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GEOPOLITICA<br />
© Marco Bottelli<br />
IN QUESTO ARTICOLO<br />
FOTO REALIZZATE IN PAKISTAN<br />
DURANTE L’ESODO<br />
DOPO L’ALLUVIONE DEL 22 LUGLIO<br />
18 Dicembre/Gennaio <strong>BioEcoGeo</strong>
L’UNDICESIMA<br />
PIAGA<br />
EFFETTI VIOLENTI DEL CLIMA CHE CAMBIA.<br />
INONDAZIONI, FENOMENI MIGRATORI, PARERI DEGLI ESPERTI E STORIE<br />
DI COOPERAZIONE INTERNAZIONALE.<br />
ECCO IL CONTENUTO DI QUESTO SPECIALE SUI PROFUGHI CLIMATICI<br />
150<br />
m<strong>il</strong>ioni “climate refugees”, eco-profughi o rifugiati<br />
del clima. Tante saranno le persone costrette<br />
nei prossimi 40 anni ad abbandonare le<br />
proprie terre, le proprie case verso nuovi stati o nuovi continenti,<br />
a causa dei cambiamenti climatici e degli eventi catastrofici<br />
che, secondo i climatologi, saranno sempre più devastanti.<br />
Questi dati, forniti dalla Environmental Justice Foundation,<br />
non sono però definitivi, in quanto non tengono conto di altri<br />
fattori destab<strong>il</strong>izzanti quali: lo sv<strong>il</strong>uppo economico, le tensioni<br />
politiche e l’aumento demografico.<br />
Un’equazione dove <strong>il</strong> risultato non cambia: l’emergenza è grave<br />
e sta già accadendo. Una situazione destinata a peggiorare<br />
dopo <strong>il</strong> 2050.<br />
Ecco alcune proiezioni: 100 m<strong>il</strong>ioni di persone dovranno trasferirsi<br />
a causa delle tempeste, 200 m<strong>il</strong>ioni si trasferiranno per <strong>il</strong> peggioramento<br />
delle condizioni ambientali (soprattutto per la siccità),<br />
1,5 m<strong>il</strong>iardi di persone soffriranno carenze d’acqua croniche.<br />
La Fao, agenzia delle Nazioni Unite volta a ridurre la fame cronica,<br />
sostiene che gli impatti dei cambiamenti climatici «sono<br />
un fenomeno con cui confrontarsi oggi, per non vanificare i progressi<br />
raggiunti con anni di lavoro nella lotta contro fame e povertà».<br />
Il catastrofismo – lo sanno bene i dipartimenti <strong>della</strong> difesa e i conduttori<br />
dei Tg – è un’arma pericolosa, ma che attira l’attenzione<br />
di Emanuele Bompan<br />
C’è chi dice<br />
che gli effetti<br />
saranno minimi,<br />
chi catastrofici.<br />
I primi solitamente<br />
sono politici,<br />
i secondi scienziati<br />
ed esperti<br />
GEOPOLITICA<br />
<strong>della</strong> gente, motivandola a<br />
riflettere o quanto meno ad<br />
accorgersi di ciò che sta<br />
accadendo.<br />
Anche per gli ambientalisti<br />
– Lester Brown e B<strong>il</strong>l<br />
McKibben ne sono un ottimo<br />
esempio – spesso è così,<br />
e non a torto.<br />
Noi, esseri umani, siamo<br />
reticenti a percepire mi-<br />
nacce invisib<strong>il</strong>i e complesse, quindi spesso serve uno shock<br />
per risvegliarci. Questo per dire che forse <strong>il</strong> fenomeno non genererà<br />
scenari apocalittici, ma in ogni caso per <strong>il</strong> principio di<br />
precauzione, <strong>il</strong> rischio non va sottovalutato. Specie quando diventa<br />
un’evidenza sotto i nostri occhi. Deserti che avanzano,<br />
innalzamento del livello del mare, siccità, conflitti legati alle risorse<br />
energetiche o alle risorse minerarie sempre più scarse,<br />
battaglie per l’acqua… questi gli effetti del Global Warming, su<br />
cui è diffic<strong>il</strong>e fare stime accurate. C’è chi dice che gli effetti saranno<br />
minimi, chi catastrofici. I primi solitamente sono politici,<br />
i secondi scienziati ed esperti.<br />
<strong>BioEcoGeo</strong> vuole dare visib<strong>il</strong>ità a questo tema, presentando<br />
una serie di casi che stanno accadendo, ora.<br />
<strong>BioEcoGeo</strong> Dicembre/Gennaio<br />
19
© Marco Bottelli<br />
GEOPOLITICA<br />
CONFLITTI<br />
E CAMBIAMENTO<br />
CLIMATICO<br />
ESISTE UNA RELAZIONE TRA<br />
IL DEGRADO DEL SUOLO<br />
DETERMINATO DAL MUTAMENTO<br />
DEL CLIMA E LO SCATENARSI<br />
DI CONFLITTI<br />
di Stefano Liberti<br />
L e<br />
cifre sono da capogiro. Cinquanta m<strong>il</strong>ioni di persone<br />
sfollate a causa di disastri naturali vari, come piogge torrenziali,<br />
tifoni, frane o, all’inverso, carestie e desertificazione.<br />
In Africa <strong>il</strong> cambiamento climatico è già realtà.<br />
Una realtà che sul terreno si misura con l’aumento esponenziale<br />
del numero di quanti vengono ormai definiti “rifugiati climatici”.<br />
In molti paesi, la stagione delle piogge non è più l’appuntamento<br />
fisso che una o due volte l’anno scandisce <strong>il</strong> corso delle<br />
stagioni – e con esso l’andamento dei raccolti. Il clima è diventato<br />
capriccioso: le piogge, quando cadono, sono distruttive.<br />
L’acqua, quando serve, scarseggia.<br />
«Le stagioni delle piogge si riducono a causa dell’influenza del<br />
cambiamento climatico e rendono le precipitazioni aleatorie e<br />
imprevedib<strong>il</strong>i. L’incidenza delle carestie è aumentata da una<br />
ogni dieci anni a una ogni due o tre anni», analizzano Rose<br />
Mwebaza e Damaris E. Mateche in uno studio pubblicato dall’Institute<br />
for Security Studies di Pretoria.<br />
20 Dicembre/Gennaio <strong>BioEcoGeo</strong>
Secondo <strong>il</strong> comitato internazionale <strong>della</strong> Croce rossa, i disastri<br />
correlati al cambiamento climatico ormai producono “più<br />
sfollati che le guerre”.<br />
In realtà, spesso si tratta di due facce delle stessa medaglia.<br />
Esiste infatti una relazione stretta tra la riduzione delle risorse<br />
idriche e fondiarie determinata dal mutamento del clima e lo<br />
scatenarsi di conflitti. Prendiamo <strong>il</strong> caso del Sahel. La lunga fascia<br />
sotto <strong>il</strong> deserto del Sahara che si estende dal Mali fino al Sudan<br />
è un’unica zona di turbolenza, attraversata da conflitti più<br />
o meno estesi e ad andamento carsico. Se è certamente un po’<br />
arbitrario paragonare la situazione del Darfur – una guerra aperta<br />
che è sfociata in una crisi umanitaria di dimensioni gigantesche,<br />
con centinaia di migliaia di sfollati – alle ribellioni Tuareg<br />
nel nord del Niger e nel nord del Mali, è però possib<strong>il</strong>e identificare<br />
alcuni elementi comuni.<br />
Si tratta di contesti in cui fin dagli anni ’70-’80 si è assistito ad<br />
© Marco Bottelli<br />
UNA QUESTIONE DI<br />
SICUREZZA GLOBALE<br />
di Emanuele Bompan<br />
GEOPOLITICA<br />
Secondo <strong>il</strong> Pentagono e <strong>il</strong> PLA (People’s<br />
Liberation Army, esercito popolare<br />
cinese), «Il Global Warming<br />
costituisce una seria minaccia per<br />
la sicurezza globale e per importanti<br />
infrastrutture m<strong>il</strong>itari».<br />
«Gli effetti sulla gente possono essere<br />
devastanti» spiega James Woolsey,<br />
ex-capo <strong>della</strong> Cia ed uno dei<br />
grandi supporter <strong>della</strong> lotta contro i<br />
cambiamenti climatici.<br />
Per gli analisti dei servizi americani e<br />
<strong>della</strong> NSA (National Security Agency,<br />
USA) in particolare i profughi climatici<br />
sono soggetti preoccupanti<br />
in quanto più fac<strong>il</strong>mente arruolab<strong>il</strong>i<br />
dalle organizzazioni terroristiche. Un<br />
fenomeno che potrebbe aggravarsi<br />
in India, Medio Oriente, ma anche in<br />
Africa.<br />
Il muro-recinto di 4 m<strong>il</strong>a ch<strong>il</strong>ometri<br />
da poco costruito in India per rallentare<br />
<strong>il</strong> flusso di migranti dal Bangladesh<br />
(in India sono già m<strong>il</strong>ioni), è diventato<br />
un bersaglio del gruppo<br />
Harkat-ul-Jihad-al-Islami, aff<strong>il</strong>iato<br />
ad al-Qaeda e ai servizi pakistani,<br />
che sfrutta le tensioni di coloro che<br />
non riescono a fuggire dal paese<br />
per arruolarli tra le proprie f<strong>il</strong>a.<br />
Nel paese esistono oltre 140 centri di<br />
addestramento per <strong>il</strong> terrorismo di<br />
matrice islamica, aff<strong>il</strong>iati con <strong>il</strong> Pakistan<br />
(che aveva sovranità sulla regione<br />
fino al 1971).<br />
un’avanzata del deserto e a una riduzione delle risorse idriche,<br />
che ha portato alla sedentarizzazione forzata di popolazioni nomadi<br />
dedite alla pastorizia. La lotta per le risorse tra gli agricoltori<br />
e i pastori diventati stanziali è una delle cause di<br />
tutti questi conflitti – che affondano anche le proprie radici<br />
nella centralizzazione del potere e nell’emarginazione di interi<br />
gruppi etnici.<br />
Alex de Waal, direttore di ricerca al Social Science Research<br />
Counc<strong>il</strong> di New York e uno dei massimi esperti mondiali del<br />
conflitto in Darfur, ricorda come negli anni ’80 soggiornando<br />
nella regione aveva assistito ai prodromi del conflitto futuro.<br />
«Tutti dicevano che la sabbia stava invadendo la terra fert<strong>il</strong>e<br />
e che le rare piogge distruggevano <strong>il</strong> suolo. Agricoltori che<br />
una volta ospitavano le tribù nomadi con i loro cammelli cominciavano<br />
a bloccare <strong>il</strong> loro passaggio. La terra non poteva<br />
più sopportare <strong>il</strong> peso di entrambi questi gruppi.<br />
<strong>BioEcoGeo</strong> Dicembre/Gennaio<br />
21
GEOPOLITICA<br />
Gli anziani già sapevano cosa sarebbe accaduto: ci sarà la<br />
guerra». La tensione tra gruppi sedentari e nomadi, sommata<br />
ad altri elementi come i tentativi di arabizzazione del<br />
territorio da parte del governo di Khartoum e ai contatti tra<br />
i movimenti ribelli nati nella regione occidentale con quelli<br />
attivi da decenni nel sud del Paese, è esplosa nel 2003 in<br />
un conflitto aperto, con tutto <strong>il</strong> portato di distruzioni, sfollati<br />
interni nei campi in Sudan e di rifugiati nel vicino Ciad.<br />
In Niger le rivolte Tuareg si ripetono con ciclicità ormai da<br />
vent’anni a questa parte. La dinamica è sim<strong>il</strong>e a quella<br />
analizzata per <strong>il</strong> Darfur. Alla fine degli anni ’70, una drammatica<br />
carestia spinge molti nomadi tuareg verso le città<br />
<strong>della</strong> regione – Agadez. Arlit, Iferouane – già sovrappopolate.<br />
Le risorse scarseggiano: nasce una competizione per<br />
i pochi posti di lavoro, tanto più che i Tuareg sono del tutto<br />
esclusi dalla gestione amministrativa dello stato. Molti<br />
di loro emigrano in Libia, dove sono iniziati alle tecniche<br />
di guerriglia dal colonnello Gheddafi.<br />
“le persone cominciano a muoversi ogni<br />
volta che <strong>il</strong> degrado del suolo è collegato<br />
con una pressione politica, conflitti<br />
armati, tensioni etniche, povertà<br />
crescente, deterioramento dei servizi<br />
e delle infrastrutture”<br />
Tornati in patria (e finanziati da Tripoli) i Tuareg si rivoltano<br />
contro <strong>il</strong> governo centrale di Niamey a più riprese, l’ultima<br />
più recentemente dal febbraio 2007 al 2009.<br />
E la guerra va quindi ad aggiungersi alle molteplici disgrazie<br />
di quella che, secondo l’indice di sv<strong>il</strong>uppo umano<br />
st<strong>il</strong>ato ogni anno delle Nazioni Unite, è la regione più povera<br />
del paese più povero del mondo.<br />
Le migliaia di emigranti che si accalcano sui camion sulla<br />
rotta che da Agadez va verso l’oasi di Dirkou e da lì in Libia<br />
possono essere considerati rifugiati climatici? In un<br />
certo senso sì, dal momento che fuggono da una regione<br />
che non è in grado di garantire loro la sopravvivenza. La situazione<br />
del Sahel è solo un caso limite: un po’ ovunque nel<br />
continente africano si assiste a disastri naturali correlati<br />
con ai mutamenti climatici. Nel 2007, l’Africa occidentale<br />
è stata investita da un’ondata di piogge torrenziali che, secondo<br />
l’ufficio delle Nazioni Unite per <strong>il</strong> coordinamento degli<br />
affari umanitari, ha colpito 18 paesi e sfollato almeno<br />
500m<strong>il</strong>a persone. I disastri spingono le persone a emigrare.<br />
Oppure semplicemente, catalizzano tensioni pre-esistenti.<br />
Come sottolineato in un rapporto pubblicato dall’International<br />
Journal of Global Warming, «le persone cominciano<br />
a muoversi ogni volta che <strong>il</strong> degrado del suolo è<br />
collegato con pressioni politiche, conflitti armati, tensioni<br />
etniche, povertà crescente, deterioramento dei servizi e<br />
delle infrastrutture».<br />
I cambiamenti climatici producono “rifugiati climatici”.<br />
Oppure causano guerre che producono rifugiati<br />
tout court. Una distinzione puramente semantica, che<br />
nulla muta in un quadro che appare allarmante e che sembra<br />
destinato a peggiorare sempre più.<br />
22 Dicembre/Gennaio <strong>BioEcoGeo</strong><br />
© Marco Bottelli<br />
ENVIRONMENTAL REFUGEE<br />
La parola “environmental refugee” venne coniata nel 1976, da<br />
Lester Brown (autore del recente Piano B 4.0, Mob<strong>il</strong>itarsi per salvare<br />
la civ<strong>il</strong>tà) generando una serie di declinazioni successive come<br />
“Eco-profughi”, “Climate Refugee” o “Rifugiati climatici” (quando<br />
è apparso <strong>il</strong> paradigma del cambiamento climatico) migranti forzati<br />
dall’ambiente e persino <strong>il</strong> teleologico environmental-refugeeto-be:<br />
ERTB, “coloro che saranno rifugiati”.
OCEANO ATLANTICO<br />
Mar Mediterraneo<br />
Lago Chad<br />
Fascia del Sahel<br />
N<strong>il</strong>o<br />
Aree in cui la popolazione è particolarmente a rischio di<br />
inondazioni e innalzamenti del livello del mare<br />
Grandi delta<br />
Piccole isole (alcune destinate a scomparire)<br />
Corno d’Africa<br />
Coste minacciate da eventi meteorologici estremi<br />
Aree esposte a siccità e desertificazione<br />
Asia Centrale<br />
Mare d’Aral<br />
Bangladesh<br />
India<br />
OCEANO INDIANO<br />
Huang He<br />
Gange e<br />
Brahmaputra<br />
Cina<br />
Mekong<br />
Aree esposte a uragani Aree artiche vulnerab<strong>il</strong>i allo scioglimento dei ghiacci<br />
Yangtze<br />
Isole del Pacifico<br />
Shishmaref<br />
I profughi climatici provengono<br />
solitamente da paesi in via di<br />
sv<strong>il</strong>uppo dove gli effetti del<br />
cambiamento climatico si<br />
aggiungono a guerra e povertà<br />
Isole del Pacifico<br />
Tuvalu<br />
L’ONU PER I RIFUGIATI CLIMATICI<br />
INTERVISTA A FEDERICO FOSSI, PUBLIC INFORMATION UNIT DELL’ALTO COMMISSARIATO<br />
DELLE NAZIONI UNITE PER I RIFUGIATI, UNHCR<br />
di Marianna Pino<br />
A brucia pelo: quanti sono i rifugiati climatici<br />
e quali sono le previsioni per <strong>il</strong> futuro?<br />
«I dati dell’UNHCR riguardano rifugiati, richiedenti<br />
as<strong>il</strong>o, apolidi e sfollati. Tutte queste categorie<br />
possono essere vittime di disastri naturali<br />
e mutamenti climatici, ma è diffic<strong>il</strong>e<br />
quantificarne l’esatto numero. Per avere un<br />
quadro <strong>della</strong> situazione basti pensare, però,<br />
che nel corso degli ultimi 20 anni <strong>il</strong> numero di<br />
catastrofi naturali è aumentato da 200 a 400<br />
per anno e, secondo uno studio del Norwegian<br />
Refugee Counc<strong>il</strong>, 20 m<strong>il</strong>ioni di persone<br />
sono state costrette ad abbandonare le proprie<br />
case nel solo 2008 a causa di improvvise<br />
catastrofi climatiche».<br />
Esiste una definizione di “migranti climatici”?<br />
«Non esiste una definizione ufficiale in quanto<br />
si tratta di una categoria che non è inclusa in<br />
alcuna convenzione internazionale.<br />
I “migranti climatici” sono persone in fuga da<br />
disastri idro-geologici, da aree dichiarate dai<br />
governi nazionali ad alto rischio e pericolose,<br />
dal degrado ambientale, da terre sommerse<br />
dai mari, da conflitti generati dalla scarsità di<br />
risorse dovuta ai cambiamenti climatici».<br />
Quali operazioni umanitarie sono più minacciate<br />
dai cambiamenti climatici?<br />
«I mutamenti climatici minacciano da tempo<br />
molte operazioni umanitarie.<br />
Ci sono alcune situazioni dove gli effetti dei<br />
mutamenti climatici sono particolarmente<br />
disastrosi, come ad esempio i campi profughi<br />
di Dadaab (Kenya settentrionale), che ospitano<br />
quasi 300.000 rifugiati rispetto ad una<br />
capienza iniziale di 90.000.<br />
Un’ulteriore area a rischio è rappresentata<br />
dal Ciad orientale, dove <strong>il</strong> costante calo delle<br />
precipitazioni atmosferiche dal 1950 ha ridotto<br />
la riserva minima di acqua da 16 a 5/6<br />
litri al giorno a persona in alcuni dei campi<br />
settentrionali.<br />
Ma nell’estate di quest’anno – per la prima<br />
volta in 40 anni - <strong>il</strong> Ciad è stato teatro di pesantissime<br />
alluvioni. Infine, in Pakistan, paese<br />
colpito dal mese di agosto dalle peggiori<br />
inondazioni e frane negli ultimi decenni, 1.700<br />
persone sono rimaste uccise e 1.900.000 case<br />
sono andate distrutte.<br />
Le cause ambientali innescano movimenti<br />
internazionali o più spesso è un fenomeno<br />
che dà luogo a spostamenti più locali?<br />
«È spesso diffic<strong>il</strong>e stab<strong>il</strong>ire una netta distinzione<br />
tra migrazioni interne ed esterne in base<br />
ai motivi che spingono allo spostamento.<br />
Tendenzialmente, però, è possib<strong>il</strong>e affermare<br />
che la maggior parte delle persone messe in<br />
fuga dai cambiamenti climatici rimane all’interno<br />
dei confini del proprio paese».<br />
Esiste un riconoscimento ufficiale da parte<br />
delle organizzazioni internazionali per i migranti<br />
climatici?<br />
«Al momento <strong>il</strong> loro status è assai poco chiaro.<br />
OCEANO PACIFICO<br />
Messico<br />
Stati Uniti sud orientali<br />
New Orleans<br />
GEOPOLITICA<br />
Haiti<br />
ATLANTIC OCEAN<br />
Caraibi<br />
EMMANUELLE BOURNAY<br />
OKTOBER 2007<br />
Fonti: Norman Myers, “Environmental refugees, An emergent security issue”, 13. Economic forum,<br />
Prague, OSCE, May 2005; M<strong>il</strong>lennium Ecosystem Assessment, 2005 ; Liser, 2007.<br />
Basato sulla mappa di Emmanuelle Bournay, Paris .<br />
È diffic<strong>il</strong>e determinare se la fuga oltre confine<br />
sia forzata o volontaria, ma <strong>il</strong> punto cruciale è<br />
stab<strong>il</strong>ire se queste persone siano bisognose o<br />
meno di protezione internazionale e, in caso<br />
affermativo, stab<strong>il</strong>ire su quali basi questo bisogno<br />
possa essere convertito in un diritto. Nel<br />
caso di persone in fuga da conflitti armati generati<br />
dalla scarsità di risorse dovuta ai cambiamenti<br />
climatici, ad esempio, si può senz’altro<br />
prevedere una forma di protezione internazionale.<br />
Alcuni stati e organizzazioni non governative<br />
hanno proposto emendamenti alla Convenzione<br />
di Ginevra del 1951 che prendano in<br />
considerazione chi fugge dal proprio paese<br />
a causa di catastrofi naturali o cambiamenti<br />
climatici di lungo periodo.<br />
Al momento l’UNHCR ritiene che, nell’attuale<br />
contesto politico, una revisione <strong>della</strong> Convenzione<br />
possa generare un abbassamento<br />
degli standard di protezione internazionale».<br />
L’UNHCR ha elaborato programmi specifici<br />
per rispondere alle esigenze dettate dalle<br />
migrazioni climatiche?<br />
«L’UNHCR assiste gli stati e le comunità locali<br />
nella difesa dei diritti di chi è costretto alla fuga.<br />
L’Agenzia dispone di team di emergenza<br />
e fornisce assistenza concreta per la registrazione,<br />
la documentazione, la riunificazione fam<strong>il</strong>iare<br />
e la fornitura di ripari di emergenza, di<br />
servizi igienici e di programmi nutrizionali. In situazioni<br />
di emergenza l’UNHCR ha la capacità<br />
di intervenire per far fronte al movimento<br />
forzato di 500.000 persone in 72 ore. Il suo sistema<br />
finanziario prevede la rapida mob<strong>il</strong>izzazione<br />
delle risorse.<br />
La f<strong>il</strong>osofia di intervento dell’UNHCR è molto<br />
semplice: permettere agli operatori di essere<br />
sul posto <strong>il</strong> prima possib<strong>il</strong>e per fornire aiuti e assistenza».<br />
<strong>BioEcoGeo</strong> Dicembre/Gennaio<br />
23
© Marco Bottelli<br />
GEOPOLITICA<br />
PAKISTAN<br />
IL DISASTRO<br />
CLIMATICO<br />
DIMENTICATO<br />
Migrazioni interne nello stato<br />
del Pakistan, Settembre 2010<br />
Capitale<br />
Area interessata<br />
dai conflitti armati<br />
Area ospitante rifugiati<br />
Area in cui i rifugiati<br />
hanno fatto ritorno<br />
Inondazioni<br />
Confini regionali<br />
Fonti: USAID, Apr<strong>il</strong>e 2010; ReliefWeb,<br />
Agosto2010; UN OCHA, Giugno 2010<br />
I confini e le zone <strong>il</strong>lustrate non hanno ricevuto ufficiale conferma<br />
dell’effettiva situazione migratoria da parte dei rifugiati stessi.<br />
24 Dicembre/Gennaio <strong>BioEcoGeo</strong><br />
0<br />
IRAN<br />
50 Km<br />
LA MACCHINA DEGLI AIUTI<br />
UMANITARI SEMBRA ESSERE<br />
BEN OLIATA, SOPRATTUTTO<br />
DAGLI AMERICANI CHE HANNO<br />
ENORMI INTERESSI ECONOMICI<br />
E STRATEGICI SULLA REGIONE.<br />
L’OPINIONE PUBBLICA<br />
PERÒ È ANCORA LONTANA<br />
di Emanuele Bompan<br />
U na<br />
goccia, due gocce, tre gocce … e poi <strong>il</strong> nubifragio. Violento,<br />
inesorab<strong>il</strong>e. Interminab<strong>il</strong>e. Tutti i racconti degli intervistati<br />
iniziano così. Il preludio di una inondazione catastrofica<br />
che ha colpito 20 m<strong>il</strong>ioni di persone, facendo 2m<strong>il</strong>a<br />
morti, migliaia di feriti e tanti abitanti a rischio malattie e fame<br />
per <strong>il</strong> fall-out dell’ennesima bomba atomica del clima. La crisi<br />
del Pakistan non è la più grave e distruttiva, ma sicuramente è<br />
una delle più intense. «Non avevamo mai visto una pioggia così<br />
lunga ed intensa» raccontano alcuni abitanti di Ralwapindi<br />
raggiunti per telefono.<br />
Per l’ambientalista B<strong>il</strong>l McKibben «<strong>il</strong> Pakistan è l’ennesima evidenza<br />
che stanno aumentando fenomeni catastrofici di tipo alluvionale».<br />
Secondo James Hansen, uno dei climatologi che più di tutti ha<br />
contribuito a studiare e divulgare <strong>il</strong> global warming, «l’effetto<br />
<strong>della</strong> forzante climatica aumenta la temperatura dei mari e degli<br />
oceani incrementando la vaporizzazione».<br />
Il risultato per l’IPCC, Pannello Intergovernamentale sul Cambiamento<br />
Climatico, è che le piogge saranno sempre più in aumento.<br />
Il 2009 è stato l’anno record da quando si misurano le<br />
piogge, e <strong>il</strong> 2010 si accinge a bissare questo record. Rimane, per<br />
chiarezza scientifica, un margine di errore in questo tipo di affermazioni.<br />
I fenomeni potrebbero essere reversib<strong>il</strong>i, oppure<br />
AFGHANISTAN<br />
BALOCHISTAN<br />
Fata<br />
Centrale<br />
Fata<br />
Meridionale<br />
Khyber<br />
Pakhtookawa<br />
(KP)<br />
Fata<br />
Settentrionale<br />
Islamabad<br />
Linea di controllo<br />
INDIA<br />
www.internal-displacement.org
© Marco Bottelli<br />
GEOPOLITICA<br />
congiunturali, ma i dati IPCC sono una continua conferma alla<br />
teoria. Questi eventi non sono un accadimento meteorologico,<br />
sono una nuova struttura climatica.<br />
La situazione in Pakistan migliora lentamente secondo i cooperanti<br />
italiani contattati da <strong>BioEcoGeo</strong> e secondo i comunicati<br />
di USAID, l’agenzia di cooperazione allo sv<strong>il</strong>uppo americana.<br />
Ma la situazione rimane grave e sembra volgere al peggio.<br />
La macchina dei soccorsi, nonostante sia uscita dall’orbita dei<br />
riflettori dei media, continua a lavorare incessantemente.<br />
In un documento, ricevuto dall’autore dal Dipartimento di Stato<br />
Usa, <strong>il</strong> valore dei danni si stima intorno ai 9,7 m<strong>il</strong>iardi di dollari,<br />
ma per gli ufficiali pakistani i danni complessivi – quindi<br />
non solo infrastrutturali – sono calcolab<strong>il</strong>i nell’ordine delle decine<br />
di m<strong>il</strong>iardi di dollari, una cifra che, secondo una fonte pakistana,<br />
«nessun paese donatore può raggiungere per aiutare <strong>il</strong><br />
Pakistan».<br />
Al punto tale che la World Bank e l’Asian Development Bank<br />
«come da copione», sostiene la giornalista Naomi Klein esperta<br />
in economia dei disastri, richiederanno al governo pakistano<br />
una serie di riforme liberiste specie nel settore fiscale e<br />
nel commercio con l’estero per avere in cambio fondi dalle<br />
due banche per lo sv<strong>il</strong>uppo. Una mossa che i critici <strong>della</strong><br />
Banca non apprezzano particolarmente.<br />
Mentre le banche e i governi discutono, nel sud del Pakistan<br />
l’acqua è ancora alta.<br />
«Stiamo distribuendo migliaia di kit sanitari − racconta Pierluigi<br />
Testa, responsab<strong>il</strong>e per <strong>il</strong> Pakistan di Medici Senza Frontiere,<br />
in un’intervista r<strong>il</strong>asciata in esclusiva a <strong>BioEcoGeo</strong> − per <strong>il</strong> trattamento<br />
dell’acqua e nelle cliniche si fa assistenza per seguire<br />
la malnutrizione <strong>della</strong> popolazione colpita. L’acqua pulita è<br />
l’emergenza principale, per lavarsi e per cucinare. Inoltre la<br />
questione dei raccolti e <strong>della</strong> distribuzione del cibo rimane<br />
una priorità.<br />
Diana Bassani, raggiunta invece per telefono a Noshera, v<strong>il</strong>laggio<br />
del Pastuhn, è una volontaria del CESVI, l’organizzazione<br />
non governativa che ha svariati progetti in Pakistan e si trovava<br />
sul campo già prima delle inondazioni. «Oggi tutti i nostri<br />
progetti si concentrano su attività di training per insegnare corrette<br />
pratiche igieniche, uso dell’acqua, gestione delle latrine.<br />
Un’attività tipica durante queste tipe di emergenze.<br />
<strong>BioEcoGeo</strong> Dicembre/Gennaio<br />
25
GEOPOLITICA<br />
ALLUVIONE IN PAKISTAN,<br />
C’È CHI SI RIMBOCCA<br />
LE MANICHE<br />
di Diana Bassani operatrice umanitaria CESVI<br />
(Cooperazione e Sv<strong>il</strong>uppo), inviata in Pakistan<br />
Quando la pioggia ha iniziato a cadere insistente quel 22 luglio<br />
2010, nessuno si sarebbe immaginato un tale disastro. La pioggia<br />
non ha smesso di cadere per giorni.<br />
La gente dei v<strong>il</strong>laggi del Pakistan in cui sto lavorando considerano<br />
l’alluvione una punizione divina a causa di una cattiva condotta,<br />
oppure una prova di Allah per <strong>il</strong> suo popolo a dimostrazione<br />
del suo grande amore. In entrambi i casi ne deriva un sentimento<br />
di rassegnazione da parte <strong>della</strong> popolazione mescolato<br />
ad una grande forza di reagire. Il disastro è enorme. Il numero di<br />
morti si è fermato a 1700, i danni economici nell’agricoltura, nell’allevamento<br />
e a livello infrastrutturale sono incalcolab<strong>il</strong>i. La popolazione<br />
è in ginocchio ed è quasi totalmente dipendente dagli<br />
aiuti governativi e umanitari.<br />
Dalle prime visite nelle aree colpite nel Distretto di Nowshera, nella<br />
Provincia del Khyber Pakhtunkwha, ho seguito l’evolversi <strong>della</strong><br />
situazione. Durante le prime settimane gli argini dei fiumi erano stati<br />
superati di circa 2 km e l’acqua ristagnava tra le case, sulla strada<br />
e sui campi coltivati. Il nostro arrivo è stato ben visto dalla comunità<br />
e noi ci siamo subito attivati coordinandoci con le autorità<br />
locali e le altre organizzazioni umanitarie. Molte famiglie povere<br />
non hanno più un tetto e non hanno le possib<strong>il</strong>ità economiche,<br />
o la forza lavoro, per sistemare la loro casa o almeno rimuovere <strong>il</strong><br />
fango. I campi coltivati sono ricoperti da uno strato di fango alto<br />
30 cm, rimovib<strong>il</strong>e solo con l’ut<strong>il</strong>izzo di attrezzi da lavoro che in molti<br />
non possiedono. Da questo, ne deriva la perdita dei raccolti precedenti<br />
ma anche l’impossib<strong>il</strong>ità di sfruttare la semina invernale.<br />
Le nostre distribuzioni di cibo, acqua e kit igienici (sapone, pastiglie<br />
per la purificazione dell’acqua, sali contro la disidratazione<br />
ecc..) hanno portato sollievo a molte famiglie.<br />
Nonostante ciò però, spesso insorgono problemi causati dalla difficoltà<br />
di agire in maniera tempestiva ed efficace allo stesso tempo.<br />
I tempi dell’emergenza sono molto sostenuti ma non sempre<br />
è fac<strong>il</strong>e in quanto serve mantenere una buona qualità delle attività<br />
e in un contesto del paese che è diffic<strong>il</strong>e. In Pakistan gli spostamenti<br />
delle persone occidentali, soprattutto delle donne, sono<br />
complessi perché sempre sotto <strong>il</strong> controllo delle autorità. Anch’io<br />
stessa devo ut<strong>il</strong>izzare un abbigliamento adeguato al contesto<br />
culturale, altrimenti sarei troppo visib<strong>il</strong>e e la mia presenza non sarebbe<br />
ben accetta dalla comunità. L’aiuto è fondamentale ma<br />
deve essere socialmente accettato.<br />
Siamo certi e fiduciosi che <strong>BioEcoGeo</strong> farà veicolare la questione<br />
dell’emergenza in Pakistan che fin’ora, purtroppo, non sembra<br />
aver sollevato un grande interesse mediatico e questo molto<br />
spesso ci scoraggia. Tante sono le interviste che abbiamo fatto<br />
con giornali, radio, tv e troppo spesso le domande vertevano su tematiche<br />
che poco avevano a che fare con l’emergenza alluvione<br />
e le condizioni reali delle persone che stanno soffrendo.<br />
Noi siamo qua per aiutare la popolazione, <strong>il</strong> resto non ci compete.<br />
Per aiutare la popolazione puoi fare una donazione:<br />
C/C 882233 intestato a Cesvi Onlus Emergenza<br />
26 Dicembre/Gennaio <strong>BioEcoGeo</strong>
Il rischio delle malattie è alto».Tante aree del paese, ad oggi, sono<br />
sprovviste di ogni tipo di servizio. In molti casi la gente deve<br />
contrarre debiti per sistemare le proprie abitazioni, con banche<br />
o strozzini, non importa, ma l’inverno alle porte spaventa e<br />
in molti si stanno affrettando per riparare al meglio le proprie<br />
abitazioni. Le Nazioni unite hanno richiesto, a metà ottobre,<br />
346 m<strong>il</strong>ioni di dollari per nuove tendopoli di emergenza e container<br />
al fine di ospitare, per almeno un paio di anni, i profughi.<br />
Al momento solo <strong>il</strong> 20% di questa cifra è stato raccolto.<br />
Secondo <strong>il</strong> News International, giornale pakistano in lingua inglese,<br />
si sta verificando inoltre un fenomeno inaspettato: molte<br />
persone, dislocate in campi profughi presso città come<br />
Islamabad, non vogliono fare rientro ai propri paesi d’origine,<br />
perché pensano di poter trovare un futuro migliore in città,<br />
perché temono una maggiore esposizione ai gruppi tribali<br />
armati o perché temono di non farcela nei campi distrutti dall’alluvione.<br />
Un fenomeno che ha già creato tensioni con i residenti<br />
dei quartieri meno abbienti delle principali città.<br />
La situazione, secondo una fonte pakistana, starebbe invece<br />
migliorando lentamente almeno al nord. Nell’area di Khyber Pakhtunkhwa,<br />
dove le inondazioni hanno avuto inizio, l’acqua è<br />
scesa quasi del tutto.<br />
Il 98% <strong>della</strong> popolazione sarebbe già rientrato nelle proprie abitazioni<br />
e avrebbe dato inizio ai lavori per tornare alla normalità.<br />
Nel frattempo, <strong>il</strong> Segretario Onu Ban Ki-Moon ha lanciato un appello,<br />
vista la lentezza nella raccolta dei 2 m<strong>il</strong>iardi di dollari per<br />
<strong>il</strong> fondo per la ricostruzione pakistana.<br />
© Marco Bottelli<br />
GEOPOLITICA<br />
DICHIARAZIONE DI OSAMA BIN LADEN<br />
In tutto ciò, non è un caso che Osama Bin Laden, lo sceicco più ricercato<br />
d’America, in una cassetta audio registrata <strong>il</strong> 4 ottobre scorso abbia<br />
dichiarato: «Il numero di vittime causato dal cambiamento climatico è<br />
molto grande, più elevato delle vittime di guerra. Il cambiamento climatico<br />
sta interessando la nostra nazione (Daaral-Islam) e sta causando<br />
grandi catastrofi in tutto <strong>il</strong> mondo islamico. Sfide diffic<strong>il</strong>i sono state colte<br />
dalle anime generose degli uomini che hanno portato aiuti ai loro fratelli<br />
musulmani in Pakistan». I 20 m<strong>il</strong>ioni di persone colpite dall’alluvione<br />
in Pakistan forse non sanno delle cause complesse del riscaldamento<br />
climatico e delle colpe dei governi industriali e del consumismo capitalistico.<br />
Però, queste affermazioni, dimostrano che nella geopolitica dei<br />
nostri giorni <strong>il</strong> teorema del clima è ben noto e può essere usato per fini di<br />
propaganda politica, anche da terroristi come Bin Laden.<br />
In tal senso i più attivi sono – o vogliono sembrare – gli americani,<br />
che hanno interessi strategici elevatissimi nella regione,<br />
sia m<strong>il</strong>itari, visto che lo stato è a tutti gli effetti la casa<br />
madre, insieme allo Yemen, del terrorismo di Al Qaeda, sia economici<br />
visti i corridoi energetici con la Cina e gli elevati investimenti<br />
infrastrutturali a stelle e strisce.<br />
Secondo alcune fonti governative «l’ingente sforzo è legato soprattutto<br />
alla minaccia talebana ed al timore che arrivino aiuti<br />
da governi e gruppi ost<strong>il</strong>i agli interessi Usa».<br />
Ad oggi sono stati distribuiti m<strong>il</strong>ioni di ch<strong>il</strong>i di aiuti umanitari,<br />
evacuate 21m<strong>il</strong>a persone e impiegate ingenti forze di terra e aria.<br />
Accanto allo stato ci sono anche le corporazioni americane, oltre<br />
ottanta, come Bo e Boeing, che hanno contribuito agli aiuti. Per<br />
Mark Ward di USAID «la macchina degli aiuti è oliata».<br />
Nonostante tutto ciò però, la verità è che la macchina delle donazioni<br />
è immob<strong>il</strong>e e che la crisi è fuori dai radar <strong>della</strong><br />
stampa. Un fenomeno purtroppo ancora in ombra, che ancora<br />
una volta ci conferma quanta poca attenzione venga data ai<br />
nuovi disastri climatici e al tema dei rifugiati del clima. Il Pakistan,<br />
secondo McKibben, è uno di quegli eventi che dovremmo<br />
analizzare e prendere come monito: «<strong>il</strong> clima sta cambiando, e<br />
queste sono le conseguenze».<br />
La macchina umanitaria, mossa da quella generosità che<br />
Rebecca Solnit nel suo ultimo libro chiama “<strong>il</strong> paradiso all’inferno”,<br />
funziona sempre, ma le sfide che deve affrontare si faranno<br />
sempre più complesse in un mondo sempre più affollato, instab<strong>il</strong>e<br />
e globalmente riscaldato.<br />
<strong>BioEcoGeo</strong> Dicembre/Gennaio<br />
27<br />
© reuters
SI RINGRAZIA<br />
CESVI PER LA<br />
GENTILE<br />
CONCESSIONE<br />
DEL MATERIALE<br />
FOTOGRAFICO<br />
GEOPOLITICA<br />
28 Dicembre/Gennaio <strong>BioEcoGeo</strong><br />
© Medici Senza Frontiere<br />
UNA GIORNATA CON<br />
GLI OPERATORI DI<br />
MEDICI<br />
SENZA<br />
FRONTIERE<br />
NEL BALOCHISTAN<br />
di Leonardo Bianchi<br />
Da dieci anni l’infermiere Hamdullah lavora con Medici Senza<br />
Frontiere (MSF) nella remota provincia pachistana del Balochistan,<br />
occupandosi di bambini malnutriti.<br />
Le alluvioni hanno costretto 600m<strong>il</strong>a persone a scappare dalla<br />
provincia di Sindh a quella confinante del Balochistan nel sudovest<br />
Pakistan, cosa che per alcuni di loro ha significato un viaggio<br />
di oltre 300 ch<strong>il</strong>ometri fino al capoluogo provinciale, Quetta, in<br />
cerca di aiuto nei campi profughi.<br />
«Molti hanno perso tutto, casa e fam<strong>il</strong>iari, − racconta Hamdullah −<br />
ma i più poveri sono i mezzadri. Sono arrivati senza nulla e i loro
© Marco Bottelli<br />
bambini sono gravemente malnutriti. Noi di MSF li aiutiamo».<br />
MSF sopperisce ai bisogni nutrizionali dei bambini perché gli aiuti<br />
internazionali alimentari, arrivati in seguito all’alluvione, si preoccupano<br />
maggiormente di combattere la fame, ma non sono specifici<br />
per i problemi di malnutrizione.<br />
«È essenziale curare la malnutrizione nei bambini sotto i cinque anni<br />
di età, quando <strong>il</strong> loro sistema immunitario è in formazione, perché<br />
così aumentano le loro chance di sopravvivenza» spiega <strong>il</strong> dottor<br />
Ahmed Mukhtar, uno dei coordinatori medici di MSF in Pakistan. MSF<br />
gestisce nove programmi di terapia nutrizionale ambulatoriali in tutto<br />
<strong>il</strong> Pakistan, portati avanti da équipe itineranti (attualmente, lo staff<br />
di Medici Senza Frontiere conta 1.198 pakistani e 135 unità del personale<br />
internazionale) che garantiscono regolari check up medici e<br />
una scorta settimanale di alimenti terapeutici pronti all’uso (RUTF). Si<br />
tratta di un impasto di arachidi e latte, arricchito con vitamine e micronutrienti,<br />
che aiuta i bambini a riguadagnare le forze in tempi brevi.<br />
Ad oggi MSF ha in cura 1.748 bambini che soffrono di malnutrizione<br />
severa e acuta nelle province di Sindh e Balochistan.<br />
«Alle 9.00 − ci racconta Hamdullah − io, Ali Sher, Noor Mohammed e<br />
Muhammed Iqbal, i miei collaboratori, carichiamo <strong>il</strong> materiale sul<br />
pick-up e partiamo alla volta di Quetta, dove sono rimaste una quarantina<br />
di tende nel cort<strong>il</strong>e del complesso ospedaliero <strong>della</strong> Muslim<br />
Health Clinic. Alcune famiglie hanno già lasciato <strong>il</strong> campo tendato<br />
per tornare a casa. Hanno fretta di riappropriarsi <strong>della</strong> loro terra perché<br />
la vita al campo è dura e l’inverno è alle porte.<br />
Neanche <strong>il</strong> tempo di sistemare la postazione e veniamo “assaliti”<br />
dai piccoli pazienti che stringono in mano dei foglietti, i certificati<br />
C hiaramente<br />
serve un’azione efficace da parte <strong>della</strong> Conferenza<br />
delle Parti dell’UNFCCC nel negoziato sul clima<br />
(CoP), volta a consegnare un nuovo trattato sul clima entro<br />
<strong>il</strong> 2012, al fine di fissare <strong>il</strong> tetto massimo <strong>della</strong> concentrazione<br />
di CO2 nell’atmosfera a 350 ppm e limitare a 1,5° l’innalzamento<br />
<strong>della</strong> temperatura terrestre.<br />
Questa è l’unica soluzione per mitigare gli effetti del clima sulla<br />
Terra e sulle popolazioni più esposte. Detto ciò, al momento però<br />
i negoziati sono in stallo, in attesa di vedere cosa succederà a<br />
Cancun.<br />
Naturalmente ogni azione per limitare le emissioni è un’azione<br />
per fermare questo fenomeno. Per molti però la questione centrale<br />
sta diventando l’adattamento ai cambiamenti. Sebbene <strong>il</strong> riscaldamento<br />
globale possa essere contenuto, è inevitab<strong>il</strong>e agire<br />
per adattarsi ai nuovi scenari naturali. La parola magica per<br />
molti governi e eserciti sta diventando “geoingegneria”, ovvero<br />
<strong>della</strong> visita <strong>della</strong> settimana precedente. Ha dunque inizio <strong>il</strong> rituale:<br />
Ali Sher scandisce un nome, io lo ripeto e nomino <strong>il</strong> v<strong>il</strong>laggio di provenienza,<br />
poi peso e misuro <strong>il</strong> bambino. Faccio un rapido calcolo<br />
per stab<strong>il</strong>ire quanto è cresciuto e poi Noor Mohammed e Muhammed<br />
Iqbal consegnano la quantità di cibo terapeutico adeguata.<br />
La stessa operazione la ripetiamo poco più in là, nei pressi <strong>della</strong><br />
ferrovia, in un campo profughi di circa 300 tende».<br />
Nel pomeriggio l’equipe di soccorso nutrizionale rientra in ufficio,<br />
in tempo per la preghiera. Hanno pesato e misurato circa<br />
200 piccoli pazienti e hanno distribuito a 40 bambini più di 50 Kg<br />
di cibo terapeutico. «Sono sempre felice di vedere che la salute<br />
di un bambino migliora ad ogni visita. Questa è la mia vita e questa<br />
è la mia missione. Anche se la gente sta per tornare a casa, c’è<br />
ancora molto da fare, perché gli effetti dell’alluvione si fanno ancora<br />
sentire» ammonisce Hamdullah.<br />
MEDICI SENZA FRONTIERE OPERA IN PAKISTAN DAL 1988, ASSISTEN-<br />
DO LA POPOLAZIONE VITTIMA DELLE CONSEGUENZE DEI CONFLITTI AR-<br />
MATI, DELLO SCARSO ACCESSO ALLE CURE SANITARIE E DEI DISASTRI<br />
NATURALI. MSF NON ACCETTA FINANZIAMENTI DA NESSUN GOVERNO<br />
PER LA SUA ATTIVITÀ IN PAKISTAN MA DIPENDE ESCLUSIVAMENTE DAL-<br />
LE DONAZIONI PRIVATE.<br />
Attraverso una donazione regolare con domic<strong>il</strong>iazione bancaria/postale<br />
(RID) o carta di credito permetterai ai nostri medici, infermieri<br />
e logisti di assistere e curare m<strong>il</strong>ioni di persone che versano<br />
in condizioni disperate.<br />
www.medicisenzafrontiere.it<br />
COME FERMARE UN FENOMENO<br />
POTENZIALMENTE<br />
ESPLOSIVO?<br />
di Emanuele Bompan<br />
GEOPOLITICA<br />
l’uso di tecnologie a larga scala per sostenere l’impatto di questi<br />
cambiamenti. Adattando i territori si possono fermare gli effetti<br />
negativi. Almeno a livello teorico. A livello pratico ci si scontra<br />
invece con la dura realtà di fare i conti con gli ingenti costi delle<br />
opere civ<strong>il</strong>i per fermare l’innalzamento del mare o l’approvvigionamento<br />
di acqua sempre più scarsa.<br />
Diffic<strong>il</strong>e investire in aree come <strong>il</strong> Bangladesh senza un fondo appropriato<br />
per la mitigazione. Esso è infatti un discorso completamente<br />
tralasciato nei negoziati per <strong>il</strong> clima, in quanto suscita<br />
poco interesse tra i paesi sv<strong>il</strong>uppati (impegnati solo a tutelare<br />
l’incolumità del proprio territorio) che in realtà sono stati la causa<br />
principale di tale fenomeno.<br />
Le conseguenze le abbiamo sotto i nostri occhi e <strong>BioEcoGeo</strong> ve<br />
le ha <strong>il</strong>lustrate. Conosciamo i disastri ambientali, sono sempre<br />
esistiti. Ora la scienza ci dice che stanno peggiorando severamente,<br />
divenendo sempre più catastrofici.<br />
<strong>BioEcoGeo</strong> Dicembre/Gennaio<br />
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