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Intervalli - Valle Camonica Distretto Culturale

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RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

sommario N. 2<br />

2008<br />

l’uomo<br />

e il territorio<br />

EDITORIALE<br />

Gianfranco Bondioni 1<br />

LETTERATURA<br />

Poesia<br />

Renzo Baldo<br />

ATTUALITÀ<br />

Posizioni a confronto<br />

I bi/sogni<br />

della <strong>Valle</strong><br />

Claudio Gasparotti<br />

Ugo Calzoni<br />

MONOGRAFIA<br />

Il lago nero e la sua torbiera<br />

Amelia Aceti<br />

Paesaggi camuni nella prosa<br />

di Gadda militare<br />

in alta Val <strong>Camonica</strong><br />

Giancarlo Maculotti<br />

Le calchere di Ono S. Pietro<br />

e la trasformazione del territorio<br />

nel processo di approvvigionamento<br />

Ausilio Priuli<br />

Appunti per una storia della cristianizzazione<br />

di <strong>Valle</strong>camonica attraverso<br />

i riscontri materiali<br />

Virtus Zallot<br />

I segni sul terreno.<br />

Battista Sedani<br />

Il fiume cattivo e pescoso<br />

Fatica e festa della bügada<br />

Roberto Andrea Lorenzi<br />

Sui tracciati rogazionali<br />

A proposito di patrimonio<br />

intangibile storico-culturale<br />

Carlo Cominelli<br />

RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA<br />

SUPPLEMENTO A - NOTIZIARIO MENSILE PER L’EMIGRATO CAMUNO N. 8-9 2008<br />

Direttore NICOLA STIVALA<br />

Direttore Responsabile ENRICO TARSIA<br />

Autorizzazione del Tribunale di Brescia n. 183 R.d.i. del 27.11.1961<br />

Associato USPI - Unione Stampa Periodica Italiana<br />

Grafica: Antonioli grafica - Artogne<br />

Stampa e impaginazione - la Cittadina - Gianico<br />

2<br />

6<br />

14<br />

20<br />

24<br />

30<br />

32<br />

36<br />

42<br />

PERSONAGGIO<br />

Ottone Penzig, naturalista<br />

e botanico, europeo nell’anima,<br />

camuno per elezione<br />

Franca Avancini Pezzotti<br />

RUBRICHE<br />

TESI DI LAUREA<br />

La <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong> nelle parole dei suoi laureati<br />

a cura di Sara Marazzani<br />

Anna Alice Leoni, Cristina Cominini,<br />

Michela Guerini e Luisa Ceni<br />

MUSICA<br />

Musica e canto popolare in <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>.<br />

Un tesoro perduto?<br />

Piercarlo Gatti<br />

TEATRO<br />

Il vaso di Pandora.<br />

Itinerari possibili di teatro nella scuola<br />

Stefania Dall’Aglio<br />

ARCHEOLOGIA<br />

La chiesa della Conversione<br />

di S. Paolo in Esine<br />

Anna Alice Leoni<br />

RECENSIONI<br />

La cucina di padre Gregorio R.A. Lorenzi<br />

Vanna Mello<br />

Lettere dalla scuola tradita G. Maculotti<br />

Franco Comensoli<br />

Redazione<br />

GIANFRANCO BONDIONI Coordinatore<br />

MASSIMO COTRONEO<br />

ANTONIO DE RITA<br />

PIER CARLO GATTI<br />

GIANCARLO MACULOTTI<br />

SARA MARAZZANI<br />

AUSILIO PRIULI<br />

]<br />

46<br />

50<br />

52<br />

56<br />

58<br />

62<br />

63


Editoriale<br />

di Gianfranco Bondioni<br />

Uomo e territorio” è uno di quei titoli-argomenti<br />

che o non significano<br />

nulla per la loro genericità oppure<br />

fanno tremare di timore tanto sono<br />

complessi. Ma all’inizio del percorso<br />

di questa rivista -siamo solo<br />

al numero due del primo anno- ci<br />

è sembrato giusto mettere in<br />

chiaro nella realizzazione pratica e<br />

non solo nelle dichiarazioni o nei<br />

progetti che cosa abbiamo inteso<br />

quando abbiamo affermato che la<br />

rivista deve indagare il locale con<br />

metodologie e percorsi culturali<br />

alti e universali, con occhi interni<br />

ed esterni alla <strong>Valle</strong>, con attenzione<br />

a quanto accade in zona e ai<br />

suoi legami con il grande mondo.<br />

Ci pare che questo numero si avvicini<br />

all’ambizioso obiettivo.<br />

L’impostazione della rivista è ormai<br />

chiara: una iniziale pagina di letteratura<br />

(ma nulla vieta che possa in futuro avere<br />

altra forma artistica); un dibattito di attualità<br />

legato alla corposa monografia<br />

centrale composta di articoli di parole<br />

e di un articolo di immagini; il personaggio,<br />

le rubriche e le recensioni che<br />

ruotano assai prossime al tema monografico.<br />

Ci è sembrato importante centrare il tema<br />

dell’uomo e del suo territorio in un<br />

periodo in cui sono probabilmente all’ordine<br />

del giorno decisioni fondamentali<br />

per lo sviluppo e l’assetto della <strong>Valle</strong>,<br />

una nuova svolta dopo quella che<br />

ha portato dall’agricoltura alla industrializzazione<br />

e a quella che ha messo<br />

capo ad un forte ridimensionamento<br />

dell’industria. Non è un caso che il<br />

tema dello sviluppo del territorio, della<br />

necessità di individuare un settore “forte”<br />

per tale sviluppo e contemporaneamente<br />

i rischi della monocultura economica,<br />

il delicato equilibrio fra intervento<br />

e minacce di distruzione siano i temi<br />

del dibattito della voce “Attualità”.<br />

Nell’ampia sezione monografica si affronta<br />

l’analisi del territorio con strumenti<br />

che vanno dall’esame scientifico<br />

su un ambiente di alta montagna del<br />

passo del Gavia allo studio storico di<br />

quanto una attività economica abbia<br />

modificato l’aspetto di una zona specifica;<br />

la ricostruzione tramite le metodologie<br />

della storia orale (e quindi la versione<br />

soggettiva dei singoli narranti)<br />

dell’importanza nella vita quotidiana<br />

delle persone del fiume Oglio che per<br />

noi oggi è un non-luogo su cui si transita<br />

velocemente in auto su un ponte o<br />

al massimo lungo le cui sponde si fa<br />

footing, si alterna allo studio dei reperti<br />

della sacralizzazione e della definizione<br />

dei luoghi attraverso lo studio dei<br />

segni lasciati lungo le vie, nei documenti<br />

degli archivi, nelle voci dei testimoni.<br />

La prosa di un grande scrittore<br />

come Carlo Emilio Gadda ci restituisce<br />

paesaggi camuni del periodo della<br />

prima guerra mondiale visti con occhi<br />

esterni e di artista, mentre le foto di<br />

Battista Sedani mostrano non solo come<br />

gli insediamenti abitativi e industriali<br />

introducano modificazioni, ma addirittura<br />

come possano diventare significativi<br />

in sé, in bene e in male, quasi segni<br />

astratti nella <strong>Valle</strong>.<br />

Le rubriche si muovono su un terreno<br />

simile: dalla figura di Ottone Penzing,<br />

di un “abitante della <strong>Valle</strong>” che già nel<br />

nome rivela la dimensione cosmopolita,<br />

agli argomenti più specialistici di<br />

musica, di archeologia, di teatro, alle<br />

due recensioni: la prima di una raccolta<br />

di saggi di microstoria i cui orizzonti<br />

metodologici e i cui risultati interpretativi<br />

sono di portata amplissima; la seconda<br />

di una riflessione sulla crisi della<br />

scuola che è di respiro nazionale.<br />

Intanto stiamo lavorando al terzo numero.<br />

Ma vorremmo che le voci che<br />

danno vita alla rivista si facciano sempre<br />

più numerose, che i nomi degli<br />

autori non si ripetano. È un obiettivo<br />

possibile se tanti lettori che hanno certo<br />

argomenti da proporre o addirittura<br />

studi già pronti ce li fanno avere. La<br />

rivista è una tribuna aperta.<br />

1


2<br />

RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

LETTERATURA<br />

Poesie<br />

Nato il 19-1-<br />

1920 a<br />

Brescia. Laurea<br />

in lettere presso<br />

l’Università<br />

Cattolica di<br />

Milano, con<br />

una tesi su l<br />

teorici del melodramma<br />

nell’Italia del<br />

700, relatore<br />

Mario<br />

Apollonio.<br />

Diploma di pianoforte<br />

presso<br />

il Conservatorio<br />

di Parma.<br />

Renzo<br />

Baldo.<br />

Nei primi anni ‘50 collabora al quindicinale La Resistenza. Fra il ‘52 e il ‘59 è critico<br />

musicale sulla pagina bresciana del quotidiano L’Italia. Nel 1956 per l’editrice<br />

La Scuola pubblica una serie di fascicoli (19) a illustrazione di “Filmine d’arte” dedicate<br />

alla pittura italiana tra il XIII e il XVI secolo.<br />

Con lo pseudonimo di Musicus tra il ‘56 e il ‘59 sul settimanale La Voce del Popolo<br />

pubblica recensioni e qualche articolo di carattere musicale. Negli anni ‘60 collabora<br />

a vari giornali o ne è condirettore o direttore (Giornale di Brescia, L’Eco di Brescia,<br />

Cultura democratica, Unità delle sinistre, BresciaOggi di cui dal ‘77 all’84 è<br />

responsabile delle pagine culturali; nel primo semestre del ‘92 vi pubblica editoriali<br />

e la rubrica “Asterischi”. Dall’85 dirige il bimestrale BresciaMusica, edito dall’Associazione<br />

“Isidoro Capitanio” e dal ‘96 al ‘98 è direttore della rivista mensile Amanecer,<br />

promossa dalla Comunità del Piccolo Vangelo di Calvagese. Dal ‘96 recensisce<br />

testi di cultura varia sulla rivista Paideia.<br />

Elabora, nell’ambito dell’iniziativa dei “Sabato teatrali”, i testi, affidati alla lettura di<br />

attori di Compagnie bresciane, su “Rabelais”, “Darwin” e “Le origini del fascismo”.<br />

A cura della Fondazione Calzari Trebeschi nel ‘76 pubblica “Per Io studio della<br />

Resistenza”; nell’’84 (in AA.VV. 8 Settembre ‘43) “Perché l’8 Settembre”; nell’86<br />

“Pasolini poeta civile”; nell’87 “Mario Lussignoli;nel ‘91 “La Rivoluzione francese dal<br />

Termidoro al Brumaio”; nel ‘2000 (in AA.VV. Un posto per l’uomo) “L’umanesimo<br />

della vita quotidiana”.<br />

Pubblica nell’86 (ed. Shakespeare and Company) la raccolta di. poesie<br />

“Disarmonie”; nel ‘90 (ed. La Quadra) la raccolta “Intarsi”; nel 2000 (ed. Grafo)<br />

“Filippo Ottonieri, pensieri, frammenti, racconti”; nel 2002 la raccolta Versificazioni;<br />

nel 2005 Paradossi e bizzarrie (due sezioni: Paradossi metrici e Paradossi narrativi);<br />

nel Dicembre 2006 Rutilii amanuensis metris claudicantibus carmina; nel gennaio<br />

2008 Residuati e minutaglie (con in Appendice la riedizione di Rutillii amanuensis<br />

ampliato di alcuni testi).<br />

Baldo è sicuramente uno degli intellettuali più prestigiosi della Brescia del<br />

Novecento e di questo inizio di secolo: ha segnato la vita culturale e civile della<br />

città con un ruolo di aggregazione di energie e di diffusione di idee confrontandosi<br />

con intellettuali di diverse generazioni e di molteplici scuole e posizioni.


IL BOOM ECONOMICO<br />

La pillola che ci consente di<br />

vivere al lume del neon, la paghiamo<br />

con tutta l’anima nostra,<br />

così venduta, così svuotata<br />

che nemmeno ormai se ne trasente il prezzo.<br />

Sulla nostra ottusa o defunta sensibilità<br />

di ex uomini, più non ha peso<br />

il patteggiare della coscienza<br />

prona alle mille quotidiane<br />

meschinità del vivere.<br />

In questi tempi di libertà<br />

concretamente soppesatile nella festosa<br />

stordita noia delle domeniche<br />

zeppe di ozi motorizzati, nelle accecanti<br />

invitanti insegne<br />

negli ozi televisivi<br />

nei rateati conforts casalinghi<br />

ogni inquieto dissenso<br />

che si alzi, scorato,<br />

su questi scenari di lacca rosata<br />

si raggrinza -voi dite- in improduttiva acrimonia.<br />

Ebbene, chi vivrà vedrà. Ma, credete,<br />

meglio qualche insoddisfatto<br />

e accanito Don Chisciotte<br />

che non s’acquieti<br />

in rassegnata saggezza<br />

che l’indulgente sterilità del silenzio della coscienza<br />

convertita a questa tresca chiassosa<br />

che ci sospinge<br />

a subumane gregalità.<br />

Il rigagnolo che conforta<br />

secolari indigenze<br />

trasformato in palude<br />

corrode l’antica pietra<br />

dei domestici focolari;<br />

nel tepore del nido<br />

germoglia il veleno<br />

di un’inerzia servile;<br />

il flautato invito a questa<br />

danza sfrenata precipita<br />

in deformante sarabanda<br />

il ritmo della vita quotidiana.<br />

Nessuno è profeta. Ma<br />

nell’aria che respiriamo filtra sottilmente il sentore<br />

di una nuova barbarie.<br />

(da Disarmonie, 1961)<br />

Ho conversato con voi, uomini d’altri tempi,<br />

volti senza nome, trafitti<br />

dall’obbligo dell’esistere,<br />

schiere infinite, pulviscolo<br />

di presenze trasognate<br />

del proprio apparire nel mondo.<br />

Sui pendii delle valli, tra le mura<br />

delle città e dei castelli alzati<br />

dalle vostre mani incessantemente operose,<br />

sulle campagne assolate dove la natura<br />

si umanizza nella millenaria battaglia<br />

perchè vi fosse dato di sopravvivere,<br />

il vostro transitare,<br />

tra fragori e silenzi, insidiato<br />

dalla vostra fralezza e percosso<br />

dalla potenza del Caso,<br />

ha lasciato infinite tracce<br />

fiorite di grazia e bellezza,<br />

miracoloso riscatto<br />

ad ecatombi di sangue e violenza.<br />

Sul buio dell’esistenza<br />

incupita dal fremito<br />

delle nostre aspre radici<br />

sprofondate nel magma incomposto<br />

della materia primordiale<br />

si sono accesi purpurei bagliori<br />

trapunti in esili trame<br />

dove l’incondita ferinità<br />

sembra aprirsi ad un diverso<br />

che chiamiamo “umano”. La Gioia<br />

con timida voce affacciata<br />

tra gli angolosi spiragli della storia<br />

ha chiesto diritto d’albergo.<br />

(da Disarmonie, 1968)<br />

L’ASSILLO<br />

Nella città nebbiosa mi aggiro, stupefatto della<br />

inconsistenza<br />

delle cose.<br />

Ma quando diversa stagione<br />

allieta di sole le contrade<br />

non diversamente si contrista<br />

questo paesaggio senza spessore.<br />

Tra queste sterili muraglie<br />

un popolo di alienati si aggira,<br />

stravolti da servili acquiescenze<br />

intessute di gesti ripetuti<br />

3


4<br />

RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

in indifese inerzie, distese<br />

nel quotidiano accumularsi<br />

dell’assenza.<br />

Io lo so che palpiti di gioia<br />

ci affratellano a cementare<br />

il flusso molecolare<br />

di questo transito ininterrotto<br />

che riempie di voci<br />

l’incessante scandirsi delle ore<br />

srotolate verso inesistenti traguardi;<br />

lo so che fiumane di dolore<br />

percorrono l’ombra silenziosa<br />

del nostro apparire sulla scena<br />

dell’esistenza<br />

a segnare di umana grandezza<br />

le gocce iridiformi<br />

della nostra pulviscolare presenza.<br />

Ma come dannati pieghiamo il<br />

capo<br />

alla scure della Necessità;<br />

come bestie inseguite da un cacciatore<br />

feroce<br />

ci rintaniamo nel buco della nostra<br />

solitudine,<br />

sprofondiamo nel dispotico potere<br />

della nebbia. Come diradarla<br />

è l’assillo che ci travaglia.<br />

(da Intarsi, 1990)<br />

HOMO SAPIENS<br />

Giacciono le nostre umane radici<br />

nell’insondabile nebbia<br />

di remoti silenzi<br />

percorsi dal brivido della materia<br />

ansiosa di germogliare<br />

nelle forme dell’esistente. Nel buio<br />

di cosmiche notti<br />

e al freddo brillare di luci astrali<br />

fermenta il palpito della vita: in<br />

vibranti tremori<br />

di sensitive presenze<br />

cresce il fremito dell’universo,<br />

fino al canto doloroso e gioioso<br />

della storia dell’uomo, intrecciata<br />

in inestricabile viluppo di nobile<br />

grandezza<br />

e di abbrutenti violenze.<br />

Trionferà, nel futuro dell’”homo<br />

sapiens”,<br />

la sapienza o l’insipienza?<br />

Noi non sappiamo<br />

a quale porto approderà questo<br />

viaggio epocale.<br />

La fede e la speranza<br />

sognano orizzonti<br />

dove l’umano sia pura luce:<br />

forse, in giorni lontani,<br />

sugli altari della sofferenza<br />

alzati dal religioso silenzio<br />

o dal rabbrividente grido<br />

degli afflitti e degli oppressi,<br />

sulle avvilenti alienazioni<br />

che ci appiattiscono in paludose<br />

bassure<br />

balenerà dirompente un raggio<br />

intrecciato nelle fluorescenti ghirlande<br />

di una umanissima gioia<br />

dove le cupe tempeste che ci travagliano<br />

diverranno lontane memorie<br />

di una superata preistoria.<br />

(da Intarsi, 1990)<br />

Quando il Tutto con<br />

violenza si frantumò<br />

nelle forme reali<br />

(Goethe,<br />

in “Ritrovarsi” 15-16)<br />

Quando dalle tenebre del Caos<br />

si dischiuse la luce<br />

che diede forma agli elementi,<br />

negli spazi immensi<br />

che si aprirono ad accogliere<br />

la frantumata esistenza del<br />

molteplice in fredda violenza<br />

si affermò la vita del cosmo,<br />

impassibili le lucide albe e le rosseggianti<br />

aurore sull’attonito silenzio del<br />

mondo. Nell’ininterrotto fluire del<br />

tempo forse non solo all’orgogliosa<br />

percezione dell’essere,<br />

che travaglia i cuori degli uomini,<br />

ma all’intero magma dell’esistente,<br />

alla roccia e al muschioso lichene,<br />

al pulviscolo interstellare<br />

e all’opaco frangersi delle ombre<br />

proiettate dalla inesausta corsa dei<br />

corpi celesti sui glaciali silenzi<br />

che si alzano<br />

tra i percorsi abissali<br />

de ‘eterno muoversi delle cose.<br />

a tutto e a tutti è toccato<br />

di chiedere un segno che chiarisse<br />

il senso del Tutto<br />

e, con ansia, il rivelarsi,<br />

nel faticoso travaglio di questo mare<br />

sconfinato, di indizi dove agganciare<br />

qualche raggiunta certezza:<br />

gli attimi di brivido luminoso<br />

che accompagna il disvelarsi<br />

dei frammenti sacrali<br />

nei quali la selvaggia violenza dell’inaccettabile<br />

sembra cedere qualche<br />

breve spazio<br />

al librarsi di attese,<br />

allo squillare di riverberi<br />

intessuti di speranza.<br />

Ci nutriamo di questi frantumi.<br />

(da Intarsi, 1990)


✄<br />

Rivista <strong>Intervalli</strong><br />

Scheda di valutazione<br />

Chiediamo a tutti i lettori di farci avere le loro impressioni e i loro suggerimenti perché l’impostazione della<br />

rivista sia sempre migliore e più gradevole.<br />

Fateci avere le risposte alla breve scheda che segue e che pubblicheremo anche nei prossimi numeri.<br />

Vi chiediamo di farci avere per posta o e-mail che cosa pensate della rivista e dei temi che via via saranno<br />

trattati: potremo così aprire la promessa rubrica di “lettere alla redazione” con tutti gli interventi<br />

dei lettori.<br />

Dato che vogliamo che la rivista impari a “camminare con le proprie gambe” abbiamo bisogno di contare<br />

su un nucleo di abbonati. Chiediamo quindi a quanti sono interessati all’abbonamento di comunicarlo<br />

all’indirizzo sottoriportato. Il costo non supererà i 10 euro.<br />

Un grazie a tutti per la collaborazione.<br />

La Redazione<br />

Inviare per fax, per posta o per mail a: Rivista <strong>Intervalli</strong>, c/o Assessorato alla Cultura della Comunità<br />

Montana di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>, Piazza Tassara 3, 25043 Breno BS.<br />

uff.culturaturismo@cmvallecamonica.bs.it<br />

1. E’ necessaria una rivista culturale ❏ no, per niente<br />

della <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>? ❏ non molto<br />

❏ sì<br />

❏ è indispensabile<br />

2. La rivista deve trattare (2 risposte) ❏ le ricerche che si fanno in <strong>Valle</strong><br />

❏ le attività degli enti culturali<br />

❏ il patrimonio artistico e culturale<br />

❏ i grandi temi generali<br />

❏ l’organizzazione culturale<br />

❏ l’attualità<br />

❏ altro (precisare)……………………<br />

3. E’ corretto dedicare ogni numero ad un ❏ sì<br />

argomento da trattare diffusamente? ❏ no<br />

4. Vorrei che si dedicasse più spazio a… ❏ attualità<br />

(fino a tre risposte) ❏ ricerca storica locale<br />

❏ arte e musica<br />

❏ territorio e urbanistica<br />

❏ economia<br />

❏ turismo<br />

❏ problemi dei giovani<br />

❏ altro (precisare)……………………<br />

5. Vorrei che i prossimi numeri trattassero soprattutto di…………………………………………........................<br />

…………………………………………………………………………………………………….....................................................<br />

6. Sull’impostazione grafica e il linguaggio suggerisco di………………………………………......................<br />

.....…………………………………………………………………………………………………....................................................<br />

7. La rivista dovrebbe essere distribuita ❏ gratuitamente<br />

❏ in edicola con prezzo di copertina<br />

❏ in abbonamento<br />

5


6<br />

RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

ATTUALITÀ<br />

Posizioni a confronto<br />

I bi/sogni della <strong>Valle</strong><br />

Alta <strong>Valle</strong>: un sogno realizzato e da replicare?<br />

Claudio<br />

Gasparotti.<br />

Come non pensare che<br />

sia un sogno che si è avverato?<br />

Ponte di Legno era rimasta<br />

al palo ormai da decenni.<br />

Il confronto anche<br />

solo con i cugini trentini, e<br />

non con i siderali altoatesini,<br />

in fatto di attrezzature,<br />

era impietoso. E sull’altro<br />

versante, quello del<br />

cemento per case, case<br />

e case, un dilagare senza<br />

confini, e, beninteso, non<br />

solo a Ponte di Legno.<br />

Comprensibile quindi, di<br />

fronte ad investimenti di<br />

danaro pubblico, senza<br />

paragoni in valle, sia in termini<br />

quantitativi sia per i<br />

tempi in cui sono stati attuati,<br />

l’euforia e la soddisfazione<br />

per gli impianti e i<br />

collegamenti sciistici andati<br />

in funzione all’inizio<br />

degli scorsi due inverni.<br />

Oggi gli impianti di Tonale,<br />

Ponte di Legno, Temù definiscono<br />

un comprensorio<br />

sciistico (solo purtroppo<br />

sci di discesa) di un<br />

certo rispetto sia su scala<br />

regionale sia anche nel<br />

confronto con alcune<br />

aree di altre regioni.<br />

Affermato quanto sopra,<br />

credo che faccia bene al<br />

futuro della <strong>Valle</strong> considerare,<br />

al di la delle recenti<br />

inaugurazioni, alcune cose,<br />

a mio modo di pensare,<br />

importanti.<br />

Oltretutto aprire o riaprire<br />

un dibattito sul tema non<br />

mi sembra tempo ed<br />

energie sprecate.<br />

Alta valle. Non ho mai capito<br />

bene ove inizia e ove<br />

finisce.<br />

A mio modo di vedere,<br />

per ragioni geografiche e<br />

non solo, l’Alta <strong>Valle</strong> comprende<br />

quella “forchetta”


di territorio che includendo<br />

Sonico-Edolo,<br />

da una parte va verso<br />

l’Aprica e dall’altra<br />

verso il Tonale.<br />

Otto comuni che determinano<br />

un comprensorio<br />

di confine<br />

provinciale e regionale<br />

e che da tempo<br />

scambiano sui due<br />

passi, economie, risorse,<br />

culture, ambizioni<br />

e programmi<br />

con l’”altra” regione e<br />

l’”altra” provincia.<br />

Questo territorio se<br />

fosse in Trentino o in<br />

Alto Adige avrebbe<br />

da tempo eletto e fatto<br />

funzionare Edolo<br />

(circa 700 mt. slm)<br />

quale “capitale” di<br />

un’area, un tempo si<br />

sarebbe detto un<br />

comprensorio, complessivamente<br />

volta<br />

ad un turismo ad ampio<br />

spettro e sull’intero<br />

arco dell’anno.<br />

Siccome questo non è dato, si continua<br />

a pensare, organizzare e gestire<br />

le cose pubbliche e private di Corteo-Aprica<br />

da una parte e quelle di<br />

Temu-Ponte-Tonale (fino ad ieri solo<br />

Ponte di Legno) dall’altra.<br />

Edolo è di fatto il centro di un sistema,<br />

una cerniera anche geografica, di un<br />

territorio montano, l’Alta <strong>Valle</strong>, con<br />

obbiettivi e programmi e ambizioni<br />

che possono e devono essere visti<br />

programmati e sviluppati insieme.<br />

Basterebbe pensare alla sua funzione<br />

nei servizi, nella formazione, nel<br />

commerciale e non certo ultimo nell’importante<br />

incubatoio di idee e di<br />

uomini che è la sezione staccata dell’università<br />

di Agraria di Milano.<br />

Credo che da queste osservazioni<br />

derivi quindi una serie di prime considerazioni.<br />

Perché anche le recenti definizioni e<br />

formazioni societarie e le politiche di<br />

sviluppo della nostra montagna includono<br />

solo comuni interessati dalle<br />

piste, quasi che montagna, turismo<br />

tempo libero coincidano solo con lo<br />

sci, e solo quel tipo di sci?<br />

E perché il loro ruolo sul territorio si limita<br />

ad essere, quasi esclusivamente,<br />

quello di offrire le risalite dal mese di<br />

dicembre a ad aprile?<br />

Le aree più avanzate nel settore del<br />

tempo libero e del Turismo hanno capito<br />

da tempo che al mercato si deve<br />

offrire una pluralità di occasioni, che i<br />

territori vincenti sono quelli con uno<br />

spettro annuale di pratiche e di fruizione<br />

dell’ambiente.<br />

Basterebbe scorrere i giornali di questo<br />

inizio d’estate per leggere:<br />

“su con la seggiovia, giù con la bici, i<br />

pendii alpini diventano un’arena verde<br />

per ciclisti” “di malga in malga per degustare<br />

latte e formaggi” “le dighe e le<br />

centrali meta del trekking dell’energia”<br />

“sul ghiacciaio che si ritira lezioni di<br />

ambientalismo” “litter-Altura festival che<br />

celebra il viaggio e la montagna” o infine<br />

il già da tempo famoso “suoni delle<br />

Dolomiti”.<br />

Un crescendo di idee ed iniziative che<br />

da un lato rilanciano la montagna delle<br />

mezze stagioni e dell’estate a tutto<br />

campo, ma dall’altro fanno capire che<br />

gli enti e le politiche limitate territorialmente<br />

alle aree con “vocazione sciistica”<br />

o operanti solo stagionalmente (in<br />

inverno) hanno il fiato corto e il tempo<br />

limitato e, da ultimo, purtroppo la neve<br />

scarsa.<br />

Non nascondo che in questa direzione<br />

e logica si cela l’insidia di una concezione<br />

della montagna come “luna<br />

park della città”, ma credo che se questo<br />

rimane un pericolo presente, lo si<br />

possa controllare con la seconda considerazione<br />

che sviluppo con alcune<br />

sintetiche osservazioni.<br />

Credo che qualsiasi sviluppo turistico<br />

non possa basarsi esclusivamente su<br />

una residenzialità di seconde case.<br />

Quel tipo di sviluppo fa molto bene ai<br />

promotori immobiliari e male a quasi<br />

tutti gli altri, soprattutto se visto per le<br />

prossime generazioni e nei tempi medi<br />

lunghi.<br />

Il patrimonio di posti letto in alberghi,<br />

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8<br />

RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

pensioni, agriturismo, bed and breakfast<br />

eccetera in alta valle (quella che<br />

territorialmente ho definito precedentemente),<br />

ovvero i “letti caldi”, è povero,<br />

in quantità e qualità e negli ultimi decenni<br />

probabilmente in diminuzione.<br />

La presenza di seconde case, i “letti<br />

freddi”, è straripante, ha occupato, oltre<br />

che spazi importanti intorno ai paesi<br />

storici, anche le posizioni centrali di antichi<br />

alberghi o pensioni (credo che se<br />

si potessero leggere delle statistiche sarebbe<br />

impressionante).<br />

Manca una politica urbanistica di<br />

vincoli ed incentivi., ormai demandata<br />

solo a comuni sempre più avidi e<br />

bisognosi di oneri di urbanizzazione<br />

e quindi solo interessati alla quantità.<br />

Mancano linee di credito delle banche<br />

che operano localmente, finalizzate<br />

ad agevolare investimenti per<br />

strutture ricettive. Mancano azioni e<br />

organizzazioni di promozione di flussi<br />

che intendano vivere ed abitare in<br />

proposito, e se c’è, viene solo fatto<br />

molto sottovoce.<br />

Credo che qualsiasi sviluppo di un territorio<br />

debba avere un suo equilibrio<br />

tra diversi settori.<br />

Vedo con grande interesse la rinascita<br />

di una certa agricoltura montana. (chi<br />

pensa che sia una economia residuale<br />

e senza valore, sbaglia) Dalle viti del<br />

centro valle, ad alcuni prodotti caseari<br />

anche di nicchia, dalla segale alle patate,<br />

il settore del biologico in forte crescita<br />

ecc. Nel settore vedo un rinato interesse<br />

e fervore, vedo giovani che ri-<br />

tornano all’agricoltura. Spero che si<br />

promuovano prodotti con marchi tipici<br />

e protetti. Un poco di ritorno indietro<br />

ad alcune tradizioni fa solo molto bene.<br />

Ancora troppo poco? Certamente.<br />

Vedere in proposito i titoli e i contenuti<br />

delle tesi di laurea che si svolgono ad<br />

Edolo porta sicuramente conforto circa<br />

la prospettiva di alcuni prodotti<br />

agricoli della <strong>Valle</strong>. Ma lo stesso conforto<br />

lo si ha se si seguono le tracce<br />

di vita di alcuni laureati, che nella professione,<br />

e quindi vivendo, coniugano<br />

le parole sviluppo e turismo in modo<br />

originale ed interessante. Molti territori<br />

al nord delle Alpi, e in parte il Trentino<br />

Alto Adige hanno tracciato una<br />

strada da seguire perché definisce un<br />

modello serio di integrazione tra economie<br />

e settori diversi , di ricerca di<br />

equilibrio. Di solito si dice che “loro”, i<br />

Trentini, gli Alto Atesini, hanno i soldi<br />

della autonomia. Credo che ciò sia<br />

vero anche se solo parzialmente, se<br />

le scelte politiche hanno ancora un<br />

valore. Ora comunque, rispetto ai<br />

Trentini dovremmo essere vicini ad<br />

una quasi parificazione di mezzi.<br />

Mi auguro quindi che il federalismo<br />

porti più danaro per questa ricerca di<br />

equilibrio e non per altre operazioni simili<br />

a quella in atto di distruzione del<br />

penultimo fondovalle integro (anche<br />

quello non è forse danaro che si poteva<br />

spendere diversamente?).<br />

Credo che l’artigianato sia completamente<br />

assente, mentre al contrario potrebbe<br />

avere un suo ruolo, anche qui ci<br />

vorrebbe un poco meno folclore (quello<br />

delle varie fiere e rassegne) e un poco<br />

più di sostanza.<br />

Credo, infine, che una grande risorsa<br />

presente, il Parco dell’Adamello sia ancora<br />

e con troppa diffidenza vista come<br />

“altro” rispetto allo sviluppo della<br />

<strong>Valle</strong>.Una cosa tollerata e non integrata<br />

accolta. Una specie di “dentro” in<br />

cui si declinano alcuni criteri di rispetto,<br />

tutela, sostenibilità; mentre “fuori” è un<br />

poco consentito tutto.<br />

Se questo è vero,<br />

come mi sembra,<br />

credo che non abbiamo<br />

ancora capito come<br />

il dentro può<br />

essere un potente<br />

strumento per<br />

promuovere il fuori, un<br />

fuori che, anche alla<br />

luce di quello che sta<br />

succedendo in tutti i<br />

settori e nel mondo<br />

intero, deve imparare<br />

alcune parole importanti:<br />

sostenibilità, sviluppo<br />

equilibrato, tutela<br />

delle risorse ed in primis<br />

del territorio.<br />

Ovvero un fuori che<br />

deve stare ad ascoltare<br />

i suoni di quello che<br />

avviene dentro.


ATTUALITÀ<br />

Posizioni a confronto<br />

I bi/sogni della <strong>Valle</strong><br />

Il bisogno della Media <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong><br />

Ugo<br />

Calzoni.<br />

Relazione tenuta al Forum<br />

“INCROYABLE RICHESSE”<br />

Proposte per il futuro della Media<br />

<strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong><br />

Venerdì 16 maggio 2008<br />

Palazzo della Cultura<br />

Breno (Bs)<br />

Durante i vostri precedenti interventi,<br />

ho segnato alcuni appunti.<br />

Ho ascoltato con grande attenzione<br />

l’ambizione della sfida<br />

del <strong>Distretto</strong> <strong>Culturale</strong>, evidenziata<br />

soprattutto nell’ultimo intervento.<br />

Ho trovato quest’ultimo<br />

doveroso e professionale, ma<br />

mi pare riproponga passaggi e<br />

procedure che forse non rispondono<br />

più a quella mutazione<br />

che è avvenuta, e che sta<br />

avvenendo nel comportamento<br />

delle persone e che, come rappresentanti<br />

della <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>,<br />

dobbiamo saper individuare.<br />

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RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

Ciò per poter<br />

trasformare il<br />

patrimonio culturale,<br />

la cultura<br />

effettiva che<br />

si crea su questo<br />

territorio,<br />

non in una<br />

consolazione<br />

per qualche<br />

programmatore<br />

o per qualche<br />

amante di<br />

un’enclave di<br />

natura culturale,<br />

ma come<br />

un elemento<br />

su cui giocare<br />

la crescita culturale,<br />

umana,<br />

civile, ma soprattuttoeconomica<br />

di questo<br />

territorio.<br />

La riflessione verte su due questioni:<br />

la prima è che la <strong>Valle</strong><br />

ha avuto nel secolo scorso due<br />

grandi scosse che hanno rovesciato<br />

completamente alcuni<br />

comportamenti secolari: sono lo sfruttamento<br />

dell’energia elettrica -<br />

l’apparizione di una grande borghesia<br />

imprenditoriale - e la ferrovia, e quindi il<br />

buco dei Trentapassi, che ha permesso<br />

di chiudere definitivamente la storia dell’emigrazione<br />

e dello spopolamento.<br />

Questo secolo si sta aprendo con due<br />

grandi sfide, ma ancora non riusciamo<br />

a vedere quali siano le due mosse che<br />

serviranno per oltrepassare quel vecchio<br />

modello di sviluppo ormai superato;<br />

che non risponde - ad esempio nel<br />

manifatturiero - a quella cosiddetta<br />

energia umana che questa <strong>Valle</strong> presenta:<br />

c’è un’alta preparazione culturale,<br />

ci sono attese di lavoro diverse da<br />

quelle strettamente legate al manifatturiero<br />

e c’è un’attesa da parte delle<br />

nuove generazioni di trovare risposte<br />

adeguate al fattore economico e alla<br />

qualità della vita, così come in tutti gli<br />

altri territori del Paese.<br />

Abbiamo iniziato il secolo con la sfida<br />

del “grande sogno del nord”, il grande<br />

investimento della funivia Ponte di Legno-Tonale,<br />

un’opera che per ampiezza<br />

di capitali e di mobilitazione di attese<br />

può essere paragonata alla ferrovia<br />

o allo sfruttamento elettrico del secolo<br />

scorso. Quindi abbiamo l’assoluta necessità<br />

di ripetere il grande sogno nel<br />

resto della <strong>Valle</strong>.<br />

I numeri del grande sogno del nord,<br />

che abbiamo conosciuto in questi giorni,<br />

ci dicono che c’è un trend positivo,<br />

c’è stata un’annualità in cui<br />

l’innevamento ha interessato altri territori,<br />

ma con una crescita mordi e fuggi,<br />

così come è denunciata, del 23%. Il<br />

grande sogno rimane legato a pochi<br />

numeri, a poca parte del territorio, con<br />

un riverbero di ricchezza sul territorio insufficiente<br />

affinché si ottenga quello<br />

che tutti attendiamo e che possiamo attendere.<br />

Sarebbe interessante, e sarebbe soprattutto<br />

compito dell’Assessore alla<br />

Cultura presso la Comunità Montana<br />

di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong> dott. Maculotti, agire<br />

in modo tale da dimostrare agli scettici<br />

che l’investimento in cultura non è<br />

troppo, ma troppo poco (a tal proposito,<br />

ho visto le osservazioni sull’ultimo bilancio<br />

della Comunità ed è confermato<br />

che la cultura non può che essere un<br />

elemento trainante del cambiamento e<br />

delle attese economiche di questo territorio).


La considerazione da tenere sempre<br />

presente è che stiamo parlando di un<br />

territorio di 90.000 abitanti, corrispondente<br />

alla metà di un quartiere di una<br />

città metropolitana del nostro paese<br />

(Quartoggiaro ha 135.000/136.000<br />

residenti). Si tratta di un territorio vasto,<br />

circa 100 Km , con una popolazione<br />

che se togliamo i giovani, i bambini e<br />

gli anziani pensionati si assesta su un<br />

numero di attese di qualità della vita, di<br />

ritorno economico, di voglia di restare<br />

sul proprio territorio facilmente governabile.<br />

La domanda che ci si pone è quindi<br />

per quale motivo oggi, nella riflessione<br />

delle famiglie, nella riflessione dei gruppi<br />

associati, nella riflessione dei ceti dirigenti<br />

di questa <strong>Valle</strong>, c’è questa apprensione<br />

sul nostro futuro economico,<br />

soprattutto delle nuove generazioni.<br />

È evidente che la pianificazione (comunale,<br />

regionale, provinciale, interprovinciale,<br />

della Comunità Montana del<br />

BIM ecc.), non solo di questi anni, ma<br />

di sempre, non è riuscita, a mio avviso,<br />

a leggere compiutamente quello che è<br />

l’evoluzione ed il cambiamento dell’atteggiamento<br />

delle persone nei confronti<br />

del proprio territorio, del proprio futuro<br />

e delle proprie attese.<br />

Ho sentito parlare di valorizzazione<br />

del piccolo commercio locale, ma mi<br />

domando: il burocrate milanese che<br />

sta stendendo quelle regole, ad esempio,<br />

sull’utilizzazione intelligente del territorio<br />

rurale, quelle regole che sta imponendo<br />

ai comuni, pensa sul serio ad<br />

una valorizzazione dei piccoli comuni<br />

di gronda.<br />

Ebbene, non c’è nulla di nuovo. È sufficiente<br />

considerare gli altri territori montani<br />

al di là delle Alpi, nei Grigioni, nella<br />

zona del Löchberg, nelle vallate dell’Emmenthal<br />

o francesi, dove si sa benissimo<br />

già da tempo che, quando si<br />

affaccia una grande distribuzione nel<br />

fondo valle o nel centro della vallata,<br />

scattano degli obblighi di sostegno nelle<br />

piccole comunità, attraverso aperture<br />

di negozi di prossimità, o in forme<br />

associative o di franchising con le botteghe<br />

esistenti. Aspettiamo il settimo supermercato<br />

nel raggio di 80 Km per<br />

portare avanti una politica del genere?<br />

Vediamo che c’è una soluzione per un<br />

problema di un territorio così ricco di<br />

potenzialità, “incredibile” come direbbero<br />

i viaggiatori che passano attraverso<br />

questa vallata. Eppure le attese non<br />

hanno risposte adeguate.<br />

È chiaro che la media <strong>Valle</strong>, che necessita<br />

di un grande investimento - da scossa<br />

come dico io, cioè per parità di<br />

grande cambiamento come fu la ferrovia<br />

o come è stato il grande impianto<br />

dell’alta <strong>Valle</strong> - deve e può puntare su<br />

ciò che noi chiamiamo settore terziario.<br />

In <strong>Valle</strong> il secondario progredisce bene.<br />

Nonostante la nostra natura contadina<br />

(continuiamo a piangerci addosso)<br />

abbiamo ormai nel manifatturiero<br />

alcuni punti di forza europei: il polo<br />

della forgia, da coccolare a tutti i costi,<br />

sta rappresentando nella continuità dell’industria<br />

metallurgica di questa <strong>Valle</strong><br />

l’elemento a maggior valore aggiunto;<br />

abbiamo un’occupazione nel manifatturiero<br />

più che sufficiente rispetto alle attese<br />

risultanti dalle nuove generazioni<br />

scolastiche.<br />

Al contrario, si rimane molto indietro<br />

nell’organizzazione del terziario come<br />

fonte di ricchezza. Si può affermare<br />

che il patrimonio culturale, grazie a Soprintendenti<br />

che hanno amato questa<br />

<strong>Valle</strong> e alla sensibilità di molti sindaci, è<br />

sufficientemente recuperato, difeso e<br />

quindi funzionale; quello che manca,<br />

ed è qui la risposta vera del <strong>Distretto</strong><br />

<strong>Culturale</strong>, è riuscire a conciliare la poca<br />

popolazione e le risorse sempre al<br />

limite (credo poco ai cosiddetti “grandi<br />

progetti”, ad esempio ho sentito che<br />

per il nostro territorio sono stanziati per<br />

i prossimi anni circa 32/33 milioni di<br />

euro…). Su questo terreno si deve fare<br />

una riflessione che può nascere solo<br />

dalla <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>, non certamente<br />

da chi guarda con attenzione fuori dal<br />

territorio.<br />

La prima questione è che recuperare il<br />

discorso culturale significa dare una risposta<br />

alla domanda del moderno visitatore.<br />

L’Europa si sta caratterizzando<br />

per la richiesta di periodi brevi (molti fine<br />

settimana e poche vacanze lunghe),<br />

segnati da tre elementi: la grande qualità<br />

dei servizi richiesti, non necessariamente<br />

5 stelle ma un’alta qualità del<br />

bed & breakfast così come del piccolo<br />

albergo; la ricerca di una nicchia di natura<br />

culturale, di difesa della persona e<br />

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RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

della vita dell’ambiente tutta particolare;<br />

e la riscoperta di un territorio.<br />

Si pensi all’odierna situazione di una<br />

parte d’Italia poco conosciuta, ma tra<br />

le più belle: le Marche. Analizzando i<br />

dati dei movimenti dell’aeroporto di Ancona,<br />

del quale sono amministratore, mi<br />

sono reso conto che nell’ultimo anno e<br />

mezzo c’è stata una crescita continua<br />

di operatori inglesi e svizzeri nel campo<br />

immobiliare, che in quei luoghi stanno<br />

facendo ciò che fecero 30/40 anni fa<br />

in Toscana, soprattutto nella zona che<br />

va da Pisa fino a Piombino: hanno acquistato<br />

e risistemato casali, alla ricerca<br />

di un turismo diverso rispetto al tradizionale.<br />

Questa è la domanda che il mercato<br />

chiede oggi. La <strong>Valle</strong> che risposta<br />

dà a questo mercato?<br />

A mio avviso potrebbe trovare delle risposte<br />

solo mantenendo la scommessa<br />

fuori da ogni logica programmata<br />

di garantire il pluralismo delle sue istituzioni<br />

culturali attraverso una formula sinergica<br />

di indirizzo generale. Altrimenti<br />

si corre il rischio della cosiddetta “cultura<br />

orale della città di Brescia”, dove il<br />

lunedì si va in San Barnaba, la voce<br />

del Comune, ed il martedì si va in San<br />

Carlino, la voce della Provincia. Non si<br />

deve commette questo errore!<br />

Si deve cercare di essere, come forza<br />

amministrativa e dirigente della <strong>Valle</strong>,<br />

l’elemento di confronto con gli enti superiori<br />

(come le fondazioni, la provincia,<br />

la regione l’Europa), ma mantenendo<br />

gelosamente l’autonomia e la garanzia<br />

minima vitale nei servizi per il<br />

pluralismo associativo presente, che ha<br />

espresso punti di eccellenza che altri<br />

territori lombardi non hanno e che neppure<br />

i bresciani hanno.<br />

A tal proposito basti citare la cultura da<br />

“enclave” presente nel mondo delle incisioni<br />

preistoriche e al suo pluralismo.<br />

Non si può pensare ad un turismo culturale<br />

ben servito se la parte pubblica<br />

del parco non possiede uno strumento<br />

di comunicazione, come, ad esempio,<br />

i depliant che mancano da circa sei<br />

mesi.<br />

Abbiamo “l’enclave” benemerita delle<br />

Suore da Cemmo, che sono riuscite a<br />

dare visibilità all’interno della loro attività<br />

un giacimento culturale, costituito da<br />

quanti si laureano sui temi interessanti la<br />

nostra <strong>Valle</strong>.<br />

Abbiamo una cultura di base musicale<br />

di eccellenza che non possiamo disperdere,<br />

sia nella forma migliore e più<br />

alta dell’orchestra sinfonica, sia in quella<br />

più tradizionale e popolare delle<br />

bande comunali.<br />

Abbiamo altri e tanti punti di grande interesse:<br />

forse in tutta Europa non esiste<br />

territorio che nel raggio di 80 Km raggruppi<br />

i luoghi di nascita di otto santi,<br />

quindi 15/20 luoghi da valorizzare, a<br />

fronte di una domanda di turismo religioso<br />

che è una delle componenti fondamentali<br />

del moderno turismo. Infatti<br />

non bisogna dimenticare che in molte<br />

regioni italiane la prima voce attiva è il<br />

turismo religioso, con tutto ciò che ne<br />

consegue, e di questo tesoro, qui in<br />

<strong>Valle</strong>, non ci si accorge.<br />

Non ci si accorge che 50.000 persone<br />

all’anno vanno al Santuario dell’Annunciata,<br />

senza organizzazione, e non<br />

si comprende, a fronte di un così consistente<br />

flusso di persone, perché non ne<br />

possano andare 5.000 (quindi il 10%)<br />

a Niardo, dove è nato il Beato Innocenzo.<br />

Questi punti di eccellenza vanno sfruttati,<br />

se parte la scintilla. E questa scintilla<br />

è individuabile anche nel termalismo,<br />

perchè è proprio lì che la battaglia<br />

delle classi dirigenti della <strong>Valle</strong> diventa<br />

difficile, lavorando su un corpo<br />

economico che ha scontato la politica<br />

assistenziale di 50 anni, quando un’imprenditoria<br />

locale faceva i calcoli dal<br />

1 al 2 gennaio a fronte di una circolare<br />

dell’INPS che gli garantiva il bilancio<br />

di tutto l’anno.<br />

Non è stato così solo per Boario, ma<br />

ad esempio anche per Abano Terme,<br />

per Salsomaggiore e in generale per<br />

tutte le città termali. Così oggi si è visto<br />

morire, o sopravvivere, Boario; si è visto<br />

una Salsomaggiore quasi morta; ma si<br />

è visto il miracolo di Abano Terme, che<br />

ha compreso la fine dell’assistenzialismo<br />

e la nascita di una imprenditoria<br />

basata su strutture moderne legate a<br />

nuovi consumi e al concetto di benessere<br />

e bellezza, ma al tempo stesso<br />

fortemente legate al territorio. Non esiste<br />

un’attività terziaria che non possa<br />

offrire al suo cliente - non “utente” - un<br />

quadro per garantirsi un soggiorno,<br />

che è sempre più breve, in grado di ri-


spondere a tutte le sue domande, di<br />

qualità della vita, di buon prezzo, di<br />

novità e di emozione.<br />

Le cose che stiamo facendo, intuitivamente,<br />

vanno verso questa direzione;<br />

l’intervento dell’imprenditore Trombini,<br />

che ha deciso di valorizzare il termalismo,<br />

fallirà se non si saprà muovere in<br />

un contesto generale.<br />

Sotto questo aspetto, abbiamo la necessità<br />

di formare professionalità adatte<br />

a questa domanda, che un domani<br />

potrà nascere sul concetto di termalismo,<br />

benessere e bellezza.<br />

Da questo punto di vista abbiamo anche<br />

una grande fortuna: le ragazze<br />

della <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong> considerano il<br />

lavoro infermieristico e quello legato al<br />

benessere e alla cura del corpo, come<br />

un lavoro socialmente dignitoso, a differenza<br />

di altre culture.<br />

Un’altra idea si fonda sul positivo fattore<br />

che si possa offrire un recupero abitativo<br />

nei paesi di media e bassa valle<br />

ad un basso costo; offrire così a generazioni<br />

anziane, costrette a vivere male<br />

nelle periferie delle grandi metropoli o<br />

in città disumane, un territorio che offra<br />

servizi di assistenza, servizi ospedalieri<br />

culturali scolastici di buon livello e di<br />

buona qualità.<br />

Questa è, a mio parere, la grande forza<br />

del <strong>Distretto</strong> <strong>Culturale</strong>: la capacità<br />

di richiedere ed affrontare con la crescita<br />

economica quella che ho definito<br />

“la futura scossa necessaria”.<br />

Il termalismo rappresenta per la <strong>Valle</strong><br />

<strong>Camonica</strong> ciò che ha rappresentato<br />

per l’alta <strong>Valle</strong> il grande impianto sciistico,<br />

e credo che su queste basi il <strong>Distretto</strong><br />

<strong>Culturale</strong> possa nascere.<br />

La reintroduzione della vite in <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong><br />

dopo 50 anni di estirpazione<br />

è una cosa buona, perché modifica<br />

positivamente il paesaggio. Gli ambientalisti<br />

sappiano che solo la mano<br />

dell’uomo dà al paesaggio la continuità,<br />

la difesa e la protezione, perché ha<br />

restituito la cultura del territorio ed ha<br />

salvaguardato l’ambiente. Quindi si<br />

deve sopportare un grande sacrificio:<br />

quello di entrare con un prodotto di ottima<br />

potenzialità, ma con differenze sostanziali<br />

rispetto ad altre cose. La classe<br />

politica deve assecondare questa<br />

tradizione e questi cambiamenti indirizzandoli<br />

alla qualità dell’agricoltura e<br />

dell’economia rurale.<br />

La mia speranza è<br />

che rinasca, soprattutto<br />

nelle persone<br />

l’esigenza, essendo<br />

in una fase delle così<br />

dette obbligatorietà<br />

cooperativistiche, affinché<br />

i contadini che restano<br />

sul territorio diventino<br />

strumento di<br />

governo del territorio<br />

pubblico che ogni comune<br />

possiede, in<br />

boschi, prati o pascoli.<br />

Si deve tornare a “coccolare” questi<br />

produttori che risiedono sul territorio e<br />

che garantiscono quel prodotto genuino,<br />

autentico, locale ma di alta qualità<br />

che la nuova domanda richiede. Abbiamo<br />

la forza della “bionda dell’Adamello”<br />

e abbiamo la capacità di produzione<br />

di una mucca, la “bruna alpina”,<br />

che purtroppo produce meno delle<br />

mucche di pianura - solo secondo i<br />

burocrati romani e milanesi, per quanto<br />

riguarda il prezzo del latte, non c’è differenziazione<br />

tra le varie specie e quindi<br />

per le attività agricole alpine anche<br />

qui c’è una penalizzazione.<br />

Credo che l’ente pubblico non possa<br />

pensare ad un’enclave culturale, al turismo,<br />

se non protegge questi sostegni<br />

all’integrazione dei redditi, queste cose<br />

che stanno avendo un ritorno, soprattutto<br />

in tanti giovani che stanno dirigendosi<br />

nuovamente alla viticoltura, all’allevamento<br />

e alle attività casearie.<br />

C’è bisogno di questa capacità di governare<br />

il territorio, di garantire a<br />

90.000 persone una qualità della vita<br />

come tutte le altre popolazioni alpine<br />

d’Europa. Bisogna assecondare i cambiamenti<br />

e gli investimenti secondo gli<br />

orientamenti del mercato. Se non si riesce<br />

a portare in <strong>Valle</strong> un discorso nei<br />

consumatori attenti, esigenti e a servirli<br />

correttamente e adeguatamente, con<br />

un’accoglienza a 360 gradi, credo<br />

che si continuerà ad avere una <strong>Valle</strong><br />

che spera nella bontà di un assessore,<br />

nel buon servizio di un deputato o nella<br />

generosità temporale delle fondazioni<br />

pubbliche o private.<br />

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14<br />

14<br />

RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

MONOGRAFIA<br />

Uomo e territorio.<br />

Il Lago Nero e la sua torbiera.<br />

Studi di carattere paleoambientale<br />

al Passo del Gavia<br />

Amelia<br />

Aceti.<br />

Dipartimento di Scienze Geologiche<br />

e Geotecnologie dell’Università di<br />

Milano Bicocca<br />

1. Introduzione<br />

Questo articolo si propone di far conoscere le metodologie d’indagine paleobotaniche<br />

mediante l’illustrazione di uno studio condotto su una torbiera ad alta<br />

quota nelle Alpi italiane.<br />

Di seguito si parlerà della palinologia e della sua applicazione in un settore<br />

alpino, in una valle forse non molto nota, ma senza dubbio ricca di informazioni<br />

che potrebbero portare a molte risposte sui cambiamenti climatici e ambientali<br />

che hanno interessato tutte le nostre valli alpine negli ultimi 10.000 anni.<br />

Questo arco di tempo è detto Olocene, ultimo gradino della scala temporale<br />

geologica che rappresenta l’interglaciale attuale, in attesa di un raffreddamento<br />

climatico che porterà ad un nuovo ciclo glaciale-interglaciale. L’Olocene è<br />

stato caratterizzato sostanzialmente da un periodo più caldo dell’attuale, detto<br />

Optimum climatico olocenico, verificatosi nel corso della sua prima metà, e dal<br />

giungere di un periodo più freddo nella seconda metà, la Neoglaciazione (Porter<br />

& Orombelli, 1985). Queste precisazioni ci consentono di collocare temporalmente<br />

gli eventi di carattere ambientale scaturiti dalle analisi condotte in questo<br />

studio.<br />

Nel seguente lavoro si parla di un sito di alta quota, o di alta montagna che<br />

dir si voglia, comunque di un’area estremamente sensibile anche a cambiamenti<br />

climatici di breve durata, come dimostra l’oscillazione della linea degli<br />

alberi connessa ai diversi periodi di variabilità climatica che si sono susseguiti


durante l’Olocene e allo sfruttamento delle “alte terre” da parte dell’uomo<br />

a partire dal Neolitico.<br />

L’importanza di conoscere l’evoluzione e le passate vicissitudini climatiche<br />

del territorio in cui viviamo ci consente di scoprire le potenzialità<br />

future che esso presenta ed attuare strategie d’intervento atte alla<br />

valorizzazione e alla salvaguardia di un ambiente sempre più sfruttato<br />

e dimenticato.<br />

2. La ricerca paleopalinologica: metodologie<br />

e applicazioni<br />

La Palinologia si occupa dello studio dei granuli pollinici e delle<br />

spore, oltre che della loro dispersione e preservazione in determinate<br />

condizioni ambientali. Un aspetto della Palinologia riguarda lo<br />

studio di pollini fossili (Paleopalinologia) grazie ai quali è possibile<br />

arrivare a ricostruzioni vegetazionali e climatiche di ambienti del<br />

passato. Un’applicazione dell’analisi pollinica riguarda lo studio<br />

paleoclimatico e vegetazionale attraverso l’indagine di sedimenti e<br />

depositi che contengono polline fossile e attraverso l’utilizzo di<br />

un’adeguata cronologia.<br />

Il fatto che i granuli pollinici si trovino comunemente in alcuni sedimenti<br />

e suoli è conseguenza della enorme produzione pollinica da<br />

parte delle piante anemofile, che affidano la propria impollinazione<br />

al vento. Le possibilità di conservazione sono scarse se il polline cade<br />

sul suolo, dove entra a far parte della sostanza organica morta e<br />

viene demolito più o meno rapidamente dalla fauna del suolo, mentre<br />

sono migliori se cade in bacini d’acqua, specie quelli poveri di<br />

ossigeno, come torbiere, paludi, laghi.<br />

1.1 Analisi pollinica e attività di laboratorio<br />

Le dimensioni dei granuli pollinici variano tra 10 e 250 μm (millesimi<br />

di mm) e il loro rivestimento è costituito da una parete resistente, che<br />

presenta diversi tipi di sculture. La parete di un granulo pollinico consiste<br />

in due strati: l’esina e l’intina. La prima costituisce lo strato più<br />

esterno ed è formata da una sostanza estremamente resistente e costituita<br />

in parte da polimeri di carotenoidi. Si tratta della sporopollenina,<br />

una sostanza relativamente inerte a buona parte delle reazioni<br />

chimiche, compreso l’attacco con acidi forti. Ciò rende ragione della<br />

conservazione del polline fossile nei sedimenti e nella possibilità<br />

di estrarlo in laboratorio per mezzo di un trattamento chimico drastico<br />

che distrugge il sedimento. I pollini, oltre ad avere varie sculture<br />

sulla parete come verruche o spine, presentano anche due tipologie<br />

di aperture per l’estromissione del tubetto pollinico: pori e colpi. I<br />

pori sono aperture generalmente isodiametriche, ma possono esse-<br />

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RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

re anche allungate con bordi arrotondati. In base all’apertura<br />

che i pollini presentano si possono distinguere<br />

granuli porati da quelli colpati. Essi si presentano<br />

estremamente diversificati nella loro morfologia, nel numero<br />

delle aperture e nella loro aggregazione (vi sono<br />

pollini riuniti in tetradi come quelli delle Ericacee). Lo studio<br />

e il riconoscimento dei tipi pollinici avviene mediante<br />

l’utilizzo di chiavi analitiche, atlanti illustrati e collezioni<br />

di confronto, sia di polline fresco che fossile.<br />

L’identificazione dei granuli pollinici avviene tramite microscopio<br />

ottico a 250 ingrandimenti (fino a 1000X). Il<br />

microscopio elettronico a scansione (SEM) viene talora<br />

utilizzato per l’esame dei dettagli morfologici. Il conteggio<br />

dei palinomorfi avviene mediante apposite schede<br />

che vengono poi riunite in un lavoro di sintesi detto diagramma<br />

pollinico, nel quale viene graficamente descritta<br />

la successione vegetazionale relativa alla sequenza<br />

sedimentaria campionata. Dall’interpretazione dei diagrammi<br />

pollinici, a volte integrati anche da analisi statistiche<br />

e da modelli vegetazionali, si arriva a stabilire relazioni<br />

climatiche tra l’andamento della vegetazione<br />

passata e quella attuale, oltre che ad individuare le fasi<br />

di impatto antropico e di sfruttamento delle terre da parte<br />

dell’uomo nei millenni e nei secoli passati.<br />

Un altro tipo di analisi correlata all’analisi pollinica riguarda<br />

i macroresti vegetali (legni, semi, frutti foglie,<br />

ecc.) che possiamo trovare nello stesso deposito o sedimento<br />

da cui sono stati estratti i pollini. Da questa si ricava<br />

un diagramma di macrofossili che, unitamente alle informazioni<br />

palinologiche, può confermare la presenza<br />

di determinate specie vegetali in luogo. Questo tipo di<br />

analisi può essere di grande importanza se ci troviamo<br />

in ambienti montani, a testimonianza del dinamismo del<br />

limite degli alberi nel corso degli anni.<br />

3. Le torbiere: formazione ed<br />

evoluzione<br />

Le torbiere derivano da un processo naturale di interramento<br />

degli specchi d’acqua per accumulo di sostanza<br />

organica prodotta dalle piante (briofite in particolare,<br />

ma anche Gramineae, Cyperaceae ed altre) che, in<br />

particolari condizioni idriche ed edafiche, non si decompone<br />

e tende ad accumularsi formando la torba. La<br />

formazione di una torbiera, o di un’area a vegetazione<br />

palustre, è dovuta a due processi generali di opposto significato:<br />

l’interramento e l’impaludamento. Al primo<br />

processo corrisponde una progressiva colonizzazione<br />

da parte della vegetazione, che dalle sponde progressivamente<br />

invade lo specchio d’acqua, espandendosi<br />

verso il centro. Al secondo corrisponde la colonizzazione<br />

di aree, anche vaste, prima asciutte e in seguito inondate<br />

(ad es. valli fluviali). Il processo di evoluzione di<br />

una torbiera può durare fino a 15.000 anni. La maggior<br />

parte delle torbiere risale all’Olocene e spesso offrono<br />

lunghe e continue sequenze dall’inizio dell’Olocene<br />

medio fino ai giorni nostri.<br />

La capacità della torbiera di conservare relativamente<br />

inalterata la materia organica che in essa si accumula è<br />

dovuta alla costante presenza di acqua che satura il terreno,<br />

portando a condizioni di assenza di ossigeno<br />

(anaerobiosi) che riducono drasticamente l’attività degli<br />

organismi del terreno, rallentando così il processo di decomposizione.<br />

Tuttavia le condizioni climatiche devono<br />

presentare caratteri coerenti: elevate precipitazioni e un<br />

andamento delle temperature oscillante intorno a valori<br />

estremamente ridotti, così da scoraggiare l’evaporazione<br />

e da rallentare la trasformazione della materia organica.<br />

Le torbiere si possono rinvenire in corrispondenza<br />

di diverse morfologie del terreno che assicurano la presenza<br />

di acqua, come si verifica nel fondovalle delle<br />

valli alluvionali, sulle spianante sommitali e di altopiano,<br />

sui versanti interessati da flusso di acqua, in prossimità di<br />

sorgenti, ecc.<br />

La torbiera è definita come un bacino in cui si accumula<br />

la torba, un deposito “sedentario” di piante che vegetavano<br />

in situ. La classificazione delle torbiere è piuttosto<br />

articolata, anche se, più in generale, si possono distinguere<br />

torbiere: basse (forma più o meno piana, coincidente<br />

con la configurazione del terreno); alte (con cumuli<br />

di sfagni intervallati a depressioni più o meno profonde);<br />

“a tappeto” (a volte anche di notevoli dimensioni,<br />

ricoprono in maniera uniforme la topografia sottostante).<br />

Torbiere e paludi sono considerati dei veri e propri archivi<br />

naturali e rivestono un valore straordinario poiché<br />

nel loro suolo custodiscono tracce di una storia millenaria<br />

dell’evoluzione naturale e delle vicissitudini sociali<br />

ed economiche di un territorio.


4. La Torbiera “Malga del Lago<br />

Nero”: storia della vegetazione e<br />

del clima in <strong>Valle</strong> delle Messi negli<br />

ultimi 10.000 anni<br />

La Torbiera Malga del Lago Nero presenta una deposizione<br />

continua di circa 1,20 m di torba, deformata in alcune<br />

parti da processi di ambiente periglaciale, dove<br />

dominano eventi di gelo-disgelo. Essa è situata in <strong>Valle</strong><br />

delle Messi, alta Val <strong>Camonica</strong>, ad una quota di 2395<br />

m slm, lungo la strada che da Ponte di Legno porta al<br />

Passo del Gavia. Dal punto di vista vegetazionale questa<br />

valle presenta larici (Larix decidua) e plaghe di ontano<br />

(Alnus viridis) che si spingono ad alte quote, poi il<br />

bosco si va infittendo più a valle popolandosi di esemplari<br />

di larice, fino ad arrivare alla foresta chiusa ad<br />

abete rosso (Picea abies), interrotta a tratti da aree a<br />

pascolo più pianeggianti. La principale asta fluviale è<br />

rappresentata dal torrente Oglio Frigidolfo. Nella parte<br />

alta, sul versante sinistro idrografico, si trova il Lago Nero,<br />

un lago alpino naturale che giace sopra un largo ripiano<br />

roccioso a 2386 m slm. L’immissario principale si<br />

versa nel lato N del lago ed è rappresentato da un torrentello<br />

che bagna il fondo di un vallone inciso sul versante<br />

meridionale del M. Gavia. A N/E un altro piccolo<br />

torrente si immette nel Lago Nero, andando ad alimentare<br />

una pozza scavata nella torba e un canale<br />

che incide fortemente la torbiera. Attualmente il lago,<br />

nella sua estremità S S/W, è sbarrato a valle da un muretto<br />

in pietre che favorisce la conservazione del lago<br />

stesso e l’approvvigionamento idrico dell’area, frequentemente<br />

soggetta al pascolo di bestiame che ha portato<br />

progressivamente ad uno stato di degradazione della<br />

torbiera.<br />

La Torbiera Malga del Lago Nero è stata oggetto di<br />

uno studio di dottorato presso l’Università di Milano - Bicocca<br />

(Aceti, 2005) e su di essa sono stati condotti studi<br />

paleobotanici da cui si è ottenuto un diagramma pollinico,<br />

un diagramma macrofossili e 8 datazioni radiocarbonio.<br />

Il campionamento di torba è avvenuto mediante<br />

il prelievo di tre box metallici (dimensioni<br />

50x10x10) lungo la parete della sezione principale<br />

della torbiera, sulla sponda destra del torrente. Durante<br />

il campionamento si sono rinvenuti frammenti di legni e<br />

semi ben conservati e riconducibili per la maggior parte<br />

al pino cembro (Pinus cembra), pianta che colonizza i<br />

boschi di alta quota nel settore endoalpico-continentale.<br />

Osservazioni e prove di sondaggio di altri lembi di<br />

torbiera lungo le sponde del Lago Nero e di un’altra<br />

torbiera nel settore N hanno rivelato la presenza di tronchi<br />

sommersi a bordo lago ed un grosso tronco a circa<br />

60 cm di profondità, adagiato su un letto di torba. Il loro<br />

rinvenimento è stato possibile grazie all’azione erosiva<br />

del lago che nel corso della sua esistenza ha subito<br />

un innalzamento repentino per la creazione, da parte<br />

dell’uomo, di un muro di sbarramento. Nell’estate 2006<br />

il Lago Nero ha subito un drastico deficit idrico per via<br />

di un breve, ma intenso periodo di siccità che si è manifestato<br />

su tutte le nostre Alpi. Questo ha permesso di osservare,<br />

nel settore S/W del lago, in prossimità dello<br />

sbarramento, la presenza di diversi tronchi, anche di notevoli<br />

dimensioni, adagiati sul fondo e ricoperti parzialmente<br />

da sabbie e limi. Questi sono oggetto di analisi<br />

dendrocronologiche, ovvero di analisi che riguardano<br />

gli anelli degli alberi, per risalire all’età delle piante ed<br />

ai fattori climatici che hanno portato al loro sviluppo.<br />

Molti di questi ritrovamenti sono stati destinati alle datazioni<br />

14C che hanno portato a significativi risultati, dimostrando<br />

come la timberline (fascia di “transizione” tra<br />

il limite del bosco chiuso e le praterie alpine) in <strong>Valle</strong><br />

delle Messi abbia raggiunto le quote più elevate tra circa<br />

9100 e 7300 cal. BP (date Before Present calibrate<br />

con curve dendrocronologiche), a partire dalla fine del<br />

Boreale e per buona parte dell’Atlantico (si tratta di due<br />

periodi che caratterizzano gli intervalli climatici dell’Olocene).<br />

Il ritrovamento di macroresti legnosi riconducibili<br />

al pino cembro (Pinus cembra) conferma i dati acquisiti<br />

dal diagramma pollinico e mette in evidenza un<br />

miglioramento nelle condizioni climatiche (Optimum climatico)<br />

durante la prima metà dell’Olocene, che ha<br />

portato ad un innalzamento altitudinale della timberline<br />

e alla formazione di estese cembrete a queste quote in<br />

<strong>Valle</strong> delle Messi.<br />

Attualmente però non vi sono cembri in questa valle, a<br />

differenza di quanto riportano gli studi paleobotanici<br />

sopra esposti. Questo può significare che la valle in<br />

questione è stata interessata, nel corso del tempo, da<br />

un aumento di oceanicità nelle condizioni climatiche<br />

che ha portato alla scomparsa del cembro dalla <strong>Valle</strong><br />

delle Messi e all’aumento di specie maggiormente<br />

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RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

adattate a questo tipo di clima, come<br />

l’ontano verde (Alnus viridis).<br />

Nella Torbiera Malga del Lago Nero<br />

sono stati trovati altri reperti significativi,<br />

come i numerosi rametti di<br />

ericacee che risalgono alla seconda<br />

metà dell’Olocene, dopo la fase<br />

di Optimum climatico e segnano il<br />

successivo passaggio di ritiro della<br />

foresta e formazione di ambienti<br />

aperti, che raccolgono polline trasportato<br />

su lunga distanza e tramite<br />

correnti ascensionali.<br />

L’espansione di tipi pollinici quali castagno<br />

(Castanea) e noce (Juglans)<br />

caratterizzano il passaggio all’Età<br />

romana e al definitivo sfruttamento<br />

economico delle alte quote sulle Alpi.<br />

Picchi nella curva del carbone riscontrati<br />

nel diagramma pollinico<br />

della Torbiera Malga del Lago Nero<br />

e che si osservano nella fase più<br />

recente del diagramma pollinico,<br />

mostrano come il pascolo sia considerato<br />

ancora una forma di sostentamento<br />

economico per gli abitanti<br />

di queste valli.<br />

Conclusione<br />

La stesura di questo articolo ha permesso<br />

di mettere a conoscenza,<br />

magari anche di incuriosire, tutti coloro<br />

che mostrano interesse e passione<br />

per il territorio in cui vivono.<br />

Grazie agli studi paleobotanici siamo<br />

in grado di scoprire gli eventi vegetazionali<br />

e ambientali che si sono<br />

susseguiti nel corso dell’Olocene in<br />

<strong>Valle</strong> delle Messi, valle che conduce<br />

ad un famoso e importante valico<br />

alpino, il Passo del Gavia, che<br />

mette in comunicazione la Val <strong>Camonica</strong><br />

con la Valtellina e che rientra<br />

nell’area dell’imponente gruppo<br />

montuoso dell’Ortles-Cevedale. Lo<br />

studio sulla “Torbiera Malga del Lago<br />

Nero”, in <strong>Valle</strong> delle Messi, ha<br />

portato a significativi risultati (Aceti,<br />

2005) che, connessi con quelli ottenuti<br />

dallo studio di altre torbiere nell’area<br />

del Gavia e della Val <strong>Camonica</strong>,<br />

permettono di fare correlazioni<br />

climatiche per gli ultimi 10.000 anni.<br />

Dagli studi paleobotanici condotti<br />

su torbiere di alta quota emerge<br />

che durante la prima metà dell’Olocene<br />

vi erano foreste in alta Val <strong>Camonica</strong>,<br />

in particolare in <strong>Valle</strong> delle<br />

Messi dove queste si spingevano fino<br />

a circa 2500 m di quota e forse<br />

oltre, delineando così un quadro climatico-ambientale<br />

dell’area differente<br />

rispetto a quello attuale.<br />

L’insieme delle<br />

informazioni raccolte<br />

fino ad ora<br />

ci consente di<br />

ripercorrere la<br />

storia olocenica<br />

di questa valle,<br />

delle sue foreste<br />

e degli insediamenti<br />

antropici.<br />

L’approccio multidisciplinare<br />

e lo<br />

studio paleobotanico<br />

di un numero<br />

sempre maggiore<br />

di torbiere<br />

e siti di alta quota<br />

sulle Alpi permetterà<br />

di confrontare<br />

i dati attuali<br />

con quelli potenziali<br />

che emergono<br />

da questo tipo<br />

di analisi ed<br />

ampliare così<br />

le nostre conoscenze<br />

sugli imperscrutabili<br />

(o<br />

quasi) territori dell’alta<br />

montagna.


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variabilità climatica<br />

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20<br />

RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

MONOGRAFIA<br />

Uomo e territorio.<br />

Paesaggi camuni nella prosa di<br />

Gadda militare in alta <strong>Valle</strong><br />

<strong>Camonica</strong><br />

Giancarlo<br />

Maculotti.<br />

Avvicinarsi al<br />

Gaddus non è<br />

facile poiché il<br />

duca incute reverenza<br />

e timore e<br />

si ha sempre<br />

l’impressione di<br />

essere formichina<br />

dinanzi ad elefante.<br />

La giustificazione<br />

di questa mia<br />

azzardata e<br />

sconsiderata<br />

incursione in<br />

campi che esulano<br />

dalle mie<br />

competenze è<br />

presto detta: mi<br />

sono accorto e<br />

ne ho avuto una<br />

conferma più e<br />

più volte in varie<br />

parti della valle<br />

che un grande<br />

scrittore come<br />

Gadda (1893-<br />

1973) non solo<br />

è poco letto e<br />

poco conosciuto<br />

in generale, ma<br />

sono quasi per<br />

nulla note le pagine<br />

che il milanese<br />

della<br />

“Cognizione del<br />

dolore” ha dedicato<br />

all’Alta<br />

Valcamonica,<br />

luogo dove<br />

mosse i suoi<br />

primi passi sia<br />

come militare,<br />

nell’agosto del<br />

1915, sia come<br />

sublime produttore<br />

di impareggiabili<br />

testi.<br />

La parte del “Giornale di guerra e prigionia” riguardante<br />

l’alta valle non la presenterò spacciandomi per critico<br />

qual non sono, ma la leggerò assieme a voi attraverso<br />

alcune significative frasi che citano luoghi a noi noti.<br />

Le pagine che riguardano l’alta <strong>Valle</strong> sono quasi un centinaio<br />

e sono state scritte a Edolo, a Precasaglio e a Ponte<br />

di Legno nel periodo che va dal 24 agosto 1915 al 15 febbraio<br />

1916. Non hanno evidentemente alcun scopo<br />

descrittivo o di celebrazione del paesaggio montano<br />

(peraltro molto apprezzato da Gadda) ma sono degli<br />

intermezzi dedicati all’alta valle motivati da approcci molto<br />

diversi e sempre in qualche modo collegati alla guerra.<br />

«Il bollettino del Ministero della Guerra del giorno 5 agosto 1 9 1<br />

5 mi nominava, dietro mia richiesta del 2 7 marzo u.s., sottotenente<br />

nella milizia territoriale, arma di fanteria, con destinazione al 5°<br />

Alpini. - Il comando reggimentale di Milano a cui mi presentai il 17<br />

agosto mi destinò al Magazzino di Edolo. - Il 18 sera ero a Edolo,<br />

dopo aver prestato il giuramento a Milano. - Presi alloggio all’albergo<br />

Derna, dove sono tuttora, e cominciai tosto il servizio, o più precisamente<br />

l’istruzione. Già avevo prestato servizio militare in fanteria,<br />

a Parma; dove prestai servizio come soldato semplice nel 1° regg.to<br />

Granatieri, dal 13 giugno fino alla nomina.»


«EDOLO, 24 AGOSTO<br />

1915. C. E. GADDA.<br />

Edolo, 24 agosto 1915. Le note che prendo a<br />

redigere sono stese addirittura in buona<br />

copia, come vien viene, con quei mezzi lessigrafici<br />

e grammaticali e stilistici che mi avanzeranno<br />

dopo la sveglia antelucana, le istruzioni,<br />

le marce, i pasti copiosi, il vino e il caffè.<br />

Scrivo sul tavolino incomodo della mia stanza,<br />

all’albergo Derna, verso le una e mezza<br />

pomeridiana. Le imposte chiuse e i vetri aperti<br />

mi lasciano entrare l’aria fresca e quasi fredda<br />

della montagna, i rumori dei trasporti e le<br />

voci della gente: mi impediscono la veduta di<br />

un muro, che si trova a due o tre metri in faccia<br />

e in cui non figurano che finestre chiuse, e<br />

delle rocce del Baitone.<br />

2. Sto abbastanza bene di corpo, per quanto il<br />

troppo cibo preso ieri alla mensa e l’uso che vi si<br />

fa di vino e caffè, a cui io non ho l’abitudine, mi<br />

lascino un senso di odiosa sazietà e di intorpidimento<br />

intellettuale: ho anche un po’ sonno.<br />

Quest’aria fresca mi ristora e un po’ di raccoglimento<br />

mi fa piacere. Spiritualmente sono seccato<br />

dalla mancanza di notizie della famiglia, poiché<br />

da quando sono a Edolo, cioè dal 18 corr.,<br />

non ho ricevuto una riga; dal continuo seccarmi<br />

che il capitano fa (e con ragione) perché mi provveda<br />

del cinturone di cuoio e del revolver; dalla<br />

perdita dei miei guanti, che occorrono all’istruzione,<br />

e che difficilmente potrò sostituire. Inoltre uno<br />

strano intorpidimento dell’animo mi toglie di<br />

godere a pieno della vivissima emozione fantastica<br />

e sentimentale che per solito la montagna mi<br />

destava, e talora anzi mi lascia indifferente del<br />

tutto: però levando lo sguardo al Baitone, alle sue<br />

rocce e alle sue nevi, questa monotona e stanca<br />

situazione dello spirito si interrompe per poco.<br />

Anche le cattive notizie della Guerra dei Russi mi<br />

mandano a traverso questi giorni che potrebbero<br />

essere di esaltazione.<br />

Il motivo egoistico sentimentale che momentaneamente<br />

mi domina è un desiderio di raccoglimento<br />

e di durezza alpinistica, di forze fresche, di compagnia<br />

coi miei pochi amici, di nebbia e di bosco.<br />

Tanto più quindi mi sono lontani questi carriaggi,<br />

questi muli, e la mensa copiosa e chiassosa degli<br />

ufficiali. Penso raramente alla guerra, non per indifferenza,<br />

ma per timore di soffrir troppo nella preoccupazione<br />

e anche perché ne sono continuamente<br />

distratto dalla vita giornaliera».<br />

Lo scrittore era un giovane allievo sottotenente<br />

che di stanza a Edolo doveva eseguire<br />

marce esplorative e di allenamento<br />

che avevano lo scopo di prendere confidenza<br />

con la fatica e con il territorio montano.<br />

Le “escursioni” toccavano vari punti<br />

della zona di Edolo, si spingevano ad<br />

esempio<br />

«fino a Sonico ed oltre, su strada, e in una completa<br />

manovra di combattimento di tutta la compagnia<br />

in un bosco di castani, su terreno morenico,<br />

meraviglioso».<br />

Oppure salivano verso l’Aprica come<br />

accadde il giorno 27 agosto:<br />

«Ieri mi alzai alle 4 del mattino, come ufficiale di<br />

servizio, e fui in caserma alle 4 1/2 presi il nome<br />

degli ammalati. Ero piuttosto assonnato e la marcia<br />

sullo stradone polveroso dell’Aprica mi fu<br />

dura. Mangiai, a mezza strada circa, del pane e<br />

due uova, e bevvi un bicchier di vino. Arrivai<br />

all’Aprica accaldato, come tutti, mi rinfrescai con<br />

gli altri nel bagno dell’Hotel Aprica, e scesi in<br />

sala. La colazione fu allegra, abbondante, e servita<br />

da due cameriere che furono il pretesto di<br />

mille allegrie. Il vino di Valtellina e due bicchieri<br />

fini di squisito Sassella coronarono la mensa. Ma<br />

in fondo, per quanto la colazione consistesse di<br />

spaghetti, una costoletta, frutta, mi sentivo pieno,<br />

appesantito, stanco. Riprendemmo tosto la via del<br />

ritorno, sullo stradone polveroso, sotto il sole. Poi<br />

si prese la strada mulattiera che sta sulla destra<br />

del Fiumicello e che è deliziosa. Ma il mal di ventre<br />

che mi colse, mi impedì ogni godimento del<br />

paesaggio… Fu una pessima giornata e avrò un<br />

cattivo ricordo di questa prima visita al collo<br />

dell’Aprica, che divide la Rezia dalla Camunia».<br />

L’attenzione dello scrittore è puntata<br />

soprattutto sul suo malessere fisico e psicologico.<br />

I disturbi gastro-intestinali lo tormentano<br />

per tutti i primi mesi di permanenza<br />

nelle retroguardie del fronte bellico<br />

e i rapporti con i commilitoni non<br />

hanno certo nulla dell’idillio. Gadda non<br />

sopporta le loro infinite discussioni su<br />

argomenti di nessunissimo valore, su questioni<br />

di lana caprina che portano<br />

comunque a scontri a volte fisici e ad un<br />

vociare scomposto ed irritante al quale il<br />

giovane soldato reagisce con lo sciopero<br />

della parola: parla poco o nulla.<br />

Scrive lettere alla mamma, ai parenti, agli<br />

amici, al fratello e si lamenta perché non<br />

riceve mai tempestiva risposta.<br />

Uniche note spiritose e serene quelle<br />

riguardanti la conoscenza di qualche<br />

giovane ragazza. Gadda è particolarmente<br />

attratto dalla bellezza femminile e<br />

pare abbia in quei mesi una tresca con<br />

una donna di Sonico i cui marito è emigrato<br />

in Australia.<br />

«EDOLO,<br />

2 SETTEMBRE.<br />

Ieri pessima giornata: caldo, stanchezza, litigi,<br />

ecc. Rinuncio alla sua descrizione che riuscirebbe<br />

troppo uggiosa da scrivere. È venuta<br />

a stare nel nostro albergo una graziosissima<br />

cameriera del lago di Garda, dai folti capelli<br />

castani, altissima, snella; mi propongo di farle<br />

la corte non ostante che nell’albergo abitino<br />

altri cinque miei colleghi.<br />

Oggi marcia al monte Faetto, ma non alla cima.<br />

Partiti da Edolo, salimmo per la strada militare<br />

d’oltre Fiumicello al passo di Flette, nome pomposo<br />

d’una spalla di contrafforte del Faetto, e per<br />

meravigliose praterie e castagneti scendemmo a<br />

Malonno: qui colazione e allegria.<br />

Ritorno con pioggia non forte».<br />

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22<br />

RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

Il “vecchio” Gaddus che<br />

quando scrive ha la bellezza<br />

di 22 anni usa a<br />

tratti il linguaggio che poi<br />

ritroveremo nei suoi<br />

principali scritti. Traspare<br />

dalle sue pagine di<br />

autore in erba tutta<br />

l’ironia e l’inventiva che<br />

poi ritroveremo<br />

nell’Adalgisa, nel<br />

Castello di Udine, nel<br />

Pasticciaccio, nella<br />

Cognizione del dolore.<br />

Sembra che il divertimento<br />

più apprezzato<br />

da Gadda sia il giocare<br />

con la lingua. Ne abbiamo<br />

uno dei primi<br />

esempi, se non il primo<br />

in assoluto, quando<br />

descrive il monte Faeto.<br />

«Hodie quel vecchio Gaddus e Duca di<br />

Sant’Aquila arrancò du’ ore per via sulle spallacce<br />

del monte Faetto, uno scioccolone verde per<br />

castani, prati, e conifere, come dicono i botanici,<br />

e io lo dico perché di lontano guerciamente non<br />

distinsi se larici o se abeti vedessi. Ahi che le rupi<br />

dure e belle del corno Baitone si celavano nelle<br />

nubi, forse per ira della non giusta preferenza<br />

data ai rosolacci. Ma è destino che chi vuole non<br />

possa, e chi può non voglia. Ora, questo<br />

Gaddus amerebbe adunghiare questo Baitone,<br />

ma gli è come carne di porco, a volerla mangiare<br />

di venerdì: Moisè ti strapazza. Ora, questo è il<br />

venerdì, perché è il tempo delle mortificazioni, e<br />

Baitone è porco, perché piace, e il generale<br />

Cavaciocchi, buon bestione, è Moisè, perché<br />

non vuole. E il Gaddus è il pio credente nella<br />

legge, e nella sua continova sanzione. Per che<br />

detto Duca seguitò per prati e boschive forre la<br />

sua buona mandra, che lungo la costa cantò nel<br />

silenzio della valle. Cantò la canzone dell’alpino<br />

che torna, poi che chi non torna né pure avanza<br />

fiato a cantare, e che gli è chiesto come s’è cambiato<br />

in viso dell’antico colore: è stato il sole del<br />

Tonale che mi ha cambià il colore, rispose<br />

l’alpino: e la sua ragazza si contenta. La canzone<br />

tristemente si perdeva nella valle, così nebulosa,<br />

come s’io l’avessi creata a mia posta, e con il<br />

mio immaginare pensavo che per la detta valle<br />

risonasse religiosamente un alto corale […] Fin<br />

che tragicamente lo scherzo cessa per un romore<br />

subitaneo: è il rimbombo lontano della cannonata.<br />

E con questo l’onda corale s’accende, improvvisa<br />

e totale, come se il vento si levasse d’un tratto<br />

nel più forte e generale suo modo: passa per il<br />

dolore e il compianto, con pause di sgomento e<br />

rincalzi d’angoscia, e si fonde nell’ira, e si perde.<br />

Ecco la solitudine delle pareti rupestri, il vano<br />

sotto le torri, la nebbia che sale dal profondo<br />

come fumo d’una valle senza suolo, il silenzio in<br />

cui è lasciato il monte dallo sparire dell’uomo.<br />

Questo fu l’immaginare del detto Gaddus, ma il<br />

monte era buono e rotondo, con spalle di prati e<br />

barbe di castagneti. Sulla più dolce e bassa delle<br />

propagini sue si ammucchiano grigie case di<br />

petrame, e in mezzo è il castello mal ridipinto con<br />

la torre ancor selvaggia, non guasta da cache di<br />

pittori a méstoli. Nel detto castello è il trattore con<br />

vino; formaggi; e costole di manzo, ch’era stanco<br />

d’imbizzirsi al novilunio: e le sue corna mulesche<br />

finirono male, di quest’asino, come quelle di molti<br />

manzi ribaldi».<br />

S’intrecciano come sempre osservazioni<br />

sul paesaggio e sull’uomo sul filo<br />

della melanconia e dello sguardo sardonico,<br />

della critica ai comandanti e<br />

della comprensione per un ruolo difficile<br />

e che suscita pochi consensi. Così ci<br />

viene restituita dallo sguardo dello scrittore<br />

la Val Gallinera:<br />

«Ieri marcia in Val Gallinera, quasi fino al passo<br />

di Gallinera. Fu una mezza odissea. Partimmo da<br />

Edolo poco dopo le 4 del mattino (gli uomini si<br />

erano levati alle 3) e lungo i costoni di M. Foppa<br />

(propaggine dell’Aviolo) raggiungemmo dopo<br />

qualche lungo disguido la VaI Gallinera. Vi proseguimmo<br />

lungo le pendici dell’Aviolo fino ad<br />

una profondità superiore alle Malghe Gallinera<br />

(che sono sull’altro versante) e quivi si fece il rancio.<br />

<strong>Valle</strong> grandiosa e bella, ma diavolescamente<br />

piena di sole. Il fondo-valle è coperto dagli<br />

erratici torrentizi di bellissimo granito (credo tonalite)<br />

rovinati dalla cima dell’Aviolo, e dai massi di<br />

schisto dell’Aviolo stesso. Dopo il rancio, manovra<br />

di sicurezza in marcia, sotto il sole, al riverbero dei<br />

graniti, da mezzodì alle due: ora pessima. Io giunsi<br />

con le avanguardie fin sotto il passo, ma fu allora<br />

comandato il «dietro front.» La truppa era un po’<br />

indisciplinata, brontolona, ma marciò molto bene.<br />

Con quaranta e più kili in dosso questi uomini si<br />

stancarono come me, che non portavo nulla. Vero<br />

è che io andavo su e giù, a recare ordini nella<br />

manovra, ecc. Il ritorno fu un po’ grave, per lo spirito<br />

della truppa mal disposto verso il comandante,<br />

il tenente Ricci, bestia bisbetica e pasticciona.<br />

Ha per altro il merito di fare delle vere marce di<br />

montagna e non della caricatura. Io tornai molto<br />

stanco, e risentii la stanchezza anche stamane<br />

(Edolo, 19 sett.bre 1915)».<br />

La guerra è lontana e si presenta all’attenzione<br />

di Gadda solo con l’eco di<br />

qualche scoppio e le notizie poco rassicuranti<br />

che arrivano dal fronte. Il giovane<br />

sottufficiale vorrebbe essere in prima<br />

linea e si lamenta della vita oziosa<br />

(senza libri!) e del fatto di non essere<br />

adeguatamente impegnato dove infuria<br />

la battaglia e dove, per un periodo, è di<br />

stanza il fratello Enrico. Solo in qualche<br />

rara occasione il rumore dei cannoni si fa<br />

più vicino.


«Accompagnai, col collega Radice, 132 uomini<br />

alla Forcella di Montozzo, in due giorni. Le<br />

truppe erano mal nutrite e poco resistenti: il<br />

primo giorno giungemmo a Pontagna (19 km.<br />

circa) il 2° salimmo a Montozzo (2470). Fu<br />

una vera fatica il guidare questi muli […]Edolo,<br />

9 ottobre 19 I 5».<br />

Assorbiti dai compiti e dai doveri militari<br />

si presta poca attenzione al tran tran di<br />

tutti i giorni e solo di sfuggita si coglie il<br />

ritmo della vita quotidiana dei paesi:<br />

«EDOLO, ANCORA 26<br />

OTTOBRE SERA.<br />

Come sono poco osservatore delle cose che<br />

non mi interessano! Da che sono in Valcamonica<br />

non ho sentito mai suonare una campana, eppure<br />

solo oggi la mia attenzione si fermò su questo<br />

fatto. Nessun campanile si anima mai, né a mattina,<br />

né a vespro, né durante le feste. La torre di<br />

Edolo (alta e massiccia costruzione in granito, di<br />

stile rinascimento abbastanza buono) non batte<br />

neppur le ore. La valle suona solo del fiume, della<br />

ferrovia, degli automobili, delle segherie elettriche,<br />

talora del tiro a segno. Quale differenza da<br />

quando, remota a ogni civiltà, solo il fiume e qualche<br />

campana vi avrà vissuto! La grammatica zoppica,<br />

ma poco importa».<br />

Poi finalmente l’agognato salto verso le<br />

prime linee. Non è ancora il respiro della<br />

polvere del cannone o l’incontro quotidiano<br />

con la morte, ma il fronte è lì a due<br />

passi e l’inverno bellico nelle fredde stanze<br />

prima di Precasaglio e poi del<br />

Grande Albergo di Ponte di Legno sfida<br />

la resistenza e l’equilibrio del giovane<br />

interventista che sfilava a Milano per<br />

reclamare l’ingresso in guerra.<br />

«La camera che qui abito è a Sud Ovest, la<br />

migliore esposizione, a dieci metri dal quartiere,<br />

ed è stanza d’angolo con due finestre: è alta<br />

poco più di due metri, a quadrilatero irregolare,<br />

bianca, pulita, ma molto fredda e senza stufa né<br />

camino. Il padrone, un tirchio montanaro, voleva<br />

1,20 al giorno: m’accordai a stento per L. 1, che<br />

è il prezzo di requisizione, già fin troppo elevato.<br />

La catinella, piccola, in ferro, con dell’acqua<br />

gelida, è posata sopra uno sgabello. Vi<br />

è uno specchio, un tavolo, un cassettone, due<br />

sedie il letto e il tavolino da notte. Il letto è<br />

un’ottomana corta, in cui devo stare rannicchiato.<br />

(Precasaglio, 18 novembre)».<br />

Alle osservazioni sulle zone visitate<br />

attraverso delle marce impegnative si<br />

sostituiscono descrizioni delle condizioni<br />

ambientali determinate dal freddo.<br />

Nel marasma della disorganizzazione<br />

Gadda riesce ad individuare anche<br />

alcuni aspetti positivi riguardanti l’uso di<br />

mezzi di trasporto innovativi e la predisposizione<br />

di trincee “assai ben fatte”.<br />

«Il tempo qui è sereno, secco, e freddissimo: a<br />

Vescase, dov’è la truppa di guarnigione del<br />

Tonale, si sono raggiunti i 18 cent. sotto lo zero;<br />

qui la notte credo si siano passati i 15; gelano<br />

i ruscelli, e gli scoli delle strade formano enormi<br />

incrostazioni di ghiaccio. Ovunque grosse<br />

stalattiti e formazioni botriodali e mammellonari.<br />

La valle è asciutta, cosparsa di capannoni in<br />

legno, a doppia parete, coperti di tela catramata,<br />

assai ben fatti, capaci di 60 uomini e più;<br />

rigata da costruzioni stradali e da sentieri<br />

recenti; solcata dal Narcanello e dall’Oglio p.<br />

d.; talora assordata dai boati delle mine; passeggiata<br />

dalle comitive d’uomini e di muli.<br />

Queste vanno divenendo meno frequenti a<br />

mano a mano che si aprono all’esercizio le filovie.<br />

A Montozzo una filovia, al Castellaccio e<br />

al Corno di Laghi Scuri sale una teleferica:<br />

insomma l’organizzazione va man mano compiendosi.<br />

A Vezza d’Oglio, e qui a Ponte pure<br />

delle molteplici linee di trincee assai ben fatte e<br />

di reticolati sbarrano Valcamonica a<br />

un’eventuale irruzione nemica. (Ponte di Legno<br />

27 novembre 1915)».<br />

I nomi dei nostri monti lo meravigliano<br />

non poco. Ma ancor di più lo colpiscono<br />

le differenze tra le abitudini di bresciani<br />

e bergamaschi e quelle di militari di<br />

altre regioni.<br />

«Certi romani e certi toscani, non per parlar male,<br />

che faranno anche loro quel che devono, ma<br />

vanno su per la neve come un cavallo per una<br />

scala a pioli: gli batte il cuore e gli occhi si cerchiano<br />

d’un giallo-viola e strabuzzano, in aria di<br />

infinita amarezza. Uno, che incontrai in ferrovia, si<br />

ammalò al solo vedere la posizione della batteria<br />

(Cima delle Gràole) e ottenne sei mesi di convalescenza.<br />

Un altro che faceva servizio tra il<br />

Corno d’Aòla e Cima Le Sorti, ottenne di andare<br />

a Livorno, in una batteria da costa o giù di lì. I<br />

nomi di questi siti, tra parentesi sono qualche<br />

cosa di raro: una montagna si chiama: I Cacàoni,<br />

un’altra Dosso del Faustinelli, un’altra Cima Cady,<br />

un’altra Crestone di Re di Castello, un’altra Cima<br />

di Casamadre; senza parlarti del passo dei<br />

Contrabbandieri, del passo di Laghi scuri e del<br />

passo di Ercavallo: un Orlando Furioso».<br />

(Lettera scritta al nipote, Emilio Fornasini da Ponte<br />

di Legno il 5 dicembre 1915).<br />

Del resto ne “Il castello di Udine”, scritto<br />

nel 1934 e quindi non sotto<br />

l’influenza nervosa delle vicende belliche,<br />

Gadda avrà elogi sperticati per i<br />

nostri soldati e per i montanari in genere<br />

e in Eros e Priapo, violento pamphlet<br />

di derisione del dittatore e delle sue<br />

patologiche maniacali scriverà: “Il<br />

popolo mi ha offerto i modelli sublimi<br />

de’ bergamaschi e camuni, de’ piemontesi;<br />

e certi vecchi e saggi operai che<br />

ancora li vedo lavorare: li vedo vivere in<br />

un mondo il quale sta già disparendo<br />

dalla mia anima come orizzonte in<br />

fuga“ pag. 152-153. Chissà, se quel<br />

mondo stava già disparendo negli anni<br />

trenta del secolo scorso, che cosa ne<br />

scriverebbe oggi.<br />

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24<br />

RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

MONOGRAFIA<br />

Uomo e territorio.<br />

Le “Calchere” di Ono S. Pietro<br />

in <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong> e la trasformazione<br />

del territorio nel processo<br />

di approvvigionamento<br />

Ausilio<br />

Priuli.<br />

La ricerca archeologica, tra le altre cose, si occupa spesso della messa in luce<br />

e studio dei resti dei manufatti necessari al processo di trasformazione di materie<br />

prime, in quanto strutture anche architettonicamente di una certa rilevanza e<br />

degne di nota per essere prodotti dell’economia, quindi della cultura di un certo<br />

territorio. Raramente le indagini archeologiche si occupano del reale esteso<br />

contesto antropico nel quale si colloca il manufatto, cioè dell’ambiente che<br />

ospita la materia prima indispensabile alla produzione e del contesto sociale<br />

e culturale del quale è espressione.<br />

Raramente le indagini archeologiche si occupano ed hanno la possibilità di<br />

acquisire dati concreti relativi alle quantità, qualità e distribuzione dei materiali<br />

impiegati per la produzione, quindi di approfondire la conoscenza delle fonti<br />

di approvvigionamento e dei modi nei quali può essere avvenuta la raccolta.<br />

Quasi mai ha la possibilità di cogliere le implicazioni che la produzione ha<br />

avuto sull’economia, conseguente ed indotta, del territorio e nemmeno ha grandi<br />

possibilità di approfondire la conoscenza delle trasformazioni ambientali<br />

conseguenti l’esigenza di applicare il processo produttivo.<br />

In genere dalla ricerca nell’ambito di strutture con funzione produttiva, non<br />

emergono le implicazioni sociali ed economiche e le relazioni con le altre attività<br />

produttive locali delle quali, quella oggetto di interesse, magari è solo una<br />

tra le tante praticate e nemmeno a livello professionale ed esclusiva, ma integrativa<br />

di tante altre, soprattutto in ambiente montano ad economia mista agricola,<br />

pastorale ed artigianale.<br />

Un caso a sé è quello delle “calchere” di Ono S. Pietro in <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong> e<br />

forse questo è un caso che potrebbe sollecitare un diverso modo di leggere un<br />

manufatto, un territorio, una cultura e quindi di collocare, capire e valorizzare


Ono S. Pietro, “calchera” o fornace per la<br />

cottura del calcare<br />

una struttura in un contesto, con delle<br />

dimensioni più umane che tecnichescientifiche-archeologiche.<br />

In questa sede quindi non ci si occuperà<br />

della “calchera” vera e propria,<br />

della struttura produttiva reperto di<br />

archeologia industriale, anche perché<br />

si è avuto modo in altre occasioni di<br />

fare ciò, ma delle implicazioni che la<br />

produzione di calce ha comportato<br />

nel territorio sul quale insistono le fornaci<br />

di cottura.<br />

Se si osserva il territorio costituito dalla<br />

conoide di deiezione del torrente Ble,<br />

nei comuni di Ono S. Pietro, Cerveno<br />

e Capodiponte, nell’area centrale<br />

della <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>, famosa per la<br />

presenza del grande patrimonio paleoiconografico<br />

rupestre, si scopre la<br />

presenza di numerose “calchere”: fornaci<br />

per la cottura del calcare in funzione<br />

della produzione di calce,<br />

costruite semi interrate a ridosso del<br />

pendio che sale verso il magnifico<br />

Monte Concarena.<br />

Il territorio oggetto della presente nota<br />

è ubicato nella media <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>,<br />

a bassa quota, cioè tra i 350 ed<br />

i 600 m di altitudine, ai piedi di una<br />

delle più spettacolari montagne della<br />

valle che nulla ha da invidiare alle<br />

Dolomiti, anche se non supera di<br />

molto i 2500 metri di altitudine.<br />

Il Monte Concarena, nelle prealpi<br />

orobiche, è costituito da calcari della<br />

Dolomia Principale in disfacimento ed<br />

ha visto prolungati movimenti franosi in<br />

età post glaciale e la formazione di<br />

un’estesa e massiccia conoide di<br />

deiezione durante la fase di assesta-<br />

Ono S. Pietro adagiato sulla conoide ai<br />

piedi del Concarena<br />

mento dei suoli nei periodi Boreale ed<br />

Atlantico.<br />

Il crollo delle rocce dalle alte pareti<br />

verticali ed il trasporto a valle dei<br />

materiali ad opera soprattutto del torrente<br />

Ble, nelle frequenti fasi alluvionali,<br />

ha distribuito gli stessi in un esteso<br />

ventaglio di circa 2 chilometri di base<br />

ed altrettanti di altezza, per uno spessore<br />

di oltre 250 metri.<br />

Nel corso di circa 8000 anni si è<br />

costituito un immenso deposito alluvionale<br />

poggiante sul precedente morenico,<br />

ricoperto da bosco ceduo di nocciolo,<br />

ontano, frassino, roverella e salice<br />

selvatico. Tale deposito, nel tempo,<br />

è stato gradualmente usato quale<br />

cava di materia prima, in forma di pietrame,<br />

atta ad essere cotta e trasformata<br />

senza essere costretti a cavare<br />

dalla roccia madre.<br />

Questo territorio sembra sia stato<br />

antropizzato in maniera vistosa in<br />

epoca romana, dopo la conquista<br />

della vallle ad opera del proconsole<br />

Publio Silio nel 16 a.C., soprattutto<br />

attraverso un intervento di microcenturiazione<br />

della conoide citata e delle<br />

due adiacenti di Cemmo a nord e di<br />

Cerveno a sud (Priuli, 1988).<br />

La presenza romana in valle, con la<br />

conseguente nascita della Civitas di<br />

Cividate Camuno, il sorgere di numerosi<br />

pagi, tra i quali quello di Cemmo,<br />

fortemente legato alle attività estrattive<br />

di minerali di ferro dalle vicine montagne,<br />

l’erezione di case in muratura pietrosa<br />

in sostituzione di quella in legno,<br />

paglia e fango tipica delle capanne<br />

di tradizione preistorica, ha imposto un<br />

Ono, “calchera” in abbandono da solo<br />

una quarantina d’anni<br />

utilizzo razionale dei suoli e conseguenti<br />

attività produttive tra loro concatenate.<br />

Da quel momento in poi, quasi ininterrottamente<br />

fino alla fine degli anni 50<br />

del XX secolo, il territorio ha visto processi<br />

di rimozione di materiali inerti,<br />

trasporto e trasformazione degli stessi,<br />

numerose altre attività complementari<br />

e conseguenti, imposte non solo dall’attività<br />

produttiva di calce, ma anche<br />

dall’esigenza di operare azioni di<br />

bonifica agraria e di coltivazione del<br />

bosco in funzione della necessaria<br />

disponibilità di combustibile.<br />

Le nuove tecnologie edilizie importate<br />

dai romani prevedevano l’abbondante<br />

uso di malta cementizia con<br />

calce come legante.<br />

Una città come Cividate Camuno, di<br />

grandi dimensioni, centro commerciale,<br />

amministrativo e culturale dotato di<br />

teatro, anfiteatro, complesso termale,<br />

foro, grandi magazzini, ha necessitato<br />

per le opere edilizie di grandi quantità<br />

di calce.<br />

Santuari come quello di Spinera della<br />

vicina Breno hanno visto la realizzazione<br />

di imponenti opere edilizie.<br />

Dall’avvento romano in poi, la nascita<br />

di borghi e paesi in tutta la valle (oltre<br />

100) ha necessitato di legante per le<br />

strutture murarie degli edifici pubblici e<br />

privati e per numerose strutture produttive<br />

oltre a calce per altri tipi di interventi,<br />

come ad esempio produzione<br />

di coloranti, disinfettanti, disinfestanti<br />

ed anti parassitari.<br />

Ono è divenuto quindi il territorio con<br />

la maggiore quantità e la migliore<br />

25


26<br />

RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

Ono, visione della parcellizzazione dei<br />

suoli bonificati<br />

qualità di calcare da trasformare in<br />

calce ed il sito di riferimento per quasi<br />

tutta la <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>, dal momento<br />

che, tra l’altro, da Ono verso l’alta<br />

valle non sono presenti consistenti giacimenti<br />

di calcari adatti alla produzione<br />

di calce e, nella bassa valle, il tipo<br />

di calcare esistente non è altrettanto<br />

idoneo alla trasformazione.<br />

Le calchere riconosciute presenti a<br />

Ono S. Pietro sono sei, distribuite nella<br />

parte medio alta della conoide, nelle<br />

vicinanze del paese, lungo i tracciati<br />

viari orizzontali e paralleli che attraversano<br />

la stessa, e adiacenti l’antica via<br />

“Valeriana” (strada vallis) di probabile<br />

epoca romana che, risalendo la valle<br />

per tutta la sua lunghezza, permette la<br />

comunicazione con gli altri paesi di<br />

base versante e sale verso il Passo del<br />

Tonale per scendere nella Val di Sole,<br />

da un lato, e dall’altro risale lla <strong>Valle</strong><br />

di Corteno, fa il Passo dell’Aprica e<br />

scende in Valtellina.<br />

La datazione delle fornaci non è per<br />

nulla agevole, anche perché tanto<br />

quelle solo parzialmente conservate e<br />

quelle in abbandono, quanto quelle<br />

integre hanno subito molteplici restauri<br />

e parziali trasformazioni in funzione<br />

dell’uso fino alla fine degli anni ‘50.<br />

L’abbandono dell’attività di cottura dei<br />

blocchi calcarei per produzione di<br />

calce è avvenuto abbastanza gradualmente<br />

dall’inizio del XX secolo a<br />

seguito della introduzione della calce<br />

prodotta industrialmente e del cemento,<br />

che ha soppiantato l’uso della<br />

calce viva nella costruzione di opere<br />

murarie.<br />

Ono, “murache” su confine di proprietà Ono, grande “muraca” ai margini delle<br />

aree coltivate e accanto ad una strada<br />

Al di la della osservazione e studio dei<br />

manufatti eretti con funzione produttiva,<br />

come si è gia accennato, vistose<br />

sono le trasformazioni del territorio<br />

conseguenti i processi produttivi.<br />

L’esigenza di produrre calce è venuta<br />

incontro a quella di trasformare una<br />

pietraia in spazi pascolabili e nello<br />

stesso tempo al bisogno di terra da<br />

coltivare, in conseguenza anche di un<br />

continuo aumento della popolazione<br />

che ha indotto a fare interventi di bonifica<br />

dei suoli pietrosi alluvionali onde<br />

recuperare spazi produttivi in termini<br />

agricoli e pastorali.<br />

L’intervento di bonifica agraria ha visto<br />

quindi lo spietramento sistematico dei<br />

suoli, operato non solo da forza lavoro<br />

costituita da maschi adulti, ma<br />

anche dalle donne e dai bambini.<br />

Tutto il pietrame veniva raccolto, gettato<br />

o trasportato e accatastato ai margini<br />

di relativamente piccole superfici<br />

di suolo che costituivano la proprietà<br />

familiare<br />

Le cataste di pietrame, dette “murache”,<br />

andavano quindi a delimitare le<br />

proprietà ed erano sito di deposito<br />

comune per almeno due proprietà<br />

adiacenti o addirittura per tre o quattro,<br />

divenendo anche barriera contro il<br />

vento.<br />

Il materiale minuto si ammonticchiava<br />

man mano che avveniva la bonifica<br />

ed il mucchio cresceva ogni anno<br />

quando, in seguito ad aratura o zappatura<br />

del terreno emergevano i sassi.<br />

La pezzatura media o quella eccessivamente<br />

grossa veniva usata per<br />

costruire muri di terrazzamenti a soste-<br />

gno dei poderi bonificati e delle strade<br />

di collegamento, mentre il materiale<br />

di una certa dimensione (pietre da<br />

30 a 50 kg circa, ma anche pietre<br />

della dimensione di una pagnotta),<br />

ritenuto idoneo alla trasformazione,<br />

veniva messo ai margini della “muraca”<br />

per essere agevolmente caricato<br />

sui carri e trasportato alla “calchera”<br />

al momento opportuno.<br />

I primi spietramenti probabilmente<br />

sono stati praticati in maniera sistematica<br />

sia che siano avvenuti in funzione<br />

del recupero di suoli per la pratica<br />

agricola, sia che siano avvenuti per<br />

raccogliere materia prima per fare<br />

produzione.<br />

Successivamente lo spietramento<br />

annuale avveniva in genere alla fine<br />

dell’inverno e inizio primavera, cioè<br />

quando si predisponeva il podere alla<br />

semina per mezzo di aratura, vangatura<br />

e zappatura, ma in un qualsiasi<br />

momento dell’anno ogni sasso che<br />

poteva dare fastidio veniva rimosso.<br />

Il trasporto del pietrame alla “calchera”<br />

avveniva in genere in autunno inoltrato,<br />

cioè quando il lavoro dei campi<br />

era finito.<br />

Negli ultimi decenni di attività di produzione<br />

di calce, i “calcaroc”, come<br />

sono chiamati gli abitanti di Ono ed in<br />

particolare coloro che sono stati<br />

addetti alla produzione, per mancanza<br />

di materia prima frutto di bonifiche,<br />

sono stati costretti a raccoglierla direttamente<br />

lungo il greto del torrente Ble,<br />

costantemente alimentato dagli<br />

apporti alluvionali primaverili.<br />

Il lavoro è diventato sicuramente molto


Ono, spazi bonificati e terrazzati Ono, aspetto del suolo coltivabile a bonifica<br />

ultimata<br />

più impegnativo e faticoso ed ha previsto<br />

anche il versamento, alla Chiesa<br />

locale ed alla Comunità, di tasse che<br />

supplissero al depauperamento delle<br />

risorse considerate bene pubblico.<br />

La pausa invernale delle attività agricole<br />

era non solo l’occasione per trasportare<br />

la materia prima alla “calchera”,<br />

ma anche per caricare il forno e<br />

fare le cotture, interventi che necessitavano<br />

di molto tempo e del lavoro di<br />

più persone contemporaneamente.<br />

Dall’autunno inoltrato fino alla fine dell’inverno<br />

veniva preparata anche la<br />

legna necessaria alle cotture dell’inverno<br />

successivo, in modo che avesse<br />

il tempo per seccare.<br />

Se si osserva il territorio boschivo a<br />

monte del borgo di Ono, si scopre<br />

che è costituito quasi esclusivamente<br />

da ceduo di nocciolo, ontano, frassino<br />

e pochi altri tipi di essenze, mentre<br />

sono quasi assenti alberi d’alto fusto<br />

dal tronco robusto, non perché non<br />

possano crescere in quel tipo di<br />

ambiente, ma perché lo stesso bosco<br />

ceduo è il risultato di una precisa scelta<br />

economica fatta in funzione della<br />

cottura del calcare e quindi della produzione<br />

di calce.<br />

Per effettuare le cotture è infatti indispensabile<br />

avere a disposizione una<br />

grande quantità di lunghe fascine di<br />

legna mediamente fine, legate strette<br />

e di un diametro non superiore ai 30<br />

cm, in modo che possano passare<br />

dalla piccola bocca del forno.<br />

Raramente si faceva uso di legna di<br />

grosse dimensioni, che invece serviva<br />

per uso domestico, nei caseifici e per<br />

il riscaldamento delle case, mentre<br />

pali lunghi e diritti, soprattutto di selvatico<br />

di castagno, venivano usati come<br />

sostegni dei filari e pergole di vite,<br />

messa a dimora proprio nei suoli bonificati<br />

nella parte medio bassa della<br />

conoide.<br />

Il ceduo veniva quindi tagliato ogni tre<br />

o quattro anni al massimo in fasce di<br />

proprietà in genere dei proprietari o<br />

conduttori delle calchere stesse, ma<br />

anche in proprietà vicinali, alternando<br />

i tagli in modo da avere ogni anno<br />

disponibilità di legna per almeno una<br />

cottura o più di una a seconda delle<br />

dimensioni delle proprietà e quindi<br />

della disponibilità di legna, di calcare<br />

e di persone addette.<br />

La quantità di legna necessaria per una<br />

cottura variava a seconda delle dimensioni<br />

della fornace e conseguentemente<br />

della quantità di pietra da cuocere.<br />

Per la cottura di 300-350 quintali di pietra<br />

sono necessarie 2000 fascine di<br />

25-30 kg, pari a circa 550 quintali di<br />

legna, quindi il taglio di circa un ettaro<br />

di bosco ceduo. I tempi di cottura<br />

vanno dai 6 agli 8 giorni, per ottenere<br />

250-300 quintali di calcare cotto.<br />

Percorrendo i boschi cedui che per<br />

almeno due millenni sono stati oggetto<br />

di coltivazione e di taglio in funzione<br />

dell’approvvigionamento del combustibile<br />

atto alla cottura dei massi di calcare,<br />

si coglie come gli stessi siano<br />

sgombri quasi totalmente di massi calcarei<br />

di una certa dimensione, dal<br />

momento che hanno, a loro volta, subìto<br />

azione di spietramento e raccolta di<br />

quelli più idonei ad essere trasformati,<br />

Ono, Bosco ceduo, ai margini di spazi bonificati<br />

e coltivati, pronto per essere tagliato<br />

mentre sono stati lasciati al loro posto<br />

quelli di piccole dimensioni.<br />

In quei boschi non esistono quindi le<br />

“murache” e solo raramente si riscontra<br />

la presenza di piccoli cumuli.<br />

Lo spietramento dei boschi ha inoltre<br />

permesso l’attività di pascolo di ovini<br />

ed ha indotto un rigoroso controllo<br />

affinché non avvenisse quello dei<br />

caprini che avrebbe irrimediabilmente<br />

compromesso la ricrescita del ceduo,<br />

dal momento che le capre brucano<br />

qualsiasi fresco germoglio e nuovo<br />

pollone che spunta dai ceppi dopo il<br />

taglio.<br />

Altra constatazione importante è quella<br />

che vede l’esistenza di una fitta rete<br />

viaria non solo in relazione alle aree<br />

coltivate, ma anche a quelle boschive.<br />

Per la raccolta e trasporto delle pietre<br />

nelle aree divenute agricole e per il<br />

trasporto dei prodotti agricoli vi era<br />

bisogno di strade percorribili con carri<br />

trainati da mucche aggiogate o muli e<br />

asini, quindi di certe dimensioni.<br />

Per il trasporto delle lunghe fascine di<br />

legna c’era bisogno di piste lungo le<br />

quali trascinarle a valle con i muli o trasportarle<br />

su carri lunghi (barache) e<br />

dove passare con carri a due ruote<br />

carichi di pietre.<br />

Tutto il lavoro di reperimento, trasporto<br />

del materiale, restauro della fornace,<br />

caricamento, taglio della legna da<br />

ardere, cottura e commercializzazione<br />

del prodotto, veniva fatto dalla<br />

compagine famigliare di tipo esteso,<br />

in un ambiente dove è sopravvissuta<br />

fino quasi ad oggi la famiglia di tipo<br />

patriarcale e nella quale tutti collabo-<br />

27


28<br />

inter lli RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

Ono, bosco ceduo e taglio dello stesso Muri di contenimento e terrazzamento,<br />

costruiti in calcare<br />

ravano all’espletamento di qualsiasi<br />

attività.<br />

Da queste sia pur sintetiche note, si<br />

può dedurre una fitta serie di osservazioni<br />

che permettono di cogliere<br />

come un’antica attività produttiva e<br />

l’uso di un manufatto, come la fornace<br />

per la cottura del calcare, abbia indotto<br />

una serie di modi di pensare, di<br />

azioni, comportamenti ed implicazioni<br />

sociali ed economiche che non solo<br />

hanno condizionato e ritmato la vita di<br />

un borgo, ma anche l’assetto ambientale<br />

e la trasformazione di un territorio.<br />

- Un esteso territorio costellato di pietraie<br />

alluvionali e apparentemente<br />

inutilizzabile, è stato parcellizzato.<br />

- Le parcelle sono state oggetto di<br />

bonifica, quindi sono divenute campi<br />

coltivati a vigna, cereali e successivamente<br />

a granoturco, patate, fagioli,<br />

verze ed altro ancora.<br />

- L’azione di bonifica ha prodotto pietrame<br />

per la costruzione di muri di terrazzamenti,<br />

di confine e “murache”.<br />

- L’azione di bonifica ha indotto la<br />

selezione del pietrame emergente,<br />

(che costituiva oltre il 60% del deposito<br />

alluvionale) in funzione dell’approvvigionamento<br />

delle “calchere”<br />

per la produzione di calce.<br />

- La stessa azione ha costretto a progettare<br />

e realizzare strade percorribili<br />

con carri, slitte e strascichi di un<br />

certo peso, quindi con solidi muri di<br />

sostegno.<br />

- Il bisogno di combustibile di un certo<br />

tipo ha indotto la coltivazione a<br />

bosco ceduo di un esteso pendio<br />

montuoso, relegando quello per<br />

legname d’opera e per riscaldamente<br />

a quote più elevate<br />

- La presenza, a portata di mano, di<br />

una notevole quantità di materia<br />

prima da trasformare ha permesso<br />

produzione di calce per circa 2000<br />

anni per almeno una mezza dozzina<br />

di “calchere”.<br />

- Partendo dal piccolo borgo di Ono,<br />

per 2000 anni è avvenuta la commercializzazione<br />

della calce con la<br />

conseguente distribuzione in quasi<br />

tutta la <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong><br />

- I ritmi lavorativi della gente di Ono<br />

S.Pietro hanno assunto forme e<br />

dimensioni diverse rispetto a quella<br />

degli altri paesi camuni, con conseguenti<br />

implicazioni sociali, culturali<br />

ed economiche.<br />

- Gli interventi sul territorio hanno pro-<br />

dotto un intelligente assetto idro-geologico<br />

che ha scongiurato altre alluvioni<br />

che avrebbero compromesso<br />

la vita del borgo e scovolto<br />

l’organizzazione agraria conseguita<br />

con tanta fatica.<br />

Un manufatto come la “calchera” è<br />

quindi solo l’apparente di una realtà<br />

che implica più approfonditi studi di<br />

archeologia agraria, artigianale, forestale<br />

e sociale, che permettono di<br />

cogliere aspetti della trasformazione<br />

di un territorio a seguito di processi di<br />

rimozione, trasporto e trasformazione<br />

di materiali.<br />

Studiare una “calchera” solo dal punto<br />

di vista architettonico, strutturale e per le<br />

funzioni che ha svolto nel tempo, sarebbe<br />

come studiare un coccio, che alla<br />

fine rischia di restare un oggetto freddo,<br />

inanimato, collocato magari in un<br />

museo chiuso in una vetrina-bara di cristallo<br />

e dal quale non traspare l’uomo<br />

che l’ha prodotto ed usato.<br />

Studiarla nel suo contesto ambientale<br />

e culturale è un modo non solo per<br />

capirne le funzioni, ma anche per<br />

cogliere ciò che è avvenuto nel<br />

tempo, nello spazio e per capire<br />

l’uomo che l’ha costruita e usata.<br />

Ono S.Pietro, visione parziale del territorio che è stato oggetto delle attività di bonifica<br />

agraria, della costruzione delle “murache”, dell’asportazione di pietrame


Comunità Montana<br />

di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong><br />

RegioneLombardia<br />

Consorzio Comuni BIM<br />

di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong><br />

SOCIETÀ DI INTERVENTO<br />

PER LO SVILUPPO<br />

DELLA VALLE CAMONICA<br />

E DEL SEBINO<br />

3 Ottobre<br />

-4-5 ’08<br />

Giornate del patrimonio culturale della<br />

VALLE CAMONICA<br />

www.delbeneedelbello.it


30<br />

RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli Virtus<br />

MONOGRAFIA<br />

Uomo e territorio.<br />

Appunti per una storia della cristia-<br />

nizzazione di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>.<br />

Attraverso i riscontri materiali<br />

Zallot.<br />

Nei primi secoli dell’epoca cristiana la <strong>Valle</strong><br />

<strong>Camonica</strong> risultò estremamente riottosa<br />

all’evangelizzazione e permeata da credenze<br />

e culti pagani.<br />

Permanevano manifestazioni dell’antica religione<br />

naturalistica, vanamente osteggiate da<br />

bolle ed ingiunzioni contro coloro che, come<br />

espresso nel canone del Concilio Turonense<br />

del 567 “ad nescio quas petras aut arbores<br />

aut ad fontes, designata loca gentilium, perpetrare,<br />

quae ad ecclesiae ratione non pertinent”<br />

Restavano inoltre da debellare culti collegati a<br />

divinità pagane.<br />

Giammaria Biemmi nella sua “Istoria di<br />

Brescia” (1748/49), narra che “circa nell’anno<br />

660 una statua di Saturno durava tuttavia<br />

in piedi eretta nella terra di Edolo, alla quale<br />

quei camuni che pertinaci non volevano staccarsi<br />

dalle superstizioni pagane offerivano i<br />

loro sagrifizi e preghiere” Solo l’intervento del<br />

duca di Brescia, che inviò i suoi soldati a smantellare<br />

“quella statua infame” riuscì a cancellare<br />

“interamente ne’ camuni la memoria d’una<br />

tale infamia”.<br />

Anche la statua di Minerva del Santuario di<br />

Spinera, prima di essere sigillata nel materiale<br />

di crollo dell’edificio, incendiato nel V secolo e<br />

sepolto definitivamente da una alluvione nel<br />

XIII, subì una parziale distruzione, con lo sfregio<br />

del volto.<br />

Nel corso del lungo medioevo la sconfitta -faticosa,temporanea<br />

e limitata- delle reminiscenze<br />

eretiche o pagane si manifestò concretamente<br />

nella sovrapposizione di segni cristiani<br />

alle testimonianze avverse, con l’evidente funzione<br />

di esorcizzarle e di ri-sacralizzare, correttamente,<br />

il luogo.<br />

Tale volontà si tradusse nelle piccole croci incise<br />

sulle rocce accanto (o sopra) ai disegni<br />

pagani, nelle santelle erette in prossimità di<br />

presunti luoghi eretici, e nella realizzazione di<br />

vere e proprie chiese costruite a sostituire,<br />

materialmente e simbolicamente, le precedenti<br />

strutture.<br />

Le leggende e le testimonianze, riportate da<br />

storici non sempre attendibili, relative alla sostituzione<br />

di edifici pagani con edifici cristiani<br />

sono state tuttavia spesso confermate dalle<br />

risultanze dei rilevamenti archeologici.<br />

Relativamente al luogo dove sorge la chiesa<br />

di San Clemente sopra Edolo, la tradizione<br />

riportata da don Marotta (1772) “sempre ha<br />

asserto ed asserisce che ivi i pagani adoravano<br />

gli idoli, tra quali un vitello d’oro”.<br />

La pieve romanica di San Siro, a Capo di<br />

Ponte, intitolata al santo evangelizzatore della<br />

<strong>Valle</strong>, sorge sui resti di una precedente chiesa<br />

del VIII/IX secolo che, a sua volta, aveva sostituito<br />

una struttura di culto romano.<br />

Anche la chiesa di Santo Stefano a Cividate,<br />

nella sua originaria e semplice configurazione<br />

risalente all’VIII secolo, si appoggiò ad un<br />

luogo dal quale sono emersi numerosi materiali<br />

di epoca romana, tra cui un’ara votiva. Sul<br />

fianco dell’antichissima chiesetta di San<br />

Michele, sulla sommità del monte sopra Berzo<br />

Inferiore,<br />

era inserita un’ara romana con dedicazione<br />

alle fonti, ora esposta nel Museo Archeologico<br />

di Bergamo.<br />

Le intitolazioni delle chiese citate, e delle molte<br />

dedicate in <strong>Valle</strong> a santi il cui culto è altrettanto<br />

antico, fanno ipotizzare l’introduzione del cristianesimo<br />

da parte dei Longobardi e dei<br />

Franchi.<br />

Solo con i Franchi tuttavia, nella versione cattolica,<br />

esso assunse una diffusione territoriale<br />

significativa, diventando progressivamente la<br />

forma ideologico-religiosa della <strong>Valle</strong>. Tale ipotesi<br />

è ribadita dalla famosa leggenda di Carlo<br />

Magno, tramandata da varie trascrizioni di<br />

molto successive ai fatti: dalla versione riportata<br />

nell’affresco della chiesa di S. Stefano di<br />

Carisolo, datata 1429, alla narrazione del XVI<br />

secolo trascritta da A.Sina; dalla colorita ed<br />

articolata interpretazione di padre Gregorio<br />

Brunelli, del 1689, fino alla redazione del XVIII<br />

secolo conservata in S. Giovanni in Cala,<br />

sopra Lovere, ma copiata da quella scomparsa<br />

di S. Pietro in Such presso Bienno.<br />

La leggenda narra le imprese di Carlo Magno<br />

che, accompagnato da un consistente esercito<br />

e da sette vescovi, percorre l’intera <strong>Valle</strong><br />

<strong>Camonica</strong> espugnando i diversi castelli locali.<br />

Presumibilmente longobardi e dunque ariani,<br />

ma definiti come pagani, eretici e, con una<br />

interpretazione che non è affatto innocua, giudei,<br />

i signori dei castelli camuni si arrendono al<br />

re-santo-eroe, che impone loro la conversione<br />

alla vera fede. La conquista territoriale di Carlo<br />

Magno è descritta con i toni mitici della crociata,<br />

come gloriosa e violenta avanzata della cristianità,<br />

resa visibile e concreta mediante la<br />

costruzione di una chiesa ad ogni tappa.<br />

Tali chiese, cui i vescovi ed i papa concedono<br />

In questa valle<br />

in ogni terra<br />

per minima<br />

che sia<br />

vi sono chiese<br />

(Giovanni da Lezze,1610)<br />

secoli di indulgenze, sono: la SS. Trinità di<br />

Esine, S. Stefano a Cividate Camuno, S.<br />

Lorenzo a Berzo Inferiore, S. Pietro Such a<br />

Bienno, S. Giovanni Battista a Breno, S. Siro e<br />

S. Salvatore a Capo di Ponte, S. Clemente ad<br />

Edolo, S. Brizio a Monno, i SS. Michele e<br />

Giorgio a Davena, S. Alessandro tra Vione e<br />

Temù ed, infine, la SS. Trinità di Ponte di Legno.<br />

Significativamente la serie si apre e chiude con<br />

una chiesa dedicata alla SS. Trinità, titolazione<br />

tipicamente antiariana .<br />

Tutte le chiese citate dalla leggenda, eccetto la<br />

chiesa di San Giovanni Battista di Breno (per<br />

la quale non risultano riscontri) sono effettivamente<br />

presenti. Ovviamente, essendo la trascrizione<br />

della leggenda tarda e dunque successiva<br />

alla realizzazione delle chiese citate, il racconto<br />

registra uno stato di fatto. È tuttavia interessante<br />

segnalare come recenti ricerche documentarie,<br />

scoperte archeologiche ed analisi<br />

dei materiali abbiano confermato ciò che la<br />

leggenda sembra indicare: la fondazione di<br />

tutte le chiese in epoca molto antica, presumibilmente<br />

longobarda o franca.<br />

La SS. Trinità di Esine, per esempio, è citata nel<br />

771 come cappella annessa al castello. Tale<br />

fortezza, la cui memoria è tramandata da<br />

documenti scritti e da riscontri materiali, era abitata<br />

secondo la leggenda da<br />

“Ercole, perfido nemico della Chiesa<br />

Romana”. Racconta Padre Gregorio Brunelli<br />

che questi “perseverando nelle durezze, né<br />

volendo arrendersi, anzi rispondendo con<br />

disprezzo, fu sottomessa la fortezza con le<br />

armi e ucciso il comandante; il forte venne consegnato<br />

a soggetto cattolico, ben affetto ai<br />

galli e alla Chiesa Romana”.<br />

Anche del castello di Berzo, il cui conte accolse<br />

il re Carlo “servendo lui e tutto il seguito con<br />

cortesia e splendidezza, e facendosi senza<br />

indugio cattolico con tutta la sua corte” (Padre<br />

Gregorio Brunelli) è documentata l’esistenza.<br />

In esso sorgeva la già citata chiesetta di S.<br />

Michele, la cui intitolazione rimanda ad una<br />

probabile fondazione longobarda.<br />

La Chiesa di S. Lorenzo, citata nella leggenda,<br />

è collocata più a valle ma sempre all’interno<br />

delle strutture fortificate del castello. Anch’essa,<br />

pure ricostruita nel corso del XV secolo, risale<br />

presumibilmente ad un periodo più antico.<br />

Della chiesa di S. Giovanni Battista a Breno,<br />

fatta costruire da re Carlo nel castello che più<br />

di tutti gli oppose resistenza, non abbiamo


iscontri. Ma nel recinto della fortezza, di<br />

epoca successiva alla vicenda leggendaria,<br />

sono emersi i resti di una chiesetta intitolata a S.<br />

Michele, risalente all’VIII o IX secolo, di presumibile<br />

fondazione franca.<br />

Nonostante l’impegno da Carlo Magno “i<br />

culti topici scacciati dalla pressione militare dei<br />

Franchi dai centri mercantili dove si stabilirono<br />

le chiese battesimali o plebane (…) ripararono<br />

nei siti più romiti, che i posteri chiamarono i<br />

pagà” (1).<br />

Molteplici e varie deviazioni eterodosse continuarono,<br />

nei secoli successivi, ad interessare la<br />

<strong>Valle</strong>, ma solo in particolari congiunture economiche,<br />

politiche e sociali furono percepite<br />

come pericolose.<br />

Ciò avvenne nella seconda metà del 1400 e<br />

nei primi decenni del 1500, quando molti pericoli<br />

sembravano minacciare la vera fede e,<br />

quindi, l’ordine sociale da essa garantito. La<br />

caduta di Costantinopoli (1453) e l’avanzata<br />

dei turchi potevano sembrare lontani, ma la<br />

<strong>Valle</strong>camonica era il confine del Nord (citando<br />

il titolo del volume di Gabriella Ferri<br />

Piccaluga) e dunque esposta ai germi del pensiero<br />

protestante. Eretici e streghe erano perseguitati<br />

da una Inquisizione particolarmente attiva.<br />

Risale al 1485 la denuncia di “molte persone<br />

che conducono vita eretica nel plebanato<br />

di Edolo” (2); gli statuti di <strong>Valle</strong> del 1498 stabiliscono<br />

che “i fautori di maleficio siano arsi<br />

(…) e che chi viene condannato per eresia sia<br />

punito nel corpo, sia attraverso le pene stabilite<br />

dalla legge che attraverso quelle canoniche“<br />

(3). Nel 1518 Marino Sanudo relaziona:<br />

“et sono già stà brusati in Valcamonica in quattro<br />

luoghi circa 64 persone, maschi et femine,<br />

el altrettanti e più ne sono in persone” (4)<br />

denunciando i metodi dell’Inquisizione.<br />

Era inoltre in corso una violenta campagna<br />

anti-ebraica, che costruirà e manipolerà in<br />

modo strumentale la vicenda del Simonino da<br />

Trento (1475).<br />

Entro tale clima, di crisi e di paura, si rivaluta e<br />

si aggiorna la leggenda di Carlo Magno, le<br />

cui trascrizioni sono, come già evidenziato,<br />

successive al XIV secolo. Il santo re, mitizzato e<br />

modernizzato, è evocato come eroe e modello<br />

di una nuova crociata, e supportato da una<br />

schiera di santi-soldato e santi-cavalieri<br />

(Glisente, Defendente, Obizio, Giorgio,<br />

Sebastiano, Maurizio, ecc.) che formano un<br />

ideale esercito al servizio dell’ortodossia, e<br />

che, protagonisti indiscussi degli affreschi quattrocenteschi,<br />

ammoniscono il fedele dalle pareti<br />

delle chiese camune.<br />

Con il Concilio di Trento (1545-1563) e,<br />

soprattutto, in seguito alle disposizioni emanate<br />

da Carlo Borromeo dopo la visita pastorale<br />

del 1580, si assiste ad una progressiva normalizzazione<br />

della religiosità di <strong>Valle</strong>.<br />

Tale normalizzazione persegue il riordino ed il<br />

controllo delle pratiche devozionali, anche<br />

attraverso la revisione dei luoghi entro cui si<br />

manifestano.<br />

Lo spazio della chiesa tradizionale, flessibile<br />

ed adattato al vissuto e all’immaginario religioso<br />

della comunità, viene censurato e ristrutturato<br />

mediante specifici interventi di correzione ed<br />

integrazione, imposti dal visitatore apostolico e<br />

spesso incompresi dai locali.<br />

La chiesa tradizionale presentava una organizzazione<br />

paratattica, sommatoria progressiva di<br />

spazi, altari, cappelle, elementi di arredo ed<br />

immagini accostati in modo apparentemente<br />

casuale ma funzionale ai riti ed alle devozioni.<br />

Tale organizzazione viene depurata, nel tentativo<br />

di recuperare un vano longitudinale simmetrico,<br />

ordinato, gerarchico, prospetticamente<br />

rivolto al presbiterio, coerente contenitore della<br />

liturgia post tridentina. Poiché è spesso difficoltoso<br />

adattare la vecchia chiesa alle nuove<br />

disposizioni, e poiché essa pare oramai di<br />

capienza inadeguata, molti paesi ne intraprendono<br />

la ri-costruzione o sostituzione, adottando<br />

il nuovo modello architettonico.<br />

Si impone pertanto la tipologia che caratterizza<br />

ancor oggi tutti i paesi camuni (e non solo),<br />

dedotta dal modello (colto) della Chiesa del<br />

Gesù di Roma: un’aula unica con cappelle<br />

laterali e presbiterio inquadrati da un telaio<br />

architettonico di ordini classicheggianti, con<br />

coperture a volta.<br />

L’introduzione degli elementi (colonne, lesene,<br />

capitelli, trabeazioni, timpani ecc.) e della sintassi<br />

del linguaggio architettonico aulico e classicheggiante<br />

-introduzione che riguarderà<br />

anche il prospetto principale dell’edificio- costituisce<br />

un elemento di forte rottura rispetto alla<br />

tradizione costruttiva locale e sancisce la disci-<br />

1 Gabriele Rosa, Valcamonica e lago d’Iseo nella storia, Breno 1881, pag 21-22)<br />

2 trascritto da R. Putelli, riportato in R.A.Lorenzi, Medioevo Camuno, pag. 202<br />

3 Comunitatis Valliscamonicae Statuta, in R.A. Lorenzi, Medioevo Camuno, pag. 203<br />

4 I diari di marino Sanudo, in R.A. Lorenzi, Medioevo Camuno, pag. 207<br />

Le citazioni di Padre Gregorio Brunelli sono tratte dai Curiosi Trattenimenti Camuni<br />

plinata sottomissione ad una forma di per se<br />

espressiva dei nuovi valori.<br />

Lo spazio sacro,decisamente longitudinale e<br />

scenografico, prospetticamente indirizzato<br />

all’altare, luminoso e rigorosamente simmetrico,<br />

è progettato secondo uno schema omogeneo<br />

e concluso, che non ammette variazioni ed<br />

integrazioni.<br />

Le nuove chiese si impongono, ancor oggi, a<br />

livello urbano e territoriale: per la dimensione<br />

decisamente fuori scala; per la posizione, scenograficamente<br />

dominante non solo il nucleo<br />

urbano ma anche il territorio e, soprattutto, il<br />

fondovalle; per il colore chiaro dell’intonaco in<br />

un contesto di murature in pietra a vista.<br />

L’intervento di riorganizzazione e regolarizzazione<br />

promosso dalla Controriforma si rileverà<br />

efficace se, nel 1698 Padre Gregorio Brunelli<br />

può affermare che la <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong> “Tutto<br />

che sia regione contigua alla Germania, confinante<br />

a paesi infetti d’heresia, professa intiera<br />

obbedienza, e profonda sottomissione alla<br />

Santa Sede, ed alla dignità pontificia”.<br />

Anche la geografia delle chiese camune si<br />

consolidata e stabilizza, tanto che potremmo<br />

applicare alla <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong> del XVII e XVIII<br />

secolo la famosa citazione di Rodolfo il<br />

Glabro, riferita al fervore costruttivo dell’anno<br />

mille: “Era come se il mondo stesso, scuotendosi,<br />

gettasse via la vecchiaia rivestendosi di un<br />

bianco mantello di chiese”.<br />

Vorrei citare, al termine di questa breve ricostruzione<br />

della storia dell’architettura cristiana<br />

della <strong>Valle</strong>, due recenti interventi significativi per<br />

la loro rilevanza simbolica ed “invadenza” territoriale,<br />

tale da interferire decisamente, e programmaticamente,<br />

nella percezione del paesaggio<br />

camuno.<br />

Si tratta della grande statua del Cristo Re, collocata<br />

nel 1931 sul colle della Maddalena e<br />

della enorme Croce del papa, installata nel<br />

2005 sul dosso dell’Androla, vicino a Cevo.<br />

Entrambe sovrastano panoramicamente il fondovalle<br />

e sembrano ribadirne perentoriamente<br />

la vocazione cristiana, probabilmente percepita<br />

come minacciata dalla contemporanea crisi<br />

di valori.<br />

Ancora dunque, ovviamente con strumenti e<br />

metodi diversi, come Carlo Magno, come<br />

Carlo Borromeo…<br />

La leggenda di Carlo Magno e le sue implicazioni storiche sono state approfondite dal progetto Sulle Orme di Carlo Magno, cui l’Autrice ha partecipato,<br />

realizzato negli anni scolastici 2005/06 e 2006/07 con la partecipazione di 9 scuole di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>, una di Lovere e una di<br />

Carisolo, Tn.<br />

Il progetto, proposto dal MIUR (Ministero Istruzione Università e Ricerca) e supportato dall’IRRE Lombardia, è stato coordinato dal prof. Gianfranco<br />

Bondioni per il CCSS di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>, e realizzato grazie alla collaborazione ed al contributo della Comunità Montana.<br />

Esso ha consentito di realizzare uno studio approfondito del territorio e della sua storia da parte degli studenti locali e una esperienza di turismo<br />

tra pari, in cui gli studenti camuni hanno predisposto i materiali, organizzato l’itinerario turistico ed accompagnato gli studenti provenienti da altre<br />

scuole in visita ai luoghi studiati.<br />

I materiali prodotti e la documentazione dell’esperienza sono consultabili in www.voli.bs.it/ccss/default.htm .<br />

31


32<br />

RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

MONOGRAFIA<br />

Uomo e territorio.<br />

I segni sul terreno<br />

Battista<br />

Sedani.<br />

Le recentissime<br />

foto aeree testimoniano<br />

i<br />

segni che i<br />

secoli del passato<br />

e i giorni<br />

del presente<br />

hanno lasciato<br />

sul terreno della<br />

media <strong>Valle</strong><br />

<strong>Camonica</strong>:<br />

la centuriazione<br />

romana e le


34<br />

RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

“colle lunghe”<br />

che caratterizzano<br />

la piana di<br />

Cividate a fianco<br />

del tortuoso<br />

percorso di<br />

probabile origine<br />

medievale<br />

con i suoi muri<br />

divisori si possono<br />

mettere a<br />

confronto con<br />

le linee sinuose<br />

degli svincoli<br />

della superstrada,<br />

di certo<br />

maggior impatto<br />

ma con una<br />

loro geometrica<br />

logica.


E la storia dell’industrializzazione<br />

ha<br />

lasciato le sue orme<br />

dall’“antico” invaso di<br />

Cogno a quello di<br />

Sellero con la totale<br />

trasformazione dell’area,<br />

le tettoie<br />

“moderne” della trafileria,<br />

il non-luogo abitativo-produttivo<br />

al centro.<br />

Non sempre è facile<br />

individuare, capire o<br />

conoscere il senso della<br />

disposizione di manufatti,<br />

di masse, di strade:<br />

un’immagine può diventare<br />

quasi un disegno o<br />

una sequenza di un film<br />

di fantascienza.<br />

Quanto “bella” o quanto<br />

inquietante lo ricaverà<br />

la sensibilità di ciascuno<br />

dalle foto stesse,<br />

non da altre parole.<br />

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36<br />

RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

MONOGRAFIA<br />

Uomo e territorio.<br />

Il fiume cattivo e pescoso.<br />

Fatica e festa della “bügada”<br />

Roberto<br />

Andrea Lorenzi.<br />

Fino a tempi<br />

recenti,<br />

Montecchio<br />

Camuno era in<br />

larga misura<br />

un paese fluviale.<br />

Alle sue<br />

spalle, il bosco<br />

dell’antico<br />

“gazzo”<br />

medievale<br />

costituiva un<br />

entroterra economico<br />

essenziale,<br />

ma, accanto<br />

al monte,<br />

comprensibile<br />

soltanto nel<br />

suo rapporto<br />

con il fiume.<br />

Qui l’Oglio nel<br />

suo percorso<br />

camuno slarga<br />

in un’ansa<br />

nella zona<br />

detta del<br />

porto, sulla<br />

quale dà<br />

l’ampia piazza<br />

che conserva<br />

ancora qualche<br />

vestigia<br />

della sua antica<br />

funzione<br />

commerciale.<br />

* Il testo è tratto da Roberto A. Lorenzi, Archivi della<br />

memoria. Storia orale di Montecchio in Valcamonica,<br />

Circolo culturale “Guglielmo Ghislandi”, Breno,<br />

1987, pp. 19-25. Si ringraziano Autore e Editore<br />

per il consenso alla pubblicazione.<br />

A chiudere Piazza del Porto, a monte, correva, fino<br />

agli anni ‘50 del nostro secolo, un portico che si<br />

affacciava sulla stretta strada che congiunge il<br />

paese alla Val Grigna in direzione di Sacca di<br />

Esine, sovrastato da finestrelle e finestre della popolosa<br />

via Mazzini, detta allora Contrada di Sopra.<br />

Dal Medioevo alla fine dell’800, il legname, legato<br />

in cataste, scendeva l’Oglio dalla media<br />

Valcamonica e dalle vallette in essa confluenti per<br />

finire qui, da dove, per lungo tempo inventariato da<br />

un funzionario, proseguiva per Pisogne e oltre l’Iseo,<br />

destinato allo sviluppo urbanistico ed industriale di<br />

Brescia.<br />

Il regime del fiume, fino a tempi assai recenti, è sempre<br />

stato piuttosto irregolare, provocando danni ed<br />

inondazioni stagionali a cui faceva porta<br />

un’arginatura spesso avventizia e tecnicamente<br />

povera che tuttavia assorbiva non poco delle risorse<br />

economiche dei piccoli proprietari-contadini degli<br />

appezzamenti dell’Isola, dei Ronchi, dell’Attola, le<br />

tre zone rurali più esposte al fiume. Alluvioni ed inondazioni<br />

sono ricordate negli archivi e conservate<br />

alla memoria anche più recente dei montecchiesi.


L’acqua inondava campi ed orti<br />

nella sua salita dall’alveo del fiume<br />

fino alla Contrada di Sotto, l’attuale<br />

via Cavour. Le cantine ed i fondachi,<br />

anche quelli di carbone e carbonella<br />

dell’agglomerato urbanisticamente<br />

più intricato, quello tra la<br />

Contrada di Sopra e la Contrada di<br />

Sotto, inondati stagionalmente<br />

anche più volte, richiedevano poi<br />

alcuni giorni per essere ripuliti e<br />

svuotati dal fango e dai detriti.<br />

Talvolta le inondazioni assumevano<br />

il carattere di vere e proprie alluvioni<br />

devastatrici.<br />

Le testimonianze orali giudicano<br />

ancora oggi come particolarmenterovinose<br />

le inondazioni-alluvioni del<br />

1926 e del 1960, quest’ultima,<br />

ricorda Adele Ducoli, “la più grande”,<br />

che “così grossa non l’ho mai<br />

vista”. La prima interessò in modo<br />

particolare la campagna dell’Attola,<br />

posta nella zona pianeggiante ai<br />

confini di Boario ed Angone. 1<br />

Aveva rotto tutti gli argini / aveva<br />

portato via tutto. Era autunno. I<br />

danni erano tanti / è stata una rovina<br />

per tutta la gente / abbiamo<br />

dovuto pagare gli argini. Il governo<br />

aveva mandato i saldi / me lo diceva<br />

la mia povera mamma / era sicu-<br />

ra che li aveva mandati / e Baccoli<br />

e Piazza e compagnia bella, che<br />

erano giù in casa comunale, li<br />

hanno mangiati fuori tutti e gli argini<br />

li abbiamo dovuti pagare noi. È<br />

stata la rovina di tutto il paese, perfino<br />

[de]i. Cré. 2 Noi ne avevamo più<br />

di tutti [di terreni] / erano dietro al<br />

Monticolo. Non sono stati molto<br />

danneggiati e abbiamo dovuto<br />

pagare di più. Ce n’erano di I°, di<br />

II° e di III° 3 / quelli vicino al fiume<br />

sono stati più danneggiati e hanno<br />

pagato di meno / chi era lontano<br />

ha pagato di più / a noi hanno<br />

imposto forse quindici o sedicimilalire<br />

[di] allora. A decidere le quote<br />

era il Baccoli 4 / la gente allora era<br />

povera / non c’erano soldi / allora<br />

non ce n’erano. Erano tutti in fastidio<br />

/ hanno fatto i debiti / i più sono<br />

andati in malora / i Giàne 5 sono<br />

andati in malora / noi siamo andati<br />

in malora. Erano disoccupati tutti e<br />

due i figli: mio fratello Chèco, che è<br />

morto, e íl Pierì, che adesso abita a<br />

Darfo. Disoccupati. E cosi abbiamo<br />

dovuto vendere tutta quella campagna<br />

per una stupidata, perché un<br />

po’ avevamo pagato, ma... La campagna<br />

del Colleoni 6 era tutta nostra<br />

/ ce la siamo mangiata tutta per le<br />

àrche 7 / metà avevamo pagato /<br />

[per] l’altra metà non ce la sentivamo<br />

più. Avevamo preso seimilalire<br />

per tutta quella campagna / poi lui 8<br />

doveva finire di pagare / aveva<br />

ancora sei o settemilalire per pagare<br />

le àrche. Se loro 9 davano i soldi<br />

appena erano arrivati dal governo,<br />

gli argini sarebbero stati pagati /<br />

invece così è stato un disastro:<br />

erano tutti pieni di debiti, i contadini.<br />

Alcuni riuscivano a farcela: vendevano<br />

la vacchetta / era povera gente<br />

quella di una volta. I terreni venivano<br />

acquistati anche da gente di<br />

fuori.<br />

I danni del fiume, dunque, oltre ad<br />

essere immediati, comportavano<br />

l’impoverimento improvviso e stabile<br />

di diverse famiglie contadine di piccoli<br />

proprietari, l’accaparramento a<br />

basso costo dei terreni da parte di<br />

speculatori e nuovi ricchi e politicanti,<br />

recriminazioni reciproche derivate<br />

da reali o presunti favoritismi che<br />

contribuivano ad incrinare la tradizionale<br />

solidarietà del villaggio,<br />

dovuta soprattutto a forti parentele<br />

claniche, come dimostra la fitta frequenza<br />

di pochi cognomi.<br />

1 Intervista ad Adele Ducoli e Italo Soardi<br />

2 Cré è soprannome (scotöm) di una famiglia Chiminelli, abitante in Contrada di Sopra, l’attuale via Mazzini.<br />

3 di I°, II°, III°: il riferimento è alla stima dei terreni in relazione alla dislocazione e alla loro capacità produttiva.<br />

4 Guido Baccoli, primo podestà fascista del Comune di Darfo.<br />

5 Giàne: altro scotum (soprannome) di una famiglia Ducoli di Montecchio, originaria di Breno dove tradizionalmente i suoi membri maschi<br />

facevano i casari.<br />

6 Si tratta di terreni dislocati in Attola, la vasta piana alluvionale dell’Oglio che si stende tra Montecchio, Boario - allora contrada di<br />

Montecchio - e Angone di Darfo.<br />

7 le àrche: con questo termine si designano le arginature del fiume Oglio.<br />

8 Presumibilmente l’acquirente.<br />

9 Cioè gli amministratori comunali.<br />

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38<br />

RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

Un’altra testimone ricorda un’altra<br />

alluvione, quella del ‘29, particolarmente<br />

grave perché investì nuovamente<br />

anche l’assetto del monte.<br />

Niente di straordinario, dunque, se<br />

può confonderla con l’analoga ma<br />

più dannosa alluvione del ‘26. 10<br />

A proposito del fiume, mi ricordo<br />

quando è venuta l’alluvione del ‘29<br />

[‘261 e nella stessa notte è venuta<br />

anche la frana, la Rovinazza 11 e tutto<br />

il paese era scappato a rifugiarsi lì,<br />

al Castèl 12 , che era il punto più alto:<br />

la gente scappava così com’era, in<br />

camicia [da notte] e mutande. La<br />

piena del fiume aveva portato gravi<br />

conseguenze alla campagna del<br />

paese, ché gli argini non c’erano<br />

ancora 13 . Dopo l’alluvione hanno<br />

fatto un consorzio per la costruzione<br />

delle arche, e come in tutti questi<br />

enti, anche lì ci sono state delle<br />

ruberie a danno dei poveri diavoli,<br />

dei contadini. I costi degli argini,<br />

che all’inizio erano stati accettati dai<br />

contadini, sono stati sempre più<br />

aumentati, di diversi milioni, e molti<br />

hanno dovuto vendere i terreni per<br />

poter pagare le cartelle-tratte che<br />

ogni due mesi venivano consegnate<br />

dagli esattori. Mi ricordo che mia<br />

madre aveva ereditato nel ‘22 un<br />

pezzo di terreno del valore di undicimilalire<br />

e ha dovuto pagarne tredicimila<br />

come sua quota per gli argini.<br />

Oppure c’era gente che doveva vendere<br />

le bestie, e se erano pregne<br />

era meglio, che venivano pagate di<br />

più. Questa storia è continuata per<br />

anni ed anni. I dirigenti del consorzio<br />

erano un certo Baccoli e Pegurri 14 e<br />

altri che non ricordo. I poveri pagavano<br />

e loro mangiavano.<br />

Vendere il campo o pagare le esorbitanti<br />

tratte dell’esattore, vendere la<br />

vacca, preziosa fonte di nutrimento<br />

e simbolo di un certo povero agio,<br />

fare i conti con una forma di associazionismo<br />

- il consorzio arginativo<br />

- che contrastava fortemente con la<br />

cultura individualistica del piccolo<br />

proprietario, sottoporsi a pagamenti<br />

addirittura superiori al valore del<br />

fondo, pur di mantenere la proprietà,<br />

ingrassare con i propri campi e le<br />

proprie bestie vendute i nuovi signori<br />

della politica del regime fascista.<br />

Tutte queste durezze si collocavano<br />

dentro la costante storia di sacrifici e<br />

miserie dalla quale il contadino<br />

della montagna riteneva non poter<br />

riemergere, perché i poveri sono<br />

sempre quelli che pagano. E “gli<br />

altri” mangiano.<br />

Anche il fiume era vissuto “da sempre”<br />

così, come una fatalità della<br />

natura primitiva e distruttrice, un elemento<br />

irrequieto di essa che si trattava<br />

non tanto di piegare, quanto piuttosto<br />

di giocare. Le sue disastrose<br />

scadenze sono diacronicamente e<br />

puntualmente ricordate e passate ai<br />

posteri dalle brevi cronache dei parroci<br />

montecchiesi, dall’ultimo ventennio<br />

dell’800 al 1960.<br />

Nella disgrazia, tra i resti e i danni<br />

del disastro fluviale rammemorato a<br />

lunga distanza, fa la sua comparsa<br />

talvolta una nota salace e divertita,<br />

perché la vita comunque continua e<br />

il mondo va avanti.<br />

15 ( ...) il 28 maggio 1926: è venuta<br />

giù la rovina / e mi ricordo che noi,<br />

dopo aver liberato le bestie, ci<br />

siamo rifugiati dai Mora, che veniva


su il fiume e non si vedeva più niente:<br />

e la luce era saltata, tutta la<br />

gente scappava e si era rifugiata<br />

qui, dal prete. C’era il povero<br />

Provino che per la fretta aveva<br />

messo una giacca per calzoni e siccome<br />

non usava mutande si vedeva<br />

tutto il panorama del didietro.<br />

* * *<br />

Ma nell’economia di sussistenza<br />

che per secoli caratterizzò la vita di<br />

Montecchio di Darfo, addirittura per<br />

diversi anni oltre l’insediamento industriale<br />

nel territorio del comune e<br />

della parrocchia, il fiume svolgeva<br />

anche una funzione riequilibratrice<br />

importante, considerato, com’era,<br />

luogo e proprietà di tutti, quasi “res<br />

nullius”. Nei lunghi periodi della<br />

fame contadina - annualmente puntuali,<br />

di durata epocale - qui si<br />

pescava di frodo, nei modi leciti ed<br />

illeciti, fino all’uso della dinamite in<br />

tempi più recenti 16 .<br />

Trote ed anguille costituivano la ricca fauna delle<br />

acque fluviali, mentre i gamberi potevano essere<br />

presi con le nude mani nei fossati, tra le bosche<br />

e i salici dell’habitat fluviale 17. .<br />

La pesca ufficiale, regolarmente consentita, era<br />

invece prerogativa di una famiglia del vasto clan<br />

dei Do, i Do-pescadúr, e veniva effettuata pressocché<br />

tutto l’anno su un largo tratto di fiume, da<br />

Esine, villaggio a nord di Montecchio, al Ponte<br />

Barcotto, diversi chilometri a sud del paese 18 .Il<br />

naèt, piccola imbarcazione munita di rete e<br />

adatta al percorso venturoso del fiume, veniva<br />

fatto risalire via terra da Montecchio a Esine con<br />

l’aiuto di un carretto trainato dal cavallo di un<br />

Pedersoli, carrettiere “ufficiale” assieme ai fratelli,<br />

membri anche loro di un altro numeroso clan<br />

le cui famiglie, come consuetudine, si distinguevano<br />

l’una dall’altra grazie all’uso di soprannomi<br />

(scotöm) 19 . Da Esine il pescadúr scendeva il<br />

fiume fino alla sua confluenza nell’Iseo, all’altezza<br />

di Ponte Barcotto. Il Pedersoli, intanto, aveva<br />

raggiunto il posto ancora con cavallo e carretto.<br />

Ancora con il loro aiuto il naèt ritornava via<br />

terra a Montecchio, attraversando però la<br />

piana fluviale che da Piano porta alla terra bresciana<br />

di Pisogne.<br />

In Pisogne e<br />

via via per tutti<br />

i paesi successivi<br />

che si<br />

incontrano sul<br />

tracciato verso<br />

Montecchio, il<br />

pesce veniva<br />

venduto, fresco<br />

e a buon<br />

mercato.<br />

Valentina<br />

Pedersoli, figlia<br />

del carrettiere,<br />

ricorda ancora<br />

la sorella<br />

Angelina, più<br />

grande di lei,<br />

che aiutava il<br />

padre a caricare<br />

il barcone<br />

del pescatore<br />

sul carretto.<br />

10 Intervista a Valentina Pedersoli e Pini Squazzoni<br />

11 È una delle cinque valli torrentizie che dal monte precipitano sui Ronchi e gli<br />

orti (Rzíle e Ciós) montecchiesi.<br />

12 Si tratta del rilievo del Castelletto, nei confini montecchiesi.<br />

13 L’informatrice pensa qui a più moderne e funzionali arginature successive, le<br />

arche, appunto, che tuttavia non sempre ressero l’impeto del fiume.<br />

14 Il Pegurri fu caporione fascista nel Comune di Darf o negli anni ‘20-’40.<br />

15 Intervista a Tomaso Pedersoli.<br />

16 Intervista a Marino Pedersoli.<br />

17 Ibidem e Intervista a Lisa Pedersoli e ad altre; Intervista a Carlo Pedersoli-<br />

Pèita.<br />

18 Interviste a Valentina Pedersoli e Pini Squazzoni; intervista a Mansueta Mora<br />

e Bice Chiminelli; intervista a Carlo Pedersoli-Pèita; intervista a Giulia Bonetti-<br />

Pescadúra.<br />

19 Interviste a Valentina Pedersoli e Pini Squazzoni, a Mansueta Mora e Bice<br />

Chiminelli, a Giulia Bonetti•Pescadúra.<br />

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40<br />

RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

La famiglia dei Do-pescadúr esercitava<br />

da tempo immemorabile la professione<br />

di pescatore-venditore, una<br />

professione custodita e difesa gelosamente<br />

come una prerogativa famigliare:<br />

nessuna altra famiglia la sostituì<br />

mai in questa attività. Da parte<br />

loro, i carrettieri Pedersoli venivano<br />

ricompensati dai Do, per i loro servizi,<br />

in natura: ricevevano una parte<br />

del pesce pescato, mentre la vendita<br />

del pesce anche ai paesani continuava<br />

a rimanere una prerogativa<br />

di carattere monopolistico, universalmente<br />

accettata, dei Do-pescadúr.<br />

20 Pescavano bel pesce / anguille e<br />

di tutto. Avevano ceste lunghe così,<br />

sempre piene di pesce. Le donne<br />

del paese andavano a comprarlo /<br />

era la loro risorsa / andavano a<br />

prendere il pesce / non costava<br />

troppo caro. Loro [cioè i Do] sono<br />

sempre stati pescatori / avrò avuto<br />

8 o 10 o 12 anni / sono sempre<br />

stati pescatori, loro. La loro mamma<br />

era pescadúra anche lei.<br />

La pesca, dunque, attività saltuaria e<br />

talvolta fraudolenta per i più, assurgeva<br />

a mestiere, a dignitosa attività<br />

artigianale per la famiglia dei Dopescadúr.<br />

Solo il pescadúr possedeva<br />

le reti e solo a lui era consentito<br />

possederle: la licenza e il naèt<br />

richiedevano infatti un investimento<br />

di capitali che, per quanto modesto,<br />

era largamente al di fuori della portata<br />

dei più, soprattutto in una società<br />

in cui il denaro circolava ancora<br />

assai poco: I Pedersoli, carrettieri e<br />

cavallanti, integravano gli introiti<br />

della loro specifica attività facendo<br />

da spalla al pescadúr. Funzionava,<br />

inoltre, in questa piccola comunità di<br />

parrocchia fluviale e semi-montana,<br />

una sorta di principio della economicità<br />

dei mestieri: dall’attività di<br />

pesca nell’Oglio, nonostante le conclamate<br />

pesche miracolose, poteva<br />

trarre sostegno una sola famiglia,<br />

quella dei Do, appunto.<br />

Almeno ogni venerdì, dai 12 ai 60<br />

anni, ogni buon cristiano di<br />

Montecchio - cioè in buona sostanza<br />

tutta la popolazione, ché gli<br />

inconfessi si contarono per lungo<br />

tempo su alcune dita di una sola<br />

mano - onorava il precetto del<br />

magro, consumando il pesce comperato<br />

dai Do.<br />

La figlia del carrettiere, la Valentina,<br />

lo ricorda con chiarezza, e vi<br />

aggiunge una annotazione piena di<br />

rimandi:<br />

Il venerdì si mangiava sempre<br />

pesce, ché era di magro / ma lo<br />

era quasi sempre di magro, ché la<br />

carne la si vedeva poco poco.<br />

***<br />

Due volte l’anno l’aspetto del fiume<br />

si trasformava. Si era nel tempo di<br />

primavera, sotto la Pasqua, o in ottobre,<br />

dopo la vendemmia. Sulle rive<br />

del fiume arrivavano tutte le donne<br />

del paese per l’ultima operazione<br />

della bügàda. Le donne, cariche di<br />

pesanti ceste di vimini e munite del<br />

bankí 21 avevano già predisposto<br />

con un lavoro pesante e paziente la<br />

biancheria che sarebbe ora stata<br />

sciacquata nell’Oglio.<br />

Dopo la fase preliminare della strofinatura<br />

avevano proceduto alla<br />

rébuìda, la bollitura della biancheria<br />

con lisciva di cenere, effettuata tre o<br />

quattro volte nel giro di due o tre<br />

giorni. Ora risciacquano al fiume,<br />

per stendere poi sulle funi nei prati la<br />

biancheria di famiglia. La Pierina<br />

Pedersoli 22 ricorda ancora con un<br />

certo orgoglio quando da giovane,<br />

in servizio al Caffé, che era allora<br />

l’unica locanda del paese, faceva<br />

lavanda all’Oglio, anche lei munita<br />

di bankí come tutte, ma più carica<br />

delle altre, piegata sotto le ceste<br />

dell’alberghetto. Con i tratti brevi e<br />

asciutti del suo stile comunicativo, la<br />

Adele Ducoli racconta:<br />

(...) ognuna nella sua casa avevano<br />

tutte i loro attrezzi, le loro rébuíde<br />

23 .” Andavano all’Oglio a risciac-


quare e poi in estate “en ge cüráa<br />

ne prendevamo cura: mettevamo la<br />

biancheria su le gère dell’Oglio 24 e<br />

dopo con il secchio prendevamo la<br />

acqua / le spruzzavamo / e quando<br />

erano asciutte le bagnavamo<br />

ancora / così diventavano belle<br />

bianche 25 .<br />

Con più precisione descrittiva si presenta<br />

la ricostruzione orale della<br />

Valentina, che spiega minutamente<br />

l’intera “cura” della biancheria:<br />

Ah, chèi lenzói! Una volta non<br />

c’erano le lavatrici e allora la biancheria<br />

grossa si lavava due volte<br />

l’anno / si faceva la bügàda. Tutte<br />

le donne del paese erano impegnate<br />

a lavare in quei giorni. Il lavoro<br />

durava tre giorni: si metteva la biancheria<br />

in enormi mastelli, i sòi, poi si<br />

faceva bollire con la cenere e al<br />

terzo [giorno] si andava al fiume a<br />

risciacquarli. Poi per farli diventare<br />

bei bianchi, che allora non c’erano<br />

tutti ‘ste detersivi, si stendevano al<br />

sole. Tutte le gère dell’Oglio erano<br />

occupate per queste operazioni.<br />

Qui le lenzuola<br />

venivano<br />

continuamente<br />

bagnate<br />

con<br />

l’annaffiatoio, ‘l<br />

sbrufí, e ci<br />

stavano<br />

anche una<br />

settimana<br />

così distese /<br />

dipendeva se<br />

erano più o<br />

meno sporche.<br />

Al risciacquo<br />

della bügàda,<br />

dunque, le<br />

donne si<br />

davano convegnogenerale.<br />

Era un’occasione rara per lunghe<br />

chiacchierate, racconti di avvenimenti,<br />

di malattie, informazioni su<br />

nati, morti, sposati e invalidati, emigrati<br />

e rimpatriati, consigli reciproci<br />

su rimedi, rimpianti e rassegnazioni.<br />

Uno spazio tutto femminile di pesante<br />

lavoro, ma insieme di rara libertà<br />

fabulatrice, dove, come ancora rimpiange<br />

l’Adele, se ne potevano fare<br />

“de bèle e de pie ; bèle”.<br />

20 Intervista a Valentina Pedersoli e Pinì Squazzoni.<br />

21 Intervista a Pierina Pedersoli. Il bankí è l’asse per lavare i panni, naturalmente in legno.<br />

22 Ibidem.<br />

23 rébuìde: qui sta ad indicare la biancheria più volte fatta bollire in acqua e cenere.<br />

24 gère: sono dette le secche sulla sponda del fiume, ciottolose e talvolta sabbiose.<br />

25 L’uso del genere femminile è giustificato dal fatto che l’informatrice qui pensa alle lenzuola, la biancheria più importante della bügada.<br />

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42<br />

RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

MONOGRAFIA<br />

Uomo e territorio.<br />

Sui tracciati rogazionali.<br />

A proposito di patrimonio intangibile<br />

storico-culturale<br />

Carlo<br />

Cominelli.


PREMESSA<br />

Le rogazioni, processioni itineranti per la campagna, appartengono<br />

alle litanie minori nella liturgia ordinaria cattolica e<br />

come tali sono state interpretate (e in parte lo sono ancora)<br />

in ogni paese, ogni parrocchia, almeno fino allo spegnersi<br />

della società premoderna, con le sue attività agricole e<br />

pastorali.<br />

Rinviando ad altri, 1 l’approfondimento dell’apparato dottrinale<br />

e le considerazioni sull’origine e la storia di questo<br />

importante costume religioso, intendo qui argomentare, nel<br />

quadro delle operazioni di salvaguardia dei bei culturali<br />

immateriali, sulla necessità di conservare i tracciati rogazionali,<br />

ovvero i percorsi che, anno dopo anno, venivano reiterati<br />

dalla processione durante i tre giorni delle celebrazioni,<br />

lunedì, martedì e mercoledì prima della festa<br />

dell’Ascensione, all’interno di una più vasta necessità di salvaguardare<br />

i percorsi, in genere, delle celebrazioni collettive<br />

rurali.<br />

NATURA CONFINARIA DELLE<br />

PROCESSIONI<br />

Le processioni si sviluppano a partire dalla chiesa parrocchiale,<br />

seguendo approssimativamente i medesimi percorsi,<br />

nel tempo, lungo il contado. Di fatto essi si snodano in tre<br />

opposte direzioni che dal centro del borgo si allungano<br />

verso la campagna ed i confini del paese, fermandosi ad<br />

edicole, crocicchi, o in luoghi altri sanciti dalla tradizione<br />

locale, al fine di benedire la campagna orientando la<br />

croce verso i campi coltivati, sotto l’occhio vigile dei proprietari;<br />

o almeno, pare così si facesse in Valcamonica.<br />

In questi percorsi si seguono tracciati talvolta accidentati, su<br />

stretti sentieri o attraverso campi falciati per l’occasione, 2 talvolta<br />

si procede sulle vie primarie di collegamento tra<br />

paesi. Il moto collettivo, con pause e segnature lungo la<br />

campagna, riprende di fatto, nel gesto e nei i ritmi, le consuetudini<br />

della tracciatura dei confini con le strade percorse,<br />

3 che portano fattivamente verso i limiti territoriali del<br />

paese.<br />

Tutto questo, in coerenza con l’origine storica delle rogazioni,<br />

4 non deve essere colto in contraddizione o in sovrapposizione<br />

al significato di richiesta di aiuto divino a protezione<br />

dalle calamità. Infatti nella percezione dei partecipanti<br />

al rito, la modalità di protezione si concretizza nell’erezione<br />

“divina” di confini, nella “divina” riconferma di questi.<br />

Così per la peste, che viene da fuori, così per la grandine<br />

e per tutte le disgrazie che incombono sul mondo agro-silvopastorale.<br />

La presenza di confini è lo strumento indispensabile<br />

per la protezione, come la consapevolezza di questi<br />

è il dato implicito ed inderogabile alla percezione collettiva<br />

del territorio, nelle sue parti, nelle sue funzioni, nella sua<br />

integrità.<br />

Credenze, memorie, significati in un borgo sottintendono e<br />

si esplicano attraverso questa specifica percezione del territorio,<br />

tramite una geografia invisibile ma condivisa, che da<br />

una prima generale accezione di interno-esterno, si articola<br />

in ulteriori valenze e sottointesi che significano la memoria<br />

collettiva del borgo. Tra i modi di trasmissione e riaffermazione<br />

di tale geografia, del territorio percepito e sottointeso,<br />

dobbiamo necessariamente considerare il momento<br />

collettivo, condiviso, sacrale della rogazione nel suo complesso<br />

girovagare per il contado.<br />

UN ESEMPIO DI MAPPATURA<br />

ESPLICATIVA: VALLE DI SAVIORE<br />

In questa mappa 1:10000 sono stati riprodotti i tre tracciati<br />

rogazionali, come raccolti presso gli anziani del paese di<br />

<strong>Valle</strong> in Valsaviore, nel corso di alcune interviste nell’anno<br />

2005.<br />

Per proseguire l’argomentazione, faremo riferimento solo<br />

alla seconda rogazione tracciata con evidenziate almeno<br />

tre postazioni di sosta. In realtà è probabile che molte altre<br />

fossero le stazioni del percorso, ma per questa breve analisi<br />

potranno essere sufficienti questi riferimenti. Anzitutto è<br />

bene notare che la terza rogazione si allontana dal paese<br />

percorrendo la strada che collega direttamente <strong>Valle</strong> a<br />

Ponte e su cui muoveva, dall’altro capo, anche la rogazione<br />

di Ponte. Il confine dei due territori si colloca qualche<br />

1 AA. VV., Rogazioni e processioni nell’arco alpino, “Annali di S. Michele”, 14, 2001, Trento Tip. Alcione.<br />

2 C. Cominelli et alii, “La mandragora nell’immaginario della Valcamonica”, in Eleusis, Museo Civico di Rovereto, 8, 2005, pp. 3-42.<br />

3 O. Franzoni e G. C. Sgabussi, Segni di Confine, Breno, Banca di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>, 1996.<br />

4 AA. VV., Rogazioni e processioni nell’arco alpino, “Annali di S. Michele”, 14, 2001, Trento Tip. Alcione, pp. 31-37.<br />

43


44<br />

RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

centinaio di metri oltre la grande volta<br />

della rogazione di <strong>Valle</strong>. Tale confine<br />

è segnato da un’edicola che non<br />

viene raggiunta, neppure dalla processione<br />

di Ponte, che si ferma a circa<br />

duecento metri<br />

Per le caratteristiche orografiche dell’area<br />

le due processioni non possono<br />

vedersi pur marciando a poche centinaia<br />

di metri. È evidente come i due<br />

tracciati, pur sottintendendo una marcia<br />

all’edicola confinaria, non prevedono<br />

contatto, comunque sempre<br />

deprecabile, visti i contenziosi territoriali<br />

potenzialmente in essere tra le<br />

comunità confinanti. Conflitti intracomunitari,<br />

comunque, potevano accendersi<br />

e basta osservare la frammentazione<br />

del territorio, la quantità di particelle<br />

catastali confinanti attraversate dalla<br />

processione per arguire la facile possibilità<br />

di riaccensione di contenziosi.<br />

Il primo bollino nella rappresentazione<br />

indica un punto di sosta ancora tra le<br />

case, di fronte ad un muro dove è affisso<br />

un curioso golgota costituito da<br />

sette piccole croci lignee, sei minori ed<br />

una maggiore, nei pressi del cimitero.<br />

In altra sede ho riferito circa la possibile<br />

natura dell’icona, 5 connettendola<br />

direttamente alla devozione del paese<br />

verso la cappella dei morti di Tole,<br />

posta fuori dal paese a circa 1800<br />

metri di altitudine s.l.m. Si tratta questa<br />

di un’interessantissima beatificazione<br />

vox populi, verso cinque ragazzi travolti<br />

da una slavina alla metà del<br />

diciannovesimo secolo, ancora oggi<br />

sostenuta e accesa di una straordinaria<br />

vitalità. Tale devozione passata<br />

attraverso significative evoluzioni, costituisce<br />

parte integrante dell’identità di<br />

<strong>Valle</strong> e viene qui ad essere richiamata<br />

ed ascritta anche al moto rogazionale,<br />

con una sosta, che significa anche<br />

implicitamente, trasmissione dell’importante<br />

memoria e la sua conservazione.<br />

Da quando le rogazioni non si<br />

fanno più, infatti, si sta progressivamente<br />

confondendo il significato anche di<br />

quelle strane croci e l’incoerenza simbolica<br />

(sette croci per cinque ragazzi),<br />

caratteristica della devozione, si mantiene<br />

nella decodifica personale, individuale<br />

verrebbe da dire, del simbolo.<br />

Qualcuno afferma l’esistenza di altri sei<br />

martiri da affiancare ai cinque di Tole.<br />

La tappa appena successiva riguarda<br />

il cimitero di <strong>Valle</strong> di Saviore. Nessuna<br />

rogazione può in questi luoghi dimenticare<br />

un passo per il camposanto. Del<br />

resto perfino il ritorno del sole in paese,<br />

dopo l’Epifania, veniva celebrato con<br />

la recita di un rosario “particolare” al<br />

cimitero. Comunque il coinvolgimento<br />

dei morti nella percezione del cammino<br />

rogazionale è scontato ed indispensabile,<br />

6 la rogazione si fa “assieme” ai<br />

morti, chi non fa la rogazione da vivo<br />

la farà comunque da morto.<br />

Non è un caso che su questo tracciato,<br />

dove è più presente la partecipazione<br />

dei morti, con la loro indubbia<br />

carica identitaria, viene inaugurato dai<br />

morti miracolosi di Tole, irraggiungibili<br />

per distanza ed altezza dalle rogazioni<br />

più recenti e qui richiamati nel percorso<br />

ma fuori, per status, dal cimitero.<br />

Non va assolutamente dimenticato<br />

che i morti miracolosi di Tole appartengono<br />

idealmente alla grande tradizione<br />

dei morti miracolosi di peste,<br />

le cui edicole costituiscono punto<br />

devozionale, extra limen, al di fuori<br />

del cimitero e condiviso quindi con<br />

altre comunità.<br />

Non va nemmeno dimenticato lo status<br />

ambiguo dei morti miracolosi, gli anonimi<br />

e collettivi agenti di grazie e contemporaneamente<br />

i parenti più prossimi ai<br />

“confinati”, gli spiriti senza pace della<br />

tradizione pre-purgatoriale alpina.<br />

Propri i morti di Tole sono al centro di<br />

narrazioni che li identificano coi confinati,<br />

come nel lancio di pietre sopra le<br />

baracche in montagna. Difatti si è pure<br />

notato che in Valcamonica la seconda<br />

rogazione contempla tradizionalmente<br />

il passaggio confinario verso le cappelle<br />

dei morti di peste o i luoghi dove si<br />

ritiene fossero stati sepolti e talvolta fossero<br />

stati fisicamente relegati gli appestati.<br />

Dato che andrebbe più sistematicamente<br />

accertato.<br />

Poi, la rogazione ora esce dall’abitato:<br />

“questa me la raccontò il nonno di<br />

<strong>Valle</strong>, una bella figura di vecchietto<br />

arzillo, di quei tipi che raccolgono in<br />

sé tutto il patrimonio ideale del paese<br />

ed hanno sempre sulla bocca il richiamo<br />

ai tempi antichi. A quei tempi le<br />

5 C. Cominelli “Il morto riconoscente”, in atti convegno La dimensione spirituale della montagna -Lovere-2003 (in corso di stampa).<br />

6 C. Cominelli, P. Merlin, “Vivere e morire all’ombra della Sorlina”, in AA. VV., Estremo die, Craac Padova, Imprimitur, 2006, pp. 9-47.


case erano tutte sparse e quella si<br />

chiamava la casa del gobbo. Una<br />

notte venne l’orso a sfondare la porta<br />

e la gente ne fuggì impaurita. Una<br />

figliola, pazza del terrore,si mise a correre<br />

giù pei campi inseguita dalla<br />

fiera. Laggiù dove la strada si innalza<br />

un po’ sulla roccia la fanciulla cadde<br />

e l’orso la sbranò. Se è passato ancora<br />

d’inverno quando nevicava avrà<br />

osservato che la neve non ci si ferma<br />

mai [...].” 7<br />

La memoria saviorese, probabilmente<br />

e grazie all’edizione di Morandini,<br />

risulta una delle più nota in <strong>Valle</strong>, spesso<br />

ricordata in pubblicazioni anche<br />

recenti e recentissime. I ruderi della<br />

Co’ del gobb (Casa del gobbo),<br />

come dice la parlata saviorese, sono<br />

ancora lì, indicati da un cartello.<br />

Recandosi sul luogo ci si accorge che<br />

la rogazione prende a salire facendo<br />

boa proprio al muro della casa, che<br />

ospita pure un cippo confinario, e<br />

lascia l’arteria <strong>Valle</strong> – Ponte per arrancare<br />

su un sentierino. Ecco che la casa<br />

del gobbo appare punto confinario,<br />

estremo limite dell’abitato e aperto<br />

alla dimensione del selvatico come<br />

denuncia il toponimo della località<br />

dove la rogazione inizierà a rientrare<br />

verso il paese, i selvòcc, i luoghi selvatici,<br />

per l’appunto. Si nota, dunque,<br />

che la proiezione del territorio sulla<br />

memoria folclorica inizia ad illuminare<br />

valenze certamente condivise dai narratori<br />

ed ascoltatori locali, che oltre ad<br />

assicurarne la trasmissione proprio nel<br />

reiterarne annualmente l’incontro,<br />

durante la rogazione la arricchiscono<br />

di significati. Valenze geografiche<br />

inconoscibili dai lettori non del luogo e<br />

valenze ulteriori, strettamente connesse<br />

e veicolate da quelle geografiche.<br />

Cosa avrà combinato la famiglia del<br />

gobbo (già la condizione del deforme<br />

qualche sospetto lo aveva celato)<br />

per essere esclusa dalla comunità,<br />

confinata, lì a ridosso del selvatico?<br />

Poi la roccia ancora oggi calda<br />

del sangue della ragazza, cosa sottintende,<br />

in quella morte oltre il confine<br />

dell’abitato?<br />

Senza voler andare oltre la proposta e<br />

facendo rapida chiusura, lascio che la<br />

rogazione di <strong>Valle</strong> torni verso il paese<br />

e la sua parrocchiale.<br />

IN PROVVISORIA<br />

CONCLUSIONE<br />

Proprio il relativo moltiplicarsi di raccolte<br />

ed antologie folkloriche sembra<br />

richiamare la necessità di dotarsi<br />

di strumenti di proiezione della<br />

percezione del territorio di una<br />

comunità.<br />

Tale territorio percepito si articola in<br />

dimensioni silenziose ma imprescindibili.<br />

Dove comincia il selvatico?<br />

Dove finiscono gli orti? Fin dove è<br />

lecito muoversi nottetempo? Questo<br />

ce lo restituisce proprio una rappresentazione<br />

del territorio, condivisa,<br />

talvolta mutevole ma più spesso<br />

costante, il territorio tracciato dalle<br />

processioni e delle rogazioni in particolare.<br />

Così anche l’importazione sul territorio<br />

di una narrazione, il suo “rialloggiamento”<br />

diviene importante: troviamo<br />

ovunque quella dei pè de cavra,<br />

ma a <strong>Valle</strong> dove si colloca? Perché?<br />

S. Carlo è passato ovunque, sempre<br />

a benedire, sempre col suo asino, ma<br />

perchè a Pontasio 8 va alle miniere<br />

come a Corteno?<br />

Si può andar oltre. Si è altrove argomentato<br />

9 , che una delle chiavi, nel<br />

racconto degli accadimenti, della validazione<br />

dei fenomeni straordinari o<br />

inconsueti per le genti dei borghi indagati,<br />

oltre la riconduzione a topoi noti,<br />

fu certamente la corretta collocazione<br />

sul territorio e nel tempo sopra gli assi<br />

cronogeografici che si specificano<br />

attraverso la percezione del territorio,<br />

anche e soprattutto nel suo essere<br />

ribadito annualmente.<br />

Così la processione dei morti deve<br />

essere notturna e il Bis esterno al circuito<br />

rogazionale per essere creduto<br />

vero. Così è credibile che la casa del<br />

gobbo sia stata assalita dall’Orso, la<br />

notte e fuori il limen delle processioni.<br />

Nel prezioso tentativo di salvaguardare<br />

l’intangibile, posto d’eccellenza<br />

deve essere la trascrizione e la mappatura<br />

del momento identitario per eccellenza<br />

dei singoli borghi alpini, le rogazioni<br />

o meglio le processioni come per<br />

esse, spesso enfaticamente, si diceva.<br />

7 A. Morandini, Folklore in Valcamonica, Breno, 1927, pp. 55-56.<br />

8 C. Cominelli, P. P. Merlin “Salti, confini,forre”, in U. Sansoni et alii Il segno minore, Ed. del Centro camuno di studi preistorici,<br />

Capodiponte 2001, pp. 165-170.<br />

9 C. Cominelli, “L’immaginario popolare della strega”, relazione tenuta al convegno nazionale “Donne tra forza e maledizione”,<br />

Falconara marittima, 2005.<br />

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46<br />

RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

Personaggio.<br />

Ottone Penzig (1856-1929),<br />

naturalista e botanico, europeo<br />

nell’anima, camuno per<br />

elezione.<br />

Franca<br />

Avancini<br />

Pezzotti.<br />

Negli ultimi decenni dell’Ottocento a Breno, intorno a<br />

Francesco Ballardini e Paolo Prudenzini, i pionieri<br />

dell’alpinismo camuno, si era creato un ambiente in<br />

un certo senso cosmopolita.Paolo Prudenzini era<br />

in contatto con alcuni tra i più conosciuti alpinistiscienziati<br />

italiani ed europei ed era ininterrotto lo scambio di informazioni<br />

sulla topografia e quindi sulla cartografia, di osservazioni<br />

sui ghiacciai, sulle rocce, sulla flora della nostra <strong>Valle</strong>.<br />

D’altra parte l’esplorazione delle nostre montagne, soprattutto del<br />

Gruppo dell’Adamello, era cominciata proprio ad opera di geologi,<br />

glaciologi, naturalisti provenienti dalla Germania e dall’Austria:<br />

tra gli scienziati che avevano studiato le nostre montagne uno dei<br />

più conosciuti fu senza dubbio Wilhelm Salomon che nel 1888<br />

aveva cominciato la ricognizione geologica dell’Adamello continuando<br />

poi per anni a percorrere la nostra <strong>Valle</strong> in lungo e in largo.<br />

Nella prefazione alla sua grande pubblicazione Die Adamello<br />

Gruppe, uscita a Vienna tra il 1908 e il 1910, Salomon ringraziava<br />

quanti in <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong> lo avevano “sostenuto con l’ospitalità,<br />

con informazioni e comunicazioni di osservazioni“; tra questi naturalmente<br />

c’erano Francesco Ballardini e Paolo Prudenzini e spiccava<br />

anche il nome del professor Penzig che veniva citato anche<br />

come “il prof. Penzig di Losine“.


In realtà<br />

l’insigne studioso<br />

di<br />

botanica che<br />

Salomon collocava<br />

a<br />

Losine, vi era<br />

arrivato da<br />

lontano; egli<br />

poi divenne<br />

“camuno“ a<br />

pieno diritto<br />

e la sua attività<br />

di animatore<br />

della<br />

ricerca naturalistica<br />

nell’ambito<br />

bresciano,<br />

è considerata<br />

ancora<br />

oggi fondamentale.<br />

Otto Penzig si presentò così nello scritto<br />

steso in occasione della laurea, conseguita<br />

il 24 settembre 1877 presso<br />

l’università di Breslau, oggi Wroclaw,<br />

passata dalla Germania alla Polonia<br />

nel 1945: Io, Otto Penzig, di confessione<br />

evangelica, figlio del Diacono<br />

Superiore Ludwig Penzig,(morto a<br />

Liegnitz nel 1872) e di sua moglie<br />

Bertha (morta a Breslau nel 1871) nacqui<br />

il 25 marzo 1856 a Samitz (circondario<br />

di Haynau) in Slesia. Ebbi la mia<br />

prima istruzione nella scuola preparatoria<br />

del ginnasio di santa Elisabetta in<br />

Breslau, ma la mia ulteriore educazione<br />

continuò, negli anni 1864-74, nel ginnasio<br />

statale di Liegnitz, dove nella<br />

pasqua del’74 ottenni l’attestato di<br />

maturità. Nello stesso termine fui immatricolato<br />

all’Università“.<br />

La sua dissertazione costituì l’inizio di<br />

una attività di ricerca che continuò per<br />

cinquant’anni e che fu scandita da una<br />

lunghissima serie di pubblicazioni e da<br />

innumerevoli riconoscimenti di università<br />

e di società scientifiche di tutto il mondo.<br />

Il giovane Penzig aveva cominciato la<br />

sua carriera come assistente a<br />

Karlsruhe nel Baden ma ben presto la<br />

sua salute lo aveva costretto a cercare<br />

il clima<br />

mite della Costa Azzurra. Così egli trascorse<br />

alcuni mesi a Mentone e, dopo<br />

essersi ristabilito, entrò nel Laboratorio<br />

Crittogamico dell’Università di Pavia; in<br />

seguito passò a Padova dove divenne<br />

amico e collaboratore di un grande<br />

maestro, il trevigiano Pierandrea Saccardo, micologo<br />

di fama mondiale, famoso per aver classificato in una<br />

pubblicazione in 25 volumi le 70.000 specie di funghi<br />

allora conosciuti. Nel 1882, l’anno nel quale<br />

l’Italia allo scopo di uscire dall’isolamento internazionale,<br />

aveva stretto la Triplice Alleanza con la<br />

Germania e l’Austria -Ungheria, Otto Penzig -divenuto<br />

Ottone Penzig- ottenne la cittadinanza italiana e la<br />

libera docenza; l’anno successivo vinse il concorso<br />

per l’incarico di direttore della Regia Stazione Agraria<br />

di Modena e nel 1886 conseguì, sempre per concorso,<br />

la cattedra di botanica presso l’università di<br />

Genova che tenne per oltre quarant’anni, fino alla<br />

morte. Ben presto le sue ricerche e le pubblicazioni lo<br />

fecero conoscere ed apprezzare negli ambienti scientifici<br />

non soltanto italiani; nel 1887 vinse il concorso<br />

bandito dal Ministero dell’Agricoltura per una monografia<br />

sugli agrumi“ Studi botanici sugli agrumi e sulle<br />

piante affini “. L’opera era accompagnata da un atlante<br />

con 58 tavole disegnate e incise da lui; come in<br />

tutte le sua pubblicazioni, anche in questa tanto le<br />

descrizioni dei particolari anatomici quanto i disegni<br />

lasciavano intravedere la sua fede nella “intelligenza<br />

della natura“ che caratterizzò tutta la sua lunga attività<br />

di scienziato.<br />

Nel 1884 Ottone Penzig sposò Lucia, figlia di Pietro<br />

Antonio Ottini, appartenente ad una delle famiglie<br />

brenesi che si erano distinte durante gli anni delle lotte<br />

risorgimentali, e di Adele Griffi i cui antenati, alleati<br />

con la grande casata dei Ronchi, erano stati a capo<br />

dei guelfi di <strong>Valle</strong> amonica nel contrasto secolare con<br />

i ghibellini Federici. Divenuto quindi a pieno titolo cittadino<br />

della Camunia, il professore entrò nella cerchia<br />

degli amici di Paolo Prudenzini che gli comunicò<br />

l’amore per le nostre montagne e cominciò a trascorrere<br />

le vacanze estive a Losine nell’antica casa Griffi,<br />

partecipando alle ascensioni organizzate dagli amici<br />

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48<br />

RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

brenesi mentre nel contempo studiava<br />

e classificava la flora delle nostre montagne,fissandone<br />

anche le denominazioni<br />

dialettali o raccoglieva i fossili,<br />

numerosi tra le rocce e i ghiaioni della<br />

Concarena<br />

Nei primi anni del suo soggiorno italiano<br />

il giovane professore aveva conosciuto<br />

sir Thomas Hanbury, il gentiluomo<br />

inglese appassionato di botanica<br />

che aveva fondato alla Mortola, vicino<br />

a Ventimiglia, il giardino di acclimatazione<br />

ancora oggi famoso,dove aveva<br />

raccolto un gran numero di piante tropicali.<br />

La conoscenza divenne stretta collaborazione<br />

e poi viva amicizia tanto<br />

che Hanbury fece costruire a proprie<br />

spese dentro il recinto del vecchio Orto<br />

Botanico di Genova tutta la struttura del<br />

nuovo Istituto di Botanica che fu inaugurato<br />

nel 1892 e la direzione del quale<br />

fu affidata al professor Penzig. I più<br />

conosciuti tra gli scienziati del mondo,<br />

entrati in corrispondenza con lui, gli<br />

inviavano collezioni di piante, erbari,<br />

preparazioni microscopiche che arricchirono<br />

in misura notevole l’istituto stesso;<br />

in questi stessi anni egli fondò e<br />

diresse “Malpighia“ che restò per<br />

lungo tempo la più importante rivista di<br />

botanica in Italia e contemporaneamente<br />

si dedicò anche allo studio della<br />

storia della botanica, pubblicando e<br />

commentando antichi erbari.<br />

Fin dalla sua prima giovinezza il professor<br />

Penzig aveva sviluppato dentro di<br />

sé la capacità, propria dei grandi viaggiatori,<br />

di stupirsi di fronte ai grandi e<br />

piccoli spettacoli della natura, attitudine<br />

che lo accompagnò sempre, sia nelle<br />

sue escursioni tra le nostre montagne<br />

sia nei grandi viaggi di esplorazione.<br />

Contro l’opinione corrente negli<br />

ambienti scientifici, in uno dei suoi primi<br />

scritti aveva infatti sostenuto che gli<br />

oggetti e i fenomeni analizzati e studiati<br />

dal naturalista, non potevano allonta-<br />

narlo “dalla pura contemplazione<br />

della natura“ perché “anche al più<br />

minuto e scrupoloso esame“ essa non<br />

poteva mostrare altro che delle forme<br />

“belle ed armoniose“.<br />

In un certo senso è possibile intuire un<br />

legame profondo tra lo scienziato<br />

Ottone Penzig e il più grande poeta in<br />

lingua tedesca, Johann Wolfgang<br />

Goethe. Goethe volentieri abbandonava<br />

Weimar e gli impegni di governo<br />

–era uno dei principali collaboratori<br />

del sovrano del piccolo ducato- e si<br />

recava a Jena dove frequentava<br />

docenti di discipline scientifiche; durante<br />

il viaggio in Italia tra il 1786 e il<br />

1788, nei giardini dell’orto Botanico di<br />

Palermo andava alla ricerca della<br />

Urpflanze, la pianta primigenia. Per<br />

Goethe che aveva pubblicato nel<br />

1790 un saggio sulle metamorfosi<br />

delle piante e che 20 anni più tardi<br />

avrebbe composto una lunga lirica<br />

su questo argomento, Die Metamorphosen<br />

der Pflanzen (Le metramorfosi<br />

delle piante), la natura che pure<br />

lavora in una infinità di forme, segue<br />

un archetipo di grande semplicità,<br />

una forma originaria, una originaria<br />

forza che compenetra e modella<br />

come principio unitario le diverse<br />

parti della singola pianta e le diverse<br />

piante (tutte le forme sono simlii e<br />

nessuna somiglia alle altre / e così<br />

il coro accenna a una legge segreta<br />

/ a un enigma sacro…) e proprio<br />

questa intuizione del poeta preparava<br />

la via ad una ricerca organica,<br />

dinamica che permettesse di cogliere<br />

il complesso della realtà nel suo<br />

movimento vitale generato proprio<br />

dalla forza immanente nella natura<br />

stessa.<br />

Nei primi anni ‘90 Ottone Penzig si<br />

dedicò ai grandi viaggi nelle regioni<br />

tropicali ed equatoriali. Lo troviamo in<br />

Eritrea nel 1891 dove classificò circa<br />

700 specie, ne scoprì di nuove e portò<br />

in Italia numerosi esemplari tanto che la<br />

Società Geografica Italiana premiò il<br />

suo lavoro con una medaglia; poi, tra il<br />

1896 e il 1897 egli compì il lungo<br />

viaggio a Ceylon, Sumatra, Giava.<br />

Questa esplorazione fu considerata<br />

l’opus maximum della sua attività di<br />

scienziato: si trattava di verificare lo<br />

stato del ripopolamento arboreo<br />

sulla piccola isola di Krakatoa dove<br />

nel 1883 l’esplosione del vulcano<br />

omonimo -una delle più violente degli<br />

ultimi secoli- aveva completamente<br />

ricoperto di lava, di ceneri, di pomici<br />

tutta l’isola distruggendo ogni traccia<br />

di flora e fauna.<br />

Da questi grandi viaggi lo studioso<br />

portò non soltanto una gran messe di<br />

dati e numerosissimi esemplari per il<br />

suo Istituto, ma anche tutta una serie di<br />

vivacissime impressioni di viaggio, di<br />

ricordi, di descrizioni paesistiche, di<br />

notazioni sui costumi e sulle usanze di<br />

popoli allora tanto lontani dalla cultura<br />

occidentale .<br />

Nel 1901 moriva, giovane ancora, la<br />

sposa Lucia. Gli restavano le figlie<br />

Adele e Berta, gli erano vicini gli amici,<br />

la sua attività di docente e di scienziato<br />

procedeva serena, ricca di riconoscimenti<br />

e di soddisfazioni: egli, che era<br />

stato nominato preside della facoltà,<br />

partecipava a congressi e convegni,<br />

continuava a pubblicare libri, studi, articoli<br />

in italiano, in francese, in inglese, in<br />

tedesco, in latino, disegnava le bellissime<br />

tavole colorate che comparivano<br />

nelle pubblicazioni stesse. Durante i<br />

soggiorni in <strong>Valle</strong> Ottone Penzig volentieri<br />

impiegava le sua capacità di scienziato<br />

anche nell’acclimatare piante<br />

esotiche nei giardini dei suoi amici, continuava<br />

a raccogliere piante e fiori<br />

delle nostre montagne e nel contempo<br />

si dedicava alla preparazione di un<br />

erbario camuno. Il suo legame con la


<strong>Valle</strong> si era inoltre ancora rafforzato<br />

poiché nel 1907 la figlia Adele aveva<br />

sposato l’avvocato Maffeo Gheza<br />

che evidentemente condivideva la passione<br />

del suocero: la villa Gheza di<br />

Pian di Borno era circondata da un<br />

giardino ricco di agavi e palme perfettamente<br />

acclimatate mentre più in alto<br />

le viti prosperavano su terreni sassosi.<br />

Egli aveva anche contribuito all’ideazione<br />

di un altro giardino esotico, quello<br />

della grande villa moresca di Breno<br />

che Maffeo Gheza, fattosi architetto,<br />

aveva immaginato nel corso di lunghi<br />

anni, sviluppando negli innumerevoli<br />

disegni, custoditi dal nipote Maurizio<br />

Castagna, l’insieme e i particolari di un<br />

complesso straordinario che però fu<br />

realizzato quando ormai Ottone<br />

Penzig era morto da alcuni anni.<br />

Apparentemente il secolo appena iniziato<br />

non aveva portato cambiamenti<br />

nell’Europa di allora le cui certezze e il<br />

cui ottimismo erano sorretti dalla fede<br />

nelle conquiste della scienza e dall’orgoglio<br />

di importanti realizzazioni, quali<br />

i primi grandi impianti idroelettrici, la<br />

telegrafia senza fili, lo sviluppo delle<br />

strade ferrate e i trafori che permettevano<br />

di collegare rapidamente i due versanti<br />

delle Alpi. In realtà nei vari stati<br />

una specie di inquietudine cominciò ad<br />

affiorare nell’opinione pubblica, si<br />

cominciò dovunque a parlare di “sacro<br />

egoismo“, il patriottismo divenne nazionalismo<br />

acceso e l’orizzonte politico<br />

del continente cominciò ad essere turbato<br />

da crisi internazionali ricorrenti . Il<br />

28 giugno 1914 un terrorista serbo<br />

uccise l’erede al trono dell’Austria-<br />

Ungheria e in meno di un mese gli stati<br />

europei precipitarono nel primo conflitto<br />

mondiale della storia.<br />

L’elenco delle pubblicazioni di Ottone<br />

Penzig presenta uno iato dal 1916 al<br />

1921. Pur essendo cittadino italiano da<br />

più di 30 anni, pur avendo dato innumerevoli<br />

prove di amore e lealtà per<br />

l’Italia, dovette interrompere la sua attività<br />

accademica e scientifica.<br />

Nonostante i numerosi riconoscimenti<br />

internazionali per la sua attività scientifica,<br />

gli che aveva ottenuto che l’amico<br />

sir Thomas Hanbury donasse<br />

all’Università di Genova l’edificio e le<br />

attrezzature del nuovo istituto di botanica,<br />

nel novembre del 1917 fu sospeso<br />

dall’insegnamento su pressione degli<br />

ambienti nazionalisti e si stabilì a Pian<br />

di Borno presso il genero Maffeo<br />

Gheza; qualche mese dopo, nel<br />

marzo del 1918 , fu costretto a lasciare<br />

la <strong>Valle</strong>, troppo vicina alle zone di<br />

operazioni e fu mandato a Bagni di<br />

Lucca, in una sorta di confino.<br />

A guerra finita, il professor Penzig riprese<br />

la sua attività e nel 1924 pubblicò<br />

la sua “Flora popolare italiana“,<br />

un’opera di 1156 pagine: nel primo<br />

volume presentava piante e fiori comuni<br />

in Italia catalogati con il nome scientifico<br />

e con le denominazioni dialettali<br />

proprie delle varie zone delle singole<br />

regioni italiane, mentre nel secondo<br />

elencava in ordine alfabetico, disposti<br />

su 3 colonne, i vari nomi dialettali, la<br />

regione in cui essi erano usati, la denominazione<br />

scientifica. L’opera era nata<br />

non soltanto dalla consultazione dei<br />

testi che compaiono nella bibliografia,<br />

ma anche dalla frequentazione<br />

costante dei vari ambienti e noi oggi,<br />

scorrendo il testo, intravediamo sullo<br />

sfondo le innumerevoli escursioni tra i<br />

nostri boschi e le ascensioni sulle nostre<br />

cime, le domande incessanti rivolte ai<br />

nostri mandriani e ai nostri contadini, le<br />

conversazioni intorno al fuoco dentro<br />

una baita o al riparo di un masso<br />

durante i temporali estivi, tutto l’amore<br />

per lo spettacolo di bellezza che le<br />

nostre montagne avevano offerto ad<br />

un uomo che era stato capace di<br />

accoglierne il dono.<br />

Nel febbraio del 1928 morì Berta, la<br />

figlia carissima che gli era stata vicina<br />

per lunghi anni quale collaboratrice<br />

indispensabile dopo che egli era stato<br />

colpito da una grave malattia agli<br />

occhi.<br />

Ottone Penzig si spense un anno<br />

dopo, il 6 marzo 1929.<br />

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50<br />

RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

Rubrica. Tesi di laurea<br />

La <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong> nelle parole<br />

dei suoi laureati.<br />

a cura di:<br />

Sara Marazzani.<br />

Il rapporto primario dell’uomo con l’ambiente nel quale vive, diversificato per caratteristiche naturali e vocazioni economiche,<br />

si risolve e si misura nei differenti esiti sociali e produttivi che ne derivano. Allo stesso modo la trasformazione<br />

di un territorio, degli abitanti e del rapporto che li lega, coinvolge elementi naturali e culturali diversificando paesaggi<br />

e costruzioni, determinando gli assetti comunitari e dando origine a complessi sistemi di convivenza. L’analisi di<br />

ognuno di questi aspetti dovrebbe guidare le diverse occasioni che stanno alla base dell’urgenza contemporanea di<br />

tutela dell’ambiente, di recupero dei segni lasciati dall’uomo e di riorganizzazione delle aree.<br />

I brevi accenni ai lavori di ricerca che seguono, premiati al Convegno Spazio Giovani, propongono alcuni casi locali<br />

affrontati con metodi di ricerca e presupposti non unitari e, tracciando in parte le ragioni del dinamismo uomo-teritorio,<br />

ne presentano possibili scenari futuri: si va dalla mappatura di modelli costruttivi antichi tra prassi storiche e archeologiche<br />

all’individuazione delle risorse naturali e del loro conseguente sfruttamento, ai piani di conservazione e valorizzazione<br />

di siti abbandonati o trascurati.<br />

ANNA ALICE LEONI,<br />

L’EDILIZIA RELIGIOSA<br />

MEDIEVALE IN VALLE<br />

CAMONICA (BS),<br />

tesi di laurea in Archeologia<br />

Medioevale, Università degli Studi<br />

di Bologna<br />

La tesi è rivolta all’architettura religiosa<br />

di epoca medievale conservata in<br />

<strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>. Intento preposto al<br />

progetto era la redazione di un catalogo<br />

esaustivo delle emergenze medievali<br />

conservate in alzato o nel sottosuolo,<br />

attraverso la ricognizione autoptica<br />

di 130 complessi architettonici, individuati<br />

tramite la letteratura storico – artistica<br />

e le fonti edite, al fine di creare un<br />

database delle apparecchiature murarie<br />

e delle aperture.<br />

I dati raccolti sono stati utilizzati per<br />

la costruzione di una cronotipologia<br />

delle murature e degli elementi strutturali<br />

al fine di delineare un quadro<br />

evolutivo dell’edilizia religiosa<br />

camuna, la cui datazione, in assenza<br />

di fonti documentarie certe, era<br />

finora basata esclusivamente sul criterio<br />

dell’analogia stilistica.<br />

Tra i molti risultati ottenuti, tra cui la<br />

collocazione cronologica di alcuni<br />

edifici e il riconoscimento di 12 complessi<br />

architettonici, che conservano<br />

resti medievali non documentati<br />

dalla letteratura storico – artistica, è<br />

da sottolineare la redazione di un<br />

inventario delle strutture superstiti e<br />

dello stato in cui esse vertono, strumento<br />

necessario per la tutela di un<br />

patrimonio spesso trascurato.<br />

CRISTINA COMININI,<br />

CASE DI VISO IN<br />

VALLE CAMONICA.<br />

ARCHITETTURA<br />

RURALE E CULTURA<br />

MATERIALE DI UN<br />

COMPLESSO<br />

PASCOLIVO,<br />

tesi di laurea in Conservazione dei<br />

Beni Culturali, Università degli studi<br />

di Parma<br />

L’architettura rurale, così intrinsecamente<br />

legata alla terra e, le culture<br />

materiali, che da quest’ultima scaturiscono,<br />

vogliono essere in questo<br />

lavoro approfondite focalizzando<br />

l’attenzione sia su aspetti prettamente<br />

tecnici ma, soprattutto, facendo<br />

emergere il vissuto di tutti coloro che<br />

hanno contribuito ad accrescere la<br />

storia di un popolo.<br />

L’economia prettamente pastorale e la<br />

ricchezza insita nell’abbondanza di<br />

pascoli e boschi, ha indotto la popolazione<br />

di questi centri a sfruttare, per<br />

alcuni mesi, le vallate a monte dei<br />

paesi per sopperire all’insufficienza di


foraggio nel fondovalle. Partendo da<br />

questa necessità, nasce la pratica dell’alpeggio<br />

e della monticazione del<br />

bestiame che, si concretizza, nella realizzazione<br />

di edifici temporanei che<br />

diventano punto di riferimento per la<br />

vita in quota.<br />

In quest’ottica si collocano i complessi<br />

pascolivi di Pirli e soprattutto di Case di<br />

Viso grazie ai quali si sono potuti indagare<br />

molteplici aspetti per giungere ad<br />

una comprensione più profonda di ciò<br />

che un luogo e un modo di abitare<br />

può riflettere. Grazie all’analisi dell’architettura<br />

rurale presente, legata a rigorosi<br />

criteri di funzionalità, che ne hanno<br />

permesso e motivato la permanenza<br />

per secoli senza profonde alterazioni,<br />

sono emersi una serie di aspetti di cultura<br />

materiale che hanno caratterizzato<br />

questi villaggi d’altura.<br />

MICHELA GUERINI,<br />

MALEGNO AL TEMPO<br />

DEI CANALI.<br />

PERCORSO TRA TER-<br />

RITORIO E STORIA,<br />

tesi di laurea in Scienze<br />

Geografiche, Università degli Studi<br />

di Bologna<br />

Fonte di vita e di energia, l’acqua, e in<br />

particolar modo l’acqua del torrente<br />

Lanico che scende dalla sovrastante<br />

<strong>Valle</strong> di Lozio, ha permesso all’uomo di<br />

insediarsi in questo territorio e di sviluppare<br />

le sue attività lavorative. Altri<br />

esempi di questo legame che unisce<br />

l’uomo all’acqua sono presenti in molti<br />

centri della <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong> i quali<br />

potrebbero costituire tutti insieme una<br />

vera e propria “Civiltà d’acqua di <strong>Valle</strong><br />

<strong>Camonica</strong>”.<br />

Questa tesi ricostruisce in prospettiva<br />

storica, dalle ipotizzate origini fino ad<br />

oggi, le peculiari attività locali dipendenti<br />

dalla forza meccanica dell’acqua<br />

e ne coglie l’evoluzione e i riflessi<br />

sulla comunità: un contributo alla conoscenza<br />

delle radici proto industriali del<br />

paese e della sua evoluzione nel<br />

tempo fino ai giorni nostri. A tal fine<br />

sono stati analizzati da vicino i luoghi e<br />

i mestieri che hanno contribuito al costituirsi<br />

dell’identità locale, radicata nelle<br />

tradizioni culturali, e hanno posto le<br />

premesse dello sviluppo economico e<br />

sociale del paese. Lo si può pertanto<br />

definire uno studio della “cultura materiale<br />

dell’acqua”.<br />

LUISA CENI,<br />

GEOMETRIA E PAE-<br />

SAGGIO. PROGETTO<br />

DI VALORIZZAZIONE<br />

DEL PARCO DEL<br />

LAGO MORO A<br />

DARFO BOARIO<br />

TERME, tesi di laurea in<br />

Architettura, Politecnico di Milano<br />

Ciò che l’uomo ha modificato nel territorio<br />

è da considerarsi come un insieme<br />

da rapportare alle risorse naturali<br />

circostanti, che ne hanno determinato<br />

la scelta del luogo ma la cui funzione<br />

è fortemente cambiata. Gli elementi<br />

distintivi di questi territori naturali hanno<br />

perso infatti nel corso del tempo interesse<br />

da parte degli abitanti locali, non<br />

essendo più votati alla pastorizia o alla<br />

coltivazione, venendo dimenticati. Essi<br />

fanno però parte intrinsecamente della<br />

storia del luogo e possono essere reintegrati<br />

ricostruendo la storica relazione<br />

tra l’abitato e l’ambiente circostante.<br />

L’intento principale del progetto è quello<br />

di proporre una valorizzazione dell’ambiente<br />

del Parco, attraverso la salvaguardia<br />

degli elementi naturali ed<br />

antropici che caratterizzano il territorio<br />

e la risignificazione dei luoghi. Il progetto<br />

si articola attraverso un sistema in<br />

sequenza di elementi progettuali che<br />

rappresentano i punti di appoggio per<br />

la creazione di una nuova massa critica,<br />

da connettere con l’abitato, costituita<br />

dagli ambiti del parco messi in collegamento<br />

tra loro. Questa sequenza si<br />

colloca nel paesaggio tracciando un<br />

itinerario biunivoco che dal Lago<br />

Moro, di forte rilevanza paesaggistica,<br />

giunge nel punto di incontro tra<br />

l’abitato e l’emergenza orografica.<br />

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RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

Rubrica. Musica<br />

Musica e canto popolare<br />

in <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>.<br />

Un tesoro perduto?<br />

Un popolo,<br />

mettetelo in<br />

catene,<br />

spogliatelo,<br />

è ancora libero<br />

Piercarlo<br />

Gatti.<br />

Levategli il lavoro<br />

levategli il passaporto<br />

il tavolo dove<br />

mangia<br />

il letto dove<br />

dorme<br />

è ancora ricco<br />

Un popolo<br />

diventa povero<br />

quando gli rubano<br />

le canzoni<br />

imparate dai<br />

padri:<br />

allora è perso,<br />

per sempre.<br />

Ignazio Buttita<br />

Per parlare di musica e canto popolare<br />

è necessario prima definire con<br />

chiarezza di cosa si sta parlando.<br />

Spulciando qua e là tra Storie della<br />

Musica ed Enciclopedie varie ricaviamo<br />

che: .<br />

Dall’analisi dello sterminato repertorio<br />

si desume che generalmente la<br />

musica popolare è caratterizzata da<br />

un messaggio sonoro immediato e<br />

orecchiabile e da una struttura formale<br />

e compositiva poco elaborata.<br />

Eseguita da membri di una comunità<br />

privi di una formazione musicale<br />

specialistica, la musica popolare è<br />

spesso legata ai cicli delle stagioni,<br />

ad eventi chiave dell’esistenza<br />

umana, ad attività come la pratica<br />

religiosa o il lavoro, ed è pertanto<br />

l’espressione musicale in cui la<br />

comunità più si riconosce. Come<br />

abbiamo già detto essa subisce<br />

l’influsso della musica colta e della<br />

cultura alta, ma spesso si comporta<br />

come una sorta di deposito in grado<br />

di conservare, per lunghi periodi,<br />

caratteristiche musicali più antiche.<br />

Nel passaggio da un esecutore<br />

all’altro, una musica popolare tende<br />

a modificarsi in seguito a interventi<br />

creativi, imperfezioni della memoria,<br />

valori estetici diversi e contaminazioni<br />

con altre composizioni o tradizioni<br />

musicali. Una musica popolare<br />

genera così delle varianti, che possono<br />

trasformarsi nel corso del<br />

tempo e creare a loro volta composizioni<br />

la cui forma rende ormai irriconoscibile<br />

la composizione originaria.<br />

Vengono in mente le parole di<br />

Marcel Proust:<br />

Non disprezzate la musica popolare.<br />

Siccome essa si suona e si canta<br />

molto più appassionatamente di<br />

quella “colta” a poco a poco essa


si è riempita del sogno e delle lacrime<br />

degli uomini. Per questo vi sia<br />

rispettabile.<br />

Il suo posto è immenso nella storia<br />

sentimentale della società. Il ritornello<br />

che un orecchio fine ed educato<br />

rifiuterebbe di ascoltare, ha ricevuto<br />

il tesoro di migliaia di anime, conserva<br />

il segreto di migliaia di vite di cui<br />

fu l’ispirazione, la consolazione sempre<br />

pronta, la grazia e l’idea.<br />

Ogni commento mi pare superfluo!<br />

Veniamo dunque alla nostra <strong>Valle</strong> e<br />

alle sue tradizioni musicali.<br />

Storicamente sappiamo che il<br />

Romanticismo ha portato un particolare<br />

interesse da parte degli intellettuali<br />

verso la cultura popolare. Dalla<br />

seconda metà dell’800 cominciarono<br />

ad essere realizzate pubblicazioni<br />

dedicate alle tradizioni e ai canti<br />

popolari, contenenti dapprima solo i<br />

testi delle canzoni e poi, a dire il vero<br />

molto poi, anche la trascrizione delle<br />

linee melodiche. Pensare di analizzare<br />

una canzone guardando solo al<br />

testo e sopprimendo completamente<br />

la parte musicale è un’idea che può<br />

venire solo a un... professore/sa<br />

d’italiano. Canzone, per definizione,<br />

è un’unione inscindibile di musica e<br />

parole, l’una genera le altre e viceversa.<br />

Che il mondo accademico italiano<br />

fosse allora, come oggi del resto, non<br />

particolarmente ferrato in campo musicale<br />

lascia sempre un po’ sorpresi<br />

soprattutto pensando che l’Italia è uni-<br />

versalmente nota come la patria del<br />

bel canto. Questo argomento meriterebbe<br />

di essere approfondito parlando<br />

anche all’assenza ingiustificata dei<br />

musicisti della cosiddetta area colta,<br />

ma la digressione ci porterebbe troppo<br />

lontano, sarà per un’altra volta.<br />

Nel 1888 Costantino Nigra pubblica,<br />

per i tipi della Loescher, quella<br />

che venne considerata lungamente<br />

una sorta di Bibbia per gli studiosi<br />

del canto popolare “Canti popolari<br />

del Piemonte”. Pochi anni dopo, nel<br />

1894, Vincenzo Giovannetti in<br />

“Rivista delle tradizioni popolari italiane”<br />

da conto delle Polesane della<br />

Valcamonica, chi ben comincia… In<br />

realtà bisognerà attendere fino alla<br />

fine degli anni trenta del ‘900, con<br />

la raccolta di Giovanni Bignami<br />

“Canto e musica popolare in terra<br />

bresciana”, per arrivare a un’analisi<br />

approfondita e non episodica della<br />

materia.<br />

Nei primi anni ‘70 Roberto Leydi,<br />

Bruno Pianta, Pietro Sassu e altri vennero<br />

in Val <strong>Camonica</strong>, armati di registratore,<br />

per raccogliere materiale<br />

musicale per una ricerca promossa<br />

dalla Regione Lombardia intitolata:<br />

“Cultura tradizionale in Lombardia”.<br />

I paesi dove si effettuarono le registrazioni<br />

furono Bienno, Borno,<br />

Breno, Laveno di Lozio e Saviore<br />

dell’Adamello. Risultato di quel lavoro<br />

fu la pubblicazione di un libro o<br />

meglio di un quaderno (QDR 15)<br />

dal titolo “Brescia e il suo territorio”<br />

e di alcuni dischi contenenti parte<br />

del materiale registrato. Roberto<br />

Leidy scrive o meglio scriveva che<br />

.<br />

In quel tempo (mi si perdoni l’incipit<br />

evangelico) la presenza in <strong>Valle</strong> de<br />

Lé orége dè hói di Bienno, gruppo<br />

vocale che tanto aveva contribuito<br />

alla ricerca di Leydi & C., sembrava<br />

garantire un solido legame con il<br />

mondo della tradizione. Non solo,<br />

in numerosi altri paesi erano presenti<br />

gruppi abituali di canto spontaneo<br />

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RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

o, comunque, erano note varie figure<br />

di appassionati che amavano<br />

cantare le cansù de ‘na ólta. La televisione<br />

e i mezzi pubblici e domestici<br />

di diffusione della musica, non<br />

avevano ancora del tutto “soffocato”<br />

la voglia della gente di esprimere<br />

attraverso il canto le proprie emozioni,<br />

l’appartenenza a un gruppo,<br />

il senso della festa, il dramma dell’emigrazione<br />

(qualcuno forse se l’è<br />

dimenticato o è troppo giovane per<br />

saperlo, ma allora gli emigranti eravamo<br />

noi), la tragedia della guerra,<br />

le gioie e le sofferenze dell’amore.<br />

Eravamo eredi di una tradizione in<br />

cui non c’era festa di qualsiasi tipo<br />

che potesse prescindere da tre azioni<br />

fondamentali: majà, bagà e cantà.<br />

Il canto, spontaneo e condizionato<br />

dal mangiare e dal bere, era spesso<br />

stentoreo e le voci maschili facevano<br />

a gara fra loro a chi “saliva di più”<br />

armonizzando spesso con un controcanto<br />

in falsetto la melodia proposta<br />

dalle voci femminili. Ne risultava una<br />

esecuzione lenta e muscolare che<br />

traeva origine dall’essenza stessa del<br />

mondo contadino e artigianale<br />

camuno. Ci voleva forza e fiato per<br />

cantare, ci volevano forza e fiato per<br />

coltivare la terra sulle terrazze che<br />

segnavano i fianchi delle nostre montagne<br />

o per piegare il ferro nelle<br />

nostre fucine.<br />

Sarebbe stato sufficiente proseguire<br />

sulla strada della ricerca e raccogliere<br />

il cospicuo patrimonio che<br />

ancora non era andato del tutto perduto.<br />

Basterebbe pensare allo straordinario<br />

repertorio sacro come<br />

certi Miserere o certi Parce mihi into-<br />

nati dal popolo durante i funerali,<br />

dove si potevano contare tante versioni<br />

quante erano le diverse declinazioni<br />

del dialetto camuno: praticamente<br />

una per ogni paese. Oppure<br />

alla persistenza di usanze arcaiche<br />

come il Tratto marzo della Val<br />

Saviore, un rito di propiziazione<br />

della fecondità, connesso a un sistema<br />

rituale che ha profonda ed estesa<br />

presenza in tutta l’Europa pre-cristiana,<br />

per non parlare poi del Gaì<br />

la lingua segreta dei pastori. Nel<br />

genere profano spiccavano canzoni<br />

dal carattere fortemente camuno<br />

come Són qui sóto le tuè finèstre, Ó<br />

malghisì che sgürì la parôla,<br />

L’emigrante, ‘l parulì e altre come<br />

Donna lombarda, Il cielo è una<br />

coperta ricamata, Al chiaro di un<br />

cerino, Miniera, Olandesina che se<br />

pur appartenenti ad un più vasto<br />

areale, quando non addirittura canzoni<br />

d’autore, avevano conquistato<br />

un posto di primo piano nel panorama<br />

musicale locale.<br />

Insomma la <strong>Valle</strong> presentava tutte le<br />

premesse per una, per lo meno, interessante<br />

ricerca etnomusicologica,<br />

ma non se ne fece niente. Si perse<br />

un’occasione, forse l’ultima, per<br />

avviare un lavoro organico di ricerca,<br />

catalogazione e salvaguardia di<br />

un patrimonio che, anche se già<br />

intaccato dai guasti del progresso,<br />

era ancora abbastanza presente<br />

nella collettività.<br />

Le cause furono molteplici: disinteresse<br />

delle istituzioni, soprattutto gli enti<br />

comprensoriali più orientati a promuovere<br />

e sostenere studi sulle arti<br />

figurative e architettoniche, voglia di<br />

protagonismo di alcuni gruppi vocali<br />

e conseguente epidemia di campanilismo<br />

(malattia che in Val<br />

<strong>Camonica</strong> può assumere forme<br />

assai virulente), un certo diffuso snobismo<br />

intellettuale delle nuove generazioni<br />

verso la cultura dei “vecchi”<br />

e, strano ma vero, mancanza di interesse<br />

da parte degli addetti ai lavori<br />

“indigeni”.<br />

Erano quelli infatti gli anni in cui esplodeva<br />

in <strong>Valle</strong>, un po’ in ritardo rispetto<br />

al resto del Nord Italia, il fenomeno<br />

dei cori maschili comunemente detti<br />

“cori di montagna”. Da poche unità si<br />

sarebbe passati in breve tempo ad un<br />

coro per ogni paese o quasi. Queste<br />

formazioni, spesso guidate da direttori<br />

improvvisati o nella migliore delle<br />

ipotesi da volonterosi autodidatti, si<br />

erano però quasi tutte rivolte ad un<br />

repertorio estraneo o quantomeno<br />

lontano dalle espressioni più autentiche<br />

delle tradizioni locali. Il modello<br />

di riferimento, il Coro della SAT di<br />

Trento, imponeva una prassi esecutiva<br />

che era l’esatto contrario di quella<br />

spontanea della nostra gente.<br />

Massimo Mila, in un articolo indirizzato<br />

a Cesare Pavese dal titolo<br />

“Canzoni di montagna” apparso<br />

sull’Unità il 24 ottobre 1948, scrive:<br />


devolmente>>. Ora, al di là delle considerazioni<br />

che verrebbe spontaneo<br />

fare intorno a una diatriba tra<br />

Massimo Mila e Cesare Pavese sulla<br />

musica popolare e la cultura alpina in<br />

contrapposizione alla musica e alla<br />

cultura dei popoli dell’Africa equatoriale<br />

(ah, che bei tempi!), non possiamo<br />

fare a meno di sottolineare che,<br />

nonostante le buone intenzioni, le<br />

affermazioni di Mila sono una sorta<br />

di pietra tombale sul canto popolare<br />

in quanto manifestazione spontanea,<br />

e perciò viva, della cultura e delle tradizioni<br />

di un popolo. Una scuola di<br />

pensiero, un po’ integralista a dire il<br />

vero, ritiene che nel momento stesso in<br />

cui un canto viene scritto, cessa di<br />

essere patrimonio collettivo in divenire,<br />

per cristallizzarsi in una forma che<br />

testimonia ciò che è diventato e in<br />

parte ciò che è stato. Diviene documento,<br />

testimonianza in sostanza si<br />

storicizza rispondendo a quelle regole<br />

della cultura alta a cui non è mai<br />

stato legato. In parole povere non è<br />

più musica popolare. Se poi questo<br />

canto viene addirittura armonizzato<br />

per una formazione corale utilizzando,<br />

come nel caso richiamato da<br />

Mila, gli stilemi e le regole armoniche<br />

della musica colta, beh allora la frittata<br />

è fatta. Non si parlerà più quindi di<br />

canto popolare, ma di canto di derivazione<br />

o di ispirazione popolare.<br />

Ecco quindi che i nostri cantori, affascinati<br />

da belle montanare trentine,<br />

da vezzose pastorelle valdostane o<br />

da esotiche Kalinke a cui una operazione<br />

di maquillage musicale aveva<br />

lucidato viso e vestito, non hanno<br />

saputo o voluto trovare nel rustico<br />

repertorio locale, fonte di ispirazione<br />

per i loro canti, contribuendo così<br />

nel tempo alla sua quasi estinzione.<br />

A tutto ciò bisogna aggiungere che<br />

nel giro di pochi anni il dilagare<br />

delle radio private prima e delle televisioni<br />

commerciali poi, ha contribuito<br />

pesantemente alla distruzione<br />

delle culture locali e all’affermazione<br />

di modelli sociali dominati dalla<br />

massificazione dei gusti e dalla globalizzazione<br />

dei consumi. Oggi che<br />

i cori sono in crisi di identità e di<br />

repertorio e vanno via via spegnendosi,<br />

a quelli che sono rimasti non<br />

resta altro da fare che chiudere le<br />

porte di stalle desolatamente vuote.<br />

Per quanto riguarda la musica strumentale<br />

questa si è espressa maggiormente<br />

nelle bande e in piccoli<br />

“gruppi da ballo”.<br />

Le bande sono sempre state il luogo<br />

ideale per la diffusione della musica,<br />

soprattutto tra le classi meno abbienti,<br />

consentendo ad alcuni di suonare<br />

uno strumento senza aver seguito un<br />

regolare corso di studi musicali e ad<br />

altri di ascoltare la musica dei musicisti<br />

più famosi fuori dai luoghi deputati.<br />

L’evoluzione della musica bandistica<br />

ha portato le bande verso un<br />

repertorio musicalmente più difficile<br />

e sicuramente più raffinato, ma lontano<br />

da quello spirito popolare fatto di<br />

marce e arie d’opera.<br />

Diversamente i “gruppi da ballo”,<br />

con organico variabile da due a tre<br />

elementi (solitamente fisarmonica e<br />

chitarra a cui poteva aggiungersi un<br />

cantante), utilizzavano per il loro<br />

scopo anche le più note canzoni<br />

popolari modificando, dove fosse<br />

necessario, il ritmo o la melodia.<br />

Non vi è notizia di significative produzioni<br />

locali, nulla di paragonabile,<br />

per intenderci, alle musiche per i<br />

balli del Carnevale di Bagolino<br />

dove, nel tempo, oltre al repertorio<br />

si è addirittura codificato l’organico<br />

delle formazioni strumentali.<br />

E la musica popolare oggi? Bella<br />

domanda!<br />

Se teniamo conto dell’incipit di questo<br />

scritto la musica popolare, così<br />

come ce la ricordiamo, non esiste<br />

più perché non esiste più la realtà<br />

sociale da cui traeva origine.<br />

Oggi stiamo andando anzi meglio<br />

siamo, che lo si voglia o no, in una<br />

la società multietnica, multilingue,<br />

multiculturale. La realtà sociale è<br />

cambiata e pertanto cambierà inevitabilmente<br />

anche la musica. Oggi i<br />

generi musicali si mescolano anzi<br />

meglio si contaminano l’un l’altro:<br />

pop, musica etnica, rock, classica,<br />

popolare, jazz, ecc… come in un<br />

frullatore alla ricerca di nuove idee,<br />

di nuovi orizzonti, di nuove forme<br />

espressive. Certo queste idee è difficile<br />

trovarle nelle classifiche dei<br />

dischi più venduti o trasmesse dalle<br />

radio dove DJ, più o meno interessati,<br />

dettano le tendenze musicali del<br />

momento. Per fortuna c’è internet<br />

che ci offre l’occasione di entrare in<br />

contatto con una quantità impressionante<br />

di produzioni musicali indipendenti<br />

e alternative, allargando di<br />

fatto il panorama musicale e rendendoci<br />

più liberi nelle scelte.<br />

Che siano internet e la contaminazione<br />

la strada per una nuova musica<br />

popolare? Mah!<br />

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RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

Rubrica. Teatro<br />

IL VASO DI PANDORA.<br />

Itinerari possibili di teatro<br />

nella scuola<br />

Stefania<br />

Dall’Aglio.<br />

“La funzione<br />

principale di<br />

una rassegna<br />

di teatro della<br />

scuola non è<br />

quella di premiare<br />

l’eccellenza,<br />

ma di un confronto<br />

tra<br />

poetiche, fra<br />

itinerari educativi,<br />

didattici<br />

e di ricerca<br />

espressiva e<br />

specialmente<br />

di dar voce<br />

alle istanze<br />

del mondo<br />

giovanile e<br />

infantile…”<br />

Molta acqua è passata<br />

sotto i ponti<br />

da quando nei<br />

preistorici anni settanta<br />

il teatro faceva<br />

capolino, o forse meglio irrompeva,<br />

seppur attraverso la porta di servizio,<br />

tra le aule del santuario-scuola e vi<br />

portava tutta la carica eversiva delle<br />

correnti drammaturgiche che al tempo<br />

dominavano la scena culturale.<br />

Stabilire un rapporto tra scuola e teatro<br />

significava, infatti, per i primi sperimentatori<br />

del genere soprattutto scoprire<br />

nella gestualità una forma di comunicazione<br />

non secondaria, avviare una<br />

analisi critica, dunque liberatoria, sugli<br />

stereotipi gestuali caratterizzanti la vita<br />

sociale e di relazione, promuovere la<br />

capacità di organizzare la propria personalità<br />

su un livello di equilibrio emotivo<br />

tra esigenze personali dell’io e loro<br />

estrinsecazione pratica nella realtà,<br />

rivalutando il corpo, grande escluso da<br />

una istituzione ancor tutta di stampo<br />

idealistico.<br />

Una volta aperto, il vaso di Pandora<br />

non è stato più possibile richiuderlo.<br />

Così, dopo l’incontro con l’anima-zione<br />

teatrale e il teatro professionale per<br />

l’infanzia e la gioventù, negli anni ottanta<br />

e novanta molti operatori della scuola<br />

hanno creduto di rinvenire nel teatro<br />

quel mezzo di comunicazione arcaico,<br />

per così dire artigianale, che poteva tuttavia<br />

porsi come efficace tramite di<br />

incontro, occasione di rapporto e di<br />

partecipazione, luogo in cui far emergere,<br />

grazie all’immediatezza dell’espressione<br />

corporea, desideri ed<br />

emozioni, cioè l’io in tutta la sua soggettività<br />

spoglia di ogni maschera o<br />

convenzione, come risposta ad un<br />

contesto sociale che si andava sempre<br />

più indirizzando verso una fruizione<br />

solitaria dei dati culturali e ludici, in cui<br />

l’esposizione prolungata e diffusa ai<br />

media elettronici modificava progressivamente,<br />

ma radicalmente non solo il<br />

rapporto realtà/finzione, ma anche le<br />

modalità percettive dell’apprendimento<br />

e le stesse strutture dell’immaginario.<br />

In entrambe le prospettive, tuttavia, era<br />

sottesa l’unica convinzione che non


solo fosse possibile, ma anche pedagogicamente<br />

opportuno superare la<br />

separatezza tra azione e fruizione,<br />

cosicché la “catarsi” teatrale si realizzasse<br />

non tanto attraverso la visione di<br />

un atto drammaturgico, quanto piuttosto<br />

attraverso la sua sperimentazione<br />

diretta, anche col rischio di piegare<br />

percorsi ed esiti a finalità didascaliche<br />

o esemplari.<br />

Una volta aperto, poi, dal vaso di<br />

Pandora sono uscite le più diverse<br />

esperienze, il cui valore è riconducibile<br />

proprio alla cifra stilistica della<br />

varietà, della citazione, della contaminazione<br />

che le caratterizza.<br />

Ecco allora che itinerari di ricerca<br />

all’interno del sé, delle proprie percezioni<br />

di corpo e di spazio, si sono<br />

intrecciati con frequentazioni dell’immaginario,<br />

con personaggi che si desidera<br />

interpretare, con storie che si<br />

vogliono raccontare, in una dialettica<br />

continua tra improvvisazione e consapevolezza,<br />

tra gioco come libertà/spontaneità<br />

e rappresentazione<br />

come disciplina, tra il momento puramente<br />

ludico-espressivo e l’istanza<br />

comunicativa.<br />

Ecco, ancora, che in taluni casi la<br />

scuola ha privilegiato un’accezione<br />

antropologica di teatro, partendo<br />

dalla rielaborazione del vissuto del<br />

gruppo classe o della micro-comunità<br />

in cui la classe è inserita.<br />

In questo prospettiva il testo non<br />

nasceva in funzione teatrale, ma<br />

come raccolta di pensieri, immagini,<br />

riflessioni, che successivamente venivano<br />

rielaborate e affidate a quel<br />

particolare modulo rappresentativo,<br />

che è il teatro di narrazione, a comporre<br />

minimi “autodrammi”, senza<br />

una trama precisa e con una struttura<br />

assolutamente corale.<br />

In altre occasioni l’attività teatrale ha<br />

preso l’avvio da un testo, raramente<br />

un testo teatrale, molto più spesso da<br />

un testo di narrativa sul quale intervenire<br />

più liberamente, attraverso attività di<br />

“lettura partecipe”, piegate a favorire<br />

l’intersezione tra mondo dell’autore e<br />

mondo del lettore, in cui il prodotto<br />

finale si costruiva sulle suggestioni fornite<br />

dall’autore e sull’eco che esse<br />

avevano suscitata sulla vita del gruppo,<br />

in una sorta di meticciato dagli<br />

accostamenti più arditi con l’attualità.<br />

Talvolta l’attività teatrale non si è innescata<br />

da un testo verbale, ma da una<br />

immagine, da una composizione musicale,<br />

per cui l’opera d’arte diveniva<br />

elemento provocatore di sensazioni<br />

multiple, attinenti ad ordini sensoriali<br />

diversi, messe nello spazio scenico<br />

attraverso una pluralità di “media”.<br />

Un’altra linea di tendenza, infine, è<br />

andata nella direzione del cosiddetto<br />

“teatro didattico”, che consentiva di<br />

affidare la rielaborazione di argomenti<br />

di studio o la riflessione su contenuti<br />

culturali e temi d’attualità ed impegno<br />

civile ai linguaggi multicodice che contraddistinguono<br />

questa arte, così da<br />

pervenire a prodotti spesso di grande<br />

impatto emotivo.<br />

In questo variegato contesto, difficilmente<br />

oggi sarebbe possibile affermare<br />

che fare teatro e vedere teatro sono<br />

una perdita di tempo: basti pensare ai<br />

dati numerici relativi sia alla quantità di<br />

spettacoli prodotti ogni anno nelle<br />

scuole sia al numero di persone coinvolte<br />

nel fare e nel vedere; basti vedere<br />

le fasce di età interessate, dalla<br />

scuola dell’infanzia alla scuola superiore;<br />

basti pensare all’estensione territoriale<br />

del fenomeno, che si registra in<br />

ogni regione del paese, non ultima la<br />

<strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>, in singole classi<br />

come in interi plessi scolastici e non<br />

necessariamente come attività di inizio/fine<br />

anno scolastico o di ricorrenza;<br />

basti pensare, da ultimo, ai più<br />

recenti pronunciamenti istituzionali, in<br />

cui “si riconosce al teatro della scuola<br />

una sua ragion sufficiente, volta<br />

all’esercizio della progettualità, alla<br />

valorizzazione dei linguaggi non verbali,<br />

della socializzazione, all’integrazione<br />

dei soggetti disabili e degli stranieri”.<br />

(Protocollo di intesa sul Teatro<br />

della scuola – marzo 2007).<br />

La pluralità di stimoli ed opzioni offerti<br />

dalle ormai consolidate esperienze di<br />

teatro nella scuola, rende tuttavia<br />

necessario, specie per chi comincia<br />

l’avventura, l’individuazione di una bussola<br />

che indirizzi lungo il cammino.<br />

Quale miglior occasione di crescita<br />

si può suggerire, se non la frequentazione<br />

di qualcuna delle numerose<br />

rassegne che arricchiscono il panorama<br />

culturale del nostro paese: da<br />

quella nazionale di Serra S. Quirico,<br />

a quella di Castellana Grotte a quella<br />

di Udine, a quella di Pisogne, più<br />

vicina geograficamente, ma non per<br />

questo di minor pregio.<br />

Da quale miglior “vademecum” trarre<br />

ispirazione, se non dalla preziosa<br />

riflessione proposta in un articoletto<br />

della fine degli anni ‘90 da Loredana<br />

Perissinotto, secondo cui “…lo spettacolo<br />

del teatro-scuola è il terminale visibile<br />

di un complesso ed articolato percorso,<br />

gestito in proprio dal docente o<br />

in parternariato con esperti, in cui il<br />

processo produttivo è importante<br />

quanto il risultato finale da questo<br />

determinato, in cui competenza e professionalità<br />

sono necessarie alla<br />

buona conduzione del tutto”. (“Appunti<br />

e spunti intorno al fare e comunicare<br />

teatrale della scuola”)<br />

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RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

Rubrica. Archeologia<br />

Chiesa della Conversione<br />

di San Paolo, Esine.<br />

Anna<br />

Alice Leoni.<br />

IL CONTESTO<br />

La chiesa intitolata alla Conversione<br />

di S. Paolo, parrocchiale del paese<br />

di Esine, si trova sulla sponda destra<br />

del torrente Grigna, nel nucleo storico<br />

dell’abitato.<br />

La fondazione di una prima cappella<br />

intitolata ai SS. Paolo e Vigilio<br />

dovrebbe risalire alla fine del X sec 1 ,<br />

per opera di un nobile esinese,<br />

come si evince da un atto di donazione<br />

di decime a favore della chiesa<br />

stessa e delle pievi di Cividate e<br />

Dalegno.<br />

L’edificio medievale deve subire una<br />

totale riedificazione tra il 1459,<br />

anno della visita di mons. Benvenuto<br />

Vanzio che la dice “de novo construitur”<br />

e il 1494, data incisa su uno<br />

dei conci del perimetrale nord del<br />

campanile 2 .<br />

Durante la visita apostolica del<br />

1580, Carlo Borromeo ordina che<br />

venga edificato sul lato settentrionale,<br />

a ridosso della facciata, un battistero<br />

privo di strutture sporgenti,<br />

come scale o palchi, che avrebbero<br />

ostruito la via pubblica 3 .<br />

L’edificazione della chiesa attuale,<br />

con conseguente demolizione del-<br />

l’edificio quattrocentesco, ha inizio<br />

nel 1691 e terminerà una quindicina<br />

d’anni dopo 4 .<br />

Della fase di XV sec si conservano<br />

integri il campanile e la sacrestia “vecchia”,<br />

probabile cappella laterale<br />

situata oggi a nord del presbiterio.<br />

L’INDAGINE<br />

ARCHEOLOGICA<br />

Nel corso dei lavori di riqualificazione<br />

del sagrato, promossi dalla<br />

Parrocchia nel marzo 2007, è stato<br />

possibile indagare un’area di circa<br />

15 x 9 m a ridosso del perimetrale<br />

nord della chiesa settecentesca,<br />

riportando alla luce sotto 0,30 m<br />

dal moderno piano stradale, diverse<br />

murature di epoca bassomedievale<br />

e rinascimentale.<br />

DISTINZIONE IN FASI<br />

fase I (XIV – prima metà XV sec):<br />

A questa fase appartiene un complesso<br />

architettonico, costituito da un largo<br />

vano quadrato (7 x 7 m), orientato<br />

nord est/sud ovest, conservato in<br />

alzato per circa 0,8 m.<br />

L’ambiente, internamente intonacato,<br />

era pavimentato con ciottoli ovoidali<br />

di piccole dimensioni, allettati con<br />

malta biancastra.<br />

L’accesso avveniva da un ingresso<br />

posto a sud ovest di cui si conservano<br />

parte dello stipite meridionale, costituito<br />

da un concio rettangolare in pietra<br />

simona con lavorazione a nastrino<br />

piatto, un cardine in ferro e la soglia in<br />

calcare di buckenstein.<br />

L’ambiente era suddiviso, lungo l’asse<br />

nord est/sud ovest, in due locali ampi<br />

rispettivamente 1/3 e 2/3 della larghezza<br />

totale, tramite un tramezzo<br />

parzialmente conservato, intonacato<br />

su entrambi i lati.<br />

È possibile affermare con certezza<br />

che si tratti di un locale seminterrato<br />

per la presenza di una scala, che raccordava<br />

il piano stradale con un cortile<br />

prospiciente l’ingresso.<br />

A questo primo corpo di fabbrica si<br />

appoggia nell’angolo sud ovest, un<br />

ambiente rettangolare di ridotte<br />

dimensioni (2,20 x 1,5 m), che presenta<br />

le stesse caratteristiche tecniche<br />

nelle murature e nella pavimentazione,<br />

di quello maggiore.<br />

Si identificano altre murature che procedono<br />

sia sotto la chiesa attuale, sia<br />

sotto il limite di scavo e che testimoniano<br />

diversi ampliamenti occorsi al com-


plesso architettonico. L’ubicazione<br />

cronologica di questa fase si basa,<br />

oltre che sui dati stratigrafici, sull’analisi<br />

della tecnica muraria, troppo irregolare<br />

per essere romanica e dall’utilizzo<br />

nello stipite della pietra simona,<br />

che trova diffusione in <strong>Valle</strong><br />

<strong>Camonica</strong>, solo dal tardo Trecento.<br />

FASE II (SECONDA<br />

METÀ XV SEC):<br />

La costruzione della chiesa della<br />

seconda metà del Quattrocento comporta<br />

la demolizione del complesso<br />

bassomedievale e determina un<br />

nuovo assetto urbanistico, che vede il<br />

mutarsi dell’andamento degli edifici<br />

orientati, da questo momento in avanti,<br />

sull’asse est/ovest.<br />

Si individua il piano di cantiere della<br />

fabbrica quattrocentesca su cui si<br />

impostano due fosse per la decantazione<br />

della calce, collocate a ridosso<br />

delle preesistenti strutture.<br />

Viene costruito un nuovo edificio i cui<br />

perimetrali nord e ovest si appoggiano<br />

alle strutture di fase bassomedievale<br />

determinando un ambiente a pianta<br />

trapezoidale.<br />

Si tratta di un corpo di fabbrica su due<br />

livelli: quello inferiore era interrato e<br />

presentava una copertura a volta a<br />

botte parzialmente conservata, del<br />

piano superiore si mantiene l’impronta<br />

dell’alzato con una larghezza di circa<br />

0, 60 m.<br />

Non si sono individuati né tramezzi<br />

interni né l’accesso al piano sotterraneo,<br />

che doveva essere probabilmente<br />

a nord est, al di sotto del limite di scavo.<br />

FASE III (FINE XVII -<br />

INIZI XVIII SEC):<br />

Costruzione dell’attuale edificio di<br />

culto con relativa demolizione e obliterazione<br />

delle preesistenti strutture. A<br />

questa fase appartengono due grosse<br />

buche di forma ellittica, relative<br />

all’abbandono dell’area cimiteriale<br />

contenenti ossa non in connessione,<br />

situate a ridosso del perimetrale della<br />

chiesa.<br />

FASE IV (XX SEC):<br />

A questa fase sono da riferire tutte<br />

quelle opere che hanno conferito al<br />

sagrato all’assetto attuale.<br />

RISULTATI<br />

L’indagine archeologica nel sagrato<br />

della chiesa della Conversione di S.<br />

Paolo ha permesso di comprendere<br />

alcune trasformazioni dell’assetto<br />

urbanistico dell’abitato.<br />

Innanzi tutto si è potuto stabilire che la<br />

chiesa medievale era situata internamente<br />

all’attuale navata e che probabilmente<br />

era orientata nord est/sud<br />

ovest come il complesso architettonico<br />

di XIV sec.<br />

È solo nella seconda metà del<br />

Quattrocento, infatti, che l’orientamento<br />

degli edifici si dispone lungo<br />

l’asse est/ovest, come testimoniato in<br />

alzato dal campanile e dalla sacrestia<br />

“vecchia”.<br />

Non è possibile affermare con certezza,<br />

allo stato attuale della ricerca,<br />

se la muratura di fondazione, in<br />

grossi elementi rettangolari di arenaria<br />

grigiastra disposti di piatto, identificata<br />

al di sotto della chiesa settecentesca,<br />

appartenga all’edificio di<br />

culto di XV sec.<br />

Analizzando però le disposizioni<br />

apostoliche del 1580, in cui si ordina<br />

la costruzione di un battistero privo di<br />

strutture aggettanti, che avrebbero<br />

ostruito il suolo pubblico 5 , si deve presupporre<br />

che, la “via pubblica” citata<br />

dal Borromeo, sia il limitato spazio tra<br />

l’edificio di XV sec e le fondazioni<br />

della chiesa stessa.<br />

L’ipotesi inoltre, che l’edificio in questione<br />

sia la casa comunale, come<br />

affermato da don Alessandro Sina 6 , è<br />

accettabile anche se non confermata<br />

da dati materiali.<br />

Per quanto concerne l’estensione<br />

della chiesa quattrocentesca questa<br />

doveva essere in lunghezza più corta<br />

di circa una campata rispetto alla<br />

chiesa attuale.<br />

Le problematiche qui esposte troverebbero<br />

conferma soltanto attraverso<br />

un’indagine archeologica condotta<br />

all’interno dell’edificio di culto.<br />

Le indagini archeologiche, interamente<br />

finanziate dalla parrocchia di Esine<br />

(BS), sono state condotte dalla scrivente<br />

sotto la direzione della<br />

Soprintendenza ai Beni Archeologici<br />

della Lombardia nella persona del<br />

dott. Andrea Breda.<br />

1 979 per SINA A.,1946, Esine - Storia d’una terra camuna,in ‘Memorie Storiche della Diocesi di Brescia’, XIII, p.164;<br />

994 per ODORICI F.,1853, Storie Bresciane dai primi tempi fino all’età nostra, vol. I – XIII; vol V pag. 15<br />

2 SINA A.,1946, Esine - Storia d’una terra camuna,in ‘Memorie Storiche della Diocesi di Brescia’, XIII p.164<br />

3 ARCHETTI A., TURCHINI G., 2004, Visita apostolica e decreti di Carlo Borromeo alla Diocesi di Brescia, IV. La <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>. in<br />

‘Brixia Sacra’, 3a serie anno IX. p.347<br />

4 SINA A.,1946, Esine - Storia d’una terra camuna,in ‘Memorie Storiche della Diocesi di Brescia’, XIII, p.168<br />

5 ARCHETTI A., TURCHINI G., 2004, Visita apostolica e decreti di Carlo Borromeo alla Diocesi di Brescia, IV. La <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>. in<br />

‘Brixia Sacra’, 3a serie anno IX, p.347<br />

6 SINA A.,1946, Esine - Storia d’una terra camuna,in ‘Memorie Storiche della Diocesi di Brescia’, XIII, p.165<br />

59


ECOMUSEO


62<br />

RIVISTA QUADRIMESTRALE DEL SISTEMA CULTURALE DI VALLE CAMONICA SUPPLEMENTO A N. 8-9 2008<br />

inter lli<br />

Recensioni.<br />

ROBERTO ANDREA LORENZI.<br />

LA CUCINA DI PADRE GREGORIO.<br />

MICROSTORIE DI VALCAMONICA<br />

Libereedizioni, Brescia 2008<br />

Vanna Mello.<br />

Otto saggi, frutto di un accurato e dotto<br />

lavoro di indagine storica ed antropologica<br />

che va avanti ormai da trent’anni (iniziata<br />

con il volume MEDIOEVO CAMU-<br />

NO, uscito nella sua prima edizione nel<br />

1979) tratteggiano alcuni aspetti fondamentali<br />

della microstoria della vallata,<br />

inseriti nel più ampio contesto che, dalla<br />

Società feudale, porta al Comune e agli<br />

Stati regionali, coprendo un arco di<br />

tempo di un migliaio di anni circa, grossomodo<br />

dal IX al XVIII secolo.<br />

Si tratta di saggi in buona misura noti agli<br />

appassionati di storia locale perché, tranne<br />

l’ultimo – che dà il titolo al volume –<br />

già pubblicati in varie riviste (Periferia<br />

1981; Archeologia viva 1993;<br />

Franciacorta magazine 1994; Quaderni<br />

della biblioteca di Pisogne 2004) o<br />

comunque resi pubblici nei corsi organizzati<br />

dall’Università Popolare di<br />

Valcamonica Sebino tra il 1976 e il<br />

1977, ma risistemati e utilmente raccolti in<br />

questo volume, quasi a voler sottolineare<br />

la continuità di una linea di ricerca chiaramente<br />

individuabile, al di là di qualche<br />

disomogeneità di cui pure l’autore ci fa<br />

avvertiti nella breve nota iniziale rivolta<br />

“Al lettore”; una ricerca volta ad approfondire<br />

l’analisi delle condizioni di vita<br />

materiale e dei rapporti di produzione,<br />

ma anche attenta alle culture, le credenze,<br />

la mentalità, la complessità dell’immaginario.<br />

Valcamonica, terra di periferia – periferia<br />

dell’impero romano, della città comunale,<br />

degli stati regionali - e di lunghe permanenze,<br />

economiche e culturali, e per<br />

ciò stesso terreno privilegiato di ricerca<br />

per lo studioso che voglia approfondire i<br />

fenomeni della lunga durata, analizzare<br />

come gli eventi della grande storia incidono<br />

sulla vita quotidiana delle “genti<br />

minute”, capire come si producono quelle<br />

trasformazioni che nel mondo rurale –<br />

governato, fino al sec. XVI e oltre, da<br />

norme consuetudinarie non scritte - sono<br />

più lente ed incerte che in un contesto cittadino.<br />

Pensiamo a quanto lenta e complessa<br />

sia stata la trasformazione dei rapporti di<br />

proprietà nelle campagne camune, che<br />

hanno visto la persistenza per secoli di<br />

forme di proprietà e uso collettivo che,<br />

dal tardo impero romano, attraverso il<br />

Medioevo barbarico, arrivano a quell’organizzazione<br />

“vicinale” che porterà al<br />

comune rurale, sopravvivendo poi attraverso<br />

i secoli anche oltre la formazione<br />

dello stato nazionale: ancora oggi, ricorda<br />

Lorenzi, in vari comuni della valle vi<br />

sono beni di proprietà di vicinie, di associazioni<br />

di “antichi originari”.<br />

Un altro aspetto su cui l’autore si sofferma<br />

sin dal primo saggio dedicato alle<br />

“Pagine di pietra” di Campanine è il conflitto<br />

tra una cultura arcaica, legata ad<br />

antichi culti “pagani” di origine celtica, e<br />

il messaggio cristiano portato da una<br />

evangelizzazione tardiva, riconducibile<br />

al sec. IX. Fu una evangelizzazione probabilmente<br />

violenta, ma incapace di cancellare<br />

“quel profondo substrato culturale<br />

caratterizzato dal naturalismo” che permea<br />

il mondo contadino; un substrato<br />

tanto profondo che riemerge, in una valle<br />

solo superficialmente cattolicizzata ed in<br />

un contesto di forte conflittualità sociale,<br />

quando si scatena, nei secoli XVI e XVII,<br />

sotto la mascheratura ideologica della<br />

caccia alle streghe, lo scontro tra città e<br />

campagna, tra signori laici ed ecclesiastici<br />

e il mondo dei contadini montanari:<br />

“gente gozzuta e rozza”, “che ha ricevuto<br />

la stregoneria dall’Albania”, “feroci,<br />

duri, et aspri per lo più”, perché “quest’arie<br />

sono dominate da tramontana da<br />

vento secco, freddo, et il più impetuoso...<br />

onde non è che naturale agl’habitanti<br />

esser crudi, aspri, e feroci” (così sono visti<br />

i Camuni in una “Descrizione di<br />

Valcamonica” del 1662, pubblicata a<br />

cura di Oliviero Franzoni e citata da<br />

Lorenzi).<br />

Nelle lezioni-conferenze tenute all’Università<br />

Popolare vengono ricostruite le<br />

linee essenziali della microstoria della<br />

<strong>Valle</strong> sotto il dominio di San Marco, le<br />

trasformazioni agrarie e l’introduzione di<br />

nuove colture, lo sviluppo e crisi del tessi-<br />

le e della ferrarezza, l’andamento demografico,<br />

il peso del fisco e il disordine<br />

finanziario, la rivoltosità diffusa, la criminalità<br />

ecc.(e qui scopriamo una corruzione<br />

e una cattiva amministrazione che sfatano<br />

il luogo comune dell’efficienza e<br />

del buon governo della Serenisssima).<br />

L’indagine sulle abitazioni signorili e il<br />

loro patrimonio pittorico ci restituisce<br />

l’immagine di una classe egemone, ora<br />

di antica origine nobiliare (come i<br />

Federici di Erbanno) ora dedita alla mercatura<br />

(come la ricca famiglia che ci ha<br />

lasciato gli affreschi attualmente esposti<br />

nel municipio di Bienno), aperta ad una<br />

cultura umanistica, di ispirazione erasmiana,<br />

così lontana dall’ideologia intollerante<br />

che ha alimentato quella campagna<br />

antisemita scatenata dai francescani, in<br />

concomitanza con la promozione dei<br />

Monti di Pietà, con la montatura del caso<br />

di Simonino da Trento e che ha lasciato<br />

il suo segno negli affreschi di varie chiese<br />

e cappelle.<br />

L’interesse dell’autore si sposta poi sulle<br />

tracce del tessuto francescano, lungo la<br />

“Strata de Franzacurta”, analizza la diffusione<br />

di modelli devozionali ed espiativi,<br />

legati, questi ultimi, ad interdizioni come<br />

quella del lavoro festivo (ecco comparire<br />

l’iconografia della Madonna dei mestieri:<br />

in Santa Maria in Silvis a Pisogne e<br />

nella Pieve di San Siro a Cemmo).<br />

“La cucina di padre Gregorio” è il saggio<br />

che chiude il volume, un’analisi degli<br />

usi alimentari dei Camuni, basata sulle<br />

informazioni, alquanto ottimistiche, fornite<br />

da padre Gregorio Brunelli da Canè, nel<br />

suo “Curjosi trattenimenti continenti raguagli<br />

sacri, et profani de’ Popoli Camuni”,<br />

edito in Venezia nel 1698; informazioni<br />

debitamente passate al vaglio di una<br />

analisi delle colture e delle disponibilità<br />

reali di cibo.<br />

Completano il volume una ricca bibliografia<br />

ed un interessante apparato iconografico,<br />

davvero utile<br />

per comprendere il discorso che si dipana<br />

nel testo.


Recensioni.<br />

GIANCARLO MACULOTTI.<br />

LETTERA DALLA SCUOLA TRADITA<br />

Franco<br />

Armando Editore, Roma 2008 - pagine 222<br />

Comensoli.<br />

Giancarlo è un amico, e questo è un problema<br />

per chi deve recensire il suo libro.<br />

Giancarlo scrive cose che sento e condivido<br />

profondamente, e questo è pure un problema.<br />

Giancarlo è un amico che scrive cose serie<br />

e del tutto condividibili, che sarebbero<br />

tanto, ma tanto utili, ai decisori, ma è fuori<br />

dai circuiti delle grandi scuole pedagogiche<br />

che a turno negli ultimi decenni hanno<br />

saccheggiato i fondi del Ministero (MIUR o<br />

MPI che sia) ed hanno prodotto un’immane<br />

catastrofe nazionale. E questo è il vero<br />

grande problema: una lettera dalla scuola,<br />

quella vera, di tutti i giorni passati in classe,<br />

che nessuno (pochi?) ascolterà, un appello<br />

che pochi (nessuno?) raccoglierà.<br />

Ma andiamo per ordine.<br />

Tradita, è una parola del gergo amoroso,<br />

coinvolge la sfera dei sentimenti e delle<br />

emozioni. L’Autore confessa dunque fin dal<br />

titolo del suo libro qual è il livello di approccio<br />

ai problemi di un sistema scolastico che<br />

annaspa da molto, troppo tempo, dietro a<br />

disegni di riforma palingenetica. Egli è<br />

prima di tutto un “amante” tradito. Un innamorato<br />

che ha passato la sua vita a sognare<br />

di trasformare il rospo in una bella principessa<br />

e che ancora continua a sperare,<br />

non ostante le fatiche e le quotidiane frustrazioni.<br />

Ama la scuola, in specie la sua scuola,<br />

che spesso cita, ama i suoi alunni, sopra<br />

tutti quelli in difficoltà, ama i suoi insegnanti<br />

anche se ne svela i limiti e le mancanze (“gli<br />

insegnanti leggono pochissimo”), ama le<br />

sue radici familiari e culturali, ricche di valori<br />

e principi educativi semplici rigidi essenziali<br />

e ama don Milani, stella polare del suo<br />

impegno di uomo di scuola e di cultura.<br />

Ma allo stesso modo non ama i genitori,<br />

che non amano la scuola, non ama i<br />

docenti improvvisati ed impreparati, non<br />

ama i ministri disinformati e disorientati che<br />

producono un mare di guai, non ama gli<br />

schematismi storico-culturali di certa stampa<br />

pseudoconservatrice, né i facili moralismi,<br />

né l’invadenza della religione, né gli ideologismi<br />

che hanno impedito il dialogo e la<br />

crescita culturale del sistema educativo, e<br />

via di seguito.<br />

Tra Amore e Non-Amore (non direi proprio<br />

odio) si dipana il suo libro, tra stroncature di<br />

usi e costumi contemporanei, citazioni che<br />

mettono in luce una vasta cultura pedagogica,<br />

ma non solo, e slanci di speranza che<br />

qualcosa possa ancora accadere, “prima<br />

che il buio copra tutto”.<br />

Questa sorta di pessimismo che genera<br />

speranza è il filo conduttore del libro e,<br />

senza scomodare Leopardi, tradisce la<br />

volontà dell’autore di scrivere affinché qualcuno<br />

raccolga il suo grido:<br />

“Bisogna ammettere a malincuore che tutto<br />

è fallito. Non si tratta di andare alla ricerca<br />

del colpevole. Mi interessa poco. I responsabili<br />

ci sono e meriterebbero l’ergastolo.<br />

Mi preoccupa di più capire i motivi della<br />

débacle e vedere se c’è qualche spazio<br />

per una ripresa. L’orizzonte non è chiaro. La<br />

nebbia è fitta, ma, se si vuole si può trovare<br />

la capacità di ricominciare. Del resto il motivo<br />

per cui scrivo queste pagine sta solo in<br />

questo: intravedere qualche speranza<br />

prima di gettare definitivamente la spugna,<br />

prima che l’animo si rinsecchisca irrimediabilmente,<br />

prima che il buio copra tutto e tutto<br />

confonda”.<br />

Ora vorrei porre attenzione a qualche<br />

aspetto particolare dei trentasette brani o<br />

scritti o capitoli che dir si voglia che compongono<br />

il libro. Solo alcuni, perché caro il<br />

mio lettore il libro te lo devi leggere da te.<br />

Dirò di quelli che mi hanno colpito.<br />

Della famiglia, ad esempio. E dell’idea<br />

“del tutto errata di libertà e democrazia”<br />

che ha scardinato il rapporto di autorevolezza<br />

(che fa crescere) della scuola e dei<br />

genitori stessi con i loro alunni-figli. Il distacco<br />

intervenuto tra scuola è famiglia è additato<br />

come una delle cause profonde dello<br />

sfacelo educativo. Fino ad auspicare che<br />

“la scuola cominci a prendere decisioni<br />

senza consultare i genitori, altrimenti di problemi<br />

non ne potrà risolvere nemmeno uno.<br />

La mia collega statunitense aveva tracciato<br />

una linea gialla davanti alla sua scuola di<br />

Shape (supremo comando militare in<br />

Europa) frequentata nel pomeriggio anche<br />

da alunni italiani: era la linea invalicabile<br />

che le mamme italiane non dovevano sorpassare”.<br />

E come non essere d’accordo sul modo in<br />

cui l’Autore tratta il tema del reclutamento e<br />

della preparazione professionale dei<br />

docenti? Sull’invadenza sindacale in questo<br />

campo che ha prodotto danni quasi irreparabili<br />

portando all’insegnamento docenti<br />

che non avevano né la voglia né la preparazione<br />

professionale per fare questo delicato<br />

mestiere? “È palese - dice l’Autore - che<br />

senza insegnanti nella scuola non passa<br />

nessuna riforma, ma è altrettanto vero che i<br />

docenti, di destra o di sinistra poco importa,<br />

sono i primi avversari di ogni cambiamento”<br />

E più avanti: “Ci vorrebbe un Ministro che<br />

sappia governare anche senza il consenso<br />

di chi non vuol muover foglia. C’è in giro un<br />

ministro del genere? In quale schieramento<br />

si colloca?”<br />

E credo che L’Autore abbia piena ragione<br />

anche là dove parla di scuola e religione<br />

ed invoca una scuola laica e rispettosa<br />

delle diversità culturali. Troppo spesso il crocifisso<br />

viene usato come un cancello che<br />

divide e separa invece che come simbolo<br />

universale di fraternità. Inchiodato alle pareti<br />

delle nostre aule spesso soltanto come<br />

monito di disuguaglianza, Egli stesso, se<br />

potesse, si staccherebbe e se ne andrebbe<br />

di soppiatto in qualche tugurio di periferia,<br />

sovraffollato di povera gente in cerca di<br />

una vita migliore.<br />

E tanti altri sono gli argomenti che appassioneranno<br />

il lettore. Dal discorso disincantato<br />

sull’autonomia scolastica, a quello sulle<br />

derelitte biblioteche scolastiche, all’insegnamento<br />

della matematica, e via dicendo.<br />

Un libro da leggere e da meditare, molto<br />

da meditare. Da parte di tutti, siano essi<br />

operatori o utenti della scuola.<br />

Lascio per ultimo un commento un po’, per<br />

così dire, delicato.<br />

Maculotti, uomo di cultura che proviene<br />

dalla sinistra sembra scrivere come uno<br />

di destra.<br />

A qualcuno questa cosa fa storcere il naso.<br />

A me no. Lo dico subito.<br />

Prima di tutto perché le riflessioni dell’Autore<br />

sono in realtà sempre orientate all’alunno<br />

ed al fine di promozione umana (salvifico?)<br />

che la scuola ha o meglio dovrebbe avere.<br />

Egli ha personalmente sperimentato cosa<br />

significhi il passaggio attraverso la scuola,<br />

lo studio e la cultura, per chi proviene come<br />

lui, come tanti di noi, dalle classi contadine<br />

ed operaie. È di destra pensare che la<br />

scuola deve essere luogo di crescita personale<br />

e anche sociale per i giovani motivati<br />

e impegnati, senza abbandonare per nulla<br />

i più in difficoltà? A me pare che questo<br />

modo di concepire la scuola sia in realtà<br />

antico e contemporaneo nello stesso<br />

tempo ed appartenga alla concezione di<br />

grandi ed illustri uomini che hanno segnato<br />

le stagioni forti della nostra pedagogia, da<br />

don Bosco a don Milani. Perciò, caro<br />

Giancarlo, non farti intimidire e scrivi ancora<br />

di scuola.<br />

Si è aperta ora una nuova incerta stagione<br />

e c’è ancora bisogno della tua penna e del<br />

tuo accorato pensiero.<br />

63

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