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Radici nella memoria<br />
Ti sforzi, cerchi il particolare che possa farti ricordare,<br />
l’aggancio giusto che dai meandri della<br />
memoria tiri fuori, finalmente, la risposta. Puoi<br />
passare l’intero pomeriggio a pensarci senza venirne<br />
a capo, il tuo interlocutore ormai se n’è andato<br />
ma tu niente, quel nome, quel libro, quel film, quel<br />
particolare, proprio non lo ricordi. E’ la vecchiaia…<br />
la “giustificazione” che spesso ci diamo per spiegare<br />
questi improvvisi vuoti di memoria. Poi accade<br />
qualcosa, magari nello stesso giorno passa alla<br />
radio una vecchia canzone, ripercorri una strada<br />
che da tempo non percorrevi, incontri un amico<br />
d’infanzia, mangi una caramella o un biscotto che<br />
pensavi non producessero più. E all’improvviso vieni<br />
scaraventata dentro la macchina del tempo, un<br />
aggeggio infernale che ti riporta indietro, non ti fa<br />
ricordare la cena di ieri sera o il titolo del libro, ma<br />
rivivere piccoli pezzi di vita coperti ormai da uno<br />
spesso strato di polvere.<br />
Episodi che non ricordavi di aver vissuto ma quando<br />
li vedi “scorrere” sullo schermo della memoria<br />
non puoi non venir assalita da un’enorme malinconia.<br />
Perché quegli episodi sono veri, li hai vissuti,<br />
ogni singolo minuto e ora. Sono spesso insignificanti,<br />
sono molte volte solo frammenti ma<br />
che fanno male perché ti costringono a pensare al<br />
tempo che passa e a tutto quello che si porta via.<br />
Non parlo delle persone, delle idee e degli ideali,<br />
degli amici, dei luoghi. Parlo di vita. Di tempo passato<br />
o perduto, come lo definiva Marcel Proust,<br />
che sul ricordo di una madeline inzuppata nel tè<br />
e sui ricordi che quel sapore faceva riaffiorare, ha<br />
scritto probabilmente uno dei più belli romanzi<br />
del Novecento.<br />
In questi giorni la mia madeline, sembrerà strano<br />
e molto poco poetico, è stata la polemica sull’opportunità<br />
di cantare “Bella Ciao” al festival di<br />
Sanremo, omaggio ai 150 anni dell’Unità, anche<br />
musicale, d’Italia. Nonostante abbia ascoltato questa<br />
canzone molte volte nel corso dei miei anni di<br />
“militanza” politica riascoltarla oggi, anche per un<br />
attimo o come sottofondo di un servizio al telegiornale,<br />
mi ha fatto tornare indietro nel tempo.<br />
A quando avevo 5-6 anni e la domenica tornavo a<br />
l’atipico - 18<br />
Francesca Dini<br />
Com’è difficile ricordarsi….cosa abbiamo mangiato ieri sera. Dove<br />
abbiamo trascorso l’ultimo sabato sera. Qual è il nostro film preferito di<br />
tutti i tempi. Come si intitola l’ultimo libro che abbiamo letto.<br />
casa con i miei genitori dopo aver passato la giornata<br />
dai nonni. Il mio babbo cantava spesso “Bella<br />
Ciao”; e io riascoltandola ora riesco a ricordarmi<br />
nitidamente tutto il tragitto per tornare a casa,<br />
l’incrocio sulla superstrada quando era ancora a<br />
due corsie, la vecchia Renault5 Bianca, gli odori,<br />
i vetri appannati. E quella canzone, di cui non sapevo<br />
nulla e che per me non aveva nessuna implicazione<br />
storica e politica, mi faceva viaggiare con<br />
la fantasia, tanto da riuscire a visualizzarne ogni<br />
strofa. Immaginavo questo signore che una mattina<br />
si sveglia, trova l’invasore e prega qualcuno di<br />
portarlo via, non ha paura di morire o meglio, non<br />
ha paura di morire da partigiano. Chiede solo di<br />
essere seppellito in montagna, sotto l’ombra di un<br />
fiore, e quando ignare genti passeranno di lì non<br />
potranno fare a meno di pensare “che bel fiore”. E<br />
già l’immaginavo rosso.<br />
Poi passano gli anni e quella canzone l’ho sentita<br />
cantare un po’ da tutti, i Modena City Ramblers,<br />
Giorgio Gaber, i Chumbawamba ad un Arezzo<br />
Wave di non so quanto tempo fa (ahi la memoria!),<br />
Michele Santoro, Manu Chao, De Gregori e<br />
Giovanna Marini. E’ diventato un canto di resistenza<br />
e militanza “moderna” esportato in molti parti<br />
del mondo e non è difficile sentirlo cantare in altre<br />
lingue.<br />
Riascoltarla mi riporta indietro agli anni dell’infanzia<br />
ma spesso mi soffermo a pensare questa<br />
canzone cantata dai partigiani della Resistenza e<br />
da tutte quelle persone che in nome di un ideale<br />
hanno combattuto per restituire libertà e dignità<br />
ad un paese umiliato da vent’anni di dittatura fascista.<br />
Ed è in questi pensieri, e pensando a questa<br />
storia, che diventa più urgente il bisogno di una<br />
memoria indelebile, che non si cancella, e sui cui<br />
nulla possono i segni del tempo. Una memoria su<br />
cui non si deposita la polvere, che mette radici<br />
in ognuno di noi e non si lascia dimenticare. Un<br />
marchio a fuoco che contribuisce a far crescere<br />
persone libere e consapevoli.<br />
Una madeline assaporata ogni giorno. Alla ricerca<br />
di un tempo che mai e poi mai possiamo definire<br />
perduto.