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pag. 1<br />

Dallo sballo all'empatia<br />

Diagnostica e terapia della tossicodipendenza<br />

don <strong>Isidoro</strong> <strong>Meschi</strong>


pag. 2<br />

“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”.<br />

(Giovanni 15, 13)


pag. 3<br />

<strong>Don</strong> <strong>Isidoro</strong> <strong>Meschi</strong><br />

Nato a Merate il 7 giugno 1945.<br />

Battezzato a Merate il 10 giugno 1945.<br />

Comunicato a Merate il 24 aprile 1954.<br />

Cresimato a Merate il 21 ottobre 1955.<br />

Ordinato Presbitero a Milano il 28 giugno 1969.<br />

Nominato Vicerettore nel Seminario Liceale di Venegono il 1 settembre 1969.<br />

Nominato Coadiutore a San Giovanni Battista in Busto Arsizio il 1 luglio 1972 e Canonico Teologo della<br />

Basilica di San Giovanni.<br />

Nominato Coadiutore a San Giuseppe di Busto Arsizio il 1 febbraio 1990.<br />

Chiamato alla Pasqua eterna il 14 febbraio 1991.


pag. 4<br />

INDICE<br />

Presentazione pag. 5<br />

Prefazione pag. 6<br />

I. DIAGNOSTICA:<br />

ASPETTI FONDAMENTALI DEL FENOMENO E CRITERI DI INTERPRETAZIONE<br />

La cultura dello sballo pag. 8<br />

La persona del tossicodipendente pag. 10<br />

L'amore dei genitori pag. 12<br />

Una parola sulla scuola pag. 13<br />

II. TERAPIA:<br />

TAPPE EDUCATIVE E METODI DI INTERVENTO<br />

La decisione di smettere pag. 16<br />

Il cammino educativo pag. 17<br />

Autoconoscenza pag. 18<br />

- Il carattere pag. 18<br />

- Le capacità pag. 22<br />

- La maturità pag. 23<br />

Comunicazione pag. 24<br />

- Metodo pag. 25<br />

Progettazione pag. 27<br />

Operatori di comunità pag. 29<br />

- La decisione volontaria pag. 30<br />

- Il raggiungimento dell'empatia pag. 31<br />

Ergoterapia pag. 33<br />

- Scopi pag. 33<br />

- Metodo pag. 33<br />

- Modalità operative pag. 34<br />

Logoterapia pag. 35<br />

- Articolazioni pag. 35<br />

- Modalità pag. 35<br />

Crescita delle conoscenze e programmi personalizzati pag. 37<br />

- Fasi dell'apprendimento pag. 37<br />

- Il motivo più profondo del conoscere pag. 38


pag. 5<br />

Presentazione<br />

Quest'opera postuma di <strong>Don</strong> <strong>Isidoro</strong> è postuma per modo di dire. Infatti egli non è più con noi ma lo è<br />

ancora, in modo forse più incisivo. Se prima era vivo, ora è un vivo di prima classe e soprattutto è viva la<br />

comunità creatasi attorno a lui: la comunita dei validi collaboratori e degli accolti per un cammino<br />

ascensionale dallo sballo all'empatia, come dice il titolo dell'opera.<br />

Nel testamento spirituale di <strong>Don</strong> <strong>Isidoro</strong> si trovano le ragioni della comunità Marco Riva: “In Lui (Gesù),<br />

con Lui e per Lui scoprite quanto è bella la vita, in tutte le sue espressioni autentiche”.<br />

Questo prete, che nell'esercizio del suo ministero, specialmente tra i giovani, si accorge che molti di essi<br />

sono diventati schiavi di una inautenticità di vita quale lo sballo (cioè la ricerca del piacere a qualsiasi costo,<br />

anche a costo di tirarsi fuori dalla realtà e vivere in un mondo apparentemente e inizialmente attraente, ma in<br />

realtà infelice e non autentico), scopre una nuova vocazione all'interno della sua vocazione di innamorato<br />

della vita perchè innamorato di Cristo.<br />

Molti affrontano il problema droga con estrema superficialità: o con giudizi sommari di condanna, o con un<br />

approccio pressapochista senza basi scientifiche o con quel volontarismo bonaccione che fa più male che<br />

bene. Alla Marco Riva invece <strong>Don</strong> <strong>Isidoro</strong>, oltre al suo impegno generoso e alla sua testimonianza fulgida di<br />

carità, ha impresso l'impronta della dignità culturale e del rigore scientifico, circondandosi di collaboratori<br />

competenti ed onesti. Forse il cammino sarà lungo e difficile, ma non sarà impossibile ricreare nelle persone<br />

cadute nel vortice dello sballo, la voglia di rigenerarsi ad una nuova autenticità di vita, la capacità di<br />

superare i velleitarismi e di comunicare col dialogo, col lavoro, con la vita, con la famiglia, con la società da<br />

cui erano fuggiti.<br />

Questo scritto che <strong>Don</strong> <strong>Isidoro</strong> mi omaggiò a Natale, dicendomi quasi furtivamente: Stiamo pensando di<br />

pubblicarlo, è ben degno di pubblicazione, anche se non è di facile lettura. E' per tutti un invito a non<br />

occuparsi del massiccio e grave fenomeno della droga in maniera superficiale. E' per gli stretti collaboratori<br />

di <strong>Don</strong> <strong>Isidoro</strong> una specie di carta costituzionale dello stile di lavoro e di ricerca. E' per i giovani accolti<br />

nella comunità Marco Riva, la garanzia di ricevere l'aiuto giusto al momento giusto.<br />

E' per la città di Busto Arsizio una consegna morale, come ancora recita il testamento di <strong>Don</strong> <strong>Isidoro</strong>:<br />

“Davanti a qualsiasi fratello abbiate il coraggio di non chiudere né mente né cuore: Gesù ce ne rende<br />

capaci e ci fa avere il suo centuplo”.<br />

Mons. Claudio Livetti - Prevosto di Busto Arsizio


pag. 6<br />

Prefazione<br />

La Comunità “Marco Riva” di Busto Arsizio con la presente pubblicazione intende rivolgersi a tutte quelle<br />

persone che desiderano cogliere quali siano gli aspetti davvero essenziali del diffuso e assai discusso<br />

problema droga.<br />

Il testo è di proposito sintetico e, in qualche parte, di genere volutamente esemplificativo; suppone però una<br />

relativa completezza: quella di proporre all'itinerario fondamentale e imprescindibile per combattere<br />

fruttuosamente la “sirena dello sballo”.<br />

Dalle seguenti pagine sono ricavabili anche quei criteri che, non solo in sede diagnostica e terapeutica ma<br />

pure nell'ambito di una considerazione globale, non debbano venire smarriti al fine di superare il rischio di<br />

percorrere riflessioni, in sé legittime e valide, ma fuorvianti la preoccupazione di restare a quanto si rivela<br />

veramente il nocciolo della questione e la radice principale del problema.<br />

Le tesi presentate sono serene convinzioni, esito soprattutto di un'esperienza diretta condotta dal 1982 nella<br />

città di Busto Arsizio.<br />

L'ex “Manchester italiana” raccorda le situazioni dell'Alto Milanese e del Basso Varesotto e offre così un<br />

quadro significativo e rappresentativo della Lombardia operosa e ricca, perciò essa risulta emblematica di<br />

parecchie peculiarità del cammino storico ed etico degli ultimi decenni.<br />

Un augurio vivissimo desidera venire espresso dagli estensori: quello che gli ultimi anni del XX secolo<br />

vedano una decisiva inversione di marcia dell'escalation tossicomanica che ha deviato e distrutto un<br />

incommensurabile capitale di energie, di valori, di vite da trent'anni ad oggi.<br />

Busto Arsizio, Capodanno 1991


pag. 7<br />

DIAGNOSTICA<br />

Aspetti fondamentali del fenomeno<br />

e criteri di interpretazione


pag. 8<br />

La cultura dello sballo<br />

Il discorso può venir fatto partire da un principio indispensabile e meraviglioso della vita: il principio del<br />

piacere.<br />

Tale principio da un lato ci porta a quanto ci appare attraente, dall'altro ci allontana da quanto ci appare<br />

doloroso; pienezza del piacere è l'estasi, che si attua quando ciò che attrae occupa totalmente la persona<br />

nelle sue facoltà percettive.<br />

Per spiegare la centralità, nel comportamento umano, di questo principio, possiamo ripensare a Lorenzo<br />

Valla, che nel “De voluptate ac de vero bono” mostra che il piacere è il vero bene, che l'azione umana, anche<br />

quella che sembra più pura e disinteressata, è determinata dal piacere. Non amiamo la virtù per se stessa, ma<br />

per il piacere che ci procura; per fare un esempio, Catone non si è tolta la vita per amore della virtù, ma<br />

perchè non tollerava il giogo di Cesare.<br />

La “voluptas” di cui parla Lorenzo Valla non è libertinaggio, abbandono agli istinti, ma quel piacere che non<br />

è in contrasto con l'onesto.<br />

Il piacere che dà spazio allo “sballo” assomiglia invece a quanto esaltato da alcuni autori greci come Sesto<br />

Empirico, Diogene Laerzio, Ateneo, Eliano, per i quali il piacere è bene, il dolore è male; i piaceri del corpo<br />

sono preferibili a quelli dello spirito; è inutile cercare di raggiungere la felicità piena, “perchè fine è il<br />

piacere particolare, mentre felicità è il sistema dei piaceri particolari, cui si sommano anche i passati ed i<br />

futuri. Il piacere particolare è per se stesso desiderabile, mentre la felicità non lo è per se stessa, bensì per i<br />

piaceri particolari”.<br />

Possiamo rendere in linguaggio più semplice questo pensiero di Diogene Laerzio affermando che, secondo<br />

questo autore, la felicità in sé è un'astrazione; ciò che si desidera e ciò che rallegra la vita sono i singoli<br />

piaceri, in particolare se corporalmente sperimentabili. Vero piacere è quello goduto attimo per attimo:<br />

“l'aver goduto o l'essere per godere nulla stimava in se stesso, l'uno perchè non più, l'altro perchè non è<br />

ancora” (Ateneo); “solo il presente è nostro e non il momento precedente” (Eliano).<br />

La massima di Eliano può essere vista come l'invito a considerare unico vero bene solo l'attimo piacevole<br />

fuggente; il “tutto adesso” esprime l'aspirazione e la regola di vita.<br />

Virtù, cioè traguardo a cui tendere incessantemente, diventa <strong>qui</strong>ndi la capacità di godere e ciò che mette gli<br />

uomini in condizioni di godere il più intensamente possibile.<br />

Se i piaceri vengono suggeriti sempre meno dall'impellenza del necessario e sempre più dal richiamo del<br />

superfluo, gli spazi dei richiami del piacere tendono a diventare infiniti; in particolare tendono ad escludere<br />

l'avvertenza critica sulla validità antropologica di certi piaceri e sulla conciliabilità tra il proprio piacere e la<br />

libertà propria e altrui.<br />

Simili considerazioni sono pertinenti con lo sballo del drogato?<br />

Una risposta serena, obiettivamente, non può che essere affermativa: lo sballo infatti è definibile come il<br />

piacere e l'estasi ad ogni costo, nel culto dell'immediato, nel rifiuto dell'attesa, dell'impegno e del sacrificio.<br />

Lo sballo è l'immersione immediata, totale, facile in quanto, non importa se artificiale e gravato da infauste<br />

conseguenze, fa sentire abbacinati di piacere.<br />

Lo sballo non è semplicemente un estasi artificiale, ma uno stile di vita che si costruisce con il sistematico<br />

rifiuto di misurarsi con la realtà personale, relazionale, spazio-temporale, storica.<br />

Questa peculiarità dello sballo appare in modo immediato quando, ad esempio, il tossicodipendente riferisce<br />

le proprie esperienze di vita in termini che s'avvicinano al delirio di onnipotenza (“smetto come e quando<br />

voglio”; “i soldi non sono un problema”), oppure al delirio di annientamento (“non sono che uno schifo”;<br />

“chi se ne frega se prendo l'AIDS”; “ per un mondo così è inutile impegnarsi”).<br />

Per chi vive lo sballo anche le relazioni affettive sono del tutto dipendenti da un'immagine della realtà<br />

generata dalle spinte più utilitaristiche, perchè l'opportunismo è l'unico aggancio alla realtà, così che è solo<br />

partendo dal bisogno primario del trovarsi accudito (la comunità come una nuova casa) che si possono<br />

inserire rapporti umani in prospettiva terapeutica.<br />

Lo sballo, per certi aspetti, è conseguenza di una pedagogia che proponga alla persona il diritto al proprio


pag. 9<br />

piacere senza correlarlo con il dovere della verifica del piacere stesso e della responsabilità del vivere tra le<br />

esigenze altrui.<br />

La trasgressione, infine, ancorchè valichi le barriere del rispetto, appare come una diversificazione, con il<br />

procedere delle esperienze impellente e necessaria, del piacere.<br />

Parlare dello sballo significa anche impegnarsi in una revisione della mentalità e delle proposte con le quali<br />

quotidianamente tutti noi ci incontriamo.<br />

Le coordinate del piacere e della celerità caratterizzano e impostano la vita economica ma anche quella<br />

sociale e psicologica, delle attuali società industrializzate.<br />

Le coordinate del piacere e della celerità caratterizzano e impostano la vita economica ma anche quella<br />

sociale e psicologica, delle attuali società industrializzate.<br />

La droga, infatti (tra gli altri lo sostiene Regoliosi nei suoi studi sulla prevenzione della tossicodipendenza<br />

pubblicati nel Bollettino curato dal Ministero della Sanità), si è venuta innestando in un contesto culturale<br />

già predisposto “alla dipendenza da consumi”.<br />

Di fatto oggi un ragazzo cresce con davanti a sé l'esempio di adulti che fumano tabacco, fanno uso di<br />

alcolici e psicofarmaci, riversando su tali sostanze aspettative e vissuti emotivi che le trascendono.<br />

Egli stesso, poi, fin da bambino, si abitua a fruire di giocattoli, dolciumi, televisione, quali comodi surrogati<br />

di una relazione affettiva e ludica con genitori ed educatori troppo spesso carente”.<br />

Tale “filosofia” di vita trova i propri atteggiamenti caratterizzanti (cfr quanto spiegato nel capitolo sulla<br />

logoterapia):<br />

-nella provvisorietà della condotta di vita;<br />

-nel fatalismo,<br />

-nella mentalità formata con processi di massificazione,<br />

-nel fanatismo come assenza di considerazione per i diritti e le idee dell'altro.<br />

E' un quadro dove emergono i tratti di una completa mancanza di riferimenti ideali, di un'assenza di veri<br />

progetti di vita personali e sociali, di una marcata indifferenza o, anche, di un forte fastidio per gli altri.


pag. 10<br />

La persona del tossicodipendente<br />

In un dibattito tenuto in una scuola media superiore nel 1977 ci capitò di registrare affermazioni dal<br />

seguente tono: molti giovani si drogano perchè hanno paura di vivere, perchè sono stufi di questa società<br />

perbenista, bella al di fuori ma all'interno in stato di decomposizione. La loro scelta può essere condannata,<br />

ma prima perchè non facciamo un esame di coscienza dentro di noi? Siamo stati noi a spingerli in un vicolo<br />

cieco, noi che nulla abbiamo fatto per capire i loro problemi e cercare di aiutarli e in molti casi poteva<br />

bastare solo una parola.<br />

Il 1° settembre 1979 “La Repubblica” pubblicò una lettera della quale riportiamo qualche passo saliente:<br />

“Siamo drogati e i drogati non trovano lavoro, nessuno si fida, ci avete spinto ai margini della società senza<br />

speranza. Voi, persone normali, siete disposte ad accettare il drogato, certo, solo però se vuol smettere di<br />

bucarsi, solo se si vuole reintegrare ma alle vostre condizioni. Ebbene, io non voglio vivere la vostra società<br />

e non ho più l'illusione vana di poterla cambiare come quando ero giovane (l'autrice della lettera ha<br />

vent'anni, n.d.r.). Allora davo tutta me stessa alla lotta politica, pensavo di contribuire con un cambiamento<br />

reale, fattibile della società. Ma poi ho capito, ho creduto di capire: impossibile fermare questa macchina,<br />

l'inferno di questa vita. Ormai non spero più di riuscire a vivere come vorrei e allora, per lo meno, voglio<br />

morire come mi pare”.<br />

A più di dieci anni emerge invece con chiarezza che il tossicodipendente si caratterizza non per la delusione<br />

di un ideale di protesta sociale, ma per l'immersione passiva in “una cultura debole, floscia, priva di valori e<br />

di stimoli coraggiosi e nobili” (C.M. Martini, 1989). I tossicodipendenti, in questi ultimi anni, si mostrano<br />

come gli esiti della spinta a vivere e a godere la vita attraverso la soddisfazione e il più pronta possibile, di<br />

tutti i desideri.<br />

D'altro canto qualche “drogato” anche allora riusciva ad anticipare questa diagnosi, come l'Augusto che il 24<br />

settembre 1979 così scrisse a “Panorama”.<br />

“Se hai i soldi e se qualcuno piazza bustine, corri a bucarti. Puoi aver fatto cinque anni di filosofia come me<br />

e sopportare a stento di leggere Topolino.<br />

La donna di un drogato potrà farsi in quattro, lavorare d'intelligenza e d'amore, ma non avrà mai niente in<br />

cambio. Sto con te, ma non contarci, perchè l'eroina è più forte di te e sarà sempre un mare di bugie”.<br />

La possibilità di provare (“se hai i soldi e qualcuno piazza”) diventa la voglia di provare, la “decisione” di<br />

provare.<br />

Il rifiuto di pensare (“puoi aver fatto cinque anni di filosofia come me e sopportare a stento di leggere<br />

Topolino”) diviene stato di vita non solo per la persona senza status socio-culturale, o addirittura<br />

emarginata, ma pure per chi è intelligente e colto.<br />

La forza dello sballo finisce a prevalere su tutto “l'eroina è più forte di te”.<br />

La fuga dalla verifica, in qualsiasi campo e ambito di vita, in special modo nel cercare il motivo, la genesi,<br />

la storia della propria tossicodipendenza, è costante: “sarà sempre un mare di bugie”.<br />

In una specie di scheda diagnostica della tossicodipendenza possiamo così precisare i due atteggiamenti<br />

caratterizzanti i soggetti che assumono droga o che continuano ad essere a rischio:<br />

1. Ricerca ed esperienza esasperata del piacere, voluto ad ogni costo.<br />

Da questo atteggiamento derivano precise conseguenze sul piano comportamentale, soprattutto:<br />

- il rifiuto di una vera terapia, con la mistificazione continua del vero motivo della dipendenza dalla droga;<br />

- l'incapacità di rapporti autentici con le persone non è possibile, infatti, nessun tipo di relazione paritetica di<br />

amicizia, di affetto e di vicendevole aiuto tra persone che operano secondo i criteri generati dalla scelta del<br />

piacere quale costantemente supremo valore di vita;<br />

- l'incapacità a perseguire e, pertanto, alla lunga, a ideare, autonomamente un programma di vita proprio<br />

perchè questo esige il contrario del “tutto e subito” al quale il tossicodipendente è legato.


pag. 11<br />

2. Paura e fuga dall'incontro con la realtà.<br />

Le conseguenze comportamentali risultano, in particolare:<br />

- l'incapacità di giudizio realistico (soprattutto nell'autovalutazione);<br />

- la non veridicità oggettiva delle comunicazioni, pure nei casi di sincerità soggettiva;<br />

- l'impossibilità di programmare il futuro, con il rifiuto del valore e della necessità del tempo.<br />

La situazione interiore della persona tossicodipendente è quella di un soggetto anestetizzato dall'esperienza<br />

e/o dal miraggio del piacere artificiale e facile, veramente confuso nella conoscenza di sé; in lui non c'è la<br />

minima preoccupazione di un'autoanalisi né a proposito del proprio carattere, né a riguardo delle proprie<br />

doti.<br />

Il parlare di maturità diventa del tutto impossibile, non essendoci motivazioni autonome e, come evidente,<br />

mancando del tutto una vera ricezione della propria personalità.<br />

Il soggetto tossicodipendente non può porre comunicazioni personali vere e proprie con gli altri, non<br />

riuscendo ad essere interlocutore neppure con se stesso; se poi consideriamo che da tempo le sue relazioni<br />

sono con le persone del giro, o con le persone in qualche modo viste come ricattabili, non ci si meraviglia<br />

che il risultato sia un narcisismo esibizionista che però in realtà esibisce quanto è stato prodotto dalla droga.<br />

Alla persona tossicodipendente risultano preclusi programmi e progettazioni che non abbiano come motore e<br />

destinazione il piacere immediato e <strong>qui</strong>ndi vi è la mancanza di realismo in qualsiasi discorso diverso, sia per<br />

quanto riguarda i traguardi sia per quello che attiene alle vie e alle modalità per raggiungerli.<br />

L'esito conclusivo dell'uso di droga, <strong>qui</strong>ndi, in termini di danno psicologico, è l'amputazione della volontà,<br />

confusa con la velleità o, più spesso, il semplice desiderio.<br />

Sviluppando le precedenti indicazioni, si pone in risalto il fatto che la fuga dalla realtà può assumere i<br />

connotati dell'apatia o dell'autoemarginazione (<strong>qui</strong>ndi più spesso conseguenza che non causa della<br />

tossicodipendenza).<br />

L'aggressività, sia verso se stessi (derivazione della thanatos freudiana), sia verso gli altri con l'esplosione in<br />

varie forme di violenza è una risultante collaterale dell'esasperazione narcisistica.<br />

Il vitalismo e lo spontaneismo anarcoide con il rifiuto dei limiti razionali, delle leggi civili, delle regole di<br />

convivenza sociale diviene come una bandiera di riconoscimento, indipendentemente dal contesto storico e<br />

dai movimenti ideologici e non (pensiamo agli ultras delle tifoserie) tra i quali spesso il tossicodipendente si<br />

inserisce.<br />

Gli atteggiamenti che finiscono per prevalere sono il senso di fatalità e di rassegnazione passiva: la<br />

situazione di vita diventa quella della incomunicabilità e della disperazione.<br />

Poiché, come abbiamo visto, il tossicodipendente assume il metodo della soddisfazione qualun<strong>qui</strong>stica dei<br />

desideri secondo la logica irresponsabile e asociale del “tutto e subito”, di lui può diventare immagine la<br />

Sara, protagonista di “Ammazzare il tempo” della Ravera, che vive i suoi ventisei anni “come fossero<br />

quaranta. Metifica e cadaverica mi aggiro vivissima in un vivissimo pianeta di morti”.<br />

Fissati i criteri diagnostici della tossicodipendenza, rivediamo criticamente qualche argomento,<br />

apparentemente assodato, inerente al problema droga.


pag. 12<br />

L'amore dei genitori<br />

Un luogo comune, ancora di notevole vitalità, è quello che vede nella mancanza di amore dei genitori una<br />

ragione fortissimo della vicenda tossicomanica di tanti giovani.<br />

Si tratta di un'affermazione che necessita di un esame critico molto attento.<br />

Che cosa significa, infatti, “genitori senza amore”?<br />

Se per amore si ritiene l'occuparsi e il preoccuparsi perchè i figli “abbiano tutto”, notiamo che in realtà<br />

molto spesso i tossicodipendenti sono figli di coppie che “hanno dato tutto”.<br />

Anzi, una generosità senza riserve sul versante del fornire beni e dell'offrire esperienze ai figli è elemento<br />

indubbiamente favorevole alla “cultura dello sballo”.<br />

Notato per inciso che il fallimento di un'educazione non è sempre imputabile all'educatore (pensiamo vada<br />

bene per tutti, cristiani e non, l'esperienza di Gesù di Nazareth con Giuda Iscariota), riteniamo importante<br />

indicare quale sia l'amore che aiuta la maturazione di personalità sane, e non a rischio di tossicodipendenza<br />

sotto vere e mentite spoglie, capaci di smascherare le seduzioni dello sballo, di resistervi senza compromessi<br />

e di ricercare al loro posto l'autentica felicità personale.<br />

Si tratta di un amore che, riconoscendo concretamente e non solo in linea di principio il figlio quale persona<br />

da scoprire e da incontrare oltre che da accudire, educhi progressivamente alla consapevolezza della propria<br />

identità e alla gestione della propria libertà.<br />

Si deve <strong>qui</strong>ndi essere esigenti su questi obiettivi primari di educazione e mostrare coerentemente, e senza<br />

veli, le conseguenze reali dei diversi comportamenti.<br />

La carenza vera dei genitori perciò non sta nel rifiuto di dare ma nella paura, nella rinuncia a chiedere, nella<br />

genericità del dialogare e, ancor più nell'età adolescenziale, nell'incertezza e nell'imprecisione a proposito di<br />

forti testimonianze sui significati e sui valori della vita.<br />

Quando i genitori esauriscono il meglio delle proprie energie psicologiche nelle molteplici attività non<br />

strettamente finalizzate al rapporto personale diretto con i figli, non possono far altro che diventare<br />

iperprotettivi e/o iperconcessivi, con la tendenza a dare molte cose quale inconscia riparazione del “non<br />

dare” se stessi.<br />

Le famiglie diventano così la catena di trasmissione ideale della logica consumistica e, quando manca una<br />

capacità critica di scelta dei consumi, qualsiasi consumo può diventare prassi di vita.<br />

Una persona, cresciuta soltanto con la pretesa di essere soddisfatta - o almeno sistematicamente compensata<br />

- e con le amplificazioni senza limiti del superfluo, si rivela non pronta per nessun piano preciso di vita.<br />

I genitori dei tossicodipendenti perciò sono colore che amaramente si trovano a capire quanto sia stato<br />

pericoloso non insegnare ai propri figli concetti di gratuità e di necessità.<br />

Attraverso regali sempre più costosi, magari finalizzati a incentivare promozioni scolastiche o successi<br />

agonistici, i loro figli non hanno mai sperimentato la ricerca e la con<strong>qui</strong>sta di autentiche soddisfazioni<br />

interiori e sono infine giunti ad essere dipendenti dal piacere aggiuntivo e inutile, materiale, totalizzante.<br />

Forse spiegano meglio le parole di un ragazzo incontrato tra i drogati : “Mi spaventa terribilmente questa<br />

casa DOVE NON RIESCO A PARLARE con i miei genitori che vedo tante volte ; dove ci si comporta<br />

secondo schemi diventati abitudine senza accorgersene; dove stiamo SOLI CON TANTE NOSTRE COSE<br />

senza pensare che si possono condividere con gli altri le nostre gioie e i nostri dolori. E' triste; ci si arrende;<br />

si corre verso lo sballo”.<br />

Nella famiglie si dovrebbe compiere la scoperta di cui parlò tanto Enzo Paci: ogni uomo è un'isola che<br />

affiora alla vita da un continente sommerso; vediamo altere isole e il mare ci sembra una barriera<br />

insuperabile, ma sotto il mare c'è una sola terra continua che ci lega l'uno all'altro.<br />

E' una scoperta frutto di tanta fatica ma salva dalla paura, dalla noia e dalle ingannevoli sirene.


pag. 13<br />

Una parola sulla scuola<br />

Il discorso della scuola come luogo dell'insegnamento e, in alternativa o in integrazione, della scuola come<br />

ambito profondamente educativo deve sempre mettersi a confronto con la frammentazione in svariatissimi<br />

canali del sapere e con gli interrogativi, spesso irrisolti, sui valori umani e sulla natura e sul senso della<br />

libertà.<br />

Un adolescente, oltre alla famiglia, incontra altre “scuole”, spesso efficacissime nel plasmare atteggiamenti<br />

e mentalità di fronte alla vita. Queste scuole sono individuabili nei mass-media, in particolare in “mammatelevisione”;<br />

nei luoghi di ritrovo: il bar, la piazza, la discoteca.<br />

Il problema della scuola diventa perciò anche quello di correlarsi con le esperienze di vita degli alunni,<br />

suscitate ed ispirate da un notevole numero di ambienti e da differenti indicazioni sui valori della vita.<br />

Quale spunto per una riflessione di carattere generale, notiamo che, se la scuola non riesce a trasmettere<br />

motivazioni per l'apprendere e per il crescere, e se in essa si riflettono diversi meccanismi alienanti e le<br />

prospettive di n futuro affidato all'abilità di arrangiarsi o condannato alla passività di una, più o meno,<br />

ac<strong>qui</strong>etante rassegnazione, paradossalmente, ma non del tutto, essa può diventare tentazione per cedere alla<br />

“cultura dello sballo”.<br />

Per non lasciar mancare risposte a questi dati obiettivi una strada è quella di porre in relazione la didattica,<br />

scienza dell'insegnamento, con la psicologia, scienza dell'animo umano nel suo vario, concreto, situato<br />

evolversi.<br />

Storicamente i rapporti tra psicologi e didattica sono molto antichi: li possiamo vedere abbozzati (ed è<br />

Piaget stesso a notarlo) nella stessa maieutica socratica.<br />

Tuttavia altri autori come Comenio, Rousseau, Pestalozzi, ebbero al riguardo intuizioni significative e<br />

basilari: infatti, non dobbiamo scordare il rischio di dimenticare che la didattica ha degli aspetti specifici<br />

derivanti dai diversi tipi di sapere che si vogliono comunicare. A controprova si è sperimentato che<br />

l'attivismo, cioè l'insegnamento basato sul rendere attiva la psiche dell'allievo senza verificare in modo più<br />

preciso l'effettivo apprendimento (questo è tipico, per esempio, nell'impostazione di Claparède), ha portato a<br />

una riduzione della didattica alla psicologia, con nessun vantaggio né per la psicologia né per la didattica.<br />

Occorre però riconoscere che tale forma di riduzionismo è riuscita a far guadagnare un punto fermo al<br />

discorso pedagogico (e non solo a quello): il fatto che esso deve rispettare regole di una corretta attività<br />

interdisciplinare nell'ambito della quale ogni scienza ha un suo specifico compito da svolgere in termini<br />

esclusivi, e in nessun modo alternativi a quella di altre scienze.<br />

Così il ridurre la didattica a psicologia significava il non aver chiaro che la didattica ha, ad esempio, i suoi<br />

legami anche con l'antropologia, con la teleologia che dettano ad esempio, quali sono i fini dell'educazione:<br />

ambito questo che non spetta alla psicologia.<br />

Non è <strong>qui</strong>ni possibile esaminare a fondo i rapporti tra filosofia, psicologia e scienze umane (cioè tutte le<br />

discipline che, con metodo sperimentale, studiano le leggi della reattività e dell'apprendimento), ma basterà<br />

accennare ai tentativi di mediazione compiuti da Allport e Maslow. Tali autori, affermando che la filosofia<br />

della persona è inseparabile dalla psicologia della persona, ci pare possano fondare un atteggiamento<br />

corretto da un punto di vista scientifico e un ricercare attento ed e<strong>qui</strong>librato da un punto di vista umano.<br />

Insegnare è far apprendere, ma vari autori (per esempio Bruner) hanno rilevato come sarebbe sterile una<br />

teoria dell'insegnamento che si rifacesse unicamente ai dettami di una teorica dell'apprendimento.<br />

Risulta peraltro ormai ac<strong>qui</strong>sito sul piano di un discorso pedagogico come oggetto della didattica non è l'atto<br />

dell'insegnare cui contrapporre l'atto dell'apprendere, ma piuttosto la totalità del rapporto docente-discente<br />

nei diversi modi dati dall'età e dalla capacità in cui avviene.<br />

Premesso quanto sopra, presentiamo una linea di proposte.<br />

I. Presupposti:<br />

- considerare gli alunni quali soggetti, ciascuno dotato di una personalità inconfondibile, aventi il dirittodovere<br />

di capire;


pag. 14<br />

- incontrare gli studenti, superando la contrapposizione docente-discente, per scoprire la funzione<br />

dell'insegnare come un porre dei riferimenti, dei criteri, delle conoscenze, da insegnare in modo davvero<br />

personale, passando attraverso una ricerca comune;<br />

- chiarire il concetto dell'esercizio della libertà, così da rendersi conto, in particolare, del diritto e dello<br />

spazio degli altri e da far proprie le responsabilità di attenzione e di intervento in favore di chi non riesce ad<br />

usufruire dei diritti comuni;<br />

- applicare una scelta culturale dove l'uomo sia davvero centrale rispetto agli interessi economici e agli<br />

apriori ideologici.<br />

II. Obiettivi:<br />

- cercare sempre in qualsiasi situazione, su qualsiasi tematica, di condurre un esame serenamente ragionato;<br />

occorre dare ragione di ciò che si insegna, di ciò che si comunica, di ciò che si apprende;<br />

- proporre, e di fatto percorrere, itinerari che permettano un riconoscimento sempre più lucido di se stessi, in<br />

particolare delle proprie capacità di intelligenza, della natura dei propri talenti personali, della forza reale<br />

della propria volontà, della fiducia nella libertà e nella verifica della valorizzazione reale di questa libertà,<br />

del proprio modo di impostare relazioni personali, di esprimere un pensiero davvero logico e documentato,<br />

di partecipazione reale alle dinamiche comunitarie, di assunzione senza sconti delle proprie responsabilità.<br />

III. Metodi:<br />

- portare all'evidenza le motivazioni in ogni tipo di studio, di impegno di propota;<br />

- formare progressivamente all'attitudine di interpretare, in maniera lucida e cosciente, i processi di<br />

apprendimento;<br />

- ac<strong>qui</strong>sire i linguaggi più appropriati e più espressivi per ogni tipo di comunicazione e di relazione;<br />

- decodificare i vari linguaggi, in particolare quelli dei mass-media;<br />

- discutere con realistico coraggio i programmi e rielaborarli in rapporto alle persone impegnate in quella<br />

realtà scolastica, in quel particolare momento evolutivo e periodo storico, in quella specifica situazione<br />

socio-geografico-culturale.


pag. 15<br />

TERAPIA<br />

Tappe educative e metodi d'intervento


pag. 16<br />

La decisione di smettere<br />

La presentazione diagnostica delle condizioni del tossicodipendente mostra che, di fatto, chi assume<br />

abitualmente droga desidera evitarne le conseguenze dannose ma è assolutamente incapace di voler davvero<br />

rinunciare alla droga stessa.<br />

Come inserire allora l'avvio di un intervento terapeutico? Normalmente questo è possibile quando il<br />

convergere di parecchie problematiche (come le difficoltà, anche drammatiche, di ordine economico; i<br />

problemi, anche serissimi, di salute; la conflittualità piena di contorsioni e di violente spaccature con le<br />

persone significative; guai giudiziari e sanzioni penali ...) rende il tossicodipendente disponibile ad affidarsi<br />

ad una volontà che, diversamente dalla sua, è capace di una programmazione atta a diventare efficace<br />

terapia.<br />

Tutto questo comporta che i collo<strong>qui</strong> con chi è legato alla droga mirino non soltanto a puntualizzare e a<br />

porre in evidenza tutti gli oggettivi danni del prolungare l'abitudine tossicomanica, ma anche, e soprattutto, a<br />

suscitare il bisogno di una rapporto stretto e fiducioso con persone che assumano ruolo di guida e siano<br />

capaci di accompagnare il tossicodipendente verso un sistema di vita veramente alternativo a quello al quale<br />

l'aveva condotto la droga e davvero ricco di dignità.<br />

In quest'ottica si può capire sia la grandissima utilità dell'esperienza comunitaria, proprio perchè<br />

onnicomprensiva di tutte le occasioni per esprimere e verificare gli atteggiamenti basilari di una persona, sia<br />

il fatto che in un primo tempo, più che processi veramente attivi, il tossicodipendente in terapia debba vivere<br />

un distacco totale da tutte le vicende e i rapporti precedenti.<br />

Parliamo di distacco totale perchè, per vincere una dipendenza che ha innervato ogni dimensione e ogni<br />

rapporto della vita, occorre, in una prima fase terapeutica, un intervento che crei la possibilità di vedere in<br />

un prossimo futuro e in un modo veramente nuovo l'esistenza; è una specie di ricorso al bisturi e<br />

all'isolamento per permettere di liberarsi da una degenerazione che ha intaccato tutto.


pag. 17<br />

Il cammino educativo<br />

Ricordando quanto detto in sede di diagnosi dal tossicodipendente quale persona incapace di autoanalisi in<br />

ciascun aspetto importante della propria persona, della effettiva immaturità soprattutto per quanto attiene<br />

rapporti e comunicazioni personali e della piena impotenza ad ogni piano per il proprio futuro, risulta<br />

necessario impostare un percorso terapeutico che si relazioni in modo preciso alle indicazioni della diagnosi.<br />

Per una presa di visione sintetica dell'iter terapeutico si osservi la tabella <strong>qui</strong> riportata.<br />

ITER TERAPEUTICO<br />

Esperienza di realtà:<br />

- sul piano personale AUTOCONOSCENZA<br />

- sul piano relazionale COMUNICAZIONE<br />

- sul piano storico PROGETTAZIONE<br />

⇓<br />

Superamento dell'egocentrismo mediante avvio e sviluppo<br />

di rapporti umani significativi ed empatici.<br />

Metodo:<br />

- ergoterapia<br />

- logoterapia<br />

- crescita delle conoscenze e programmi personalizzati.


pag. 18<br />

Autoconoscenza<br />

Conoscere se stessi è di certo anche la conoscenza del proprio carattere. Ogni persona è unica ed irripetibile,<br />

per usare un paragone, come ogni volto è inconfondibile con quello degli altri; ma appunto come ogni viso<br />

ha dei tratti presenti costantemente, così è per il temperamento.<br />

Il primo impegno, almeno in ordine logico, a cui invitiamo i residenti in comunità è quello, mediante analisi<br />

condotta anche attraverso precise domande diagnostiche (cfr. Tabella 3), di cogliere quale sia il carattere di<br />

cui naturalmente è dotato.<br />

Il carattere<br />

Le componenti strutturali il carattere, che con il loro diverso rapportarsi danno la fisionomia caratterologica.<br />

sono l'emotività, l'attività e la risonanza (Le Senne, 1951).<br />

I. Emotività<br />

Per emotività si intende quel tratto generale della nostra vita psichica per cui non possiamo subire un<br />

avvenimento senza che esso provochi in noi una reazione organica o psicologica più o meno forte.<br />

L'emotività si manifesta prevalentemente nella direzione degli interessi del singolo individuo; la diagnosi<br />

precisa della emotività di ogni residente suppone che si conoscano precedentemente gli interessi del<br />

soggetto considerato.<br />

Il sintomo principale della presenza dell'emotività è la sproporzione tra l'importanza oggettiva di un<br />

avvenimento e la scossa soggettiva con cui risponde l'individuo (per esempio sopravvalutazione di una<br />

piccola cortesia o scortesia) e l'ininfluenza delle argomentazioni razionali nel determinare tale reazione.<br />

Le manifestazioni dell'emotività possono cambiare da soggetto a soggetto, secondo le altre proprietà<br />

costitutive del suo carattere e secondo l'educazione ricevuta.<br />

L'emotività è per lo più un dato positivo in quanto favorisce un coinvolgimento intenso nelle vicende della<br />

vita e in quanto aiuta ad essere sensibili alle persone, ai fatti della vita, alle manifestazioni del pensiero e<br />

dell'arte.<br />

Naturalmente, però, trattandosi di una dimensione della persona che anticipa la ragione e non è da essa<br />

facilmente controllabile, può comportare diversi rischi.<br />

Eccone alcuni:<br />

- l'ira;<br />

- l'esaltazione che illude o lo scoraggiamento che blocca;<br />

- il consumo eccessivo di energie, soprattutto nervose e psichiche;<br />

- giudizi affrettati sia sulle cose, sia soprattutto sulle persone;<br />

- lo sbaglio di misura nell'affrontare le situazioni e gli impegni con la conseguenza o di sottovalutare gli<br />

ostacoli , e poi trovarsi nell'incapacità di proseguire, o di sopravvalutarli rinunciando a proseguire verso<br />

traguardi raggiungibili;<br />

- l'incostanza sia nei lavori sia soprattutto nell'umore;<br />

- la precipitosità nel parlare, con il rischio di seminare fraintendimenti e magari di offendere, anche senza<br />

averne la minima intenzione;<br />

- scelte poco lungimiranti e condizionate dagli stati d'animo nell'adempiere a responsabilità direttive e nei<br />

rapporti umani.<br />

In conclusione, chi è emotivo non deve inibire questa sua caratteristica, in sé ricca di potenzialità, deve però<br />

esercitarsi molto per non permettere che l'eccessiva emotività lo porti in qualcuno o in parecchi degli<br />

inconvenienti sopra descritti.<br />

Evidentemente è opportuna qualche parola sulla persona definibile “non emotiva”: se si ha chiaro il concetto<br />

di emotività non si fa fatica a capire che l'inemotivo puro non esiste, esistono soltanto persone poco emotive.<br />

Spesso colui che appare non emotivo è un emotivo che si è trovato respinto. Bisogna inoltre distinguere gli<br />

emotivi espansivi (socievoli, influenzabili, facilmente vanitosi) dagli emotivi inibiti, che bloccano le loro<br />

reazioni con la stessa forza a cui esse ricorrono per manifestarsi.


pag. 19<br />

Questi emotivi mascherano la loro delicata sensibilità interiore con un eccesso di rigore e di apparente<br />

freddezza.<br />

Una volta su due un viso altero o compassato nasconde una sensibilità delicata e irritabile. Spesso queste<br />

persone smentiscono l'apparenza del viso con vari movimenti corporei come un batter di piedi o di palpebre,<br />

un gioco nervoso delle dita, un fremito della voce, qualche sobbalzo.<br />

Questa inibizione ha spesso origine da repressioni, da cattivi trattamenti, da urti emotivi dell'infanzia, da un<br />

tipo di educazione che crea un atteggiamento morale anormalmente rigoroso.<br />

Questa inibizione tocca solo l'esteriorità del gesto, in qualche caso però può condurre all'apatia affettiva o<br />

articolare una passionalità contorta che può esprimersi, aberrazione, con comportamenti crudeli (sadici o<br />

masochisti).<br />

Differentemente dall'emotivo inibito, l'inemotivo riesce a bloccare completamente le manifestazioni di<br />

risposta a ogni eccitazione esterna o interna.<br />

Come risultato si ha una impassibilità che può oscillare tra la padronanza di sé e l'apatia vera e propria.<br />

Come l'emotivo partecipa subito con la mente e col cuore agli avvenimenti della vita, il non-emotivo si<br />

amministra indipendentemente dal carattere drammatico o gioioso dei fatti e dalle situazioni commoventi<br />

delle persone.<br />

L'emotivo ha più slanci e in genere risulta più simpatico; il non-emotivo è più padrone di sé, ha vedute più<br />

ampie ed è più costante.<br />

Naturalmente l'inemotivo è più incline a diventare egoista, però la sua calma e le sue convinzioni, quando<br />

sono davvero tali, lo portano a resistere alle suggestioni e alle intimidazioni.<br />

Il non-emotivo riesce meglio nelle attività intellettuali, astratte o tecniche; l'emotivo riesce meglio dove<br />

occorrono intuizione, creatività e senso artistico.<br />

Quando il non-emotivo sceglie di essere aggressivo (normalmente però questa non è la sua “parte”), lo sa<br />

fare se è intelligente in maniera freddamente raffinata, se è poco intelligente in maniera banalmente stupida.<br />

Nel complesso rischia una povertà di vita affettiva, una chiusura alle “pascalliane ragioni del cuore” e una<br />

tendenza al pragmatismo utilitarista.<br />

II. Attività<br />

L'attività, in senso caratteriologico, è di colui che agisce per effetto di un'innata disposizione all'azione;<br />

talvolta, in soggetti che “manifestano” un'attività, dovuta soltanto a uno stimolo proveniente dall'esterno, è<br />

facile sbagliare la diagnosi dell'attività; un emotivo, per esempio, può essere facilmente considerato attivo,<br />

mentre, forse, si tratta solo di uno pseudo-attivo che agisce sotto l'influsso dell'emozione che in quel<br />

momento lo invade.<br />

E' attivo da considerare attivo, in pratica, colui che si sente stimolato all'azione dagli ostacoli che la rendono<br />

ardua, mentre un inattivo si scoraggia davanti alle difficoltà.<br />

La persona attiva è quella a cui si adatta la frase di Ribot ripresa da Malapert: “Bisogna che agisca!”. E'<br />

indispensabile interpretare questo “bisogna”, nel senso che è un bisogno istintivo a spingere all'azione.<br />

Gli avvenimenti esteriori non sono che dei pretesti, delle occasioni: se non ci fossero verrebbero provocati,<br />

perchè vivere è agire.<br />

Le persone attive godono indubbiamente dei vantaggi.<br />

Trovano una grande forza contro le difficoltà del lavoro e della vita, sono prive di quegli stati di pigrizia e di<br />

inerzia che spesso compromettono la riuscita dei compiti intrapresi; sono libere da stanchezze fisiche<br />

generate da somatizzazioni per riluttanza alla fatica; riescono a produrre molto nei campi per i quali sono<br />

dotate; non sono esposte a quelle parentesi e intervalli ingiustificati che compromettono il rendimento in<br />

diverse attività.<br />

Naturalmente le persone attive incontrano anche degli svantaggi. Non sempre il loro agire può essere<br />

giudicato valido, appena si passi a una valutazione criticamente condotta; finiscono per disperdere energie in<br />

molti rivoli secondari, senza farle confluire in quanto è davvero più prezioso; hanno poca attenzione alla vita<br />

interiore; possono cedere in ritmi eccessivi per la propria salute; spesso non sono disponibili all'ascolto.<br />

Portando il discorso sulle persone non attive, notiamo che pure esse usufruiscono di vantaggi: la loro attività<br />

più facilmente ha delle motivazioni profondamente giustificate. Queste persone mostrano spesso spiccata<br />

propensione a riflettere e a coltivare la vita interiore; sanno canalizzare meglio le proprie energie e si


pag. 20<br />

mostrano meglio disposte ad ascoltare con calma o con partecipazione.<br />

Il rovescio della medaglia consiste nel fatto che questi soggetti sono facilmente scoraggiabili di fronte alle<br />

difficoltà, anche a quelle razionalmente previste; tendono a procrastinare senza validi motivi, ma per<br />

semplice resa alla propria pigrizia; finiscono per sottovalutare le proprie capacità; esigono di aver frequenti<br />

incitamenti; possono lasciar incompiuti i propri lavori persino quando ben avviati e ben condotti; sono poco<br />

portati ad allenare e a potenziare le proprie energie; in campo operativo sono più volte troppo dipendenti da<br />

propri partners.<br />

III. Risonanza<br />

La terza proprietà costitutiva del carattere è la risonanza delle rappresentazioni.<br />

Per risonanza in senso psicologico si intendono gli effetti sulla psiche di quanto, in un modo o nell'altro, è<br />

stato oggetto di esperienza.<br />

Quando gli effetti di un dato mentale attualmente presente alla coscienza rimuovono quelli dei dati passati,<br />

la funzione primaria, o primarietà, prevale sulla funzione secondaria, o secondarietà, e il soggetto in cui si<br />

verifica ordinariamente questa alternativa viene chiamato primario.<br />

Se, invece, l'influsso persistente delle esperienze passate prevale su quello del presente, il soggetto in cui<br />

avviene questo si definisce secondario.<br />

Per i primari esperienza significa presenza viva del dato; per i secondari significa accumulazione di<br />

impressioni ricevute.<br />

Un esempio: si scrive facilmente sulla sabbia, ma si cancella anche facilmente (primari); si incide con<br />

difficoltà sul marmo, ma quello che è stato inciso rimane (secondari).<br />

Si parla di risonanza primaria quanto il soggetto tende a reagire in modo immediato, spesso molto intenso,<br />

trovandosi però a distanza piuttosto breve con le reazioni moto attenuate.<br />

Si parla di risonanza secondaria quando il soggetto tende a reagire con lentezza. a tendenzialmente restare<br />

estraneo; però il trascorrere del tempo fa maturare le reazioni che possono non cancellarsi più e diventare<br />

patrimonio consapevole della psiche.<br />

Esaminando le persone primarie possiamo sottolineare quanto esse incontrino vantaggi.<br />

Questi soggetti sono infatti pronti nel recepire gli stimoli; hanno facilità nello stabilire rapporti con persone<br />

sconosciute; non vengono disorientati dagli imprevisti; in genere sono pronti di riflessi nell'interpretare le<br />

situazioni e nel trovarvi felici orientamenti; sanno essere intuitivi nel cogliere gli stati d'animo; sono pronti<br />

nel riparare gli errori, incontrano minori difficoltà nel guarire dalle ferite interiori causate dalle offese altrui.<br />

A fianco esistono però palesi svantaggi.<br />

Le persone primarie tendono a dimenticare esperienze costruttive e gioiose appena subentrano varianti<br />

sgradevoli; sono tendenti alla volubilità; si mostrano precipitose e condizionate dall'impulsività; sono<br />

facilmente suggestionabili di fronte a ciò che appare nuovo e attraente, con il rischio di entusiasmarsi per<br />

qualcosa che in realtà non è effettivamente valido; nei momenti di sconforto corrono il pericolo di<br />

abbandonare anche quanto sinceramente più si vuole o si ama.<br />

Le persone secondarie hanno precisi punti di forza, in quanto esse tendono a riflessione costante e<br />

sistematica; si trovano ad avere più propensione alla costanza ed alla continuità; sono facilmente puntuali e<br />

nei loro impegni puntano ad essere metodiche; più facilmente sanno vagliare in modo opportunamente<br />

critico le novità; valutano con ponderazione le proprie e le altrui storie personali; sono meno in difficoltà<br />

quando occorre essere pazienti e ciò li mette al riparo dal cedimento alle tentazioni di rassegnazione scettica<br />

o fatalista.<br />

Nei soggetti secondari gli svantaggi più caratteristici risultano la propensione all'eccessiva abitudinarietà; la<br />

lentezza nell'intuire cambiamenti e, soprattutto, nel trovarvi con prontezza risposte adeguate; il rischio di<br />

misoneismo o almeno conservatorismo; il pericolo di vivere di ricordi o di programmazione per il futuro<br />

senza valorizzare in modo opportuno il presente; difficoltà nello stabilire rapporti tempestivi con ambienti e<br />

con persone nuove; tendenza a fermarsi su valutazioni magari ben ponderate ma ormai non più aggiornate.<br />

Inoltre la tendenza a non recepire emozioni improvvise può portare i secondari alla pigrizia o all'inerzia di<br />

fronte alla varianti dei problemi psicologici delle altre persone.


pag. 21<br />

Come quadro riassuntivo agli otto tipi caratteriologici derivanti dal diverso combinarsi di emotività (E) –<br />

non emotività (nE), attività (A) – non attività (nA), primarietà (P), - soceondarietà (S), riportiamo - per la<br />

sua utilità di primo, sinteticissimo approccio agli sviluppi offerti da questo metodo di analisi – il quadro<br />

composto da N. Galli.<br />

Tabella 1<br />

TIPI CARATTERIOLOGICI QUADRO DEI VALORI SPICCANTI<br />

EAP esuberanza giovanile<br />

ottimismo fiducioso<br />

EAS potenza di lavoro<br />

interessi spirituali<br />

EnAP delicatezza<br />

vivacità<br />

EnAS sensibilità pronta<br />

vita interiore<br />

nEAP chiarezza<br />

intuizione<br />

nEAS perseveranza tenace<br />

senso della legge<br />

nEnAP coraggio<br />

obiettività<br />

nEnAS amore dei principi<br />

regolarità<br />

Tabella 2<br />

TIPI CARATTERIOLOGICI QUADRO DELLE DIFFICOLTA' SPICCANTI<br />

EAP estroversione incontrollata<br />

attività precipitosa<br />

EAS impetuosità d'azione<br />

autoritarismo<br />

EnAP impulsività<br />

volubilità<br />

EnAS introversione<br />

vulnerabilità<br />

nEAP indifferenza<br />

insensibilità<br />

nEAS sistematizzazione logica<br />

freddezza<br />

nEnAP esigenze organiche<br />

freddezza<br />

nEnAS abitudine meccanica<br />

impassibilità


pag. 22<br />

Tabella 3<br />

DOMANDE DIAGNOSTICHE<br />

Per vedere se si è prevalentemente EMOTIVI occorre chiedersi:<br />

1. come controllo il sistema nervoso in una situazione difficile o improvvisa?<br />

2. mi piace lasciarmi cullare dalle emozioni o preferisco portare tutto alla chiarezza razionale?<br />

Per vedere se si è prevalentemente ATTIVI occorre chiedersi:<br />

1. agisco d'istinto per bisogno di attività o perchè ho dei motivi precisi per applicarmi?<br />

2. di fronte a un lavoro impegnativo o fastidioso preferisco intervenire subito o rimandare?<br />

Per vedere se si ha RISONANZA primaria o secondaria occorre chiedersi:<br />

1. le impressioni sia emotive sia intellettive suscitano subito delle reazioni o rimangono vive a lungo, magari<br />

aumentando di peso con il passare del tempo?<br />

2. mi dà noia l'essere ripetitivo, avere delle abitudini fisse oppure sono abitudinario e tendenzialmente<br />

disorientato e infastidito di fronte alle novità?<br />

In comunità, una volta giunti a stabilire con precisione a quale tipo caratteriologico un residente appartenga,<br />

lo si invita e lo si guida a procedere per il potenziamento dei suoi lati positivi e la correzione dei suoi lati<br />

svantaggiosi, soprattutto valutando e verificando quali siano le varianti del lavoro sul carattere suscitate<br />

dalle diverse esperienze di ergoterapia.<br />

L'argomento è anche oggetto frequente di collo<strong>qui</strong> e diventa tema per le programmazioni del futuro postterapeutico,<br />

visto il carattere costitutivo dei tratti temperamentali.<br />

Le capacità<br />

Altro momento è l'indagine sulle proprie capacità e attitudini per giungere a una conoscenza abbastanza<br />

precisa dei propri punti di forza e delle proprie debolezza; ci si deve impegnare in valutazioni progressive e<br />

articolate del patrimonio fisico, psichico e intellettivo.<br />

Questi esami delle proprie potenzialità fisiche e intellettive sono meno semplici di quanto può sembrare;<br />

spesso, infatti, ci si limita ad alcune valutazioni di massima, che non permettono una conoscenza davvero<br />

adeguata delle varie potenzialità sul piano operativo-esperienziale.<br />

Come aiuto a non fraintedere che cosa si intenda per intelligenza riportiamo le seguenti note di Pier<br />

Giovanni Grasso.<br />

Nel senso più lato, una condotta intelligente è una condotta che permette un nuovo adattamento alla<br />

situazione e risulta da un processo di ac<strong>qui</strong>sizione.<br />

“Intelligente” s'oppone in tal senso a “istintivo” (non ac<strong>qui</strong>sito). In senso più stretto il termine “intelligente”<br />

è usato per qualificare le condotte di adattamento nuovo, nelle quali l'adattamento risulta dalla percezione di<br />

un rapporto di pertinenza intrinseca tra i vari elementi della situazione.<br />

Nell'atto intelligente si coglie il carattere di riferimento o dipendenza di un elemento dall'altro: non è solo la<br />

contiguità spaziale o temporale tra gli elementi (necessità intrinseca) che viene colta, ma il fatto che un<br />

elemento “porta” all'altro per una specie di “necessità intrinseca”.<br />

Vi sono casi in cui si coglie quell'appartenenza interna dei dati della situazione o dal problema utilizzando la<br />

memoria, poiché i dati non sono offerti tutti inizialmente: bisogna ricercarli e richiamarli e <strong>qui</strong>ndi la propria<br />

reazione è fatta più o meno a caso.<br />

Ma vi sono altri casi in cui si arriva a cogliere la soluzione del problema per mezzo di un'attività di<br />

percezione o di comprensione, poiché gli elementi sono dati integralmente nella situazione iniziale (es. un<br />

labirinto visivo, in cui il soggetto può vedere tutti i “meandri”, un problema matematico, di cui sono dettati i<br />

dati).<br />

Veramente il cogliere la relazione di appartenenza intrinseca importa, sovente, oltre che una semplice<br />

attività di percezione, anche un processo di rappresentazione (immaginazione), per fare apparire la relazione<br />

in una situazione che già la conteneva ma solo implicitamente. E per quanto entra la rappresentazione,<br />

interviene un'attività di “invenzione”.


pag. 23<br />

Perciò, la condotta intelligente è spesso considerata dipendente dall'attività “inventiva”, oltre che dal quella<br />

“comprensiva”.<br />

Si ha dunque una condotta intelligente quando si coglie un'appartenenza interna tra gli elementi di una<br />

situazione, in maniera più o meno immediata, per la mediazione di un'attività di immaginazione e di<br />

rappresentazione.<br />

Si suole anche indicare intelligenza come capacità di risolvere problemi. Bisogna però notare che non ogni<br />

soluzione di problemi è dovuta ad attività intelligente. Anche l'attività istintiva tende a risolvere situazioni<br />

problematiche. Inoltre non sono soluzioni intelligenti quelle dovute al caso (cioè senza comprensione dei<br />

dati del problema), quelle dovute all'apprendimento o all'esperienza passata (la comprensione è realizzata<br />

anteriormente e ora si applica solo una soluzione bell'è fatta).<br />

La maturità<br />

Punto vertice del processo di autoconoscenza è la verifica sulla propria maturità.<br />

A questo proposito è indispensabile ricordare che la maturità ha due componenti essenziali:<br />

- l'autonomia delle motivazioni: le ragioni che si muovono devono essere diventate così mie da poterli<br />

conservare, anche quando nessuno mi aiutasse e anche di fronte all'opposizione e alla derisione di altre<br />

persone;<br />

- l'autenticità personale, che consiste in una conoscenza obiettiva, serena, positiva, di me stesso così da<br />

ricordare senza scoraggiamenti i miei difetti e da valorizzare con costanza e con realismo le mie qualità.<br />

Di particolare interesse, visto che, non di rado, il tossicodipendente iniziò a “farsi” con un'iniziazione<br />

intrapresa per una pressione del gruppo frequentato, è il riflettere sul rapporto tra pressione culturale e<br />

autonomia personale.<br />

Per cultura <strong>qui</strong> intendiamo la sua accezione antropologico-sociologica, per la quale essa deve intendersi<br />

come l'insieme di schemi di comportamento, di idee, di valori, che sono partecipati da un certo gruppo<br />

sociale, esprimentesi in un determinato ambiente.<br />

La cultura, in quanto espressione interiorizzata dell'influsso ambientale-sociale, è un fattore che può anche<br />

risultare determinante nella formazione di una persona.<br />

Resta il problema di una possibile sudditanza del soggetto di fronte alla cultura predominante, fino a non<br />

raggiungere la propria maturità personale, a restare privo di serena capacità critica, di vera autonomia<br />

interiore.<br />

Tale incompletezza può trascinare un individuo ad accettare il parere degli altri, anche contro la propria<br />

personale certezza o addirittura contro l'evidenza.<br />

Il fenomeno si spiega con tre tipi di “distorsione psichica” (A. Ronco 1967).<br />

I. Distorsione della percezione stessa: sotto la spinta della pressione di gruppo alcuni soggetti finiscono per<br />

vedere come gli altri. Il loro stesso “sistema percettivo” si adatta a quello della maggioranza, persino nel<br />

caso di un'evidenza oggettiva contraria.<br />

II. Distorsione del giudizio: un buon numero di soggetti, dopo un periodo di dissenso dalla maggioranza,<br />

proprio per scarsa forza psichica, invece di perseverare nelle proprie fondate convinzioni, passa al giudizio<br />

della maggioranza.<br />

III. Distorsione dell'azione: parecchi soggetti non resistono a comportarsi in modo diverso dalla<br />

maggioranza, anche se persuasi che la maggioranza abbia torto.<br />

Il bisogno di non apparire diversi dagli altri, di non essere ritenuti “fuori moda”, li fa cedere alla pressione<br />

sociale e li fa aderire al comportamento maggioritario.<br />

Per evitare simili “schiavitù culturali”, occorre potenziare le capacità di interdipendenza.<br />

La possibilità di indipendenza da pressanti influssi di gruppo è legata:<br />

- alla comprensione approfondita del significato di una situazione;


pag. 24<br />

- alla fedeltà a valori etici, divenuti davvero personali, attraverso una loro convinta assimilazione;<br />

- ad un'attenta, approfondita valutazione dell'indipendenza tra i ruoli specifici della persona in campo sociale<br />

e le sue autentiche caratteristiche individuali.


pag. 25<br />

Comunicazione<br />

Nel nostro progetto educativo l'autoconoscenza, tappa e dimensione perenne della terapia, è correlata e<br />

completata con la comunicazione.<br />

Se è vero quanto afferma Jaspers che “la verità comincia a due”, la comunicazione deve essere sempre<br />

meglio scoperta come una delle esigenze fondamentali dell'uomo. Rifacendoci a un filosofo assai diverso da<br />

Jaspers, al Feuerbach, si può sottoscrivere che: “le idee scaturiscono soltanto dalla comunicazione. Di quello<br />

che io vedo da solo non posso far a meno di dubitare: è certo solo quello che anche l'altro vede”.<br />

Il valore terapeutico della comunicazione ci appare chiaro se teniamo presente la tipologia del<br />

tossicodipendente. Come abbiamo affermato, egli, consapevolmente o no, è teso a fuggire la realtà, e questo<br />

atteggiamento si traduce:<br />

1. nell'annullare la percezione del proprio io,<br />

2. nell'anestetizzare la coscienza,<br />

3. nel non riconoscere l'esistenza di “tu” significativi,<br />

4. nel rendere puramente strumentali i rapporti con gli altri,<br />

5. nel cristallizzare la vita interiore ad una sola funzione, quella della fruizione stereotipa del piacere,<br />

6. nel negare di fatto ogni dinamismo psicologico e storico.<br />

Il recupero dell'autoconoscenza (prima esperienza di realtà) è inevitabilmente accompagnato dal recupero di<br />

connessioni e di comunicazioni con gli altri (seconda esperienza di realtà) e con i dinamismi della storia<br />

personale e collettiva (terza esperienza di realtà).<br />

Affermiamo <strong>qui</strong>ndi che, se ciascuno è un “io” da conoscere, tutti sono un “tu” da incontrare in una<br />

progressione storica finalizzata secondo un progetto personale.<br />

In chiave terapeutica il comunicare:<br />

- permette un'autoconoscenza obiettiva,<br />

- stabilisce un concreto aggancio tra realtà omologhe (“io” e “tu” personali),<br />

- rende consapevoli della molteplicità di aspetti e della dinamicità della vita interiore,<br />

- pone le basi per la comprensione del senso di divenire storico dell'esistenza,<br />

- è un trampolino di lancio di un'autentica, valida progettazione personale.<br />

Il problema tecnico-terapeutico consiste nel trovare un metodo coerente per una efficace comunicazione,<br />

tenendo del resto conto che essa esige originalità, spontaneità e rinnovamento perenne senza costrizioni<br />

schematiche.<br />

Metodo<br />

Secondo il nostro progetto educativo, il metodo coerente per una terapeutica comunicazione deve tener<br />

presente questi tre criteri:<br />

1. deve garantire la partecipazione attiva, protagonista di entrambe le parti;<br />

2. deve essere applicabile pressochè universalmente, senza necessità di selezionare i soggetti in base all'età o<br />

alle caratteristiche socio-culturali;<br />

3. pur nell'estrema adattabilità ai singoli, deve promuovere la comprensione di messaggi educativi ben<br />

precisi, razionalmente proposti a priori (per esempio, il rifiuto dell'uso di droghe).<br />

Schematizzando, la scelta si deve orientare fra i seguenti mdelli.<br />

A. Modello comportamentista: la comunicazione mira a far apprendere comportamenti moralmente e<br />

socialmente accettabili.


pag. 26<br />

Adottando questo metodo:<br />

- è possibile proporre un messaggio educativo, però di contenuto piuttosto statico, semplificato e formale;<br />

- l'autonomia del soggetto, almeno inizialmente, deve essere coartata;<br />

- la comunicazione avviene soprattutto in senso, da “docente” a “discepolo”;<br />

- è possibile in una certa misura l'adattabilità al soggetto, ma non a molti soggetti nello stesso tempo.<br />

B. Modello psicanalitico: la comunicazione verte sui contenuti conflittuali inconsci che emergono nel<br />

libero esprimersi del soggetto.<br />

Questo metodo, applicato alla tossicodipendenza, presenta alcuni svantaggi:<br />

- il contenuto educativo di base della comunità terapeutica (cioè negare l'uso di droghe) di fatto impone una<br />

consistente limitazione al libero esprimersi del soggetto;<br />

- dall'altra parte, l'uso di droga nel corso della terapia distorcerebbe i contenuti, inconsci e non, della<br />

comunicazione;<br />

- non è estesamente applicabile, non solo perchè richiede specifiche e collaudate competenze da parte dei<br />

terapeuti, ma anche perchè espone al rischio di una terapia di durata indeterminabile, se l'inconscio del<br />

soggetto non emergesse;<br />

- il flusso comunicativo avviene soprattutto in senso, da “paziente” a “terapeuta”.<br />

C. Modello logoterapeutico: la comunicazione mira ad analizzare le problematiche di fondo di cui il<br />

soggetto è razionalmente consapevole.<br />

Questo metodo, di scuola post-freudiana, risponde a tutti i criteri guida espressi inizialmente e verrà<br />

illustrato nel capitolo “Logoterapia”.


pag. 27<br />

Progettazione<br />

“L'esserci dell'uomo, finchè è, è progettante”.<br />

Pur se sul piano filosofico si può non concordare con Heidegger, non si può misconoscere che sul piano<br />

educativo-terapeutico diventi assolutamente necessario scoprire possibilità effettive in ordine al futuro del<br />

proprio esistere, del proprio divenire, del proprio crescere.<br />

Perchè possa esserci un progetto, non bastano immediata percezione di un valore e neppure l'intenzione che<br />

ponga in rapporto di profondo, vitale desiderio con il valore stesso.<br />

Per un progetto effettivo è indispensabile organizzare e coordinare le condizioni empiriche, mediante le<br />

quali giungere sempre meglio all'autoconoscenza del progetto medesimo.<br />

La droga è totale antitesi al progettare, perchè:<br />

- sostituisce il piacere al vivere, il desiderare al volere;<br />

- estranea dal flusso comunicativo e storico;<br />

- deforma e uniforma le impressioni;<br />

- non consente di percepire ciò che realmente si è, e <strong>qui</strong>ndi impedisce di raggiungere ciò che si può essere,<br />

privando la persona della libertà di modificare se stessa e l'ambiente che la circonda.<br />

Esito ineluttabile della tossicodipendenza, <strong>qui</strong>ndi, come abbiamo visto, è la progressiva mutilazione della<br />

volontà, minata dal principio del piacere.<br />

Questo danno si associa al quadro di deterioramento e impoverimento della vita affettiva che, sotto il<br />

governo del principio del piacere, si riduce agli scambi per necessità materiali, riportando la persona alle<br />

dinamiche affettive dell'infanzia, dove domina la logica attrattiva-richiamo in funzione del bisogno.<br />

Nel tossicodipendente dunque, o nell'ex-tossicodipendente che sia semplicemente disassuefatto, in assenza:<br />

- del ripristino di integre ed allenate facoltà volitive,<br />

- di energie affettive da spendere in direzione allocentrica,<br />

la progettazione è destinata o ad essere assente o a fallire, arenandosi contro gli ostacoli o ripiegando<br />

sterilmente il soggetto su se stesso.<br />

Un programma terapeutico della tossicodipendenza che non contempla la problematica della progettazione<br />

personale non solo rischia di essere un programma monco, ma anche di non essere per nulla un programma.<br />

Sia il terapeuta sia la persona afflitta dalla schiavitù della droga devono riscoprire, come afferma M.<br />

Scheler, “la priorità del valore sul volere”, ma devono anche ricostruire una capacità efficace del volere. E'<br />

essenziale cioè che la volontà si fondi su valori capaci di motivarla e che questi valori possano venir affidati<br />

a una volontà forte e costante per renderli effettiva condotta e prassi di vita.<br />

Per questo obiettivo diventano importantissime anche quelle esperienze di lavoro che, prima remotamente,<br />

poi prossimamente, verifichino la consistenza della volontà nell'impatto con la fatica di organizzare,<br />

coordinare, modificare le condizioni per non venir meno a traguardi insieme e concordemente decisi.<br />

D'altro canto la realtà di un uomo non è adeguatamente compresa fermandosi a ciò che l'uomo è: bisogna<br />

considerare ciò che quell'uomo può essere.<br />

In ogni uomo – in questo chiunque può concordare con J. P. Sartre - il progetto come tensione in avanti, che<br />

si struttura sulle scelte e implica il rischio, è parte costitutiva del soggetto umano.<br />

Passando in concreto al nostro progetto educativo, la prima fase della progettazione personale è il<br />

reinserimento nella società. Questa tappa va impostata e iniziata sempre durante il periodo di comunità.<br />

Infatti, dopo un primo anno trascorso avendo come obiettivi primari l'autoconoscenza e un primo livello di<br />

comunicazione, nel secondo e ultimo si lavora per giungere a una precisa, personalizzata progettazione.<br />

A tal fine è indispensabile che alcune mete siano raggiunte.


pag. 28<br />

La prima di queste è la comprensione delle proprie potenzialità come risultato di una obiettiva conoscenza<br />

dei propri tratti caratteriologici, delle possibilità di ordine fisico, delle capacità d'ordine intellettivo, delle<br />

competenze sul piano operativo.<br />

La seconda è quella della ricostruzione della volontà, verificata attraverso la piena indipendenza da supporti<br />

artificiali e la risposta valida a compiti capaci di rilevare il progresso dell'autonomia e della<br />

responsabilizzazione.<br />

La terza è la concreta impostazione atta a risolvere problemi pratici più urgenti nel rientro, e <strong>qui</strong>ndi scelte<br />

attuabili e attuate per l'abitazione e per la professione.<br />

In più si deve essere in possesso di proposte continuative: a prosecuzione di una crescita umana insieme<br />

cercata e raggiunta, si propongono all'ex-residente iniziative personalizzate che mantengano vivo il rapporto<br />

costruito.<br />

In particolare l'ex-residente può, in ben valutati casi, proseguire come operatore il cammino iniziato, con un<br />

bagaglio di esperienze in più dei colleghi e in continuità di superamento logico-morale rispetto alla fase<br />

precedente.


pag. 29<br />

Operatori di comunità<br />

Il tossicodipendente in quanto tale, di fatto, non considera se stesso e gli altri come “persone”, cioè quali<br />

soggetti unici e irripetibili degni di rispetto e mai da vedere come occasioni per opportunismi e<br />

strumentalizzazioni. Vive chiuso nella sua ricerca della “roba” dalla quale dipende e questo circoscrive ogni<br />

orizzonte a un ferreo egocentrismo edonistico.<br />

Il tossicodipendente deve <strong>qui</strong>ndi essere gradualmente coinvolto in una convivenza nella quale si incontrino<br />

davvero gli altri.<br />

L'operatore di comunità per non fallire in simile obiettivo deve vivere determinate SCELTE<br />

CARATTERIZZANTI.<br />

Nell'ambito della testimonianza di valori, deve apparire completa l'esclusione dalla propria vita di qualsiasi<br />

supporto artificiale.<br />

Questo è di particolare attualità oggigiorno, vista la grande diffusione del ricorso a psicofarmaci, ad alcolici,<br />

a quantità eccessive di tabacco.<br />

L'operatore deve presentarsi come sincero e appassionato nel ricercare sempre la verità, in particolare senza<br />

temere quella verità che è la conoscenza sempre più oggettiva di se stessi: è importantissimo che l'operatore<br />

viva con coerenza il primato della verità sull'orgoglio. La fedeltà agli impegni, la disponibilità al sacrificio<br />

finalizzato, l'efficace concretezza delle programmazioni, la coerenza delle scelte in campo personale<br />

riveleranno ai residenti nella comunità come certi progetti di vita siano esperienze reali condotte<br />

quotidianamente da persone direttamente conosciute.<br />

A proposito dell'attenzione all'altro, gli operatori si presenteranno come davvero capaci di atteggiamento<br />

pluralistico, sinceri nel riconoscere il valore di chi è diverso da sé.<br />

Instancabile deve essere il confronto con ciascuno e concreto il porre in comune i valori di ogni persona.<br />

L'impegno di condivisione attuato nell'incontrare e nell'accogliere con vera partecipazione personale il<br />

vissuto altrui (ciò comporta anche, nei limiti del possibile, il lavorare. il vivere insieme e il venir coinvolti<br />

nei momenti di verifica personale e comunitaria), è da considerare l'atteggiamento imprescindibile e<br />

fondamentale di chi voglia porsi quale operazione per tossicodipendenti.<br />

In coerenza con le scelte proprie, gli operatori di una comunità si devono sentire un corpo unico e non<br />

devono confondere i procedimenti a sbalzi e le oscillazioni della condotta dei residenti come fallimento<br />

delle proposte educative o come impermeabilità del residente alle testimonianze con le quali convive.<br />

Nello specifico occorre che gli operatori si aiutino a decodificare i “messaggi” dei residenti, ricordando le<br />

loro abituali non veridicità, l'estrema instabilità emotiva ala quale sono soggetti e la normale, in loro,<br />

sostituzione della volontà con le emozioni velleitarie e non momentanee.<br />

Questi particolari dell'essere e del comportarsi del tossicodipendente non devono venire considerati come<br />

delle orrende, irreparabili deformità psicocomportamentali ma semplicemente come esisti e conseguenze<br />

inevitabili in persone costrette a nascondere a se stesse natura ed effetti di sostanze assunte, di abitudini<br />

contrarie, di costrizioni accolte e persino difese.<br />

La saldezza su tutto ciò permette di offrire a ciascun residente un esempio di serenità, di e<strong>qui</strong>librio, di<br />

convinzione, di coscienza di vita, tali da far sentire non solo inevitabili o utili ma anche belli e davvero<br />

fecondi i periodi vissuti in comunità.<br />

E' auspicabile che gli operatori di una comunità terapeutica offrano precise garanzie perchè la fase postcomunitaria<br />

non veda l'ex drogato solo di fronte a problemi, pratici ma fondamentali, quali quelli<br />

dell'abitazione e del lavoro.<br />

Volendo condensare in u traguardo, sintesi di altri traguardi, ciò a cui devono giungere i terapeuti dei<br />

tossicodipendenti, si può legittimamente affermare che essi devono porsi come MAESTRI DELLA<br />

DECISIONE VOLONTARIA.<br />

E' la capacità di autentiche decisioni volontarie la vera vittoria sulle dipendenze psichiche, quali che siano le


pag. 30<br />

loro origini.<br />

Insieme, e come condizione imprescindibile, gli operatori devono rivelarsi TESTIMONI DEL<br />

RAGGIUNGIMENTO DELL'EMPATIA e come guide dei residenti perchè, anche per ciascuno di loro, sia<br />

possibile simile taguardo.<br />

La decisione volontaria<br />

A. NATURA DELLA DECISIONE<br />

Allo scopo di perseguire un rigore anche tecnico, ci aiuta a spiegare la decisione volontaria lo psicologo<br />

tedesco H. Thome (Dinamica della decisione umana, 1964).<br />

Secondo questo Autore la decisione è stata concepita ora come un atto sovrano della volontà o dell'Io, ora<br />

come esito naturale di una lotta tra motivi più o meno forti.<br />

L'esame dei protocolli (cioè delle schede costruite per seguire l'iter che porta una persona a una decisione),<br />

sebbene non escluda l'intervento ultimo di un'istanza regolatrice generale (che si può denominare Io o<br />

volontà), mentre tuttavia in luce che questa istanza è sottoposta all'influsso delle varie e conflittuali tendenze<br />

e informazioni presenti nel soggetto stesso. Di fatto la persona che è chiamata a decidere non prova per nulla<br />

l'esaltante sentimento di una sovrana libertà, ma soffre sotto il peso del conflitto tra varie idee e tendenze.<br />

Non sembra neppure che la decisione sia l'esito di una lotta tra motivi, in cui vincerebbe “il più forte” o il<br />

convergere del numero aritmeticamente maggiore di essi; questo suppone infatti che i singoli motivi<br />

conservino un'intensità stabilita e fissa per tutta la vita, o almeno per lunghi periodi di essa, anche quando<br />

non sono attualmente chiamati in causa dalla situazione.<br />

I dati rilevano invece che l'intensità attuale di un determinato bisogno dipende in parte dalla situazione, che<br />

minaccia privazioni specifiche o impone delle scelte, e, dall'altra, dalle opzioni o indirizzi fondamentali di<br />

tipo esistenziale e/o morale propri di ogni persona, che danno significato alle singole soddisfazioni e le<br />

gerarchizzano.<br />

La decisione nasce così dall'incontro di un progetto generale, di uno scopo a lunga scadenza, con le<br />

difficoltà o l'ambiguità della situazione presente, e si può descrivere come la ricerca che una determinata<br />

persona conduce per chiarire a se stessa come attuarsi in un frangente in cui tale situazione fa nascere<br />

conflitti o pare impossibile.<br />

Perciò la decisione:<br />

- è una reazione profonda, coinvolge cioè interessi e tendenze centrali del soggetto: non è <strong>qui</strong>ndi possibile in<br />

una persona che non abbia precisa e critica autovalutazione; per questo essa si distingue da reazioni<br />

superficiali, che dipendono piuttosto da fattori banali della situazione;<br />

- è una reazione protesa al futuro e si distingue dalle reazioni impulsive che portano ad una soddisfazione<br />

immediata e segmentale; <strong>qui</strong>ndi è l'asse portante per qualsiasi vero progetto di vita;<br />

- è una reazione chiarificatrice di una situazione incerta e, come tale, si distingue dalla semplice<br />

applicazione di una norma o di soluzioni preesistenti.<br />

Tale chiarezza è frutto anche di un vero confronto e di un'approfondita comunicazione con altre persone più<br />

o meno competenti e più o meno partecipi.<br />

Si tratta insomma di una reazione in cui il soggetto crea se stesso, attuando e in parte ristrutturando scopi e<br />

progetti generali preesistenti.<br />

B. FENOMENOLOGIA DELLA DECISIONE<br />

Si distinguono tre fasi nel processo della decisione:<br />

1. la percezione della situazione, vissuta come impegnativa, tale cioè che coinvolge il senso della propria<br />

esistenza, e come confusa, così che il soggetto prova un senso di “disorientamento esistenziale”;<br />

2. processo di riorientamento con le seguenti componenti:<br />

- “attività del potenziale di informazioni e di reazione”: il soggetto richiama tutte le informazioni rilevanti


pag. 31<br />

per la situazione e tutte le capacità di azione, per saggiare se e come sarà capace di chiarire la situazione;<br />

- “centramento”: tutte le informazioni e previsioni sulle proprie reazioni sono continuamente riportate e<br />

riferite al nucleo del problema (come realizzare me stesso, con le mie possibilità, in questa situazione?);<br />

- “distanziamento”: il soggetto prova di tanto in tanto il bisogno di distaccarsi dalla situazione impegnativa,<br />

per poter valutare più realisticamente i singoli fattori nella giusta prospettiva;<br />

3. la soluzione, come riformulazione sia dei dati oggettivi, sia delle proprie possibilità, sia n particolare dal<br />

progetto fondamentale preesistente.<br />

Come si vede il progetto o indirizzo fondamentale dell'esistenza ha una doppia funzione:<br />

- di fattore antecedente, in quanto è il nucleo motivazionale cui viene riferita ogni conoscenza e ogni<br />

possibilità della situazione e del soggetto nella fase del centramento;<br />

- di effetto o conseguenza, in quanto, in seguito al confronto con la realtà, la persona può percepire che un<br />

certo progetto iniziale era impreciso, o esigeva addirittura delle modifiche di fondo.<br />

Ogni decisione ha in sé qualcosa di definitivo: il soggetto tende a difendere la sua scelta da revisioni, ad<br />

allontanare critiche provenienti dall'esterno o dall'interno (“irrigidimento”).<br />

La decisione prende varie forme, che dipendono dalla situazione, dall'oggetto, dalla profondità degli<br />

interessi toccati e dal temperamento del soggetto.<br />

Tra le altre ricordiamo:<br />

- le decisioni ardite: si hanno di fronte a pericoli imminenti; non si usano molte informazioni, ma ha una<br />

funzione fondamentale l'esigenza di restare fedeli a se stessi.<br />

Si trovano più facilmente in soggetti non ansiosi;<br />

- le decisioni ritardate: si hanno di fronte a situazioni stazionarie.<br />

La decisione viene presa piuttosto per sfuggire alla pena dello stato di indecisione, ed è caratterizzata da un<br />

continuo riesame dei dati, per vedere se si possa sfuggire alla scelta.<br />

Propria di persone ansiose, si può talora avvicinare a meccanismi di difesa;<br />

- le decisioni calcolate; solo relativamente impegnative, lasciano la possibilità di calcolare più freddamente i<br />

pro ed i contro;<br />

- le decisioni crescenti; sono caratterizzate da un continuo processo di chiarificazione sia de proprio<br />

generale sia della situazione e delle proprie possibilità.<br />

Hanno di solito per oggetto gli indirizzi più generali dell'esistenza, da riprendere e riverificare nel corso di<br />

tutta la propria storia presonale.<br />

I terapeuti validi sono coloro che, indipendentemente dalla loro storia o dal loro status giuridico, sanno<br />

inserirsi nei rapporti personali, resi impegno costante nella condivisione di un'esperienza comunitaria, per<br />

portare a una sempre più lucida scoperta . teorica e soprattutto vissuta – delle scelte volontarie, atte a<br />

migliorare la struttura della personalità, in particolare liberandola dai processi della dipendenza dalla droga.<br />

Il raggiungimento dell'empatia<br />

L'empatia è, per più aspetti, il contrario dello sballo.<br />

Se questo è l'irresponsabile tuffarsi nel piacere prescindendo in tutto dagli altri, con i loro diritti, le loro<br />

attese, le loro esigenze, l'empatia, invece, consiste nell'accoglienza sincera e completa, in una conoscenza<br />

sempre più precisa e reciproca dell'altro, per imparare insieme a meglio comunicare e a meglio vivere.<br />

L'empatia, suppone degli atteggiamenti ben precisi, quali:<br />

- l'eliminazione di qualsiasi pregiudizio, non importa se sfavorevole o favorevole;<br />

- il superamento costante di qualsiasi forma di invidia e di gelosia;


pag. 32<br />

- il non spaventarsi delle scoperte sgradite;<br />

- l'ac<strong>qui</strong>stare un discernimento lucido e sereno sulle proprie e sulle altrui doti, come sui supporti e sugli<br />

altrui difetti;<br />

- la disponibilità a verificare e ad approfondire la conoscenza di se stessi;<br />

- il perseverare nel chiedersi per quale motivo l'altra persona possa essere tanto dissimile da quello che noi<br />

siamo o riteniamo di essere;<br />

- la costante liberazione dai suggerimenti emotivi della simpatia o dell'antipatia;<br />

- il coraggio di perdonare, il che non significa tutto tollerare ma tutto, con umiltà, cercare di ricostruire;<br />

- il non amareggiarsi per in nostri errori di valutazione o per la non comprensione altrui;<br />

- i saper ritrovare prospettive aperte e validi programmi concreti, rifondati su una migliore conoscenza e su<br />

una più realistica valorizzazione di sé e degli altri, in particolare delle persone con le quali si convive.<br />

E' possibile riflettere sull'empatia accostandola ai concetti di “symphaty” espressi da un pensatore inglese<br />

del Settecento, lo Smith.<br />

Ecco come il termine “simphaty” si puntualizza nell'opera dello Smith: “sebbene il termine “symphaty”<br />

avesse originariamente lo stesso significato di pietà e di compassione, si può ora impiegarlo per esprimere la<br />

facoltà di condividere le passioni degli altri quali esse siano” (Smith 1759):<br />

La “symphaty” nella concezione smithiana è partecipazione non diretta, bensì mediata, di sentimenti, in<br />

quanto è fondamentale l'elemento situazione: “siccome non abbiamo nessuna esperienza immediata di ciò<br />

che sentono gli altri, non possiamo formarci nessuna idea di ciò che agli altri accade se non concependo ciò<br />

che noi stessi avvertiremmo in una situazione simile”.<br />

La morale della “symphaty” si risolve, <strong>qui</strong>ndi, in una valutazione: è l'atteggiamento dell'osservatore<br />

imparziale, il quale è capace di uno sdoppiamento e di una transpersonalizzazione.<br />

Piuttosto che una dottrina morale, quella dello Smith è una teoria generale della morale, uno studio del<br />

processo con cui si formano i giudizi morali, e, pertanto, si risolve in una antropologia: ma la morale della<br />

“symphaty” è anche un metodo, in quanto permette di capire le azioni degli altri e pertanto il mondo umano.<br />

Con l'empatia si hanno modalità concrete di azione pedagogica. Il maggiore teorico di questo metodo<br />

pedagogico è C. R. Rogers. Per esemplificarne i contenuti riportiamo la descrizione dell'atteggiamento<br />

materno che dovrebbe dare al bambino il senso di essere accettato incondizionatamente: “Io posso capire<br />

quanti ti piaccia picchiare il tuo fratellino (o liberare il tuo intestino quando e dove ti pare, o distruggere le<br />

cose), ed io ti voglio bene e sono ben contenta che tu abbia questi sentimenti.<br />

Ma anch'io desidero avere i miei sentimenti, e mi dispiace molto quando il tuo fratellino viene picchiato (o<br />

divento triste e disgustata quando tu fai le latra cose), perciò non ti permetto di picchiarlo. I miei sentimenti<br />

ed i tuoi sono ugualmente importanti ed ognuno di noi può avere liberamente i suoi” (Rogers, 1959).<br />

Riportandoci all'analisi del superamento della dipendenza da droghe, possiamo ribadire che, quando si arriva<br />

a una sufficiente, vera, costante empatia, siamo alla vittoria sulla tossicodipendenza perchè si sono superati<br />

l'egocentrismo e la paura di crescere nell'accoglienza del reale e del vero.


pag. 33<br />

Ergoterapia<br />

Nella storia della psichiatria con il termine ergoterapia si intendono trattamenti terapeutici ispirati alle tesi<br />

dell'americano B. Rush, dell'inglese S. Tuke, del tedesco H. Simon.<br />

Tenendo conto di queste moderne esperienze, ma cercando soprattutto di agire coerentemente con la<br />

diagnosi del tossicodipendente quale persona che soffre:<br />

- dell'involuzione della volontà costretta allo scontro con i desideri tipici di un atteggiamento esclusivamente<br />

edonista;<br />

- della sistematica non veridicità, conseguenza della logica di nascondimento di fronte a sé e agli altri,<br />

propria della ricerca della droga,<br />

intendiamo per ergoterapia un trattamento rieducativo nel quale l'agente terapeutico è l'impegno di lavoro<br />

razionalmente ordinato e finalizzato a precisi obiettivi di allenamento della volontà e di scoperta delle<br />

proprie possibilità operative in vari ambiti della realtà.<br />

Entrando nel discorso più direttamente di metodo terapeutico, notiamo che anche l'esperienza conferma la<br />

grande utilità della ergoterapia.<br />

Scopi e motivazioni<br />

Gli scopi della terapia del lavoro sono molto ampi e devono raggiungere un poco tutti gli aspetti principali di<br />

una persona.<br />

Impegnandosi con regolarità, fedeltà, rigore di programmazione, precisione di verifica, realistica creatività,<br />

ciascuno ac<strong>qui</strong>sta le capacità di impegno costante e competente, di costruttivo adattamento alle situazioni e<br />

alle difficoltà, di intesa e di collaborazione con le altre persone con le quali si lavora e con le quali si<br />

produce.<br />

Quando il lavoro è il medesimo rispetto a quello praticato prima dell'esperienza di ergoterapia, uno scopo<br />

indispensabile è il rivederlo in prospettiva nuova, non vincolandolo al puro obbligo di lavorare per un<br />

guadagno necessario alla vita, ma alla possibilità di esprimersi e di rendersi utili, senza calcoli di immediato<br />

tornaconto economico.<br />

Quando il lavoro è diverso rispetto a tutte le esperienze precedenti, permette di apprendere qualcosa di<br />

nuovo e comunque di verificare gli atteggiamenti di fronte a degli impegni scoperti come necessari, non<br />

nell'ottica d un individuale profitto finanziario ma in quella di una verifica personale e di una sensibilità<br />

comunitaria.<br />

In sintesi si possono sottolineare come obiettivi i seguenti:<br />

- espressione delle proprie potenzialità intellettive e manuali;<br />

- esercizio comunicativo sistematico per la collaborazione e l'intesa nel gruppo di lavoro;<br />

- sviluppo della capacità psicologica di adattamento alle situazioni;<br />

- allenamento della volontà per fronteggiare momenti di crisi e di difficoltà.<br />

Metodo<br />

Il lavoro diventa ergoterapia quando allena a impegni tenaci ed è occasione, per tanti aspetti privilegiata, per<br />

un confronto effettivo con noi stessi e con determinati settori della realtà nella quale, di fatto, dobbiamo<br />

esprimerci.<br />

Naturalmente questa perseveranza e questa verifica devono nascere e crescere in un confronto costruito su<br />

comunicazioni franche e pertinenti.<br />

Queste linee di principio richiedono un metodo preciso, che possiamo progressivamente descrivere come<br />

segue:<br />

1. si deve sempre rapportare ogni tipo di lavoro, con le sue regole, al temperamento delle persone che in


pag. 34<br />

esso sono impegnate;<br />

2. tutti e tre gli ambiti del carattere (emotività, attività e risonanza), siano periodicamente verificati proprio<br />

circa gli effetti conseguiti vivendo i rapporti richiesti dall'esperienza di ergoterapia;<br />

3. l'aspetto da analizzare in modo sempre primario è l'effettivo coinvolgimento della persona in quella<br />

determinata attività;<br />

4. analizzando il coinvolgimento, si devono rilevare:<br />

- le motivazioni, in particolare per stabilire se sono autonome o eteronome;<br />

- le capacità di base nel settore, e le capacità di apprendimento con i ritmi relativi;<br />

- gli esiti prevedibili, se quel tipo di attività divenisse prolungata;<br />

5. è importante valutare comunitariamente l'utilità delle esigenze concrete della vita di gruppo;<br />

6. salvo che nei casi di autentico imprevisto, il lavoro deve essere progettato in modo che ciascuno sappia<br />

prima quanto lo impegnerà dopo.<br />

Modalità operative<br />

Le attività devono essere condotte in modo poi da venire eseguite con fedele perseveranza, nella rotazione<br />

delle responsabilità, nel costante collaborare tra i vari protagonisti dell'esperienza, nella distribuzione<br />

quotidiana dei programmi così che ciascuno partecipi a tutti i settori, verifichi il tipo di attitudine di cui è<br />

dotato ed eserciti la volontà alla tenacia, al confronto, al realismo.<br />

Nel concreto l'esperienza di lavoro si sviluppi secondo le scelte che <strong>qui</strong> di elencano.<br />

1. Ogni operatore cerchi di rendersi conto di quanto richiedano, in doti ed in tempo, le diverse attività.<br />

2. Gli operatori abbiano sempre una panoramica il meno incompleta possibile del procedere dell'ergoterapia.<br />

3. Eventuali innovazioni mirino alla migliore coerenza con le rivelazioni di verifiche da condurre<br />

frequentemente e comunitariamente.<br />

4. Di fronte a rilievi o a lamentele se ne valutino le ragioni e, se queste risultano fondate, se ne prenda<br />

spunto per un riesame comunitario della prassi ergoterapica in atto.<br />

5. Si ricerchino comunque la puntualità nell'esecuzione, il rispetto delle programmazioni, l'agile adattabilità<br />

agli imprevisti e a specifiche contingenze.<br />

6. Vi sia una distribuzione delle responsabilità e dei carichi di lavoro a rotazione, attuata sempre on uno<br />

spirito di sincera umiltà, di generosa condivisione, di prontezza all'aiuto reciproco.<br />

7. Si tenda a una progressiva responsabilizzazione sia per gli aspetti operativi, sia per i programmi, sia per i<br />

bilanci, sia per i possibili sviluppi di tipo amministrativo e di tipo commerciale.<br />

8. Esista una ricerca, condotta insieme, dei miglioramenti, dei correttivi, delle proposte integrative, e,<br />

quando fosse il caso, alternative.<br />

9. Si conduca un costante, sereno e comunitario ripensamento del valore, dell'unità, delle motivazioni<br />

concernenti quanto si compie e gli atteggiamenti di fatto vissuti durante gli impegni di lavoro.<br />

10. Si tenga saldo e stabile il riferimento sereno e sincero a chi, in un determinato settore, è nominato<br />

responsabile.<br />

11. Quando i responsabili, i competenti, gli aiutanti non rispettano le tabelle di marcia concordate, se ne<br />

scoprano i motivi in sereni collo<strong>qui</strong>, per eventuali, coraggiose reimpostazioni di programmi e/o di metodo.<br />

12. A proposito della quantificazione nel lavoro, essa non ha senso, se significa una preoccupazione<br />

produttivistica da azienda con l'obiettivo del profitto economico. Quantificare il lavoro è invece assai utile<br />

quando diviene indicazione per una verifica oggettiva di almeno qualcuno dei seguenti aspetti:<br />

- l'esame della propria volontà;<br />

- il progresso nella perizia;<br />

- l'allenamento a concordare con gli altri i traguardi e gli strumenti;<br />

- il discutere sereno per rendere concreta, anche nel settore dell'ergoterapia, l'empatia;<br />

- la scoperta di “misure” realistiche per le programmazioni.<br />

Il quantificare il lavoro deve risultare un rendere più immediati e più continuativi i rapporti di condivisione,<br />

favorendo pure una serena analisi di ciascuno, sia nella sua capacità di agire, sia nella sua capacità di<br />

dialogare e di accordarsi.


pag. 35<br />

Logoterapia<br />

Seguendo Frankl possiamo riassumere in quattro atteggiamenti le principali forme del vuoto esistenziale nel<br />

quale è coinvolto il tossicodipendente.<br />

1. La provvisorietà della condotta di vita, cioè l'abitudine di vivere alla giornata.<br />

2. L'atteggiamento di vita fatalistico: incapacità di prendere in mano la propria vita, affidandosi al caso,<br />

alle circostanze, ai condizionamenti sociali e psicologici.<br />

3. La mentalità collettivistica, che consiste nell'annullamento della capacità di autodirezione, con delega<br />

totale al gruppo.<br />

4. Il fanatismo: rifiuto di considerare la personalità dell'altro diverso da sé.<br />

Di fronte a simili situazioni si rivelano indispensabili, nel cammino terapeutico, la logoterapia e l'analisi<br />

esistenziale.<br />

Con questi due termini (Frankl, 1972) si intendono:<br />

A. logoterapia: terapia che pone alla base lo “spirito”; nel termine il componente “logos” indica appunto il<br />

fattore spirituale e il significato avvertito e accolto per una propria vita;<br />

B. analisi esistenziale: in logica connessione con la logoterapia, essa è un metodo che aiuta a scoprire i<br />

fattori significativi del proprio “esserci”, il Dasein di Heidegger, a rintracciare nel proprio vivere tutti i<br />

possibili valori. L'analisi esistenziale è esplicazione dell'esistenza e interpretazione di essa nello sforzo di<br />

estrinsecare le possibilità personali di attuare il significato della vita, via via scoperto e compreso.<br />

In sintesi la logoterapia mobilita la capacità di autodistanziamento, necessaria per l'autoconoscenza; l'analisi<br />

esistenziale stimola la libertà nella ricerca di significati da porre alla base della progettazione. Il tutto<br />

attraverso una comunicazione espressa in incontri davvero personali e di vivo interesse esistenziale.<br />

Articolazioni<br />

L'impegno del comunicare, dell'analizzare la comunicazione per poter trovare indicazioni e strumenti di<br />

terapia pone il tema dell'articolarsi concreto dei metodi sopra scritti.<br />

Un'indagine essenziale, anche se difficile, è quella riguardante le comunicazioni affettive, tanto degli affetti<br />

positivi quanto degli “affetti” negativi verso gli altri.<br />

Prima ancora, sotto i profilo logico, è importante cogliere quale sia la reale valutazione che si ha di se stessi<br />

e, spia efficacissima, è l'esaminare come si parla di se stessi soprattutto quando il linguaggio non avverte un<br />

censore nel terapeuta.<br />

Nello svolgersi di un'esperienza terapeutica fondamentali sono i momenti di collo<strong>qui</strong>o per la revisione del<br />

proprio comportamento, per l'indagine dei propri atteggiamenti, per l'analisi delle modalità di confronto con<br />

le regole di vita e i programmi di azione.<br />

Un campo privilegiato del comunicare, con tutte le conseguenti analisi e valutazioni indicative terapeutiche,<br />

è costituito dalla ricerca delle strutture fondamentali del carattere, in particolare è opportuno fermarsi sulle<br />

proprie caratteristiche psicologiche.<br />

L'impegno di autoconoscenza si deve portare, come a traguardo più alto, sull'esame dei propri valori morali,<br />

considerandone la consistenza, la profondità di convinzione, l'effettivo influsso sulla propria condotta.<br />

Modalità<br />

Circa le modalità concrete dei collo<strong>qui</strong> a scopo terapeutico, si possono indicare le seguenti distinzioni:<br />

- collo<strong>qui</strong> individuali, con un operatore;<br />

- collo<strong>qui</strong> comunitari, vere e proprie discussioni di gruppo, condotte da un operatore che è responsabile del


pag. 36<br />

loro svolgimento,<br />

- collo<strong>qui</strong> di piccoli gruppi per problemi specifici o per programmare ciò di cui sono responsabili coloro che<br />

appunto partecipano a questo momento.<br />

Ricordando che, naturalmente, hanno sempre valore sia la conversazione spontanea, condotta in clima di<br />

sincerità e cordialità, sia, d'altra parte, le discussioni a contenuto morale o sociale o culturale, si precisano le<br />

sottoindicate distinzioni.<br />

1. I collo<strong>qui</strong> individuali di natura loro siano, oltre che chiari, i più tempestivi possibile. Un atteggiamento di<br />

tipo comunitario, però permetterà a tutti di sentire significativi quei momenti a prima vista solo individuali,<br />

perchè ciò che è costruttivo per una persona è in realtà valido e prezioso per tutti.<br />

2. Le conversazioni comunitarie sono come una vera e propria carta topografica per il cammino terapeutico.<br />

In esse, infatti, gli operatori conducono le verifiche sia dei programmi sia dei comportamenti, le analisi dei<br />

risultati e le ipotesi di nuovi impegni, lo studio delle situazioni dal punto di vista sia delle strutture sia degli<br />

strumenti. Nell'eventualità sorgessero dei pareri difformi, si devono evitare contrapposizioni simili a quelle<br />

di partiti rivali. Questo perchè in un'esperienza terapeutica ci possono essere differenze di opinioni ma non<br />

esistono diversità di interessi, in quanto tutti tendono al miglioramento personale proprio e altrui, sotto il<br />

profilo della maturazione psicologica e morale.<br />

3. Nel caso di vita comunitaria ricca di mete, di problemi, di esperienze, si può richiedere anche il collo<strong>qui</strong>o<br />

per piccoli gruppi Questo per quelle precisazioni educative che riguardassero soltanto alcuni (ad esempio i<br />

residenti nei primi, o negli ultimi tempi dell'iter terapeutico, per quel che riguarda questioni strettamente<br />

tipiche della loro fase di esperienza) oppure per la verifica o l'impostazione di attività che, per accordo<br />

unanime, siano state affidate all'esclusiva responsabilità di qualcuno.<br />

Se è vero che la parola esprime, arricchisce imposta la vita, le modalità della logoterapiae e dell'analisi<br />

esistenziale non possono essere completamente progettate a priori; le linee presentate sono una traccia che<br />

normalmente costituisce una positiva regolamentazione perchè i collo<strong>qui</strong> siano di fatto coerenti con le loro<br />

finalità.


pag. 37<br />

Crescita delle conoscenze e programmi personalizzati<br />

Ciascuna persona ha bisogno, in modo non generico, di ac<strong>qui</strong>sire un patrimonio conoscitivo che gli permetta<br />

di inserirsi nella vita sociale (parliamo, ad esempio, di conoscenze professionali e di conoscenze civiche).<br />

Il tossicodipendente, censurando la propria vita interiore, i rapporti umani e la progettualità esistenziale,<br />

ottiene conoscenze che risultano:<br />

- totalmente prive di rapporto con il bagaglio conoscitivo pregresso per natura, contenuti e finalità, essendo<br />

del tutto estranee dalla storia precedente l'assunzione di droga;<br />

- inevitabilmente generanti devianza per intrinseca negazione di ogni aspetto comunitario, collettivo, a causa<br />

della chiusura in uno stretto individualismo;<br />

- necessariamente improduttive per una qualsiasi progettazione del futuro, a motivo della schiavitù nel “tutto<br />

e subito”, unica logica di ricerca e di azione generata dalla dipendenza tossicomanica.<br />

Perciò il vivere un iter terapeutico esige una crescita, oltre che un'autoconoscenza, nell'autodisciplina,<br />

nell'autenticità del comunicare, nel realismo di progettare anche negli orizzonti culturali e nelle competenze<br />

specifiche.<br />

Le conoscenze da conseguire e da approfondire appartengono agli ambiti più diversi.<br />

E' evidente che ogni insegnamento dovrà graduarsi secondo i criteri delle capacità di ciascuno e dovrà<br />

impostarsi tenendo presente sia il cammino culturale pregresso, sia quanto si mostra più importante da<br />

ottenere, man mano che i chiarisce a quale sbocco per il futuro orientare le singole persone.<br />

Simile patrimonio conoscitivo sarà da raggiungere con momenti di vera e propria lezione, con conversazioni<br />

insieme a persone competenti, con l'impegno – ed è il metodo normalmente più costruttivo – di eseguire con<br />

serietà e costanza le attività inserite nell'ergoterapia.<br />

Per rendere più preciso il discorso della crescita personalizzata delle conoscenze sono doverose delle brevi<br />

note sull'apprendimento.<br />

Fasi dell'apprendimento<br />

L'apprendimento ha una fase informativa, una tendenziale e una operativa, e ha, di conseguenza, fattori<br />

conoscitivi, fattori motivazionali e fattori di esercizio.<br />

I. Ruolo dell'informazione<br />

Nell'apprendimento strumentale è necessaria l'informazione sulle possibilità offerte dalla situazione per<br />

soddisfare il bisogno è necessaria la rappresentazione dei successi e degli insuccessi passati per progredire<br />

verso la soluzione e fissarla; allo stesso modo tale ricerca mostra l'importanza di conoscere i risultati, come<br />

controllo delle “ipotesi” formulate (o almeno dell'efficienza delle azioni tentate); infine pare che si formino<br />

delle strutture conoscitive legate alla soddisfazione apportata dall'apprendere.<br />

Nell'apprendimento conoscitivo l'informazione è presupposta all'apprendimento, costituisce il materiale da<br />

apprendere, il risultato dell'apprendimento e ne forma la ricompensa.<br />

II. Importanza della motivazione<br />

La motivazione che aiuta l'apprendimento deve avere un'intensità alta ma non esagerata; la motivazione<br />

eccessiva disturba l'apprendimento, fissando troppo fortemente l'attenzione del soggetto sul fine, impedendo<br />

così la formazione delle connessioni intermedie che sono necessarie a raggiungere efficacemente lo scopo.<br />

La motivazione eccessiva poi non permette di percepire rettamente le possibilità che sono offerte, turbando<br />

la fase informativa dell'apprendimento.<br />

Nella situazione culturale d'oggi, in cui il soggetto ha bisogno di apprendere tante condotte o nozioni per le<br />

quali, al momento dell'apprendere, per causa di inesperienza o di immaturità, può non sentire alcuna<br />

attrattiva, è necessario suscitare una motivazione estrinseca. Tale motivazione non ha per oggetto la<br />

condotta stessa da apprendere o i beni ad essa intrinsecamente, ma beni diversi, più immediati.


pag. 38<br />

III. Funzione dell'esercizio<br />

Il fattore dell'esercizio entra come elemento essenziale sia nel condizionamento sia nell'apprendimento<br />

strumentale.<br />

La sua funzione è quella di fissare e consolidare le connessioni neurologiche e rappresentative in gioco<br />

nell'apprendimento.<br />

Oltre che a fissare tali connessioni, l'esercizio elimina i passi non necessari per raggiungere lo scopo<br />

prefisso; si ha conseguentemente un miglioramento nella fluidità della condotta e nel suo rendimento.<br />

IV. Teoria sull'apprendimento<br />

Fra le diverse teorie sull'apprendimento quella conoscitiva, sostenuta da Tolman, Lewin, Krechewsky,<br />

Harlow, Nuttin e altri, afferma che il principio che rende ragione dei fenomeni dell'apprendere è la<br />

ristrutturazione dei campi conoscitivi del soggetto apprendente.<br />

L'apprendimento fa in modo che uno stimolo diventi un segno di una certa ricompensa e di una certa<br />

risposta per ottenerlo.<br />

Krechewsky parla in questo caso di “ipotesi” di genere naturalmente conoscitivo, su diversi piani.<br />

La teoria ha strette connessioni con lo strutturalismo in teoria della percezione, pur senza richiamarsi sempre<br />

e necessariamente ad esso: l'apprendimento sarebbe una ristrutturazione delle forme percettive, che guidano<br />

poi differentemente o selettivamente l'azione.<br />

L'estinzione di quanto una volta appreso viene spiegata affermando che le “ipotesi” sono “docili”<br />

all'esperienza: quando l'esperienza cessa di confermarle, le rispettive strutture conoscitive vengono<br />

meno o vengono ristrutturate.<br />

Sembra proprio che questa teoria renda ragione di tutti i fenomeni di apprendimento, se si escludono<br />

quelli prevalentemente fisiologici di alcuni tipi di riflessi condizionati.<br />

Il motivo più profondo del conoscere<br />

Un poeta, l'Hebbel, ci presenta questa definizione: “la vita non è qualcosa, ma è un'opportunità<br />

per qualcosa”.<br />

Ebbene, siamo d'accordo.<br />

Il guardare, lo studiare la vita come un compito da concepire e da condurre quotidianamente, come una<br />

possibilità storica affidata all'impegno di ogni persona consente pure di scoprire il significato del tempo<br />

dell'umana esistenza.


pag. 39<br />

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