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I dipinti di Lorenzo Milani Comparetti - Provincia di Firenze

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I <strong><strong>di</strong>pinti</strong> <strong>di</strong> <strong>Lorenzo</strong> <strong>Milani</strong> <strong>Comparetti</strong><br />

<strong>di</strong> Cesare Ba<strong>di</strong>ni<br />

Nessuna firma, un solo titolo, nessuna data. Tele<br />

malamente rifilate e strappate dal telaio. Supporti<br />

<strong>di</strong> recupero, talora <strong><strong>di</strong>pinti</strong> sul recto e sul<br />

verso. Incorniciature anni Sessanta. Opere restaurate da<br />

mani <strong>di</strong>verse e molte da restaurare. A lungo nascoste e<br />

considerate scomparse. Alcune <strong>di</strong>sperse. Dovevano ad<strong>di</strong>rittura<br />

essere <strong>di</strong>strutte, ma i genitori <strong>di</strong> <strong>Lorenzo</strong> <strong>Milani</strong><br />

<strong>Comparetti</strong> le tennero per decenni in un polveroso e umido<br />

ripostiglio. Fino ad oggi si conoscevano solamente Via<br />

delle Campora (Pit. 4) e Tre barche sulla riva (Pit. 12).<br />

Sono quadri ripu<strong>di</strong>ati che ora cercano <strong>di</strong> dare un’identità<br />

artistica al loro autore, il cui percorso oscilla tra acerbo<br />

appren<strong>di</strong>stato, neoimpressionismo e neoespressionismo,<br />

con inspiegabili strappi, spesso traumatici e sempre intellettualistici,<br />

evidenziabili anche nel controverso passaggio<br />

tra i precisi <strong>di</strong>segni <strong>di</strong> anatomia e le improbabili pitture<br />

<strong>di</strong> volti vuoti, <strong>di</strong> confuse mani e <strong>di</strong> pie<strong>di</strong> mutili.<br />

Queste sono le necessarie premesse per l’intera opera pittorica<br />

<strong>di</strong> <strong>Lorenzo</strong> <strong>Milani</strong> <strong>Comparetti</strong>, pittore tra l’estate<br />

del 1941 e l’estate del 1943, presentata in un catalogo <strong>di</strong><br />

54 schede redatte con un rigoroso metodo storico-artistico<br />

che ha preso in considerazione anche cinque <strong><strong>di</strong>pinti</strong> al<br />

momento irreperibili (Pit. 22, 35, 42, 49 e 53).<br />

Controversa risulta la formazione che <strong>Lorenzo</strong> ha avuto<br />

presso il pittore Hans-Joachim Staude, che nel 1941 lo<br />

avvia principalmente allo stu<strong>di</strong>o del paesaggio neoimpressionista,<br />

una formazione interrotta improvvisamente<br />

dopo soli tre mesi, così come cessa la frequenza al corso<br />

tenuto all’Accademia <strong>di</strong> Brera dal pittore Achille Funi,<br />

maestro novecentista <strong>di</strong> monumentali affreschi. Durante<br />

gli stu<strong>di</strong> a Brera <strong>Lorenzo</strong> scopre, tramite i pittori Ennio<br />

Morlotti e Bruno Cassinari, la potenza espressiva del colore<br />

<strong>di</strong> Vincent van Gogh e la trage<strong>di</strong>a umana <strong>di</strong> Guernica<br />

<strong>di</strong> Picasso e aderisce per breve tempo al neoespressio-<br />

nismo la cui drammaticità culmina nell’ironico Autoritratto<br />

(Pit. 28) della primavera del 1942 a cui fa da contrappasso,<br />

durante l’estate, l’originale tonalismo neoimpressionista<br />

<strong>di</strong> Veduta da Villa Gigliola (Pit. 30). Durante<br />

l’autunno <strong>di</strong> quell’anno il neoespressionismo risorge in<br />

chiave materica nella dense spatolature <strong>di</strong> Interno chiesa<br />

(Pit. 41), con successivi oscillazioni, strappi e riflussi che<br />

si concludono con Ragazzo accosciato (Pit. 54) dell’estate<br />

1943, ultima opera-testamento che sembra rappresentare<br />

un ragazzo con la testa rivolta all’esperienza <strong>di</strong> una<br />

effimera e <strong>di</strong>lettantesca “bambinata” pittorica che sta per<br />

essere abbandonata e riassorbita dalle tenebre del passato.<br />

La pittura per <strong>Lorenzo</strong> è stata solo una fase transitoria,<br />

<strong>di</strong> cui forse lui stesso si ricorderà qualche decennio dopo<br />

quando scrive: “Essere <strong>di</strong>lettanti in tutto e specialisti<br />

solo nell’arte del parlare” (Lettera a una professoressa<br />

1967, p. 95).<br />

Estate 1941: a <strong>Firenze</strong> nello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Staude<br />

Il 19 maggio 1941 <strong>Lorenzo</strong> <strong>Milani</strong> <strong>Comparetti</strong> consegue<br />

il <strong>di</strong>ploma, in anticipo per cause belliche e con le sole<br />

valutazioni dello scrutinio, presso il Liceo Classico Giovanni<br />

Berchet <strong>di</strong> Milano. Il 27 maggio compirà <strong>di</strong>ciotto<br />

anni, ma non vuole iscriversi all’università. Decide <strong>di</strong> fare<br />

il pittore e il padre Albano, benché convinto che si tratti<br />

<strong>di</strong> una bambinata, asseconda i suoi desideri. Tramite l’amico<br />

professor Giorgio Pasquali lo iscrive a <strong>Firenze</strong> alla<br />

scuola <strong>di</strong> pittura <strong>di</strong> Hans-Joachim Staude (1904-1973),<br />

un pittore figurativo formatosi a contatto con l’espressionismo<br />

tedesco del gruppo “Die Brücke” e con il tardo<br />

impressionismo francese.<br />

Inizia così l’appren<strong>di</strong>stato artistico e Staude ricorda che<br />

“Con <strong>Lorenzo</strong> parlavo del senso sacrale della vita. Perché<br />

11


Cesare Ba<strong>di</strong>ni<br />

il mio scopo <strong>di</strong> pittore è <strong>di</strong> far <strong>di</strong>ventare sacra la realtà<br />

che mi circonda, è <strong>di</strong> esprimere ‘il santo’ che è nel profondo<br />

<strong>di</strong> tutti noi”. […] Direi che il comunicare le mie<br />

esperienze a degli scolari è quasi importante, per me,<br />

quanto la pittura stessa. L’essere continuamente circondato<br />

da gente che vuole imparare, mi toglie quel senso <strong>di</strong><br />

solitu<strong>di</strong>ne che spesso un artista può sentire” (Fallaci<br />

2007, p. 62-63)<br />

Per <strong>Lorenzo</strong> non è più uno dei passatempi estivi riferiti<br />

dalla cugina Laura Lalla <strong>Milani</strong> <strong>Comparetti</strong> (Borghini<br />

2004, p. 60) e durante l’estate 1941 si impegnerà moltissimo<br />

seguendo il maestro Staude prima all’interno dello<br />

stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> via delle Campora a <strong>Firenze</strong>, dove comincia a<br />

<strong>di</strong>segnare figure, poi all’aperto per le strade a<strong>di</strong>acenti e<br />

infine ad Arolo <strong>di</strong> Leggiuno sul Lago Maggiore.<br />

Staude è categorico sul talento <strong>di</strong> <strong>Lorenzo</strong>: “Non ho mai<br />

creduto, neanche per un momento, che la pittura fosse la<br />

strada <strong>di</strong> <strong>Lorenzo</strong> <strong>Milani</strong>: mai.” Alla domanda “<strong>Lorenzo</strong><br />

<strong>Milani</strong> non le <strong>di</strong>sse che gli piaceva <strong>di</strong>pingere da ragazzino?”<br />

risponde: “


20 luglio 1941: Renate Moeckenberg con la glia Angela Staude ad Arolo<br />

<strong>di</strong> Leggiuno (VA). (Pisa, Album Famiglia <strong>Milani</strong> Polacco)<br />

<strong>di</strong> della vegetazione lacustre e montagne azzurre avvolte<br />

in una prospettiva dei per<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> leonardesca memoria.<br />

Esemplari sono Veduta da Arolo (Pit. 7), Barca ad<br />

Arolo (Pit. 10), Monte con case e campi (Pit. 11), Tre<br />

barche sulla riva (Pit. 12) e Paesaggio con case (Pit. 14),<br />

mentre in Alberi con case e tetti (Pit. 13) mostra particolare<br />

attenzione ai valori luminosi e atmosferici <strong>di</strong> un tramonto.<br />

Nello scorrere la sequenza dei paesaggi <strong>di</strong> Arolo, inatteso<br />

risulta Sandali (Pit. 9), un opera molto eccentrica ma<br />

coerente con quelle lettere scritte all’epoca a Oreste del<br />

Buono in un curioso “impasto tra il linguaggio accademico<br />

e il linguaggio scanzonato <strong>di</strong> Mosca sul Bertoldo”.<br />

Lettere firmate goliar<strong>di</strong>camente e provocatoriamente ‘Lorenzino<br />

<strong>di</strong>o e pittore’. Lettere con un “Lorenzino”, vero<br />

motto <strong>di</strong> spirito, con due faccine, una nella L e una nella<br />

prima ‘o’, e con i petali <strong>di</strong> una margherita che coronano<br />

la ‘o’ finale, che sembra quasi un witz, una storiella ebraica<br />

priva <strong>di</strong> senso. Lettere dal tono talora <strong>di</strong>sperato, quando<br />

pensa ad<strong>di</strong>rittura al suici<strong>di</strong>o e alla pazzia, senza però<br />

chiedere conforto o comprensione, anzi: ” (Fallaci 2007, pp.72-73 e nota 2). A<br />

conferma della <strong>di</strong>versità <strong>di</strong> <strong>Lorenzo</strong>, ma anche della sua<br />

complessità, Staude sostiene che <strong>Lorenzo</strong> era “Uno sportivo<br />

strano che giocava anche agli scacchi, e che amava<br />

I <strong><strong>di</strong>pinti</strong> <strong>di</strong> <strong>Lorenzo</strong> <strong>Milani</strong> <strong>Comparetti</strong><br />

24 agosto 1941: mamma Alice con <strong>Lorenzo</strong> <strong>Milani</strong> <strong>Comparetti</strong> all’Eremo <strong>di</strong><br />

Santa Caterina del Sasso (VA). (Pisa, Album Famiglia <strong>Milani</strong> Polacco)<br />

<strong>di</strong>scutere della Divina Comme<strong>di</strong>a con persone competenti.”<br />

Lo vede portato verso la letteratura, in particolare<br />

D’Annunzio, senza però propensioni “estetizzanti”. Gli<br />

riconosce però che “approfon<strong>di</strong>va sempre tutto” e che<br />

“non parlava per esprimere un pensiero per eleganza”:<br />

“Parlava per capire meglio le cose. Voleva capire sempre<br />

più a fondo, per chiarirsi bene le idee.” Dopo la conversione,<br />

a Staude che gli chiede il perchè del cambiamento,<br />

<strong>Lorenzo</strong> risponde: ‘È tutta colpa tua. Perché tu mi hai<br />

parlato <strong>di</strong> cercare sempre l’essenziale, <strong>di</strong> eliminare i dettagli<br />

e <strong>di</strong> semplificare, <strong>di</strong> vedere le cose come un’unità dove<br />

ogni parte <strong>di</strong>pende dall’altra. A me non bastava fare tutto<br />

questo su un pezzo <strong>di</strong> carta. Non mi bastava cercare rapporti<br />

tra i colori. Ho voluto cercarli tra la mia vita e le<br />

persone del mondo. E ho preso un’altra strada’. (Fallaci<br />

2007, pp.64-65)<br />

1941-42: all’Accademia <strong>di</strong> Brera <strong>di</strong> Milano con Tiziana<br />

Fantini<br />

Il 25 agosto 1941 <strong>Lorenzo</strong> sottoscrive la domanda <strong>di</strong><br />

“iscrizione agli esami integrativi per l’ammissione” al primo<br />

corso <strong>di</strong> pittura all’Accademia <strong>di</strong> Brera. Il 4 ottobre<br />

1941, “avendo superato gli esami integrativi per l’ammissione”,<br />

versa la rata <strong>di</strong> frequenza al primo anno <strong>di</strong> pittura<br />

all’Accademia <strong>di</strong> Belle Arti <strong>di</strong> Brera, <strong>di</strong>chiarando <strong>di</strong> abita-<br />

13


Cesare Ba<strong>di</strong>ni<br />

2 settembre 1941: fotograa autenticata<br />

<strong>di</strong> <strong>Lorenzo</strong> <strong>Milani</strong>. (Milano, Archivio<br />

Storico dell’Accademia <strong>di</strong> Brera,<br />

Faldone TEA H III 4, matricola 1886)<br />

14<br />

re a Milano in via Fiamma<br />

26, in un palazzo signorile<br />

dotato telefono<br />

(n. 572126) all’epoca<br />

<strong>di</strong>sponibile per ben pochi<br />

altri iscritti (Milano,<br />

A r c h i v i o St o r i c o<br />

dell’Accademia <strong>di</strong> Brera,<br />

Faldone TEA H III 4,<br />

matricola 1886). Inizia<br />

così a seguire i corsi e il<br />

25 aprile 1942 verserà la<br />

seconda rata (Milano,<br />

A r c h i v i o St o r i c o<br />

dell’Accademia <strong>di</strong> Brera,<br />

Registro annuale degli<br />

allievi iscritti al Liceo artistico<br />

e all’Accademia,<br />

anno scolastico 1941-<br />

42, segnatura 4.14 ad<br />

vocem). Non rinnoverà l’iscrizione per l’anno successivo.<br />

Contemporaneamente a <strong>Lorenzo</strong> si iscrive Tiziana Fantini,<br />

nata a Merano il 30 marzo 1923, (Milano, Archivio<br />

Storico dell’Accademia <strong>di</strong> Brera, Faldone TEA H III 2,<br />

matricola 1858), che sarà sua compagna <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> a Brera<br />

e sua modella nello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Piazza Fiume.<br />

A Brera, durante l’anno accademico 1941-42, la professoressa<br />

Eva Tea insegna Storia dell’Arte probabilmente<br />

con un particolare in<strong>di</strong>rizzo verso l’arte sacra, ma in <strong>Lorenzo</strong><br />

non sembra ci siano delle significative ricadute,<br />

nonostante che a Milano, in piena guerra mon<strong>di</strong>ale, fosse<br />

in atto un vivacissimo <strong>di</strong>battito estetico concretizzato dal<br />

neocubismo espressionista della Crocifissione <strong>di</strong> Renato<br />

Guttuso, secondo classificata al Premio Bergamo del<br />

1941, e dalla Pietà <strong>di</strong> Bruno Cassinari proprio del 1942.<br />

A riprova <strong>di</strong> tale <strong>di</strong>sinteresse, <strong>Lorenzo</strong> <strong>di</strong>pingerà un solo<br />

soggetto sacro, Interno chiesa (Pit. 41), un piccolo <strong>di</strong>pinto,<br />

peraltro databile a dopo l’estate del 1942 in cui coglie<br />

gli aspetti scenografici <strong>di</strong> una cerimonia liturgica.<br />

A Brera il maestro <strong>di</strong> affresco è Achille Funi (1890 –<br />

1972), insegnante dal 1939, fascista della prima ora (nel<br />

1919 aveva partecipato riunione fondativa del fascismo<br />

in Piazza San Sepolcro a Milano), partecipe dal 1923 del<br />

4 ottobre 1941: domanda autografa <strong>di</strong> <strong>Lorenzo</strong> <strong>Milani</strong> per l’iscrizione<br />

all’Accademia <strong>di</strong> Brera) (Archivio Storico dell’Accademia <strong>di</strong> Brera, Faldone<br />

TEA H III 4, matricola 1886)<br />

gruppo Novecento <strong>di</strong> Margherita Sarfatti e Lino Pesaro,<br />

e sottoscrittore nel 1933, con Massimo Campigli e Carlo<br />

Carrà, del Manifesto della pittura murale <strong>di</strong> quel Sironi<br />

che tra l’altro afferma: “Nello Stato Fascista l’arte viene ad<br />

avere una funzione educatrice”. In un filmato Luce del<br />

30/03/1942 Achille Funi viene definito “uno dei maestri<br />

rappresentativi dell’arte italiana contemporanea italiana”,<br />

che istruisce gli allievi in una “insigne tecnica nostra,<br />

quella dell’affresco”; “appassionato del classicismo e convinto<br />

che nella tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> esso rivissuta modernamente,<br />

l’arte possa trova un cammino sicuro”. Queste parole<br />

accompagnano Artisti italiani. Una lezione del pittore<br />

Achille Funi nell’Accademia <strong>di</strong> Brera (Giornale Luce<br />

C0236), film nel quale appaiono i compagni <strong>di</strong> accademia<br />

<strong>di</strong> <strong>Lorenzo</strong> e, molto probabilmente, la stessa Tiziana<br />

Fantini, mentre lavorano davanti a gran<strong>di</strong> quadri entro<br />

un’aula costellata <strong>di</strong> modelle e calchi <strong>di</strong> statue antiche. A


quanto risulta però <strong>Lorenzo</strong> non accetta <strong>di</strong> buon grado<br />

gli insegnamenti <strong>di</strong> Funi e, come riferisce Tiziana Fantini<br />

alla madre <strong>di</strong> <strong>Lorenzo</strong>, “... un giorno il pittore Funi, che<br />

era il loro maestro a Brera, passando tra i loro cavalletti<br />

aveva ritoccato un <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> <strong>Lorenzo</strong>, come faceva con<br />

altri. Al che <strong>Lorenzo</strong> si era alzato e non aveva rimesso<br />

piede a Brera” (Lancisi 2007, pp. 30-31 da una lettera <strong>di</strong><br />

Alice alla figlia Elena).<br />

A giu<strong>di</strong>care dai voti, un bel “9”, <strong>Lorenzo</strong> si interessa solo<br />

<strong>di</strong> Anatomia Artistica, mentre risulta totalmente “Assente”<br />

nelle altre. Tiziana Fantini invece è più <strong>di</strong>ligente: “8½”<br />

in Affresco; “5” in Acquerello (che <strong>di</strong>venta “6” con delibera<br />

del 10 giugno 1942); “8½” in Anatomia Artistica;<br />

“8” nella casella <strong>di</strong> Storia dell’Arte e del Costume (Milano,<br />

Archivio Storico dell’Accademia <strong>di</strong> Brera, Registro<br />

delle votazioni anno scolastico 1941-42, segnatura 4.15).<br />

In questo periodo <strong>Lorenzo</strong> <strong>di</strong>pinge ancora scolastiche nature<br />

morte quali Lekythos con libro (Pit. 16) e Vaso con<br />

drappo (Pit. 17), lavori memori dei primi insegnamenti<br />

<strong>di</strong> Staude per il rapporto tra oggetti rigi<strong>di</strong> e panni morbi<strong>di</strong>,<br />

ma già carichi <strong>di</strong> una personale scelta materica delle<br />

spatolate <strong>di</strong> olio magro. Nudo femminile mutilo (Pit. 18)<br />

e Testa su pie<strong>di</strong>stallo (Pit. 19) sono invece opere che<br />

nell’evidente frammentarietà da reperto archeologico rimandano<br />

agli insegnamenti <strong>di</strong> Funi nelle aule <strong>di</strong> Brera<br />

per far rivivere modernamente la tra<strong>di</strong>zione classica, suggestione<br />

che <strong>Lorenzo</strong> interpreta con colori primari e materiche<br />

spatolate.<br />

Mentre frequenta l’Accademia <strong>di</strong> Brera <strong>Lorenzo</strong> apre uno<br />

stu<strong>di</strong>o privato in uno scantinato <strong>di</strong> Piazza Fiume (oggi<br />

della Repubblica) e inizia una “stravagante vita da artista<br />

bohémien”. “Poteva capitare che non avesse quattrini per<br />

pagare modelle <strong>di</strong> professione, essendo i suoi genitori prudenti<br />

(evidentemente) nel rifornirgli il borsellino. Ma <strong>di</strong><br />

sicuro, non aveva bisogno <strong>di</strong> mangiare a chiodo nella latteria<br />

Pirovini. (nota 3: gestita da tre sorelle <strong>di</strong>sposte a far<br />

cre<strong>di</strong>to agli artisti); “E non <strong>di</strong>pingeva in una soffitta gelida<br />

d’inverno e bollente d’estate. Aveva uno stu<strong>di</strong>o (Fallaci 2007, pp. 73-74).<br />

Da tutti i <strong><strong>di</strong>pinti</strong>, in particolare quelli realizzati a Milano,<br />

nulla emerge del dramma<br />

della guerra e dei<br />

primi bombardamenti<br />

aerei <strong>di</strong> Milano e neppure<br />

alcuna problematica<br />

politica. Del Buono<br />

<strong>di</strong>ce: (il Macciar<strong>di</strong>)” (Fallaci ed. 2007, p. 76). Queste<br />

parole <strong>di</strong> Del Buono ben si adattano alle opere della primavera<br />

del 1942 e, oltre a definire un clima sostanzialmente<br />

goliar<strong>di</strong>co, consentono <strong>di</strong> dare una spiegazione<br />

alle macchie <strong>di</strong> colore, tra cui quella blu, con cui viene<br />

realizzato Giovane appoggiato ad un gomito (Pit. 25).<br />

Alla mancanza <strong>di</strong> modelle supplisce Tiziana Fantini, la<br />

bella ragazza dai capelli rossi per la quale <strong>Lorenzo</strong> forse ha<br />

una infatuazione platonica. Tutino ricorda che “<br />

La conobbe Adriano <strong>Milani</strong> (allora studente <strong>di</strong> me<strong>di</strong>cina)<br />

che, per un certo periodo, parve molto interessato<br />

alla pittura del fratello: scendeva sempre a trovarlo<br />

nello stu<strong>di</strong>o” (Fallaci 2007, pp.74-75). Purtroppo i citati<br />

ritratti pittorici non sono ancora stati rinvenuti, mentre<br />

tra i <strong>di</strong>segni non è improbabile riuscire a identificare Tiziana<br />

Fantini in Donna con la gonna <strong>di</strong>stesa.<br />

<strong>Lorenzo</strong> <strong>di</strong>pinge la figura umana maschile in Modello a<br />

15


Cesare Ba<strong>di</strong>ni<br />

torso nudo (Pit. 20) e Uomo nudo (Pit. 21), che sembrano<br />

molto coerenti con queste parole <strong>di</strong> Saverio Tutino:<br />

“Quando non aveva quattrini per pagare le modelle …<br />

chiedeva anche a me <strong>di</strong> posare. Io mi mettevo nudo, e<br />

lui <strong>di</strong>segnava>. Oltre a Tutino sicuramente scendono<br />

nello stu<strong>di</strong>o Oreste Del Buono e un certo Macciar<strong>di</strong><br />

(Fallaci 2007, p.69): tra loro andranno identificati Ritratto<br />

con cappello (Pit. 23) e Giovane con camicia azzurra<br />

(Pit. 24), due lavori realizzati tra la fine del 1941<br />

e gli inizi del 1942.<br />

Tutino riferisce inoltre che <strong>Lorenzo</strong> “era molto interessato<br />

alla pittura <strong>di</strong> due artisti: Bruno Cassinari e Ennio<br />

Morlotti. In Morlotti, conosciuto a Brera al corso <strong>di</strong><br />

Funi, vedeva un maestro, lo affascinava la sua tavolozza.<br />

Riguardo a Cassinari scrive: Ho incontrato un pittore<br />

che mi interessa abbastanza come in<strong>di</strong>viduo. Fa una pittura<br />

strana. Ci ve<strong>di</strong>amo qualche volta. Ne parlava come<br />

<strong>di</strong> una conoscenza occasionale, non come amicizia” (Fallaci<br />

2007, p.74 e nota 4).<br />

Il primo, Ennio Morlotti (1910 - 1992), paesaggista<br />

lombardo non ancora approdato all’informale materico,<br />

quasi sicuramente affascina <strong>Lorenzo</strong> per la matericità del<br />

colore: le vedute <strong>di</strong> Lecco del 1940 sono chiaramente<br />

espressioniste per deformazione e carica cromatica, mentre<br />

alcune nature morte coeve sono un evidente richiamo<br />

al tonalismo intimista e lirico <strong>di</strong> Giorgio Moran<strong>di</strong>, interpretato<br />

però con una più densa materia pittorica. Tra il<br />

1940 e il 1942 in Morlotti la “lezione <strong>di</strong> Funi si carica <strong>di</strong><br />

forzature espressioniste” in opere dalla “classicità onirica<br />

e straniata”, ma soprattutto, dal 1941, compaiono i primi<br />

paesaggi materici, dal “<strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nato mosaico verde” in<br />

cui la natura è “sentita come un’energia originaria che<br />

travolge il singolo in<strong>di</strong>viduo” (MILANO ANNI TREN-<br />

TA Milano 2004, pp. 248-49).<br />

Di Bruno Cassinari (1912 - 1992) <strong>Lorenzo</strong> coglie invece<br />

le eccentricità, anche nei temi sacri, nella deformazione<br />

delle figure e nella materia pittorica stesa con “ridondanza<br />

barocca” e accumulo <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nato <strong>di</strong> “sensazioni visive e<br />

vitalistiche”, in cui sono evidenti gli influssi <strong>di</strong> due precursori<br />

dell’espressionismo, l’olandese Vincent Van Gogh e il<br />

belga James Ensor. Ne Il ritratto <strong>di</strong> Rosetta, “il flusso degli<br />

attimi” e “il carattere <strong>di</strong> istantaneità e <strong>di</strong> imme<strong>di</strong>atezza” si<br />

addolcisce nelle resa tonale della gamma dei gialli, dei<br />

16<br />

bruni e dei neri, si stempera nella bi<strong>di</strong>mensionalità dell’abito<br />

e dello sfondo, si rivitalizza nel <strong>di</strong>segno degli occhi e<br />

del sorriso, e, infine, si rafforza nelle dense linee nere <strong>di</strong><br />

contorno ispirate ai Fauves francesi ( MILANO ANNI<br />

TRENTA Milano 2004, pp. 234-36). Proprio nel 1942<br />

Cassinari creò un vero scandalo nella pittura sacra, con<br />

un’allucinata Pietà, una Madonna, nuda e dall’anatomia<br />

incerta, malamente ricoperta dal mantello bluastro, che<br />

stenta a sorreggere il rigido corpo <strong>di</strong> Gesù, vero proprio<br />

cinereo vesperbild. L’opera suscitò tali polemiche da essere<br />

definita anticristiana e <strong>di</strong> “rivoltante irriverenza” (www.<br />

comitatobrunocassinari.it/biografia1.html ).<br />

<strong>Lorenzo</strong> fu fortemente attratto dalla pittura <strong>di</strong> Morlotti e<br />

Cassinari, come <strong>di</strong>mostrano le opere databili tra fine inverno<br />

e primavera del 1942. In particolare Autoritratto<br />

(Pit. 28) le cui accensioni cromatiche neoespressioniste e<br />

materiche trovano un punto <strong>di</strong> equilibrio in un percorso<br />

avviato con Giovane appoggiato ad un gomito (Pit. 25) e<br />

Ritratto <strong>di</strong> uomo su fondo rosso (Pit. 26). In Autoritratto<br />

(Pit. 28) lo sguardo <strong>di</strong> <strong>Lorenzo</strong>, che prima si era posato<br />

sulla propria Mano (Pit. 27), ora indaga se stesso con<br />

capelli scompigliati e orecchie a sventola, sdrammatizzando<br />

gli accesi colori primari con un ironico sorriso. Lo<br />

stile <strong>di</strong> Le trecce <strong>di</strong> Elena (Pit. 29), coeva al gruppo dei<br />

ritratti della primavera 1942, segna una pausa intellettualistica<br />

nella ricerca espressionista. Qui <strong>Lorenzo</strong>,<br />

nell’accesa tavolozza dei colori primari, inserisce la figura<br />

retorica della sineddoche per identificare la sorella tramite<br />

le sole trecce, eliminando quel volto che invece è riconoscibile<br />

in un <strong>di</strong>segno. Con quest’opera però dovremmo<br />

essere già all’inizio dell’estate 1942, alla vigilia del<br />

gruppo <strong>di</strong> opere più omogeneo rintracciabile nel controverso<br />

percorso <strong>di</strong> <strong>Lorenzo</strong>: la serie dei paesaggi <strong>di</strong> Villa<br />

Gigliola a Montespertoli.<br />

1942: estate a Villa Gigliola <strong>di</strong> Montespertoli (FI)<br />

Don Auro Giubbolini riferisce che, durante il Seminario,<br />

<strong>Lorenzo</strong> (Fallaci 2007, p.74).<br />

Questa caratteristica trova piena coerenza in un significativo<br />

e omogeneo gruppo <strong>di</strong> opere del suo percorso pittorico,<br />

quando nell’estate del 1942 si reca con la famiglia a


Luglio1939: Lalla e Elena <strong>Milani</strong> <strong>Comparetti</strong> e Franca Jurgens (?) <strong>di</strong>pingono<br />

a Castiglioncello. (Pisa, Album Famiglia <strong>Milani</strong> Polacco)<br />

Villa Gigliola a Montespertoli, in provincia <strong>di</strong> <strong>Firenze</strong>, in<br />

una tenuta <strong>di</strong> venticinque poderi. Gigliola è situata su un<br />

colle, lungo la strada che prende il nome della Pieve <strong>di</strong><br />

San Pietro in Mercato. Franco Bini, allora ragazzo, ricorda<br />

che “gli capitava <strong>di</strong> veder il <strong>Lorenzo</strong> (come<br />

veniva chiamato dalla gente <strong>di</strong> Montespertoli) davanti al<br />

cavalletto a <strong>di</strong>pingere” (Lancisi 2007, p. 24).<br />

Dal rialzo <strong>di</strong> Villa Gigliola, da dove lo sguardo può spaziare<br />

sui dolci declivi del paesaggio collinare costellato <strong>di</strong><br />

rare case, folta vegetazione intorno a campi aperti, filari<br />

<strong>di</strong> viti e ulivi, <strong>Lorenzo</strong> realizza Veduta da Villa Gigliola<br />

(Pit. 30) e Vista <strong>di</strong> Montespertoli (Pit. 31). Lungo le strade<br />

allora sterrate ne osserva il rapporto con la vegetazione<br />

talora non autoctona, come in Strada campestre (Pit. 32)<br />

e Strada sterrata con abete (Pit. 33). In Strada nei <strong>di</strong>ntorni<br />

<strong>di</strong> Villa Gigliola (Pit. 36) il <strong>di</strong>alogo avviene con un<br />

caseggiato non ancora identificato, mentre in Alberi (Pit.<br />

34) <strong>Lorenzo</strong> scende a valle in uno dei tanti campi della<br />

tenuta. La stessa villa sembra essere rappresentata da valle<br />

nel <strong>di</strong>sperso, ma documentato fotograficamente, Strada<br />

nei <strong>di</strong>ntorni <strong>di</strong> Villa Gigliola (Pit. 36). La Casa del Fattore<br />

a Gigliola (Pit. 37) verrà <strong>di</strong>pinta in ben due versioni,<br />

una proprio nell’estate 1942 l’altra nell’estate del 1943,<br />

ripresa sempre dal giar<strong>di</strong>no antistante la casa padronale<br />

da dove in calde e assolate giornate <strong>Lorenzo</strong> realizza Due<br />

vasi <strong>di</strong> terracotta (Pit. 38) e Gerani (Pit. 39).<br />

Sono tutte opere caratterizzate da una costante armonia<br />

I <strong><strong>di</strong>pinti</strong> <strong>di</strong> <strong>Lorenzo</strong> <strong>Milani</strong> <strong>Comparetti</strong><br />

15 luglio 1942: accanto alla sorella Elena, <strong>Lorenzo</strong> <strong>di</strong>pinge nel giar<strong>di</strong>no <strong>di</strong><br />

Villa Gigliola. (Pisa, Album Famiglia <strong>Milani</strong> Polacco)<br />

<strong>di</strong> rosa, ver<strong>di</strong>, azzurri e beige accordati tonalmente sull’intensa<br />

luce estiva sotto un cielo terso, che qui sembrano<br />

rispecchiare una temporanea serenità dopo i controversi<br />

sperimentalismi neoespressionistici delle opere milanesi.<br />

Una quiete “pittorica” destinata a scomparire alla fine<br />

dell’estate.<br />

1942 - 1943: il progressivo abbandono della pittura<br />

Durante l’estate del 1942 <strong>Lorenzo</strong> scrive a Del Buono:<br />

“. Firmò la lettera nel solito modo stravagante: ‘Lorenzino<br />

<strong>di</strong>o e pittore’ con la margherita sulla ‘o’ finale <strong>di</strong><br />

Lorenzino. Parlò con entusiasmo della scoperta del messale<br />

anche in famiglia; ma, sul momento, nessuno dette<br />

peso alla faccenda.” (Fallaci 2007, pp.82-83 e nota 1)<br />

Tornato a Milano è probabile che abbia visto le vetrate<br />

istoriate del Duomo, almeno quelle che non erano già<br />

state coperte o rimosse per la guerra, e come lui stesso<br />

riferisce a Tutino, “Cominciai ad andare in Duomo perchè,<br />

come pittore, mi interessava <strong>di</strong>pingere i paramenti<br />

dei porporati in certi riti solenni. Pensai che, se esistevano<br />

quei colori, doveva esserci una ragione. E la cercai.”...<br />

“, spiega don Auro Giubbolini” (Fallaci 2007, p.<br />

74 e 83).<br />

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