industria vicentina - Associazione Industriali della Provincia di Vicenza

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INDUSTRIA VICENTINA 

Associazione Industriali 

della Provincia di Vicenza 

IL LE PAESE ORE D’ORO DEI BALOCCHI 

GIOCHI, ECCO LE GIOSTRE, AZIENDE ORAFE TRENINI, 

PELUCHE CHE VESTONO E GIOCATTOLI: DI PRESTIGIO 

ECCO GLI OROLOGI L’INDUSTRIA E SEGNANO 

DEL IL “TEMPO DIVERTIMENTO DI VICENZA” 

QUANTE IL PAESE BELLE MASCHERATO ITALIE 

ILVO TRA CARNEVALE, DIAMANTI COMMENTA INDUSTRIA 

LA E VOLONTARIATO: MAPPA DI UN’ITALIA MALO HA 

CHE UNA GIRA GRAN A PIÙ VOGLIA VELOCITÀ DI FARE 

LA TUTTI VALLE CASA INCANTATA 

E TECNOLOGIA 

C’È I VICENTINI UN POLO DEL DELLE DUEMILA: FORGE 

DENTRO SODDISFATTI LA VAL MA D’ASTICO INSICURI, 

E PIÙ UN’INDUSTRIA RACCOLTI IN CHE FAMIGLIA VIVE 

PROTETTA E PRESI DALL’ERA DAI MONTI DIGITALE 

NOVECENTO QUATTRO RUOTE VICENTINO MATRICI 

UN LA PRIMA SECOLO AUTO DI ARTE ENTRATA 

IN MOSTRA ITALIA FU GRAZIE ACQUISTATA 

ALLE A SCHIO COLLEZIONI DA GAETANO PRIVATE ROSSI 

1/00

La nuova 

rivoluzione industriale 

Sono rimasto molto impressionato da 

quanto ha scritto recentemente il 

settimanale inglese “The Economist” in 

un rapporto speciale sul commercio elettronico. 

Cito dal giornale: “Se siete coinvolti 

in qualsiasi attività…Internet è in 

agguato, pronto a soffiarsi il vostro business. 

E se non siete pronti ad accettare i 

cambiamenti, a cannibalizzare la vostra 

forza vendita, a disintermediare i vostri 

intermediari, qualcun altro lo farà”. 

Come imprenditore sono sempre stato 

abituato a muovermi con prudenza, a 

valutare attentamente le opportunità, e 

nello stesso tempo ad agire rapidamente 

quando le condizioni 

lo richiedevano. 

Provo quindi un 

certo imbarazzo di 

fronte ai repentini 

cambiamenti di scenario 

che stanno avvenendonell’economia 

e nella società. 

Chi di noi solo una 

manciata di mesi fa 

avrebbe immaginato 

la portata, la profondità, l’ampiezza delle 

trasformazioni innescate da Internet? Improvvisamente 

tutti parlano di nuova economia. 

Le quotazioni di qualsiasi società 

legata, anche se in modo marginale, alla 

rete web sono salite a livelli considerati 

fuori mercato, illogici, irrazionali. Internet 

è divenuta una parola magica, capace di 

trasformare del piombo in oro. Si sprecano 

gli inviti alle imprese affinché cavalchino 

l’onda. Si sprecano anche gli annunci 

apocalittici come quello dell’Economist: 

non essere in Internet, non investire nel 

commercio elettronico, vorrebbe dire – secondo 

alcuni – ipotecare il proprio futuro. 

Protagonista di questa 

rivoluzione è il computer, 

l’informazione elettronica. 

Per le imprese, 

l’obbligo è sperimentare, 

investire in formazione, 

essere pronti a cogliere 

tutte le occasioni. 

Ma quanta verità c’è in tutto questo? Il 

saggio suggerirebbe di attendere, di sedersi 

ad aspettare che le cose si decantino, 

che l’agitazione cessi, per vedere cosa 

resta. Purtroppo non è questa la strategia 

giusta. Lo sappiamo e ce ne accorgiamo 

ogni giorno: il mondo intorno a 

noi sta cambiando, sta subendo una accelerazione 

fortissima. 

Addirittura si parla di una seconda rivoluzione 

industriale, solo che in questo 

caso alla base non c’è la macchina a vapore 

ma il computer, l’informazione elettronica 

distribuita dalle reti di telecomunicazione 

globali. Ritorniamo così alla 

domanda: cosa fare, 

come comportarsi? 

Conviene gettarsi 

nella mischia? O è 

meglio vedere quale 

comportamento 

adotteranno i concorrenti? 

Forse l’unica cosa 

certa in periodi come 

questi è tenere 

gli occhi bene aperti, 

e sperimentare, provare le nuove tecnologie, 

creare degli incubatoi aziendali 

dove fare esperienza. Imparare a cogliere 

gli effetti sull’intera organizzazione di 

Internet. E poi investire in formazione, 

avere un atteggiamento aperto, cogliere 

tutte le occasioni per capire, approfondire, 

confrontarsi. Ed infine avere la determinazione 

di prendere le decisioni necessarie, 

anche se ciò vorrà dire abbandonare 

modelli di “fare impresa” ai quali 

siamo abituati. 

Valentino Ziche 

Presidente Associazione industriali di Vicenza 

CORSIVO 

1

INDUSTRIA VICENTINA 

Pubblicazione promossa dal Comitato 

provinciale per la piccola 

industria dell’Associazione industriali 

della provincia di Vicenza. 

Direttore responsabile 

Stefano Pernigotti 

Caporedattore 

Stefano Tomasoni 

Hanno collaborato 

Ilvo Diamanti, Eros Maccioni, 

Anna Madron, Maurizio 

Mascarin 

Progetto grafico 

Patrizia Peruffo 

Stampa 

Tipografia Rumor S.p.A., 

Vicenza 

Pubblicità 

Oepi, Verona 

Editore 

Istituto promozionale 

per l’industria srl 

Piazza Castello, 3 - Vicenza 

Anno diciottesimo Numero 1. 

Marzo 2000 

Una copia L. 8.000. 

Registrazione Tribunale di 

Vicenza n. 431 del 23.2.1982 

Questo numero è stato stampato 

e diffuso in 4.900 copie. 

È vietata la riproduzione anche 

parziale di articoli e illustrazioni 

senza autorizzazione e senza 

citare la fonte. 

Archivio Associazione industriali 

pag. 16, 58, 59, 60; Archivio arch. 

Piero Scalcerle e Luca Bortoli 50, 

51, 52, 53; Archivio Arroweld Italia 

38 in basso; Archivio Bonotto 

39 in alto; Archivio Cantina Beato 

Bartolomeo da Breganze 37; Archivio 

Gemmo Impianti 44 in alto; 

Archivio Conceria Cristina 36; Archivio 

Consorzio Orowatch 14, 18, 

19, 20; Archivio Fibo 22,23; Archivio 

Gruppo Mastrotto 43; Archivio 

Lanificio Ferrarin 34, 35; Archivio 

Marelli Motori 38 a sin.; Archivio 

Socotherm 42; Archivio Sportswear 

International 40, 41; Archivio 

Superoro 44 in basso; Archivio 

Zonin 39 in basso; Hobby Foto, 

Malo 24, 25, 26, 28, 29, 30, 31, 

32, 33; “La Manovella”, rivista dell’Automotoclub 

storico italiano 54, 

55, 56; Rodolfo Paolo Rossi 5, 6, 8, 

9, 11, 12, 13; Volume “Dipinti e 

sculture del XIX secolo”, Marsilio 

Editore, 46, 47, 49. 

Copertina: Archivio Consorzio 

Orowatch.ruppo Mastrotto 

SOMMARIO 

CORSIVO 

1 La nuova rivoluzione 

di Valentino Ziche 

FOCUS 

5 Tutti casa e tecnologia 

Soddisfatti, ma anche insicuri. Meno arrabbiati 

con le istituzioni, ma più raccolti nella sfera 

familiare e immersi nelle nuove tecnologie, dal 

pc al cellulare alla tv digitale. Ecco come l’annuale 

rapporto di Ilvo Diamanti, voluto dall’Assindustria, 

dipinge i vicentini del duemila. 

di Ilvo Diamanti 

VICENZA PRODUCE 

14 Ore d’oro 

All’interno del settore orafo vicentino, c’è un 

gruppo di aziende che produce orologi. Non gli 

ingranaggi, ma tutto quello che serve a rendere 

prestigioso lo strumento che teniamo al polso 

per misurare il tempo. 

di Anna Madron 

ITINERARI INDUSTRIALI 

24 Il paese mascherato 

Il carnevale “più bello del Veneto”, l’abbondare 

di associazioni ed energie di volontariato sociale, 

culturale e sportivo, un tessuto di imprese 

giovane e vivace, una popolazione in continua 

crescita. E un grande scrittore da amare. 

Ecco Malo, un piccolo paese che punta su 

grandi obiettivi. 

di Stefano Tomasoni 

IMPRESE 

34 La lana nel sangue 

Il Lanificio Ferrarin di Thiene ha compiuto 

170 anni. Storia di un’azienda e di una famiglia 

che hanno segnato l’industria dell’Alto Vicentino. 

36 Mamma Cristina 

I trent’anni della Conceria Cristina, capostipite 

e punta di diamante del Gruppo Peretti di 

Montebello e Arzignano. 

37 Beato questo vino 

A cinquant’anni dalla nascita, la Cantina Beato 

Bartolomeo da Breganze produce ogni ora 

6.000 bottiglie di vino. 

38 Impresaflash 

PERSONAGGI 

40 La scommessa della vita 

Ambrogio Dalla Rovere: ha creato un’azienda 

che lavora per le grandi “griffe” della moda, 

ed è impegnato da anni nel mondo del sociale, 

in particolare per l’assistenza e il recupero dei 

tossicodipendenti. 

di Eros Maccioni 

GIRO DEL MONDO 

42 Permette questo tango? 

Ritorna il nostro viaggio alla scoperta dei “vicentini 

con la valigia”, che investono all’estero. 

Andiamo in Sudamerica, tra Brasile e Argentina, 

a caccia dei mercati più dinamici del 

cosiddetto “Mercosur”. 

di Maurizio Mascarin 

SOCIETÀ E CULTURA 

46 Ottocento ritrovato 

La mostra “Dipinti e sculture del XIX secolo” 

ha raccolto i capolavori conservati ai Musei 

Civici di Vicenza. Un patrimonio “nascosto” 

che è stato recuperato e valorizzato. 

50 Alla scoperta del trenino perduto 

Dalla fine dell’Ottocento agli anni Sessanta, 

tra Rocchette e Arsiero correva una delle ferrovie 

volute da Alessandro e Gaetano Rossi. Le 

tracce di quel trenino sono state ritrovate grazie 

ad un itinerario storico-naturalistico che ne 

ha riscoperto il percorso. 


54 Quattro ruote matrici 

Scoperta la prima automobile arrivata in Italia. 

Fu una Peugeot “due cavalli”, acquistata 

nel 1892 dall’imprenditore scledense Gaetano 

Rossi. 


RUBRICHE 

58 Assoflash 

62 Osservatorio

L’annuale 

rapporto sulla 

società vicentina, 

realizzato da 

Ilvo Diamanti 

per conto 

dell’Associazione, 

ci descrive 

soddisfatti, ma 

anche insicuri, 

meno arrabbiati 

con le istituzioni, 

ma più raccolti nel 

nostro “particolare”, 

nella nostra 

sfera familiare. 

E tutti in 

confidenza con le 

nuove tecnologie. 

Tutti casa 

e tecnologia 

Èil ritratto di una società che corre 

veloce e insicura, quello tratteggiato 

dal quinto Rapporto sulla Società 

vicentina, condotto da Poster per l’Associazione 

industriali. Una società che 

cambia di anno in anno. In modo rapido 

e profondo. E che riesce, comunque, 

a reggere, ad adeguarsi. Senza 

però avere il tempo di ripensarsi. Di 

comprendersi. Una società che, per 

questo, mostra accanto a molti segnali 

di novità e di innovazione, anche robusti 

elementi di frattura e di incertezza. 

Vale la pena di valutarli appieno, questi 

diversi aspetti. Gli uni e gli altri. Per 

evitare di scoprirci, fra pochi anni, sorpresi 

e incapaci di controllare le trasformazioni 

rapide che ci stanno attraversando. 

La società stabilizzata 

La società vicentina, dopo un lungo periodo 

di turbolenza, appare sostanzialmente 

stabilizzata. È finita l’epoca delle 

contrapposizioni e della sfiducia patologica 

nei confronti delle istituzioni, 

ma anche nei confronti di se stessa. Come 

si era chiaramente osservato già 

nella precedente edizione del rapporto, 

presentata l’anno scorso. La rabbia si è 

molto ridimensionata. La voglia di antagonismo 

ancor di più. La visione del 

futuro, così, appare ottimista. Anche se 

un po’ meno dell’anno scorso. I vicentini 

si pongono positivamente soprattutto 

rispetto agli aspetti economici: l’economia 

e il lavoro. Meno, molto meno, rispetto 

agli altri problemi. 

FOCUS 

5

FOCUS 

6 

Tuttavia, essi rivelano un alto grado di 

soddisfazione nei confronti del piccolo 

mondo che li circonda: della famiglia, 

degli amici, del lavoro. I cardini della 

società locale. Ma sembrano gratificati 

anche per quel che riguarda il loro tempo 

libero. Meno per quanto riguarda il 

reddito e il grado di impegno che riescono 

ad esprimere. Lo schermo del risentimento 

che impediva loro di vedere 

e di valutare correttamente ciò che effettivamente 

hanno realizzato e rag- 

giunto pare dissolto. Ed essi oggi si 

“rassegnano” a dichiararsi soddisfatti. 

Anche nei confronti delle istituzioni la 

rabbia è ampiamente sbollita. E il clima 

si presenta fiducioso. Secondo gli 

antichi schemi, ma con qualche novità. 

I vicentini, infatti, continuano a riconoscersi 

nel triangolo che unisce l’impresa, 

la Chiesa e l’Europa. Ma, al di sopra 

degli altri riferimenti, campeggia il Capo 

dello Stato, la figura di Ciampi. Che 

riflette una domanda di Stato che forse 

gli stessi vicentini non sospettavano. 

Una domanda che in passato non 

emergeva anche perché si rifletteva in 

soggetti che godevano di scarso credito 

sociale, nel Nordest. Ma che, evidentemente, 

era latente. Ciampi, sino ad oggi, 

l’ha resa visibile. 

Più limitato è il credito di cui godono 

altri organismi e altri enti. Finanziari: 

come le banche e la borsa; rappresentanze 

di categoria: i sindacati confederali. 

E inoltre la Magistratura. Tutti, 

comunque, su livelli che testimoniano 

un buon livello di consenso complessivo. 

Unica zona oscura: il Governo. Indice 

di continuità con il passato. Con 

l’opposizione del passato. Ma che oggi 

appare delimitato. Circoscritto. E non 

deborda in “sindrome complessiva”. 

Sempre più vulnerabili 

Ragionevolmente fiduciosi nelle prospettive 

dell’economia e del lavoro, 

soddisfatti della rete di riferimenti sociali 

in cui sono inseriti, positivamente 

orientati verso le istituzioni centrali del 

territorio, dello Stato e dell’Europa, i 

vicentini non sembrano però del tutto 

felici. Né, come diremo più avanti,

“tutti” felici. Fuori dal fortilizio dell’impresa 

e dell’economia, fuori dai 

luoghi della socialità minima, si sentono 

sempre più a rischio; sempre più 

vulnerabili. Perché ci si scopre immersi 

nella competizione e nell’instabilità, in 

un contesto che appare meno integrato, 

meno coeso. Esposti alle tensioni che 

provengono dall’esterno. Innescate, in 

una certa misura, dalle stesse ragioni 

dello sviluppo che Vicenza ha conosciuto 

in questi anni e da cui, in realtà, 

continua ad essere coinvolta. Si tratta 

di problemi che anche negli ultimi anni 

erano apparse evidenti. Ma che ora registrano 

una forte accelerazione. 

Il problema più urgente: 

la criminalità 

L’insicurezza, soprattutto. I vicentini 

non si sentono più sicuri. Per un terzo 

di loro il problema più urgente e sentito 

Una società stabilizzata, nella quale è finita 

l’epoca delle contrapposizioni e della sfiducia 

patologica nei confronti delle istituzioni. Una 

società soddisfatta: della famiglia, degli amici, 

del lavoro. Una società, però, che è anche divisa, 

in bilico tra soddisfazione economica e inquietudine 

sociale, tra la sicurezza degli affetti 

e delle relazioni strette e l’insicurezza di un 

ambiente di vita nel quale aumenta la criminalità. 

Una società tecnologica, che prende 

sempre più confidenza con i nuovi mezzi di comunicazione, 

e li usa di più all’interno delle 

pareti domestiche, rallentando la partecipazio- 

La società degli insicuri 

è la criminalità. E la loro previsione, per 

l’anno in corso, è che questo problema, 

assieme a quello della sicurezza personale, 

è destinato ad aggravarsi decisamente. 

Hanno paura, i vicentini. O meglio, 

non stanno più bene come un tempo, 

nel loro ambiente. Che sentono insicuro. 

E, in generale, poco amico. Poco 

“circolabile”. Visto che quasi il 30% di 

loro lamentano, tra le priorità da affrontare 

in provincia, la situazione scoraggiante 

delle strade e della viabilità. 

Soddisfatti e infelici. Una società di 

produttori insicuri. Che temono gli 

stessi fenomeni innescati dalla sua 

espansione economica. Come l’immigrazione. 

Necessaria allo sviluppo di 

un’economia che ha bisogno di mano 

d’opera. Di operai. In attività in cui i 

giovani vicentini, peraltro ormai in costante 

declino, non pensano più da 

molto tempo di impegnarsi. L’immigrazione 

che è percepita come una minac- 

ne alla vita sociale, all’associazionismo, alla 

“cerchia” degli amici al bar. 

Questa, in estrema sintesi, la società vicentina 

che emerge dall’annuale indagine condotta 

da Ilvo Diamanti e dall’Istituto di ricerca 

Poster per conto dell’Associazione industriali 

di Vicenza. 

È una società in continuo cambiamento, che 

anno dopo anno offre il termometro, proprio 

grazie al sondaggio di Diamanti, dei cambiamenti 

in atto non solo nel Vicentino, ma di 

conseguenza un po’ in tutto il Veneto e il Nordest. 

Una cartina di tornasole. 

7

cia da oltre un terzo dei cittadini. Il livello 

più elevato negli ultimi anni. Questa 

tendenza riflette valutazioni in parte 

fondate, perché l’ultima onda di immigrazione 

dai Balcani ha effettivamente 

“importato” molti problemi alla 

sicurezza delle persone. Ma, tuttavia, 

enfatizzate da un crescente dis-ancoramento 

dei cittadini dai riferimenti tradizionali. 

Dalle crescenti trasformazioni 

che attraversano la comunità. Tendenze 

comprensibili, che altrove sono avvenute 

da tempo, sulla spinta dello sviluppo 

economico e della secolarizzazione. Ma 

che qui appaiono, in quest’ultimo anno, 

particolarmente acute. 

Più tempo alla famiglia, 

meno alla società 

La prima trasformazione è rinvenibile 

nell’uso del tempo dei vicentini. Nei 

luoghi e nei modi che ne caratterizzano 

l’impiego e l’evoluzione. Si osserva, in 

tal senso, una sorta di spirale de-socializzante, 

che spinge sempre più le persone 

fuori dai centri della vita sociale e 

comunitaria, verso la solitudine o dentro 

alle cerchie protettive, della famiglia 

e degli amici. I vicentini, rispetto agli 

ultimi anni, dichiarano infatti di trascorrere 

molto più tempo in famiglia, 

da soli, davanti al computer di casa o 

alla tivù (che è poi la stessa cosa), con 

gli amici. Mentre quasi metà dichiara 

di passare molto meno tempo che in 

passato in associazioni di volontariato, 

ma anche in associazioni sportive. E 

meno ancora in piazza e nei bar. È il 

segno del declino dei modelli tradizionali 

di socialità, fondati sulla relazione 

associativa, sul territorio, sulla convivialità. 

E del parallelo affermarsi di 

modelli centrati sulla comunicazione ristretta 

e individuale. Ma anche del 

diffondersi di tendenze all’isolamento, 

alla particolarizzazione. 

Da qui il secondo processo, che attraversa 

Vicenza come altri contesti. Ma di 

cui ora è possibile cogliere appieno la 

portata. L’incidenza delle nuove tecnologie 

della comunicazione sulla vita 

quotidiana. Che appare fortissima. Nel 

70% delle famiglie dei vicentini si fa 

abitualmente uso del videoregistratore, 

nel 56% dell’impianto stereo hi-fi, nel 

54% del telefono cellulare. Inoltre il 

40% dei vicentini si serve abitualmente 

della carta di credito, il 30% del personal 

computer. Infine, l’11% di loro segnala 

la presenza, in casa, di antenna 

satellitare. Una famiglia su dieci. Niente 

male. 

Un segno ulteriore della velocità assunta 

dalle nuove tecnologie nella società 

locale è fornito dal fatto che gli stru-

menti che hanno registrato il maggiore 

incremento negli ultimi due anni sono 

quelli maggiormente coerenti con la 

new economy, con le nuove frontiere 

della comunicazione: i cellulari 

(+14%), il pc (+6%) e l’antenna satellitare 

(+3,5%). 

L’adattamento agli stili di vita 

Corre, la società vicentina. Abituata 

com’è a cogliere, in modo reattivo, tutte 

le innovazioni offerte dal mercato. A 

conferma della fine del modello centrato 

sulla continuità culturale e su una 

certa resistenza al cambiamento, su 

una certa propensione a “pensare tradizionale 

e agire moderno”, a far convivere 

il benessere economico con una 

mentalità parsimoniosa. Ora la società 

vicentina appare del tutto consapevole 

del livello di vita raggiunto; e agisce e 

“consuma” di conseguenza. Non solo, 

mostra un adattamento molto rapido ai 

modelli di comunicazione e agli stili di 

vita diffusi dalla globalizzazione e, più 

in generale, dalle trasformazioni dei 

mercati e della tecnologia. Con la conseguenza, 

però, che l’alveo che ha generato 

non solo questa società, ma anche 

il suo sviluppo, si sta sfaldando rapidamente. 

Abbiamo già indicato alcune delle conseguenze 

di questa mutazione, richiamando 

la crescita dell’inquietudine e 

dell’insicurezza. Un’altra ricaduta di 

questo processo è riassumibile nel disorientamento 

sociale, che si riflette nella 

domanda di identificare dei riferimenti 

certi, in cui riconoscersi. Cui attribuire 

responsabilità chiare. Il 71% dei vicentini 

intervistati, infatti, si dice d’accor- 

Rispetto al passato oggi quanto tempo trascorre: 

(valori in % riaggregati) 

Di più Lo stesso Di meno 

o molto di più % % o molto di meno % 

In famiglia 44,9 36,3 18,8 

Davanti al computer di casa 35,9 30,8 33,3 

Da solo 32,4 34,4 33,1 

Con gli amici 30,2 31,4 38,4 

Davanti alla TV 27,5 30,0 42,5 

In associazioni di impegno sociale 21,5 33,4 45,1 

In associazioni sportive/ricreative 21,5 24,9 53,6 

Al bar, in piazza 18,8 31,1 50,1 

Base (val. ass.) 800 

Fonte: Poster/Assindustriali Vicenza, febbraio 2000

FOCUS 

10 

do con l’affermazione: “C’è troppa confusione, 

ci vorrebbe un uomo forte a 

guidare il paese”. Tre-quattro anni fa 

questa affermazione era condivisa dal 

60% dei cittadini (come, peraltro, nel 

resto del paese). E il dato ci pareva 

molto alto. Ma oggi se ne dicono convinti 

molto più di tre persone su quattro. 

Che non attendono l’Uomo Forte. 

Ma persone autorevoli. Alla guida di 

istituzioni legittime e responsabili. In 

grado di assumere decisioni e di farle 

rispettare. 

Tra soddisfazione economica 

e inquietudine sociale 

È una società divisa, quella che appare 

dai dati di questa indagine. Una società 

in bilico tra soddisfazione economica e 

inquietudine sociale; tra sicurezza degli 

affetti e delle relazioni strette e insicurezza 

dell’ambiente di vita; tra potenziamento 

degli strumenti della comunicazione 

individuale e interpersonale, da 

un lato, e caduta della partecipazione, 

della convivialità. Una società dove si 

moltiplicano le antenne satellitari e i 

cellulari, ma anche le situazioni di solitudine. 

È una società divisa anche socialmente, 

perché queste tendenze non si riproducono 

in modo omogeneo. Ma tagliano 

in modo netto fra gli strati. Rispettando 

solo in parte le tradizionali distinzione 

di classe e di ceto. Visto che determinanti 

sono altre risorse, oltre a quelle 

del reddito: l’età e l’istruzione. In questa 

società dove il possesso e l’uso delle 

tecnologie della comunicazione è divenuta 

di importanza prioritaria dal punto 

di vista non solo “economico”, ma 

anche associativo e relazionale, la “povertà” 

investe soprattutto gli anziani e 

le persone con basso livello di istruzione. 

Che non solo possiedono e comprendono 

in misura molto limitata cellulari, 

satellitari, carte di credito e pc. 

Ma che sono anche le più sole, le più 

escluse dai circuiti della socialità, le più 

(comprensibilmente) pessimiste. Mentre 

è ancor più vero il contrario: le competenze 

tecnologiche e comunicative, la 

socialità, l’ottimismo si addensano tutti 

assieme sul polo dei più giovani e dei 

più istruiti. Non si tratta, peraltro, di 

Ora le illustrerò alcune opinioni molto attuali. 

Quanto si sente d’accordo con ciascuna di esse 

“C’è troppa confusione ci vorrebbe un Uomo Forte a guidare il paese” 

71 

(% di coloro che si sono detti Molto o Moltissimo d’accordo) 

Vicenza 2000 Vicenza 1997 Vicenza 1996 

Fonte: Poster/Assindustriali Vicenza, febbraio 2000 

60 60

una tendenza lineare, ma di una vera 

frattura, che divide i più giovani, compresi 

fra 15 e 25 anni, da tutti gli altri. 

Tra i quali i “pessimisti” verso il futuro 

sono il 21% (media della popolazione: 

30%), i soddisfatti del tempo libero il 

72% (media popolazione: 66%), degli 

amici il 94% (contro l’83% della popolazione), 

del reddito disponibile il 72% 

(contro il 58% della popolazione). Tra i 

quali, inoltre, il 30% usano abitualmente 

il personal computer (il doppio 

della media), il 77% il telefono cellulare 

(contro il 55% della media). E, soprattutto, 

il 26% di loro hanno cominciato 

a usarlo negli ultimi due anni: 

quasi il doppio della media. 

Il pianeta dei più giovani 

Questi giovanissimi, che passano sempre 

meno tempo in famiglia e da soli, 

ma molto di più con gli amici (57%) 

ma anche in piazza; e che, soprattutto, 

stazionano, in misura imparagonabile 

non solo ai loro nonni e ai loro genitori, 

ma anche ai loro fratelli maggiori, davanti 

al computer (50%, uno su due). 

Sembrano fare storia a sé. Portatori di 

stili di vita e di linguaggi altri. Appaiono 

pochi, demograficamente, ma ben 

attrezzati ad affrontare le logiche e le 

tecniche della comunicazione. Immersi 

in una serie di sfere protettive, cui affidano 

affetti e tutela. Ma proiettati a 

muoversi da soli. 

Può sembrare una storia che si ripete. 

E in parte lo è. Perché in questi decenni 

di innovazione e mutamento rapido, i 

“cambi d’epoca” sono stati molti. E 

tutti significativi. Hanno prodotto, ogni 

volta, discontinuità. La scolarizzazione 

di massa, l’avvento dei mass media, 

hanno determinato differenze sensibili 

nella società, Fra le classi. E fra le generazioni. 

Ma questa volta il caso appare 

diverso. Perché i linguaggi e le tecniche 

introdotti dalle nuove comunicazio- 

Ziche: “Un salto 

di qualità e civiltà” 

“Non è più tempo di stereo- 

tipi, per il Veneto – dice Ilvo 

Diamanti –. Non stiamo 

vivendo il periodo prima 

della rivoluzione, ma quel- 

lo successivo. Noi non sia- 

mo più quelli di quindici 

anni fa, e nessuno, nemme- 

no all’esterno, ci percepisce 

più come quelli del veneto 

rurale, come tontoloni bo- 

nari e ignoranti”. 

I riflettori puntati in questi 

anni sul Nordest hanno 

contribuito a disegnare un 

nuovo volto del Veneto. 

“La voglia di antagonismo 

si è stemperata – osserva 

Valentino Ziche, presidente 

dell’Associazione –. Quella 

che emerge è una società 

che ha finito di protestare e 

di urlare, e questo non tan- 

to per un atteggiamento di 

rassegnazione, quanto per 

un salto di qualità e di ci- 

viltà. C’è bisogno però che 

chi riceve il messaggio sia 

pronto a rispondere positi- 

vamente”.

FOCUS 

Quanto è soddisfatto dei seguenti 

aspetti della sua vita quotidiana? 

(% di coloro che provano molta o moltissima 

soddisfazione) 

Vicenza 2000 

Della famiglia 93,1 

Degli amici 83,4 

Del lavoro 80,8 

Del livello d’istruzione 72,8 

Del tempo libero 66,0 

Del reddito disponibile 58,5 

Dell’impegno sociale 56,6 


Qual è il problema più 

importante oggi in provincia? 

(dati in percentuale) 

Vicenza 2000 

Criminalità 31,7 

Strade e viabilità 28,9 

Disoccupazione 14,5 

Immigrazione 9,8 

Burocrazia 9,2 

Carenza di manodopera 3,5 

Competitività dei mercati 2,3 


30 

Atteggiamento complessivo verso il futuro 

Vicenza 2000 Vicenza 1998 Vicenza 1997 

27 

49 

39 

28 

pessimisti moderati ottimisti 


8 

31 

45 

43

ni registrano un grado di diffusione assolutamente 

divaricato. Amplissimo fra 

i giovani (tanto più se istruiti). Praticamente 

nullo fra i nonni. Molto limitato 

fra i genitori. Un divario accentuato, 

negli effetti, dalla velocità che sta assumendo 

l’impiego di queste nuove tecnologie 

comunicative: nell’economia, 

nel lavoro, nella vita quotidiana. 

Una società che corre divisa 

Questa distinzione generazionale ci da 

l’idea e la misura di una società che 

corre divisa. E che faticherà, più di un 

tempo, a trovare mediazioni. Perché riflette 

l’esistenza di modelli culturali, 

stili di vita, tipi di socialità e di comunicazione 

poco coerenti. Difficili da mediare. 

Tanto più da trasmettere. 

Da ciò il senso dei problemi che dovrà 

affrontare la società vicentina. Correre 

senza perdere la strada. Senza perdere i 

riferimenti per orientarsi. Per mantenere 

la comunicazione fra persone, gruppi 

e generazioni. Per non ritrovarsi globalizzata, 

ma spaesata nel suo ambiente e 

nel suo territorio. 

Ilvo Diamanti


14 

All’interno del 

settore orafo, c’è 

un nutrito gruppo 

di aziende che 

produce orologi. 

Non gli ingranaggi, 

peculiarità 

svizzera, ma tutto 

quello che serve 

per rendere unico 

e prestigioso lo 

strumento che 

teniamo al polso 

per misurare 

il tempo. 

Ore d’oro 

Sarà perché segna il trascorrere 

delle ore o perché, al contrario di 

un anello o una collana, tutti ne indossiamo 

uno. Sta di fatto che l’orologio 

ha un fascino tutto speciale che 

nasce dalle lancette che si muovono 

lente, a ricordarci che il tempo è prezioso, 

e che quello trascorso non torna 

più. L’orologio come compagno di 

vita quotidiana, dunque. Oggi più che 

mai, in un’epoca in cui anche i minuti 

contano e in cui il tempo per “fermarsi” 

è sempre più ridotto all’osso. 

Eppure con Vicenza l’orologio ha un 

rapporto un po’ speciale. Se non altro 

perché la città del Palladio è un 

vero e proprio polo per la produzione 

di casse e bracciali. Una tradizione 

che ha radici lontane e che, al pari 

della produzione orafa, è sempre sta-

ta sinonimo di qualità. È così per le 

aziende vicentine, con alcune delle quali 

abbiamo compiuto una sorta di viaggio 

nel mondo dell’orologio, per scoprirne la 

storia, la produzione, l’orizzonte di un 

mercato internazionale. Che parte proprio 

da Vicenza, con la fabbricazione di 

casse e bracciali, destinati poi ad essere 

completati con quello che è considerato il 

cuore pulsante di un orologio, vale a dire 

il movimento che la tradizione vuole 

svizzero (la maggior parte dei movimenti 

vengono prodotti dalla svizzera Eta). È 

solo a questo punto che l’orologio è pronto 

per essere grif- 

fato con i marchi 

più prestigiosi 

dell’orologeria 

mondiale, da Rolex 

a Cartier, da 

Longines a VacheronCostantin, 

solo per citarne 

alcuni. 

Dunque un percorso 

ben definito, 

in cui l’orologio 

muove i primi 

passi proprio 

partendo da Vicenza. 

Dove sono 

una quindicina le 

aziende, associate 

all’Assindustria, che alla tradizionale 

produzione orafa affiancano anche quella 

degli orologi (si contano invece sulle 

dita di una mano, quelle che producono 

esclusivamente orologi): Bettinardi 

(Longare), Fibo (Vicenza), Fope (Vicenza), 

Gold Enterprise (Vicenza), 

Imo (Vicenza), Menegatti (Vicenza), 

Miotti F.lli (Vicenza), Nova Rank Ex- 

port (Torri di Quartesolo), Orobase 

International (Torri di Quartesolo), 

Salin Giancarlo & F.lli (Longare), Signoretti 

(Vicenza), Superoro (Monticello 

Conte Otto), Torrigold (Torri di 

Quartesolo), Vior (Vicenza). 

Le lancette iniziano a girare 

nel Dopoguerra 

Per alcune di queste aziende, quella degli 

orologi è una storia lontana. La Fope, ad 

esempio, negli anni Quaranta è una delle 

aziende leader in Italia nella fabbricazione 

di cinturini 

Vicenza è un vero polo 

per la produzione 

di casse e bracciali in oro 

e argento per orologi. 

Conta una quindicina di 

aziende che producono 

questo oggetto così 

importante nello svolgersi 

della giornata. 

E ha dato vita ad un 

consorzio che tutela il marchio 

dell’orologio vicentino. 

estensibili per 

orologi. Una produzione 

che 

verrà poi sospesa 

per lasciare spazio 

a quell’oreficeria 

brevettata 

con cui la Fope 

ha conquistato il 

mercato a partire 

dagli anni Ottanta. 

E solo recentementel’azienda 

che fa capo a 

Umberto e Ines 

Cazzola ha “riscoperto” 

il fascino 

dell’orologio 

attraverso una linea battezzata “Lady 

Fope”, in cui casse e bracciali riprendono 

nella lavorazione quella maglia “Novecento” 

che ha determinato in tutto il 

mondo il successo dell’azienda vicentina. 

Ma a fare compagnia all’azienda dei 

Cazzola, nel 1954 a Vicenza nasce anche 

Salin, altra fabbrica storica per quanto 

riguarda gli orologi. Fondatore Romeo 

15


16 

Nella foto, 

la marcatura 

di un quadrante. 

Salin che nei primi anni Cinquanta decise 

di fare tesoro di quanto appreso alla 

Frov (fabbriche oreficerie riunite), e cominciò 

a dedicarsi alla fabbricazione di 

cinturini in oro per orologi. Un filone mai 

abbandonato tanto che oggi l’azienda ha 

un ruolo leader sul mercato per quanto 

riguarda la produzione di casse e cinturini 

che vengono prodotti per le marche di 

orologi più prestigiose. Ogni mese dall’azienda 

in cui lavorano anche i figli e i nipoti 

di Romeo Salin escono circa 2500 

pezzi destinati ad un mercato principalmente 

svizzero, ma che spazia anche negli 

Stati Uniti e in Giappone. 

La Svizzera resta comunque l’interlocu- 

tore principale delle aziende vicentine 

alle quali è riconosciuto un prodotto 

qualitativamente perfetto. Frutto anche 

di una tecnologia completa e aggiornata. 

“Si passa dal puro artigianato – spiega 

Silvana Trentin responsabile commerciale 

della Salin – in cui ogni singolo 

pezzo viene montato a mano, ai macchinari 

più sofisticati in grado di trasformare 

in pochi secondi una barra d’oro in 

centinaia di componenti che andranno 

poi a formare la struttura dell’orologio”. 

Che richiede lavorazioni tutt’altro che 

semplici a seconda del tipo di cassa o di 

cinturino. E forse per questo, anche, la 

concorrenza non si fa sentire troppo, co-

me invece accade per le aziende che producono 

oreficeria. 

Quello che è certo è che il rapporto tra le 

case svizzere e le aziende vicentine è consolidato 

e impostato sulla fiducia e sulla 

qualità del prodotto. “Ultimata la fase 

della lucidatura ogni singolo pezzo – fanno 

sapere alla Salin – viene controllato 

dai tecnici del reparto controllo qualità. 

Non sono ammessi segni, imperfezioni, 

sbavature. Il controllo è insomma capillare 

perché il prodotto deve essere perfetto”. 

Soprattutto nei punti più delicati, là 

dove, ad esempio, il cinturino incontra la 

cassa. Una giuntura che un tempo veniva 

risolta con paletti 

tubolari soppiantati 

oggi da attacchi su 

misura che devono 

risultare precisi al 

centesimo. 

Il tempo della 

burocrazia non 

è mai finito 

Orologi frutto di precisione, dunque. A 

partire dal movimento. Che nella maggior 

parte dei casi è al quarzo, come ricorda 

Giuseppe Corrado, presidente 

della sezione orafi e argenteri all’interno 

dell’Assindustria e titolare della Imo, 

azienda che conta trentadue anni di 

esperienza nella produzione di casse e 

bracciali in oro. 

“Il movimento meccanico – sottolinea 

Corrado – ha subito una flessione e viene 

montato quasi esclusivamente su orologi 

di alta gamma perché è considerato ancora 

il movimento per eccellenza. Ma 

non è mai preciso come quello al quarzo: 

basta pensare che ci sono orologi di gran- 

“L’attenzione va sempre 

più spesso ai materiali e 

all’originalità del design, 

in grado di rendere 

esclusivo anche l’oggetto 

più comune”. 

de marca che si prendono indietro di cinque 

minuti al mese proprio a causa del 

movimento meccanico”. 

Ma chi ama gli orologi non sembra curarsene 

troppo. Mentre l’attenzione va 

sempre più spesso ai materiali e all’originalità 

del design in grado di rendere 

esclusivo anche l’oggetto più comune. E 

in tema di materia prima, l’oro riesce ancora 

una volta a conquistare. “L’orologio 

d’oro è sempre molto amato – fa notare 

Corrado – anche se quest’anno la produzione 

risente dell’aumento repentino del 

prezzo del metallo giallo. È questa una 

fase di incertezza per l’industria orafa, 

dovuta anche al fatto 

che è venuto meno 

il monopolio dell’oro. 

Ma a pesare 

sulle aziende è soprattutto 

un eccesso 

di burocrazia che rischia 

di rivelarsi fatale. 

Se in Germania 

molte aziende chiudono 

i battenti per mancanza di fantasia, 

in Italia gli imprenditori sono impantanati 

in una sfilza infinita di leggi, tasse e 

passaggi burocratici che hanno come 

unico effetto quello di demotivare e rallentare 

non poco il lavoro”. 

La burocrazia danneggia, dunque, più 

delle crisi. Due, sostanzialmente, quelle 

che hanno pesato sul settore in modo 

consistente. Quella che si fece sentire nei 

primi anni Settanta, quando l’oro passò 

dalle 715 lire alle quasi duemila lire al 

grammo. E quella più recente, nei primi 

anni Novanta, legata ad una crisi congiunturale 

che mise in ginocchio il comparto 

orafo e rese ancora più statico un 

mercato interno già da tempo in crisi. 

17


18 

Burrasche superate, come ricordano alla 

Signoretti, che quanto a tradizione 

affonda le sue radici in un passato lontano. 

Per l’esattezza nel secondo dopoguerra 

quando a produrre oreficeria a 

Vicenza erano davvero pochi. “Fino agli 

anni Cinquanta l’azienda guidata prima 

da mio nonno e poi da mio padre – spiega 

Renata Signoretti – produceva catene, 

bracciali, collane: oggetti di oreficeria 

tradizionale che hanno rappresentato 

per tante aziende un cavallo di battaglia. 

Successivamente, agli inizi degli anni 

Sessanta, per differenziare la produzione, 

l’azienda ha voluto imboccare la 

strada degli orologi, producendo casse e 

bracciali per conto terzi”. All’inizio Signoretti 

produce per il marchio Lorenz, 

a cui nel giro di poco tempo si affiancano 

griffe del calibro di Rolex o Vacheron 

Costantin. Marchi prestigiosi che “com- 

pletano” con il movimento gli orologi in 

oro nati e forgiati a Vicenza. “E sui quali 

– continua Renata Signoretti – detta legge 

sempre la moda. Una volta un modello 

restava invariato anche per dieci anni, 

adesso cambiare ad ogni stagione è diventato 

un imperativo a cui non ci si 

può sottrarre”. Quanto alle tendenze, 

anche l’orologio varia a seconda delle 

destinazioni. In Europa le forme semplici 

e lineari sono le più apprezzate, nei 

mercati arabi i modelli si rimpiccioliscono 

e si coprono di pietre preziose come i 

diamanti, facendo della vistosità un requisito 

indispensabile. 

Orologio, eterno status symbol 

Sotto il segno della tradizione anche Fibo, 

azienda che nasce italo-svizzera una 

cinquantina d’anni fa e che si caratteriz-

za fin da subito per la produzione di 

bracciali per orologi. Attualmente l’azienda 

serve un mercato medio alto ed è 

presente in Italia con alcuni marchi prestigiosi, 

oltre che in tutta Europa, in Usa 

e Giappone. “È il movimento che rappresenta 

l’essenza dell’orologio – spiega 

Daniele Mantuano, responsabile commerciale 

della Fibo –. La cassa e il bracciale 

rappresentano la parte visibile e 

nella maggior parte dei casi a proporre lo 

stile è proprio l’Italia”. 

Le linee più attuali? Le cosiddette casse 

di forma, fanno sapere alla Fibo, vale a 

dire quelle rettangolari o quadrate. Mentre 

la forma tondeggiante è un po’ in ribasso. 

Al contrario del bracciale integrato 

che incontra i gusti dei consumatori. 

Si tratta cioè di orologi in cui la cassa 

continua il disegno del bracciale. “Il design 

evolve però molto velocemente – pre- 

cisa Mantuano – perché è soggetto ai dettami 

della moda. Quanto alle politiche di 

marketing, ci pensano i marchi; per 

quanto ci riguarda facciamo prodotti non 

identificabili”. 

È dunque il marchio a compiere la “magia” 

che trasforma un oggetto anonimo, 

anche se eseguito a regola d’arte, in qualcosa 

di ambito. E l’orologio, una volta 

griffato, diventa status simbol. “Sì, l’orologio 

fa ancora status – riprende Mantuano 

– altrimenti la Rolex non venderebbe 

più. Pensiamo poi ad aziende come 

la Sector che propone orologi in acciaio 

e punta la sua campagna promozionale 

sugli sport estremi”. 

La marca è insomma una sorta di calamita 

che attira anche il consumatore meno 

esperto in materia di orologi. “Si vende 

tutto quello che è pubblicizzato – afferma 

Giandomenico Bertoncello, tito- 

19


20 

lare di Orobase International, azienda 

orafa che destina appena il 4% della produzione 

agli orologi e che comunque 

ha accettato di far parte del 

consorzio Orowatch. Tutto è 

nato da un certo tipo di 

bracciale che l’azienda 

produce da alcuni 

anni e che si 

adatta bene anche 

come cinturino 

di orologio. 

“Abbiamo 

così iniziato a 

produrre 

una linea 

di orologi 

in oro da 

donna 

del 

pe- 

so di circa 20 grammi – spiega Bertoncello 

– con movimenti malesi e casse costruite 

da un’azienda di Brescia. Sono 

orologi di buona qualità e dal prezzo 

contenuto, ideali per chi desidera fare un 

regalo di classe senza spendere grandi cifre. 

Ma, ripeto, la nostra è una produzione 

limitata, ed esclusivamente di orologi 

da donna, che vendiamo bene soprattutto 

negli Stati Uniti e Panama”. 

Ma se quella degli orologi a Vicenza è 

una tradizione che ha cominciato a muovere 

i passi nel dopoguerra, c’è anche chi 

ha iniziato a produrre da poco. È il caso 

di Menegatti, azienda che produce articoli 

in argento, e che proprio dallo scorso 

anno ha intrapreso il cammino degli orologi. 

“Produciamo soltanto bracciali – 

spiega Ida Menegatti, responsabile del 

settore acquisti – mentre acquistiamo altrove 

la cassa e il movimento. Si tratta di 

bracciali naturalmente in argento e con 

una lavorazione speciale, a tubo ritorto, 

sui quali montiamo anche pietre naturali 

e semipreziose: topazi azzurri, citrini, 

granati. O ancora accostiamo all’argento 

motivi in oro giallo”. La neonata linea di 

casa Menegatti è stata battezzata “Il 

tempo” e comprende orologi dalle linee 

più diverse, alcune classiche altre più 

grintose. “Sono comunque orologi destinati 

ad una fascia medio alta di consumatori 

– riprende Ida Menegatti – il cui 

prezzo è abbastanza alto proprio perché 

all’argento si sposano le pietre e talvolta 

anche l’oro. In alcuni modelli, inoltre, 

l’argento del cinturino viene lavorato 

in maniera tale da sembrare un vero 

e proprio tessuto”. 

Per questa azienda che ha fatto 

dell’argento il fiore all’occhiello 

della sua produzione, la parola

Il consorzio che segna il tempo di Vicenza 

Un capitello palladiano sopra la scritta “Le 

temps de Vicence”. Il tempo si sposa con l’architettura 

nel logo che il consorzio Orowatch 

ha scelto per distinguere i propri orologi sul 

mercato. Orologi interamente fabbricati a Vicenza 

e che attraverso questo marchio esprimono 

quella qualità che ha sempre rappresentato 

il fiore all’occhiello della produzione di 

questa città. Un consorzio di tutela, dunque, 

quello fondato nel gennaio 1996 sotto l’egida 

dell’Associazione Industriali, a cui attualmente 

aderiscono otto aziende vicentine che producono 

casse e bracciali per orologi. 

Prima del ’96, a dire il vero, il marchio che veniva 

impresso sui quadranti degli orologi prodotti 

a Vicenza e non destinati alle griffe internazionali, 

era “Génève”. Non troppo gradito 

agli svizzeri, per la verità, per i quali si trattava 

di un marchio che rischiava di confondere il 

consumatore, convinto magari che l’orologio in 

questione fosse interamente svizzero. Ma c’è di 

più. Un accordo sottoscritto a Madrid vieta di 

etichettare un orologio come svizzero se il 75% 

del suo valore non viene realizzato in Svizzera. 

E dal momento che l’orologio “Génève” veniva 

prodotto per tre quarti del suo valore in Italia il 

marchio risultava “illegale”. È così che “Génève” 

è stato sostituito da “Le temps de Vicence”, 

marchio che ha spazzato via ogni ambiguità, 

riportando chiarezza tra le parti in causa. 

“L’obiettivo del Consorzio – spiega il presidente 

Agostino Roverato, titolare della Vior – è quello 

della promozione e della valorizzazione del prodotto 

dell’industria orafa vicentina, con particolare 

riferimento agli orologi, sia in Italia che 

all’estero, attraverso la gestione di un marchio 

collettivo di qualità”. Che viene sponsorizzato 

nei principali appuntamenti fieristici internazionali 

e che è diventato sinonimo di creatività, 

fantasia e qualità. Oltre che di un rapporto ottimale 

qualità-prezzo. “I nostri orologi non vengono 

venduti a prezzi stellari – continua Roverato 

– ma offrono la stessa garanzia di qualità 

di un orologio di gran marca”. Vale a dire lavorazioni 

accurate, scrupolosa scelta dei materiali, 

controlli finali severi e attenti. 

Il marchio “Le temps de Vicence” consente 

dunque di riconoscere orologi costruiti a regola 

d’arte, che offrono, oltre alla qualità, anche un 

design al passo con le ultime tendenze della 

moda. “I modelli – spiega il presidente di 

Orowatch – vengono rinnovati di anno in anno 

a seconda dei più aggiornati dettami della moda. 

Denominatore comune resta il metallo prezioso: 

l’oro. Che si offre in lavorazioni sofisticate 

oppure in bracciali lineari ed estremamente 

semplici, si copre di brillanti o si affianca ai 

cinturini in pelle nei modelli più sportivi come i 

cronografi”. Attenzione al design, dunque, in 

questi orologi che rappresentano la quintessenza 

della qualità made in Vicenza e che, fin 

dall’inizio, sono stati accolti con favore dalla 

clientela. Del resto l’orologio ha un fascino tutto 

suo, che lo differenzia da un qualsiasi prodotto 

di oreficeria. “Ha sempre rappresentato 

il regalo per eccellenza nelle occasioni più importanti 

della vita – fa notare Agostino Roverato 

– e gli orologi prodotti dalle aziende che 

aderiscono a Orowatch offrono al consumatore 

tre garanzie: qualità, design e prezzo”. Requisiti 

non da poco in un mercato sempre più 

bombardato da offerte di ogni tipo e in cui 

spesso la moda con i suoi comandamenti effimeri 

ha la meglio sulla qualità. 

21

In queste pagine, 

la lavorazione di 

bracciali d’orologio, 

una delle specialità 

delle aziende vicentine 

che lavorano 

in questo comparto. 

d’ordine è rinnovarsi. “Sul fronte della 

modellistica – dicono in azienda – evoluzione 

e cambiamento sono requisiti fondamentali. 

E questo vale soprattutto per 

l’argento, perché l’oreficeria, pur rinnovandosi, 

può ancora concedersi qualche 

pausa in tema di design. Per quanto ci riguarda 

invece ogni mese siamo costretti 

a proporre linee nuove che seguano le ultime 

tendenze della moda. È una regola 

precisa a cui non ci si può sottrarre se si 

vuole essere competitivi sul mercato”. 

Tra lo schizzo e il prototipo 

c’è di mezzo il computer 

E che la moda non si possa perdere di vista 

lo confermano anche alla Superoro, 

azienda che pur producendo il 75% di 

oreficeria ha privilegiato anche il settore 

degli orologi. In che modo? Accanto alla 

produzione per conto terzi (per marchi 

del calibro di Longines, Movado, Ray- 

mond Weill), l’azienda ha lanciato anche 

un proprio orologio, griffato Superoro, e 

frutto di esperienza, personale qualificato, 

investimenti consistenti nella più sofisticata 

tecnologia. Tutto questo ha permesso 

all’azienda vicentina di proporre sul mercato 

un orologio che non ha nulla da invidiare 

a quelli delle grandi marche. “Abbiamo 

voluto proporre qualcosa di originale 

da affiancare alla tradizionale, e collaudata, 

produzione per conto terzi. Lanciare 

un marchio non è facile – afferma 

Andrea Ruzza, responsabile del settore 

orologi della Superoro – soprattutto in 

Italia dove la gente non porta un orologio 

se non è di marca. E diversamente da 

quanto accade all’estero dove vendiamo 

invece perché l’orologio piace e il rapporto 

qualità prezzo è giudicato buono. Ma ci 

stiamo rendendo conto che se il prodotto 

è valido, non serve battagliare per imporlo 

sul mercato”. Come dire che di fronte 

ad un orologio che coniuga alta qualità,

garanzia e un servizio post vendita efficiente, 

il consumatore non ha bisogno di 

essere convinto da fiumi di parole. 

Del resto la qualità è supportata anche 

da una tecnologia che negli ultimi anni 

ha fatto passi da gigante. Non tutti sanno, 

ad esempio, che un orologio, come 

del resto molti oggetti di oreficeria, nasce 

al computer. Grazie al Cad – cam (Computer 

aided design manufactory) è possibile 

infatti disegnare al computer l’orologio 

nei minimi dettagli, ottenendo un 

modello tridimensionale che può essere 

modificato in qualsiasi momento. Non 

solo. Il software impiegato è collegato ad 

una macchina munita di tornio dalla 

quale esce il modello a cera dell’orologio, 

così come è stato disegnato sullo schermo 

del computer. Questo consente di sviluppare 

l’idea del cliente, che spesso è soltanto 

uno schizzo sulla carta, ma anche 

di “correggere” strada facendo eventuali 

imperfezioni e difetti. Una tecnologia, 

questa, altamente avanzata, che si alterna 

a fasi di lavorazione squisitamente artigianali, 

in cui la mano dell’uomo rappresenta 

ancora uno strumento prezioso. 

E dai prototipi che escono dal Cad-cam a 

Internet. “Che nel nostro settore si rivela 

utile sostanzialmente per comunicare tra 

aziende – fa notare Giuseppe Corrado – 

un tempo eravamo costretti a viaggiare 

per mostrare i modelli degli orologi ai 

clienti. Oggi tutto questo è solo un ricordo 

e il dialogo avviene in tempo reale, 

senza inutili lungaggini. Utilizzare però 

la Rete per l’e-commerce è impensabile 

nel nostro caso, perché vendiamo prodotti 

che non sono finiti. Al di là del fatto 

che in Europa, diversamente dagli Stati 

Uniti, l’orologio è ancora considerato un 

articolo da acquistare in negozio”. Vedere, 

toccare e magari provare è, almeno 

per ora, meglio che cliccare. 

Anna Madron 

23


24 

Il carnevale, 

la forza 

del volontariato, 

un tessuto 

di imprese 

dinamiche, 

una popolazione 

in crescita. 

Ecco Malo, 

un piccolo paese 

che punta su 

grandi obiettivi. 

Il paese mascherato 

La facciona rubizza e sorridente 

di un pagliaccio, col naso rosso 

a palla e la parrucca gialla arruffata. 

Eccolo, il vero simbolo di Malo. 

La maschera del “Ciaci”, l’amato 

personaggio che apre le sfilate dei 

carri allegorici, quand’è Carnevale. 

Altrove i simboli cittadini sono decisamente 

più austeri: la statua di 

un tessitore nella vicina Schio, la 

Basilica Palladiana a Vicenza, il 

ponte degli alpini a Bassano. A Ma-

lo no, niente monumenti o edifici storici: 

qui hanno “el Ciaci”. Lo tirano 

fuori tre volte l’anno, appunto per 

Carnevale, e poi arrivederci alla volta 

prossima. Un simbolo seminascosto, 

dunque, ma ormai presente nell’immaginario 

collettivo quasi quanto un 

vero e proprio monumento in mezzo 

alla piazza principale. 

All’ingresso del territorio comunale, del 

resto, sotto il cartello con il nome del 

paese, ce n’è un altro che mette subito 

in chiaro qual è l’orgoglio della gente 

del posto: “Il più bel carnevale del Veneto”. 

Un forestiero, passando, potrebbe 

pensare che qualcuno si sia montato 

la testa, dimenticando quantomeno Venezia. 

Ma non è così: qui quando parlano 

di carnevale, intendono la sfilata dei 

carri, e da questo punto di vista è vero 

che Malo batte tutti, e che può fregiarsi 

di una tradizione storica secolare. 

Chissà se c’entra anche questa vocazione 

al divertimento mascherato nel fatto 

che all’anagrafe di Malo figurano qualcosa 

come 185 persone residenti in 

realtà in Brasile, gran patria del carnevale 

più bello del mondo: quasi duecento 

persone i cui avi sono partiti da 

Malo, e che vogliono mantenere il legame 

con l’Italia, il senso delle origini. 

Il carnevale, comunque, è solo uno degli 

indicatori utili a capire la particolarità 

di questo paese di dodicimila anime. 

Ce ne sono anche altri. Ad esempio, 

il grande abbondare di iniziative 

associazionistiche, di tutti i tipi. Sociali, 

sportive, culturali. L’esistenza di tre 

musei. La nascita e la crescita di un’industria 

che è diventata la numero uno 

al mondo nella produzione di vasi in 

terracotta e che fino all’anno scorso è 

stata di proprietà di un azionariato diffuso 

composto da una quarantina di 

famiglie, molte delle quali di Malo. 

L’affetto con il quale i maladensi pensano 

e trattano il proprio concittadino 

più illustre, lo scrittore Luigi Meneghello, 

che ha trascorso gran parte della 

sua vita lontano, in Inghilterra, che 

ha casa a Thiene, ma che con Malo 

mantiene rapporti stretti e caldi, come 

non può che fare chi ha dedicato alla 

sua gente buona parte della propria 

produzione letteraria. 

Sorpresa: la popolazione 

continua ad aumentare 

Non stupisce più di tanto, a questo 

punto, scoprire che Malo negli anni 

Novanta ha mantenuto una tendenza 

di crescita demografica costante, intor- 

Le immagini 

che accompagnano 

questo articolo sono 

dello studio fotografico 

Hobby Foto di Malo. 

In, apertura, 

un particolare 

di un carro mascherato 

al Carnevale di Malo 

di quest’anno. 

Qui sopra, 

panorama di San Tomio 

dalle colline. 

25


26 

Bandiere al vento 

(d’Italia, del Veneto e 

del comune di Malo) 

sulla facciata 

del Municipio. 

no all’1%, passando dagli 11.200 abitanti 

del ‘91 ai 12.160 di fine febbraio 

2000. Mille anime in più in dieci anni, 

l’8% del totale, non è davvero poco, 

oggi che siamo ormai abituati alla crescita 

zero e al fatto che i modesti incrementi 

di abitanti siano dovuti quasi 

soltanto all’arrivo degli immigrati. Malo, 

invece, cresce di suo, e non poco, 

grazie ad una percentuale ancora incoraggiante 

di nascite. 

“C’è sempre stato un trend positivo, 

sotto questo profilo – osserva il sindaco, 

Gildo Zaccaria – Non solo negli 

anni Sessanta, con il boom demografico 

nazionale, ma anche negli anni Settanta 

e poi oltre. Fino ad oggi, siamo 

sempre andati in positivo nel numero 

delle nascite rispetto al numero delle 

morti. Come mai? Forse perché questo 

è un paese con una buona qualità del- 

la vita: non è né piccolo né grande, 

non è distante da centri di maggiori 

dimensioni, come Schio e Thiene, ha 

servizi propri, sia sportivi che culturali, 

ha una buona dotazione di verde 

pubblico”. 

La percentuale della popolazione attiva 

supera il 50%, dalla seconda metà degli 

anni Novanta ad oggi si sono creati 

nuovi insediamenti abitativi, grazie soprattutto 

a tredici nuove aree di edilizia 

pubblica residenziale e ad alcune lottizzazioni 

private. Le case non mancano, 

insomma, e le stime dicono che nei 

prossimi dieci anni l’offerta abitativa 

esistente potrebbe portare a Malo altre 

duemila persone. Un nuovo boom annunciato. 

Intanto, arrivano anche gli 

stranieri, che lavorano per lo più nelle 

aziende della zona: oggi sono circa 

quattrocento.

La frammentazione 

delle aree produttive 

E se cresce nel numero degli 

abitanti, Malo non si tiene indietro 

neanche quanto a struttura 

produttiva. Negli ultimi 

quindici-vent’anni le aziende 

presenti in territorio maladense 

non hanno fatto che aumentare, 

insediandosi nelle due zone 

industriali esistenti, una a 

sud e l’altra a nord. Ora, 

dopo diversi anni, si è 

sbloccata la quarta zona 

industriale, in zona Pisa: 

circa duecentomila metri 

quadrati. In totale, la superficie 

oggi dedicata agli 

insediamenti produttivi arriva 

a un milione e 700 mila 

metri quadrati, raggiungendo 

i due milioni con 

l’aggiunta di piccole aree 

sparse precedenti all’individuazione 

delle due zone industriali. 

E due milioni di metri 

quadrati corrispondono circa 

alla metà della grande zona industriale 

di Schio. 

I duecentomila metri quadrati 

di area in zona Pisa, però, sono 

gli ultimi disponibili, poi lo spazio 

per la produzione all’interno 

del territorio di Malo sarà pressoché 

esaurito. Un problema che 

si presenterà in futuro, dunque, 

sarà quello della difficoltà fisica 

di realizzare in loco nuovi insediamenti 

produttive: siamo indubbiamente 

arrivati ad un passo 

dal saturamento. 

Sono davvero cambiate le cose, 

da quando pochi decenni fa l’economia 

locale era basata, agricoltura 

a parte, sulla produzione 

delle filande e delle fornaci. 

Grossomodo fino all’ultima 

guerra mondiale, Malo era specializzata 

nella filatura della seta. 

Poi la produzione serica è 

andata spegnendosi, anche piut- 

A Malo si è insediato 

un tessuto produttivo 

dinamico e sfaccettato. 

Caratteristiche proprie 

di tutta la società maladense, 

dove è straordinariamente 

ricco il mondo 

dell’associazionismo sociale, 

culturale e sportivo. 

tosto velocemente, e le filande 

sono scomparse. È rimasta invece 

l’attività legata al laterizio, e 

ha preso nuove strade, e oggi 

questo settore occupa, tra vasi 

di terracotta e tutto l’indotto 

delle fornaci, qualcosa come 

milleduecento addetti. Nel frattempo 

a Malo, come in tutto 

l’Alto Vicentino, accanto al laterizio 

e ad una non indifferente 

presenza dell’abbigliamento, ha 

preso il sopravvento la metalmeccanica, 

settore diffuso a 

macchia di leopardo e presente 

con attività tecnologicamente 

avanzate. Tutto ciò senza perde- 

re di vista il legame con quella 

che, anche qui, è la tradizione 

produttiva di partenza della 

gente del posto, quella legata alla 

terra. 

“Malo riesce a coniugare le sue 

attività industriali e artigianali 

con l’attività agricola, che è ancora 

abbastanza presente e conserva 

un suo discreto peso – rileva 

Franco Masello, amministratore 

delegato della 

Deroma – Va detto, peraltro, 

che il paese avrebbe 

potuto svilupparsi in misura 

anche maggiore, se in 

passato si fosse creduto di 

più nelle sue possibilità. C’è 

stato invece un certo ritardo. 

La prima zona industriale 

si è sviluppata lungo 

la statale, offrendo spazi limitati 

all’insediamento produttivo. 

E poi anche nelle 

frazioni limitrofe, a Molina 

e a San Tomio, sono state realizzate 

piccole aree industriali e artigianali. 

Negli anni Ottanta si 

sono perse alcune opportunità 

di razionalizzazione delle aree 

produttive e, non avendo previsto 

interventi tempestivi, molte 

aziende di Malo sono andate ad 

insediarsi in altri comuni vicini, 

come Schio e Thiene, dove in 

quello stesso periodo venivano 

compiute scelte importanti. 

Adesso, questa frammentazione 

in micro-aree industriali si sta 

facendo sentire in termini di 

viabilità e non consente un’ottimale 

concentrazione di servizi”. 

27


28 

A sinistra, 

uno scorcio 

tra paesaggio e arte, 

con la chiesa di 

Santa Libera sul fondo. 

A destra, 

un angolo 

del centro storico. 

Nell’altra pagina, 

un panorama 

di Malo dall’alto 

e il suggestivo viale 

con i capitelli 

della via crucis 

che porta alla chiesa 

di Santa Libera. 

Tante associazioni e una 

fondazione per curare i bambini 

Un tessuto produttivo non concentrato 

in un’unica area, dunque, ma di certo 

molto dinamico. Così come dinamico e 

sfaccettato è il mondo che ruota intorno 

all’associazionismo e all’impegno della 

gente negli ambiti extraprivati. 

“I maladensi sono persone attaccate ai 

valori del territorio e al loro paese – osserva 

Giovanni Zaltron, direttore operazioni 

della Sperotto Rimar, una delle 

maggiori aziende del posto, produttrice 

di macchinari per finissaggio tessile, 

140 dipendenti e un indotto in paese di 

un’altra trentina di persone –. È gente 

legata alla civiltà contadina e quindi 

gente che si dà molto da fare, anche al 

di fuori degli ambiti tradizionali delle 

famiglia e del lavoro. Non ce n’è uno, 

qui, che non abbia qualche interesse 

esterno al lavoro, soprattutto nel volontariato. 

Direi che i maladensi sono persone 

abituate a perseguire i loro obiettivi, 

con costanza e tenacia, ma senza 

battere la grancassa”. 

“Questo è un paese che si caratterizza 

per il suo attivismo – conferma Masello 

– In termini di associazionismo, innanzitutto: 

basti pensare che qui ci sono più 

di ottanta associazioni, e per le dimensioni 

del comune è davvero tanto. Il risultato 

è che per dare una sede a tutte 

queste associazioni, l’amministrazione 

ha messo a disposizione un intero palazzo 

in centro, le ex scuole medie. Ci sono 

circa tremila persone che fanno parte di 

gruppi sportivi e praticano qualche 

sport. E per rimanere in tema, guardiamo 

al calcio: Malo ha sempre avuto una 

squadra di un certo rilievo, più vitale di 

altre di città più grandi, e penso a 

Schio. Il Club alpino locale ha oltre sei-

cento soci, perché molti sono iscritti alla 

sezione Cai di Malo pur abitando nei 

paesi vicini. Anche questi sono segnali 

di vitalità. E va ricordato che in paese 

sono aperti tre musei: quello dedicato 

all’industria della seta e del laterizio, attività 

storicamente molto diffuse in zona; 

poi il museo della civiltà rurale e infine 

il museo di arte contemporanea 

‘Casabianca’. E poi naturalmente c’è il 

carnevale, realizzato tradizionalmente 

dalla Pro loco, che è molto attiva”. 

Un posto a parte, in questo panorama 

di energie positive, va riservato alla 

Fondazione “Città della speranza”, che 

in pochi anni di vita ha già acquistato 

grande notorietà per l’impegno profuso 

e i risultati concreti ottenuti a supporto 

di chi si occupa della cura delle malattie 

maligne nei bambini. La Fondazione è 

nata proprio su iniziativa di un gruppo 

di aziende di Malo, e su idea proprio di 

Franco Masello. Attraverso l’organizzazione 

di eventi di sport e di spettacolo e 

azioni di sensibilizzazione di vario genere 

si è riusciti a finanziare l’ampliamento 

della 2° clinica oncoematologica pediatrica 

e del centro leucemie infantili di 

Padova. Una struttura unica nel Veneto. 

“La Fondazione è nata da alcuni imprenditori 

di Malo, e il paese l’ha subito 

fatta sua – dice Masello – Ora, quando 

si arriva qui c’è un cartello che dice 

‘Malo, città della speranza’. Questa è 

una comunità che si appropria degli 

spiriti associativi che la animano”. 

Tra realismo e capacità 

di puntare ai risultati 

C’è un grande fervore generale, insomma. 

Questo effettivamente lo si coglie, 

parlando con la gente. Poca voglia di 

“tirar su” polemiche, e consapevolezza 

della necessità di “fare la cosa giusta”. 

Prendiamo la questione dell’ospedale, 

ad esempio. Per anni s’è andato dicendo 

che l’Alto Vicentino non avrebbe potuto 

più permettersi a lungo tre ospedali 

nel giro di pochi chilometri: a Schio, 

a Thiene e a Malo. Quando è stato 

chiaro che a soccombere non poteva 

che essere quello di Malo, qualcuno ha 

masticato amaro, ma poi la cosa è stata 

accettata senza troppi problemi. “L’o- 

29


30 

Alcuni momenti 

della tradizionale sfilata 

di carri mascherati, 

per i quali Malo è famosa. 

A pagina 31, in alto, 

il “Ciaci”, simbolo del 

Carnevale maladense. 

spedale di Malo è stato uno dei primi, 

se non il primo in assoluto, ad essere 

chiuso nel Veneto, con il consenso dei 

cittadini, che hanno creduto nel fatto 

che la concentrazione delle strutture sanitarie 

vada a favore del servizio reso al 

cittadino” osserva Masello. 

“La comunità, anziché chiudersi in se 

stessa piangendo per il maltolto, ha 

pensato a riconvertire l’ospedale, che 

ora è diventato una residenza sanitaria 

assistita, con il contributo regionale – 

spiega il sindaco Zaccaria – Ospiterà 

centoventi persone, più trenta anziani 

dell’adiacente casa di riposo”. 

Rimboccarsi le maniche, farsi carico in 

prima persona di ciò che occorre fare. 

Altro esempio: la formazione professionale, 

esigenza sempre più sentita dalle 

aziende. Là dove non arrivano scuole 

pubbliche e private, ci sono aziende che 

si muovono per conto proprio. Un caso 

pilota è proprio quello della Sperotto 

Rimar. “Abbiamo avviato da anni un’e- 

sperienza interna di qualificazione dei 

nostri saldatori – spiega Zaltron – Realizziamo 

corsi interni di saldatura e collaboriamo 

con gli istituti tecnici superiori 

per attività di stage e per corsi di 

formazione integrata post-diploma”. 

Fantasia e ingegno 

alla pari con Viareggio 

L’impressione è che Malo abbia chiaro 

il senso del limite, ma anche il quadro 

delle proprie potenzialità. È come se si 

stesse ritagliando spazi di qualità della 

vita senza pensare di perdere tempo in 

inutili competizioni con centri più 

grandi e più forti, i soliti Schio e Thiene. 

Coltiva i suoi punti di forza, là dove 

può risultare vincente. Sembra una 

strategia scontata, ma non lo è. Non 

per tutti. 

Ecco, allora, dove va a parare la tradizione 

del carnevale. Il “più bel carnevale 

del Veneto”. Un’autocertificazione,

d’accordo, ma non un’iperbole. Quanto 

a carri mascherati, a patrimonio di 

creatività e soluzioni ingegneristiche, 

non c’è sfilata che tenga 

il passo con quella maladense. 

La qualità e la fantasia fanno 

concorrenza anche a Viareggio; 

la differenza sostanziale sta nel 

fatto che a Malo i carri devono sfilare 

lungo una via ben più stretta 

del vialone di Viareggio, e quindi 

non ci si può permettere di costruire 

giganti di cartapesta dai 

movimenti ampi e articolati come 

quelli della cittadina toscana. 

Il “Ciaci” ormai è nella storia. Nel 

1870, ad unità d’Italia ancora fresca, 

il Comune di Malo aveva già 

istituito un “assessore al carnevale”. 

Che è tutto dire. La tradizione 

della sfilata annuale risale invece 

al 1924. Quasi ottant’anni. Un 

tempo più che sufficiente per creare 

una cultura dei maestri carristi, 

31


32 

La chiesa di San 

Bernardino, 

ora sconsacrata e sede 

del consiglio comunale. 


veduta di Malo 

con al centro il Duomo. 

che si tramanda di generazione in generazione. 

C’è gente che ha costruito 

decine di carri. Uno di questi personaggi, 

tra i più famosi, è Albino Panizzon: 

durante l’anno fa l’imbianchino e nel 

tempo libero pensa al carro da presentare 

al carnevale che verrà. Vent’anni 

fa i Panizzon erano cinque-sei fratelli, 

tutti maestri carristi. Oggi, Albino con 

una mano continua a costruire carri e 

con l’altra pensa a preparare la nuova 

generazione. È soltanto un esempio, 

abbastanza tipico, dei “piccoli maestri” 

che a Malo ruotano intorno al mondo 

del carnevale. 

Conservare i valori della Malo 

di Meneghello 

Ma i carri allegorici, in fondo, con il loro 

proporre ogni anno una tradizione di 

manualità applicata alla satira politica 

e di costume del momento, sono anche 

carri simbolici: rappresentano la voglia 

che i maladensi hanno di guardare 

avanti e pensare al futuro, conservando 

nel contempo i valori di chi ci ha preceduto 

e le tradizioni sulle quali le generazioni 

di oggi si sono innestate. Cosa 

resta, dunque, della Malo raccontata 

dai libri di Luigi Meneghello? 

“Restano le tradizioni – risponde Masello 

– I musei non sono nati per caso, 

ma per la necessità sentita di non dimenticare 

il passato. Malo è un paese 

dove ancora ci si conosce, dove nessuno 

è estraneo, dove anche l’immigrato riesce 

ad integrarsi, non ci sono i quartieri 

dormitorio”. 

E a Meneghello Malo è molto attaccata. 

L’ultima dimostrazione arriva dalla 

nascita di un’associazione culturale, 

che si è data il nome di “Atoz” (sta 

per “dalla A alla Z” in inglese): si 

tratta di un gruppo di studenti e giovani 

neolaureati che ha messo al centro 

della propria attività la ricerca dei 

valori e delle tradizioni del paese e in 

questa chiave sta offrendo una lettura 

diversa dei temi, degli scritti e della 

cultura di Meneghello. 

Un ponte vivente tra ieri, oggi e domani, 

dunque, questa Malo? Forse sì. Le-

gittimo chiedersi, a questo punto, che 

paese sarà la Malo del 2010, e oltre. 

“Un paese più raggruppato, sia dal 

punto di vista delle abitazioni che dei 

servizi – risponde Zaccaria – Un paese 

con una gerarchia delle strade diversa 

da quella attuale. Oggi ci sono strade 

comunali, provinciali e statali che si 

intersecano una con l’altra, mentre in 

futuro le cose dovranno essere diverse: 

in mezzo alle abitazioni devono passare 

soltanto strade di collegamento interno, 

mentre le strade di attraversamento 

devono stare al di fuori del centro 

abitato”. 

In questa ottica va visto il progetto viario 

della “bretella di Molina”, sostenuto 

di concerto con i Comuni di Thiene e 

Marano e con la Provincia, per togliere 

una parte della viabilità pesante alla 

frazione di Molina, che oggi sopporta 

un traffico composto per più di un terzo 

da mezzi pesanti. 

E poi c’è la questione della statale 46, 

che con il suo flusso incessante di veicoli 

sta diventando una barriera fisica 

che taglia in due il comune. Negli anni 

Sessanta, la realizzazione della piccola 

circonvallazione che va verso Priabona 

fu una scelta oculata per distogliere 

traffico dal centro abitato. Oggi ci si 

trova di fronte ad una necessità analoga: 

riportare nuovamente la viabilità 

all’esterno. Con una variante alla statale. 

Il progetto esiste già, per una bretella 

che dovrebbe passare sul retro dell’attuale 

zona industriale, a cinquecento 

metri dalla strada attuale, verso Villaverla-Thiene. 

Meno viabilità che separa, dunque, e 

più viabilità di servizio. Più qualità della 

vita, in definitiva. Malo, come qualsiasi 

altro paese o città, sarà quello che 

i maladensi ne faranno. 

Stefano Tomasoni 

33

IMPRESE 

34 

Lanificio Ferrarin. 

Sono 170 

gli anni della 

storica azienda 

thienese, 

fondata nel 1830 

da Angelo e 

Giuseppe Ferrarin. 

Oggi, con 

250 dipendenti, 

si producono 

2 milioni e 

400 mila metri 

di tessuto l’anno. 

Tutto destinato 

all’abbigliamento 

femminile. 

La lana 

nel sangue 

Il 2000, per il Lanificio Ferrarin, una 

delle aziende storiche di Thiene e dell’Alto 

Vicentino, segna il raggiungimento 

del traguardo dei 170 anni di vita. L’attività 

laniera della famiglia Ferrarin, infatti, 

fu avviata addirittura nel 1830. 

Una tradizione industriale che prosegue 

da cinque generazioni. 

Cominciano, nel 1830, i fratelli Angelo e 

Giuseppe Ferrarin, che spostano verso 

l’industria gli interessi di una famiglia fino 

ad allora votata alla fittanza agricola. 

La crescita dell’attività produttiva, in 

quell’epoca quasi pionieristica, procede 

abbastanza lentamente perché gli interessi 

della famiglia rimangono diversificati 

e non concentrati, dunque, sull’industria. 

Ancora nel 1870, l’opificio dei 

Ferrarin non occupava stabilmente che 

10 operai maschi e 2 donne. Il decollo 

vero e proprio avviene sul finire del secolo, 

guidato della seconda generazione, 

rappresentata da Francesco e Antonio, 

figli di Angelo. Nel 1890 il lanificio dispone 

già di 500 fusi e 50 telai (di cui 

30 meccanici). Quattro anni dopo la dotazione 

aziendale viene quasi raddoppiata 

con l’acquisizione dei lanificio Scalcerle 

a Sarcedo. 

Nel 1909 nasce la “Società Anonima 

Angelo Ferrarin” e alla vigilia della prima 

guerra mondiale l’azienda è ormai 

diventata tra le più importanti a livello 

nazionale, nel settore tessile-laniero, dotata 

di 5.000 fusi, fra cardato e pettinato, 

e di 60 telai meccanici. 

Gli anni Venti vengono dedicati in buona 

parte alla ricostruzione e alla ripresa 

dopo il periodo bellico, e si concludono 

con la grande crisi mondiale del ’29. 

L’azienda si trova così ad attraversare 

un decennio difficile di trasformazione e 

passaggio, ma riesce a cogliere le sfide 

che si presentano. 

A portare l’azienda fuori da quel periodo 

critico è la terza generazione dei Ferrarin, 

quella dei fratelli Angelo jr e Antonio 

jr, figli di Antonio. Alla morte di Angelo 

jr, avvenuta nel 1937, la conduzione 

dell’azienda viene assunta in toto da

Antonio jr, anche se la carica onorifica di 

presidente è coperta prima da Arturo (il 

“comandante Arturo” della mitica trasvolata 

oceanica compiuta nel 1920) e 

poi dall’avvocato Ferruccio, entrambi 

fratelli di Angelo jr. 

Antonio jr diventa presidente della “società 

per azioni” nel 1956, dopo un periodo 

non facile per il lanificio, conseguente 

all’ingresso di azionisti estranei 

all’ambiente e agli interessi della famiglia. 

Dopo alcuni anni, peraltro, la maggioranza 

azionaria torna saldamente in 

mano alla famiglia Ferrarin, e questo 

passaggio segna una svolta importante 

nella storia dell’azienda. Sono gli anni 

dell’arrivo in azienda della quarta generazione, 

rappresentata da Mario Ferrarin. 

Nel 1959 inizia così un programma 

importante e globale di rinnovamento 

dei fabbricati e dei macchinari. Vengono 

ricostruite la filatura cardata, la tintoria, 

il finissaggio, i magazzini e i servizi; si 

trasforma, ampliandola, la tessitura e si 

aggiornano completamente gli impianti 

della filatura pettinata di Sarcedo. 

Nel 1971 scompare Antonio jr e alla guida 

dell’azienda gli succede il figlio Mario, 

che porta a compimento i progetti di 

rinnovamento e ampliamento degli impianti 

avviati da tempo insieme con il 

padre. Viene chiuso lo stabilimento di 

Sarcedo, ormai troppo vecchio, e la filatura 

pettinata è spostata in un nuovo 

edificio adiacente agli altri del Thienese. 

Mario Ferrarin realizza una struttura 

aziendale completamente verticalizzata. 

Il ciclo completo, sia per il cardato che 

per il pettinato, consente di controllare 

sempre da vicino la qualità delle lavorazioni, 

oltre alla libertà di acquistare la 

materia prima nei momenti più favore- 

voli. La perdita del figlio Antonio, 

scomparso tragicamente appena trentenne 

nel 1987, è una delle prove umane 

più amare affrontate da Mario Ferrarin 

e dalla sua famiglia. Antonio, dopo 

un lusinghiero curriculum di studi, si 

era già ben inserito in azienda, a rappresentare 

la quinta generazione. Dopo 

la sua scomparsa e un breve periodo di 

assestamento, il lanificio riprende la via 

dello sviluppo, ancora sotto la guida di 

Mario, attuale presidente e amministratore 

delegato. 

Gli anni Novanta hanno visto un ampliamento 

della presenza dell’azienda 

sui mercati esteri: ora il 25% della produzione 

viene esportata in tutta Europa, 

negli Stati Uniti, in Giappone, Canada e 

Corea. Il lanificio occupa oggi 250 dipendenti 

e produce 2 milioni e 400 mila 

metri di tessuto, destinato all’abbigliamento 

donna (cappotti, giacconi, abiti e 

tallieur). L’azienda è, come detto, uno 

dei pochi esempi di lanificio verticalizzato, 

nel senso che realizza l’intero processo 

produttivo al proprio interno, dalla 

materia prima (il 50% dei 

filati sono prodotti in casa 

e l’altro 50% è acquistato 

all’esterno) al tessuto 

finito. Alle soglie del 

2000 e dei 170 anni, 

insomma, il lanificio 

Ferrarin si mantiene 

al passo con le 

tendenze del 

mercato e con 

le tecnologie, 

necessità inderogabili 

nel mondo della 

globalizzazione. 

Sopra, 

l’ingresso dell’azienda. 

Qui sotto, 

una foto storica: 

i sette figli di 

Antonio Ferrarin sr 

in posa 

davanti al fotografo; 

il bambino più piccolo, 

al centro, 

è Antonio Ferrarin jr. 

35

IMPRESE 

36 

Conceria 

Cristina. 

I trent’anni 

dell’azienda 

di Montebello, 

punta di 

diamante del 

Gruppo Peretti. 

Mamma 

Cristina 

La Conceria Cristina, capostipite di 

un pool di aziende che fanno capo 

alla famiglia Peretti, ha compiuto 

trent’anni di vita. Fu fondata a Montebello 

Vicentino nel 1969 da Graziano 

Peretti, che già dieci anni prima, nel 

’59, aveva iniziato la sua attività imprenditoriale 

dando vita alla sua prima 

conceria. La “Cristina”, dal canto suo, 

non ci mise molto ad assumere un ruolo 

importante nel panorama conciario italiano: 

già dopo i primi dieci anni d’attività, 

era diventata una delle più significative 

realtà produttive del polo conciario 

arzignanese, e quindi nazionale. Nel 

frattempo, alla “casa madre” si sono affiancate 

altre quattro aziende: Nuova 

Gasby, acquisita nell’88, Conceria Perla 

nel ’90, Inter Leder nel ’92 e infine Soave 

Pelli quest’anno. Le prime tre hanno 

sede ad Arzignano, mentre la Soave 

Pelli è insediata appunto nell’omonima 

cittadina veronese. 

Graziano Peretti continua ancora 

oggi a condurre la “Cristina” e il 

gruppo, insieme con il figlio Giuseppe 

Walter. Entrato in azienda 

nella seconda metà degli anni Settanta, 

Giuseppe Walter Peretti ha dato un forte 

impulso allo sviluppo dell’attività, avendo 

intuito insieme al padre che le sfide 

del futuro andavano affrontate aumentando 

la struttura produttiva e la gamma 

dei prodotti da proporre al mercato. 

A Graziano e Walter (che di recente è 

stato eletto presidente nazionale dell’Unic, 

l’unione nazionale delle industrie 

conciarie), si sono aggiunti nel corso degli 

anni Antonio Ermilani e Carlo Carlotto, 

i mariti delle due figlie di Graziano. 

La famiglia ha seguito una filosofia 

aziendale che punta a privilegiare tecnologie 

all’avanguardia, rispettose dell’ambiente. 

Nello stesso tempo, si è prestata 

grande attenzione ai mutamenti del 

mercato, con una progressiva diversificazione 

all’interno del gruppo. 

Tre anni fa, nel ’96, la Conceria Cristina 

ha avviato, fra le prime al mondo, il 

nuovo reparto “riviera”, totalmente controllato 

da un sistema computerizzato, 

che ha consentito all’azienda di accrescere 

il proprio standard qualitativo. E 

nel ’98, completato il percorso qualità, 

ha ottenuto la certificazione Iso 9002. 

Complessivamente, gli stabilimenti delle 

cinque società coprono una superficie di 

35.000 mq e danno lavoro a oltre 300 

dipendenti. Il mercato di riferimento, 

che nel frattempo da nazionale è diventato 

europeo e poi mondiale, è rappresentato 

da aziende del settore arredamento, 

calzature, interni auto, abbigliamento 

e pelletteria. Il fatturato del gruppo 

supera i 160 miliardi. 

Per il futuro, i programmi del Gruppo 

Peretti prevedono un ulteriore rafforzamento 

delle strutture produttive e una 

sempre maggiore penetrazione nei mercati 

mondiali.

Beato 

questo vino 

Il giorno di San Valentino del 1950 centoventuno 

viticoltori della zona di Breganze 

si riunirono per costituire una nuova 

società cooperativa agricola. Nominarono 

come primo presidente Giorgio Laverda e 

decisero di intitolare la cooperativa ad una 

figura che, nei secoli, aveva meritato una 

menzione tra la gente del posto: Bartolomeo 

da Breganze, frate e vescovo del Duecento 

noto per la sua spiritualità e l’attitudine 

alla riconciliazione. Nacque così la 

Cantina Beato Bartolomeo da Breganze. 

Nei primi vent’anni di vita, la società crebbe 

fino ad arrivare a più di mille soci, per 

un conferimento di uve di pregio che raggiunse 

le novemila tonnellate. 

Gli originari padiglioni del 1950 furono 

affiancati nel 1970 da un primo ampliamento, 

per ospitare un reparto di invecchiamento 

vini di dimensioni ragguardevoli: 

una bottaia ricavata su un’escavazione 

di quindici metri di profondità, con 

una capienza in legno complessiva di oltre 

ventimila ettolitri. Questa capienza, 

costituita da botti in rovere di Slavonia 

della portata di 40, 80 e 120 ettolitri, è 

ora sfruttata per l’affinamento dei vini 

rossi, come il Merlot, il Pinot nero e il Cabernet 

Sauvignon di Breganze. 

Gli anni Settanta e Ottanta furono quelli 

della presidenza di Giovanni Battista Laverda, 

succeduto al fratello Giorgio. Il padiglione 

del 1970 accolse anche un impianto 

di imbottigliamento che nel tempo subì 

profondi ammodernamenti, per arrivare all’attuale 

potenzialità di lavoro, con una 

produzione di circa 6.000 bottiglie l’ora, 

che sarà presto portata a 10.000 con sistemi 

automatizzati di controllo e rilevamento, 

specie nella fase di microfiltrazione del prodotto 

e di riempimento della bottiglia. 

Nel 1990 la guida della cooperativa passò 

da Giobatta Laverda all’attuale presidente, 

Antonio Brian. Nel ’95 fu abbattuta 

un’ala del fabbricato originario e fu costruita 

al suo posto una struttura che contiene 

oggi soltanto serbatoi in acciaio e vinificatori 

a temperatura controllata, indispensabili 

per la massima valorizzazione 

del vino. Questo piano di ammodernamento 

è tuttora in fase di perfezionamento, 

con l’introduzione di moderni sistemi 

di pigiatura e pressatura soffice con presse 

a polmone che consentono di ben separare 

le frazioni del “mosto fiore” da quelle dei 

mosti sottoposti a maggiore pressione, 

quindi di minore qualità. 

Al traguardo del mezzo secolo di vita, la 

Cantina conta oggi su una struttura di 

raccolta, trasformazione e confezionamento 

che consente di valorizzare al massimo 

i migliori prodotti viticoli del comprensorio 

di Breganze. Una struttura con 

una capienza di oltre 160.000 ettolitri di 

vino. E negli ultimi anni, l’azienda ha intrapreso 

anche un ambizioso programma 

di valorizzazione dei siti microclimatici di 

vocazione viticola dell’area, da Villa Savardo 

all’azienda agricola Belmonte e al 

vigneto “Bosco Grande”. 

Cantina Beato 

Bartolomeo da 

Breganze. 

A cinquant’anni 

dalla nascita, 

l’azienda 

vinicola 

produce oggi 

6.000 bottiglie 

l’ora, 

che presto 

diventeranno 

10.000 grazie 

a nuovi sistemi 

automatizzati. 

37

IMPRESE 

38 

IMPRESAFLASH 

Marelli Motori lancia un 

nuovo motore innovativo 

La Marelli Motori, storica azienda 

di Arzignano (ex Pellizzari) 

leader nella fornitura di motori e 

generatori a bassa e media tensione 

e oggi parte del gruppo inglese 

FKI, ha presentato sul mercato, 

in coincidenza con la Fiera 

di Hannover, alcuni motori ad 

alto rendimento di 

nuova concezione, 

progettati e costruiti 

interamente 

al proprio interno.Caratteri- 

stica 

principale dei 

nuovi motori è la riduzione 

della rumorosità di quasi 

sei decibel, (che significa un 

dimezzamento del valore della 

pressione sonora) e l’aumento 

del rendimento, anche nelle condizioni 

ambientali più difficili. 

“Questi motori sono le armi giuste 

per vincere sul mercato” ha 

detto l’amministratore delegato 

dell’azienda, Roberto Ditri. 

Fitt si fa in due 

e crea Faraplan 

La Fitt, azienda di Fara Vicentino 

leader mondiale nella produzione 

di tubi in pvc, si è divisa in 

due società indipendenti. È nata 

infatti la Faraplan, azienda guidata 

da Alessandro Mezzalira, figlio 

del fondatore di Fitt, Rinaldo 

Mezzalira. L’obiettivo è quello 

della specializzazione, per seguire 

mercati con caratteristiche diverse 

tra loro: Fitt continuerà 

dunque a produrre tubi flessibili 

per giardinaggio e per usi industriali, 

mentre Faraplan si specializzerà 

nella produzione di tubi 

rigidi, profili e grondaie, rivolgendosi 

principalmente al mercato 

dell’edilicia, delle costruzioni 

e dell’impiantistica. 

La creazione di due società 

distinte è stata decisa per la 

costante crescita dell’attività 

della Fitt, sia in termini di fatturato 

che in termini geografici, 

con l’apertura di nuovi uffici a 

Londra, Parigi, Dusseldorf. 

La Fope tra gli sponsor 

del Guggenheim Museum 

La Fope, azienda di Vicenza 

di alta oreficeria fondata nel 

1929, è lo sponsor ufficiale 

del prestigiosoSolo- 

mon R. Guggenheim Museum di 

New York. Si tratta della prima 

impresa a conduzione familiare 

nella storia del Guggenheim Museum 

che è stata accettata per il 

supporto di iniziative artistiche 

di una delle istituzioni più famose 

del mondo. In genere, sono 

multinazionali o importanti 

gruppi finanziari mondiali a 

svolgere il ruolo di sponsor del 

celebre museo. 

Fope, inoltre, supporterà il Patron 

Circle del Guggenheim, circolo 

molto ristretto di artisti e 

collezionisti di New York che organizza 

eventi culturali di rilievo 

ogni mese. 

Arroweld Italia 

rileva Ceni Gomma 

Arroweld Italia, azienda di 

Zanè leader nella distribuzione 

industriale, ha acquisito la Ceni 

Gomma, storica ditta veronese 

attiva nel campo della distribuzione 

di articoli tecnici industriali. 

Con questa operazione, 

Arroweld Italia 

si pone ai 

vertici 

del

mercato nazionale nel segmento 

della distribuzione 

industriale (230 addetti, 

90 miliardi di fatturato 

aggregato). La Ceni 

Gomma conta 80 collaboratori, 

un fatturato di 30 miliardi, 

uno stabilimento di 18 

mila metri quadri a Verona e 

due filiali, una a Brescia e una 

a Udine. 

Miteni acquisisce 

parte della F2 Chemicals 

La Miteni, azienda chimica di 

Trissino che lavora in particolare 

nella chimica del fluoro ed è affiliata 

alla giapponese Mitsubishi 

Corporation, ha acquisito una 

quota minoritaria di F2 Chemicals, 

azienda attiva nella chimica 

fine e specialistica con tecnologie 

innovative legate anch’esse alla 

chimica del fluoro. F2 Chemicals 

è stata venduta alla Mitsubishi e 

alla Asahi Glass, anch’essa nipponica, 

dalla società inglese Bnfl, 

che opera nel campo del nucleare 

e ha deciso di consolidare il 

proprio “core business”. 

Bonotto e Dainese sponsor 

dell’avanguardia artistica 

Le aziende Bonotto (lanificio) e 

Dainese (confezioni sportive) di 

Molvena sono tra gli sponsor e i 

promotori della mostra “Sentieri 

interrotti. Crisi della rappresentanza 

e iconoclastia nelle arti dagli 

anni Cinquanta alla fine del 

secolo”, 

che sarà 

inaugurata 

a 

Bassano 

del Grappa 

(palazzo Bonaguro) 

il 

prossimo 17 giugno e rimarrà 

aperta fino al 20 agosto. L’esposizione 

intende rileggere la storia 

dell’arte moderna dal punto di 

vista delle avanguardie artistiche 

sorte nella seconda metà del Novecento. 

La rassegna si articolerà 

in diverse sezioni, a documentare 

i diversi settori artistici: arti visive, 

performance, happening, cinema, 

video, musica. Oltre alla 

mostra, “Sentieri interrotti” prevede 

altri appuntamenti, tra cui 

convegni e giornate di studio. 

Da Brendola in tutto 

il mondo le pompe 

in acciaio di Ebara 

Ebara Corporation, il gruppo 

giapponese primo produttore 

mondiale di pompe, affiderà da 

quest’anno a Ebara Italia l’intera 

produzione delle pompe in acciaio 

inox per tutto il mondo. 

Ebara Italia ha due stabilimenti 

nel nostro paese: a Cles, in Trentino 

Alto Adige, e a Brendola. Il 

colosso giapponese investe dunque 

sull’Italia. Proprio per questa 

la Camera di commercio italiana 

in Giappone ha premiato di 

recente la Ebara Corporation 

con il premio ICCJ Award 99, riconoscimento 

che viene attribuito 

annualmente alle società giapponesi 

che hanno dato un importante 

contributo sllo sviluppo 

delle relazioni d’affari con l’Italia. 

Zonin si espande 

in Maremma 

Il Gruppo Zonin di Gambellara, 

presente in tutto il mondo con la 

sua produzione vinicola, ha acquisito 

la tenuta Pian dei Bichi, 

in Maremma, estesa per oltre trecento 

ettari. Nella nuova tenuta, 

che aumenta la capacità produttiva 

della Casa (nel ’99 dalle 

cantine del gruppo sono usciti 35 

milioni di bottiglie), è previsto 

l’impianto di vigneti Sangiovese. 

39

PERSONAGGI 

40 

Ambrogio 

Dalla Rovere. 

Ha creato 

un’azienda che 

lavora per le 

grandi “griffe” 

della moda, ma 

nel contempo 

ha mantenuto 

un impegno 

diretto e 

convinto nel 

sociale, 

in particolare 

per il 

recupero dei 

tossicodipendenti. 

Qui sopra, 

Ambrogio Dalla Rovere 

nel suo ufficio. 


sopra, la consegna del 

Premio Thiene 1999; 

sotto, 

un’immagine informale 

dell’imprenditore thienese. 

La scommessa 

della vita 

C 

’è un cliché che forse andrebbe ritoccato. 

Quello dell’industrialotto di 

provincia, un po’ burbero e poco incline 

alla sintassi, che passa il tempo a girare 

tra i reparti come un gerarca e non prende 

una decisione in azienda senza avere 

consultato la calcolatrice. Il riscatto da 

uno stereotipo come questo, sta in personaggi 

come Ambrogio Dalla Rovere. Nel 

suo ufficio, alla Sportswear International 

di Carrè, fra mappamondi, minerali rilucenti 

e metri di scaffali ricurvi di libri, 

si ha la sensazione di trovarsi a consulto 

da un docente, e non certo perché abbia 

l’aria di chi ha molto da insegnare e nulla 

da imparare. In quarant’anni di attività 

le sue belle soddisfazioni le ha avute, 

sia dal proprio lavoro, sia dalla comunità 

in cui è cresciuto, la quale gli ha 

attribuito di recente il premio “Thiene 

1999”, riservato a cittadini benemeriti. 

Lui è il vicepresidente della Cariverona, 

l’imprenditore che ha rappresentato il 

volto informale di Armani, Krizia, Moschino, 

che di Moschino adesso possiede 

il 30 per cento e che ha rilevato le Sartorie 

Riunite sotto il marchio Victor Victoria. 

Ma c’è un altro nome di cui va fiero, 

e non è quello di una griffe. È il Ceis, il 

centro per il recupero dei tossicodipendenti, 

nel caso specifico quello di Schio. 

All’inizio degli anni Novanta, sensibile 

all’appello di don Mariano Ronconi, 

Ambrogio Dalla Rovere decise di accettare 

una scommessa. Si trattava di aiutare 

dei ragazzi sieropositivi a rimettersi 

in carreggiata, a trovare in un ambiente 

di lavoro gli stimoli e la fiducia in se 

stessi necessari a ritrovare uno spazio 

nella società. 

“Quando don Mariano mi fece quella 

proposta, innanzitutto gli misi a disposizione 

la sala più capiente dell’azienda 

affinché potesse spiegare al nostro perso-

nale il suo progetto e rispondere alle loro 

curiosità – ricorda Dalla Rovere –. Devo 

dire che la risposta dei dipendenti della 

Sportswear è stata sorprendente. Hanno 

accolto con grande disponibilità questi 

ragazzi che venivano in azienda e svolgevano 

i loro incarichi come potevano, 

dato che fisicamente erano molto debilitati. 

È stato bellissimo vedere con quale 

calore gli altri lavoratori sostenevano i 

giovani del Ceis; li invitavano a casa e 

c’è stata anche una colletta spontanea 

per l’acquisto di un’auto. Purtroppo 

quattro di quei ragazzi sono morti, erano 

giunti allo stadio terminale, ma il clima 

di solidarietà che si era creato in 

azienda è stato per me un’esperienza di 

grande valore. La presenza di queste 

persone in grave difficoltà ha creato uno 

spirito di gruppo che prima non esisteva. 

Ritengo che questo sia tutto sommato il 

nostro vero punto di forza: l’attaccamento 

del personale all’azienda”. 

La Sportswear è vicina al Ceis anche con 

le proprie donazioni (“Senza i contributi 

privati strutture del genere non riuscirebbero 

a sopravvivere”, sostiene Dalla 

Rovere) e da un paio d’anni finanzia 

progetti proposti dall’amministrazione 

comunale di Thiene per capire e prevenire 

il disagio giovanile. 

Un industriale che fa del bene ai giovani, 

ma che sui giovani conta molto anche 

per la prosperità della propria impresa: 

“Io vedo il mio avvenire qui in azienda, 

con un impegno sempre maggiore e piena 

fiducia in due risorse fondamentali: il 

management e i giovani – dice Dalla Rovere 

–. Quanto a questi ultimi, sono convinto 

che se il sistema scolastico italiano 

fosse un po’ diverso avrebbero delle opportunità 

incredibili”. 

Ambrogio Dalla Rovere iniziò nei primi 

anni Sessanta a produrre capi di maglieria. 

Nel 1975 fondò la Sportswear International. 

A metà degli anni Ottanta condusse 

l’azienda sulla soglia delle grandi 

firme italiane. Armani voleva lanciare 

una seconda linea, l’Armani Jeans: la 

Sportswear non si fece sfuggire l’occasione 

e ottenne la licenza. Per tenere fede 

alla propria tradizione, Dalla Rovere 

cercò di compiere lo stesso passo con 

una griffe destinata alla clientela femminile 

e fu così che legò il proprio nome 

anche a Krizia. Nel ’94 l’azienda di 

Carrè ottenne l’incarico di produrre le linee 

informali anche da Moschino e Cavalli, 

quindi, all’inizio del 2000, due 

scelte di grande impatto strategico: l’acquisizione 

del 30 per cento delle quote di 

Moschino e del 100 per cento delle Sartorie 

Riunite di Molina di Malo, ora Victor 

Victoria. La Sportswear International 

dà lavoro a 250 persone ed esporta 

in 64 paesi. 

Dalla Rovere ha girato il mondo in lungo 

e in largo ma l’attaccamento alla sua 

terra non si è mai affievolito. Da un 

po’ di tempo accanto a lui c’è il figlio 

Francesco, con il quale la 

programmazione ha avuto un 

ulteriore impulso. Non per questo 

il fondatore ha in animo di 

mollare, anzi. A incoraggiarlo 

è anche la sua coscienza: 

“Francamente, se tornassi 

indietro rifarei il 99 per 

cento di quello che ho fatto 

– dice – e non sarei in 

grado di individuare che 

cosa sia quell’un per cento”. 

Eros Maccioni 

41

GIRO DEL MONDO 

42 

Vicentini 

con la valigia. 

In Sudamerica, 

tra Brasile 

e Argentina, 

alla ricerca 

dei mercati 

più dinamici 

del cosiddetto 

“Mercosur”, 

la seconda 

unione 

doganale 

più grande 

del mondo. 

Un particolare 

della produzione 

di tubature 

e rivestimenti 

Socotherm. 

Permette 

questo tango? 

Fronteggiare il processo di globalizzazione 

dei mercati, investire in aree 

del mondo interessanti per l’aziendamadre, 

offrendo un valore aggiunto alle 

stesse imprese di casa nostra. Sono queste 

le considerazioni di base che hanno 

portato alcune industrie del Vicentino, o 

gruppi tradizionalmente presenti sul nostro 

territorio, a investire nel Mercosur, 

area mercato che raggruppa i più significativi 

e dinamici paesi del Sudamerica 

e che rappresenta di fatto la seconda 

unione doganale più grande del mondo. 

Destinazione privilegiata, il colorito e 

“affollato” Brasile, ma anche la più europea 

Argentina, e il Venezuela. Attorno 

al Mercosur (costituito nel ’91 con il 

Trattato di Asunciòn insieme con Uruguay 

e Paraguay e che fissa un programma 

di riduzioni progressive delle 

tariffe doganali per arrivare alla creazione 

di un mercato comune entro il 

2006) le imprese di casa nostra mostrano 

un costante interesse. L’obiettivo? 

Crescere e competere in un’area a forte 

attrazione, con i suoi oltre 200 milioni 

di abitanti, capace di esprimersi in maniera 

qualificata soprattutto in determinati 

settori. 

Nella terra del samba 

Anticipando l’era della globalizzazione, 

la Zambon Group (sede legale a Vicenza, 

unità operative a Bresso e in altri 

paesi esteri) ha varcato l’Oceano, posizionandosi 

in Brasile, già nel 1958. Lo 

ha fatto costituendo una società denominata 

Zambon Laboratorios Farmaceuticos, 

con sede a San Paolo. Lo scopo della 

società è duplice: commercializzare i 

prodotti farmaceutici direttamente realizzati 

per il mercato sudamericano e distribuire, 

attraverso la sua rete vendita, 

prodotti di altre multinazionali del settore 

con le quali Zambon Group intrattiene 

rapporti di business. 

“Per far fronte alle nuove esigenze del 

mercato – sottolineano alla Zambon – lo 

stabilimento di San Paolo è stato com-

pletamente ristrutturato l’anno scorso, 

con investimenti pari a circa 10 milioni 

di dollari, ed è oggi in grado di soddisfare 

i più elevati standard internazionali di 

produzione”. Attualmente, l’azienda di 

San Paolo impiega 300 dipendenti ed è 

attiva in aree farmacologiche specifiche: 

dal respiratorio all’infettivo, dall’analgesico 

al nutrizionale. 

Hanno scelto il Brasile anche due grandi 

gruppi conciari arzignanesi: il Gruppo 

Mastrotto e il Rino Mastrotto Group. 

“In collaborazione con un importante 

operatore brasiliano del settore – afferma 

Bruno Mastrotto, presidente del 

Gruppo Mastrotto (otto aziende localizzate 

nel polo di Arzignano) – nel ’99 

abbiamo siglato un’intesa per la costituzione 

di una società in joint venture denominata, 

dal nome di due partner, 

‘Mastrotto Reichert’. Lo stabilimento 

sorgerà nello stato di Bahia, nella città di 

Cachoeira, a nordest del Brasile; sarà 

una struttura destinata alla produzione 

delle pelli finite per arredamento e per 

calzatura, importante non solo per il 

mercato brasiliano ma per tutta l’area di 

riferimento”. 

Per la concia il mercato sudamericano 

rappresenta un sito importante, soprattutto 

per le notevoli potenzialità nell’approvvigionamento 

di materia prima. 

È invece a Cascavel (località a 60 chilometri 

dal centro di Fortaleza) che la Rino 

Mastrotto Group (sei aziende conciarie 

nella Valchiampo, una settima a 

Matera) ha costituito nel ’99 una joint 

venture in partnership con l’imprenditore 

locale Reinaldo Bertin, denominata 

“Bermas”. Sorta con un investimento di 

circa 40 miliardi di lire, la Bermas (oltre 

300 addetti) ha una capacità produttiva 

che supera le 2500 pelli lavorate al 

giorno, con l’obiettivo di giungere a 

quota 6 mila. 

Argentina, l’Europa è di casa 

L’altro grande paese del Mercosur, dice 

la geografia, è l’Argentina. Qui, ma anche 

in altri paesi del Sudamerica, è presente 

la Socotherm di Adria (Rovigo) 

che fa parte del gruppo vicentino Zeno 

Soave & Figli. Da una decina d’anni il 

gruppo si è insediato in Sudamerica, attraverso 

la costituzione di una serie di 

società in joint venture con partner locali. 

Dalla Socoril Argentina alla venezuelana 

Atlantida Socotherm fino alla Socoril 

do Brasil: gradino dopo gradino, le 

società controllate dalla Socotherm in 

Sudamerica, che complessivamente occupano 

alcune centinaia di dipendenti, 

rappresentano oggi la prima realtà dell’America 

Latina nella produzione ed 

equipaggiamento dei rivestimenti (interni 

e esterni) di tubi per gas, olio, acqua. 

“Ci siamo posizionati in un’area interessante 

e dalle potenzialità crescenti nel 

nostro segmento di attività – afferma 

Sopra. 

Quella della pelle 

è una delle lavorazioni 

vicentine più presenti 

in Sudamerica. 

A pagina 44, 

un’immagine tratta 

dal repertorio di 

Gemmo Impianti 

e alcuni prodotti 

della Superoro. 

43

Zeno Soave – Ciò ci consente di guardare 

avanti con fiducia, convinti che nell’era 

della globalizzazione la presenza in 

mercati strategici diventi un’opportunità 

per potenziare il know how e l’immagine 

internazionale”. 

In Argentina è presente anche 

la Gemmo Impianti, nota 

azienda di Arcugnano 

che nel ’99 

ha costituito 

nell’hinterland 

di 

Buenos 

Aires, in località Cerrito, la Gemmo Argentina 

Sa, una società che si occupa di 

manutenzionme e gestione dei principali 

aeroporti argentini. 

E tra chi ha puntato sull’Argentina, 

guardando però con estremo interesse 

anche al grande mercato brasiliano, c’è 

la Superoro di Cavazzale (160 dipendenti). 

In Avenida Alvear, la via Condotti 

di Buenos Aires, Superoro ha aperto 

dal ’96 una struttura commerciale, la 

Superoro Sudamerica, sorta in joint venture 

con un imprenditore orafo locale. 

“Possiamo contare su una rete vendita 

di 150 negozi, selezionati nelle aree urbane 

di maggior interesse quali Buenos 

Aires, Mendoza, Cordoba, Rosario, 

Asunciòn – afferma l’export manager di 

Superoro, Matteo Rigon –. L’idea di 

sbarcare oltreoceano, in un paese così 

lontano, è nata dall’interesse che gli operatori 

argentini mostravano verso i nostri 

prodotti di target medio-alto quando 

venivano a trovarci nelle fiere di Vicenza 

e Basilea. Un segnale, questo, che più di 

ogni altra strategia di marketing ci ha 

dato la spinta giusta per approdare in 

un mercato come quello argentino, per 

certi aspetti molto vicino al gusto europeo”. 

Sulla spinta dei buoni risultati raggiunti 

in Argentina dalla Superoro Sudamerica, 

lo staff dell’azienda di Cavazzale oggi 

punta ad aggredire tutto il Mercosur. 

In quest’ottica, tra i programmi di 

espansione di Superoro vi è l’entrata nel 

mercato brasiliano. “I tempi sono maturi 

per costituire a Rio o a San Paolo una 

società in grado di promuovere nell’area 

la nostra produzione". 

Maurizio Mascarin


46 

Ospitata a 

Palazzo Chiericati 

e Villa Guiccioli, 

la mostra 

“Dipinti e 

sculture del 

XIX secolo”, 

che raccoglie 

i capolavori 

conservati 

ai Musei Civici 

di Vicenza. 

Un patrimonio 

“nascosto” 

che è stato 

recuperato 

e valorizzato. 

Ottocento 

ritrovato 

L 

’Ottocento a Vicenza. Dipinti e 

sculture del XIX secolo dei Musei 

Civici", è il titolo della mostra allestita 

in questi mesi (da gennaio a maggio) a 

Vicenza per presentare il frutto di un 

impegnativo lavoro di recupero e valorizzazione 

del patrimonio “nascosto” 

dei Musei vicentini. L’iniziativa, inserita 

nell’ambito delle manifestazioni dedicate 

all’Ottocento veneto promosse dalla 

Regione in collaborazione, oltre che con 

i Musei di Vicenza, con quelli di Bassano 

del Grappa, Belluno, Padova, Rovigo 

e Treviso, si propone come occasione 

per un approfondimento sulla specificità 

della cultura figurativa locale rapportata 

al panorama artistico dell’epo- 

ca. L’obiettivo di questa serie di esposizioni 

è quello di dare il giusto risalto alla 

cultura locale del XIX secolo, esplorando 

le peculiarità della pittura e della 

scultura delle città venete che non sono 

ancora conosciute dal grande pubblico. 

Divisa tra le due sedi di Palazzo Chiericati 

e Villa Guiccioli e realizzata anche 

grazie al contributo dell’Associazione 

Industriali e dell’Ente Fiera, la mostra 

comprende circa centoventi opere di 

pittura, miniatura e scultura, selezionate 

tra le più significative delle duecentocinquanta 

restaurate e studiate per 

l’occasione e inserite nel catalogo scientifico 

curato da Fernando Mazzotta ed 

edito da Marsilio, che costituisce un in-

vestimento scientifico permanente sulle 

opere dei Musei. 

La mostra, nel confronto con le contemporanee 

esposizioni degli altri musei 

veneti, offre l’opportunità di individuare 

la specificità degli artisti vicentini 

nell’ambito della pittura dell’Ottocento 

e di approfondire la conoscenza 

dell’arte italiana del XIX secolo, 

che spesso non ha goduto della giusta 

valorizzazione. 

La storia delle collezioni 

inizia nel 1855 

Le civiche collezioni d’arte si costituiscono 

alla metà del secolo scorso, in 

concomitanza con la destinazione di 

Palazzo Chiericati a sede museale (18 

agosto 1855). Nel tempo, lentamente 

ma ininterrottamente, le collezioni si 

sono arricchite con doni e legati di privati 

(spesso seriali o tematici), oltre che 

con alcune significative acquisizioni del 

Comune (Il miracolo dei datteri di Gio- 

vanni Busato), e con le donazioni fatte 

da alcuni artisti come Pietro Roi, che 

nel 1895 ha donato il celeberrimo Giulietta 

e Romeo. La formazione stessa 

del patrimonio dei musei vicentini sottolinea 

quindi lo stretto legame tra l’istituzione 

museale e il mondo culturale 

e artistico della città, che insieme hanno 

contribuito all’arricchimento del 

consistente patrimonio ottocentesco. 

Mecenati e aristocrazia committente, 

oltre a essere di stimolo per gli artisti si 

sono infatti rivelati generosi con donazioni 

e lasciti, a volte volutamente anonimi, 

come nel caso dei donatori vicentini 

del Dante in esilio di Domenico Peterlin, 

entrato a far parte del patrimonio 

della pinacoteca nel 1895. Recentissimo 

è invece il caso di una benefattrice 

del museo, che ha consentito di 

acquistare presso Finarte di Milano 

un’opera di Giovanni Busato il Ritratto 

di Remo Milani, fanciullo morto prematuramente, 

rappresentato sullo sfondo 

delle colline beriche. 

In apertura, 

Dante in esilio, di 

Domenico Peterlin 

(1860-1865 circa). 

Qui sopra: 

a sinistra, 

Ritratto di Remetto Milani, 

di Giovanni Busato 

(1864 circa), 

e, a destra, 

Ritratto di Elisabetta Manin 

e suo figlio Angelo, 

di Giovanni Busato 

(1869 circa). 

47


48 

Grande emozione ha suscitato anche il 

ritrovamento, avvenuto in seguito all’approfondito 

lavoro di ricerca sul patrimonio 

museale, di un gesso preparatorio 

con l’effigie di Ottavio Trento, attribuito 

ad Antonio Canova, “riemerso” 

dai magazzini del museo proprio in occasione 

della mostra. 

Un allestimento scenografico 

con quattro sale 

La mostra ha dedicato particolare attenzione 

all’allestimento. Si è voluto ricreare 

uno spaccato d’epoca introducendo 

il visitatore in un ambiente ricostruito 

con correttezza filologica e insieme 

creatività. Curato dallo scenografo 

Mauro Zocchetta, l’allestimento di tipo 

teatrale rimanda agli ambienti di un 

palazzo ottocentesco, sviluppando attraverso 

l’atrio e tre stanze un percorso 

che accompagna e sottolinea la suddivisione 

tematica della mostra. 

L’esposizione ha inizio con un suggestivo 

sipario rosso, che incornicia due 

“quinte” teatrali che riproducono i disegni 

di Federico Castegnaro, artista e 

scenografo di fama nazionale, che alla 

morte lasciò le sue opere al Museo di Vicenza. 

Questo immediato riferimento al 

teatro conduce il visitatore in uno spazio 

a emiciclo dove trovano posto due significative 

opere di Giovanni Busato, pittore 

di caratura nazionale, riscoperto e 

valorizzato dalla mostra. L’Elisabetta 

Manin con il figlio Angelo e il Ritratto 

di Remo Milani sono stati scelti quale 

emblematica “anteprima” dei temi sviluppati 

dall’esposizione, volta a evidenziare 

alcune specificità della cultura aristocratica 

ottocentesca vicentina, tra cui 

l’attaccamento ai valori familiari e l’amore 

per la propria città. 

La cultura figurativa vicentina 

Fernando Mazzocca, nel saggio introduttivo 

del catalogo della mostra, ricostruisce 

le coordinate storico-artistiche 

della cultura figurativa vicentina, 

ancora condizionata, nella prima 

metà del secolo, dalla persistente eredità 

palladiana, rispetto alla quale i 

nuovi orientamenti del gusto stentano 

ad affermarsi. 

Nel panorama tracciato rientrano i più 

importanti interventi artistici operati 

nel tessuto urbano, come il cantiere di 

Monte Berico, le decorazioni di interni 

(nel “Salone Apollo” di Palazzo Leoni 

Montanari e nello stesso Palazzo Chiericati) 

e gli affreschi di Giovanni Busato 

a Palazzo Thiene. Un riferimento ai 

viaggi di studio e lavoro degli artisti vicentini 

fuori della loro patria e alle presenze 

di artisti di altre città, permette 

di capire lo sviluppo delle influenze e 

l’evoluzione degli stili, che si confrontarono 

con i grandi movimenti europei 

(neoclassicismo e romanticismo in primis, 

ma anche la scuola purista). Giovanni 

Busato (Vicenza, 1806-1886), 

uno degli artisti che grazie a questa 

mostra viene recuperato a una giusta 

considerazione, fu infatti a Torino, in 

Svizzera, a Parigi, San Pietroburgo, 

Monaco di Baviera, venendo così a contatto 

con le correnti internazionali prima 

di scegliere, una volta rientrato a 

Vicenza, di aderire alla poetica purista. 

Nell’esposizione vicentina emerge anche 

la figura di Pietro Roi (Sandrigo 

1819 - Venezia 1896), artista di forma-

zione purista che si dedicò con particolare 

attenzione allo studio dei cosiddetti 

“primitivi” (Perugino, Beato Angelico e 

Botticelli). Il suo Giulietta e Romeo, di 

cui egli stesso fece dono al Museo di Vicenza, 

ebbe una risonanza immediata 

presso i suoi contemporanei. Nel catalogo, 

Roi viene definito una figura “emblematica 

sia nelle scelte che nelle stesse 

contraddizioni, che sono poi quelle 

del tempo”. Fu viaggiatore instancabile; 

prese parte alle battaglie di Marghera 

e Monte Berico. 

Il lavoro di studio e ricerca nei ricchi 

depositi del Museo ha portato anche ad 

una emozionante scoperta: il rilievo in 

gesso Ritratto di Ottavio Trento di Antonio 

Canova. Siglato 1814, “il rilievo – 

riporta la scheda del catalogo – corrisponde, 

con leggere varianti nelle ciocche 

dei capelli e nei piani del modellato 

del busto, al ritratto del conte Ottavio 

Trento che Antonio Canova rappresentò 

nel suo monumento sepolcrale 

collocato nell’atrio dell’Istituto Trento". 

La mostra dei Musei vicentini, infine, 

consente una interessante rivalutazione 

delle personalità artistiche femminili 

che operarono a Vicenza nel secolo 

scorso, fino a questo momento sconosciute. 

A Palazzo Chiericati sono state 

esposte per la prima volta le opere di 

Orsola Faccioli Licata, delicata paesaggista, 

e delle scultrici Adele Caregaro 

Negrin, figlia del noto architetto Antonio 

e di Maria Scola Camerini, attive 

nell’ultimo quarto del secolo. Una nota 

particolare merita la figura di Agostino 

Panozzi, del quale il Museo Civico conserva 

opere significative. La mostra 

sull’Ottocento vicentino ha stimolato 

Giovanna Grossato e Maria Adelaide 

Baroncelli a studiarne l’opera finora dimenticata 

e a darne visibilità. L’Autoritratto, 

inserito nella sezione dedicata ai 

personaggi del mondo culturale vicentino, 

ci mostra un fiero giovane che sintetizza 

la visione ideale e romantica 

dell’artista, morto prematuramente all’età 

di ventinove anni. 

A sinistra, 

Autoritratto, 

di Agostino Panozzi 

(1832-1838); 

a destra, 

Giulietta e Romeo, 

di Pietro Roi 

(1882).


50 

Dalla fine 

dell’Ottocento 

agli anni Sessanta, 

tra Rocchette e 

Arsiero correva 

una ferrovia, una 

di quelle volute 

all’epoca da 

Alessandro e 

Gaetano Rossi. 

Le tracce di quel 

trenino sono 

state ritrovate, 

grazie ad un 

itinerario storiconaturalistico 

che 

ne ha riscoperto 

il percorso. 

Alla scoperta 

del trenino perduto 

Il sentiero è immerso nella natura, in 

equilibrio tra dirupi che si gettano 

nelle acque del torrente sottostante e 

pareti che incombono dall’alto. Solo il 

rumore dei passi rompe il silenzio. 

Davvero, bisogna fare uno sforzo per 

immaginare che appena qualche decennio 

fa, questo sentiero muto fosse il 

tracciato di una ferrovia, con le rotaie, 

le stazioni, le merci e i passeggeri, i 

piccoli convogli che passavano sbuffando 

e sferragliando, come si conviene 

ad un trenino di periferia. 

Siamo sul percorso della vecchia ferrovia 

Rocchette-Arsiero. Una delle “ferrovie 

economiche” fatte realizzare da 

Alessandro Rossi, e poi dal figlio Gaetano, 

tra il secondo Ottocento e il primo 

Novecento, per collegare meglio le sue 

industrie, sparse nell’Alto Vicentino. 

La linea che partiva dalla stazione di 

Rocchette percorreva un lungo tratto 

in trincea, attraversava due gallerie e 

arrivava alla birreria Summano, fermata 

estiva; puntava poi verso il castello 

di Meda, passava altre due gallerie 

ed entrava nel bosco, a San Giorgio 

attraversava il torrente Rialbo su un 

ponte dalla volta in cotto e sostava a 

Seghe di Velo; da qui riprendeva a 

stantuffare, attraversava il ponte sul 

Posina e finiva la corsa ad Arsiero, dopo 

sette chilometri e mezzo, cinque 

gallerie, passaggi in trincea, vedute su 

strapiombi. 

La Rocchette-Arsiero, come tutte le

ferrovie volute dai Rossi, non esiste più 

da decenni. Dal 1964, per l’esattezza. 

Quando venne chiusa, i binari vennero 

divelti, il tracciato fu conquistato poco 

alla volta dalle sterpaglie, dimenticato. 

Adesso, è stato riscoperto. Riportato 

alla luce. Valorizzato come itineraio 

storico-naturalistico. Come percorso 

della memoria, collegato a quel concetto 

di “museo diffuso” che trova forte 

presa proprio nell’Alto Vicentino, terra 

ricca di testimonianze di archeologia 

industriale. Al posto dei binari, dunque, 

ora c’è un percorso affascinante, 

che immerge il visitatore, 

se appena 

appena ci mette un 

po’ di fantasia, in 

un’atmosfera d’altri 

tempi. Il recupero 

non è completo, 

finora è stato possibile 

riportare in vita 

il tratto in comune 

di Velo d’Astico, 

ma la parte finale, in comune di Arsiero, 

è già nei progetti e sarà realizzata 

presto. 

Quella di trasformare il vecchio tracciato 

della ferrovia in un itinerario tra natura 

e archeologia industriale è stata 

un’idea di due giovani architetti vicentini, 

Luca Bortoli e Piero Scalcerle, che 

nel ’97, a chiusura dei loro studi universitari 

a Ca’ Foscari, hanno deciso di 

lavorare insieme su una tesi di laurea 

dal titolo accattivante: il museo del territorio 

della valle dell’Astico. Un lavoro 

nel quale i due autori hanno sviluppato 

una serie di proposte per un sistema di 

itinerari tra natura, industria, arte e 

storia. Neanche a farlo apposta, venti 

L’idea di portare in vita il 

vecchio tracciato del 

trenino Rocchette-Arsiero 

è nata dalla tesi di laurea 

di due giovani architetti. 

Risultato: un viaggio nella 

memoria e nella natura. 

giorni 

dopo la laurea, 

Bortoli e 

Scalcerle si 

sono accortidell’esistenza 

di 

un’opportunità 

imperdibile per 

mettere in pratica una 

prima parte delle loro proposte: il 

Fondo europeo di sviluppo regionale 

Obiettivo 5b. C’era la possibilità, in so- 

stanza, che l’Unione 

europea finanziasse 

un progetto 

di intervento sul 

territorio del tipo di 

quello sviluppato 

nella tesi. I due 

neoarchitetti non 

hanno perso tempo, 

e hanno presentato 

due progetti, uno 

per il tratto di percorso in comune di 

Piovene, circa un chilometro e mezzo, e 

l’altro per il tratto in comune di Velo, 

cinque chilometri scarsi. Il primo non 

ha ottenuto il finanziamento comunitario, 

il secondo invece sì. Detto fatto: è 

stato preparato il progetto esecutivo e si 

è dato il via ai lavori, iniziati a fine ’98 

e conclusi a giugno ’99. 

L’itinerario, ora, dopo la gran ripulitura 

effettuata, può essere percorso a piedi, 

in bicicletta o a cavallo. Per trovare l’inizio 

del sentiero occorre deviare dalla 

strada poco dopo la birreria Summano, 

sulla destra, già in comune di Velo d’Astico, 

e inoltrarsi per duecento metri 

nello sterrato. Ci si lascia alle spalle un 

In apertura, 

lo scenario della 

Valle dell’Astico 

lungo il quale si 

snodava la ferrovia 

Rocchette-Arsiero. 

Qui sopra, 

un biglietto ferroviario 

della linea, datato 1919, 

e una vecchia foto 

del trenino 

allo sbocco 

della galleria di Meda.


52 

Qui a lato, 

la vecchia stazione 

di Velo, recuperata, 

e tappa d’obbligo 

dell’itinerario. 

Sarà sede 

del museo del treno 

Rocchette-Arsiero. 


in alto una galleria 

della vecchia linea, 

con alcune grotte scavate 

per ospitare i cannoni 

durante la prima 

guerra mondiale. 

Sotto, 

quel che resta 

allo stato attuale, 

del ponte sul Posina, 

attraversato dal treno 

per Arsiero. 

Le ferrovie alpine di Alessandro Rossi 

Nell’ultima parte dell’Ottocento, Alessandro 

Rossi promosse e finanziò nell’Alto Vicentino 

(lasciando poi alcuni progetti in eredità al figlio 

Gaetano) una vera e propria rete di ferrovie 

alpine, che costituì una delle più moderne 

realizzazioni della prima industrializzazione 

italiana. Dopo la Vicenza-Schio, inaugurata 

nel 1876, nel 1885 fu aperta la Torrebelvicino- 

Schio-Arsiero, tratta a scartamento ridotto che 

partiva appunto dagli stabilimenti lanieri di 

Torre, arrivava a Schio e poi curvava per raggiungere 

Santorso e Piovene Rocchette e proseguire 

per Velo d’Astico e Arsiero, dove i Rossi 

avevano avviato una importante cartiera. 

A queste prime tratte si aggiunse, nel 1907, 

la Thiene-Rocchette, a scartamento ordinario, 

linea che si rivelò poi utilissima per i 

collegamenti durante la prima guerra mondiale. 

Nel 1910 fu la volta della Rocchette- 

Asiago, linea a scartamento ridotto con cremagliera, 

altro tratto strategico per garantire 

i rifornimenti bellici sull’Altopiano. Nel 

1933, infine la tratta Rocchette-Arsiero fu 

ridisegnata in parte nel tracciato e portata 

a scartamento ordinario, per integrarsi con 

la Thiene-Rocchette: fu questa l’ultima ferrovia 

realizzata nell’Alto Vicentino, e rimase 

in servizio fino al 1964.

vecchio casello ferroviario abbandonato, 

nel quale si nota ancora la scritta 

“via A. Rossi”, il primo segnale che qui 

una volta passava una via di transito 

importante. L’itinerario prende il via 

poco distante, e subito sulla destra appare 

il primo panorama d’effetto: un 

tratto sinuoso dell’Astico, giù in fondo, 

incanalato tra due fianchi di collina. Si 

arriva alla prima galleria. Al centro dell’arcata, 

si legge sulla pietra “Meda di 

Sopra” e “A XI”, anno undicesimo dell’era 

fascista, periodo nel quale la linea 

venne ridisegnata e portata a scartamento 

ordinario. La galleria ha dimensioni 

particolari, alta e stretta, con la 

volta perfettamente a semicerchio, 

adatta per far passare vagoni e locomotive. 

I passi, dentro il piccolo tunnel, risuonano 

forti e chiari. All’uscita, la vallata 

si apre sullo splendido scenario dei 

monti d’intorno, e sotto continua a 

scorrere il torrente. Alla seconda galleria 

la strada curva a sinistra e va, prosegue 

in un susseguirsi di ponticelli, 

muretti, gallerie, piccoli scali. Al confine 

comunale tra Velo e Arsiero il percorso 

si interrompe: continuerà, ma 

prima bisogna ricostruire il ponte sul 

Posina, di cui esistono solo le campate 

ma non più la parte centrale in ferro. 

Un’opera, questa dell’itinerario alla 

riscoperta della vecchia ferrovia della 

valle dell’Astico, realizzato nell’ottica 

della valorizzazione di tutti gli elementi 

architettonici e paesaggistici 

che vanno ad arricchire il progetto del 

“museo del territorio” dell’Alto vicentino. 

Per questo in futuro, oltre ad occuparsi 

anche di altri tracciati nei 

quali correvano le ferrovie rossiane, i 

promotori di queste iniziative inten- 

dono realizzare tra l’altro nell’ex stazione 

di Velo un piccolo museo dedicato 

alla linea Rocchette-Arsiero. 

Un’esposizione snella e discreta che, 

insieme al percorso della vecchia linea, 

completerà la riscoperta del piccolo, 

grande mondo della ferrovia. 

Stefano Tomasoni


54 

La “madre 

di tutte le 

automobili”, 

in Italia, 

fu quella 

acquistata 

nel 1892 da 

Gaetano Rossi, 

l’industriale di 

Schio. 

Era una 

Peugeot “due 

cavalli”, a 

quattro posti. 

Un piccolo 

record 

vicentino, 

all’insegna 

della 

modernità. 

Quattro ruote 

matrici 

Il primo italiano a possedere un’automobile 

fu un vicentino. Uno scledense, 

per la precisione. E non uno scledense 

qualsiasi: Gaetano Rossi, figlio di 

Alessandro, l’artefice dell’industrializzazione 

italiana. Niente Agnelli, stavolta, e 

nemmeno qualche esponente di punta 

della nobiltà o della ricca borghesia 

lombarda o piemontese. La prima automobile 

in assoluto entrata in circolazione 

in Italia fu acquistata a Schio. 

Gaetano Rossi ordinò nel 1892 una 

Peugeot “due cavalli” a quattro posti 

direttamente ad Armand Peugeot, il capostipite 

dell’oggi arcinota casa francese. 

Dunque, quando la Fiat era ancora 

nella testa di Giovanni Agnelli senior, 

che l’avrebbe fondata nel 1899, e in Italia 

l’auto era solo la “nuova frontiera” 

di qualche sperimentatore e progettista, 

in riva al Leogra (e in quel di Piovene, 

dove Rossi gestiva lo stabilimento di famiglia 

e abitava) la prima vettura girava 

già indisturbata per le vie della città. 

La ghiotta scoperta dell’auto “numero 

uno” in Italia è opera della rivista “La 

Manovella”, organo ufficiale dell’Automoto- 

club Storico Italiano, che, in un articolo 

pubblicato sul numero di dicembre ’99 

ha ufficialmente decretato il primato 

scledense dopo lunghe e approfondite 

ricerche d’archivio. Una scoperta che 

inserisce Schio nella piccola storia del 

costume italico e conferma il destino al 

pionierismo della famiglia Rossi: pioniere 

dell’industria il padre Alessandro, 

pioniere della modernità automobilistica 

il figlio Gaetano. Il quale, negli anni, 

avrebbe fatto ancora parlare di sè rendendosi 

protagonista di alcune altre 

“primizie”: nei primi anni del Novecento 

confermerà la sua capacità di “scommettere” 

sui nuovi mezzi di trasporto 

progettando e finanziando un piccolo sistema 

ferroviario locale (v. pagine precedenti). 

Nel 1907, inoltre, affronterà 

l’agone politico come candidato senatore 

eletto dello schieramento moderato 

locale appoggiato anche da una parte 

del mondo cattolico, in quella competizione 

elettorale che sancirà proprio nel 

collegio scledense la prima eccezione al 

“non expedit”, l’impedimento del Papa 

all’impegno politico dei cattolici italiani. 

Ma torniamo al “pionierismo automobilistico” 

di Rossi. Nel 1892, durante uno 

dei suoi viaggi all’estero, probabilmente 

a Parigi o in Alsazia, Gaetano entra in 

contatto con Armand Peugeot, e lì scocca 

la scintilla. La vicenda dell’interessamento 

del nostro per una vettura è raccontata 

dallo stesso Peugeot in una lettera 

datata 26 ottobre ’92, indirizzata 

ad un collega, Emile Levassor e riportata 

da “La Manovella”. 

“In Italia – scrive Peugeot – ho un’ordinazione 

da parte di un certo signor Rossi 

di Milano (i Rossi gravitavano spesso 

su Milano, dove avevano un indispensa-

ile supporto logistico, 

n.d.r.). Ha cominciatorivolgendosi 

a voi. Voi l’avete 

dirottato su 

Daimler; Daimler 

sulla sua società 

che, a quanto pare, 

ha una succursale 

in Italia. Questa società 

gli risponde di 

non essere in grado 

di soddisfare la sua 

richiesta. Rossi si reca poi a Strasburgo, 

ove vede una vettura Benz. È sul punto 

di ordinarla quando incontra un suo 

amico, il signor Schumberger di 

Guebwiller, il quale lo consiglia di rivolgersi 

a noi. Segue il consiglio e noi accettiamo 

l’ordinazione. Dopo 3 settimane 

la società Daimler gli scrive per offrirgli 

la vettura. Avendo già passato 

l’ordinazione a noi, egli risponde di non 

dar seguito all’invito. L’ho pregato di 

sottoporre 

la questionealla 

società 

Daimler e 

aspetto 

sue notizie 

ma – 

La scoperta della prima 

auto acquistata in Italia 

conferma il destino 

al pionierismo della 

famiglia Rossi: primi 

nell’industrializzazione e 

primi nel modernismo 

automobilistico 

come potrà constatare 

– siamo continuamente 

infastiditi 

da queste questioni 

di brevetti e di licenze”. 

Monsieur Peugeot 

riceve l’ordine da 

Rossi, e il 30 agosto 

del 1982 lo trascrive 

nel libro delle 

consegne: “Voiture 

4 places A. Moteur 

2 chevaux”, completa di capote e strapuntino. 

Nel registro l’ordine figura con 

il numero “25”: è la venticinquesima 

auto prodotta dall’ingegnoso Peugeot, 

che appena due anni prima, nel ’90, 

aveva avviato la costruzione dei primi 

prototipi. La vettura destinata all’industriale 

scledense, dotata di motore a petrolio 

Daimler di 1282 cc, due cilindri, 

18 chilometri di velocità, costruita fino 

A pagina 54, 

la prima auto acquistata 

da Gaetano Rossi, 

la Peugeot “due cavalli”, 

ordinata nel 1892 

e arrivata a Schio 

il 2 gennaio 1893. 

Qui sopra, 

Gaetano Rossi.


56 

Sopra, 

il registro con l’ordine 

di acquisto della 

prima vettura di Rossi. 

A lato, 

la terza auto 

dell’imprenditore 

scledense, una 

Peugeot “Phaeton” 6 CV. 

Gli appassionati e i 

collezionisti di auto d’epoca 

possono contare, nel Vicentino, su due 

associazioni molto attive nel loro campo. 

Si tratta del “Circolo veneto auto moto 

d’epoca” di Bassano del Grappa e 

dell’“Historic Club” di Schio. 

Il Circolo di Bassano fu fondato quasi 

quarant’anni fa, nel 1961, e conta oggi 

quasi 450 iscritti. È presente con varie manifestazioni, 

la più importante delle quali è 

la rassegna “Mitiche sport a Bassano”. Ha 

sede presso il Museo dell’automobile “Luigi 

al 1894 in sessantaquattro esemplari, 

viene consegnata il 2 gennaio 1893. Anticipa 

di oltre un anno quella che fino 

ad ora era considerata la prima auto arrivata 

in Italia, la Panhard-Levassor acquistata 

dal conte fiorentino Carlo Ginori 

ed esibita attraverso Firenze il 28 

febbraio 1894. La vagonetta a sei posti 

del torinese Michele Lanza, considerata 

a lungo la prima vera automobile italiana, 

è datata 1896. 

Negli anni che seguono a quel primo acquisto, 

Gaetano Rossi si appassiona al 

nuovo mezzo di trasporto e non manca 

di acquistare i successivi modelli messi 

sul mercato da Peugeot. Nel gennaio 

1896, l’imprenditore ordina al collega 

francese un esemplare del nuovo modello 

“Vis a vis”, una quattro posti con capote, 

motore Daimler 3 CV. Riceve la 

nuova auto nell’aprile 1987, ma ecco 

che nel dicembre dello stesso anno ordi- 

Due club vicentini 

per le auto e moto d’epoca 

Bonfanti” di Romano d’Ezzelino, che ospita 

mostre tematiche di notevole prestigio e 

caratura sull’automobile storica italiana. 

L’Historic Club Schio è stato fondato più 

di recente, nel 1991, ma conta già circa 

370 soci. A parte la consulenza agli associati 

sulle normative del settore veicoli storici, 

organizza alcune manifestazioni diventate 

appuntamenti tradizionali per il 

mondo delle auto d’epoca, come la rievocazione 

dell’antica corsa motociclistica 

“Circuito dei Tretti” e “Le veterane nella 

città della lana”. 

na una terza vettura, la più imponente 

“Phaeton” 6 CV, accessoriata di tutto 

punto e dotata addirittura di una tettoia 

che la copriva completamente. Un’annotazione 

a margine del libro delle consegne, 

peraltro, fa intendere che quest’auto 

sia stata poi “girata” da Rossi ad 

un altro scledense, Giovanni Peroni. 

Insomma, un vero amante e precursore 

delle quattro ruote, Gaetano Rossi. Che 

con questa sua passione, resa praticabile 

dalla buona “dotazione di famiglia”, 

regala a Schio un piccolo primato. Di 

quelli che non cambiano certo la storia, 

ma danno un’ulteriore conferma di come 

in quella fine secolo nell’Alto Vicentino 

si fosse “in testa al gruppo” non solo 

nel fare industria, ma anche nel cogliere 

e riconoscere la direzione verso la 

quale marciava il futuro. 

Stefano Tomasoni

RUBRICHE 

58 

ASSOFLASH 

Il nuovo sito internet 

dell’Associazione 

Il sito Internet dell’Assindustria è 

stato completamente rinnovato, 

potenziato e realizzato per essere 

sempre più interattivo e facilmente 

al servizio delle aziende, 

ma anche per essere una “vetrina” 

dell’Associazione verso l’esterno, 

aggiornata quotidianamente 

con notizie, approfondimenti, 

forum di discussione. 

Il sito consente modalità di navigazione 

diverse a seconda delle 

necessità del singolo utente. Dà 

accesso fin dall’home page a tutte 

le informazioni, non solo tecniche 

ma anche istituzionali e politiche, 

prodotte dall’Assindustria. Una 

parte delle informazioni e dei servizi, 

naturalmente, continua ad 

essere riservata alle sole aziende 

associate, mentre un’altra parte 

del menù è accessibile a tutti. 

Innovativo e dinamico, il nuovo 

sito presenta caratteristiche chel 

o rendono simile alla “prima pagina” 

di un giornale. 

Franco Zuin presidente 

dei costrutturi di impianti 

Cambio al vertice della sezione 

costruttori impianti tecnologici 

dell’Associazione industriali. Alla 

presidenza è stato eletto, per il 

prossimo biennio, Franco Zuin, 

amministratore unico della Veneta 

Impianti Tecnologici di Vicenza. 

Zuin succede a Getulio 

Ferri, il cui mandato era giunto a 

scadenza. 

Vicepresidenti sono Francesco 

Bertoldo (Bertoldo Impianti, Bolzano 

Vicentino) e Marco Fiorese 

(Fiorese Silvano, Bassano del 

Grappa). 

Il consiglio direttivo della sezione 

è inoltre completato dalla presenza 

di Marisa Converti (CDS 

Security Vicenza, Vicenza), Paolo 

Ferrarese (Ferrarese Impianti, 

Vicenza), Getulio Ferri (Set, 

Dueville), Irene Gemmo (Gemmo 

Impianti, Arcugnano), Stefano 

Padrin (Padrin Sistemi, Vicenza), 

Fernanda Sgrinzato (L’Idraulica, 

Bassano del Grappa) e 

Massimo Trevisan (Trevisan Impianti, 

Vicenza). 

La sezione costruttori impianti 

comprende una sessantina di 

aziende, nei comparti degli impianti 

elettrici, termici, idraulici 

e delle telecomunicazioni. 

Da una fusione nata 

la sezione alimentari 

e bevande 

Fusione tra la sezione alimentari 

e quella bevande alimentari dell’Associazione. 

È nata la sezione 

alimentari e bevande, presieduta 

da Luigi Morato, in precedenza 

presidente degli alimentari. I vicepresidenti 

della nuova sezione 

congiunta sono Luigi Benedetti 

(Benedetti Ermenegildo, Grisignano 

di Zocco), Giovanni Zonin 

(Casa vinicola Zonin, Gambellara) 

e Remo Zuccato (F.lli 

Zuccato, Caltrano). Rinnovato, 

con la fuzione, anche il resto del 

consiglio direttivo, ora composto 

da Antonio Borella di Torre (Borella, 

Bassano del Grappa), Bruno 

Brendolan (Brendolan Prosciutti, 

Lonigo), Roberto Brazzale 

(Casearia Brazzale, Zanè), 

Franco Cera (La Centrale del 

latte, Vicenza), Giovanni Cracco 

(Salumificio F.lli Cracco di Domenico, 

Altissimo), Giuseppe De 

Paoli (De Paoli Luigi & Figli, 

Bolzano Vicentino), Matteo Frugani 

(Fonti di Posina, Posina), 

Jacopo Poli (Distillerie G.B. Poli, 

Schiavon), Orazio Schiavon 

(Schiavon, Cassola).

Elettronici: conferma 

per Giordano Malfermo 

La sezione elettronici dell’Associazione 

ha confermato alla presidenza 

per un altro biennio 

Giordano Malfermo, presidente 

della Eltra di Sarego. Vicepresidenti 

sono Gualtiero Dino Corà 

(Rowan Elettronica, Caldogno), 

Luigi Mosele (Mosele Elettronica, 

Costabissara). I consiglieri sono 

Narciso Balbo (E.E.I., Vicenza), 

Lamberto Brunelli (TDE Macno, 

Vicenza), Giovanni Cariolato 

(C.A. & G. Elettronica, Cornedo 

Vicentino), Arnaldo Monticello 

(Siel Sistemi Elettronici, Arcugnano), 

Luciano Ongaro (Intesis, 

Caldogno), Massimo Orfeo Perucca 

(Stalam, Nove), Daniele 

Sartori (Magnetic, Montebello Vicentino), 

Antonio Silvestri (Autec, 

Caldogno), Mario Spillere 

(Telwin, Villaverla), Luigi Tirabosco 

(Ebiemme, Arcugnano). 

Nuova organizzazione per 

la sezione industrie varie 

La sezione industrie varie ha varato 

un progetto di valorizzazione 

delle affinità merceologiche dei 

gruppi della sezione. Sono state 

creati tre “aggregati” che faranno 

da punto di riferimento per le esigenze 

e le proposte delle aziende. 

L’aggregato imprese alberghiere, 

residenze per anziani, imprese del 

tempo libero, dello sport e della 

salute ha come referente Pier Antonio 

Evangelisti (AFI Hotels Limited, 

Vicenza); l’aggregato imprese 

commerciali (distributori 

ingrosso, concessionari auto, magazzini, 

depositi) ha per referente 

Walter Giacometti (Nuova Fergia, 

Vicenza); l’aggregato servizi 

generali (imprese nettezza urbana, 

smaltimento e recupero rifiuti; 

imprese di pulizie; imprese fornitrici 

di gas, energia elettrica e 

simili; imprese di vigilanza e investigazioni) 

ha come referente 

Antonio Zaccaria (Aim, Vicenza). 

Gabriele Negro 

presidente del Cotrim 

Gabriele Negro è il nuovo presidente 

del Cotrim, il consorzio per il trattamento 

dei reflui delle imprese del 

marmo, promosso dall’Associazione 

industriali. Negro, che è presidente 

della Veneta Target di Chiampo, sostituisce 

Marco Margoni, giunto a 

conclusione di mandato. 

Vicepresidente del consorzio è ora 

Augusto Soldà (Soldà Augusto, 

Cornedo). Nel consiglio siedono 

inoltre Alessandro Faedo (Marmi 

Faedo, Cornedo), Ivano Farinon 

(Marmi e Graniti di Farinon Giovanni 

& figli, Chiampo) e Giancarlo 

Girardi (Master Graniti, 

Campiglia dei Berici). 

Energindustria: avviata 

la fornitura alle aziende 

Energindustria, il Consorzio 

Energia dell’Associazione Industriali, 

costituitosi nel settembre 

scorso e diventato operativo dal 

1° gennaio, ha già fatto partire la 

fornitura di energia per buona 

parte delle aziende aderenti. 

In gennaio sono partite ventisei 

aziende per 127 milioni di kwh, 

mentre il 1° febbraio la fornitura 

è iniziata per un’altra novantina 

di aziende per 285 milioni di 

kwh. Il 1° marzo l’avvio operativo 

ha riguardato un’ulteriore trentina 

di imprese, con un fabbisogno 

di circa 60 milioni di kwh. In 

aprile è previsto l’avvio di fornitura 

di energia ad un nuovo grup 

po di 35 aziende per un consumo 

complessivo di 85 milioni di kwh. 

In totale, Energindustria conta attualmente 

oltre 200 aziende associate, 

che raggiungono un consumo 

annuo di energia pari a circa 

800 milioni di kwh, con una bolletta 

energetica complessiva pari 

a 120 miliardi. Il consorzio dell’Associazione 

si conferma come 

la più grande struttura con sortile 

italiana per l’acquisto di energia 

elettrica sul mercato libero. 

59

IMPRESE 

60 

“Carta Noi” per gli 

imprenditori associati 

Si chiama “Carta Noi”, la nuova, 

aggiornata carta esclusiva lanciata 

quest’anno dall’Associazione 

Industriali e distribuita in a cinquemila 

tra imprenditori e amministratori 

delle aziende associate. 

Una versione più ricca e completamente 

rinnovata rispetto alla 

precedente. Le convenzioni e le 

agevolazioni comprendono un 

ampio “carnet” di proposte:convenzion 

i 

con 

autonoleggi,concessionari 

e 

corrieri, 

con hotel 

di primaria 

importanza 

in tutta la provincia, con gli aeroporti 

di Venezia e Verona, con 

strutture medico-sanitarie private, 

con negozi, spacci aziendali, 

centri sportivi e palestre, ristoranti, 

società di telefonia fissa e mobile, 

società di informatica, assicurazioni, 

società di lavoro interinale 

e altro ancora. 

Un computer usato 

per aiutare la scuola 

Accompagnata dalla slogan “Dai 

al tuo vecchio computer un futuro 

luminoso”, è partita una campagna 

rivolta ad aziende, enti e 

professionisti affinché chi sta per 

cambiare i computer usati per 

ammodernare le proprie dotazioni 

tecnologiche non li getti via, 

ma li doni alle scuole elementari 

e medie della provincia. 

L’iniziativa è promossa dal Gruppo 

giovani imprenditori dell’Assindustria, 

dalla Provincia, dal 

Comune di Vicenza e dal Giornale 

di Vicenza. Per aderire, le 

aziende devono comunicare la 

propria disponibilità in Assindustria; 

enti e professionisti possono 

invece rivolgersi alla Provincia o 

al Comune di Vicenza. “Regalare 

i propri pc usati alla scuola significa 

dare un piccolo contributo 

alla crescita formativa dei ragazzi” 

– dice il presidente dei Giovani 

imprenditori di Assindustria, 

Giuseppe Zigliotto –. È un atto 

intelligente e un investimento a 

medio termine. In futuro chi non 

saprà usare il pc sarà come se 

non sapesse scrivere”. 

Riconoscimento per 

Onorio De Franceschi 

Il Comune di Vicenza ha conferito 

a Onorio De Franceschi, vicepresidente 

dell’Associazione industriali 

e presidente dell’Ater (Azienda 

territoriale per l’edilizia pubblica 

residenziale), un riconoscimento 

pubblico per l’intensa attività 

svolta a favore della cittadinanza. 

58 anni, sposato, 4 figli, De 

Franceschi è imprenditore edile e 

direttore amministrativo dell’omonima 

azienda di Isola Vicentina, 

ha ricoperto numerose cariche 

amministrative e associative 

imprenditoriali. È, come detto, 

presidente dell’Ater di Vicenza 

dal ’95 e ricopre anche la carica 

di presidente dell’associazione regionale 

fra le Ater del Veneto.

RUBRICHE 

62 

Osservatorio 

L 

’indagine congiunturale trimestrale 

dell’Associazione Industriali, 

che riguarda gli ultimi tre 

mesi del ’99 (ottobre-dicembre) ha 

confermato gli indici di ripresa già 

registrati nel trimestre precedente; 

indici che risultano ora anche più 

solidi. Un’iniezione di ottimismo. 

Nel periodo ottobre-dicembre ’99 il 

saldo produttivo ha mostrato un 

buon recupero, confermando i segnali 

di ripresa evidenziati dopo 

l’estate. Un’azienda su due (il 50% 

esatto) ha dichiarato aumenti di 

produzione, mentre non più del 

22% ha segnalato cali produttivi. Il 

“saldo di opinione” (ovvero la differenza 

tra chi è in positivo e chi in 

negativo) è stato così pari a +28, 

che è davvero un buon indice se si 

considera che nello stesso periodo 

del 1998 era stato pari a +14 e soprattutto 

che nel periodo estivo del 

’99 (luglio- settembre) si era fermato 

a +8. In ripresa appaiono anche 

le esportazioni, con un saldo 

positivo passato da +9 a +21. 

Quanto al portafoglio ordini, la 

situazione complessiva, pur migliorata, 

non esclude ancora elementi 

di preoccupazione. 

L’indagine ha confermato, inoltre, 

che il saldo occupazionale è su 

valori positivi: è prevalso infatti anche 

in questo caso il numero di 

aziende con addetti in aumento: 

nel 29% delle ditte sono stati segnalati 

incrementi di personale, a 

fronte del 17% che ha dichiarato 

diminuzioni. 

È scesa la quota di aziende che se- 

gnala ritardi negli incassi e diminuisce 

anche la percentuale di chi 

denuncia tensioni di liquidità. 

Nessuna nota positiva, invece, per 

quanto riguarda il prezzo delle materie 

prime e dei prodotti finiti, che 

sono risultati in sensibile incremento: 

i prezzi delle materie prime sono 

segnalati in aumento per il 56% 

delle aziende, mentre quelli dei 

prodotti finiti sono in aumento per 

60 

50 

40 

30 

20 

10 

0 

-10 

-20 

PRODUZ. 

EXPORT 

PRODUZIONE ed EXPORT 

Saldi di opinione 

il 27% delle aziende (17% nello 

scorso trimestre). I dati sulle previsioni 

di investimento per il 2000 

mettono in luce che in quattro 

aziende su dieci (39%) è previsto 

in aumento il livello degli investimenti 

(36% nella precedente rilevazione). 

E scende dal 22 al 13% 

la quota di imprese che non ha in 

programma per i prossimi dodici 

mesi alcuna spesa. 

1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 

LA PROVINCIA IN CIFRE 

Superficie territoriale kmq. 2.722 

Popolazione 780.740 

Famiglie 286.610 

Imprese 73.082 

Occupati 341.000 

– in agricoltura 12.000 

– nel settore produttivo 172.000 

– nel terziario 157.000 

Fatturato industria 65.700 miliardi 

Esportazioni 16.770 miliardi 

Importazioni 9.622 miliardi 

Reddito lordo 31.700 miliardi 

Meccanico 

Tessile 

Conciario 

Mat. plastiche 

Mobile 

Orafo 

Alimentare 

Abbigliamento 

-40 

-20 

Tassi di mercato 

Euribor 3 mesi Prime rate ABI 

1 dic ’99 3,496 6,25 

3 gen 2000 3,384 6,25 

1 feb 2000 3,541 6,25 

1 mar 2000 3,683 6,50 

-22 

0 

19 

20 

22 

25 

33 

40 

1998 1999 2000 

PRODUZIONE 

3º trimestre 1999 

Saldi di opinione 

86 

94 

40 60 80 100

Inflazione 

(Variazione percentuale) 

1998 1999 2000 

Gennaio 1,9 1,5 2,2 

Febbraio 2,1 1,4 

Marzo 2,1 1,3 

Aprile 2,1 1,5 

Maggio 2,0 1,5 

Giugno 2,1 1,4 

Luglio 2,1 1,7 

Agosto 2,1 1,7 

Settembre 2,0 1,8 

Ottobre 1,9 2,0 

Novembre 1,7 2,0 

Dicembre 1,7 2,1 

Media annuale 2,0 1,7 

milioni di ore autorizzate 

25 

20 

15 

10 

5 

0 

Fatturato e ordinativi 

Numeri indici del fatturato e degli ordinativi 

dell’industria, dati destagionalizzati 1995=100 

Fatturato Ordinativi 

Gennaio 1999 104,9 103,7 

Febbraio 102,8 97,9 

Marzo 105,0 105,4 

Aprile 103,5 101,1 

Maggio 104,8 104,7 

Giugno 107,4 105,1 

Luglio 109,5 110,5 

Agosto 111,5 108,9 

Settembre 110,5 109,2 

Ottobre 111,3 108,1 

Novembre 113,5 112,4 

Dicembre 114,5 111,0 

Fonte: Istat. 

G F M A M G L A S O N D 

17,4 14,9 14,3 11,9 13,2 15,9 15,8 3,8 13,8 17,4 20,2 13,8 

13,0 13,7 20,1 16,0 18,0 16,0 14,3 3,5 14,2 13,5 12,1 12,6 

Fonte: Inps 

6,0 

Cassa Integrazione 

Il divario Nord-Sud 

tassi % sepcifici di disoccupazione, ottobre 1999 

totale giovani 15-24 anni 

19,2 

4,4 

12,6 

9,1 

29,1 

21,1 

56,4 

Nord-ovest Nord-est Centro Mezzogiorno Italia 

1998 1999 

11,1 

33,3 

Fonte: Istat 

Esportazioni e Importazioni 

Anno Export Import 

’90 7,0 10,4 

’91 -2,5 1,4 

’92 6,5 4,7 

’93 8,0 10,3 

’94 10,1 10,3 

’95 12,7 10,4 

’96 0,6 -0,3 

’97 6,5 10,2 

’98 3,3 9,1 

’99 -0,4 3,4 

2000 6,0 7,5 

Fonte: Istat; previsioni Il Sole 24 Ore Idea 

Tassi e condizioni bancarie 

I dati sono stati rilevati nel mercato creditizio 

vicentino al 29 febbraio 2000 

su un campione di imprese con positivi 

indicatori economico-finanziari 

Conto corrente 

Tasso franco commissione 

max scoperto 6,60% 

Spese per operazione 1.950 

Valuta per assegni fuori piazza 2,5 giorni lav. 

Anticipi su fatture/contratti 

Tasso aperto 4,1% 

Smobilizzo Italia 

Tasso sbf 3,75% 

Commissione incasso effetti 

cartaceo 3.500 

Commissione incasso effetti 

elettronico 3.450 

Valuta portafoglio cartaceo 5,0 giorni lav. 

Valuta portafoglio elettronico 4,7 giorni lav. 

Operazioni con l’estero 

Tasso lire per anticipi export 3,60% 

Spread a favore della banca 

su eurodivisa 0,31% 

Commissione valutaria 0,04% 

Crediti di firma 

Fidejussione Italia 1,1% 

Indicatori di riferimento 

Tasso ufficiale di sconto 3,25% 

Prime rate ABI 6,50% 

Euribor 3 mesi lettera 3,684% 

Rendimento lordo titoli pubblici 5,246% 

63

industria vicentina - Associazione Industriali della Provincia di Vicenza

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