BENTORNATO, SINDACO!!! - Akis
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AKIS Sabato 13 giugno 2009<br />
La letteratura odeporica<br />
Da qualche anno a questa parte si sta facendo strada<br />
un nuovo filone letterario: la letteratura odeporica. Il<br />
termine proviene dal greco hodoiporikós, camminare,<br />
viaggiare, donde nasce appunto il termine che designa<br />
la letteratura di viaggio. In effetti, i libri di viaggiatori<br />
stranieri sono stati pubblicati ovunque e da secoli, ma<br />
ultimamente c’è stata una riscoperta di questi testi che,<br />
per molto tempo sottovalutati e relegati in scaffali polverosi<br />
di biblioteche e librerie, hanno invece mostrato<br />
di essere al tempo stesso interessanti e di piacevole<br />
lettura. Molti di questi resoconti sono stati tradotti in<br />
vari idiomi ma molti altri restano in lingua originale e<br />
quindi non accessibili ad una buona percentuale di lettori.<br />
Questo tipo di letteratura è sorta grazie alla passione<br />
di alcuni studiosi che hanno voluto riportare alla<br />
luce testimonianze di visitatori sconosciuti i quali, viaggiando,<br />
hanno redatto diari delle loro avventure o<br />
hanno scritto lettere ad amici e parenti descrivendo ciò<br />
che avevano visto e i personaggi, più o meno noti, che<br />
avevano incontrato. L’esercito dei viaggiatori è molto<br />
nutrito ed è per questo motivo che, pur non tralasciando<br />
del tutto i viaggiatori di altre nazioni, tratteremo principalmente<br />
i viaggiatori inglesi e americani in Sicilia ed<br />
in particolare coloro che hanno visitato la provincia di<br />
Catania, numerosissimi soprattutto negli anni ’20 del<br />
XIX secolo, decennio in cui appaiono numerosi diari di<br />
viaggio. Soltanto nel 1824 giunsero William Henry<br />
Smyth, uomo di mare e astronomo, Edward Boid, Rae<br />
e molti altri. Ciò che si rivela importante non sono tanto<br />
le biografie di questi viaggiatori, poiché molti di loro non<br />
sono persone particolarmente famose in patria o all’estero,<br />
ma l’attenzione si posa sui luoghi da essi visitati<br />
e sulle persone che incontrano. Le righe che essi ci<br />
lasciano mostrano una Sicilia lontana da noi temporalmente<br />
e quindi totalmente diversa da quella odierna. Vi<br />
sono località con denominazione differente, contrade<br />
non più esistenti, paesaggi bucolici che oggi hanno<br />
ceduto il passo a zone industriali, boschi estinti dalle<br />
colate laviche dell’Etna, strade di campagna e sciare<br />
laviche oggi divenute tangenziali e arterie principali del<br />
traffico cittadino. Chi si accosta per la prima volta a<br />
questo tipo di studio si pone due domande fondamentali:<br />
come nasce la letteratura di viaggio? Chi sono<br />
questi viaggiatori? Alla prima domanda è difficile<br />
rispondere poiché da sempre l’uomo ha cercato l’altro<br />
da sé, l’incognito, il nuovo. E’ connaturato all’essere<br />
umano il bisogno di varcare i propri confini, esplorare<br />
quello che altri non hanno ancora conosciuto e dunque<br />
è chiaro che tutto ciò che è stato scritto da esploratori,<br />
scienziati, ricercatori, pellegrini e da chiunque abbia<br />
intrapreso un cammino. fa parte della folta schiera<br />
degli autori odeporici. Esempi celeberrimi di tale letteratura<br />
sono Il Milione di Marco Polo e il Liber Sancti<br />
Jacobi più conosciuto come Codex calixtinus di<br />
Santiago di Compostella. Il primo è soprattutto una narrazione<br />
del viaggio avventuroso del Veneziano, il<br />
secondo, concepito come un libro in onore di San<br />
Giacomo, è diviso in cinque libri di cui il quinto, intitolato<br />
Iter pro peregrinis ad Compostellam, Aimery Picaud<br />
scriptum, è una vera e propria guida per tutti quei pellegrini<br />
che si accingevano a compiere il cammino verso<br />
il luogo di sepoltura del santo. La seconda questione<br />
ha una sola risposta: il viaggiatore può essere chiunque<br />
ed è per tale motivo che la mole di letteratura di<br />
viaggio è immensa. Ma cosa cercano in Sicilia questi<br />
visitatori? Chi sono e cosa scrivono? Ci troviamo di<br />
fronte ad un nuovo fenomeno: il turismo culturale<br />
moderno le cui radici si collegano al fenomeno del<br />
"Grand Tour", con il quale si sviluppa in Europa un<br />
modo completamente nuovo di intendere il viaggio.<br />
Fino ad allora, i viaggi erano essenzialmente legati a<br />
motivi commerciali, diplomatici, religiosi, o alle guerre.<br />
C'erano anche studenti inglesi, francesi, tedeschi, che<br />
già nel XV e XVI secolo si iscrivevano alle Università<br />
italiane per attingere alle grandi istituzioni culturali di<br />
Bologna, Siena, Padova, ma si trattava ancora di lunghi<br />
soggiorni di studio, e non di viaggi in senso moderno.<br />
A partire dalla fine del Seicento e poi per tutto il<br />
XVIII secolo, epoca in cui il fenomeno raggiunge il suo<br />
culmine, il Grand Tour si concretizza invece come una<br />
peregrinazione di città in città, alla ricerca delle testimonianze<br />
dell'antichità e della classicità greca e romana.<br />
Per definire questo modo di viaggiare viene coniato<br />
un termine specifico, "tour", che identifica appunto<br />
"giro" di paesi con partenza ed arrivo nello stesso<br />
punto. L'Italia è, assieme alla Francia, la meta prediletta<br />
del Grand Tour. Il nostro Paese viene percorso interamente,<br />
da nord a sud, attraverso le maggiori città<br />
d'arte che rappresentano spesso l'obiettivo culminante<br />
del viaggio. Ma quali sono le motivazioni di questo che<br />
costituisce uno dei fenomeni più interessanti della<br />
moderna cultura europea? Nel XVII e XVIII secolo i giovani<br />
aristocratici europei (soprattutto inglesi), gli intellettuali,<br />
i diplomatici e i rampolli della emergente e ricca<br />
borghesia completavano la loro formazione intraprendendo<br />
un lungo viaggio in Europa che durava dai sei<br />
mesi agli otto anni come coronamento di una buona<br />
educazione. La mentalità di questo Grand Tour si riallaccia<br />
alla cultura baconiana e alla filosofia sperimentale,<br />
dunque all'idea del viaggio come esplorazione e<br />
ricerca. La sua valenza, tuttavia, non si esaurisce nella<br />
funzione didattica. Per i figli degli aristocratici e delle<br />
nuove classi - i mercanti, i professionisti - il viaggio<br />
segna soprattutto il confine e il passaggio dall'età adolescenziale<br />
a quella adulta, la trasformazione da<br />
ragazzi ad autentici gentiluomini (l'età in cui viene solitamente<br />
intrapreso oscilla tra i sedici e i ventidue anni).<br />
Il giovane faceva delle nuove esperienze, affrontava<br />
pericoli, disagi, doveva adattarsi a nuove situazioni,<br />
climi e usanze e metteva alla prova le conoscenze<br />
acquisite durante il periodo degli studi. In altri termini<br />
ed in modo decisamente meno rischioso, compiva una<br />
sorta di agogè che lo avrebbe traghettato nel mondo<br />
degli adulti. In questa avventura era guidato da un precettore<br />
che lo consigliava e lo accompagnava.<br />
L'esperienza del "grande viaggio", infatti, serve ad<br />
acquisire intraprendenza, coraggio, attitudine al<br />
comando, capacità decisionale, ed anche conoscenza<br />
di costumi, maniere, galatei e lingue straniere. Nel sermone<br />
The Prodigal Son, Laurence Sterne indica tra i<br />
principali vantaggi del viaggio «apprendere le lingue,<br />
conoscere le leggi e i costumi, gli interessi e le forme di<br />
governo delle altre nazioni; acquisire urbanità di modi<br />
e sicurezza di comportamento, educare lo spirito alla<br />
conversazione e ai rapporti umani» e allo stesso tempo<br />
«svezzarci dalla compagnia di zie e nonne, facendoci<br />
uscire dall'angusta stanza dei bambini». Al Grand Tour<br />
si riconosceva dunque una funzione iniziatica che,<br />
benché sottaciuta, ne costituiva spesso la motivazione<br />
primaria. I giovani inglesi che partivano per il Grand<br />
Tour compivano un giro che dall’Inghilterra, scendeva<br />
lungo Francia e Spagna e da qui, entrando nel<br />
Mediterraneo da Gibilterra, giungeva in Italia. Le città<br />
italiane da visitare erano soprattutto Roma, Napoli,<br />
Firenze e Venezia, le capitali dell’arte, della cultura e<br />
del bel mondo. Verso la fine del Settecento, però, il<br />
Grand Tour si allungò perché molti viaggiatori decisero<br />
di includere nell’itinerario anche la Sicilia. Non che l’isola<br />
fosse stata trascurata da tutti, ma è pur vero che<br />
molti, intimoriti dall’ombra minacciosa dei banditi e<br />
dalle condizioni delle strade, preferivano, sebbene a<br />
malincuore, rinunciare a proseguire oltre Napoli.<br />
L’isola, però, attraeva come un magnete i viaggiatori i<br />
quali sapevano bene quali tesori artistici e naturali la<br />
Trinacria custodisse. Le rovine greche e romane, insieme<br />
all’Etna, costituivano un richiamo irresistibile per i<br />
giovani nordici. Alla fine del XVIII secolo il numero dei<br />
viaggiatori stranieri in Sicilia crebbe in modo esponenziale.<br />
Un viaggiatore, Julvin, scrisse che visitare l’Italia<br />
escludendo la Sicilia era come fermarsi davanti ad un<br />
palazzo con una porta splendida. Julvin faceva eco a<br />
Goethe il quale nel suo Viaggio in Italia aveva scritto<br />
“La Sicilia è la chiave di tutto”. I viaggiatori, però, non<br />
erano soltanto giovani nobili colti; vi è una varietà di<br />
personaggi come geologi, storici, botanici, scienziati,<br />
pittori, incisori, naturalisti…un vero e proprio popolo. La<br />
maggior parte di questi visitatori teneva un diario di<br />
viaggio o scriveva lettere. Queste testimonianze preziose<br />
permettono al lettore di compiere anch’egli un<br />
viaggio, una peregrinazione temporale che offre la possibilità<br />
di immaginare ma anche di vedere, attraverso<br />
gli schizzi, i dipinti e le incisioni, un mondo ormai scomparso,<br />
sopraffatto dal progresso, dai terremoti, dalle<br />
colate laviche e dalla sconsideratezza dell’uomo. Basti<br />
pensare che molti diari di viaggio sono stati scritti prima<br />
dell’avvento della ferrovia, il cavallo di ferro che infliggeva<br />
ferite inguaribili all’aspetto fisico del territorio che<br />
attraversava e che tanti fiumi di inchiostro farà versare<br />
a quella moltitudine che nutrirà nei suoi confronti ammirazione<br />
ed odio allo stesso tempo. Ciò che ci proponiamo<br />
di fare in questa rubrica è proprio riscoprire,<br />
attraverso gli scritti dei viaggiatori, la terra di Sicilia<br />
come mai l’abbiamo vista e come, purtroppo, mai la<br />
vedremo.<br />
Maria Grazia Lucrezia Leotta<br />
Omaggio a Schubert L’Accademia Zelantea di Acireale<br />
ha ospitato l’atteso concerto dedicato a Franz Peter Schubert. Il presidente dott.<br />
Giuseppe Contarino ha introdotto la figura del compositore austriaco (Vienna<br />
1797-1828), che visse tormentato da angustie economiche e crisi depressive, e<br />
subito dopo ha presentato gli artisti: il baritono Isidoro Garufi, il M° Sebastiano<br />
Francesco Mangiagli e l’attrice Marika Romano. Il programma era incentrato sull’esecuzione,<br />
in lingua originale tedesca, dei 14 lieder Schwanengesang D 957,<br />
conosciuti come “Il Canto del Cigno”, composti nell’ultimo anno della vita del<br />
musicista. Il baritono Isidoro Garufi, studioso di tecnica del canto, ha partecipato<br />
a numerosi concerti riscuotendo lusinghieri consensi di pubblico e di critica.Ha<br />
studiato con il M° Francesco Celso e, come lui, persegue la sperimentazione in<br />
un insegnamento del canto strumentale su basi filologiche e scientifiche. In circa<br />
20 anni di attività ha eseguito i tre cicli di lieder di Schubert, l’op. 24, l’op. 39 e il Dichterliebe, e l’opera 48 di Schumann.<br />
L’acese M° Mangiagli, diplomatosi all’ Istituto Musicale “Vincenzo Bellini” di Catania, si è poi perfezionato con D. Zeclin, A.<br />
Jasinsky e B. Canino e ha diretto diverse formazioni corali. La brava Marika Romano, palermitana, segue un percorso di<br />
formazione che include recitazione, canto e danza. I primi sette lieder de “il Canto del Cigno” sono incentrati sul tema della<br />
nostalgia e sui richiami alla natura e si avvalgono dei testi di H. Ludwig Rellstabm, mentre i successivi sei sono su testi di<br />
Heinrich Heine e denotano un tono più drammatico ; in essi la perdita dell’amore simboleggia in generale le sofferenze<br />
umane. Nei lieder eseguiti prevale lo struggimento romantico, l’ambivalenza del rapporto tra finito ed infinito. Il 14°<br />
lieder,invece, è molto vivace, ed è stato forse aggiunto dall’editore.Il testo è di Gabriel Seidl. Le esecuzioni di Garufi si sono<br />
contraddistinte per un rigoroso rispetto filologico, mentre l’accompagnamento al pianoforte del M° Mangiagli è stato apprezzato<br />
per il tocco sicuro e l’espressività romantica che ha contribuito, assieme alla lettura recitata dei testi da parte di Marika<br />
Romano, a creare un’atmosfera di rara immedesimazione sentimentale, nonostante l’uso per il canto della lingua tedesca.<br />
E’ stato un evento musicale di alta valenza culturale, che il pubblico qualificato e attento ha apprezzato applaudendo i tre<br />
artisti e richiedendo dei bis. Particolarmente gradita la famosa “Serenata”, composizione emblematica nella quale testo e<br />
musica di integrano in modo straordinario creando un’atmosfera sentimentale tipicamente romantica. Giovanni Vecchio<br />
Sono certo del fatto che non abbiate mai sentito parlare<br />
della “sindrome del guscio”. Ne sono sicuro perché<br />
l’ipotesi l’ho coniata io da non molto, proprio nel<br />
momento in cui mi sono messo alla tastiera del notebook<br />
per raccontare l’ultimo capitolo di una storia che<br />
s’è avviata molti anni fa. Un incontro che ritorna, come<br />
avviene per una cometa, che so, quella di Halley, ma<br />
con intervalli (per fortuna) più brevi: gli ex-allievi di una<br />
scuola che si ritrovano, con qualche capello in meno (e<br />
quelli che son rimasti, ahimé, di colore, diciamo così,<br />
impallidito), qualche centimetro in più al giro-vita.. ma<br />
con lo stile e l’allegria che non sono cambiati. Dicevo<br />
della sindrome del guscio: quello dell’uovo, che il pulcino<br />
impaziente ha spezzato per lanciarsi alla scoperta<br />
del mondo.. e di cui adesso, pulcino ormai adulto, gallo<br />
o gallina che sia, vorrebbe ritrovare i frammenti, ricomporlo,<br />
rientrarci... Beh, forse questa sindrome è all’inizio<br />
della risposta che in tanti hanno dato all’arrivo della<br />
lettera che annunciava “l’annuale molto atteso e festoso<br />
incontro”.. Ritrovare “qualcosa” che si teme di aver<br />
perduto e che si sa di poter ritrovare. L’amicizia. Gli<br />
ideali. Smalti lucenti al sole della verità. E’ maggio, allora,<br />
e i “Sammichelini”, gli ex-allievi dell’Istituto San<br />
Michele di Acireale, ritornano per l’annuale convegno<br />
tra le mura antiche e le fresche sale (una frescura, per<br />
verità, particolarmente gradita in questi giorni di feroce<br />
assaggio della calura estiva). Per tutti c’è sempre una<br />
sorpresa. Questa volta è il numero speciale messo<br />
insieme per i cento anni di IN AEVUM, il periodico del<br />
Collegio dal gruppo di “scriteriati” (ma non è vero: ne<br />
faccio parte anch’io, persona notoriamente seria e ponderata)<br />
che si annida nel consiglio direttivo<br />
dell’Associazione Ex-Allievi. Sono quasi centoventi<br />
pagine di articoli e fotografie tratti da cento anni di storia,<br />
pagine non importa se patinate o di grana ruvida:<br />
una scelta di necessità limitata, ma significativa. Com’è<br />
stato emozionante, per gli “scriteriati” di cui sopra sfogliare<br />
le pagine, indicare, raccogliere, sorridere.. commuoversi.<br />
Pubblicato la prima volta nel 1909, In Aevum<br />
è stato, per tanto tempo, la voce di una scuola viva,<br />
ricca di cultura, aperta ad esperienze complesse e<br />
veramente partecipate, spesso in anticipo sui tempi<br />
della scuola italiana. A pensarci bene, è la testata più<br />
antica tra quelle che si pubblicano oggi in Acireale!<br />
Adesso si legge anche su internet perché l’Istituto è al<br />
passo con i tempi mutati. In Aevum riprende, nel nome,<br />
il motto dell’Istituto, l’ “es aiéi” tucidideo, l’orgogliosa<br />
rivendicazione di una storia che si vive non per l’avventura<br />
di un giorno, ma come conquista perenne: gli<br />
ideali di una comunità che cerca di interpretare con<br />
gioia lo spirito di Filippo Neri. E’ domenica 24 maggio:<br />
il Piave forse mormora ancora, ma è troppo lontano<br />
perché si possa sentire; si sentono invece le voci che<br />
si animano nei vari gruppi e gruppetti che dalle otto (o<br />
giù di lì) si vanno formando. Si sfoglia la rivista, si<br />
chiacchiera e ci si dirige alla Cappella per.. una visita al<br />
“Padrone di casa” e il domenicale rito della Santa<br />
Messa; nell’omelia di padre Cantarella, direttore del<br />
Collegio, ritorna il richiamo alle virtù di mons. Giovanni<br />
Battista Arista, che dell’Istituto fu prima convittore e poi<br />
Direttore, e che di recente è stato dichiarato<br />
“Venerabile” per l’eroicità delle cristiane virtù con<br />
decreto firmato dal Santo Padre. Si conclude la Messa<br />
e si sciama nel grande cortile, a suo tempo teatro di<br />
focose partite di calcio e di più calme esercitazioni ginniche;<br />
si commenta la foto di pagina 15, del numero<br />
speciale: “il Battaglione scolastico armato, per gli esercizii<br />
militari, con moschetti forniti dal Ministero della<br />
Guerra, col privilegio del Tiro a segno”; si formano<br />
gruppi e capannelli; ci sono i “vecchissimi” maturi degli<br />
anni Trenta, i “giovanissimi” del duemilaotto e i futuri (si<br />
spera!) del duemilanove. Attimo di pausa: la foto ricordo,<br />
con il “popolo” schierato su quattro-cinque file,<br />
come ai bei tempi, gli ultimi in piedi sulle panche e i<br />
primi seduti (ahimé, il vestito nuovo..; con minor preoccupazione<br />
se si tratta di jeans) sul limitare del marciapiedi,<br />
la pietra nera che segna il bordo del campo di<br />
calcio. Si vede il padre Di Maio, preside dell’istituto, al<br />
centro dei gruppi, conversare con “quelli” che a suo<br />
tempo furono alunni suoi (impegnati o meno.. –ma nel<br />
momento della nostalgia, chi ci sta a pensare?). E poi<br />
si passa nel grande salone-teatro, dove il solito “insieme”<br />
di apparati elettronici viene dominato dal prof.<br />
Nello Pagano (classe 1935..), che è “padre padrone”<br />
dei rapporti fra il mondo dell’istituto e internet.<br />
Momento centrale del convegno è stata l’assemblea,<br />
aperta al suono dell’inno del Collegio, “In aevum”, “Per<br />
sempre”; la voce-guida veniva ripresa dal sito internet,<br />
perché la “home page” è accompagnata proprio dalle<br />
note dell’inno composto dal maestro Chines cento e<br />
più anni fa. Qualcuno, stonatura o no, cerca di “accodarsi”<br />
alla voce perfetta dei cantori. Poi c’è la consegna<br />
di diplomi e medaglie ai “maturi” di cinquanta, venticinque,<br />
quindici anni fa; sono presenti anche tre “maturi<br />
UN INCUBO<br />
Ho sognato di fare il Sindaco. Ho sognato che,<br />
durante un’udienza, un collega mi diceva, con<br />
la massima serietà: “L’altra sera, con Gaetano,<br />
Lucia, Mariella ed altri amici, abbiamo pensato<br />
che tu sei la persona più adatta per candidarsi”.<br />
Ho sorriso. Ma, sempre nel sogno, il collega<br />
insisteva: “Che ne dici? Spero che tu non voglia<br />
tirarti indietro!”. Ho continuato a sorridere ma<br />
ero terrorizzata. A quanti pericoli va incontro un<br />
Sindaco? Quante volte è lieto e quante volte è<br />
avvilito? E poi, chi me lo ha mai insegnato il<br />
mestiere di Sindaco? Quanto tempo sarebbe<br />
necessario per impararlo? Con quali insegnanti?<br />
Con quelli che non sai se ti metteranno nel<br />
sacco? A quanti, anche con idee politiche<br />
apparentemente simili alle mie, porterò ombra?<br />
A chi dovrò obbedire? Per fortuna era un incubo.<br />
Mi sono svegliata appena in tempo per non<br />
cadere dal letto.<br />
Anna Ruggieri<br />
Storie di Maggio...<br />
da oltre sessanta anni”, tra coloro che ricevono il diploma.<br />
E c’è la consegna della prima tessera di ex-allievo<br />
ai giovani che si presenteranno, fra un mese, agli<br />
esami di maturità: fraterno augurio di superare d’un<br />
balzo l’ultima trincea.. E’ vero, qualcuno dei chiamati<br />
manca: ma come si può biasimare chi si è fatto tentare<br />
dalla sabbia della Plaia, dalla marina di San<br />
Giovanni Li Cuti o di Capomulini? A cento anni di<br />
distanza dal terribile terremoto che travolse Messina, il<br />
tradizionale “momento culturale” dell’assemblea è<br />
dato da un documentario intessuto di rari filmati d’epoca<br />
sul dramma: la città dello Stretto quale era, lo sconvolgimento,<br />
le notizie sulla stampa italiana ed estera, i<br />
soccorsi. Un mormorio ha seguito i titoli in cirillico dei<br />
giornali russi: certo, i primi soccorritori furono i marinai<br />
di una nave russa, che raccolse senza esitazione la<br />
richiesta di soccorso.. Il documentario offre l’occasione<br />
per un breve richiamo alla partecipazione del<br />
Collegio, e segnatamente di mons. Giovan Battista<br />
Arista, alle attività di sostegno e soccorso dei profughi.<br />
Il prof. Musmeci, presidente dell’associazione ex-allievi<br />
(che poi è colui che vi scrive queste note) ha esordito<br />
con il mettere in evidenza un convincimento: essere<br />
inseriti consapevolmente nella realtà che ci circonda è<br />
missione e significato dell’uomo; l’esistenza del<br />
Collegio filippino, il “San Michele”, è motivata dall’aiuto<br />
che si dà al fanciullo e al giovane per giungere a questo<br />
personale significato. Ha citato alcuni concetti che<br />
animarono Giovanni Battista Arista nella sua opera di<br />
formazione dei giovani, mirabilmente enunciati in un<br />
discorso del 1989. Alla fine è stato chiaro il motivo del<br />
richiamo a quelle idee pedagogiche. Un primo pensiero:<br />
“..La religione nella sua forma dottrinale e la scienza<br />
non sono che la parte teorica, vorrei così esprimermi,<br />
dell’educazione del fanciullo. Vi si deve necessariamente<br />
aggiungere la parte pratica, che consiste nell’educazione<br />
del cuore”. Un altro passaggio: “Or io non<br />
dubito di farmi eco alle vostre idee, nell’affermarvi che<br />
se grande ed utile compito dell’istitutore si è l’istruzione,<br />
non men grande e forse più vantaggioso alla patria<br />
ed alla verità si è l’educazione del cuore. Imperciocché<br />
è soprattutto necessario aprire all’anima del fanciullo<br />
gli elevati orizzonti del dovere; nutrire il suo intelletto<br />
delle verità religiose e morali che formano come il<br />
perno di tutta la vita umana; iniziare il suo cuore alle<br />
dolci emozioni della virtù; fortificare la sua volontà contro<br />
l’impeto delle passioni; piegare il suo carattere alle<br />
esigenze sociali; bisogna in una parola dare a tutte le<br />
sue facoltà nelle giuste proporzioni quello sviluppo di<br />
che sono capaci, e che richiede il posto a cui viene<br />
destinato dalla Provvidenza”. Principi importanti: “aprire<br />
all’anima del fanciullo gli elevati orizzonti del dovere,<br />
“educazione vantaggiosa alla patria”, “piegare il carattere<br />
alle esigenze sociali”.. Enunciati che non furono<br />
semplici parole. Avviati ad un “certo” schema di vita, i<br />
giovani si trovarono messi alla prova nei giorni bui del<br />
dicembre 1909 e del gennaio 1910. I giorni del terremoto<br />
furono la possibilità di osservare sul campo e in<br />
impegno concreto il concetto di carità. Sul primo numero<br />
di IN AEVUM si legge, alla cronaca del 28 dicembre<br />
1908: “I pochi giovani rimasti in Collegio si portano ogni<br />
giorno alla nostra stazione ferroviaria, a confortare i<br />
superstiti confratelli Messinesi, a consolare i feriti,<br />
distribuendo loro pane, frutta, marsala, e tutti i dolci che<br />
hanno ricevuto da casa in occasione delle feste del S.<br />
Natale”.. In prima fila mons. Arista, come leggiamo<br />
nella cronaca del 30 dicembre: “accompagnato da<br />
parecchi Superiori del Collegio, si porta nella sventurata<br />
Messina.. per soccorrere gli infelici colpiti dal terremoto<br />
e soffrire con essi: lo si vede, eroe della carità, in<br />
mezzo ai feriti, tra le macerie, sprezzante dei pericoli,<br />
tutto anima, tutto cuore, tutto entusiasmo ed operosità<br />
fino all’eroismo”. I giovani andarono a Messina, videro<br />
la tendopoli di Praiola, ebbero compagni i profughi<br />
nelle camerate.. non era un semplice episodio di vita.<br />
Quel che contava era una formula di educazione attenta,<br />
completa, duratura. Non balzi dell’attimo, ma vera e<br />
profonda educazione del cuore. Le parole tante volte<br />
enunciate nei “discorsi” di formazione, i richiami all’amor<br />
fraterno e alla compassione intesa come partecipazione<br />
sofferta alle sofferenze degli altri divenivano,<br />
nel rapporto con le gravi contingenze del momento, il<br />
campo dell’applicazione concreta di “quel che si era”.<br />
Concreta possibilità di rendere realtà la formula da<br />
Arista allora (allora, non si dimentichi, giovane prete)<br />
enunciata quale fine ultimo della formazione del fanciullo,<br />
del giovane: “Onde si armonizza così all’educazione<br />
della mente l’educazione del cuore, facendogli<br />
percorrere non solo la via della scienza ma ancora<br />
quella della virtù, affinché possa divenire un sincero<br />
credente ed un onesto cittadino”. L’assemblea a questo<br />
punto si è sciolta. Sono continuati i “lieti conversari”,<br />
i motti, la ricerca di notizie degli amici che non erano<br />
presenti. Il banchetto tradizionale ha concluso, in “letizia<br />
filippina”, tra le buone vivande e lo splendido vino<br />
offerto dall’ex-allievo dott. Rodolfo Cosentini, la giornata.<br />
A ben rivederci, allora, tra un anno; a mantenerci<br />
legati, nel frattempo, il “fil rouge” del periodico “In<br />
Aevum”.<br />
Rosario Musmeci<br />
Nella foto da sx: padre Cantarella,<br />
dott. R.Cosentini, prof. R. Musmeci, avv.G.Patti