br />

al<strong>la</strong> prospettiva _____________________<br />

(dai ___________ al<strong>la</strong> ________________)<br />

(2) dalle ___________________________<br />

__________________________________<br />

24


saldamente legati al<strong>la</strong> vita nel<strong>la</strong> quale siamo immersi: subentrano le mondane<br />

categorie dell’utile, del conveniente, del vantaggioso, tutte accomunate da una<br />

rinuncia al<strong>la</strong> pretesa di cogliere il mondo quale effettivamente è, e<br />

dall’accettazione di una più modesta e risicata prospettiva che renda conto di che<br />

cosa è al singolo utile di volta in volta. In una tale ottica, le categorie totalizzanti<br />

adottate dal<strong>la</strong> metafisica, tanto quello p<strong>la</strong>tonico-aristotelica quanto quello<br />

cristiana, risultano a dir poco chimeriche ed illusorie, fantastiche e inapplicabili<br />

al<strong>la</strong> realtà, quasi come se nel<strong>la</strong> ricerca p<strong>la</strong>tonica e aristotelica delle essenze<br />

universali si fossero perse di vista le entità individuali che popo<strong>la</strong>no il mondo<br />

reale.<br />

È con Montaigne che si spa<strong>la</strong>ncano le porte del moderno, concepito –seguendo<br />

<strong>la</strong> definizione hegeliana –come ritorno sul<strong>la</strong> terra, ma anche come rifiuto di quel<br />

principio di autorità a cui costantemente ricorrevano i Medioevali e come trionfo<br />

del dubbio sul<strong>la</strong> certezza metafisica, aspetto, questo, da cui scaturisce un<br />

necessario privilegiamento per le piccole conoscenze che quotidianamente<br />

facciamo nel<strong>la</strong> nostra personale esperienza di contro alle grandi quanto illusorie<br />

certezze metafisiche di comprendere in toto <strong>la</strong> struttura del mondo.<br />

Montaigne segna realmente il passaggio dai cieli (sia del divino sia del<strong>la</strong><br />

metafisica) al<strong>la</strong> terra su cui ci troviamo gettati a condurre <strong>la</strong> nostra esistenza, un<br />

passaggio che si palesa come trapasso dalle forme chiuse del sapere metafisico<br />

ad un pensiero che si forgia nel contatto con <strong>la</strong> vita, e che mai oblia le riflessioni<br />

dei predecessori. È solo Montaigne che compie quest’operazione in modo<br />

radicale, fino all’estrema conseguenza di un dubbio che arriva ad erodere anche<br />

le certezze che maggiormente paiono tali: egli infatti libera l’uomo tanto dalle<br />

catene del divino quanto da quelle del<strong>la</strong> metafisica, proponendoci l’immagine di<br />

un mondo caotico in cui le certezze vengono a mancare e anche quelle che<br />

unanimemente vengono considerate tali non sfuggono ai martel<strong>la</strong>nti colpi del<br />

dubbio.<br />

5 –LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA<br />

5.1 Un’interpretazione del<strong>la</strong> rivoluzione scientifica: il cambiamento di<br />

paradigma<br />

5.2 <strong>Il</strong> vecchio paradigma: l’universo aristotelico-tolemaico<br />

5.3 <strong>Il</strong> nuovo paradigma: l’universo di Copernico e Bruno<br />

5.4 L’interpretazione di Freud del<strong>la</strong> rivoluzione copernicana<br />

Fino al<strong>la</strong> prima metà del ‘900 è stata predominante <strong>la</strong> concezione del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong><br />

come un sapere cumu<strong>la</strong>tivo, che cresce in modo lineare, senza grosse fratture, in<br />

quanto <strong>la</strong> <strong>scienza</strong> scopre una verità valida per sempre, fondata esclusivamente su<br />

principi razionali dimostrabili e verificabili.<br />

Questa concezione è stata oggetto del<strong>la</strong> critica epistemologica del<strong>la</strong> seconda<br />

metà del ‘900, quando si è venuta affermando l’idea che l’evoluzione del<strong>la</strong><br />

<strong>scienza</strong> non è solo determinata da nuove dimostrazioni ed esperimenti, ma<br />

dipende anche da altri fattori.<br />

Nel 1962 l’epistemologo e storico del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong> T. Kuhn pubblicò “La struttura<br />

delle rivoluzioni scientifiche”in cui sosteneva che <strong>la</strong> verità scientifica ha basi<br />

consensuali e convenzionali, subendo il condizionamento di fattori sociali. Kuhn<br />

ha cercato di dimostrare le sue teorie analizzando <strong>la</strong> rivoluzione astronomica<br />

copernicana del Cinquecento e l’introduzione delle teorie di Einstein all’inizio<br />

del ‘900 come momenti di cambiamento delle convinzioni precedenti.<br />

Secondo Kuhn <strong>la</strong> <strong>scienza</strong> è determinata dai comportamenti che vengono adattati<br />

dai gruppi di ricercatori, visti come un gruppo sociale che agisce sul<strong>la</strong> base di un<br />

Montaigne e il __________________<br />

( ) il rifiuto _____________________ e<br />

______________________________ =<br />

_____________________ ___________<br />

__________________________<br />

LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA<br />

UN’INTERPRETAZIONE DELLA RIVOLUZIONE<br />

SCIENTIFICA: IL CAMBIAMENTO DI<br />

PARADIGMA<br />

25


determinato paradigma.<br />

<strong>Il</strong> paradigma è, per Kuhn, ciò che indica il modello interpretativo dei fenomeni<br />

che <strong>la</strong> comunità degli scienziati accetta come scientifico e sul<strong>la</strong> cui base conduce<br />

<strong>la</strong> propria attività.<br />

visione tradizionale:<br />

L’EVOLUZIONE DELLA SCIENZA<br />

<strong>scienza</strong> = sapere _____________________ che cresce per _______________________________________<br />

visione novecentesca:<br />

l’importanza __________________________________________________________<br />

T. Khun: l’importanza ______________________________________________________________<br />

Tesi___________ = _________________________________________________________________________________________<br />

Concetti: 1 –__________________ : ___________________________________________________________________________<br />

2 - ____________________:___________________________________________________________________________<br />

3 - ____________________:___________________________________________________________________________<br />

4 -_____________________:___________________________________________________________________________<br />

Se, ad esempio, Galileo avesse continuato a credere nel modello di universo<br />

proposto dal<strong>la</strong> <strong>scienza</strong> del suo tempo, cioè quello aristotelico-tolemaico, non<br />

avrebbe mai visto nelle macchie lunari delle montagne, evidenziando così il fatto<br />

che Terra e Luna si somigliassero.<br />

La <strong>scienza</strong> che accetta un determinato paradigma è detta ‘<strong>scienza</strong> normale’, ed<br />

ha successo nel<strong>la</strong> misura in cui riesce a risolvere i problemi che si pone<br />

all’interno del paradigma.<br />

La comparsa di anomalie, problemi irrisolvibili, provoca un periodo di crisi che<br />

sfocia in una rivoluzione scientifica. Durante questa rivoluzione avviene una<br />

rottura nell’evoluzione del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong> che porta all’affermazione di un nuovo<br />

paradigma.<br />

L’esistenza di anomalie porta gli scienziati a riconoscere che <strong>la</strong> natura vio<strong>la</strong> le<br />

loro aspettative, basate sul paradigma da essi accettato. È necessario quindi<br />

e<strong>la</strong>borare un nuovo paradigma che faccia divenire spiegabile e normale ciò che<br />

nel vecchio non lo era.<br />

La rivoluzione astronomica può essere vista come una rivoluzione che ha<br />

imposto un nuovo paradigma, e<strong>la</strong>borato da scienziati quali Copernico, Keplero,<br />

Galilei e da filosofi quali,ad esempio, Giordano Bruno. Questa rivoluzione<br />

costituisce una rivoluzione non solo dal punto di vista strettamente astronomico,<br />

ma ha cambiato in modo radicale <strong>la</strong> concezione dell’universo, mettendo in crisi<br />

le convinzioni filosofiche e teologiche. Per questo è considerato uno dei<br />

momenti chiave del passaggio dal Medioevo all’età <strong>moderna</strong>.<br />

<strong>Il</strong> cambiamento di paradigma è stato descritto come il passaggio da una<br />

concezione dell’universo chiuso e finito a una concezione che lo vede invece<br />

aperto e infinito.<br />

<strong>Il</strong> vecchio paradigma era costituito dal<strong>la</strong> concezione aristotelico-tolemaica,<br />

e<strong>la</strong>borata da Tolomeo (II sec d.c.) sul<strong>la</strong> base delle teorie di Aristotele e rafforzata<br />

dal<strong>la</strong> sua sostanziale concordia con <strong>la</strong> visione cristiana.<br />

La rivoluzione ______________________<br />

come ______________________________<br />

dall’universo _______________________<br />

all’universo _________________________<br />

IL VECCHIO PARADIGMA: L’UNIVERSO<br />

ARISTOTELICO-TOLEMAICO<br />

1 - ________________________________<br />

2 - ________________________________<br />

26


L’universo veniva concepito come unico, finito, fatto di sfere concentriche,<br />

geocentrico, e diviso in due parti qualitativamente diverse.<br />

L’universo era unico, cioè il solo esistente, sul<strong>la</strong> base del<strong>la</strong> teoria aristotelica dei<br />

luoghi naturali, per cui ciascuna cosa dell’universo aveva un suo posto dove<br />

risiedere. Non vi potevano perciò essere più mondi, perché vi sarebbero stati più<br />

luoghi per le cose. L’universo era chiuso, una sfera circondata dal cielo delle<br />

stelle fisse. Era inoltre finito, proprio perché racchiuso nel<strong>la</strong> sfera. L’universo<br />

era costituito da sfere concentriche, intese come qualcosa di tangibile a cui erano<br />

appiccicati i pianeti. Al centro del<strong>la</strong> sfera vi era <strong>la</strong> terra.<br />

Infine, l’universo era considerato qualitativamente distinto in due parti: una<br />

perfetta, cioè i cieli e le sfere concentriche, il mondo sopralunare, e una<br />

imperfetta, <strong>la</strong> terra. <strong>Il</strong> mondo sopralunare era costituito da etere, indistruttibile ed<br />

eterno, a cui era contrapposta le terra come luogo del<strong>la</strong> corruzione.<br />

L’unico suo movimento era quello circo<strong>la</strong>re considerato come perfetto perché<br />

privo di principio e di fine.<br />

Questo modello era condiviso dagli scienziati, in quanto conforme al senso<br />

comune, cioè al<strong>la</strong> percezione che abbiamo del movimento degli astri, e al<strong>la</strong><br />

mentalità filosofica, che era portata a pensare all’universo come qualcosa di<br />

gerarchico, disposto verso uno scopo, un fine.<br />

Infine, questa concezione si sposava con quel<strong>la</strong> cristiana, in quanto confermava<br />

quanto scritto nelle sacre scritture, ed era consona al<strong>la</strong> sua visione del mondo in<br />

quanto dava all’uomo e al<strong>la</strong> terra un ruolo centrale nell’universo e rispettava<br />

l’idea del<strong>la</strong> creazione del<strong>la</strong> rive<strong>la</strong>zione e del<strong>la</strong> redenzione.<br />

Copernico propose per <strong>la</strong> prima volta non tanto un intero nuovo paradigma, ma<br />

<strong>la</strong> sua tesi principale. Un paradigma, infatti, non si propone inizialmente come<br />

una visione completamente diversa, ma conservava ancora legami con il vecchio<br />

paradigma. La sua completa affermazione finirà col rompere anche questi<br />

legami, quando cioè verranno esplicate tutte le potenzialità contenute nell’ipotesi<br />

centrale del nuovo paradigma.<br />

Copernico riteneva che <strong>la</strong> dottrina tolemaica fosse errata in quanto troppo<br />

complessa. Si mise perciò al<strong>la</strong> ricerca di ipotesi alternative, scoprendo nei testi<br />

antichi <strong>la</strong> tesi eliocentrica. Egli fece propria questa ipotesi in quanto si persuase<br />

che essa avrebbe comportato una notevole semplificazione nel calcolo<br />

matematico del movimento degli astri, pur non potendo<strong>la</strong> dimostrare.<br />

Su queste basi Copernico propose un nuovo modello dell’universo, non più<br />

geocentrico ma eliocentrico. Attorno al sole giravano i pianeti, inclusa <strong>la</strong> Terra,<br />

ciascun pianeta girava su se stesso, dando l’illusione del moto apparente del<br />

Sole.<br />

Accanto a queste novità, Copernico conservò alcune idee del vecchio paradigma,<br />

legate alle caratteristiche dell’universo e al tipo di spiegazione.<br />

Così, ad esempio, Copernico concepisce ancora l’universo come sferico, chiuso<br />

e unico. Anche alcune spiegazioni che utilizza per giustificare <strong>la</strong> sua tesi sono<br />

simili a quelli che venivano utilizzate per giustificare il vecchio paradigma. Ad<br />

esempio, il Sole deve stare al centro dell’universo perché è stato creato per<br />

l’uomo, oppure il movimento dei pianeti è circo<strong>la</strong>re anche per Copernico perché<br />

questo è il moto perfetto. Infine, Copernico rimane legato al<strong>la</strong> concezione del<strong>la</strong><br />

divisione in due parti, una migliore e una peggiore.<br />

La scientificità del sistema proposto da Copernico richiese invece l’abbandono<br />

dell’idea che l’universo fosse perfetto. Fu Keplero che, ipotizzando orbite<br />

ellittiche e non circo<strong>la</strong>ri, abbandonò definitivamente quest’idea di perfezione.<br />

Nonostante Copernico non abbandoni del tutto il vecchio paradigma e<br />

nonostante <strong>la</strong> sua teoria fosse stata presentata da un teologo protestante, che<br />

scrisse <strong>la</strong> prefazione al suo libro, come una pura ipotesi matematica, e non tanto<br />

come un modello realistico, le sue teorie vennero fortemente osteggiate<br />

3 - ________________________________<br />

4 - ________________________________<br />

5 - ________________________________<br />

6 - ________________________________<br />

7 - ________________________________<br />

accettato perché conforme a :<br />

a –_______________________________<br />

b - _______________________________<br />

c - ________________________________<br />

1- _______________________________<br />

2 - _______________________________<br />

LA FORMAZIONE DEL NUOVO PARADIGMA:<br />

1 –COPERNICO<br />

DA COPERNICO A GALILEI<br />

La tesi _____________________________<br />

__________________________________:<br />

il modello __________________________<br />

I legami ____________________________<br />

a- ________________________________<br />

- universo ________________________<br />

- _______________________________<br />

b - _______________________________<br />

2 - ________________________<br />

Le orbite _________________________ e<br />

l’abbandono ________________________<br />

___________________________________<br />

27


dall’ambiente culturale e scientifico, fortemente impregnato di aristotelismo.<br />

Le teorie copernicane erano scientificamente limitate; questi limiti erano<br />

rappresentati dal fatto che, dal punto di vista matematico, esse erano ancora più<br />

complesse del modello precedente.<br />

Inoltre, questa nuova ipotesi si scontrava con problemi di fisica che <strong>la</strong> <strong>scienza</strong><br />

non era ancora in grado di risolvere, che diventavano altrettanti motivi di rifiuto<br />

da parte degli oppositori. Essi si chiedevano come poteva <strong>la</strong> rotazione terrestre<br />

non provocare il <strong>la</strong>ncio di ciò che <strong>la</strong> ricopre (per forza centrifuga), oppure come<br />

mai, se <strong>la</strong> terra ruota verso est, un sasso <strong>la</strong>nciato da una torre non cade un po’più<br />

a ovest del<strong>la</strong> terra<br />

A molti di questi problemi darà una risposta Galilei, così, ad esempio, <strong>la</strong> sua<br />

scoperta del pianeta Urano comportò una semplificazione del calcolo delle<br />

orbite p<strong>la</strong>netarie.<br />

I limiti scientifici sollevati dimostrano come l’accettazione di un paradigma da<br />

parte di una comunità scientifica non si basa solo sul<strong>la</strong> scientificità dello stesso.<br />

La scientificità si afferma allora anche in base a fattori extra scientifici. Tra<br />

questi fattori ha un ruolo importante <strong>la</strong> committenza sociale. Perché una teoria si<br />

affermi occorre che esista una c<strong>la</strong>sse sociale disposta ad accettar<strong>la</strong>, cioè che sia<br />

legata agli interessi e al<strong>la</strong> visione del<strong>la</strong> vita di un gruppo sociale. Nel ‘500 questo<br />

gruppo disposto a far proprie le nuove teorie era <strong>la</strong> borghesia mercantile, in<br />

quanto queste risultavano coerenti a un atteggiamento più <strong>la</strong>ico e meno religioso.<br />

L’accettazione di una teoria avviene ancora prima del<strong>la</strong> sua completa<br />

dimostrazione e impegna <strong>la</strong> comunità scientifica a ricercare i dati che <strong>la</strong><br />

confermano. Lo scienziato incomincia a vedere ciò che il vecchio paradigma gli<br />

precludeva . Ne è un esempio ancora una volta <strong>la</strong> scoperta di Urano, ricercato<br />

per confermare l’ipotesi copernicana. Al<strong>la</strong> conferma scientifica delle nuove<br />

teorie diedero un importante contributo Galileo, Keplero e Newton.<br />

Oltre agli ostacoli scientifici, <strong>la</strong> teoria copernicana era osteggiata dalle<br />

convinzioni religiose e filosofiche dominanti. La teoria copernicana infatti,<br />

contraddiceva <strong>la</strong> Bibbia, che presupponeva un sistema geocentrico , e una serie<br />

di credenze condivise dal Cristianesimo, quali ad esempio l’ascensione. I<br />

protestanti, più legati al<strong>la</strong> lettura testuale delle sacre scritture, reagirono<br />

immediatamente e le condannarono (fu Lutero stesso a farlo). La chiesa cattolica<br />

inizialmente non prese posizioni e il libro di Copernico fu messo all‘indice solo<br />

all’inizio del ‘600. Nel<strong>la</strong> condanna dei cattolici ebbero un peso predominante le<br />

conclusioni radicali che Bruno trasse dal paradigma copernicano.<br />

Bruno è stato colui che sul piano filosofico ha rotto i legami con il vecchio<br />

paradigma . Egli abbandonò <strong>la</strong> convinzione che il sistema so<strong>la</strong>re fosse l’unico a<br />

costituire l’universo, chiuso e finito.<br />

Bruno accettò il sistema copernicano traendone alcune conclusioni, non tanto<br />

sul<strong>la</strong> base di dati, ma di dimostrazioni logiche, il suo è quindi un atteggiamento<br />

pre-scientifico. Lo schema generale del suo ragionamento è marcatamente<br />

teologico e si fonda su questo modello: siccome il mondo ha come sua causa un<br />

essere infinito, non può che essere a sua volta infinito, in quanto solo in questo<br />

modo è degno del suo creatore.<br />

Bruno abbatte i limiti dell’universo. Egli sostiene che gli uomini vivendo in città<br />

cinte di mura, hanno immaginato che anche l’universo fosse chiuso.<br />

L’universo contiene una moltitudine di sistemi so<strong>la</strong>ri, alcuni di questi mondi<br />

sono migliori del nostro e alti peggiori. Esiste un’unica struttura, uguale per il<br />

cielo e <strong>la</strong> terra . Dal momento che l’universo intero deriva da un’unica mente,<br />

non è possibile che vi sia una discriminazione gerarchica tra le diverse parti di<br />

esso. Proprio perché l’universo ha un’unica struttura, e lo spazio deve essere<br />

considerato omogeneo, è possibile applicare ad esso le stesse regole<br />

geometriche.<br />

Queste caratteristiche sono riassumibili e sostenute dal<strong>la</strong> tesi per cui l’universo è<br />

infinito. Proprio perché infinito , agli occhi di Bruno, esso è anche divino, per<br />

I limiti del nuovo paradigma:<br />

a - ________________________________<br />

b - ________________________________<br />

L’accettazione del ___________________<br />

e i _______________________________<br />

<strong>la</strong> ________________________________<br />

L’accettazione del ___________________<br />

e _________________________________<br />

Religione e _______________________<br />

come scontro di ____________________<br />

3 - ______________________<br />

L’abbandono dell’idea ________________<br />

___________________________________<br />

L’atteggiamento non _________________<br />

di Bruno<br />

Un universo ______________________<br />

e _________________________________<br />

28


cui Dio viene identificato con l’universo, secondo una teoria tipica del<br />

<strong>Rinascimento</strong>.<br />

Sulle basi dell‘ipotesi copernicana e delle intuizioni di Bruno <strong>la</strong> <strong>scienza</strong> ha<br />

costruito una visione dell’universo che è stata quel<strong>la</strong> predominante fino al ‘900.<br />

<strong>Il</strong> sistema so<strong>la</strong>re è solo uno fra i miliardi di sistemi che compongono <strong>la</strong> nostra<br />

ga<strong>la</strong>ssia (<strong>la</strong> via <strong>la</strong>ttea) che a sua volta è una fra i miliardi di ga<strong>la</strong>ssie. All’ipotesi<br />

che possano esistere altri mondi abitati non si è ancora data risposta.<br />

Nel corso del ‘900 <strong>la</strong> <strong>scienza</strong> ha abbandonato l’idea che l’universo sia infinito,<br />

e sul<strong>la</strong> base delle teorie del<strong>la</strong> re<strong>la</strong>tività le più recenti ipotesi sono tornate a<br />

riproporre un universo finito. Infatti, per <strong>la</strong> cosmologia contemporanea <strong>la</strong><br />

materia generata dal big bang si incurverebbe su se stessa in un’implosione , per<br />

cui il mondo sarebbe finito e rappresentabile come una sfera illimitatamente<br />

percorribile.<br />

Freud , il fondatore del<strong>la</strong> psicoanalisi , il ramo del<strong>la</strong> psicologia che ha avuto i più<br />

importanti effetti sul<strong>la</strong> cultura del ‘900, ha interpretato lo sviluppo del<strong>la</strong> cultura<br />

<strong>moderna</strong> come un processo di perdita del narcisismo umano. <strong>Il</strong> narcisismo<br />

costituisce l’atteggiamento di un individuo che si innamora di se stesso. Sul<br />

piano culturale il narcisismo si esprime, ad esempio, nel<strong>la</strong> supposta centralità<br />

dell’uomo di chi lo vede come l’oggetto principale del creato.<br />

Secondo Freud le teorie copernicane hanno iniziato il processo di distruzione del<br />

narcisismo culturale togliendo l’illusione che al<strong>la</strong> terra fosse riservato il posto<br />

centrale dell’universo. La cultura dell’Ottocento avrebbe fatto compiere altri<br />

due importanti passi di questo processo, rappresentanti dall’opera di Darwin e<br />

Marx. Darwin ha infatti distrutto <strong>la</strong> convinzione che vi sia una differenza<br />

fondamentale fra l’uomo e gli animali. Marx ha invece distrutto <strong>la</strong> convinzione<br />

che <strong>la</strong> storia dell’uomo è determinata dal<strong>la</strong> volontà dell’uomo e/o da forze ideali,<br />

sostenendo che essa è determinata dalle condizioni economiche e sociali.<br />

L’ultimo passaggio del processo di perdita del narcisismo è costituito dall’opera<br />

di Freud stesso, che ha distrutto <strong>la</strong> convinzione che il comportamento umano sia<br />

determinato da forze razionali, dimostrando come esso sia retto da fattori<br />

inconsci.<br />

Vitae opere:<br />

Paracelso<br />

Dall’universo _______________________<br />

all’universo che _____________________<br />

__________________________________<br />

4 –GALILEO GALILEI<br />

(vedi dispensa successiva)<br />

L’INTERPRETAZIONE DI FREUD DELLA<br />

RIVOLUZIONE COPERNICANA<br />

Cultura <strong>moderna</strong> = ___________________<br />

___________________________________<br />

1 –Copernico<br />

abbandono del<strong>la</strong> convinzione che ______<br />

___________________________________<br />

2 –________________<br />

abbandono del<strong>la</strong> convinzione che ______<br />

___________________________________<br />

3 –______________________<br />

abbandono del<strong>la</strong> convinzione che ______<br />

___________________________________<br />

4–________________________<br />

abbandono del<strong>la</strong> convinzione che ______<br />

___________________________________<br />

Philippus Aurelius Teophrastus Bombastus von Hoenheim nacque in Svizzera nel 1493, medico ed alchimista, dotato<br />

di una forte personalità e di un'altrettanto forte arroganza. La sua vita fu estremamente movimentata, ma difficile da<br />

ricostruire perché notoriamente Paracelso abbellì <strong>la</strong> sua biografia di partico<strong>la</strong>ri inventati e avventurosi. Secondo quanto<br />

lui dice dopo aver <strong>la</strong>vorato nelle miniere in Germania e in Ungheria, dove apprese i segreti dei metalli, intraprese lunghi<br />

vagabondaggi che lo portarono in Italia, soggiornando a Torino e poi in Spagna, in Germania, in Inghilterra, in Svezia,<br />

in Polonia, in Transilvania; mete p<strong>la</strong>usibili, mentre è molto meno probabile che, come egli stesso dice, sia stato in India<br />

e in Cina. Pare che si recò anche in Russia, al<strong>la</strong> ricerca delle miniere dei Tartari, dove sarebbe stato fatto prigioniero dal<br />

Khan, che gli avrebbe sve<strong>la</strong>to dei segreti.<br />

Molto importante fu per lui l'esperienza di medico militare, prima durante <strong>la</strong> guerra veneziana, più tardi in Danimarca e<br />

in Svezia. Tornato in Germania, <strong>la</strong> sua fama aumentò rapidamente, tanto che gli fu offerta <strong>la</strong> cattedra di medicina<br />

all'università di Basilea.<br />

Paracelso, nello stesso anno, fece bruciare pubblicamente dai suoi studenti i testi di Galeno ed Avicenna, bol<strong>la</strong>ndoli<br />

come ignoranti in materia medica, e sostenendo che ognuno possiede dentro di sé le doti necessarie per esplorare il<br />

mondo. Poco dopo iniziò a perdere anche quel<strong>la</strong> stima e fiducia da parte degli studenti che fino ad allora lo avevano<br />

salvato dal rischio di allontanamento dall'ambiente universitario. La sua opposizione aperta sia al<strong>la</strong> medicina<br />

tradizionale sia al<strong>la</strong> nuova medicina nata tra Italia e Francia e <strong>la</strong> sua indole polemica lo portarono a perdere il <strong>la</strong>voro<br />

29


fisso di insegnante presso l'Università di Basilea. Lasciò infatti <strong>la</strong> città nel gennaio del 1528. Dopo aver passato i<br />

restanti anni del<strong>la</strong> sua vita a vagare di città in città, morì a Salisburgo il 24 settembre 1541.<br />

Giordano Bruno<br />

Intorno ai quindici anni Filippo Bruno (1548-1600) entra nell'ordine dei domenicani assumendo il nome di Giordano.<br />

Ha inizio allora una multiforme esperienza di vita che fa di Bruno una personalità dalle molte facce: il frate ribelle, il<br />

filosofo che, rompendo con <strong>la</strong> tradizione, abbraccia entusiasta le nuove teorie astronomiche e teorizza <strong>la</strong> pluralità dei<br />

mondi, il mago e il sapiente legato al<strong>la</strong> tradizione ermetica, il riformatore politico, l'eretico e il martire dell'Inquisizione.<br />

I contrasti con le autorità religiose, che lo porteranno poi a un drammatico processo sotto l'accusa di eresia e al<strong>la</strong><br />

condanna a morte, compaiono già nel periodo di noviziato, quando il giovane Bruno viene denunciato all'Inquisizione<br />

dal suo superiore per avere tolto dal<strong>la</strong> cel<strong>la</strong> le immagini dei santi conservando solo il crocifisso. I dubbi su alcune verità<br />

del<strong>la</strong> religione cristiana — <strong>la</strong> Trinità e l'Incarnazione — lo mettono in aperto contrasto con l'ambiente ecclesiastico; nel<br />

1576, sospettato di eresia, abbandona l'ordine e fugge nell'Italia settentrionale.<br />

Da lì comincia un lungo vagabondaggio attraverso l'Europa: Si reca a Ginevra, dove per breve tempo aderisce al<br />

calvinismo, quindi a Tolosa e a Parigi, dove pubblica le sue prime opere, sull'arte del<strong>la</strong> memoria e <strong>la</strong> commedia <strong>Il</strong><br />

cande<strong>la</strong>io (1582). Da Parigi va in Inghilterra al seguito dell'ambasciatore francese, soggiorna a Londra e a Oxford, dove<br />

insegna. A Londra viene introdotto a corte, conosce <strong>la</strong> regina Elisabetta I, forse svolge attività di informatore al servizio<br />

del suo governo.<br />

Ritornato a Parigi, è costretto a trasferirsi nelle terre del l'Impero per l'ostilità degli ambienti universitari di tradizione<br />

aristotelica, da lui pubblicamente attaccati. Insegna a Marburgo, a Wittenberg (<strong>la</strong> città di Lutero), a Praga, Francoforte,<br />

dove porta a termine i poemi <strong>la</strong>tini (15901591). In Germania si occupa di astrologia, approfondisce gli studi sul<strong>la</strong> magia<br />

e sull'arte del<strong>la</strong> memoria, pubblicando su questi argomenti alcuni scritti in cui indaga sul rapporto fra l'uomo e i demoni<br />

e sul ruolo dell'immaginazione come strumento utile per il dominio sul<strong>la</strong> natura.<br />

Dopo un soggiorno a Zurigo, rientra in Italia, accettando l'invito del patrizio veneziano Giovanni Mocenigo, che vuole<br />

essere istruito da lui nelle arti magico-ermetiche. L'Italia è una terra pericolosa per chi non osserva l'ortodossia cattolica,<br />

a causa del controllo stringente esercitato dall'Inquisizione, ma nel<strong>la</strong> Repubblica di Venezia, che conduce una politica<br />

culturale re<strong>la</strong>tivamente aperta, Bruno pensa di essere al sicuro. Anzi, come dichiarerà più tardi nel corso del processo,<br />

egli accetta l'invito di Mocenigo, intenzionato a riconciliarsi con <strong>la</strong> Chiesa, <strong>la</strong>sciandosi alle spalle <strong>la</strong> scomoda<br />

condizione di scomunicato.<br />

Ma nel 1592, denunciato all'Inquisizione per eresia dallo stesso Mocenigo, viene arrestato e rinchiuso nel carcere di<br />

Venezia, dove rimane per circa nove mesi. <strong>Il</strong> processo, basato sul<strong>la</strong> so<strong>la</strong> denuncia del Mocenigo, sta per avviarsi verso<br />

l'assoluzione o una lieve condanna, quando interviene una richiesta dell'Inquisizione romana per trasferire il<br />

procedimento a Roma. Dopo avere in un primo tempo opposto rifiuto, Venezia consegna l'eretico all'Inquisizione<br />

romana, nelle cui carceri Bruno entra il 27 febbraio 1593. Ai ripetuti inviti a ritrattare <strong>la</strong> sua dottrina, egli risponde con<br />

un rifiuto; viene quindi condannato e arso vivo il 17 febbraio 1600 in Campo dei Fiori a Roma.<br />

Michel Montaigne<br />

Michel Eyquem, signore di Montaigne, nasce l'ultimo giorno di febbraio 1533 nel castello paterno, posto al confine tra<br />

il Périgord e <strong>la</strong> Guyenne. Appartiene a una famiglia di modesta e recente nobiltà, arricchitasi grazie al commercio.<br />

Compie gli studi primari nel College de Guyenne a Bordeaux e successivamente studia diritto a Périgueux e Toulouse.<br />

A ventun anni è consigliere al<strong>la</strong> Cour des Aides di Périgueux e quindi al Par<strong>la</strong>mento di Bordeaux, dove mantiene <strong>la</strong><br />

carica sino al 1570, svolgendo anche limitati incarichi di Corte. Nel 1558 incontra l'umanista Etienne de La Boétie, con<br />

cui stringe una memorabile amicizia, di cui <strong>la</strong>scia una testimonianza commovente negli Essais. Dopo <strong>la</strong> morte prematura<br />

dell'amico carissimo (1563), seguita da quel<strong>la</strong> del padre (1568), Montaigne abbandona nel 1570 <strong>la</strong> carica al<br />

Par<strong>la</strong>mento e si ritira a vita privata nel suo castello, dove raccoglie in una torre una ricca biblioteca. Inizia senza un<br />

piano preciso <strong>la</strong> stesura degli Essais, che avranno diverse edizioni (nel 1580, nel 1582 e nel 1588).<br />

Nel 1580-81 compie un lungo viaggio in Europa e partico<strong>la</strong>rmente in Italia, di cui dà un resoconto nel (postumo)<br />

Journal de voyage en Italie, prototipo del<strong>la</strong> letteratura di viaggio del "Grand Tour".<br />

Tra il 1581 e il 1588 riprende gli incarichi pubblici, accettando <strong>la</strong> nomina a sindaco di Bordeaux, tenendosi tuttavia in<br />

disparte dai turbolenti avvenimenti politici del<strong>la</strong> Francia di quegli anni tragici. Cattolico convinto, nonostante il suo<br />

scetticismo filosofico, mantiene in politica un atteggiamento rigidamente realista e conservatore.<br />

Muore il 13 settembre 1592.<br />

30


13 –MONTAIGNE: “UN NUOVO MODO DI INDAGARE SE STESSI”<br />

Se <strong>la</strong> mia anima potesse stabilizzarsi, non mi saggerei<br />

L’interiorità si coltiva nel<strong>la</strong> solitudine<br />

La forza del<strong>la</strong> consuetudine<br />

Barbarie e civiltà<br />

Gli altri formano l'uomo; io lo descrivo, e ne presento un esemp<strong>la</strong>re assai mal<br />

formato, e tale che se dovessi model<strong>la</strong>rlo di nuovo lo farei in verità molto diverso<br />

da quello che è 10 . Ma ormai è fatto. Ora, i segni del<strong>la</strong> mia pittura sono sempre<br />

fedeli, benché cambino e varino. II mondo non è che una continua altalena. Tutte le<br />

cose vi oscil<strong>la</strong>no senza posa: <strong>la</strong> terra, le rocce del Caucaso, le piramidi d'Egitto, e<br />

per il movimento generale e per il loro proprio. La stessa costanza non è altro che<br />

un movimento più debole. Io non posso fissare il mio oggetto. Esso procede incerto<br />

e vacil<strong>la</strong>nte, per una naturale ebbrezza. Io lo prendo in questo punto, com'è,<br />

nell'istante in cui m'interesso a lui. Non descrivo l'essere. Descrivo il passaggio:<br />

non un passaggio da una età all'altra o, come dice il popolo, di sette in sette anni,<br />

ma di giorno in giorno, di minuto in minuto. Bisogna che adatti <strong>la</strong> mia descrizione<br />

al momento. Potrei cambiare da un momento all'altro, non solo per caso, ma anche<br />

per intenzione. È una registrazione di diversi e mutevoli eventi e di idee incerte e<br />

talvolta contrarie: sia che io stesso sia diverso, sia che io colga gli oggetti secondo<br />

altri aspetti e considerazioni. Tant'è che forse mi contraddico, ma <strong>la</strong> verità non <strong>la</strong><br />

contraddico mai. Se <strong>la</strong> mia anima potesse stabilizzarsi, non mi saggerei, mi<br />

risolverei: essa è sempre in tirocinio e in prova.<br />

Io espongo una vita umile e senza splendore, ma è lo stesso. Tutta <strong>la</strong> filosofia<br />

morale si applica benissimo a una vita comune e privata, come a una vita di più<br />

ricca sostanza; ogni uomo porta in sé <strong>la</strong> forma intera dell'umana condizione.<br />

Gli autori si presentano al popolo con qualche segno partico<strong>la</strong>re ed esteriore; io, per<br />

primo, col mio essere universale, come Michel de Montaigne, non come<br />

grammatico o poeta o giureconsulto. Se <strong>la</strong> gente si <strong>la</strong>menta perché parlo troppo di<br />

me, io invece mi <strong>la</strong>mento perché essa nemmeno pensa a se stessa.<br />

Ma è ragionevole che, così privato nel<strong>la</strong> vita, io pretenda di rendermi pubblico<br />

nel<strong>la</strong> conoscenza altrui? Ed è ragionevole inoltre che io presenti al mondo, dove <strong>la</strong><br />

forma e l'arte hanno tanto credito e autorità, dei prodotti di natura nudi e crudi, e<br />

per giunta di una natura assai deboluccia? Non è come fare un muro senza pietra, o<br />

qualcosa di simile, fabbricar dei libri senza <strong>scienza</strong> e senz'arte? Le fantasie del<strong>la</strong><br />

musica sono guidate dall'arte, le mie dal caso. Per lo meno io son conforme al<strong>la</strong><br />

rego<strong>la</strong> nel fatto che mai uomo trattò un soggetto che comprendesse e conoscesse<br />

meglio di quanto io faccia con quello che ho intrapreso, e che in questo io sono<br />

l'uomo più competente che ci sia; in secondo luogo, che mai alcuno penetrò più a<br />

fondo <strong>la</strong> sua materia e ne esaminò più minuziosamente le artico<strong>la</strong>zioni e<br />

diramazioni; e non arrivò più esattamente e completamente al fine che si era<br />

proposto nel suo <strong>la</strong>voro 11 . Per condurlo a termine non ho bisogno di mettervi altro<br />

10 Gli Essais sono stati definiti il libro più personale che fosse mai stato scritto, fino a quel momento, nel<strong>la</strong><br />

letteratura universale. Né i modelli c<strong>la</strong>ssici dell’autobiografia, né i precedenti cristiani del<strong>la</strong> confessione o<br />

del soliloquio , sembrano giustificare l'originalità di aver posto ai centro di un'opera letteraria l'autoritratto di<br />

un uomo del tutto ordinario, di una vita privata spoglia di eventi o di circostanze eccezionali. Montaigne è<br />

consapevole di contravvenire a un'antica rego<strong>la</strong> di convenienza morale e letteraria: quel<strong>la</strong> che vieta all'autore<br />

di par<strong>la</strong>re di sé, a meno che non si tratti di un personaggio illustre, intento a fissare per iscritto <strong>la</strong> propria virtus,<br />

al fine di offrire un esempio al<strong>la</strong> posterità. Ma quel<strong>la</strong> che sembra a prima vista una deplorevole vanità o<br />

una vio<strong>la</strong>zione delle regole del bon ton letterario, è agli occhi di Montaigne <strong>la</strong> via più diretta per raggiungere<br />

il suo intento filosofico: <strong>la</strong> conoscenza e <strong>la</strong> descrizione dell'uomo, così come esso è di fatto.<br />

11 La duplice mobilità — dell'oggetto in perpetua metamorfosi, e del soggetto, che muta di continuo il suo punto di<br />

vista, per meglio aderire all'oggetto — sembra trovare un provvisorio punto di accordo e di stabilità in un caso:<br />

31


che <strong>la</strong> fedeltà; e questa c'è, <strong>la</strong> più sincera e pura che si possa trovare. Io dico <strong>la</strong><br />

verità, non quanto voglio, ma quanto oso dir<strong>la</strong>; e l'oso un po' di più invecchiando,<br />

poiché mi sembra che l'uso conceda a quest'età una maggiore libertà di<br />

chiacchierare e una maggiore indiscrezione nel par<strong>la</strong>re di sé 12 . Qui noi andiamo<br />

d'accordo e allo stesso passo: il mio libro ed io. Altrove si può considerare e<br />

accusare l'opera separatamente dall'artefice; qui no: chi tocca l'uno, tocca l'altra.<br />

Chi ne giudicherà senza conoscerlo, farà più torto a se stesso che a me: chi l'avrà<br />

conosciuto, mi avrà soddisfatto completamente. Felice oltre il mio merito se<br />

dell'approvazione pubblica mi tocchi solo questa parte, di far sentire alle persone<br />

d'ingegno che sarei stato capace di trarre profitto dal<strong>la</strong> <strong>scienza</strong>, se l'avessi avuta, e<br />

che avrei meritato che <strong>la</strong> memoria 13 mi servisse meglio.<br />

Giustifichiamo qui ciò che dico spesso, che mi pento raramente e che <strong>la</strong> mia<br />

co<strong>scienza</strong> è contenta di sé, non come del<strong>la</strong> co<strong>scienza</strong> d'un angelo o d'un cavallo, ma<br />

come del<strong>la</strong> co<strong>scienza</strong> d'un uomo, aggiungendo sempre questo ritornello, non un<br />

ritornello di convenienza, ma di semplice ed essenziale sottomissione : che parlo da<br />

curioso e da ignorante, riferendomi per decidere, puramente e semplicemente, alle<br />

credenze comuni e legittime. Non insegno, racconto.<br />

Non c'è cosa tanto poco socievole e tanto socievole come l'uomo: questo per vizio,<br />

quello per natura. …<br />

Lasciamo da parte il vecchio confronto tra <strong>la</strong> vita solitaria e l'attiva; quanto poi a<br />

quel bel detto sotto il quale si nascondono l'ambizione e <strong>la</strong> cupidigia, e cioè che<br />

non siamo nati per <strong>la</strong> nostra vita privata, ma per quel<strong>la</strong> pubblica, rimettiamoci coraggiosamente<br />

a quelli che sono in ballo; e ne risponda <strong>la</strong> loro co<strong>scienza</strong> se, al<br />

contrario, i gradi, le cariche e tutti gli intrighi del mondo si ricercano piuttosto per<br />

trarre dal pubblico il proprio partico<strong>la</strong>re profitto. I mezzi disonesti con i quali lo si<br />

persegue nel nostro secolo 14 , mostrano bene che il fine non vale di più.<br />

Rispondiamo all'ambizione che è proprio essa a darci il gusto del<strong>la</strong> solitudine: infatti,<br />

che altro fugge più del<strong>la</strong> società? Che altro cerca più del<strong>la</strong> sua libertà? Si può<br />

fare del bene e del male dappertutto: tuttavia, se è vero il detto di Biante 15 , che i<br />

cattivi sono <strong>la</strong> maggior parte, o quello che dice l'Ecclesiaste, che fra mille non ce<br />

n'è uno buono,<br />

Rari quippe boni: numero vix sunt totidem,<br />

quot<br />

Thebarum porte, vel divitis ostia Nili<br />

quello appunto in cui soggetto e oggetto coincidono, nel<strong>la</strong> pittura di sé da parte dell'io. Ciò comporta una<br />

caratteristica trasposizione dell'io soggettivo dell'autore (Michel de Montaigne nell'io narrativo degli<br />

Essais, fino a provocare una perfetta coincidenza (apertamente rivendicata) dell'autore con il suo libro, che<br />

conterrà il suo più vero, soggettivo e oggettivo, privato e pubblico a un tempo.<br />

Per tale via, Montaigne è stato il primo filosofo moderno (questo è appunto dei possibili significati del<strong>la</strong><br />

modernità) a utilizzare <strong>la</strong> propria vita come terreno di un esperimento metafisico: <strong>la</strong> trasformazione dell'io<br />

singolo privato in io universale, <strong>la</strong> elevazione del fatto umano e biografico in significato. Qui sta anche <strong>la</strong><br />

radicalità del suo scetticismo: che non è l'abdicazione al<strong>la</strong> conoscenza, ma un'enorme estensione dei suoi<br />

compiti epistemologici e dei suoi confini antropologici.<br />

12 Montaigne introduce qui il motivo, assai ricorrente negli Essais, del<strong>la</strong> vecchiaia e lo fa con un intento (come gli<br />

accade spesso) autoabbassamento ironico. La vecchiaia non è più (come nel De Senectute di Cicerone) l’età<br />

del<strong>la</strong> saggezza e del<strong>la</strong> virtù, ma del<strong>la</strong> debolezza e del<strong>la</strong> indiscreta loque<strong>la</strong>.<br />

13 Montaigne si <strong>la</strong>menta frequentemente negli Essais, del<strong>la</strong> propria memoria difettosa, cui imputa <strong>la</strong> responsabilità dei<br />

suoi scarsi progressi nel campo del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong>. Anche qui, come nel caso del motivo del<strong>la</strong> vecchiaia,<strong>la</strong>"sincerità" biografica si<br />

presta dl'uso raffinato dell'ironia letteraria. Confessando il proprio difetto di memoria Montaigne esprime in realtà un rifiuto<br />

polemico delle regole del<strong>la</strong> retorica, di cui <strong>la</strong> memorizzazione era una componentefondamentale.<br />

14 Montaigne visse durante <strong>la</strong> prima fase delle sanguinose guerre religiose europee.<br />

15 Uno dei sette savi del<strong>la</strong> Grecia.<br />

32


il contagio è pericolosissimo nel<strong>la</strong> fol<strong>la</strong>. Bisogna o imitare i viziosi o odiarli.<br />

Ambedue le cose sono pericolose, e assomigliar loro perché sono molti, e odiarne<br />

molti, perché sono dissimili. ...<br />

Ora, lo scopo, io credo, è sempre uno: vivere più piacevolmente e a proprio agio.<br />

Ma non sempre se ne cerca bene <strong>la</strong> strada. Spesso si pensa di aver abbandonato le<br />

preoccupazioni, e le abbiamo soltanto cambiate. Non c'è meno travaglio nel<br />

governo di una famiglia che in quello di un intero Stato; di qualunque cosa l'anima<br />

si occupi, ne è tutta presa; e, per essere meno importanti, le occupazioni<br />

domestiche non sono meno importune. Inoltre, per il fatto di esserci liberati dal<strong>la</strong><br />

corte e dal mercato, non ci siamo con questo liberati dai principali tormenti del<strong>la</strong><br />

nostra vita,<br />

ratio et prudentia curas,<br />

Non locus effusi <strong>la</strong>te maris arbiter, aufert 16<br />

L'ambizione, <strong>la</strong> cupidigia, l'irresolutezza, <strong>la</strong> paura e le concupiscenze non ci<br />

abbandonano perché cambiamo contrada.<br />

Et post equitem sedet atra cura 17 .<br />

Esse ci seguono spesso fin nei chiostri e nelle scuole di filosofia. Né i deserti, né le<br />

grotte, né il cilicio, né i digiuni ce ne liberano.<br />

Fu detto a Socrate che un tale non si era per niente emendato durante un viaggio: «<br />

Lo credo bene, » diss'egli « si era portato con sé». …<br />

Se in primo luogo non liberiamo noi stessi e <strong>la</strong> nostra anima dal peso che<br />

l'opprime, il movimento <strong>la</strong> schiaccerà ancora di più; come in una nave i carichi<br />

dànno meno impiccio quando sono ben stivati. Fate più male che bene<br />

all'amma<strong>la</strong>to, facendogli cambiar posto. ... Per cui non basta l'essersi allontanati<br />

dal<strong>la</strong> gente; non basta cambiar luogo, bisogna allontanarsi dalle inclinazioni<br />

comuni che esistono in noi; bisogna sequestrarsi e iso<strong>la</strong>rsi da se stessi.<br />

Rupi iam vincu<strong>la</strong> dicas:<br />

Nam luctata canis nodum arripit; attamen illi,<br />

Cum fugit, a collo trahitur pars longa catenae. 18<br />

Noi ci portiamo appresso le nostre catene: questa non è libertà piena, noi volgiamo<br />

ancora gli occhi verso quello che abbiamo <strong>la</strong>sciato, ne abbiamo piena <strong>la</strong> fantasia.<br />

…<br />

<strong>Il</strong> nostro male ci afferra nell'anima : ora, essa non pub sfuggire a se stessa.<br />

Così bisogna emendar<strong>la</strong> e rinchiuder<strong>la</strong> in sé: è <strong>la</strong> vera solitudine, del<strong>la</strong> quale si può<br />

godere in mezzo alle città e alle corti dei re; ma <strong>la</strong> si gode più comodamente in<br />

disparte. …<br />

Certo l'uomo di senno non ha perduto nul<strong>la</strong> se ha se stesso. Quando <strong>la</strong> città di No<strong>la</strong><br />

fu distrutta dai barbari, Paolino, che ne era vescovo, pur avendo perso tutto ed<br />

essendo loro prigioniero, pregava Dio così: « Signore, preservami dal sentire<br />

questa perdita, poiché tu sai che essi non hanno ancora toccato nul<strong>la</strong> di ciò che è<br />

mio ». Le ricchezze che lo facevano ricco e i beni che lo facevano buono erano<br />

ancora intatti. Ecco che cosa vuol dire sceglier bene i tesori che possano essere<br />

esenti da danno, e nasconderli in luogo dove non vada alcuno e tale che non possa<br />

16<br />

«Sono <strong>la</strong> ragione e <strong>la</strong> saggezza che ci tolgono gli affanni, non un luogo che domina una vasta distesa di<br />

mare ». Orazio, Epistole, I, XI, 25-26.<br />

17<br />

« E l'oscuro affanno siede dietro al cavaliere ». Id., Odi, III, i, 40.<br />

18<br />

« Ho spezzato le mie catene, dirai: come il cane, dopo una lunga lotta, spezza il nodo che lo tiene<br />

legato, mentre fugge, trascina, attaccata al collo, una lunga parte del<strong>la</strong> catena ». Persio, v, 158-60.<br />

33


esser tradito che da noi stessi. Bisogna avere moglie, figli, sostanze, e soprattutto <strong>la</strong><br />

salute, se si può; ma non attaccarvisi in maniera che ne dipenda <strong>la</strong> nostra felicità.<br />

Bisogna riservarsi una retrobottega tutta nostra, del tutto indipendente, nel<strong>la</strong> quale<br />

stabilire <strong>la</strong> nostra vera libertà, il nostro principale ritiro e <strong>la</strong> nostra solitudine. Là<br />

noi dobbiamo trattenerci abitualmente con noi stessi, e tanto privatamente che<br />

nessuna conversazione o comunicazione con altri vi trovi luogo; ivi discorrere e<br />

ridere come se fossimo senza moglie, senza figli e senza sostanze, senza seguito e<br />

senza servitori, affinché, quando verrà il momento di perderli, non ci riesca nuovo<br />

il farne a meno. Noi abbiamo un'anima capace di ripiegarsi in se stessa; essa può<br />

farsi compagnia; ha i mezzi per assalire e per difendere, per ricevere e per donare;<br />

non dobbiamo temere di marcire d'ozio noioso in questa solitudine.<br />

in solis sis tibi turba loci 19<br />

… Nelle nostre azioni abituali, fra mille non ce n'è una che ci riguardi. Colui che tu<br />

vedi arrampicarsi in cima alle rovine di quel muro, furioso e fuor di sé, bersaglio di<br />

tante archibugiate; e quell'altro, tutto pieno di cicatrici, smorto e pallido per <strong>la</strong><br />

fame, deciso a crepare piuttosto che aprirgli <strong>la</strong> porta, pensi che lo facciano per se<br />

stessi? Lo fanno per un tale che forse non videro mai, e che non si dà alcuna pena<br />

del fatto loro, immerso frattanto nell'ozio e nelle delizie. E questi, tutto catarroso,<br />

cisposo e sporco, che vedi uscire dopo mezzanotte da uno studio, pensi forse che<br />

cerchi fra i libri come diventare migliore, più contento e più saggio? Niente affatto.<br />

O ci morirà, o insegnerà al<strong>la</strong> posterità <strong>la</strong> misura dei versi di P<strong>la</strong>uto e <strong>la</strong> vera<br />

ortografia d'una paro<strong>la</strong> <strong>la</strong>tina. Chi non scambierebbe volentieri <strong>la</strong> salute, il riposo e<br />

<strong>la</strong> vita con <strong>la</strong> fama e <strong>la</strong> gloria, <strong>la</strong> più inutile, vana e falsa moneta che sia in uso fra<br />

noi? …<br />

Vah! quemquamne hominem in animum instituere,<br />

aut<br />

Parare, quod sit charius quam ipse est sibi? 20<br />

… Noi lodiamo un cavallo in quanto è vigoroso e svelto, … non per <strong>la</strong> sua<br />

bardatura; un levriero per <strong>la</strong> sua velocità, non per il suo col<strong>la</strong>re; un uccello per le<br />

sue ali, non per le sue correggiole e i suoi sonagli. Perché allo stesso modo non stiriamo<br />

un uomo per ciò che è suo? Egli ha un gran seguito, un bel pa<strong>la</strong>zzo, tanto di<br />

credito, tanto di rendita: tutto questo è intorno a lui, non in lui. Voi non comprate<br />

un gatto in un sacco. Se contrattate un cavallo, gli togliete <strong>la</strong> bardatura, lo guardate<br />

nudo e allo scoperto …<br />

Perché quando valutate un uomo, lo valutate tutto avvolto e infagottato? Ci mostra<br />

soltanto le parti che non sono in alcun modo sue, e ci nasconde quelle attraverso le<br />

quali soltanto si può davvero giudicare quanto vale. È il valore del<strong>la</strong> spada che vi<br />

interessa, non quello del fodero: non ne dareste forse un quattrino, se lo aveste<br />

spogliato. Bisogna giudicarlo per se stesso, non per i suoi ornamenti. E, come dice<br />

molto argutamente un antico: «sapete perché lo stimate grande? Voi considerate<br />

anche l'altezza degli zoccoli». La base non fa parte del<strong>la</strong> statua. Misuratelo senza i<br />

suoi trampoli; che metta da parte ricchezze e onori, che si presenti in camicia.<br />

19 C. Montaigne cita un verso del poeta <strong>la</strong>tino Tibullo: «Nel<strong>la</strong> solitudine sii per te stesso una fol<strong>la</strong>», che<br />

compendia il senso delle sua riflessioni sul<strong>la</strong> vita interiore, sul<strong>la</strong> solitudine come spazio di libertà personale,<br />

sul colloquio intimo che l'anima può intrattenere con se stessa, sulle risorse che ogni individuo ritrova<br />

guardando dentro di sé, nel profondo del proprio io. La solitudine è intesa come un buon ritiro nel privato,<br />

che tute<strong>la</strong> ciò che l'individuo ha in sé di più prezioso.<br />

20 « Come è mai possibile che uno si metta in testa e si convinca che qualcosa gli è più caro di se stesso?<br />

». Terenzio, Adelphoe, 38-39.<br />

34


Le leggi del<strong>la</strong> co<strong>scienza</strong>, che noi diciamo nascere dal<strong>la</strong> natura, nascono dal<strong>la</strong><br />

consuetudine; ciascuno, infatti, venerando intimamente le opinioni e gli usi<br />

approvati e accolti intorno a lui, non può disfarsene senza rimorso né conformarvisi<br />

senza soddisfazione 21 .<br />

In passato, quando gli abitanti di Creta volevano maledire qualcuno, pregavano gli<br />

dèi di assoggettarlo a qualche cattiva abitudine.<br />

Ma il principale effetto del<strong>la</strong> sua potenza è che essa ci afferra e ci stringe in modo<br />

che a ma<strong>la</strong>pena possiamo riaverci dal<strong>la</strong> sua stretta e rientrare in noi stessi per<br />

discorrere e ragionare dei suoi comandi. In verità, poiché li succhiamo col <strong>la</strong>tte fin<br />

dal<strong>la</strong> <strong>nascita</strong> e il volto del mondo si presenta siffatto al nostro primo sguardo,<br />

sembra che noi siamo nati a condizione di seguire quel cammino. E le idee comuni<br />

che vediamo aver credito intorno a noi e che ci sono infuse nell'anima dal seme dei<br />

nostri padri, sembra siano quelle generali e naturali.<br />

Per cui accade che quello che è fuori dei cardini del<strong>la</strong> consuetudine, lo si giudica<br />

fuori dei cardini del<strong>la</strong> ragione; Dio sa quanto irragionevolmente, per lo più. Se,<br />

come abbiamo imparato a fare noi che ci studiamo, ognuno che ode una sentenza<br />

giusta guardasse subito in che modo essa lo riguarda espressamente, troverebbe che<br />

non è tanto un buon detto, quanto un buon colpo di frusta all'abituale stoltezza del<br />

suo ragionare. Ma si accolgono gli ammonimenti del<strong>la</strong> verità e i suoi precetti come<br />

se fossero rivolti agli altri, e mai a noi stessi; e invece di applicarli ai propri<br />

costumi, ognuno li mette a dormire nel<strong>la</strong> sua memoria, molto scioccamente e<br />

inutilmente. Torniamo all'imperio del<strong>la</strong> consuetudine.<br />

I popoli allevati nel<strong>la</strong> libertà e nell'autogoverno considerano ogni altra forma di<br />

governo mostruosa e contro natura. Quelli che sono abituati al<strong>la</strong> monarchia, fanno<br />

lo stesso. E qualsiasi possibilità di cambiamento <strong>la</strong> fortuna offra loro, perfino<br />

quando si siano liberati con gran difficoltà dal fastidio d'un padrone, si precipitano<br />

a ristabilirne uno nuovo con altrettante difficoltà, perché non possono risolversi a<br />

prendere in odio l'autorità. [...]<br />

Chi vorrà liberarsi da questo acerrimo pregiudizio del<strong>la</strong> consuetudine troverà molte<br />

cose accettate con sicurezza scevra di dubbio, che non hanno altro sostegno che <strong>la</strong><br />

barba bianca e le rughe dell'uso che le accompagna: ma, strappata questa maschera,<br />

riconducendo le cose al<strong>la</strong> verità e al<strong>la</strong> ragione, sentirà il suo giudizio come tutto<br />

sconvolto, e tuttavia rimesso in ben più saldo assetto. [...]<br />

Quanto alle cose indifferenti, come i vestiti, quando si vorranno ricondurre al loro<br />

vero scopo, che è l'utilità e <strong>la</strong> comodità del corpo, da cui dipende <strong>la</strong> loro eleganza e<br />

convenienza originaria, fra i più mostruosi che secondo me si possano immaginare,<br />

metterei fra gli altri i nostri berretti quadrati, quel<strong>la</strong> lunga coda di velluto<br />

pieghettato che pende dal capo delle nostre donne con <strong>la</strong> sua guarnizione<br />

variopinta, e quel<strong>la</strong> vana e inutile copia d'un membro che non possiamo neppure<br />

nominare con decenza, e del<strong>la</strong> quale tuttavia facciamo mostra e parata in pubblico<br />

Queste considerazioni non distolgono tutta uomo di senno dal seguire lo stile 22 .<br />

21 <strong>Il</strong> pensiero politico di Montaigne è altrettanto distante dal razionalismo dei sostenitori del diritto<br />

naturale e dall'utopismo del pensiero rivoluzionario. All'asserita esistenza di leggi eterne, iscritte nel<strong>la</strong><br />

natura stessa dell'uomo, oppone <strong>la</strong> considerazione delle differenze di fatto assunte dal diritto nei diversi<br />

popoli, a seconda delle età, delle condizioni, delle mentalità ecc. Tali differenze fanno dubitare<br />

dell'esistenza stessa di una "natura umana" comune. Per Montaigne il diritto si costituisce interamente di<br />

principi positivi, che vanno concepiti storicamente non come semplici sviluppi di un'ide eterna. Non è <strong>la</strong><br />

ragione a fondare il diritto, ma sono le consuetudini sociale nel<strong>la</strong> loro origine empirica e arbitraria a<br />

trovarvi una giustificazione razionale a posteriori. I principi del diritto sono normativi non per <strong>la</strong> loro<br />

legittimità ma per l'autorità del<strong>la</strong> loro esistenza Nessuna legge generale del resto basterebbe a prevedere e<br />

a rego<strong>la</strong>re i modo fisso e definitivo l'infinita variabilità delle azioni degli uomini.<br />

22 Montaigne vi afferma — con impressionanti accenti di modernità — l'origine sociale, dal costume, del<strong>la</strong><br />

stessa co<strong>scienza</strong> morale degli individui. La forza di costrizione sociale del costume — «l'imperio del<strong>la</strong><br />

consuetudine» — è tale da far ritenere "razionali" solo quei comportamenti che rientrano nell'ambito<br />

espressamente previsto e rego<strong>la</strong>to dalle sue leggi non scritte. L'atteggiamento di Montaigne di fronte al<strong>la</strong><br />

società appare però duplice. Da un <strong>la</strong>to, sul piano teorico, egli è critico nel denunciare il carattere di<br />

35


comune: anzi, al contrario, mi sembra che tutte le fogge personali e partico<strong>la</strong>ri<br />

derivino piuttosto da follia o da affettazione ambiziosa che da vera ragione; e che il<br />

saggio debba nell'intimo separar <strong>la</strong> sua anima dal<strong>la</strong> fol<strong>la</strong> e mantener<strong>la</strong> libera e<br />

capace di giudicare liberamente le cose; ma quanto all'esteriore, debba seguire<br />

interamente i modi e le forme acquisite. La società non sa che farsene dei nostri<br />

pensieri; ma quello che resta, cioè le nostre azioni, il nostro <strong>la</strong>voro, i nostri beni e<br />

<strong>la</strong> nostra propria vita, bisogna prestarlo e abbandonarlo al suo servizio e alle<br />

opinioni comuni: così quel buono e grande Socrate rifiutò di salvarsi <strong>la</strong> vita con<br />

disobbedienza a un magistrato, e proprio a un magistrato assai ingiusto equo.<br />

Ognuno chiama barbarie quello che non è nei suoi usi; sembra infatti che noi non<br />

abbiamo altro punto di riferimento per <strong>la</strong> verità e <strong>la</strong> ragione che l'esempio e l'idea<br />

delle opinioni e degli usi del Paese in cui siamo 23 . Qui c'è sempre <strong>la</strong> perfetta<br />

religione, il perfetto governo, l'uso perfetto e compiuto di ogni cosa. Essi (gli<br />

indigeni americani) sono selvaggi allo stesso modo che noi chiamiamo selvatici i<br />

frutti che <strong>la</strong> natura ha prodotto da sé nel suo naturale sviluppo: <strong>la</strong>ddove, in verità,<br />

sono quelli che col nostro artificio abbiamo alterati e distorti dall'ordine generale<br />

che dovremmo piuttosto chiamare selvatici. In quelle sono vive e vigorose le vere e<br />

più utili e naturali virtù e proprietà, che invece noi abbiamo imbastardite in questi,<br />

soltanto per adattarle al nostro gusto corrotto. E nondimeno il sapore medesimo e <strong>la</strong><br />

delicatezza di diversi frutti di quelle regioni, che non sono stati coltivati, sembrano<br />

eccellenti al nostro gusto, in confronto ai nostri. Non c'è ragione che l'arte guadagni<br />

il punto d'onore sul<strong>la</strong> nostra grande e potente madre natura. Abbiamo tanto<br />

sovraccaricato <strong>la</strong> bellezza e <strong>la</strong> ricchezza delle sue opere con le nostre invenzioni,<br />

che l'abbiamo soffocata del tutto. Tant'è vero che dovunque riluce <strong>la</strong> sua purezza,<br />

essa fa straordinariamente vergognare le nostre vane e frivole imprese,<br />

Et veniunt ederae sponte sua melius,<br />

Surgit et in solis formosior arbutus antris,<br />

"pregiudizio" di tali comportamenti consuetudinari. L'autenticità dell'io va difesa e rivendicata contro<br />

ogni finzione imposta dal<strong>la</strong> "maschera" sociale. Ma d'altro <strong>la</strong>to, sul piano pratico, egli è sufficientemente<br />

realista da ritenere che le società sono organismi complessi e fragili, che non si fondano sul<strong>la</strong> ragione o<br />

sulle idee dei filosofi, ma sul<strong>la</strong> forza di coesione dei costumi ereditati e delle regole sperimentate nell'uso.<br />

Opporre al<strong>la</strong> forza delle consuetudini <strong>la</strong> propria saggezza individuale e privata sarebbe <strong>la</strong> peggiore pazzia.<br />

E poco saggio sarebbe pretendere di affermare <strong>la</strong> propria individualità originale, rifiutandosi di adeguarsi<br />

alle consuetudini in ciò che vi è sottomesso per definizione, come fogge degli abiti e <strong>la</strong> moda.<br />

<strong>Il</strong> comportamento del saggio dell'uomo di senno sarà perciò coerente con quel<strong>la</strong> dialettica di appartenenza<br />

e distinzione, di sottomissione critica o ironica al costume e di salvaguardia del<strong>la</strong> propria individualità,<br />

al<strong>la</strong> quale Montaigne si è sempre sforzato di adeguare i propri atti privati e pubblici.<br />

23 Nel<strong>la</strong> critica delle certezze tradizionali, condotta da Montaigne nei Saggi, uno dei principali bersagli<br />

polemici è <strong>la</strong> tesi del<strong>la</strong> centralità del<strong>la</strong> cultura europea nel mondo. La scoperta dell'America, rive<strong>la</strong>ndo<br />

l'esistenza di consuetudini e regole morali diverse da quelle praticate nei Paesi europei, porta<br />

necessariamente ad affermare l'esistenza di più culture e conseguentemente <strong>la</strong> re<strong>la</strong>tività dei valori di cui<br />

ciascuna è portatrice. Tuttavia, manca per lo più <strong>la</strong> consapevolezza di questo fenomeno; ogni gruppo<br />

umano tende a identificare i propri valori con i valori in assoluto, definendo barbari quelli che non gli<br />

appartengono. Bisogna perciò ripensare il rapporto civiltà-barbarie ed e<strong>la</strong>borare il concetto del<strong>la</strong> re<strong>la</strong>tività<br />

delle culture.<br />

Agli occhi disincantati di Montaigne, il confine, fino a quel momento netto, fra i due ambiti — <strong>la</strong> civiltà,<br />

<strong>la</strong> barbarie — si fa più problematico e si delinea addirittura un capovolgimento delle valutazioni correnti,<br />

una sorta di scambio dei ruoli. Chi sono i veri selvaggi? Gli indigeni americani che hanno fondato <strong>la</strong> loro<br />

società sulle leggi naturali, su regole semplici e chiare, senza imporre meccanismi artificiosi, cercando di<br />

limitare i danni prodotti dall'accumulo delle proprietà, dalle guerre, dalle rigide gerarchie? Oppure gli<br />

europei, <strong>la</strong> cui civiltà <strong>la</strong>scia <strong>la</strong>rgo spazio a comportamenti dominati dall'ambizione, dal<strong>la</strong> brama di<br />

ricchezze e di potere, dal<strong>la</strong> violenza?<br />

La risposta di Montaigne, nel mettere a fuoco il concetto di re<strong>la</strong>tività delle culture, è a tutto vantaggio<br />

degli indigeni americani<br />

36


Et volucres nul<strong>la</strong> dulcius arte canunt 24 .<br />

Tutti i nostri forzi non possono arrivare nemmeno a riprodurre il nido del più<br />

piccolo uccellino, <strong>la</strong> sua tessitura, <strong>la</strong> sua bellezza e l'utilità del suo uso, e nemmeno<br />

<strong>la</strong> te<strong>la</strong> del miserabile ragno. Tutte le cose, dice P<strong>la</strong>tone, sono prodotte dal<strong>la</strong> natura,<br />

o dal caso, o dall'arte; le più grandi e le più belle dall'una o dall'altra delle prime<br />

due cause; le più piccole e imperfette dall'ultima.<br />

Quei popoli dunque mi sembrano barbari in quanto sono stati in scarsa misura<br />

model<strong>la</strong>ti dallo spirito umano, e sono ancora molto vicini al<strong>la</strong> loro semplicità<br />

originaria. Li governano sempre le leggi naturali, non ancora troppo imbastardite<br />

dalle nostre; ma con tale purezza che talvolta mi dispiace che non se ne sia avuta<br />

nozione prima, quando c'erano uomini che avrebbero saputo giudicarne meglio di<br />

noi. Mi dispiace che Licurgo e P<strong>la</strong>tone non ne abbiano avuta conoscenza; perché<br />

mi sembra che quello che noi vediamo per esperienza in quei popoli oltrepassi non<br />

solo tutte le descrizioni con cui <strong>la</strong> poesia ha abbellito l'età dell'oro, e tutte le sue<br />

immagini atte a raffigurare una felice condizione umana, ma anche <strong>la</strong> concezione e<br />

il desiderio medesimo del<strong>la</strong> filosofia. Essi non poterono immaginare un'ingenuità<br />

tanto pura e semplice quale noi vediamo per esperienza; né poterono credere che <strong>la</strong><br />

nostra società potesse mantenersi con così pochi artifici e legami umani. È un<br />

popolo, direi a P<strong>la</strong>tone, nel quale non esiste nessuna sorta di traffici; nessuna<br />

conoscenza delle lettere; nessuna <strong>scienza</strong> dei numeri; nessun nome di magistrato,<br />

né di gerarchia politica; nessuna usanza di servitù, di ricchezza o di povertà, nessun<br />

contratto; nessuna successione; nessuna spartizione; nessuna occupazione se non<br />

dilettevole; nessun rispetto del<strong>la</strong> parente<strong>la</strong> se non quello ordinario; nessun vestito;<br />

nessuna agricoltura; nessun metallo; nessun uso di vino o grano. Le parole stesse<br />

che significano menzogna, tradimento, dissimu<strong>la</strong>zione, avarizia, invidia,<br />

diffamazione, perdono, non si sono mai udite. Quanto lontana da questa perfezione<br />

egli troverebbe <strong>la</strong> repubblica che ha immaginato: «viri a diis recentes» 25 .<br />

da M. de Montaigne, Saggi a cura di Fausta Garavini, Adelphi, Mi<strong>la</strong>no 1966, (estratti da<br />

1067- 1070, 310-317, 140-155, 272-274)<br />

24 «L'edera viene meglio senza essere coltivata, ed il corbezzolo cresce più bello nelle grotte solitarie, e il<br />

canto degli uccelli è più dolce se manca d'artificio», Properzio, Elegie, I, II, 10-11 e 14. Capovolgendo gli<br />

schemi usuali, Montaigne rileva che i presunti selvaggi sono selvaggi solo nel senso in cui si dice<br />

selvatico un frutto spontaneo, naturale, mentre si dovrebbero più propriamente dire selvatici (nel senso di<br />

cattivi) i frutti innaturali, risultato di varie operazioni manipo<strong>la</strong>torie, messe in atto per andare incontro ai<br />

gusti artificiosi degli europei.<br />

25 «Uomini or ora usciti dalle mani degli dèi», Seneca, Epistole, 90. Esaltando gli indigeni delle nuove<br />

terre in contrapposizione agli uomini del Vecchio Mondo, Montaigne ne idealizza il modello di vita,<br />

semplice e puro, incontaminato, libero dalle eccessive costruzioni/costrizioni del<strong>la</strong> civiltà; né <strong>la</strong> poesia,<br />

descrivendo in termini super<strong>la</strong>tivi l'età dell'oro, né <strong>la</strong> filosofia, prospettando l'idea utopica di uno stato<br />

perfetto, sono mai riusciti a dare l’idea di una felice condizione umana come quel<strong>la</strong> incarnata<br />

dagli indigeni del Nuovo Mondo. Di qui il rimpianto per il fatto che uomini dal pensiero profondo come<br />

Licurgo e P<strong>la</strong>tone, i quali si sono occupati dello il primo come legis<strong>la</strong>tore, il secondo come teorico<br />

politico, non abbiano potuto conoscere questa realtà di uomini che vivono secondo le pure leggi naturali.<br />

Con le sue considerazioni, Montaigne contribuì al<strong>la</strong> <strong>nascita</strong> del mito del buon selvaggio, cioè' di un uomo<br />

primitivo fondamentalmente buono semplice e naturale, non contaminato dai vizi del<strong>la</strong> civiltà. Al<strong>la</strong><br />

formazione dell'idea del buon selvaggio, oltre alle notizie giunte in seguito alle prime scoperte<br />

geografiche, contribuisce <strong>la</strong> valorizzazione del<strong>la</strong> natura, tipica del pensiero rinascimentale.<br />

37


14 - E. FROMM: IL SIGNIFICATO PSICO-SOCIALE DELLE DOTTRINE DI<br />

LUTERO E CALVINO.<br />

1. <strong>Il</strong> mondo medioevale e il <strong>Rinascimento</strong><br />

2. <strong>Il</strong> periodo del<strong>la</strong> Riforma<br />

3. Conclusioni<br />

1. <strong>Il</strong> mondo medioevale e il <strong>Rinascimento</strong><br />

Esamineremo anzitutto <strong>la</strong> situazione economica e sociale dell'Europa, soprattutto di<br />

quel<strong>la</strong> centrale, all'inizio del sedicesimo secolo, e poi analizzeremo le ripercussioni<br />

che questa situazione ebbe sul<strong>la</strong> personalità degli uomini di quell'epoca, il rapporto<br />

tra gli insegnamenti di Lutero e Calvino e questi fattori psicologici, e il rapporto tra<br />

queste nuove dottrine religiose e lo spirito del capitalismo.<br />

Nel<strong>la</strong> società medioevale l'organizzazione economica del<strong>la</strong> società era piuttosto<br />

statica. Gli artigiani si erano stretti in corporazioni già sin dal tardo Medioevo.<br />

Ogni maestro aveva sotto di sé uno o due apprendisti, e il numero dei maestri era<br />

proporzionato più o meno alle esigenze del<strong>la</strong> comunità. Pur essendocene sempre<br />

alcuni che dovevano lottare duramente per guadagnarsi da vivere, nel complesso i<br />

membri del<strong>la</strong> corporazione erano sicuri di poter vivere con il <strong>la</strong>voro delle loro<br />

mani. Se facevano sedie, scarpe, pane, selle di buona qualità, potevano essere sicuri<br />

che questo bastava ad assicurargli una tranquil<strong>la</strong> esistenza al livello che <strong>la</strong><br />

tradizione assegnava al<strong>la</strong> loro posizione sociale. Potevano affidarsi alle loro «buone<br />

opere», se usiamo il termine non nel suo significato teologico, ma nel suo<br />

elementare significato economico. Le corporazioni bloccavano <strong>la</strong> possibilità di una<br />

dura concorrenza tra i loro membri, e costringevano al<strong>la</strong> col<strong>la</strong>borazione in materia<br />

di acquisto delle materie prime, di tecniche di produzione e di prezzi dei prodotti.<br />

Reagendo ad una certa tendenza all'idealizzazione del sistema corporativo e in<br />

genere di tutta <strong>la</strong> vita medioevale, alcuni storici hanno fatto osservare che le<br />

corporazioni erano sempre pervase da uno spirito monopolistico, volto a proteggere<br />

i vecchi membri e a escludere i nuovi venuti. La maggior parte degli autori,<br />

tuttavia, riconosce che le corporazioni, anche se si vuole evitare di idealizzarle, si<br />

fondavano sul<strong>la</strong> mutua col<strong>la</strong>borazione o offrivano ai loro membri una re<strong>la</strong>tiva<br />

sicurezza.<br />

Arriviamo così a un punto essenziale per <strong>la</strong> comprensione del<strong>la</strong> posizione<br />

dell'individuo nel<strong>la</strong> società medioevale: il pensiero etico sulle attività economiche,<br />

espresso non solo nelle dottrine del<strong>la</strong> Chiesa cattolica, ma anche nelle leggi civili.<br />

… .<br />

… I postu<strong>la</strong>ti fondamentali del<strong>la</strong> vita economica erano due; «Che gli interessi<br />

economici sono subordinati al vero fine del<strong>la</strong> vita, che è <strong>la</strong> salvezza. E che <strong>la</strong><br />

condotta economica è un aspetto del<strong>la</strong> condotta personale condizionato, come gli<br />

altri aspetti, dalle norme morali ».<br />

Queste vedute, pur esprimendo delle norme e non un quadro esatto del<strong>la</strong> realtà<br />

del<strong>la</strong> vita economica, rispecchiavano in qualche misura il reale spirito del<strong>la</strong> società<br />

medioevale.<br />

La re<strong>la</strong>tiva stabilità del<strong>la</strong> posizione degli artigiani e dei mercanti, caratteristica del<strong>la</strong><br />

città medioevale, venne minata a poco a poco nel tardo Medioevo, finché venne<br />

meno del tutto nel sedicesimo secolo. Già nel quattordicesimo secolo - e anche<br />

prima - si era delineata una sempre maggiore differenziazione all'interno delle<br />

corporazioni, che continuò nonostante gli sforzi per arrestar<strong>la</strong>. Alcuni membri del<strong>la</strong><br />

corporazione possedevano più capitale degli altri e impiegavano cinque o sei<br />

<strong>la</strong>voranti invece di uno o due. Assai presto certe corporazioni accolsero solo<br />

persone fornite di una certa quantità di capitale. Altre corporazioni divennero<br />

potenti monopoli volti a trarre ogni possibile vantaggio dal<strong>la</strong> loro posizione<br />

monopolistica e a sfruttare al massimo il cliente. Viceversa molti membri di<br />

corporazione si impoverirono e dovettero cercare di guadagnare denaro fuori del<strong>la</strong><br />

38


loro occupazione tradizionale; spesso divennero anche piccoli commercianti. Molti<br />

di loro avevano perso <strong>la</strong> loro indipendenza e sicurezza economica, mentre ancora si<br />

aggrappavano disperatamente all'ideale tradizionale dell'indipendenza economica.<br />

Quello che si è detto a proposito del crescente sviluppo capitalistico delle<br />

corporazioni di mestiere è ancor più evidente nel commercio. Mentre il commercio<br />

medioevale era stato per lo più una picco<strong>la</strong> attività intercomunale, nel<br />

quattordicesimo e nel quindicesimo secolo crebbero rapidamente il commercio<br />

nazionale e quello internazionale.<br />

All'indignazione e al<strong>la</strong> rabbia del piccolo mercante contro i monopoli è stata data<br />

eloquente espressione da Lutero nel pamphlet "Sul commercio e l'usura" stampato<br />

nel 1524, «Essi control<strong>la</strong>no tutte le merci e praticano spudoratamente tutti i trucchi<br />

che abbiamo menzionato; alzano e abbassano i prezzi a loro talento, opprimendo e<br />

rovinando tutti i piccoli mercanti, come il luccio fa nell'acqua con il pesce piccolo,<br />

quasi fossero padroni delle creature di Dio e sciolti da tutte le leggi del<strong>la</strong> fede e<br />

dell'amore».<br />

Questo sviluppo, tuttavia, aveva su ciascuna c<strong>la</strong>sse effetti diversi. Per i poveri delle<br />

città, gli operai e gli apprendisti significava crescente sfruttamento e<br />

impoverimento; anche per i contadini comportava una maggiore pressione<br />

economica e personale; <strong>la</strong> bassa nobiltà si trovava davanti al<strong>la</strong> rovina, sebbene in<br />

modo diverso. Mentre per queste c<strong>la</strong>ssi il nuovo sviluppo era in sostanza un<br />

mutamento in peggio, <strong>la</strong> situazione era molto più complicata per <strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse media<br />

urbana. Abbiamo già par<strong>la</strong>to del<strong>la</strong> crescente differenziazione avvenuta nei suoi<br />

ranghi. Vasti settori di questa c<strong>la</strong>sse vennero a trovarsi in una posizione sempre<br />

peggiore. Molti artigiani e piccoli commercianti dovevano affrontare <strong>la</strong> superiore<br />

potenza dei monopolisti e di altri concorrenti forniti di maggiore capitale, e fu<br />

sempre più difficile per loro restare indipendenti. Spesso si trovavano a lottare con<br />

forze soverchianti, e per molti di loro era una lotta disperata.<br />

Altri settori del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse media erano più prosperi e partecipavano al<strong>la</strong> generale<br />

spinta verso l'alto del capitalismo in ascesa.<br />

Ma <strong>la</strong> crescente importanza del capitale, del mercato e del<strong>la</strong> concorrenza rendeva<br />

insicura, iso<strong>la</strong>ta e piena di ansietà anche <strong>la</strong> situazione personale di questi ultimi.<br />

<strong>Il</strong> fatto che il capitale assumesse un'importanza decisiva significava che una forza<br />

sovrapersonale determinava il loro destino economico e quindi il loro destino<br />

personale.<br />

La crescente importanza del<strong>la</strong> concorrenza era, in questo contesto, un altro fattore<br />

di rilievo. Certamente <strong>la</strong> concorrenza non era del tutto mancata nel<strong>la</strong> società<br />

medioevale, ma il sistema economico feudale si fondava sul principio del<strong>la</strong><br />

col<strong>la</strong>borazione ed era governato - o imprigionato - da norme che frenavano <strong>la</strong><br />

concorrenza. Con l'ascesa del capitalismo questi principi medioevali cedettero<br />

sempre più al principio dell'iniziativa individuale. Ogni individuo doveva tentare <strong>la</strong><br />

sorte: doveva nuotare o andare a fondo. Gli altri non erano alleati a lui in una<br />

comune iniziativa, e perciò diventavano concorrenti, e spesso gli si poneva <strong>la</strong> scelta<br />

di distruggerli o di venirne distrutto.<br />

Naturalmente l'importanza del capitale, del mercato e del<strong>la</strong> concorrenza individuale<br />

non era, nel sedicesimo secolo, grande come doveva diventare in seguito. Però tutti<br />

gli elementi decisivi del capitalismo moderno erano a quel tempo già comparsi, e<br />

così pure il loro effetto psicologico sull'individuo.<br />

Oltre a questo aspetto del quadro ce n'era un altro: il capitalismo liberava<br />

l'individuo. Liberava l'uomo dall'irreggimentazione del sistema corporativo; gli<br />

consentiva di reggersi con le proprie forze e di tentare <strong>la</strong> sorte. Egli diventò<br />

padrone del suo destino: suo era il rischio, e suo il guadagno. Lo sforzo individuale<br />

poteva portarlo al successo e all'indipendenza economica. <strong>Il</strong> denaro divenne il<br />

grande livel<strong>la</strong>tore degli uomini e si dimostrò più potente del<strong>la</strong> <strong>nascita</strong> e del<strong>la</strong> casta.<br />

Questo aspetto del capitalismo cominciava appena a delinearsi in quel primo<br />

periodo che abbiamo esaminato. Giocava una parte più importante nei confronti del<br />

piccolo gruppo di ricchi capitalisti che in quelli del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse media urbana. E<br />

39


tuttavia, sia pur nel<strong>la</strong> misura in cui incideva a quel punto, ebbe un effetto<br />

importante nel foggiare <strong>la</strong> personalità dell'individuo.<br />

Se cerchiamo ora di riassumere il nostro esame dell'effetto che ebbero<br />

sull'individuo le trasformazioni sociali ed economiche dei secoli quindicesimo e<br />

sedicesimo, arriviamo al quadro seguente.<br />

Troviamo <strong>la</strong> stessa libertà ambigua che abbiamo notato in precedenza. L'individuo<br />

è liberato dal<strong>la</strong> schiavitù dei vincoli economici e politici. Ha anche incrementato <strong>la</strong><br />

sua libertà positiva grazie al ruolo attivo ed indipendente che deve svolgere nel<br />

nuovo sistema. Ma al tempo stesso vengono meno quei vincoli che solevano dargli<br />

sicurezza e un sentimento di appartenenza. La vita non viene più vissuta in un<br />

mondo chiuso ruotante intorno all'uomo; il mondo è diventato illimitato e al tempo<br />

stesso minaccioso. Perdendo il suo posto fisso in un mondo chiuso, l'uomo perde<br />

anche <strong>la</strong> risposta sul significato del<strong>la</strong> sua vita; <strong>la</strong> conseguenza è che comincia a<br />

sorgergli il dubbio su se stesso e sullo scopo del<strong>la</strong> vita. E' minacciato da possenti<br />

forze sovrapersonali: il capitale e il mercato. <strong>Il</strong> rapporto con i suoi simili, ora che<br />

questi sono diventati tutti potenziali concorrenti, è diventato un rapporto di ostilità<br />

e di estraneità: egli è libero, ossia è solo, iso<strong>la</strong>to, minacciato da tutte le parti. Non<br />

avendo <strong>la</strong> ricchezza o il potere che aveva il capitalista del <strong>Rinascimento</strong>, e avendo<br />

per di più perduto il senso dell'unità con gli uomini e l'universo, è sopraffatto dal<br />

senso del<strong>la</strong> sua personale nullità e impotenza. <strong>Il</strong> paradiso è perduto per sempre,<br />

l'individuo è restato solo ad affrontare il mondo: un estraneo gettato in un mondo<br />

illimitato e minaccioso. La nuova libertà è destinata a creare un profondo<br />

sentimento di insicurezza, impotenza, dubbio, solitudine e ansietà. Questi<br />

sentimenti debbono essere alleviati se l'individuo deve operare con successo.<br />

2. <strong>Il</strong> periodo del<strong>la</strong> Riforma<br />

II luteranesimo e il calvinismo nacquero a questo punto del processo di sviluppo.<br />

Le nuove religioni non erano le religioni di una ricca c<strong>la</strong>sse superiore, ma quelle<br />

del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse media urbana, dei poveri delle città e dei contadini. Facevano appello a<br />

questi gruppi, in quanto davano espressione a un nuovo sentimento di impotenza e<br />

ansietà da cui i loro membri erano pervasi. Ma le nuove dottrine religiose non si<br />

limitarono a esprimere eloquentemente i sentimenti suscitati da un ordine<br />

economico in corso di trasformazione. Con i loro insegnamenti li acuirono e al<br />

tempo stesso offrirono soluzioni che consentivano all'individuo di far fronte a<br />

un'insicurezza altrimenti intollerabile.<br />

Prima di passare ad analizzare il significato sociale e psicologico delle nuove<br />

dottrine religiose, alcune considerazioni sul metodo da noi seguito possono<br />

contribuire al<strong>la</strong> comprensione di questa analisi.<br />

Studiando il significato psicologico di una dottrina religiosa o politica, dobbiamo<br />

anzitutto tenere presente che l'analisi psicologica non comporta un giudizio sul<strong>la</strong><br />

verità del<strong>la</strong> dottrina analizzata. Quest'ultima questione può esser risolta soltanto<br />

considerando <strong>la</strong> struttura logica del problema stesso. L'analisi delle motivazioni<br />

psicologiche, sottostanti a certe dottrine o idee, non può mai sostituire il giudizio<br />

razionale sul<strong>la</strong> validità del<strong>la</strong> dottrina e sui valori che essa implica, tuttavia una<br />

siffatta analisi può portare a una migliore comprensione del significato reale di una<br />

dottrina e quindi influenzare il giudizio di valore.<br />

Ciò che l'analisi psicologica delle dottrine può indicare sono le motivazioni<br />

soggettive che rendono una persona consapevole di certi problemi e le fanno<br />

cercare delle soluzioni in certe direzioni. Ogni genere di pensiero, vero o falso che<br />

sia, quando è qualcosa di più di una conformità superficiale ad idee convenzionali,<br />

è motivato dai bisogni e dagli interessi soggettivi dell'individuo che pensa. Può<br />

accadere che taluni interessi vengano soddisfatti dal<strong>la</strong> scoperta del<strong>la</strong> verità, e che<br />

altri lo siano dal<strong>la</strong> sua distruzione. Ma in entrambi i casi, le motivazioni<br />

psicologiche sono incentivi importanti al fine di arrivare a certe conclusioni-<br />

Possiamo dire anzi che le idee, che non sono radicate in forti esigenze del<strong>la</strong><br />

40


personalità, avranno scarsa influenza sulle azioni e su tutta <strong>la</strong> vita del<strong>la</strong> persona<br />

interessata.<br />

Se analizziamo le dottrine religiose e politiche con riferimento al loro significato<br />

psicologico, dobbiamo distinguere due problemi. Possiamo studiare <strong>la</strong> struttura del<br />

carattere dell'individuo che crea una nuova dottrina, e cercare di comprendere quali<br />

tratti del<strong>la</strong> sua personalità spieghino <strong>la</strong> partico<strong>la</strong>re direzione del suo pensiero. In<br />

concreto ciò significa, ad esempio, che dobbiamo analizzare <strong>la</strong> struttura del<br />

carattere di Lutero o Calvino per scoprire quali tendenze del<strong>la</strong> loro personalità li<br />

abbiano fatti arrivare a certe conclusioni, e li abbiano spinti a formu<strong>la</strong>re certe<br />

dottrine. L'altro problema è lo studio dei moventi psicologici, non del creatore di<br />

una dottrina, ma del gruppo sociale a cui <strong>la</strong> dottrina fa appello. L'influenza di una<br />

dottrina o di un'idea dipende dal<strong>la</strong> misura in cui fa appello alle esigenze psichiche<br />

presenti nel<strong>la</strong> struttura del carattere di coloro a cui si rivolge. Solo se l'idea<br />

risponde a potenti esigenze psicologiche di certi gruppi sociali, diventerà una<br />

potente forza storica.<br />

Questi due problemi, <strong>la</strong> psicologia del capo e quel<strong>la</strong> dei seguaci, sono naturalmente<br />

strettamente intrecciati. Se le stesse idee li attirano, <strong>la</strong> loro struttura di carattere<br />

deve essere simile sotto molti importanti riguardi. A parte certi fattori, come<br />

l'eccezionale disposizione del capo al pensiero e all'azione, <strong>la</strong> struttura del carattere<br />

di questo rispecchierà di solito in forma più estrema e netta <strong>la</strong> partico<strong>la</strong>re struttura<br />

del<strong>la</strong> personalità di coloro a cui le sue dottrine si rivolgono; egli può arrivare ad<br />

una formu<strong>la</strong>zione più chiara e più esplicita di certe idee alle quali i suoi seguaci<br />

sono già psicologicamente preparati.<br />

Nel<strong>la</strong> nostra analisi del significato psicologico delle dottrine del protestantesimo e<br />

del calvinismo non esaminiamo le personalità di Lutero e Calvino, ma <strong>la</strong> situazione<br />

psicologica delle c<strong>la</strong>ssi sociali a cui le loro idee si indirizzavano. Voglio solo<br />

ricordare rapidamente, prima di passare all'esame del<strong>la</strong> teologia di Lutero, che<br />

questi, come uomo, era un tipico rappresentante del «carattere autoritario» di cui<br />

diremo più avanti. Essendo stato allevato da un padre eccezionalmente severo, e<br />

avendo conosciuto da bambino ben poco amore e sicurezza, <strong>la</strong> sua personalità era<br />

<strong>la</strong>cerata da una costante ambivalenza verso l'autorità; <strong>la</strong> odiava e le si ribel<strong>la</strong>va, ma<br />

al tempo stesso l'ammirava e tendeva a sottomettervisi. Durante tutta <strong>la</strong> sua vita ci<br />

fu sempre un'autorità a cui si opponeva e un'altra che invece ammirava: nel<strong>la</strong><br />

gioventù il padre e i suoi superiori nel monastero, successivamente il Papa e i<br />

principi. Era pervaso da un sentimento violento del<strong>la</strong> solitudine, dell'impotenza e<br />

del<strong>la</strong> malvagità, e al tempo stesso dal<strong>la</strong> passione di dominare. Era torturato da<br />

dubbi come può esserlo soltanto un carattere autoritario, ed era costantemente al<strong>la</strong><br />

ricerca di qualcosa che potesse dargli sicurezza interiore e liberarlo da questa<br />

tortura dell'incertezza.<br />

Odiava gli altri, specialmente il «volgo», odiava se stesso, odiava <strong>la</strong> vita; e da tutto<br />

questo odio nasceva un desiderio violento e disperato d'esser amato. Tutto il suo<br />

essere era pervaso dal<strong>la</strong> paura, dal dubbio, dall'iso<strong>la</strong>mento interiore, e su questa<br />

base personale egli era destinato a diventare il pa<strong>la</strong>dino di gruppi sociali che<br />

psicologicamente si trovavano in una posizione molto simile al<strong>la</strong> sua.<br />

Un'altra considerazione sul metodo dell'analisi che seguirà cade opportuna. Ogni<br />

analisi psicologica dei pensieri di un individuo o di un'ideologia mira al<strong>la</strong><br />

comprensione delle radici psicologiche da cui scaturiscono questi pensieri o queste<br />

idee.<br />

La prima condizione per un'analisi di questo genere è di comprendere pienamente il<br />

contesto logico di un'idea, e quello che il suo autore consapevolmente vuole dire.<br />

Tuttavia, noi sappiamo che spesso un individuo, anche se è soggettivamente<br />

sincero, può esser spinto inconsciamente da un movente diverso da quello da cui si<br />

ritiene spinto; che può usare un concetto che implica logicamente un certo<br />

significato e che per lui, inconsciamente, significa qualcosa di diverso da questo<br />

significato «ufficiale». Inoltre, sappiamo che può tentare di armonizzare certe<br />

contraddizioni del suo sentimento per mezzo di una costruzione ideologica, o che<br />

41


può tentare di ce<strong>la</strong>re un'idea che vuol reprimere per mezzo di una razionalizzazione<br />

che esprime proprio il suo contrario. La comprensione del funzionamento degli<br />

elementi inconsci ci ha insegnato ad esser scettici verso le parole e a non prenderle<br />

al loro valore nominale.<br />

… Un esempio del<strong>la</strong> differenza tra il significato consapevolmente dato a un<br />

pensiero e il suo reale significato psicologico può esser tratto dall'analisi delle<br />

dottrine di Lutero di cui ci stiamo occupando in questo capitolo.<br />

Si dice che il suo rapporto con Dio sia un rapporto di sottomissione dovuta<br />

all'impotenza dell'uomo. Egli stesso dice che questa sottomissione è volontaria, e<br />

che deriva non dal<strong>la</strong> paura, ma dall'amore. E allora, si potrebbe obiettare sul piano<br />

logico, questa non è sottomissione. Invece, psicologicamente, dall'intera struttura<br />

del pensiero di Lutero deriva che questo genere di amore o di fede è realmente<br />

sottomissione; che benché egli consciamente pensi al carattere volontario e<br />

amorevole del<strong>la</strong> sua «sottomissione» a Dio, è pervaso da un sentimento di<br />

impotenza e peccaminosità che rende il suo rapporto con Dio un rapporto di<br />

sottomissione (proprio come <strong>la</strong> dipendenza masochistica di una persona da un'altra<br />

viene spesso concepita consciamente come «amore»).<br />

… Riteniamo che certe contraddizioni del suo sistema possano esser comprese solo<br />

per mezzo dell'analisi del significato psicologico dei suoi concetti.<br />

Se vogliamo comprendere quello che contenevano di nuovo le dottrine del<strong>la</strong><br />

Riforma dobbiamo anzitutto considerare quello che c'era di essenziale nel<strong>la</strong><br />

teologia del<strong>la</strong> Chiesa medioevale.<br />

Certi principi erano caratteristici del<strong>la</strong> teologia cattolica durante il lungo periodo<br />

precedente al<strong>la</strong> Riforma: <strong>la</strong> dottrina che <strong>la</strong> natura dell'uomo, quantunque corrotta<br />

dal peccato di Adamo, aspira spontaneamente al bene; che <strong>la</strong> volontà dell'uomo è<br />

libera di desiderare il bene; che l'impegno dell'individuo giova al<strong>la</strong> sua salvezza; e<br />

che il peccatore può essere salvato per mezzo dei sacramenti del<strong>la</strong> Chiesa, fondati<br />

sui meriti del<strong>la</strong> morte di Cristo.<br />

S. Tommaso, pur insegnando una dottrina di predestinazione, non ha mai cessato di<br />

insistere sul<strong>la</strong> libertà del volere come una delle sue dottrine fondamentali. Per<br />

superare il contrasto tra <strong>la</strong> dottrina del<strong>la</strong> libertà e quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> predestinazione, è<br />

costretto a usare le costruzioni più complicate; ma benché queste costruzioni non<br />

sembrino risolvere soddisfacentemente le contraddizioni, egli non rinnega <strong>la</strong><br />

dottrina del<strong>la</strong> libertà del volere e dello sforzo umano come utile al<strong>la</strong> salvezza<br />

dell'individuo, anche se <strong>la</strong> volontà può aver bisogno del sostegno del<strong>la</strong> grazia di<br />

Dio .<br />

Sul<strong>la</strong> libertà del volere S. Tommaso dice che sarebbe in contraddizione con<br />

l'essenza del<strong>la</strong> natura divina e di quel<strong>la</strong> umana ritenere che l'uomo non sia libero di<br />

decidere e che non abbia anzi persino <strong>la</strong> libertà di rifiutare <strong>la</strong> grazia offertagli da<br />

Dio.<br />

<strong>Il</strong> sistema di Lutero, nel<strong>la</strong> misura in cui differisce dal<strong>la</strong> tradizione cattolica,<br />

presenta due aspetti, uno dei quali è stato messo in evidenza più dell'altro nel<br />

quadro delle dottrine luterane che di solito viene presentato nei paesi protestanti.<br />

Questo aspetto è che egli ha dato all'uomo indipendenza in materia religiosa, che ha<br />

tolto al<strong>la</strong> Chiesa <strong>la</strong> sua autorità e l'ha data all'individuo; che il suo concetto di fede<br />

e salvezza implica l'esperienza individuale soggettiva, in cui tutta <strong>la</strong> responsabilità<br />

appartiene all'individuo e non interviene un'autorità in grado di dargli ciò che da<br />

solo non può ottenere. Ci sono buone ragioni per lodare questo aspetto delle<br />

dottrine di Lutero e Calvino, poiché è una delle fonti dello sviluppo del<strong>la</strong> libertà<br />

politica e spirituale del<strong>la</strong> società <strong>moderna</strong>; uno sviluppo che, soprattutto nei paesi<br />

anglosassoni, è strettamente legato alle idee del puritanesimo.<br />

L'altro aspetto del<strong>la</strong> libertà <strong>moderna</strong> è l'iso<strong>la</strong>mento e l'impotenza in cui ha gettato<br />

l'individuo, e questo aspetto ha le sue radici nel protestantesimo non meno di quello<br />

dell'indipendenza.<br />

Dato che questo libro tratta soprattutto del<strong>la</strong> libertà in quanto peso e pericolo,<br />

l'analisi che segue, deliberatamente uni<strong>la</strong>terale, mette in risalto quel<strong>la</strong> parte delle<br />

42


dottrine di Lutero e Calvino in cui è radicato questo aspetto negativo del<strong>la</strong> libertà:<br />

<strong>la</strong> parte in cui si insiste sul<strong>la</strong> fondamentale malvagità e impotenza dell'uomo.<br />

Lutero presupponeva una malvagità innata nel<strong>la</strong> natura dell'uomo, <strong>la</strong> quale dirige <strong>la</strong><br />

sua volontà verso il male e rende impossibile a qualunque uomo di compiere una<br />

buona azione sul<strong>la</strong> base del<strong>la</strong> propria natura. L'uomo ha una natura malvagia e<br />

viziata. La corruzione del<strong>la</strong> natura umana e <strong>la</strong> completa mancanza di libertà<br />

dell'uomo di scegliere il bene è uno dei concetti fondamentali del pensiero di<br />

Lutero.<br />

Un'espressione radicale dell'impotenza dell'uomo si ritrova nel pamphlet “De servo<br />

arbitrio”, scritto da Lutero sette anni dopo in polemica con <strong>la</strong> difesa del libero<br />

arbitrio fatta da Erasmo. «...Cosi <strong>la</strong> volontà umana è, per così dire, una bestia tra i<br />

due. Se <strong>la</strong> cavalca Iddio, vuole e va dove vuole Iddio; come dice il Salmo, "ero<br />

come una bestia davanti a tè, eppure sono continuamente con tè". Se <strong>la</strong> cavalca<br />

Satana, vuole e va dove vuole Satana. Né <strong>la</strong> sua volontà ha il potere di scegliere il<br />

cavaliere incontro al quale correrà, né quale dei due cercherà; ma i cavalieri stessi<br />

si contendono il suo possesso».<br />

Queste dottrine - che l'uomo è uno strumento impotente nelle mani di Dio e che è<br />

fondamentalmente malvagio, che il suo solo compito è di rassegnarsi al<strong>la</strong> volontà<br />

di Dio, che Dio può salvarlo per un incomprensibile atto di giustizia - non erano <strong>la</strong><br />

risposta definitiva che poteva dare un uomo come Lutero, tanto tormentato dal<strong>la</strong><br />

disperazione, dall'ansietà e dal dubbio e al tempo stesso da un desiderio così<br />

ardente di certezza. Al<strong>la</strong> fine egli trovò <strong>la</strong> risposta ai suoi dubbi. Nel 1518 ebbe<br />

un'improvvisa rive<strong>la</strong>zione. L'uomo non può essere salvato per opera delle sue virtù;<br />

egli non deve nemmeno meditare se le sue opere siano gradite o meno a Dio ma<br />

può avere certezza del<strong>la</strong> sua salvezza se ha fede. La fede è data all'uomo da Dio;<br />

l'uomo, una volta avuta l'indubitabile esperienza soggettiva del<strong>la</strong> fede, può anche<br />

esser certo del<strong>la</strong> sua salvezza. Nel suo rapporto con Dio l'individuo è<br />

essenzialmente ricettivo. L'uomo, ricevuta <strong>la</strong> grazia di Dio nell'esperienza del<strong>la</strong><br />

fede, muta <strong>la</strong> propria natura, poiché nell'atto di fede si unisce a Cristo, e <strong>la</strong> giustizia<br />

di Cristo sostituisce <strong>la</strong> sua, perduta dal<strong>la</strong> caduta di Adamo. Tuttavia, l'uomo durante<br />

<strong>la</strong> sua vita non può mai diventare del tutto virtuoso, perché <strong>la</strong> sua malvagità<br />

naturale non può mai completamente scomparire.<br />

La dottrina luterana del<strong>la</strong> fede, come indubitabile esperienza soggettiva del<strong>la</strong><br />

propria salvezza, può a prima vista apparire in totale contraddizione con il<br />

profondo sentimento di dubbio caratteristico del<strong>la</strong> personalità e degli insegnamenti<br />

di Lutero fino al 1518. Dal punto di vista psicologico, tuttavia, questo passaggio<br />

dal dubbio al<strong>la</strong> certezza, lungi dall'essere contraddittorio, è logico. Dobbiamo<br />

rammentare quel che si è detto del<strong>la</strong> natura di questo dubbio; non era il dubbio<br />

razionale che è radicato nel<strong>la</strong> libertà di pensiero, e che osa rimettere in discussione<br />

opinioni stabilite. Era il dubbio irrazionale che scaturisce dall'iso<strong>la</strong>mento e dal<br />

senso di impotenza di un individuo, il cui atteggiamento verso il mondo è di ansietà<br />

e odio. Questo dubbio irrazionale non può mai essere sanato da risposte razionali,<br />

può dileguarsi solo se l'individuo diventa parte integrante di un mondo che abbia un<br />

senso. Se ciò non accade, come non è accaduto nel caso di Lutero e del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse<br />

media che egli rappresentava, il dubbio può solo venir messo a tacere, esser reso<br />

c<strong>la</strong>ndestino, per così dire, e questo può esser compiuto da una formu<strong>la</strong> che<br />

prometta <strong>la</strong> certezza assoluta. La ricerca ossessiva del<strong>la</strong> certezza, come <strong>la</strong><br />

riscontriamo in Lutero, non è l'espressione del<strong>la</strong> fede genuina, ma è radicata nel<br />

bisogno di vincere l'insopportabile dubbio. La soluzione di Lutero è riscontrabile<br />

oggi in molti individui che non pensano in termini teologici: è quel<strong>la</strong> cioè di<br />

raggiungere <strong>la</strong> certezza eliminando l'iso<strong>la</strong>mento individuale, diventando uno<br />

strumento nelle mani di un potere soverchiante esterno all'individuo. Per Lutero<br />

questo potere era Dio ed egli cercava <strong>la</strong> certezza nel<strong>la</strong> sottomissione illimitata. Ma<br />

pur riuscendo in questo modo a far tacere in certa misura i suoi dubbi, questi ultimi<br />

in verità non scomparirono mai del tutto; fino all'ultimo giorno del<strong>la</strong> sua vita ebbe<br />

crisi di dubbio, che doveva vincere con rinnovati sforzi di sottomissione.<br />

43


Psicologicamente <strong>la</strong> fede ha due significati completamente diversi. Può essere<br />

l'espressione di un intimo rapporto con l'umanità e un'affermazione di vita; oppure<br />

può essere un sistema di reazione ad un fondamentale sentimento di dubbio,<br />

radicato nell'iso<strong>la</strong>mento dell'individuo e nel suo atteggiamento negativo verso <strong>la</strong><br />

vita. La fede di Lutero aveva questo carattere compensatorio.<br />

È partico<strong>la</strong>rmente importante comprendere il significato del dubbio e dei tentativi<br />

di metterlo a tacere, perché questo non è un problema esclusivo del<strong>la</strong> teologia di<br />

Lutero e, come vedremo presto, di quel<strong>la</strong> di Calvino, ma continua a essere uno dei<br />

problemi di fondo dell'uomo moderno. <strong>Il</strong> dubbio è il punto di partenza del<strong>la</strong><br />

filosofia <strong>moderna</strong>; il bisogno di farlo tacere ha stimo<strong>la</strong>to potentemente lo sviluppo<br />

del<strong>la</strong> filosofia e del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong> <strong>moderna</strong>. Ma mentre molti dubbi razionali sono stati<br />

risolti da risposte razionali, il dubbio irrazionale non è scomparso e non può<br />

scomparire finché l'uomo non sia progredito dal<strong>la</strong> libertà negativa al<strong>la</strong> libertà<br />

positiva. I tentativi moderni di vincerlo - convinzione che l'illimitata conoscenza<br />

dei fatti può rispondere al<strong>la</strong> ricerca del<strong>la</strong> certezza, ovvero ancora nel<strong>la</strong><br />

sottomissione a un capo che si assume <strong>la</strong> responsabilità del<strong>la</strong> «certezza» - possono<br />

semplicemente eliminare <strong>la</strong> consapevolezza del dubbio. <strong>Il</strong> dubbio stesso non<br />

scomparirà finché l'uomo non abbia superato il suo iso<strong>la</strong>mento, e finché il suo<br />

posto nel mondo non abbia assunto un significato dal punto di vista delle sue<br />

esigenze umane.<br />

Qual è il nesso tra le dottrine di Lutero e <strong>la</strong> situazione psicologica di tutti, fuorché i<br />

ricchi e i potenti, verso <strong>la</strong> fine del Medioevo? Come abbiamo visto, il vecchio<br />

ordine si stava sgreto<strong>la</strong>ndo. L'individuo aveva perduto <strong>la</strong> sicurezza del<strong>la</strong> certezza<br />

ed era minacciato da nuove forze economiche, dai capitalisti e dai monopoli; il<br />

principio corporativo veniva rimpiazzato dal<strong>la</strong> concorrenza; le c<strong>la</strong>ssi inferiori<br />

sentivano <strong>la</strong> pressione del crescente sfruttamento. L'attrattiva del luteranesimo per<br />

le c<strong>la</strong>ssi inferiori era diversa dall'attrattiva che esercitava sul<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse media. I<br />

poveri delle città, ed ancor più i contadini, versavano in una situazione disperata.<br />

Venivano spietatamente sfruttati e privati dei diritti e dei privilegi tradizionali. Si<br />

trovavano in uno stato d'animo rivoluzionario, che trovò espressione nelle rivolte<br />

contadine e in movimenti rivoluzionari urbani. <strong>Il</strong> Vangelo esprimeva le loro<br />

speranze e aspettative proprio come aveva fatto per gli schiavi e <strong>la</strong> plebe all'inizio<br />

del cristianesimo, e spingeva il povero a cercare libertà e giustizia. Nel<strong>la</strong> misura in<br />

cui attaccava l'autorità e metteva <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> del Vangelo al centro dei suoi<br />

insegnamenti, Lutero attirava queste masse irrequiete come altri movimenti<br />

religiosi a carattere evangelico avevano fatto prima di lui.<br />

Pur accettando <strong>la</strong> loro fedeltà e appoggiandoli, Lutero non poteva spingersi oltre un<br />

certo punto; e dovette rompere l'alleanza quando i contadini non si accontentarono<br />

più di attaccare l'autorità del<strong>la</strong> Chiesa e di avanzare piccole rivendicazioni per il<br />

miglioramento del<strong>la</strong> loro situazione. Essi finirono, infatti, per diventare una c<strong>la</strong>sse<br />

rivoluzionaria che minacciava di rovesciare ogni autorità e di distruggere le<br />

fondamenta di un ordine sociale al cui mantenimento <strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse media era interessata<br />

in modo vitale. Infatti, nonostante tutte le difficoltà che abbiamo descritto prima, <strong>la</strong><br />

c<strong>la</strong>sse media, incluso il suo strato più basso, aveva privilegi da difendere dalle<br />

rivendicazioni dei poveri; e perciò era fortemente ostile ai movimenti rivoluzionari<br />

che miravano a distruggere non solo i privilegi dell'aristocrazia, del<strong>la</strong> Chiesa e dei<br />

monopoli, ma anche i suoi privilegi.<br />

La collocazione del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse media, a mezza strada tra i ricchissimi e i poverissimi,<br />

ne rese <strong>la</strong> reazione complessa e sotto più d'un aspetto contraddittoria. I suoi membri<br />

volevano mantenere <strong>la</strong> legge e l'ordine, e tuttavia erano loro stessi minacciati negli<br />

interessi vitali dall'ascesa del capitalismo. Anche i membri più riusciti del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse<br />

media non erano ricchi e potenti quanto il piccolo gruppo dei grossi capitalisti.<br />

Dovevano lottare duramente per sopravvivere e fare progressi. <strong>Il</strong> lusso del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse<br />

dei ricchi aumentava il loro sentimento di piccolezza e li riempiva di invidia e<br />

indignazione. Nel complesso <strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse media era più danneggiata che avvantaggiata<br />

dal col<strong>la</strong>sso dell'ordine feudale e dall'ascesa del capitalismo.<br />

44


II quadro dell'uomo fatto da Lutero rispecchiava proprio questo dilemma. L'uomo è<br />

libero da tutti i vincoli che lo legano alle autorità spirituali, ma proprio questa<br />

libertà lo <strong>la</strong>scia solo e ansioso, lo sommerge in un sentimento di irrilevanza e<br />

impotenza personali. Questo individuo libero, iso<strong>la</strong>to, è schiacciato dall'esperienza<br />

del<strong>la</strong> sua irrilevanza individuale. La teologia di Lutero da voce a questo sentimento<br />

di impotenza e di dubbio.<br />

<strong>Il</strong> quadro dell'uomo che egli traccia in termini religiosi descrive <strong>la</strong> situazione<br />

dell'individuo come <strong>la</strong> veniva creando l'evoluzione sociale ed economica<br />

dell'epoca. <strong>Il</strong> membro del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse media era, di fronte alle nuove forze<br />

economiche, impotente quanto lo era l'uomo in genere, nel<strong>la</strong> descrizione di Lutero,<br />

nel suo rapporto con Dio.<br />

Ma Lutero non si limitò a rendere evidente il sentimento di irrilevanza che già<br />

pervadeva le c<strong>la</strong>ssi sociali cui egli predicava: egli offrì loro una soluzione. Non<br />

solo accettando <strong>la</strong> propria irrilevanza, ma umiliandosi fino all'estremo limite,<br />

rinunziando ad ogni residuo di volontà personale, rinunziando e denunziando <strong>la</strong><br />

propria forza individuale, l'individuo poteva sperare di riuscire accetto a Dio. <strong>Il</strong><br />

rapporto di Lutero con Dio era un rapporto di completa sottomissione. In termini<br />

psicologici il suo concetto di fede suona così: se ti sottometti completamente, se<br />

accetti <strong>la</strong> tua irrilevanza individuale, allora l'onnipotente Iddio sarà forse disposto<br />

ad amarti e a salvarti. Se ti liberi del<strong>la</strong> tua personalità individuale, con tutte le sue<br />

manchevolezze e i suoi dubbi, mediante un completo autoannul<strong>la</strong>mento, ti liberi dal<br />

sentimento del<strong>la</strong> tua nullità e puoi prender parte al<strong>la</strong> gloria di Dio. Così, liberando<br />

gli individui dall'autorità del<strong>la</strong> Chiesa. Lutero li spingeva a sottomettersi a<br />

un'autorità molto più tirannica, quel<strong>la</strong> di un Dio che pretendeva <strong>la</strong> completa<br />

sottomissione dell'uomo e l'annul<strong>la</strong>mento del<strong>la</strong> sua personalità individuale come<br />

condizioni essenziali per <strong>la</strong> sua salvezza. La «fede» di Lutero era <strong>la</strong> convinzione di<br />

essere amato a patto di arrendersi, una soluzione che ha molto in comune con il<br />

principio del<strong>la</strong> completa sottomissione dell'individuo allo Stato e al «Capo».<br />

La reverenza di Lutero per l'autorità, e il suo amore per essa, è evidente anche nelle<br />

sue convinzioni politiche. Pur combattendo contro l'autorità del<strong>la</strong> Chiesa, pur<br />

provando sdegno verso <strong>la</strong> nuova c<strong>la</strong>sse di ricchi - di cui facevano parte gli strati<br />

superiori del<strong>la</strong> gerarchia ecclesiastica - e pur sostenendo entro certi limiti le<br />

tendenze rivoluzionarie dei contadini, Lutero postu<strong>la</strong>va <strong>la</strong> sottomissione alle<br />

autorità mondane, i principi, nel modo più drastico. «Anche se coloro che hanno<br />

l'autorità sono malvagi o privi del<strong>la</strong> fede, nondimeno l'autorità e il suo potere sono<br />

buoni e vengono da Dio... Perciò dove c'è potere, e dove questo fiorisce, là risiede e<br />

là resta, perché così ha voluto Dio». O anche: «Dio preferirebbe sopportare anche il<br />

peggior governo piuttosto che consentire al<strong>la</strong> turba di tumultuare, per quante<br />

giustificazioni essa possa avere... Un principe deve rimanere principe per quanto<br />

tirannico possa essere. Necessariamente mozza <strong>la</strong> testa solo a pochi, dato che per<br />

essere un governante deve avere dei sudditi ».<br />

L'altro aspetto del suo attaccamento all'autorità, e del<strong>la</strong> sua reverenza per essa,<br />

diventa evidente nel suo odio e disprezzo per le masse impotenti, <strong>la</strong> «plebe»,<br />

specialmente quando questa andava oltre certi limiti nei suoi conati rivoluzionari.<br />

In una delle sue diatribe egli scrive le parole famose: «E quindi tutti quelli che<br />

possono colpiscano, ammazzino, e pugnalino, segretamente o palesemente,<br />

ricordando che non ci può esser nul<strong>la</strong> di più velenoso, dannoso o diabolico di un<br />

ribelle. È proprio come quando si deve uccidere un cane rabbioso; se non lo<br />

colpisci, ti colpirà lui, e un intero paese con te».<br />

Tanto <strong>la</strong> personalità di Lutero quanto i suoi insegnamenti rive<strong>la</strong>no un'ambivalenza<br />

verso l'autorità. Da una parte ha paura dell'autorità - l'autorità mondana e quel<strong>la</strong> di<br />

un Dio tirannico - e dall'altra si ribel<strong>la</strong> all'autorità; quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> Chiesa. Egli rive<strong>la</strong> <strong>la</strong><br />

stessa ambivalenza nel suo atteggiamento verso le masse. Finché si ribel<strong>la</strong>no entro i<br />

limiti posti da lui, egli è con loro. Ma quando attaccano le autorità che egli approva,<br />

si manifesta un odio e un disprezzo profondi per le masse. Nel capitolo che tratta<br />

del meccanismo psicologico dell'evasione, dimostreremo che questo simultaneo<br />

45


amore per l'autorità e odio contro quelli che sono impotenti sono tratti tipici del<br />

«carattere autoritario ».<br />

A questo punto è importante comprendere che l'atteggiamento di Lutero verso<br />

l'autorità <strong>la</strong>ica era strettamente legato ai suoi insegnamenti religiosi. Nel dare<br />

all'individuo il sentimento del<strong>la</strong> propria indegnità e irrilevanza per quanto riguarda<br />

i suoi meriti personali, nel dargli <strong>la</strong> sensazione di essere uno strumento impotente<br />

nelle mani di Dio, egli privava l'uomo del<strong>la</strong> fiducia in se stesso e del sentimento<br />

del<strong>la</strong> dignità umana che è <strong>la</strong> premessa di ogni ferma resistenza all'oppressione delle<br />

autorità <strong>la</strong>iche. Nel corso dell'evoluzione storica, il risultato degli insegnamenti di<br />

Lutero ha avuto una portata ancor maggiore. Una volta perduto il suo senso di<br />

orgoglio e dignità, l'individuo era psicologicamente preparato a perdere il<br />

sentimento che era stato caratteristico del pensiero medioevale, quello cioè che<br />

l'uomo, <strong>la</strong> sua salvezza spirituale e i suoi fini spirituali erano lo scopo del<strong>la</strong> vita; era<br />

pronto ad accettare un ruolo in cui <strong>la</strong> vita diventava un mezzo rispetto a fini a lui<br />

estranei, quelli del<strong>la</strong> produttività economica e dell'accumu<strong>la</strong>zione di capitale. Le<br />

opinioni di Lutero sui problemi economici erano tipicamente medioevali. Ancor<br />

più di quelle di Calvino. Egli avrebbe aborrito dall'idea che <strong>la</strong> vita dell'uomo<br />

dovesse diventare un mezzo per fini economici. Ma mentre il suo pensiero in<br />

materia economica era quello tradizionale, <strong>la</strong> sua insistenza sul<strong>la</strong> nullità<br />

dell'individuo lo contraddiceva, e apriva <strong>la</strong> strada ad uno sviluppo in cui l'uomo<br />

non solo doveva obbedire a delle autorità <strong>la</strong>iche, ma doveva subordinare <strong>la</strong> sua vita<br />

ai fini del progresso economico. Ai nostri giorni questa tendenza ha raggiunto il<br />

culmine nel concetto fascista secondo il quale scopo del<strong>la</strong> vita è sacrificarsi a poteri<br />

«superiori», al capo o al<strong>la</strong> comunità razziale 26 . La teologia di Calvino, che doveva<br />

diventare per i paesi anglosassoni importante quanto lo è stata quel<strong>la</strong> di Lutero per<br />

<strong>la</strong> Germania, manifesta sostanzialmente lo stesso spirito di quel<strong>la</strong> di Lutero, sia dal<br />

punto di vista teologico che da quello psicologico. Sebbene anch'egli si opponga<br />

all'autorità del<strong>la</strong> Chiesa e al<strong>la</strong> cieca accettazione delle sue dottrine, <strong>la</strong> religione si<br />

fonda per lui sull'impotenza dell'uomo; l'autoumiliazione e <strong>la</strong> distruzione<br />

dell'orgoglio umano costituiscono il leitmotiv del suo pensiero. Solo chi disprezza<br />

questo mondo può dedicarsi al<strong>la</strong> preparazione del mondo futuro.<br />

Egli insegna che dobbiamo umiliarci e che proprio questa autoumiliazione è il<br />

mezzo per poter contare sul<strong>la</strong> forza di Dio. «Infatti nul<strong>la</strong> ci spinge a riporre tutta <strong>la</strong><br />

fiducia e <strong>la</strong> tranquillità dell'animo nel Signore quanto <strong>la</strong> diffidenza verso noi stessi<br />

e l'ansietà derivante dal<strong>la</strong> co<strong>scienza</strong> del<strong>la</strong> nostra miseria».<br />

Anche Calvino nega che le opere buone possono condurre al<strong>la</strong> salvezza. Anzi nega<br />

addirittura che esistano «Non è mai esistita alcuna opera di un uomo pio che,<br />

esaminata davanti al rigoroso giudizio di Dio, non si dimostrasse condannabile».<br />

Se cerchiamo di comprendere il significato psicologico del sistema di Calvino,<br />

resta vero in linea di principio quello che si è detto degli insegnamenti di Lutero.<br />

Anche Calvino predicava al<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse media conservatrice, a persone che si<br />

sentivano enormemente sole e impaurite, i cui sentimenti trovavano espressione<br />

nel<strong>la</strong> sua dottrina dell'irrilevanza e dell'impotenza dell'individuo e del<strong>la</strong> futilità dei<br />

suoi sforzi. Tuttavia, possiamo riscontrare qualche lieve differenza; mentre <strong>la</strong><br />

Germania al tempo di Lutero si trovava in una situazione generale di sollevazione,<br />

in cui non solo <strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse media, ma anche i contadini e <strong>la</strong> plebe urbana erano<br />

minacciati dall'ascesa del capitalismo, Ginevra era una comunità re<strong>la</strong>tivamente<br />

prospera. Nel<strong>la</strong> prima metà del quindicesimo secolo era stata uno dei mercati<br />

importanti dell'Europa, e benché al tempo di Calvino fosse già stata messa in<br />

ombra da Lione sotto questo aspetto, aveva nondimeno conservato una notevole<br />

solidità economica.<br />

26 “Fuga dal<strong>la</strong> libertà”, da cui è tratto il testo, fu pubblicato da E. Fromm (1900-1980) negli Stati Uniti<br />

d’America, nel 1941 dopo che i principali esponenti del<strong>la</strong> Scuo<strong>la</strong> di Francoforte, di cui faceva parte, erano<br />

dovuti fuggire dal<strong>la</strong> Germania a causa del<strong>la</strong> salita al potere di Hitler, al<strong>la</strong> cui ideologia si riferisce<br />

l’affermazione.<br />

46


Nel complesso ci sembra di poter dire che i seguaci di Calvino venivano reclutati<br />

soprattutto nel<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse media conservatrice e che in Francia, O<strong>la</strong>nda e Inghilterra i<br />

suoi principali seguaci non erano tra i gruppi capitalistici avanzati, ma tra gli<br />

artigiani e i piccoli imprenditori, alcuni dei quali erano già più prosperi di altri, ma<br />

che, come gruppo, erano minacciati dall'ascesa del capitalismo.<br />

Verso questa c<strong>la</strong>sse sociale il calvinismo esercitava <strong>la</strong> stessa attrattiva psicologica<br />

che abbiamo già visto a proposito del luteranesimo. Esso esprimeva il sentimento<br />

del<strong>la</strong> libertà, ma anche quello dell'irrilevanza e dell'impotenza dell'individuo.<br />

Offriva una soluzione insegnando all'individuo che avrebbe potuto sperare di<br />

trovare una nuova sicurezza mediante <strong>la</strong> completa sottomissione e autoumiliazione.<br />

Ci sono varie sottili differenze tra gli insegnamenti di Calvino e quelli di Lutero,<br />

ma esse non sono importanti ai fini del tema principale di questo libro. Vale <strong>la</strong> pena<br />

di mettere in risalto solo due motivi di diversità. II primo è <strong>la</strong> dottrina del<strong>la</strong><br />

predestinazione di Calvino. Questa dottrina - diversamente che in S. Agostino, S.<br />

Tommaso e Lutero - diventa una pietra ango<strong>la</strong>re del sistema di Calvino, forse <strong>la</strong> sua<br />

dottrina centrale.<br />

Egli le da un'interpretazione nuova, sostenendo che Dio non solo predestina alcuni<br />

al<strong>la</strong> grazia, ma decide che altri siano destinati al<strong>la</strong> dannazione eterna.<br />

La salvezza o <strong>la</strong> dannazione non sono risultati del bene o del male che l'uomo fa<br />

nel<strong>la</strong> sua vita, ma sono predeterminati da Dio prima che l'uomo nasca. II motivo<br />

per cui Dio abbia prescelto uno e condannato l'altro è un segreto in cui l'uomo non<br />

deve cercare di addentrarsi. Egli ha scelto così perché gli piaceva dimostrare in<br />

questo modo il suo potere illimitato. <strong>Il</strong> Dio di Calvino, nonostante tutti i tentativi di<br />

conservare l'idea del<strong>la</strong> giustizia e dell'amore divini, ha tutte le caratteristiche di un<br />

tiranno senza alcun tratto di amore o anche di giustizia.<br />

La teoria del<strong>la</strong> predestinazione di Calvino ha un'implicazione che deve essere qui<br />

esplicitamente indicata, poiché ha avuto <strong>la</strong> più vigorosa reviviscenza nell'ideologia<br />

nazista: il principio del<strong>la</strong> fondamentale ineguaglianza degli uomini. Per Calvino ci<br />

sono due specie di persone: quelle che vengono salvate e quelle che sono destinate<br />

al<strong>la</strong> dannazione eterna. Dato che questo destino viene determinato prima del<strong>la</strong> loro<br />

<strong>nascita</strong>, e senza che essi possano mutarlo facendo o non facendo certe cose nel<strong>la</strong><br />

loro vita, l'eguaglianza degli uomini viene negata in linea di principio. Gli uomini<br />

sono creati ineguali. Questo principio implica anche che non v'è alcuna solidarietà<br />

tra gli uomini, poiché proprio il fattore che costituisce <strong>la</strong> base più forte dell'umana<br />

solidarietà viene negato: l'eguaglianza del destino umano. I calvinisti con assoluto<br />

candore ritenevano di essere i prescelti, e che tutti gli altri fossero quelli che Dio<br />

aveva condannato al<strong>la</strong> dannazione. Ovviamente questa convinzione rispecchiava<br />

psicologicamente un disprezzo e un odio profondi per gli altri esseri umani: proprio<br />

lo stesso odio che avevano attribuito a Dio.<br />

Un'altra e molto significativa differenza rispetto agli insegnamenti di Lutero sta<br />

nel<strong>la</strong> maggiore importanza attribuita allo sforzo morale e al<strong>la</strong> vita virtuosa. Non<br />

che l'individuo possa mutare il proprio destino con le sue opere, ma il fatto stesso<br />

che egli riesca a compiere lo sforzo è un segno del<strong>la</strong> sua appartenenza al novero dei<br />

salvati. Le virtù che l'uomo deve acquistare sono; <strong>la</strong> modestia e <strong>la</strong> moderazione<br />

(sobrietas), <strong>la</strong> giustizia (iustitia) nel senso che a ciascuno sia data <strong>la</strong> parte che gli è<br />

dovuta, e <strong>la</strong> devozione che unisce l'uomo a Dio. Nell'ulteriore sviluppo del<br />

calvinismo l'insistenza sul<strong>la</strong> vita virtuosa e sul<strong>la</strong> rilevanza di uno sforzo incessante<br />

aumenta di importanza, e in modo partico<strong>la</strong>re l'idea che il successo nel<strong>la</strong> vita<br />

mondana, come risultato di questi sforzi, è un segno di salvezza.<br />

Ma <strong>la</strong> partico<strong>la</strong>re insistenza del calvinismo sul<strong>la</strong> vita virtuosa aveva anche uno<br />

speciale significato psicologico. II calvinismo dava rilievo al<strong>la</strong> necessità di un<br />

incessante sforzo umano. L'uomo deve costantemente cercare di vivere secondo <strong>la</strong><br />

paro<strong>la</strong> di Dio, e non rinunciare mai a questo sforzo. Questa dottrina appare in<br />

contraddizione con quel<strong>la</strong> secondo cui lo sforzo umano non reca vantaggio ai fini<br />

del<strong>la</strong> salvezza. L'atteggiamento fatalistico del<strong>la</strong> rinuncia a qualsiasi sforzo potrebbe<br />

sembrare una risposta molto più appropriata. Alcune considerazioni psicologiche,<br />

47


tuttavia, possono dimostrare che non è così. Lo stato di ansietà, il sentimento di<br />

impotenza e irrilevanza, e soprattutto il dubbio sul proprio destino dopo <strong>la</strong> morte,<br />

creano uno stato d'animo praticamente intollerabile per chiunque. Pressoché<br />

nessuno, che sia colpito da questa paura, è in grado di ri<strong>la</strong>sciarsi, di godere <strong>la</strong> vita e<br />

di essere indifferente a quello che accadrà dopo. Un modo possibile di sfuggire a<br />

questo intollerabile stato di incertezza, e al sentimento paralizzante del<strong>la</strong> propria<br />

irrilevanza, è proprio il tratto che è diventato così importante nel calvinismo: lo<br />

sviluppo di un'attività frenetica e l'affanno di fare qualcosa. In questo senso<br />

l'attività assume un carattere ossessivo; l'individuo deve essere attivo per vincere il<br />

suo sentimento di dubbio e impotenza. Questo genere di sforzo e di attività non è il<br />

risultato del<strong>la</strong> forza ulteriore e del<strong>la</strong> fiducia in sé: è una fuga disperata dall'ansietà.<br />

Questo meccanismo può essere facilmente osservato negli attacchi di panico da<br />

ansietà che subiscono gli individui. Colui che attende di ricevere entro qualche ora<br />

<strong>la</strong> diagnosi del medico sul<strong>la</strong> sua ma<strong>la</strong>ttia - che può essere fatale - si trova assai<br />

naturalmente in uno stato di ansietà. Normalmente egli non resterà seduto<br />

tranquillo ad aspettare. <strong>Il</strong> più delle volte <strong>la</strong> sua ansietà, semprechè addirittura non lo<br />

paralizzi, lo spingerà ad un tipo di attività più o meno frenetica. Può misurare in<br />

lungo e in <strong>la</strong>rgo il pavimento, cominciare a far domande e a par<strong>la</strong>re con chiunque<br />

gli capiti a portata di mano, mettere in ordine <strong>la</strong> sua scrivania, scrivere lettere; può<br />

continuare <strong>la</strong> sua normale attività, ma aumentando<strong>la</strong> e svolgendo<strong>la</strong> più<br />

febbrilmente. <strong>Il</strong> suo sforzo, qualsiasi forma assuma, è determinato dall'ansietà, e<br />

tende a superare il sentimento di impotenza per mezzo di un'attività frenetica.<br />

Nel<strong>la</strong> dottrina calvinista lo sforzo ha ancora un altro significato psicologico. II fatto<br />

che non ci si stancasse di impegnarsi in questo sforzo incessante, e che si riuscisse<br />

nell'attività morale come in quel<strong>la</strong> mondana, era il segno più o meno chiaro<br />

dell'appartenenza al<strong>la</strong> cerchia degli eletti. L'irrazionalità di questo sforzo obbligato<br />

sta nel fatto che l'attività non è intesa a creare un fine desiderato, ma serve a<br />

indicare se accadrà o meno qualcosa che è stato determinato in anticipo,<br />

indipendentemente dall'attività o dal controllo dell'individuo. Questo meccanismo è<br />

ben noto nel caso dei soggetti colpiti da nevrosi coatta. Queste persone, quando<br />

temono il risultato di una vicenda importante, possono, nell'attendere <strong>la</strong> risposta,<br />

mettersi a contare le finestre delle case o gli alberi delle strade. Se il numero è pari,<br />

<strong>la</strong> persona sente che le cose andranno bene; se è dispari, è segno che non riuscirà.<br />

Spesso questo dubbio non si riferisce a un momento specifico, ma al<strong>la</strong> vita intera di<br />

una persona e l'ossessione di cercare «segni» <strong>la</strong> pervaderà in conseguenza. Spesso<br />

il nesso esistente tra il contar pietre, il far solitari, il giocar d'azzardo, ecc., e<br />

l'ansietà e il dubbio, non è cosciente. Una persona può fare i solitari perché è spinta<br />

da un vago sentimento di inquietudine, e solo un'analisi potrebbe sve<strong>la</strong>re <strong>la</strong><br />

funzione occulta del<strong>la</strong> sua attività: rive<strong>la</strong>re il futuro.<br />

Nel calvinismo questo significato dello sforzo faceva parte del<strong>la</strong> dottrina religiosa.<br />

In origine si riferiva soprattutto allo sforzo morale, ma in seguito è stato dato<br />

sempre maggior risalto allo sforzo nel <strong>la</strong>voro e ai risultati di questo sforzo, cioè il<br />

successo o il fallimento nell'attività economica. <strong>Il</strong> successo divento il segno del<strong>la</strong><br />

grazia di Dio; il fallimento il segno del<strong>la</strong> dannazione.<br />

Queste considerazioni dimostrano che l'impulso allo sforzo incessante e al <strong>la</strong>voro<br />

non era affatto in contraddizione con <strong>la</strong> fondamentale convinzione dell'impotenza<br />

dell'uomo; ne era piuttosto il risultato psicologico. In questo senso lo sforzo e il<br />

<strong>la</strong>voro assumevano un carattere totalmente irrazionale. Non dovevano mutare il<br />

destino, essendo questo predeterminato da Dio, a prescindere da qualsiasi sforzo<br />

compiuto dall'individuo. Servivano solo come mezzo per prevedere il destino<br />

predeterminato, mentre al tempo stesso lo sforzo frenetico era una rassicurazione<br />

contro un sentimento di impotenza altrimenti intollerabile.<br />

Questo nuovo atteggiamento verso lo sforzo e il <strong>la</strong>voro come fini in sé può essere<br />

considerato il mutamento psicologico più importante avvenuto nell'uomo dal<strong>la</strong> fine<br />

del Medioevo.<br />

48


In ogni società l'uomo per vivere deve <strong>la</strong>vorare. Molte società risolvevano il<br />

problema facendo eseguire il <strong>la</strong>voro dagli schiavi, consentendo così all'uomo libero<br />

di dedicarsi a occupazioni «nobili». In queste società il <strong>la</strong>voro non era degno<br />

dell'uomo libero. Anche nel<strong>la</strong> società medioevale l'onere del <strong>la</strong>voro era<br />

inegualmente distribuito tra le diverse c<strong>la</strong>ssi del<strong>la</strong> gerarchia sociale, e i casi di<br />

brutale sfruttamento erano numerosi. Ma l'atteggiamento verso il <strong>la</strong>voro era diverso<br />

da quello che si è sviluppato poi nell'era <strong>moderna</strong>. <strong>Il</strong> <strong>la</strong>voro non aveva il carattere<br />

astratto del produrre una merce che possa essere vantaggiosamente venduta sul<br />

mercato. Si <strong>la</strong>vorava per soddisfare una domanda concreta e per un fine concreto:<br />

guadagnarsi da vivere. Non c'era alcuna spinta, come ha dimostrato Max Weber 27 ,<br />

a <strong>la</strong>vorare più di quanto fosse necessario per mantenere il tradizionale tenore di<br />

vita. Pare che da alcuni settori del<strong>la</strong> società medioevale il <strong>la</strong>voro fosse goduto come<br />

realizzazione dell'abilità produttiva; e che molti altri <strong>la</strong>vorassero perché dovevano e<br />

sentivano che questa necessità era condizionata da pressioni esterne. La novità<br />

del<strong>la</strong> società <strong>moderna</strong> è che gli uomini sono stati spinti a <strong>la</strong>vorare non tanto da<br />

pressioni esterne, quanto da una costrizione interna che li obbligava a <strong>la</strong>vorare<br />

come in altre società soltanto un padrone molto rigido avrebbe potuto costringere <strong>la</strong><br />

gente a <strong>la</strong>vorare.<br />

Nel convogliare tutte le energie verso il <strong>la</strong>voro, <strong>la</strong> costrizione interna è stata più<br />

efficace di quanto possa mai essere una costrizione esterna. Contro <strong>la</strong> costrizione<br />

esterna c'è sempre un certo atteggiamento di ribellione, che riduce l'efficacia del<br />

<strong>la</strong>voro, oppure rende le persone incapaci di svolgere un compito differenziato che<br />

richieda intelligenza, spirito di iniziativa e senso di responsabilità. La costrizione al<br />

<strong>la</strong>voro, che faceva dell'uomo l'aguzzino di se stesso, non intaccava queste qualità.<br />

Indubbiamente il capitalismo non avrebbe potuto svilupparsi se <strong>la</strong> maggior parte<br />

delle energie umane non fosse stata incana<strong>la</strong>ta in direzione del <strong>la</strong>voro. Nel<strong>la</strong> storia<br />

non si conosce un altro periodo in cui gli uomini liberi abbiano dato in modo così<br />

completo <strong>la</strong> loro energia ad un unico scopo: il <strong>la</strong>voro. La spinta al <strong>la</strong>vorare senza<br />

sosta è stata una delle forze produttive fondamentali, non meno importante, per lo<br />

sviluppo del nostro sistema industriale, del vapore e dell'elettricità.<br />

Finora abbiamo par<strong>la</strong>to soprattutto dell'ansietà e del sentimento di impotenza che<br />

pervadevano <strong>la</strong> personalità del membro del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse media. Dobbiamo ora<br />

esaminare un altro tratto che abbiamo appena sfiorato: <strong>la</strong> sua ostilità e il suo<br />

risentimento. Non è sorprendente che <strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse media manifestasse un'intensa<br />

ostilità. Chiunque sia bloccato nell'espressione emotiva e sensuale, e sia inoltre<br />

minacciato nel<strong>la</strong> sua stessa esistenza, reagirà di solito con ostilità; come abbiamo<br />

visto, <strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse media nel suo complesso, e soprattutto quei suoi membri che ancora<br />

non godevano dei vantaggi del capitalismo in ascesa, erano bloccati e gravemente<br />

minacciati. C'era un altro fattore che aumentava <strong>la</strong> loro ostilità: il lusso e <strong>la</strong> potenza<br />

che il piccolo gruppo dei capitalisti, compresi gli alti dignitari del<strong>la</strong> Chiesa, poteva<br />

permettersi di ostentare. <strong>Il</strong> naturale risultato fu una profonda invidia nei loro<br />

confronti. Ma pur aumentando questa ostilità e questa invidia, i membri del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse<br />

media non trovavano un modo diretto di esprimersi quale era possibile alle c<strong>la</strong>ssi<br />

inferiori. Queste ultime odiavano i ricchi che le sfruttavano, volevano rovesciare il<br />

potere, e potevano perciò permettersi di provare ed esprimere odio. Anche <strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse<br />

superiore poteva permettersi di esprimere aggressività direttamente nel<strong>la</strong> volontà di<br />

potenza. I membri del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse media erano sostanzialmente conservatori; volevano<br />

stabilizzare <strong>la</strong> società e non scardinar<strong>la</strong>; ognuno di loro sperava di diventare più<br />

agiato e di partecipare allo sviluppo generale. Perciò l'ostilità non doveva essere<br />

espressa apertamente, ed anzi non poteva esser nemmeno provata<br />

consapevolmente; doveva venir repressa. Tuttavia <strong>la</strong> repressione si limita a<br />

rimuovere l'ostilità dal<strong>la</strong> co<strong>scienza</strong>, ma non l'abolisce. Inoltre l'ostilità contenuta,<br />

27 M. Weber (1864-1920), sociologo tedesco. L’'interesse di Weber si è rivolto al<strong>la</strong> metodologia delle<br />

scienze sociali e dell'economia. L’'opera cui deve gran parte del<strong>la</strong> sua notorietà è “L'etica protestante<br />

e lo spirito del capitalismo”(1904), testo in cui sviluppa le tesi richiamate da Fromm.<br />

49


non trovando un'espressione diretta, aumenta fino al punto di pervadere l'intera<br />

personalità, i rapporti con se stessi e con gli altri, ma in forme razionalizzate e<br />

camuffate.<br />

Lutero e Calvino rappresentano questa ostilità onnipervadente; non solo nel senso<br />

che personalmente appartenevano al novero degli odiatori più violenti di tutta <strong>la</strong><br />

storia, ma anche, cosa ancora più importante, nel senso che le loro dottrine erano<br />

intrise di questa ostilità e potevano attrarre solo un gruppo sociale spinto a sua<br />

volta da un'intensa, repressa ostilità. L'espressione più palese di questa ostilità si<br />

riscontra nel loro concetto di Dio, specie nel<strong>la</strong> dottrina di Calvino. Pur essendo a<br />

tutti noi ben noto questo concetto, spesso non intendiamo appieno che cosa<br />

significhi concepire Dio - come fa Calvino - come un essere arbitrario e spietato,<br />

che destina una parte dell'umanità al<strong>la</strong> dannazione eterna, senza alcuna<br />

giustificazione o ragione fuorché quel<strong>la</strong> che l'atto è espressione del<strong>la</strong> potenza<br />

divina. Lo stesso Calvino, naturalmente, si preoccupava delle ovvie obiezioni che<br />

potevano esser mosse a questa concezione di Dio; ma le costruzioni più o meno<br />

sottili da lui escogitate per sostenere l'immagine di un Dio giusto e amorevole non<br />

suonano affatto convincenti. Questo quadro di un Dio dispotico, che vuole un<br />

potere illimitato sugli uomini e <strong>la</strong> loro sottomissione e umiliazione, era <strong>la</strong><br />

proiezione dell'ostilità e dell'invidia del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse media.<br />

L'ostilità e il risentimento trovavano espressione anche nel<strong>la</strong> natura dei rapporti con<br />

gli altri. La forma principale che assumevano era l'indignazione morale, che ha<br />

invariabilmente caratterizzato <strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse media inferiore dal tempo di Lutero fino al<br />

tempo di Hitler. Questa c<strong>la</strong>sse, pur essendo in realtà invidiosa di coloro che<br />

avevano ricchezza e potenza, e che potevano perciò godersi <strong>la</strong> vita, razionalizzava<br />

questo risentimento e questa invidia attraverso l'indignazione morale e <strong>la</strong><br />

convinzione che queste persone superiori sarebbero state punite con le pene eterne.<br />

Ma <strong>la</strong> tensione ostile verso gli altri si esprimeva anche in altri modi. <strong>Il</strong> regime di<br />

Calvino a Ginevra era caratterizzato dal sospetto e dall'ostilità di tutti nei confronti<br />

di tutti, e certamente in esso si poteva ritrovare ben poco spirito di amore e di<br />

fratel<strong>la</strong>nza. Calvino era sospettoso del<strong>la</strong> ricchezza, e al tempo stesso provava scarsa<br />

pietà per <strong>la</strong> povertà. Nel successivo sviluppo del calvinismo si levarono spesso<br />

ammonimenti contro <strong>la</strong> benevolenza verso lo straniero, e si manifestarono<br />

atteggiamenti di crudeltà verso il povero e una generale atmosfera di sospetto.<br />

A prescindere dal<strong>la</strong> proiezione dell'ostilità e del<strong>la</strong> gelosia su Dio, e dal<strong>la</strong> loro<br />

indiretta espressione nel<strong>la</strong> forma dell'indignazione morale, un altro modo di<br />

esprimere l'ostilità era quello di rivolger<strong>la</strong> contro se stessi. Abbiamo visto con<br />

quanto ardore sia Lutero che Calvino insistessero sul<strong>la</strong> malvagità dell'uomo, e<br />

insegnassero che l'autoumiliazione e l'autodegradazione erano <strong>la</strong> base di ogni virtù.<br />

Quello che avevano consapevolmente in mente certamente non era altro che<br />

un'umiltà portata ad un grado estremo. Ma chiunque abbia dimestichezza con i<br />

meccanismi psicologici dell'autoaccusa e dell'autoumiliazione non può aver dubbi<br />

sul fatto che questo genere di «umiltà» ha le sue radici in un odio violento, a cui<br />

per una qualche ragione viene impedito di rivolgersi verso il mondo esterno, sicché<br />

finisce per operare contro se stessi. Per comprendere pienamente questo fenomeno,<br />

è necessario rendersi conto che gli atteggiamenti verso gli altri e verso se stessi,<br />

lungi dall'essere in contrasto tra loro, procedono in linea di principio<br />

paralle<strong>la</strong>mente. Ma mentre l'ostilità verso gli altri è spesso cosciente, e può essere<br />

espressa palesemente, di solito l'ostilità verso se stessi (fuorché in casi patologici) è<br />

inconscia, e si esprime in forme indirette razionalizzate. Una è l'attiva insistenza<br />

del<strong>la</strong> persona sul<strong>la</strong> propria malvagità e irrilevanza, di cui abbiamo appena par<strong>la</strong>to;<br />

un'altra si presenta sotto forma di co<strong>scienza</strong> o dovere. Proprio come esiste un'umiltà<br />

che non ha nul<strong>la</strong> a che fare con l'odio per se stessi, così esistono autentiche<br />

esigenze del<strong>la</strong> co<strong>scienza</strong> e un senso del dovere che non sono radicati nell'ostilità.<br />

Questa co<strong>scienza</strong> autentica fa parte del<strong>la</strong> personalità integrata, e il soddisfacimento<br />

delle sue esigenze è un'affermazione dell'intera personalità. Tuttavia, il senso del<br />

«dovere», come quello che pervade <strong>la</strong> vita dell'uomo moderno dal tempo del<strong>la</strong><br />

50


Riforma nelle razionalizzazioni religiose o <strong>la</strong>iche, è intensamente colorato di<br />

ostilità contro l'io. La «co<strong>scienza</strong>» è un aguzzino, che l'uomo mette entro se stesso.<br />

Lo spinge ad agire secondo desideri e fini che egli ritiene suoi, mentre in realtà<br />

sono l'interiorizzazione di imperativi sociali esterni. Lo perseguita con rigore e<br />

crudeltà, vietandogli il piacere e <strong>la</strong> felicità, rendendogli tutta <strong>la</strong> vita una espiazione<br />

di qualche misterioso peccato. L'ostilità in cui sono radicati questo genere moderno<br />

di umiltà e questo senso del dovere spiega anche una contraddizione che altrimenti<br />

<strong>la</strong>scerebbe perplessi: il fatto che questa umiltà si accompagni al disprezzo per gli<br />

altri, e che il senso di superiorità abbia addirittura sostituito l'amore e <strong>la</strong><br />

misericordia. L'umiltà genuina e l'autentico senso del dovere verso i propri simili<br />

non sono capaci di questo: ma l'autoumiliazione, e una «co<strong>scienza</strong>» che si<br />

autoannul<strong>la</strong>, sono soltanto una delle facce di un'ostilità, il cui rovescio è costituito<br />

dal disprezzo e dall'odio per gli altri.<br />

3. Conclusioni<br />

Dopo questa breve analisi del significato del<strong>la</strong> libertà nel periodo del<strong>la</strong> Riforma,<br />

sembra opportuno riassumere le conclusioni che abbiamo raggiunto riguardo allo<br />

specifico problema del<strong>la</strong> libertà e al problema generale dell'interazione dei fattori<br />

economici, psicologici e ideologici nel processo sociale.<br />

<strong>Il</strong> crollo del sistema medioevale del<strong>la</strong> società feudale ebbe un significato<br />

fondamentale per tutte le c<strong>la</strong>ssi sociali; l'individuo fu <strong>la</strong>sciato solo e iso<strong>la</strong>to. Era<br />

libero. E questa libertà ebbe un duplice risultato; l'uomo fu privato del<strong>la</strong> sicurezza<br />

di cui godeva, dell'indiscutibile sentimento di appartenenza, e fu strappato dal<br />

mondo che aveva soddisfatto <strong>la</strong> sua ricerca di sicurezza sia economicamente che<br />

spiritualmente. Si sentiva solo e ansioso. Ma era anche libero di agire e di pensare<br />

con indipendenza, di diventare padrone di se stesso e di fare del<strong>la</strong> sua vita quello<br />

che poteva, non quello che gli si diceva di fare.<br />

Tuttavia, a seconda del<strong>la</strong> reale situazione di vita dei membri delle diverse c<strong>la</strong>ssi<br />

sodali, queste due specie di libertà avevano un peso differente. Solo <strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse più<br />

riuscita del<strong>la</strong> società si avvantaggiava del capitalismo in ascesa in misura tale da<br />

trarne ricchezza e potenza reali. Essi potevano espandersi, conquistare, dominare e<br />

ammassare fortune per effetto del<strong>la</strong> loro attività e di calcoli razionali. Questa nuova<br />

aristocrazia del denaro, insieme a quel<strong>la</strong> del sangue, si trovava nel<strong>la</strong> condizione di<br />

poter godere i frutti del<strong>la</strong> nuova libertà e di acquistare un nuovo sentimento di<br />

supremazia e di iniziativa individuale. D'altra parte, dovevano dominare le masse e<br />

combattersi a vicenda, e cosi anche <strong>la</strong> loro situazione non era libera da<br />

un'insicurezza e da un'ansietà fondamentali. Ma nel complesso, per i nuovi<br />

capitalisti il significato positivo del<strong>la</strong> libertà risultava, predominante.<br />

Esso si esprimeva nel<strong>la</strong> civiltà che fiorì sul terreno del<strong>la</strong> nuova aristocrazia, <strong>la</strong><br />

civiltà del <strong>Rinascimento</strong>. Nel<strong>la</strong> sua arte e nel<strong>la</strong> sua filosofia questo esprimeva il<br />

nuovo spirito di dignità, volontà e supremazia umane, sebbene spesso anche<br />

disperazione e scetticismo.<br />

D'altro canto le c<strong>la</strong>ssi inferiori, <strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione povera delle città, e soprattutto i<br />

contadini, erano spinti da un nuovo bisogno di libertà e da un'ardente speranza di<br />

porre fine al<strong>la</strong> crescente oppressione economica e personale. Avevano poco da<br />

perdere e molto da guadagnare. Non s'interessavano delle sottigliezze dogmatiche,<br />

ma piuttosto dei principi fondamentali del<strong>la</strong> Bibbia: <strong>la</strong> fratel<strong>la</strong>nza e <strong>la</strong> giustizia. Le<br />

loro speranze assunsero una forma attiva in varie rivolte politiche e in movimenti<br />

religiosi caratterizzati dallo spirito intransigente tipico degli inizi del cristianesimo.<br />

Tuttavia <strong>la</strong> nostra attenzione si è rivolta soprattutto al<strong>la</strong> reazione del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse media.<br />

L'avvento del capitalismo, pur contribuendo anche ad accrescere <strong>la</strong> loro<br />

indipendenza e il loro spirito di iniziativa, era una forte minaccia. All'inizio del<br />

sedicesimo secolo l'individuo del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse media non poteva trarre ancora molto<br />

potere e molta sicurezza dal<strong>la</strong> nuova libertà. La libertà recava con sé iso<strong>la</strong>mento e<br />

51


senso di irrilevanza personale, più che forza e fiducia. Oltre a ciò, egli era pieno di<br />

un bruciante risentimento contro il lusso e <strong>la</strong> potenza delle c<strong>la</strong>ssi ricche, inclusa <strong>la</strong><br />

gerarchia del<strong>la</strong> Chiesa romana. <strong>Il</strong> protestantesimo dava espressione ai sentimenti di<br />

irrilevanza e al risentimento; distruggeva <strong>la</strong> fiducia dell'uomo nell'amore<br />

incondizionato di Dio; insegnava all'uomo a disprezzarsi e a sospettare di se stesso<br />

e degli altri, lo rendeva uno strumento anziché un fine; capito<strong>la</strong>va di fronte al<br />

potere civile e abbandonava il principio che il potere civile non è giustificato dal<strong>la</strong><br />

sua mera esistenza, qualora contraddica ai principi morali; e, così facendo, esso<br />

abbandonava certi elementi che erano stati le basi del<strong>la</strong> tradizione giudaicocristiana.<br />

Le sue dottrine presentavano un quadro dell'individuo, di Dio e del<br />

mondo, in cui questi sentimenti venivano giustificati dal<strong>la</strong> convinzione che<br />

l'irrilevanza e l'impotenza, che l'individuo provava, derivavano dal<strong>la</strong> natura<br />

dell'uomo come tale e che questi doveva provare proprio questi sentimenti.<br />

In questo modo le nuove dottrine religiose non solo esprimevano ciò che il tipico<br />

membro del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse media sentiva, ma, razionalizzando e rendendo sistematico<br />

questo atteggiamento, lo esaltavano e lo rafforzavano nello stesso tempo. Ma non<br />

era tutto qui. Esse, inoltre, indicavano all'individuo un modo di affrontare <strong>la</strong> propria<br />

ansietà. Gli insegnavano che accettando pienamente <strong>la</strong> sua impotenza, e <strong>la</strong><br />

malvagità del<strong>la</strong> sua natura, considerando <strong>la</strong> sua vita come un'espiazione dei suoi<br />

peccati, umiliando se stesso al massimo e sforzandosi senza posa, sarebbe riuscito a<br />

vincere i suoi dubbi e <strong>la</strong> sua ansietà; che, grazie al<strong>la</strong> completa sottomissione, egli<br />

avrebbe potuto essere amato da Dio e avrebbe potuto almeno sperare di essere fra<br />

coloro che Dio aveva deciso di salvare. <strong>Il</strong> protestantesimo era <strong>la</strong> risposta alle<br />

esigenze umane dell'individuo spaventato, sradicato e iso<strong>la</strong>to che doveva orientarsi<br />

e collegarsi a un mondo nuovo. La nuova struttura di carattere, derivante dai<br />

mutamenti economici e sociali, e intensificata dalle dottrine religiose, divenne a sua<br />

volta un fattore importante dell'ulteriore sviluppo sociale ed economico. Le qualità<br />

stesse che erano radicate in questa struttura di carattere - l'ossessione del <strong>la</strong>voro, <strong>la</strong><br />

passione del risparmio, <strong>la</strong> disposizione a fare del<strong>la</strong> propria vita uno strumento per i<br />

fini di un potere extrapersonale, l'ascetismo e un senso ossessivo del dovere - erano<br />

tratti di carattere che divennero forze produttive nel<strong>la</strong> società capitalistica, forze<br />

senza le quali il moderno sviluppo economico e sociale sarebbe stato impensabile.<br />

Erano le forme specifiche in cui si incana<strong>la</strong>va l'energia umana e in cui questa<br />

diventò una delle forze produttive del processo sociale. Agire in armonia con i<br />

nuovi tratti di carattere era vantaggioso dal punto di vista dei bisogni economici;<br />

ma era anche soddisfacente psicologicamente, poiché una tale azione rispondeva<br />

alle necessità e alle ansietà di questo nuovo tipo di personalità. In termini più<br />

generali, si potrebbe dire che il processo sociale, determinando il modo di vita<br />

dell'individuo, cioè il suo rapporto con gli altri e con il <strong>la</strong>voro, model<strong>la</strong> <strong>la</strong> struttura<br />

del suo carattere; nuove ideologie - religiose, filosofiche o politiche - derivano da<br />

questo mutato carattere e lo attirano, intensificandolo, soddisfacendolo e<br />

stabilizzandolo; i nuovi tratti di carattere a loro volta diventano fattori importanti<br />

dell'ulteriore sviluppo economico e influenzano il processo sociale; mentre in<br />

origine si sono sviluppati come reazione al<strong>la</strong> minaccia di nuove forze economiche,<br />

lentamente diventano forze produttive che promuovono e intensificano il nuovo<br />

sviluppo economico.<br />

da E. Fromm “Fuga dal<strong>la</strong> libertà”, Ed. Comunità<br />

52


15 - ABBAGNANO –FORNERO: GALILEO GALILEI E LA NASCITA DELLA<br />

SCIENZA MODERNA<br />

1. Vita e opere.<br />

2. L'autonomia del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong> e il rifiuto del principio di autorità.<br />

2.1 La polemica contro <strong>la</strong> Chiesa e i teologi.<br />

2.2 <strong>la</strong> polemica contro gli aristotelici.<br />

3. La distruzione del<strong>la</strong> cosmologia aristotelico-tolemaica.<br />

3.1. Le scoperte astronomiche ed «il funerale del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong> aristotelica».<br />

3.2 <strong>Il</strong> «Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo» e <strong>la</strong> difesa del<br />

copernicanesimo.<br />

3.3 La scoperta del cannocchiale e <strong>la</strong> difesa del suo valore<br />

scientifico.<br />

4. <strong>Il</strong> metodo del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong>.<br />

4.1- Le «sensate esperienze» e le «necessarie dimostrazioni»<br />

4.2 Induzione e deduzione: il binomio indissolubile del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong> galileana<br />

4.3. Esperienza e verifica.<br />

4.4. Metodo galileiano e <strong>scienza</strong> antica.<br />

5. Metodo e filosofia<br />

5.1 Presupposti e giustificazioni filosofiche del metodo<br />

5. 2 <strong>Il</strong> realismo di Galileo<br />

1. Vita e opere.<br />

Galileo Galilei nacque a Pisa il 15 Febbraio 1564, da genitori del<strong>la</strong> media<br />

borghesia, che si trasferirono a Firenze nel 1574, dove Galileo compì i primi studi<br />

di letteratura e di logica. Nel 1581, per volere del padre, si iscrisse al<strong>la</strong> facoltà<br />

di medicina dell'Università di Pisa. Ma per questo tipo di studi non mostrò alcun<br />

vero interesse e tornò a Firenze senza aver conseguito titoli accademici. Qui<br />

approfondì <strong>la</strong> matematica, sotto <strong>la</strong> guida di Ostilio Ricci, discepolo del celebre<br />

Tartaglia e cominciò a compiere osservazioni fisiche. Nel 1583 scoprì<br />

l'isocronismo delle oscil<strong>la</strong>zioni pendo<strong>la</strong>ri. Negli anni seguenti giunse a formu<strong>la</strong>re<br />

alcuni teoremi di geometria e di meccanica, che più tardi dette al<strong>la</strong> luce. Dallo<br />

studio di Archimede fu portato a scoprire <strong>la</strong> bi<strong>la</strong>ncetta per determinare il peso<br />

specifico dei corpi (1586). Intanto nel 1588 diede anche un saggio del<strong>la</strong> propria<br />

cultura letteraria nelle due lezioni tenute all'Accademia fiorentina, Circa <strong>la</strong><br />

figura, sito e grandezza dell'Inferno di Dante e nelle Considerazioni sul Tasso,<br />

di poco posteriori.<br />

La sua cultura matematica gli procurò stima e simpatia e nel 1589 ottenne <strong>la</strong><br />

cattedra di matematica dell'Università di Pisa. Rimase in questa città per tre<br />

anni, durante i quali scoprì fra l'altro <strong>la</strong> legge di caduta dei gravi. Nel 1592<br />

passò ad insegnare matematica nell'Università di Padova dove trascorse 18 anni,<br />

che furono i più fecondi e felici del<strong>la</strong> sua vita.<br />

Con <strong>la</strong> costruzione del cannocchiale (1609) si apre <strong>la</strong> serie delle grandi<br />

scoperte astronomiche, di cui diede l'entusiastico annuncio nel Sidereus nuncius<br />

{Ragguaglio astronomico) del 1610. Keplero riconobbe subito l'esattezza e<br />

l'importanza delle sue scoperte, che accrebbero enormemente <strong>la</strong> fama di Galileo e<br />

gli procurarono il posto, da lui ambito, di matematico dello studio di Pisa. Ma<br />

le scoperte astronomiche e le sue idee copernicane lo misero progressivamente<br />

in urto con gli aristotelici e con le gerarchie ecclesiastiche. Infatti Galileo, nel<br />

Febbraio del 1616, venne ammonito dal cardinale Bel<strong>la</strong>rmino di professare <strong>la</strong><br />

nuova astronomia. Pochi giorni dopo, il 3 Marzo, l'opera di Copernico venne<br />

messa all'indice.<br />

53


Nonostante <strong>la</strong> sconfitta, Galileo continuò i suoi studi e nel 1623,<br />

polemizzando con il padre gesuita Orazio Grassi, pubblicò il Saggiatore, dedicato<br />

a problemi re<strong>la</strong>tivi alle comete e, nello stesso tempo, ad importanti<br />

considerazioni di tipo metodologico. Frattanto continuò a <strong>la</strong>vorare al Dialogo<br />

sopra i due massimi sistemi del mondo, il tolemaico e il copernicano,<br />

incoraggiato anche dall'ascesa al pontificato del cardinale Barberini (Urbano<br />

VIII), che gli aveva sempre mostrato benevolenza.<br />

<strong>Il</strong> Dialogo fu stampato nel Febbraio del 1632. Ma già nel settembre Galilei veniva<br />

citato dal Papa a comparire dinanzi al S. Uffizio di Roma. <strong>Il</strong> processo durò sino al<br />

22 Giugno 1633 e si concluse con l'abiura di Galilei. <strong>Il</strong> carcere a vita gli venne<br />

tramutato in confino, prima nel pa<strong>la</strong>zzo dell'arcivescovo di Siena, suo amico, e poi<br />

presso <strong>la</strong> sua vil<strong>la</strong> di Arcetri, ove fu assistito amorosamente dal<strong>la</strong> figlia suor Maria<br />

Celeste. E nel<strong>la</strong> solitudine di Arcetri scrisse quello che è forse il suo capo<strong>la</strong>voro<br />

scientifico: Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (che<br />

sono <strong>la</strong> teoria del<strong>la</strong> resistenza dei materiali e <strong>la</strong> dinamica), pubblicato in<br />

O<strong>la</strong>nda.<br />

L'8 Gennaio 1642 Galileo chiudeva per sempre i suoi occhi ormai ciechi che<br />

per primi, nel<strong>la</strong> storia dell'umanità, avevano potuto contemp<strong>la</strong>re sconosciute<br />

realtà celesti.<br />

2. L'autonomia del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong> e il rifiuto del principio di autorità.<br />

<strong>Il</strong> primo risultato storicamente decisivo dell'opera di Galileo è <strong>la</strong> difesa<br />

dell'autonomia del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong>, cioè <strong>la</strong> salvaguardia dell'indipendenza del nuovo sapere da<br />

ogni ingerenza esterna.<br />

A differenza di altri dotti del tempo, che avevano scelto di non sfidare le autorità<br />

costituite, soprattutto ecclesiastiche, e che tenevano ce<strong>la</strong>te le loro scoperte o ne<br />

facevano partecipi solo i colleghi, e in modo strettamente tecnico, Galileo intuisce<br />

che <strong>la</strong> battaglia per <strong>la</strong> libertà del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong> era una necessità storica di primaria<br />

importanza, in cui ne andava del futuro stesso dell'umanità. Da ciò <strong>la</strong> sua lotta,<br />

che riguardò sostanzialmente due fronti: l'autorità religiosa, personificata dal<strong>la</strong><br />

Chiesa, e l'autorità culturale, personificata dagli aristotelici.<br />

2.1____________________________________________________<br />

La Controriforma aveva stabilito che ogni forma di sapere dovesse essere in<br />

armonia con <strong>la</strong> Sacra Scrittura, nel<strong>la</strong> precisa interpretazione che ne aveva fornito <strong>la</strong><br />

Chiesa cattolica.<br />

Applicato al<strong>la</strong> nuova <strong>scienza</strong>, tale decreto poteva generare il problema se il<br />

credente dovesse accettare solo il messaggio religioso e morale del<strong>la</strong> Bibbia oppure<br />

ogni affermazione scritturale. <strong>Il</strong> cardinal Bel<strong>la</strong>rmino, gesuita e filosofo, consultore<br />

del S. Uffizio, sosteneva ad esempio, con <strong>la</strong> quasi totalità dei teologi, <strong>la</strong> seconda<br />

soluzione, convinto che il negare certi dati di fatto delle Scritture, pur non intaccando<br />

i fondamenti del<strong>la</strong> fede, invalidasse <strong>la</strong> verità del<strong>la</strong> Bibbia, che essendo scritta<br />

sotto ispirazione dello Spirito Santo, non poteva che essere vera in tutte le sue<br />

affermazioni, « sarebbe heretico chi dicesse che Abramo non abbia havuti due figlioli<br />

e Iacob dodici, come chi dicesse che Christo non è nato di vergine, perché l’un e<br />

l'altro lo dice lo Spirito Santo per bocca de' Profeti ed Apostoli».<br />

Galileo, scienziato e uomo di fede, pensa invece che una posizione del genere<br />

avrebbe ostaco<strong>la</strong>to il libero sviluppo del sapere e danneggiato <strong>la</strong> religione stessa,<br />

che, rimanendo ancorata a tesi dichiarate false dal progresso scientifico, avrebbe<br />

inevitabilmente finito per squalificarsi dinanzi agli occhi dei credenti. Di conseguenza,<br />

nelle cosiddette lettere copernicane (una inviata a don Benedetto Castelli, suo<br />

discepolo, nel 1613, due a monsignor Dini, nel 1615, e una a madama Cristina di<br />

54


Lorena, granduchessa di Toscana, sempre nel 1615), Galileo affronta il problema<br />

dei rapporti fra <strong>scienza</strong> e fede, pervenendo al seguente schema di soluzione. La<br />

natura (oggetto del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong>) e <strong>la</strong> Bibbia (base del<strong>la</strong> religione) derivano<br />

entrambe da Dio, questa come «dettatura dello Spirito Santo», quel<strong>la</strong> come<br />

osservatissima esecutrice de gli ordini di Dio» (Lettera a don Benedetto Castelli).<br />

Come tali, esse non possono oggettivamente contraddirsi fra di loro. Eventuali<br />

«contrasti fra verità scientifica e verità religiosa sono quindi soltanto apparenti<br />

(Gailei rifiuta esplicitamente <strong>la</strong> teoria del<strong>la</strong> doppia verità) e vanno risolti<br />

rivedendo l'interpretazione del<strong>la</strong> Bibbia. Operazione tanto più legittima, per<br />

Galilei, se si pensa: a) che le Scritture hanno dovuto « accomodarsi al<strong>la</strong> capacità de'<br />

popoli rozzi e indisciplinati» ed usare quindi un linguaggio antropomorfico e<br />

re<strong>la</strong>tivo alle cognizioni del «vulgo», mentre <strong>la</strong> Natura e le sue leggi seguono un<br />

corso inesorabile ed immutabile senza doversi piegare alle esigenze umane; b)<br />

che <strong>la</strong> Bibbia non contiene princìpi che riguardano le leggi di natura, ma verità<br />

che si riferiscono al destino ultimo dell'uomo, premendo ad essa d'insegnarci<br />

«come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo» (Lettera a Madama Cristina).<br />

In conclusione, se <strong>la</strong> Bibbia è arbitra nel campo etico-religioso, <strong>la</strong> <strong>scienza</strong> è<br />

arbitra nel campo delle verità naturali, in re<strong>la</strong>zione alle quali non è <strong>la</strong> <strong>scienza</strong> che<br />

deve adattarsi al<strong>la</strong> Bibbia, ma l'interpretazione del<strong>la</strong> Bibbia che deve adattarsi al<strong>la</strong><br />

<strong>scienza</strong>. L'errore dei teologi consiste dunque nel<strong>la</strong> pretesa che <strong>la</strong> Scrittura faccia<br />

testo anche riguardo alle conoscenze naturali, dimenticando che in questo campo<br />

«el<strong>la</strong> dovrebbe esser riserbata nell'ultimo luogo» (Lettera a don B. Castelli), e che,<br />

quando <strong>la</strong> Bibbia appare in contrasto con <strong>la</strong> <strong>scienza</strong>, essa va adeguatamente<br />

reinterpretata, andando al di là del «nudo senso delle parole».<br />

Si noti come <strong>la</strong> posizione galileiana, che inizialmente non poteva non apparire<br />

«eretica» e convergente con <strong>la</strong> tesi protestante del «libero esame», abbia finito<br />

per imporsi non solo al<strong>la</strong> cultura <strong>la</strong>ica, ma al<strong>la</strong> Chiesa stessa, che con il tempo è<br />

pervenuta a riconoscere l'autonomia operativa del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong> nel campo delle<br />

conoscenze naturali, dimostrandosi eventualmente disposta (vedi <strong>la</strong> teoria<br />

dell'evoluzione) a reinterpretare <strong>la</strong> lettera dei testi biblici in conformità del<strong>la</strong><br />

<strong>scienza</strong>.<br />

2.2 ____________________________________________________<br />

Indipendente dall'autorità religiosa del<strong>la</strong> Bibbia, <strong>la</strong> <strong>scienza</strong> deve esserlo altrettanto<br />

nei confronti di quel<strong>la</strong> culturale di Aristotele e dei sapienti del<br />

passato. Pur non essendo uno di quelli che si vogliono «<strong>la</strong>sciar infinocchiar da<br />

Aristotile» (Dialogo, in Opere, VII, 138), Galileo mostra grande stima per lui e<br />

per gli altri scienziati antichi, ritenendoli uomini amanti del<strong>la</strong> verità e del<strong>la</strong><br />

ricerca. <strong>Il</strong> suo disprezzo colpisce piuttosto i loro infedeli discepoli,<br />

soprattutto gli aristotelici contemporanei, che anziché osservare direttamente <strong>la</strong><br />

natura e conformare ad esse le loro opinioni, si limitano a consultare i testi delle<br />

biblioteche, vivendo in un astratto «mondo di carta» con <strong>la</strong> convinzione che «il<br />

mondo sta come scrisse Aristotele e non come vuole <strong>la</strong> natura».<br />

Agli occhi di Galileo gli aristotelici continuano a offrire il triste spettacolo di<br />

un dogmatismo antiscientifico che ostaco<strong>la</strong> l’avanzamento del sapere ed<br />

inebetisce gli intelletti.<br />

Emblematico, a questo proposito, il racconto di uno dei personaggi del Dialogo, che<br />

avendo potuto osservare insieme ad altri, in casa di un medico, che in un cadavere<br />

umano i nervi partono dal cervello e non dal cuore, secondo quanto scrive<br />

Aristotele, ebbe occasione di sentir fare da «un gentil uomo ch'egli conosceva per<br />

filosofo aristotelico» un discorso di questo tipo: «Voi mi avete fatto veder questa cosa<br />

talmente aperta e sensata, che quando il testo d'Aristotele non fusse in<br />

contrario, che apertamente dice i nervi nascer dal cuore, bisognerebbe per forza<br />

confessar<strong>la</strong> per vera»<br />

55


3. La distruzione del<strong>la</strong> cosmologia aristotelico-tolemaica.<br />

Galileo aveva intuito <strong>la</strong> verità del copernicanesimo sin dall’inizio dei suoi studi. In<br />

seguito, grazie all’uso del telescopio, che gli permetteva di scrutare i vasti spazi del<br />

cielo con più acuta vista, egli pervenne a delle scoperte — comunicate nel Sidereus<br />

Nuncius (Ragguaglio astronomico) del 1610 — le quali rappresentano al tempo<br />

stesso <strong>la</strong> verifica empirica del copernicanesimo ed il colpo decisivo al<strong>la</strong> vecchia<br />

cosmologia, tutta fondata sul dualismo fra cieli e terra.<br />

3.1. ________________________________________________________<br />

Tradizionalmente si riteneva che <strong>la</strong> Luna, analogamente agli altri corpi celesti e a<br />

differenza del<strong>la</strong> terra, fosse rivestita di una superficie «liscia e levigata». Invece, le<br />

osservazioni telescopiche di Galileo mostrano come molte delle macchie scure di essa,<br />

visibili ad occhio nudo, siano ombre proiettate dalle montagne lunari sotto effetto<br />

del<strong>la</strong> luce del sole, come <strong>la</strong> superficie del<strong>la</strong> Luna sia quindi «rugosa» ed ricoperta,<br />

allo stesso modo del<strong>la</strong> terra, di prominenze, valli ed anfratti. Ovviamente, al<strong>la</strong> luce<br />

di queste scoperte, l'ipotesi escogitata dal gesuita Cristoforo C<strong>la</strong>vio - che per<br />

salvare <strong>la</strong> presunta «perfezione» dei cieli aveva supposto che <strong>la</strong> Luna fosse rivestita<br />

di una materia cristallina trasparente e sferoidale - appariva a Galileo soltanto uno<br />

scorretto sotterfugio di menti ormai costrette al<strong>la</strong> difensiva.<br />

Aristotele credeva che soltanto <strong>la</strong> terra, essendo immobile, fosse centro di moti astrali e<br />

che un corpo in movimento nello spazio non potesse costituire un nucleo di<br />

movimento per altri corpi. Invece, Galileo scopre i quattro satelliti di Giove,<br />

battezzati «pianeti medicei», che compivano attorno ad esso movimenti analoghi a<br />

quelli che <strong>la</strong> Luna compie attorno al<strong>la</strong> terra. Ma se Giove ruota insieme ai propri<br />

satelliti intorno al Sole, come suppone Copernico, nul<strong>la</strong> vieta di pensare, secondo<br />

Galileo, che anche <strong>la</strong> terra, con il suo satellite, possa ruotare intorno al Sole.<br />

La cosmologia tolemaica sosteneva che i corpi celesti, essendo perfetti, fossero<br />

incorruttibili e non soggetti al divenire. Questo pregiudizio era già stato messo in<br />

dubbio dal<strong>la</strong> tarda Sco<strong>la</strong>stica (Ockham) ed esplicitamente negato, su base teorica, da<br />

Cusano, Leonardo e Bruno. Ma è soltanto con Galileo che riceve il suo colpo di<br />

grazia su base sperimentale. Infatti, grazie all'uso del telescopio, lo scienziato<br />

toscano scoprì macchie oscure sul<strong>la</strong> superficie so<strong>la</strong>re che si formavano e scomparivano,<br />

attestando l'esistenza di un processo di trasformazione in atto e dimostrando<br />

c<strong>la</strong>morosamente come anche i corpi celesti fossero soggetti a fenomeni di alterazione e<br />

mutamento. E poiché Galileo parlò subito — a ragione — di «funerali» del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong><br />

aristotelica, i rappresentanti del<strong>la</strong> cultura peripatetico-sco<strong>la</strong>stica reagirono sdegnati.<br />

Vi fu chi si rifiutò di guardare al telescopio, ritenendolo strumento «diabolico» o<br />

deformante» delle immagini; chi disse di non vedere ciò che vedeva Galileo e chi,<br />

come il gesuita padre Cristoforo Scheiner, formulò l'ingegnosa ipotesi secondo cui le<br />

macchie non erano dovute al Sole, bensì al passaggio di altri corpi celesti davanti ad esso.<br />

Ma Galileo fece notare, contro Scheiner, che le macchie, nel loro apparire e<br />

scomparire, erano intermittenti, ed apparivano difformi fra di loro, per cui non<br />

potevano essere attribuite a passaggi rego<strong>la</strong>ri diastri.<br />

Nell'antichità e nel Medioevo si era sempre creduto che soltanto <strong>la</strong> terra fosse un<br />

corpo opaco, illuminato dal Sole e privo di luce propria. Invece <strong>la</strong> scoperta<br />

galileiana delle fasi di Venere, inducendo a pensare che tale astro ricevesse <strong>la</strong> luce<br />

girandovi attorno, offriva lo spunto per ritenere che tale spiegazione fosse valida anche<br />

per gli altri pianeti, «tenebrosi» per natura e illuminati esclusivamentedalSole.<br />

Sempre grazie al telescopio, Galileo riuscì a scoprire che oltre le stelle fisse, visibili ad<br />

occhio nudo, esistevano innumerevoli altre stelle, mai scorte prima e che si<br />

«affol<strong>la</strong>vano» davanti al mezzo d'osservazione. Inoltre, si rese conto che <strong>la</strong> ga<strong>la</strong>ssia è<br />

nient'altro che una congerie di innumerevoli stelle disseminate a gruppi negli spazi e<br />

che le nebulose sono parimenti «greggi» di piccole stelle.<br />

56


3.2 ______________________________________________________<br />

Come si è accennato, nel 1632, durante il pontificato di Urbano VIII, che gli<br />

aveva mostrato sempre benevolenza, Galileo, fiducioso in un nuovo corso del<strong>la</strong><br />

Chiesa, pubblica quel capo<strong>la</strong>voro scientifico-letterario che è il Dialogo sopra i due<br />

massimi sistemi del mondo, in cui, dietro il pretesto di voler presentare imparzialmente i<br />

due maggiori modelli cosmologici del<strong>la</strong> storia, espone in realtà argomenti decisivi a<br />

favore del copernicanesimo.<br />

Per presentare <strong>la</strong> teoria geocentrica Galileo sceglie Simplicio, un pedante dal<strong>la</strong><br />

mentalità conservatrice e tradizionalista, attaccato al «senso comune» e<br />

all'«autorità» di Aristotele. Per difendere <strong>la</strong> teoria copernicana sceglie Salviati (un<br />

nobile fiorentino amico dello scienziato, storicamente esistito) che, invece, incarna<br />

l'intelligenza chiara, rigorosa ed anticonformista del nuovo scienziato. Nel<strong>la</strong> parte<br />

di neutrale moderatore viene posto Sagredo (un nobile veneziano amico di Galileo,<br />

anche lui personaggio storicamente esistito), che rappresenta un tipo di<br />

personalità non oppressa dai pregiudizi e quindi tendenzialmente portata a<br />

simpatizzare con le dottrine recenti (come si vede, già dal<strong>la</strong> scelta dei personaggi<br />

risultano evidenti, al di là di ogni prudente tattica opportunista, le preferenze e<br />

gli scopi di Galileo).<br />

II Dialogo è diviso in quattro giornate, nel<strong>la</strong> prima delle quali si pone sotto accusa <strong>la</strong><br />

distinzione aristotelica fra il mondo celeste e quello terrestre, con argomenti tratti<br />

soprattutto dalle osservazioni astronomiche divulgate nel Sidereus Nuncius e dai suoi<br />

studi di meccanica dei movimenti.<br />

La seconda giornata, <strong>la</strong> più vivace, è dedicata al<strong>la</strong> confutazione degli argomenti tipici,<br />

antichi e moderni, contro il moto del<strong>la</strong> terra. Contro chi sostiene ad esempio che <strong>la</strong><br />

terra ruotando davvero su se stessa, solleverebbe un vento tale da trasportare tutti gli<br />

oggetti, Galileo, per bocca di Salviati, risponde che l'aria partecipa dello stesso<br />

movimento del<strong>la</strong> terra e, quindi, in rapporto ad essa è ferma, come risulta fermo un<br />

individuo su di una nave in moto. Contro chi obbietta che se <strong>la</strong> terra si muovesse<br />

davvero da ovest ad est, le nuvole dovrebbero apparirci continuamente in moto da est<br />

ad ovest, oppure il volo degli uccelli non potrebbe tener dietro al veloce<br />

spostamento del nostro pianeta, Galileo risponde, per analogia, che l'aria partecipa<br />

del moto del<strong>la</strong> terra, <strong>la</strong> quale «si come conduce seco le nuvole, così porta gli uccelli ed<br />

ogn'altra cosa che in essa si ritrovasse pendente: talché, quanto al seguir <strong>la</strong> Terra,<br />

gli uccelli non v'hanno a pensare, e per questo servizio potrebbero dormir sempre».<br />

Al noto argomento, uno dei prediletti dagli aristotelici, secondo cui, se <strong>la</strong> terra si<br />

muovesse davvero da ovest ad est, i gravi dovrebbero cadere obliquamente più verso<br />

ovest, essendosi <strong>la</strong> Terra nel frattempo spostata verso est, Galileo risponde<br />

affermando che il grave partecipa del moto da ovest verso est e quindi, muovendosi<br />

insieme al<strong>la</strong> Terra, cade perpendico<strong>la</strong>rmente. Tant'è vero che un sasso, <strong>la</strong>sciato cadere<br />

dal<strong>la</strong> cima dell'albero di una nave in movimento, si ferma ai piedi dell'albero, proprio<br />

come se <strong>la</strong> nave stesse ferma. Lo stesso avviene all'interno di quel sistema più<br />

vasto che è <strong>la</strong> Terra.<br />

Queste geniali contro-argomentazioni di Galileo, che oppongono il pensiero<br />

scientifico al «senso comune» e ai pregiudizi culturali del passato, si ispirano tutte al<br />

cosiddetto «principio del<strong>la</strong> re<strong>la</strong>tività galileiana», secondo cui risulta impossibile<br />

decidere, sul<strong>la</strong> base delle esperienze meccaniche compiute all'interno di un sistema<br />

«chiuso», cioè senza possibilità di riferirsi a qualcosa di esterno, se esso sia in quiete<br />

o in moto rettilineo uniforme. Questa legge, che anticipa <strong>la</strong> «re<strong>la</strong>tività ristretta» di<br />

Einstein è presentata da Galileo in un brano famoso:<br />

«Riserratevi con qualche amico nel<strong>la</strong> maggiore stanza che sia sotto coverta di<br />

alcun gran naviglio, e quivi fate d'aver mosche, farfalle e simili animaletti vo<strong>la</strong>nti;<br />

siavi anco un gran vaso d'acqua, e dentro vi siano de' pescetti; sospendasi anco in<br />

alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vada versando dell'acqua in un altro<br />

vaso di angusta bocca, che sia posto a basso; e stando ferma <strong>la</strong> nave, ... osservate che<br />

avrete diligentemente tutte queste cose, ... fate muover <strong>la</strong> nave con quanta si voglia<br />

57


velocità; che (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi<br />

non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno<br />

di quelli potrete comprender se <strong>la</strong> nave cammina o pure sta ferma... le gocciole<br />

cadranno come prima nel vaso inferiore, senza caderne pur una verso poppa, benché,<br />

mentre <strong>la</strong> goccio<strong>la</strong> è per aria, <strong>la</strong> nave scorra di molti palmi... » .<br />

Pertanto, in base a questo principio di re<strong>la</strong>tività, possiamo affermare che, in quel<br />

sistema quasi inerziale che è <strong>la</strong> Terra, l'aria circostante si muove insieme con <strong>la</strong> Terra<br />

stessa e i gravi cadono comportandosi, approssimativamente, come se essa fosse<br />

immobile.<br />

Nel<strong>la</strong> terza giornata del Dialogo viene dimostrato il moto di rotazione del<strong>la</strong> terra ed<br />

esaltata <strong>la</strong> concezione copernicana, capace, secondo Galileo, di fornire spiegazioni di<br />

fenomeni altrimenti inspiegabili e di chiarire con rigore e matematica «semplicità»<br />

problemi inutilmente complicati e «sofisticati» dal sistema tolemaico.<br />

Nel<strong>la</strong> quarta giornata Galileo espone <strong>la</strong> sua dottrina delle maree.<br />

3.3 ___________________________________________________<br />

<strong>Il</strong> fatto che Galileo non avrebbe potuto rivoluzionare l'astronomia senza il<br />

cannocchiale è già di per sé una manifestazione dell'importanza assunta dagli<br />

strumenti d'osservazione nel corso del<strong>la</strong> Rivoluzione scientifica ed una prova<br />

ulteriore del<strong>la</strong> convergenza, da essa promossa, fra sapere e tecnica.<br />

Tali strumenti si rive<strong>la</strong>rono subito decisivi non solo per l'osservazione, ma anche<br />

per il «cimento» sperimentale, cioè per <strong>la</strong> possibilità di riprodurre il fenomeno<br />

studiato nelle condizioni volute. Ciò comportò un'esplicita attribuzione di valore<br />

conoscitivo nei loro confronti, affatto nuova per i tempi. Infatti, ciò che ai nostri occhi può<br />

apparire ovvio — lo strumento come aiuto per <strong>la</strong> <strong>scienza</strong> — non lo era affatto<br />

nell'epoca di Galileo, a causa di pregiudizi seco<strong>la</strong>ri. Di ciò risulta emblematica<br />

espressione <strong>la</strong> vicenda del cannocchiale.<br />

Nel Saggiatore Galileo scrive che venuto a conoscenza del fatto che un o<strong>la</strong>ndese<br />

aveva presentato un «occhiale» mediante cui «le cose lontane si vedevano così<br />

perfettamente come se fossero state molto vicine», aveva proceduto, grazie a<br />

deduzioni teoriche, a costruirne uno per proprio conto, all'inizio poco capace e poi<br />

così potente, rispetto al<strong>la</strong> vista naturale, da riuscire ad ottenere oltre trenta ingrandimenti<br />

lineari (che, in termini di superfici, forniscono immagini mille volte più<br />

grandi). La discussione sul<strong>la</strong> paternità storica del cannocchiale è tuttora aperta tra gli<br />

studiosi. Tuttavia, come ha fatto notare soprattutto Vasco Ronchi in una ricerca<br />

apposita, <strong>la</strong> grandezza di Galileo non consiste tanto nell'aver «costruito» il<br />

cannocchiale, ma nell’averlo usato scientificamente. Infatti, le lenti erano note fin dal<br />

XIII secolo o, forse, dal XII, tuttavia esse, come «l'occhiale» o<strong>la</strong>ndese di cui par<strong>la</strong><br />

Galileo, erano state considerate semplicemente come fonti di divertimento o di<br />

piacevoli giochi di società da parte dei nobili di corte. Gli stessi navigatori e<br />

militari ne avevano fatto un uso limitato, mentre <strong>la</strong> cultura «ufficiale» li guardava<br />

con distacco, per l'inveterato pregiudizio contro gli «ordigni meccanici», oppure li<br />

condannava esplicitamente, ritenendoli fonti di illusioni ottiche. Molti teologi li<br />

consideravano «diabolici» sostituti degli occhi naturali creati da Dio. Da ciò il<br />

«rifiuto», da parte di alcuni dotti, di accostare i loro occhi al nuovo mezzo.<br />

Invece Galileo ebbe <strong>la</strong> genialità ed il coraggio di puntare il cannocchiale verso il<br />

cielo, trasformandolo così in telescopio, ossia in uno strumento primario dell'osservazione<br />

astronomica e facendo, grazie ad esso, le sensazionali scoperte<br />

divulgate dal Sidereus Nuncius. Ma è proprio il diritto ad usare il cannocchiale come<br />

mezzo scientifico che gli sarà, tra l'altro, duramente contestato e che costituirà una<br />

delle ragioni di fondo del<strong>la</strong> reciproca incomprensione fra lo scienziato da un <strong>la</strong>to e i<br />

teologi e gli aristotelici dall'altro. Come ci si poteva fidare più di Galileo e dei<br />

suoi strumenti che del<strong>la</strong> Bibbia? Come si poteva «seppellire» <strong>la</strong> <strong>scienza</strong><br />

astronomica di Aristotele sul<strong>la</strong> base di un discutibile congegno «meccanico»?<br />

58


4. <strong>Il</strong> metodo del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong>.<br />

Un altro risultato storicamente decisivo dell'opera di Galileo — che fa di lui il<br />

padre del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong> <strong>moderna</strong> — è l'individuazione del metodo del<strong>la</strong> fisica, ossia il<br />

procedimento che ha spa<strong>la</strong>ncato le porte ai maggiori progressi scientifici<br />

dell’umanità, da Newton ad Einstein e ai giorni nostri.<br />

Tuttavia, in Galileo, non vi è una teoria organica del metodo, analoga ad esempio a<br />

quel<strong>la</strong> che Bacone svolgerà nel Novum Organum (Nuovo Organo), poiché egli,<br />

tutto preso dalle sue ricerche concrete di fisica ed astronomia, applica il metodo,<br />

più che teorizzarlo filosoficamente. Ciò nonostante, nelle sue opere si trovano<br />

disseminati qua e là, talune preziose osservazioni metodologiche e alcuni tentativi<br />

di sintetizzare il procedimento del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong>. Ad esempio nel Saggiatore, nel<br />

Dialogo e nei Discorsi, Galileo tende ad artico<strong>la</strong>re il <strong>la</strong>voro del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong> in due<br />

parti fondamentali: il momento «risolutivo» o analitico e quello «compositivo»o<br />

sintetico. <strong>Il</strong> primo consiste nel risolvere un fenomeno complesso nei suoi elementi<br />

semplici, quantitativi e misurabili, formu<strong>la</strong>ndo un'ipotesi matematica sul<strong>la</strong> legge da<br />

cui dipende. <strong>Il</strong> secondo momento risiede nel<strong>la</strong> verifica e nell'esperimento attraverso<br />

cui si tenta di comporre o riprodurre artificialmente il fenomeno, in modo che se<br />

l'ipotesi supera <strong>la</strong> prova, risultando quindi veri-ficata (= fatta vera), essa venga<br />

accettata e formu<strong>la</strong>ta in termini di legge, mentre se non supera <strong>la</strong> prova risultando<br />

smentita o falsificata (= non verificata), venga sostituita da un’altra ipotesi.<br />

Questo schema, su cui si sono basate soprattutto le presentazioni tradizionali, pur<br />

descrivendo in modo formalmente corretto il procedimento del<strong>la</strong> fisica<br />

sperimentale (osservazione dei fenomeni - misurazione matematica dei dati -<br />

ipotesi verifica - legge), appare un po' generico ed incapace di far comprendere le<br />

vie concrete e i modi originali seguiti da Galileo nelle sue scoperte. Di<br />

conseguenza, data l'importanza dell'argomento, risulta indispensabile scavare più a<br />

fondo.<br />

4.1- ____________________________________________________<br />

Nel<strong>la</strong> lettera a Cristina di Lorena Galileo scrive: «Pare che quello degli effetti<br />

naturali che o <strong>la</strong> sensata esperienza ci pone dinanzi agli occhi o le necessarie<br />

dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbi»<br />

Questo passo, come tendono a riconoscere gli studi più recenti, è altamente<br />

significativo, poiché in esso Galileo ha racchiuso il cuore stesso del suo metodo e<br />

<strong>la</strong> strada effettivamente seguita nelle sue scoperte.<br />

Con l'espressione «sensate esperienze», che al<strong>la</strong> lettera significa «esperienze dei<br />

sensi», con primario riferimento al<strong>la</strong> vista, Galileo ha voluto evidenziare il<br />

momento osservativo-induttivo del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong>, preponderante in talune<br />

scoperte (come quelle re<strong>la</strong>tive ai corpi celesti). Infatti, in certi casi, <strong>la</strong> <strong>scienza</strong><br />

galileiana, attraverso un'attenta ricognizione dei fatti e dei casi partico<strong>la</strong>ri<br />

induce, sul<strong>la</strong> base dello osservazione, una legge generale (ad esempio quel<strong>la</strong><br />

re<strong>la</strong>tiva alle fasi di Venere)<br />

E’questo il momento più comunemente noto del metodo scientifico, denominato<br />

appunto «sperimentale».<br />

Con l'espressione «necessarie dimostrazioni» Galileo ha voluto evidenziare il<br />

momento raziocinativo o ipotetico-deduttivo del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong>, preponderante in altre<br />

scoperte (ad esempio quel<strong>la</strong> sul principio d'inerzia o sul<strong>la</strong> caduta dei gravi). È questa<br />

<strong>la</strong> parte meno nota, ma anche <strong>la</strong> più affascinante — ed in taluni casi decisiva — del<br />

metodo galileiano. Le «necessarie dimostrazioni», o «matematiche dimostrazioni»,<br />

sono i ragionamenti logici, condotti su base matematica, attraverso cui il ricercatore,<br />

partendo da una intuizione di base e procedendo per una «supposizione», formu<strong>la</strong> in<br />

teoria le sue ipotesi, riservandosi di verificarle nel<strong>la</strong> pratica. In altre parole, «intuendo»<br />

e «ragionando» lo scienziato, anche sul<strong>la</strong> scorta di pochi dati empirici, perviene<br />

59


talora a delle ipotesi mediante cui deduce il comportamento probabile dei fatti, che in<br />

seguito si propone di verificare.<br />

Tipica, in questo senso, è <strong>la</strong> via seguita da Galileo nell'intuizione teorica del<br />

principio di inerzia, da lui riportata in modo minuzioso e suadente in un passo del<br />

Dialogo. Immaginiamo — scrive Galileo — una superficie « piana, pulitissima come<br />

uno specchio e di materia dura come l'acciaio, e che fusse non paralle<strong>la</strong> all'orizzonte,<br />

ma alquanto inclinata, e che sopra di essa voi poneste una pal<strong>la</strong> perfettamente<br />

sferica e di materia grave e durissima, come, verbigrazia, di bronzo». Come<br />

deduciamo si comporterà tale pal<strong>la</strong>? Starà ferma o si muoverà? Anche senza fare<br />

l'esperimento concreto, argomenta Galileo, sappiamo che si muoverà lungo <strong>la</strong><br />

superficie. E se ipotizziamo mentalmente che sia tolta anche l'azione frenante<br />

dell'aria e di altri possibili «impedimenti esterni ed accidentali», come pensiamo si<br />

comporterà? Ovviamente «el<strong>la</strong> continuerebbe a muoversi all'infinito, se tanto<br />

durasse <strong>la</strong> inclinazione del piano e con movimento accelerato continuamente; che tale<br />

è <strong>la</strong> natura dei mobili gravi, che acquistano forza muovendosi: che quanto maggior<br />

fusse <strong>la</strong> declività, maggior sarebbe <strong>la</strong> velocità». Sostituendo poi <strong>la</strong> superficie<br />

inclinata con una orizzontale, si potrà anche dedurre che <strong>la</strong> medesima pal<strong>la</strong><br />

«perfettissimamente rotonda», se fosse spinta sul medesimo piano «esquisitamente<br />

pulito», continuerebbe indefinitamente il suo moto, ammesso che lo spazio «fosse<br />

interminato» e che non intervenisse una forza esterna a variarne o arrestarne il<br />

moto. Procedendo teoricamente e giustificando tramite un esperimento «ideale» una<br />

propria intuizione, Galileo è quindi pervenuto ad una basi<strong>la</strong>re scoperta fisica.<br />

4.2 ___________________________________________________________<br />

La compresenza, nel<strong>la</strong> visione metodologica di Galileo, delle «sensate esperienze» e<br />

delle «necessarie dimostrazioni» ha fatto sì che nel<strong>la</strong> storiografia del passato Galileo<br />

sia stato presentato talora come un sostanziale «induttivista», cioè come un ricercatore<br />

che dall'osservazione instancabile dei fatti naturali perviene a scoprire le leggi che<br />

rego<strong>la</strong>no i fenomeni; oppure, al contrario, come un convinto «deduttivista», più<br />

fiducioso nelle capacità del<strong>la</strong> ragione che in quelle dell'osservazione.<br />

In realtà Galileo non è solo, o prevalentemente, induttivista, né solo, o prevalentemente,<br />

deduttivista, poiché è tutte e due le cose insieme. Certo, in Galileo vi<br />

è talora, sia nel<strong>la</strong> prassi concreta del<strong>la</strong> scoperta scientifica, sia nel<strong>la</strong> sua<br />

consapevolizzazione metodologica, un'innegabile prevalenza del momento<br />

sperimentale osservativo-induttivo, oppure di quello teorico, ipotetico-deduttìvo. In un<br />

punto del Dialogo egli sostiene ad esempio che «quello che l'esperienza e il senso ci<br />

dimostra si deve anteporre ad ogni discorso ancorché ne paresse assai bene fondato»,<br />

mentre in un altro luogo fa dire a Salviati che «senza esperienza son sicuro che<br />

l'effetto seguirà come vi dico, perché così è necessario che segua». Ma questa<br />

alternata e talora enfatizzata prevalenza dell'induzione sperimentale sul<strong>la</strong> deduzione<br />

teorica o viceversa, che si può riscontrare nei testi di Galileo, non esclude tuttavia <strong>la</strong><br />

reciproca ed indissolubile implicanza di fatto.<br />

Innanzitutto, le «sensate esperienze» presuppongono sempre un riferimento alle<br />

«necessarie dimostrazioni», in quanto vengono assunte e rie<strong>la</strong>borate in un cotesto<br />

matematico-razionale e quindi spogliate dei loro caratteri qualitativi e ridotte al<strong>la</strong><br />

loro struttura puramente quantitativa. In secondo luogo esse, sin dall'inizio sono<br />

«cariche di teoria», in quanto illuminate da un'ipotesi che le sceglie e le seleziona<br />

fungendo, nei loro confronti, da freccia indicatrice e setaccio discriminatore. E’vero,<br />

ad esempio, che Galileo scoprì ignoti fenomeni astronomici basandosi sul senso<br />

del<strong>la</strong> vista — potenziata dal telescopio — , ma <strong>la</strong> decisione stessa di studiare i cieli<br />

e di puntare il cannocchiale su determinati fenomeni e di interpretarli in un certi modo<br />

deriva dal<strong>la</strong> preliminare accettazione dell'ipotesi copernicana.<br />

Anche le «certe dimostrazioni» presuppongono sempre un loro implicito od esplicito<br />

richiamo alle «sensate esperienze». Innanzitutto, l'esperienza fornisce <strong>la</strong> base e lo<br />

spunto per le ipotesi poiché le stesse intuizioni «geniali» non nascono nel vuoto, ma a<br />

60


contatto con l'osservazione e lo studio dei fenomeni. In secondo luogo, intuizioni ed<br />

ipotesi, che costituiscono il momento teorico delle scienze, acquistano validità solo<br />

per mezzo del<strong>la</strong> conferma sperimentale. Infatti anche se quest'ultima, come nelle<br />

sopraccitate parole di Salviati, sembra talora degradata a semplice verifica semisuperflua<br />

di una deduzione che ha già in sé le ragioni del<strong>la</strong> propria verità, <strong>la</strong> sua<br />

importanza è fuori di dubbio, poiché per Galileo un'asserzione teorica risulta<br />

scientifica solo se verificata sperimentalmente.<br />

Certo, non sempre è possibile una verifica diretta. Ad esempio nessuno può «verificare» il<br />

principio di inerzia (ai tempi di Galileo, non essendo ancora stata inventata <strong>la</strong><br />

macchina per il vuoto, non era neanche possibile osservare direttamente come nel vuoto<br />

tutti i gravi cadano con <strong>la</strong> stessa velocità). Tuttavia, risulta pur sempre possibile una<br />

verifica indiretta delle conseguenze che vengono «dedotte» dall'accettazione di tali principi.<br />

In altre parole, « non è necessario che tutte le proposizioni del<strong>la</strong> teoria risultino aderenti ai<br />

fatti; è necessario invece che tutti i fatti del campo di fenomeni studiati risultino<br />

inquadrabili nel<strong>la</strong> teoria». Per esempio, il principio di inerzia, sebbene non sia<br />

constatabile empiricamente, spiega con esattezza i movimenti che si constatano in natura.<br />

Si aggiunga inoltre che, tramite opportuni accorgimenti risulta possibile, in <strong>la</strong>boratorio,<br />

avvicinarsi indefinitamente al<strong>la</strong> sua verifica.<br />

Ciò che si sta dicendo sulle «necessarie dimostrazioni» permette anche di afferrare<br />

meglio i rapporti e le differenze tra <strong>la</strong> matematica pura e teoria fisica. La matematica si<br />

pone come uno strumento di scoperta scientifica, poiché essa, con i suoi calcoli e le sue<br />

deduzioni, permette di avanzare nuove ipotesi sui fenomeni. E questo giustifica<br />

l'enorme importanza che le matematiche rivestono per <strong>la</strong> fisica. Infatti, grazie al<strong>la</strong><br />

Rivoluzione scientifica, <strong>la</strong> più astratta delle scienze trova applicazioni<br />

sorprendenti, diventando il linguaggio e il metodo di <strong>la</strong>voro del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong>. Tuttavia,<br />

mentre <strong>la</strong> matematica pura non ha bisogno, per esser vera, di venir «control<strong>la</strong>ta»<br />

dall'esperienza, <strong>la</strong> deduzione matematica, in fisica, ha valore scientifico solo se<br />

trova riscontro nel<strong>la</strong> realtà.<br />

4.3. _________________________________________________________<br />

Da queste note sul metodo emerge chiaramente come in Galileo i concetti di<br />

esperienza e di verifica assumano un significato inconfondibile ed originale<br />

rispetto al passato.<br />

Infatti, l'esperienza di cui par<strong>la</strong> il pisano non è l'esperienza immediata, ma il<br />

frutto di una e<strong>la</strong>borazione teorico-matematica dei dati che si conclude con <strong>la</strong><br />

verifica. Di conseguenza, l'esperienza ordinaria è qualcosa di ancora ben lontano<br />

dal<strong>la</strong> <strong>scienza</strong> di Galileo. In primo luogo, perché l'esperienza quotidiana può<br />

essere ingannevole, tant'è vero che Galileo ha dovuto battagliare tutta <strong>la</strong> vita<br />

contro le «apparenze» immediate dei fenomeni, che sembravano attestare tesi<br />

opposte a quelle del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong>, ad esempio che <strong>la</strong> terra stia ferma e che i corpi<br />

cadano con velocità differenti; « Mi par duro a credere — esc<strong>la</strong>ma Simplicio nei<br />

Discorsi— che una <strong>la</strong>grima di piombo si abbia a muovere così veloce come una<br />

pal<strong>la</strong> di artiglieria » (ed è noto come, ancor oggi, lo studente o il principiante in<br />

fisica, debba fare una certa fatica per impadronirsi dei concetti di base del<strong>la</strong><br />

meccanica, in quanto è costretto a staccarsi dalle apparenze sensibili). In tal<br />

modo, con Galileo comincia ad affermarsi quel divorzio fra mondo del<strong>la</strong> fisica e<br />

mondo comune che è una caratteristica del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong> <strong>moderna</strong>.<br />

In secondo luogo, l'esperienza di per sé non ha valore scientifico se non viene<br />

legittimata dall'esperimento, al punto che si può dire che l'esperienza,<br />

scientificamente intesa, è l’esperimento. Analogamente, <strong>la</strong> verifica di cui par<strong>la</strong><br />

Galileo non è quel<strong>la</strong> immediata dei sensi, che può confermare teorie erronee,<br />

bensì <strong>la</strong> verifica come procedura complessa, intenzionalmente volta a produrre<br />

delle condizioni adeguate affinchè un certo evento possa prodursi. Infatti,<br />

essendo ogni fenomeno una realtà complessa, soggetta a molte influenze, lo<br />

scienziato deve cercare, ad arte, di riprodurlo in modo semplificato, astraendo il<br />

61


più possibile dalle circostanze disturbanti, come ad esempio l'attrito. Detto in<br />

termini galileiani: «quando il geometra [il fisico matematico] vuol riconoscere in<br />

concreto gli effetti dimostrati in astratto, bisogna che difalchi gli impedimenti del<strong>la</strong><br />

materia; che se ciò saprà fare, io vi assicuro che le cose si riscontreranno non meno<br />

aggiustatamente che i computi aritmetici». In tal modo, lo scienziato è costretto a<br />

trovare condizioni «su misura» che spesso non sono mai presenti nel<strong>la</strong> realtà immediata,<br />

ma solo in un <strong>la</strong>boratorio scientifico, e talora neanche in un <strong>la</strong>boratorio reale, ma solo<br />

in uno ideale (come succede ad esempio per il principio di inerzia).<br />

Da ciò il ricorso ai celebri (e tanto discussi) «esperimenti mentali», cui abbiamo già<br />

accennato, consistenti nel fatto che Galileo, non avendo talora <strong>la</strong> possibilità di<br />

effettuare <strong>la</strong> verifica delle proprie teorie, soprattutto per mancanza di strumenti tecnici<br />

adeguati, è costretto a ricorrere ad una sorta di fisica ideale non solo per formu<strong>la</strong>re le<br />

ipotesi, ma anche per verificarle. Egli «suppone» infatti l'assenza di forze, «immagina»<br />

piani perfettamente levigati, «si raffigura» il movimento nel vuoto ecc. Per<br />

dimostrare, ad esempio, <strong>la</strong> falsità del<strong>la</strong> teoria aristotelica sul<strong>la</strong> caduta dei gravi, Galileo<br />

escogita uno dei più famosi esperimenti teorici del<strong>la</strong> storia del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong>, quello dei due<br />

corpi che pur unendosi nel<strong>la</strong> caduta continuano ad avere <strong>la</strong> medesima velocità. La<br />

stessa cosa avviene per il principio d'inerzia e per altre scoperte.<br />

4.4. ____________________________________________________<br />

Ciò che si è detto sinora serve a far risaltare ancora di più i limiti del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong> antica<br />

rispetto a quel<strong>la</strong> galileiana.<br />

Si dice spesso che Aristotele e gli scienziati greci sbagliavano perché non si<br />

attenevano abbastanza ai fatti. Questa affermazione è vera solo in parte. Se, da un<br />

<strong>la</strong>to, gli antichi erravano per eccesso di teoria e di deduttivismo in quanto<br />

pretendevano di spiegare i fenomeni concreti partendo da principi generali<br />

astratti, dall'altro <strong>la</strong>to, sbagliavano per troppa «aderenza» al<strong>la</strong> realtà, cioè per una<br />

passiva accettazione dei fenomeni come appaiono a prima vista, senza sottoporre<br />

l’esperienza ad una approfondita critica teorica. Inoltre, <strong>la</strong> <strong>scienza</strong> antica di tipo<br />

aristotelico non faceva uso del<strong>la</strong> matematica e lo stesso p<strong>la</strong>tonismo — cui va<br />

riconosciuto il merito di aver tenuto viva l'idea di una costituzione matematica<br />

dell'universo — si fondava più su di una matematica magico-metafisica, consistente nel<br />

far corrispondere simbolicamente numeri e figure geometriche a determinati<br />

fenomeni, che su di una matematica scientifica, basata sul<strong>la</strong> misurazione e sul calcolo dei<br />

dati. Ma il limite più grave del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong> antica risiedeva, come ben sappiamo nel<strong>la</strong><br />

mancanza del controllo sperimentale. Infatti, non sottoponendo le proprie teorie ed<br />

induzioni a quel<strong>la</strong> «prova del fuoco» che è il «cimento» di tipo galileiano essa non<br />

poteva mai veri-ficare, cioè far-vere sul serio, le proprie affermazioni rimanendo<br />

obbligata a muoversi perennemente sul piano dell'astratto e del non control<strong>la</strong>bile,<br />

senza riuscire a trovare <strong>la</strong> via di quel<strong>la</strong> feconda compenetrazione fra ragione ed<br />

esperienza che costituisce <strong>la</strong> forza del metodo galileiano — <strong>la</strong> cui originalità più<br />

grande consiste proprio nell'aver saputo riunire in sé il momento osservativo ed<br />

induttivo del<strong>la</strong> ricerca, rappresentato dalle «sensate esperienze», con quello teorico e<br />

deduttivo, rappresentato dalle «necessarie dimostrazioni», e nell'aver saputo<br />

sintetizzare in modo mirabile ragione e sensi, osservazione e raziocinio, teoria ed<br />

esperimento, induzione e deduzione, matematica e fisica.<br />

5. Metodo e filosofia<br />

Con il suo metodo Galileo perviene a quel<strong>la</strong> struttura concettuale che costituisce lo schema<br />

teorico del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong> <strong>moderna</strong>: <strong>la</strong> natura è un ordine oggettivo e causalmente strutturato<br />

di re<strong>la</strong>zioni governate da leggi e <strong>la</strong> <strong>scienza</strong> è un sapere sperimentale-matematico<br />

intersoggettivamente valido.<br />

62


In partico<strong>la</strong>re, contro ogni considerazione finalistica ed antropomorfica del mondo,<br />

Galileo afferma che le opere del<strong>la</strong> natura non possono essere giudicate con un metro<br />

puramente umano, cioè sul<strong>la</strong> base di ciò che l'uomo può intendere o di ciò che a lui<br />

torna utile. È arroganza, anzi pazzia, da parte dell'uomo dichiarare inutili quelle<br />

opere del<strong>la</strong> natura di cui egli non intende l'utilità ai suoi fini. Noi non sappiamo a che<br />

cosa serva Giove o Saturno e non sappiamo neppure a che cosa servano molti dei<br />

nostri organi, arterie e carti<strong>la</strong>gini, che non sapremmo neppure di avere se non ci<br />

fossero mostrati dagli anatomisti. I nostri pareri o consigli non riguardano <strong>la</strong> natura e<br />

non hanno valore per essa le nostre ragioni probabili. Di conseguenza, non<br />

dobbiamo cercare perché <strong>la</strong> Natura opera in un certo modo (= causa finale), ma solo<br />

come opera ( = causa efficiente). Analogamente, contro ogni fìsica essenzialista, che<br />

pretenda di spiegare i fatti in base alle «essenze» o alle «virtù» (l'essenza del moto,<br />

<strong>la</strong> virtù del calore ecc… ), Galileo ribatte che lo scienziato deve esclusivamente<br />

occuparsi delle «leggi» che rego<strong>la</strong>no i fatti, ossia delle verificabili costanti di<br />

comportamento attraverso cui <strong>la</strong> natura agisce.<br />

Con questo discorso Galileo non intende negare, in assoluto, l'esistenza di finalità e di<br />

essenze, ma semplicemente accantonarle, ritenendone metodologicamente non-scientifica<br />

<strong>la</strong> ricerca, non essendo dato al<strong>la</strong> mente di conoscerle: « II tentar l'essenza, l'ho per<br />

impresa non meno impossibile e per fatica non men vana nelle prossime sostanze<br />

elementari che nelle remotissime e celesti: e a me pare essere egualmente ignaro del<strong>la</strong><br />

sostanza del<strong>la</strong> Terra che del<strong>la</strong> Luna...».<br />

5.1 ___________________________________________________________<br />

La struttura concettuale del metodo galileiano si presenta come una costruzione<br />

autonoma, che vale di per sé, indipendentemente da possibili giustificazioni<br />

filosofiche. Tuttavia, nel<strong>la</strong> mente di Galileo essa si accompagna, di fatto, ad alcuni<br />

schemi di natura teorico-filosofica che ne fungono, al tempo stesso, da motivi<br />

ispiratori e da giustificazioni specu<strong>la</strong>tive. In altre parole, Galileo, pur non essendo un<br />

filosofo e pur non avendo mai proceduto ad una fondazione sistematica del proprio<br />

metodo, si è ispirato, in concreto, ad alcune idee generali, di tipo «filosofico»,<br />

attinte per lo più dal<strong>la</strong> tradizione o da dottrine contemporanee, ma originalmente<br />

rie<strong>la</strong>borate ed atteggiate.<br />

a) La fiducia galileiana nel<strong>la</strong> matematica, ad esempio, viene incentivata e<br />

convalidata al tempo stesso dal<strong>la</strong> dottrina p<strong>la</strong>tonico-pitagorica del<strong>la</strong> struttura<br />

matematica del cosmo, ossia dal<strong>la</strong> persuasione che <strong>la</strong> «fattura» reale del mondo<br />

sia di tipo geometrico, per cui solo chi conosce il linguaggio matematico risulta<br />

in grado di decifrar<strong>la</strong>: «La filosofia è scritta in questo grandissimo libro, che<br />

continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l'Universo), ma non si<br />

può intendere se prima non s'impara a intender <strong>la</strong> lingua, e conoscer i caratteri<br />

ne' quali è scritta! Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli,<br />

cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a<br />

intenderne umanamente paro<strong>la</strong>; senza questi è un aggirarsi vanamente per un<br />

oscuro <strong>la</strong>birinto».<br />

a) II privilegiamento degli aspetti quantitativi del reale e <strong>la</strong> riduzione<br />

dell'oggetto scientifico a struttura matematicamente trattabile viene<br />

corroborata dal ricorso all'antica distinzione, atomistico-democritea, fra<br />

proprietà oggettive e proprietà soggettive dei corpi (che Locke chiamerà<br />

qualità primarie e secondarie). Le prime caratterizzano i corpi in quanto tali, le<br />

seconde esistono solo in re<strong>la</strong>zione ai nostri sensi. Infatti quantità, figura,<br />

grandezza, luogo, tempo, movimento, quiete, contatto, distanza, numero,<br />

sono proprietà inseparabili dai corpi materiali, mentre sapori, odori,<br />

colori, suoni, sussistono solo negli organi sensibili, ma non soni caratteri<br />

oggettivi dei corpi, sebbene siano prodotti da essi. Galileo paragona questi ultime<br />

qualità al solletico, che sebbene prodotto da una piuma, non è una qualità<br />

del<strong>la</strong> piuma. Riassumendo il tutto con le caratteristiche parole dello<br />

63


scienziato «stimo che, tolti via gli orecchi, le lingue e i nasi, restino bene le<br />

figure i numeri e i moti, ma non già gli odori né i sapori né i suoni, li quali fuor<br />

dell'animal vivente non credo che sieno altro che nomi, come a punto altro che<br />

nome non è il solletico e <strong>la</strong> titil<strong>la</strong>zione, rimosse l'ascelle e <strong>la</strong> pelle intorno al<br />

naso».<br />

e) La credenza nel<strong>la</strong> validità del rapporto causale e delle leggi generali<br />

scoperte dal<strong>la</strong> <strong>scienza</strong>, basate sul principio che a cause simili corrispondano<br />

necessariamente effetti simili, viene suggerita e avvalorata dal<strong>la</strong> persuasione<br />

dell'uniformità dell'ordine naturale che, seguendo un corso sempre identico a se<br />

stesso, risulta necessario ed immutabile come una verità geometrica.<br />

d) La fiducia nel<strong>la</strong> verità assoluta del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong> viene confortata mediante <strong>la</strong><br />

teoria secondo cui <strong>la</strong> conoscenza umana, pur differendo da quel<strong>la</strong> divina per il<br />

modo di apprendere e per l'estensione di nozioni possedute, risulta simile per<br />

il grado di certezza. Infatti, mentre Dio conosce intuitivamente, cioè in modo<br />

immediato <strong>la</strong> verità, l'uomo <strong>la</strong> conquista progressivamente attraverso il<br />

ragionamento discorsivo. Inoltre Dio conosce tutte le infinite verità, mentre l'uomo<br />

solo alcune di esse. Tuttavia, per quanto riguarda le dimostrazioni<br />

matematiche, <strong>la</strong> qualità del<strong>la</strong> certezza è identica (in quanto, ad esempio, 2 + 2 =<br />

4 vale sia per noi che per Dio).<br />

5. 2 ______________________________________________________<br />

Questo gruppo asistematico di giustificazioni filosofiche poggia, a ben vedere,<br />

su di un'unica credenza di base che sta a monte del <strong>la</strong>voro scientifico di Galilei<br />

e di ogni suo tentativo di legittimazione teorica: <strong>la</strong> corrispondenza fra pensiero ed<br />

essere, ossia <strong>la</strong> conformità fra ciò che <strong>la</strong> <strong>scienza</strong> sostiene e il mondo qual è<br />

veramente. Infatti, in Galileo vi è una tenace fiducia che lo porta ad interpretare<br />

il rapporto <strong>scienza</strong>-realtà in termini di riproduzione o rispecchiamento. Ad<br />

esempio, in astronomia egli ha sempre rifiutato di essere considerato un semplice<br />

matematico o «calcolista», ritenendosi uno studioso di fisica celeste, cioè un<br />

«matematico e filosofo» al tempo stesso, dove il termine «filosofo», usato secondo<br />

<strong>la</strong> prassi dei suoi tempi, sta ad indicare <strong>la</strong> portata ontologica e non puramente<br />

matematico-astratta delle sue teorie. Ed è proprio qui uno dei motivi di fondo<br />

dello scontro con <strong>la</strong> Chiesa cattolica e con Bel<strong>la</strong>rmino, che volevano invece<br />

«obbligarlo» a par<strong>la</strong>re del copernicanesimo in termini puramente «ipotetici».<br />

E tale persuasione «realista», nell'uomo e nello scienziato Galileo, è così forte da<br />

non <strong>la</strong>sciarsi scalfire neppure dalle insidie logiche del<strong>la</strong> cosiddetta «argomentazione<br />

di Urbano VIII» (che Galileo, nel Dialogo, mette in bocca a Simplicio,<br />

definendo<strong>la</strong> opportunisticamente «mirabile e veramente angelica») secondo cui lo<br />

studioso, non conoscendo le «infinite vie » del Creatore, non può mai essere sicuro<br />

che una sua teoria corrisponda veramente al modo seguito da Dio nell'ordinare le<br />

cose e deve quindi accontentarsi di par<strong>la</strong>re per sole «ipotesi».<br />

Ovviamente, mentre il ragionamento di Urbano VIII, che affondava le sue<br />

radici nel<strong>la</strong> tarda Sco<strong>la</strong>stica, era stato escogitato dall'esterno per deprimere le<br />

«superbie» del<strong>la</strong> nuova <strong>scienza</strong>, <strong>la</strong> fiducia realistica di Galileo nasceva<br />

dall'interno del<strong>la</strong> sua opera di ricercatore e più che di argomentazioni teoriche<br />

si alimentava dei successi del<strong>la</strong> <strong>scienza</strong>. Ma in tal modo Galileo <strong>la</strong>sciava ai<br />

filosofi successivi — insoddisfatti delle sue «giustificazioni», ritenute un po'<br />

grezze e semplicistiche — grossi problemi teorici e gnoseologici, su cui si<br />

arrovelleranno molte menti.<br />

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