Intervalli - Valle Camonica Distretto Culturale
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RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
sommario N. 2<br />
2008<br />
l’uomo<br />
e il territorio<br />
EDITORIALE<br />
Gianfranco Bondioni 1<br />
LETTERATURA<br />
Poesia<br />
Renzo Baldo<br />
ATTUALITÀ<br />
Posizioni a confronto<br />
I bi/sogni<br />
della <strong>Valle</strong><br />
Claudio Gasparotti<br />
Ugo Calzoni<br />
MONOGRAFIA<br />
Il lago nero e la sua torbiera<br />
Amelia Aceti<br />
Paesaggi camuni nella prosa<br />
di Gadda militare<br />
in alta Val <strong>Camonica</strong><br />
Giancarlo Maculotti<br />
Le calchere di Ono S. Pietro<br />
e la trasformazione del territorio<br />
nel processo di approvvigionamento<br />
Ausilio Priuli<br />
Appunti per una storia della cristianizzazione<br />
di <strong>Valle</strong>camonica attraverso<br />
i riscontri materiali<br />
Virtus Zallot<br />
I segni sul terreno.<br />
Battista Sedani<br />
Il fiume cattivo e pescoso<br />
Fatica e festa della bügada<br />
Roberto Andrea Lorenzi<br />
Sui tracciati rogazionali<br />
A proposito di patrimonio<br />
intangibile storico-culturale<br />
Carlo Cominelli<br />
RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA<br />
SUPPLEMENTO A - NOTIZIARIO MENSILE PER L’EMIGRATO CAMUNO N. 8-9 2008<br />
Direttore NICOLA STIVALA<br />
Direttore Responsabile ENRICO TARSIA<br />
Autorizzazione del Tribunale di Brescia n. 183 R.d.i. del 27.11.1961<br />
Associato USPI - Unione Stampa Periodica Italiana<br />
Grafica: Antonioli grafica - Artogne<br />
Stampa e impaginazione - la Cittadina - Gianico<br />
2<br />
6<br />
14<br />
20<br />
24<br />
30<br />
32<br />
36<br />
42<br />
PERSONAGGIO<br />
Ottone Penzig, naturalista<br />
e botanico, europeo nell’anima,<br />
camuno per elezione<br />
Franca Avancini Pezzotti<br />
RUBRICHE<br />
TESI DI LAUREA<br />
La <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong> nelle parole dei suoi laureati<br />
a cura di Sara Marazzani<br />
Anna Alice Leoni, Cristina Cominini,<br />
Michela Guerini e Luisa Ceni<br />
MUSICA<br />
Musica e canto popolare in <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>.<br />
Un tesoro perduto?<br />
Piercarlo Gatti<br />
TEATRO<br />
Il vaso di Pandora.<br />
Itinerari possibili di teatro nella scuola<br />
Stefania Dall’Aglio<br />
ARCHEOLOGIA<br />
La chiesa della Conversione<br />
di S. Paolo in Esine<br />
Anna Alice Leoni<br />
RECENSIONI<br />
La cucina di padre Gregorio R.A. Lorenzi<br />
Vanna Mello<br />
Lettere dalla scuola tradita G. Maculotti<br />
Franco Comensoli<br />
Redazione<br />
GIANFRANCO BONDIONI Coordinatore<br />
MASSIMO COTRONEO<br />
ANTONIO DE RITA<br />
PIER CARLO GATTI<br />
GIANCARLO MACULOTTI<br />
SARA MARAZZANI<br />
AUSILIO PRIULI<br />
]<br />
46<br />
50<br />
52<br />
56<br />
58<br />
62<br />
63
Editoriale<br />
di Gianfranco Bondioni<br />
Uomo e territorio” è uno di quei titoli-argomenti<br />
che o non significano<br />
nulla per la loro genericità oppure<br />
fanno tremare di timore tanto sono<br />
complessi. Ma all’inizio del percorso<br />
di questa rivista -siamo solo<br />
al numero due del primo anno- ci<br />
è sembrato giusto mettere in<br />
chiaro nella realizzazione pratica e<br />
non solo nelle dichiarazioni o nei<br />
progetti che cosa abbiamo inteso<br />
quando abbiamo affermato che la<br />
rivista deve indagare il locale con<br />
metodologie e percorsi culturali<br />
alti e universali, con occhi interni<br />
ed esterni alla <strong>Valle</strong>, con attenzione<br />
a quanto accade in zona e ai<br />
suoi legami con il grande mondo.<br />
Ci pare che questo numero si avvicini<br />
all’ambizioso obiettivo.<br />
L’impostazione della rivista è ormai<br />
chiara: una iniziale pagina di letteratura<br />
(ma nulla vieta che possa in futuro avere<br />
altra forma artistica); un dibattito di attualità<br />
legato alla corposa monografia<br />
centrale composta di articoli di parole<br />
e di un articolo di immagini; il personaggio,<br />
le rubriche e le recensioni che<br />
ruotano assai prossime al tema monografico.<br />
Ci è sembrato importante centrare il tema<br />
dell’uomo e del suo territorio in un<br />
periodo in cui sono probabilmente all’ordine<br />
del giorno decisioni fondamentali<br />
per lo sviluppo e l’assetto della <strong>Valle</strong>,<br />
una nuova svolta dopo quella che<br />
ha portato dall’agricoltura alla industrializzazione<br />
e a quella che ha messo<br />
capo ad un forte ridimensionamento<br />
dell’industria. Non è un caso che il<br />
tema dello sviluppo del territorio, della<br />
necessità di individuare un settore “forte”<br />
per tale sviluppo e contemporaneamente<br />
i rischi della monocultura economica,<br />
il delicato equilibrio fra intervento<br />
e minacce di distruzione siano i temi<br />
del dibattito della voce “Attualità”.<br />
Nell’ampia sezione monografica si affronta<br />
l’analisi del territorio con strumenti<br />
che vanno dall’esame scientifico<br />
su un ambiente di alta montagna del<br />
passo del Gavia allo studio storico di<br />
quanto una attività economica abbia<br />
modificato l’aspetto di una zona specifica;<br />
la ricostruzione tramite le metodologie<br />
della storia orale (e quindi la versione<br />
soggettiva dei singoli narranti)<br />
dell’importanza nella vita quotidiana<br />
delle persone del fiume Oglio che per<br />
noi oggi è un non-luogo su cui si transita<br />
velocemente in auto su un ponte o<br />
al massimo lungo le cui sponde si fa<br />
footing, si alterna allo studio dei reperti<br />
della sacralizzazione e della definizione<br />
dei luoghi attraverso lo studio dei<br />
segni lasciati lungo le vie, nei documenti<br />
degli archivi, nelle voci dei testimoni.<br />
La prosa di un grande scrittore<br />
come Carlo Emilio Gadda ci restituisce<br />
paesaggi camuni del periodo della<br />
prima guerra mondiale visti con occhi<br />
esterni e di artista, mentre le foto di<br />
Battista Sedani mostrano non solo come<br />
gli insediamenti abitativi e industriali<br />
introducano modificazioni, ma addirittura<br />
come possano diventare significativi<br />
in sé, in bene e in male, quasi segni<br />
astratti nella <strong>Valle</strong>.<br />
Le rubriche si muovono su un terreno<br />
simile: dalla figura di Ottone Penzing,<br />
di un “abitante della <strong>Valle</strong>” che già nel<br />
nome rivela la dimensione cosmopolita,<br />
agli argomenti più specialistici di<br />
musica, di archeologia, di teatro, alle<br />
due recensioni: la prima di una raccolta<br />
di saggi di microstoria i cui orizzonti<br />
metodologici e i cui risultati interpretativi<br />
sono di portata amplissima; la seconda<br />
di una riflessione sulla crisi della<br />
scuola che è di respiro nazionale.<br />
Intanto stiamo lavorando al terzo numero.<br />
Ma vorremmo che le voci che<br />
danno vita alla rivista si facciano sempre<br />
più numerose, che i nomi degli<br />
autori non si ripetano. È un obiettivo<br />
possibile se tanti lettori che hanno certo<br />
argomenti da proporre o addirittura<br />
studi già pronti ce li fanno avere. La<br />
rivista è una tribuna aperta.<br />
1
2<br />
RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
LETTERATURA<br />
Poesie<br />
Nato il 19-1-<br />
1920 a<br />
Brescia. Laurea<br />
in lettere presso<br />
l’Università<br />
Cattolica di<br />
Milano, con<br />
una tesi su l<br />
teorici del melodramma<br />
nell’Italia del<br />
700, relatore<br />
Mario<br />
Apollonio.<br />
Diploma di pianoforte<br />
presso<br />
il Conservatorio<br />
di Parma.<br />
Renzo<br />
Baldo.<br />
Nei primi anni ‘50 collabora al quindicinale La Resistenza. Fra il ‘52 e il ‘59 è critico<br />
musicale sulla pagina bresciana del quotidiano L’Italia. Nel 1956 per l’editrice<br />
La Scuola pubblica una serie di fascicoli (19) a illustrazione di “Filmine d’arte” dedicate<br />
alla pittura italiana tra il XIII e il XVI secolo.<br />
Con lo pseudonimo di Musicus tra il ‘56 e il ‘59 sul settimanale La Voce del Popolo<br />
pubblica recensioni e qualche articolo di carattere musicale. Negli anni ‘60 collabora<br />
a vari giornali o ne è condirettore o direttore (Giornale di Brescia, L’Eco di Brescia,<br />
Cultura democratica, Unità delle sinistre, BresciaOggi di cui dal ‘77 all’84 è<br />
responsabile delle pagine culturali; nel primo semestre del ‘92 vi pubblica editoriali<br />
e la rubrica “Asterischi”. Dall’85 dirige il bimestrale BresciaMusica, edito dall’Associazione<br />
“Isidoro Capitanio” e dal ‘96 al ‘98 è direttore della rivista mensile Amanecer,<br />
promossa dalla Comunità del Piccolo Vangelo di Calvagese. Dal ‘96 recensisce<br />
testi di cultura varia sulla rivista Paideia.<br />
Elabora, nell’ambito dell’iniziativa dei “Sabato teatrali”, i testi, affidati alla lettura di<br />
attori di Compagnie bresciane, su “Rabelais”, “Darwin” e “Le origini del fascismo”.<br />
A cura della Fondazione Calzari Trebeschi nel ‘76 pubblica “Per Io studio della<br />
Resistenza”; nell’’84 (in AA.VV. 8 Settembre ‘43) “Perché l’8 Settembre”; nell’86<br />
“Pasolini poeta civile”; nell’87 “Mario Lussignoli;nel ‘91 “La Rivoluzione francese dal<br />
Termidoro al Brumaio”; nel ‘2000 (in AA.VV. Un posto per l’uomo) “L’umanesimo<br />
della vita quotidiana”.<br />
Pubblica nell’86 (ed. Shakespeare and Company) la raccolta di. poesie<br />
“Disarmonie”; nel ‘90 (ed. La Quadra) la raccolta “Intarsi”; nel 2000 (ed. Grafo)<br />
“Filippo Ottonieri, pensieri, frammenti, racconti”; nel 2002 la raccolta Versificazioni;<br />
nel 2005 Paradossi e bizzarrie (due sezioni: Paradossi metrici e Paradossi narrativi);<br />
nel Dicembre 2006 Rutilii amanuensis metris claudicantibus carmina; nel gennaio<br />
2008 Residuati e minutaglie (con in Appendice la riedizione di Rutillii amanuensis<br />
ampliato di alcuni testi).<br />
Baldo è sicuramente uno degli intellettuali più prestigiosi della Brescia del<br />
Novecento e di questo inizio di secolo: ha segnato la vita culturale e civile della<br />
città con un ruolo di aggregazione di energie e di diffusione di idee confrontandosi<br />
con intellettuali di diverse generazioni e di molteplici scuole e posizioni.
IL BOOM ECONOMICO<br />
La pillola che ci consente di<br />
vivere al lume del neon, la paghiamo<br />
con tutta l’anima nostra,<br />
così venduta, così svuotata<br />
che nemmeno ormai se ne trasente il prezzo.<br />
Sulla nostra ottusa o defunta sensibilità<br />
di ex uomini, più non ha peso<br />
il patteggiare della coscienza<br />
prona alle mille quotidiane<br />
meschinità del vivere.<br />
In questi tempi di libertà<br />
concretamente soppesatile nella festosa<br />
stordita noia delle domeniche<br />
zeppe di ozi motorizzati, nelle accecanti<br />
invitanti insegne<br />
negli ozi televisivi<br />
nei rateati conforts casalinghi<br />
ogni inquieto dissenso<br />
che si alzi, scorato,<br />
su questi scenari di lacca rosata<br />
si raggrinza -voi dite- in improduttiva acrimonia.<br />
Ebbene, chi vivrà vedrà. Ma, credete,<br />
meglio qualche insoddisfatto<br />
e accanito Don Chisciotte<br />
che non s’acquieti<br />
in rassegnata saggezza<br />
che l’indulgente sterilità del silenzio della coscienza<br />
convertita a questa tresca chiassosa<br />
che ci sospinge<br />
a subumane gregalità.<br />
Il rigagnolo che conforta<br />
secolari indigenze<br />
trasformato in palude<br />
corrode l’antica pietra<br />
dei domestici focolari;<br />
nel tepore del nido<br />
germoglia il veleno<br />
di un’inerzia servile;<br />
il flautato invito a questa<br />
danza sfrenata precipita<br />
in deformante sarabanda<br />
il ritmo della vita quotidiana.<br />
Nessuno è profeta. Ma<br />
nell’aria che respiriamo filtra sottilmente il sentore<br />
di una nuova barbarie.<br />
(da Disarmonie, 1961)<br />
Ho conversato con voi, uomini d’altri tempi,<br />
volti senza nome, trafitti<br />
dall’obbligo dell’esistere,<br />
schiere infinite, pulviscolo<br />
di presenze trasognate<br />
del proprio apparire nel mondo.<br />
Sui pendii delle valli, tra le mura<br />
delle città e dei castelli alzati<br />
dalle vostre mani incessantemente operose,<br />
sulle campagne assolate dove la natura<br />
si umanizza nella millenaria battaglia<br />
perchè vi fosse dato di sopravvivere,<br />
il vostro transitare,<br />
tra fragori e silenzi, insidiato<br />
dalla vostra fralezza e percosso<br />
dalla potenza del Caso,<br />
ha lasciato infinite tracce<br />
fiorite di grazia e bellezza,<br />
miracoloso riscatto<br />
ad ecatombi di sangue e violenza.<br />
Sul buio dell’esistenza<br />
incupita dal fremito<br />
delle nostre aspre radici<br />
sprofondate nel magma incomposto<br />
della materia primordiale<br />
si sono accesi purpurei bagliori<br />
trapunti in esili trame<br />
dove l’incondita ferinità<br />
sembra aprirsi ad un diverso<br />
che chiamiamo “umano”. La Gioia<br />
con timida voce affacciata<br />
tra gli angolosi spiragli della storia<br />
ha chiesto diritto d’albergo.<br />
(da Disarmonie, 1968)<br />
L’ASSILLO<br />
Nella città nebbiosa mi aggiro, stupefatto della<br />
inconsistenza<br />
delle cose.<br />
Ma quando diversa stagione<br />
allieta di sole le contrade<br />
non diversamente si contrista<br />
questo paesaggio senza spessore.<br />
Tra queste sterili muraglie<br />
un popolo di alienati si aggira,<br />
stravolti da servili acquiescenze<br />
intessute di gesti ripetuti<br />
3
4<br />
RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
in indifese inerzie, distese<br />
nel quotidiano accumularsi<br />
dell’assenza.<br />
Io lo so che palpiti di gioia<br />
ci affratellano a cementare<br />
il flusso molecolare<br />
di questo transito ininterrotto<br />
che riempie di voci<br />
l’incessante scandirsi delle ore<br />
srotolate verso inesistenti traguardi;<br />
lo so che fiumane di dolore<br />
percorrono l’ombra silenziosa<br />
del nostro apparire sulla scena<br />
dell’esistenza<br />
a segnare di umana grandezza<br />
le gocce iridiformi<br />
della nostra pulviscolare presenza.<br />
Ma come dannati pieghiamo il<br />
capo<br />
alla scure della Necessità;<br />
come bestie inseguite da un cacciatore<br />
feroce<br />
ci rintaniamo nel buco della nostra<br />
solitudine,<br />
sprofondiamo nel dispotico potere<br />
della nebbia. Come diradarla<br />
è l’assillo che ci travaglia.<br />
(da Intarsi, 1990)<br />
HOMO SAPIENS<br />
Giacciono le nostre umane radici<br />
nell’insondabile nebbia<br />
di remoti silenzi<br />
percorsi dal brivido della materia<br />
ansiosa di germogliare<br />
nelle forme dell’esistente. Nel buio<br />
di cosmiche notti<br />
e al freddo brillare di luci astrali<br />
fermenta il palpito della vita: in<br />
vibranti tremori<br />
di sensitive presenze<br />
cresce il fremito dell’universo,<br />
fino al canto doloroso e gioioso<br />
della storia dell’uomo, intrecciata<br />
in inestricabile viluppo di nobile<br />
grandezza<br />
e di abbrutenti violenze.<br />
Trionferà, nel futuro dell’”homo<br />
sapiens”,<br />
la sapienza o l’insipienza?<br />
Noi non sappiamo<br />
a quale porto approderà questo<br />
viaggio epocale.<br />
La fede e la speranza<br />
sognano orizzonti<br />
dove l’umano sia pura luce:<br />
forse, in giorni lontani,<br />
sugli altari della sofferenza<br />
alzati dal religioso silenzio<br />
o dal rabbrividente grido<br />
degli afflitti e degli oppressi,<br />
sulle avvilenti alienazioni<br />
che ci appiattiscono in paludose<br />
bassure<br />
balenerà dirompente un raggio<br />
intrecciato nelle fluorescenti ghirlande<br />
di una umanissima gioia<br />
dove le cupe tempeste che ci travagliano<br />
diverranno lontane memorie<br />
di una superata preistoria.<br />
(da Intarsi, 1990)<br />
Quando il Tutto con<br />
violenza si frantumò<br />
nelle forme reali<br />
(Goethe,<br />
in “Ritrovarsi” 15-16)<br />
Quando dalle tenebre del Caos<br />
si dischiuse la luce<br />
che diede forma agli elementi,<br />
negli spazi immensi<br />
che si aprirono ad accogliere<br />
la frantumata esistenza del<br />
molteplice in fredda violenza<br />
si affermò la vita del cosmo,<br />
impassibili le lucide albe e le rosseggianti<br />
aurore sull’attonito silenzio del<br />
mondo. Nell’ininterrotto fluire del<br />
tempo forse non solo all’orgogliosa<br />
percezione dell’essere,<br />
che travaglia i cuori degli uomini,<br />
ma all’intero magma dell’esistente,<br />
alla roccia e al muschioso lichene,<br />
al pulviscolo interstellare<br />
e all’opaco frangersi delle ombre<br />
proiettate dalla inesausta corsa dei<br />
corpi celesti sui glaciali silenzi<br />
che si alzano<br />
tra i percorsi abissali<br />
de ‘eterno muoversi delle cose.<br />
a tutto e a tutti è toccato<br />
di chiedere un segno che chiarisse<br />
il senso del Tutto<br />
e, con ansia, il rivelarsi,<br />
nel faticoso travaglio di questo mare<br />
sconfinato, di indizi dove agganciare<br />
qualche raggiunta certezza:<br />
gli attimi di brivido luminoso<br />
che accompagna il disvelarsi<br />
dei frammenti sacrali<br />
nei quali la selvaggia violenza dell’inaccettabile<br />
sembra cedere qualche<br />
breve spazio<br />
al librarsi di attese,<br />
allo squillare di riverberi<br />
intessuti di speranza.<br />
Ci nutriamo di questi frantumi.<br />
(da Intarsi, 1990)
✄<br />
Rivista <strong>Intervalli</strong><br />
Scheda di valutazione<br />
Chiediamo a tutti i lettori di farci avere le loro impressioni e i loro suggerimenti perché l’impostazione della<br />
rivista sia sempre migliore e più gradevole.<br />
Fateci avere le risposte alla breve scheda che segue e che pubblicheremo anche nei prossimi numeri.<br />
Vi chiediamo di farci avere per posta o e-mail che cosa pensate della rivista e dei temi che via via saranno<br />
trattati: potremo così aprire la promessa rubrica di “lettere alla redazione” con tutti gli interventi<br />
dei lettori.<br />
Dato che vogliamo che la rivista impari a “camminare con le proprie gambe” abbiamo bisogno di contare<br />
su un nucleo di abbonati. Chiediamo quindi a quanti sono interessati all’abbonamento di comunicarlo<br />
all’indirizzo sottoriportato. Il costo non supererà i 10 euro.<br />
Un grazie a tutti per la collaborazione.<br />
La Redazione<br />
Inviare per fax, per posta o per mail a: Rivista <strong>Intervalli</strong>, c/o Assessorato alla Cultura della Comunità<br />
Montana di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>, Piazza Tassara 3, 25043 Breno BS.<br />
uff.culturaturismo@cmvallecamonica.bs.it<br />
1. E’ necessaria una rivista culturale ❏ no, per niente<br />
della <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>? ❏ non molto<br />
❏ sì<br />
❏ è indispensabile<br />
2. La rivista deve trattare (2 risposte) ❏ le ricerche che si fanno in <strong>Valle</strong><br />
❏ le attività degli enti culturali<br />
❏ il patrimonio artistico e culturale<br />
❏ i grandi temi generali<br />
❏ l’organizzazione culturale<br />
❏ l’attualità<br />
❏ altro (precisare)……………………<br />
3. E’ corretto dedicare ogni numero ad un ❏ sì<br />
argomento da trattare diffusamente? ❏ no<br />
4. Vorrei che si dedicasse più spazio a… ❏ attualità<br />
(fino a tre risposte) ❏ ricerca storica locale<br />
❏ arte e musica<br />
❏ territorio e urbanistica<br />
❏ economia<br />
❏ turismo<br />
❏ problemi dei giovani<br />
❏ altro (precisare)……………………<br />
5. Vorrei che i prossimi numeri trattassero soprattutto di…………………………………………........................<br />
…………………………………………………………………………………………………….....................................................<br />
6. Sull’impostazione grafica e il linguaggio suggerisco di………………………………………......................<br />
.....…………………………………………………………………………………………………....................................................<br />
7. La rivista dovrebbe essere distribuita ❏ gratuitamente<br />
❏ in edicola con prezzo di copertina<br />
❏ in abbonamento<br />
5
6<br />
RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
ATTUALITÀ<br />
Posizioni a confronto<br />
I bi/sogni della <strong>Valle</strong><br />
Alta <strong>Valle</strong>: un sogno realizzato e da replicare?<br />
Claudio<br />
Gasparotti.<br />
Come non pensare che<br />
sia un sogno che si è avverato?<br />
Ponte di Legno era rimasta<br />
al palo ormai da decenni.<br />
Il confronto anche<br />
solo con i cugini trentini, e<br />
non con i siderali altoatesini,<br />
in fatto di attrezzature,<br />
era impietoso. E sull’altro<br />
versante, quello del<br />
cemento per case, case<br />
e case, un dilagare senza<br />
confini, e, beninteso, non<br />
solo a Ponte di Legno.<br />
Comprensibile quindi, di<br />
fronte ad investimenti di<br />
danaro pubblico, senza<br />
paragoni in valle, sia in termini<br />
quantitativi sia per i<br />
tempi in cui sono stati attuati,<br />
l’euforia e la soddisfazione<br />
per gli impianti e i<br />
collegamenti sciistici andati<br />
in funzione all’inizio<br />
degli scorsi due inverni.<br />
Oggi gli impianti di Tonale,<br />
Ponte di Legno, Temù definiscono<br />
un comprensorio<br />
sciistico (solo purtroppo<br />
sci di discesa) di un<br />
certo rispetto sia su scala<br />
regionale sia anche nel<br />
confronto con alcune<br />
aree di altre regioni.<br />
Affermato quanto sopra,<br />
credo che faccia bene al<br />
futuro della <strong>Valle</strong> considerare,<br />
al di la delle recenti<br />
inaugurazioni, alcune cose,<br />
a mio modo di pensare,<br />
importanti.<br />
Oltretutto aprire o riaprire<br />
un dibattito sul tema non<br />
mi sembra tempo ed<br />
energie sprecate.<br />
Alta valle. Non ho mai capito<br />
bene ove inizia e ove<br />
finisce.<br />
A mio modo di vedere,<br />
per ragioni geografiche e<br />
non solo, l’Alta <strong>Valle</strong> comprende<br />
quella “forchetta”
di territorio che includendo<br />
Sonico-Edolo,<br />
da una parte va verso<br />
l’Aprica e dall’altra<br />
verso il Tonale.<br />
Otto comuni che determinano<br />
un comprensorio<br />
di confine<br />
provinciale e regionale<br />
e che da tempo<br />
scambiano sui due<br />
passi, economie, risorse,<br />
culture, ambizioni<br />
e programmi<br />
con l’”altra” regione e<br />
l’”altra” provincia.<br />
Questo territorio se<br />
fosse in Trentino o in<br />
Alto Adige avrebbe<br />
da tempo eletto e fatto<br />
funzionare Edolo<br />
(circa 700 mt. slm)<br />
quale “capitale” di<br />
un’area, un tempo si<br />
sarebbe detto un<br />
comprensorio, complessivamente<br />
volta<br />
ad un turismo ad ampio<br />
spettro e sull’intero<br />
arco dell’anno.<br />
Siccome questo non è dato, si continua<br />
a pensare, organizzare e gestire<br />
le cose pubbliche e private di Corteo-Aprica<br />
da una parte e quelle di<br />
Temu-Ponte-Tonale (fino ad ieri solo<br />
Ponte di Legno) dall’altra.<br />
Edolo è di fatto il centro di un sistema,<br />
una cerniera anche geografica, di un<br />
territorio montano, l’Alta <strong>Valle</strong>, con<br />
obbiettivi e programmi e ambizioni<br />
che possono e devono essere visti<br />
programmati e sviluppati insieme.<br />
Basterebbe pensare alla sua funzione<br />
nei servizi, nella formazione, nel<br />
commerciale e non certo ultimo nell’importante<br />
incubatoio di idee e di<br />
uomini che è la sezione staccata dell’università<br />
di Agraria di Milano.<br />
Credo che da queste osservazioni<br />
derivi quindi una serie di prime considerazioni.<br />
Perché anche le recenti definizioni e<br />
formazioni societarie e le politiche di<br />
sviluppo della nostra montagna includono<br />
solo comuni interessati dalle<br />
piste, quasi che montagna, turismo<br />
tempo libero coincidano solo con lo<br />
sci, e solo quel tipo di sci?<br />
E perché il loro ruolo sul territorio si limita<br />
ad essere, quasi esclusivamente,<br />
quello di offrire le risalite dal mese di<br />
dicembre a ad aprile?<br />
Le aree più avanzate nel settore del<br />
tempo libero e del Turismo hanno capito<br />
da tempo che al mercato si deve<br />
offrire una pluralità di occasioni, che i<br />
territori vincenti sono quelli con uno<br />
spettro annuale di pratiche e di fruizione<br />
dell’ambiente.<br />
Basterebbe scorrere i giornali di questo<br />
inizio d’estate per leggere:<br />
“su con la seggiovia, giù con la bici, i<br />
pendii alpini diventano un’arena verde<br />
per ciclisti” “di malga in malga per degustare<br />
latte e formaggi” “le dighe e le<br />
centrali meta del trekking dell’energia”<br />
“sul ghiacciaio che si ritira lezioni di<br />
ambientalismo” “litter-Altura festival che<br />
celebra il viaggio e la montagna” o infine<br />
il già da tempo famoso “suoni delle<br />
Dolomiti”.<br />
Un crescendo di idee ed iniziative che<br />
da un lato rilanciano la montagna delle<br />
mezze stagioni e dell’estate a tutto<br />
campo, ma dall’altro fanno capire che<br />
gli enti e le politiche limitate territorialmente<br />
alle aree con “vocazione sciistica”<br />
o operanti solo stagionalmente (in<br />
inverno) hanno il fiato corto e il tempo<br />
limitato e, da ultimo, purtroppo la neve<br />
scarsa.<br />
Non nascondo che in questa direzione<br />
e logica si cela l’insidia di una concezione<br />
della montagna come “luna<br />
park della città”, ma credo che se questo<br />
rimane un pericolo presente, lo si<br />
possa controllare con la seconda considerazione<br />
che sviluppo con alcune<br />
sintetiche osservazioni.<br />
Credo che qualsiasi sviluppo turistico<br />
non possa basarsi esclusivamente su<br />
una residenzialità di seconde case.<br />
Quel tipo di sviluppo fa molto bene ai<br />
promotori immobiliari e male a quasi<br />
tutti gli altri, soprattutto se visto per le<br />
prossime generazioni e nei tempi medi<br />
lunghi.<br />
Il patrimonio di posti letto in alberghi,<br />
7
8<br />
RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
pensioni, agriturismo, bed and breakfast<br />
eccetera in alta valle (quella che<br />
territorialmente ho definito precedentemente),<br />
ovvero i “letti caldi”, è povero,<br />
in quantità e qualità e negli ultimi decenni<br />
probabilmente in diminuzione.<br />
La presenza di seconde case, i “letti<br />
freddi”, è straripante, ha occupato, oltre<br />
che spazi importanti intorno ai paesi<br />
storici, anche le posizioni centrali di antichi<br />
alberghi o pensioni (credo che se<br />
si potessero leggere delle statistiche sarebbe<br />
impressionante).<br />
Manca una politica urbanistica di<br />
vincoli ed incentivi., ormai demandata<br />
solo a comuni sempre più avidi e<br />
bisognosi di oneri di urbanizzazione<br />
e quindi solo interessati alla quantità.<br />
Mancano linee di credito delle banche<br />
che operano localmente, finalizzate<br />
ad agevolare investimenti per<br />
strutture ricettive. Mancano azioni e<br />
organizzazioni di promozione di flussi<br />
che intendano vivere ed abitare in<br />
proposito, e se c’è, viene solo fatto<br />
molto sottovoce.<br />
Credo che qualsiasi sviluppo di un territorio<br />
debba avere un suo equilibrio<br />
tra diversi settori.<br />
Vedo con grande interesse la rinascita<br />
di una certa agricoltura montana. (chi<br />
pensa che sia una economia residuale<br />
e senza valore, sbaglia) Dalle viti del<br />
centro valle, ad alcuni prodotti caseari<br />
anche di nicchia, dalla segale alle patate,<br />
il settore del biologico in forte crescita<br />
ecc. Nel settore vedo un rinato interesse<br />
e fervore, vedo giovani che ri-<br />
tornano all’agricoltura. Spero che si<br />
promuovano prodotti con marchi tipici<br />
e protetti. Un poco di ritorno indietro<br />
ad alcune tradizioni fa solo molto bene.<br />
Ancora troppo poco? Certamente.<br />
Vedere in proposito i titoli e i contenuti<br />
delle tesi di laurea che si svolgono ad<br />
Edolo porta sicuramente conforto circa<br />
la prospettiva di alcuni prodotti<br />
agricoli della <strong>Valle</strong>. Ma lo stesso conforto<br />
lo si ha se si seguono le tracce<br />
di vita di alcuni laureati, che nella professione,<br />
e quindi vivendo, coniugano<br />
le parole sviluppo e turismo in modo<br />
originale ed interessante. Molti territori<br />
al nord delle Alpi, e in parte il Trentino<br />
Alto Adige hanno tracciato una<br />
strada da seguire perché definisce un<br />
modello serio di integrazione tra economie<br />
e settori diversi , di ricerca di<br />
equilibrio. Di solito si dice che “loro”, i<br />
Trentini, gli Alto Atesini, hanno i soldi<br />
della autonomia. Credo che ciò sia<br />
vero anche se solo parzialmente, se<br />
le scelte politiche hanno ancora un<br />
valore. Ora comunque, rispetto ai<br />
Trentini dovremmo essere vicini ad<br />
una quasi parificazione di mezzi.<br />
Mi auguro quindi che il federalismo<br />
porti più danaro per questa ricerca di<br />
equilibrio e non per altre operazioni simili<br />
a quella in atto di distruzione del<br />
penultimo fondovalle integro (anche<br />
quello non è forse danaro che si poteva<br />
spendere diversamente?).<br />
Credo che l’artigianato sia completamente<br />
assente, mentre al contrario potrebbe<br />
avere un suo ruolo, anche qui ci<br />
vorrebbe un poco meno folclore (quello<br />
delle varie fiere e rassegne) e un poco<br />
più di sostanza.<br />
Credo, infine, che una grande risorsa<br />
presente, il Parco dell’Adamello sia ancora<br />
e con troppa diffidenza vista come<br />
“altro” rispetto allo sviluppo della<br />
<strong>Valle</strong>.Una cosa tollerata e non integrata<br />
accolta. Una specie di “dentro” in<br />
cui si declinano alcuni criteri di rispetto,<br />
tutela, sostenibilità; mentre “fuori” è un<br />
poco consentito tutto.<br />
Se questo è vero,<br />
come mi sembra,<br />
credo che non abbiamo<br />
ancora capito come<br />
il dentro può<br />
essere un potente<br />
strumento per<br />
promuovere il fuori, un<br />
fuori che, anche alla<br />
luce di quello che sta<br />
succedendo in tutti i<br />
settori e nel mondo<br />
intero, deve imparare<br />
alcune parole importanti:<br />
sostenibilità, sviluppo<br />
equilibrato, tutela<br />
delle risorse ed in primis<br />
del territorio.<br />
Ovvero un fuori che<br />
deve stare ad ascoltare<br />
i suoni di quello che<br />
avviene dentro.
ATTUALITÀ<br />
Posizioni a confronto<br />
I bi/sogni della <strong>Valle</strong><br />
Il bisogno della Media <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong><br />
Ugo<br />
Calzoni.<br />
Relazione tenuta al Forum<br />
“INCROYABLE RICHESSE”<br />
Proposte per il futuro della Media<br />
<strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong><br />
Venerdì 16 maggio 2008<br />
Palazzo della Cultura<br />
Breno (Bs)<br />
Durante i vostri precedenti interventi,<br />
ho segnato alcuni appunti.<br />
Ho ascoltato con grande attenzione<br />
l’ambizione della sfida<br />
del <strong>Distretto</strong> <strong>Culturale</strong>, evidenziata<br />
soprattutto nell’ultimo intervento.<br />
Ho trovato quest’ultimo<br />
doveroso e professionale, ma<br />
mi pare riproponga passaggi e<br />
procedure che forse non rispondono<br />
più a quella mutazione<br />
che è avvenuta, e che sta<br />
avvenendo nel comportamento<br />
delle persone e che, come rappresentanti<br />
della <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>,<br />
dobbiamo saper individuare.<br />
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10<br />
RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
Ciò per poter<br />
trasformare il<br />
patrimonio culturale,<br />
la cultura<br />
effettiva che<br />
si crea su questo<br />
territorio,<br />
non in una<br />
consolazione<br />
per qualche<br />
programmatore<br />
o per qualche<br />
amante di<br />
un’enclave di<br />
natura culturale,<br />
ma come<br />
un elemento<br />
su cui giocare<br />
la crescita culturale,<br />
umana,<br />
civile, ma soprattuttoeconomica<br />
di questo<br />
territorio.<br />
La riflessione verte su due questioni:<br />
la prima è che la <strong>Valle</strong><br />
ha avuto nel secolo scorso due<br />
grandi scosse che hanno rovesciato<br />
completamente alcuni<br />
comportamenti secolari: sono lo sfruttamento<br />
dell’energia elettrica -<br />
l’apparizione di una grande borghesia<br />
imprenditoriale - e la ferrovia, e quindi il<br />
buco dei Trentapassi, che ha permesso<br />
di chiudere definitivamente la storia dell’emigrazione<br />
e dello spopolamento.<br />
Questo secolo si sta aprendo con due<br />
grandi sfide, ma ancora non riusciamo<br />
a vedere quali siano le due mosse che<br />
serviranno per oltrepassare quel vecchio<br />
modello di sviluppo ormai superato;<br />
che non risponde - ad esempio nel<br />
manifatturiero - a quella cosiddetta<br />
energia umana che questa <strong>Valle</strong> presenta:<br />
c’è un’alta preparazione culturale,<br />
ci sono attese di lavoro diverse da<br />
quelle strettamente legate al manifatturiero<br />
e c’è un’attesa da parte delle<br />
nuove generazioni di trovare risposte<br />
adeguate al fattore economico e alla<br />
qualità della vita, così come in tutti gli<br />
altri territori del Paese.<br />
Abbiamo iniziato il secolo con la sfida<br />
del “grande sogno del nord”, il grande<br />
investimento della funivia Ponte di Legno-Tonale,<br />
un’opera che per ampiezza<br />
di capitali e di mobilitazione di attese<br />
può essere paragonata alla ferrovia<br />
o allo sfruttamento elettrico del secolo<br />
scorso. Quindi abbiamo l’assoluta necessità<br />
di ripetere il grande sogno nel<br />
resto della <strong>Valle</strong>.<br />
I numeri del grande sogno del nord,<br />
che abbiamo conosciuto in questi giorni,<br />
ci dicono che c’è un trend positivo,<br />
c’è stata un’annualità in cui<br />
l’innevamento ha interessato altri territori,<br />
ma con una crescita mordi e fuggi,<br />
così come è denunciata, del 23%. Il<br />
grande sogno rimane legato a pochi<br />
numeri, a poca parte del territorio, con<br />
un riverbero di ricchezza sul territorio insufficiente<br />
affinché si ottenga quello<br />
che tutti attendiamo e che possiamo attendere.<br />
Sarebbe interessante, e sarebbe soprattutto<br />
compito dell’Assessore alla<br />
Cultura presso la Comunità Montana<br />
di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong> dott. Maculotti, agire<br />
in modo tale da dimostrare agli scettici<br />
che l’investimento in cultura non è<br />
troppo, ma troppo poco (a tal proposito,<br />
ho visto le osservazioni sull’ultimo bilancio<br />
della Comunità ed è confermato<br />
che la cultura non può che essere un<br />
elemento trainante del cambiamento e<br />
delle attese economiche di questo territorio).
La considerazione da tenere sempre<br />
presente è che stiamo parlando di un<br />
territorio di 90.000 abitanti, corrispondente<br />
alla metà di un quartiere di una<br />
città metropolitana del nostro paese<br />
(Quartoggiaro ha 135.000/136.000<br />
residenti). Si tratta di un territorio vasto,<br />
circa 100 Km , con una popolazione<br />
che se togliamo i giovani, i bambini e<br />
gli anziani pensionati si assesta su un<br />
numero di attese di qualità della vita, di<br />
ritorno economico, di voglia di restare<br />
sul proprio territorio facilmente governabile.<br />
La domanda che ci si pone è quindi<br />
per quale motivo oggi, nella riflessione<br />
delle famiglie, nella riflessione dei gruppi<br />
associati, nella riflessione dei ceti dirigenti<br />
di questa <strong>Valle</strong>, c’è questa apprensione<br />
sul nostro futuro economico,<br />
soprattutto delle nuove generazioni.<br />
È evidente che la pianificazione (comunale,<br />
regionale, provinciale, interprovinciale,<br />
della Comunità Montana del<br />
BIM ecc.), non solo di questi anni, ma<br />
di sempre, non è riuscita, a mio avviso,<br />
a leggere compiutamente quello che è<br />
l’evoluzione ed il cambiamento dell’atteggiamento<br />
delle persone nei confronti<br />
del proprio territorio, del proprio futuro<br />
e delle proprie attese.<br />
Ho sentito parlare di valorizzazione<br />
del piccolo commercio locale, ma mi<br />
domando: il burocrate milanese che<br />
sta stendendo quelle regole, ad esempio,<br />
sull’utilizzazione intelligente del territorio<br />
rurale, quelle regole che sta imponendo<br />
ai comuni, pensa sul serio ad<br />
una valorizzazione dei piccoli comuni<br />
di gronda.<br />
Ebbene, non c’è nulla di nuovo. È sufficiente<br />
considerare gli altri territori montani<br />
al di là delle Alpi, nei Grigioni, nella<br />
zona del Löchberg, nelle vallate dell’Emmenthal<br />
o francesi, dove si sa benissimo<br />
già da tempo che, quando si<br />
affaccia una grande distribuzione nel<br />
fondo valle o nel centro della vallata,<br />
scattano degli obblighi di sostegno nelle<br />
piccole comunità, attraverso aperture<br />
di negozi di prossimità, o in forme<br />
associative o di franchising con le botteghe<br />
esistenti. Aspettiamo il settimo supermercato<br />
nel raggio di 80 Km per<br />
portare avanti una politica del genere?<br />
Vediamo che c’è una soluzione per un<br />
problema di un territorio così ricco di<br />
potenzialità, “incredibile” come direbbero<br />
i viaggiatori che passano attraverso<br />
questa vallata. Eppure le attese non<br />
hanno risposte adeguate.<br />
È chiaro che la media <strong>Valle</strong>, che necessita<br />
di un grande investimento - da scossa<br />
come dico io, cioè per parità di<br />
grande cambiamento come fu la ferrovia<br />
o come è stato il grande impianto<br />
dell’alta <strong>Valle</strong> - deve e può puntare su<br />
ciò che noi chiamiamo settore terziario.<br />
In <strong>Valle</strong> il secondario progredisce bene.<br />
Nonostante la nostra natura contadina<br />
(continuiamo a piangerci addosso)<br />
abbiamo ormai nel manifatturiero<br />
alcuni punti di forza europei: il polo<br />
della forgia, da coccolare a tutti i costi,<br />
sta rappresentando nella continuità dell’industria<br />
metallurgica di questa <strong>Valle</strong><br />
l’elemento a maggior valore aggiunto;<br />
abbiamo un’occupazione nel manifatturiero<br />
più che sufficiente rispetto alle attese<br />
risultanti dalle nuove generazioni<br />
scolastiche.<br />
Al contrario, si rimane molto indietro<br />
nell’organizzazione del terziario come<br />
fonte di ricchezza. Si può affermare<br />
che il patrimonio culturale, grazie a Soprintendenti<br />
che hanno amato questa<br />
<strong>Valle</strong> e alla sensibilità di molti sindaci, è<br />
sufficientemente recuperato, difeso e<br />
quindi funzionale; quello che manca,<br />
ed è qui la risposta vera del <strong>Distretto</strong><br />
<strong>Culturale</strong>, è riuscire a conciliare la poca<br />
popolazione e le risorse sempre al<br />
limite (credo poco ai cosiddetti “grandi<br />
progetti”, ad esempio ho sentito che<br />
per il nostro territorio sono stanziati per<br />
i prossimi anni circa 32/33 milioni di<br />
euro…). Su questo terreno si deve fare<br />
una riflessione che può nascere solo<br />
dalla <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>, non certamente<br />
da chi guarda con attenzione fuori dal<br />
territorio.<br />
La prima questione è che recuperare il<br />
discorso culturale significa dare una risposta<br />
alla domanda del moderno visitatore.<br />
L’Europa si sta caratterizzando<br />
per la richiesta di periodi brevi (molti fine<br />
settimana e poche vacanze lunghe),<br />
segnati da tre elementi: la grande qualità<br />
dei servizi richiesti, non necessariamente<br />
5 stelle ma un’alta qualità del<br />
bed & breakfast così come del piccolo<br />
albergo; la ricerca di una nicchia di natura<br />
culturale, di difesa della persona e<br />
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RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
della vita dell’ambiente tutta particolare;<br />
e la riscoperta di un territorio.<br />
Si pensi all’odierna situazione di una<br />
parte d’Italia poco conosciuta, ma tra<br />
le più belle: le Marche. Analizzando i<br />
dati dei movimenti dell’aeroporto di Ancona,<br />
del quale sono amministratore, mi<br />
sono reso conto che nell’ultimo anno e<br />
mezzo c’è stata una crescita continua<br />
di operatori inglesi e svizzeri nel campo<br />
immobiliare, che in quei luoghi stanno<br />
facendo ciò che fecero 30/40 anni fa<br />
in Toscana, soprattutto nella zona che<br />
va da Pisa fino a Piombino: hanno acquistato<br />
e risistemato casali, alla ricerca<br />
di un turismo diverso rispetto al tradizionale.<br />
Questa è la domanda che il mercato<br />
chiede oggi. La <strong>Valle</strong> che risposta<br />
dà a questo mercato?<br />
A mio avviso potrebbe trovare delle risposte<br />
solo mantenendo la scommessa<br />
fuori da ogni logica programmata<br />
di garantire il pluralismo delle sue istituzioni<br />
culturali attraverso una formula sinergica<br />
di indirizzo generale. Altrimenti<br />
si corre il rischio della cosiddetta “cultura<br />
orale della città di Brescia”, dove il<br />
lunedì si va in San Barnaba, la voce<br />
del Comune, ed il martedì si va in San<br />
Carlino, la voce della Provincia. Non si<br />
deve commette questo errore!<br />
Si deve cercare di essere, come forza<br />
amministrativa e dirigente della <strong>Valle</strong>,<br />
l’elemento di confronto con gli enti superiori<br />
(come le fondazioni, la provincia,<br />
la regione l’Europa), ma mantenendo<br />
gelosamente l’autonomia e la garanzia<br />
minima vitale nei servizi per il<br />
pluralismo associativo presente, che ha<br />
espresso punti di eccellenza che altri<br />
territori lombardi non hanno e che neppure<br />
i bresciani hanno.<br />
A tal proposito basti citare la cultura da<br />
“enclave” presente nel mondo delle incisioni<br />
preistoriche e al suo pluralismo.<br />
Non si può pensare ad un turismo culturale<br />
ben servito se la parte pubblica<br />
del parco non possiede uno strumento<br />
di comunicazione, come, ad esempio,<br />
i depliant che mancano da circa sei<br />
mesi.<br />
Abbiamo “l’enclave” benemerita delle<br />
Suore da Cemmo, che sono riuscite a<br />
dare visibilità all’interno della loro attività<br />
un giacimento culturale, costituito da<br />
quanti si laureano sui temi interessanti la<br />
nostra <strong>Valle</strong>.<br />
Abbiamo una cultura di base musicale<br />
di eccellenza che non possiamo disperdere,<br />
sia nella forma migliore e più<br />
alta dell’orchestra sinfonica, sia in quella<br />
più tradizionale e popolare delle<br />
bande comunali.<br />
Abbiamo altri e tanti punti di grande interesse:<br />
forse in tutta Europa non esiste<br />
territorio che nel raggio di 80 Km raggruppi<br />
i luoghi di nascita di otto santi,<br />
quindi 15/20 luoghi da valorizzare, a<br />
fronte di una domanda di turismo religioso<br />
che è una delle componenti fondamentali<br />
del moderno turismo. Infatti<br />
non bisogna dimenticare che in molte<br />
regioni italiane la prima voce attiva è il<br />
turismo religioso, con tutto ciò che ne<br />
consegue, e di questo tesoro, qui in<br />
<strong>Valle</strong>, non ci si accorge.<br />
Non ci si accorge che 50.000 persone<br />
all’anno vanno al Santuario dell’Annunciata,<br />
senza organizzazione, e non<br />
si comprende, a fronte di un così consistente<br />
flusso di persone, perché non ne<br />
possano andare 5.000 (quindi il 10%)<br />
a Niardo, dove è nato il Beato Innocenzo.<br />
Questi punti di eccellenza vanno sfruttati,<br />
se parte la scintilla. E questa scintilla<br />
è individuabile anche nel termalismo,<br />
perchè è proprio lì che la battaglia<br />
delle classi dirigenti della <strong>Valle</strong> diventa<br />
difficile, lavorando su un corpo<br />
economico che ha scontato la politica<br />
assistenziale di 50 anni, quando un’imprenditoria<br />
locale faceva i calcoli dal<br />
1 al 2 gennaio a fronte di una circolare<br />
dell’INPS che gli garantiva il bilancio<br />
di tutto l’anno.<br />
Non è stato così solo per Boario, ma<br />
ad esempio anche per Abano Terme,<br />
per Salsomaggiore e in generale per<br />
tutte le città termali. Così oggi si è visto<br />
morire, o sopravvivere, Boario; si è visto<br />
una Salsomaggiore quasi morta; ma si<br />
è visto il miracolo di Abano Terme, che<br />
ha compreso la fine dell’assistenzialismo<br />
e la nascita di una imprenditoria<br />
basata su strutture moderne legate a<br />
nuovi consumi e al concetto di benessere<br />
e bellezza, ma al tempo stesso<br />
fortemente legate al territorio. Non esiste<br />
un’attività terziaria che non possa<br />
offrire al suo cliente - non “utente” - un<br />
quadro per garantirsi un soggiorno,<br />
che è sempre più breve, in grado di ri-
spondere a tutte le sue domande, di<br />
qualità della vita, di buon prezzo, di<br />
novità e di emozione.<br />
Le cose che stiamo facendo, intuitivamente,<br />
vanno verso questa direzione;<br />
l’intervento dell’imprenditore Trombini,<br />
che ha deciso di valorizzare il termalismo,<br />
fallirà se non si saprà muovere in<br />
un contesto generale.<br />
Sotto questo aspetto, abbiamo la necessità<br />
di formare professionalità adatte<br />
a questa domanda, che un domani<br />
potrà nascere sul concetto di termalismo,<br />
benessere e bellezza.<br />
Da questo punto di vista abbiamo anche<br />
una grande fortuna: le ragazze<br />
della <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong> considerano il<br />
lavoro infermieristico e quello legato al<br />
benessere e alla cura del corpo, come<br />
un lavoro socialmente dignitoso, a differenza<br />
di altre culture.<br />
Un’altra idea si fonda sul positivo fattore<br />
che si possa offrire un recupero abitativo<br />
nei paesi di media e bassa valle<br />
ad un basso costo; offrire così a generazioni<br />
anziane, costrette a vivere male<br />
nelle periferie delle grandi metropoli o<br />
in città disumane, un territorio che offra<br />
servizi di assistenza, servizi ospedalieri<br />
culturali scolastici di buon livello e di<br />
buona qualità.<br />
Questa è, a mio parere, la grande forza<br />
del <strong>Distretto</strong> <strong>Culturale</strong>: la capacità<br />
di richiedere ed affrontare con la crescita<br />
economica quella che ho definito<br />
“la futura scossa necessaria”.<br />
Il termalismo rappresenta per la <strong>Valle</strong><br />
<strong>Camonica</strong> ciò che ha rappresentato<br />
per l’alta <strong>Valle</strong> il grande impianto sciistico,<br />
e credo che su queste basi il <strong>Distretto</strong><br />
<strong>Culturale</strong> possa nascere.<br />
La reintroduzione della vite in <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong><br />
dopo 50 anni di estirpazione<br />
è una cosa buona, perché modifica<br />
positivamente il paesaggio. Gli ambientalisti<br />
sappiano che solo la mano<br />
dell’uomo dà al paesaggio la continuità,<br />
la difesa e la protezione, perché ha<br />
restituito la cultura del territorio ed ha<br />
salvaguardato l’ambiente. Quindi si<br />
deve sopportare un grande sacrificio:<br />
quello di entrare con un prodotto di ottima<br />
potenzialità, ma con differenze sostanziali<br />
rispetto ad altre cose. La classe<br />
politica deve assecondare questa<br />
tradizione e questi cambiamenti indirizzandoli<br />
alla qualità dell’agricoltura e<br />
dell’economia rurale.<br />
La mia speranza è<br />
che rinasca, soprattutto<br />
nelle persone<br />
l’esigenza, essendo<br />
in una fase delle così<br />
dette obbligatorietà<br />
cooperativistiche, affinché<br />
i contadini che restano<br />
sul territorio diventino<br />
strumento di<br />
governo del territorio<br />
pubblico che ogni comune<br />
possiede, in<br />
boschi, prati o pascoli.<br />
Si deve tornare a “coccolare” questi<br />
produttori che risiedono sul territorio e<br />
che garantiscono quel prodotto genuino,<br />
autentico, locale ma di alta qualità<br />
che la nuova domanda richiede. Abbiamo<br />
la forza della “bionda dell’Adamello”<br />
e abbiamo la capacità di produzione<br />
di una mucca, la “bruna alpina”,<br />
che purtroppo produce meno delle<br />
mucche di pianura - solo secondo i<br />
burocrati romani e milanesi, per quanto<br />
riguarda il prezzo del latte, non c’è differenziazione<br />
tra le varie specie e quindi<br />
per le attività agricole alpine anche<br />
qui c’è una penalizzazione.<br />
Credo che l’ente pubblico non possa<br />
pensare ad un’enclave culturale, al turismo,<br />
se non protegge questi sostegni<br />
all’integrazione dei redditi, queste cose<br />
che stanno avendo un ritorno, soprattutto<br />
in tanti giovani che stanno dirigendosi<br />
nuovamente alla viticoltura, all’allevamento<br />
e alle attività casearie.<br />
C’è bisogno di questa capacità di governare<br />
il territorio, di garantire a<br />
90.000 persone una qualità della vita<br />
come tutte le altre popolazioni alpine<br />
d’Europa. Bisogna assecondare i cambiamenti<br />
e gli investimenti secondo gli<br />
orientamenti del mercato. Se non si riesce<br />
a portare in <strong>Valle</strong> un discorso nei<br />
consumatori attenti, esigenti e a servirli<br />
correttamente e adeguatamente, con<br />
un’accoglienza a 360 gradi, credo<br />
che si continuerà ad avere una <strong>Valle</strong><br />
che spera nella bontà di un assessore,<br />
nel buon servizio di un deputato o nella<br />
generosità temporale delle fondazioni<br />
pubbliche o private.<br />
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14<br />
14<br />
RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
MONOGRAFIA<br />
Uomo e territorio.<br />
Il Lago Nero e la sua torbiera.<br />
Studi di carattere paleoambientale<br />
al Passo del Gavia<br />
Amelia<br />
Aceti.<br />
Dipartimento di Scienze Geologiche<br />
e Geotecnologie dell’Università di<br />
Milano Bicocca<br />
1. Introduzione<br />
Questo articolo si propone di far conoscere le metodologie d’indagine paleobotaniche<br />
mediante l’illustrazione di uno studio condotto su una torbiera ad alta<br />
quota nelle Alpi italiane.<br />
Di seguito si parlerà della palinologia e della sua applicazione in un settore<br />
alpino, in una valle forse non molto nota, ma senza dubbio ricca di informazioni<br />
che potrebbero portare a molte risposte sui cambiamenti climatici e ambientali<br />
che hanno interessato tutte le nostre valli alpine negli ultimi 10.000 anni.<br />
Questo arco di tempo è detto Olocene, ultimo gradino della scala temporale<br />
geologica che rappresenta l’interglaciale attuale, in attesa di un raffreddamento<br />
climatico che porterà ad un nuovo ciclo glaciale-interglaciale. L’Olocene è<br />
stato caratterizzato sostanzialmente da un periodo più caldo dell’attuale, detto<br />
Optimum climatico olocenico, verificatosi nel corso della sua prima metà, e dal<br />
giungere di un periodo più freddo nella seconda metà, la Neoglaciazione (Porter<br />
& Orombelli, 1985). Queste precisazioni ci consentono di collocare temporalmente<br />
gli eventi di carattere ambientale scaturiti dalle analisi condotte in questo<br />
studio.<br />
Nel seguente lavoro si parla di un sito di alta quota, o di alta montagna che<br />
dir si voglia, comunque di un’area estremamente sensibile anche a cambiamenti<br />
climatici di breve durata, come dimostra l’oscillazione della linea degli<br />
alberi connessa ai diversi periodi di variabilità climatica che si sono susseguiti
durante l’Olocene e allo sfruttamento delle “alte terre” da parte dell’uomo<br />
a partire dal Neolitico.<br />
L’importanza di conoscere l’evoluzione e le passate vicissitudini climatiche<br />
del territorio in cui viviamo ci consente di scoprire le potenzialità<br />
future che esso presenta ed attuare strategie d’intervento atte alla<br />
valorizzazione e alla salvaguardia di un ambiente sempre più sfruttato<br />
e dimenticato.<br />
2. La ricerca paleopalinologica: metodologie<br />
e applicazioni<br />
La Palinologia si occupa dello studio dei granuli pollinici e delle<br />
spore, oltre che della loro dispersione e preservazione in determinate<br />
condizioni ambientali. Un aspetto della Palinologia riguarda lo<br />
studio di pollini fossili (Paleopalinologia) grazie ai quali è possibile<br />
arrivare a ricostruzioni vegetazionali e climatiche di ambienti del<br />
passato. Un’applicazione dell’analisi pollinica riguarda lo studio<br />
paleoclimatico e vegetazionale attraverso l’indagine di sedimenti e<br />
depositi che contengono polline fossile e attraverso l’utilizzo di<br />
un’adeguata cronologia.<br />
Il fatto che i granuli pollinici si trovino comunemente in alcuni sedimenti<br />
e suoli è conseguenza della enorme produzione pollinica da<br />
parte delle piante anemofile, che affidano la propria impollinazione<br />
al vento. Le possibilità di conservazione sono scarse se il polline cade<br />
sul suolo, dove entra a far parte della sostanza organica morta e<br />
viene demolito più o meno rapidamente dalla fauna del suolo, mentre<br />
sono migliori se cade in bacini d’acqua, specie quelli poveri di<br />
ossigeno, come torbiere, paludi, laghi.<br />
1.1 Analisi pollinica e attività di laboratorio<br />
Le dimensioni dei granuli pollinici variano tra 10 e 250 μm (millesimi<br />
di mm) e il loro rivestimento è costituito da una parete resistente, che<br />
presenta diversi tipi di sculture. La parete di un granulo pollinico consiste<br />
in due strati: l’esina e l’intina. La prima costituisce lo strato più<br />
esterno ed è formata da una sostanza estremamente resistente e costituita<br />
in parte da polimeri di carotenoidi. Si tratta della sporopollenina,<br />
una sostanza relativamente inerte a buona parte delle reazioni<br />
chimiche, compreso l’attacco con acidi forti. Ciò rende ragione della<br />
conservazione del polline fossile nei sedimenti e nella possibilità<br />
di estrarlo in laboratorio per mezzo di un trattamento chimico drastico<br />
che distrugge il sedimento. I pollini, oltre ad avere varie sculture<br />
sulla parete come verruche o spine, presentano anche due tipologie<br />
di aperture per l’estromissione del tubetto pollinico: pori e colpi. I<br />
pori sono aperture generalmente isodiametriche, ma possono esse-<br />
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RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
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re anche allungate con bordi arrotondati. In base all’apertura<br />
che i pollini presentano si possono distinguere<br />
granuli porati da quelli colpati. Essi si presentano<br />
estremamente diversificati nella loro morfologia, nel numero<br />
delle aperture e nella loro aggregazione (vi sono<br />
pollini riuniti in tetradi come quelli delle Ericacee). Lo studio<br />
e il riconoscimento dei tipi pollinici avviene mediante<br />
l’utilizzo di chiavi analitiche, atlanti illustrati e collezioni<br />
di confronto, sia di polline fresco che fossile.<br />
L’identificazione dei granuli pollinici avviene tramite microscopio<br />
ottico a 250 ingrandimenti (fino a 1000X). Il<br />
microscopio elettronico a scansione (SEM) viene talora<br />
utilizzato per l’esame dei dettagli morfologici. Il conteggio<br />
dei palinomorfi avviene mediante apposite schede<br />
che vengono poi riunite in un lavoro di sintesi detto diagramma<br />
pollinico, nel quale viene graficamente descritta<br />
la successione vegetazionale relativa alla sequenza<br />
sedimentaria campionata. Dall’interpretazione dei diagrammi<br />
pollinici, a volte integrati anche da analisi statistiche<br />
e da modelli vegetazionali, si arriva a stabilire relazioni<br />
climatiche tra l’andamento della vegetazione<br />
passata e quella attuale, oltre che ad individuare le fasi<br />
di impatto antropico e di sfruttamento delle terre da parte<br />
dell’uomo nei millenni e nei secoli passati.<br />
Un altro tipo di analisi correlata all’analisi pollinica riguarda<br />
i macroresti vegetali (legni, semi, frutti foglie,<br />
ecc.) che possiamo trovare nello stesso deposito o sedimento<br />
da cui sono stati estratti i pollini. Da questa si ricava<br />
un diagramma di macrofossili che, unitamente alle informazioni<br />
palinologiche, può confermare la presenza<br />
di determinate specie vegetali in luogo. Questo tipo di<br />
analisi può essere di grande importanza se ci troviamo<br />
in ambienti montani, a testimonianza del dinamismo del<br />
limite degli alberi nel corso degli anni.<br />
3. Le torbiere: formazione ed<br />
evoluzione<br />
Le torbiere derivano da un processo naturale di interramento<br />
degli specchi d’acqua per accumulo di sostanza<br />
organica prodotta dalle piante (briofite in particolare,<br />
ma anche Gramineae, Cyperaceae ed altre) che, in<br />
particolari condizioni idriche ed edafiche, non si decompone<br />
e tende ad accumularsi formando la torba. La<br />
formazione di una torbiera, o di un’area a vegetazione<br />
palustre, è dovuta a due processi generali di opposto significato:<br />
l’interramento e l’impaludamento. Al primo<br />
processo corrisponde una progressiva colonizzazione<br />
da parte della vegetazione, che dalle sponde progressivamente<br />
invade lo specchio d’acqua, espandendosi<br />
verso il centro. Al secondo corrisponde la colonizzazione<br />
di aree, anche vaste, prima asciutte e in seguito inondate<br />
(ad es. valli fluviali). Il processo di evoluzione di<br />
una torbiera può durare fino a 15.000 anni. La maggior<br />
parte delle torbiere risale all’Olocene e spesso offrono<br />
lunghe e continue sequenze dall’inizio dell’Olocene<br />
medio fino ai giorni nostri.<br />
La capacità della torbiera di conservare relativamente<br />
inalterata la materia organica che in essa si accumula è<br />
dovuta alla costante presenza di acqua che satura il terreno,<br />
portando a condizioni di assenza di ossigeno<br />
(anaerobiosi) che riducono drasticamente l’attività degli<br />
organismi del terreno, rallentando così il processo di decomposizione.<br />
Tuttavia le condizioni climatiche devono<br />
presentare caratteri coerenti: elevate precipitazioni e un<br />
andamento delle temperature oscillante intorno a valori<br />
estremamente ridotti, così da scoraggiare l’evaporazione<br />
e da rallentare la trasformazione della materia organica.<br />
Le torbiere si possono rinvenire in corrispondenza<br />
di diverse morfologie del terreno che assicurano la presenza<br />
di acqua, come si verifica nel fondovalle delle<br />
valli alluvionali, sulle spianante sommitali e di altopiano,<br />
sui versanti interessati da flusso di acqua, in prossimità di<br />
sorgenti, ecc.<br />
La torbiera è definita come un bacino in cui si accumula<br />
la torba, un deposito “sedentario” di piante che vegetavano<br />
in situ. La classificazione delle torbiere è piuttosto<br />
articolata, anche se, più in generale, si possono distinguere<br />
torbiere: basse (forma più o meno piana, coincidente<br />
con la configurazione del terreno); alte (con cumuli<br />
di sfagni intervallati a depressioni più o meno profonde);<br />
“a tappeto” (a volte anche di notevoli dimensioni,<br />
ricoprono in maniera uniforme la topografia sottostante).<br />
Torbiere e paludi sono considerati dei veri e propri archivi<br />
naturali e rivestono un valore straordinario poiché<br />
nel loro suolo custodiscono tracce di una storia millenaria<br />
dell’evoluzione naturale e delle vicissitudini sociali<br />
ed economiche di un territorio.
4. La Torbiera “Malga del Lago<br />
Nero”: storia della vegetazione e<br />
del clima in <strong>Valle</strong> delle Messi negli<br />
ultimi 10.000 anni<br />
La Torbiera Malga del Lago Nero presenta una deposizione<br />
continua di circa 1,20 m di torba, deformata in alcune<br />
parti da processi di ambiente periglaciale, dove<br />
dominano eventi di gelo-disgelo. Essa è situata in <strong>Valle</strong><br />
delle Messi, alta Val <strong>Camonica</strong>, ad una quota di 2395<br />
m slm, lungo la strada che da Ponte di Legno porta al<br />
Passo del Gavia. Dal punto di vista vegetazionale questa<br />
valle presenta larici (Larix decidua) e plaghe di ontano<br />
(Alnus viridis) che si spingono ad alte quote, poi il<br />
bosco si va infittendo più a valle popolandosi di esemplari<br />
di larice, fino ad arrivare alla foresta chiusa ad<br />
abete rosso (Picea abies), interrotta a tratti da aree a<br />
pascolo più pianeggianti. La principale asta fluviale è<br />
rappresentata dal torrente Oglio Frigidolfo. Nella parte<br />
alta, sul versante sinistro idrografico, si trova il Lago Nero,<br />
un lago alpino naturale che giace sopra un largo ripiano<br />
roccioso a 2386 m slm. L’immissario principale si<br />
versa nel lato N del lago ed è rappresentato da un torrentello<br />
che bagna il fondo di un vallone inciso sul versante<br />
meridionale del M. Gavia. A N/E un altro piccolo<br />
torrente si immette nel Lago Nero, andando ad alimentare<br />
una pozza scavata nella torba e un canale<br />
che incide fortemente la torbiera. Attualmente il lago,<br />
nella sua estremità S S/W, è sbarrato a valle da un muretto<br />
in pietre che favorisce la conservazione del lago<br />
stesso e l’approvvigionamento idrico dell’area, frequentemente<br />
soggetta al pascolo di bestiame che ha portato<br />
progressivamente ad uno stato di degradazione della<br />
torbiera.<br />
La Torbiera Malga del Lago Nero è stata oggetto di<br />
uno studio di dottorato presso l’Università di Milano - Bicocca<br />
(Aceti, 2005) e su di essa sono stati condotti studi<br />
paleobotanici da cui si è ottenuto un diagramma pollinico,<br />
un diagramma macrofossili e 8 datazioni radiocarbonio.<br />
Il campionamento di torba è avvenuto mediante<br />
il prelievo di tre box metallici (dimensioni<br />
50x10x10) lungo la parete della sezione principale<br />
della torbiera, sulla sponda destra del torrente. Durante<br />
il campionamento si sono rinvenuti frammenti di legni e<br />
semi ben conservati e riconducibili per la maggior parte<br />
al pino cembro (Pinus cembra), pianta che colonizza i<br />
boschi di alta quota nel settore endoalpico-continentale.<br />
Osservazioni e prove di sondaggio di altri lembi di<br />
torbiera lungo le sponde del Lago Nero e di un’altra<br />
torbiera nel settore N hanno rivelato la presenza di tronchi<br />
sommersi a bordo lago ed un grosso tronco a circa<br />
60 cm di profondità, adagiato su un letto di torba. Il loro<br />
rinvenimento è stato possibile grazie all’azione erosiva<br />
del lago che nel corso della sua esistenza ha subito<br />
un innalzamento repentino per la creazione, da parte<br />
dell’uomo, di un muro di sbarramento. Nell’estate 2006<br />
il Lago Nero ha subito un drastico deficit idrico per via<br />
di un breve, ma intenso periodo di siccità che si è manifestato<br />
su tutte le nostre Alpi. Questo ha permesso di osservare,<br />
nel settore S/W del lago, in prossimità dello<br />
sbarramento, la presenza di diversi tronchi, anche di notevoli<br />
dimensioni, adagiati sul fondo e ricoperti parzialmente<br />
da sabbie e limi. Questi sono oggetto di analisi<br />
dendrocronologiche, ovvero di analisi che riguardano<br />
gli anelli degli alberi, per risalire all’età delle piante ed<br />
ai fattori climatici che hanno portato al loro sviluppo.<br />
Molti di questi ritrovamenti sono stati destinati alle datazioni<br />
14C che hanno portato a significativi risultati, dimostrando<br />
come la timberline (fascia di “transizione” tra<br />
il limite del bosco chiuso e le praterie alpine) in <strong>Valle</strong><br />
delle Messi abbia raggiunto le quote più elevate tra circa<br />
9100 e 7300 cal. BP (date Before Present calibrate<br />
con curve dendrocronologiche), a partire dalla fine del<br />
Boreale e per buona parte dell’Atlantico (si tratta di due<br />
periodi che caratterizzano gli intervalli climatici dell’Olocene).<br />
Il ritrovamento di macroresti legnosi riconducibili<br />
al pino cembro (Pinus cembra) conferma i dati acquisiti<br />
dal diagramma pollinico e mette in evidenza un<br />
miglioramento nelle condizioni climatiche (Optimum climatico)<br />
durante la prima metà dell’Olocene, che ha<br />
portato ad un innalzamento altitudinale della timberline<br />
e alla formazione di estese cembrete a queste quote in<br />
<strong>Valle</strong> delle Messi.<br />
Attualmente però non vi sono cembri in questa valle, a<br />
differenza di quanto riportano gli studi paleobotanici<br />
sopra esposti. Questo può significare che la valle in<br />
questione è stata interessata, nel corso del tempo, da<br />
un aumento di oceanicità nelle condizioni climatiche<br />
che ha portato alla scomparsa del cembro dalla <strong>Valle</strong><br />
delle Messi e all’aumento di specie maggiormente<br />
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18<br />
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inter lli<br />
adattate a questo tipo di clima, come<br />
l’ontano verde (Alnus viridis).<br />
Nella Torbiera Malga del Lago Nero<br />
sono stati trovati altri reperti significativi,<br />
come i numerosi rametti di<br />
ericacee che risalgono alla seconda<br />
metà dell’Olocene, dopo la fase<br />
di Optimum climatico e segnano il<br />
successivo passaggio di ritiro della<br />
foresta e formazione di ambienti<br />
aperti, che raccolgono polline trasportato<br />
su lunga distanza e tramite<br />
correnti ascensionali.<br />
L’espansione di tipi pollinici quali castagno<br />
(Castanea) e noce (Juglans)<br />
caratterizzano il passaggio all’Età<br />
romana e al definitivo sfruttamento<br />
economico delle alte quote sulle Alpi.<br />
Picchi nella curva del carbone riscontrati<br />
nel diagramma pollinico<br />
della Torbiera Malga del Lago Nero<br />
e che si osservano nella fase più<br />
recente del diagramma pollinico,<br />
mostrano come il pascolo sia considerato<br />
ancora una forma di sostentamento<br />
economico per gli abitanti<br />
di queste valli.<br />
Conclusione<br />
La stesura di questo articolo ha permesso<br />
di mettere a conoscenza,<br />
magari anche di incuriosire, tutti coloro<br />
che mostrano interesse e passione<br />
per il territorio in cui vivono.<br />
Grazie agli studi paleobotanici siamo<br />
in grado di scoprire gli eventi vegetazionali<br />
e ambientali che si sono<br />
susseguiti nel corso dell’Olocene in<br />
<strong>Valle</strong> delle Messi, valle che conduce<br />
ad un famoso e importante valico<br />
alpino, il Passo del Gavia, che<br />
mette in comunicazione la Val <strong>Camonica</strong><br />
con la Valtellina e che rientra<br />
nell’area dell’imponente gruppo<br />
montuoso dell’Ortles-Cevedale. Lo<br />
studio sulla “Torbiera Malga del Lago<br />
Nero”, in <strong>Valle</strong> delle Messi, ha<br />
portato a significativi risultati (Aceti,<br />
2005) che, connessi con quelli ottenuti<br />
dallo studio di altre torbiere nell’area<br />
del Gavia e della Val <strong>Camonica</strong>,<br />
permettono di fare correlazioni<br />
climatiche per gli ultimi 10.000 anni.<br />
Dagli studi paleobotanici condotti<br />
su torbiere di alta quota emerge<br />
che durante la prima metà dell’Olocene<br />
vi erano foreste in alta Val <strong>Camonica</strong>,<br />
in particolare in <strong>Valle</strong> delle<br />
Messi dove queste si spingevano fino<br />
a circa 2500 m di quota e forse<br />
oltre, delineando così un quadro climatico-ambientale<br />
dell’area differente<br />
rispetto a quello attuale.<br />
L’insieme delle<br />
informazioni raccolte<br />
fino ad ora<br />
ci consente di<br />
ripercorrere la<br />
storia olocenica<br />
di questa valle,<br />
delle sue foreste<br />
e degli insediamenti<br />
antropici.<br />
L’approccio multidisciplinare<br />
e lo<br />
studio paleobotanico<br />
di un numero<br />
sempre maggiore<br />
di torbiere<br />
e siti di alta quota<br />
sulle Alpi permetterà<br />
di confrontare<br />
i dati attuali<br />
con quelli potenziali<br />
che emergono<br />
da questo tipo<br />
di analisi ed<br />
ampliare così<br />
le nostre conoscenze<br />
sugli imperscrutabili<br />
(o<br />
quasi) territori dell’alta<br />
montagna.
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nell’Olocene: studio di<br />
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20<br />
RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
MONOGRAFIA<br />
Uomo e territorio.<br />
Paesaggi camuni nella prosa di<br />
Gadda militare in alta <strong>Valle</strong><br />
<strong>Camonica</strong><br />
Giancarlo<br />
Maculotti.<br />
Avvicinarsi al<br />
Gaddus non è<br />
facile poiché il<br />
duca incute reverenza<br />
e timore e<br />
si ha sempre<br />
l’impressione di<br />
essere formichina<br />
dinanzi ad elefante.<br />
La giustificazione<br />
di questa mia<br />
azzardata e<br />
sconsiderata<br />
incursione in<br />
campi che esulano<br />
dalle mie<br />
competenze è<br />
presto detta: mi<br />
sono accorto e<br />
ne ho avuto una<br />
conferma più e<br />
più volte in varie<br />
parti della valle<br />
che un grande<br />
scrittore come<br />
Gadda (1893-<br />
1973) non solo<br />
è poco letto e<br />
poco conosciuto<br />
in generale, ma<br />
sono quasi per<br />
nulla note le pagine<br />
che il milanese<br />
della<br />
“Cognizione del<br />
dolore” ha dedicato<br />
all’Alta<br />
Valcamonica,<br />
luogo dove<br />
mosse i suoi<br />
primi passi sia<br />
come militare,<br />
nell’agosto del<br />
1915, sia come<br />
sublime produttore<br />
di impareggiabili<br />
testi.<br />
La parte del “Giornale di guerra e prigionia” riguardante<br />
l’alta valle non la presenterò spacciandomi per critico<br />
qual non sono, ma la leggerò assieme a voi attraverso<br />
alcune significative frasi che citano luoghi a noi noti.<br />
Le pagine che riguardano l’alta <strong>Valle</strong> sono quasi un centinaio<br />
e sono state scritte a Edolo, a Precasaglio e a Ponte<br />
di Legno nel periodo che va dal 24 agosto 1915 al 15 febbraio<br />
1916. Non hanno evidentemente alcun scopo<br />
descrittivo o di celebrazione del paesaggio montano<br />
(peraltro molto apprezzato da Gadda) ma sono degli<br />
intermezzi dedicati all’alta valle motivati da approcci molto<br />
diversi e sempre in qualche modo collegati alla guerra.<br />
«Il bollettino del Ministero della Guerra del giorno 5 agosto 1 9 1<br />
5 mi nominava, dietro mia richiesta del 2 7 marzo u.s., sottotenente<br />
nella milizia territoriale, arma di fanteria, con destinazione al 5°<br />
Alpini. - Il comando reggimentale di Milano a cui mi presentai il 17<br />
agosto mi destinò al Magazzino di Edolo. - Il 18 sera ero a Edolo,<br />
dopo aver prestato il giuramento a Milano. - Presi alloggio all’albergo<br />
Derna, dove sono tuttora, e cominciai tosto il servizio, o più precisamente<br />
l’istruzione. Già avevo prestato servizio militare in fanteria,<br />
a Parma; dove prestai servizio come soldato semplice nel 1° regg.to<br />
Granatieri, dal 13 giugno fino alla nomina.»
«EDOLO, 24 AGOSTO<br />
1915. C. E. GADDA.<br />
Edolo, 24 agosto 1915. Le note che prendo a<br />
redigere sono stese addirittura in buona<br />
copia, come vien viene, con quei mezzi lessigrafici<br />
e grammaticali e stilistici che mi avanzeranno<br />
dopo la sveglia antelucana, le istruzioni,<br />
le marce, i pasti copiosi, il vino e il caffè.<br />
Scrivo sul tavolino incomodo della mia stanza,<br />
all’albergo Derna, verso le una e mezza<br />
pomeridiana. Le imposte chiuse e i vetri aperti<br />
mi lasciano entrare l’aria fresca e quasi fredda<br />
della montagna, i rumori dei trasporti e le<br />
voci della gente: mi impediscono la veduta di<br />
un muro, che si trova a due o tre metri in faccia<br />
e in cui non figurano che finestre chiuse, e<br />
delle rocce del Baitone.<br />
2. Sto abbastanza bene di corpo, per quanto il<br />
troppo cibo preso ieri alla mensa e l’uso che vi si<br />
fa di vino e caffè, a cui io non ho l’abitudine, mi<br />
lascino un senso di odiosa sazietà e di intorpidimento<br />
intellettuale: ho anche un po’ sonno.<br />
Quest’aria fresca mi ristora e un po’ di raccoglimento<br />
mi fa piacere. Spiritualmente sono seccato<br />
dalla mancanza di notizie della famiglia, poiché<br />
da quando sono a Edolo, cioè dal 18 corr.,<br />
non ho ricevuto una riga; dal continuo seccarmi<br />
che il capitano fa (e con ragione) perché mi provveda<br />
del cinturone di cuoio e del revolver; dalla<br />
perdita dei miei guanti, che occorrono all’istruzione,<br />
e che difficilmente potrò sostituire. Inoltre uno<br />
strano intorpidimento dell’animo mi toglie di<br />
godere a pieno della vivissima emozione fantastica<br />
e sentimentale che per solito la montagna mi<br />
destava, e talora anzi mi lascia indifferente del<br />
tutto: però levando lo sguardo al Baitone, alle sue<br />
rocce e alle sue nevi, questa monotona e stanca<br />
situazione dello spirito si interrompe per poco.<br />
Anche le cattive notizie della Guerra dei Russi mi<br />
mandano a traverso questi giorni che potrebbero<br />
essere di esaltazione.<br />
Il motivo egoistico sentimentale che momentaneamente<br />
mi domina è un desiderio di raccoglimento<br />
e di durezza alpinistica, di forze fresche, di compagnia<br />
coi miei pochi amici, di nebbia e di bosco.<br />
Tanto più quindi mi sono lontani questi carriaggi,<br />
questi muli, e la mensa copiosa e chiassosa degli<br />
ufficiali. Penso raramente alla guerra, non per indifferenza,<br />
ma per timore di soffrir troppo nella preoccupazione<br />
e anche perché ne sono continuamente<br />
distratto dalla vita giornaliera».<br />
Lo scrittore era un giovane allievo sottotenente<br />
che di stanza a Edolo doveva eseguire<br />
marce esplorative e di allenamento<br />
che avevano lo scopo di prendere confidenza<br />
con la fatica e con il territorio montano.<br />
Le “escursioni” toccavano vari punti<br />
della zona di Edolo, si spingevano ad<br />
esempio<br />
«fino a Sonico ed oltre, su strada, e in una completa<br />
manovra di combattimento di tutta la compagnia<br />
in un bosco di castani, su terreno morenico,<br />
meraviglioso».<br />
Oppure salivano verso l’Aprica come<br />
accadde il giorno 27 agosto:<br />
«Ieri mi alzai alle 4 del mattino, come ufficiale di<br />
servizio, e fui in caserma alle 4 1/2 presi il nome<br />
degli ammalati. Ero piuttosto assonnato e la marcia<br />
sullo stradone polveroso dell’Aprica mi fu<br />
dura. Mangiai, a mezza strada circa, del pane e<br />
due uova, e bevvi un bicchier di vino. Arrivai<br />
all’Aprica accaldato, come tutti, mi rinfrescai con<br />
gli altri nel bagno dell’Hotel Aprica, e scesi in<br />
sala. La colazione fu allegra, abbondante, e servita<br />
da due cameriere che furono il pretesto di<br />
mille allegrie. Il vino di Valtellina e due bicchieri<br />
fini di squisito Sassella coronarono la mensa. Ma<br />
in fondo, per quanto la colazione consistesse di<br />
spaghetti, una costoletta, frutta, mi sentivo pieno,<br />
appesantito, stanco. Riprendemmo tosto la via del<br />
ritorno, sullo stradone polveroso, sotto il sole. Poi<br />
si prese la strada mulattiera che sta sulla destra<br />
del Fiumicello e che è deliziosa. Ma il mal di ventre<br />
che mi colse, mi impedì ogni godimento del<br />
paesaggio… Fu una pessima giornata e avrò un<br />
cattivo ricordo di questa prima visita al collo<br />
dell’Aprica, che divide la Rezia dalla Camunia».<br />
L’attenzione dello scrittore è puntata<br />
soprattutto sul suo malessere fisico e psicologico.<br />
I disturbi gastro-intestinali lo tormentano<br />
per tutti i primi mesi di permanenza<br />
nelle retroguardie del fronte bellico<br />
e i rapporti con i commilitoni non<br />
hanno certo nulla dell’idillio. Gadda non<br />
sopporta le loro infinite discussioni su<br />
argomenti di nessunissimo valore, su questioni<br />
di lana caprina che portano<br />
comunque a scontri a volte fisici e ad un<br />
vociare scomposto ed irritante al quale il<br />
giovane soldato reagisce con lo sciopero<br />
della parola: parla poco o nulla.<br />
Scrive lettere alla mamma, ai parenti, agli<br />
amici, al fratello e si lamenta perché non<br />
riceve mai tempestiva risposta.<br />
Uniche note spiritose e serene quelle<br />
riguardanti la conoscenza di qualche<br />
giovane ragazza. Gadda è particolarmente<br />
attratto dalla bellezza femminile e<br />
pare abbia in quei mesi una tresca con<br />
una donna di Sonico i cui marito è emigrato<br />
in Australia.<br />
«EDOLO,<br />
2 SETTEMBRE.<br />
Ieri pessima giornata: caldo, stanchezza, litigi,<br />
ecc. Rinuncio alla sua descrizione che riuscirebbe<br />
troppo uggiosa da scrivere. È venuta<br />
a stare nel nostro albergo una graziosissima<br />
cameriera del lago di Garda, dai folti capelli<br />
castani, altissima, snella; mi propongo di farle<br />
la corte non ostante che nell’albergo abitino<br />
altri cinque miei colleghi.<br />
Oggi marcia al monte Faetto, ma non alla cima.<br />
Partiti da Edolo, salimmo per la strada militare<br />
d’oltre Fiumicello al passo di Flette, nome pomposo<br />
d’una spalla di contrafforte del Faetto, e per<br />
meravigliose praterie e castagneti scendemmo a<br />
Malonno: qui colazione e allegria.<br />
Ritorno con pioggia non forte».<br />
21
22<br />
RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
Il “vecchio” Gaddus che<br />
quando scrive ha la bellezza<br />
di 22 anni usa a<br />
tratti il linguaggio che poi<br />
ritroveremo nei suoi<br />
principali scritti. Traspare<br />
dalle sue pagine di<br />
autore in erba tutta<br />
l’ironia e l’inventiva che<br />
poi ritroveremo<br />
nell’Adalgisa, nel<br />
Castello di Udine, nel<br />
Pasticciaccio, nella<br />
Cognizione del dolore.<br />
Sembra che il divertimento<br />
più apprezzato<br />
da Gadda sia il giocare<br />
con la lingua. Ne abbiamo<br />
uno dei primi<br />
esempi, se non il primo<br />
in assoluto, quando<br />
descrive il monte Faeto.<br />
«Hodie quel vecchio Gaddus e Duca di<br />
Sant’Aquila arrancò du’ ore per via sulle spallacce<br />
del monte Faetto, uno scioccolone verde per<br />
castani, prati, e conifere, come dicono i botanici,<br />
e io lo dico perché di lontano guerciamente non<br />
distinsi se larici o se abeti vedessi. Ahi che le rupi<br />
dure e belle del corno Baitone si celavano nelle<br />
nubi, forse per ira della non giusta preferenza<br />
data ai rosolacci. Ma è destino che chi vuole non<br />
possa, e chi può non voglia. Ora, questo<br />
Gaddus amerebbe adunghiare questo Baitone,<br />
ma gli è come carne di porco, a volerla mangiare<br />
di venerdì: Moisè ti strapazza. Ora, questo è il<br />
venerdì, perché è il tempo delle mortificazioni, e<br />
Baitone è porco, perché piace, e il generale<br />
Cavaciocchi, buon bestione, è Moisè, perché<br />
non vuole. E il Gaddus è il pio credente nella<br />
legge, e nella sua continova sanzione. Per che<br />
detto Duca seguitò per prati e boschive forre la<br />
sua buona mandra, che lungo la costa cantò nel<br />
silenzio della valle. Cantò la canzone dell’alpino<br />
che torna, poi che chi non torna né pure avanza<br />
fiato a cantare, e che gli è chiesto come s’è cambiato<br />
in viso dell’antico colore: è stato il sole del<br />
Tonale che mi ha cambià il colore, rispose<br />
l’alpino: e la sua ragazza si contenta. La canzone<br />
tristemente si perdeva nella valle, così nebulosa,<br />
come s’io l’avessi creata a mia posta, e con il<br />
mio immaginare pensavo che per la detta valle<br />
risonasse religiosamente un alto corale […] Fin<br />
che tragicamente lo scherzo cessa per un romore<br />
subitaneo: è il rimbombo lontano della cannonata.<br />
E con questo l’onda corale s’accende, improvvisa<br />
e totale, come se il vento si levasse d’un tratto<br />
nel più forte e generale suo modo: passa per il<br />
dolore e il compianto, con pause di sgomento e<br />
rincalzi d’angoscia, e si fonde nell’ira, e si perde.<br />
Ecco la solitudine delle pareti rupestri, il vano<br />
sotto le torri, la nebbia che sale dal profondo<br />
come fumo d’una valle senza suolo, il silenzio in<br />
cui è lasciato il monte dallo sparire dell’uomo.<br />
Questo fu l’immaginare del detto Gaddus, ma il<br />
monte era buono e rotondo, con spalle di prati e<br />
barbe di castagneti. Sulla più dolce e bassa delle<br />
propagini sue si ammucchiano grigie case di<br />
petrame, e in mezzo è il castello mal ridipinto con<br />
la torre ancor selvaggia, non guasta da cache di<br />
pittori a méstoli. Nel detto castello è il trattore con<br />
vino; formaggi; e costole di manzo, ch’era stanco<br />
d’imbizzirsi al novilunio: e le sue corna mulesche<br />
finirono male, di quest’asino, come quelle di molti<br />
manzi ribaldi».<br />
S’intrecciano come sempre osservazioni<br />
sul paesaggio e sull’uomo sul filo<br />
della melanconia e dello sguardo sardonico,<br />
della critica ai comandanti e<br />
della comprensione per un ruolo difficile<br />
e che suscita pochi consensi. Così ci<br />
viene restituita dallo sguardo dello scrittore<br />
la Val Gallinera:<br />
«Ieri marcia in Val Gallinera, quasi fino al passo<br />
di Gallinera. Fu una mezza odissea. Partimmo da<br />
Edolo poco dopo le 4 del mattino (gli uomini si<br />
erano levati alle 3) e lungo i costoni di M. Foppa<br />
(propaggine dell’Aviolo) raggiungemmo dopo<br />
qualche lungo disguido la VaI Gallinera. Vi proseguimmo<br />
lungo le pendici dell’Aviolo fino ad<br />
una profondità superiore alle Malghe Gallinera<br />
(che sono sull’altro versante) e quivi si fece il rancio.<br />
<strong>Valle</strong> grandiosa e bella, ma diavolescamente<br />
piena di sole. Il fondo-valle è coperto dagli<br />
erratici torrentizi di bellissimo granito (credo tonalite)<br />
rovinati dalla cima dell’Aviolo, e dai massi di<br />
schisto dell’Aviolo stesso. Dopo il rancio, manovra<br />
di sicurezza in marcia, sotto il sole, al riverbero dei<br />
graniti, da mezzodì alle due: ora pessima. Io giunsi<br />
con le avanguardie fin sotto il passo, ma fu allora<br />
comandato il «dietro front.» La truppa era un po’<br />
indisciplinata, brontolona, ma marciò molto bene.<br />
Con quaranta e più kili in dosso questi uomini si<br />
stancarono come me, che non portavo nulla. Vero<br />
è che io andavo su e giù, a recare ordini nella<br />
manovra, ecc. Il ritorno fu un po’ grave, per lo spirito<br />
della truppa mal disposto verso il comandante,<br />
il tenente Ricci, bestia bisbetica e pasticciona.<br />
Ha per altro il merito di fare delle vere marce di<br />
montagna e non della caricatura. Io tornai molto<br />
stanco, e risentii la stanchezza anche stamane<br />
(Edolo, 19 sett.bre 1915)».<br />
La guerra è lontana e si presenta all’attenzione<br />
di Gadda solo con l’eco di<br />
qualche scoppio e le notizie poco rassicuranti<br />
che arrivano dal fronte. Il giovane<br />
sottufficiale vorrebbe essere in prima<br />
linea e si lamenta della vita oziosa<br />
(senza libri!) e del fatto di non essere<br />
adeguatamente impegnato dove infuria<br />
la battaglia e dove, per un periodo, è di<br />
stanza il fratello Enrico. Solo in qualche<br />
rara occasione il rumore dei cannoni si fa<br />
più vicino.
«Accompagnai, col collega Radice, 132 uomini<br />
alla Forcella di Montozzo, in due giorni. Le<br />
truppe erano mal nutrite e poco resistenti: il<br />
primo giorno giungemmo a Pontagna (19 km.<br />
circa) il 2° salimmo a Montozzo (2470). Fu<br />
una vera fatica il guidare questi muli […]Edolo,<br />
9 ottobre 19 I 5».<br />
Assorbiti dai compiti e dai doveri militari<br />
si presta poca attenzione al tran tran di<br />
tutti i giorni e solo di sfuggita si coglie il<br />
ritmo della vita quotidiana dei paesi:<br />
«EDOLO, ANCORA 26<br />
OTTOBRE SERA.<br />
Come sono poco osservatore delle cose che<br />
non mi interessano! Da che sono in Valcamonica<br />
non ho sentito mai suonare una campana, eppure<br />
solo oggi la mia attenzione si fermò su questo<br />
fatto. Nessun campanile si anima mai, né a mattina,<br />
né a vespro, né durante le feste. La torre di<br />
Edolo (alta e massiccia costruzione in granito, di<br />
stile rinascimento abbastanza buono) non batte<br />
neppur le ore. La valle suona solo del fiume, della<br />
ferrovia, degli automobili, delle segherie elettriche,<br />
talora del tiro a segno. Quale differenza da<br />
quando, remota a ogni civiltà, solo il fiume e qualche<br />
campana vi avrà vissuto! La grammatica zoppica,<br />
ma poco importa».<br />
Poi finalmente l’agognato salto verso le<br />
prime linee. Non è ancora il respiro della<br />
polvere del cannone o l’incontro quotidiano<br />
con la morte, ma il fronte è lì a due<br />
passi e l’inverno bellico nelle fredde stanze<br />
prima di Precasaglio e poi del<br />
Grande Albergo di Ponte di Legno sfida<br />
la resistenza e l’equilibrio del giovane<br />
interventista che sfilava a Milano per<br />
reclamare l’ingresso in guerra.<br />
«La camera che qui abito è a Sud Ovest, la<br />
migliore esposizione, a dieci metri dal quartiere,<br />
ed è stanza d’angolo con due finestre: è alta<br />
poco più di due metri, a quadrilatero irregolare,<br />
bianca, pulita, ma molto fredda e senza stufa né<br />
camino. Il padrone, un tirchio montanaro, voleva<br />
1,20 al giorno: m’accordai a stento per L. 1, che<br />
è il prezzo di requisizione, già fin troppo elevato.<br />
La catinella, piccola, in ferro, con dell’acqua<br />
gelida, è posata sopra uno sgabello. Vi<br />
è uno specchio, un tavolo, un cassettone, due<br />
sedie il letto e il tavolino da notte. Il letto è<br />
un’ottomana corta, in cui devo stare rannicchiato.<br />
(Precasaglio, 18 novembre)».<br />
Alle osservazioni sulle zone visitate<br />
attraverso delle marce impegnative si<br />
sostituiscono descrizioni delle condizioni<br />
ambientali determinate dal freddo.<br />
Nel marasma della disorganizzazione<br />
Gadda riesce ad individuare anche<br />
alcuni aspetti positivi riguardanti l’uso di<br />
mezzi di trasporto innovativi e la predisposizione<br />
di trincee “assai ben fatte”.<br />
«Il tempo qui è sereno, secco, e freddissimo: a<br />
Vescase, dov’è la truppa di guarnigione del<br />
Tonale, si sono raggiunti i 18 cent. sotto lo zero;<br />
qui la notte credo si siano passati i 15; gelano<br />
i ruscelli, e gli scoli delle strade formano enormi<br />
incrostazioni di ghiaccio. Ovunque grosse<br />
stalattiti e formazioni botriodali e mammellonari.<br />
La valle è asciutta, cosparsa di capannoni in<br />
legno, a doppia parete, coperti di tela catramata,<br />
assai ben fatti, capaci di 60 uomini e più;<br />
rigata da costruzioni stradali e da sentieri<br />
recenti; solcata dal Narcanello e dall’Oglio p.<br />
d.; talora assordata dai boati delle mine; passeggiata<br />
dalle comitive d’uomini e di muli.<br />
Queste vanno divenendo meno frequenti a<br />
mano a mano che si aprono all’esercizio le filovie.<br />
A Montozzo una filovia, al Castellaccio e<br />
al Corno di Laghi Scuri sale una teleferica:<br />
insomma l’organizzazione va man mano compiendosi.<br />
A Vezza d’Oglio, e qui a Ponte pure<br />
delle molteplici linee di trincee assai ben fatte e<br />
di reticolati sbarrano Valcamonica a<br />
un’eventuale irruzione nemica. (Ponte di Legno<br />
27 novembre 1915)».<br />
I nomi dei nostri monti lo meravigliano<br />
non poco. Ma ancor di più lo colpiscono<br />
le differenze tra le abitudini di bresciani<br />
e bergamaschi e quelle di militari di<br />
altre regioni.<br />
«Certi romani e certi toscani, non per parlar male,<br />
che faranno anche loro quel che devono, ma<br />
vanno su per la neve come un cavallo per una<br />
scala a pioli: gli batte il cuore e gli occhi si cerchiano<br />
d’un giallo-viola e strabuzzano, in aria di<br />
infinita amarezza. Uno, che incontrai in ferrovia, si<br />
ammalò al solo vedere la posizione della batteria<br />
(Cima delle Gràole) e ottenne sei mesi di convalescenza.<br />
Un altro che faceva servizio tra il<br />
Corno d’Aòla e Cima Le Sorti, ottenne di andare<br />
a Livorno, in una batteria da costa o giù di lì. I<br />
nomi di questi siti, tra parentesi sono qualche<br />
cosa di raro: una montagna si chiama: I Cacàoni,<br />
un’altra Dosso del Faustinelli, un’altra Cima Cady,<br />
un’altra Crestone di Re di Castello, un’altra Cima<br />
di Casamadre; senza parlarti del passo dei<br />
Contrabbandieri, del passo di Laghi scuri e del<br />
passo di Ercavallo: un Orlando Furioso».<br />
(Lettera scritta al nipote, Emilio Fornasini da Ponte<br />
di Legno il 5 dicembre 1915).<br />
Del resto ne “Il castello di Udine”, scritto<br />
nel 1934 e quindi non sotto<br />
l’influenza nervosa delle vicende belliche,<br />
Gadda avrà elogi sperticati per i<br />
nostri soldati e per i montanari in genere<br />
e in Eros e Priapo, violento pamphlet<br />
di derisione del dittatore e delle sue<br />
patologiche maniacali scriverà: “Il<br />
popolo mi ha offerto i modelli sublimi<br />
de’ bergamaschi e camuni, de’ piemontesi;<br />
e certi vecchi e saggi operai che<br />
ancora li vedo lavorare: li vedo vivere in<br />
un mondo il quale sta già disparendo<br />
dalla mia anima come orizzonte in<br />
fuga“ pag. 152-153. Chissà, se quel<br />
mondo stava già disparendo negli anni<br />
trenta del secolo scorso, che cosa ne<br />
scriverebbe oggi.<br />
23
24<br />
RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
MONOGRAFIA<br />
Uomo e territorio.<br />
Le “Calchere” di Ono S. Pietro<br />
in <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong> e la trasformazione<br />
del territorio nel processo<br />
di approvvigionamento<br />
Ausilio<br />
Priuli.<br />
La ricerca archeologica, tra le altre cose, si occupa spesso della messa in luce<br />
e studio dei resti dei manufatti necessari al processo di trasformazione di materie<br />
prime, in quanto strutture anche architettonicamente di una certa rilevanza e<br />
degne di nota per essere prodotti dell’economia, quindi della cultura di un certo<br />
territorio. Raramente le indagini archeologiche si occupano del reale esteso<br />
contesto antropico nel quale si colloca il manufatto, cioè dell’ambiente che<br />
ospita la materia prima indispensabile alla produzione e del contesto sociale<br />
e culturale del quale è espressione.<br />
Raramente le indagini archeologiche si occupano ed hanno la possibilità di<br />
acquisire dati concreti relativi alle quantità, qualità e distribuzione dei materiali<br />
impiegati per la produzione, quindi di approfondire la conoscenza delle fonti<br />
di approvvigionamento e dei modi nei quali può essere avvenuta la raccolta.<br />
Quasi mai ha la possibilità di cogliere le implicazioni che la produzione ha<br />
avuto sull’economia, conseguente ed indotta, del territorio e nemmeno ha grandi<br />
possibilità di approfondire la conoscenza delle trasformazioni ambientali<br />
conseguenti l’esigenza di applicare il processo produttivo.<br />
In genere dalla ricerca nell’ambito di strutture con funzione produttiva, non<br />
emergono le implicazioni sociali ed economiche e le relazioni con le altre attività<br />
produttive locali delle quali, quella oggetto di interesse, magari è solo una<br />
tra le tante praticate e nemmeno a livello professionale ed esclusiva, ma integrativa<br />
di tante altre, soprattutto in ambiente montano ad economia mista agricola,<br />
pastorale ed artigianale.<br />
Un caso a sé è quello delle “calchere” di Ono S. Pietro in <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong> e<br />
forse questo è un caso che potrebbe sollecitare un diverso modo di leggere un<br />
manufatto, un territorio, una cultura e quindi di collocare, capire e valorizzare
Ono S. Pietro, “calchera” o fornace per la<br />
cottura del calcare<br />
una struttura in un contesto, con delle<br />
dimensioni più umane che tecnichescientifiche-archeologiche.<br />
In questa sede quindi non ci si occuperà<br />
della “calchera” vera e propria,<br />
della struttura produttiva reperto di<br />
archeologia industriale, anche perché<br />
si è avuto modo in altre occasioni di<br />
fare ciò, ma delle implicazioni che la<br />
produzione di calce ha comportato<br />
nel territorio sul quale insistono le fornaci<br />
di cottura.<br />
Se si osserva il territorio costituito dalla<br />
conoide di deiezione del torrente Ble,<br />
nei comuni di Ono S. Pietro, Cerveno<br />
e Capodiponte, nell’area centrale<br />
della <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>, famosa per la<br />
presenza del grande patrimonio paleoiconografico<br />
rupestre, si scopre la<br />
presenza di numerose “calchere”: fornaci<br />
per la cottura del calcare in funzione<br />
della produzione di calce,<br />
costruite semi interrate a ridosso del<br />
pendio che sale verso il magnifico<br />
Monte Concarena.<br />
Il territorio oggetto della presente nota<br />
è ubicato nella media <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>,<br />
a bassa quota, cioè tra i 350 ed<br />
i 600 m di altitudine, ai piedi di una<br />
delle più spettacolari montagne della<br />
valle che nulla ha da invidiare alle<br />
Dolomiti, anche se non supera di<br />
molto i 2500 metri di altitudine.<br />
Il Monte Concarena, nelle prealpi<br />
orobiche, è costituito da calcari della<br />
Dolomia Principale in disfacimento ed<br />
ha visto prolungati movimenti franosi in<br />
età post glaciale e la formazione di<br />
un’estesa e massiccia conoide di<br />
deiezione durante la fase di assesta-<br />
Ono S. Pietro adagiato sulla conoide ai<br />
piedi del Concarena<br />
mento dei suoli nei periodi Boreale ed<br />
Atlantico.<br />
Il crollo delle rocce dalle alte pareti<br />
verticali ed il trasporto a valle dei<br />
materiali ad opera soprattutto del torrente<br />
Ble, nelle frequenti fasi alluvionali,<br />
ha distribuito gli stessi in un esteso<br />
ventaglio di circa 2 chilometri di base<br />
ed altrettanti di altezza, per uno spessore<br />
di oltre 250 metri.<br />
Nel corso di circa 8000 anni si è<br />
costituito un immenso deposito alluvionale<br />
poggiante sul precedente morenico,<br />
ricoperto da bosco ceduo di nocciolo,<br />
ontano, frassino, roverella e salice<br />
selvatico. Tale deposito, nel tempo,<br />
è stato gradualmente usato quale<br />
cava di materia prima, in forma di pietrame,<br />
atta ad essere cotta e trasformata<br />
senza essere costretti a cavare<br />
dalla roccia madre.<br />
Questo territorio sembra sia stato<br />
antropizzato in maniera vistosa in<br />
epoca romana, dopo la conquista<br />
della vallle ad opera del proconsole<br />
Publio Silio nel 16 a.C., soprattutto<br />
attraverso un intervento di microcenturiazione<br />
della conoide citata e delle<br />
due adiacenti di Cemmo a nord e di<br />
Cerveno a sud (Priuli, 1988).<br />
La presenza romana in valle, con la<br />
conseguente nascita della Civitas di<br />
Cividate Camuno, il sorgere di numerosi<br />
pagi, tra i quali quello di Cemmo,<br />
fortemente legato alle attività estrattive<br />
di minerali di ferro dalle vicine montagne,<br />
l’erezione di case in muratura pietrosa<br />
in sostituzione di quella in legno,<br />
paglia e fango tipica delle capanne<br />
di tradizione preistorica, ha imposto un<br />
Ono, “calchera” in abbandono da solo<br />
una quarantina d’anni<br />
utilizzo razionale dei suoli e conseguenti<br />
attività produttive tra loro concatenate.<br />
Da quel momento in poi, quasi ininterrottamente<br />
fino alla fine degli anni 50<br />
del XX secolo, il territorio ha visto processi<br />
di rimozione di materiali inerti,<br />
trasporto e trasformazione degli stessi,<br />
numerose altre attività complementari<br />
e conseguenti, imposte non solo dall’attività<br />
produttiva di calce, ma anche<br />
dall’esigenza di operare azioni di<br />
bonifica agraria e di coltivazione del<br />
bosco in funzione della necessaria<br />
disponibilità di combustibile.<br />
Le nuove tecnologie edilizie importate<br />
dai romani prevedevano l’abbondante<br />
uso di malta cementizia con<br />
calce come legante.<br />
Una città come Cividate Camuno, di<br />
grandi dimensioni, centro commerciale,<br />
amministrativo e culturale dotato di<br />
teatro, anfiteatro, complesso termale,<br />
foro, grandi magazzini, ha necessitato<br />
per le opere edilizie di grandi quantità<br />
di calce.<br />
Santuari come quello di Spinera della<br />
vicina Breno hanno visto la realizzazione<br />
di imponenti opere edilizie.<br />
Dall’avvento romano in poi, la nascita<br />
di borghi e paesi in tutta la valle (oltre<br />
100) ha necessitato di legante per le<br />
strutture murarie degli edifici pubblici e<br />
privati e per numerose strutture produttive<br />
oltre a calce per altri tipi di interventi,<br />
come ad esempio produzione<br />
di coloranti, disinfettanti, disinfestanti<br />
ed anti parassitari.<br />
Ono è divenuto quindi il territorio con<br />
la maggiore quantità e la migliore<br />
25
26<br />
RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
Ono, visione della parcellizzazione dei<br />
suoli bonificati<br />
qualità di calcare da trasformare in<br />
calce ed il sito di riferimento per quasi<br />
tutta la <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>, dal momento<br />
che, tra l’altro, da Ono verso l’alta<br />
valle non sono presenti consistenti giacimenti<br />
di calcari adatti alla produzione<br />
di calce e, nella bassa valle, il tipo<br />
di calcare esistente non è altrettanto<br />
idoneo alla trasformazione.<br />
Le calchere riconosciute presenti a<br />
Ono S. Pietro sono sei, distribuite nella<br />
parte medio alta della conoide, nelle<br />
vicinanze del paese, lungo i tracciati<br />
viari orizzontali e paralleli che attraversano<br />
la stessa, e adiacenti l’antica via<br />
“Valeriana” (strada vallis) di probabile<br />
epoca romana che, risalendo la valle<br />
per tutta la sua lunghezza, permette la<br />
comunicazione con gli altri paesi di<br />
base versante e sale verso il Passo del<br />
Tonale per scendere nella Val di Sole,<br />
da un lato, e dall’altro risale lla <strong>Valle</strong><br />
di Corteno, fa il Passo dell’Aprica e<br />
scende in Valtellina.<br />
La datazione delle fornaci non è per<br />
nulla agevole, anche perché tanto<br />
quelle solo parzialmente conservate e<br />
quelle in abbandono, quanto quelle<br />
integre hanno subito molteplici restauri<br />
e parziali trasformazioni in funzione<br />
dell’uso fino alla fine degli anni ‘50.<br />
L’abbandono dell’attività di cottura dei<br />
blocchi calcarei per produzione di<br />
calce è avvenuto abbastanza gradualmente<br />
dall’inizio del XX secolo a<br />
seguito della introduzione della calce<br />
prodotta industrialmente e del cemento,<br />
che ha soppiantato l’uso della<br />
calce viva nella costruzione di opere<br />
murarie.<br />
Ono, “murache” su confine di proprietà Ono, grande “muraca” ai margini delle<br />
aree coltivate e accanto ad una strada<br />
Al di la della osservazione e studio dei<br />
manufatti eretti con funzione produttiva,<br />
come si è gia accennato, vistose<br />
sono le trasformazioni del territorio<br />
conseguenti i processi produttivi.<br />
L’esigenza di produrre calce è venuta<br />
incontro a quella di trasformare una<br />
pietraia in spazi pascolabili e nello<br />
stesso tempo al bisogno di terra da<br />
coltivare, in conseguenza anche di un<br />
continuo aumento della popolazione<br />
che ha indotto a fare interventi di bonifica<br />
dei suoli pietrosi alluvionali onde<br />
recuperare spazi produttivi in termini<br />
agricoli e pastorali.<br />
L’intervento di bonifica agraria ha visto<br />
quindi lo spietramento sistematico dei<br />
suoli, operato non solo da forza lavoro<br />
costituita da maschi adulti, ma<br />
anche dalle donne e dai bambini.<br />
Tutto il pietrame veniva raccolto, gettato<br />
o trasportato e accatastato ai margini<br />
di relativamente piccole superfici<br />
di suolo che costituivano la proprietà<br />
familiare<br />
Le cataste di pietrame, dette “murache”,<br />
andavano quindi a delimitare le<br />
proprietà ed erano sito di deposito<br />
comune per almeno due proprietà<br />
adiacenti o addirittura per tre o quattro,<br />
divenendo anche barriera contro il<br />
vento.<br />
Il materiale minuto si ammonticchiava<br />
man mano che avveniva la bonifica<br />
ed il mucchio cresceva ogni anno<br />
quando, in seguito ad aratura o zappatura<br />
del terreno emergevano i sassi.<br />
La pezzatura media o quella eccessivamente<br />
grossa veniva usata per<br />
costruire muri di terrazzamenti a soste-<br />
gno dei poderi bonificati e delle strade<br />
di collegamento, mentre il materiale<br />
di una certa dimensione (pietre da<br />
30 a 50 kg circa, ma anche pietre<br />
della dimensione di una pagnotta),<br />
ritenuto idoneo alla trasformazione,<br />
veniva messo ai margini della “muraca”<br />
per essere agevolmente caricato<br />
sui carri e trasportato alla “calchera”<br />
al momento opportuno.<br />
I primi spietramenti probabilmente<br />
sono stati praticati in maniera sistematica<br />
sia che siano avvenuti in funzione<br />
del recupero di suoli per la pratica<br />
agricola, sia che siano avvenuti per<br />
raccogliere materia prima per fare<br />
produzione.<br />
Successivamente lo spietramento<br />
annuale avveniva in genere alla fine<br />
dell’inverno e inizio primavera, cioè<br />
quando si predisponeva il podere alla<br />
semina per mezzo di aratura, vangatura<br />
e zappatura, ma in un qualsiasi<br />
momento dell’anno ogni sasso che<br />
poteva dare fastidio veniva rimosso.<br />
Il trasporto del pietrame alla “calchera”<br />
avveniva in genere in autunno inoltrato,<br />
cioè quando il lavoro dei campi<br />
era finito.<br />
Negli ultimi decenni di attività di produzione<br />
di calce, i “calcaroc”, come<br />
sono chiamati gli abitanti di Ono ed in<br />
particolare coloro che sono stati<br />
addetti alla produzione, per mancanza<br />
di materia prima frutto di bonifiche,<br />
sono stati costretti a raccoglierla direttamente<br />
lungo il greto del torrente Ble,<br />
costantemente alimentato dagli<br />
apporti alluvionali primaverili.<br />
Il lavoro è diventato sicuramente molto
Ono, spazi bonificati e terrazzati Ono, aspetto del suolo coltivabile a bonifica<br />
ultimata<br />
più impegnativo e faticoso ed ha previsto<br />
anche il versamento, alla Chiesa<br />
locale ed alla Comunità, di tasse che<br />
supplissero al depauperamento delle<br />
risorse considerate bene pubblico.<br />
La pausa invernale delle attività agricole<br />
era non solo l’occasione per trasportare<br />
la materia prima alla “calchera”,<br />
ma anche per caricare il forno e<br />
fare le cotture, interventi che necessitavano<br />
di molto tempo e del lavoro di<br />
più persone contemporaneamente.<br />
Dall’autunno inoltrato fino alla fine dell’inverno<br />
veniva preparata anche la<br />
legna necessaria alle cotture dell’inverno<br />
successivo, in modo che avesse<br />
il tempo per seccare.<br />
Se si osserva il territorio boschivo a<br />
monte del borgo di Ono, si scopre<br />
che è costituito quasi esclusivamente<br />
da ceduo di nocciolo, ontano, frassino<br />
e pochi altri tipi di essenze, mentre<br />
sono quasi assenti alberi d’alto fusto<br />
dal tronco robusto, non perché non<br />
possano crescere in quel tipo di<br />
ambiente, ma perché lo stesso bosco<br />
ceduo è il risultato di una precisa scelta<br />
economica fatta in funzione della<br />
cottura del calcare e quindi della produzione<br />
di calce.<br />
Per effettuare le cotture è infatti indispensabile<br />
avere a disposizione una<br />
grande quantità di lunghe fascine di<br />
legna mediamente fine, legate strette<br />
e di un diametro non superiore ai 30<br />
cm, in modo che possano passare<br />
dalla piccola bocca del forno.<br />
Raramente si faceva uso di legna di<br />
grosse dimensioni, che invece serviva<br />
per uso domestico, nei caseifici e per<br />
il riscaldamento delle case, mentre<br />
pali lunghi e diritti, soprattutto di selvatico<br />
di castagno, venivano usati come<br />
sostegni dei filari e pergole di vite,<br />
messa a dimora proprio nei suoli bonificati<br />
nella parte medio bassa della<br />
conoide.<br />
Il ceduo veniva quindi tagliato ogni tre<br />
o quattro anni al massimo in fasce di<br />
proprietà in genere dei proprietari o<br />
conduttori delle calchere stesse, ma<br />
anche in proprietà vicinali, alternando<br />
i tagli in modo da avere ogni anno<br />
disponibilità di legna per almeno una<br />
cottura o più di una a seconda delle<br />
dimensioni delle proprietà e quindi<br />
della disponibilità di legna, di calcare<br />
e di persone addette.<br />
La quantità di legna necessaria per una<br />
cottura variava a seconda delle dimensioni<br />
della fornace e conseguentemente<br />
della quantità di pietra da cuocere.<br />
Per la cottura di 300-350 quintali di pietra<br />
sono necessarie 2000 fascine di<br />
25-30 kg, pari a circa 550 quintali di<br />
legna, quindi il taglio di circa un ettaro<br />
di bosco ceduo. I tempi di cottura<br />
vanno dai 6 agli 8 giorni, per ottenere<br />
250-300 quintali di calcare cotto.<br />
Percorrendo i boschi cedui che per<br />
almeno due millenni sono stati oggetto<br />
di coltivazione e di taglio in funzione<br />
dell’approvvigionamento del combustibile<br />
atto alla cottura dei massi di calcare,<br />
si coglie come gli stessi siano<br />
sgombri quasi totalmente di massi calcarei<br />
di una certa dimensione, dal<br />
momento che hanno, a loro volta, subìto<br />
azione di spietramento e raccolta di<br />
quelli più idonei ad essere trasformati,<br />
Ono, Bosco ceduo, ai margini di spazi bonificati<br />
e coltivati, pronto per essere tagliato<br />
mentre sono stati lasciati al loro posto<br />
quelli di piccole dimensioni.<br />
In quei boschi non esistono quindi le<br />
“murache” e solo raramente si riscontra<br />
la presenza di piccoli cumuli.<br />
Lo spietramento dei boschi ha inoltre<br />
permesso l’attività di pascolo di ovini<br />
ed ha indotto un rigoroso controllo<br />
affinché non avvenisse quello dei<br />
caprini che avrebbe irrimediabilmente<br />
compromesso la ricrescita del ceduo,<br />
dal momento che le capre brucano<br />
qualsiasi fresco germoglio e nuovo<br />
pollone che spunta dai ceppi dopo il<br />
taglio.<br />
Altra constatazione importante è quella<br />
che vede l’esistenza di una fitta rete<br />
viaria non solo in relazione alle aree<br />
coltivate, ma anche a quelle boschive.<br />
Per la raccolta e trasporto delle pietre<br />
nelle aree divenute agricole e per il<br />
trasporto dei prodotti agricoli vi era<br />
bisogno di strade percorribili con carri<br />
trainati da mucche aggiogate o muli e<br />
asini, quindi di certe dimensioni.<br />
Per il trasporto delle lunghe fascine di<br />
legna c’era bisogno di piste lungo le<br />
quali trascinarle a valle con i muli o trasportarle<br />
su carri lunghi (barache) e<br />
dove passare con carri a due ruote<br />
carichi di pietre.<br />
Tutto il lavoro di reperimento, trasporto<br />
del materiale, restauro della fornace,<br />
caricamento, taglio della legna da<br />
ardere, cottura e commercializzazione<br />
del prodotto, veniva fatto dalla<br />
compagine famigliare di tipo esteso,<br />
in un ambiente dove è sopravvissuta<br />
fino quasi ad oggi la famiglia di tipo<br />
patriarcale e nella quale tutti collabo-<br />
27
28<br />
inter lli RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
Ono, bosco ceduo e taglio dello stesso Muri di contenimento e terrazzamento,<br />
costruiti in calcare<br />
ravano all’espletamento di qualsiasi<br />
attività.<br />
Da queste sia pur sintetiche note, si<br />
può dedurre una fitta serie di osservazioni<br />
che permettono di cogliere<br />
come un’antica attività produttiva e<br />
l’uso di un manufatto, come la fornace<br />
per la cottura del calcare, abbia indotto<br />
una serie di modi di pensare, di<br />
azioni, comportamenti ed implicazioni<br />
sociali ed economiche che non solo<br />
hanno condizionato e ritmato la vita di<br />
un borgo, ma anche l’assetto ambientale<br />
e la trasformazione di un territorio.<br />
- Un esteso territorio costellato di pietraie<br />
alluvionali e apparentemente<br />
inutilizzabile, è stato parcellizzato.<br />
- Le parcelle sono state oggetto di<br />
bonifica, quindi sono divenute campi<br />
coltivati a vigna, cereali e successivamente<br />
a granoturco, patate, fagioli,<br />
verze ed altro ancora.<br />
- L’azione di bonifica ha prodotto pietrame<br />
per la costruzione di muri di terrazzamenti,<br />
di confine e “murache”.<br />
- L’azione di bonifica ha indotto la<br />
selezione del pietrame emergente,<br />
(che costituiva oltre il 60% del deposito<br />
alluvionale) in funzione dell’approvvigionamento<br />
delle “calchere”<br />
per la produzione di calce.<br />
- La stessa azione ha costretto a progettare<br />
e realizzare strade percorribili<br />
con carri, slitte e strascichi di un<br />
certo peso, quindi con solidi muri di<br />
sostegno.<br />
- Il bisogno di combustibile di un certo<br />
tipo ha indotto la coltivazione a<br />
bosco ceduo di un esteso pendio<br />
montuoso, relegando quello per<br />
legname d’opera e per riscaldamente<br />
a quote più elevate<br />
- La presenza, a portata di mano, di<br />
una notevole quantità di materia<br />
prima da trasformare ha permesso<br />
produzione di calce per circa 2000<br />
anni per almeno una mezza dozzina<br />
di “calchere”.<br />
- Partendo dal piccolo borgo di Ono,<br />
per 2000 anni è avvenuta la commercializzazione<br />
della calce con la<br />
conseguente distribuzione in quasi<br />
tutta la <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong><br />
- I ritmi lavorativi della gente di Ono<br />
S.Pietro hanno assunto forme e<br />
dimensioni diverse rispetto a quella<br />
degli altri paesi camuni, con conseguenti<br />
implicazioni sociali, culturali<br />
ed economiche.<br />
- Gli interventi sul territorio hanno pro-<br />
dotto un intelligente assetto idro-geologico<br />
che ha scongiurato altre alluvioni<br />
che avrebbero compromesso<br />
la vita del borgo e scovolto<br />
l’organizzazione agraria conseguita<br />
con tanta fatica.<br />
Un manufatto come la “calchera” è<br />
quindi solo l’apparente di una realtà<br />
che implica più approfonditi studi di<br />
archeologia agraria, artigianale, forestale<br />
e sociale, che permettono di<br />
cogliere aspetti della trasformazione<br />
di un territorio a seguito di processi di<br />
rimozione, trasporto e trasformazione<br />
di materiali.<br />
Studiare una “calchera” solo dal punto<br />
di vista architettonico, strutturale e per le<br />
funzioni che ha svolto nel tempo, sarebbe<br />
come studiare un coccio, che alla<br />
fine rischia di restare un oggetto freddo,<br />
inanimato, collocato magari in un<br />
museo chiuso in una vetrina-bara di cristallo<br />
e dal quale non traspare l’uomo<br />
che l’ha prodotto ed usato.<br />
Studiarla nel suo contesto ambientale<br />
e culturale è un modo non solo per<br />
capirne le funzioni, ma anche per<br />
cogliere ciò che è avvenuto nel<br />
tempo, nello spazio e per capire<br />
l’uomo che l’ha costruita e usata.<br />
Ono S.Pietro, visione parziale del territorio che è stato oggetto delle attività di bonifica<br />
agraria, della costruzione delle “murache”, dell’asportazione di pietrame
Comunità Montana<br />
di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong><br />
RegioneLombardia<br />
Consorzio Comuni BIM<br />
di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong><br />
SOCIETÀ DI INTERVENTO<br />
PER LO SVILUPPO<br />
DELLA VALLE CAMONICA<br />
E DEL SEBINO<br />
3 Ottobre<br />
-4-5 ’08<br />
Giornate del patrimonio culturale della<br />
VALLE CAMONICA<br />
www.delbeneedelbello.it
30<br />
RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli Virtus<br />
MONOGRAFIA<br />
Uomo e territorio.<br />
Appunti per una storia della cristia-<br />
nizzazione di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>.<br />
Attraverso i riscontri materiali<br />
Zallot.<br />
Nei primi secoli dell’epoca cristiana la <strong>Valle</strong><br />
<strong>Camonica</strong> risultò estremamente riottosa<br />
all’evangelizzazione e permeata da credenze<br />
e culti pagani.<br />
Permanevano manifestazioni dell’antica religione<br />
naturalistica, vanamente osteggiate da<br />
bolle ed ingiunzioni contro coloro che, come<br />
espresso nel canone del Concilio Turonense<br />
del 567 “ad nescio quas petras aut arbores<br />
aut ad fontes, designata loca gentilium, perpetrare,<br />
quae ad ecclesiae ratione non pertinent”<br />
Restavano inoltre da debellare culti collegati a<br />
divinità pagane.<br />
Giammaria Biemmi nella sua “Istoria di<br />
Brescia” (1748/49), narra che “circa nell’anno<br />
660 una statua di Saturno durava tuttavia<br />
in piedi eretta nella terra di Edolo, alla quale<br />
quei camuni che pertinaci non volevano staccarsi<br />
dalle superstizioni pagane offerivano i<br />
loro sagrifizi e preghiere” Solo l’intervento del<br />
duca di Brescia, che inviò i suoi soldati a smantellare<br />
“quella statua infame” riuscì a cancellare<br />
“interamente ne’ camuni la memoria d’una<br />
tale infamia”.<br />
Anche la statua di Minerva del Santuario di<br />
Spinera, prima di essere sigillata nel materiale<br />
di crollo dell’edificio, incendiato nel V secolo e<br />
sepolto definitivamente da una alluvione nel<br />
XIII, subì una parziale distruzione, con lo sfregio<br />
del volto.<br />
Nel corso del lungo medioevo la sconfitta -faticosa,temporanea<br />
e limitata- delle reminiscenze<br />
eretiche o pagane si manifestò concretamente<br />
nella sovrapposizione di segni cristiani<br />
alle testimonianze avverse, con l’evidente funzione<br />
di esorcizzarle e di ri-sacralizzare, correttamente,<br />
il luogo.<br />
Tale volontà si tradusse nelle piccole croci incise<br />
sulle rocce accanto (o sopra) ai disegni<br />
pagani, nelle santelle erette in prossimità di<br />
presunti luoghi eretici, e nella realizzazione di<br />
vere e proprie chiese costruite a sostituire,<br />
materialmente e simbolicamente, le precedenti<br />
strutture.<br />
Le leggende e le testimonianze, riportate da<br />
storici non sempre attendibili, relative alla sostituzione<br />
di edifici pagani con edifici cristiani<br />
sono state tuttavia spesso confermate dalle<br />
risultanze dei rilevamenti archeologici.<br />
Relativamente al luogo dove sorge la chiesa<br />
di San Clemente sopra Edolo, la tradizione<br />
riportata da don Marotta (1772) “sempre ha<br />
asserto ed asserisce che ivi i pagani adoravano<br />
gli idoli, tra quali un vitello d’oro”.<br />
La pieve romanica di San Siro, a Capo di<br />
Ponte, intitolata al santo evangelizzatore della<br />
<strong>Valle</strong>, sorge sui resti di una precedente chiesa<br />
del VIII/IX secolo che, a sua volta, aveva sostituito<br />
una struttura di culto romano.<br />
Anche la chiesa di Santo Stefano a Cividate,<br />
nella sua originaria e semplice configurazione<br />
risalente all’VIII secolo, si appoggiò ad un<br />
luogo dal quale sono emersi numerosi materiali<br />
di epoca romana, tra cui un’ara votiva. Sul<br />
fianco dell’antichissima chiesetta di San<br />
Michele, sulla sommità del monte sopra Berzo<br />
Inferiore,<br />
era inserita un’ara romana con dedicazione<br />
alle fonti, ora esposta nel Museo Archeologico<br />
di Bergamo.<br />
Le intitolazioni delle chiese citate, e delle molte<br />
dedicate in <strong>Valle</strong> a santi il cui culto è altrettanto<br />
antico, fanno ipotizzare l’introduzione del cristianesimo<br />
da parte dei Longobardi e dei<br />
Franchi.<br />
Solo con i Franchi tuttavia, nella versione cattolica,<br />
esso assunse una diffusione territoriale<br />
significativa, diventando progressivamente la<br />
forma ideologico-religiosa della <strong>Valle</strong>. Tale ipotesi<br />
è ribadita dalla famosa leggenda di Carlo<br />
Magno, tramandata da varie trascrizioni di<br />
molto successive ai fatti: dalla versione riportata<br />
nell’affresco della chiesa di S. Stefano di<br />
Carisolo, datata 1429, alla narrazione del XVI<br />
secolo trascritta da A.Sina; dalla colorita ed<br />
articolata interpretazione di padre Gregorio<br />
Brunelli, del 1689, fino alla redazione del XVIII<br />
secolo conservata in S. Giovanni in Cala,<br />
sopra Lovere, ma copiata da quella scomparsa<br />
di S. Pietro in Such presso Bienno.<br />
La leggenda narra le imprese di Carlo Magno<br />
che, accompagnato da un consistente esercito<br />
e da sette vescovi, percorre l’intera <strong>Valle</strong><br />
<strong>Camonica</strong> espugnando i diversi castelli locali.<br />
Presumibilmente longobardi e dunque ariani,<br />
ma definiti come pagani, eretici e, con una<br />
interpretazione che non è affatto innocua, giudei,<br />
i signori dei castelli camuni si arrendono al<br />
re-santo-eroe, che impone loro la conversione<br />
alla vera fede. La conquista territoriale di Carlo<br />
Magno è descritta con i toni mitici della crociata,<br />
come gloriosa e violenta avanzata della cristianità,<br />
resa visibile e concreta mediante la<br />
costruzione di una chiesa ad ogni tappa.<br />
Tali chiese, cui i vescovi ed i papa concedono<br />
In questa valle<br />
in ogni terra<br />
per minima<br />
che sia<br />
vi sono chiese<br />
(Giovanni da Lezze,1610)<br />
secoli di indulgenze, sono: la SS. Trinità di<br />
Esine, S. Stefano a Cividate Camuno, S.<br />
Lorenzo a Berzo Inferiore, S. Pietro Such a<br />
Bienno, S. Giovanni Battista a Breno, S. Siro e<br />
S. Salvatore a Capo di Ponte, S. Clemente ad<br />
Edolo, S. Brizio a Monno, i SS. Michele e<br />
Giorgio a Davena, S. Alessandro tra Vione e<br />
Temù ed, infine, la SS. Trinità di Ponte di Legno.<br />
Significativamente la serie si apre e chiude con<br />
una chiesa dedicata alla SS. Trinità, titolazione<br />
tipicamente antiariana .<br />
Tutte le chiese citate dalla leggenda, eccetto la<br />
chiesa di San Giovanni Battista di Breno (per<br />
la quale non risultano riscontri) sono effettivamente<br />
presenti. Ovviamente, essendo la trascrizione<br />
della leggenda tarda e dunque successiva<br />
alla realizzazione delle chiese citate, il racconto<br />
registra uno stato di fatto. È tuttavia interessante<br />
segnalare come recenti ricerche documentarie,<br />
scoperte archeologiche ed analisi<br />
dei materiali abbiano confermato ciò che la<br />
leggenda sembra indicare: la fondazione di<br />
tutte le chiese in epoca molto antica, presumibilmente<br />
longobarda o franca.<br />
La SS. Trinità di Esine, per esempio, è citata nel<br />
771 come cappella annessa al castello. Tale<br />
fortezza, la cui memoria è tramandata da<br />
documenti scritti e da riscontri materiali, era abitata<br />
secondo la leggenda da<br />
“Ercole, perfido nemico della Chiesa<br />
Romana”. Racconta Padre Gregorio Brunelli<br />
che questi “perseverando nelle durezze, né<br />
volendo arrendersi, anzi rispondendo con<br />
disprezzo, fu sottomessa la fortezza con le<br />
armi e ucciso il comandante; il forte venne consegnato<br />
a soggetto cattolico, ben affetto ai<br />
galli e alla Chiesa Romana”.<br />
Anche del castello di Berzo, il cui conte accolse<br />
il re Carlo “servendo lui e tutto il seguito con<br />
cortesia e splendidezza, e facendosi senza<br />
indugio cattolico con tutta la sua corte” (Padre<br />
Gregorio Brunelli) è documentata l’esistenza.<br />
In esso sorgeva la già citata chiesetta di S.<br />
Michele, la cui intitolazione rimanda ad una<br />
probabile fondazione longobarda.<br />
La Chiesa di S. Lorenzo, citata nella leggenda,<br />
è collocata più a valle ma sempre all’interno<br />
delle strutture fortificate del castello. Anch’essa,<br />
pure ricostruita nel corso del XV secolo, risale<br />
presumibilmente ad un periodo più antico.<br />
Della chiesa di S. Giovanni Battista a Breno,<br />
fatta costruire da re Carlo nel castello che più<br />
di tutti gli oppose resistenza, non abbiamo
iscontri. Ma nel recinto della fortezza, di<br />
epoca successiva alla vicenda leggendaria,<br />
sono emersi i resti di una chiesetta intitolata a S.<br />
Michele, risalente all’VIII o IX secolo, di presumibile<br />
fondazione franca.<br />
Nonostante l’impegno da Carlo Magno “i<br />
culti topici scacciati dalla pressione militare dei<br />
Franchi dai centri mercantili dove si stabilirono<br />
le chiese battesimali o plebane (…) ripararono<br />
nei siti più romiti, che i posteri chiamarono i<br />
pagà” (1).<br />
Molteplici e varie deviazioni eterodosse continuarono,<br />
nei secoli successivi, ad interessare la<br />
<strong>Valle</strong>, ma solo in particolari congiunture economiche,<br />
politiche e sociali furono percepite<br />
come pericolose.<br />
Ciò avvenne nella seconda metà del 1400 e<br />
nei primi decenni del 1500, quando molti pericoli<br />
sembravano minacciare la vera fede e,<br />
quindi, l’ordine sociale da essa garantito. La<br />
caduta di Costantinopoli (1453) e l’avanzata<br />
dei turchi potevano sembrare lontani, ma la<br />
<strong>Valle</strong>camonica era il confine del Nord (citando<br />
il titolo del volume di Gabriella Ferri<br />
Piccaluga) e dunque esposta ai germi del pensiero<br />
protestante. Eretici e streghe erano perseguitati<br />
da una Inquisizione particolarmente attiva.<br />
Risale al 1485 la denuncia di “molte persone<br />
che conducono vita eretica nel plebanato<br />
di Edolo” (2); gli statuti di <strong>Valle</strong> del 1498 stabiliscono<br />
che “i fautori di maleficio siano arsi<br />
(…) e che chi viene condannato per eresia sia<br />
punito nel corpo, sia attraverso le pene stabilite<br />
dalla legge che attraverso quelle canoniche“<br />
(3). Nel 1518 Marino Sanudo relaziona:<br />
“et sono già stà brusati in Valcamonica in quattro<br />
luoghi circa 64 persone, maschi et femine,<br />
el altrettanti e più ne sono in persone” (4)<br />
denunciando i metodi dell’Inquisizione.<br />
Era inoltre in corso una violenta campagna<br />
anti-ebraica, che costruirà e manipolerà in<br />
modo strumentale la vicenda del Simonino da<br />
Trento (1475).<br />
Entro tale clima, di crisi e di paura, si rivaluta e<br />
si aggiorna la leggenda di Carlo Magno, le<br />
cui trascrizioni sono, come già evidenziato,<br />
successive al XIV secolo. Il santo re, mitizzato e<br />
modernizzato, è evocato come eroe e modello<br />
di una nuova crociata, e supportato da una<br />
schiera di santi-soldato e santi-cavalieri<br />
(Glisente, Defendente, Obizio, Giorgio,<br />
Sebastiano, Maurizio, ecc.) che formano un<br />
ideale esercito al servizio dell’ortodossia, e<br />
che, protagonisti indiscussi degli affreschi quattrocenteschi,<br />
ammoniscono il fedele dalle pareti<br />
delle chiese camune.<br />
Con il Concilio di Trento (1545-1563) e,<br />
soprattutto, in seguito alle disposizioni emanate<br />
da Carlo Borromeo dopo la visita pastorale<br />
del 1580, si assiste ad una progressiva normalizzazione<br />
della religiosità di <strong>Valle</strong>.<br />
Tale normalizzazione persegue il riordino ed il<br />
controllo delle pratiche devozionali, anche<br />
attraverso la revisione dei luoghi entro cui si<br />
manifestano.<br />
Lo spazio della chiesa tradizionale, flessibile<br />
ed adattato al vissuto e all’immaginario religioso<br />
della comunità, viene censurato e ristrutturato<br />
mediante specifici interventi di correzione ed<br />
integrazione, imposti dal visitatore apostolico e<br />
spesso incompresi dai locali.<br />
La chiesa tradizionale presentava una organizzazione<br />
paratattica, sommatoria progressiva di<br />
spazi, altari, cappelle, elementi di arredo ed<br />
immagini accostati in modo apparentemente<br />
casuale ma funzionale ai riti ed alle devozioni.<br />
Tale organizzazione viene depurata, nel tentativo<br />
di recuperare un vano longitudinale simmetrico,<br />
ordinato, gerarchico, prospetticamente<br />
rivolto al presbiterio, coerente contenitore della<br />
liturgia post tridentina. Poiché è spesso difficoltoso<br />
adattare la vecchia chiesa alle nuove<br />
disposizioni, e poiché essa pare oramai di<br />
capienza inadeguata, molti paesi ne intraprendono<br />
la ri-costruzione o sostituzione, adottando<br />
il nuovo modello architettonico.<br />
Si impone pertanto la tipologia che caratterizza<br />
ancor oggi tutti i paesi camuni (e non solo),<br />
dedotta dal modello (colto) della Chiesa del<br />
Gesù di Roma: un’aula unica con cappelle<br />
laterali e presbiterio inquadrati da un telaio<br />
architettonico di ordini classicheggianti, con<br />
coperture a volta.<br />
L’introduzione degli elementi (colonne, lesene,<br />
capitelli, trabeazioni, timpani ecc.) e della sintassi<br />
del linguaggio architettonico aulico e classicheggiante<br />
-introduzione che riguarderà<br />
anche il prospetto principale dell’edificio- costituisce<br />
un elemento di forte rottura rispetto alla<br />
tradizione costruttiva locale e sancisce la disci-<br />
1 Gabriele Rosa, Valcamonica e lago d’Iseo nella storia, Breno 1881, pag 21-22)<br />
2 trascritto da R. Putelli, riportato in R.A.Lorenzi, Medioevo Camuno, pag. 202<br />
3 Comunitatis Valliscamonicae Statuta, in R.A. Lorenzi, Medioevo Camuno, pag. 203<br />
4 I diari di marino Sanudo, in R.A. Lorenzi, Medioevo Camuno, pag. 207<br />
Le citazioni di Padre Gregorio Brunelli sono tratte dai Curiosi Trattenimenti Camuni<br />
plinata sottomissione ad una forma di per se<br />
espressiva dei nuovi valori.<br />
Lo spazio sacro,decisamente longitudinale e<br />
scenografico, prospetticamente indirizzato<br />
all’altare, luminoso e rigorosamente simmetrico,<br />
è progettato secondo uno schema omogeneo<br />
e concluso, che non ammette variazioni ed<br />
integrazioni.<br />
Le nuove chiese si impongono, ancor oggi, a<br />
livello urbano e territoriale: per la dimensione<br />
decisamente fuori scala; per la posizione, scenograficamente<br />
dominante non solo il nucleo<br />
urbano ma anche il territorio e, soprattutto, il<br />
fondovalle; per il colore chiaro dell’intonaco in<br />
un contesto di murature in pietra a vista.<br />
L’intervento di riorganizzazione e regolarizzazione<br />
promosso dalla Controriforma si rileverà<br />
efficace se, nel 1698 Padre Gregorio Brunelli<br />
può affermare che la <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong> “Tutto<br />
che sia regione contigua alla Germania, confinante<br />
a paesi infetti d’heresia, professa intiera<br />
obbedienza, e profonda sottomissione alla<br />
Santa Sede, ed alla dignità pontificia”.<br />
Anche la geografia delle chiese camune si<br />
consolidata e stabilizza, tanto che potremmo<br />
applicare alla <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong> del XVII e XVIII<br />
secolo la famosa citazione di Rodolfo il<br />
Glabro, riferita al fervore costruttivo dell’anno<br />
mille: “Era come se il mondo stesso, scuotendosi,<br />
gettasse via la vecchiaia rivestendosi di un<br />
bianco mantello di chiese”.<br />
Vorrei citare, al termine di questa breve ricostruzione<br />
della storia dell’architettura cristiana<br />
della <strong>Valle</strong>, due recenti interventi significativi per<br />
la loro rilevanza simbolica ed “invadenza” territoriale,<br />
tale da interferire decisamente, e programmaticamente,<br />
nella percezione del paesaggio<br />
camuno.<br />
Si tratta della grande statua del Cristo Re, collocata<br />
nel 1931 sul colle della Maddalena e<br />
della enorme Croce del papa, installata nel<br />
2005 sul dosso dell’Androla, vicino a Cevo.<br />
Entrambe sovrastano panoramicamente il fondovalle<br />
e sembrano ribadirne perentoriamente<br />
la vocazione cristiana, probabilmente percepita<br />
come minacciata dalla contemporanea crisi<br />
di valori.<br />
Ancora dunque, ovviamente con strumenti e<br />
metodi diversi, come Carlo Magno, come<br />
Carlo Borromeo…<br />
La leggenda di Carlo Magno e le sue implicazioni storiche sono state approfondite dal progetto Sulle Orme di Carlo Magno, cui l’Autrice ha partecipato,<br />
realizzato negli anni scolastici 2005/06 e 2006/07 con la partecipazione di 9 scuole di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>, una di Lovere e una di<br />
Carisolo, Tn.<br />
Il progetto, proposto dal MIUR (Ministero Istruzione Università e Ricerca) e supportato dall’IRRE Lombardia, è stato coordinato dal prof. Gianfranco<br />
Bondioni per il CCSS di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>, e realizzato grazie alla collaborazione ed al contributo della Comunità Montana.<br />
Esso ha consentito di realizzare uno studio approfondito del territorio e della sua storia da parte degli studenti locali e una esperienza di turismo<br />
tra pari, in cui gli studenti camuni hanno predisposto i materiali, organizzato l’itinerario turistico ed accompagnato gli studenti provenienti da altre<br />
scuole in visita ai luoghi studiati.<br />
I materiali prodotti e la documentazione dell’esperienza sono consultabili in www.voli.bs.it/ccss/default.htm .<br />
31
32<br />
RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
MONOGRAFIA<br />
Uomo e territorio.<br />
I segni sul terreno<br />
Battista<br />
Sedani.<br />
Le recentissime<br />
foto aeree testimoniano<br />
i<br />
segni che i<br />
secoli del passato<br />
e i giorni<br />
del presente<br />
hanno lasciato<br />
sul terreno della<br />
media <strong>Valle</strong><br />
<strong>Camonica</strong>:<br />
la centuriazione<br />
romana e le
34<br />
RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
“colle lunghe”<br />
che caratterizzano<br />
la piana di<br />
Cividate a fianco<br />
del tortuoso<br />
percorso di<br />
probabile origine<br />
medievale<br />
con i suoi muri<br />
divisori si possono<br />
mettere a<br />
confronto con<br />
le linee sinuose<br />
degli svincoli<br />
della superstrada,<br />
di certo<br />
maggior impatto<br />
ma con una<br />
loro geometrica<br />
logica.
E la storia dell’industrializzazione<br />
ha<br />
lasciato le sue orme<br />
dall’“antico” invaso di<br />
Cogno a quello di<br />
Sellero con la totale<br />
trasformazione dell’area,<br />
le tettoie<br />
“moderne” della trafileria,<br />
il non-luogo abitativo-produttivo<br />
al centro.<br />
Non sempre è facile<br />
individuare, capire o<br />
conoscere il senso della<br />
disposizione di manufatti,<br />
di masse, di strade:<br />
un’immagine può diventare<br />
quasi un disegno o<br />
una sequenza di un film<br />
di fantascienza.<br />
Quanto “bella” o quanto<br />
inquietante lo ricaverà<br />
la sensibilità di ciascuno<br />
dalle foto stesse,<br />
non da altre parole.<br />
35
36<br />
RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
MONOGRAFIA<br />
Uomo e territorio.<br />
Il fiume cattivo e pescoso.<br />
Fatica e festa della “bügada”<br />
Roberto<br />
Andrea Lorenzi.<br />
Fino a tempi<br />
recenti,<br />
Montecchio<br />
Camuno era in<br />
larga misura<br />
un paese fluviale.<br />
Alle sue<br />
spalle, il bosco<br />
dell’antico<br />
“gazzo”<br />
medievale<br />
costituiva un<br />
entroterra economico<br />
essenziale,<br />
ma, accanto<br />
al monte,<br />
comprensibile<br />
soltanto nel<br />
suo rapporto<br />
con il fiume.<br />
Qui l’Oglio nel<br />
suo percorso<br />
camuno slarga<br />
in un’ansa<br />
nella zona<br />
detta del<br />
porto, sulla<br />
quale dà<br />
l’ampia piazza<br />
che conserva<br />
ancora qualche<br />
vestigia<br />
della sua antica<br />
funzione<br />
commerciale.<br />
* Il testo è tratto da Roberto A. Lorenzi, Archivi della<br />
memoria. Storia orale di Montecchio in Valcamonica,<br />
Circolo culturale “Guglielmo Ghislandi”, Breno,<br />
1987, pp. 19-25. Si ringraziano Autore e Editore<br />
per il consenso alla pubblicazione.<br />
A chiudere Piazza del Porto, a monte, correva, fino<br />
agli anni ‘50 del nostro secolo, un portico che si<br />
affacciava sulla stretta strada che congiunge il<br />
paese alla Val Grigna in direzione di Sacca di<br />
Esine, sovrastato da finestrelle e finestre della popolosa<br />
via Mazzini, detta allora Contrada di Sopra.<br />
Dal Medioevo alla fine dell’800, il legname, legato<br />
in cataste, scendeva l’Oglio dalla media<br />
Valcamonica e dalle vallette in essa confluenti per<br />
finire qui, da dove, per lungo tempo inventariato da<br />
un funzionario, proseguiva per Pisogne e oltre l’Iseo,<br />
destinato allo sviluppo urbanistico ed industriale di<br />
Brescia.<br />
Il regime del fiume, fino a tempi assai recenti, è sempre<br />
stato piuttosto irregolare, provocando danni ed<br />
inondazioni stagionali a cui faceva porta<br />
un’arginatura spesso avventizia e tecnicamente<br />
povera che tuttavia assorbiva non poco delle risorse<br />
economiche dei piccoli proprietari-contadini degli<br />
appezzamenti dell’Isola, dei Ronchi, dell’Attola, le<br />
tre zone rurali più esposte al fiume. Alluvioni ed inondazioni<br />
sono ricordate negli archivi e conservate<br />
alla memoria anche più recente dei montecchiesi.
L’acqua inondava campi ed orti<br />
nella sua salita dall’alveo del fiume<br />
fino alla Contrada di Sotto, l’attuale<br />
via Cavour. Le cantine ed i fondachi,<br />
anche quelli di carbone e carbonella<br />
dell’agglomerato urbanisticamente<br />
più intricato, quello tra la<br />
Contrada di Sopra e la Contrada di<br />
Sotto, inondati stagionalmente<br />
anche più volte, richiedevano poi<br />
alcuni giorni per essere ripuliti e<br />
svuotati dal fango e dai detriti.<br />
Talvolta le inondazioni assumevano<br />
il carattere di vere e proprie alluvioni<br />
devastatrici.<br />
Le testimonianze orali giudicano<br />
ancora oggi come particolarmenterovinose<br />
le inondazioni-alluvioni del<br />
1926 e del 1960, quest’ultima,<br />
ricorda Adele Ducoli, “la più grande”,<br />
che “così grossa non l’ho mai<br />
vista”. La prima interessò in modo<br />
particolare la campagna dell’Attola,<br />
posta nella zona pianeggiante ai<br />
confini di Boario ed Angone. 1<br />
Aveva rotto tutti gli argini / aveva<br />
portato via tutto. Era autunno. I<br />
danni erano tanti / è stata una rovina<br />
per tutta la gente / abbiamo<br />
dovuto pagare gli argini. Il governo<br />
aveva mandato i saldi / me lo diceva<br />
la mia povera mamma / era sicu-<br />
ra che li aveva mandati / e Baccoli<br />
e Piazza e compagnia bella, che<br />
erano giù in casa comunale, li<br />
hanno mangiati fuori tutti e gli argini<br />
li abbiamo dovuti pagare noi. È<br />
stata la rovina di tutto il paese, perfino<br />
[de]i. Cré. 2 Noi ne avevamo più<br />
di tutti [di terreni] / erano dietro al<br />
Monticolo. Non sono stati molto<br />
danneggiati e abbiamo dovuto<br />
pagare di più. Ce n’erano di I°, di<br />
II° e di III° 3 / quelli vicino al fiume<br />
sono stati più danneggiati e hanno<br />
pagato di meno / chi era lontano<br />
ha pagato di più / a noi hanno<br />
imposto forse quindici o sedicimilalire<br />
[di] allora. A decidere le quote<br />
era il Baccoli 4 / la gente allora era<br />
povera / non c’erano soldi / allora<br />
non ce n’erano. Erano tutti in fastidio<br />
/ hanno fatto i debiti / i più sono<br />
andati in malora / i Giàne 5 sono<br />
andati in malora / noi siamo andati<br />
in malora. Erano disoccupati tutti e<br />
due i figli: mio fratello Chèco, che è<br />
morto, e íl Pierì, che adesso abita a<br />
Darfo. Disoccupati. E cosi abbiamo<br />
dovuto vendere tutta quella campagna<br />
per una stupidata, perché un<br />
po’ avevamo pagato, ma... La campagna<br />
del Colleoni 6 era tutta nostra<br />
/ ce la siamo mangiata tutta per le<br />
àrche 7 / metà avevamo pagato /<br />
[per] l’altra metà non ce la sentivamo<br />
più. Avevamo preso seimilalire<br />
per tutta quella campagna / poi lui 8<br />
doveva finire di pagare / aveva<br />
ancora sei o settemilalire per pagare<br />
le àrche. Se loro 9 davano i soldi<br />
appena erano arrivati dal governo,<br />
gli argini sarebbero stati pagati /<br />
invece così è stato un disastro:<br />
erano tutti pieni di debiti, i contadini.<br />
Alcuni riuscivano a farcela: vendevano<br />
la vacchetta / era povera gente<br />
quella di una volta. I terreni venivano<br />
acquistati anche da gente di<br />
fuori.<br />
I danni del fiume, dunque, oltre ad<br />
essere immediati, comportavano<br />
l’impoverimento improvviso e stabile<br />
di diverse famiglie contadine di piccoli<br />
proprietari, l’accaparramento a<br />
basso costo dei terreni da parte di<br />
speculatori e nuovi ricchi e politicanti,<br />
recriminazioni reciproche derivate<br />
da reali o presunti favoritismi che<br />
contribuivano ad incrinare la tradizionale<br />
solidarietà del villaggio,<br />
dovuta soprattutto a forti parentele<br />
claniche, come dimostra la fitta frequenza<br />
di pochi cognomi.<br />
1 Intervista ad Adele Ducoli e Italo Soardi<br />
2 Cré è soprannome (scotöm) di una famiglia Chiminelli, abitante in Contrada di Sopra, l’attuale via Mazzini.<br />
3 di I°, II°, III°: il riferimento è alla stima dei terreni in relazione alla dislocazione e alla loro capacità produttiva.<br />
4 Guido Baccoli, primo podestà fascista del Comune di Darfo.<br />
5 Giàne: altro scotum (soprannome) di una famiglia Ducoli di Montecchio, originaria di Breno dove tradizionalmente i suoi membri maschi<br />
facevano i casari.<br />
6 Si tratta di terreni dislocati in Attola, la vasta piana alluvionale dell’Oglio che si stende tra Montecchio, Boario - allora contrada di<br />
Montecchio - e Angone di Darfo.<br />
7 le àrche: con questo termine si designano le arginature del fiume Oglio.<br />
8 Presumibilmente l’acquirente.<br />
9 Cioè gli amministratori comunali.<br />
37
38<br />
RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
Un’altra testimone ricorda un’altra<br />
alluvione, quella del ‘29, particolarmente<br />
grave perché investì nuovamente<br />
anche l’assetto del monte.<br />
Niente di straordinario, dunque, se<br />
può confonderla con l’analoga ma<br />
più dannosa alluvione del ‘26. 10<br />
A proposito del fiume, mi ricordo<br />
quando è venuta l’alluvione del ‘29<br />
[‘261 e nella stessa notte è venuta<br />
anche la frana, la Rovinazza 11 e tutto<br />
il paese era scappato a rifugiarsi lì,<br />
al Castèl 12 , che era il punto più alto:<br />
la gente scappava così com’era, in<br />
camicia [da notte] e mutande. La<br />
piena del fiume aveva portato gravi<br />
conseguenze alla campagna del<br />
paese, ché gli argini non c’erano<br />
ancora 13 . Dopo l’alluvione hanno<br />
fatto un consorzio per la costruzione<br />
delle arche, e come in tutti questi<br />
enti, anche lì ci sono state delle<br />
ruberie a danno dei poveri diavoli,<br />
dei contadini. I costi degli argini,<br />
che all’inizio erano stati accettati dai<br />
contadini, sono stati sempre più<br />
aumentati, di diversi milioni, e molti<br />
hanno dovuto vendere i terreni per<br />
poter pagare le cartelle-tratte che<br />
ogni due mesi venivano consegnate<br />
dagli esattori. Mi ricordo che mia<br />
madre aveva ereditato nel ‘22 un<br />
pezzo di terreno del valore di undicimilalire<br />
e ha dovuto pagarne tredicimila<br />
come sua quota per gli argini.<br />
Oppure c’era gente che doveva vendere<br />
le bestie, e se erano pregne<br />
era meglio, che venivano pagate di<br />
più. Questa storia è continuata per<br />
anni ed anni. I dirigenti del consorzio<br />
erano un certo Baccoli e Pegurri 14 e<br />
altri che non ricordo. I poveri pagavano<br />
e loro mangiavano.<br />
Vendere il campo o pagare le esorbitanti<br />
tratte dell’esattore, vendere la<br />
vacca, preziosa fonte di nutrimento<br />
e simbolo di un certo povero agio,<br />
fare i conti con una forma di associazionismo<br />
- il consorzio arginativo<br />
- che contrastava fortemente con la<br />
cultura individualistica del piccolo<br />
proprietario, sottoporsi a pagamenti<br />
addirittura superiori al valore del<br />
fondo, pur di mantenere la proprietà,<br />
ingrassare con i propri campi e le<br />
proprie bestie vendute i nuovi signori<br />
della politica del regime fascista.<br />
Tutte queste durezze si collocavano<br />
dentro la costante storia di sacrifici e<br />
miserie dalla quale il contadino<br />
della montagna riteneva non poter<br />
riemergere, perché i poveri sono<br />
sempre quelli che pagano. E “gli<br />
altri” mangiano.<br />
Anche il fiume era vissuto “da sempre”<br />
così, come una fatalità della<br />
natura primitiva e distruttrice, un elemento<br />
irrequieto di essa che si trattava<br />
non tanto di piegare, quanto piuttosto<br />
di giocare. Le sue disastrose<br />
scadenze sono diacronicamente e<br />
puntualmente ricordate e passate ai<br />
posteri dalle brevi cronache dei parroci<br />
montecchiesi, dall’ultimo ventennio<br />
dell’800 al 1960.<br />
Nella disgrazia, tra i resti e i danni<br />
del disastro fluviale rammemorato a<br />
lunga distanza, fa la sua comparsa<br />
talvolta una nota salace e divertita,<br />
perché la vita comunque continua e<br />
il mondo va avanti.<br />
15 ( ...) il 28 maggio 1926: è venuta<br />
giù la rovina / e mi ricordo che noi,<br />
dopo aver liberato le bestie, ci<br />
siamo rifugiati dai Mora, che veniva
su il fiume e non si vedeva più niente:<br />
e la luce era saltata, tutta la<br />
gente scappava e si era rifugiata<br />
qui, dal prete. C’era il povero<br />
Provino che per la fretta aveva<br />
messo una giacca per calzoni e siccome<br />
non usava mutande si vedeva<br />
tutto il panorama del didietro.<br />
* * *<br />
Ma nell’economia di sussistenza<br />
che per secoli caratterizzò la vita di<br />
Montecchio di Darfo, addirittura per<br />
diversi anni oltre l’insediamento industriale<br />
nel territorio del comune e<br />
della parrocchia, il fiume svolgeva<br />
anche una funzione riequilibratrice<br />
importante, considerato, com’era,<br />
luogo e proprietà di tutti, quasi “res<br />
nullius”. Nei lunghi periodi della<br />
fame contadina - annualmente puntuali,<br />
di durata epocale - qui si<br />
pescava di frodo, nei modi leciti ed<br />
illeciti, fino all’uso della dinamite in<br />
tempi più recenti 16 .<br />
Trote ed anguille costituivano la ricca fauna delle<br />
acque fluviali, mentre i gamberi potevano essere<br />
presi con le nude mani nei fossati, tra le bosche<br />
e i salici dell’habitat fluviale 17. .<br />
La pesca ufficiale, regolarmente consentita, era<br />
invece prerogativa di una famiglia del vasto clan<br />
dei Do, i Do-pescadúr, e veniva effettuata pressocché<br />
tutto l’anno su un largo tratto di fiume, da<br />
Esine, villaggio a nord di Montecchio, al Ponte<br />
Barcotto, diversi chilometri a sud del paese 18 .Il<br />
naèt, piccola imbarcazione munita di rete e<br />
adatta al percorso venturoso del fiume, veniva<br />
fatto risalire via terra da Montecchio a Esine con<br />
l’aiuto di un carretto trainato dal cavallo di un<br />
Pedersoli, carrettiere “ufficiale” assieme ai fratelli,<br />
membri anche loro di un altro numeroso clan<br />
le cui famiglie, come consuetudine, si distinguevano<br />
l’una dall’altra grazie all’uso di soprannomi<br />
(scotöm) 19 . Da Esine il pescadúr scendeva il<br />
fiume fino alla sua confluenza nell’Iseo, all’altezza<br />
di Ponte Barcotto. Il Pedersoli, intanto, aveva<br />
raggiunto il posto ancora con cavallo e carretto.<br />
Ancora con il loro aiuto il naèt ritornava via<br />
terra a Montecchio, attraversando però la<br />
piana fluviale che da Piano porta alla terra bresciana<br />
di Pisogne.<br />
In Pisogne e<br />
via via per tutti<br />
i paesi successivi<br />
che si<br />
incontrano sul<br />
tracciato verso<br />
Montecchio, il<br />
pesce veniva<br />
venduto, fresco<br />
e a buon<br />
mercato.<br />
Valentina<br />
Pedersoli, figlia<br />
del carrettiere,<br />
ricorda ancora<br />
la sorella<br />
Angelina, più<br />
grande di lei,<br />
che aiutava il<br />
padre a caricare<br />
il barcone<br />
del pescatore<br />
sul carretto.<br />
10 Intervista a Valentina Pedersoli e Pini Squazzoni<br />
11 È una delle cinque valli torrentizie che dal monte precipitano sui Ronchi e gli<br />
orti (Rzíle e Ciós) montecchiesi.<br />
12 Si tratta del rilievo del Castelletto, nei confini montecchiesi.<br />
13 L’informatrice pensa qui a più moderne e funzionali arginature successive, le<br />
arche, appunto, che tuttavia non sempre ressero l’impeto del fiume.<br />
14 Il Pegurri fu caporione fascista nel Comune di Darf o negli anni ‘20-’40.<br />
15 Intervista a Tomaso Pedersoli.<br />
16 Intervista a Marino Pedersoli.<br />
17 Ibidem e Intervista a Lisa Pedersoli e ad altre; Intervista a Carlo Pedersoli-<br />
Pèita.<br />
18 Interviste a Valentina Pedersoli e Pini Squazzoni; intervista a Mansueta Mora<br />
e Bice Chiminelli; intervista a Carlo Pedersoli-Pèita; intervista a Giulia Bonetti-<br />
Pescadúra.<br />
19 Interviste a Valentina Pedersoli e Pini Squazzoni, a Mansueta Mora e Bice<br />
Chiminelli, a Giulia Bonetti•Pescadúra.<br />
39
40<br />
RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
La famiglia dei Do-pescadúr esercitava<br />
da tempo immemorabile la professione<br />
di pescatore-venditore, una<br />
professione custodita e difesa gelosamente<br />
come una prerogativa famigliare:<br />
nessuna altra famiglia la sostituì<br />
mai in questa attività. Da parte<br />
loro, i carrettieri Pedersoli venivano<br />
ricompensati dai Do, per i loro servizi,<br />
in natura: ricevevano una parte<br />
del pesce pescato, mentre la vendita<br />
del pesce anche ai paesani continuava<br />
a rimanere una prerogativa<br />
di carattere monopolistico, universalmente<br />
accettata, dei Do-pescadúr.<br />
20 Pescavano bel pesce / anguille e<br />
di tutto. Avevano ceste lunghe così,<br />
sempre piene di pesce. Le donne<br />
del paese andavano a comprarlo /<br />
era la loro risorsa / andavano a<br />
prendere il pesce / non costava<br />
troppo caro. Loro [cioè i Do] sono<br />
sempre stati pescatori / avrò avuto<br />
8 o 10 o 12 anni / sono sempre<br />
stati pescatori, loro. La loro mamma<br />
era pescadúra anche lei.<br />
La pesca, dunque, attività saltuaria e<br />
talvolta fraudolenta per i più, assurgeva<br />
a mestiere, a dignitosa attività<br />
artigianale per la famiglia dei Dopescadúr.<br />
Solo il pescadúr possedeva<br />
le reti e solo a lui era consentito<br />
possederle: la licenza e il naèt<br />
richiedevano infatti un investimento<br />
di capitali che, per quanto modesto,<br />
era largamente al di fuori della portata<br />
dei più, soprattutto in una società<br />
in cui il denaro circolava ancora<br />
assai poco: I Pedersoli, carrettieri e<br />
cavallanti, integravano gli introiti<br />
della loro specifica attività facendo<br />
da spalla al pescadúr. Funzionava,<br />
inoltre, in questa piccola comunità di<br />
parrocchia fluviale e semi-montana,<br />
una sorta di principio della economicità<br />
dei mestieri: dall’attività di<br />
pesca nell’Oglio, nonostante le conclamate<br />
pesche miracolose, poteva<br />
trarre sostegno una sola famiglia,<br />
quella dei Do, appunto.<br />
Almeno ogni venerdì, dai 12 ai 60<br />
anni, ogni buon cristiano di<br />
Montecchio - cioè in buona sostanza<br />
tutta la popolazione, ché gli<br />
inconfessi si contarono per lungo<br />
tempo su alcune dita di una sola<br />
mano - onorava il precetto del<br />
magro, consumando il pesce comperato<br />
dai Do.<br />
La figlia del carrettiere, la Valentina,<br />
lo ricorda con chiarezza, e vi<br />
aggiunge una annotazione piena di<br />
rimandi:<br />
Il venerdì si mangiava sempre<br />
pesce, ché era di magro / ma lo<br />
era quasi sempre di magro, ché la<br />
carne la si vedeva poco poco.<br />
***<br />
Due volte l’anno l’aspetto del fiume<br />
si trasformava. Si era nel tempo di<br />
primavera, sotto la Pasqua, o in ottobre,<br />
dopo la vendemmia. Sulle rive<br />
del fiume arrivavano tutte le donne<br />
del paese per l’ultima operazione<br />
della bügàda. Le donne, cariche di<br />
pesanti ceste di vimini e munite del<br />
bankí 21 avevano già predisposto<br />
con un lavoro pesante e paziente la<br />
biancheria che sarebbe ora stata<br />
sciacquata nell’Oglio.<br />
Dopo la fase preliminare della strofinatura<br />
avevano proceduto alla<br />
rébuìda, la bollitura della biancheria<br />
con lisciva di cenere, effettuata tre o<br />
quattro volte nel giro di due o tre<br />
giorni. Ora risciacquano al fiume,<br />
per stendere poi sulle funi nei prati la<br />
biancheria di famiglia. La Pierina<br />
Pedersoli 22 ricorda ancora con un<br />
certo orgoglio quando da giovane,<br />
in servizio al Caffé, che era allora<br />
l’unica locanda del paese, faceva<br />
lavanda all’Oglio, anche lei munita<br />
di bankí come tutte, ma più carica<br />
delle altre, piegata sotto le ceste<br />
dell’alberghetto. Con i tratti brevi e<br />
asciutti del suo stile comunicativo, la<br />
Adele Ducoli racconta:<br />
(...) ognuna nella sua casa avevano<br />
tutte i loro attrezzi, le loro rébuíde<br />
23 .” Andavano all’Oglio a risciac-
quare e poi in estate “en ge cüráa<br />
ne prendevamo cura: mettevamo la<br />
biancheria su le gère dell’Oglio 24 e<br />
dopo con il secchio prendevamo la<br />
acqua / le spruzzavamo / e quando<br />
erano asciutte le bagnavamo<br />
ancora / così diventavano belle<br />
bianche 25 .<br />
Con più precisione descrittiva si presenta<br />
la ricostruzione orale della<br />
Valentina, che spiega minutamente<br />
l’intera “cura” della biancheria:<br />
Ah, chèi lenzói! Una volta non<br />
c’erano le lavatrici e allora la biancheria<br />
grossa si lavava due volte<br />
l’anno / si faceva la bügàda. Tutte<br />
le donne del paese erano impegnate<br />
a lavare in quei giorni. Il lavoro<br />
durava tre giorni: si metteva la biancheria<br />
in enormi mastelli, i sòi, poi si<br />
faceva bollire con la cenere e al<br />
terzo [giorno] si andava al fiume a<br />
risciacquarli. Poi per farli diventare<br />
bei bianchi, che allora non c’erano<br />
tutti ‘ste detersivi, si stendevano al<br />
sole. Tutte le gère dell’Oglio erano<br />
occupate per queste operazioni.<br />
Qui le lenzuola<br />
venivano<br />
continuamente<br />
bagnate<br />
con<br />
l’annaffiatoio, ‘l<br />
sbrufí, e ci<br />
stavano<br />
anche una<br />
settimana<br />
così distese /<br />
dipendeva se<br />
erano più o<br />
meno sporche.<br />
Al risciacquo<br />
della bügàda,<br />
dunque, le<br />
donne si<br />
davano convegnogenerale.<br />
Era un’occasione rara per lunghe<br />
chiacchierate, racconti di avvenimenti,<br />
di malattie, informazioni su<br />
nati, morti, sposati e invalidati, emigrati<br />
e rimpatriati, consigli reciproci<br />
su rimedi, rimpianti e rassegnazioni.<br />
Uno spazio tutto femminile di pesante<br />
lavoro, ma insieme di rara libertà<br />
fabulatrice, dove, come ancora rimpiange<br />
l’Adele, se ne potevano fare<br />
“de bèle e de pie ; bèle”.<br />
20 Intervista a Valentina Pedersoli e Pinì Squazzoni.<br />
21 Intervista a Pierina Pedersoli. Il bankí è l’asse per lavare i panni, naturalmente in legno.<br />
22 Ibidem.<br />
23 rébuìde: qui sta ad indicare la biancheria più volte fatta bollire in acqua e cenere.<br />
24 gère: sono dette le secche sulla sponda del fiume, ciottolose e talvolta sabbiose.<br />
25 L’uso del genere femminile è giustificato dal fatto che l’informatrice qui pensa alle lenzuola, la biancheria più importante della bügada.<br />
41
42<br />
RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
MONOGRAFIA<br />
Uomo e territorio.<br />
Sui tracciati rogazionali.<br />
A proposito di patrimonio intangibile<br />
storico-culturale<br />
Carlo<br />
Cominelli.
PREMESSA<br />
Le rogazioni, processioni itineranti per la campagna, appartengono<br />
alle litanie minori nella liturgia ordinaria cattolica e<br />
come tali sono state interpretate (e in parte lo sono ancora)<br />
in ogni paese, ogni parrocchia, almeno fino allo spegnersi<br />
della società premoderna, con le sue attività agricole e<br />
pastorali.<br />
Rinviando ad altri, 1 l’approfondimento dell’apparato dottrinale<br />
e le considerazioni sull’origine e la storia di questo<br />
importante costume religioso, intendo qui argomentare, nel<br />
quadro delle operazioni di salvaguardia dei bei culturali<br />
immateriali, sulla necessità di conservare i tracciati rogazionali,<br />
ovvero i percorsi che, anno dopo anno, venivano reiterati<br />
dalla processione durante i tre giorni delle celebrazioni,<br />
lunedì, martedì e mercoledì prima della festa<br />
dell’Ascensione, all’interno di una più vasta necessità di salvaguardare<br />
i percorsi, in genere, delle celebrazioni collettive<br />
rurali.<br />
NATURA CONFINARIA DELLE<br />
PROCESSIONI<br />
Le processioni si sviluppano a partire dalla chiesa parrocchiale,<br />
seguendo approssimativamente i medesimi percorsi,<br />
nel tempo, lungo il contado. Di fatto essi si snodano in tre<br />
opposte direzioni che dal centro del borgo si allungano<br />
verso la campagna ed i confini del paese, fermandosi ad<br />
edicole, crocicchi, o in luoghi altri sanciti dalla tradizione<br />
locale, al fine di benedire la campagna orientando la<br />
croce verso i campi coltivati, sotto l’occhio vigile dei proprietari;<br />
o almeno, pare così si facesse in Valcamonica.<br />
In questi percorsi si seguono tracciati talvolta accidentati, su<br />
stretti sentieri o attraverso campi falciati per l’occasione, 2 talvolta<br />
si procede sulle vie primarie di collegamento tra<br />
paesi. Il moto collettivo, con pause e segnature lungo la<br />
campagna, riprende di fatto, nel gesto e nei i ritmi, le consuetudini<br />
della tracciatura dei confini con le strade percorse,<br />
3 che portano fattivamente verso i limiti territoriali del<br />
paese.<br />
Tutto questo, in coerenza con l’origine storica delle rogazioni,<br />
4 non deve essere colto in contraddizione o in sovrapposizione<br />
al significato di richiesta di aiuto divino a protezione<br />
dalle calamità. Infatti nella percezione dei partecipanti<br />
al rito, la modalità di protezione si concretizza nell’erezione<br />
“divina” di confini, nella “divina” riconferma di questi.<br />
Così per la peste, che viene da fuori, così per la grandine<br />
e per tutte le disgrazie che incombono sul mondo agro-silvopastorale.<br />
La presenza di confini è lo strumento indispensabile<br />
per la protezione, come la consapevolezza di questi<br />
è il dato implicito ed inderogabile alla percezione collettiva<br />
del territorio, nelle sue parti, nelle sue funzioni, nella sua<br />
integrità.<br />
Credenze, memorie, significati in un borgo sottintendono e<br />
si esplicano attraverso questa specifica percezione del territorio,<br />
tramite una geografia invisibile ma condivisa, che da<br />
una prima generale accezione di interno-esterno, si articola<br />
in ulteriori valenze e sottointesi che significano la memoria<br />
collettiva del borgo. Tra i modi di trasmissione e riaffermazione<br />
di tale geografia, del territorio percepito e sottointeso,<br />
dobbiamo necessariamente considerare il momento<br />
collettivo, condiviso, sacrale della rogazione nel suo complesso<br />
girovagare per il contado.<br />
UN ESEMPIO DI MAPPATURA<br />
ESPLICATIVA: VALLE DI SAVIORE<br />
In questa mappa 1:10000 sono stati riprodotti i tre tracciati<br />
rogazionali, come raccolti presso gli anziani del paese di<br />
<strong>Valle</strong> in Valsaviore, nel corso di alcune interviste nell’anno<br />
2005.<br />
Per proseguire l’argomentazione, faremo riferimento solo<br />
alla seconda rogazione tracciata con evidenziate almeno<br />
tre postazioni di sosta. In realtà è probabile che molte altre<br />
fossero le stazioni del percorso, ma per questa breve analisi<br />
potranno essere sufficienti questi riferimenti. Anzitutto è<br />
bene notare che la terza rogazione si allontana dal paese<br />
percorrendo la strada che collega direttamente <strong>Valle</strong> a<br />
Ponte e su cui muoveva, dall’altro capo, anche la rogazione<br />
di Ponte. Il confine dei due territori si colloca qualche<br />
1 AA. VV., Rogazioni e processioni nell’arco alpino, “Annali di S. Michele”, 14, 2001, Trento Tip. Alcione.<br />
2 C. Cominelli et alii, “La mandragora nell’immaginario della Valcamonica”, in Eleusis, Museo Civico di Rovereto, 8, 2005, pp. 3-42.<br />
3 O. Franzoni e G. C. Sgabussi, Segni di Confine, Breno, Banca di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>, 1996.<br />
4 AA. VV., Rogazioni e processioni nell’arco alpino, “Annali di S. Michele”, 14, 2001, Trento Tip. Alcione, pp. 31-37.<br />
43
44<br />
RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
centinaio di metri oltre la grande volta<br />
della rogazione di <strong>Valle</strong>. Tale confine<br />
è segnato da un’edicola che non<br />
viene raggiunta, neppure dalla processione<br />
di Ponte, che si ferma a circa<br />
duecento metri<br />
Per le caratteristiche orografiche dell’area<br />
le due processioni non possono<br />
vedersi pur marciando a poche centinaia<br />
di metri. È evidente come i due<br />
tracciati, pur sottintendendo una marcia<br />
all’edicola confinaria, non prevedono<br />
contatto, comunque sempre<br />
deprecabile, visti i contenziosi territoriali<br />
potenzialmente in essere tra le<br />
comunità confinanti. Conflitti intracomunitari,<br />
comunque, potevano accendersi<br />
e basta osservare la frammentazione<br />
del territorio, la quantità di particelle<br />
catastali confinanti attraversate dalla<br />
processione per arguire la facile possibilità<br />
di riaccensione di contenziosi.<br />
Il primo bollino nella rappresentazione<br />
indica un punto di sosta ancora tra le<br />
case, di fronte ad un muro dove è affisso<br />
un curioso golgota costituito da<br />
sette piccole croci lignee, sei minori ed<br />
una maggiore, nei pressi del cimitero.<br />
In altra sede ho riferito circa la possibile<br />
natura dell’icona, 5 connettendola<br />
direttamente alla devozione del paese<br />
verso la cappella dei morti di Tole,<br />
posta fuori dal paese a circa 1800<br />
metri di altitudine s.l.m. Si tratta questa<br />
di un’interessantissima beatificazione<br />
vox populi, verso cinque ragazzi travolti<br />
da una slavina alla metà del<br />
diciannovesimo secolo, ancora oggi<br />
sostenuta e accesa di una straordinaria<br />
vitalità. Tale devozione passata<br />
attraverso significative evoluzioni, costituisce<br />
parte integrante dell’identità di<br />
<strong>Valle</strong> e viene qui ad essere richiamata<br />
ed ascritta anche al moto rogazionale,<br />
con una sosta, che significa anche<br />
implicitamente, trasmissione dell’importante<br />
memoria e la sua conservazione.<br />
Da quando le rogazioni non si<br />
fanno più, infatti, si sta progressivamente<br />
confondendo il significato anche di<br />
quelle strane croci e l’incoerenza simbolica<br />
(sette croci per cinque ragazzi),<br />
caratteristica della devozione, si mantiene<br />
nella decodifica personale, individuale<br />
verrebbe da dire, del simbolo.<br />
Qualcuno afferma l’esistenza di altri sei<br />
martiri da affiancare ai cinque di Tole.<br />
La tappa appena successiva riguarda<br />
il cimitero di <strong>Valle</strong> di Saviore. Nessuna<br />
rogazione può in questi luoghi dimenticare<br />
un passo per il camposanto. Del<br />
resto perfino il ritorno del sole in paese,<br />
dopo l’Epifania, veniva celebrato con<br />
la recita di un rosario “particolare” al<br />
cimitero. Comunque il coinvolgimento<br />
dei morti nella percezione del cammino<br />
rogazionale è scontato ed indispensabile,<br />
6 la rogazione si fa “assieme” ai<br />
morti, chi non fa la rogazione da vivo<br />
la farà comunque da morto.<br />
Non è un caso che su questo tracciato,<br />
dove è più presente la partecipazione<br />
dei morti, con la loro indubbia<br />
carica identitaria, viene inaugurato dai<br />
morti miracolosi di Tole, irraggiungibili<br />
per distanza ed altezza dalle rogazioni<br />
più recenti e qui richiamati nel percorso<br />
ma fuori, per status, dal cimitero.<br />
Non va assolutamente dimenticato<br />
che i morti miracolosi di Tole appartengono<br />
idealmente alla grande tradizione<br />
dei morti miracolosi di peste,<br />
le cui edicole costituiscono punto<br />
devozionale, extra limen, al di fuori<br />
del cimitero e condiviso quindi con<br />
altre comunità.<br />
Non va nemmeno dimenticato lo status<br />
ambiguo dei morti miracolosi, gli anonimi<br />
e collettivi agenti di grazie e contemporaneamente<br />
i parenti più prossimi ai<br />
“confinati”, gli spiriti senza pace della<br />
tradizione pre-purgatoriale alpina.<br />
Propri i morti di Tole sono al centro di<br />
narrazioni che li identificano coi confinati,<br />
come nel lancio di pietre sopra le<br />
baracche in montagna. Difatti si è pure<br />
notato che in Valcamonica la seconda<br />
rogazione contempla tradizionalmente<br />
il passaggio confinario verso le cappelle<br />
dei morti di peste o i luoghi dove si<br />
ritiene fossero stati sepolti e talvolta fossero<br />
stati fisicamente relegati gli appestati.<br />
Dato che andrebbe più sistematicamente<br />
accertato.<br />
Poi, la rogazione ora esce dall’abitato:<br />
“questa me la raccontò il nonno di<br />
<strong>Valle</strong>, una bella figura di vecchietto<br />
arzillo, di quei tipi che raccolgono in<br />
sé tutto il patrimonio ideale del paese<br />
ed hanno sempre sulla bocca il richiamo<br />
ai tempi antichi. A quei tempi le<br />
5 C. Cominelli “Il morto riconoscente”, in atti convegno La dimensione spirituale della montagna -Lovere-2003 (in corso di stampa).<br />
6 C. Cominelli, P. Merlin, “Vivere e morire all’ombra della Sorlina”, in AA. VV., Estremo die, Craac Padova, Imprimitur, 2006, pp. 9-47.
case erano tutte sparse e quella si<br />
chiamava la casa del gobbo. Una<br />
notte venne l’orso a sfondare la porta<br />
e la gente ne fuggì impaurita. Una<br />
figliola, pazza del terrore,si mise a correre<br />
giù pei campi inseguita dalla<br />
fiera. Laggiù dove la strada si innalza<br />
un po’ sulla roccia la fanciulla cadde<br />
e l’orso la sbranò. Se è passato ancora<br />
d’inverno quando nevicava avrà<br />
osservato che la neve non ci si ferma<br />
mai [...].” 7<br />
La memoria saviorese, probabilmente<br />
e grazie all’edizione di Morandini,<br />
risulta una delle più nota in <strong>Valle</strong>, spesso<br />
ricordata in pubblicazioni anche<br />
recenti e recentissime. I ruderi della<br />
Co’ del gobb (Casa del gobbo),<br />
come dice la parlata saviorese, sono<br />
ancora lì, indicati da un cartello.<br />
Recandosi sul luogo ci si accorge che<br />
la rogazione prende a salire facendo<br />
boa proprio al muro della casa, che<br />
ospita pure un cippo confinario, e<br />
lascia l’arteria <strong>Valle</strong> – Ponte per arrancare<br />
su un sentierino. Ecco che la casa<br />
del gobbo appare punto confinario,<br />
estremo limite dell’abitato e aperto<br />
alla dimensione del selvatico come<br />
denuncia il toponimo della località<br />
dove la rogazione inizierà a rientrare<br />
verso il paese, i selvòcc, i luoghi selvatici,<br />
per l’appunto. Si nota, dunque,<br />
che la proiezione del territorio sulla<br />
memoria folclorica inizia ad illuminare<br />
valenze certamente condivise dai narratori<br />
ed ascoltatori locali, che oltre ad<br />
assicurarne la trasmissione proprio nel<br />
reiterarne annualmente l’incontro,<br />
durante la rogazione la arricchiscono<br />
di significati. Valenze geografiche<br />
inconoscibili dai lettori non del luogo e<br />
valenze ulteriori, strettamente connesse<br />
e veicolate da quelle geografiche.<br />
Cosa avrà combinato la famiglia del<br />
gobbo (già la condizione del deforme<br />
qualche sospetto lo aveva celato)<br />
per essere esclusa dalla comunità,<br />
confinata, lì a ridosso del selvatico?<br />
Poi la roccia ancora oggi calda<br />
del sangue della ragazza, cosa sottintende,<br />
in quella morte oltre il confine<br />
dell’abitato?<br />
Senza voler andare oltre la proposta e<br />
facendo rapida chiusura, lascio che la<br />
rogazione di <strong>Valle</strong> torni verso il paese<br />
e la sua parrocchiale.<br />
IN PROVVISORIA<br />
CONCLUSIONE<br />
Proprio il relativo moltiplicarsi di raccolte<br />
ed antologie folkloriche sembra<br />
richiamare la necessità di dotarsi<br />
di strumenti di proiezione della<br />
percezione del territorio di una<br />
comunità.<br />
Tale territorio percepito si articola in<br />
dimensioni silenziose ma imprescindibili.<br />
Dove comincia il selvatico?<br />
Dove finiscono gli orti? Fin dove è<br />
lecito muoversi nottetempo? Questo<br />
ce lo restituisce proprio una rappresentazione<br />
del territorio, condivisa,<br />
talvolta mutevole ma più spesso<br />
costante, il territorio tracciato dalle<br />
processioni e delle rogazioni in particolare.<br />
Così anche l’importazione sul territorio<br />
di una narrazione, il suo “rialloggiamento”<br />
diviene importante: troviamo<br />
ovunque quella dei pè de cavra,<br />
ma a <strong>Valle</strong> dove si colloca? Perché?<br />
S. Carlo è passato ovunque, sempre<br />
a benedire, sempre col suo asino, ma<br />
perchè a Pontasio 8 va alle miniere<br />
come a Corteno?<br />
Si può andar oltre. Si è altrove argomentato<br />
9 , che una delle chiavi, nel<br />
racconto degli accadimenti, della validazione<br />
dei fenomeni straordinari o<br />
inconsueti per le genti dei borghi indagati,<br />
oltre la riconduzione a topoi noti,<br />
fu certamente la corretta collocazione<br />
sul territorio e nel tempo sopra gli assi<br />
cronogeografici che si specificano<br />
attraverso la percezione del territorio,<br />
anche e soprattutto nel suo essere<br />
ribadito annualmente.<br />
Così la processione dei morti deve<br />
essere notturna e il Bis esterno al circuito<br />
rogazionale per essere creduto<br />
vero. Così è credibile che la casa del<br />
gobbo sia stata assalita dall’Orso, la<br />
notte e fuori il limen delle processioni.<br />
Nel prezioso tentativo di salvaguardare<br />
l’intangibile, posto d’eccellenza<br />
deve essere la trascrizione e la mappatura<br />
del momento identitario per eccellenza<br />
dei singoli borghi alpini, le rogazioni<br />
o meglio le processioni come per<br />
esse, spesso enfaticamente, si diceva.<br />
7 A. Morandini, Folklore in Valcamonica, Breno, 1927, pp. 55-56.<br />
8 C. Cominelli, P. P. Merlin “Salti, confini,forre”, in U. Sansoni et alii Il segno minore, Ed. del Centro camuno di studi preistorici,<br />
Capodiponte 2001, pp. 165-170.<br />
9 C. Cominelli, “L’immaginario popolare della strega”, relazione tenuta al convegno nazionale “Donne tra forza e maledizione”,<br />
Falconara marittima, 2005.<br />
45
46<br />
RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
Personaggio.<br />
Ottone Penzig (1856-1929),<br />
naturalista e botanico, europeo<br />
nell’anima, camuno per<br />
elezione.<br />
Franca<br />
Avancini<br />
Pezzotti.<br />
Negli ultimi decenni dell’Ottocento a Breno, intorno a<br />
Francesco Ballardini e Paolo Prudenzini, i pionieri<br />
dell’alpinismo camuno, si era creato un ambiente in<br />
un certo senso cosmopolita.Paolo Prudenzini era<br />
in contatto con alcuni tra i più conosciuti alpinistiscienziati<br />
italiani ed europei ed era ininterrotto lo scambio di informazioni<br />
sulla topografia e quindi sulla cartografia, di osservazioni<br />
sui ghiacciai, sulle rocce, sulla flora della nostra <strong>Valle</strong>.<br />
D’altra parte l’esplorazione delle nostre montagne, soprattutto del<br />
Gruppo dell’Adamello, era cominciata proprio ad opera di geologi,<br />
glaciologi, naturalisti provenienti dalla Germania e dall’Austria:<br />
tra gli scienziati che avevano studiato le nostre montagne uno dei<br />
più conosciuti fu senza dubbio Wilhelm Salomon che nel 1888<br />
aveva cominciato la ricognizione geologica dell’Adamello continuando<br />
poi per anni a percorrere la nostra <strong>Valle</strong> in lungo e in largo.<br />
Nella prefazione alla sua grande pubblicazione Die Adamello<br />
Gruppe, uscita a Vienna tra il 1908 e il 1910, Salomon ringraziava<br />
quanti in <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong> lo avevano “sostenuto con l’ospitalità,<br />
con informazioni e comunicazioni di osservazioni“; tra questi naturalmente<br />
c’erano Francesco Ballardini e Paolo Prudenzini e spiccava<br />
anche il nome del professor Penzig che veniva citato anche<br />
come “il prof. Penzig di Losine“.
In realtà<br />
l’insigne studioso<br />
di<br />
botanica che<br />
Salomon collocava<br />
a<br />
Losine, vi era<br />
arrivato da<br />
lontano; egli<br />
poi divenne<br />
“camuno“ a<br />
pieno diritto<br />
e la sua attività<br />
di animatore<br />
della<br />
ricerca naturalistica<br />
nell’ambito<br />
bresciano,<br />
è considerata<br />
ancora<br />
oggi fondamentale.<br />
Otto Penzig si presentò così nello scritto<br />
steso in occasione della laurea, conseguita<br />
il 24 settembre 1877 presso<br />
l’università di Breslau, oggi Wroclaw,<br />
passata dalla Germania alla Polonia<br />
nel 1945: Io, Otto Penzig, di confessione<br />
evangelica, figlio del Diacono<br />
Superiore Ludwig Penzig,(morto a<br />
Liegnitz nel 1872) e di sua moglie<br />
Bertha (morta a Breslau nel 1871) nacqui<br />
il 25 marzo 1856 a Samitz (circondario<br />
di Haynau) in Slesia. Ebbi la mia<br />
prima istruzione nella scuola preparatoria<br />
del ginnasio di santa Elisabetta in<br />
Breslau, ma la mia ulteriore educazione<br />
continuò, negli anni 1864-74, nel ginnasio<br />
statale di Liegnitz, dove nella<br />
pasqua del’74 ottenni l’attestato di<br />
maturità. Nello stesso termine fui immatricolato<br />
all’Università“.<br />
La sua dissertazione costituì l’inizio di<br />
una attività di ricerca che continuò per<br />
cinquant’anni e che fu scandita da una<br />
lunghissima serie di pubblicazioni e da<br />
innumerevoli riconoscimenti di università<br />
e di società scientifiche di tutto il mondo.<br />
Il giovane Penzig aveva cominciato la<br />
sua carriera come assistente a<br />
Karlsruhe nel Baden ma ben presto la<br />
sua salute lo aveva costretto a cercare<br />
il clima<br />
mite della Costa Azzurra. Così egli trascorse<br />
alcuni mesi a Mentone e, dopo<br />
essersi ristabilito, entrò nel Laboratorio<br />
Crittogamico dell’Università di Pavia; in<br />
seguito passò a Padova dove divenne<br />
amico e collaboratore di un grande<br />
maestro, il trevigiano Pierandrea Saccardo, micologo<br />
di fama mondiale, famoso per aver classificato in una<br />
pubblicazione in 25 volumi le 70.000 specie di funghi<br />
allora conosciuti. Nel 1882, l’anno nel quale<br />
l’Italia allo scopo di uscire dall’isolamento internazionale,<br />
aveva stretto la Triplice Alleanza con la<br />
Germania e l’Austria -Ungheria, Otto Penzig -divenuto<br />
Ottone Penzig- ottenne la cittadinanza italiana e la<br />
libera docenza; l’anno successivo vinse il concorso<br />
per l’incarico di direttore della Regia Stazione Agraria<br />
di Modena e nel 1886 conseguì, sempre per concorso,<br />
la cattedra di botanica presso l’università di<br />
Genova che tenne per oltre quarant’anni, fino alla<br />
morte. Ben presto le sue ricerche e le pubblicazioni lo<br />
fecero conoscere ed apprezzare negli ambienti scientifici<br />
non soltanto italiani; nel 1887 vinse il concorso<br />
bandito dal Ministero dell’Agricoltura per una monografia<br />
sugli agrumi“ Studi botanici sugli agrumi e sulle<br />
piante affini “. L’opera era accompagnata da un atlante<br />
con 58 tavole disegnate e incise da lui; come in<br />
tutte le sua pubblicazioni, anche in questa tanto le<br />
descrizioni dei particolari anatomici quanto i disegni<br />
lasciavano intravedere la sua fede nella “intelligenza<br />
della natura“ che caratterizzò tutta la sua lunga attività<br />
di scienziato.<br />
Nel 1884 Ottone Penzig sposò Lucia, figlia di Pietro<br />
Antonio Ottini, appartenente ad una delle famiglie<br />
brenesi che si erano distinte durante gli anni delle lotte<br />
risorgimentali, e di Adele Griffi i cui antenati, alleati<br />
con la grande casata dei Ronchi, erano stati a capo<br />
dei guelfi di <strong>Valle</strong> amonica nel contrasto secolare con<br />
i ghibellini Federici. Divenuto quindi a pieno titolo cittadino<br />
della Camunia, il professore entrò nella cerchia<br />
degli amici di Paolo Prudenzini che gli comunicò<br />
l’amore per le nostre montagne e cominciò a trascorrere<br />
le vacanze estive a Losine nell’antica casa Griffi,<br />
partecipando alle ascensioni organizzate dagli amici<br />
47
48<br />
RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
brenesi mentre nel contempo studiava<br />
e classificava la flora delle nostre montagne,fissandone<br />
anche le denominazioni<br />
dialettali o raccoglieva i fossili,<br />
numerosi tra le rocce e i ghiaioni della<br />
Concarena<br />
Nei primi anni del suo soggiorno italiano<br />
il giovane professore aveva conosciuto<br />
sir Thomas Hanbury, il gentiluomo<br />
inglese appassionato di botanica<br />
che aveva fondato alla Mortola, vicino<br />
a Ventimiglia, il giardino di acclimatazione<br />
ancora oggi famoso,dove aveva<br />
raccolto un gran numero di piante tropicali.<br />
La conoscenza divenne stretta collaborazione<br />
e poi viva amicizia tanto<br />
che Hanbury fece costruire a proprie<br />
spese dentro il recinto del vecchio Orto<br />
Botanico di Genova tutta la struttura del<br />
nuovo Istituto di Botanica che fu inaugurato<br />
nel 1892 e la direzione del quale<br />
fu affidata al professor Penzig. I più<br />
conosciuti tra gli scienziati del mondo,<br />
entrati in corrispondenza con lui, gli<br />
inviavano collezioni di piante, erbari,<br />
preparazioni microscopiche che arricchirono<br />
in misura notevole l’istituto stesso;<br />
in questi stessi anni egli fondò e<br />
diresse “Malpighia“ che restò per<br />
lungo tempo la più importante rivista di<br />
botanica in Italia e contemporaneamente<br />
si dedicò anche allo studio della<br />
storia della botanica, pubblicando e<br />
commentando antichi erbari.<br />
Fin dalla sua prima giovinezza il professor<br />
Penzig aveva sviluppato dentro di<br />
sé la capacità, propria dei grandi viaggiatori,<br />
di stupirsi di fronte ai grandi e<br />
piccoli spettacoli della natura, attitudine<br />
che lo accompagnò sempre, sia nelle<br />
sue escursioni tra le nostre montagne<br />
sia nei grandi viaggi di esplorazione.<br />
Contro l’opinione corrente negli<br />
ambienti scientifici, in uno dei suoi primi<br />
scritti aveva infatti sostenuto che gli<br />
oggetti e i fenomeni analizzati e studiati<br />
dal naturalista, non potevano allonta-<br />
narlo “dalla pura contemplazione<br />
della natura“ perché “anche al più<br />
minuto e scrupoloso esame“ essa non<br />
poteva mostrare altro che delle forme<br />
“belle ed armoniose“.<br />
In un certo senso è possibile intuire un<br />
legame profondo tra lo scienziato<br />
Ottone Penzig e il più grande poeta in<br />
lingua tedesca, Johann Wolfgang<br />
Goethe. Goethe volentieri abbandonava<br />
Weimar e gli impegni di governo<br />
–era uno dei principali collaboratori<br />
del sovrano del piccolo ducato- e si<br />
recava a Jena dove frequentava<br />
docenti di discipline scientifiche; durante<br />
il viaggio in Italia tra il 1786 e il<br />
1788, nei giardini dell’orto Botanico di<br />
Palermo andava alla ricerca della<br />
Urpflanze, la pianta primigenia. Per<br />
Goethe che aveva pubblicato nel<br />
1790 un saggio sulle metamorfosi<br />
delle piante e che 20 anni più tardi<br />
avrebbe composto una lunga lirica<br />
su questo argomento, Die Metamorphosen<br />
der Pflanzen (Le metramorfosi<br />
delle piante), la natura che pure<br />
lavora in una infinità di forme, segue<br />
un archetipo di grande semplicità,<br />
una forma originaria, una originaria<br />
forza che compenetra e modella<br />
come principio unitario le diverse<br />
parti della singola pianta e le diverse<br />
piante (tutte le forme sono simlii e<br />
nessuna somiglia alle altre / e così<br />
il coro accenna a una legge segreta<br />
/ a un enigma sacro…) e proprio<br />
questa intuizione del poeta preparava<br />
la via ad una ricerca organica,<br />
dinamica che permettesse di cogliere<br />
il complesso della realtà nel suo<br />
movimento vitale generato proprio<br />
dalla forza immanente nella natura<br />
stessa.<br />
Nei primi anni ‘90 Ottone Penzig si<br />
dedicò ai grandi viaggi nelle regioni<br />
tropicali ed equatoriali. Lo troviamo in<br />
Eritrea nel 1891 dove classificò circa<br />
700 specie, ne scoprì di nuove e portò<br />
in Italia numerosi esemplari tanto che la<br />
Società Geografica Italiana premiò il<br />
suo lavoro con una medaglia; poi, tra il<br />
1896 e il 1897 egli compì il lungo<br />
viaggio a Ceylon, Sumatra, Giava.<br />
Questa esplorazione fu considerata<br />
l’opus maximum della sua attività di<br />
scienziato: si trattava di verificare lo<br />
stato del ripopolamento arboreo<br />
sulla piccola isola di Krakatoa dove<br />
nel 1883 l’esplosione del vulcano<br />
omonimo -una delle più violente degli<br />
ultimi secoli- aveva completamente<br />
ricoperto di lava, di ceneri, di pomici<br />
tutta l’isola distruggendo ogni traccia<br />
di flora e fauna.<br />
Da questi grandi viaggi lo studioso<br />
portò non soltanto una gran messe di<br />
dati e numerosissimi esemplari per il<br />
suo Istituto, ma anche tutta una serie di<br />
vivacissime impressioni di viaggio, di<br />
ricordi, di descrizioni paesistiche, di<br />
notazioni sui costumi e sulle usanze di<br />
popoli allora tanto lontani dalla cultura<br />
occidentale .<br />
Nel 1901 moriva, giovane ancora, la<br />
sposa Lucia. Gli restavano le figlie<br />
Adele e Berta, gli erano vicini gli amici,<br />
la sua attività di docente e di scienziato<br />
procedeva serena, ricca di riconoscimenti<br />
e di soddisfazioni: egli, che era<br />
stato nominato preside della facoltà,<br />
partecipava a congressi e convegni,<br />
continuava a pubblicare libri, studi, articoli<br />
in italiano, in francese, in inglese, in<br />
tedesco, in latino, disegnava le bellissime<br />
tavole colorate che comparivano<br />
nelle pubblicazioni stesse. Durante i<br />
soggiorni in <strong>Valle</strong> Ottone Penzig volentieri<br />
impiegava le sua capacità di scienziato<br />
anche nell’acclimatare piante<br />
esotiche nei giardini dei suoi amici, continuava<br />
a raccogliere piante e fiori<br />
delle nostre montagne e nel contempo<br />
si dedicava alla preparazione di un<br />
erbario camuno. Il suo legame con la
<strong>Valle</strong> si era inoltre ancora rafforzato<br />
poiché nel 1907 la figlia Adele aveva<br />
sposato l’avvocato Maffeo Gheza<br />
che evidentemente condivideva la passione<br />
del suocero: la villa Gheza di<br />
Pian di Borno era circondata da un<br />
giardino ricco di agavi e palme perfettamente<br />
acclimatate mentre più in alto<br />
le viti prosperavano su terreni sassosi.<br />
Egli aveva anche contribuito all’ideazione<br />
di un altro giardino esotico, quello<br />
della grande villa moresca di Breno<br />
che Maffeo Gheza, fattosi architetto,<br />
aveva immaginato nel corso di lunghi<br />
anni, sviluppando negli innumerevoli<br />
disegni, custoditi dal nipote Maurizio<br />
Castagna, l’insieme e i particolari di un<br />
complesso straordinario che però fu<br />
realizzato quando ormai Ottone<br />
Penzig era morto da alcuni anni.<br />
Apparentemente il secolo appena iniziato<br />
non aveva portato cambiamenti<br />
nell’Europa di allora le cui certezze e il<br />
cui ottimismo erano sorretti dalla fede<br />
nelle conquiste della scienza e dall’orgoglio<br />
di importanti realizzazioni, quali<br />
i primi grandi impianti idroelettrici, la<br />
telegrafia senza fili, lo sviluppo delle<br />
strade ferrate e i trafori che permettevano<br />
di collegare rapidamente i due versanti<br />
delle Alpi. In realtà nei vari stati<br />
una specie di inquietudine cominciò ad<br />
affiorare nell’opinione pubblica, si<br />
cominciò dovunque a parlare di “sacro<br />
egoismo“, il patriottismo divenne nazionalismo<br />
acceso e l’orizzonte politico<br />
del continente cominciò ad essere turbato<br />
da crisi internazionali ricorrenti . Il<br />
28 giugno 1914 un terrorista serbo<br />
uccise l’erede al trono dell’Austria-<br />
Ungheria e in meno di un mese gli stati<br />
europei precipitarono nel primo conflitto<br />
mondiale della storia.<br />
L’elenco delle pubblicazioni di Ottone<br />
Penzig presenta uno iato dal 1916 al<br />
1921. Pur essendo cittadino italiano da<br />
più di 30 anni, pur avendo dato innumerevoli<br />
prove di amore e lealtà per<br />
l’Italia, dovette interrompere la sua attività<br />
accademica e scientifica.<br />
Nonostante i numerosi riconoscimenti<br />
internazionali per la sua attività scientifica,<br />
gli che aveva ottenuto che l’amico<br />
sir Thomas Hanbury donasse<br />
all’Università di Genova l’edificio e le<br />
attrezzature del nuovo istituto di botanica,<br />
nel novembre del 1917 fu sospeso<br />
dall’insegnamento su pressione degli<br />
ambienti nazionalisti e si stabilì a Pian<br />
di Borno presso il genero Maffeo<br />
Gheza; qualche mese dopo, nel<br />
marzo del 1918 , fu costretto a lasciare<br />
la <strong>Valle</strong>, troppo vicina alle zone di<br />
operazioni e fu mandato a Bagni di<br />
Lucca, in una sorta di confino.<br />
A guerra finita, il professor Penzig riprese<br />
la sua attività e nel 1924 pubblicò<br />
la sua “Flora popolare italiana“,<br />
un’opera di 1156 pagine: nel primo<br />
volume presentava piante e fiori comuni<br />
in Italia catalogati con il nome scientifico<br />
e con le denominazioni dialettali<br />
proprie delle varie zone delle singole<br />
regioni italiane, mentre nel secondo<br />
elencava in ordine alfabetico, disposti<br />
su 3 colonne, i vari nomi dialettali, la<br />
regione in cui essi erano usati, la denominazione<br />
scientifica. L’opera era nata<br />
non soltanto dalla consultazione dei<br />
testi che compaiono nella bibliografia,<br />
ma anche dalla frequentazione<br />
costante dei vari ambienti e noi oggi,<br />
scorrendo il testo, intravediamo sullo<br />
sfondo le innumerevoli escursioni tra i<br />
nostri boschi e le ascensioni sulle nostre<br />
cime, le domande incessanti rivolte ai<br />
nostri mandriani e ai nostri contadini, le<br />
conversazioni intorno al fuoco dentro<br />
una baita o al riparo di un masso<br />
durante i temporali estivi, tutto l’amore<br />
per lo spettacolo di bellezza che le<br />
nostre montagne avevano offerto ad<br />
un uomo che era stato capace di<br />
accoglierne il dono.<br />
Nel febbraio del 1928 morì Berta, la<br />
figlia carissima che gli era stata vicina<br />
per lunghi anni quale collaboratrice<br />
indispensabile dopo che egli era stato<br />
colpito da una grave malattia agli<br />
occhi.<br />
Ottone Penzig si spense un anno<br />
dopo, il 6 marzo 1929.<br />
49
50<br />
RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
Rubrica. Tesi di laurea<br />
La <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong> nelle parole<br />
dei suoi laureati.<br />
a cura di:<br />
Sara Marazzani.<br />
Il rapporto primario dell’uomo con l’ambiente nel quale vive, diversificato per caratteristiche naturali e vocazioni economiche,<br />
si risolve e si misura nei differenti esiti sociali e produttivi che ne derivano. Allo stesso modo la trasformazione<br />
di un territorio, degli abitanti e del rapporto che li lega, coinvolge elementi naturali e culturali diversificando paesaggi<br />
e costruzioni, determinando gli assetti comunitari e dando origine a complessi sistemi di convivenza. L’analisi di<br />
ognuno di questi aspetti dovrebbe guidare le diverse occasioni che stanno alla base dell’urgenza contemporanea di<br />
tutela dell’ambiente, di recupero dei segni lasciati dall’uomo e di riorganizzazione delle aree.<br />
I brevi accenni ai lavori di ricerca che seguono, premiati al Convegno Spazio Giovani, propongono alcuni casi locali<br />
affrontati con metodi di ricerca e presupposti non unitari e, tracciando in parte le ragioni del dinamismo uomo-teritorio,<br />
ne presentano possibili scenari futuri: si va dalla mappatura di modelli costruttivi antichi tra prassi storiche e archeologiche<br />
all’individuazione delle risorse naturali e del loro conseguente sfruttamento, ai piani di conservazione e valorizzazione<br />
di siti abbandonati o trascurati.<br />
ANNA ALICE LEONI,<br />
L’EDILIZIA RELIGIOSA<br />
MEDIEVALE IN VALLE<br />
CAMONICA (BS),<br />
tesi di laurea in Archeologia<br />
Medioevale, Università degli Studi<br />
di Bologna<br />
La tesi è rivolta all’architettura religiosa<br />
di epoca medievale conservata in<br />
<strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>. Intento preposto al<br />
progetto era la redazione di un catalogo<br />
esaustivo delle emergenze medievali<br />
conservate in alzato o nel sottosuolo,<br />
attraverso la ricognizione autoptica<br />
di 130 complessi architettonici, individuati<br />
tramite la letteratura storico – artistica<br />
e le fonti edite, al fine di creare un<br />
database delle apparecchiature murarie<br />
e delle aperture.<br />
I dati raccolti sono stati utilizzati per<br />
la costruzione di una cronotipologia<br />
delle murature e degli elementi strutturali<br />
al fine di delineare un quadro<br />
evolutivo dell’edilizia religiosa<br />
camuna, la cui datazione, in assenza<br />
di fonti documentarie certe, era<br />
finora basata esclusivamente sul criterio<br />
dell’analogia stilistica.<br />
Tra i molti risultati ottenuti, tra cui la<br />
collocazione cronologica di alcuni<br />
edifici e il riconoscimento di 12 complessi<br />
architettonici, che conservano<br />
resti medievali non documentati<br />
dalla letteratura storico – artistica, è<br />
da sottolineare la redazione di un<br />
inventario delle strutture superstiti e<br />
dello stato in cui esse vertono, strumento<br />
necessario per la tutela di un<br />
patrimonio spesso trascurato.<br />
CRISTINA COMININI,<br />
CASE DI VISO IN<br />
VALLE CAMONICA.<br />
ARCHITETTURA<br />
RURALE E CULTURA<br />
MATERIALE DI UN<br />
COMPLESSO<br />
PASCOLIVO,<br />
tesi di laurea in Conservazione dei<br />
Beni Culturali, Università degli studi<br />
di Parma<br />
L’architettura rurale, così intrinsecamente<br />
legata alla terra e, le culture<br />
materiali, che da quest’ultima scaturiscono,<br />
vogliono essere in questo<br />
lavoro approfondite focalizzando<br />
l’attenzione sia su aspetti prettamente<br />
tecnici ma, soprattutto, facendo<br />
emergere il vissuto di tutti coloro che<br />
hanno contribuito ad accrescere la<br />
storia di un popolo.<br />
L’economia prettamente pastorale e la<br />
ricchezza insita nell’abbondanza di<br />
pascoli e boschi, ha indotto la popolazione<br />
di questi centri a sfruttare, per<br />
alcuni mesi, le vallate a monte dei<br />
paesi per sopperire all’insufficienza di
foraggio nel fondovalle. Partendo da<br />
questa necessità, nasce la pratica dell’alpeggio<br />
e della monticazione del<br />
bestiame che, si concretizza, nella realizzazione<br />
di edifici temporanei che<br />
diventano punto di riferimento per la<br />
vita in quota.<br />
In quest’ottica si collocano i complessi<br />
pascolivi di Pirli e soprattutto di Case di<br />
Viso grazie ai quali si sono potuti indagare<br />
molteplici aspetti per giungere ad<br />
una comprensione più profonda di ciò<br />
che un luogo e un modo di abitare<br />
può riflettere. Grazie all’analisi dell’architettura<br />
rurale presente, legata a rigorosi<br />
criteri di funzionalità, che ne hanno<br />
permesso e motivato la permanenza<br />
per secoli senza profonde alterazioni,<br />
sono emersi una serie di aspetti di cultura<br />
materiale che hanno caratterizzato<br />
questi villaggi d’altura.<br />
MICHELA GUERINI,<br />
MALEGNO AL TEMPO<br />
DEI CANALI.<br />
PERCORSO TRA TER-<br />
RITORIO E STORIA,<br />
tesi di laurea in Scienze<br />
Geografiche, Università degli Studi<br />
di Bologna<br />
Fonte di vita e di energia, l’acqua, e in<br />
particolar modo l’acqua del torrente<br />
Lanico che scende dalla sovrastante<br />
<strong>Valle</strong> di Lozio, ha permesso all’uomo di<br />
insediarsi in questo territorio e di sviluppare<br />
le sue attività lavorative. Altri<br />
esempi di questo legame che unisce<br />
l’uomo all’acqua sono presenti in molti<br />
centri della <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong> i quali<br />
potrebbero costituire tutti insieme una<br />
vera e propria “Civiltà d’acqua di <strong>Valle</strong><br />
<strong>Camonica</strong>”.<br />
Questa tesi ricostruisce in prospettiva<br />
storica, dalle ipotizzate origini fino ad<br />
oggi, le peculiari attività locali dipendenti<br />
dalla forza meccanica dell’acqua<br />
e ne coglie l’evoluzione e i riflessi<br />
sulla comunità: un contributo alla conoscenza<br />
delle radici proto industriali del<br />
paese e della sua evoluzione nel<br />
tempo fino ai giorni nostri. A tal fine<br />
sono stati analizzati da vicino i luoghi e<br />
i mestieri che hanno contribuito al costituirsi<br />
dell’identità locale, radicata nelle<br />
tradizioni culturali, e hanno posto le<br />
premesse dello sviluppo economico e<br />
sociale del paese. Lo si può pertanto<br />
definire uno studio della “cultura materiale<br />
dell’acqua”.<br />
LUISA CENI,<br />
GEOMETRIA E PAE-<br />
SAGGIO. PROGETTO<br />
DI VALORIZZAZIONE<br />
DEL PARCO DEL<br />
LAGO MORO A<br />
DARFO BOARIO<br />
TERME, tesi di laurea in<br />
Architettura, Politecnico di Milano<br />
Ciò che l’uomo ha modificato nel territorio<br />
è da considerarsi come un insieme<br />
da rapportare alle risorse naturali<br />
circostanti, che ne hanno determinato<br />
la scelta del luogo ma la cui funzione<br />
è fortemente cambiata. Gli elementi<br />
distintivi di questi territori naturali hanno<br />
perso infatti nel corso del tempo interesse<br />
da parte degli abitanti locali, non<br />
essendo più votati alla pastorizia o alla<br />
coltivazione, venendo dimenticati. Essi<br />
fanno però parte intrinsecamente della<br />
storia del luogo e possono essere reintegrati<br />
ricostruendo la storica relazione<br />
tra l’abitato e l’ambiente circostante.<br />
L’intento principale del progetto è quello<br />
di proporre una valorizzazione dell’ambiente<br />
del Parco, attraverso la salvaguardia<br />
degli elementi naturali ed<br />
antropici che caratterizzano il territorio<br />
e la risignificazione dei luoghi. Il progetto<br />
si articola attraverso un sistema in<br />
sequenza di elementi progettuali che<br />
rappresentano i punti di appoggio per<br />
la creazione di una nuova massa critica,<br />
da connettere con l’abitato, costituita<br />
dagli ambiti del parco messi in collegamento<br />
tra loro. Questa sequenza si<br />
colloca nel paesaggio tracciando un<br />
itinerario biunivoco che dal Lago<br />
Moro, di forte rilevanza paesaggistica,<br />
giunge nel punto di incontro tra<br />
l’abitato e l’emergenza orografica.<br />
51
52<br />
RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
Rubrica. Musica<br />
Musica e canto popolare<br />
in <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>.<br />
Un tesoro perduto?<br />
Un popolo,<br />
mettetelo in<br />
catene,<br />
spogliatelo,<br />
è ancora libero<br />
Piercarlo<br />
Gatti.<br />
Levategli il lavoro<br />
levategli il passaporto<br />
il tavolo dove<br />
mangia<br />
il letto dove<br />
dorme<br />
è ancora ricco<br />
Un popolo<br />
diventa povero<br />
quando gli rubano<br />
le canzoni<br />
imparate dai<br />
padri:<br />
allora è perso,<br />
per sempre.<br />
Ignazio Buttita<br />
Per parlare di musica e canto popolare<br />
è necessario prima definire con<br />
chiarezza di cosa si sta parlando.<br />
Spulciando qua e là tra Storie della<br />
Musica ed Enciclopedie varie ricaviamo<br />
che: .<br />
Dall’analisi dello sterminato repertorio<br />
si desume che generalmente la<br />
musica popolare è caratterizzata da<br />
un messaggio sonoro immediato e<br />
orecchiabile e da una struttura formale<br />
e compositiva poco elaborata.<br />
Eseguita da membri di una comunità<br />
privi di una formazione musicale<br />
specialistica, la musica popolare è<br />
spesso legata ai cicli delle stagioni,<br />
ad eventi chiave dell’esistenza<br />
umana, ad attività come la pratica<br />
religiosa o il lavoro, ed è pertanto<br />
l’espressione musicale in cui la<br />
comunità più si riconosce. Come<br />
abbiamo già detto essa subisce<br />
l’influsso della musica colta e della<br />
cultura alta, ma spesso si comporta<br />
come una sorta di deposito in grado<br />
di conservare, per lunghi periodi,<br />
caratteristiche musicali più antiche.<br />
Nel passaggio da un esecutore<br />
all’altro, una musica popolare tende<br />
a modificarsi in seguito a interventi<br />
creativi, imperfezioni della memoria,<br />
valori estetici diversi e contaminazioni<br />
con altre composizioni o tradizioni<br />
musicali. Una musica popolare<br />
genera così delle varianti, che possono<br />
trasformarsi nel corso del<br />
tempo e creare a loro volta composizioni<br />
la cui forma rende ormai irriconoscibile<br />
la composizione originaria.<br />
Vengono in mente le parole di<br />
Marcel Proust:<br />
Non disprezzate la musica popolare.<br />
Siccome essa si suona e si canta<br />
molto più appassionatamente di<br />
quella “colta” a poco a poco essa
si è riempita del sogno e delle lacrime<br />
degli uomini. Per questo vi sia<br />
rispettabile.<br />
Il suo posto è immenso nella storia<br />
sentimentale della società. Il ritornello<br />
che un orecchio fine ed educato<br />
rifiuterebbe di ascoltare, ha ricevuto<br />
il tesoro di migliaia di anime, conserva<br />
il segreto di migliaia di vite di cui<br />
fu l’ispirazione, la consolazione sempre<br />
pronta, la grazia e l’idea.<br />
Ogni commento mi pare superfluo!<br />
Veniamo dunque alla nostra <strong>Valle</strong> e<br />
alle sue tradizioni musicali.<br />
Storicamente sappiamo che il<br />
Romanticismo ha portato un particolare<br />
interesse da parte degli intellettuali<br />
verso la cultura popolare. Dalla<br />
seconda metà dell’800 cominciarono<br />
ad essere realizzate pubblicazioni<br />
dedicate alle tradizioni e ai canti<br />
popolari, contenenti dapprima solo i<br />
testi delle canzoni e poi, a dire il vero<br />
molto poi, anche la trascrizione delle<br />
linee melodiche. Pensare di analizzare<br />
una canzone guardando solo al<br />
testo e sopprimendo completamente<br />
la parte musicale è un’idea che può<br />
venire solo a un... professore/sa<br />
d’italiano. Canzone, per definizione,<br />
è un’unione inscindibile di musica e<br />
parole, l’una genera le altre e viceversa.<br />
Che il mondo accademico italiano<br />
fosse allora, come oggi del resto, non<br />
particolarmente ferrato in campo musicale<br />
lascia sempre un po’ sorpresi<br />
soprattutto pensando che l’Italia è uni-<br />
versalmente nota come la patria del<br />
bel canto. Questo argomento meriterebbe<br />
di essere approfondito parlando<br />
anche all’assenza ingiustificata dei<br />
musicisti della cosiddetta area colta,<br />
ma la digressione ci porterebbe troppo<br />
lontano, sarà per un’altra volta.<br />
Nel 1888 Costantino Nigra pubblica,<br />
per i tipi della Loescher, quella<br />
che venne considerata lungamente<br />
una sorta di Bibbia per gli studiosi<br />
del canto popolare “Canti popolari<br />
del Piemonte”. Pochi anni dopo, nel<br />
1894, Vincenzo Giovannetti in<br />
“Rivista delle tradizioni popolari italiane”<br />
da conto delle Polesane della<br />
Valcamonica, chi ben comincia… In<br />
realtà bisognerà attendere fino alla<br />
fine degli anni trenta del ‘900, con<br />
la raccolta di Giovanni Bignami<br />
“Canto e musica popolare in terra<br />
bresciana”, per arrivare a un’analisi<br />
approfondita e non episodica della<br />
materia.<br />
Nei primi anni ‘70 Roberto Leydi,<br />
Bruno Pianta, Pietro Sassu e altri vennero<br />
in Val <strong>Camonica</strong>, armati di registratore,<br />
per raccogliere materiale<br />
musicale per una ricerca promossa<br />
dalla Regione Lombardia intitolata:<br />
“Cultura tradizionale in Lombardia”.<br />
I paesi dove si effettuarono le registrazioni<br />
furono Bienno, Borno,<br />
Breno, Laveno di Lozio e Saviore<br />
dell’Adamello. Risultato di quel lavoro<br />
fu la pubblicazione di un libro o<br />
meglio di un quaderno (QDR 15)<br />
dal titolo “Brescia e il suo territorio”<br />
e di alcuni dischi contenenti parte<br />
del materiale registrato. Roberto<br />
Leidy scrive o meglio scriveva che<br />
.<br />
In quel tempo (mi si perdoni l’incipit<br />
evangelico) la presenza in <strong>Valle</strong> de<br />
Lé orége dè hói di Bienno, gruppo<br />
vocale che tanto aveva contribuito<br />
alla ricerca di Leydi & C., sembrava<br />
garantire un solido legame con il<br />
mondo della tradizione. Non solo,<br />
in numerosi altri paesi erano presenti<br />
gruppi abituali di canto spontaneo<br />
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54<br />
RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
o, comunque, erano note varie figure<br />
di appassionati che amavano<br />
cantare le cansù de ‘na ólta. La televisione<br />
e i mezzi pubblici e domestici<br />
di diffusione della musica, non<br />
avevano ancora del tutto “soffocato”<br />
la voglia della gente di esprimere<br />
attraverso il canto le proprie emozioni,<br />
l’appartenenza a un gruppo,<br />
il senso della festa, il dramma dell’emigrazione<br />
(qualcuno forse se l’è<br />
dimenticato o è troppo giovane per<br />
saperlo, ma allora gli emigranti eravamo<br />
noi), la tragedia della guerra,<br />
le gioie e le sofferenze dell’amore.<br />
Eravamo eredi di una tradizione in<br />
cui non c’era festa di qualsiasi tipo<br />
che potesse prescindere da tre azioni<br />
fondamentali: majà, bagà e cantà.<br />
Il canto, spontaneo e condizionato<br />
dal mangiare e dal bere, era spesso<br />
stentoreo e le voci maschili facevano<br />
a gara fra loro a chi “saliva di più”<br />
armonizzando spesso con un controcanto<br />
in falsetto la melodia proposta<br />
dalle voci femminili. Ne risultava una<br />
esecuzione lenta e muscolare che<br />
traeva origine dall’essenza stessa del<br />
mondo contadino e artigianale<br />
camuno. Ci voleva forza e fiato per<br />
cantare, ci volevano forza e fiato per<br />
coltivare la terra sulle terrazze che<br />
segnavano i fianchi delle nostre montagne<br />
o per piegare il ferro nelle<br />
nostre fucine.<br />
Sarebbe stato sufficiente proseguire<br />
sulla strada della ricerca e raccogliere<br />
il cospicuo patrimonio che<br />
ancora non era andato del tutto perduto.<br />
Basterebbe pensare allo straordinario<br />
repertorio sacro come<br />
certi Miserere o certi Parce mihi into-<br />
nati dal popolo durante i funerali,<br />
dove si potevano contare tante versioni<br />
quante erano le diverse declinazioni<br />
del dialetto camuno: praticamente<br />
una per ogni paese. Oppure<br />
alla persistenza di usanze arcaiche<br />
come il Tratto marzo della Val<br />
Saviore, un rito di propiziazione<br />
della fecondità, connesso a un sistema<br />
rituale che ha profonda ed estesa<br />
presenza in tutta l’Europa pre-cristiana,<br />
per non parlare poi del Gaì<br />
la lingua segreta dei pastori. Nel<br />
genere profano spiccavano canzoni<br />
dal carattere fortemente camuno<br />
come Són qui sóto le tuè finèstre, Ó<br />
malghisì che sgürì la parôla,<br />
L’emigrante, ‘l parulì e altre come<br />
Donna lombarda, Il cielo è una<br />
coperta ricamata, Al chiaro di un<br />
cerino, Miniera, Olandesina che se<br />
pur appartenenti ad un più vasto<br />
areale, quando non addirittura canzoni<br />
d’autore, avevano conquistato<br />
un posto di primo piano nel panorama<br />
musicale locale.<br />
Insomma la <strong>Valle</strong> presentava tutte le<br />
premesse per una, per lo meno, interessante<br />
ricerca etnomusicologica,<br />
ma non se ne fece niente. Si perse<br />
un’occasione, forse l’ultima, per<br />
avviare un lavoro organico di ricerca,<br />
catalogazione e salvaguardia di<br />
un patrimonio che, anche se già<br />
intaccato dai guasti del progresso,<br />
era ancora abbastanza presente<br />
nella collettività.<br />
Le cause furono molteplici: disinteresse<br />
delle istituzioni, soprattutto gli enti<br />
comprensoriali più orientati a promuovere<br />
e sostenere studi sulle arti<br />
figurative e architettoniche, voglia di<br />
protagonismo di alcuni gruppi vocali<br />
e conseguente epidemia di campanilismo<br />
(malattia che in Val<br />
<strong>Camonica</strong> può assumere forme<br />
assai virulente), un certo diffuso snobismo<br />
intellettuale delle nuove generazioni<br />
verso la cultura dei “vecchi”<br />
e, strano ma vero, mancanza di interesse<br />
da parte degli addetti ai lavori<br />
“indigeni”.<br />
Erano quelli infatti gli anni in cui esplodeva<br />
in <strong>Valle</strong>, un po’ in ritardo rispetto<br />
al resto del Nord Italia, il fenomeno<br />
dei cori maschili comunemente detti<br />
“cori di montagna”. Da poche unità si<br />
sarebbe passati in breve tempo ad un<br />
coro per ogni paese o quasi. Queste<br />
formazioni, spesso guidate da direttori<br />
improvvisati o nella migliore delle<br />
ipotesi da volonterosi autodidatti, si<br />
erano però quasi tutte rivolte ad un<br />
repertorio estraneo o quantomeno<br />
lontano dalle espressioni più autentiche<br />
delle tradizioni locali. Il modello<br />
di riferimento, il Coro della SAT di<br />
Trento, imponeva una prassi esecutiva<br />
che era l’esatto contrario di quella<br />
spontanea della nostra gente.<br />
Massimo Mila, in un articolo indirizzato<br />
a Cesare Pavese dal titolo<br />
“Canzoni di montagna” apparso<br />
sull’Unità il 24 ottobre 1948, scrive:<br />
devolmente>>. Ora, al di là delle considerazioni<br />
che verrebbe spontaneo<br />
fare intorno a una diatriba tra<br />
Massimo Mila e Cesare Pavese sulla<br />
musica popolare e la cultura alpina in<br />
contrapposizione alla musica e alla<br />
cultura dei popoli dell’Africa equatoriale<br />
(ah, che bei tempi!), non possiamo<br />
fare a meno di sottolineare che,<br />
nonostante le buone intenzioni, le<br />
affermazioni di Mila sono una sorta<br />
di pietra tombale sul canto popolare<br />
in quanto manifestazione spontanea,<br />
e perciò viva, della cultura e delle tradizioni<br />
di un popolo. Una scuola di<br />
pensiero, un po’ integralista a dire il<br />
vero, ritiene che nel momento stesso in<br />
cui un canto viene scritto, cessa di<br />
essere patrimonio collettivo in divenire,<br />
per cristallizzarsi in una forma che<br />
testimonia ciò che è diventato e in<br />
parte ciò che è stato. Diviene documento,<br />
testimonianza in sostanza si<br />
storicizza rispondendo a quelle regole<br />
della cultura alta a cui non è mai<br />
stato legato. In parole povere non è<br />
più musica popolare. Se poi questo<br />
canto viene addirittura armonizzato<br />
per una formazione corale utilizzando,<br />
come nel caso richiamato da<br />
Mila, gli stilemi e le regole armoniche<br />
della musica colta, beh allora la frittata<br />
è fatta. Non si parlerà più quindi di<br />
canto popolare, ma di canto di derivazione<br />
o di ispirazione popolare.<br />
Ecco quindi che i nostri cantori, affascinati<br />
da belle montanare trentine,<br />
da vezzose pastorelle valdostane o<br />
da esotiche Kalinke a cui una operazione<br />
di maquillage musicale aveva<br />
lucidato viso e vestito, non hanno<br />
saputo o voluto trovare nel rustico<br />
repertorio locale, fonte di ispirazione<br />
per i loro canti, contribuendo così<br />
nel tempo alla sua quasi estinzione.<br />
A tutto ciò bisogna aggiungere che<br />
nel giro di pochi anni il dilagare<br />
delle radio private prima e delle televisioni<br />
commerciali poi, ha contribuito<br />
pesantemente alla distruzione<br />
delle culture locali e all’affermazione<br />
di modelli sociali dominati dalla<br />
massificazione dei gusti e dalla globalizzazione<br />
dei consumi. Oggi che<br />
i cori sono in crisi di identità e di<br />
repertorio e vanno via via spegnendosi,<br />
a quelli che sono rimasti non<br />
resta altro da fare che chiudere le<br />
porte di stalle desolatamente vuote.<br />
Per quanto riguarda la musica strumentale<br />
questa si è espressa maggiormente<br />
nelle bande e in piccoli<br />
“gruppi da ballo”.<br />
Le bande sono sempre state il luogo<br />
ideale per la diffusione della musica,<br />
soprattutto tra le classi meno abbienti,<br />
consentendo ad alcuni di suonare<br />
uno strumento senza aver seguito un<br />
regolare corso di studi musicali e ad<br />
altri di ascoltare la musica dei musicisti<br />
più famosi fuori dai luoghi deputati.<br />
L’evoluzione della musica bandistica<br />
ha portato le bande verso un<br />
repertorio musicalmente più difficile<br />
e sicuramente più raffinato, ma lontano<br />
da quello spirito popolare fatto di<br />
marce e arie d’opera.<br />
Diversamente i “gruppi da ballo”,<br />
con organico variabile da due a tre<br />
elementi (solitamente fisarmonica e<br />
chitarra a cui poteva aggiungersi un<br />
cantante), utilizzavano per il loro<br />
scopo anche le più note canzoni<br />
popolari modificando, dove fosse<br />
necessario, il ritmo o la melodia.<br />
Non vi è notizia di significative produzioni<br />
locali, nulla di paragonabile,<br />
per intenderci, alle musiche per i<br />
balli del Carnevale di Bagolino<br />
dove, nel tempo, oltre al repertorio<br />
si è addirittura codificato l’organico<br />
delle formazioni strumentali.<br />
E la musica popolare oggi? Bella<br />
domanda!<br />
Se teniamo conto dell’incipit di questo<br />
scritto la musica popolare, così<br />
come ce la ricordiamo, non esiste<br />
più perché non esiste più la realtà<br />
sociale da cui traeva origine.<br />
Oggi stiamo andando anzi meglio<br />
siamo, che lo si voglia o no, in una<br />
la società multietnica, multilingue,<br />
multiculturale. La realtà sociale è<br />
cambiata e pertanto cambierà inevitabilmente<br />
anche la musica. Oggi i<br />
generi musicali si mescolano anzi<br />
meglio si contaminano l’un l’altro:<br />
pop, musica etnica, rock, classica,<br />
popolare, jazz, ecc… come in un<br />
frullatore alla ricerca di nuove idee,<br />
di nuovi orizzonti, di nuove forme<br />
espressive. Certo queste idee è difficile<br />
trovarle nelle classifiche dei<br />
dischi più venduti o trasmesse dalle<br />
radio dove DJ, più o meno interessati,<br />
dettano le tendenze musicali del<br />
momento. Per fortuna c’è internet<br />
che ci offre l’occasione di entrare in<br />
contatto con una quantità impressionante<br />
di produzioni musicali indipendenti<br />
e alternative, allargando di<br />
fatto il panorama musicale e rendendoci<br />
più liberi nelle scelte.<br />
Che siano internet e la contaminazione<br />
la strada per una nuova musica<br />
popolare? Mah!<br />
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RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
Rubrica. Teatro<br />
IL VASO DI PANDORA.<br />
Itinerari possibili di teatro<br />
nella scuola<br />
Stefania<br />
Dall’Aglio.<br />
“La funzione<br />
principale di<br />
una rassegna<br />
di teatro della<br />
scuola non è<br />
quella di premiare<br />
l’eccellenza,<br />
ma di un confronto<br />
tra<br />
poetiche, fra<br />
itinerari educativi,<br />
didattici<br />
e di ricerca<br />
espressiva e<br />
specialmente<br />
di dar voce<br />
alle istanze<br />
del mondo<br />
giovanile e<br />
infantile…”<br />
Molta acqua è passata<br />
sotto i ponti<br />
da quando nei<br />
preistorici anni settanta<br />
il teatro faceva<br />
capolino, o forse meglio irrompeva,<br />
seppur attraverso la porta di servizio,<br />
tra le aule del santuario-scuola e vi<br />
portava tutta la carica eversiva delle<br />
correnti drammaturgiche che al tempo<br />
dominavano la scena culturale.<br />
Stabilire un rapporto tra scuola e teatro<br />
significava, infatti, per i primi sperimentatori<br />
del genere soprattutto scoprire<br />
nella gestualità una forma di comunicazione<br />
non secondaria, avviare una<br />
analisi critica, dunque liberatoria, sugli<br />
stereotipi gestuali caratterizzanti la vita<br />
sociale e di relazione, promuovere la<br />
capacità di organizzare la propria personalità<br />
su un livello di equilibrio emotivo<br />
tra esigenze personali dell’io e loro<br />
estrinsecazione pratica nella realtà,<br />
rivalutando il corpo, grande escluso da<br />
una istituzione ancor tutta di stampo<br />
idealistico.<br />
Una volta aperto, il vaso di Pandora<br />
non è stato più possibile richiuderlo.<br />
Così, dopo l’incontro con l’anima-zione<br />
teatrale e il teatro professionale per<br />
l’infanzia e la gioventù, negli anni ottanta<br />
e novanta molti operatori della scuola<br />
hanno creduto di rinvenire nel teatro<br />
quel mezzo di comunicazione arcaico,<br />
per così dire artigianale, che poteva tuttavia<br />
porsi come efficace tramite di<br />
incontro, occasione di rapporto e di<br />
partecipazione, luogo in cui far emergere,<br />
grazie all’immediatezza dell’espressione<br />
corporea, desideri ed<br />
emozioni, cioè l’io in tutta la sua soggettività<br />
spoglia di ogni maschera o<br />
convenzione, come risposta ad un<br />
contesto sociale che si andava sempre<br />
più indirizzando verso una fruizione<br />
solitaria dei dati culturali e ludici, in cui<br />
l’esposizione prolungata e diffusa ai<br />
media elettronici modificava progressivamente,<br />
ma radicalmente non solo il<br />
rapporto realtà/finzione, ma anche le<br />
modalità percettive dell’apprendimento<br />
e le stesse strutture dell’immaginario.<br />
In entrambe le prospettive, tuttavia, era<br />
sottesa l’unica convinzione che non
solo fosse possibile, ma anche pedagogicamente<br />
opportuno superare la<br />
separatezza tra azione e fruizione,<br />
cosicché la “catarsi” teatrale si realizzasse<br />
non tanto attraverso la visione di<br />
un atto drammaturgico, quanto piuttosto<br />
attraverso la sua sperimentazione<br />
diretta, anche col rischio di piegare<br />
percorsi ed esiti a finalità didascaliche<br />
o esemplari.<br />
Una volta aperto, poi, dal vaso di<br />
Pandora sono uscite le più diverse<br />
esperienze, il cui valore è riconducibile<br />
proprio alla cifra stilistica della<br />
varietà, della citazione, della contaminazione<br />
che le caratterizza.<br />
Ecco allora che itinerari di ricerca<br />
all’interno del sé, delle proprie percezioni<br />
di corpo e di spazio, si sono<br />
intrecciati con frequentazioni dell’immaginario,<br />
con personaggi che si desidera<br />
interpretare, con storie che si<br />
vogliono raccontare, in una dialettica<br />
continua tra improvvisazione e consapevolezza,<br />
tra gioco come libertà/spontaneità<br />
e rappresentazione<br />
come disciplina, tra il momento puramente<br />
ludico-espressivo e l’istanza<br />
comunicativa.<br />
Ecco, ancora, che in taluni casi la<br />
scuola ha privilegiato un’accezione<br />
antropologica di teatro, partendo<br />
dalla rielaborazione del vissuto del<br />
gruppo classe o della micro-comunità<br />
in cui la classe è inserita.<br />
In questo prospettiva il testo non<br />
nasceva in funzione teatrale, ma<br />
come raccolta di pensieri, immagini,<br />
riflessioni, che successivamente venivano<br />
rielaborate e affidate a quel<br />
particolare modulo rappresentativo,<br />
che è il teatro di narrazione, a comporre<br />
minimi “autodrammi”, senza<br />
una trama precisa e con una struttura<br />
assolutamente corale.<br />
In altre occasioni l’attività teatrale ha<br />
preso l’avvio da un testo, raramente<br />
un testo teatrale, molto più spesso da<br />
un testo di narrativa sul quale intervenire<br />
più liberamente, attraverso attività di<br />
“lettura partecipe”, piegate a favorire<br />
l’intersezione tra mondo dell’autore e<br />
mondo del lettore, in cui il prodotto<br />
finale si costruiva sulle suggestioni fornite<br />
dall’autore e sull’eco che esse<br />
avevano suscitata sulla vita del gruppo,<br />
in una sorta di meticciato dagli<br />
accostamenti più arditi con l’attualità.<br />
Talvolta l’attività teatrale non si è innescata<br />
da un testo verbale, ma da una<br />
immagine, da una composizione musicale,<br />
per cui l’opera d’arte diveniva<br />
elemento provocatore di sensazioni<br />
multiple, attinenti ad ordini sensoriali<br />
diversi, messe nello spazio scenico<br />
attraverso una pluralità di “media”.<br />
Un’altra linea di tendenza, infine, è<br />
andata nella direzione del cosiddetto<br />
“teatro didattico”, che consentiva di<br />
affidare la rielaborazione di argomenti<br />
di studio o la riflessione su contenuti<br />
culturali e temi d’attualità ed impegno<br />
civile ai linguaggi multicodice che contraddistinguono<br />
questa arte, così da<br />
pervenire a prodotti spesso di grande<br />
impatto emotivo.<br />
In questo variegato contesto, difficilmente<br />
oggi sarebbe possibile affermare<br />
che fare teatro e vedere teatro sono<br />
una perdita di tempo: basti pensare ai<br />
dati numerici relativi sia alla quantità di<br />
spettacoli prodotti ogni anno nelle<br />
scuole sia al numero di persone coinvolte<br />
nel fare e nel vedere; basti vedere<br />
le fasce di età interessate, dalla<br />
scuola dell’infanzia alla scuola superiore;<br />
basti pensare all’estensione territoriale<br />
del fenomeno, che si registra in<br />
ogni regione del paese, non ultima la<br />
<strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>, in singole classi<br />
come in interi plessi scolastici e non<br />
necessariamente come attività di inizio/fine<br />
anno scolastico o di ricorrenza;<br />
basti pensare, da ultimo, ai più<br />
recenti pronunciamenti istituzionali, in<br />
cui “si riconosce al teatro della scuola<br />
una sua ragion sufficiente, volta<br />
all’esercizio della progettualità, alla<br />
valorizzazione dei linguaggi non verbali,<br />
della socializzazione, all’integrazione<br />
dei soggetti disabili e degli stranieri”.<br />
(Protocollo di intesa sul Teatro<br />
della scuola – marzo 2007).<br />
La pluralità di stimoli ed opzioni offerti<br />
dalle ormai consolidate esperienze di<br />
teatro nella scuola, rende tuttavia<br />
necessario, specie per chi comincia<br />
l’avventura, l’individuazione di una bussola<br />
che indirizzi lungo il cammino.<br />
Quale miglior occasione di crescita<br />
si può suggerire, se non la frequentazione<br />
di qualcuna delle numerose<br />
rassegne che arricchiscono il panorama<br />
culturale del nostro paese: da<br />
quella nazionale di Serra S. Quirico,<br />
a quella di Castellana Grotte a quella<br />
di Udine, a quella di Pisogne, più<br />
vicina geograficamente, ma non per<br />
questo di minor pregio.<br />
Da quale miglior “vademecum” trarre<br />
ispirazione, se non dalla preziosa<br />
riflessione proposta in un articoletto<br />
della fine degli anni ‘90 da Loredana<br />
Perissinotto, secondo cui “…lo spettacolo<br />
del teatro-scuola è il terminale visibile<br />
di un complesso ed articolato percorso,<br />
gestito in proprio dal docente o<br />
in parternariato con esperti, in cui il<br />
processo produttivo è importante<br />
quanto il risultato finale da questo<br />
determinato, in cui competenza e professionalità<br />
sono necessarie alla<br />
buona conduzione del tutto”. (“Appunti<br />
e spunti intorno al fare e comunicare<br />
teatrale della scuola”)<br />
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RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
Rubrica. Archeologia<br />
Chiesa della Conversione<br />
di San Paolo, Esine.<br />
Anna<br />
Alice Leoni.<br />
IL CONTESTO<br />
La chiesa intitolata alla Conversione<br />
di S. Paolo, parrocchiale del paese<br />
di Esine, si trova sulla sponda destra<br />
del torrente Grigna, nel nucleo storico<br />
dell’abitato.<br />
La fondazione di una prima cappella<br />
intitolata ai SS. Paolo e Vigilio<br />
dovrebbe risalire alla fine del X sec 1 ,<br />
per opera di un nobile esinese,<br />
come si evince da un atto di donazione<br />
di decime a favore della chiesa<br />
stessa e delle pievi di Cividate e<br />
Dalegno.<br />
L’edificio medievale deve subire una<br />
totale riedificazione tra il 1459,<br />
anno della visita di mons. Benvenuto<br />
Vanzio che la dice “de novo construitur”<br />
e il 1494, data incisa su uno<br />
dei conci del perimetrale nord del<br />
campanile 2 .<br />
Durante la visita apostolica del<br />
1580, Carlo Borromeo ordina che<br />
venga edificato sul lato settentrionale,<br />
a ridosso della facciata, un battistero<br />
privo di strutture sporgenti,<br />
come scale o palchi, che avrebbero<br />
ostruito la via pubblica 3 .<br />
L’edificazione della chiesa attuale,<br />
con conseguente demolizione del-<br />
l’edificio quattrocentesco, ha inizio<br />
nel 1691 e terminerà una quindicina<br />
d’anni dopo 4 .<br />
Della fase di XV sec si conservano<br />
integri il campanile e la sacrestia “vecchia”,<br />
probabile cappella laterale<br />
situata oggi a nord del presbiterio.<br />
L’INDAGINE<br />
ARCHEOLOGICA<br />
Nel corso dei lavori di riqualificazione<br />
del sagrato, promossi dalla<br />
Parrocchia nel marzo 2007, è stato<br />
possibile indagare un’area di circa<br />
15 x 9 m a ridosso del perimetrale<br />
nord della chiesa settecentesca,<br />
riportando alla luce sotto 0,30 m<br />
dal moderno piano stradale, diverse<br />
murature di epoca bassomedievale<br />
e rinascimentale.<br />
DISTINZIONE IN FASI<br />
fase I (XIV – prima metà XV sec):<br />
A questa fase appartiene un complesso<br />
architettonico, costituito da un largo<br />
vano quadrato (7 x 7 m), orientato<br />
nord est/sud ovest, conservato in<br />
alzato per circa 0,8 m.<br />
L’ambiente, internamente intonacato,<br />
era pavimentato con ciottoli ovoidali<br />
di piccole dimensioni, allettati con<br />
malta biancastra.<br />
L’accesso avveniva da un ingresso<br />
posto a sud ovest di cui si conservano<br />
parte dello stipite meridionale, costituito<br />
da un concio rettangolare in pietra<br />
simona con lavorazione a nastrino<br />
piatto, un cardine in ferro e la soglia in<br />
calcare di buckenstein.<br />
L’ambiente era suddiviso, lungo l’asse<br />
nord est/sud ovest, in due locali ampi<br />
rispettivamente 1/3 e 2/3 della larghezza<br />
totale, tramite un tramezzo<br />
parzialmente conservato, intonacato<br />
su entrambi i lati.<br />
È possibile affermare con certezza<br />
che si tratti di un locale seminterrato<br />
per la presenza di una scala, che raccordava<br />
il piano stradale con un cortile<br />
prospiciente l’ingresso.<br />
A questo primo corpo di fabbrica si<br />
appoggia nell’angolo sud ovest, un<br />
ambiente rettangolare di ridotte<br />
dimensioni (2,20 x 1,5 m), che presenta<br />
le stesse caratteristiche tecniche<br />
nelle murature e nella pavimentazione,<br />
di quello maggiore.<br />
Si identificano altre murature che procedono<br />
sia sotto la chiesa attuale, sia<br />
sotto il limite di scavo e che testimoniano<br />
diversi ampliamenti occorsi al com-
plesso architettonico. L’ubicazione<br />
cronologica di questa fase si basa,<br />
oltre che sui dati stratigrafici, sull’analisi<br />
della tecnica muraria, troppo irregolare<br />
per essere romanica e dall’utilizzo<br />
nello stipite della pietra simona,<br />
che trova diffusione in <strong>Valle</strong><br />
<strong>Camonica</strong>, solo dal tardo Trecento.<br />
FASE II (SECONDA<br />
METÀ XV SEC):<br />
La costruzione della chiesa della<br />
seconda metà del Quattrocento comporta<br />
la demolizione del complesso<br />
bassomedievale e determina un<br />
nuovo assetto urbanistico, che vede il<br />
mutarsi dell’andamento degli edifici<br />
orientati, da questo momento in avanti,<br />
sull’asse est/ovest.<br />
Si individua il piano di cantiere della<br />
fabbrica quattrocentesca su cui si<br />
impostano due fosse per la decantazione<br />
della calce, collocate a ridosso<br />
delle preesistenti strutture.<br />
Viene costruito un nuovo edificio i cui<br />
perimetrali nord e ovest si appoggiano<br />
alle strutture di fase bassomedievale<br />
determinando un ambiente a pianta<br />
trapezoidale.<br />
Si tratta di un corpo di fabbrica su due<br />
livelli: quello inferiore era interrato e<br />
presentava una copertura a volta a<br />
botte parzialmente conservata, del<br />
piano superiore si mantiene l’impronta<br />
dell’alzato con una larghezza di circa<br />
0, 60 m.<br />
Non si sono individuati né tramezzi<br />
interni né l’accesso al piano sotterraneo,<br />
che doveva essere probabilmente<br />
a nord est, al di sotto del limite di scavo.<br />
FASE III (FINE XVII -<br />
INIZI XVIII SEC):<br />
Costruzione dell’attuale edificio di<br />
culto con relativa demolizione e obliterazione<br />
delle preesistenti strutture. A<br />
questa fase appartengono due grosse<br />
buche di forma ellittica, relative<br />
all’abbandono dell’area cimiteriale<br />
contenenti ossa non in connessione,<br />
situate a ridosso del perimetrale della<br />
chiesa.<br />
FASE IV (XX SEC):<br />
A questa fase sono da riferire tutte<br />
quelle opere che hanno conferito al<br />
sagrato all’assetto attuale.<br />
RISULTATI<br />
L’indagine archeologica nel sagrato<br />
della chiesa della Conversione di S.<br />
Paolo ha permesso di comprendere<br />
alcune trasformazioni dell’assetto<br />
urbanistico dell’abitato.<br />
Innanzi tutto si è potuto stabilire che la<br />
chiesa medievale era situata internamente<br />
all’attuale navata e che probabilmente<br />
era orientata nord est/sud<br />
ovest come il complesso architettonico<br />
di XIV sec.<br />
È solo nella seconda metà del<br />
Quattrocento, infatti, che l’orientamento<br />
degli edifici si dispone lungo<br />
l’asse est/ovest, come testimoniato in<br />
alzato dal campanile e dalla sacrestia<br />
“vecchia”.<br />
Non è possibile affermare con certezza,<br />
allo stato attuale della ricerca,<br />
se la muratura di fondazione, in<br />
grossi elementi rettangolari di arenaria<br />
grigiastra disposti di piatto, identificata<br />
al di sotto della chiesa settecentesca,<br />
appartenga all’edificio di<br />
culto di XV sec.<br />
Analizzando però le disposizioni<br />
apostoliche del 1580, in cui si ordina<br />
la costruzione di un battistero privo di<br />
strutture aggettanti, che avrebbero<br />
ostruito il suolo pubblico 5 , si deve presupporre<br />
che, la “via pubblica” citata<br />
dal Borromeo, sia il limitato spazio tra<br />
l’edificio di XV sec e le fondazioni<br />
della chiesa stessa.<br />
L’ipotesi inoltre, che l’edificio in questione<br />
sia la casa comunale, come<br />
affermato da don Alessandro Sina 6 , è<br />
accettabile anche se non confermata<br />
da dati materiali.<br />
Per quanto concerne l’estensione<br />
della chiesa quattrocentesca questa<br />
doveva essere in lunghezza più corta<br />
di circa una campata rispetto alla<br />
chiesa attuale.<br />
Le problematiche qui esposte troverebbero<br />
conferma soltanto attraverso<br />
un’indagine archeologica condotta<br />
all’interno dell’edificio di culto.<br />
Le indagini archeologiche, interamente<br />
finanziate dalla parrocchia di Esine<br />
(BS), sono state condotte dalla scrivente<br />
sotto la direzione della<br />
Soprintendenza ai Beni Archeologici<br />
della Lombardia nella persona del<br />
dott. Andrea Breda.<br />
1 979 per SINA A.,1946, Esine - Storia d’una terra camuna,in ‘Memorie Storiche della Diocesi di Brescia’, XIII, p.164;<br />
994 per ODORICI F.,1853, Storie Bresciane dai primi tempi fino all’età nostra, vol. I – XIII; vol V pag. 15<br />
2 SINA A.,1946, Esine - Storia d’una terra camuna,in ‘Memorie Storiche della Diocesi di Brescia’, XIII p.164<br />
3 ARCHETTI A., TURCHINI G., 2004, Visita apostolica e decreti di Carlo Borromeo alla Diocesi di Brescia, IV. La <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>. in<br />
‘Brixia Sacra’, 3a serie anno IX. p.347<br />
4 SINA A.,1946, Esine - Storia d’una terra camuna,in ‘Memorie Storiche della Diocesi di Brescia’, XIII, p.168<br />
5 ARCHETTI A., TURCHINI G., 2004, Visita apostolica e decreti di Carlo Borromeo alla Diocesi di Brescia, IV. La <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>. in<br />
‘Brixia Sacra’, 3a serie anno IX, p.347<br />
6 SINA A.,1946, Esine - Storia d’una terra camuna,in ‘Memorie Storiche della Diocesi di Brescia’, XIII, p.165<br />
59
ECOMUSEO
62<br />
RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />
inter lli<br />
Recensioni.<br />
ROBERTO ANDREA LORENZI.<br />
LA CUCINA DI PADRE GREGORIO.<br />
MICROSTORIE DI VALCAMONICA<br />
Libereedizioni, Brescia 2008<br />
Vanna Mello.<br />
Otto saggi, frutto di un accurato e dotto<br />
lavoro di indagine storica ed antropologica<br />
che va avanti ormai da trent’anni (iniziata<br />
con il volume MEDIOEVO CAMU-<br />
NO, uscito nella sua prima edizione nel<br />
1979) tratteggiano alcuni aspetti fondamentali<br />
della microstoria della vallata,<br />
inseriti nel più ampio contesto che, dalla<br />
Società feudale, porta al Comune e agli<br />
Stati regionali, coprendo un arco di<br />
tempo di un migliaio di anni circa, grossomodo<br />
dal IX al XVIII secolo.<br />
Si tratta di saggi in buona misura noti agli<br />
appassionati di storia locale perché, tranne<br />
l’ultimo – che dà il titolo al volume –<br />
già pubblicati in varie riviste (Periferia<br />
1981; Archeologia viva 1993;<br />
Franciacorta magazine 1994; Quaderni<br />
della biblioteca di Pisogne 2004) o<br />
comunque resi pubblici nei corsi organizzati<br />
dall’Università Popolare di<br />
Valcamonica Sebino tra il 1976 e il<br />
1977, ma risistemati e utilmente raccolti in<br />
questo volume, quasi a voler sottolineare<br />
la continuità di una linea di ricerca chiaramente<br />
individuabile, al di là di qualche<br />
disomogeneità di cui pure l’autore ci fa<br />
avvertiti nella breve nota iniziale rivolta<br />
“Al lettore”; una ricerca volta ad approfondire<br />
l’analisi delle condizioni di vita<br />
materiale e dei rapporti di produzione,<br />
ma anche attenta alle culture, le credenze,<br />
la mentalità, la complessità dell’immaginario.<br />
Valcamonica, terra di periferia – periferia<br />
dell’impero romano, della città comunale,<br />
degli stati regionali - e di lunghe permanenze,<br />
economiche e culturali, e per<br />
ciò stesso terreno privilegiato di ricerca<br />
per lo studioso che voglia approfondire i<br />
fenomeni della lunga durata, analizzare<br />
come gli eventi della grande storia incidono<br />
sulla vita quotidiana delle “genti<br />
minute”, capire come si producono quelle<br />
trasformazioni che nel mondo rurale –<br />
governato, fino al sec. XVI e oltre, da<br />
norme consuetudinarie non scritte - sono<br />
più lente ed incerte che in un contesto cittadino.<br />
Pensiamo a quanto lenta e complessa<br />
sia stata la trasformazione dei rapporti di<br />
proprietà nelle campagne camune, che<br />
hanno visto la persistenza per secoli di<br />
forme di proprietà e uso collettivo che,<br />
dal tardo impero romano, attraverso il<br />
Medioevo barbarico, arrivano a quell’organizzazione<br />
“vicinale” che porterà al<br />
comune rurale, sopravvivendo poi attraverso<br />
i secoli anche oltre la formazione<br />
dello stato nazionale: ancora oggi, ricorda<br />
Lorenzi, in vari comuni della valle vi<br />
sono beni di proprietà di vicinie, di associazioni<br />
di “antichi originari”.<br />
Un altro aspetto su cui l’autore si sofferma<br />
sin dal primo saggio dedicato alle<br />
“Pagine di pietra” di Campanine è il conflitto<br />
tra una cultura arcaica, legata ad<br />
antichi culti “pagani” di origine celtica, e<br />
il messaggio cristiano portato da una<br />
evangelizzazione tardiva, riconducibile<br />
al sec. IX. Fu una evangelizzazione probabilmente<br />
violenta, ma incapace di cancellare<br />
“quel profondo substrato culturale<br />
caratterizzato dal naturalismo” che permea<br />
il mondo contadino; un substrato<br />
tanto profondo che riemerge, in una valle<br />
solo superficialmente cattolicizzata ed in<br />
un contesto di forte conflittualità sociale,<br />
quando si scatena, nei secoli XVI e XVII,<br />
sotto la mascheratura ideologica della<br />
caccia alle streghe, lo scontro tra città e<br />
campagna, tra signori laici ed ecclesiastici<br />
e il mondo dei contadini montanari:<br />
“gente gozzuta e rozza”, “che ha ricevuto<br />
la stregoneria dall’Albania”, “feroci,<br />
duri, et aspri per lo più”, perché “quest’arie<br />
sono dominate da tramontana da<br />
vento secco, freddo, et il più impetuoso...<br />
onde non è che naturale agl’habitanti<br />
esser crudi, aspri, e feroci” (così sono visti<br />
i Camuni in una “Descrizione di<br />
Valcamonica” del 1662, pubblicata a<br />
cura di Oliviero Franzoni e citata da<br />
Lorenzi).<br />
Nelle lezioni-conferenze tenute all’Università<br />
Popolare vengono ricostruite le<br />
linee essenziali della microstoria della<br />
<strong>Valle</strong> sotto il dominio di San Marco, le<br />
trasformazioni agrarie e l’introduzione di<br />
nuove colture, lo sviluppo e crisi del tessi-<br />
le e della ferrarezza, l’andamento demografico,<br />
il peso del fisco e il disordine<br />
finanziario, la rivoltosità diffusa, la criminalità<br />
ecc.(e qui scopriamo una corruzione<br />
e una cattiva amministrazione che sfatano<br />
il luogo comune dell’efficienza e<br />
del buon governo della Serenisssima).<br />
L’indagine sulle abitazioni signorili e il<br />
loro patrimonio pittorico ci restituisce<br />
l’immagine di una classe egemone, ora<br />
di antica origine nobiliare (come i<br />
Federici di Erbanno) ora dedita alla mercatura<br />
(come la ricca famiglia che ci ha<br />
lasciato gli affreschi attualmente esposti<br />
nel municipio di Bienno), aperta ad una<br />
cultura umanistica, di ispirazione erasmiana,<br />
così lontana dall’ideologia intollerante<br />
che ha alimentato quella campagna<br />
antisemita scatenata dai francescani, in<br />
concomitanza con la promozione dei<br />
Monti di Pietà, con la montatura del caso<br />
di Simonino da Trento e che ha lasciato<br />
il suo segno negli affreschi di varie chiese<br />
e cappelle.<br />
L’interesse dell’autore si sposta poi sulle<br />
tracce del tessuto francescano, lungo la<br />
“Strata de Franzacurta”, analizza la diffusione<br />
di modelli devozionali ed espiativi,<br />
legati, questi ultimi, ad interdizioni come<br />
quella del lavoro festivo (ecco comparire<br />
l’iconografia della Madonna dei mestieri:<br />
in Santa Maria in Silvis a Pisogne e<br />
nella Pieve di San Siro a Cemmo).<br />
“La cucina di padre Gregorio” è il saggio<br />
che chiude il volume, un’analisi degli<br />
usi alimentari dei Camuni, basata sulle<br />
informazioni, alquanto ottimistiche, fornite<br />
da padre Gregorio Brunelli da Canè, nel<br />
suo “Curjosi trattenimenti continenti raguagli<br />
sacri, et profani de’ Popoli Camuni”,<br />
edito in Venezia nel 1698; informazioni<br />
debitamente passate al vaglio di una<br />
analisi delle colture e delle disponibilità<br />
reali di cibo.<br />
Completano il volume una ricca bibliografia<br />
ed un interessante apparato iconografico,<br />
davvero utile<br />
per comprendere il discorso che si dipana<br />
nel testo.
Recensioni.<br />
GIANCARLO MACULOTTI.<br />
LETTERA DALLA SCUOLA TRADITA<br />
Franco<br />
Armando Editore, Roma 2008 - pagine 222<br />
Comensoli.<br />
Giancarlo è un amico, e questo è un problema<br />
per chi deve recensire il suo libro.<br />
Giancarlo scrive cose che sento e condivido<br />
profondamente, e questo è pure un problema.<br />
Giancarlo è un amico che scrive cose serie<br />
e del tutto condividibili, che sarebbero<br />
tanto, ma tanto utili, ai decisori, ma è fuori<br />
dai circuiti delle grandi scuole pedagogiche<br />
che a turno negli ultimi decenni hanno<br />
saccheggiato i fondi del Ministero (MIUR o<br />
MPI che sia) ed hanno prodotto un’immane<br />
catastrofe nazionale. E questo è il vero<br />
grande problema: una lettera dalla scuola,<br />
quella vera, di tutti i giorni passati in classe,<br />
che nessuno (pochi?) ascolterà, un appello<br />
che pochi (nessuno?) raccoglierà.<br />
Ma andiamo per ordine.<br />
Tradita, è una parola del gergo amoroso,<br />
coinvolge la sfera dei sentimenti e delle<br />
emozioni. L’Autore confessa dunque fin dal<br />
titolo del suo libro qual è il livello di approccio<br />
ai problemi di un sistema scolastico che<br />
annaspa da molto, troppo tempo, dietro a<br />
disegni di riforma palingenetica. Egli è<br />
prima di tutto un “amante” tradito. Un innamorato<br />
che ha passato la sua vita a sognare<br />
di trasformare il rospo in una bella principessa<br />
e che ancora continua a sperare,<br />
non ostante le fatiche e le quotidiane frustrazioni.<br />
Ama la scuola, in specie la sua scuola,<br />
che spesso cita, ama i suoi alunni, sopra<br />
tutti quelli in difficoltà, ama i suoi insegnanti<br />
anche se ne svela i limiti e le mancanze (“gli<br />
insegnanti leggono pochissimo”), ama le<br />
sue radici familiari e culturali, ricche di valori<br />
e principi educativi semplici rigidi essenziali<br />
e ama don Milani, stella polare del suo<br />
impegno di uomo di scuola e di cultura.<br />
Ma allo stesso modo non ama i genitori,<br />
che non amano la scuola, non ama i<br />
docenti improvvisati ed impreparati, non<br />
ama i ministri disinformati e disorientati che<br />
producono un mare di guai, non ama gli<br />
schematismi storico-culturali di certa stampa<br />
pseudoconservatrice, né i facili moralismi,<br />
né l’invadenza della religione, né gli ideologismi<br />
che hanno impedito il dialogo e la<br />
crescita culturale del sistema educativo, e<br />
via di seguito.<br />
Tra Amore e Non-Amore (non direi proprio<br />
odio) si dipana il suo libro, tra stroncature di<br />
usi e costumi contemporanei, citazioni che<br />
mettono in luce una vasta cultura pedagogica,<br />
ma non solo, e slanci di speranza che<br />
qualcosa possa ancora accadere, “prima<br />
che il buio copra tutto”.<br />
Questa sorta di pessimismo che genera<br />
speranza è il filo conduttore del libro e,<br />
senza scomodare Leopardi, tradisce la<br />
volontà dell’autore di scrivere affinché qualcuno<br />
raccolga il suo grido:<br />
“Bisogna ammettere a malincuore che tutto<br />
è fallito. Non si tratta di andare alla ricerca<br />
del colpevole. Mi interessa poco. I responsabili<br />
ci sono e meriterebbero l’ergastolo.<br />
Mi preoccupa di più capire i motivi della<br />
débacle e vedere se c’è qualche spazio<br />
per una ripresa. L’orizzonte non è chiaro. La<br />
nebbia è fitta, ma, se si vuole si può trovare<br />
la capacità di ricominciare. Del resto il motivo<br />
per cui scrivo queste pagine sta solo in<br />
questo: intravedere qualche speranza<br />
prima di gettare definitivamente la spugna,<br />
prima che l’animo si rinsecchisca irrimediabilmente,<br />
prima che il buio copra tutto e tutto<br />
confonda”.<br />
Ora vorrei porre attenzione a qualche<br />
aspetto particolare dei trentasette brani o<br />
scritti o capitoli che dir si voglia che compongono<br />
il libro. Solo alcuni, perché caro il<br />
mio lettore il libro te lo devi leggere da te.<br />
Dirò di quelli che mi hanno colpito.<br />
Della famiglia, ad esempio. E dell’idea<br />
“del tutto errata di libertà e democrazia”<br />
che ha scardinato il rapporto di autorevolezza<br />
(che fa crescere) della scuola e dei<br />
genitori stessi con i loro alunni-figli. Il distacco<br />
intervenuto tra scuola è famiglia è additato<br />
come una delle cause profonde dello<br />
sfacelo educativo. Fino ad auspicare che<br />
“la scuola cominci a prendere decisioni<br />
senza consultare i genitori, altrimenti di problemi<br />
non ne potrà risolvere nemmeno uno.<br />
La mia collega statunitense aveva tracciato<br />
una linea gialla davanti alla sua scuola di<br />
Shape (supremo comando militare in<br />
Europa) frequentata nel pomeriggio anche<br />
da alunni italiani: era la linea invalicabile<br />
che le mamme italiane non dovevano sorpassare”.<br />
E come non essere d’accordo sul modo in<br />
cui l’Autore tratta il tema del reclutamento e<br />
della preparazione professionale dei<br />
docenti? Sull’invadenza sindacale in questo<br />
campo che ha prodotto danni quasi irreparabili<br />
portando all’insegnamento docenti<br />
che non avevano né la voglia né la preparazione<br />
professionale per fare questo delicato<br />
mestiere? “È palese - dice l’Autore - che<br />
senza insegnanti nella scuola non passa<br />
nessuna riforma, ma è altrettanto vero che i<br />
docenti, di destra o di sinistra poco importa,<br />
sono i primi avversari di ogni cambiamento”<br />
E più avanti: “Ci vorrebbe un Ministro che<br />
sappia governare anche senza il consenso<br />
di chi non vuol muover foglia. C’è in giro un<br />
ministro del genere? In quale schieramento<br />
si colloca?”<br />
E credo che L’Autore abbia piena ragione<br />
anche là dove parla di scuola e religione<br />
ed invoca una scuola laica e rispettosa<br />
delle diversità culturali. Troppo spesso il crocifisso<br />
viene usato come un cancello che<br />
divide e separa invece che come simbolo<br />
universale di fraternità. Inchiodato alle pareti<br />
delle nostre aule spesso soltanto come<br />
monito di disuguaglianza, Egli stesso, se<br />
potesse, si staccherebbe e se ne andrebbe<br />
di soppiatto in qualche tugurio di periferia,<br />
sovraffollato di povera gente in cerca di<br />
una vita migliore.<br />
E tanti altri sono gli argomenti che appassioneranno<br />
il lettore. Dal discorso disincantato<br />
sull’autonomia scolastica, a quello sulle<br />
derelitte biblioteche scolastiche, all’insegnamento<br />
della matematica, e via dicendo.<br />
Un libro da leggere e da meditare, molto<br />
da meditare. Da parte di tutti, siano essi<br />
operatori o utenti della scuola.<br />
Lascio per ultimo un commento un po’, per<br />
così dire, delicato.<br />
Maculotti, uomo di cultura che proviene<br />
dalla sinistra sembra scrivere come uno<br />
di destra.<br />
A qualcuno questa cosa fa storcere il naso.<br />
A me no. Lo dico subito.<br />
Prima di tutto perché le riflessioni dell’Autore<br />
sono in realtà sempre orientate all’alunno<br />
ed al fine di promozione umana (salvifico?)<br />
che la scuola ha o meglio dovrebbe avere.<br />
Egli ha personalmente sperimentato cosa<br />
significhi il passaggio attraverso la scuola,<br />
lo studio e la cultura, per chi proviene come<br />
lui, come tanti di noi, dalle classi contadine<br />
ed operaie. È di destra pensare che la<br />
scuola deve essere luogo di crescita personale<br />
e anche sociale per i giovani motivati<br />
e impegnati, senza abbandonare per nulla<br />
i più in difficoltà? A me pare che questo<br />
modo di concepire la scuola sia in realtà<br />
antico e contemporaneo nello stesso<br />
tempo ed appartenga alla concezione di<br />
grandi ed illustri uomini che hanno segnato<br />
le stagioni forti della nostra pedagogia, da<br />
don Bosco a don Milani. Perciò, caro<br />
Giancarlo, non farti intimidire e scrivi ancora<br />
di scuola.<br />
Si è aperta ora una nuova incerta stagione<br />
e c’è ancora bisogno della tua penna e del<br />
tuo accorato pensiero.<br />
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