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A. Schopenhauer - La vita umana tra dolore e noia - 1

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A. <strong>Schopenhauer</strong> - <strong>La</strong> <strong>vita</strong> <strong>umana</strong> <strong>tra</strong> <strong>dolore</strong> e <strong>noia</strong><br />

Nel brano che segue, <strong>tra</strong>tto ancora dal "Mondo come volontà e rappresentazione", <strong>Schopenhauer</strong><br />

delinea un dolente ri<strong>tra</strong>tto dell'essere umano. Creatura dotata del massimo grado di consapevolezza,<br />

l'uomo avverte con particolare evidenza il pulsare dentro di sé della forza volitiva, di una "mancanza"<br />

radicale che nulla può colmare, di un'aspirazione verso qualcosa che non sarà mai raggiunto. Ognora<br />

minacciata dalla morte (che si sa destinata a venire), la <strong>vita</strong> si configura per l'individuo come una<br />

dimensione cui non si riesce ad attribuire senso e valore. Di qui la continua oscillazione dell'uomo <strong>tra</strong> il<br />

<strong>dolore</strong> e la <strong>noia</strong>, quest'ultima connessa all'insoddisfazione nei confronti di sporadici appagamenti di<br />

desideri non veramente essenziali.<br />

Il suo (dell’uomo) vero e proprio essere è soltanto nel presente, la cui non<br />

<strong>tra</strong>ttenuta fuga verso il passato è un perenne passare nella morte, un perenne<br />

morire; ... Il presente sfugge ognora dalle sue mani diventando passato: l'avvenire<br />

è affatto incerto e sempre corto. È dunque la sua esistenza, anche se guardata<br />

soltanto sotto l'aspetto formale, un perenne precipitar del presente nel morto<br />

passato, un perenne morire. Ma ora guardiamola anche sotto l'aspetto fisico; è<br />

chiaro che, come il nostro camminare si sa essere nient'altro che un<br />

costantemente <strong>tra</strong>ttenuto cadere, così la <strong>vita</strong> del nostro corpo è un costantemente<br />

<strong>tra</strong>ttenuto morire, una<br />

morte sempre rinviata: e nello stesso modo, per concludere, l'attività del nostro<br />

spirito è un costante allontanare la <strong>noia</strong>. Ciascun respiro rimuove la morte ognora<br />

premente, con la quale noi veniamo così a combattere in tutti i minuti; come la<br />

combattiamo, a maggiori intervalli, con ciascun pasto, ciascun sonno, ciascun<br />

riscaldamento, e così via. Alla fine la morte deve vincere: perché a lei<br />

apparteniamo già pel fatto d'essere nati, ed ella non fa che giocare alcun tempo<br />

con la sua preda, prima d'inghiottirla. Frattanto continuiamo !a nos<strong>tra</strong> <strong>vita</strong> con<br />

grande interesse e gran cura, fin quando è possibile, come si gonfia più a lungo e<br />

più voluminosamente che si può una bolla di sapone, pur con la ferma certezza<br />

che scoppierà.<br />

Già vedemmo la natura priva di conoscenza avere per suo intimo essere un<br />

continuo aspirare, senza meta e senza posa; ben più evidente ci apparisce<br />

quest'aspirazione considerando l'animale e l'uomo. Volere e aspirare è tutta<br />

l'essenza loro, affatto simile a inestinguibile sete. Ma la base d'ogni volere è<br />

bisogno, mancanza, ossia <strong>dolore</strong>, a cui l'uomo è vincolato dall'origine, per natura.<br />

Venendogli invece a mancare oggetti del desiderio, quando questo è tolto via da<br />

un troppo facile appagamento, tremendo vuoto e <strong>noia</strong> l'opprimono: cioè la sua<br />

natura e il suo essere medesimo gli diventano intollerabile peso. <strong>La</strong> sua <strong>vita</strong> oscilla<br />

quindi come un pendolo, di qua e di là, <strong>tra</strong> il <strong>dolore</strong> e la <strong>noia</strong>, che sono in realtà i<br />

suoi veri elementi costitutivi. Tal condizione s'è dovuta singolarmente esprimere<br />

anche col fatto che quando l'uomo ebbe posti nell'inferno tutti i dolori e gli s<strong>tra</strong>zi,<br />

per il cielo non rimase disponibile se non appunto la <strong>noia</strong>. [..] L'uomo, come la più<br />

compiuta oggettivazione di quella volontà, è per conseguenza anche il più<br />

bisognoso di tutti gli esseri: è in tutto e per tutto un volere, un abbisognare reso<br />

concreto, è il concremento di mille bisogni. Con questi egli sta sulla terra,<br />

abbandonato a se stesso, incerto di tutto fuor che della propria penuria e delle<br />

proprie necessità: l'ansia per la conservazione di quell'esistenza, fra tante sì gravi<br />

e ogni giorno rinnovantisi esigenze, riempie di regola l'intera <strong>vita</strong> <strong>umana</strong>. Vi si<br />

collega immediatamente la seconda imperiosa brama, quella di continuare la<br />

specie. In pari tempo minacciano l'uomo da ogni parte i più svariati pericoli, per<br />

isfuggire ai quali occorre permanente vigilanza. [...]<br />

<strong>La</strong> <strong>vita</strong> dei più non è che una diuturna battaglia per l'esistenza, con la certezza<br />

della sconfitta finale. Ma ciò che li fa perdurare in questa si <strong>tra</strong>vagliata battaglia non<br />

è tanto l'amore della <strong>vita</strong>, quanto la paura della morte, la quale nondimeno sta<br />

ine<strong>vita</strong>bile nello sfondo, e può a ogni minuto sopravvenire. <strong>La</strong> <strong>vita</strong> stessa è un<br />

mare pieno di scogli e di vortici, cui l'uomo cerca di sfuggire con la massima<br />

prudenza e cura; pur sapendo, che quand'anche gli riesca, con ogni sforzo e arte,<br />

di scamparne, perciò appunto si accosta con ogni suo passo, ed anzi vi drizza in<br />

linea retta il timone, al totale, ine<strong>vita</strong>bile e irreparabile naufragio: alla morte. Questo<br />

è il termine ultimo del faticoso viaggio, e per lui peggiore di tutti gli scogli, ai quali è<br />

scampato.<br />

Ma qui ci si presenta subito come molto notabile, che da un lato i dolori e s<strong>tra</strong>zi<br />

dell'esistenza possono facilmente accumularsi a tal segno che la morte stessa, nel


fuggir la quale consiste l'intera <strong>vita</strong>, diviene desiderata, e spontaneamente le si<br />

corre incontro; dall'altro, che non appena miseria e <strong>dolore</strong> concedono all'uomo una<br />

tregua, la <strong>noia</strong> è subito vicino tanto, che quegli per necessità ha bisogno d'un<br />

passatempo. Quel che tutti i viventi occupa e tiene in moto, è la fatica per<br />

l'esistenza. Ma dell'esistenza, una volta che sia loro assicurata, non sanno che<br />

cosa fare: perciò il secondo impulso, che li fa muovere, è lo sforzo di alleggerirsi<br />

dal peso dell'essere, di renderlo insensibile, di «ammazzare il tempo», ossia di<br />

sfuggire alla <strong>noia</strong>. Quindi vediamo, che quasi tutti gli uomini al riparo dei bisogni e<br />

delle cure, quand'abbiano alla fine rimosso da sé tutti gli altri pesi, si trovano esser<br />

di peso a se stessi, e hanno per tanto di guadagnato ogni ora che passi, ossia ogni<br />

sot<strong>tra</strong>zione fatta a quella <strong>vita</strong> appunto, per la cui conservazione il più possibile<br />

lunga avevano fino allora impiegate tutte le forze, E la <strong>noia</strong> è tutt'altro che un male<br />

di poco conto; che finisce con l'imprimere vera disperazione sul volto. Essa fa sì<br />

che esseri, i quali tanto poco s'amano a vicenda, come gli uomini, tuttavia si<br />

cerchino avidamente, e diviene in tal modo il principio della socievolezza. Anche<br />

contro di essa, come contro altre universali calamità, vengono prese pubbliche<br />

precauzioni, e già per ragion di stato; perché questo male, non meno del suo<br />

estremo opposto, la fame, può spingere gli uomini alle maggiori sfrenatezze:<br />

panem et circense, vuole il popolo. II severo sistema penitenziario di Filadelfia fa<br />

strumento di punizione la semplice <strong>noia</strong>, per mezzo di solitudine e inazione: ed è sì<br />

terribile, che già ha condotto i reclusi al suicidio. Come il bisogno è il perpetuo<br />

flagello del popolo, così è flagello la <strong>noia</strong> per le classi elevati. Nella <strong>vita</strong> borghese è<br />

rappresentata dalla domenica, come il bisogno dai sei giorni di lavoro.<br />

Tra il volere e il conseguire <strong>tra</strong>scorre dunque intera ogni <strong>vita</strong> <strong>umana</strong>. Il desiderio è,<br />

per sua natura, <strong>dolore</strong>: il conseguimento genera tosto sazietà; la meta era solo<br />

apparente: il possesso disperde l'at<strong>tra</strong>zione: in nuova forma si ripresenta il<br />

desiderio, il <strong>dolore</strong>: altrimenti, segue monotonia, vuoto, <strong>noia</strong>, contro cui è la<br />

battaglia altrettanto tormentosa quanto contro il bisogno. [...] Gl'incessanti sforzi di<br />

bandire il <strong>dolore</strong> non servono che a mutarne l'aspetto. Questo è dapprima<br />

mancanza, bisogno, ansia per la conservazione della <strong>vita</strong>. Quando sia riuscito, il<br />

che è assai difficile, lo scacciare il <strong>dolore</strong> in questa sua forma, ecco che tosto si<br />

ripresenta in mille altre, variando secondo età e circostanze, come istinto sessuale,<br />

appassionato amore, gelosia, invidia, odio, paura, ambizione, avarizia, infermità,<br />

ecc.<br />

E se finalmente non riesca a trovar via in nessun'al<strong>tra</strong> forma, viene sotto la<br />

malinconica, grigia veste del tedio e della <strong>noia</strong>, contro cui si tentano rimedi variati.<br />

Quando poi si pervenga da ultimo a discacciare anche quelli, sarà difficile che<br />

accada senza riaprir con ciò la via al <strong>dolore</strong> in una delle precedenti forme, e<br />

ricominciar così il ballo da principio; imperocché <strong>tra</strong> <strong>dolore</strong> e <strong>noia</strong> viene ogni <strong>vita</strong><br />

<strong>umana</strong> di qua e di là rimbalzata. Per disanimante che sia questa considerazione,<br />

voglio tuttavia richiamare accessoriamente l'attenzione sopra un suo lato, dal quale<br />

si può attingere conforto, o anzi addirittura <strong>tra</strong>rre forse una stoica indifferenza per il<br />

proprio male. Che la nos<strong>tra</strong> intolleranza di esso procede massimamente dal fatto,<br />

che noi lo riteniamo venuto per caso, provocato da una catena di cause, la quale<br />

potrebbe agevolmente essere diversa. Per il male immediatamente necessario e<br />

affatto universale, come è per esempio la necessità della vecchiaia e della morte e<br />

di molti quotidiani disagi, non usiamo rattristarci. È piuttosto il considerar<br />

l'accidentalità delle circostanze, le quali ci produssero un <strong>dolore</strong>, che da a questo il<br />

pungolo. Se invece abbiamo conosciuto, che il <strong>dolore</strong> come tale è inerente<br />

all'essenza della <strong>vita</strong>, o è ine<strong>vita</strong>bile, e unicamente la sua figura, la forma in cui si<br />

presenta, dipende dal caso; che insomma il nostro <strong>dolore</strong> attuale riempi uno<br />

spazio, nel quale, se quello non fosse, immediatamente un altro subentrerebbe,<br />

per ora impedito dal primo; che quindi, in sostanza, ben poco potere ha su noi il<br />

destino; allora potrebbe una cotal riflessione, facendosi persuasione vivente, portar<br />

seco un notevole grado di stoica imperturbabilità, e diminuir l'angosciosa<br />

inquietudine per il nostro bene. Ma in realtà una sì efficace signoria della ragione<br />

sopra il <strong>dolore</strong> direttamente sentito, la si trova di rado, o mai.<br />

riportato in S. Moravia "Filosofia - I testi", Le Monnier, vol. III, pag. 75.

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