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recensioni e segnalazioni bibliografiche - Bretschneider Online

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RECENSIONI<br />

E SEGNALAZIONI<br />

BIBLIOGRAFICHE


ABITARE IN CITTÀ. LA CISALPINA TRA IMPERO E MEDIOEVO.<br />

LEBEN IN DER STADT. OBERITALIEN ZWISCHEN ROMISCHER KAISERZEIT UND<br />

MITTELALTER.<br />

Convegno tenuto a Roma il quattro e cinque novembre 1999.<br />

Kolloquium am vierten und fiinften November 1999in Rom.<br />

Edito su incarico dell'Istituto Archeologico Germanico Roma da J. Ortalli e M. Heizelmann<br />

Herausgegeben im Auftrag des DAI Rom von Iacopo Ortalli und Michael Heinzelmann<br />

Wiesbaden 2003, pp. 239.<br />

Le ricerche degli ultimi anni hanno dimostrato<br />

come per affrontare lo studio della città e della società<br />

romana nelle loro fasi più tarde, certamente le<br />

meno note, sia necessario avvalersi di approcci interdisciplinari<br />

che affrontino la complessità del fenomeno<br />

in tutte le sue sfaccettature. Le esigenze,<br />

in particolare, di definire le realtà urbane nella loro<br />

fisionomia durante i secoli della media e tarda età<br />

imperiale e di fare chiarezza, di conseguenza, sulle<br />

complesse trasformazioni che hanno interessato i<br />

singoli centri urbani, hanno stimolato un vivace e<br />

fecondo dibattito ancora in corso di svolgimento.<br />

La grande fase tardo antica costituisce di fatto una<br />

realtà difficile da inquadrare, sia per il suo carattere<br />

estremamente eterogeneo, sia per la frammentarietà<br />

delle fonti documentarie e archeologiche disponibili<br />

che ne ostacolano un' analisi puntuale.<br />

L'interesse per questo tema si è del resto accresciuto<br />

ulteriormente, come dimostrano l'acquisizione<br />

di molti dati nuovi, nonché l'apporto di importanti<br />

iniziative (Aurea Roma. Dalla città pagana<br />

alla città cristiana, a cura di S. ENSOLI ed E. LAROCCA,<br />

Roma 2000) e le recenti riflessioni critiche che hanno<br />

consentito di fare più luce sul paesaggio urbano<br />

della tarda antichità sia per il contesto italiano (Le<br />

città italiane tra la tarda antichità e l'alto medioevo, Atti<br />

del convegno, Ravenna 26-28 febbraio 2004, a cura<br />

di A. AUGENTI, Firenze 2006), che per la più ampia<br />

area del Mediterraneo (Housing in Late antiquity.<br />

From Palace to Shops, a cura di L. LAvAN,L. OZGENEL,<br />

A. SARANTIS, Leiden-Boston, c.s.).<br />

È dunque all'interno di questo rinnovato filone<br />

di studi che va a collocarsi il convegno Edilizia<br />

abitativa urbana e organizzazione della città nell'Italia<br />

settentrionale. Caratteri e trasformazioni tra età imperiale<br />

e tarda antichità (III-VI sec. d.C.), tenuto a Roma<br />

nel 1999 e che, ancora a tre anni di distanza dalla<br />

pubblicazione avvenuta nel 2003, si distingue per<br />

essere una delle più importanti<br />

che sul tema.<br />

iniziative scientifi-<br />

Lo scopo principale del convegno, ben esplicitato<br />

nella premessa, è stato quello di sottolineare<br />

la necessità di un nuovo approccio metodologico,<br />

12<br />

proponendo alcuni spunti di riflessione sulle trasformazioni<br />

urbane nel periodo compreso tra il III<br />

e il VI sec. d.C. e riservando un'attenzione preminente<br />

all'edilizia abitativa quale via preferenziale<br />

per cogliere le dinamiche di sviluppo e i cambiamenti<br />

economico-sociali che si dimostrano piuttosto<br />

eterogenei e diversificati a seconda delle zone<br />

considerate. La scelta dell'Italia settentrionale come<br />

area di interesse, a questo proposito, appare<br />

motivata, come chiaramente enunciato, da un criterio<br />

puramente geografico e funzionale, cui corrisponde<br />

la presentazione di una casistica mirata.<br />

Nella premessa del volume sono altresì indicati<br />

anche i limiti oggettivi della ricerca, dovuti per<br />

lo più al fatto che l'attenzione per il periodo medio<br />

e tardoimperiale, specialmente in termini di edilizia<br />

domestica, è stata per molto tempo oscurata da<br />

una lunga tradizione di studi che si è concentrata<br />

soprattutto sui grandi temi dell'urbanistica del periodo<br />

che va dalla fine dell' età tardorepubblicana<br />

fino alla media età imperiale o che, in ogni caso, ha<br />

manifestato un esclusivo interesse solo per gli elementi<br />

ornamentali di pregio; a discapito di ciò, va<br />

però ricordato che negli ultimi anni si sono imposti<br />

importanti studi che hanno aggiornato e arricchito<br />

la bibliografia esistente (si veda, per esempio, S.<br />

ELUS,Roman Housing, London 2000 o L LIPPOLIS, La<br />

Domus tardoantica. Forme e rappresentazioni dello<br />

spazio domestico nelle città del Mediterraneo, Imola<br />

2001 e, tra i più recenti, Secular Buildings and the<br />

Archaeology of Everyday Life in the Byzantin Empire, a<br />

cura di K. DARK,Oxford 2004). D'altra parte, la tendenza<br />

a valutare in termini assoluti di continuità o<br />

discontinuità la dinamica di sviluppo delle città<br />

tardoantiche costituisce un rischio non ancora del<br />

tutto superato, dovuto anche alla difficoltà di inquadrare<br />

cronologicamente l'insieme dei fenomeni<br />

che le contraddistinguono, aspetto sul quale è stata<br />

rivolta anche di recente una specifica attenzione<br />

(When did Late Antiquity end? Ed. M. DE Vas, Convegno<br />

Internazionale, Trento, 29-30 aprile 2005, c.s.).<br />

Il volume" Abitare in città. La cisalpina tra impero<br />

e medioevo" comprende diciassette contributi


178 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />

che, pur nella diversità delle ricerche proposte, determinata<br />

dalla specificità dei singoli casi di studio<br />

in cui prevalgono per lo più aspetti localistici o regionali,<br />

sono accomunati da una medesima impostazione<br />

metodologica, volta a interpretare i dati<br />

forniti dalla cultura materiale secondo un' ottica<br />

diacronica che intende privilegiare gli aspetti contestuali<br />

e, laddove sia possibile, la lettura integrata<br />

dei diversi tipi di fonte. I vari contributi sono "virtualmente"<br />

raggruppabili in tre parti, in cui vengono<br />

affrontati via via in modo diverso temi specifici<br />

basilari per il periodo tardoantico: il sistema difensivo<br />

urbano, i centri del potere, l'edilizia paleocristiana,<br />

i nuovi modelli abitativi e gli aspetti decorativi,<br />

la presenza delle sepolture nelle aree urbane.<br />

Una prima parte è dedicata alle trasformazioni<br />

urbane e abitative registrate nelle principali città<br />

dell'Italia settentrionale, di cui vengono definite le<br />

singole fasi di vita e, nel rispetto dei propositi formulati,<br />

appare particolarmente utile la presentazione<br />

anche delle fasi di fondazione e di quelle relative<br />

ai primi secoli dell'età imperiale, quali elementi<br />

introduttivi per analizzare in prospettiva gli<br />

eventi imputabili alle fasi più tarde, evitando di<br />

creare cesure forzate tra i singoli periodi storici. Secondo<br />

questa impostazione, vengono presi anzitutto<br />

in considerazione i casi più espliciti del Piemonte,<br />

di cui si tenta di offrire un quadro globale che<br />

evidenzia per la fase tardoantica la presenza di alcuni<br />

fenomeni generalizzati (L. MERCANDO): la variazione<br />

del tessuto urbano con la creazione dell'insula<br />

episcopalis in seguito alla formazione delle<br />

diocesi della fine del IV sec. d.C. (Novara, Torino),<br />

cui d'altra parte corrisponde la persistenza di altre<br />

strutture romane (Vercelli) e una piena aderenza<br />

degli stessi edifici religiosi cristiani all'impianto<br />

viario romano che, in talmodo, risulta ancora funzionale<br />

nel corso del V sec. d.C. (Alba, Asti); le modifiche<br />

strutturali che interessano sia gli edifici<br />

pubblici che privati, spesso e volentieri oggetti di<br />

spoliazione, seppure in tempi diversi, ma che acquisiscono<br />

una loro nuova vitalità; quindi, la drastica<br />

contrazione di alcuni centri con la costruzione<br />

di mura urbiche già dalla metà del III sec. d.C. (Susa)<br />

e in seguito fino all'età medievale (Acqui); il<br />

progressivo inserimento delle sepolture nell'area<br />

urbana a partire dal VI sec. d.C. (Alba, Torino);infine,<br />

la formazione di un ceto sociale elevato, probabilmente<br />

di origine rurale, testimoniato dall'importazione<br />

di vari oggetti pregiati e di monumenti<br />

funerari già a partire dal III e IV sec. d.C. (Ivrea,<br />

Industria).<br />

I ripetuti interventi di archeologia urbana che<br />

negli anni sono stati eseguiti nelle città di Brescia e<br />

di Trento, consentono invece di ricostruirne la fisionomia<br />

urbana, perlomeno nei tratti fondamentali,<br />

evidenziando le principali trasformazioni che<br />

hanno interessato entrambi i centri tra tardoantico<br />

e altomedioevo. Per quanto riguarda Brescia, in<br />

particolare, sulla scorta di un' attenta lettura anche<br />

di quanto già pubblicato sull'argomento, vengono<br />

segnalate le principali evidenze architettoniche e<br />

monumentali che contraddistinguono questa lunga<br />

fase di cambiamento, in cui si assiste a una vera e<br />

propria riorganizzazione del tessuto urbano (F.<br />

ROSSI). L'ampliamento del sistema difensivo, l'edificazione<br />

di nuovi edifici pubblici e di culto, tra cui<br />

il complesso episcopale, la realizzazione di un porto<br />

fluviale, sono tutti elementi che evidenziano<br />

l'affermarsi di un nuovo centro cittadino, riorganizzato<br />

nei suoi sistemi viari e nelle sue principali<br />

infrastrutture, seppure in un settore specifico della<br />

città, quello occidentale (a discapito di quello più<br />

antico che ruotava intorno al foro, situato nell'area<br />

orientale). Se alcune di queste trasformazioni sono<br />

in parte certamente imputabili alla discesa di Attila<br />

- si pensi proprio allo spostamento del polo cittadino<br />

verso il settore occidentale della città, più<br />

facilmente difendibile - vengono però giustamente<br />

considerate più esplicite manifestazioni ancora di<br />

una vivacità economica che perlomeno fino al V<br />

sec. d.C. coinvolge non solo il centro urbano, ma<br />

probabilmente anche l'area del suburbio. Nondimeno,<br />

altri segnali attestano un fenomeno di degrado<br />

specialmente per quel che riguarda il settore<br />

orientale della città, ove si collocava l'antico polo<br />

romano. Tutto ciò trova un' esplicita conferma<br />

anche sul versante dell'edilizia privata: da un lato,<br />

le note domus romane presso il complesso di S.<br />

Giulia, cui si aggiunge anche quella di via Alberto<br />

Mario, presentano trasformazioni (ristrutturazioni<br />

interne, modifiche degli apparati decorativi e architettonici,<br />

ecc.) che orientano verso un nuovo<br />

concetto dell'abitare, contraddistinto da una parcellizzazione<br />

degli spazi e dalla loro conseguente<br />

rifunzionalizzazione; dall'altro, la casa di piazza<br />

Duomo, che al contrario delle precedenti presenta<br />

un'ampliamento dei vani, sembra confermare l'importanza<br />

assunta tra IVe V sec. d.C. dal settore occidentale<br />

della città. Merita di essere segnalata,<br />

inoltre, l'attenzione che l'A. rivolge alle tracce di<br />

spoliazione e di destrutturazione, talora piuttosto<br />

labili, che a partire dal V sec. d.C. interessano l'area<br />

urbana orientale, investento non solo gli edifici<br />

pubblici, ma anche le strade.<br />

Un caso analogo è pure quello di Trento, di cui


2006] RECENSIONI 179<br />

viene ripercorsa, a grandi linee, la storia urbanistica<br />

nelle sue fasi principali, a partire dal II sec. d.C.<br />

- la prima fase documentabile con certezza -, fino<br />

al VI sec. d.C. (G. CIURLElTI). Ne emerge un quadro<br />

che, sostanzialmente, non differisce da quello delineato<br />

anche per Brescia e altri centri dell'Italia settentrionale,<br />

specialmente se si guarda alle trasformazioni<br />

urbane che tra III e IV sec. d.C. vedono<br />

il rafforzamento delle mura urbiche, motivato in<br />

questo caso dalla calata alamanna; al contempo, si<br />

assiste all' arresto dell'espansione extra moenia della<br />

città come immediata conseguenza del crollo di<br />

lussuosi edifici residenziali situati nel settore occidentale.<br />

Nonostante la frammentarietà dei dati disponibili,<br />

l'A. riesce a cogliere nella creazione dei<br />

nuovi edifici di culto cristiani e nell'uso dello spazio<br />

urbano come luogo di sepoltura, i due fenomeni<br />

principali che sembrano condizionare l'evoluzione<br />

urbana della città a partire dalla metà del IV<br />

sec. d.C. Altri indizi, inoltre, gli consentono di riconoscere<br />

per i due secoli successivi le tracce di una<br />

crisi economica e politica che colpisce la città nella<br />

sua interezza: la privatizzazione degli spazi e degli<br />

edifici pubblici, oltre che la frammentazione delle<br />

unità abitative, ne costituiscono gli aspetti più evidenti.<br />

L'intervento, tuttavia, si limita a illustrare<br />

questi fenomeni in modo piuttosto corsivo, poiché<br />

si basa quasi esclusivamente su considerazioni di<br />

tipo edilizio-strutturale, trascurando altri aspetti<br />

che potrebbero far luce sulle trasformazioni sociali<br />

ed economiche della città, come per esempio i materiali<br />

dei singoli contesti.<br />

Molto più articolato, in questo senso, il contributo<br />

sulla città di Verona, cui viene riservata<br />

un' ampia trattazione sulle testimonianze riferibili<br />

all'edilizia privata, tenendo conto anche dei dati<br />

propri della cultura materiale e dei contesti stratigrafici<br />

(G. CAVALIERJ MANASSE, B. BRUNO). La casistica<br />

offerta dalla città è piuttosto numerosa (sono una<br />

settantina le domus individuate) e questo permette<br />

una ricostruzione dettagliata dei principali fenomeni<br />

che scandiscono le trasformazioni urbane dai<br />

primi secoli dell'età imperiale fino addirittura al<br />

VII sec. d.C., ovvero fino all'età longobarda. Predomina,<br />

soprattutto nella prima parte del contributo,<br />

una puntuale attenzione per gli aspetti tipologici,<br />

quale per esempio l'affermarsi (nella prima metà<br />

del I sec. a.C,) della casa con cortile e peristilio centrale<br />

come modello di riferimento anche per i secoli<br />

successivi, ma soprattutto per quelli topografici:<br />

l'analisi della distribuzione degli spazi abitativi<br />

nel tessuto urbano e suburbano, supportata da<br />

un' attenta valutazione delle modifiche strutturali<br />

degli edifici, costituisce il principale criterio con<br />

cui vengono interpretate le diverse trasformazioni<br />

urbane. Oltre a sottolineare una vivace attività edilizia<br />

in età severiana, di cui sono testimonianza<br />

svariati pavimenti musivi, viene indicato nel rifacimento<br />

della cinta muraria a opera di Gallieno (265<br />

d.C.) l'evento focale che giustifica alcuni mutamenti<br />

nella pianificazione urbana della città. Se<br />

per i primi secoli dell'età imperiale, le mura urbiche<br />

mantengono ancora un valore puramente simbolico<br />

e monumentale, a partire dalla seconda metà<br />

del III sec. d.C. sembrano invece condizionare lo<br />

sviluppo edilizio, poiché solo ora emergono notevoli<br />

differenze tra gli edifici intra ed extra moenia,<br />

sia in termini di qualità che di distribuzione. D'altra<br />

parte, l'attenta valutazione dei contesti di abbandono,<br />

di cui vengono ricordate le principali sequenze<br />

stratigrafiche con le relative associazioni<br />

ceramiche, non solo registra una forte contrazione<br />

del tessuto urbano nell'area esterna alle mura, ma<br />

anche una situazione piuttosto diversificata all'interno<br />

della città. Vengono in questo modo meglio<br />

definite, seppur con qualche incertezza dovuta talora<br />

alla frammentarietà dei dati disponibili, le<br />

condizioni che nel IV sec. d.C. portano a una diversa<br />

destinazione dell'area esterna, ora adibita per<br />

scopi funerari o ecclesiastici, mentre vedono nell'area<br />

interna una ripresa (seppur limitata) dell'attività<br />

edilizia, accanto a casi di totale abbandono degli<br />

edifici. Pienamente condivisibile, quindi, l'ipotesi<br />

secondo cui le trasformazioni di III sec. d.C. costituirebbero<br />

il frutto di una pianificazione programmata,<br />

a differenza di quelle registrate per la fase<br />

tardoantica, giustificabili in seno a un graduale<br />

spopolamento che si può considerare concluso nel<br />

corso del VI sec. d.C.: i contesti abitativi evidenziano,<br />

di fatto, come' con l'età longobarda si apra un<br />

capitolo del tutto nuovo'.<br />

Per quanto riguarda l'area orientale dell'Italia<br />

settentrionale, i casi più rappresentativi sono costituiti<br />

dai centri romani di Concordia e Aquileia che<br />

continuano a rivestire anche per il periodo tardoantico<br />

un ruolo centrale. Di Concordia colpisce<br />

certamente il fatto che in età severiana rientri tra<br />

quei centri interessati, come il caso precedente di<br />

Verona, da una ripresa dell'attività edilizia tanto<br />

sul versante pubblico, quanto su quello privato (P.<br />

CROCEDAVILLA). Dai dati presi in considerazione, limitati<br />

a una serie di testimonianze sparse, emerge<br />

però un quadro ancora troppo frammentario, certamente<br />

condizionato dalla quantità e dalla qualità<br />

delle informazioni disponibili, ma che forse avrebbe<br />

meritato maggiori approfondimenti. In ogni ca-


180 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />

so, va riconosciuto all' A il merito di avere puntualizzato<br />

alcuni aspetti che non sembrano essere affatto<br />

occasionali, come per esempio la continuità<br />

d'uso tra III e V sec. d.C. di case situate in luoghi<br />

strategici della città dal punto di vista commerciale,<br />

la sopravvivenza della rete stradale romana, la<br />

precoce attività di spolio che interessa gli edifici<br />

pubblici di età classica, i cui elementi lapidei vengono<br />

reimpiegati nella nuova basilica paleocriatiana.<br />

È proprio intorno a quest'ultima, infine, che<br />

vengono individuati alcuni vani abitativi di Ve VI<br />

sec. d.C., di cui rimangono labili tracce.<br />

Certamente più complessa la situazione di<br />

Aquileia, essendo stata soggetta a una intensa attività<br />

di spoliazione, sia in tempi antichi che più recenti,<br />

oltre che a una lunga serie di scavi archeologici<br />

già partire dalla fine dell'Ottocento, solo negli<br />

ultimi anni di tipo stratigrafico: ciò comporta una<br />

serie di difficoltà che, in particolare per la fase tardoantica,<br />

rendono difficoltoso il recupero del materiale<br />

documentario e la possibilità di offrire un<br />

quadro interpretativo esaustivo. Dei due contributi<br />

che affrontano la "questione aquileiese", il primo<br />

mira principalmente a offrire un quadro generale<br />

sull'assetto urbano (M. VERZARBASS), soffermandosi<br />

su alcuni temi fondamentali, primo fra tutti quello<br />

ancora irrisolto delle mura urbiche, utile per definire<br />

l'effettiva estensione della città e la distribuzione<br />

delle aree abitative, argomento cui viene invece<br />

riservato un particolare approfondimento nel<br />

secondo contributo (G. MIAN).Riguardo alle mura<br />

della città urbiche, viene avanzata l'ipotesi che già<br />

a partire dal III sec. d.C. fossero più ampie rispetto<br />

a quelle di età tardorepubblicana, contrariamente a<br />

quanto finora sostenuto, come sembrano confermare<br />

pure i nuovi ritrovamenti di domus nella parte<br />

occidentale della città: queste considerazioni<br />

consentono di chiarire meglio le caratteristiche del<br />

tessuto urbano, che risulta allargato rispetto all'impianto<br />

originario, e di verificare come Aquileia si<br />

distinguesse ancora nel secolo successivo per essere<br />

una città molto fiorente. Opere di abbellimento,<br />

la costruzione di nuovi edifici, la creazione addirittura<br />

di un nuovo centro vicino al complesso basilicale,<br />

le attività di ristrutturazione nell' edilizia privata,<br />

sono tutti fattori percepibili nei dati materiali,<br />

ma confermati anche da fonti epigrafiche e storiche<br />

che l'A puntualmente riporta. Sempre attraverso<br />

un uso integrato delle fonti storiche e archeologiche,<br />

vengono quindi esaminate anche le<br />

ultime fasi del IV sec. d.C. e quelle iniziali del V,<br />

di cui viene ricostruito il quadro generale a partire<br />

dalle mura urbiche, per poi presentare, nell'ultima<br />

parte del contributo, la notevole varietà delle tipologie<br />

abitative individuate (domus residenziali riservate<br />

a personaggi di elevato lignaggio, una probabile<br />

residenza palaziale e case più modeste).<br />

Il tentativo di offrire, a questo proposito, un<br />

quadro generale dell'edilizia privata, pur tenendo<br />

conto di quanto siano lacunose le informazioni archeologiche<br />

e dello scarso aiuto offerto dalle fonti<br />

letterarie, costituisce un carattere innovativo nell'ambito<br />

della storia degli studi aquileiesi che vede<br />

già da tempo impegnata l'A (G. MIAN)in un progetto<br />

di ricerca di più ampio respiro (si veda, per<br />

esempio, Le domus di Aquileia, in AAAd, XLIX, 2,<br />

2001, pp. 599-628). L'attenzione dell' A si concentra,<br />

in questa sede, soprattutto sulle trasformazioni<br />

che contraddistinguono le domus di età tardoantica,<br />

dando risalto alle nuove soluzioni planimetriche<br />

adottate, in particolare l'abside, per la cui introduzione<br />

viene suggerita, a ragion veduta, un<br />

motivo di carattere funzionale, oltre che di moda,<br />

legato alla necessità di organizzare meglio lo spazio<br />

dei vani di rappresentanza. Sempre in un' ottica<br />

di carattere funzionale viene interpretata, per<br />

esempio, la sopraelevazione dei piani di calpestio<br />

tramite suspensurae, utili per ovviare al problema<br />

dell'umidità, mentre la costruzione di nuovi pavimenti<br />

sopra altri già esistenti risponderebbe più all'esigenza<br />

di avere nuove forme di abbellimento.<br />

Si verrebbe dunque a modificare, come dichiara la<br />

stessa A, l'idea secondo cui ad Aquileia solo l'edilizia<br />

pubblica in età tardoantica avrebbe presentato<br />

dei caratteri di rinnovamento, a differenza di quella<br />

privata che, al contrario, avrebbe mantenuto gli<br />

schemi tradizionali. Naturalmente, rimangono ancora<br />

aperte molte questioni, tra cui il numero delle<br />

domus effettivamente contenuto nelle singole insulae,<br />

la completa articolazione interna delle case,<br />

una più puntuale definizione cronologica basata<br />

quasi esclusivamente sulle caratteristiche stilistiche<br />

dei mosaici; ciò nonostante, le linee di ricerca<br />

seguite sembrano aprire nuove prospettive di indagine.<br />

Un approccio più mirato a ricostruire la fisionomia<br />

socio-economica della società tardoantica,<br />

grazie anche all'incremento delle più recenti scoperte<br />

e all'apporto di numerosi dati materiali, di<br />

cui le caratteristiche degli insediamenti abitativi<br />

costituiscono uno dei principali aspetti considerati,<br />

è quello che invece viene proposto per l'antica Cispadana<br />

(J. ORTALU).I dati materiali raccolti consentono,<br />

in queso caso, di documentare con mag-


2006] RECENSIONI 181<br />

giore dettaglio i principali cambiamenti dell' edilizia<br />

residenziale urbana a partire dalla media età<br />

imperiale fino al pieno VI sec. d.C. e di potervi riconoscere<br />

gli esiti più immediati, evidenti nelle<br />

modifiche strutturali degli edifici che talora cadono<br />

in disuso e vengono completamente abbandonati,<br />

ma anche fenomeni meno espliciti, quali per<br />

esempio 'l'emergere di differenze sempre più radicali<br />

tra i vari ambiti territoriali' e tra i diversi quartieri<br />

all'interno della città, cui corrisponde un sempre<br />

più netto distacco tra ceti aristocratici, da un<br />

lato, e quelli medio-bassi, dall'altro. L'esigenza di<br />

assumere, in questo contesto di studio, un approccio<br />

retrospettivo viene dichiaratamente indicato<br />

come strumento essenziale per poter comprendere<br />

le radici di un processo che si presenta tutt'altro<br />

che lineare: punto di partenza è la media età imperiale,<br />

per certi aspetti ancora vitale, in cui è da<br />

identificare la fase formativa del periodo successivo,<br />

le cui tappe principali sono ripercorse dall' A<br />

in modo sistematico, fino agli eventi più significativi<br />

del VI sec. d.C. Vengono così messi in evidenza<br />

alcuni aspetti fondamentali, come la progressiva<br />

disarticolazione dell' originario spazio organizzativo,<br />

la contrazione delle aree abitative in seguito a<br />

un probabile calo demografico; una diffusa crisi<br />

dell' edilizia residenziale, tangibile anche nel progressivo<br />

scadimento delle tecniche costruttive e<br />

dei materiali utilizzati, cui sembrano opporsi solo<br />

alcune singole e sporadiche committenze - si vedano,<br />

per esempio, i complessi di Faenza, Cesena,<br />

Rimini e Ravenna - che, in ogni caso, non riescono<br />

a restituire al panorama cittad ino quell' aspetto di<br />

omogeneità e compattezza che invece contraddistinguevano<br />

il sistema di organizzazione spaziale<br />

di impostazione romana. Si tratta di un processo<br />

innarestabile, di cui l'A coglie anche delle sfumature<br />

nuove rispetto a quanto già evidenziato per<br />

altre realtà, in particolare per quel che concerne i<br />

mutamenti dell' apparato funzionale e giuridico: il<br />

paragrafo sugli' assetti catastali' assume, in tal senso,<br />

un carattere innovativo, specialmente se si considera<br />

che solo di recente la legislazione tardoantica<br />

sull'edilizia privata è divenuta oggetto di indagini<br />

specifiche (L BALDINILIPPOLlS,Gli spazi privati<br />

nelle città tardoantiche: norme e pratiche della costruzione,<br />

c.s.). Le trasformazioni registrate dai dati<br />

materiali per il periodo tardoantico e per il successivo<br />

momento di ripiegamento vengono infine motivate<br />

non solo alla luce dei processi di degrado e<br />

di consunzione che interessano i singoli edifici per<br />

via interna e naturale, ma anche in ragione dei devastanti<br />

effetti provocati dalla guerra greco-gotica<br />

del VI sec. d.C. che ne accelerano il tracollo definitivo,<br />

aprendo definitivamente le porte all' altomedioevo.<br />

Altri tre differenti contributi sono invece dedicati<br />

a importanti centri di antica fondazione romana<br />

situati nella Liguria costiera, per quanto risulti<br />

ancora oggi piuttosto difficoltoso delinearne un<br />

quadro coerente: come sottolineato dalle stesse A,<br />

l'impossibilità di utilizzare dati aggiornati e soprattutto<br />

la necessità di ridefinire la cronologia dei<br />

siti attraverso un riesame dei materiali dei vecchi<br />

scavi ottocenteschi e pure novecenteschi, limita<br />

fortemente la possibilità di ricostruire i caratteri e<br />

le trasformazioni che hanno interessato i centri urbani<br />

di quest' area tra la media età imperiale e il<br />

periodo tardoantico.<br />

L'antica Albintimilium, caso noto nella letteratura<br />

per essere stato uno dei primi siti di applicazione<br />

del metodo stratigrafico a opera di N. Lamboglia,<br />

costituisce un sito pluristratificato che lascia<br />

aperte molte questioni ancora per l'età romana,<br />

in particolare l'effettiva espansione dell'impianto<br />

urbano di II e I sec. a.C, e presenta svariate<br />

lacune per le epoche successive (G. SPADEA).Per<br />

quanto condizionata dalla qualità dei dati disponibili,<br />

l'A ha ripartito in modo poco equilibrato i diversi<br />

periodi presi in considerazione, dilungandosi<br />

eccessivamente per le fasi di età repubblicana e di<br />

prima età imperiale, allontanandosi un po' troppo<br />

dai limiti (anche cronologici) fissati dal convegno.<br />

L'attenzione per le fasi più tarde viene relegata infatti<br />

solo all'ultima parte del contributo, piuttosto<br />

ridotta, in cui si limita a evidenziare come nel IV<br />

sec. d.C. si assista a una progressiva contrazione<br />

dell'area abitata, ulteriormente accentuata da un<br />

evento traumatico non identificato, di cui però ne<br />

sono rintracciabili le tracce archeologiche. Segue<br />

l'abbandono dei principali edifici publici romani,<br />

anche se alcuni dati sembrano attestare una rinascita,<br />

seppur minima, di attività edilizia. Da quanto<br />

esposto dall' A pare, in effetti, che per quanto<br />

sia oramai avviata la destrutturazione della città<br />

romana, si registrino ancora segnali di vita suggeriti<br />

anche dalla circolazione delle merci che perdura<br />

nel V sec. d.C., destinata poi a declinare nel VI<br />

sec. d.C.<br />

Un caso di analoga difficoltà è quello di Genova,<br />

di cui tuttavia viene delineato un quadro più<br />

articolato (P. MELLI). I numerosi interventi di archeologia<br />

urbana, per quanto occasionali, consentono<br />

di ricostruire, a grandi linee, l'assetto della<br />

città nelle sue vari fasi, mettendo in evidenza le<br />

principali trasformazioni. Per quel che riguarda le


182 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />

fasi tardoantiche, in particolare, si registrano ancora<br />

una volta forme di contrazione degli spazi, cui<br />

segue necessariamente una riorganizzazione dell'area<br />

urbana e suburbana, già a partire dalla fine<br />

del III sec. d.C. Due sono gli elementi che sembrano<br />

condizionare lo sviluppo della città nei secoli<br />

successivi: l'importanza assunta dal porto, contestualmente<br />

alla riattivazione della via Postumia, e<br />

il ruolo sempre più importante che la città assume<br />

in qualità di centro ecclesiastico, la cui manifestazione<br />

più evidente è la costruzione dell'antica cattedrale<br />

nel corso del IV sec. d.C. Nei secoli successivi,<br />

il tessuto urbano, di fatto, subisce profondi<br />

mutamenti che contemplano, da un lato, forme di<br />

ruralizzazione degli spazi residenziali, talora utilizzati<br />

anche come aree cimiteriali, dall'altro una<br />

tendenza centrifuga che porta a cercare nelle aree<br />

più esterne i luoghi più adatti per abitare.<br />

L'ultimo sito preso in considerazione per l'area<br />

ligure è l'antica colonia di Luni che, a differenza<br />

dei casi precedenti, non ha conosciuto una continuità<br />

di vita fino ai giorni nostri, preservando in<br />

questo modo le stratigrafie antiche (A. M. DURAN-<br />

TE).Oltre a considerazioni generali sull'impianto<br />

della città, molte delle quali devono la loro definizione<br />

ai numerosi studi compiuti negli anni dall'Università<br />

Cattolica del Sacro Cuore di Milano,<br />

l'A. prende in esame i contesti abitativi identificati<br />

a partire dal I sec. a.c., per seguirne le diverse trasformazioni.<br />

Variazioni del tessuto urbano e soprattutto<br />

la monumentalizzazione del centro cittadino<br />

hanno addirittura comportato la demolizione<br />

di un'insula residenziale, mentre altre case vengono<br />

notevolmente ridimensionate. Nel corso del II e<br />

del III sec. d.C. si registrano varie ristrutturazioni,<br />

mentre alcune abitazioni crollano a causa di un sisma<br />

alla fine del IV sec. d.C. Importanti rifacimenti<br />

si hanno ancora nel V sec. d.C., quando la città gode<br />

di un periodo di floridezza che vede anche la<br />

costruzione di un edificio liturgico, prima di subire<br />

nel secolo successivo la dominazione gota. Nel<br />

complesso, l'A. offre un quadro piuttosto esaustivo<br />

sui caratteri dell'edilizia residenziale lunense, per<br />

la quale, del resto, può contare sia su una notevole<br />

quantità di attestazioni riferibili a una serie di case<br />

interamente scavate (la Domus orientale e la Domus<br />

di Oceano) o comunque esplorate per la maggior<br />

parte (la Domus degli affreschi), sia su un'approfondita<br />

bibliografia che si è già occupata in passato<br />

del tema (si veda, tra gli altri, A. ZACCARlA RUGGIU,<br />

La casa degli affreschi a Luni: fasi edilizie per successione<br />

diacronica, Quaderni. Centro Studi Lunensi 8,<br />

1983,pp. 3-38), rispetto alla quale non paiono aggiungersi<br />

particolari novità.<br />

Per quanto le osservazioni emerse da ogni singolo<br />

intervento appaiano per certi versi incerte e<br />

piuttosto variegate, i contributi fin qui esaminati<br />

risultano fortemente correlati tra loro: da una parte<br />

il comune interesse per lo studio della tarda antichità<br />

e dall'altra la condivisa convinzione dell'importanza<br />

di adottare un approccio integrato che<br />

miri alla ricostruzione della realtà storica, riconducono<br />

l'insieme delle ricerche all'esigenza di definire<br />

la società tardoantica nelle sue numerose sfaccettature.<br />

Per questo la molteplicità di temi e approcci<br />

può costituire non solo un elemento di ulteriore<br />

arricchimento, ma anche uno strumento di<br />

verifica dei diversi metodi d'indagine. In quest'ottica<br />

si inseriscono pienamente anche alcuni saggi<br />

di particolare spessore critico che affrontano le<br />

complesse questioni sulle diverse tipologie architettoniche<br />

residenziali, analizzate nella loro reciproca<br />

interazione in termini di convergenze e divergenze,<br />

e sulle cause che hanno portato alla fine<br />

del sistema edilizio privato delle domus.<br />

Nel primo contributo di questa seconda sezione<br />

dedicata a problematiche più generali, 1.'A. analizza<br />

le forme della residenzialità tardoantica in<br />

quanto espressione degli status più elevati, riconducibili<br />

essenzialmente alle abitazioni urbane (domus),<br />

a quelle extraurbane (villae) e alle sedi dei<br />

poteri pubblici (palatia), accogliendo l'idea che tra<br />

le dimore imperiali e quelle dei potentiores vi siano<br />

delle analogie o, quanto meno, delle reciproche influenze<br />

(D. SCAGLIARINI CORLÀITA). L'efficaceimmagine<br />

della Lautverrschiebung, a questo proposito, consente<br />

all'A. di chiarire le modalità di interazione<br />

tra i diversi tipi di edifici, che risultano interconnessi<br />

tra loro sul piano formale e sociale: se le domus<br />

tramandano il modello canonico di residenza<br />

e le ville ispirano invece soluzioni architettoniche<br />

innovative, è poi in realtà il palatium a recepire entrambe<br />

le esperienze e a riformularle su un piano<br />

più prestigioso, che a sua volta diviene un modello<br />

da emulare per l'edilizia privata. Nel prendere in<br />

esame i palazzi imperiali di Milano e Ravenna, l'A.<br />

evidenzia relazioni non solo di carattere tipologico,<br />

ma anche topografico: uno sviluppo, sul piano urbanistico,<br />

che coinvolge anche un altro importante<br />

punto di riferimento costituito dagli edifici religiosi.<br />

Tutto ciò, naturalmente, comporta una riorganizzazione<br />

del tessuto urbano che risente inevitabilmente<br />

di una mutata concezione non solo del<br />

potere pubblico, ma soprattutto del rapporto che


2006] RECENSIONI 183<br />

esso instaura col privato. Non è un caso che le dimore<br />

abitative più umili siano relegate in spazi secondari<br />

o che, addirittura, alcune parti degli impianti<br />

pubblici siano sacrificate per garantire una<br />

più ampia estensione agli edifici residenziali. Nell'ambito<br />

di questa analisi, non mancano nemmeno<br />

di essere presi in considerazione il rapporto con lo<br />

spazio esterno (sia urbano che territoriale), così come<br />

viene recepito e rappresentato simbolicamente<br />

all'interno degli edifici, e soprattutto i diversi tipi<br />

di ambienti e le relative funzioni, riservando una<br />

particolare attenzione a quegli aspetti che più di<br />

tutti, forse, possono indicare analogie o divergenze<br />

tra domus, villae e palatia, e le modalità di ricezione<br />

dei modelli: i percorsi interni e l'introduzione tra<br />

le nuove soluzioni architettoniche della sala trichora,<br />

in combinazione con quella absidata.<br />

Si orienta nel medesimo tema anche il secondo<br />

contributo, con l'intento però di identificare le<br />

dinamiche della crisi che ha investito domus e palatia<br />

e l'inevitabile involuzione del tessuto urbano<br />

che ne è conseguita, differente per tempi e modalità<br />

a seconda delle aree considerate (I. BALDINI LIP-<br />

POLls). L'attenzione dell' A, che sottolinea all' inizio<br />

del suo intervento le difficoltà di analisi dei dati<br />

archeologici dichiarando al contempo il proprio<br />

orientamento metodologico, viene rivolta principalmente<br />

ai tempi e alle modalità di abbandono,<br />

con lo scopo di individuare eventuali cesure o forme<br />

di progressiva recessione. Il quadro, in realtà,<br />

appare molto complesso ed eterogeno perché legato<br />

alle diverse situazioni di singoli casi isolati. Passando<br />

in rapida rassegna i casi di Aosta, del Piemonte,<br />

di Luni in particolare per la Liguria, del<br />

territorio padano e delle Venezie, viene rilevata<br />

una sostanziale disomogeneità di fondo nei processi<br />

di mutamento dovuta, tra le altre cose, anche alla<br />

differenziazione di ruolo che le singole città vengono<br />

ad assumere specialmente nel corso del IV e<br />

del V sec. d.C. In questo quadro di instabilità politica<br />

e sociale, che si viene a definire in modo sempre<br />

più evidente, anche le cesure traumatiche,<br />

identificabili per lo più con episodi bellici, detengono<br />

un ruolo importante; tuttavia, viene sottolineata<br />

con enfasi come siano soprattutto i fenomeni<br />

amministrativo-giuridici, oltre che sociali, a costituire<br />

uno strumento privilegiato con cui guardare<br />

alla storia degli edifici residenziali: la scomparsa di<br />

alcune case di prestigio potrebbe essere stata condizionata,<br />

per esempio nei casi di Ravenna e Rimini,<br />

dalla progressiva acquisizione pubblica sotto<br />

forma di donazioni o testamenti a favore della<br />

Chiesa. L'A segue poi a considerare altri aspetti<br />

che, ricorrendo piuttosto frequentemente, divengono<br />

veri e propri indicatori della crisi che investe il<br />

periodo in esame: si veda, per esempio, la frammentazione<br />

degli spazi abitativi, attestata sia in<br />

Occidente che in Oriente, la costruzione di case<br />

modeste sopra grandi domus di età imperiale, fino<br />

all'inserimento delle tombe nel tessuto urbano,<br />

senza trascurare altre possibili cause che hanno<br />

concorso a determinare il tracollo delle strutture<br />

residenziali, come quelle dovute a eventi naturali.<br />

A questi contributi, più specificatamente dedicati<br />

a tematiche di interesse più generale, si aggiunge<br />

il tentativo di indagare la cultura abitativa<br />

della Cisalpina sulla scia di alcune impostazioni<br />

metodologiche atte a sottolineare il ruolo socio-culturale<br />

della casa e il suo valore auto-rappresentativo,<br />

superando in questo modo il puro approccio<br />

descrittivo (M. GEORGE). Un'indagine di questo tipo<br />

non era stata mai applicata all' edilizia residenziale<br />

dell'Italia settentrionale, soprattutto in ragione della<br />

frammentarietà della documentazione, della<br />

scarsa attestazione degli apparati decorativi e della<br />

varietà tipologica architettonica. L'A cerca di superare<br />

questi ostacoli proponendo un confronto<br />

delle case prese in esame con quelle di altri ambiti<br />

provinciali, individuando nella Gallia e nell' Africa<br />

settentrionale i principali riferimenti. In particolare,<br />

l'A sembra riconoscere nelle grandi stanze di<br />

ricevimento di cui sono dotate le case della Cisalpina<br />

la stessa predominanza assunta dal triclinio<br />

in quelle delle Province occidentali; tuttavia, lamenta<br />

l'impossibilità di ricostruire in modo completo<br />

l'articolazione interna delle planimetrie, a<br />

causa della frammentarietà dei dati disponibili, e<br />

dunque di cogliere il rapporto tra funzione spaziale<br />

e ruolo sociale dei singoli ambienti: in alcuni casi,<br />

una lettura più legata alla personalità del committente<br />

difficoltà.<br />

potrebbe forse risolvere alcune apparenti<br />

Un altro grande tema piuttosto significativo<br />

cui è stato riservato spazio in questo convegno, riguarda<br />

gli agglomerati insediativi minori, in particolare<br />

le strutture vicane, di cui viene proposta<br />

un' accurata e puntuale analisi, essendo gli esiti in<br />

età tardoantica molto vari, oltre che piuttosto persistenti,<br />

fino al V sec. d.C. (G. SENACHIESA). Immediatamente<br />

dopo una nota introduttiva sull' argomento,<br />

in cui si sottolinea l'importanza di queste<br />

entità territoriali in ragione soprattutto del ruolo<br />

che esse rivestono a partire dall' età romana, l'A<br />

approfondisce i casi specifici di Angera e alcuni vici<br />

pedemontani, tra cui Mariano Comense, e altri<br />

della bassa pianura, come il vicus di Bedriacum.


184 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />

Questo le consente non solo di ribadire alcune realtà<br />

assodate, come la loro funzione spiccatamente<br />

commerciale e di transito, più che non agricola, ma<br />

di rilevare alcune costanti che, specie per comprenderne<br />

la continuità d'uso fino all'età tardoantica e<br />

il successivo abbandono o cambiamento di funzione,<br />

possono costituire per il futuro nuovi indirizzi<br />

di ricerca: così la vitalità di molti vici viene colta<br />

nella trasformazione di quartieri residenziali<br />

e commerciali in manifatturieri e artigianali, nella<br />

conservazione di un' organizzazione paraurbana<br />

con spazi pubblici e religiosi, nell' eventuale presenza<br />

di porti fluviali che consentono di intensificare<br />

quella rete di comunicazione e di flussi commerciali<br />

che si dimostrano ancora attivi perlomeno<br />

per tutto il IV sec. d.C.; d'altra parte, quando queste<br />

funzioni legate al transito vengono meno, molti<br />

di essi sono abbandonati, oppure si trasformano in<br />

centri fortificati o in villaggi di produzione agricola,<br />

perdendo la loro originaria vocazione.<br />

Segue, infine, una terza parte dedicata ad altri<br />

aspetti dell' edilizia residenziale, quali gli apparati<br />

decorativi, utili per ricostruire non solo le immagini<br />

che i proprietari delle case vogliono dare di sé,<br />

ma anche il gusto di una società in continuo divenire.<br />

Appropriata, dunque, la scelta di esaminare i<br />

mosaici tra le tipologie pavimentali attestate per il<br />

IVe V sec. d.C., in ragione della notevole varietà<br />

iconografica, cromatica e tecnica che li contraddistingue<br />

(G. MAIOU).L'A, solita a trattare questo tipo<br />

di argomento, ne affronta con notevole disinvoltura<br />

diverse tematiche, concentrandosi limitatamente<br />

ad alcuni aspetti essenziali: nella volontà di<br />

definire il rapporto tra tipo di decorazione e funzione<br />

dell'ambiente attraverso l'analisi compositiva<br />

e tecnica, anche l'aspetto simbolico può costituire<br />

un valido strumento di analisi. Secondo questo<br />

approccio, vengono messi a confronto alcuni tipi di<br />

raffigurazione presenti sia nelle aule basilicali di<br />

Milano, forse pertinenti al palazzo imperiale, e nella<br />

villa di Desenzano, sia nelle basiliche teodoriane<br />

e nei c.d. oratori di Aquileia. A seconda dei contesti,<br />

la medesima immagine può rispondere a esigenze<br />

differenti: le scene degli amorini pescatori o<br />

quella del C.d. Buon Pastore, per esempio, possono<br />

mantenere un valore più proprianente legato alla<br />

tradizione classica oppure assumere un nuovo significato<br />

alla luce del pensiero cristiano. L'analisi<br />

dei motivi compositivi spinge l'A ad affrontare<br />

anche la questione delle maestranze e della derivazione<br />

dei modelli, di cui riconosce due diverse tradizioni:<br />

una connessa per lo più all'ambito nord africano,<br />

in particolare tunisino, esplicita soprattutto<br />

per quei mosaici che presentano motivi marmi e<br />

scene di caccia, l'altra più vicina a tradizioni locali:<br />

i mosaici di tipo geometrico, di cui i rinvenimenti<br />

di Rimini e Ravenna sono tra gli esempi di più recente<br />

rinvenimento,<br />

più evidente.<br />

ne costituiscono l'espressione<br />

Anche per ciò che riguarda i materiali di arredo<br />

mobile, quali sculture, suppellettili e oggetti di<br />

vario tipo, viene proposta un' analisi contestuale -<br />

limitatamente ai casi per cui si dispongono di dati<br />

certi (F. SLAVAZZI). Per quel che riguarda le sculture,<br />

in particolare, colpisce il fatto che solo la statuetta<br />

di Apollo della villa di Desenzano sia attribuile<br />

con certezza al periodo tardoantico, mentre tutte le<br />

altre testimonianze rinvenute in loco siano riferibili<br />

al II sec. d.C.: l'analisi dei dati stratigrafici, oltre<br />

che stilistici, consente in questo caso all' A di sottolineare<br />

giustamente come si tratti per lo più di<br />

opere da collezione trasmesse per via ereditaria,<br />

secondo un fenomeno che si ripropone per questo<br />

periodo anche per altri contesti nel Mediterraneo.<br />

L'A non manca, poi, di rivolgere la propria attenzione<br />

anche agli arredi marmorei, a quelli lignei e<br />

ad altri tipi di infissi, seppur solo pregia ti, riservando<br />

una ripartizione equilibrata per ciascuno<br />

degli argomenti trattati, secondo un approccio ormai<br />

consolidato che evita di privilegiare unicamente<br />

solo le attestazioni scultoree (si veda, per<br />

esempio, Vivere come consoli a Roma e nelle province:<br />

le domus urbane e le viZZesuburbane. Arredi scultorei,<br />

argenti e marmi colorati, in Aurea Roma, a cura di S.<br />

ENSOLIed E. LA ROCCA,Roma 2000, pp. 134-173).<br />

A concludere questa ricca e articolata rassegna<br />

è, infine, l'analisi della presenza di sepolture in relazione<br />

agli spazi abitativi (C. LAMBERT), secondo<br />

un fenomeno che vede la progressiva occupazione<br />

delle aree urbane per scopi funerari che, come si è<br />

potuto constatare anche per molti dei casi considerati<br />

nei precedenti contributi, interessa diffusamente<br />

numerosi centri dell'Italia settentrionale, ma in<br />

modo diversificato. Si tratta di un tema piuttosto<br />

complesso, sul quale vi sono anche più recenti trattazioni<br />

(F. MARAZZI,Cadavera urbium. Nuove capitali<br />

e Roma aeterna: l'identità urbana in Italia fra crisi,<br />

rinascita e propanganda (secoli III-V), in Die Stadt in<br />

der Spiitantike - Niedergang oder Wandel?, Akten des<br />

internationalen Kolloquiums in Miinchen am 30. und<br />

31. Mai 2003, a cura di J.-D. KRAUSE,CH. WITSCHEL,<br />

Stuttgart 2006, pp. 33-65) e che, perlo meno nell'ambito<br />

di questo convegno, avrebbe forse necessitato<br />

di un maggiore approfondimento. In ogni caso,<br />

paiono interessanti e utili sia la tabella con cui<br />

l'A tenta di proporre un quadro di sintesi del fe-


2006] RECENSIONI 185<br />

nomeno, mettendo in evidenza il rapporto tra spazi<br />

abitativi e sepolture (oltre che con gli spazi episcopali)<br />

nei siti dell'Italia settentrionale, sia le pianimetrie<br />

dei diversi contesti esaminati con l'ubicazione<br />

delle tombe.<br />

Da quanto abbiamo presentato, emerge chiaramente<br />

l'ampiezza delle problematiche trattate, anche<br />

da angolazioni differenti, ma tutte ugualmente<br />

utili per fare il punto su quella vitale fase tardoantica<br />

che, anche alla luce dei nuovi dati, acquisisce<br />

sempre più precise connotazioni e che risulta continuamente<br />

arricchita e aggiornata anche nell'ambito<br />

della pubblicistica scientifica, come risulta pure<br />

dal ricco apparato bibliografico riportato alla fine<br />

di ogni contributo. Certamente, appare meritevole<br />

l'aver sottolineato come lo studio della cultura<br />

abitativa e costruttiva rappresenti un'importante<br />

cartina di tornasole per comprendere modelli e<br />

caratteri di una società che, pur manifestandosi in<br />

modo eterogeneo, appare contraddistinta da aspetti<br />

stabili e codificati, cui fanno riferimento precisi<br />

elementi tipologici: le scelte e i comportamenti socio-economici<br />

delle diverse classi sociali si riflettono<br />

pienamente nelle forme e nelle funzioni della<br />

casa tardoantica e perciò lo studio dell' architettura<br />

residenziale costituisce anche per questo periodo<br />

un efficace strumento di indagine. D'altra parte, si<br />

può forse lamentare una certa corsività nella trattazione<br />

di alcuni aspetti, come per esempio quelli legati<br />

al ruolo esercitato dalle chiese e dalle dimore<br />

episcopali nella riorganizzazione del tessuto urbano<br />

- si pensi a Brescia, Concordia e Aquileia -, ma<br />

la parzialità della documentazione, da un lato, e<br />

l'esigenza di ricostruire i tratti fondamentali della<br />

società tardoantica dell'Italia settentrionale attraverso<br />

la lettura integrata di tutte le tracce disponibili<br />

giustificano il mancato approfondimento di alcuni<br />

temi specifici che, diversamente, avrebbe<br />

comportato un eccessivo allontanamento dai propositi<br />

iniziali del convegno.<br />

Ci sentiamo di sottolineare, infine, come una<br />

simile iniziativa venga ad acquisire un peso davvero<br />

notevole per il progredire degli studi in quest'<br />

ambito, specialmente perché finora la grande fase<br />

tardoantica ha interessato più i medievisti che i<br />

classicisti, e ci si auspica che iniziative di questo<br />

genere si ripetano ancora in futuro, coinvolgendo<br />

discipline e competenze differenti che possano interagire<br />

tra loro.<br />

IL TEATRO E L'ANFITEATRO DI CIVIDATE CAMUNO.<br />

SCAVO, RESTAURO E ALLESTIMENTO DI UN PARCO ARCHEOLOGICO<br />

Firenze, All'insegna del Giglio 2004, pp. 408, ilI. bln e colori, con CD<br />

V. MARIOTTI (a cura di)<br />

EL TEATRO Y EL ANFITEATRO DE AUGUSTA EMERITA<br />

BAR International Series 1207, Oxford 2004, pp. 275, ilI. bI n, con CD.<br />

R.-M. DURAN CABELLO<br />

GLI EDIFICI PER SPETTACOLI NELL'ITALIA ROMANA<br />

Roma, Edizioni Quasar 2003, 2 voI., pp. 1004+430, ilI. b/n.<br />

Raffaella Bortolin<br />

G. TOSI con contributi di L. Baccelle Scudeler, P. Basso, J. Bonetto, G. De Vecchi, M. Nardelli, P. Zanovello<br />

L'attenzione per l'architettura da spettacolo<br />

nel mondo antico - e in particolare per i teatri e gli<br />

anfiteatri - è cresciuta in maniera significativa ne-<br />

gli ultimi anni, facendo registrare, accanto a un<br />

certo incremento nell'edizione di singoli monumenti<br />

I, un rinnovato interesse nella produzione di<br />

I In riferimento alla sola produzione monografica degli ultimi anni: S. CASCELLA, Il teatro romano di Sessa Aurunca, Marina di<br />

Minturno 2002; P. PALA, L'anfiteatro romano di Cagliari, Nuoro 2002; El teatro romano de C6rdoba, Cérdoba 2002; O. J. GILKES et al.,


186 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />

studi di sintesi. Si tratta di un filone di ricerca nel<br />

quale diverse tendenze di indagine trovano un valido<br />

campo di applicazione, in un dibattito scientifico<br />

continuamente ravvivato da proposte che<br />

giungono da varie nazioni, come le monografie appena<br />

pubblicate da Enno Burmeister 2 e Frank<br />

Sear', o quella in corso di stampa di Katherine E.<br />

Wilch4, fino al recente convegno siracusano Teatri<br />

antichi nell'area del Mediterraneo'. In questo ricco<br />

panorama i contributi di Valeria Mariotti, Rosalìa-<br />

Maria Duran Cabello e Giovanna Tosi che qui si<br />

presentano costituiscono un' espressione significativa<br />

di alcuni indirizzi d'indagine sull'architettura<br />

da spettacolo di età romana, con prospettive e approcci<br />

diversificati.<br />

Il volume curato da Valeria Mariotti, Il teatro e<br />

l'anfiteatro di Cividate Camuno. Scavo, restauro e allestimento<br />

di un parco archeologico, conclude un lungo<br />

programma di ricerche iniziato nel 1984 con i primi<br />

scavi nell'area del teatro romano e terminato<br />

con l'apertura di un grande parco archeologico6.<br />

La scoperta del quartiere destinato agli edifici per<br />

spettacoli nell'antica cioitas Camunnorum ha offerto<br />

l'occasione per un riesame complessivo dell'intero<br />

comprensorio camuno dalla preistoria all'età imperiale,<br />

con un taglio multidisciplinare che nell'organizzazione<br />

del volume non ha disdegnato gli<br />

aspetti divulgativi di alcune ricostruzioni grafiche.<br />

Nella prima parte del libro una serie di contributi<br />

analizza sotto vari aspetti la lunga continuità<br />

d'uso del sito, forse iniziata già nel Paleolitico Superiore<br />

con la capanna infossata individuata sotto<br />

le strutture di una domus romana a breve distanza<br />

dai due edifici per spettacoli. Di particolare interesse,<br />

per l'ampio spettro di suggestioni generato<br />

dall'uso di fonti epigrafiche e archeologiche spesso<br />

di recente acquisizione, è il contributo di Gian Lu-<br />

ca Gregori (pp. 19-36)sul rapido processo di romanizzazione<br />

dei Camunni a partire dalla conquista<br />

augustea del 16 a.c., quando furono adtributi forse<br />

alla vicina Brixia. Ben definito è il quadro economico<br />

presentato dall'A, con riferimenti sia alle produzioni<br />

locali e all'impiego di materiali lapidei e<br />

marmorei provenienti dalla coltivazione di cave<br />

vicine (tra cui, rispettivamente, le officine laterizie<br />

e l'impiego del marmo di Vezza d'Oglìo '). sia agli<br />

oggetti d'importazione, come le ceramiche invetriate<br />

di produzione orientale rinvenute nella necropoli<br />

di Breno. Per quanto riguarda, poi, la vita<br />

religiosa della comunità camuna in età romana,<br />

appare stimolante, anche sulla scia di studi precedenti,<br />

è il tentativo di identificare un santuario di<br />

Iside e Serapide nelle strutture recentemente rinvenute<br />

sotto la chiesa romanica di S. Stefano", Si tratterebbe<br />

di un'ulteriore attestazione di insediamento,<br />

su un' area consacrata alle divinità egizie, del<br />

culto del protomartire responsabile della prima repressione<br />

del culto isiaco a Canopo.<br />

L'analisi della Val Camonica in età romana è il<br />

tema del contributo offerto da Filli Rossi (pp. 37-<br />

47), profonda conoscitrice di questi territori e da<br />

anni occupata nello scavo del grande santuario di<br />

Minerva in località Spinera di Breno. Facendo interagire<br />

dati noti con altri derivanti dalle più recenti<br />

scoperte archeologiche, l'A struttura il testo su tre<br />

"canali di ricerca" principali: le dinamiche insediative<br />

nella prima età imperiale, la creazione della civitas<br />

Camunnorum e il suo significato nel panorama<br />

sociale ed economico dell'intera valle, l'integrazione<br />

dell'elemento indigeno nel modello culturale<br />

romano. Su questa traccia si inserisce il lavoro di<br />

Furio Sacchi sui reperti architettonici provenienti<br />

dall' area urbana. Tra le proposte di attribuzione<br />

avanzate dell'A, molto attraente appare quella riguardante<br />

una serie di elementi lapidei e marmo-<br />

The Theatre at Butrini. Luigi Maria Ugolini's Excauaiions at Butrint. 1928-1932, London 2003; C. Srosrro, L'anfiteatro romano di Catania.<br />

Conoscenza, recupero e valorizzazione, Palermo 2003; P. BRlDEL,Aventicum. 13. L'amphithéiìtre d'Auenches, Lausanne 2004; O. Ro-<br />

DRfGUEZGUTlÉRREZ,El teatro romano de ltdlica. Estudio aroueoarchiiectonico, Madrid 2004; G. MONTAU, 11 teatro romano di Cortina, Padova<br />

2006.<br />

2 E. BURMEISTER, Antike griechische und riimische Theaier, Darmstadt 2006.<br />

3 F. SEAR,Roman Theatres. An Architectural Study, Oxford 2006.<br />

4 K. E. WlLCH, The Roman Ampitheatre. From its Origine to the Colosseum, Cambridge in c.d.s.<br />

5 Teatri antichi nell'area del Mediterraneo. Conservazione programmata e fruizione sostenibile, Siracusa, 13-17 ottobre 2004. Atti in c.d.s,<br />

6 Note preliminari sul teatro e l'anfiteatro erano state presentate in: V. Mxmorrt, Cividate Camuno. Gli edifici da spettacolo, Caesarodunum<br />

25, 1991, 137-140; V. Mxxrorn, Va/camonica romana. Teatro e anfiteatro di Cividate Camuno, in Spettacolo in Aquileia e nella<br />

Cisalpina romana (AAAd 41), Udine 1994, 367-379.<br />

7 Sul marmo di Vezza d'Oglio si veda il recente lavoro di D. POCG1,Analisi de/ marmo. Identificazione ed attribuzione di provenienza,<br />

in Principe ed eroe. L'immagine ideale del potere. Scoperta e restauro di una statua marmo rea dal Foro di Civitas Camunnorum, a cura<br />

di F. Rossi, Milano 2006, 49-58.<br />

S M. MIRABELLARODERTl,La chiesa antica di Santo Stefano in Cividale Camuno (Val Camonica), Caesarodunum 25, 1991, 141-146.


2006] RECENSIONI 187<br />

rei recuperati nel 2000nell'alveo dell'Oglio. Si tratta<br />

di alcune cornici, di un blocco di altare, di un<br />

fusto in granito e di una base in marmo bianco,<br />

nonché della nota lastra frammentaria con la titolatura<br />

Augus[ - -], tutti pezzi che l'A attribuisce all'area<br />

forense, in particolare al Capitolium e alla relativa<br />

porticus da collocare nell'area alle pendici dell'altura<br />

di S. Stefano. Questo settore della città, già<br />

noto per il rinvenimento nel 1938 di un frammento<br />

di figura maschile in seminudità e di altri pezzi architettonici,<br />

contemporaneamente alla pubblicazione<br />

del volume è stato al centro di alcune novità archeologiche.<br />

Si tratta nello specifico dello scavo effettuato<br />

all'estremità meridionale di Via Palazzo,<br />

che ha restituito, nel contesto di un edificio monumentale<br />

di età flavia, una bella statua maschile con<br />

Hùftmantel datata in età giulio-claudia 9, definendo<br />

meglio l'immagine del foro della città romana. Tornando<br />

allo studio di Sacchi, gli elementi raccolti<br />

permettono all'A di formulare alcune considerazioni<br />

sul programma urbanistico e architettonico<br />

avviato in città tra la fine del I e gli inizi del II secolo<br />

d.C. Esso avrebbe coinvolto i principali monumenti<br />

urbani, dal foro, forse frutto dell'evergetismo<br />

di personaggi locali come Placidius Casdianus,<br />

M. Teudicius Verus o Laronius Octavianus, ai due<br />

edifici da spettacolo e alle terme di via Casdiano,<br />

fino al grande santuario extraurbano di Breno. A<br />

preludio del quadro topografico relativo ai due<br />

edifici da spettacolo della città antica, la prima<br />

parte del volume si conclude con il contributo di<br />

Fulvia Abelli Condina sull'impianto urbanistico di<br />

Cividate (pp. 59-66). Con esso l'A ritorna sul tema<br />

della forma del centro antico, con verifiche e ipotesi<br />

ora rinforzate dai recenti rinvenimenti (raccolti<br />

nella Carta allegata), specie in rapporto al sistema<br />

viario ad assi ortogonali e a un eventuale piano<br />

programmatico relativo alla localizzazione dei<br />

principali segni urbani a partire dai primi decenni<br />

del I secolo d.C.<br />

La seconda sezione del volume, riservata a La<br />

città e il quartiere degli edifici da spettacolo (pp. 68-<br />

132), si apre con il contributo di Valeria Mariotti<br />

dedicato alle diverse fasi di questo settore della<br />

città antica, a partire da quella relativa alle due<br />

abitazioni - la prima di età augusteo-tiberiana, la<br />

seconda claudio-neroniana - che occupavano l'area<br />

del teatro prima dell'edificazione del monumento.<br />

Da qui l'interesse a indagare il cambiamento di destinazione<br />

d'uso dell'isolato, avvenuto con la distruzione<br />

della domus più tarda e la costruzione<br />

del complesso teatrale, secondo processi che per<br />

l'area cisalpina sono stati recentemente oggetto di<br />

indagine da parte di Elisa Panero 10. Dal teatro all'anfiteatro,<br />

un attento scavo stratigrafico ha messo<br />

in evidenza la successione cronologica tra la conclusione<br />

dei lavori di costruzione del primo complesso<br />

e l'avvio del cantiere del secondo, avvenuta<br />

senza sostanziali soluzioni di continuità. Le due<br />

strutture, con l'aggiunta di un piccolo edificio termale<br />

a Sud dell'anfiteatro durante il II secolo d.C.,<br />

rimasero in uso fino ai primi decenni del IV secolo<br />

d.C., quando anche la civitas Camunnorum fu coinvolta<br />

nel generale fenomeno di decadenza della<br />

gladiatura e nel processo di cristianizzazione, segnato<br />

dalla distruzione intenzionalmente anti-idolatra<br />

del grande santuario di Breno tra la fine del<br />

IV e gli inizi del V secolo d.C.<br />

L'A, impegnata - pur con qualche imprecisione<br />

nella resa grafica di alcuni dettagli 11 - nello studio<br />

dei due monumenti e delle varie fasi edilizie,<br />

ne presenta l'analisi architettonica, le ipotesi ricostruttive<br />

e i confronti tipologici e archeologici. Il<br />

teatro, la cui capienza è stata calcolata in circa 1700<br />

spettatori, presentava una cavea semicircolare realizzata<br />

in appoggio al pendio e su terrapieni verso<br />

gli aditus maximi, secondo un modello nel quale la<br />

Studiosa intende riconoscere il noto theatrum terra<br />

exaggeratum. Purtroppo le indagini archeologiche,<br />

per la presenza di alcune costruzioni moderne, si<br />

sono limitate a circa un terzo dell'estensione del<br />

complesso, portando alla luce gran parte dell'edificio<br />

scenico ma lasciando ancora interrati la cavea,<br />

l'orchestra e il pulpitum, con una pesante mutilazione<br />

nella conoscenza del monumento. Così, gli<br />

unici dati certi riguardano gli spazi meridionali<br />

del post scaenium, con porticus inserita tra due ampie<br />

scalinate, e le strutture relative alla versura<br />

• F. ROSSI, Principe ed eroe: una statua romana da Cividate Camuno, in Principe ed eroe. L'immagine ideale ..., cit., 9-26. Alla bibliografia<br />

proposta aggiungo, oltre allo studio di S. MACC1, Augusto e la politica delle immagini. Lo Hiiftmanteltypus. Sul significato di una<br />

iconografia e sulla sua formazione, RdA 14, 1993, 63-76, il recente lavoro di A. POST, Rbmische Hiiftmantelstatuen. Studien zur Kopientiitigkeit<br />

um die Zeitenuiende, Mùnster 2004.<br />

IO E. PANERO, Pars publica e pars privata. Utilizzazione di aree residenziali per l'edilizia pubblica in alcuni centri delle Regiones IX e XI, in<br />

Abitare in Cisalpina. L'edilizia privata nelle città e nel territorio in età romana (AAAd 49), Trieste 2001, 103-126.<br />

11 Si pensi al caso dell'inserimento di una scaletta all'estremità occidentale della porticus post scaenam e raffigurata come terminante<br />

contro un muro cieco nella ricostruzione di p. 76, Tav. 3 (poi corretta nella pianta di p. 89, Tav. 2).


188 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />

orientale e alla relativa basilica, all' aditus maximus<br />

corrispondente e all' ala della cavea. Suggestiva appare<br />

l'ipotesi di organizzazione delle gradirIate in<br />

cinque cunei, interrotti nel loro sviluppo radiale da<br />

un maenianum, e la proposta di un ambulacro in<br />

summa gradatione. Alcune perplessità riguardano<br />

non tanto la volontà di integrare la pianta del teatro<br />

nei settori ancora non indagati archeologicamente<br />

- l'A. fa riferimento alla theatri conformatio<br />

proposta da Vitruvio (in V 6, 1 e non in VI, 1) per<br />

la posizione e l'impianto rettilineo sia della scaenae<br />

frons sia del pulpiium - quanto piuttosto la ricerca<br />

dello schema progettuale di Tav. 4, ricerca che, nonostante<br />

la scelta di un' evidente e inspiegata eccentricità<br />

fra il cerchio orchestrale e la figura geometrica<br />

con i quattro triangoli inscritti 12, si conclude<br />

affermando che la pianta del teatro romano di<br />

Cividate Camuno "presenta anomalie rispetto allo<br />

schema di Vitruvio" (p. 90).<br />

Sempre attenta anche a un inquadramento più<br />

generale delle tipologie architettoniche, la Mariotti<br />

passa ad analizzare l'anfiteatro della città antica. Si<br />

trattava di un edificio a struttura piena in parte su<br />

pendio e in parte su terrapieni compartimentati<br />

dagli accessi assiali all' arena. Esso raggiungeva le<br />

dimensioni di m 73,2x63,6 (160x130 pedes), per<br />

una capienza totale di circa 5500 persone. Lo scavo<br />

ha permesso di datare il monumento tra la fine<br />

dell' età flavia e il principato di Traiano, in un momento<br />

di poco successivo alla costruzione del vicino<br />

teatro. Anche in questo caso grande attenzione<br />

viene posta sia sugli aspetti architettonici, come le<br />

soluzioni adottate per lo smalti mento delle acque,<br />

sia sui dettagli più propriamente tecnico-costruttivi.<br />

A esempio, due differenti sistemi di realizzazione<br />

dei sedili della cavea portano l'A. a formulare<br />

alcune riflessioni: alcuni settori, con gradini in<br />

blocchi di calcare grigio ben tagliati e messi in opera<br />

con grande precisione, sarebbero stati riservati<br />

ai personaggi più importanti (in un contributo successivo<br />

si parla di ordo decurionum), altri, con gradinate<br />

caratterizzate da una struttura in mura tura<br />

e lastre di rocce fossili locali dal taglio irregolare,<br />

sarebbero stati probabilmente destinati alla gente<br />

comune. Di grande interesse è la conformazione di<br />

un vano dotato di nicchia, posto all' esterno della<br />

galleria assiale sud e interpretato come sacello, e<br />

dei due carceres posti ai lati dell' accesso nord all' arena,<br />

dettagliatamente ricostruiti grazie al buono<br />

stato di conservazione delle strutture. Si tratta di<br />

un piccolo ambiente quadrangolare (m 3x2,5) e di<br />

una galleria pavimentata in lastre (largh. m 2,60), i<br />

cui muri conservano una rara testimonianza dei<br />

blocchi verticali appositamente forati per la creazione<br />

di gabbie a sbarramenti lignei. Tra i pochi<br />

confronti noti, l'A. rimanda all' anfiteatro di Urbs<br />

Salvia e, per l'ambito provinciale, a quello di Mactaris<br />

nell' Africa Proconsularis o di Aquincum e di<br />

Carnuntum lungo il limes danubiano.<br />

Lo studio della decorazione architettonica dei<br />

due edifici da spettacolo è affidato a un ulteriore<br />

contributo di Furio Sacchi (pp. 113-124). Con un'evidenza<br />

materiale forzatamente ridotta dalla mancanza<br />

di scavi presso il pulpitum del teatro, l'A.<br />

non esita a far riferimento alle fonti d'archivio, utilizzando<br />

la menzione di "molti pezzi di pietre in<br />

marmo bianco lavorate in cornici e architravi d'ordine<br />

Dorico" presente in un documento del XVII<br />

secolo per tentare di restituire l'immagine della<br />

porticus post scaenam del complesso. Più feconde,<br />

nonostante lo spoglio capillare avviato già in età<br />

tardoantica, sono state le ricerche nell' area dell' anfiteatro,<br />

che hanno restituito circa 400 frammenti<br />

architettonici. Il catalogo, diviso per classi e corredato<br />

da rilievi grafici (quasi tutti con riferimento<br />

metrico), riguarda i reperti più significativi, mentre<br />

i restanti frammenti sono stati inseriti in una serie<br />

di tabelle. È stato così possibile ricostruire la conformazione<br />

del podio della cavea, che raggiungeva<br />

un'altezza di circa m 2,25 (7,5 pedes). Articolato con<br />

zoccolo e cornici di coronamento modanate, esso<br />

probabilmente si concludeva con una transenna<br />

protettiva dotata di montanti in legno e metallo.<br />

Dopo il contributo di Simona Morretta, Note<br />

sui giochi e spettacoli nella Regio X (Venetia et Histria),<br />

il volume presenta la corposa sezione dedicata a Lo<br />

scavo e i materiali (pp. 133-327). Dalla storia della ricerca<br />

archeologica, che affonda le sue radici nei<br />

due frammenti epigrafici segnalati da Mommsen<br />

nel 1872, si passa ai risultati degli scavi e all' analisi<br />

dei periodi d'uso dell' area presentati da James Bishop<br />

e Barbara Setti. Sono state individuate otto<br />

diversi fasi, tre delle quali (I fase insediativa di<br />

epoca romana; Fase degli edifici da spettacolo; Tar-<br />

12 Sul problema per brevità si rimanda alle note dell'edizione del De Architectura a cura di P. GI'OS, Torino 1997, 697-724, alla<br />

cui bibliografia aggiungo i recenti studi di F. CERE5A,Geometrie formali per il rilievo del leatro di Hierapolis, in Hierapolis. Scavi e ricerche.<br />

4. Saggi in onore di Paolo Verzone, Roma 2002,51-68; P. SPANti,Il teatro, in Elaiussa Sebaste. 2. Un parlo tra Oriente e Occidente,<br />

Roma 2003, 93-100.


2006] RECENSIONI 189<br />

do antica) suddivise in tre ulteriori sottofasi. Corredato<br />

di un ricco e utilissimo apparato iconografico,<br />

il contributo non solo elabora tutti i dati stratigrafici,<br />

ma descrive ciascuna struttura archeologica<br />

rivolgendo una cura particolare agli aspetti tecnico-costruttivi<br />

e all'individuazione dei materiali da<br />

costruzione. Segue lo studio delle classi di reperti,<br />

con contributi redatti da diversi autori, spesso corredati<br />

di disegni, grafici e tabelle: un gruppo di erme<br />

ritratto e tre iscrizioni provenienti dall'anfiteatro<br />

(V. Mariotti, pp. 179-182); le 38 monete rinvenute<br />

negli scavi, presentate insieme ai 41 reperti<br />

monetali trovati tra il 1988 e il 1999 durante le indagini<br />

nel vicino santuario di Breno (M. Chiaravalle,<br />

pp. 183-202); i 684 esemplari di bolli laterizi<br />

provenienti dal centro urbano e da altre località<br />

della Val Camonica (F. Condina, pp. 203-222); lo<br />

studio archeometrico di 17 campioni di tegole bollate<br />

che ha permesso di collocare il centro di produzione<br />

(o uno dei centri) a qualche chilometro<br />

dalla città antica, fra i moderni centri di Malegno e<br />

Ossimo (F. Condina, B. Fabbri, S. Gualtieri, pp.<br />

223-230); le ceramiche e i contesti di rinvenimento<br />

(B. Fabbri, S. Gualtieri, S. Massa, pp. 231-253); le<br />

anfore, perlopiù produzioni di origine nord italica/<br />

adriatica e istriana, sebbene non manchino anche<br />

qui, come nel resto della Cisalpina, importazioni<br />

dall' area egeo-orientale, ispanica e africana<br />

(S. Bocchio, pp. 255-265); i circa 200 reperti in vetro,<br />

databili fra il I e il IV secolo d.C. (M. Uboldi,<br />

pp. 267-276); le lucerne (A Bonini, pp. 277-282);<br />

Yinstrumenium (M. Carrara, pp. 283-306); gli intonaci<br />

dipinti pertinenti non solo ai due edifici da<br />

spettacolo ma anche alla domus che precedette il<br />

teatro (E. Mariani, pp. 307-322); i resti scheletrici<br />

umani (C. Ravedoni, S. Di Martino, pp. 323-327).<br />

Il volume si conclude con la sezione dedicata a<br />

Il restauro degli edifici e l'allestimento del parco archeologico<br />

(pp. 329-373), una scelta certamente vincente<br />

nell' organizzazione dell'intero lavoro. Dall' analisi<br />

dello stato di conservazione delle strutture murarie<br />

alle metodologie di rilievo archeologico e topografico,<br />

dalle indagini chimico-fisiche effettuate sui<br />

materiali lapidei fino ad alcuni esempi di schedatura<br />

degli interventi conservativi, il lettore può ricostruire<br />

tutti i passaggi di una esperienza certamente<br />

fortunata se inserita nel panorama dei can-<br />

tieri archeologici. Come si è accennato, il programma<br />

di ricerche si è concluso con la musealizzazione<br />

dell'intera area, in un progetto che appare maturato<br />

su riflessioni che hanno saputo combinare<br />

gli aspetti didattici alle esigenze funzionali dei<br />

percorsi di visita, dell'illuminazione o della copertura<br />

protettiva dei settori più facilmente deteriorabili.<br />

Utile, oltre ai brevi summaries conclusivi, è il<br />

CD allegato al volume, contenente la bibliografia<br />

divisa in aree tematiche e i pannelli redatti per il<br />

percorso didattico dell' area archeologica.<br />

Passando allo studio di Rosalia-Marìa Duran<br />

Cab elio, El teatro y el anfiteatro de Augusta Emerita,<br />

esso conclude le ricerche avviate dall' A sugli edifici<br />

da spettacolo della capitale della Lusitania per<br />

la tesi di dottorato discussa presso l'Università<br />

Autonoma di Madrid. In molti aspetti, l'approccio<br />

adottato in questo lavoro si allontana da quello<br />

scelto dall' équipe camuna nel volume precedente,<br />

specie per l'attenzione rivolta alle tecniche e ai materiali<br />

impiegati per la costruzione dei due monumenti,<br />

certamente predominante rispetto a quella<br />

relativa agli aspetti compositivi e progettuali. L'obiettivo<br />

enunciato sarebbe quello di evidenziare le<br />

caratteristiche proprie dell' architettura nell' Hispania<br />

romana attraverso l'approfondimento dei problemi<br />

metro logici ed edilizi, in modo da definire<br />

un quadro cronologico specifico per questo ambito<br />

provinciale. La carenza di fonti letterarie o l'assenza<br />

di documenti utili all'integrazione e all'interpretazione<br />

dell' evidenza archeologica - ad esempio, si<br />

fa riferimento ai frammenti della Forma Urbis Romae<br />

- induce l'A a una Bauforschung che, "sin ningun<br />

tipo de prejuicios" (p. 14), si basi sull' analisi e<br />

l'elaborazione dei dati materiali delle strutture architettoniche,<br />

inquadrandone solo in un secondo<br />

momento i risultati nel contesto più ampio della<br />

città antica.<br />

L'A, affiancando ricerche più ampie e da tempo<br />

avviate sul territorio 13, organizza la propria indagine<br />

secondo criteri metodologici ben definiti e<br />

per alcuni aspetti originali. Partendo dall' analisi<br />

autoptica delle costruzioni e non potendo effettuare<br />

alcuna attività di scavo, l'A esplora la sfera delle<br />

tecniche edilizie e dei materiali da costruzione,<br />

esaminando ogni singola struttura muraria attra-<br />

13 A. BERMUDEZ MEDEL, lnterés, probtemdtica !J metodologia del esiudio del material de construccion de tipo ceramico en la arquiieciura romana<br />

de Tdrraco, BATarr 4-5, 1982-83, 197-234; L. ROLDAN G6MEZ, Aproximacion metodokigica al estudio de la tecnica edilicia romana en<br />

Hispania, en pariicular el opus testaceum, Lucenlum 6, 1987, 101-122; M. BENDALA GALAN, Materiales de consiruccion romanos. Peculiaridades<br />

de Hispania, in Ciencias, metodotooias y técnicas aplicadas a la arqueoìogia, Barcelona 1992, 215-226.


190 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />

verso i suoi paramenti. Allo stesso tempo individua<br />

i numerosi restauri effettuati sulle murature,<br />

la loro datazione e gli effetti conservativi allo stato<br />

attuale, distinguendo le parti originali da quelle<br />

contaminate da interventi moderni. Infine, con il<br />

riferimento ad analisi di laboratorio sui materiali<br />

da costruzione (dalle argille usate per la fabbricazione<br />

dei mattoni alle malte impiegate nelle murature)<br />

approfondisce notevolmente i dati raccolti,<br />

permettendo, all'interno di una problematica già<br />

nota 14, approfondimenti e confronti con altri monumenti<br />

della città.<br />

Il volume si apre con un'introduzione nella<br />

quale l'A. specifica coraggiosamente alcune riflessioni,<br />

forse maturate autonomamente ma di chiericiana<br />

memoria nella teoria del restauro 15: "Puede<br />

decirse, sin temor a exagerar, que una vez que se<br />

ha ensefiado a la vista a diseccionar y estudiar paramentos,<br />

cualquier edificio habla por si solo y, en<br />

buenas condiciones de conservacién, puede 'respender'<br />

a casi todas las peguntas que seamos capaces<br />

de formularle" (p. 16).La medesima introduzione<br />

si conclude con una breve, ma attenta storia<br />

degli studi e della ricerca archeologica, a partire<br />

dalla prima identificazione degli edifici da spettacolo<br />

della città antica nel De Emerita Restituta di<br />

Antonio de Nebrija del 1491.<br />

L'analisi di ciascun monumento occupa i due<br />

successivi capitoli del volume. Lo studio del teatro<br />

(pp. 31-129) e quello dell'anfiteatro (pp. 131-221)<br />

seguono una scansione coerente: all'inquadramento<br />

topografico, alla composizione architettonica e<br />

ai riferimenti alle tecniche costruttive segue la presentazione<br />

dei risultati di quella che viene definita<br />

"una diseccién arquitecténica del edificio" (p. 41),<br />

con un catalogo di schede che raccoglie tutti i dati<br />

desumibili dall'esame autoptico delle strutture:<br />

tecnica e materiali da costruzione, stato conservativo,<br />

eventuali interventi di restauro, documentazione<br />

grafica e fotografica, nonché una dettagliata descrizione<br />

delle murature con riferimenti alle modalità<br />

di lavorazione e di posa in opera degli elementi<br />

edilizi. Particolarmente utili all'indagine sono alcune<br />

suggestive fotografie che ritraggono le strut-<br />

ture del teatro prima degli interventi di restauro<br />

del secolo scorso.<br />

Il capitoli si concludono, rispettivamente, con<br />

un'indagine sugli aspetti progettuali del teatro e<br />

dell'anfiteatro, nonché sulla successione delle operazioni<br />

che portarono alla realizzazione dei due<br />

complessi. Anche la Duran Cabello non si esime al<br />

richiamo dello schema vitruviano, entrando seppur<br />

brevemente nel dibattito internazionale sulla<br />

sua applicazione con qualche acuta osservazione<br />

su alcune proposte precedenti 16. Una particolare attenzione<br />

infine viene rivolta alle coperture voltate,<br />

come quella della crvpta semianulare del teatro,<br />

con confronti però curiosamente riferiti - pur<br />

con l'eccezione del Teatro di Marcello - non tanto<br />

a edifici della medesima tipologia o datazione,<br />

quanto a monumenti, come il santuario di Giove<br />

Anxur a Terracina o quello della Fortuna Primigenia<br />

a Palestrina, morfologicamente diversi e anche<br />

molto precedenti nel quadro dell'elaborazione dell'opus<br />

caementicium romano 17.<br />

A chiusura del volume l'A. sintetizza, nelle<br />

conclusioni della sua ricerca (pp. 223-248),l'elaborazione<br />

dei dati più significativi relativi alle tecniche<br />

costruttive, alla metrologia e all'analisi architettonica<br />

dei due monumenti, nonché alle rispettive<br />

fasi edilizie. Così, all'impianto del teatro, datato<br />

epigraficamente al 16-15 a.c., seguì il completamento<br />

della prima fase della scaenae frons durante<br />

il principato di Claudio, quando anche il retrostante<br />

peristilio col sacellum per il culto imperiale aveva<br />

ormai ricevuto le finiture decorative. La costruzione<br />

del sacrarium si inserisce nella terza fase del<br />

complesso, inquadrabile tra l'età traianea e quella<br />

adrianea, affiancandosi a varie trasformazioni che<br />

interessarono l'edificio scenico. Infine, un'ultima<br />

fase si riferisce ai restauri promossi da Costantino<br />

nel IV secolo d.C., che compresero alcuni interventi<br />

all'apparato decorativo e alla copertura del pulpitum.<br />

Anche la realizzazione dell'anfiteatro risalirebbe<br />

all'età augustea, quando nell'8 a.c. al di fuori<br />

delle mura della città sarebbe stato eretto un podium<br />

in granito a delimitare l'harena. Dopo l'ampliamento<br />

del perimetro urbano, l'anfiteatro diven-<br />

14 C. BLASCO,R. DURA.N,et al., Datacion por iermoluminiscencia de la arquiteciura de ladri Ilo. El caso de Màida. Resultados y problemduca,<br />

CuadPrehistA 20, 1993, 239-254.<br />

15 Cfr. L. GALLI,11restauro nell'opera di Gino Chierici (1877-1961), Milano 1989.<br />

16 In particolare su S. LARA,El trazado vitruviano como mecanismo abietto de implantacion y ampliacion de los teatros romanos, AEspA<br />

65, 1992, 151-179. Dello stesso A., El trazado vitrubiano y la eoolucion de los teatros romanos, in La tradici6n en la antigiiedod tardia,<br />

Murcia 1997, 571-589.<br />

17 Sulle volte nell' architettura romana si veda il recente volume di L. C. LANCASTER, Concrete Vaulted Construction in Imperia l Rome.<br />

lnnouations in Context, Cambridge 2005.


2006] RECENSIONI 191<br />

ne oggetto di un importante processo di monumentalizzazione<br />

in età flavia, quando fu trasformato<br />

in un grande edificio dotato di un impianto<br />

idrico funzionale allo svolgimento di naumachiae.<br />

Un ultima fase, prima del repentino abbandono alla<br />

fine del V secolo d.C., comprese la costruzione<br />

del Nemeseion, che la dedica di un liberto di Caracalla<br />

permette di datare negli anni di passaggio tra<br />

il II e il III secolo d.C.<br />

Concludendo col corposo lavoro di Giovanna<br />

Tosi, Gli edifici per spettacoli nell'Italia romana, pubblicato<br />

in due volumi per i tipi delle Edizioni Quasar,<br />

esso in realtà raccoglie, oltre agli scritti dell' A,<br />

altri validi contributi di studiosi d'ambito patavino.<br />

Si tratta di un'opera di sintesi di ampio spessore,<br />

nella quale la Tosi, da tempo interessata alle architetture<br />

da spettacolo di età romana sia nelle<br />

emergenze archeologiche 18 sia nelle fonti letterarie<br />

antiche e nella tradizione grafica rinascimentale 19,<br />

raccoglie tutta la documentazione relativa non solo<br />

ai teatri e agli anfiteatri, ma anche ai circhi, agli<br />

stadi, alle naumachiae, ai ludi gladiatori e ai campi<br />

per esercitazioni dell'Italia romana. L'attenzione rivolta<br />

a ogni forma di documentazione, da quella<br />

archeologica ed epigrafica a quella letteraria e antiquaria,<br />

e il coinvolgimento dei diversi caratteri<br />

edilizi dei monumenti (stabili o temporanei, in elementi<br />

lapidei o in materiali leggeri come il legno)<br />

ha permesso di comporre un quadro completo della<br />

produzione architettonica per questa classe di<br />

edifici nel territorio oggetto di analisi e di fornire<br />

al contempo un utile strumento di approfondimento<br />

per le singole realtà topo grafiche, superando<br />

ogni esperienza precedente".<br />

La prima sezione del volume (pp. 11-650) è affidata<br />

al lungo catalogo degli edifici per spettacoli<br />

di età romana in Italia. Le schede, raggruppate per<br />

regiones con l'aggiunta delle due provinciae insulari<br />

di Sicilia e Sardinia, mostrano un allestimento flessibile<br />

funzionale alla documentazione disponibile<br />

per ogni singolo caso: si passa da una forma di-<br />

scorsiva per i monumenti noti solo da fonti letterarie<br />

(dal doppio teatro-anfiteatro di Curione a Roma<br />

al teatro di Kroton, attestato solo da un passo della<br />

Vita pitagorica di Giamblico) a scansioni analitiche,<br />

composte con una profonda cura verso gli aspetti<br />

costruttivi e stati ci degli edifici. Così, un valido approccio<br />

metodologico diversifica la registrazione<br />

dei dati nelle voci di ciascuna scheda, mentre un<br />

commento di sintesi viene posto a chiusura di ogni<br />

singola realtà topo grafica allo scopo di presentare,<br />

accanto a qualche breve cenno storico sull' abitato,<br />

eventuali valutazioni, problemi interpretativi e<br />

nuove riflessioni sull' evidenza. La bibliografia di<br />

riferimento ha carattere esaustivo; delle poche lacune,<br />

riguardanti i contesti più periferici, mostra<br />

coscienza la stessa A nella Premessa al catalogo (p.<br />

6), prima di introdurre alcune suggestive e fertili<br />

precisazioni in riferimento al lessico tecnico-costruttivo<br />

adottato nelle schede.<br />

La seconda parte del volume, dedicata ai saggi<br />

di sintesi, si apre con un primo contributo della Tosi<br />

volto a ritrarre un Profilo storico e tipologico delle<br />

strutture ludiche in Roma (pp. 653-686). Viene messo<br />

in evidenza il ruolo giocato dall' Urbs nella formazione<br />

e diversificazione dei modelli architettonici<br />

per ciascuna classe di edifici da spettacolo sulla<br />

base di una suggestiva indagine sulle fonti antiche,<br />

a partire dai ludi organizzati, nella tradizione raccolta<br />

in Livio (I 9,6-7), da Romolo per attrarre i Sabini.<br />

Dai ludi circenses a quelli scaenici, dai munera<br />

gladiatoria alle uenaiiones, l'uso di ogni testimonianza<br />

letteraria ed epigrafica conduce l'indagine verso<br />

la ricostruzione del "divenire" di ogni singola tipologia<br />

architettonica sulla traccia della storia edilizia<br />

dei monumenti di Roma. Un' attenzione particolare<br />

viene rivolta alla genesi della forma anfiteatrale<br />

ellittica, all'interno di un dibattito che ha visto<br />

come protagonisti tra gli altri Filippo Coarelli,<br />

Jean-Claude Golvin, Katherine Welch e Mark Wilson<br />

[ones, L'A propone, accanto alla tradizionale<br />

teoria di derivazione forum-amphitheatrum, l'ipotesi<br />

di circus-amphitheatrum, "con una nuova struttura<br />

18 G. TOSI,Il teatro romano di Padova. Lo stato del problema, AVen 11, 1988, 79-102; G. TOSI,Gli edifici per spettacolo di Verona, in Spettacolo<br />

in Aquileia e nella Cisalpina romana (AAAd 41), Udine 1994, 241-257; G. TOSI,Gli edifici per spettacolo di Verona, in Forum et basilica<br />

in Aquileia e nella Cisalpina romana (AAAd 42), Udine 1995, 467-491.<br />

19 G. TOSI,L'Anfiteatro castrense nei disegni di Andrea Palladio (RTBA X, 17, verso; XV, 5, verso), XeniaAnt 4, 1995, 77-96; G. TOSI,Il<br />

teatro antico nel "De architectura" di Vitruvio, RdA 21, 1997, 49-75; G. TOSI,Teatri e anfiteatri dell'Italia romana nella tradizione grafica<br />

rinascimentaie. Commento archeologico, Padova 1999.<br />

20 Basti pensare ai tre tomi dell'opera curata da G. Pisani Sartoria e P. Ciancio Rossetto, Teatri greci e romani. Alle origini del linguaggio<br />

rappresentato. Censimento analitico, Torino 1994, ora aggiornato e rielaborato in formato multimediale con l'aggiunta di<br />

numerosi ricostruzioni virtuali nell'edizione Teatri antichi greci e romani, Roma 2006.


192 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />

che pur mantenendo le due componenti fondamentali,<br />

pista-arena e cavea, venne modificata in<br />

base al principio di funzionalità" (p. 658).<br />

Tra i numerosi fili che intrecciano i vari contributi<br />

del volume, la storia del theatrum et proscaenium<br />

ad Apollonis eretto a Roma dal censore M.<br />

Emilio Lepido ritrova ampio spazio nel testo successivo,<br />

La carpenteria negli edifici da spettacoli (pp.<br />

687-708),al pari del complesso del Teatro di Pompeo<br />

sia nel saggio La tipologia del Teatro-Tempio: un<br />

problema aperto (pp. 721-750),sia in quello Il ruolo<br />

delle "basilicae" e della "porticus post scaenam" (pp.<br />

751-782),tutti frutto della Tosi. Il primo di questi<br />

lavori approfondisce il ruolo della carpenteria lignea<br />

nelle varie architetture realizzate ad tempus,<br />

compresa quella apprestata, appunto, nel 179 a.c.<br />

accanto all'aedes Apollinis e fino al 55 a.c. caratterizzata,<br />

già secondo CoareUi21, da gradationes permanenti<br />

e da scaenae in tempus structae. In una ripartizione<br />

del testo per tipologie, tra le varie osservazioni<br />

l'A. esprime, a proposito del Teatro di<br />

Scauro, il disaccordo con alcune precedenti ipotesi<br />

sulla natura della columnatio della scena, riportando<br />

la differenziazione di materiali tramandata da<br />

Plinio al rivestimento delle strutture lignee dei tre<br />

livelli delle scaenae parietes. Il secondo dei contributi<br />

citati, che nel volume segue un'ulteriore ricerca<br />

sul foro e sui munera gladiatoria nel De archiieciura<br />

di Vitruvio, ripropone l'annoso problema dei Roman<br />

iheaier-temples", Il complesso legame tra ludi<br />

scaenici e culti, che caratterizzò composizioni architettoniche<br />

spesso diverse nella loro organizzazione,<br />

porta la Tosi a classificare tre diverse articolazioni<br />

del rapporto tra teatro e tempio, basate sui principi<br />

di unità strutturale, giustapposizione e contiguità<br />

senza connessioni strutturali. All'interno di ciascuna<br />

classe di teatri-templi si evidenzia la necessità<br />

di analizzare la forma architettonica di ciascun monumento<br />

in funzione alla storia edilizia e al significato<br />

dei singoli corpi di fabbrica, "da verificare caso<br />

per caso su prove documentarie, se non sicure,<br />

almeno probabili" (p. 746). Il testo offre l'occasione<br />

per riesaminare approfonditamente il tema del<br />

Teatro di Pompeo quale esempio più significativo<br />

di teatro-tempio, con una ricerca mirata a restitui-<br />

re l'immagine del tempio di Venere Victrix al momento<br />

dell'inaugurazione nel 55 a.c. L'A. raccoglie<br />

tutti i dati sull' edificio, rinforzando l'ipotesi che<br />

il tempio potesse svilupparsi allo stesso piano di<br />

spiccato del complesso e dell'orchestra, a mo' di<br />

portico non perfettamente assiale ma diretto verso<br />

la domus di Pompeo.<br />

Dense e ricche di suggestioni sono le proposte<br />

interpretative sulle due principali parti annesse all'edificio<br />

scenico nei teatri romani, ovvero le basilicae<br />

e gli spazi del postscaenium. L'indagine, che viene<br />

condotta con una serie di schede scandita cronologicamente<br />

e topograficamente, giunge a una<br />

"valutazione su quanto la presenza di queste due<br />

componenti (...) possa modificare la staticità del rigido<br />

modello di un cosiddetto teatro-imitazione<br />

della gerarchia sociale" (p. 752).Un'organizzazione<br />

per schede è anche alla base degli ultimi due contributi<br />

presentati nel volume dalla Tosi, uno dedicato<br />

a Gli edifici per spettacoli nelle residenze private<br />

(pp. 783-813),l'altro rivolto al tema Il significato storico<br />

delle naumachie (pp. 815-833). L'A. dapprima<br />

conduce il lettore lungo un percorso che, partendo<br />

dalle più antiche attestazioni di architetture per<br />

spettacoli a carattere privato relative ad alcune ville<br />

di età augustea (Ponza, Bacoli, Pianosa, Posillipo),<br />

tocca i numerosi problemi legati a questa classe<br />

di edifici, specie quando la loro presenza è nota<br />

solo da fonti antiquarie 23. Successivamente raccoglie<br />

le varie attestazioni letterarie e archeologiche<br />

sulle simulazioni di combattimenti navali e sulle<br />

strutture allestite per il loro svolgimento. Dal quadro<br />

proposto la naumachia emerge come lo speciaculum<br />

più raro e costoso del mondo romano, con rappresentazioni<br />

cronologicamente comprese tra i ludi<br />

publici organizzati da Cesare nel 46 a.c. e il ludus<br />

Dacicus allestito da Traiano nel 109 d.C. 24 • La rarità<br />

delle naumachie come spettacolo anfiteatrale nella<br />

stessa Roma, con due sole attestazioni nell' Anfiteatro<br />

Flavio (prima della realizzazione degli ipogei<br />

sotto Domiziano), spinge l'A. a esortare alla prudenza<br />

tutte le volte che si propone una funzione<br />

analoga per le arene di altri anfiteatri e ancor più<br />

per le orchestre dei teatri.<br />

Paola Zanovello apre la serie di contributi di<br />

21 F. COARELU, 11Capo Marzio. Dalle origini alla fine della Repubblica, Roma 1997, 603-606.<br />

22 L'argomento viene affrontato anche nel recente volume di I. NIELSEN, Cultic Theatres and Ritua/ Drama. A Study in Regiona/ Developmenl<br />

and Religious lnterchange between East and West in Antiquity (ASMA 4), Aarhus 2002.<br />

23 Il tema è stato trattato anche in R. TADDE1, Gli edifici teatrali privati in Italia tra il I secolo a.c. e i/Il secolo d.C. Funzioni e tipologia,<br />

Annlìerugi« 33, 1997-2000, 285-389.<br />

24 Il dibattito sulle naumachiae di Roma è destinato a essere ravvivato dalla prossima pubblicazione del lungo contributo di P.<br />

MAZZEI, Una nuova epigrafe da S. Cosimato in Mica Aurea. Traiano restaura la Naumachia di Augusto?, RM 113, in c.d.s,


2006] RECENSIONI 193<br />

altri autori con il saggio Il ruolo storico dei circhi e<br />

degli stadi (pp. 835-899). Dalla tradizione mitica dei<br />

funerali di Patroclo in Omero (Il., XXIII 262-897) e<br />

dalle differenze di significato dei termini circus,<br />

hippodromus, stadium e campus, l'A. focalizza l'attenzione<br />

sull'evoluzione dei circhi e degli stadi, secondo<br />

un processo di differenziazione che viene ricostruito<br />

analizzando in successione i singoli monumenti:<br />

il Circo Massimo, con le sue numerose<br />

fasi edilizie, i culti e le varie rappresentazioni iconografiche;<br />

il Circo Flaminio; il Circus Gai et Neronis;<br />

il Circo Variano; il Circo di Massenzio. Questi<br />

grandi complessi, affiancati da quelli eretti in altre<br />

grandi città romane, mostrano quanto l'edificio circense<br />

fosse "profondamente radicato nella vita sociale,<br />

politica e religiosa del popolo romano" (p.<br />

878), nonostante giudizi, come quello espresso da<br />

Plinio il Giovane (Ep., IX 6, 1), verso queste forme<br />

di spettacolo nelle quali "nihil nouum, nihil varium,<br />

nihil quod non semel spectasse sufficiat".<br />

Patrizia Basso, nella scia della recente monografia<br />

sugli edifici da spettacolo della X regio 25, nell'interessante<br />

saggio Gli edifici da spettacolo nella città<br />

medievale (pp. 901-921) indaga il destino di teatri,<br />

anfiteatri e circhi dopo la loro defunzionalizzazione<br />

tardoantica. Questo processo, inquadrato tra gli<br />

ultimi decenni del III e il IV secolo d.C. (ma che in<br />

alcuni casi raggiunse anche gli inizi del VI secolo),<br />

segnò l'inizio di "una nuova storia e una nuova vitalità"<br />

(p. 903) per queste costruzioni monumentali,<br />

laddove lo spoglio per il recupero di nuovo materiale<br />

da costruzione e per fare calce non fu totale.<br />

L'A. classifica cinque diversi tipi di reimpieghi<br />

dell' architettura da spettacolo in età tardoantica I<br />

altomedievale, con alcuni fenomeni di reciproche<br />

osmosi: il militare-difensivo, l'abitativo, il produttivo,<br />

il funerario e il sacrale. Il quadro proposto si<br />

arricchisce ulteriormente per le numerose attestazioni,<br />

spesso occasionali, di continuità funzionale<br />

dei complessi antichi per manifestazioni pubbliche<br />

o per l'allestimento di spettacoli, nonché per il con-<br />

dizionamento determinato dalla mole e dalla forma<br />

planimetrica di questi edifici nella trasformazione<br />

dei tessuti urbani in età medievale e moderna.<br />

Ricerche recenti nel teatro di Scolacium (III regio,<br />

Bruttiiì> permettono di annoverare anche questo<br />

complesso tra i casi di reimpiego abitativo delle<br />

strutture, esemplificati dalla Basso nei teatri di Bologna,<br />

Alba Fucens e Ventimiglia. Lo stesso vale per<br />

i monumenti di Cividate Camuno pubblicati da<br />

Valeria Mariotti nel primo volume oggetto di questa<br />

presentazione 27, dove gli scavi hanno individuato<br />

tracce di abitazioni installatesi sulle strutture<br />

romane nel Ve VI secolo d.C. Suggestive considerazioni<br />

riguardano, infine, gli anfiteatri quali attive<br />

sedi di condanne ad feras e di martiri e per<br />

questo oggetto di riuso cultuale a fini religiosi. Se<br />

il caso del complesso di Tarraco viene menzionato<br />

quale esempio in ampio provinciale", la chiesa di<br />

S. Gregorio Minore de Griptis costruita sull' arena<br />

dell' anfiteatro di Spoleto e quella di S. Gennaro<br />

sorta nell'anfiteatro di Pozzuoli costituiscono due<br />

importanti testimonianze del fenomeno di sacralizzazione<br />

dei luoghi di martirio in Italia, fenomeno<br />

che raggiunse il suo culmine nel 1749 quando Benedetto<br />

XIV dedicò a Cristo e ai suoi martiri l'intero<br />

Colosseo, dichiarandolo chiesa pubblica.<br />

Jacopo Bonetto e Marina Nardelli riconducono<br />

il lettore all' età romana, il primo con un contributo<br />

di natura topografica incentrato sul rapporto tra<br />

Gli edifici per spettacolo e la viabilità nelle città dell'Italia<br />

romana (pp. 923-939), la seconda con un saggio<br />

sul binomio "Natura loci" e "aedificaiio". Il rapporto<br />

fra terreno e strutture negli edifici per spettacoli romani<br />

in Italia (pp. 942-960). L'indagine sulle "modalità di<br />

interrelazione tra complessi ludici e singoli elementi<br />

costitutivi dell' organismo città" (p. 925) è il<br />

tema del primo saggio, con interessanti suggestioni<br />

generate dall' approfondimento analitico di un<br />

problema già ampiamente discusso da altri studiosi,<br />

ma che resta ancora aperto. L'A. affronta il dibattito<br />

da una posizione originale quanto solida<br />

25 P. BASSO,Architettura e memoria dell 'a Il tico. Teatri, anfiteatri e circhi della Venezia romana, Roma 1999. Si veda anche P. BASSO,La<br />

memoria dell'antico nelle città. Teatri, anfiteatri e circhi della Venetia romana, in 11 passato riproposio. Continuità e recupero dall'antichità<br />

ad oggi, Atti della X Giornata archeologica (Genova, 28 novembre 1997), Genova 1999,31-68.<br />

26 Sul teatro di Scolacium si veda C. G. MALACRlNO, Il teatro romano di Scolacium. Contributo per una rùettura architettonica e topografica,<br />

RdA 29, 2005, 97-141, in particolare 106, con bibliografia precedente.<br />

27 V. Mxruorn (a cura di), 11 teatro e l'anfiteatro di Cividate Camuno, cit., 78.<br />

28 A esso si può affiancare quello di Gortina di Creta, dove la piccola chiesa degli Hagh! Deka (i Dieci Santi) condivide ancora<br />

oggi il piano di calpestio interno con il livello antico dell'arena anfiteatrale, luogo del martirio dei dieci cristiani cretesi uccisi<br />

sotto Decio nel 250 d.C. Sull'anfiteatro di Gortina e sulla chiesa di Haghi Deka vedi: A. DI VITA,M. RlCClARDI, L'anfiteatro ed<br />

il grande teatro romano di Cortino, ASAtene 64-65 (1986-87), 327-351; M. RICCIARDI, Cortina. Ipotesi di restituzione dell'anfiteatro, in<br />

Ilexçavuévo H' .1~éevovç KQ17ro).oy~)(OV 2vve6Q{ov (Irakleio, 9-14 septembriou 1996), Irakleio 2000, 139-154.


194 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />

per la documentazione di riferimento, basata sull'individuazione<br />

di uno stretto legame tra gli edifici<br />

da spettacolo e la rete viaria delle città romane.<br />

Secondo l'A. le ragioni di tale fenomeno risiederebbero<br />

in particolare in tre classi di fattori, rispettivamente<br />

riconducibili: a esigenze logistiche connesse<br />

all'impianto del cantiere di costruzione e<br />

successivamente all' afflusso e deflusso di masse<br />

spesso imponenti di spettatori; a esigenze funzionali<br />

legate alla vita della città, come assemblee, feste<br />

o liturgie religiose; e infine a esigenze 'comunicative'<br />

per il carattere delle architetture da spettacolo<br />

come segno di urbanitas dei centri o come luogo<br />

per il consenso e la propaganda.<br />

Dal contesto ai monumenti, il tema della con-<br />

[ormatio delle grandi architetture da spettacolo torna<br />

nel saggio della Nardelli, incentrato sull'analisi<br />

delle due varianti strutturali adottate in rapporto<br />

alla natura loci dell'impianto: gli edifici in montibus,<br />

con cavea addossata a un pendio naturale (si pensi<br />

L'ARCHITETTURA ROMANA NELLE CITTÀ DELLA SARDEGNA<br />

"Antenor, Quaderni" 4, Roma, Edizioni Quasar, 2004, pp. 268.<br />

A. R. G HlOTTO<br />

Il libro L'architettura romana nelle città della Sardegna<br />

di Andrea Raffaele Ghiotto trova le sue radici<br />

più profonde nell'esperienza di scavo che l'autore<br />

ha maturato per un decennio nell'ambito della<br />

missione archeologica a Nora condotta da un pool<br />

di Università, fra le quali un ruolo importante ha<br />

avuto l'Ateneo patavino, con l'équipe diretta da<br />

Francesca Ghedini e Iacopo Bonetto: nelle 268 pagine<br />

che compongono l'opera si respira, infatti, come<br />

la conoscenza dell'isola si sia andata via via<br />

ampliando sulla scorta della sollecitazione dei problemi<br />

emersi dal lavoro sul campo e insieme sostanziando<br />

di letture attente, di osservazioni dirette<br />

dei luoghi, ma anche di quell'entusiasmo che<br />

può venire solo da un'intensa partecipazione "sentimentale",<br />

oltre che da un vivo interesse scientifico.<br />

Il lavoro mi pare, insomma, una sorta di rigoroso,<br />

ma anche affettuoso "omaggio" a questa terra,<br />

volto a colmare uno dei tanti vuoti di studi che<br />

ancora la affliggono: in effetti, se le indagini urbanistiche<br />

in Sardegna sono finalmente in evoluzione<br />

(si pensi in particolare al recente lavoro A. M. Colavitti,<br />

Cagliari. Forma e urbanistica, Roma 2003), le<br />

analisi sui complessi edilizi restano scarse e spesso<br />

al teatro di Tusculum o alla prima fase di quello di<br />

Venafrum), e gli edifici in plano, con cavea sostenuta<br />

da strutture praticabili interamente realizzate in<br />

muratura (ad esempio, il più volte citato Teatro di<br />

Pompeo). L'A. evidenzia la frequente attestazione<br />

di complessi nei quali ad alcuni settori su pendio<br />

si associavano in vario modo ad altri autoportanti,<br />

in una tipologia che definisce "mista" (p. 948) e<br />

che coinvolse sia i teatri che gli anfiteatri, in un arco<br />

cronologico che dalla tarda Repubblica si spinse<br />

fino all' avanzata età imperiale. Un valido approfondimento<br />

riguarda i sistemi di consolidamento<br />

del terreno nei casi degli edifici realizzati, come ricorda<br />

Vitruvio, in palustri loco, con un'ampia casistica<br />

di soluzioni che trova l'esempio più monumentale<br />

nelle fondazioni anulari a platea dell' Anfiteatro<br />

Flavio.<br />

Carmelo G. Malacrino<br />

datate. Soprattutto mancava finora una sintesi monografica<br />

sull'architettura romana delle città, se si<br />

fa eccezione per alcuni lavori su particolari aspetti<br />

decorativi e monumentali, quali G. Nieddu, La<br />

decorazione architettonica della Sardegna romana, Oristano<br />

1992 o C. Cossu, G. Nieddu, Terme e ville<br />

extraurbane della Sardegna romana, Oristano 1998.<br />

Pur nella consapevolezza che le testimonianze<br />

architettoniche di età romana presenti nell'isola sono<br />

indubbiamente piuttosto modeste dal punto di<br />

vista monumentale rispetto anche ad altre realtà<br />

provinciali minori, il lavoro vuole proporne una<br />

panoramica completa e dettagliata, offrendone una<br />

lettura diacronica dalla fase di romanizzazione al<br />

tardoantico e cercando di comprenderne le motivazioni<br />

più profonde. A questo mirano i primi dieci<br />

capitoli del volume, dedicati rispettivamente alle<br />

tecniche edilizie e alle varie classi di monumenti<br />

attestate sull'isola, ognuna delle quali viene affrontata<br />

secondo uno schema comune: esemplificazioni<br />

concrete, visualizzate anche in molto utili e innovative<br />

tabelle di sintesi; riflessioni sulle soluzioni<br />

tecnico - edilizie / architettoniche / spaziali - urbanistiche<br />

adottate; considerazioni conclusive che rias-


2006] RECENSIONI 195<br />

sumono i dati emersi, contestualizzandoli in un<br />

preciso quadro sociale, economico, culturale, e insieme<br />

aprono ulteriori problemi storici e interpretativi.<br />

Il procedimento metodologico risulta serrato<br />

e rigoroso: esso prende avvio da una puntuale revisione<br />

della bibliografia sul tema trattato e si amplia<br />

poi al riscontro attento delle fonti epigrafiche,<br />

spesso foriere di fondamentali notizie in merito, al<br />

controllo autoptico delle testimonianze strutturali,<br />

a un meticoloso confronto con analoghe testimonianze<br />

individuate nel resto dell'Impero.<br />

Infine, negli ultimi due capitoli l'autore evidenzia<br />

le tappe più significative nelle quali si venne<br />

concretizzando la monumentalizzazione delle<br />

città dell'isola, offrendo una ricca e innovativa rielaborazione<br />

critica sulla scorta della documentazione<br />

discussa nei capitoli precedenti e prestando<br />

particolare attenzione agli aspetti socio-politici (influenza<br />

dei negotiaiores e dei governatori italici: fenomeni<br />

di evergetismo) e culturali (persistenza del<br />

sostrato punico: modalità e tempi della romanizzazione)<br />

connessi con tale sviluppo. In questa parte<br />

conclusiva, in cui viene posta con equilibrata e intelligente<br />

prudenza la centrale questione delle diverse<br />

sollecitazioni che pervasero la Sardegna in<br />

età romana, il libro di Andrea Raffaele Ghiotto dimostra<br />

con particolare evidenza di non essere solo<br />

un lavoro di sintesi sull'argomento, ma di aprirsi<br />

anche a tematiche storiche e culturali di più ampio<br />

respiro. Nel complesso, come ben evidenziato nella<br />

Presentazione di Francesca Ghedini, si tratta di un<br />

punto fermo per chi intenderà affrontare lo studio<br />

dell'architettura romana dell'isola e, nello stesso<br />

tempo, di un utile manuale di riferimento per lo<br />

sviluppo delle ricerche sull'archeologia delle province<br />

occidentali.<br />

Un grande storico come Lucien Febvre, affrontando<br />

i problemi dell'insularità attraverso un dettagliato<br />

paragone fra la Sicilia, quadrivio naturale<br />

del Mediterraneo, aperta all'influsso di tutte le nu-<br />

merose civiltà che vi si insediarono, e la Sardegna,<br />

volle sottolineare in particolare l'isolamento e la<br />

chiusura di quest'ultima, un esempio - a suo dire<br />

- di "isola prigione", ove sopravvivono "vecchie<br />

razze eliminate, vecchi usi, vecchie forme sociali<br />

bandite dal continente" in una sorta di "immagine<br />

didattica della preistoria nella storia". E il conservatorismo<br />

di un contesto fortemente pervaso da<br />

una secolare tradizione fenicia e poi punica è un<br />

tema forte del lavoro di Andrea Raffaele Ghiotto,<br />

un tema che permea in filigrana ogni capitolo del<br />

libro, emergendo prepotentemente via via nelle<br />

tecniche edilizie, nell'architettura, nell'organizzazione<br />

urbana delle città dell'isola. Ma c'è un altro<br />

filo conduttore che lega il lavoro e si afferma con<br />

altrettanta forza: l'apertura della cultura architettonica<br />

locale alle precise "influenze edilizie, monumentali,<br />

funzionali e tipologiche di evidente derivazione<br />

romana" (p. 213) che pervennero dall'ambito<br />

italico e insieme l'importazione di modelli riconducibili<br />

all'influenza africana, profondamente<br />

assimilati pur con la mediazione del sostrato autoctono.<br />

E così dal libro, accanto al conservatorismo<br />

sottolineato, come si è detto, da L. Febvre, emerge<br />

anche l'immagine di una Sardegna che invece - come<br />

scrive Fernand Braudel - "si vuole descrivere<br />

quasi impenetrabile, ma in realtà ebbe le finestre<br />

aperte sull'esterno, così che si può talora scoprire<br />

di lì, come da un osservatorio, la storia generale<br />

del mare". Si tratta di una dicotomia legata alla<br />

geografia della regione, distinta nettamente fra una<br />

fascia costiera aperta e accessibile e un territorio<br />

montuoso interno aspro, isolato e spesso ostile, ma<br />

comunque tale da condizionare fortemente quella<br />

storia frammentata e dispersiva dell'isola, di cui<br />

questo libro riesce a rendere con tanta evidenza alcune<br />

delle pagine più vitali.<br />

Patrizia Basso


196 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />

IASOS E LA CARIA. NUOVI STUDI E RICERCHE<br />

["La Parola del Passato" 60, 2005, fasc. II-VI], Napoli, Macchiaroli 2005, pp. 81-464.<br />

a cura di R. PIEROBON<br />

A qualche anno dai fascicoli su Gli scavi italiani<br />

a Iasos in Caria, usciti nel 1999-2000 in memoria di<br />

Clelia Laviosa, la "Parola del Passato" dedica ancora<br />

un numero monografico alle ricerche italiane<br />

in Caria, la cui base storica, dal 1960, è appunto Iasos.<br />

A Raffaella Pierobon Benoit, responsabile di<br />

una missione di survey nel Golfo di Mandalya,<br />

spetta il merito d'aver riunito i contributi, esito di<br />

un incontro di studi tenuto si a Napoli nel 2003: essi<br />

forniscono una visione aggiornata e critica della<br />

ricerca, allargata appunto da Iasos a comprendere<br />

la regione circostante. Nella lucida Introduzione, accompagnata<br />

da una preziosa nota di aggiornamento<br />

bibliografico (pp. 81-87), la curatrice evidenzia<br />

subito come principale novità degli ultimi anni<br />

l'ampliamento dell' orizzonte cronologico considerato,<br />

che spazia ormai dalla protostoria all' età bizantina<br />

ed oltre. È questo il segno del trapasso da<br />

un'indagine incentrata sul mondo classico ad uno<br />

studio totale del territorio, capace di fornire indicazioni<br />

storiche di rilievo anzitutto dall' evidenza di<br />

superficie. Uno sguardo insomma capace di tenere<br />

insieme realtà diverse, il generale con il particolare,<br />

il centro (anche minore) con la periferia, e che<br />

proprio da questa convergenza trae argomento per<br />

ripensare problemi complessi come, per l'area considerata,<br />

il rapporto tra Cari e Greci.<br />

Eccellente riprova delle potenzialità dello studio<br />

serrato del territorio è fornita dal contributo<br />

d'apertura di A. Peschlow-Bindokat, che sintetizza<br />

la ventennale indagine sul Latrno (pp. 88-103). L'area<br />

dell'impervio monte ospitò una [acies culturale<br />

risalente al Neolitico, le cui pitture rupestri sono<br />

l'aspetto ormai più noto, ma restò per millenni al<br />

centro di una frequentazione a carattere religioso<br />

che ben illustra la continuità tra la Caria antichissima<br />

e le epoche storiche. Un'efficace messa a punto<br />

sulle ricerche condotte sopra Iasos nell' età del<br />

Bronzo è proposta da P. Belli, N. Momigliano e G.<br />

Graziadio (pp. 104-115), che illustrano i risultati di<br />

una complesso lavoro svolto a partire dal 1999 sui<br />

rinvenimenti e i dati di scavo. Oltre al riconoscimento<br />

delle differenti fasi insediative fino al 1100<br />

a.c., scoperte nei saggi stratigrafici aperti sul sito<br />

di Iasos, a alla individuazione sicura nell'agorà di<br />

uno strato di ceneri vulcaniche risultanti dall' eruzione<br />

di Thera, la ricerca esamina le tracce monu-<br />

mentali e i materiali ceramici dell' età del Bronzo,<br />

che mostrano importanti relazioni con la produzione<br />

micenea ma anche una prevalenza di ceramica<br />

di produzione locale. Ai frammenti di anfore panatenaiche<br />

rinvenuti nello scavo dell' agorà, nei pressi<br />

di un edificio sacro convenzionalmente denominato<br />

"santuario delle doppie asce" è dedicato il contributo<br />

di F. Berti, attuale direttrice dello scavo di<br />

Iasos (pp. 116-129). Lo studio del materiale, reso<br />

particolarmente arduo dallo stato frammentario<br />

dei reperti, consente di datare alcuni esemplari al<br />

IV sec. a.C: l'area di rinvenimento lascia supporre<br />

una destinazione votiva, coerente con la funzione<br />

degli spazi pubblici circostanti e con i materiali<br />

rinvenuti presso il santuario, appunto le "doppie<br />

asce" ed altri oggetti in piombo. La vicinanza di<br />

un heroon e la presenza di una dedica iscritta a<br />

Zeus Meilichios (purtroppo priva di un contesto<br />

preciso) aprono importanti prospettive sulla interazione<br />

tra culti ed etnie.<br />

E. Pagello prosegue la riflessione sull' agorà<br />

(pp. 135-143), già avviata in lavori precedenti: ripercorrendo<br />

la storia del monumento a partire dai<br />

primi viaggiatori che in età moderna s'avventurarono<br />

sul suolo di Iasos, si discute la progressiva<br />

strutturazione dell' area, fino alla monumentale sistemazione<br />

in età imperiale romana del colonnato,<br />

rimasto poi incompiuto. La villa romana nota con<br />

il nome di "casa dei mosaici" è oggetto dell'intervento<br />

di S. Angiolillo, M. Giuman, M. A. Ibba e A.<br />

Stigliz (pp. 144-149), che presentano i risultati degli<br />

scavi degli anni successivi al 1996. La struttura e la<br />

vicenda di occupazione dell' edificio appaiono ora<br />

con maggiore chiarezza: la pubblicazione dei materiali<br />

fornirà ulteriori informazioni anche sulle<br />

strutture produttive annesse alla ricca abitazione, i<br />

cui vani erano ornati da affreschi e mosaici. Alle<br />

strutture idrauliche della città, così decisive alla<br />

esistenza stessa dell'insediamento, è stata dedicata<br />

una campagna di rilevamento nel 2003, di cui riferisce<br />

F. Bosso (pp. 150-155). L'analisi topografica è<br />

raccordata con le riflessioni antiche e con la vicenda<br />

urbanistica della città, come mostra la rilevata<br />

complementarità tra l'apporto dell' acquedotto di<br />

età romana e le numerose cisterne insistenti sul sito.<br />

Il saggio di U. Serin sulla piccola chiesa situata<br />

all' esterno delle mura cittadine, fuori della porta


2006) RECENSIONI 197<br />

Est (pp. 156-178) si rifà ad un più ampio lavoro<br />

sulle chiese bizantine di Iasos [U, Serin, Early Christian<br />

and Byzantine Churches at Iasos in Caria, Città<br />

del Vaticano 2004]. Sei, come ricorda l'A. sono le<br />

chiese finora identificate in città, di cui solo alcune<br />

indagate. Parzialmente scavata a partire dal 2001,<br />

la chiesa ha una pianta quadrata con struttura cruciforme<br />

e tre piccole absidi, secondo una tipologia<br />

tardobizantina: lo scavo ha rilevato decorazioni ad<br />

affresco, uso di mattoni, frammenti di spoglio, elementi<br />

architettonici e liturgici, che individuano<br />

una cronologia successiva al X secolo, con probabili<br />

interventi di età lascaride, nel XIII secolo. La bellezza<br />

del sito di Iasos e la forza pedagogica di Doro<br />

Levi hanno generato negli anni scritti memoriali<br />

di quanti ebbero giovanissimi, attraverso la Scuola<br />

Archeologica di Atene, l'esperienza dello scavo in<br />

Caria: le note di F. Tomasello (pp. 180-199) si riferiscono<br />

agli anni '70, e rappresentano uno stato del<br />

paesaggio alquanto differente dall' attuale, su cui<br />

fortemente ha inciso l'antropizzazione. Interessante<br />

è il racconto del primo approccio al territorio:<br />

seguono alcune riflessioni relative all'acquedotto,<br />

alla cinta di terraferma, ad edifici "lelegi" della<br />

chora, a strutture funerarie: in alcuni casi si tratta<br />

di resti non più visibili, il cui rilievo assume particolare<br />

importanza.<br />

Della chora di Iasos, delle sue risorse, della difficoltà<br />

di inquadrarne le caratteristiche parla R.<br />

Pierobon Benoit nel quadro di un ripensamento<br />

complessivo del rapporto tra città e territorio, a<br />

sintesi anche di numerosi approfondimenti parziali<br />

pubblicati in anni recenti (pp. 200-244). Per ricchezza<br />

e ampiezza di dati e riflessioni si tratta del<br />

contributo principale del volume. Punto di partenza<br />

quasi obbligato è il passo di Strabone su Iasos<br />

(14.2.1), riconsiderato insieme ad alcune testimonianze<br />

dei primi viaggiatori giunti sul sito dell'antica<br />

città. Oggetto di verifica sul campo è il giudizio<br />

antico sulla estrema povertà della chora iasia: in<br />

effetti la storia delle ricerche mostra che fino ad<br />

anni recenti il territorio ha "conservato un certo carattere<br />

di 'estraneità' rispetto alla storia urbana"<br />

(p. 209), e ciò ha rallentato una sistematica analisi.<br />

Tra gli aspetti storici maggiori chiariti da questo<br />

approccio vi è evidentemente non solo la storia degli<br />

insediamenti e delle attività produttive diffuse<br />

sul territorio, ma anche la vicenda del rapporto tra<br />

Greci e non Greci, di cui diviene possibile rintracciare<br />

l'evoluzione sulla lunga durata. La survey<br />

condotta negli ultimi anni ha evidenziato una frequentazione<br />

diffusa, con insediamenti di varia natura<br />

ed estensione, fino al tardo antico. Sono emer-<br />

si i segni di possibili modifiche ecologiche: l'attuale<br />

macchia mediterranea prevalente nell' area, spesso<br />

impraticabile, potrebbe non corrispondere alla<br />

facies antica di un territorio sfruttato per esigenze<br />

agropastorali. La "conquista" scientifica della chora<br />

ribalta l'approccio a Iasos dal mare, che ha imposto<br />

la sua suggestione fin dall'antichità: le modalità<br />

antiche di cabotaggio all'interno del Golfo di Mandalya<br />

si sono riproposte fino all'età moderna, se<br />

ancora nei primi anni '60 del secolo scorso Doro<br />

Levi giunse a Iasos in barca, da Cullùk, non essendo<br />

allestita ancora la strada carrozzabile da Milas.<br />

Anche l'attuale percorso di accesso terrestre ha in<br />

qualche modo indirizzato le ricerche, perché ha<br />

marginalizzato la via antica verso Mileto, e modificato<br />

la percezione delle relazioni spaziali. L'analisi<br />

del territorio ha chiarito, pur nella difficoltà di datare<br />

i materiali, la maggiore presenza di fasi tardoantiche<br />

e bizantine, e approfondito le conoscenze<br />

sul marmo rosso iasio, oggetto di molti studi<br />

negli ultimi anni. La dimensione delle cave individuate<br />

induce un ripensamento di natura economica<br />

e ripropone la questione amministrativa relativa<br />

all' estensione della chora municipale di Iasos. Si<br />

viene così meglio chiarendo il retroterra (in senso<br />

concreto e metaforico) della grande legge sul portorium<br />

Asiae ["Epigraphica Anatolica", 14, 1989], nella<br />

quale Iasos compare tra le stazioni doganali dopo<br />

Mileto, prima di Bargylia (1. 25): in qualche misura<br />

anche la piccola Iasos entra così nel quadro ridisegnato<br />

dalla "Ecological Economie History" (P.<br />

Horden, N. Purcell, The Corrupting sea. A study of<br />

Mediterranean History, Oxford, Blackwell 2000). Altro<br />

aspetto rilevato è la difesa del territorio, con le<br />

torri di avvistamento e i terrazzamenti, e soprattutto<br />

la grande cinta di terraferma, in corso di studio<br />

e oggetto di lungo dibattito. Allo stato delle conoscenze<br />

non è ancora possibile stabilire un raccordo<br />

sicuro tra la "grande storia" e il monumento, e<br />

ciò ben corrisponde alle caratteristiche di un' area<br />

che si lascia studiare meglio nei tempi "lunghi"<br />

del territorio che nelle strette determinate degli<br />

eventi: resta l'auspicio che l'indagine ulteriore sulla<br />

cinta possa chiarire i tanti aspetti incerti del<br />

grande monumento (di fatto inedito: v. provvisoriamente<br />

R. Pierobon Benoit, in "Bollettino dell' Associazione<br />

Iasos di Caria", 13, 2007, 7-8). Ulteriore<br />

esempio di continuità insediative è dato dalla topografia<br />

del sacro, che si può seguire fino alle chiese<br />

bizantine disseminate nel territorio, ed oltre, in<br />

età ottomana. La conclusione per cui "l'immagine<br />

trasmessa da Strabone non ha riscontro nella realtà"<br />

(p. 243) merita grande considerazione anche in


198 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />

rapporto agli sforzi recenti di recuperare una lettura<br />

storica della colossale opera del geografo (A.-M.<br />

Biraschi, G. Salmeri (ed.), Strabone e l'Asia Minore,<br />

Napoli 2001).<br />

La prospettiva generale del saggio principale<br />

inquadra gli approfondimenti particolari affidati ai<br />

contributi successivi, che riprendono analiticamente<br />

singoli aspetti. Alla topografia si richiama anche<br />

il lavoro di N. Masturzo (pp. 245-56), che propone<br />

di individuare in una complessa struttura non scavata<br />

presso il centro di Iasos un' area sacra, della<br />

quale si esaminano anche alcune evidenze, mentre<br />

D. Baldoni riferisce sui luoghi di culto individuati<br />

nella chora, dall'importante santuario extra-urbano<br />

del Canacik Tepe (di cui si attende la pubblicazione),<br />

dedicato alla Meter Theon, ad altre aree sacre<br />

che hanno restituito soprattutto materiali fittili, in<br />

una combinazione tra culti indigeni e forme ellenizzate.<br />

Sugli edifici cosiddetti "lelegi" torna L.<br />

Cianciulli (pp. 271-81), sottolineando che la denominazione<br />

ormai invalsa nasce dalla identificazione<br />

delle strutture a pianta ovale diffuse tra Mileto<br />

e la Caria, con i Lelegon taphoi kai erymata ricordati<br />

a Strabone (7.7.2). Dislocate in punti strategici lungo<br />

direttrici importanti di mobilità, le strutture<br />

sembrano essere state legate all' economia agropastorale,<br />

e in uso per lungo tempo. La survey ha<br />

condotto anche all'identificazione e al rilievo di<br />

strutture isolate. Di un sepolcro ellenistico F. Longobardo<br />

fornisce una pubblicazione preliminare,<br />

soffermandosi in particolare su un acroterio a sfinge<br />

(pp. 281-298). Ampia la serie dei reperti di superficie,<br />

presentati in chiara sintesi da A. Caracaiso<br />

(pp. 299-314), soprattutto anfore e ceramica che illustrano<br />

frequentazione della chora iasia tra età ellenistica<br />

e prima età imperiale. Importante il rinvenimento<br />

di scarti di fornace, che rafforza l'ipotesi<br />

che esistessero strutture di produzione locale. All'intervento<br />

antropico indirettamente si collega anche<br />

il regesto delle presenze botaniche attuali, ad<br />

opera di G. Scopece (pp. 315-319). Una utile sintesi<br />

delle ricerche sul marmo iasio, dalla individuazione<br />

e analisi delle cave alla mappa aggiornata della<br />

sua diffusione nel Mediterraneo, è presentata da L.<br />

Lazzarini, S. Cancelliere, R. Pierobon, a complemento<br />

di indagini precedenti (pp. 320-331).<br />

Poi lo sguardo si allarga decisamente oltre Iasos,<br />

corrispondendo alla proposta originaria del<br />

Convegno che invitava a "leggere" il territorio della<br />

Caria. H. Lohmann presenta in sintesi i risultati<br />

di una survey nell' area di Kazikli, che implica non<br />

solo l'analisi delle strutture rilevate, ma anche<br />

un' approfondita discussione sul sito di Teichiussa,<br />

per il quale è proposta una nuova localizzazione<br />

(pp. 332-356). Segue il notevolissimo contributo di<br />

P. Debord sul problema della cultura in Caria (pp.<br />

357-378): partendo da un ripensamento storico e<br />

storiografico, affiancato dall'analisi di alcuni siti<br />

dell'interno, si delinea con maestria e chiarezza il<br />

quadro di una Caria "plurale". Plurale perché variamente<br />

definita nel tempo dal punto di vista geografico,<br />

e perché caratterizzata da una complessa<br />

varietà di facies culturali (comprese quella lidia o<br />

licia). Ciò conduce a ridefinire il carattere della Caria<br />

interna (p. 377), soprattutto per quanto riguarda<br />

la presenza ellenica, superando le pur feconde<br />

schematizzazioni espresse alcuni anni or sono da<br />

S. Hornblower (v. C. Franco, L'ellenizzazione della<br />

Caria: problemi di metodo, in C. Antonetti (ed.), Il dinamismo<br />

della colonizzazione greca, Napoli 1997, 145-<br />

154). E. Miranda presenta un assaggio del catalogo<br />

epigrafico del Museo di Denizli-Pamukkale (pp.<br />

379-390), con particolare riferimento ai pezzi inediti.<br />

L'ultima sezione del volume conduce a Bargylia.<br />

Entro il quadro più ampio della survey nel golfo di<br />

Mandalya, E. La Rocca illustra ampiamente i dati<br />

relativi alla città, finora largamente trascurata: per<br />

questo le notizie, le foto, le piante e le ricostruzioni<br />

fornite nell' ampio contributo costituiscono elementi<br />

di sicuro interesse. Lo stesso vale, più in dettaglio,<br />

per la dettagliata analisi cui M. Falla Castelfranchi<br />

sottopone gli edifici basilicali di Bargylia<br />

(pp. 419-464), partendo dell' attento studio delle<br />

evidenze e discutendo l'inquadramento artistico<br />

della decorazione superstite, che per la basilica<br />

principale s'inquadra nella produzione caria del VI<br />

secolo.<br />

Come questa rassegna prova, la ricchezza delle<br />

ricerche è notevole: l'allargamento dello sguardo in<br />

senso tipologico (oltre il "monumentale") e cronologico<br />

(oltre l'età imperiale) rivela la propria fecondità<br />

proprio nell'integrazione dei dati. La ripresa<br />

di alcuni argomenti da prospettive diverse fa della<br />

sovrapposizione tematica un' occasione di ricerca e<br />

confronto. Il faticoso raccordo tra situazioni locali<br />

e problemi maggiori spiega il fatto che le acquisizioni<br />

siano lente, e marcate con salutari cautele: ciò<br />

risulta particolarmente appropriato in un contesto<br />

complesso come la Caria. La ricerca infatti va oltre<br />

la catalogazione dei reperti, o la loro sistemazione<br />

in griglie interpretati ve preesistenti, e si spinge a<br />

riconsiderare il noto alla luce del nuovo, ribadendo<br />

costantemente lo stretto legame tra città e territorio,<br />

base per ogni storica comprensione dell' antico.<br />

Carlo Franco


2006] RECENSIONI 199<br />

DELICIAE FICTILES III. ARCHITECTURAL TERRACOTTAS IN ANCIENT ITALY: NEW<br />

DISCOVERIES AND INTERPRETATIONS<br />

Exeter, Oxbow Books, 2006. pp. X[X, 508, tavv.<br />

Edited by L EOLUNo-BERRY, G. GRECO, J. KENFTELD<br />

Il volume Deliciae Fictiles, edito da Ingrid Edlund-Berry,<br />

Giovanna Greco e [ohn Kenfield, pubblica<br />

gli Atti della Terza Conferenza Internazionale<br />

sulle terrecotte architettoniche tenutasi a Roma,<br />

presso l'Accademia Americana, nelle giornate del 7<br />

ed 8 novembre 2002.<br />

I curatori hanno distribuito le relazioni in sei<br />

sezioni, dedicate alla "Nuova ricerca sulle terrecotte<br />

architettoniche" (I), all' "Etruria" (II), ad "Umbria ed<br />

Abruzzo" (III), ai "Patisci, Roma e Lazio" (IV), alla<br />

"Campania e Magna Grecia" (V) ed alla "Sicilia" (VI),<br />

facendole precedere da un ampio e dettagliato capitolo<br />

introduttivo, che si articola in cinque paragrafi.<br />

La prima sezione, che comprende, tra altre, le<br />

relazioni di [ohn Kenfield, Nancy Winter, Charlotte<br />

ed Orjan Wikander, organizzatori di questa e delle<br />

precedenti Conferenze (Oeliciae Fictiles I e II), raccoglie<br />

riflessioni di carattere generale sul tema delle<br />

terrecotte architettoniche e alcune sintesi su classi<br />

specifiche di materiali.<br />

Come sottolineano i curatori del volume (p.<br />

XIII), "sebbene solo la prima sezione [...] contenga nel titolo<br />

la parola nuovo, il focus dell'intera Conferenza era<br />

diretto sia sulle nuove scoperte che sulle nuove interpretazioni<br />

basate sul lavoro sul campo, sullo studio nei<br />

depositi e sulla ricerca, nei Musei e all'Università". La<br />

misura della novità si registra già nel primo paragrafo<br />

dell'Introduzione (p. XI), nel quale gli autori<br />

sostengono che lo studio delle terrecotte architettoniche<br />

include tutto il sistema di copertura e di rivestimento,<br />

con tegole funzionali e con elementi<br />

decorativi, che adornavano templi, edifici civili importanti<br />

e case private.<br />

Con questa affermazione, che tocca due aspetti<br />

fondamentali inerenti al tema della coroplastica architettonica<br />

(a - la copertura fittile di un tetto intesa<br />

come un sistema unitario e b - il possibile valore<br />

delle terrecotte architettoniche come elemento<br />

discriminante nelle coppie semantiche sacrale/ civile<br />

e pubblico / privato), Deliciae Fictiles III risponde,<br />

all'apertura del terzo millennio, alle aspettative<br />

ed agli auspici con i quali si erano concluse le prime<br />

due Conferenze Internazionali. Sottolineando<br />

la necessità di "stabilire una continuità" tra gli studi<br />

che segnano le tappe fondamentali del progresso<br />

nella conoscenza delle terrecotte architettoniche, la<br />

Wikander (Deliciae Fictiles II, 1997) rimarcava l'esigenza<br />

di sviluppare "alcune riflessioni formulate già<br />

nel 1990 (Deliciae FictiZes I) sui diversi modi di studiare<br />

le terrecotte architettoniche", dando "maggiore enfasi"<br />

alle "caratteristiche tecniche, funzionali e regionali",<br />

come lo "studio di interi complessi di tetti" in luogo<br />

dell'analisi di pezzi isolati. La studiosa aderiva<br />

così alle indicazioni fornite da R. Knoop in Deliciae<br />

Fictiles I, in base alle quali le terrecotte architettoniche<br />

devono essere studiate come parte di un tetto,<br />

del suo sistema di rivestimento, in base al principio<br />

secondo il quale "una pubblicazione di terrecotte<br />

dovrebbe essere una pubblicazione di tetti". Per comprendere<br />

la mutata prospettiva degli studi recenti,<br />

è sufficiente sottolineare come sia pienamente affermata,<br />

all'interno del volume, una terminologia<br />

differente da quella tradizionale, che adopera sistematicamente<br />

formule apparentemente neutre come<br />

"sistema di rivestimento". In merito alle connessioni<br />

istituibili tra terrecotte architettoniche ed edifici,<br />

lo stesso titolo dell'opera di Andrén: "Terrecotte<br />

dai templi etrusco-italici", in un periodo - la fine<br />

degli anni '30 del secolo scorso - in cui l'unico referente<br />

possibile delle terrecotte architettoniche pareva<br />

quello del tempio, rivela la misura del cambiamento<br />

intercorso. Oggi, sottolineava Nancy<br />

Winter in Deliciae Fictiles II (1997), noi "sappiamo<br />

che i tetti decorati appartenevano anche a case e ad edifici<br />

civili".<br />

Che tale ripensamento sia ormai quasi generalizzato<br />

emerge anche dagli interventi di altri studiosi<br />

in altre parti del volume. Ad esempio, Marina<br />

Castoldi (Riflessioni su due antefisse gorgoniche di<br />

Gela, p. 388 ss.) dopo aver ricordato che a lungo la<br />

letteratura archeologica sulla Sicilia greca ha correlato<br />

la coroplastica architettonica agli edifici sacri,<br />

osserva che ultimamente sembra sempre più solido<br />

il riconoscimento che era uso comune, nel mondo<br />

greco, decorare anche gli edifici civili, privati o<br />

pubblici; e Luigi Cicala, nella V sezione riservata<br />

alla Campania (Terrecotte architettoniche del sistema<br />

campano da contesti di scavo dell'acropoli di Elea, p.<br />

362 ss.), riconosce che si comincia ad accettare l'ipotesi<br />

dell'impiego delle terrecotte architettoniche<br />

verosimilmente raccolte in "sistemi semplificati"<br />

anche nell'architettura privata.<br />

Alla luce delle osservazioni che precedono, le


200 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />

riflessioni di Charlotte ed Orjan Wikander (p. 42<br />

s.) sembrano assumere il valore di un proclama,<br />

nel ribadire che "l'intero tetto [...] dovrebbe essere considerato<br />

come una entità [...] l'analisi stilistica degli<br />

elementi decorativi è solo una parte di questo processo":<br />

l'analisi di un tetto deve includere "tutti i suoi<br />

elementi", il contesto archeologico, le tradizioni regionali<br />

e il fattore di produzione (production [actor),<br />

cui dovrebbero aggiungersi le analisi chimiche<br />

delle argille, vernici ed altre caratteristiche tecniche.<br />

Queste ultime hanno assunto in effetti - nel<br />

corso degli ultimi decenni - un rilievo progressivamente<br />

crescente, in perfetta consonanza con quanto<br />

auspicato da Arvid Andrén nel 1940 sulle orme<br />

di Alessandro Della Seta, che, già nel 1918,fondava<br />

la sua classificazione delle terrecotte architettoniche<br />

conservate nel Museo di Villa Giulia, su criteri<br />

"tecnici e stilistici", quali l'analisi: a) della qualità<br />

dell'argilla; b) della fattura; c) della posizione<br />

sul tetto; d) della forma e del soggetto.<br />

Al "contesto archeologico", inteso come parte<br />

dei "criteri tecnici", già Knoop, nella prima Conferenza<br />

(1990),attribuiva un ruolo fondamentale, riconoscendo<br />

al tempo stesso nell'insieme dei criteri<br />

stilistici e tecnici i migliori strumenti di classificazione.<br />

Se Alessandro Della Seta rilevava che "nel<br />

complesso il materiale decorativo permette per ogni tempio<br />

di rintracciare la sua storia, di riconoscere in che età<br />

è sorto, quali rifacimenti ha subito", a quasi un secolo<br />

di distanza, i curatori del volume nell'Introduzione<br />

affermano che oggi i rivestimenti dei tetti, al<br />

pari delle ceramiche e delle monete, possono essere<br />

utilizzati come evidenza datante e, pur in assenza<br />

dell'alzato di un edificio, essere valorizzati addirittura<br />

come documento della tecnica costruttiva<br />

dell'edificio stesso, in quanto capace di sostenere<br />

un determinato rivestimento fittile.<br />

Anche il problema del concreto operare degli<br />

ateliers è stato affrontato nella parte introduttiva.<br />

Nel suo intervento del 1990 (Deliciae Fictiles I)<br />

Knoop definiva "sensata" la nozione di "tradizione<br />

regionale" elaborata da J. P. Riis nel 1938, nella<br />

convinzione della relativa autonomia delle tradizioni<br />

stilistiche dei diversi comprensori dell'Italia<br />

antica; a queste ultime anche Nancy Winter, nella<br />

prima Conferenza sulle terrecotte architettoniche<br />

greche arcaiche, tenutasi ad Atene nel 1988,esortava<br />

gli studiosi a rivolgere maggiore attenzione.<br />

Quasi memori di tali richiami, i curatori del volume<br />

ricordano nell'Introduzione che all'interno di<br />

queste tradizioni diversificate la continua ricerca e<br />

le Conferenze hanno consentito di precisare la conoscenza<br />

delle sequenze e della cronologia.<br />

Il "fattore di produzione" è riconsiderato nelle<br />

sue linee generali da Charlotte ed Orjan Wikander<br />

(Architectural Terracottas in Theory and Practice, p.<br />

42 ss.) ed esaminato in relazione al sito di Selvasecca<br />

(VT)da Martin Soderlind (The Function of ihe<br />

Terracottas from Seluasecca, p. 116 ss.): il fuoco delle<br />

indagini è portato sull'uso e il riuso delle singole<br />

matrici nonché sul movimento delle botteghe ed il<br />

commercio degli stampi: si tratta di una tematica<br />

di fondamentale importanza, che inerisce al problema<br />

dell'esistenza di officine locali presso gli<br />

edifici da decorare o del trasferimento di intere<br />

equipes artigianali dall'esterno, e alla questione dell'importazione<br />

dei materiali (matrici, argille, sgrassanti)<br />

fino alla possibilità dell'importazione di interi<br />

"tetti finiti".<br />

La centralità dell'apporto campano (evidente<br />

nei rivestimenti di seconda fase degli edifici di satricum),<br />

sostenuta da Knoop nella prima Conferenza<br />

del 1990, è confermata anche dal fatto che nel<br />

presente volume "i contributi sulla Campania formano<br />

la maggior parte degli Atti".<br />

Su tale presupposto si fonda il contributo di<br />

Nancy Winter, The Origin of the Recessed Gable in<br />

Etruscan Architecture (p. 45 ss.), nel quale la studiosa<br />

evidenzia la "crescente consapevolezza del prestito e<br />

dell'adattamento dai Greci della Campania ai popoli dell'Italia<br />

Centrale e dell'Etruria".<br />

Considerato uno dei caratteri peculiari del<br />

tempio tuscanico, il timpano "incassato" ebbe origine<br />

probabilmente nella Campania etrusca, su tetti<br />

di templi etrusco-italici con caratteristiche di stile<br />

greco-dorico (cioè con frontone e peristilio), che<br />

erano però realizzati in mattoni crudi e legno e che<br />

richiedevano pertanto un rivestimento fittile. Quest'ultimo<br />

prevedeva l'inserimento di un tetto interno<br />

di tegole sul piano pavimentale del timpano incassato,<br />

ornato con un tipo di decorazione da subito<br />

differenziata rispetto a quella delle gronde: se<br />

ad esempio le antefisse degli spioventi erano del<br />

tipo con testa nimbata, quelle timpanali erano più<br />

piccole e prive del nimbo.<br />

Sorto nella Campania etrusca, il timpano "incassato"<br />

attraversa il Lazio come parte di uno stile<br />

architettonico campano e raggiunge l'Etruria propria<br />

nel tardo arcaismo, divenendo parte di un sistema<br />

coerente ed unificato di tetto (corrispondente<br />

al tetto di II fase di Della Seta).<br />

Alla questione centrale dei rapporti tra Campania,<br />

Lazio ed Etruria sono dedicati altri saggi distribuiti<br />

nelle diverse sezioni del volume.


2006] RECENSIONI 201<br />

Particolarmente importante appare il contributo<br />

dedicato a "Piihekoussai e Kyme: il contesto produttivo<br />

e una nuova testa femminile da Kyme" (p. 268<br />

ss.), nel quale Carlo Rescigno delinea sinteticamente<br />

le tappe della storia della produzione dall'epoca<br />

tardo-orientalizzante alla metà del VI sec. a.c.,<br />

con la definizione del sistema campano canonico<br />

che si "congela come prototipo a seguito dell'ampia diaspora<br />

dei plasticatori campani" (p. 269) e costituisce<br />

la base per il passaggio, nei tetti etrusco-laziali, alla<br />

II fase di Della Seta, caratterizzata da antefisse<br />

nimbate a testa femminile, a palmetta diritta e rovescia,<br />

a maschera gorgonica; da tegole di gronda,<br />

lastre di rivestimento, sime rampanti, acroteri a disco.<br />

A Cuma, dove è documentato "tutto il sistema<br />

tecnico e iconografico", spetta con certezza un ruolo<br />

di primo piano nella elaborazione dei tetti campani<br />

di II fase, come centro propulsore e di sperimentazione.<br />

A fronte delle richieste avanzate da una<br />

committenza di eliies residente nella piana campana<br />

e nello scacchiere tirrenico, Cuma risponde, dopo<br />

la metà del VI sec. a.c. (550-530/10 a.C,), con il<br />

trasferimento di equipes di artigiani, con l'esportazione<br />

di prodotti finiti, con la circolazione dei prototipi.<br />

Gli intensi contatti stabiliti tra Cuma e Capua<br />

determinano il trasferimento di artigiani dalla costa<br />

verso l'interno e conducono alla creazione di<br />

una tradizione locale, che affianca la lezione cumana<br />

fino alla fine del VI sec. a.c.<br />

La nuova trasformazione del sistema campano,<br />

alla fine del VI sec. a.c. (con l'introduzione delle<br />

antefisse a testa femminile entro loto - affiancate<br />

dalle maschere gorgoni che con capelli a chiocciola,<br />

dalle lastre e dagli anthemia figurati, dai rivestimenti<br />

dei geisa, fra i quali si affermano le "cassette")<br />

è forse ancora ascrivibile a Cuma, dove l'attività<br />

delle botteghe non si esauriva all'interno delle<br />

fabbriche tempi ari.<br />

Anche l'articolo di Giovanna Greco sull' antefissa<br />

nimbata di tipo campano (L'antefissa a nimbo<br />

di tipo campano. Circolazione e sopravvivenza di un<br />

modello, p. 378 ss.), pur sviluppando una indagine<br />

soprattutto rivolta alla diffusione dei modelli campani<br />

alle popolazioni del Sannio e dell' Apulia (accennando<br />

anche alla ripresa su motivazioni ideologiche<br />

di schemi arcaici da parte dei decoratori del<br />

santuario di Rossano di Vaglio nella media età ellenistica),<br />

offre però una ampia panoramica che<br />

sintetizza le principali posizioni degli studiosi in<br />

merito primariamente all' eventuale derivazione<br />

greco-orientale del modello, nonché alla diffusione<br />

di questo tipo caratteristico del sistema di copertura<br />

"campano".<br />

Molti sono gli studiosi che sostengono l'apporto<br />

ionico nella genesi del modello campano, assegnando<br />

un ruolo decisivo a Velia; una ipotesi inaccettabile<br />

dato che recenti ricerche hanno dimostrato<br />

che la colonia focea, nella decorazione dei tetti<br />

di prima generazione, adotta uno schema adoperato<br />

nell' area del golfo cumano, e non quello in uso<br />

nella madre patria, dove è attestato l'impiego di lastre<br />

di fregio a stampo. Nel VI sec. a.c., tra Pitecusa<br />

e Cuma, si sperimentano forme e motivi decorativi<br />

che avranno larga diffusione e circolazione. L'antefissa<br />

nimbata troverà a Capua realizzazioni e varianti<br />

assai ricche: matrici e prototipi circoleranno<br />

in area etrusca e laziale con grande fioritura nei<br />

tetti diII fase.<br />

Vera e propria "cartina di Tornasole" delle influenze<br />

campane verso l'Italia centrale, l'articolo<br />

"Roofs from the South. Campanian Architectural Terracottas<br />

in Satricum" (p. 235 ss.), Patricia Lulof discute<br />

il cosiddetto "sistema di tetto campano", esaminando<br />

la copertura del tempio 1 di Sairicum (525 a.Ci)<br />

dedicato a Mater Matuta, nella quale sono state individuate<br />

ben ventidue classi di tipi decorativi comprendenti<br />

antefisse, lastre, acroteri, tegole. Tecniche,<br />

tipi, materiali omogenei riconducono ad una bottega<br />

campana, cumana in particolare, il cui legame<br />

con Satricum è stato chiarito da Carlo Rescigno.<br />

In relazione al tetto di Sairicum, che porta un<br />

contributo importante alla questione delle "botteghe<br />

itineranti", la studiosa formula tre ipotesi: 1)<br />

commissione del tetto ad una bottega campana itinerante,<br />

che porta con sé materiale e matrici, 2) ad<br />

una bottega affiliata ad una campana, che opera a<br />

Satricum con materiali importati dalla Campania,<br />

3) importazione dalla Campania del tetto completo,<br />

prefabbricato.<br />

Se la prima ipotesi è valida - secondo la Lulof<br />

- per il periodo tardo-arcaico, il rinvenimento lungo<br />

la costa tirrenica, in relitti di età ellenistica, di<br />

terrecotte architettoniche insieme a carichi di tegole,<br />

indurrebbe a ritenere che, in certi periodi, fossero<br />

esportati via mare interi sistemi di copertura dei<br />

tetti. Il tetto del tempio 1 di Sairicum, commissionato<br />

in Campania, sarebbe potuto arrivare per via<br />

marittima accompagnato da un team di tecnici specializzati<br />

per montare la copertura fittile sul posto.<br />

Al problema delle botteghe, visto sia nella diatopia<br />

che nella dimensione diacronica, è dedicato<br />

anche lo studio di Claudia Carlucci, Osservazioni


202 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />

sulle associazioni e sulla distribuzione delle antefisse di<br />

II fase appartenenti ai sistemi decorativi etrusco-laziali<br />

(p. 2 ss.). I risultati si concretano in primo luogo<br />

nella formulazione di una tipologia che comprende<br />

due serie di antefisse - limitate alla sola testa maschile<br />

o femminile ed a figura intera - distinte rispettivamente<br />

in sette e quattro tipi, dei quali la<br />

studiosa segue la distribuzione tra Etruria meridionale<br />

e Lazio; istituendo poi alcune correlazioni<br />

tra i principali accadimenti storici e le vicende delle<br />

botteghe, la studiosa distingue la produzione di<br />

fine VI sec. a.c., in cui ciascun centro principale<br />

realizza un proprio sistema decorativo originale<br />

(Caere nei templi di Pyrgi, Veio in quello di Apollo<br />

al Portonaccio e Lanuvio nel tempio di Iuno Sospita),<br />

con scarsa circolazione del sistema al di fuori<br />

dei limiti del singolo centro, e quella dei primi decenni<br />

del V sec. a.c., che riflette una situazione fortemente<br />

mutata, caratterizzata dalla grande diffusione<br />

dei sistemi decorativi o di parte di essi su<br />

un'area che accomuna Lazio, Agro Falisco ed Etruria<br />

del sud.<br />

La seconda sezione, riservata all'Etruria, si<br />

apre con il contributo di Gilda Bartoloni (Veio: l'abitato<br />

di Piazza d'Armi.Le terrecotte architettoniche, p.<br />

50 ss.) che espone i risultati degli scavi condotti a<br />

Veio-Piazza d'Armi fino all' ottobre 2002. Essi hanno<br />

consentito l'individuazione di tre edifici nella<br />

zona ovest del pianoro, che documentano l'esistenza<br />

di una fase antica risalente alla seconda metà<br />

del VII sec. a.C, in cui, come a Megara Hyblea, si<br />

definisce lo spazio abitato, indiziato anche a Veio<br />

dalla presenza del rituale del solco praticato per la<br />

fondazione della città. Alla metà del VII sec. a.c.<br />

Piazza d'Armi diviene la sede di un gruppo aristocratico,<br />

caratterizzata dalla presenza di un luogo di<br />

culto (oikos) vicino ad una probabile torre (affine<br />

all'hestiatorion del Portonaccio), che non conosce -<br />

a differenza dell' area urbana - una fase successiva<br />

di monumentalizzazione. Lo studio delle terrecotte<br />

architettoniche dell' edificio di Piazza d'Armi ha<br />

condotto alla ricostruzione di sistemi decorativi diversi<br />

da quelli ipotizzati dallo Stefani e più vicini a<br />

quelli proposti da Francesca Melis, nei quali la<br />

quasi totalità degli elementi è riferita alla prima fase<br />

decorativa (fine VII sec. a.C),<br />

L'edizione di documenti inediti caratterizza<br />

anche le relazioni di Volker Kàstner (Ikonographische<br />

bemerkenswerte Fragmente von sdtarchaischen Terrakottajriesen<br />

aus Cerveteri in der Berliner Antikensammlung,<br />

p. 77 ss.) e di Adriano Maggiani-Vincenzo<br />

Bellelli (Terrecotte architettoniche da Cerveteri,<br />

Vigna parrocchiale: nuove acquisizioni, p. 83 ss.) che<br />

presentano materiali ceretani, provenienti rispettivamente<br />

da vecchi scavi (come i frammenti di lastre<br />

con arcieri a cavallo e con altare a gradini conservati<br />

a Berlino, che trovano stretti paralleli iconografici<br />

nell' arte greca) e dalle recenti indagini alla<br />

Vigna Parrocchiale, che hanno restituito sime rampanti,<br />

lastre di rivestimento, acroteri a ritaglio.<br />

Con le sue testimonianze tardo-orientalizzanti<br />

ed alto-arcaiche (tra le quali antefisse con triangolo<br />

traforato confrontabili con quelle di Acquarossa),<br />

Vigna Parrocchiale offre un dossier documentale rilevante<br />

per la conoscenza delle terrecotte architettoniche<br />

etrusche di I fase, "inquadrando il ruolo giocato<br />

da Caere nell'elaborazione delle prime esperienze di<br />

coroplastica architettonica in Etruria". In particolare<br />

"le nuove evidenze ceretane forniscono materia per la<br />

dibattuta questione dell'origine e lo sviluppo della sima<br />

in Etruria", per la quale finora ha giocato un ruolo<br />

importante solo il sito di Acquarossa grazie all' abbondanza<br />

della documentazione. Per l'età ellenistica,<br />

il frammento di sima con testa fuoriuscente da<br />

cespo d'acanto fra semipalmette si situa in una posizione<br />

intermedia fra i modelli campani e le successive<br />

elaborazioni romane, suggerendo che Caere<br />

abbia svolto una funzione di primo piano nella<br />

mediazione del repertorio figurativo della coroplastica<br />

architettonica campana di età ellenistica nel<br />

resto d'Italia.<br />

Altre novità emergono dal contributo di Annamaria<br />

Sgubini Moretti e Laura Ricciardi, dedicato a<br />

"Vulci: materiali architettonici di vecchi e nuovi scavi"<br />

(p. 103 ss.). Al recupero dell'antefissa più antica sinora<br />

ritrovata nella città sul Fiora, configurata a testa<br />

di Gorgone, da confrontare con il noto esemplare<br />

dalla Regia di Roma, si unisce quello di un<br />

frammento di lastra delimitata inferiormente da<br />

guilloche a rilievo: il tipo, la cui creazione va probabilmente<br />

attribuita a Vulci, fu da questo centro trasmesso<br />

non solo a Murlo e Poggio Buco, come affermano<br />

le autrici, ma anche a Roselle, come indica<br />

il frammento di lastra rinvenuto nell'area dell'anfiteatro<br />

(D. Canocchi, in Roselle. Gli scavi e la mostra,<br />

Pisa, s.d., p. 40, n. 4, tav. 5, d). Infine, alle numerose<br />

testimonianze dell' antefissa a testa femminile entro<br />

nimbo con ovoli, si affianca ora l'acquisizione<br />

della controparte maschile rappresentata dal sileno<br />

calvo.<br />

Prende nuova consistenza la presenza a Vulci<br />

di una scuola di coroplasti aperti ai contatti con gli<br />

altri centri dell'Etruria meridionale e con Roma,<br />

capaci di elaborazioni originali che trasmettono<br />

nella seconda metà del VI sec. a.c. al territorio del-


2006) RECENSIONI 203<br />

la città e all'Etruria interna. Si registrano due tendenze<br />

diverse forse rapportabili a botteghe differenti,<br />

l'una identificabile con le maestranze attive<br />

presso il Tempio Grande (I fase), capaci di recepire<br />

e rielaborare tendenze provenienti dall' area magno-greca<br />

giunte attraverso il Lazio e l'Etruria meridionale,<br />

e, l'altra, riconoscibile negli artigiani<br />

operanti al tempio di Ponte Sodo, più conservatori<br />

e dediti alla riproduzione di temi largamente diffusi<br />

anche nel repertorio ceramografico, come<br />

quello dei fregi animalistici.<br />

L'analisi del funzionamento delle botteghe ripropone<br />

con forza l'attenzione su] "fattore di produzione",<br />

a lungo - secondo Charlotte ed Orjan<br />

Wikander - trascurato, che si estende dall'individuazione<br />

delle cave di argilla al reperimento degli<br />

artigiani e degli spazi di lavoro. Prediligendo l'ipotesi<br />

della bottega itinerante, rispetto a quella de]<br />

possibile trasporto del prodotto finito, gli studiosi<br />

riconoscono nella produzione "in loco" la normalità<br />

operativa nel periodo arcaico, che non escludeva il<br />

temporaneo afflusso di artigiani, matrici, argilla<br />

dall'esterno. I luoghi di produzione, anche se ancora<br />

scarsamente documentati, dovevano essere, al<br />

pari di quanto avveniva in Grecia e Magna Grecia,<br />

vicini all'abitato, come sembrano attestare la "bottega"<br />

di Murlo, adiacente al palazzo e, ad Acquarossa,<br />

l'uso di argille locali.<br />

Nella medesima ottica, il ruolo del sito di Selvasecca<br />

(Blera), che era stato guardato come probabile<br />

luogo di produzione di terrecotte architettoniche<br />

per il territorio, è stato ridimensionato da Martin<br />

Soderlind (p. 116), che ritiene la produzione del<br />

sito funzionale esclusivamente alla villa etrusca,<br />

poi romana, lì rinvenuta.<br />

Mentre, infatti, secondo lo studioso, motivi<br />

iconografici e processo di produzione rimandano a<br />

Tarquinia (che già in età arcaica esportava le sue<br />

matrici a Roselle e Capua), "luogo di rinvenimento,<br />

contesto e analisi delle argille", cui si somma la presenza<br />

di matrici per la maggior parte costituite da<br />

calchi di seconda generazione, "suggeriscono che la<br />

decorazione fittile fosse fatta ed usata per la villa". La<br />

presunta funzione di atelier di produzione per altri<br />

centri avrebbe comportato, a parere di Soderlind,<br />

una differente ubicazione del sito, da immaginarsi<br />

in prossimità di incroci viari, centri urbani o edifici<br />

sacri di rilievo.<br />

Nuovi risultati emergono da alcuni scavi recenti<br />

condotti ai limiti del territorio toscano, tra To-<br />

scana ed Umbria, nei siti di Ossaia, presso Cortona,<br />

e di Castiglion Fiorentino.<br />

Il contributo di Helena Fracchia e Maurizio<br />

Gualtieri (Late Hellenistic-Roman Terracottas from<br />

Cortona, p. 97 ss.) presenta i dati relativi a due aree<br />

santuariali, ubicate, rispettivamente, nel territorio<br />

extra-urbano di Camucia, ai piedi di Cortona, e nel<br />

comprensorio rurale di Ossaia. La posizione topografica<br />

di queste aree sacre si rivela di fondamentale<br />

importanza ai fini dello studio della loro "frequentazione"<br />

ed utilizzo cultuale da parte degli<br />

abitanti del territorio e dei frequentatori occasionali,<br />

in viaggio lungo la via Cassia, una delle principali<br />

direttrici di traffico commerciale verso l'interno.<br />

Le nuove scoperte effettuate nel Cassero di Castiglion<br />

Fiorentino, illustrate nella relazione coordinata<br />

da Paola Zamarchi Grassi (Le terrecotte architettoniche<br />

del tempio etrusco del piazzale del Cassero, p.<br />

136 ss.), hanno guadagnato alla conoscenza del territorio<br />

tra Arezzo e Cortona un nuovo insediamento<br />

etrusco, importante snodo viario verso la Val Tiberina<br />

e l'Adriatico. Il santuario etrusco contava<br />

più edifici, con un arco di vita tra la seconda metà<br />

del VI ed il III - II sec. a.c. Il complesso delle terrecotte<br />

architettoniche rivela strette affinità, al pari<br />

della pianta del tempio (riconosciuto, soltanto con<br />

gli scavi del 2000, come probabile tempio canonico<br />

vitruviano), con l'ambiente orvietano (in particolare<br />

con il. tempio del Belvedere); le antefisse a protome<br />

leonina richiamano invece quelle dei centri<br />

costieri di Populonia, Roselle, Pisa e, nell'interno,<br />

quelle dell'agro chiusino, di Arezzo e Fiesole.<br />

All' aspetto iconografico, con implicazioni di<br />

carattere socio-politico-culturale, fanno riferimento<br />

gli interventi di Margareta Strandberg Olofsson<br />

(Herakles revisited. On the interpretation of the mouldmade<br />

architectural terracottas fron Acquarossa, p. 122<br />

ss.) e di Antony Tuck (The Social and Poliiical Context<br />

of the 7th Century Architectural Terracottas at<br />

Poggio Civitate, p. 130 ss.), relativi ai siti di Acquarossa<br />

e Murlo.<br />

L'analisi condotta sulle lastre di rivestimento<br />

della "Regia" di Acquarossa, distinte in quattro tipi,<br />

sottolinea l' "effetto di massa" derivante dalla<br />

ripetizione dei soggetti e rivela il carattere emblematico<br />

della figura di Herakles che diviene figura<br />

"inserto". Herakles, l'eroe del mito che tutti conoscono<br />

e riconoscono, racchiude, nella sua figura, significati<br />

mitologici unitamente ai valori ideologico-politici<br />

e rituale-iniziatici, rispondenti alla fisionomia<br />

della classe dominante etrusca.


204 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />

I coroplasti di Acquarossa utilizzano set di immagini<br />

note ed emblematiche, come quella dell'eroe,<br />

per creare un'imagerie carica di allusioni, un<br />

programma figurativo in cui si descrive una celebrazione<br />

in un modo tipizzato. La ripetizione della<br />

figura di Herakles tra gli armati a piedi e a cavallo<br />

- che formano le schiere del ceto aristocratico -<br />

sottolinea indubitabilmente la loro forza, il loro coraggio,<br />

la loro assoluta ed eterna invincibilità.<br />

La riflessione di Anthony Tuck scaturisce dall'analisi<br />

dell' apparato decorativo del Palazzo più<br />

antico di Murlo, che include antefisse a testa femminile<br />

(la potnia theron, secondo l'A) tra gocciolatoi<br />

a protome felina. La controparte maschile è rappresentata<br />

dall' antefissa "canopica", da interpretarsi<br />

sia come figura paredra della dèa della fertilità,<br />

una sorta di despotes theron, sia come maschera<br />

ancestrale.<br />

"Ancestry", come fonte dell' autorità socio-politica<br />

del leader, e fertilità, come strumento per detenere<br />

e perpetuare questa autorità, sono alla base<br />

dell'ideologia della comunità aristocratica in sediata<br />

a Murlo, che è insieme residenza principesca,<br />

centro di produzione, sede religiosa. Questi due<br />

concetti confluiscono e si coniugano nell'iconografia<br />

dello hieros gamos, dove l'unione del mortale<br />

con la divinità investe l'uomo di quell'autorità che<br />

la parte divina garantisce ed assicura in eterno.<br />

I medesimi concetti sono ribaditi nel sistema<br />

decorativo dell' edificio più recente di Murlo, in cui<br />

le teste femminili, corrispondenti alla potnia theron,<br />

ornano la sponda della sima alternate alle rosette,<br />

e i grandi acroteri, le immagini ancestrali, rappresentano<br />

"l'amplificazione dell'idea implicita nelle antefisse<br />

canoniche" e dove la più chiara ipostasi del<br />

matrimonio sacro è offerta dal consesso di personaggi<br />

seduti raffigurato sulle lastre, nel quale l'unica<br />

figura divina (secondo l'A), la dèa su trono,<br />

siede alle spalle del personaggio maschile investito<br />

dell' autorità politica che ella è posta a legittimare.<br />

Alle nuove scoperte effettuate nel territorio orvietano<br />

sono dedicati gli articoli di Anna Eugenia<br />

Feruglio (Le terrecotte architettoniche dall'area del Palazzo<br />

del capitano del popolo a Orvieto, p. 152 ss.) e Simonetta<br />

Stopponi (Volsiniensia disiecta membra, p.<br />

210 ss.).<br />

Le terrecotte architettoniche (antefisse a testa<br />

maschile e femminile, lastre di rivestimento, frammenti<br />

di tegole di gronda con ornato dipinto) illustrate<br />

dalla Feruglio costituiscono un complesso<br />

decorativo coerente, che ribadisce l'uniformità dello<br />

stile orvietano e dei suoi sistemi decorativi alla<br />

fine del IV - inizi del III sec. a.c., già evidenziata<br />

dalla Stopponi per l'età arcaica. Quest'ultima presenta<br />

le novità dagli scavi in corso dal 2000 al<br />

Campo della Fiera, nonché i risultati dei riscontri<br />

effettuati sui pezzi rinvenuti nei vecchi scavi orvietani,<br />

ora distribuiti tra i Musei di Berlino, Toronto,<br />

Philadelphia. L'individuazione di attacchi<br />

fra i pezzi messi in luce di recente e quelli conservati<br />

nei Musei americani e tedeschi, conduce a due<br />

risultati di rilievo. Da una parte, ne esce confermata<br />

l'identità delle aree indagate dai vecchi scavi e<br />

dalle ricerche in corso, consentendo, dall' altra, la<br />

ricostruzione di elementi del)' apparato decorativo<br />

fittile, grazie ai quali Orvieto "porta un ulteriore<br />

aspetto di novità nella fabbricazione di tali elementi architettonici"<br />

(p. 212). Lo dimostrano, fra le altre,<br />

l'antefissa a testa di Gorgone, che presenta attacchi<br />

con un' antefissa conservata a Berlino, e la lastra di<br />

columen? a bassorilievo che, come quella di Satricum,<br />

potrebbe rappresentare il "missing link" tra le<br />

lastre frontonali dipinte e quelle ad altorilievo, con<br />

alcune parti - generalmente le teste - modellate a<br />

tutto tondo.<br />

Il confronto di alcune antefisse a testa femminile<br />

con tipi noti nel Lazio meridionale e in Campania<br />

(Velia, Capua, Minturno, satricum) consente<br />

di estendere l'analisi anche al problema della circolazione<br />

dei modelli, in particolare ai tempi, modi,<br />

itinerari della loro trasmissione a Orvieto. Nel<br />

quadro di distribuzione dei tipi campani formulato<br />

da Carlo Rescigno, che prevede un percorso dalla<br />

Campania a Roma, al distretto ceretano-pyrgense,<br />

quindi all'Etruria settentrionale tramite i centri costieri<br />

(Roselle?) o quelli della Val Tiberina, Orvieto<br />

potrebbe configurarsi come centro di trasmissione<br />

grazie ad artigiani itineranti verso la costa (Roselle<br />

e l'Etruria settentrionale in genere) tramite il comprensorio<br />

aretino.<br />

Accanto al ruolo di trasmissione, Orvieto svolse<br />

certo anche quello di centro di produzione, attestato<br />

da alcuni frammenti che "testimoniano, al momento,<br />

la fase iniziale dell'attività di coroplasti a Orvieto"<br />

(p. 219).<br />

Assai numerosi sono anche i contributi che<br />

trattano le problematiche della produzione coroplastica<br />

in età ellenistica in area centroitalica. Sulla<br />

tecnica di realizzazione delle terrecotte architettoniche<br />

e sulla ricostruzione ed interpretazione di alcuni<br />

gruppi frontonali figurati si basano i contributi<br />

su Chieti di Gabriele Iaculli (Note sulla tecnica di<br />

esecuzione di alcune terrecotte della Civitella di Chieti,<br />

p. 164 ss.) e di Daniela Liberatore (Le terrecotte architettoniche<br />

della Civitella di Chieti: il frontone delle


2006] RECENSIONI 205<br />

Muse, p. 181 ss.), che del materiale della Civitella,<br />

recentemente restaurato, fornisce una ricostruzione<br />

e una lettura inedite.<br />

Iaculli si sofferma sull' analisi di frammenti di<br />

sime e lastre che forniscono documentazione relativa<br />

sia all'uso prolungato di una stessa matrice, sia<br />

alla tecnica di realizzazione dei positivi a stampo o<br />

modellati a mano.<br />

Emerge, nell'intervento di Iaculli, il rapporto<br />

dialettico che esiste fra maestranze itineranti e botteghe<br />

locali; le terrecotte teatine evidenziano infatti<br />

l'intervento di maestranze provenienti dall'esterno<br />

per la prima decorazione degli edifici, come sembrano<br />

provare, da un lato, l'affinità delle stesse<br />

matrici con quelle delle serie urbane e, dall' altro, i<br />

chiari influssi delle botteghe campane, ravvisabili,<br />

in primo luogo, nella composizione delle argille,<br />

ricche di inclusi vulcanici provenienti dall'area flegrea.<br />

D'altro canto, le maestranze esterne non riuscirono<br />

a dar vita ad una scuola locale di "alto artigianato",<br />

né a favorire la nascita di una bottega di<br />

coroplasti locali contrassegnata da un buon livello<br />

artistico.<br />

Novità di grande interesse emergono anche<br />

dalla presentazione di due lotti di terrecotte (soprattutto<br />

lastre di rivestimento) provenienti rispettivamente<br />

da un santuario identificato a Pale di<br />

Foligno (PG), "lungo la via Plestina", analizzato da<br />

Maria Romana Picuti (p. 194 ss.), e dagli scavi in<br />

corso nella valle del Sangro, in Abruzzo, studiate<br />

da Susan Kane (Terracotta dolphin plaques from Monte<br />

Pallano, p. 176 ss.).<br />

Apre la sezione dedicata a Falisci, Roma e Lazio<br />

Francesco M. Cifarelli (p. 224 ss.), che analizza<br />

il sistema di rivestimento del tempio di Iuno Moneta<br />

a Segni, riferibile alla quarta fase decorativa -<br />

tardorepubblicana - (II sec. a.Ci) dell'edificio, successiva<br />

a quelle di VI, di inizi Vedi III sec. a.c. Lo<br />

studio porta all'individuazione di un nuovo edificio<br />

(forse un portico assimilabile a quello di Falerii)<br />

ubicato accanto al tempio, al quale rimanderebbero<br />

frammenti di sime diverse da quelle impiegate<br />

nella decorazione dell'edificio principale. Un tipo<br />

di antefissa particolare, con figura femminile che si<br />

svela (nota solo a Segni e ad Ardea), sembra attestare<br />

la presenza di un modello creato appositamente<br />

per questo tempio e correlato iconograficamente<br />

al culto di Iuno.<br />

Alla nuova ricostruzione ed alla nuova esegesi<br />

di gruppi frontonali, rispettivamente del tempio di<br />

Celle a Falerii e di via San Gregorio a Roma, sono<br />

dedicati gli interventi di Françoise Hélène Massa<br />

Pairault (Considerazioni su un gruppo frontonale da<br />

Faleri, p. 243 ss.) e di Laura Ferrea (La ricomposizione<br />

del frontone da Via di S. Gregorio, p. 232 ss.)<br />

Analizzando l'importanza della tradizione artistica<br />

greca nella scultura frontonale etrusco-italica<br />

e affrontando il problema delle modalità di trasposizione<br />

e di interpretazione di temi e di soluzioni<br />

tecniche che risalgono alla scultura architettonica<br />

post-fidiaca, la Pairault giunge ad una nuova<br />

lettura del gruppo plastico figurato dal tempio<br />

di Iuno a Falerii, oggetto di diverse interpretazioni<br />

da parte degli studiosi, da Arvid Andrén a Mauro<br />

Cristofani. Riprendendo la lettura di Tobias Dohrn<br />

(gruppo uomo-donna), la studiosa interpreta la<br />

scena come ratto / hierogamia, identificando i due<br />

personaggi con Haleso - l'eroe fondatore di Falerii<br />

- e la ninfa locale e chiamando a confronto le figure<br />

mitiche di Tibur, fondatore di Tivoli, e della ninfa<br />

Albunea.<br />

Dopo la nuova "restituzione" del gruppo plastico<br />

frontonale di via San Gregorio, scoperto nel<br />

1878 e presentato in un nuovo allestimento nei<br />

Musei Capitolini nel novembre 2002, la Ferrea propone<br />

una lettura in chiave cerimoniale-sacrificale<br />

del soggetto, che prevede al centro le figure di<br />

Marte e di due divinità femminili, verso le quali<br />

convergono un offerente togato, tre vittimari e sei<br />

animali sacrificali. L'indagine condotta sia sui materiali<br />

pertinenti al tempio ma mai esposti e sui<br />

documenti di archivio ha consentito inoltre alla<br />

Ferrea di ricostruire numerose lastre di sima frontonale,<br />

che presentano all'apice del timpano il<br />

gruppo figurato composto da Ercole, Hesione e il<br />

mostro marino.<br />

La centralità di Roma emerge con particolare<br />

evidenza nel contributo di Maria [osè Strazzulla<br />

(Le terrecotte architettoniche nei territori italici, p. 25<br />

ss.) che, per quanto inserito nella prima sezione,<br />

tratta argomenti che meglio avrebbero trovato posto<br />

nella quarta, nel quale la studiosa analizza "le<br />

terrecotte architettoniche nei territori italici" durante il<br />

periodo ellenistico, quando il ruolo di Roma nella<br />

trasmissione dei modelli e nell' acquisizione e sviluppo<br />

dei sistemi di rivestimento, si afferma ulteriormente<br />

per effetto della romanizzazione, del<br />

contatto con Etruria e Lazio e della fondazione di<br />

colonie latine.<br />

Prendendo in esame i complessi di terrecotte<br />

italiche, la Strazzulla tende ad esaltarne l'originalità,<br />

che a suo avviso risalta in primo luogo nelle<br />

scelte e nelle preferenze esercitate sui modelli da<br />

imitare. L'adeguamento alle tipologie "ufficiali"


206 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />

della Capitale, facendo ricorso a maestranze campane<br />

(cf. ad es. il Tempio B di Pietrabbondante - III<br />

sec. a.C.), comporta una successiva rielaborazione<br />

locale degli schemi con l'introduzione di particolari<br />

privi di riscontro altrove e destinati localmente a<br />

grande fortuna, come sembrano provare le antefisse<br />

di Chieti con "Ercole seduto nell' atto di disvelarsi",<br />

prive di confronto in ambito etrusco-laziale<br />

e forse volute dalla committenza o dalle maestranze<br />

locali come latrici di un messaggio solitamente<br />

affidato ad altre parti del rivestimento, quali il timpano<br />

o gli acroteri.<br />

L'ampio resoconto che nelle pagine che precedono<br />

si è dato delle prime sezioni del volume è<br />

sufficiente a illustrare il gradiente di novità e l'ampiezza<br />

dei problemi affrontati nel corso del convegno<br />

romano sulle terrecotte architettoniche. Non è<br />

possibile in questa sede dar conto ulteriore dei<br />

molti contributi contenuti nelle altre sezioni, dedicate<br />

alla Campania e alla Magna Graecia (ben tredici<br />

saggi, undici dei quali trattano materiali e problematiche<br />

relative alle aree di Cuma-Pitecusa, Capua,<br />

Teano, Elea e due quelli relativi a Crotone e a<br />

altre località magno-greche) e alla Sicilia (sette lavori,<br />

che si concludono con un importante contributo<br />

di Paola Pelagatti sulle antefisse di Sicilia).<br />

In conclusione, gli atti del terzo convegno segnano<br />

un notevole passo in avanti per la conoscenza<br />

dei sistemi di copertura nell'antichità e costituiscono<br />

una adeguata premessa al prossimo convegno,<br />

Deliciae fictiles IV, la cui preparazione è stata<br />

già annunciata da Ingrid Edlund-Berry.<br />

Simona Rafanelli<br />

ESTE II. LA NECROPOLI DI VILLA BENVENUTI<br />

Monumenti Antichi, Accademia Nazionale dei Lincei, serie monografica vol. VII, (LXIVdella serie generale),<br />

Roma, Giorgio <strong>Bretschneider</strong> Editore 2006, pp. 536, tavole di grafici 1-223, tavole fotografiche I-LXIV.<br />

L. CAPUIS, A. M. CHIECO BIANCHI<br />

Nell'ambito di un ampio progetto volto all'edizione<br />

sistematica delle necropoli atestine, è stato<br />

pubblicato Este II, a ventuno anni dall'uscita di<br />

Este I, e a cura delle medesime Autrici.<br />

Este I presentava i corredi dei nuclei sepolcrali<br />

della Casa di Ricovero, di Casa Alfonsi e di Casa<br />

Muletti Prosdocimi t, mentre in Este II sono inquadrati<br />

i corredi delle sepolture rinvenute all'interno<br />

del parco della Villa Benvenuti tra il 1879 e il 1904.<br />

I quattro tratti di necropoli rappresentano in realtà<br />

un unico complesso ininterrotto, come illustrato e<br />

documentato dalle Autrici nella introduzione, che<br />

mira a ricomporre efficacemente il quadro topografico<br />

di questo settore centrale delle necropoli settentrionali<br />

atestine. Le due opere, che sono sostanzialmente<br />

complementari, offrono uno sguardo di<br />

insieme ormai ampio e significativo sulle necropoli<br />

di Este, quale campione rappresentativo non solo<br />

delle sequenze crono-tipologiche, ma soprattutto<br />

dell' articolazione sociale e delle dinamiche di sviluppo<br />

nel Veneto antico.<br />

Nel secolo scorso, la ripresa dell'interesse sulle<br />

necropoli del Veneto antico è iniziata nel 1981 con<br />

il volume Necropoli e usi funerari, a cura di Renato<br />

Peroni 2, che ha dato l'avvio ad uno studio sistematico<br />

delle associazioni, pur nei limiti di quanto<br />

sino ad allora edito, soprattutto se confrontato con<br />

quanto veniva presentato quattro anni più tardi in<br />

Este I. Se dunque NecropoZi e usi funerari ha risvegliato<br />

una nuova attenzione per la valutazione delle<br />

associazioni, del costume, del rituale e della conseguente<br />

evoluzione sociologica, l'edizione di Este<br />

I invitava alla cautela nell'interpretazione. L'edizione<br />

sistematica dei dati, infatti, palesava un panorama<br />

straordinariamente ampio e diversificato,<br />

da non considerare ancora tuttavia un campione<br />

rappresentativo. Una serie di nuove considerazioni<br />

si devono alla ripresa degli scavi (1983-1993)nell'area<br />

della necropoli della Casa di Ricovero, in<br />

uno spazio adiacente a quello indagato da Alfonsi.<br />

La ricerca ha restituito non solo nuovi corredi, ma<br />

evidenze sull' articolazione dello spazio funerario<br />

1 Cfr. A. M. CHIECO BIANCHI, L. CALZAVARA CAPUIS 1985, Este I. Le necropoli della Casa di Ricovero, Casa Muletli Prosdocimi e Casa Al-<br />

[onsi, MAL II (LI serie generale).<br />

2 Cfr. R. PERONI (a cura di) 1981, Necropoli e usi funerari nell'età del ferro, Bari.


2006) RECENSIONI 207<br />

in tumuli, nonché sulla complessa ritualità della<br />

progressiva riapertura delle sepolture e degli stessi<br />

ossuari, con conseguente commistione dei resti<br />

combusti. Gli esiti di questo lavoro, ancora solo<br />

parzialmente editi, ma illustrati nelle loro linee<br />

fondamentali 3, sono stati recepiti nello studio della<br />

necropoli Benvenuti e nella sua edizione, non<br />

solo per gli aspetti interpretativi, ma anche nell'inserimento<br />

di alcune significative Appendici nel<br />

nuovo volume Este II. Alla redazione del catalogo<br />

sistematico delle sepolture si accompagnano, infatti,<br />

quattro Appendici, oltre alla serie di tavole sinottiche<br />

e all'indice analitico (a cura di V. Lecce),<br />

già presenti in Este I e di straordinaria utilità per<br />

gli studiosi. All' analisi dei resti ossei umani della<br />

necropoli Benvenuti è dedicata l'Appendice I (a<br />

cura di A. G. Drusini, N. Carrara e N. Onisto);<br />

l'Appendice II prende in esame i resti ossei animali<br />

della necropoli Benvenuti, con una considerazione<br />

del loro ruolo nel rituale funerario (a cura di L<br />

Fiore e A. Tagliacozzo), l'Appendice III rappresenta<br />

un rilevante contributo sulla situla Benvenuti<br />

dal punto di vista della storia del suo stato di conservazione,<br />

dei diversi restauri subiti nel tempo e<br />

di una serie di consideraioni tecnologiche che meglio<br />

consentono al lettore di comprendere le specifiche<br />

caratteristiche di questo manufatto (a cura di<br />

S. Buson); l'Appendice IV, nel riproporre l'analisi<br />

antropologica delle ossa combuste (almeno quelle<br />

conservate) della necropoli della Casa di Ricovero<br />

(a cura di L. Ovidi), ribadisce la profonda complementarità<br />

dei due volumi. Tra le molte osservazioni<br />

possibili, si sottolinea, nei risultati delle analisi<br />

antropologiche, il ricorrere della presenza di più<br />

individui all'interno di un unico ossuario anche<br />

nelle necropoli di scavo ottocentesco, coerentemente<br />

con guanto individuato tra i risultati dello scavo<br />

recente.<br />

Nonostante il tempo trascorso tra le due imprese<br />

l'omogeneità nella trattazione è garantita<br />

non solo dalla identità delle Autrici, ma anche dalla<br />

solidità dell'impostazione metodologica iniziale,<br />

da ricollegare all' ampio progetto di studio delle<br />

necropoli dell'Italia preromana, nella collana dei<br />

Monumenti Antichi dei Lincei. In questo studio la<br />

presentazione dei corredi segue sostanzialmente lo<br />

schema già sperimentato, caratterizzato da una netta<br />

divisione tra l'esposizione dei dati di scavo, recu-<br />

perati dalla bibliografia precedente e, per lo più, dal<br />

ricco archivio storico del museo, il catalogo dei materiali<br />

e l'interpretazione; il catalogo dei materiali di<br />

corredo ripropone, dove possibile, l'ordine della deposizione<br />

originaria degli oggetti nella tomba, mentre<br />

le note interpretati ve sottopongono a discussione<br />

la cronologia, le associazioni, il rituale, evidenziando<br />

le caratteristiche locali e alloctone e recuperando,<br />

dove esistenti, i dati delle analisi antropologiche<br />

e / o archeozoologiche. Quindi, lo schema iniziale,<br />

sostanzialmente inalterato, riassorbe al suo<br />

interno dati che provengono da una nuova impostazione<br />

di studio, cresciuta negli ultimi venti anni<br />

ad arricchire in particolare la conoscenza della ritualità<br />

funeraria e delle caratteristiche della gestione<br />

delle necropoli del Veneto preromano.<br />

Nell'ambito del catalogo, è da sottolineare che<br />

in questo volume figurano alcuni dei più famosi<br />

contesti sepolcrali atestini, che assumono una differente<br />

rilevanza alla luce della contestualizzazione<br />

complessiva.<br />

Rientra in questo panorama la tomba 126, nella<br />

quale l' ossuario fittile era contenuto nella situla<br />

di bronzo, nota come situla Benvenuti. Proprio<br />

l'acquisizione delle determinazioni antropologiche,<br />

che identificano l'individuo defunto come un infans<br />

tra 1 e 3 anni, rappresenta un dato di estremo<br />

interesse per i risvolti in termini sociologici.<br />

L'insieme delle novità, anche solo dal punto di<br />

vista della tipologia dei materiali e dalle inferenze<br />

che se ne possono trarre in termini di contatti, risulta<br />

così cospicuo che appare impossibile trattarne<br />

in poche pagine. Per scegliere una tematica su<br />

cui concentrare l'interesse, ci si rivolge a quei contesti<br />

che risultano essenziali per documentare e<br />

comprendere alcune svolte nella composizione sociale<br />

e i connessi mutamenti storici, fornendo dati<br />

significativi in particolare per i periodi IIID2-IV<br />

(350 a.C.-inizi I sec. a.C,), fase ancora tra le più critiche<br />

e meno definite nella storia dei Veneti antichi.<br />

In questa chiave si collocano alcune sepolture che<br />

testimoniano le più antiche influenze di carattere<br />

laténiano, ben ravvisabili dalla distribuzione dei<br />

ganci traforati, ad esempio le tombe 110, 116, 117,<br />

ma anche i due grandi contesti plurideposizionali<br />

(tombe 123 e 125), che documentano nella loro lunga<br />

durata il fenomeno della progressiva integrazione<br />

dell' elemento celtico e di quello romano nella<br />

J Cfr. E. BIANCHIN, G. GAMllACURTA, A. RUTA SERAFlNl (a cura di) 1998, ...Presso l'Adige ridente ... Recenti rinpenimenti archeologici da<br />

Este a Montagnana, catalogo della mostra, Padova.


208 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />

compagine sociale. Di particolare rilievo risulta la<br />

trattazione sistematica della tomba 123per la scansione<br />

delle deposizioni, ipotizzata nell'ambito di<br />

un contesto non distinto all'atto del rinvenimento.<br />

Nel complesso il volume suscita una serie di<br />

spunti di riflessione tanto più rilevanti e significa-<br />

tivi, quanto più si mantiene una lettura / consultazione<br />

integrata con Este I, per la possibilità di ricostruire<br />

un quadro unitario delle necropoli atestine<br />

settentrionali.<br />

Giovanna Gambacurta<br />

CERAMICA IN ARCHEOLOGIA 2.<br />

ANTICHE TECNICHE DI LAVORAZIONE E MODERNI METODI DI INDAGINE<br />

Studia Archaeologica 144,Roma, «L'Erma» di <strong>Bretschneider</strong> 2007,pp. 752, figg. 181,tavv. 11.<br />

NININA CUOMO DI CAPRIO<br />

Coloro che a vario titolo, sia per studio sia per<br />

passione, si occupano di ceramica antica ben conoscono<br />

il manuale di Ninina Cuomo di Caprie, edito<br />

nel 1985.Ora, a distanza di molti anni, ne esce<br />

una nuova edizione profondamente riveduta e ampliata,<br />

che costituisce di fatto un libro completamente<br />

nuovo. Della versione precedente rimangono<br />

alcuni fondamentali tratti, come la suddivisione<br />

in due parti (Antiche tecniche di lavorazione e Moderni<br />

metodi di indagine), con il corollario dell'appendice<br />

sulle Fonti letterarie. Inalterata rimane anche la<br />

successione dei capitoli della Parte Prima: la trattazione<br />

inizia dall'argilla, descrivendone le caratteristiche<br />

mineralogiche e tecnologiche (capitoli 1-5) e<br />

i differenti procedimenti di preparazione a cui può<br />

essere sottoposta prima della lavorazione vera e<br />

propria (capitolo 6). Un corposo approfondimento<br />

è dedicato alle differenti tecniche di modellazione,<br />

a mano, a tornio e da matrice, con la descrizione<br />

degli arnesi da lavoro (capitolo 7, pp. 163-252).Dopo<br />

l'essiccamento (capitolo 8), l'Autrice passa a<br />

trattare i rivestimenti, iniziando dalle materie prime<br />

(capitolo 9) per arrivare poi ai rivestimenti argillosi,<br />

semi- o non sinterizzati, esaminati nelle loro<br />

componenti mineralogiche (capitolo lO), e ai rivestimenti<br />

vetrificati caratteristici del Medioevo<br />

(capitolo 11). Il capitolo 12 prende in esame le differenti<br />

decorazioni dei manufatti allo stato crudo;<br />

la Parte Prima si chiude con l'esame del complesso<br />

processo della cottura e delle strutture destinate a<br />

questa importante fase della produzione ceramica<br />

(capitolo 13). La Parte Seconda (Moderni metodi<br />

d'indagine) presenta, entro una nuova strutturazione<br />

della materia, una panoramica delle analisi di<br />

laboratorio" che possono contribuire ad individuare<br />

la produzione ceramica del mondo antico, accertando<br />

l'area di origine del reperto, le caratteristiche<br />

tecniche, e ciò principalmente attraverso la valutazione<br />

quantitativa e qualitativa della composizione<br />

mineralogica e chimica" (p. 573). Dalle analisi mineralogico-petrografiche,<br />

molto utili per gli studi<br />

di provenienza (capitolo 16), si passa alle analisi<br />

termiche, utilizzate per determinare la temperatura<br />

di cottura (capitolo 17), a quelle chimico-fisiche,<br />

che consentono la verifica qualitativa e quantitativa<br />

degli elementi chimici (capitolo 18) ed alle microanalisi<br />

che forniscono indicazioni su minime<br />

zone del manufatto (capitolo 19). Seguono alcune<br />

analisi volte ad accertare particolari problematiche,<br />

quali ad esempio il grado di ossidazione del ferro,<br />

la porosità e durezza dei reperti, la datazione assoluta<br />

(capitoli 20-22).Si riflette poi sulle possibilità<br />

offerte dall'elaborazione statistica dei dati raccolti<br />

(capitolo 23), quindi viene preso in considerazione<br />

il colore (capitolo 24), uno dei parametri fondamentali<br />

per la classificazione dei reperti archeologici.<br />

La strumentazione, spesso molto complessa, è<br />

resa comprensibile grazie a una serie di chiari disegni<br />

illustrativi.<br />

Lo schema della trattazione ricalca, dunque,<br />

quanto già proposto dalla precedente edizione del<br />

manuale. Tuttavia una differenza sostanziale consiste<br />

anzitutto nelle proporzioni quantitative: lo spazio<br />

dedicato alle antiche tecniche di lavorazione è<br />

infatti enormemente ampliato sia nell'orizzonte<br />

cronologico, che è stato esteso oltre il limite dell'età<br />

classica, sia nella considerazione concreta delle<br />

produzioni ceramiche. Tale incremento trova importante<br />

corrispondenza nel vasto apparato di riferimenti<br />

bibliografici, accompagnati da una critica<br />

ragionata: i rimandi sono quasi sempre integrati da<br />

osservazioni sul piano tecnico, che mettono in evidenza<br />

problemi aperti, divergenze d'opinione, contraddizioni,<br />

imprecisioni terminologiche. La lettura


2006] RECENSIONI 209<br />

dell'apparato bibliografico è possibile anche in forma<br />

continuativa: se ne ricava una panoramica dello<br />

stato degli studi molto estesa, che sottolinea<br />

l'importanza di un approccio pienamente consapevole<br />

degli aspetti tecnici della ceramica. A titolo di<br />

esempio si possono ricordare le numerose pagine<br />

dedicate al tornio a mano (pp. 179-184)e a bastone<br />

(pp. 185-188),e la revisione critica delle relative<br />

fonti iconografiche (riferimenti bibliografici pp.<br />

239-242).<br />

Emergono dal libro con la massima evidenza<br />

(e ne costituiscono il tratto più caratteristico e nuovo)<br />

l'attenzione verso gli aspetti pratici del lavoro<br />

del vasaio e il rispetto per la sapienza manuale degli<br />

artigiani antichi. Alla capacità di osservazione<br />

si unisce l'attitudine alla sperimentazione, come<br />

già messo in evidenza in lavori precedenti (ad<br />

esempio Quando "nasce" Euphronios vasaio? in RdA<br />

15, 1991,pp. 55-60).Particolari problemi tecnologici,<br />

come il processo di cottura della Terra Sigillata<br />

(pp. 339-347)o la produzione di un vaso del tipo<br />

Aco decorato a Kommaregen (pp. 455-457), sono<br />

trattati richiamando esperimenti realizzati ad hoc.<br />

In altri casi invece la sperimentazione punta a verificare<br />

ipotesi formulate dalla stessa Autrice. È il<br />

caso delle decorazioni a rilievo applicato: per esse<br />

si propone che fossero ottenute mediante la modellazione<br />

di una matrice singola a crudo la quale, essendo<br />

priva del consolidamento indotto dalla cottura,<br />

non avrebbe lasciato traccia archeologica (pp.<br />

222-223).<br />

Per comprendere le reali condizioni di lavoro<br />

all'interno di una bottega da vasaio vengono esaminate<br />

le evidenze archeologiche, ma vengono anche<br />

proposte testimonianze ed immagini relative a<br />

botteghe tradizionali pugliesi del XXsecolo (Inserti<br />

G e H). Aspetti che un'archeologia "estetica" potrebbe<br />

considerare marginali diventano qui centrali<br />

e inducono a porre domande molto concrete:<br />

quanta argilla è necessaria per modellare un vaso e<br />

quale è il suo peso da crudo e poi da cotto? Quanto<br />

e quale combustibile occorre per la cottura?<br />

Quale esperienza e competenza sono necessarie<br />

per "condurre" una fornace a combustibile solido<br />

naturale? Come funziona la fornace? Quali spazi e<br />

quali strutture caratterizzano una bottega artigianale?<br />

Quando narra le esperienze degli artigiani<br />

tradizionali l'Autrice rivela non solo un' attenzione<br />

rigorosa ai fatti ma anche una intensa partecipazione<br />

alla dimensione umana del lavoro di bottega.<br />

Accanto ai successi nel realizzare manufatti belli<br />

ma spesso tecnicamente molto difficili, vengono<br />

messi in rilievo le difficoltà e gli errori del vasaio<br />

(pp. 193-205),il duro lavoro del fornaciaio nel caldo<br />

soffocante e nel riverbero accecante della fornace<br />

(pp. 532-537).Il lettore è costantemente chiamato<br />

a riflettere sull'organizzazione del lavoro (per<br />

specifiche annotazioni riferite al mondo antico si<br />

vedano pp. 178, 184, 190,218).<br />

Tutto ciò viene proposto con un tono notevolmente<br />

diverso da quello che spesso si incontra nei<br />

manuali. Anzitutto per la chiarezza, che è perseguita<br />

sempre, anche a prezzo di ripetizioni, poi per<br />

l'assenza di proclami cattedratici e di dogmi. Questo<br />

nasce certo dalla disposizione personale dell'Autrice,<br />

ma diviene opportunità per il lettore,<br />

messo di fronte ai diversi livelli delle attuali conoscenze,<br />

comprese le ipotesi, sempre dichiarate come<br />

tali, e le questioni ancora irrisolte. Non si dimentichi<br />

che il libro nasce da due spunti diversi:<br />

comprendere i fondamenti tecnologici della lavorazione<br />

dell'argilla, che erano largamente ignoti all'artigiano<br />

antico, e comprendere la dimensione<br />

pratica della lavorazione ceramica, che è spesso<br />

trascurata dall'archeologo moderno. Il dialogo con<br />

la ricerca contemporanea è vivace, a tratti polemico:<br />

muovendo da una prospettiva "primitivista" e<br />

fortemente orientata verso il buonsenso l'Autrice<br />

ha buon gioco nell'evidenziare le contraddizioni in<br />

cui incorrono le ricerche "modernizzanti" e troppo<br />

poco consapevoli del fare antico. Un tema spesso<br />

dibattuto, come quello della classificazione delle<br />

fornaci, consente non solo importanti chiarimenti,<br />

ma anche qualche messa a punto metodologica ferma<br />

seppur non severa (pp. 525-526). Si ritrova<br />

dunque nel libro un atteggiamento "leggero", talvolta<br />

ironico: a pagina 658 una fotografia di giocatori<br />

d'azzardo a Las Vegas esemplifica i rischi di<br />

un uso superficiale dei dati statistici, talvolta utilizzati<br />

come panacea per conferire carattere "scientifico"<br />

a ricerche strutturalmente deboli. Il libro<br />

guida il lettore verso una riflessione autonoma, anche<br />

per quanto riguarda l'uso terminologico. Molte<br />

volte sono evidenziate, con bonarietà ma con chiarezza,<br />

le oscillazioni lessicali riscontrabili in letteratura.<br />

L'auspicio è che si possa arrivare ad un uso<br />

più cosciente e coerente di termini quali, ad esempio,<br />

vetrina, ingobbio, impasto, graffito, che acquistano<br />

un significato specifico a seconda del contesto<br />

cronologico dei manufatti ai quali vengono riferiti<br />

(per il graffito si veda pp. 443-444).<br />

Per favorire "una consultazione a salti ogniqualvolta<br />

il lettore voglia verificare uno specifico<br />

argomento" (p. 34),il manuale è corredato da un Indice<br />

Analitico molto dettagliato, redatto da Daniele<br />

F. Maras. che consente di orientarsi all'interno della


210 RIVISTA DI ARCHEOLOGIA [RdA 30<br />

vastissima materia trattata (pp. 735-748).Aiutano la<br />

comprensione del testo gli schemi e la grafica di<br />

Walter Caponi e, per la Parte Seconda, i disegni illustrativi<br />

della strumentazione di Andrea Arcari.<br />

In tutto il libro dunque le finalità didattiche<br />

non sono trascurate e consentono l'approccio all'argomento<br />

anche da parte di lettori non ancora<br />

esperti. Fin dalla prima edizione del 1985 il manuale<br />

si basa, infatti, sull'attività didattica svolta<br />

da Ninina Cuomo di Caprio presso l'Università di<br />

Venezia per iniziativa di Gustavo Traversari, che<br />

ora presenta il volume insieme a Sauro Gelichi.<br />

Studenti e studiosi interessati alla ceramica antica<br />

che si accostano alla lettura di questo libro incontrano<br />

sicuramente una guida molto valida, seria<br />

ma non "seriosa". critica ma non dogmatica.<br />

Tiziana Marinig

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