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Numero 77 - caterpillar

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CATEREDAZIONALE<br />

Dopo che un giovanissimo studente, non ancora<br />

identificato con certezza, ha pensato bene di cancellare<br />

completamente il famoso “appoggio studenti”,<br />

cartella condivisa che permette l’accesso<br />

ai files degli studenti da qualunque computer<br />

della rete del liceo, mi è stato chiesto di scrivere<br />

un articolo sugli hackers:<br />

ho colto l’occasione<br />

per cercare<br />

di chiarire insieme<br />

chi sono queste misteriose<br />

figure.<br />

Generalmente quando<br />

si parla di hacker<br />

viene sempre in mente<br />

quel personaggio<br />

che padroneggia il pc<br />

e lo usa per arrecare<br />

danni informatici ad<br />

altri utenti. In realtà<br />

questa definizione<br />

non è del tutto esatta<br />

– ma neanche del tutto<br />

errata – in quanto<br />

chi ha un particolare<br />

potere può usarlo<br />

tanto in modo distruttivo quanto in modo costruttivo.<br />

Infatti la categoria degli hackers si divide in<br />

due categorie: hacker neri, e hacker bianchi.<br />

Gli hackers in generale sono figure che cercano<br />

di usare le proprie risorse intellettuali per superare<br />

delle limitazioni che vengono imposte. Il<br />

termine è stato coniato al Massachusetts Institute<br />

of Tecnology (Mit) e in italiano lo rendiamo con<br />

“smanettone”.<br />

Gli hacker neri, i black hat, sono coloro che ab-<br />

2<br />

biamo definito sopra e sono anche detti cracker:<br />

agiscono con l’esclusivo intento di arrecare un<br />

danno alla macchina. Sfruttando i bug (bachi,<br />

errori di scrittura, ndr) dei sistemi, essi cercano<br />

di accedere a sistemi informatici in modo illecito,<br />

senza il consenso dei proprietari, violandone<br />

quindi la privacy. La<br />

definizione erronea<br />

di hacker per questa<br />

categoria viene purtroppo<br />

diffusa anche<br />

dai mass media, che<br />

in realtà dovrebbero<br />

parlare di cracker.<br />

Gli hacker bianchi,<br />

i white hat, sono invece<br />

quelli che contrastano<br />

l’abuso delle<br />

abilità informatiche,<br />

quindi si pongono<br />

l’obiettivo di monitorare<br />

e migliorare la<br />

sicurezza di una rete<br />

e dei sistemi a essa<br />

collegati. Sono degli<br />

ottimi utilizzatori dei<br />

pc e agiscono con l’intento di ampliare le proprie<br />

conoscenze e di mettere in gioco la propria creatività<br />

in una sfida intellettuale oltre limiti imposti.<br />

Proprio come la definizione di hacker suggerisce.<br />

In conclusione possiamo affermare che non si<br />

è in grado di stabilire se il colpevole del misfatto<br />

possa far parte della prima “categoria” piuttosto<br />

che della seconda. Di certo la sua azione poteva<br />

essere compiuta praticamente da chiunque.<br />

Tony Samperi


TOP SIX DEI BUONI MOTIVI<br />

X NON LEGGERE IL CATER<br />

Se vi chiedete come mai questo periodico<br />

continui a straripare testi e a uscire, a<br />

intervalli irregolari ogni santo anno, nelle aule<br />

e lungo i corridoi del Maske, se lo ritenete<br />

un giornalino noioso privo di una qualsivoglia<br />

utilità, non leggete questo articolo.<br />

Un’infinità di motivi possono invogliare lo<br />

studente a non leggere il Caterpillar, a provare<br />

una repulsione estrema per i nostri articoli<br />

seri e appassionati, faceti e ironici, talora<br />

tragicomici, per le cronache interne - a noi, a<br />

voi e alla nostra scuola - o per quelle esterne,<br />

per i nostri e i vostri pensieri e interessi nei<br />

campi della cultura e dello sport e nel tempo<br />

libero dallo studio.<br />

Se state leggendo questa pagina solo perché<br />

il vostro interesse si limita ad articoli idioti,<br />

fini a se stessi, improvvisati con un linguaggio<br />

semplice e banale tanto per riempire qualche<br />

minuto di una spiegazione o di un’interrogazione,<br />

bravi, c’avete azzeccato: questo articolo fa<br />

per voi.<br />

Infatti, non avendo mai letto, ma solo sfogliato<br />

e cestinato il Caterpillar, non vi sareste<br />

mai chiesti quali sono i motivi per i quali non<br />

dovreste leggerlo. Ce lo siamo chiesti per voi.<br />

E ci siamo lambiccati per rispondervi.<br />

Quali sono i motivi per i quali non dovreste<br />

leggere il Caterpillar?<br />

Primo buon motivo per non leggere il<br />

Caterpillar. Perché questo è un giornalino<br />

scolastico e, in quanto tale, relegato a un<br />

ambito prettamente formativo ed educativo;<br />

di conseguenza è lecito pensare che la sua<br />

trattazione si sviluppi esclusivamente intorno<br />

ad argomenti noiosi, di cui avete piene le<br />

scatole, il cui interesse vi ha già abbandonato<br />

da anni. E questo non è un aspetto da<br />

sottovalutare, è gia sufficiente per evitare la<br />

lettura.<br />

Secondo buon motivo per non leggere il<br />

Caterpillar. Considerate le infinite utilità di<br />

3<br />

ben 15 fogli formato A3 e i molteplici usi degli<br />

stessi 15 fogli, nati dalla vostra creatività. A<br />

questi pensieri, la lettura del Caterpillar passa<br />

nettamente in secondo piano, superata da fini<br />

assai più allettanti, diventando, nella migliore<br />

delle ipotesi, la materia prima di un fantastico<br />

aeroplanino.<br />

Terzo buon motivo per non leggere il<br />

Caterpillar. È quasi estate. Siete asfissiati<br />

dal caldo assurdo della vostra classe, il<br />

compagno di banco si è dimenticato di fare uso<br />

del deodorante la mattina stessa ed emana<br />

sgradevoli odori grondando sudore. Ti stai<br />

sciogliendo e ti cade l’occhio sul Caterpillar<br />

fresco di stampa e intonso, un insieme rigido<br />

di fogli sparsi sul tuo banco. La logica ti spinge<br />

non a leggerlo, ma a piegarlo e ripiegarlo su<br />

se stesso… pagina dopo pagina, di articolo<br />

in articolo, parola su parola… per creare un<br />

solido e utilissimo ventaglio.<br />

Quarto buon motivo per non leggere il<br />

Caterpillar. State cercando di annotare i<br />

ragionamenti in aramaico della vostra profe: è<br />

un caso eccezionale, pertanto cercate almeno<br />

di prendere decentemente appunti e di scrivere<br />

in modo accettabile. Ma il banco dondola da<br />

destra a sinistra, da sinistra a destra per<br />

infinite oscillazioni… e, quando vi sembra<br />

di aver finalmente raggiunto una posizione<br />

di equilibrio appoggiando il gomito sinistro<br />

sulla sedia e tenendo il destro leggermente<br />

sospeso al di sopra del banco, assumendo<br />

insomma una posizione disumana, riecco che<br />

ricomincia. State perdendo la pazienza; la<br />

profe è passata di argomento in argomento e<br />

voi avete inesorabilmente perso l’inestricabile<br />

filo del suo ragionamento; il dondolio del banco<br />

vi sta snervando all’inverosimile… ed ecco la<br />

salvezza: il Caterpillar. Otto belle pagine sotto<br />

la gamba traballante e voi avete riacquistato<br />

la serena stabilità.<br />

Quinto buon motivo per non leggere il


Caterpillar. Il Caterpillar è lì, a metà tra<br />

il vostro banco e quello del vostro irritante<br />

compagno di classe, che si pavoneggia del suo<br />

8 nella verifica, ridicolizzando all’ennesima<br />

potenza il vostro sudato e immeritato 4.<br />

L’utilità di leggere il Caterpillar in questa<br />

situazione è pari a zero. Ma quest’edizione<br />

straordinaria strabocca di pagine…<br />

Istintivamente le arrotolate per ottenere un<br />

efficace manganello di carta, il cui utilizzo è<br />

lasciato alla vostra più sfrenata fantasia.<br />

Sesto buon motivo per non leggere il<br />

Caterpillar. Perché sprecare il vostro prezioso<br />

tempo per leggere uno stupido periodico<br />

scolastico, quando potreste spararvi tre belle<br />

4<br />

ore su facebook? Siete di questa opinione e,<br />

accartocciando il Caterpillar in una voluminosa<br />

e compatta palla, sfoderate le vostre innate<br />

capacità di baskettisti per mettere a segno un<br />

fantastico canestro nel cestino della vostra<br />

camera.<br />

Non ci basta aver dimostrato, con metodo<br />

rigorosamente scientifico, che questo<br />

giornalino può risultare inutile a un comune<br />

studente: aspettiamo ulteriori ipotesi,<br />

suggerimenti, aiutini, proposte in merito.<br />

Nel frattempo, cari lettori del Caterpillar,<br />

buone vacanze.<br />

Leo


CRONACA INTERNA<br />

5


Intervista al ministro Meloni sulle iniziative di governo realizzate per e con i ragazzi<br />

Altro che bamboccioni...<br />

«I giovani sanno quello che vogliono e si danno da fare»<br />

Perché il Ministero della<br />

Gioventù e le sue iniziative<br />

non sembrano essere tra i più<br />

menzionati e presenti su media<br />

come la televisione?<br />

«Bisognerebbe girare questa<br />

domanda ai media: forse loro<br />

potrebbero spiegarlo anche a me -<br />

premette il ministro della Gioventù<br />

Giorgia Meloni -. A parte gli<br />

scherzi, è vero: purtroppo è molto<br />

più facile per tv e giornali correre<br />

dietro alla polemica politica del<br />

momento piuttosto che dare risalto<br />

alle iniziative concrete. I progetti<br />

e le azioni del Ministero della<br />

Gioventù ne fanno le spese molto<br />

sovente. Perciò abbiamo scelto<br />

un approccio diretto per parlare ai<br />

giovani italiani, attraverso alcuni<br />

tra i canali che sono loro più vicini:<br />

internet e le web radio.<br />

Lo abbiamo fatto attraverso il sito<br />

www.gioventu.it, che da qualche<br />

tempo è diventato anche un’App per<br />

iPhone e iPad e che, pur mantenendo<br />

il rigore istituzionale, apre le porte<br />

al dibattito con i ragazzi. Pproprio<br />

per questo, esso è il più visitato tra<br />

i siti istituzionali e si è guadagnato<br />

il premio E-Gov2009 del EuroPA<br />

come miglior sito nella pubblica<br />

amministrazione.<br />

Lo abbiamo fatto anche con<br />

l’esperienza di Radio Gioventù:<br />

attraverso una rubrica radiofonica abbiamo stabilito<br />

un nuovo livello più informale di comunicazione tra<br />

i giovani e il governo. Ogni settimana, per mezz’ora,<br />

le iniziative del Ministero della Gioventù vengono<br />

presentate dal ministro in prima persona e commentate<br />

insieme a personaggi rappresentativi non solo della<br />

vita politica, ma soprattutto della società civile. Tutte<br />

le puntate sono disponibili on-line sul sito www.<br />

Il ministro della Gioventù Giorgia Meloni<br />

6<br />

radiogioventu.it».<br />

«E poi c’è la nostra “galassia” Facebook: - prosegue<br />

il Ministro - una rete pensata e gestita dai giovani per<br />

i giovani, che parla il loro stesso linguaggio e che<br />

contribuisce a dare senso compiuto a tutti i progetti e le<br />

iniziative portati avanti dal Ministero della Gioventù,<br />

con oltre 25.000 utenti attivi. Al primo posto per


partecipazione e popolarità, c’è la pagina “Giorgia<br />

Meloni – Ministro della Gioventù”, nella quale<br />

confluiscono giornalmente commenti e osservazioni<br />

e che rappresenta un vero e proprio filo diretto tra gli<br />

utenti e la titolare del Ministero della Gioventù. E<br />

poi ci sono tutte le pagine create ad hoc per i grandi<br />

eventi, come Gioventù Ribelle, il Festival TNT,<br />

Operazione Nasorosso, Campus Mentis, Giovani per<br />

la Legalità, Giovani per l’Abruzzo e Campogiovani,<br />

che vi invito a scoprire, per saperne di più. Ma la<br />

comunicazione viaggia anche su Twitter, sulla pagina<br />

“GiorgiaMeloni”».<br />

Questa potrebbe essere un’occasione per far<br />

sapere di iniziative, opportunità, provvedimenti del<br />

Ministero della Gioventù destinate in particolare<br />

a studenti della nostra età, compresa fra 14 e 19<br />

anni…<br />

«Allora approfitto dell’opportunità che mi date per<br />

parlare di Campogiovani: da giugno a settembre, con<br />

la collaborazione dei Vigili del fuoco, della Marina<br />

militare, delle Capitanerie di porto e della Croce<br />

rossa italiana, il Ministero della Gioventù organizza<br />

campi estivi in tutta Italia rivolti a ragazzi e ragazze<br />

di età compresa tra i 14 ed i 22 anni che frequentino<br />

istituti scolastici superiori o siano iscritti ai primi anni<br />

del ciclo universitario. Campogiovani vuol dire una<br />

settimana da protagonisti in difesa dell’ambiente, in<br />

aiuto alla popolazione, al servizio dell’Italia. Una<br />

settimana per apprendere nozioni utili, fare amicizia,<br />

conoscere persone straordinarie, scoprire attitudini e<br />

soddisfare la propria voglia di impegno civile. Tutte<br />

le informazioni possono essere trovate su internet<br />

all’indirizzo www.campogiovani.it o sulla pagina di<br />

Facebook dedicata al progetto.<br />

Un altro progetto di cui vado orgogliosa si chiama<br />

“Diamogli Futuro” e introdurrà per la prima volta in<br />

Italia il prestito d’onore: forte di uno stanziamento<br />

di 18 milioni di euro, già interamente stanziati,<br />

consentirà a circa 30mila ragazzi che non hanno alle<br />

spalle una famiglia di potersi mantenere durante gli<br />

anni dello studio attraverso un prestito garantito dallo<br />

Stato.<br />

Ma sono tante le iniziative e i progetti che giorno dopo<br />

giorno mettiamo in campo per giovani e giovanissimi:<br />

potete trovare tutte le informazioni che cercate sul<br />

nostro sito www.gioventu.it».<br />

È frequente in notiziari e dibattiti televisivi il<br />

problema dell’esodo di molti giovani neolaureati<br />

all’estero, in centri di ricerca, università e imprese<br />

che offrono migliori opportunità economiche e<br />

7<br />

prospettive professionali. Che cosa si sta facendo<br />

per risolvere la cosiddetta fuga dei cervelli?<br />

«Con il pacchetto “Diritto al futuro” abbiamo fatto<br />

molto in questo senso: 216 milioni messi in campo<br />

dal Ministro della Gioventù che diventano 300<br />

milioni grazie al cofinanziamento pubblico e privato.<br />

Serviranno per dare vita a 10.000 posti di lavoro a<br />

tempo indeterminato per giovani genitori con contratti<br />

atipici; 10.000 mutui concessi a giovani coppie di<br />

precari; 100 milioni per l’impresa giovanile, il talento<br />

e l’innovazione tecnologica; 20.000 tra i migliori<br />

neolaureati d’Italia messi a contatto con il mondo<br />

produttivo; 30.000 giovani meritevoli che potranno<br />

investire sul proprio futuro e completare la propria<br />

formazione grazie a un prestito garantito e oltre 68<br />

milioni di spesa coordinata con gli enti locali a favore<br />

delle giovani generazioni.<br />

Per contrastare efficacemente la cosiddetta “fuga<br />

dei cervelli” è stata poi approvata in Parlamento una<br />

legge bipartisan che prevede incentivi fiscali per<br />

il rientro dei lavoratori più talentuosi in Italia ed è<br />

sostenuta da numerosi parlamentari di maggioranza e<br />

opposizione».<br />

Pensa che l’immagine dei giovani offerta dai<br />

media sia veritiera?<br />

«Assolutamente no. Su tv e giornali si sente parlare<br />

solo di giovani disimpegnati, di bulli, nel migliore dei<br />

casi di aspiranti veline o troniste. Ma di certo ragazze<br />

e ragazzi italiani non sono quei “bamboccioni” che i<br />

media dipingono, un po’ per miopia un po’ perché a<br />

volte andare a cercare la verità, oltre gli stereotipi e<br />

i pregiudizi, costa più fatica di quanto sia disposta a<br />

farne un giornalista in cerca di sensazionalismi a buon<br />

mercato. Sicuramente l’attuale giovane generazione<br />

è combattiva, tenace, non si lascia scoraggiare dalle<br />

avversità e, anzi, trova anche il tempo per dedicarsi al<br />

volontariato e all’impegno civile. È una generazione<br />

che sa quello che vuole e lavora duramente per<br />

costruirsi il proprio posto nel mondo».<br />

Lei è il Ministro più giovane della storia italiana.<br />

Sembra ovvio per un Ministro della Gioventù,<br />

ma Giovanna Melandri, che l’ha predeceduta<br />

nel mandato, aveva quasi cinquant’anni. E,<br />

in generale, la classe politica italiana è spesso<br />

criticata per essere tra le più vecchie d’Europa.<br />

Quali strade possono intraprendere i ragazzi<br />

appassionati di politica per raggiungere incarichi<br />

di rilievo in giovane età?<br />

«In Italia i giovani si trovano a pagare gli<br />

strascichi di un sistema fortemente “gerontocratico”,


improntato sull’idea<br />

che l’età sia sinonimo<br />

di esperienza e<br />

competenza, e che<br />

lascia quindi ben<br />

poche modalità di<br />

accesso ai giovani.<br />

Quanto accade in<br />

politica, purtroppo,<br />

non è che la cartina<br />

al tornasole di una<br />

tendenza generalizzata<br />

anche nel mondo<br />

del lavoro e persino<br />

nell’università. Sono<br />

fermamente convinta<br />

che per cambiare le<br />

cose sia necessario<br />

un serio ritorno al<br />

sistema del merito,<br />

per aprire opportunità<br />

concrete anche a chi non ha i capelli bianchi.<br />

I giovani, a differenza di quanto spesso di senta<br />

dire dai media, hanno una gran voglia di essere<br />

protagonisti delle scelte che li riguardano, di avere<br />

voce in capitolo quando si tratta di decidere del loro<br />

futuro. E a questo desiderio la politica deve dare una<br />

risposta seria. Specialmente alla luce del fatto che, in<br />

Italia, ancora non esiste una giusta equiparazione tra<br />

elettorato attivo e passivo. Credo sia innanzitutto su<br />

questo fronte che si debba cominciare a lavorare. Per<br />

questo motivo vado particolarmente orgogliosa della<br />

proposta di legge costituzionale che ho presentato<br />

in Consiglio dei ministri e che, oltre a prevedere<br />

l’equiparazione tra elettorato attivo e passivo, inserisce<br />

nella nostra Costituzione il riferimento esplicito alla<br />

necessità di promuovere la partecipazione attiva<br />

dei giovani alla vita economica, sociale, culturale e<br />

politica della nazione, riconoscendo anche il rango<br />

di valore costituzionale alla promozione del merito<br />

come ascensore sociale».<br />

«A ragazze e ragazzi che vogliono seriamente<br />

impegnarsi in politica - conclude il ministro Meloni -<br />

mi sento di dare un consiglio: lavorate per la politica,<br />

ma non lasciate che la politica diventi un mestiere.<br />

Al primo posto deve arrivare sempre il bene della<br />

vostra comunità, qualunque essa sia: la vostra classe,<br />

la vostra scuola o, un domani, un comune o una<br />

circoscrizione della Camera o del Senato».<br />

Anche se la si chiama con un altro nome, la<br />

8<br />

rosa profuma allo<br />

stesso modo; parola<br />

di Shakespeare.<br />

Eppure due anni fa è<br />

cambiato il governo<br />

ed è cambiato il<br />

nome del ‘Ministero<br />

per le Politiche<br />

giovanili e le Attività<br />

sportive’ in un più<br />

sobrio ‘Ministero<br />

della Gioventù’.<br />

Perché?<br />

«Non si è trattato di<br />

una scelta “stilistica”.<br />

I n n a n z i t u t t o ,<br />

il Governo ha<br />

inteso separare le<br />

competenze tra<br />

politiche giovanili<br />

e sport, dedicando<br />

a quest’ultimo il lavoro del sottosegretario alla<br />

Presidenza del Consiglio Rocco Crimi. Rinominando<br />

il dicastero da “Politiche giovanili” a “Ministero<br />

della Gioventù”, però, ho voluto non solo uniformare<br />

la dicitura a quella più comunemente utilizzata in<br />

Europa, ma anche trasmettere l’intenzione di superare<br />

un’impostazione culturale che non mi appartiene. Non<br />

credo alle politiche di genere, qualsiasi esse siano. Non<br />

credo alle politiche femminili, alle politiche per gli<br />

anziani o per i giovani. Le azioni di governo devono<br />

essere rivolte al bene della Nazione nella sua totalità.<br />

La casa, l’autosufficienza energetica, le infrastrutture,<br />

non sono scelte che si fanno anche per le giovani<br />

generazioni? E le iniziative dirette specificamente ai<br />

giovani non sono politiche di interesse generale per<br />

la Nazione? Allora ecco la sfida che il Ministero della<br />

Gioventù ha voluto affrontare da subito: creare una<br />

sintesi politica capace di dare ai giovani risposte che<br />

possano avere valore anche per tutto il resto della<br />

società, e viceversa. Questo ha significato non solo<br />

un costante lavoro di coordinamento in Consiglio dei<br />

ministri di tutte le iniziative rivolte ai giovani, ma<br />

anche far misurare direttamente le giovani generazioni<br />

e passare dalla visione assistenziale a una dimensione<br />

di reale protagonismo».<br />

Daniele<br />

in collaborazione con<br />

la redazione del Caterpillar


Sondaggio sugli stili di vita degli adolescenti di Bergamo condotto da studenti del Maske<br />

Generazione di perfetti<br />

Generazione di... perfetti???<br />

Non bevono e, se lo fanno, non guidano e non portano nessuno in moto.<br />

Tutti studiano tanto, ma i più praticano anche sport.<br />

Non si curano troppo delle “firme”.<br />

Il 91 per cento di loro non ha mai provato uno spinello.<br />

Ecco la fotografia - reale? - dei primini del liceo Mascheroni,<br />

in base a quanto emerso dai questionari somministrati dagli studenti delle prime F H N O<br />

ai loro coetanei di altre classi prime durante lo scorso mese di dicembre.<br />

Interviste a cui si sono aggiunte quelle ai primini<br />

di altri tre istituti scolastici di Bergamo: Pesenti, Mamoli, Manzù.<br />

Sei gli ambiti indagati dalle domande:<br />

l’affettività, la scuola, il tempo libero, il corpo e l’alimentazione, io e la strada, il fumo e i vizi.<br />

Le riflessioni degli studenti sull’analisi completa, tabulata nel corso dell’anno, sono state presentate<br />

ai vari consigli di classe, ai docenti interessati, ai genitori, ai referenti degli altri Istituti,<br />

il pomeriggio dello scorso 3 giugno nell’auditorium del Mascheroni.<br />

Il Caterpillar raccoglie, nei grafici riportati in queste pagine, alcuni esiti del sondaggio<br />

condotto dai suoi stessi lettori.<br />

E ringrazia per la documentazione la coordinatrice di questo progetto di Educazione alla salute,<br />

la docente di Lettere Elena De Petroni.<br />

PROGETTO<br />

EDUCAZIONE ALLA SALUTE<br />

Sondaggio sugli stili di vita degli<br />

adolescenti di Bergamo<br />

Istituti scolastici coinvolti<br />

Liceo Scientifico “L. Mascheroni”<br />

Liceo Artistico “Manzù”<br />

IPSIA “Pesenti”<br />

Liceo Scienze Sociali + ISIS “M. Mamoli”<br />

9


Dati sugli intervistati<br />

29 Prime<br />

PRESENTI 708 88,50%<br />

TOTALI 800 * * *<br />

ASSENTI 92 11,50%<br />

TOT MASCHI 3<strong>77</strong> 53,25%<br />

TOT FEMMINE 331 46,75%<br />

RISPOSTE TOTALI 39648 * * *<br />

VUOTE 1921 4,85%<br />

NULLE 1275 3,22%<br />

ETA' MEDIA 15 anni * * *<br />

TOTALE<br />

5. Hanno importanza le “Firme”?<br />

10


39%<br />

2. Pratichi sport?<br />

MASCHERONI PESENTI<br />

14%<br />

0%<br />

1%<br />

0%<br />

85%<br />

SI<br />

NO<br />

Non risponde<br />

Risposta Non valida<br />

2. Pratichi sport?<br />

MANZU MAMOLI<br />

0%<br />

1%<br />

0%<br />

60%<br />

SI<br />

NO<br />

Non risponde<br />

Risposta Non valida<br />

11<br />

32%<br />

25%<br />

0%<br />

1% 0%<br />

0%<br />

75%<br />

67%<br />

SI<br />

NO<br />

Non risponde<br />

Risposta Non valida<br />

SI<br />

NO<br />

Non risponde<br />

Risposta Non valida


41%<br />

5. Quante ore studi al giorno?<br />

MASCHERONI PESENTI<br />

49%<br />

12%<br />

1%0%<br />

38%<br />

Circa 2<br />

Più di 2<br />

Meno di 2<br />

Non risponde<br />

Risposta non valida<br />

5. Quante ore studi al giorno?<br />

MANZU MAMOLI<br />

1% 2%<br />

16%<br />

40%<br />

Circa 2<br />

Più di 2<br />

Meno di 2<br />

Non risponde<br />

Risposta non valida<br />

12<br />

54%<br />

53%<br />

4%<br />

2%<br />

5%<br />

6%<br />

20%<br />

25%<br />

17%<br />

14%<br />

Circa 2<br />

Più di 2<br />

Meno di 2<br />

Non risponde<br />

Risposta non valida<br />

Circa 2<br />

Più di 2<br />

Meno di 2<br />

Non risponde<br />

Risposta non valida


2. Hai mai esagerato con l’alcool?<br />

MASCHERONI PESENTI<br />

21%<br />

1%1%<br />

62%<br />

15%<br />

SI<br />

NO<br />

In occasioni speciali<br />

Non risponde<br />

Risposta non valida<br />

MANZU MAMOLI<br />

43%<br />

2. Hai mai esagerato con l’alcool?<br />

16%<br />

0%0%<br />

41%<br />

SI<br />

NO<br />

In occasioni speciali<br />

Non risponde<br />

Risposta non valida<br />

13<br />

27%<br />

34%<br />

16%<br />

19%<br />

4%<br />

3%<br />

0%2%<br />

47%<br />

48%<br />

SI<br />

NO<br />

In occasioni speciali<br />

Non risponde<br />

Risposta non valida<br />

SI<br />

NO<br />

In occasioni speciali<br />

Non risponde<br />

Risposta non valida


3. Sei in giro e bevi due birre…<br />

Cosa fai?<br />

3. Hai mai provato uno spinello?<br />

MASCHERONI PESENTI<br />

1%<br />

1% 0%<br />

91%<br />

7%<br />

SI<br />

NO<br />

Vorrei<br />

Non risponde<br />

Risposta non valida<br />

14<br />

58%<br />

6% 1%2%<br />

33%<br />

SI<br />

NO<br />

Vorrei<br />

Non risponde<br />

Risposta non valida


2011. E hai mai provato...<br />

una MASKE - COGESTIONE?<br />

15


BACK IN 5 MINUTES YEARS<br />

(e ora chi risolverà i “dilemmi” del Cater?, ndr)<br />

Cercando di sfuggire all’alienante vortice delle<br />

tante formule e dimostrazioni di fisica da studiare,<br />

la mia vista, quasi istintivamente, cerca conforto in<br />

qualunque cosa non sia un libro, un quaderno o un<br />

foglio di carta. Sfortunatamente, la tregua dura ben<br />

poco, dal momento che i miei occhi vengono attratti<br />

dalla minacciosa presenza di un calendario, che mi<br />

ricorda quanto è spaventosamente vicina la data<br />

d’inizio dell’incombente evento che rovinerà a me e<br />

a molti altri una buona porzione dell’estate.<br />

In un istante, mi giunge il ricordo di quanto lontano<br />

e indefinito doveva sembrarmi l’esame di Maturità,<br />

ops di Stato, fino a qualche anno fa o semplicemente<br />

all’inizio della quinta, quando a prevalere era il<br />

sollievo che ancora molto tempo sarebbe dovuto<br />

trascorrere. Ora non è più così, ormai ci siamo: il<br />

passato è alle spalle e, oltre quest’ultimo ostacolo<br />

finale, s’intravede già una via d’uscita, un nuovo e<br />

inesplorato sentiero futuro. Ripenso a questi cinque<br />

incredibili anni al Mascheroni: certamente anni duri<br />

e impegnativi, capaci di temprare anche gli animi<br />

più forti, anni pieni di nottate passate a studiare,<br />

di lezioni passate a dormire. Non sono mancate le<br />

delusioni e le amarezze e i tanti buoni propositi, che<br />

ciascuno di noi si pone ogni anno e che sono spesso<br />

andati in fumo.<br />

Certamente, però, non sono questi i motivi per cui<br />

mi ricorderò del tempo qui trascorso. Prima di ogni<br />

cosa sono stati cinque intensi anni di soddisfazioni<br />

e di divertimento, ricchi di tantissime nuove<br />

amicizie e conoscenze, nonché di esperienze che<br />

quest’impareggiabile liceo ha saputo offrirmi e che<br />

continuerà a offrire a tutti. La mia memoria va ad<br />

attività extracurriculari come gli esami del Pet e del<br />

First, gli esilaranti corsi Ecdl con il pazientissimo<br />

prof. Arizzi, l’alternanza scuola-lavoro prima<br />

alla farmacia Bolzoni di Nese e poi al Museo<br />

archeologico di Bergamo. Ripenso poi all’incredibile<br />

viaggio in Canada con la “Mitica Compagnia” e con<br />

il prof. Gervasoni, alle cogestioni, alle conferenze da<br />

relatore per Bergamo-Scienza, all’indimenticabile<br />

Archeostage dell’anno scorso e, naturalmente, al<br />

17<br />

Una foto di 5d, dato che manca nell’annuario 2011...!<br />

Caterpillar, non soltanto un giornalino, ma voce<br />

libera dell’Istituto, che dà a tutti la possibilità di<br />

esprimersi e condividere le proprie esperienze per<br />

“abbattere il muro dell’indifferenza e dare ali alla<br />

creatività”, come recitava il motto ai tempi della sua<br />

nascita, avvenuta per mano del grande Panseri.<br />

Come potrei poi dimenticare la volta in cui, proprio<br />

dopo un ritrovo con la redazione, sono rimasto<br />

imprigionato a scuola fino alle sette di sera (come<br />

nel peggiore degli incubi), a causa di una bufera di<br />

neve, che aveva isolato il Mascheroni dal mondo<br />

esterno. Oppure quando, a fine prima, un simpatico<br />

sgambetto nella palestra di sotto mi ha provocato<br />

una frattura scomposta radio-ulna, prima che fosse<br />

‘affrescata’ la sorniona scritta safety first.<br />

Potrei scrivere davvero numerose altre cose riguardo<br />

a quest’avventura, ma nel pericolo di sembrare già<br />

un nostalgico e nel dubbio che potrei sottrarvi a tante<br />

proficue ore di studio (!), mi limito a queste, ben<br />

sapendo, tuttavia, che il Mascheroni è davvero molto<br />

altro ancora.<br />

Un grande ringraziamento, dunque, a questa Scuola,<br />

che non solo ha saputo far crescere e maturare ciascuno<br />

di noi, fornendoci un bagaglio di esperienze che sarà<br />

difficile dimenticare, ma si è rivelata anche un centro<br />

propulsore di creatività, idee, iniziative. Grazie


anche a tutti gli studenti, professori (specialmente i<br />

membri interni, ndS), tecnici e assistenti che, con il<br />

loro contributo, provvedono quotidianamente a far<br />

sì che possiamo tirarcela quando diciamo di “fare il<br />

Mascheroni”.<br />

Detto questo, mi piacerebbe condividere con voi<br />

alcuni aneddoti, esperienze, convinzioni acquisiti in<br />

questi cinque anni:<br />

1) Nella vita, capita di imbattersi in situazioni<br />

spiazzanti: scoprire soltanto in quinta che<br />

nel bagno accanto al laboratorio D c’è uno<br />

sgabuzzino contenente un armamentario<br />

di attrezzi e utensili, come trapani, cesoie<br />

e persino un tagliaerba, è una di quelle.<br />

Una volta, per curiosità, ho provato a<br />

mettere quest’ultimo in moto, con la<br />

spiacevole sorpresa che Severo, trovandosi<br />

nelle vicinanze, è irrotto nello stanzino,<br />

sgamandomi in pieno e facendomi perdere<br />

almeno tre anni di vita.<br />

2) Il secondo punto riguarda la presenza di<br />

nascondigli segreti all’interno del nostro<br />

liceo. Come sapete, il Mascheroni non è certo<br />

paragonabile a Hogwarts, la famosa scuola<br />

di maghetti. Tuttavia, il prode Buglia e io<br />

abbiamo trovato un posto segretissimo, in cui<br />

abbiamo nascosto la formula per ottenere la<br />

regolarità sulla successione dei decimali di<br />

p. Trovarla è stato più facile che scovare il<br />

posto segretissimo.<br />

3) Se siete in prima e non sapete fare le ruote o<br />

le verticali, imparate a farle al più presto e<br />

vi toglierete il pensiero, dal momento che,<br />

solitamente, vengono valutate quasi tutti gli<br />

anni. Non riducetevi ad eseguire in quinta<br />

- come nel mio caso - oscenità scoordinate<br />

e stentate che hanno la pretesa di sembrare<br />

accettabili. Questo consiglio vale per ogni<br />

cosa, non solo per le ruote.<br />

4) Nell’anno scolastico 2010/2011 le classi prime<br />

sono state 15 (!!!!!!), con tutti i problemi che<br />

ciò ha potuto comportare (non mi dilungo tanto<br />

sull’argomento, dal momento che firmerò<br />

l’articolo, rendendomi potenzialmente<br />

vittima di maligne ritorsioni). Mi rende<br />

orgoglioso pensare che questi giovani, acerbi<br />

e irritanti primini un giorno diventeranno<br />

18<br />

Dall’alto al basso, il fantomatico tagliaerba;<br />

la formula nascosta nel posto segretissimo;<br />

primini, tanti e dannatamente organizzati.


un esercito di gagliardi studenti di quinta,<br />

pronti a imporsi sui nuovi arrivati, riportando<br />

giustizia all’interno del liceo. Naturalmente<br />

il discorso non vale per le primine, sempre<br />

ben accette.<br />

5) “A che cosa serve la saletta sopra il bar?” è una<br />

domanda che ogni studente del Mascheroni<br />

si è posto almeno una volta nella vita. “A<br />

niente” suggerirebbe il buon senso. Ecco<br />

alcune delle ipotesi più accreditate intorno<br />

all’effettiva funzione di tale saletta.<br />

- Non serve a niente, appunto.<br />

- Non serve a niente, ma al suo interno vi è il<br />

Vuoto, creato direttamente dal prof. Bettoni<br />

con una pompa apposita, prima che la botola<br />

per accedere alla saletta fosse murata.<br />

- Contiene gas esilarante, per rallegrare gli<br />

studenti quando i Registri Elettronici avranno<br />

avuto il sopravvento sugli umani e instaurato<br />

il loro regime dispotico della Tristezza.<br />

- Racchiude l’umiltà di Mourinho, il pudore di<br />

Platinette e la coerenza dell’on. Capezzone.<br />

La misteriosa saletta sopra il bar<br />

6) Sempre a proposito dei primini, pare che la<br />

densità media s di questi piccoli simpatici<br />

amici al bar nelle ore di punta sia circa 37,4<br />

primini/m 3 . Lo ha rivelato uno studio condotto<br />

dall’Università del Massachusetts su un<br />

campione di 3 primini, tenendo conto di fattori<br />

come conoscenza del sanscrito, prominenza<br />

del pomo d’Adamo, numero di ricorsi al<br />

Tar del Lazio e grado di sopportazione di<br />

un programma di Gigi Marzullo (Fonte non<br />

attendibile:).<br />

19<br />

7) Con ben 116 Tonnetti mangiati nei soli ultimi due<br />

anni di scuola, credo di essere il detentore del<br />

record di tale specialità. Se qualcuno pensa<br />

di potermi battere, è probabilmente un illuso.<br />

Come eravamo... all’archeostage e a Toronto<br />

8) Tempo fa, durante una calda giornata di maggio,<br />

stavo camminando per i corridoi del Masche,<br />

quando una ragazza che non avevo mai visto<br />

prima mi fermò e mi chiese, in inglese (!),<br />

se potevo prestarle un po’ di “ripeness”. Non<br />

avendo la minima idea di cosa volesse dire ed<br />

essendo disorientato da quella strana richiesta,<br />

come un idiota cominciai a mimare il gesto<br />

di consegnarle un po’ della mia fantomatica<br />

“ripeness”; lei si mise a ridere e mi disse:<br />

“Thank you, ’ll be back in 5 minutes”.<br />

Sono passati cinque anni, qui al Mascheroni,<br />

e della ragazza nemmeno l’ombra: la sto<br />

ancora aspettando, dal momento che tra una<br />

manciata di giorni un po’ più di “Maturità”<br />

mi farebbe davvero comodo.<br />

Simone Cuocina


Le origini della festa in maggio e consigli sui possibili regali<br />

Mamma, basta la parola<br />

La seconda domenica del<br />

mese di maggio è la festa delle<br />

mamme, a cui bisognerebbe<br />

sempre ricordarsi, tutti, di<br />

fare gli auguri. È un giorno<br />

dedicato alle mamme che sono<br />

sempre in pensiero per voi,<br />

anche fin troppo certe volte.<br />

Però in questo speciale giorno<br />

si possono lasciare da parte i<br />

grattacapi, che spesso ci fanno<br />

incavolare e anche molto.<br />

Vorrei presentarvi la storia di tutte le<br />

mamme e della loro festa, che è vecchia<br />

quanto lo stesso universo, però prima<br />

devo accertarmene. Comunque le<br />

prime feste risalgono agli antichi Greci,<br />

che dedicavano un giorno alle proprie<br />

generatrici, ossia alle madri, soprattutto<br />

come “segno di riconoscimento” alla dea<br />

Rea, moglie di Crono e madre di tutti gli<br />

dei. Rea era la personificazione di Madre<br />

Natura, protettrice della vegetazione e<br />

dell’agricoltura, veniva raffigurata come<br />

una matrona, seduta in trono fra due leoni.<br />

La festività di Rea e delle madri si diffuse<br />

anche in Asia e tra gli antichi Romani. Questi<br />

ultimi in sostanza adoravano gli stessi dei<br />

greci: per loro Rea era Cerere, a cui veniva<br />

dedicata una settimana di festeggiamenti<br />

nel mese di maggio. La festa della mamma<br />

è dunque una festa originariamente<br />

pagana, che si è trasformata con l’avvento<br />

della religione cristiana: la festa di Cerere è<br />

ora quella della Madonna, che non a caso<br />

20<br />

si tiene il mese di maggio.<br />

La storia di questo speciale<br />

party per le mamme continua<br />

nel diciassettesimo secolo,<br />

quando in Inghilterra molte<br />

persone povere lavoravano<br />

per i signori più ricchi e molto<br />

spesso vivevano nelle loro<br />

case, rimanendo lontane<br />

dalle proprie. Perciò venne<br />

istituito il Mothering Sunday,<br />

speciale occasione in cui i servi<br />

avevano il giorno libero per andare a casa<br />

e rincontrare non solo i loro famigliari,<br />

soprattutto le loro madri, preparando loro<br />

una torta come regalo, per l’appunto il<br />

Mothering cake. La festa della mamma in<br />

Inghilterra cade sempre durante la quarta<br />

settimana di Quaresima. Penso che questa<br />

sia una delle più belle trovate per la festa<br />

della mamma: preparare qualcosa con le<br />

proprie mani.


Ma, per quanto io preferisca l’Inghilterra<br />

all’America, quello che hanno fatto gli<br />

antenati degli Inglesi è pochissimo, non<br />

si avvicina nemmeno lontanamente, in<br />

confronto a quello che ha fatto Anna M.<br />

Jarvis, una donna americana molto legata<br />

alla madre che la lasciò orfana, con una<br />

sorella cieca di cui prendersi cura. Nel 1907<br />

Anna, sentendo il desiderio di ricordare<br />

l’anniversario della morte di sua madre,<br />

convinse la sua parrocchia, a Grafton nel<br />

West Virginia, a celebrare questo evento<br />

la seconda domenica di maggio. Un<br />

anno dopo Anna e alcuni suoi sostenitori<br />

iniziarono a scrivere a persone più influenti<br />

e famose di loro, quali ministri e uomini<br />

d’affari, perché li aiutassero a sponsorizzare<br />

l’idea di una festa per la mamma e per farla<br />

diventare una festività nazionale. Verso la<br />

fine del 1914 il presidente degli Stati Uniti<br />

Woodrow Wilson ufficializzò la festività<br />

nazionale, in calendario ogni seconda<br />

domenica di maggio.<br />

Anna desiderava questa festa non solo per<br />

ricordare sua madre, ma anche per tutte<br />

le madri, così che ogni bambino potesse<br />

esprimere il suo amore alla propria<br />

mamma, sia che ella fosse in vita sia che<br />

fosse scomparsa. E, quale regalo per le<br />

madri, aveva scelto il garofano, il fiore<br />

preferito dalla sua mamma: il garofano<br />

rosso per le madri ancora in vita, quello<br />

bianco per quelle defunte.<br />

Questo fiore non è il solo simbolo di<br />

questa festa, a cui sono legati anche il<br />

colore rosso, il cuore e la rosa, che più<br />

di ogni altro fiore rappresenta l’amore e<br />

la bellezza, quindi riesce a testimoniare<br />

l’affetto e la riconoscenza dei figli.<br />

Quindi, se l’anno prossimo non potrete<br />

fare un regalo costoso a vostra madre,<br />

21<br />

ma vorrete renderla felice, regalatele<br />

semplicemente un garofano o una rosa.<br />

Non so se vi piacciono le poesie, ma ne<br />

ho trovata una abbastanza carina per<br />

tutti, almeno credo, che potreste scrivere a<br />

vostra madre in un bigliettino.<br />

La parola Mamma<br />

Mamma, una parola così semplice<br />

ma che ti rende tanto felice,<br />

una parola facile da pronunciare<br />

che ti insegna solo ad amare<br />

e mai puoi scordare.<br />

Mamma, una parola che ha dentro<br />

affetto, bontà e tanto sentimento,<br />

una parola tanto aggraziata<br />

che la mia vita ha illuminato.<br />

Mamma, non pronuncio più...<br />

da quando non ci sei una parola che<br />

già da troppo tempo tu.<br />

Erme


La posta del cuore maschile<br />

POESIA CHE UN POVERO DEPRESSO<br />

SCRIVE ALLA SUA EX RAGAZZA<br />

DOPO SEDICI GIORNI DI AMORE<br />

SPASSIONATO<br />

Oh mia stella, mia musa ispiratrice,<br />

Anzi, no, ho cambiato idea: oh brutta meretrice 1 !<br />

Perché te ne sei andata senza dirmi niente?<br />

Ma che caspita ti è saltato in mente?<br />

Non ti ho mai capito, in ben sedici giorni 2 ,<br />

e ora non mi aspetto che tu da me ritorni…<br />

Però almeno una lettera sensata me la potevi<br />

lasciare,<br />

senza scrivermi solo “ci sono i fiori 3<br />

da innaffiare”.<br />

Questa è la considerazione che tu di me hai avuto<br />

e credo che tu bene non me lo abbia mai voluto.<br />

Ora che scappo con la mia roulotte 4 , ti scrivo<br />

quattro righe,<br />

sto viaggiando a cento all’ora tra migliaia<br />

di dorate spighe,<br />

mi fermo all’Agip 5 che devo fare il pieno<br />

alla Punto 6<br />

magari l’odore della benzina 6 mi darà qualche<br />

altro spunto,<br />

ma penso che quel che ti ho detto possa già<br />

bastare,<br />

anzi, meglio finirla che devo andare a lavorare.<br />

Dicevo, e più mi guardo intorno e più sono<br />

contento,<br />

non sto qui a raccontarti di tutte le donne 7<br />

che ora frequento,<br />

ma sappi solo che da quando mi hai lasciato tu<br />

sono sicurissimo che abfxustgrnogrkzutu 8 .<br />

GIOvanni Pascoli<br />

22<br />

Note al testo<br />

1. Parola da intendersi nel suo senso primario, ossia<br />

“ragazza di strada”, “lucciola” etc.<br />

2. Compreso il giorno in cui si sono lasciati.<br />

3. Per la precisione, gerani rossi.<br />

4. Mezzo di trasporto prestato dall’eterno amico<br />

Samirrrrrrrrrrrrrrrr.<br />

5. Precisiamo che l’Eni ci ha pagato per farsi<br />

pubblicità. A proposito, è attiva la promozione<br />

You&Agip!<br />

6. Anche Marchionne ci ha pagato.<br />

7. Ragazze da marciapiede.<br />

8. Parola suggerita dal “Rimario” di Goldnet.net.


DICHIARAZIONE INCONSUETA<br />

DI UNO STUDENTE POETA<br />

Bella come il sole, acida come il limone<br />

di ogni mio giorno tu sei la mia ispirazione.<br />

Al di là dei tuoi occhi castani vidi una scintilla<br />

d’amor<br />

che il cor mio smosse come mai fin’allor.<br />

Oh musa dei miei giorni più felici,<br />

non rinnegar i miei sorrisi tanto fenici.<br />

Or dunque perdona quest’ultima rimata<br />

espressione<br />

ma il google rimario non mi ha dato un’altra<br />

opzione.<br />

Come stavo a te, cara donzella, dapprima<br />

narrando<br />

del mio nobile amore vo cantando,<br />

ti supplico, non negare più dunque le mie<br />

attenzioni cordiali,<br />

le quali abilmente schivi nei corridoi collegiali.<br />

Chino in implorazione tale dichiarazione sto<br />

scrivendo<br />

e un gran dolore alla “groppa” sta<br />

sopraggiungendo,<br />

ma a me poco importa di tale sofferenza,<br />

per te opporrei a qualsiasi corporeo dolore<br />

immane resistenza.<br />

Lacerato appare l’organo central del mio<br />

circolatorio apparato<br />

reso tale è dalla negazione del tuo commiato.<br />

Nessuna possibilità di conquista mi hai concesso,<br />

senza sapere quanto sarei capace di donarti,<br />

oh mio aureo cesso.<br />

Non posso aspettar più, accetta or subito il mio<br />

amore,<br />

prima che nel petto mi scoppi straziato el mio<br />

vital core.<br />

Se non vuoi avere il mio infausto decesso sulla<br />

coscienza<br />

sei obbligata ad accogliere la mia deficienza.<br />

Giacomo LEOpardi<br />

23


IPSE DIXIT<br />

Prof. Rossi: “Ma, Armanni, tutti quei capelli li tieni<br />

per venderli o per fare i barometri?”<br />

Pieranti: “Chi ha scritto questo libro?”<br />

Meroni: “Marco Moscio”.<br />

Pieranti: “I latini dicevano NOMEN HOMEN, un<br />

uomo un destino!”<br />

Panigada: “Nell’antichità, più si è cornuti, meglio<br />

è!”<br />

Battaglia: “Il virus capisce il suo ospite”.<br />

Rossi: “Se proprio, lo riconosce, perché l’ospite<br />

non va dal virus a dirgli: ho bisogno del supporto<br />

morale”.<br />

**<br />

Rossi: “Allora! Cosa facciamo a questi che hanno<br />

dimenticato la verifica?”<br />

Guarnierio: “Sodomizziamoli”.<br />

Alunna: “C***O! E’ una parola che ti riempie la<br />

bocca!”<br />

MESSAGGERIA<br />

Durante la risoluzione di un esercizio di<br />

matematica, sul perimetro di un recinto di uno zoo,<br />

Meroni fa un calcolo giusto e Armanni sottolinea:<br />

“Sì, ma Meroni è andato alle Cornelle”.<br />

Tetrarca: “Chiare fresche e dolci acque [...] erba<br />

e fior che la gonna leggiadra ricoverse”.<br />

Perrini: “Chissà che voglia aveva di alzargliela<br />

quella gonna!”<br />

Ferrari: “Qualcuno ha la colla?”<br />

Battafarano: “Se serve per tapparti la bocca te<br />

la trovo!”<br />

Carrara: “Sai cosa vuol dire il nome studiare?”<br />

Alunno: “Ho sbagliato questo esercizio, oddio!”<br />

Professore: “Stavi chiamando me?”<br />

Professore: “Dunque, sommiamo questo a quello,<br />

no no, aspettate! mi sono circonfuso!”<br />

X tutti: Auguriamo delle buone vacanze estive a tutti, anche a quelli che saranno rimandati (e per cui forse<br />

le vacanze saranno un po’ meno buone) e a quelli che si apprestano all’esame! by Redazione Caterpillar<br />

X Uly 3F: Grazie per avermi sopportata tutto l’anno :D by Aly<br />

X Erme 1^Q: Ciao Cassandra!!! by Tu sai chi<br />

X Ila 1^Q: La vuoi smettere o vuoi passare la tua vita in Cina, nello stato più inquinato al mondo???<br />

X Meli: Caramella attack! by Ila 96<br />

et FALLI STUDENTORUM<br />

X Giovanni Garattini 3F: Guarda in alto, guarda in alto, ti stanno attaccando!!! Ahhhhhhh Scherzavo, in<br />

verità ti stanno attaccando da dietro. Muaaaaaaahhh<br />

X Diego Stucchi 3F: Mi sento come un bulbasaur contro un charmender…<br />

X Leonardo Brioni 2^E : “Aspettati tanti scherzi quest’estate!!!” by anonima.<br />

24


Caterlegalità<br />

BERRY<br />

25


Il magistrato Ingroia al Mascheroni per presentare «Storie di mafia e di antimafia»<br />

Nel labirinto degli dei<br />

8 aprile 2011, al liceo Mascheroni un venerdì come<br />

tanti si trasforma in qualcosa di nuovo. Un auditorium<br />

gremito di ragazzi e docenti: circa trecento persone,<br />

forse di più.<br />

L’auditorium è in preda all’agitazione, ogni secondo<br />

che passa l’attesa per l’arrivo del giudice Ingroia<br />

aumenta. C’è un po’ di preoccupazione e ci si<br />

domanda a cosa sia dovuto il ritardo.<br />

Poi all’improvviso sembra di trovarsi in un film<br />

poliziesco, di quelli vecchio stile in bianco e nero:<br />

le macchine della polizia che entrano nel cortile del<br />

liceo Mascheroni con le sirene spiegate, le portiere<br />

delle due auto aperte a controllare uno spazio che già<br />

un poliziotto ha perlustrato e la scorta subito pronta<br />

ad accompagnare il magistrato all’interno della<br />

scuola.<br />

Così si è presentato Antonio Ingroia, procuratore<br />

aggiunto della procura distrettuale antimafia di<br />

Palermo, a un incontro del progetto «Generazione<br />

L. con Libera in libreria per la legalità», organizzato<br />

della libreria Ubik di Bergamo, in collaborazione<br />

con il coordinamento provinciale dell’associazione<br />

Libera e con la Mediateca provinciale di Bergamo.<br />

I movimenti frenetici della scorta accompagnano<br />

il suo ingresso. Un nuovo interesse serpeggia<br />

nell’Auditorium stracolmo di giovani, all’arrivo del<br />

giudice Antonio Ingroia e della sua scorta. È una<br />

situazione irreale: tutte quelle guardie, le pistole...<br />

Certo, è nota a tutti la situazione di pericolo in cui<br />

quotidianamente vivono coloro che si oppongono alla<br />

grande famiglia della mafia, ma venire a contatto con<br />

quello che fino ad oggi si è solo studiato attraverso<br />

numerose attività... è tutta un’altra storia!<br />

Una situazione da film, che uno non immagina<br />

di toccare con mano. La scorta, tutte le precauzioni<br />

per la sicurezza del giudice, la possibilità di un<br />

attentato alla sua vita... ci fanno toccare con mano la<br />

possibilità di essere vittime anche noi, ci fanno capire<br />

che anche noi siamo coinvolti in tutto questo! E dato<br />

che riguarda anche la nostra vita tutti dobbiamo<br />

fare qualcosa, in prima persona, per sconfiggere la<br />

mafia! Partendo dal rifiuto dei commercianti e delle<br />

imprese edilizie di pagare il pizzo, dalla maggior<br />

26<br />

“trasparenza” negli appalti pubblici e anche solo dal<br />

non tacere! Certo l’omertà viene dalla paura, ma se<br />

si è tutti indistintamente uniti (come comunità) non<br />

c’è nulla da temere.<br />

Ingroia incomincia a parlare e a raccontare. È<br />

emozionante sapere di stare ascoltando una persona<br />

che combatte contro la mafia, un “allievo” di Falcone<br />

e Borsellino, un uomo protetto da una scorta.<br />

Un’esperienza unica di cui tutti devono andare<br />

orgogliosi.<br />

L’intervento del giudice Ingroia, formatosi a Palermo,<br />

sua città natale, si è aperto con una breve introduzione<br />

sul suo periodo di formazione, nel quale ha avuto il<br />

piacere e l’onore di lavorare a fianco di Giovanni<br />

Falcone e del capo procuratore Paolo Borsellino,<br />

con i quali ha iniziato il suo tirocinio e l’ingresso nel<br />

“mondo dell’antimafia”.<br />

Il libro<br />

«Il labirinto degli dei» - questo è il titolo del libro<br />

- racconta le storie di numerosi uomini di carattere<br />

forte, capaci di mettere a rischio tutto, partendo dalla<br />

propria persona, pur di distruggere la mafia. Carta<br />

e penna sono i migliori amici delle vittime della<br />

mafia, che con le loro testimonianze trasmettono<br />

una conoscenza sul mondo mafioso perché non si<br />

ripetano gli errori del passato. Ingroia racconta la<br />

storia della mafia come un labirinto: il lavoro mafioso<br />

è un labirinto di sotterfugi, la mafia stessa è una<br />

realtà labirintica, tortuosa e favorita da connivenze<br />

politiche. D’altra parte anche il percorso della lotta<br />

alla mafia non è per niente lineare e quando si pensa di<br />

essere arrivati alla fine qualcuno aggiunge un pezzo,<br />

blocca la strada, cosicché ci si ritrova punto a capo.<br />

Questo qualcuno sono gli dei del titolo, mafiosi, ma<br />

anche uomini importanti, politici, che, proprio come<br />

gli dei, possono allungare e aggiungere pezzi al<br />

labirinto in modo che per i magistrati trovare la via<br />

di uscita risulti quasi impossibile.<br />

Un labirinto sono anche le situazioni e i sentimenti<br />

che ritornano in continuazione; speranza e fiducia<br />

nelle istituzioni si alternano infatti a delusione e<br />

sconforto nel momento in cui ci si rende conto che


si è al punto di partenza, quando un mafioso riesce a<br />

farla franca.<br />

Ingroia, poi, ha sottolineato l’ingiustizia che affligge<br />

i magistrati: essi sono odiati da vivi, perché sono<br />

‘scomodi’ e infangati affinché la gente perda fiducia<br />

in loro, mentre sono osannati da morti quando non<br />

possono più infastidire nessuno.<br />

La forza che può aiutare a uscire una volta per tutte<br />

da questo interminabile labirinto, dice il giudice, è<br />

entrarci in massa coraggiosamente, con il coraggio<br />

di partecipare, e rimanere tutti compatti in questa<br />

battaglia. Dal labirinto si può uscire solo se non si<br />

ricade negli errori già commessi come il fronteggiarsi<br />

di un’Italia che crede nella ragione e nella giustizia e<br />

un’Italia degli interessi privati.<br />

Storie di testimoni<br />

Nel libro sono riportate le storie di numerosi<br />

testimoni del movimento antimafia, a partire dai<br />

giudici Falcone e Borsellino, per poi proseguire con<br />

boss pentiti o arrestati e concludere con Rita Atria.<br />

Rita è un esempio per tutti i giovani di oggi. Figlia di<br />

un boss assassinato, sedicenne piena di coraggio, la<br />

ragazza inizia un percorso di testimone di giustizia,<br />

ma viene lasciata sola: il fidanzato la lascia, la madre<br />

non vuole più vederla. Ella si affida allora a un giudice<br />

che la aiuterà a cercare giustizia: è Borsellino, e di lui<br />

solo, che considera un secondo padre, si fida. Rita<br />

viene portata a Roma per ragione di sicurezza, per<br />

mesi non vede nessuno, l’unico conforto è il giudice.<br />

Borsellino però, nel ’92, viene ucciso. Alla sua<br />

morte la ragazza non sa rassegnarsi e in preda alla<br />

disperazione si uccide, gettandosi dal balcone.<br />

Della ragazza sono stati ritrovati i diari in cui Rita<br />

spera in un mondo migliore. Ingroia ne cita il finale:<br />

«Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci<br />

impedisce di sognare? Forse se ognuno di noi prova<br />

a cambiare, ce la faremo».<br />

Chiusura del ciclo<br />

Con l’intervento di Ingroia si chiude il ciclo di<br />

incontri organizzati dalla libreria Ubik e finalizzati<br />

ad aumentare la consapevolezza di quanto sia<br />

importante lottare contro la mafia.<br />

Il ricordo e la continua informazione su ciò che è<br />

successo, come viene sottolineato nell’intervento di<br />

Ingroia, sono fondamentali e sono stati ribaditi più<br />

volte anche negli incontri con Nando dalla Chiesa,<br />

Armando Spataro, Maria Grimaldi e Pino Masciari,<br />

Il magistrato Antonio Ingroia presenta il suo libro nell’auditorium del liceo scientifico statale Lorenzo Mascheroni di Bergamo<br />

27<br />

ai quali gli studenti “mascheroniani” hanno assistito<br />

negli ultimi mesi. Quello che è emerso da tutti gli<br />

incontri, quello in cui speravano Falcone e Borsellino,<br />

quello che predicava Caponnetto sono le parole<br />

chiave della lotta contro la mafia: unione, squadra,<br />

gruppo. Dobbiamo stare uniti per sconfiggere la<br />

mafia e combatterla insieme, dobbiamo vedere la<br />

giustizia e i magistrati come punti di riferimento,<br />

come amici. Non possiamo considerare i magistrati<br />

come eroi solo dopo la loro morte, ma dobbiamo<br />

contribuire e lottare insieme a loro. Noi possiamo,<br />

ma la domanda è: lo faremo?<br />

La risposta varia da persona a persona perché alcuni<br />

veramente credono che la mafia sia solo un fatto<br />

lontano, che è presente, certo, ma non così rilevante<br />

da toccare la nostra realtà e scalfirla; altri invece la<br />

combattono, sono consapevoli del male che la mafia<br />

può fare e sono disposti a non lasciarsi sopraffare,


come alcuni ragazzi di Palermo che stanchi del<br />

pizzo si sono rifiutati di pagarlo e hanno scritto sui<br />

muri «L’uomo d’onore non paga il pizzo», dando<br />

nuove speranze al nostro Paese. Oppure la figlia di<br />

Borsellino che il giorno dopo la morte di suo padre<br />

ha tenuto un esame dell’ università per affermare la<br />

sua forza e non la resa alla mafia. Il messaggio è che<br />

non dobbiamo aver paura, dobbiamo essere forti e<br />

dare forza a chi non vuole essere coinvolto perché<br />

ogni persona che conosce la storia dei ribelli allunga<br />

loro la vita. Così, in un suo libro, Pino Masciari<br />

ribadisce: «Ogni persona che viene a conoscenza<br />

della mia storia mi allunga la vita di un giorno».<br />

L’appoggio alle associazioni antimafia è dunque un<br />

impegno che deve essere portato avanti dall’intera<br />

collettività; nessuno deve essere lasciato solo contro<br />

la mafia! Non intervenire al suo fianco sarebbe come<br />

firmare una condanna a morte; sostenerlo unicamente<br />

a distanza pure!<br />

Ma in passato è stato così? Lo Stato ha aiutato a<br />

pieno Paolo e Giovanni? O li ha abbandonati al<br />

loro destino facendosi, forse, corrompere? E oggi<br />

è cambiato qualcosa? Domande che ognuno di noi<br />

deve porsi, sempre.<br />

Classe I F<br />

28<br />

sdipana<br />

la pagina<br />

Antonio Ingroia, magistrato siciliano da<br />

quasi vent’anni in servizio alla Direzione<br />

distrettuale antimafia di Palermo, dedica il<br />

suo ultimo libro «Nel labirinto degli dei. Storie<br />

di mafia e antimafia» (ed. Il Saggiatore,<br />

2010, pp. 224, euro 15) ai suoi maestri, cioè<br />

ai magistrati Paolo Borsellino, assassinato<br />

dalla mafia davanti alla casa della madre<br />

il 19.7.1992, e Giovanni Falcone, caduto il<br />

23.5.1992 nella strage di via D’Amelio per<br />

opera della mafia.<br />

Proprio nel 1992 Ingroia assume le funzioni<br />

di sostituto procuratore e poi di procuratore<br />

aggiunto della Repubblica presso il Tribunale<br />

di Palermo, quando a capo della Procura<br />

c’è Gian Carlo Caselli. E dedica la sua vita<br />

professionale a indagare sugli intrecci tra<br />

mafia ed economia. Ha tra l’altro condotto<br />

le indagini e sostenuto l’accusa in giudizio<br />

nei confronti del senatore Dell’Utri, condannato<br />

sia in primo sia in secondo grado per<br />

concorso esterno in associazione mafiosa.<br />

Il titolo del libro è una metafora. Il «labirin


to» rappresenta l’aporia assoluta, l’impossibilità<br />

di uscire, quindi quella di sconfiggere<br />

definitivamente la mafia; gli «dei» sono gli<br />

uomini che si sentono sciolti da ogni vincolo<br />

giuridico, al di sopra o al di fuori della legge<br />

e che non sono disposti a sottoporsi al giudizio.<br />

Frequenti nel testo sono i richiami alla<br />

concezione della Sicilia e dei siciliani, efficacemente<br />

tratteggiata da Tomasi di Lampedusa<br />

ne “Il Gattopardo”: essi, convinti di<br />

essere dei, perfetti, sciolti dall’osservanza<br />

delle leggi, ostentano indifferenza al flusso<br />

della storia, cui si sentono estranei. “I Siciliani<br />

non vorranno mai migliorare per la<br />

semplice ragione che credono di essere perfetti;<br />

- constata don Fabrizio nel celeberrimo<br />

discorso con Chevalley - la loro vanità è più<br />

forte della loro miseria; ogni intromissione<br />

di estranei… sconvolge il loro vaneggiare di<br />

raggiunta compiutezza e rischia di turbare<br />

la loro compiaciuta attesa del nulla…”.<br />

Ne deriva una concezione della mafia come<br />

entità ineluttabile, inestirpabile, radicata<br />

nell’ordine naturale delle cose, del tutto indifferente<br />

alle leggi dello Stato e all’autorità<br />

legittima.<br />

Ingroia è al contrario convinto che dal «labirinto»<br />

si possa e si debba uscire e indica<br />

con fermezza la necessità di non cadere negli<br />

errori commessi in passato. Per questo è<br />

essenziale che il popolo italiano sia meglio<br />

istruito e informato: l’ignoranza o l’informazione<br />

superficiale degli italiani si sono<br />

dimostrati strumento di un potere volto al<br />

perseguimento di interessi personali, disposto<br />

a calpestare le regole per conseguire i<br />

propri scopi, che mai si identificano con il<br />

bene pubblico.<br />

Da tale convinzione nasce la tensione morale<br />

del magistrato antimafia, che sente il<br />

dovere di girare l’Italia per scuotere le coscienze,<br />

per informare i giovani, per gridare<br />

- con la forza di chi crede in un ideale - che è<br />

possibile cambiare, cominciando dal rispetto<br />

per i nostri morti, quegli eroi italiani come<br />

Falcone e Borsellino che ancora attendono<br />

la nostra giustizia, la nostra pietà, sotto forma<br />

di verità processuale e storica.<br />

Camilla Tacchini<br />

29<br />

Il magistrato Antonio Ingroia presenta<br />

il suo libro come un modo per<br />

fare memoria insieme, per non commettere<br />

mai più gli errori del passato.<br />

«È nato da un’esigenza di comunicazione, di<br />

testimonianza e di racconto, - spiega - non<br />

è un’autobiografia, ma un insieme di esperienze<br />

personali, di storie di personaggi che<br />

hanno cambiato e sconvolto la mia vita»..<br />

Cita come esempio la storia di Rita Atria, una<br />

donna sconvolta dagli attentati mafiosi alla<br />

sua famiglia che si suicida dopo aver saputo<br />

della morte di Borsellino; una donna che sceglie<br />

la cultura della parola contro quella del<br />

silenzio, la cultura delle regole contro quella<br />

della violenza. Nel suo diario Rita allude a<br />

un futuro migliore che forse non ci sarà mai,<br />

ma che potrebbe essere raggiunto se ciascuno<br />

di noi si impegnasse; un futuro ancora<br />

inesistente, che simboleggia una sconfitta<br />

collettiva, nella quale sono molti coloro che<br />

non hanno fatto abbastanza per i morti.<br />

«Il titolo del libro - prosegue Ingroia - deriva<br />

dal fatto che il labirinto è simbolo diretto<br />

di un’organizzazione complicata come<br />

quella della mafia. Questo labirinto è molto<br />

dinamico, quando sei vicino all’uscita qualcuno<br />

la complica. Gli dei sono proprio coloro<br />

che mirando alla loro immunità complicano<br />

la vita a chi cerca di trovare una soluzione,<br />

a chi cerca di uscire dal labirinto, ma soprattutto<br />

a chi è convinto di poterlo fare. Il libro è<br />

uno stimolo per trovare quest’ uscita, ma ci<br />

riesce solo chi non ricade in errori collettivi».<br />

Non ho trovato questo incontro molto coinvolgente<br />

e convincente, probabilmente a causa<br />

della poca attenzione posta dagli studenti<br />

Immagino che il signor Ingroia abbia<br />

trovato delle grosse difficoltà<br />

a relazionarsi con gli ascoltatori.<br />

Se avessi dovuto intrattenere un pubblico<br />

giovanile, avrei mostrato testimonianze più<br />

concrete ed esaurienti, conversando con<br />

un linguaggio meno formale e più diretto.<br />

Ciononostante ho notevolmente ammirato il<br />

coraggio e la buona volontà del magistrato<br />

nel mostrare un fondamentale modello di vita<br />

Davide Manzoni


La curatrice Grimaldi presenta il libro sul magistrato Caponnetto alla Ubik<br />

Anche noi non taceremo<br />

Il magistrato Antonino Caponnetto, fondatore<br />

del poool antimafia di Palermo, aveva l’abitudine<br />

di donare agli studenti che assistevano ai<br />

suoi incontri una poesia o un testo che gli piaceva<br />

particolarmente, condividendo così coi ragazzi la<br />

sua passione per la lettura e invitandoli a riflettere.<br />

Maria Grimaldi, che ha curato il libro su<br />

Antonino Caponnetto «Io non tacerò. La lunga<br />

battaglia per la giustizia» (ed. Melampo, 2010,<br />

pp. 288, euro 16), ha voluto riprendere questa<br />

consuetudine e, al termine dell’incontro organizzato<br />

dalla libreria Ubik, ci ha lasciato una poesia:<br />

«Don Chisciotte» di Nazim Hikmet. Il componimento<br />

delinea perfettamente il personaggio di<br />

Caponnetto, che la signora Grimaldi descrive<br />

come «un uomo di carta velina», sempre pronto<br />

a combattere in prima linea, contro «il mondo coi<br />

suoi giganti assurdi e abietti».<br />

Caponnetto ha svolto un ruolo fondamentale: è<br />

stato il primo a comprendere l’importanza del<br />

lavoro d’equipe nella lotta alla mafia. In un’intervista<br />

rilasciata nel settembre del 1993 al quotidiano<br />

«Repubblica», egli ha dichiarato che la<br />

Costituzione è il primo testo antimafia e ha sostenuto<br />

- moderno Don Chisciotte? - il concetto<br />

di giustizia possibile e la fede in «uno Stato che<br />

decide di fare lo Stato». Spesso si ricorda la sua<br />

celebre frase «è finito tutto», pronunciata dopo<br />

la morte del giudice Paolo Borsellino. Frase che<br />

va contestualizzata in un momento di forte scoramento,<br />

per la perdita di due persone, i giudici<br />

Falcone e Borsellino, che considerava come «figli,<br />

fratelli, colleghi, amici». Caponnetto infatti<br />

ha sempre svolto un ruolo attivo nella lotta alla<br />

mafia, al fianco di Falcone e Borsellino. E, dopo<br />

la morte dei due amici giudici, si è dedicato alla<br />

sensibilizzazione dei giovani nelle scuole.<br />

Nel libro «io non tacerò» c’è un richiamo al messaggio<br />

che il capo dello Stato Giorgio Napolitano<br />

ha rivolto alle scuole all’inizio dell’anno scolastico:<br />

«…mille furti non fanno lecito il furto, mille<br />

atti di violenza non sovvertono il diritto, mille<br />

e mille seminatori di disonestà, di fatalismo, di<br />

“sciacquamento” di mani non valgono un solo<br />

30<br />

giovane capace, umile, forte nel suo impegno e<br />

disposto al sacrificio». Ricordate quante persone<br />

si sono sacrificate per il vostro avvenire, non vanificate<br />

il loro sacrificio, non tradite i vostri ideali,<br />

quelli a cui vi esorta il capo dello Stato: onestà,<br />

legalità, tolleranza e solidarietà.<br />

La popolazione italiana è disinformata o, peggio,<br />

male informata riguardo a quella che è stata e a<br />

quella che è la lotta alla mafia. Grazie a questi<br />

incontri e ad altre iniziative cui la scuola ci ha<br />

dato l’opportunità di partecipare, abbiamo mosso<br />

i primi passi verso la lotta all’indifferenza, che,<br />

per chi lotta contro la mafia, è la cosa peggiore.<br />

Stefania Dascalita<br />

Anna Dodesini<br />

Sara Martini<br />

Nataliya Protsenko


Don Chisciotte<br />

Il cavaliere dell’eterna gioventù<br />

seguì, verso la cinquantina,<br />

la legge che batteva nel suo cuore.<br />

Partì un bel mattino di luglio<br />

per conquistare il bello, il vero, il giusto.<br />

Davanti a lui c’era il mondo<br />

coi suoi giganti assurdi e abietti<br />

sotto di lui Ronzinante<br />

triste ed eroico.<br />

Lo so<br />

quando si è presi da questa passione<br />

e il cuore ha un peso rispettabile<br />

non c’è niente da fare, Don Chisciotte,<br />

niente da fare<br />

è necessario battersi<br />

contro i mulini a vento.<br />

Hai ragione tu, Dulcinea<br />

è la donna più bella del mondo<br />

certo<br />

bisognava gridarlo in faccia<br />

ai bottegai<br />

certo<br />

dovevano buttartisi addosso<br />

e coprirti di botte<br />

ma tu sei il cavaliere invincibile<br />

degli assetati<br />

tu continuerai a vivere come una fiamma<br />

nel tuo pesante guscio di ferro<br />

e Dulcinea<br />

sarà ogni giorno più bella.<br />

Nazim Hikmet<br />

31<br />

Maria Grimaldi, curatrice del libro<br />

e le memorie<br />

diverranno<br />

testimonianze<br />

Nei precedenti incontri abbiamo ascoltato<br />

direttamente i magistrati, in questo Maria<br />

Grimaldi ha ricordato il giudice Antonino<br />

Caponnetto, deceduto nel 2002. Grimaldi<br />

ha infatti curato il libro intitolato «Io non tacerò»,<br />

che riassume i pensieri e parte della<br />

vita del magistrato.<br />

Una vita difficile, in alcuni momenti piena di<br />

sconforto e sempre ricca di scelte complicate.<br />

Ma sono state queste decisioni che l’hanno<br />

resa davvero speciale, degna di essere vissuta<br />

e ricordata.<br />

Caponnetto era come «una finestra sempre<br />

aperta», perché il suo sguardo aveva la capacità<br />

di capire facilmente gli altri. Grimaldi<br />

ha deciso di “presentarcelo” attraverso le parole<br />

che rispecchiavano il suo carattere, i suoi<br />

valori, i suoi ideali. Perché, per lui, le parole<br />

erano lo strumento più efficace per mostrare<br />

ai cittadini una realtà a loro sconosciuta.<br />

Elisa Vendola


Lo scorso 6 aprile Maria Grimaldi ha ricordare,<br />

con la sua testimonianza e alcuni video,<br />

il giudice Antonino Caponnetto, morto di<br />

vecchiaia dopo avre dedicato la vita alla lotta<br />

contro la mafia. Grimaldi lo ha definito «un<br />

galantuomo, fatto all’apparenza di carta velina<br />

(per la sua capacità di essere trasparente e<br />

resistente, ndr), eppure sempre in prima linea<br />

contro la mafia (per il suo coraggio di esporsi<br />

per i propri valori, ndr)».<br />

Ci ha spiegato i valori che egli riteneva importanti.<br />

La scuola, dove i ragazzi «agganciano<br />

la vita a valori che non cambiano», come<br />

la legalità e la responsabilità. L’autenticità: il<br />

mondo è pieno di lustrini - diceva Caponnetto<br />

- e noi dobbiamo difenderce i nostri valori,<br />

affinché nessuno ci privi di essi. L’impegno,<br />

il cui obiettivo è, secondo Caponnetto, un diverso<br />

rapporto con la realtà: è oggi che noi<br />

costruiamo il futuro nostro e dello Stato, futuro<br />

che non può essere fondato sull’egoismo.<br />

Come disse Martin Luter King, «più che l’urlo<br />

dei potenti temo il silenzio degli indifferenti».<br />

Anche di quelli che tacciono per paura<br />

di fronte alla mafia, alimentando il circolo<br />

vizioso dell’omertà. La delusione, seguita alla<br />

morte dei giudici Falcone e Borsellino, e la<br />

speranza (di annientare la mafia), rianimata<br />

dal funerale di Borsellino, da cortei e fiaccolate.<br />

La giustizia, quindi la Costituzione, che<br />

Caponnetto considerava «un insegnamento<br />

di vita e un’ancora di salvezza» e che noi poco<br />

studiamo a scuola, ma dovremmo conoscere<br />

per essere consapevoli dei nostri diritti e doveri.<br />

Un incontro molto interessante, su di una personalità<br />

che era per me quasi sconosciuta. Siamo<br />

infatti abituati a parlare non di tutti coloro che<br />

combattono la mafia, ma solo di coloro che muoiono<br />

per mano dei mafiosi.<br />

Sono rimasta colpita dal fatto che ai funerali del<br />

giudice Caponnetto, nel 2002, non fosse presente<br />

alcun rappresentante del Governo. Caponnetto<br />

disse che «ci sono persone la cui vita è come una<br />

finestra aperta», perché sono sensibili e fragili, ma<br />

libere, giuste, coraggiose, determinanti. Così era<br />

anche lui.<br />

Sara Locatelli 1H<br />

32<br />

Il magistrato Antonino Caponnetto<br />

Maria Grimaldi ha avvertito che questo libro<br />

non è solo una testimonianza, propone<br />

un’idea di giustizia. Il titolo è tratto da<br />

un’intervista di Caponnetto al «Corriere della<br />

Sera», in cui egli dichiarava apertamente<br />

le sue prontezza e fermezza nel proseguire<br />

la lotta alla mafia e all’omertà. Proposito che<br />

il magistrato perseguì per tutta la vita.<br />

Sono rimasta colpita da profonde citazioni<br />

come quella sulla memoria, che è necessario<br />

mantenere viva affinché ci appartenga. Ritengo<br />

sia d’obbligo ricordare uomini come Falcone<br />

e Borsellino, che hanno dato la vita per<br />

la lotta alla mafia. La loro morte ha segnato<br />

l’anima di molti italiani consapevoli della necessità<br />

di un cambiamento a livello giuridico.<br />

Non conoscevo invece la figura e l’operato del<br />

magistrato Caponnetto. Ora ho potuto capire<br />

tutto l’impegno che egli ha dedicato a educare<br />

noi giovani e lo ritengo una figura fondamentale<br />

nello scenario della lotta alla mafia.<br />

E concordo sul fatto che, paradossalmente,<br />

«la giustizia spesso dovrebbe essere come la<br />

mafia: costante e persistente nel suo lavoro».<br />

Crotti


dalla cronaca<br />

alla storia<br />

Antonino Caponnetto (Caltanissetta, 1920<br />

- Firenze, 2002) inizia la sua lotta contro la<br />

mafia nel 1982, quando diventa pubblico<br />

ministero antimafia alla procura di Palermo,<br />

sostituendo Rocco Chinnici, ucciso in un attentato<br />

mafioso. Il giudice arriva in Sicilia in<br />

un momento di grande tensione: si è appena<br />

verificata una strage e lui non sa come gestire<br />

la situazione nel modo migliore. Proprio in<br />

questo periodo egli capisce l’importanza delle<br />

parole, che possono trasformare il modo di<br />

percepire la realtà.<br />

«Le parole - ha spiegato Maria Grimaldi - furono<br />

la base del suo lavoro in magistratura.<br />

Esse non solo pensano con noi, ma per noi,<br />

sono in grado di modificare la concezione<br />

delle cose, sono potenti e utili come la Costituzione.<br />

Solo con le parole si può vincere la<br />

mafia: è da esse che è nato il maxiprocesso<br />

dell’86, la prima pietra scagliata contro la<br />

mafia».<br />

Una storia, questa, che risale al 1983, a<br />

quando Caponnetto ha l’intuizione di costruire<br />

un pool antimafia, per svolgere un lavoro<br />

approfondito contro la criminalità, con<br />

l’intervento dello Stato. Vi partecipano anche<br />

i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino,<br />

con i quali Caponnetto instaura un<br />

rapporto tanto profondo da definirli più<br />

volte «figli suoi». Questo lavoro porta, nel<br />

1986, alla più importante operazione di antimafia<br />

del secolo scorso: il cosiddetto blitz di<br />

San Michele e il conseguente maxi-processo,<br />

istruito dallo stesso Caponnetto. Furono arrestati<br />

e processati quasi 500 mafiosi, anche<br />

grazie a molte informazioni fornite da alcuni<br />

pentiti, fra cui Tommaso Buscetta.<br />

33<br />

Nel 1988 il giudice Caponnetto, convinto<br />

di “lasciare il proprio posto” a Falcone, decide<br />

di ritirarsi e torna dalla sua famiglia a<br />

Firenze. Il 23 maggio 1992, Falcone viene ucciso,<br />

mentre viaggia scortato in auto lungo<br />

la superstrada. E, il 19 luglio 1992, muore<br />

anche Borsellino, ucciso nella strage di via<br />

d’Amelio, sotto l’abitazione di sua madre.<br />

Da allora Caponnetto dedica gli ultimi dieci<br />

anni della sua vita a incontrare centinaia di<br />

ragazzi nelle scuole.<br />

Egli pensava che i giovani fossero persone<br />

autentiche, non ancora “incontaminate” dalle<br />

idee “inculcate” agli adulti; insegnava loro a<br />

credere in se stessi, a non fingere mai di essere<br />

quello che non erano e soprattutto ad avere il<br />

coraggio di denunciare le ingiustizie. Perché<br />

si può scegliere chi essere, si può decidere di<br />

essere uomini liberi e non corrotti. Credo che<br />

nulla valga quanto la nostra libertà, anche se<br />

essa esige notevoli sacrifici.<br />

Il magistrato conclude la sua carriera nel<br />

1990, con il titolo onorifico di Presidente aggiunto<br />

della Corte suprema di Cassazione.<br />

Ma le stragi del ’92 lo restituiscono al Paese,<br />

come testimone della lotta per la legalità. Nel<br />

’93 è il candidato più votato alle elezioni amministrative<br />

di Palermo e, per breve tempo,<br />

Presidente del Consiglio comunale; scrive,<br />

con Saverio Lodato, «I miei giorni a Palermo».<br />

Vengono anche organizzate tre raccolte<br />

di firme per candidarlo senatore a vita. Nel<br />

dicembre 2002 nessun rappresentante del<br />

governo partecipa ai suoi funerali.<br />

Cinque sono le fondamenta su cui egli ha<br />

costruito la sua vita: decisione, fermezza,<br />

amore, sensibilità, passione; virtù che ha saputo<br />

portare avanti anche nei momenti più difficili<br />

della sua esistenza.<br />

Arianna Fenili I H<br />

Luca Maini I H<br />

Caterina Massazza


«La parola di un uomo di carta velina,<br />

sempre in prima linea contro la mafia»<br />

Nella sala conferenza della libreria Ubik, tutti<br />

tacciono quando sul muro compare l’immagine<br />

proiettata del magistrato Antonino Caponnetto.<br />

Maria Grimaldi, curatrice del libro che ha come<br />

protagonista il giudice, lo descrive: «un uomo<br />

fatto di carta velina, sempre in prima linea<br />

contro la mafia». «Io non tacerò» è il titolo del<br />

libro e una famosa frase di Caponnetto. Questi<br />

capì l’importanza delle parole, che possono<br />

trasformare la nostra capacità di vedere la realtà<br />

ed essere usate per manipolare la gente. Perciò<br />

Grimaldi presenta il libro con parole-chiave in<br />

cui credeva lo stesso giudice.<br />

«Il vostro domani sarà il risultato del vostro<br />

oggi», disse Caponnetto in uno dei tanti incontri<br />

coi ragazzi nelle scuole. L’istruzione è importante,<br />

perché gli studenti apprendano la realtà dell’Italia<br />

e del resto del mondo e operino per modificarla.<br />

Viviamo in una situazione in cui si sono persi<br />

i valori delle cose ed è diffusa la “leggenda”<br />

secondo cui siamo tutti uguali. Si tende sempre<br />

più a presentare la realtà come immutabile, unico<br />

scenario possibile dove tutto è già stabilito e<br />

noi possiamo unicamente guardare. La scuola<br />

è importante perché trasmette il principio<br />

che non siamo tutti uguali e che possiamo e<br />

dobbiamo modificare la realtà, compiendo scelte<br />

e non omologandoci. La scuola è temuta dalla<br />

criminalità organizzata più della giustizia, perché<br />

rappresenta un luogo di incontro che differisce<br />

dall’idea di società frammentata.<br />

Caponnetto sostiene che le famiglie si incontrano<br />

“dietro” la TV. Non davanti alla realtà che ci<br />

viene costruita dalla TV: una vita da spot, facile<br />

e bella, senza le sue reali difficoltà. Andrebbe<br />

condivisa un’idea di realtà più autentica, che<br />

non ci faccia sentire distanti.<br />

Impegno. Per Caponnetto l’indifferenza è un<br />

non sentire; è certo più comoda della ribellione<br />

34<br />

e si manifesta quando il singolo si sente solo e<br />

debole. Per non restare indifferenti dovremmo<br />

capire che nulla è casuale e che possiamo essere<br />

protagonisti di quel che accade, quindi dovremmo<br />

reagire e concentrarci sulla costruzione del<br />

futuro, su partecipazione e solidarietà.<br />

La vita di persone come Caponnetto è<br />

caratterizzata dall’alternarsi di emozioni<br />

contrastanti: la speranza di essere vicini a una<br />

soluzione o a un cambiamento e la delusione<br />

di ritrovarsi al punto di partenza o davanti a<br />

un altro ostacolo. Dopo la morte di Borsellino<br />

egli esclamò «È finito tutto»: espresse la sua<br />

delusione e il suo senso di impotenza, disse ciò<br />

che tutti pensavano in quel momento, dimostrò<br />

l’autenticità dei suoi sentimenti. Ma poi riuscì a<br />

reagire e a riprendere la lotta, perché non fosse<br />

inutile il sacrificio di Falcone e Borsellino.<br />

Ognuno ha cose cui è particolarmente attaccato<br />

e che lo rafforzano nella vita. Per Caponnetto<br />

erano i libri: gli davano forza e sicurezza. Per<br />

lui la cosa più urgente, anche nelle situazioni<br />

drammatiche, era sistemare i libri.<br />

Per Caponnetto la giustizia è cosa possibile<br />

che nessuno ci può togliere. L’idea di giustizia<br />

esiste se esistono regole, in una società non<br />

frammentata. È importante che i rapporti fra le<br />

persone non si spezzino e che tutti concorrano<br />

a “ideare” una giustizia che tutti possano<br />

riconoscere come singoli e come collettività.<br />

La Costituzione non andrebbe considerata<br />

solo un pezzo di carta, ma l’insieme dei diritti e<br />

doveri dei cittadini, che ci rispecchia e protegge.<br />

Finché essa vige, ogni infrazione rimane tale. Se<br />

tutti i cittadini la conoscessero, nessuno potrebbe<br />

mai cancellare i loro diritti.<br />

Laura Crescente<br />

Anna Merlo<br />

I F


L’incredibile esilio - isolamento di Masciari nel libro presentato alla Ubik<br />

Certe cose possono cambiare<br />

«Scatole, scatole, scatole... Ci sono voluti giorni e<br />

camion e persone per trasportare e scaricare le cose<br />

della famiglia Masciari nella sua nuova casa. In quelle<br />

scatole arrivate da almeno tre posti diversi c’era tutto.<br />

Tutta la vita di una famiglia, fatta in scatole. Nulla in<br />

questi quindici anni è stato buttato o dimenticato da<br />

qualche parte. Nonostante i mille spostamenti, ogni<br />

cosa è stata tenuta, archiviata, ordinata. Come fa chi<br />

sa di avere perduto le radici, la famiglia, il lavoro e<br />

si aggrappa alle “cose” che può portare con sé. Le<br />

“cose” di una vita a ricordarti chi sei: chi sei stato, chi<br />

vuoi tornare a essere».<br />

Così si apre il libro «Organizzare il coraggio: la<br />

nostra vita contro la ‘ndrangheta» (add editore,<br />

2010, pp. 272, euro 15), scritto dai coniugi Pino e<br />

Marisa Masciari affinché «ogni persona che viene<br />

a conoscenza della nostra storia ci allunga la vita<br />

di un giorno». Anche gli studenti del biennio del<br />

Mascheroni hanno ascoltato, lo scorso 16 marzo<br />

alla libreria Ubik di Bergamo, la storia di questo<br />

imprenditore calabrese, tenuto nascosto per troppo<br />

tempo e ora diventato un esempio. E hanno compreso<br />

l’importanza della lotta alla criminalità organizzata<br />

e i relativi rischi e pericoli. I giovani dovrebbero<br />

intraprendere una strada fondata su valori e sulla<br />

consapevolezza che le leggi devono essere rispettate<br />

da tutti allo stesso modo, una strada che li conduca<br />

a reagire alle oppressioni e alla disonestà. Ognuno<br />

di noi è un “mattoncino” dell’edificio di uno Stato<br />

costituito da individui liberi. Uno Stato che, come<br />

racconta Masciari, con lui si è mostrato assente e<br />

interessato a salvaguardare solo se stesso, lo ha reso<br />

vigliacco e bugiardo, esule dalla sua terra.<br />

La ‘ndrangheta ha chiuso 13 anni della sua vita in<br />

una scatola, che egli ha avuto il coraggio di rompere,<br />

anche se mettendo in discussione l’equilibrio della<br />

sua famiglia. Ora si ritiene un uomo dignitoso, felice<br />

e dallo spirito libero, orgoglioso di aver fatto la scenta<br />

giusta.<br />

Nato da una famiglia di imprenditori calabresi, dopo<br />

l’infermità del padre, deve prendere in mano l’azienda<br />

e i suoi otto fratelli. Sogna di diventare un grande<br />

imprenditore: assume parecchi operai, molti dei quali<br />

35<br />

sono spie delle organizzazioni criminali, che studiano<br />

le sue mosse e il modo in cui cresce l’azienda. Allora<br />

la ‘ndrangheta gli chiede il 3 per cento dei profitti.<br />

Egli non vuole scendere a compromessi e, conscio<br />

del pericolo, rifiuta, denuncia l’organizzazione e si<br />

rivolge ai carabinieri senza ottenere la protezione<br />

sperata. In azienda avvengono i primi attentati:<br />

furti, abbattimenti, demolizioni. Pino subisce ingenti<br />

perdite economiche e non riesce a incassare più<br />

nulla: la mafia si è infiltrata nelle banche e nelle reti<br />

delle altre imprese. Malavitosi lo costringono a non<br />

costituirsi parte civile e le banche gli consigliano<br />

di rivolgersi a usurai per ottenere la liquidità che<br />

gli viene meno dai mancati pagamenti di lavori già<br />

realizzati. Deve quindi licenziare gli operai e chiudere<br />

l’azienda. Ciononostante nel 1994 si sposa con<br />

Marisa, da cui avrà i figli Francesco e Ottavia. Grazie<br />

alle sue denunce, sono stati incarcerati cinquanta<br />

mafiosi e collaboratori della ‘ndrangheta. Ma la<br />

sua vita è in pericolo, quindi è tutelata dal Servizio<br />

centrale di protezione. In una notte fredda e incerta<br />

la famiglia deve lasciare la Calabria e i propri parenti<br />

per destinazione ignota, senza preavviso, per sempre.<br />

Dalle mura in cui sono rinchiusi, i Masciari hanno<br />

avuto la temerarietà di far trapelare la loro storia, con<br />

speranza.<br />

Pino Masciari è un uomo normale, non eccezionale.<br />

Diverse sono invece quelle persone che hanno deciso<br />

di infrangere la legge, inseguendo effimeri privilegi.<br />

Sara Palazzi II O


LE TRE VITE DI PINO MASCIARI<br />

I coniugi Masciari narrano nel libro la loro<br />

vita perseguitata in Calabria, quindi la loro vita<br />

“fantasma” in esilio, infine quella degli ultimi<br />

anni, in cui raccontano la loro storia in scuole e<br />

università e attraverso il blog de «Gli amici di<br />

Pino Masciari». Questi era un uomo libero ed è<br />

divenuto un perseguitato. Ha scelto con coraggio<br />

di denunciare la criminalità organizzata: ha<br />

perso la sua azienda ed è stato abbandonato<br />

dallo Stato e costretto a intraprendere una<br />

seconda angosciosa vita. Chiuso tra quattro<br />

mura e privato dei contatti esterni, non potrà più<br />

rivedere la sua terra natia, ma dovrà rimanere<br />

“imballato”, ammutolito, privato del suo nome<br />

e della sua origine. Ma come la primavera fa<br />

sbocciare profumi e colori dopo un inverno<br />

freddo e gelido, così Pino ha inaugurato la sua<br />

terza vita, evadendo dalla tormentata prigionia<br />

per diffondere a fini educativi la sua storia<br />

esemplare.<br />

LA ‘NDRANGHETA SECONDO MASCIARI<br />

Masciari invita a ricercare l’origine dei suoi<br />

persecutori nel secondo dopoguerra, quando<br />

gli abitanti del Meridione si spostarono nel<br />

Nord Italia e all’estero, portando un contributo<br />

all’economia attraverso il lavoro e, come<br />

avvenuto di già e di più nei secoli passati,<br />

un apporto culturale, che però comprese la<br />

mentalità cosiddetta mafiosa. Come ha spiegato<br />

il giudice Falcone, i mafiosi hanno impostato<br />

un sistema socio-economico-politico, un modo<br />

di agire, di muoversi, di comunicare, atto a far<br />

fruttare denaro sporco. In Calabria scoppiarono<br />

faide per il denaro, con moltissime morti, per<br />

affermare la supremazia sul territorio e poter<br />

controllare l’imprenditoria locale; in questa<br />

regione la ‘ndrangheta non conosce crisi e attrae<br />

giovani in cerca di lavoro e sostentamento.<br />

Sara Palazzi II O<br />

LA VITA RINCHIUSA IN SCATOLE<br />

Da quando Pino Masciari diviene testimone di<br />

giustizia la sua vita cambia per sempre. Cioé<br />

dal 1997, anno in cui la famiglia Masciari entra<br />

nel Programma speciale di protezione e deve<br />

36<br />

abbandonare i propri parenti, casa e terra.<br />

Tutt’intorno a loro si alza un muro di gomma,<br />

teso a isolarli. L’ex imprenditore calabrese si<br />

ritrova come rinchiuso in numerose “scatole”,<br />

dalle quali non può uscire, per non mettere a<br />

repentaglio la vita sua e della sua famiglia.<br />

Escluso da contatti esterni, imprigionato fra<br />

quattro mura e comunque privo di una fissa<br />

dimora, è costretto a un continuo trasferimento<br />

che sembra un prolungato abbandono. Quasi<br />

come un pacco postale in un lungo viaggio,<br />

tenebroso e solitario, con destinazione ignota e<br />

identità perduta. Ma, mentre le scatole vengono<br />

poi disfatte e ogni oggetto ricollocato, i<br />

Masciari non possono disfarne nessuna e vivere<br />

come definitivo nessun trasloco. Nonostante<br />

la situazione in cui è costretto a vivere senza<br />

scorte, senza prospettive per il futuro, Masciari<br />

va sempre a testimoniare, facendo nomi e<br />

cognomi. Ad accorgersi di loro e a rianimare la<br />

loro speranza è la società civile, che interviene<br />

numerosa e solidissima, colmando le lacune<br />

dello Stato. La famiglia Masciari non accetta<br />

di sottostare alle pressioni della ‘ndrangheta e<br />

denuncia le azioni di quest’organizzazione; ha<br />

il coraggio di non rintanarsi nelle sue scatole,<br />

ha la forza per distruggere per sempre quelle<br />

quattro pareti dure e anonime.<br />

Paolo Carbonera Giani<br />

Francesco Bresciani<br />

IF<br />

NE VALEVA LA PENA?<br />

«Ne valeva la pena?», hanno chiesto gli studenti<br />

a Masciari che, senza esitare e con stupore<br />

dei presenti, ha risposto di essere soddisfatto,<br />

orgoglioso, senza rimorsi. Anche se potesse<br />

tornare indietro, ripercorrerebbe la sua vita,<br />

così come l’ha già affrontata. Pensa di essere un<br />

esempio eccellente per i suoi due figli e per gli<br />

italiani. Dice di essere solo una goccia d’acqua<br />

che potrebbe divenire un oceano, se il suo esempio<br />

fosse seguito da ogni giovane rappresentante del<br />

futuro della società. Il motto della sua vita? Ogni<br />

persona che conosce e ricorda la sua storia gli<br />

allunga la vita di un giorno. Ne valeva la pena.<br />

Andrea Fortunato I O


TESTIMONIANZA SUL PROGETTO ALTERNANZA SCUOLA - LAVORO 2011<br />

Oltre i confini della propria vita<br />

Ho trascorso un periodo di gennaio, precisamente<br />

dal 12 al 22 del mese, nella sede bergamasca<br />

della Caritas - Diakonia: un’associazione che,<br />

senza alcuno scopo di lucro, svolge attività nei<br />

campi dell’assistenza sociale e socio sanitaria, della<br />

formazione, dell’istruzione e della promozione della<br />

cultura, della tutela dei diritti civili e della beneficenza,<br />

cercando in particolar modo di portare un sollievo<br />

nelle situazioni di povertà ed emarginazione.<br />

In particolare, ho avuto modo di conoscere più a fondo<br />

la sezione «Umanimondo» (pace e mondialità). Essa<br />

cerca di sensibilizzare alla “mondialità” la popolazione<br />

giovane della nostra provincia, per diffondere<br />

prospettive e stili di vita improntati al dono di sé, a<br />

coinvolgere gli altri e a responsabilizzare rispetto ai<br />

grandi problemi del mondo: guerre, ingiustizie, crisi<br />

ecologica, approccio alle diversità tra uomini e culture.<br />

Un concreto esempio è «Giovani per il Mondo»<br />

che, attraverso esperienze di volontariato per ragazzi<br />

tra 18 e 35 anni, in vari Paesi colpiti da catastrofi<br />

naturali o eventi bellici, regala un sollievo e un sorriso<br />

nella vita quotidiana delle persone aiutate dai progetti<br />

sostenuti dalla rete Caritas.<br />

Il mio lavoro è stato pressoché lavoro d’ufficio,<br />

però non posso negare che mi ha aperto gli occhi in<br />

un modo incredibile. È stato come fare un viaggio<br />

virtuale, ma allo stesso tempo realistico, all’interno dei<br />

movimenti di questa grande organizzazione.<br />

Il servizio civile<br />

All’inizio della settimana mi sono occupata dei ragazzi<br />

iscritti al servizio civile. Cosa che mi ha permesso<br />

anche di capire un po’ quali sono le motivazioni e i<br />

fini di questo percorso. Sono una trentina i ragazzi<br />

iscritti al servizio civile e vengono dislocati in varie<br />

associazioni: c’è ad esempio chi lavora in comunità<br />

di recupero, chi in una grande casa con delle ragazze<br />

madri, chi con donne detenute che trascorrono<br />

l’ultimo periodo della loro detenzione in un’abitazione.<br />

Insomma i giovani che decidono di intraprendere<br />

questa strada vengono a contatto con gente che<br />

indubbiamente presenta problemi (che non sono motivi<br />

di inferiorità o discriminazione), quindi si preparano<br />

38<br />

attraverso corsi di formazione. Ho avuto occasione<br />

di assistere a un corso, che non definirei proprio di<br />

“formazione”, in quanto il progetto era già avviato,<br />

ma riterrei più una lezione d’approfondimento o una<br />

preparazione per auto-valutarsi. Infatti gli operatori<br />

hanno un progetto, che non è una lista a cui essi si<br />

devono attenere in modo rigoroso, ma deve essere una<br />

via, uno strumento per poter imparare a muoversi con<br />

sicurezza e fermezza in tutte le situazioni, che sono<br />

singole, particolari, talvolta stravaganti. Il progetto<br />

renderà possibile agli interessati svolgere delle<br />

verifiche in vari intervalli di tempo, in modo tale da<br />

poter aggiustare il tiro, qualora in un dato momento il<br />

risalutato raggiunto fosse ancora parecchio distante<br />

da quello prefissato.<br />

La lezione<br />

Purtroppo ho assistito a una sola lezione. Decisamente<br />

poco per poter capire senza difficoltà e appieno Sono<br />

comunque rimasta affascinata dal modo di ragionare,<br />

almeno per quello che ho potuto intuire, a cui porta un<br />

certo modo di agire. Quello che si chiede ai ragazzi è di<br />

cambiare proprio il modo di ragionare, i processi logici<br />

da attuare. Credo di aver colto almeno l’importanza<br />

di ragionare per step, arrivare a una cosa dopo<br />

l’altra senza tralasciare nessun particolare (causaeffetto<br />

effetto-causa rimedi). Per poter risolvere un<br />

problema, è necessario avere tutta la situazione sotto<br />

controllo: spesso sono le cose più scontate a contenere<br />

in sé la risposta, la soluzione. Spesso, nella frenesia<br />

della nostra società tendiamo ad amalgamare tutti i<br />

pensieri insieme, a saltare qualche nesso, perché tante<br />

sono le cose che ci frullano in testa. Per mantenere<br />

sempre il controllo di una situazione, è bene capire<br />

una cosa per volta, valutare tutte le possibilità, senza<br />

inglobare più ragionamenti in uno soltanto.<br />

Le interviste<br />

Credo che “frenesia” sia la parola giusta per introdurre<br />

la seconda attività a cui mi sono dedicata durante la<br />

mia permanenza alla Caritas. Mi è stato chiesto<br />

di sbobinare delle interviste - testimonianze in vista<br />

del decennale di «GiovaniPerIlMondo». È stato


interessante per me vedere come le mie idee siano<br />

cambiate: sono sempre stata affascinata per un certo<br />

aspetto dal mondo del volontariato, ho sempre voluto<br />

capire come funziona, quali sono le motivazioni.<br />

Vorrei diventare un medico, quindi sono orientata<br />

più ai progetti di “Emergency” o di “Medici senza<br />

frontiere”, però credo che il principio sia il medesimo.<br />

Cosa spinge le persone a lasciare, seppur<br />

temporaneamente, tutto quello che hanno per andare<br />

in luoghi dove la miseria e la sofferenza regnano<br />

incontrastate, per portare un sorriso dove questo è<br />

purtroppo raro?<br />

Fino a due mesi fa credevo fosse il desiderio di<br />

aiutare gli altri, un’elevata sensibilità che spinge la<br />

gente soddisfatta e felice della propria vita, che<br />

si è resa conto della propria fortuna, a cercare di<br />

regalarne un po’ a chi purtroppo non è nelle sue stesse<br />

condizioni. Ascoltando le registrazioni mi si sono<br />

aperti gli occhi: per lo più queste persone partono per<br />

ritrovare se stesse o meglio per capire attraverso quel<br />

che vedranno quanto siano fortunate ad avere le cose<br />

che hanno, a imparare a vivere nelle situazioni più<br />

difficili, a comprendere il vero senso del termine “forza<br />

e coraggio”. È questa la motivazione di partenza.<br />

Al momento mi sono detta: beh, è un po’ da egoisti<br />

usare gli altri come strumento ancora per un proprio<br />

tornaconto.<br />

Ma, continuando ad ascoltare, sono giunta alla<br />

conclusione che quest’esperienza è un continuo donarsi<br />

reciproco, in cui nessuno si mette sulla vetta della<br />

montagna e guarda con occhi di compassione e pena<br />

chi vuole aiutare, ma s’instaura una collaborazione,<br />

un equo lavorare insieme: io “animatore” aiuto te a<br />

sorridere, a ricostruire il tuo villaggio, a svolgere le<br />

faccende più disparate e tu mi insegni a vivere, ad<br />

avere la tua tenacia, il tuo coraggio e la tua forza<br />

nell’andare avanti quando tutto sembra spegnersi e<br />

perdere di senso. Questo è un grande insegnamento;<br />

credo sia davvero così, anche se per constatarlo avrei<br />

bisogno di fare anche io questa esperienza, cosa che<br />

non escludo assolutamente.<br />

Mi ha inoltre impressionato il fatto che tutti<br />

gli intervistati siano stati colpiti dalle profonde<br />

contraddizioni che esistono in quei Paesi. Molti<br />

testimoniano come si possano notare in un unico<br />

campo di visuale paradossi spaventosi: la miseria con<br />

il barbone, la sporcizia e la lebbra da una lato della<br />

strada e dall’altro gente colta, istruita, che parlando<br />

inglese e indossando jeans e t-shirt, s’appresta a<br />

entrare in un lussuosissimo centro commerciale.<br />

39<br />

I colloqui<br />

Mi ha in un certo senso ferito, infine, il pomeriggio<br />

dei colloqui con le famiglie bisognose. Ricordo che<br />

sono uscita davvero scossa dalla Caritas; pensavo<br />

di aver una reazione diversa, invece sono stata colta<br />

all’improvviso. Vedendo quelle persone, toccate<br />

dalle peggiori disgrazie, trovarsi a chiedere aiuto,<br />

non riuscivo a non pensare a che cosa stessero<br />

pensando, a cosa stessero provando in quel momento,<br />

a quanto dovessero essere disperate. Mi ha colpito<br />

in particolare un signore tunisino con una moglie e<br />

una bambina che avevano subito gravi danni cerebrali<br />

dopo essere state investite sulle strisce; lui aveva<br />

perso il lavoro, viveva in una casa piccolissima e non<br />

sapeva più come raccapezzarsi. Ho visto negli occhi<br />

di quell’uomo la paura e la disperazione, avrei dovuto<br />

fare qualcosa, ma non sapevo cosa. Purtroppo la<br />

crisi ha fatto aumentare di un’ingente percentuale le<br />

persone ridotte sul lastrico, al contempo riducendo la<br />

disponibilità ad aiutarle. È come un circolo vizioso,<br />

un pozzo senza fondo: più profonda è la discesa,<br />

minore diviene la possibilità di salire. Per fortuna<br />

esistono associazioni come la Caritas che cercano di<br />

dare un piccolo sollievo, un appoggio, un conforto e<br />

uno sprone a cercare di reagire. Questo non intende<br />

essere un invito ad appesantirsi su di essa, ma un<br />

aiuto, temporaneo, che oltre a soddisfare i bisogni<br />

più imminenti si propone di insegnare anche come<br />

imparare a sopravvivere.<br />

Se dovessi definire la mia esperienza alla Caritas<br />

userei l’aggettivo ricca. Anche se ciò può sembrare<br />

paradossale. Eppure essa mi ha lasciato così tanto, mi<br />

ha regalato molti spunti di riflessione che sto ancora<br />

rielaborando. Relazionare in modo teorico quel che ho<br />

fatto mi risulta difficile, non perché il lavoro non mi<br />

sia piaciuto, ma perché credo che l’intento principale<br />

sia stato farmi capire in che cosa esso consista e in<br />

quale modalità operi la Caritas.<br />

Credo che l’obiettivo sia stato pienamente raggiunto:<br />

questa esperienza mi ha invogliato a saperne di<br />

più, a cercare di vedere con i miei occhi, a prendere<br />

parte a questo progetto. Resta solo il vincolo<br />

dell’età: aspetterò quando mi sentirò pronta, lascerò<br />

maturare la mia scelta. Dentro di me so di voler vivere<br />

un’esperienza nell’ambito del volontariato, ma non so<br />

fino a che punto i miei nervi possano reggere l’impatto<br />

con realtà tanto diverse dalla mia, devo capire come<br />

posso muovermi e come posso metabolizzare il meglio<br />

possibile quello che vedrò, quello che dovrò sopportare<br />

e quello che proverò. Ma la volontà c’è.<br />

Alice Morosini


Reportage di IIˆO tra gli operai sardi che si sono incarcerati per essere liberi di lavorare<br />

L’Asinara non è L’isola dei famosi,<br />

ma quella reale dei cassintegrati<br />

Dagli inviati<br />

Vinyls Italia è un’azienda chimica che nasce nel<br />

1986 come European Vinyls Corporation International.<br />

Tutto procede regolarmente sino alla<br />

fine del 2008, quando iniziano ad accumularsi<br />

debiti nei confronti di Eni, a causa di fatture<br />

non liquidate. Il problema persiste fino al<br />

28 maggio, quando viene presentata richiesta<br />

di fallimento, che sfocerà nella messa in amministrazione<br />

straordinaria. Nell’agosto 2009<br />

la produzione viene fermata e il 27 novembre<br />

gli operai vengono messi in cassa integrazione.<br />

Alcuni operai hanno così avuto un’idea geniale.<br />

Il 24 febbraio 2010 sono sbarcati in esilio volontario<br />

sull’isola dell’Asinara e hanno occupato le sale<br />

dell’antico carcere, noto per essere stato usato negli<br />

anni di piombo come luogo di massima sicurezza<br />

per i brigatisti e per aver ospitato i giudici Falcone<br />

e Borsellino durante la stesura del maxiprocesso.<br />

«Alla Rai prende il via “L’isola dei famosi”, - ha<br />

spiegato uno degli operai - qui all’Asinara noi da<br />

oggi cominciamo “L’isola dei cassintegrati” e non<br />

ce ne andremo fino a quando non sapremo qualcosa<br />

sul nostro destino».<br />

Per far conoscere la loro situazione gli “isolani” si<br />

sono affidati a Facebook: la pagina dell’isola dei<br />

cassaintegrati attualmente conta oltre 29mila amici.<br />

Vi si legge: «L’isola dei Cassintegrati è un reality<br />

“reale”, purtroppo, dove nessuno è famoso, ma<br />

tutti sono senza lavoro. Trincerati in un’isola simbolo<br />

della più grande Sardegna ormai in crisi profonda,<br />

alloggiati in celle non peggiori delle sbarre<br />

che governo, regione ed Eni hanno messo loro<br />

davanti. Nessuno yacht né billionaire né soubrette<br />

su quest’isola, solo la cruda verità di una politica<br />

che non dà risposte e di una società a controllo<br />

statale - Eni - che persegue i propri scopi aziendali<br />

passando sulle vite di migliaia di famiglie. E, non<br />

ultimi, un gruppo di operai coraggiosi che lotta per<br />

i propri diritti». E ancora: «Se i giovani si organizzano,<br />

s’impossessano di ogni ramo del sapere<br />

e lottano al fianco dei lavoratori e degli oppressi,<br />

non c’è scampo per un vecchio ordine fondato sul<br />

40<br />

privilegio e l’ingiustizia”.<br />

I timori degli operai potranno svanire solo nel<br />

momento in cui verrà reso noto il piano industriale<br />

della Ramco, quando l’Eni avrà concluso<br />

la trattativa sulle forniture. Al momento, gli<br />

impianti restano ancora fermi. Nel frattempo,<br />

il 4 marzo, ha raggiunto l’isola anche una delegazione<br />

di lavoratori dell’Alcoa di Portovesme.<br />

Ma di tutto questo c’è traccia nei giornali nazionali?<br />

Fatta qualche dovuta eccezione, il nulla! Ed è assurdo<br />

che, per trovare voce (e magari una soluzione<br />

al problema), si debba ricorrere a tanto.<br />

Gli studenti della II O del liceo Mascheroni si sono<br />

diretti sul posto e hanno intervistato a proposito<br />

l’operaio Pietro Marongiu, capo dei manifestanti.<br />

«Noi siamo qua - ha spiegato Marongiu - perché<br />

purtroppo l’azienda dove lavoravamo di punto in<br />

bianco ha deciso di chiudere gli impianti, le produzioni.<br />

Ci siamo trovati senza lavoro dall’oggi al<br />

domani e senza una motivazione che, diciamo, potesse<br />

giustificare questa chiusura improvvisa. Perché<br />

la nostra produzione andava bene, il prodotto<br />

sul mercato si vendeva benissimo. Ma dall’oggi al<br />

domani ci siamo trovati in mezzo alla strada, così.<br />

Quindi questa forma di protesta è stata fatta senza<br />

voler danneggiare nessuno. Proprio intelligente,


credo, insolita. Senza creare danno ci siamo reclusi<br />

qui. Di conseguenza l’opinione pubblica si è interessata<br />

al nostro caso, ma ancora oggi tutti quanti<br />

noi ci chiediamo come mai di punto in bianco la<br />

gente si possa trovare senza lavoro. Già il territorio<br />

soffre di questa mancanza di lavoro comune. La<br />

Vinyls è l’unica risorsa che avevamo qui; se viene<br />

a mancare, cosa facciamo? Quindi abbiamo attuato<br />

questa protesta, in modo che qualcuno potesse<br />

aiutarci. C’è stato l’aiuto dei media: se tutti voi<br />

siete testimoni, siete venuti qua, evidentemente<br />

avrete sentito qualcosa».<br />

Gli studenti hanno quindi cercato di approfondire,<br />

chiedendo maggiori dettagli sull’azienda e sulla<br />

protesta. «L’azienda Vinyls ha tre stabilimenti, collegati<br />

tra loro. Qua a Porto Torres protestano 150<br />

operai diretti e l’indotto, cioè tutte coloro il cui lavoro<br />

gravita attorno alla produzione della società:<br />

più di 3.000 persone che si occupano di trasporti,<br />

carta, imballaggi, tutte le società esterne che<br />

lavorano anche per la confezione del prodotto e<br />

compagnia bella. Perciò si stima che l’indotto comprenda<br />

circa 3000 persone, che lavorano in tutto lo<br />

stabilimento di Porto Torres. Questo comporta un<br />

annientamento completo delle famiglie».<br />

«La vicenda della Vinyls - prosegue Marongiu - è<br />

una storia un pochettino più difficile da raccontare<br />

in quanto l’azienda era legata a un’altra società<br />

ed è poi passata da società a società diventando<br />

Vinyls italia. La Vinyls Corporation è ancora in funzione,<br />

solo la branca italiana è stata accantonata e,<br />

di conseguenza, è andata a finire com’è andata a<br />

finire. In pratica, siamo stati commissariati, da tre<br />

commissari nominati dal governo, con lo scopo di<br />

cercare in futuro di vendere l’azienda o di trovare<br />

un’altra sistemazione per la stessa. Ci stanno provando.<br />

Adesso vediamo con questa nuova società,<br />

che a giorni sembrerebbe quasi fatta, ma stiamo<br />

sempre aspettando. A oggi non ci sono notizie positive<br />

in senso buono; però vediamo».<br />

Che cosa significa vivere da cassintegrati? «Fino<br />

all’anno scorso avevamo tutti una busta paga così<br />

che specialmente i ragazzi - non parlo per me, io<br />

sono quasi arrivato, manca un anno, speriamo di<br />

arrivarci (alla pensione, ndr) - avevano programmato<br />

di sposarsi, andavano in una banca che concedeva<br />

loro un mutuo e potevano programmarsi<br />

un futuro o una famiglia… Poi ti viene a crollare<br />

tutto. Forse voi venite da Bergamo e questa realtà<br />

non la conoscete, ma qua chi trova un lavoro tocca<br />

il cielo con un dito. Qua, per noi, trovare un lavoro<br />

assicurato, con i contributi, è la cosa più ambita di<br />

41<br />

questo mondo; questi ragazzi l’avevano finalmente<br />

trovato dopo tanti sacrifici e anni di studio - sono<br />

tutti diplomati e sono stati selezionati dall’azienda,<br />

che giustamente prende le persone più preparate<br />

- e si sono trovati lì di punto in bianco, sposati,<br />

con una famiglia da mantenere e con il mutuo da<br />

pagare. Per di più senza motivo. Che cosa fanno?<br />

Non è che esci da questa fabbrica e ne trovi un’altra,<br />

non trovi niente. Qua non si trova niente».<br />

Un messaggio a tutti i ragazzi del liceo Maschero-<br />

ni e a tutti i ragazzi che lo leggeranno. «Guardate<br />

bene il modo in cui abbiamo portato avanti la nostra<br />

protesta, - conclude Marongiu - con il dialogo,<br />

senza alzare la voce. Avevamo ragione e abbiamo<br />

portato avanti le nostre ragioni. Quindi il consiglio<br />

che io do a tutti è portare avanti le proprie rivendicazioni<br />

cercando di non urlare, altrimenti non vi<br />

capisce nessuno e vi danno torto. Sostenetele e<br />

vedrete che qualcuno vi ascolta. Ricordatevi voi<br />

che siete giovani, non voglio far politica, voglio<br />

solo ricordarvi di guardarvi attorno. Siete costretti<br />

in questo momento ad abbandonare un po’ della<br />

vostra spensieratezza. Controllate bene cosa sta<br />

succedendo in questo paese. Valutate e, quando<br />

sarà il momento, dovrete cercare di migliorarlo. E<br />

studiate, perché siete il futuro di questo paese e<br />

abbiamo bisogno di voi».<br />

Questo l’appello di persone che, nonostante si siano<br />

trovate disoccupate da un giorno all’altro, non<br />

hanno perso la speranza e la voglia di lottare per<br />

riottenere quello che avevano.<br />

Meditate gente, meditate!<br />

Jessica Leoni<br />

Joana Liti


Cartoline dal mondo di feste, riti e usanze tradizionali con cui s’inaugura la stagione dei fiori<br />

Ovunque si respira aria di primavera<br />

Anche il Caterpillar, naturalmente, sente le stagioni.<br />

Ed è così curioso da “imbucarsi” in tutte le feste. In<br />

questo numero colleziona speciali cartoline di viaggio<br />

per conoscere le antiche tradizioni che si conservano<br />

e si rispettano in tutto il mondo per festeggiare la<br />

primavera.<br />

Giappone<br />

La primavera in Giappone si presenta con un clima<br />

più gradevole rispetto a quello che si registra in Italia.<br />

Tra fine marzo-aprile, fino alla metà di maggio, i<br />

giapponesi festeggiano la stagione “Hanami”, che<br />

significa “fiori da guardare”, con l’Hanami Festival,<br />

una delle maggiori celebrazioni del Paese che avvenne<br />

per la prima volta nel VII secolo ed era originariamente<br />

un rito religioso.<br />

In questo periodo troviamo i caratteristici ciliegi in<br />

fiore, uno dei simboli più importanti del Giappone.<br />

Per sette o dieci giorni tutta la popolazione è in grande<br />

festa. Gli alberi in fiore di aprile segnano quasi una<br />

nuova rinascita stagionale e un sospiro d’aria fresca<br />

per tutti. La bellezza dei ciliegi in fiore è ritenuta<br />

molto significativa in tutto il Giappone. Il popolo<br />

relaziona i petali dei fiori alla vita dei samurai: una<br />

42<br />

breve esplosione di colore brilla per tutta la durata<br />

della fioritura, prima che la natura faccia il suo corso.<br />

La fioritura rappresenta la brevità e la fragilità<br />

dell’esistenza. I giapponesi amano festeggiare<br />

l’occasione con abbondanti dosi di sakè, la tradizionale,<br />

forte bevanda alcolica.<br />

Romania<br />

“Martisor”, festeggiato il primo marzo, è una<br />

celebrazione rumena tradizionale di inizio primavera.<br />

È usanza praticata in tutta la Romania che gli uomini<br />

offrano alle donne un oggetto chiamato “martisor”: un<br />

gioiello o una piccola decorazione come un fiore o un<br />

animale, legata a un filo rosso e bianco. Chi porta il<br />

martisor sarà forte e sano tutto l’anno.<br />

Il “Giorno della Mamma o Giorno della Donna”,<br />

festeggiato l’8 marzo come in Italia, è festa dedicata a<br />

tutte le mamme e le donne. In questo giorno i bambini<br />

offrono regali e fiori alle loro mamme e i mariti regalano<br />

fiori alle loro mogli, per dimostrare il loro rispetto e<br />

amore.<br />

Ad aprile si corteggia la primavera. Il “corteggio<br />

della primavera”, durante la prima settimana del mese,<br />

consiste in una sfilata di carri allegorici, maschere


e costumi popolari. La seconda domenica di aprile,<br />

invece, si colgono i “fiori dell’Olt”, ossia si tiene<br />

l’omonimo concorso di costumi e usanze antiche e<br />

festival di danze popolari, tra cui quelle sassoni.<br />

Maggio si apre con la “Festa dei giovani”, festa di<br />

primavera con sfilata di costumi e danze medioevali<br />

che si tiene, da quattro secoli, la prima domenica del<br />

mese. Lo stesso giorno della “Festa del lillà”: danze<br />

popolari in una radura fiorita di lillà. Mentre il<br />

“Raduno dei montoni”, la prima domenica di maggio,<br />

è festa popolare per la partenza delle greggi verso la<br />

montagna. E la “Festa delle peonie”, che avviene la<br />

seconda domenica del mese in un bosco fiorito di peonie,<br />

è evocazione popolare della battaglia del 1574 fra i<br />

Turchi e i Moldavi comandati da Giovanni il Bravo.<br />

La terza domenica di maggio è tempo della “primavera<br />

di Harghita”e, indossando costumi rumeni e magiari,<br />

si celebra l’inizio del lavoro nei campi.<br />

Albania<br />

Il 14 marzo è il più allegro dei giorni di tutto l’anno e la<br />

bianca notte che lo ha preceduto è la più divertente delle<br />

notti primaverili albanesi. Elbasan si sveglia rumorosa,<br />

gioiosa ed eccitata all’alba di questo festoso giorno.<br />

Mentre nella piazza principale, accanto al magnifico<br />

e millenario castello romano, si sbrigano gli ultimi<br />

preparativi dello spettacolo, le massaie offrono già di<br />

prima mattina il dolce tipico chiamato Ballakume.<br />

La tradizione vuole che ci si svegli presto, perché chi<br />

più dorme questo primo giorno solare, più dormirà<br />

durante l’anno a venire. Le bambine preparano i<br />

bellissimi braccialetti composti di tanti fili colorati<br />

e intrecciati, per regalarli a tutti, famigliari,<br />

amici e conoscenti. Si indossano bellissimi vestiti<br />

nuovi e gli scarponi invernali lasciano il posto<br />

a comodi sandali estivi, anch’essi rigorosamente<br />

nuovi, come nuovo è l’anno appena cominciato.<br />

Le famiglie si preparano a uscire per fare visita ad altri<br />

parenti e amici e il bambino più piccolo della famiglia<br />

corre per entrare per primo in casa, offrendo il dolce<br />

43<br />

tipico agli ospiti. Dopo questo scambio di dolci e auguri,<br />

tutti insieme si dirigono verso la piazza centrale, per<br />

ascoltare e cantare insieme le allegre canzoni dedicate<br />

alla natura, all’amore, alla primavera e ai fiori.<br />

Questa celebrazione della primavera trova<br />

le sue radici nell’antichissima civiltà illirica<br />

pagana (dell’antica Albania), i cui rituali<br />

sono rimasti da millenni gli stessi. Gli Illiri<br />

giungevano da tutte le parti dell’Illiria,<br />

viaggiando per mesi, al fine di dimostrare<br />

la loro devozione alla dea Diana, venerarla:<br />

culto di tutto ciò che la primavera, stagione<br />

di vita e rigenerazione, porta con l’inizio<br />

del nuovo anno.<br />

Polonia<br />

Nelle scuole materne ed elementari della Polonia, il<br />

21 marzo, si prepara il saluto della signora inverno,<br />

che rappresentava nella tradizione antica la morte, la<br />

malattia, il male, la sofferenza. Per questo si prepara<br />

una bambola di paglia chiamata “Marzanna” e si fa<br />

una passeggiata al lago; tutti i bambini cantano e le<br />

maestre bruciano la signora inverno per dare spazio<br />

alla signora primavera. L’usanza di annegare la<br />

“Marzanna”, dea pagana dell’inverno, risale appunto<br />

all’epoca pagana, è un addio simbolico alla stagione più<br />

fredda.<br />

Svizzera<br />

A Zurigo la primavera inizia ufficialmente


con la tradizionale festa del “Sechseläuten”,<br />

ossia dei “sei rintocchi”, che si tiene la terza<br />

domenica di aprile e prosegue il lunedì<br />

successivo. Inizia con una sfilata di bambini<br />

che indossano vestiti tradizionali, che<br />

possono provenire anche da altre città, da<br />

altri cantoni e da altri Paesi (cosa che non<br />

è ammessa nel corteo degli adulti).<br />

Il culmine della sfilata è il falò del Böögg, fantoccio<br />

che simboleggia l’inverno. Assomiglia a un pupazzo<br />

di neve ed è riempito di petardi e piazzato su di una<br />

catasta di legna, alla quale viene dato fuoco quando le<br />

campane della cattedrale rintoccano le sei.<br />

Il momento in cui<br />

la testa del Böögg<br />

esplode segna<br />

ufficialmente la<br />

fine dell’inverno.<br />

Secondo la<br />

credenza popolare,<br />

più veloce è<br />

l’esplosione, più<br />

lunga e calda sarà<br />

l’estate a venire.<br />

Cina<br />

La “Festa di<br />

primavera” è<br />

anche chiamata<br />

44<br />

capodanno lunare. È la più grande e<br />

gioiosa festa tradizionale e popolare del<br />

Paese. Ha alle spalle una lunga storia,<br />

avendo origine dai sacrifici agli dei e agli<br />

antenati alla fine e all’inizio dell’anno al<br />

tempo delle dinastie Yin e Shang, ossia<br />

più di 4000 anni fa. L’atmosfera speciale<br />

della festa dura per un mese.<br />

Prima del capodanno, si tengono cerimonie di sacrificio<br />

agli antenati e alla divinità della cucina. La vigilia<br />

del capodanno lunare è estremamente importante per<br />

tutti i cinesi del mondo. In questo giorno, tutte le<br />

famiglie cinesi si riuniscono per una cena sostanziosa,<br />

salutando l’anno vecchio e dando il benvenuto al nuovo.<br />

Tanto è vero che, nell’antica Cina, alcuni funzionari<br />

delle prigioni liberavano i carcerati per far trascorrere<br />

loro la festa in famiglia.<br />

Durante la festa, si offrono mance ai bambini come<br />

dono di capodanno e amici e parenti si fanno visite di<br />

augurio. La “Festa delle lanterne” cade quindici giorni<br />

dopo il capodanno lunare: per l’occasione, le città cinesi<br />

sono decorate con lanterne colorate e le strade sono piene<br />

di gente… una scena davvero grandiosa!<br />

La festa di primavera si conclude solo<br />

dopo la festa delle lanterne.<br />

Ilaria


cultura e tempo libero<br />

45


Intervista al critico più criticato d’Italia che si prende cura delle meraviglie di questo Paese<br />

Nel silenzio, lontano da polemiche,<br />

si tutela, si restaura e... si demolisce<br />

Lo storico e critico<br />

d’arte Vittorio Sgarbi,<br />

sindaco del Comune<br />

siciliano di Salemi,<br />

ha fra l’altro insegnato<br />

e lavorato<br />

per la Soprintendenza<br />

veneta,<br />

è stato sottosegraterio<br />

del Ministero per i Beni<br />

culturali<br />

e assessore alla Cultura<br />

del Comune di Milano<br />

«Questo è un Paese dove tutti i musei<br />

insieme hanno meno entrate del Metropolitan<br />

museum di New York», si sentiva a «Radio24»<br />

qualche settimana fa. Giusto mentre si stava<br />

già pensando a un paesino sperduto, ecco<br />

che senz’arte nè parte - è il caso di dirlo - il<br />

conduttore ne sfodera il nome, Italia. E spiega<br />

che la fonte di questo dato è «Vandali», il<br />

recente libro di Sergio Rizzo e Gian Antonio<br />

Stella.<br />

Se l’Italia, che custodisce metà delle opere<br />

d’arte del mondo, non le valorizza fino a<br />

questo punto paradossale un motivo ci sarà,<br />

e il lavarsi le mani con un «mancano gli<br />

investimenti» forse non è sufficiente a spiegare.<br />

Tanto più che parte del nostro patrimonio cade<br />

letteralmente a pezzi, come alcune mura di<br />

Pompei, uno dei simboli dell’Italia nel mondo.<br />

Lo scaricabarile che parte a questo punto fra<br />

46<br />

tecnici, soprintendenti e burocrati vari è da<br />

guinness dei primati e, nel caso specifico ha<br />

portato alle dimissioni del ministro per i Beni<br />

culturali Sandro Bondi, nel mezzo d’infinite<br />

polemiche.<br />

Le stesse polemiche che di recente sono nate<br />

intorno alla nomina di Soprintendente speciale<br />

di Venezia, posto rivendicato dallo storico<br />

dell’arte Vittorio Sgarbi: burocrazia, veti, leggi<br />

e leggine sono sempre all’erta, mentre la città<br />

lagunare sprofonda.<br />

Proprio con Sgarbi vogliamo parlare della<br />

situazione dell’arte in Italia e di quali siano<br />

i meccanismi perversi che la regolano.<br />

Cogliendo anche qualche anteprima – rimasta<br />

purtroppo tale, ndr - sulle serate televisive<br />

ch’egli stava preparando: una scommessa per<br />

la tv italiana, più incline ai reality.<br />

Buona lettura!


Onorevole, nel loro ultimo libro «Vandali»,<br />

Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella conducono<br />

un’impietosa inchiesta sul degrado<br />

del nostro patrimonio artistico. Prima Pompei<br />

e il Colosseo, ora Venezia col ponte di<br />

Rialto e l’arena di Verona, solo per citare gli<br />

esempi più eclatanti e pubblicizzati, anche<br />

per ragioni che non hanno a che fare con la<br />

tutela e valorizzazione del patrimonio storico<br />

artistico. Quali le principali ragioni di<br />

questo degrado? Cosa si può fare in concreto<br />

per tutelare e valorizzare l’arte in Italia?<br />

«Un degrado… - risponde Vittorio Sgarbi -<br />

Ci sono delle forme di propaganda dissennata<br />

che hanno significato politico antigovernativo<br />

e anti-italiano. Nel senso che, a fronte di alcune<br />

opere che hanno noti ed effettivi problemi<br />

di manutenzione come il Rialto o il Colosseo,<br />

ci sono decine, centinaia di interventi che sono<br />

atti e di cui nessuno parla, che preservano una<br />

Vittorio Sgarbi: «Il ponte di Rialto a Venezia, dopo le polemiche, si sistemerà. Risolverei il problema, con un comitato privato»<br />

parte del patrimonio non meno importante.<br />

Quindi forse l’errore d’immagine è non intervenire<br />

sempre e soltanto per le cose che<br />

tutti vedono, come per il ponte di Rialto. E su<br />

quello troverei la soluzione, metterei in piedi<br />

un comitato privato. Per quanto riguarda<br />

il Colosseo il tema è già risolto, grazie ai 25<br />

milioni di euro messi a disposizione dall’imprenditore<br />

Della Valle. Lo Stato, in realtà, ha<br />

un unico difetto. Non è che esso investa poco<br />

danaro, cosa che si può anche affermare e si<br />

afferma. Il problema è che la metà dei soldi<br />

dati alle Soprintendenze torna indietro come<br />

residuo passivo, che non si riesce a spendere.<br />

Sono talmente complicati le gare e gli appalti,<br />

è talmente complessa la macchina dello Stato<br />

47<br />

che i soldi ci sono e non si spendono. Io per<br />

esempio, finché sono stato soprintendente di<br />

Venezia, avevo a disposizione otto milioni da<br />

spendere in un anno. Se ora tornassi a occuparmi<br />

come soprintendente di Venezia, i soldi<br />

sarebbero rimasti gli stessi, perché non riescono,<br />

non sanno spendere. Sussiste una specie<br />

di follia burocratica che diventa un danno<br />

grave anche in presenza di soldi. Non so che<br />

dire…».<br />

«Esistono invece situazioni in cui si fa molto<br />

e si realizzano interventi conservativi, anche<br />

con poco - sottolinea Sgarbi -. Per esempio<br />

si è aperto da qualche mese, anche gratuitamente,<br />

il museo del Novecento a Milano, che<br />

è una cosa importantissima e mostra che i<br />

soldi possono essere spesi utilmente. È stato<br />

inaugurato anche il Museo d’arte moderna di<br />

Roma, il Maxxi, un museo molto costoso, ma<br />

certamente significativo. Si sono restaurati ci-<br />

cli importantissimi di affreschi, come quelli di<br />

Giotto e di Mantegna a Padova. Se si guarda,<br />

quello che si è fatto è di gran lunga superiore<br />

a quello che non si è fatto».<br />

Il problema è quindi ingigantito?<br />

«A parte che i miei amici Stella e Rizzo se<br />

non riescono a trovare qualcosa che non funziona<br />

non sono contenti. Eppure ho loro spiegato<br />

che ci sono tante cose che vanno bene…<br />

Quando sono venuti a trovarmi a Salemi, sono<br />

rimasti esterrefatti del fatto che con pochi danari<br />

abbiamo realizzato un bellissimo museo<br />

della mafia, che sarebbe costato dovunque<br />

qualche milione di euro ed è invece costato<br />

63mila euro. Lo stesso è avvenuto nel comune<br />

di Milano: quando ero assessore alla Cultura


ho fatto restaurare con 69mila euro la fontana<br />

dei Bagni misteriosi di De Chirico, che aspettava<br />

da decenni di essere sottoposta a manutenzione<br />

e per cui era stato presentato un<br />

preventivo da mezzo milione di euro, ridotto<br />

poi a poco più di un decimo. Un altro esempio<br />

è la pinacoteca Spìnola a Genova, che ha<br />

comprato un capolavoro di un pittore meraviglioso<br />

come Ludovico Brea; un’acquisizione<br />

che era giusto fare, ma che, siccome è costata<br />

un milione di euro, ha suscitato una grande<br />

polemica».<br />

«Il mondo dell’arte è dunque variegato: - prosegue<br />

Sgarbi - ci sono situazioni che funzionano<br />

benissimo e altre che non funzionano e che<br />

magari sono più vistose. È appunto un errore<br />

d’immagine non sistemare il ponte di Rialto,<br />

ma credo che, dopo le polemiche, s’inizierà<br />

a farlo. Ci sono cose più gravi di cui non si<br />

parla e ci sono cose utilmente fatte di cui non<br />

si parla. Quelli che Lei ha citato sono dati oggettivi,<br />

ma il crollo di un muro a Pompei non<br />

è certo una cosa che possa riguardare nessun<br />

La fontana dei Bagni misteriosi di De Chirico<br />

ora restaurata ed esposta nel Museo del ’900 a Milano<br />

governo, semmai riguarda soprintendenti che<br />

sono nominati nella totale autonomia della<br />

loro funzione, che non dipende dalla politica:<br />

essi, nel momento in cui sono nominati, sono<br />

autonomi e hanno potere assoluto. Se essi non<br />

si sono resi conto che quel muro era pericolante,<br />

il problema è solo loro, dei tecnici».<br />

Non pensiamo che sia colpa di un ministro.<br />

«Mettiamo che crolli un muro a Bergamo e<br />

io sia ministro per i Beni culturali - spiega<br />

Sgarbi. A Bergamo esistono trecento chiese e<br />

io ne posso conoscere una parte, perché sono<br />

Sgarbi, ma anch’io magari non ne conosco<br />

cinquanta o cento. Crolla un muro e c’entro<br />

48<br />

I musei del’ 900 a Milano, Maxxi a Roma e della mafia<br />

a Salemi. Sgarbi: «A fronte di alcune opere che hanno noti<br />

ed effettivi problemi di manutenzione come il Rialto<br />

o il Colosseo, centinaia di interventi realizzati, di cui spesso<br />

non si parla, preservano una parte del patrimonio<br />

non meno importante».


io? Io ministro devo semplicemente mettere<br />

la Soprintendenza in condizione di lavorare<br />

e devo garantire i fondi, stanziare i soldi<br />

per gli interventi. Siccome i soldi per Pompei<br />

c’erano, il non essere stati spesi utilmente è un<br />

problema che riguarda solo i tecnici, gli stessi<br />

che creano la polemica e che in realtà avevano<br />

la responsabilità e la possibilità di monitorare<br />

e di valutare se quel muro era più o meno<br />

importante. Non è che il ministro, siccome si<br />

occupa di tutela di tutto il patrimonio privato<br />

e pubblico che ha più di cento anni, allora è<br />

tenuto a conoscere tutti gli edifici che hanno<br />

più di cento anni ed essere cosciente del grado<br />

di conservazione di ognuno di essi. Così come<br />

non sarebbe colpa di un ministro che si occupa<br />

di turismo se in un ristorante di Bergamo si<br />

mangiasse male».<br />

Perché questa incapacità nella gestione?<br />

Manca per così dire buona volontà?<br />

«Può essere per carenza di voglia di lavorare,<br />

di chi lavora poco.<br />

Ci sono i soprintendenti. È facile (attribuire<br />

alla politica), ma la politica non c’entra nulla.<br />

Il ministro avrebbe una responsabilità solo nel<br />

momento in cui gli avessero segnalato in maniera<br />

precisa e puntuale lo stato di quel muro<br />

di Pompei, proprio quello, gli avessero chiesto<br />

un intervento di urgenza e lui non avesse<br />

fatto niente. Ma non si è detto nulla, nessuno<br />

gli ha chiesto nulla. Il singolo intervento non<br />

dipende dal ministro, che pure ha la responsabilità<br />

della vigilanza assoluta, nel senso che<br />

il ministero incarica della vigilanza le soprintendenze.<br />

Le urgenze devono essere valutate<br />

dai singoli magistrati che si occupano della<br />

questione, ossia dai soprintendenti che sono<br />

come magistrati. E questo è evidente a tutti.<br />

Soltanto nel modo di pensare del nostro tempo<br />

qualcuno può attribuire a un ministro una<br />

responsabilità che non ha per un muro che<br />

crolla. Tutto quello che hanno detto Stella e gli<br />

altri va attribuito al soprintendente, il quale<br />

può essere più o meno responsabile. Non si<br />

può in nessun modo scaricare su un ministro<br />

una responsabilità che è soltanto del tecnico».<br />

A che cosa è dovuta la miopia di chi trascura<br />

la conservazione o addirittura favorisce<br />

la distruzione di opere d’arte e monumenti?<br />

Ignoranza, speculazione edilizia, convenienza<br />

economica di demolire e costruire ex novo<br />

rispetto a restaurare?<br />

«Sono delle cagate invereconde. Quella è una<br />

49<br />

colpa grave su cui il ministero potrebbe intervenire<br />

con una norma di principio: nessun<br />

edificio può essere abbattuto per farne uno<br />

nuovo. Questo è elementare. È una cosa che<br />

dico da sempre ma non è ancora perseguita.<br />

Perché già fanno spesso schifo gli edifici nuovi,<br />

per di più farne uno nuovo al posto di uno<br />

vecchio è un errore gravissimo, un errore che<br />

è proprio di principio. Perciò i governi hanno<br />

una legge che tutela, per cui molto di quello<br />

che esiste è vincolato, ma esistono margini<br />

in cui si butta giù o perché manca il vincolo<br />

specifico o perché si ritiene l’edificio poco importante.<br />

Ciò nondimeno nessun edificio che<br />

abbia cento anni è meno importante di una<br />

cagata fatta oggi. Se si considera il valore di<br />

un quadro che ha cento anni, magari di Morandi<br />

o di De Chirico, non si capisce perché un<br />

edificio del 1911 non debba essere altrettanto<br />

prezioso. Questo è proprio un difetto concettuale,<br />

direi filosofico prima ancora che politico.<br />

La politica non ha ancora recepito un’unità<br />

di visione che renda sacra ogni cosa che ha<br />

raggiunto una sua vetustà. Vetustà che è esattamente<br />

il valore della storia, il valore di una<br />

villa Liberty, il valore di un edificio dell’800. E<br />

non è che il valore di un’opera sia minore perché<br />

non l’ha fatta Michelangelo. È un valore di<br />

sensibilità del tempo».<br />

Nei casi in cui si preferisce non restaurare,<br />

ma demolire per costruire ex novo?<br />

«Quelli che lo fanno dovrebbero essere arrestati:<br />

sono degli idioti, dei vandali, dei criminali.<br />

Bisogna assolutamente agire, impedire<br />

che si buttino giù edifici che hanno più di cento<br />

anni. Queste sono le cose gravi, per le quali<br />

occorrerebbe un vincolo di principio. Questa<br />

è una cosa intollerabile. Altro che il muro di<br />

Pompei, una cosa molto grave accade perché<br />

nessuno la sa».<br />

Perché in Italia non si ha consapevolezza che<br />

il patrimonio storico artistico e paesaggistico<br />

costituisce la maggiore ricchezza, peculiare,<br />

di questo Paese? Ne abbiamo troppo, ovunque,<br />

sempre sotto gli occhi e a disposizione<br />

e lo pensiamo illimitato e non bisognoso di<br />

tutela e valorizzazione?<br />

«In Italia si ha una consapevolezza parziale,<br />

non totale. Io l’ho totale e voi, per fortuna,<br />

l’avete totale. In Italia abbiamo salvaguardato<br />

molti centri storici. Se Lei va in Giappone,<br />

in Giappone nel 1930 Tokio era come Firenze,<br />

oggi Tokio è come New York, perché, man-


cando una legge di tutela che abbia vincolato<br />

gli edifici storici, si è costruito tutto ex novo ed<br />

è il criterio con cui è stata fatta la Cina, il Giappone.<br />

Noi abbiamo avuto una legge di tutela<br />

abbastanza adeguata a garantire buona parte<br />

del patrimonio; purtroppo alcune cose rimangono<br />

in una terra di nessuno, quindi la sensibilità<br />

c’è, ma non è totale, è parziale. Quindi<br />

un soprintendente può dire “questo è interessante,<br />

ma non è importantissimo” e nella valutazione<br />

di merito qualche volta si può buttare<br />

giù. Questo ha punito i centro storici. Noi si<br />

può dire che abbiamo limitato il danno, siamo<br />

il paese che ha meno distrutto. Ciononostante<br />

anche da noi questa cultura della distruzione<br />

è passata. Se Lei va in Giappone, a Tokio, si<br />

rende conto di quale catastrofe è stata fatta<br />

senza nessuna forma di tutelsa, mentre da noi<br />

un margine di tutela c’è, c’è sempre stato».<br />

Perché Lei partecipa ai varietà, nonostante<br />

non la chiamino mai a parlare di quello di<br />

cui si occupa per professione?<br />

«Perché la televisione deve essere sempre piena<br />

di stupidaggini, di idioti che parlano di<br />

reality come l’Isola dei famosi... Il programma,<br />

che sto preparando e inizierà il 2 maggio<br />

(scorso, ndr), verterà invece proprio su<br />

argomenti di questo genere. Spero che la mia<br />

persona - l’interesse generale che essa può<br />

In alto, una villa Liberty di recente demolita nel comune<br />

lombardo di Morazzone, alcuni graffiti privi di valore<br />

artistico realizzati su di un antico muro in pietra,<br />

una veduta del sito archeologico campano di Pompei<br />

A fianco, la copertina di cultura de L’Eco di Bergamo<br />

del 21 aprile scorso, in cui è stata pubblicata l’anteprima<br />

dll’intervista rilasciata da Vittorio Sgarbi al Caterpillar<br />

50


suscitare - possa sostenere<br />

elevati ascolti anche se<br />

non parla di cretinate e di<br />

pettegolezzi. Però l’idea<br />

generale è che il pubblico,<br />

di fronte alla cultura,<br />

abbia una reazione negativa<br />

e che quindi si debba<br />

per forza infliggergli degli<br />

argomenti del cazzo o<br />

delle storie che rientrano<br />

nel pettegolezzo, in quello<br />

che si chiama gossip. Questa<br />

però è un’opinione. Io<br />

spero che si riesca a dimostrare<br />

che, oltre alla politica,<br />

che è un’altra forma di<br />

oscenità e pettegolezzo a<br />

metà tra Annozero e l’Isola<br />

dei famosi, può esistere<br />

un programma in cui<br />

si parla di temi quali Dio<br />

e l’Arte… Speriamo che<br />

funzioni: avremmo superato una barriera».<br />

Che cosa pensa delle dichiarazioni del ministro<br />

Giulio Tremonti sulla cultura, del tipo<br />

«La Divina Commedia non si mangia»?<br />

«Ha detto una stupidaggine oppure, essendo<br />

egli una persona colta, un’affermazione paradossale:<br />

Forse l’ha detta intendendo che la cultura<br />

non è soltanto la letteratura, la riflessione,<br />

il pensiero ma anche una formidabile ragione<br />

di sviluppo economico o forse al contrario ha<br />

proprio pensato di ridurre la cultura la semplice<br />

starsene a leggere un libro, sottovalutando<br />

il potenziale di luoghi che sono vissuti<br />

proprio grazie alla bellezza, come Taormina,<br />

Alberobello, Cortina… Egli in questo caso sarebbe<br />

smentito dai fatti: quando la bellezza<br />

è valorizzata, le persone valutano un luogo<br />

“bello”, ci vanno e il luogo prospera proprio<br />

in virtù della bellezza che contiene. Per esempio<br />

la città di Bergamo, con la sua articolazione<br />

urbanistica, ha un potenziale culturale che,<br />

insieme a servizi come alberghi e ristoranti,<br />

prospera e permette alla città di avere un potenziale<br />

turistico, che è un valore economico.<br />

Per cui non si capisce di che cosa parlasse Tremonti,<br />

forse era distratto, forse la frase non<br />

era proprio quella ma è senz’altro una frase<br />

che stupisce. Forse si riferiva alla cultura come<br />

una cosa che costa, quindi alla cultura come<br />

ad esempio il teatro. Se devo fare un “Tristano<br />

51<br />

e Isotta” alla Scala e che<br />

su tre milioni di euro che<br />

costa ne incassa trecento<br />

mila, allora prevenzione<br />

anzichè curare [sprechi e<br />

incapacità gestionali, ndr]<br />

vuol dire prevedere a volte<br />

quali spese dalle casse<br />

dello Stato che non hanno<br />

nessun rapporto con i cittadini.<br />

Bisogna capire che<br />

c’è un rapporto di squilibrio<br />

tra la cultura ritenuta<br />

tale e i valori; la cura dei<br />

luoghi come le città storiche<br />

è strettamente legata<br />

alla vita di questi luoghi,<br />

pertanto quindi fa mangiare».<br />

In conclusione, si può<br />

definire l’arte? quale senso<br />

o quale funzione essa<br />

può avere oggi?<br />

«L’arte è la prova dell’esistenza di Dio. Nel senso<br />

che il Dio (il divino, ndr) che è in noi crea<br />

arte e l’uomo vive la sua eternità nelle opere<br />

che lo eternano. Se io dipingo la Cappella Sistina,<br />

Dio (il divino, ndr) esiste; io posso morire,<br />

ma la mia opera rimane. E la mia opera è la<br />

prova della divinità dell’uomo».<br />

Enrico, Daniele, Sean, Gio, Leo<br />

con gli altri redattori del Cater<br />

Vittorio Sgarbi nel centro storico del capoluogo abruzzese,<br />

dopo il recente terremoto, che ha provocato morti,<br />

“sfollamenti” e danni a monumenti e opere d’arte


il racconto di DE GIROLAMO che ha appena meritato un premio<br />

Memorie gotiche ne «Gli occhi»<br />

Rimuginando frustrazione abbandonai la sala,<br />

imboccai la prima strada e, deciso ad allontanarmi<br />

il più possibile da LORO e dalle loro risa, aumentai<br />

sempre più il passo, ansiosamente guardandomi ai<br />

lati, blaterando rabbia convulsa, adirandomi con la<br />

mia mente malata. Perché certo essa doveva essere<br />

la causa dei miei mali, delle mie farneticanti realtà,<br />

dell’illusione dei miei occhi. Sì sì, certo avevano<br />

ragione a chiamarmi pazzo, certo l’avevano; solo<br />

ora ne comprendo la benefica azione. È normale che<br />

un matto farnetichi, che dica del ghiaccio il fuoco e<br />

del mare il deserto, è di certo più spaventoso veder<br />

vaneggiare un tale creduto sano fino ad allora. Così<br />

mi convinsero d’esser pazzo. Eppure, io quel viaggio<br />

lo feci e con questi sacrileghi occhi vidi cose destinate<br />

a inferni inumani.<br />

Così, immerso nei miei convulsi pensieri, girovagavo<br />

come un fantasma per le strade della città, assorto<br />

nella più enigmatica delle domande che avvolgevano<br />

il mio caotico essere “Bevvi davvero il succo della<br />

pazzia e lo trangugiai tutto o poche gocce mi<br />

dissetarono?” Finché qualcuno mi afferrò per una<br />

manica della giacca, ansioso, quasi mi tirò a sé.<br />

Sperai ardentemente di trovarmi nelle mani di ladri<br />

indaffarati in bottini notturni, presagii la liberatoria<br />

pressione di una lama sulla gola e la volatile anima<br />

che lieve sgorgava via dalle mie corrotte membra. Mi<br />

si risparmiò persino questa grazia.<br />

-Signore- Lo riconobbi. Era un giovane poco<br />

prima arrivato, tra caos generale, nella sala dove<br />

discorrevo con altri signori del mio viaggio ai confini<br />

dell’inverosimile. Lo incrociai nell’anticamera prima<br />

d’uscire; incollerito per come ero stato deriso, con un<br />

vago cenno lo salutai, sicuro che i miei anni avrebbero<br />

ricompensato quella carenza di educazione. Ma<br />

egli, quell’incauto ragazzo, si rivelò più acuto di<br />

tutti i vecchi monotoni e accusatori del mio circolo.<br />

-Vi prego signore- Continuò con infantile curiosità<br />

-Raccontatemi quel vostro viaggio per cui siete stato<br />

così amaramente deriso- Al che io gli gridai -Ah! Ti<br />

hanno mandato per acuire le mie ferite! Vattene!- Ma<br />

quello, quasi piangendo, bramando sapere, giocando<br />

la carta della sua graziosa gioventù, mi persuase con<br />

52<br />

magistrali parole del suo buon agire. E quale agire<br />

sarebbe più retto di questo che conduce al fine ultimo<br />

della conoscenza? Presi dunque a raccontargli il mio<br />

viaggio.<br />

Mi ritrovai, per lavoro e affari personali, dettati<br />

solamente dal mio incauto desiderio di profanare<br />

antichità, nelle poco note rovine di ***** (e qui<br />

conviene che io taccia sul luogo per preservare il<br />

lettore dalla mia stessa sventura). Cadenti e desolate<br />

le ritrovai marcire per terra, in contorte spirali di<br />

edera malsana che le stritolavano in polvere; ancora<br />

qualche feritoia del nobilissimo castello passato era<br />

visibile in instabili muri di pietra corrosi dal tempo,<br />

né si poteva ricostruire facilmente l’antica planimetria<br />

del luogo, né facilmente era possibile ricomporne la<br />

storia. Il castello appartenette alla nobilissima<br />

famiglia degli ****** (anche qui chiedo al lettore<br />

più pretenzioso di comprendere la necessità di questa<br />

vacuità), questo fu certo e precisato dai dati da me<br />

ritrovati. Nulla in più seppi. Ma bramoso di scoprire<br />

manufatti, oggetti celati e nascosti a occhi umani, per<br />

secoli dimenticati, mi misi ad arrampicarmi su quelle<br />

macerie, sforzandomi persino d’entrare nelle cavità<br />

delle poche torrette non cadute. E poi la vidi, vidi la<br />

causa di tutti i miei folli mali, dei miei incubi, della<br />

mia stessa insanità e ora, a distanza di mesi, persino<br />

ora, le mie notti sono sconvolte da atrocissime verità,<br />

perché io vidi, pazzo sono, ma giuro d’aver visto


seppur con occhi cecati dalla folle irrealtà. Solitaria<br />

e dismessa, più integra delle carcasse marmoree, una<br />

piccola cappella era sommersa dal bosco, da malsane<br />

erbe, ma sempre più benevole di quell’edificio. E io<br />

- come fui sciocco! - come attratto da sensualissime<br />

note mi lascia trasportare verso quel malefico e<br />

putrido luogo. Sempre più vicino, la vedevo, era essa<br />

che s’avvicinava, non io, mi convinsi che non fosse il<br />

contrario perché avrei già prima dall’ora dovuto<br />

essere pazzo per avvicinarmi integro di mente al covo<br />

dell’Incubo. Ne vidi la gotica croce di pietra, il<br />

vecchio e spiovente tetto di muschi grigi, poi più<br />

niente. Le mie gambe sprofondarono e con loro io.<br />

Reso orbo dalle belle forme della chiesa ero caduto<br />

in un pozzo. Mi sentii affogare, lambire gli arti da<br />

putride acque impastate con cose più orride, ma<br />

lontane dal mio sguardo; e quando cercai di cacciare<br />

un grido esausto inghiottii quella ributtante poltiglia.<br />

Allora nauseato dalla morte che mi attendeva<br />

recuperai la lucidità della mia mente e stremato<br />

riemersi dalle torbide acque, tra verde fogliame. E<br />

credo fu lì che incominciai a impazzire. Sognai, o fui<br />

morto per qualche istante, lo decida il mio lettore, ma<br />

io dirò quello che i miei sensi, seppur fiaccati,<br />

percepirono. Fui sicuro che il pozzo non avesse<br />

doppie aperture e che, profondo qualche metro, si<br />

estendesse solo in lunghezza; fu questa certezza,<br />

insieme al fatto di vedere la cappella davanti a me,<br />

che orribilmente mi terrorizzò. Né macerie né edera<br />

né erbacce disordinate, all’improvviso ogni cosa<br />

sembrava non fosse stata toccata dal tempo e,<br />

composta, si fosse assemblata nell’originaria<br />

posizione di secoli prima. Vidi e sentii odorosi glicini<br />

e narcisi e rose, ordinate nel più bello dei giardini; il<br />

castello ora era integro e nuovo e bellissimo, così<br />

pure le centenarie mura. E poi la vidi. La chiesa,<br />

pulita dalle cattive erbe, era meravigliosa nelle forme<br />

per la loro semplicità, abominio per quello che<br />

racchiudeva. Frastornato, non fui neppure più<br />

padrone dei miei muscoli che stanchi per le incoerenze<br />

tra occhi e mente, mi fecero accasciare con palpebre<br />

chiuse al meraviglioso e profumato prato. Pochissimo<br />

tempo passò quando vidi e sentii innaturali passi.<br />

Desti gli occhi guardai e ammirai antichissime scarpe<br />

scarlatte da donna, continuai a scorrere con la vista<br />

arrampicandomi su una pregiatissima veste rifinita<br />

in oro innaturalmente abbondante su un corpo troppo<br />

magro. Finché issandomi sui gomiti non desiderai<br />

scoprire il volto di quella donna - giacché di una<br />

femmina erano i panni - e allora desiderai morire e<br />

53<br />

rimorire per godere dell’annullamento del mio corpo<br />

e dei miei sensi. Orrido, era orrido quel capo, e<br />

macabro e candido, il teschio che vi era al posto della<br />

testa carnosa. Bulbi oculari svuotati, denti<br />

bianchissimi innaturalmente disegnavano un<br />

perpetuo e malsano sorriso; ancora ciocche di capelli<br />

biondi affioravano a chiazze dalla morte. Soffocai<br />

dietro le mani un grido d’orrore e ancora un altro,<br />

credendo d’aver attirato l’attenzione del demonio,<br />

ma ella, scheletro di donna, avanzava verso la<br />

cappella incurante di tutto. Vinsi il mio orrore e,<br />

notando come il cadavere senza carne sembrasse<br />

avere in indifferenza tutto a eccezione del sacro<br />

luogo, entrai anch’io, tenendo ben presente l’uscita<br />

non avendo mai giocato con demoni prima d’allora.<br />

Entrato m’assalì il più incauto dei terrori che mai un<br />

uomo dovrebbe possedere. C’era un sarcofago<br />

scoperchiato sul fondo della cappella, preciso e<br />

artificioso un raggio di luce penetrava dall’unica<br />

circolare finestra impreziosita e incorniciata in un<br />

rosone. Lo scheletro ben vestito lì davanti si fermò e,<br />

come se porte che contenessero bestialissimi animali<br />

si fossero aperte dando sfogo alle loro poderose voci,<br />

così quell’essere gridò disumano il suo dolore davanti<br />

alla marmorea bara. Poi, più niente. Strisciando le


elle e rosse vesti sul pavimento di pietra s’andò a<br />

sedere vicino al sarcofago, alla fonte del suo dolore,<br />

su di un solitario trono d’ebano. E, chinato il teschio<br />

con capelli bianchi penzolanti, il femminile scheletro<br />

incrociò le scarne e scheletriche mani; dunque<br />

sembrò assopirsi in penosi sogni che la tristezza<br />

avevano per tema. Ah! Come la mia sete di sapere fu<br />

atroce e dannata per me! Sappiate che fui veramente<br />

pazzo ad assecondare i miei impulsi, perché quando<br />

il cuore trema insieme ai muscoli è bene fermarsi. Ma<br />

io, incauto più<br />

che coraggioso,<br />

non ragionai a<br />

lungo e presi a<br />

percorrere la<br />

navata. E come<br />

agli incubi ci si<br />

s o t t r a e<br />

s v e g l i a n d o s i ,<br />

mentre nuovi<br />

terrori vengono<br />

immediatamente<br />

partoriti dai più<br />

piccoli rumori,<br />

così vidi<br />

aggiungere al mio<br />

s p a v e n t o s o<br />

demonio altri che<br />

più mi fecero<br />

trasalire. In<br />

laterali nicchie<br />

erano guardie<br />

silenti, della<br />

stessa natura<br />

scheletrica di<br />

quella che fu una<br />

fanciulla. Ma<br />

esse, più massicce<br />

nel corpo,<br />

portavano serrate<br />

in mano<br />

affilatissime spade e le loro ossa erano serbate in<br />

durissime armature. Nessun elmo. Insolitamente<br />

bende violacee cingevano e oscuravano loro la vista<br />

all’altezza degli occhi. Vidi esse ancora intrise di<br />

malefico sangue gocciolare il rosso liquido per terra<br />

facendomi presagire crudeli torture. Al che io dunque<br />

mi sentii mancare e dovetti mantenermi fermo per<br />

soffocare conati di vomito. Ma, veduti i guerrieri che<br />

anche dopo la morte fissi e immobili nelle loro<br />

54<br />

posizioni facevano guardia al padrone, ripresi<br />

coscienza del mio agire e proseguii per la navata. Ed<br />

ella era lì. Il femmineo scheletro a mezzo metro<br />

sedeva in trono; sul petto vuoto e ossuto ritmico<br />

s’alzava il vestito, come se seguisse ancora un<br />

antichissimo fiato di polmoni; non si muoveva,<br />

riviveva infinitamente la morte. Contemplata<br />

quell’immobile immagine da quadro, guardai<br />

all’interno del bianco sarcofago inciso con delicati<br />

arabeschi e fiori estivi. Io lo vidi. Immerso in<br />

profumate acque, con fiori galleggianti, un uomo<br />

dormiva affogato sul fondo, cadaverico, pallido,<br />

altrettanto preziosi erano i suoi abiti, giovani i<br />

lineamenti, violacee le morte labbra. E poi c’era<br />

quello scrigno, il deceduto essere lo cingeva tra le<br />

mani offrendolo alla ruggine dell’acqua e del tempo.<br />

Desiderai scoprire i suoi segreti. Avido, ingordo e più<br />

malsano di quel posto, lo strappai alle gelide mani<br />

bagnandomi fino al gomito. Malato mi si disegnò un<br />

soddisfatto sorriso cingendo a me il bellissimo<br />

oggetto. Gustai il suo prezioso contatto e poi,<br />

felicissimo, volli anche conoscere il contenuto del<br />

mio bottino. Io credo d’aver sentito il mio petto non<br />

più battere né filo d’aria sfiorarmi la gola e che se<br />

fossi stato bastonato avrei sentito meno oppressione<br />

al corpo. Su un piccolo cuscino di velluto rosso, due<br />

occhi, due bulbi oculari, integri, schifosamente con<br />

ancora il nervo attaccato mi osservarono sgranando<br />

le pupille in azzurro contorno. Sentii la morte in<br />

corpo e gridai. Caddi per terra, mi rotolai ai piedi<br />

della tomba per il terrore e ancora per terra quegli<br />

occhi si sgranavano fissandomi più odiosi senza<br />

essere in nessun cranio umano. Cominciai a piangere<br />

per quell’abominio, per il pensiero d’essere incappato<br />

nel covo segreto del Diavolo stesso e nei miei convulsi<br />

movimenti sul pavimento, stringendomi i capelli<br />

come s’addice ai pazzi, il mio sguardo girò sul trono.<br />

Non vidi più uno scheletro ma una bellissima fanciulla<br />

che più triste ed abbattuta di me, senza battere<br />

palpebre o muovere dolorose parole, s’era messa a<br />

piangere e piangeva più di me e giù il frutto del suo<br />

malsano pianto si riversava in terra in fiumi d’acqua<br />

salata. Vomitava lacrime dagli occhi spalancati, non<br />

più orbite vuote, e bagnato tutto lo scarlatto vestito,<br />

ora innaturalmente, con copiosa e insana abbondanza,<br />

riversava il suo dolore in laghi d’acque che<br />

cominciavano a raggiungermi i piedi. Mi ritrassi<br />

ancora di più, calciando lontano da me ancora di più<br />

gli occhi demoniaci, raggomitolandomi e<br />

schiacciandomi ai piedi di un muro della cappella,


cingendomi insano le ginocchia al petto. Poi,<br />

arrabbiatissimo, il padrone dello scrigno riemerse.<br />

Disarticolato il cadavere si issò dalla cripta bagnata<br />

e io desiderai morire. Mi cercai addosso la pistola<br />

che portavo nei viaggi, desiderai metter fine<br />

all’incubo accostandomi la sua bocca alla tempia.<br />

Scoprii d’averla persa nel pozzo. Allora pazzo gridai<br />

assordantemente mentre il cadavere, grondando<br />

acqua e fiori appassiti, allungava una mano verso di<br />

me, disarticolato apriva le mascelle in cattivissimo<br />

ringhio e poi, scosti i bagnati capelli dal pallido<br />

volto, due orbite vuote e scure mi fissarono giacché,<br />

venuto meno il sangue nelle vene, libero svenni.<br />

Mi risvegliai tra le macerie della cappella come se di<br />

un sogno si fosse trattato, ma ritrovandomi bagnato<br />

e privo della pistola. Ritornato in città, raccontai<br />

questo mio folle viaggio alla compagnia degli altri<br />

uomini che osano dirsi intellettuali, di belle menti<br />

aperte. Mi derisero, i più prendendomi per ubriaco<br />

altri per pazzo, come io ora penso di essere. Finito il<br />

racconto, il ragazzo, esterrefatto, mi guardò.<br />

-Signore- mi disse con flebile e smorzata voce -sappiate<br />

che il vostro non fu un sogno, bensì un innaturale e il<br />

più contorto viaggio che mai farete. A ***** vi fu un<br />

certo mercante Sallustio che si perse nell’incauto e<br />

proibito amore per Artemisia dei ******. Minacciato<br />

di morte dal nobile padre di lei, preoccupatissimo<br />

per la sua casata e per le dicerie della gente, dovette<br />

penosamente allontanarsi dal suo cuore, ma ahimè,<br />

con poco esito ci riuscì. Accecato dall’amore per la<br />

giovane, non riuscendo più anche solo a vedere i<br />

luoghi in cui solevano incontrarsi e detestando anche<br />

solo vedere altre donne, convenne che l’unico modo<br />

per metter fine ai suoi dolori fosse morire. Germinato<br />

in lui il seme della pazzia, malsano si cavò gli occhi e<br />

si lasciò morire. Ella, saputo il doloroso fatto, pregò<br />

il padre in lacrime che almeno venisse costruita una<br />

cappella per quel suo infelice cuore. E lì continuò<br />

a piangere amarissime lacrime sui santissimi occhi<br />

dell’amato, riempiendone d’acqua la tomba. Finché<br />

l’esausto cuore non si lasciò andare e come un<br />

preziosissimo soffio l’anima della giovane spirò. Il<br />

padre, stremato e reso pazzo dalla perdita della figlia,<br />

obbligò allo stesso supplizio di Sallustio le guardie,<br />

a cui vennero cavati gli occhi e che furono lasciate<br />

morire nella cappella, in modo che finalmente<br />

l’amore dei due venisse difeso con le armi. Com’è<br />

strana la mente umana e ancor più strano è il cuore<br />

che rende il razionale irrazionale!-<br />

Pazzo ascoltai quelle parole, pazzo ne compresi<br />

il significato. Sacrilego violai il luogo santissimo<br />

di quelle anime innamorate che chiesero esauste<br />

almeno nella morte di poter stare assieme. Pazzo,<br />

pazzo, pazzo fui!!! E mi dolgo e ridolgo del male<br />

che provocò questa mia ingordigia di sapere. Mi<br />

attirai cattive maledizioni, osai varcare luoghi non<br />

consentiti a piede umano!<br />

Io li sento, sento quei demoni a volte, raschiano<br />

insistenti la porta della mia camera da letto. Sì sì!<br />

Ne sento il fiato mentre dormo, mi spiano scappando<br />

come veloci ombre dietro fiamme ondulanti di<br />

candele. Ma non mi avranno, mai mi avranno! La<br />

pistola!<br />

Ottocento<br />

Premiazione di Alice De Girolamo per questo racconto. La redazione del Caterpillar fa le congratulazioni alla cateredattrice!!!<br />

55


Il trucco c’è<br />

...ma non si vede<br />

Vi sarà capitato almeno una volta nella vita di andare a teatro? Se sì, continuate a leggere; se no, continuate a<br />

leggere comunque. Anche se vi siete presentati all’entrata tre ore prima dell’inizio dello spettacolo, siete sicuri di<br />

averlo visto proprio tutto? Non ne saremmo così sicuri, fossimo in voi… Tutti conosciamo - se non di fatto, almeno<br />

di nome - il celeberrimo teatro Alla Scala di Milano, uno dei più belli al mondo, icona italiana che tutti ci invidiano e<br />

di cui tutti andiamo fieri (e ci mancherebbe altro J). Quello che forse in pochi saprete, cari lettori appassionati del<br />

Caterpillar, è che la Scala cela segreti impronunciabili, come il fatto che il grande A. Manzoni, tra un don Rodrigo e una<br />

monaca di Monza, passasse le sue giornate nel ridotto del teatro a giocare d’azzardo (u.u), e altri misteri.<br />

Il teatro, dopo la recente ristrutturazione ad opera dell’architetto svizzero Mario Botta, è in grado di ospitare ben<br />

3 palcoscenici diversi che, se non utilizzati, si nascondono nei meandri di questo con tutte le sceneggiature annesse<br />

e connesse. Ciò consente di allestire ben 3 spettacoli diversi contemporaneamente, senza bisogno di lasciar passare<br />

settimane o addirittura mesi tra un appuntamento e l’altro per montare e smontare le sceneggiature. Tanto per dare<br />

dei numeri, si è passati dalle 190 alzate di sipario prima del restauro a una media stabile di 284. Non solo. Ora gli<br />

artisti possono disporre di un palcoscenico immenso - non che prima fosse piccolo - e di nuovi servizi, come la mensa<br />

e camerini più spaziosi.<br />

Ma dove vengono realizzate tutte le scenografie degli spettacoli? Noi quel posto lo abbiamo visitato: si chiama Area<br />

Ansaldo e si trova sì vicino alla Scala, ma del calcio, a due passi dallo stadio Giuseppe Meazza (parola di Julio Cesar<br />

dopo la papera in Champions contro il Bayern Monaco). Si sviluppa su una superficie di circa 30.000 metri quadrati e,<br />

dal 2001, vi vengono allestiti tutti gli spettacoli che vanno in scena alla Scala. È diviso in 3 padiglioni, in ognuno dei quali<br />

si concentra la preparazione di una parte dell’allestimento. Avete presente tutti gli sfondi che si vedono durante gli<br />

spettacoli e che sembrano tridimensionali? Sono opera di sapienti pittori che, armati di lunghi pennelli, trascorrono le<br />

loro giornate a dipingere cieli su cieli, piante su piante su pezzi di tela che misurano fino a 20 per 20 metri o anche di<br />

più. In ogni scenografia vengono usati tutti nuovi materiali, il più possibile leggeri, presenti sul mercato. Per riprodurre<br />

le opere viene realizzato un modellino, all’interno di forni, con la tecnica della termoformatura. Naturalmente una<br />

struttura di questo tipo pesa, eccome se pesa, tanto che viene sorretta da pesanti tubi in ferro, anch’essi assemblati<br />

all’interno dell’area Ansaldo. Per l’allestimento di uno spettacolo lavorano complessivamente ben 150 persone per 1<br />

mese, se si tratta solo di riprendere vecchi allestimenti e riadattarli a un nuovo spettacolo; mentre si arriva a 3-4 mesi<br />

di lavoro per quelli nuovi. Gli artisti sono tutti dei bravi illusionisti. D’altronde l’illusione è la base della scenografia<br />

e dei costumi. Et voilà, un esemplare di Papageno, un tutù della famosissima ballerina Carla Fracci o il costume della<br />

Carmen disegnato dal grande stilista Caramba (che sorpresa!) a cui hanno dedicato un padiglione dell’ area Ansaldo.<br />

Matteo, Giulio, Lorenzo, Davide 2^O<br />

56


Intervista al “mago del violino” Uto Ughi che ha tenuto una lezione-concerto al Mascheroni<br />

La classica è sempre giovane<br />

Il 6 maggio scorso il liceo Mascheroni ha<br />

avuto l’onore di accogliere nell’auditorium,<br />

in occasione dell’iniziativa «Uto Ughi progetto<br />

giovani», organizzata nel contesto del Festival<br />

pianistico internazionale di Brescia e Bergamo,<br />

patrocinata da Comune e Provincia di Bergamo<br />

e sostenuta da Fondazione Credito Bergamasco.<br />

Violinista esordiente a soli sette anni, ritenuto<br />

dalla critica musicista «maturo» già a dodici<br />

anni e poi giunto a distinguersi a livello<br />

internazionale, suonando nei principali festivals<br />

con le più rinomate orchestre sinfoniche. È<br />

da anni impegnato per la salvaguardia del<br />

patrimonio storico-artistico nazionale, in<br />

particolare nei festivals da lui promossi a<br />

Venezia (per il restauro di monumenti della<br />

città lagunare) e a Roma (per diffondere il<br />

grande patrimonio musicale internazionale e<br />

valorizzare giovani talenti), e in progetti musicali<br />

dedicati ai giovani. Non a caso, è stato incaricato<br />

dalla Presidenza del Consiglio dei ministri di<br />

studiare una campagna di comunicazione per<br />

diffondere tra i giovani conoscenza e interesse<br />

per la musica classica.<br />

Non stupisce quindi che egli abbia accettato di<br />

condividere anche con noi alcune sue esperienze.<br />

Ci ha trasmesso la sincera volontà di avvicinarci<br />

a un mondo che, purtroppo, da lungo tempo<br />

in Italia è stato tenuto lontano dai giovani.<br />

Sedutosi tra noi nelle poltrone della platea<br />

ha parlato apertamente delle sue aspettative<br />

per la cultura italiana di oggi, affidando a noi<br />

ragazzi la sua speranza di una rinascita di quel<br />

linguaggio universale e coinvolgente che è la<br />

musica classica.<br />

Lei ha inaugurato lo scorso festival pianistico<br />

a Bergamo, con il concerto di apertura al<br />

teatro Donizetti, e quest’anno vi ritorna, con il<br />

concerto del 26 maggio. C’è un legame speciale<br />

con la nostra città?<br />

«Amo moltissimo Città Vecchia, Bergamo Alta,<br />

che ha un’atmosfera, dei palazzi meravigliosi e<br />

57<br />

chiese stupende… - spiega Ughi - È una città<br />

d’arte che raccoglie in uno spazio limitato ma<br />

intensissimo tesori artistici incredibili, una tra le<br />

più suggestive delle varie città italiane. Poi mi<br />

piace moltissimo il teatro Donizetti, un teatro<br />

di tradizione che crea una grande atmosfera.<br />

Il pubblico bergamasco è molto fedele e molto<br />

attento. Insomma c’è un insieme di cose che mi<br />

fanno ritornare sempre volentieri nella vostra<br />

città».<br />

«Quest’anno l’orchestra del festival diretta da<br />

Pier Carlo Orizio - prosegue l’artista - proporrà<br />

un concerto inserito all’interno delle celebrazioni<br />

promosse dal comitato “Bergamo per i 150 anni”<br />

con musiche di Verdi e Schubert. Nel secondo<br />

tempo noi eseguiremo il concerto di Beethoven<br />

per volino e orchestra opera 61, che io ho già<br />

suonato in altre occasioni. Sono stato informato<br />

del fatto che riceverò il premio Arturo Benedetti<br />

Michelangeli, artista che ho sempre amato e<br />

venerato come uno dei più grandi pianisti di<br />

tutti i tempi: per me è davvero un grande onore.<br />

La mattina del 25 maggio le prove del concerto<br />

sono aperte ai giovani».<br />

Che cosa si propone nel “progetto giovani”?<br />

«Il nome stesso del progetto esprime<br />

chiaramente le finalità che si propone: far<br />

conoscere la grande musica ai giovani, a<br />

un pubblico che, in questo ambito, è stato<br />

disabituato alla cultura e all’istruzione nelle<br />

scuole. Ritengo giusto che, qualora le istituzioni<br />

non lo facciano, siano i musicisti ad andare<br />

incontro ai giovani e si prestino a qualsiasi<br />

iniziativa che faccia conoscere loro i tesori<br />

della tradizione artistica italiana. Abbiamo una<br />

miniera inestimabile di capolavori che sono<br />

di fatto nascosti ai nostri giovani a causa della<br />

cattiva informazione: è culturalmente doveroso<br />

per noi artisti informare le nuove generazioni,<br />

se non lo fanno le istituzioni e il governo nei<br />

luoghi di formazione».<br />

Un obiettivo ambizioso avvicinare i giovani


alla musica classica, ma possibile, se diamo<br />

un’occhiata in altri Paesi, per esempio in<br />

Giappone.<br />

«Non è ambizioso, è doveroso. In altri Paesi la<br />

musica classica è molto più conosciuta. Come<br />

in Giappone e in Cina, dove ci sono migliaia<br />

di giovani che la studiano. In Italia chi studia<br />

musica corre il rischio di rimanere senza lavoro,<br />

perché le orchestre hanno perso importanza e<br />

sono diminuite. Basti pensare che è stata sciolta<br />

l’orchestra della Rai, che era l’orchestra della<br />

musica italiana. Il “male” dell’Italia è stata<br />

la mancanza di una reazione dell’opinione<br />

pubblica e delle classi più colte. Se questo fosse<br />

successo in Germania o in Austria, ci sarebbe<br />

stata una reazione di tutte le persone intelligenti;<br />

in Italia c’è stata solo indifferenza, ignavia<br />

totale. È ora di denunciare: se non lo fanno loro,<br />

lo dobbiamo fare noi musicisti. Sono convinto<br />

che anche voi ragazzi potete fare moltissimo:<br />

create un movimento di opinione, fate sentire la<br />

vostra voce. Forse le cose cambieranno. Più si è,<br />

maggiori saranno i risultati».<br />

Perché un giovane dovrebbe avvicinarsi alla<br />

musica classica?<br />

«I ragazzi dovrebbero avvicinarsi alla musica<br />

classica perché fa parte del nostro patrimonio<br />

culturale ed educativo. Anche se non per<br />

professione, è importante conoscere la grande<br />

musica, perché essa racchiude la musica<br />

moderna e romantica allo stesso tempo, aiuta<br />

Il violinista Uto Ughi<br />

mentre viene intervistato in esclusiva<br />

per i lettori del Caterpillar,<br />

al termine dell’affollatissima<br />

lezione - concerto tenuta ai ragazzi<br />

nell’auditorium del liceo Mascheroni<br />

58<br />

l’uomo a essere più in armonia con se stesso, più<br />

cosciente, rende le persone meno grette, meno<br />

avide. Lo diceva anche Shakespeare: chi non è<br />

toccato dalla musica è più incline al tradimento<br />

e alla rovina. Lo diceva nel Cinquecento ed è<br />

valido anche adesso. Ogni tanto gli antichi sono<br />

più moderni di noi moderni».<br />

Sussistono delle responsabilità politiche<br />

nel progressivo allontanamento dei giovani<br />

dalle sale di concerto? Quali le politiche<br />

perseguibili?<br />

«Ci sono solo responsabilità politiche<br />

dell’indifferenza, dell’ignoranza. Il<br />

pressappochismo della classe politica sta<br />

lasciando morire una cultura che dovrebbe<br />

essere onore, emblema, orgoglio del nostro<br />

Paese. Noi abbiamo dato i natali a Verdi, Puccini,<br />

Paganini, Vivaldi, a tantissimi grandi musicisti<br />

oggi praticamente sconosciuti dai giovani. La<br />

responsabilità politica è gravissima, l’ignoranza<br />

è sempre una colpa. Ci sono tutti i mezzi per<br />

informarsi e, se la classe politica non lo vuole<br />

fare, è perché ha altre cose a cui pensare. I teatri<br />

sono stati gestiti malissimo da direttori artistici<br />

e soprintendenti che invece di fare gli interessi<br />

della cultura hanno fatto i propri. Questo<br />

atteggiamento ha svuotato le casse dei teatri<br />

e ha portato tagli spaventosi e vergognosi alla<br />

cultura. I teatri sono diventati oggetto di scambi<br />

di favori, invece di essere luoghi di cultura».<br />

È importante far partecipare i ragazzi alle


prove di concerti e lirica, come avviene nel<br />

“progetto Scala” a cui il nostro liceo aderisce?<br />

«È fondamentale, perché si impara molto di<br />

più durante una prova che durante l’esecuzione:<br />

si sentono le interruzioni e si sente come si<br />

costruisce un pezzo musicale. Quando ero<br />

ragazzo andavo più alle prove che ai concerti,<br />

perché, per quanto il concerto sia una cosa<br />

bellissima, le prove permettono di capire<br />

davvero come si fa la musica. Ricordo un buon<br />

programma televisivo, uno dei pochi, in cui<br />

Bernstein, grande direttore d’orchestra, spiegava<br />

le funzioni degli strumenti musicali, i vari<br />

pezzi e le loro motivazioni. Erano spiegazioni<br />

talmente vive, coinvolgenti e convincenti<br />

che anche una persona non esperta di musica<br />

rimaneva a bocca aperta. Un altro grande in<br />

questo senso è Barenboim, talentuosissimo<br />

musicista, anche grandissimo comunicatore.<br />

Ha rischiato la sua vita per unire i palestinesi<br />

e gli ebrei perennemente in conflitto. Crede<br />

nella potenzialità catartica della musica, nel suo<br />

potere di affratellamento, perché la musica è un<br />

59<br />

linguaggio che non ha bisogno della parola e va<br />

al di là delle ideologie politiche, oltre le divisioni,<br />

è un denominatore comune, un coagulante<br />

formidabile. Tant’è vero che si ascolta Mozart o<br />

Beethoven in qualunque parte del mondo, con<br />

la stessa intensità».<br />

È cambiata la cultura musicale da quando<br />

Lei era ancora un musicista precoce e già<br />

affermato?<br />

«É cambiata moltissimo, è peggiorata. La<br />

televisione ha contribuito ad abbassare il<br />

livello culturale degli utenti della musica, degli<br />

ascoltatori. È notevolmente sceso il livello<br />

qualitativo delle trasmissioni televisive, si<br />

sono accresciute superficialità e banalità. Oggi<br />

non si ascolta un “pezzo” neanche per dieci<br />

minuti, perché si è abituati ai tempi televisivi,<br />

veloci, immediati. Questa mentalità televisiva<br />

ha completamente appiattito e ridotto la<br />

concentrazione».<br />

Come mai il violino? E quanto conta un buono<br />

strumento?<br />

«Allora io potrei chiedere: come mai non il<br />

violino? È tra gli strumenti più intensi, espressivi,<br />

intensivi. A me piace tantissimo e ho studiato<br />

anche pianoforte, desiderando diplomarmi<br />

nello strumento più completo: per un musicista,<br />

il pianoforte è lo strumento che può suonare<br />

veramente tutte le note, ma il violino è quello<br />

più sensibile».<br />

Mi ha sempre incuriosito l’ambivalenza<br />

semantica del suono del violino, che si<br />

presenta a volte con una sensazione di dolcezza<br />

romantica (la “sviolinata”), a volte come<br />

creatura diabolica (il “trillo del diavolo” di<br />

Tartini). Quale anima del violino è Uto Ughi?<br />

«Nella musica in generale, non solo nel suono<br />

del violino, ci sono due anime contrastanti, una<br />

angelica e una diabolica, profonda spiritualità<br />

e grande sensualità. Nella vita una persona è<br />

spesso tentata da più strade, più direzioni. La<br />

vita è un caleidoscopio pieno di sfaccettature,<br />

una scelta continua tra mille occasioni,<br />

opportunità da saper cogliere. Lo scrittore e<br />

poeta brasiliano Paulo Coelho scrive: non esiste<br />

un avvenimento nella vita che sia slegato dagli<br />

altri. Un filo conduttore lega ogni nostra scelta».<br />

Lara Fumagalli, Greta Papini<br />

Costanza Passera, Giulia Tespili<br />

Sabrina Vinci, con Ottocento


Frizzi & Lazzi<br />

BIOGRAFIA NON AUTORIZZATA DELL’IDOLO DI ALCUNE LETTRICI DEL CATER<br />

“Justin Bieber DATTI FUOCO!” – Pino Scotto su Justin Bieber<br />

“È ghengsta” – Spitty Cash su Justin Bieber<br />

“YEEEEEEEE-E-E-E-E-E-E-EEEEE” – Justin Bieber che si è appena<br />

rovesciato addosso il biberon<br />

“6 BllìXXìMìXìMòòòòòòòòò JuSSSSSSSSSS” – “Fungirl” patetica e illusa<br />

“Smithers, libera i cani” – Montgomery Burns che ha scorto Bieber<br />

all’orizzonte<br />

ID CARD<br />

Nome: Justin<br />

Cognome: Bieber<br />

Nato: sì<br />

Sesso: con maschi<br />

Residenza: villa con piscine e home cinema<br />

Professione: minatore<br />

Statura: troppo basso per essere misurato<br />

Capelli: piastrati<br />

Occhi: rossi<br />

Justin con il suo maestro Pino Scotto e poi con l’orso che l’ha adottato<br />

Justin Bieber (Qualche posto che ignoreremo, 1994 – Verso l’infinito… e oltre) è un pupazzo uscito dal<br />

cartone “The Muppets Show” che si finge cantante, ma che in realtà lavora presso una miniera di carbone<br />

di proprietà di un personaggio di nome Daniele Tarolla, del quale però non vi riveleremo il nome.<br />

VITA<br />

Nato – purtroppo - in qualche paese sperduto, da padre tossico e da madre signora (?) chiamata Daniele<br />

Tarolla, della quale però non vi riveleremo il nome. Figlio abbandonato dal padre, si diede alla pazza gioia.<br />

E anche la madre (?) scappò, con un individuo chiamato Daniele Tarolla, del quale però non vi riveleremo il<br />

nome. Fu così che un orso bruno rapì il piccolo - oddio, rapirlo, non se lo filava nessuno già allora… - e lo portò<br />

nella sua tana in mezzo ai boschi dell’Ontario, dove Justin diventò forte e muscoloso come un vero ometto<br />

imparò subito ad alzarsi presto al mattino e ad andare a lavorare nelle miniere di un tale detto Daniele<br />

Tarolla, del quale però non vi riveleremo il nome. Il piccolo si alzava presto, intorno alle 11, per andare<br />

a lavorare otto ore, da mezzogiorno alle 18. Questa la sua dichiarazione dopo il primo giorno di lavoro:<br />

«YEEEEE-E-E-E-E-E-EEEEE!». Fu proprio questo acuto ad attirare l’attenzione della pop star Ascher<br />

(scritto come si pronuncia, ndr), che decise di portarlo alla ribalta come giovane talento musicale. Il piccolo<br />

fu portato di fronte a Mara Maionchi, per esibirsi ed essere giudicato, ma fu rispedito al mittente con<br />

un encomiabile «Bravo, ma per me è NO». Dopo il rifiuto della Mara nazionale, Ascher provò a spedirlo ad<br />

“America’s got talent”, ma anche qui venne eliminato, non appena la giuria vide i suoi capelli piastrati. Justin<br />

dovette allora accontentarsi di firmare un contratto milionario con una casa discografica di proprietà di<br />

un tale chiamato Daniele Tarolla, del quale però non vi riveleremo il nome. Qui il bimbetto gasato pubblicò<br />

il suo primo album, «My World», che contiene collaborazioni con celebri artisti quali Ludacris, Ascher, Lil’<br />

Wayne, Piero Focaccia, Raul Casadei, Cristina D’Avena, Spitty Cash e Trucebaldazzi. Attualmente Justin è<br />

uno degli artisti più insultati da qualunque sito internet ed è “TMDBYTSMG” (The Most Desired By Younger<br />

Than Six Months Girls, ndr).<br />

CURIOSITA’<br />

• I capelli - elmetto di Justin Bieber sono patrimonio nazionale dell’Unesco.<br />

• L’orso che ha adottato Justin è Pedobear.<br />

• Questo punto è messo solo per “fare figo”.<br />

• Questo perché l’articolo arrivi a fine pagina. Gio<br />

60


Caro Caterpillar,<br />

sono una delle innumerevoli Biebers, cioè<br />

delle più convinte fans del cantante canadese<br />

Justin Bieber.<br />

Trovo che egli sia favoloso, ma che dico, straordinario.<br />

Vi chiederete il perché: sarà la sua<br />

voglia di vivere, il suo splendido sorriso, la<br />

magnifica voce, la bellezza, il modo tenero in<br />

cui fa il romantico e la generosità che dimostra<br />

aiutando bambini malati e persone bisognose<br />

come i terremotati del Giappone. Sono<br />

queste e molte altre cose che piacciono a noi<br />

Biebers.<br />

Chi invece lo prende in giro è “off”: che cosa<br />

farebbe se fosse al posto di Justin, con genitori<br />

separati, anti-Bieber accaniti, paparazzi<br />

estenuanti? Dovrebbe riflettere sulla<br />

sua condotta chi lo insulta, dimenticando che<br />

anch’egli è un ragazzo come tutti gli altri,<br />

con una vita allo stesso tempo difficile e fortunata.<br />

Per esempio, i ragazzi che lo hanno<br />

accusato di essere causa della separazione dei<br />

suoi genitori prima e durante un concerto e lo<br />

hanno così indotto a interrompere lo stesso in<br />

lacrime.<br />

Comunque a noi Biebers Justin piace anche<br />

per questo: la maggior parte delle volte sa affrontare<br />

situazioni poco gradevoli. È il nostro<br />

ragazzo dei sogni, che mai ferirebbe e sempre<br />

difenderebbe la sua ragazza. Non è solo bellissimo<br />

e romantico, ma anche sincero con gli<br />

amici e generoso con chi ha bisogno; parola<br />

di un suo amico che noi Biebers conosciamo e<br />

il cui nome manteniamo segreto.<br />

Sì, ogni tanto anche lui si arrabbia e, soprattutto<br />

per stanchezza, fa cose che non dovrebbe<br />

fare, come il gestaccio rivolto a paparazzi nel<br />

giorno del suo compleanno, ma seguito dalle<br />

sue scuse. Ciononostante Justin resta straordinario,<br />

non solo perché è un talento precoce,<br />

soprattutto perché ci è ormai entrato nel cuore.<br />

By AngelStella16<br />

AMARCORD tratto dal Caterpillar 41<br />

CRONACA DI QUEST’ULTIMO GIORNO DI SCUOLA DI CHI NON LEGGE IL CATER<br />

61


RACCONTO D’APPENDICITE<br />

Un bicchiere mezzo pieno<br />

Ero col cellulare in mano, gli occhi fissi<br />

sull’ultimo messaggio in memoria. Erano<br />

poche le parole: “Stasera pizza in città alta?<br />

Devo parlarti.” Il mittente: Davide. Decisi<br />

di darmi una mossa, già<br />

da troppo tempo stavo<br />

con le mani in mano. Io<br />

Davide l’amavo; eravamo<br />

fidanzati da due anni,<br />

ma lui probabilmente<br />

non provava nello stesso<br />

modo e con la stessa<br />

intensità quel sentimento<br />

che avevo io nei suoi<br />

confronti. Presi il cuore<br />

in mano e gli scrissi che<br />

l’avrei aspettato davanti<br />

alla pizzeria “Da Franco”<br />

per le 20.00. Dovete<br />

sapere che non sono una<br />

persona molto ottimista e<br />

in quel periodo ero solita<br />

vedere il bicchiere sempre<br />

mezzo vuoto; ma in effetti<br />

quando tua madre lavora<br />

sui marciapiedi, tuo padre non è mai esistito<br />

e tu vieni espulsa da scuola per aver spacciato<br />

cocaina, non puoi che vederlo vuoto quel<br />

bicchiere. Tornando a Davide, lui era l’unica<br />

persona che io abbia mai amato veramente.<br />

Il tempo passava con estrema lentezza quel<br />

pomeriggio e l’unica cosa che alleggeriva<br />

appena l’attesa era ricordare i momenti<br />

passati insieme a lui in quei due anni.<br />

Mi ricordo di aver notato che mentre io<br />

non avevo mai smesso di manifestargli il<br />

mio amore, lui era sempre rimasto quasi<br />

62<br />

indifferente e non si azzardava mai a fare un<br />

passo in più verso di me, verso quella sorta<br />

di intimità che caratterizza una coppia.<br />

Speravo prima o poi di aver la possibilità<br />

di parlargli a quattr’occhi<br />

e quella possibilità per<br />

chiarire il nostro rapporto<br />

si era presentata proprio<br />

allora, quella sera.<br />

Erano oramai le 19.37. e<br />

mi accingevo a uscire di<br />

casa, quando, dopo una<br />

giornata piena di sole,<br />

incominciò a piovere.<br />

Quel cielo terso, colmo di<br />

lacrime, sembrava gravare<br />

sul mio capo come una<br />

spada di Damocle: eterna<br />

e pesante. Mi misi in<br />

cammino e quando lo vidi<br />

vicino alla sua mini cooper<br />

rossa, davanti alla pizzeria<br />

che dava sulle mura, il<br />

mio cuore sopito con un<br />

sussulto riprese a battere,<br />

a pulsare, a far rivivere il mio corpo, ucciso<br />

dalla tristezza. Era bellissimo quella sera,<br />

i suoi occhi smeraldini, all’ultima aurora<br />

della sera, brillavano di una luce intensa,<br />

quasi soprannaturale. In fondo il mio amore<br />

mi portava ad adorarlo, a mistificarlo; era un<br />

angelo caduto dal cielo per me, nient’altro<br />

che quello. Lo salutai e subito quella luce,<br />

che avevo scorto solamente un attimo prima<br />

nei suoi occhi, lasciò il passo a due vacui occhi<br />

preoccupati. – Marta, ascoltami, non voglio<br />

rendere tutto quello che c’è stato fra noi una


farsa; ma non posso continuare a prenderti<br />

in giro, non riesco più a mandare avanti<br />

questa commedia. Io non posso ricambiarti<br />

e non so neanche se quello che tu chiami<br />

“amore” sia veramente quello che dovrebbe<br />

essere oppure sia solamente un modo che<br />

ti permette di scappare dalla realtà che vivi.<br />

– Gli occhi dolenti mi si fecero umidi nel<br />

sentire quelle parole. Ciò che temevo potesse<br />

accadere stava accadendo. Forse Davide<br />

aveva ragione, quello che io chiamavo amore<br />

probabilmente era solamente una sorta di<br />

paese delle meraviglie dove rifugiarmi<br />

quando la mia vita diventava insopportabile.<br />

Le sue parole mi colpirono nell’animo<br />

gelando tutto ciò che ero, rendendo polvere<br />

ogni mia certezza. Mi sentivo ferita, attaccata<br />

e come tutte le bestie mi difesi urlando e<br />

mentre urlavo un fiume di lacrime salate<br />

rigò il mio volto – Allora è tutto qui, Davide?<br />

sono stata una delle tante? Comunque hai<br />

ragione, non può andare avanti tra noi:<br />

siamo troppo diversi, tu il figlio di papà e io<br />

la figlia di chissà chi, non posso che essere<br />

uno straccio usa e getta per te. Ma sai cosa<br />

ti dico? Tu sei solamente quel burattino<br />

con cui mi sono divertita a giocare, non<br />

sei nient’altro che un puntino su un foglio<br />

bianco. – Le parole uscivano con una strano<br />

senso di liberazione dalla mia bocca, le<br />

sputavo, sputavo tutti i rospi che nella mia<br />

vita avevo ingoiato con amara gola. Il tono<br />

della mia voce si era alzato mentre urlavo le<br />

ultime parole, e lui, a quel punto, non poté<br />

che esplodere scagliando nuove frecce al<br />

mio cuore oramai stretto in un sanguinoso<br />

assedio: - Ma tu Marta, cosa cazzo vuoi dalla<br />

mia vita?! Smettila di fare la vittima, e io<br />

sono quella che spaccia, quella che non ha<br />

un padre e che ha una madre che rincasa<br />

alle 5 di notte dopo essere stata a letto con<br />

chissà quanti uomini; basta! Non sei la prima<br />

vittima del mondo! - aveva perso del tutto<br />

63<br />

le staffe, non capiva quanto sangue sputassi<br />

per mantenere una vita pseudo-normale. A<br />

mano a mano che discutevamo scorgevo una<br />

faccia di lui prima ignota e incominciavo a<br />

credere che forse Davide non era il principe<br />

azzurro come avevo creduto fino a quel<br />

triste momento. Alle sue parole seguì questa<br />

volta un silenzio devastante, carico di parole<br />

mai dette e come le era apparso quella sera,<br />

similmente a un angelo, Davide se ne andò<br />

lasciando alle sue spalle solamente il rombo<br />

del motore della sua auto. Fu la prima e<br />

l’ultima volta nella mia vita in cui un singolo<br />

istante divenne inesorabilmente eterno.<br />

Dieci minuti dopo, Davide in auto, i piedi<br />

sull’acceleratore, fugge, ma da chi? Da<br />

Marta o da se stesso? Non gli importa da chi<br />

scappa, vuole solamente mettere le ali alla<br />

sua mini per volare il più lontano possibile<br />

da Bergamo. Toccò i 200 km/h poi fu solo<br />

una esplosione di luce.<br />

Sulla autostrada Milano-Venezia quella sera<br />

vennero rinvenute le macerie in fiamme di<br />

un’auto, una mini Cooper rossa; i pompieri<br />

ci impiegarono un’ora ad azzittire il crepitio<br />

dell’incendio. Nessuno si accorse del<br />

cellulare che, sul freddo asfalto illuminato<br />

dalla luna, continuava a suonare. Il suo<br />

squillo incessante, intermittente, rimase a<br />

lungo nell’aria in cerca di qualcuno che lo<br />

udisse. La memoria era ormai piena e poche<br />

erano le parole dell’ultimo messaggio,<br />

stampate sullo schermo: “Scusami per<br />

quello che ti ho detto prima, non ci credo<br />

veramente, vorrei soltanto che tu ti lasciassi<br />

amare. Sì, perché io ti amo. Tua Marta.”<br />

Io Davide l’avevo incominciato ad amare<br />

veramente solo dopo quella litigata; e solo<br />

allora incominciai a vedere il bicchiere<br />

mezzo pieno.<br />

Davide Scaglione<br />

Aprile 2011


67<br />

A fianco, una vignetta<br />

e, sotto, una scena tratta<br />

dal cortometraggio<br />

“Una vita in scatola”<br />

By BRUNO BOZZETTO<br />

Anche i disegni animati<br />

del prossimo servizio sono<br />

tratti, su cortese<br />

concessione dell’autore,<br />

da alcuni dei suoi molteplici<br />

corti e lungometraggi<br />

per la tv e il cinema<br />

Ai lettori più curiosi,<br />

che non si accontentano,<br />

si consiglia di visitare<br />

il sito ufficiale<br />

www.brunobozzetto.com


TUTTA UNA VITA DI DISEGNI ANIMATI<br />

Intervistando l’artista bergamasco Bozzetto ci si catapulta in un West&Soda<br />

in compagnia del Signor Rossi, del superpiccolo Vip e della famiglia Spaghetti,<br />

si ricorda la grande storia di Tapum e Cavallette, s’impara la scienza di Quark<br />

È uno dei più noti e apprezzati<br />

disegnatori e sceneggiatori<br />

del mondo dell’animazione,<br />

milanese di nascita,<br />

bergamasco d’adozione, internazionale<br />

di fama. La redazione<br />

del Caterpillar, che<br />

si prodiga per interessarvi e<br />

divertirvi con un giornale al<br />

mese (beh, circa… se consideriamo<br />

un anno fatto da tre<br />

mesi…), desiderava conoscerlo e farvelo conoscere meglio,<br />

quindi lo ha invitato al Mascheroni lo scorso 6 maggio.<br />

Così Bruno Bozzetto ci accompagna, a lunghi passi, nel<br />

mondo della sua creatività, popolato di molteplici personaggi<br />

nati dalla sua acuta e inesauribile inventiva ed entrati nella<br />

vita di tutti o quasi, almeno una volta, anche di sfuggita.<br />

Come il Signor Rossi, che - già cresciutello - ha mosso i<br />

primi passi in corti e lungometraggi per tv e cinema negli<br />

anni Sessanta.<br />

Tutto inizia con «Tapum la storia delle armi», cortometraggio<br />

con cui il giovane Bozzetto esordisce nel 1958, facendosi<br />

notare al Festival cinematografico di Cannes. Dopo<br />

vent’anni di silenzio nel settore italiano dell’animazione, lo<br />

studio milanese «Bruno Bozzetto Film» (dal 2008 Studio<br />

Bozzetto&Co) inaugura una felice stagione di lungometraggi,<br />

da «West and Soda» e «Vip mio fratello superuomo» - che<br />

proseguono a fumetti sul Corriere dei Piccoli negli anni ’70<br />

- al fortunato «Allegro non troppo». Dal decennio ’80 questa<br />

dimensione fantastica e sperimentale, mai concepita e vissuta<br />

sulle nuvole, si apre anche alle riprese dal vero, all’allora<br />

innovativa tecnica d’animazione 2D (i cortometraggi<br />

«Europa&Italia» intrapresi negli anni ’90), alla divulgazione<br />

scientifica (un centinaio di filmati per il programma televisivo<br />

«Quark») e a istituzionali progetti educativi. Un percorso<br />

artistico che continua, oltre successi e riconoscimenti quali<br />

l’Orso D’Oro al Festival di Berlino per il corto «Mister Tao»<br />

nel 1990, la nomination all’Oscar di «Cavallette» nel ’91 e<br />

il premio Pulcinella per la serie televisiva Rai «La famiglia<br />

Spaghetti» nel 2003.<br />

Cosa l’ha spinta a diventare un disegnatore?<br />

«Il mio desiderio era realizzare film, non fumetti - precisa<br />

Bozzetto - Non mi appassiona il disegno, ma, se devo<br />

costruire una storia e mi serve un personaggio, è più facile<br />

disegnarlo che cercare un attore. I film animati sono più<br />

gestibili. Ho iniziato realizzando film dal vero a 17 anni:<br />

coinvolgevo miei compagni di scuola, li truccavo e li facevo<br />

recitare, con me. Il lavoro era complesso, perché un film<br />

richiede innanzitutto stage e illuminazione, la pellicola era<br />

poco sensibile e, se non c’erano almeno quattro lampade e<br />

tutto il necessario come cavi e cavalletti, non si faceva niente;<br />

bisognava che i compagni venissero a lavorare fino a sei<br />

volte, ma tutti venivano una volta o due, mi mandavano a<br />

quel paese la terza e non venivano più, probabilmente perché<br />

io avevo passione per quello<br />

che stavamo facendo, loro no.<br />

Così ho provato con i disegni<br />

animati: disegnavo sull’ultimo<br />

foglio di un block notes, facevo<br />

cadere il penultimo foglio e<br />

in trasparenza vedevo quanto<br />

già fatto, lo modificavo un po’,<br />

facevo cadere il terzo disegno,<br />

poi fotografavo tutti i fogli disegnati<br />

e solo alla fine, dopo venti<br />

giorni necessari per sviluppare<br />

la pellicola fotografica, potevo<br />

vedere i miei personaggi che si<br />

muovevano. Allora ho scoperto<br />

che questo era un lavoro più<br />

gestibile - possibile anche con la<br />

pioggia, senza attori, di sabato o<br />

Il disegnatore e sceneggiatore Bruno Bozzetto durante l’intervista nella biblioteca del Maske domenica - e ho iniziato a diver-<br />

68


tirmi di più. Poi mi sono accorto che nessuno faceva disegni<br />

animati, quindi ho continuato. Ma il mio stimolo restava<br />

il cinema, quindi ho scelto questa strada senza neanche saperlo.<br />

Non mi sono formato in scuole d’arte o di grafica,<br />

non ho mai sviluppato la “capacità grafica”: dopo il liceo<br />

classico, mi sono iscritto a Legge, ho dato qualche esame<br />

e ho smesso di frequentare quando già guadagnavo realizzando<br />

caroselli pubblicitari. Ho semplicemente seguito il<br />

mio lavoro, il che è stato un vantaggio, perché chi disegna<br />

s’innamora dei propri disegni perdendo di vista la storia: è<br />

come un regista si appassionasse non del film, ma dell’attore<br />

attraverso il quale racconta la storia».<br />

A proposito di attori, o meglio, di personaggi. Chi dovrebbe<br />

rappresentare il signor Rossi (foto)?<br />

«Il signor Rossi - ricorda Bozzetto - è nato come la caricatura<br />

inconscia del direttore di un importante festival cinematografico<br />

di Bergamo, a cui a vent’anni inviai un cortometraggio,<br />

che non fu accettato; poi ci andai e vidi accolti<br />

film più brutti del mio, che aveva vinto premi in Francia e<br />

in Germania: mi girarono un po’ le scatole. Ideai un film<br />

su questa storia, con un personaggio simile al direttore del<br />

festival, Nino Zucchelli, una figura importante a Bergamo<br />

e simile nell’aspetto al signor Rossi piccolo, pelato, coi baffetti.<br />

Il personaggio risente dello stile inglese, perché allora<br />

andavo a Londra per imparare la lingua e vedevo tanti film<br />

e pubblicità inglesi; ha gli occhi da una parte sola, uno stile<br />

cosiddetto piatto, che adesso sta tornando di moda. Il personaggio<br />

è sempre piatto, sempre fisso e, quando si gira, i<br />

suoi occhi devono scavalcare il naso e andare dall’altra parte:<br />

l’effetto non era male con i disegni che facevamo allora,<br />

molto semplici e molto stilizzati, con posizioni standard<br />

nelle quali gli occhi riuscivano bene, il disegno funzionava».<br />

«Il personaggio rappresenta l’italiano medio - spiega Bozzetto<br />

- Infatti il primo film era «Il Signor Rossi va a sciare» e<br />

prendeva in giro l’assurdità dello sci, dello skilift, delle code.<br />

Sono seguiti, per esempio, «Il Signor Rossi al mare», «Il Signor<br />

Rossi compra l’automobile» sulle follie dei guidatori<br />

di oggi, che arrivano a spararsi addosso, e «Il Signor Rossi a<br />

Venezia». Insomma abbiamo sempre scelto delle situazioni<br />

in cui tutti noi potremmo trovarci. Il Signor Rossi è poi<br />

approdato in televisione, che ha subito richiesto storie per<br />

bambini, poiché ha il pallino che il disegno animato sia solo<br />

per bambini. Allora abbiamo dovuto inventare storie che<br />

hanno un po’ snaturato il personaggio: gli abbiamo messo<br />

69<br />

vicino un cane, lui si è messo a dialogare col cane e tutto è<br />

diventato un po’ più favolistico. Sono intervenuti anche Maurizio<br />

Nichetti e Guido Manuli, altri giovani disegnatori, animatori<br />

e sceneggiatori che mi hanno aiutato a far delle storie<br />

che, diciamo, non erano nel mio stile: a me piacciono di più le<br />

storie animate per adulti.<br />

D’istinto non realizzo film solo per bambini. perché credo che<br />

il disegno animato sia un mezzo fantastico per parlare a tutti,<br />

con cui si possono realizzare senza limiti anche film dell’orrore<br />

pazzeschi o film sexy incredibili. Il fatto di essere abbinati quasi<br />

esclusivamente al pubblico dei bambini è un sempre stato<br />

problema per chi lavora nel settore dell’animazione. Ne consegue<br />

che in Italia la produzione rimanga sempre un po’ ferma.<br />

In Rai chiedono ”per bambini di quale età?” e, se rispondi<br />

“faccio film per tutti”, ribattono “e no, devi farli per una specifica<br />

categoria di bambini”. Ricordo che quando uscì il primo<br />

lungometraggio «West&Soda» (foto), che era una parodia del<br />

cinema western, un giornale che sintetizzava la trama dei film<br />

in due parole - “film giallo, film drammatico, film comico o<br />

commedia” - non scrisse “film western”, ma “disegni animati”.<br />

Il che mi fece arrabbiare, perché io portavo avanti un discorso,<br />

sul cinema western. È come dire che una fotografia è solo<br />

una fotografia, non è gialla, non è di moda… Ricordo anche<br />

quando i cinema di Bergamo proiettarono - di pomeriggio - il<br />

film «Joan Padan», tratto dalla storia sceneggiata da Dario Fo,<br />

fatto decisamente per adulti e piacevole anche per i ragazzini».<br />

Fra tutti i personaggi che ha creato quale Le sembra il più<br />

riuscito e quello che meglio comunica il messaggio da trasmettere?<br />

«Tutti. Ma, come ho detto, il personaggio è secondario, è<br />

semplicemente un mezzo per arrivare a raccontare qualcosa.<br />

Non è che io non mi affezioni ai personaggi, che mi piacciono<br />

tutti, sono un po’ come dei figli. Se uno di loro riesce<br />

a trasmettere meglio il messaggio, questo è avvenuto perché<br />

il film, la storia, il montaggio sono migliori. Il personaggio<br />

mi deve solo aiutare a far arrivare meglio, più fluidamente, il<br />

messaggio.<br />

Ammesso che ci siano sempre dei messaggi: non è che tutti i<br />

film si prefiggano di trasmetterne. Per esempio, ho realizzato<br />

un film solo con quadratini e cerchi, che gira su internet dal<br />

1998 e titola «Europa&Italia». Questi semplici quadrati e cerchi<br />

trasmettono un messaggio? cosa sono? Sono dei quadrati<br />

e dei cerchi. Il personaggio è un cerchio; voi vedete il cerchio<br />

che deve attraversare le strisce pedonali e che è inseguito da un


automobilista che alla fine non solo non lo lascia passare,<br />

ma lo insegue pure sul marciapiede; voi vi immedesimate in<br />

questo cerchio ed è semplicemente un cerchio. Io mi sono<br />

affezionato a questo cerchietto, che non è un personaggio,<br />

eppure racconta benissimo le proprie storie. C’è da dire anche<br />

che più i personaggi sono dettagliati - non tanto nel viso<br />

quanto nell’abbigliamento e nel modo di muoversi - più<br />

sono datati: li collochiamo immediatamente in una realtà,<br />

in un ambiente, in un’epoca. A differenza di quelli stilizzati.<br />

Lo stesso vale per gli oggetti di una storia: l’automobile che<br />

faccio con sole due righe è una macchina quando è stata<br />

disegnata e a distanza di tempo, mentre quella che riprende<br />

un determinato modello diviene datata».<br />

«Quindi il personaggio cos’è? - chiede Bozzetto - È quello<br />

il più possibile simbolico, che vi fa arrivare in maniera<br />

corretta, ironica, convincente un messaggio, ma può anche<br />

cambiare. Ricordo che il regista Hitchcock cambiava l’attore<br />

principale tre giorni prima di girare un film; la produzione<br />

gli diceva: “No, guarda, questo personaggio non puoi<br />

averlo, chiede troppo, lo cambiamo”. Benissimo, lui girava<br />

il film con un altro. E, se l’attore è bravo, sa entrare nella<br />

parte; se la storia è bella, tutto funziona. È chiaro che ci<br />

sono facce più adatte e meno adatte, attori più bravi e meno<br />

bravi, ma tutto sommato è la storia che regge il gioco, non<br />

il personaggio, che aiuta».<br />

A proposito delle avventure del signor Rossi e di<br />

«Europa&Italia», quale ruolo gioca il luogo comune nei<br />

suoi lavori?<br />

«Il luogo comune è quello che più facilmente permette<br />

allo spettatore di identificarsi, cioè la maggiore difficoltà<br />

nell’ambito del disegno animato è far identificare lo spettatore<br />

con un qualcosa di grafico, che è lontano dal suo mondo:<br />

è un po’ più difficile immedesimarsi in un personaggio<br />

costituito da quattro righe che in un attore o in una attrice.<br />

Il luogo comune è quello che fa dire allo spettatore: «Ehi,<br />

ma quello sono io». A questo punto scatta qualcosa: lo spettatore<br />

partecipa e si riconosce. Ricordo che una volta, in<br />

uno studio di Milano, stavo controllando i colori della prima<br />

copia de «La vita in scatola», un film che ritengo molto<br />

bello e che racconta la storia di un uomo dalla nascita alla<br />

morte. Stavo proiettando la sequenza in cui un omino esce<br />

di casa, è già adulto, si sente la sveglia, l’omino va a lavorare,<br />

suona la sirena, l’omino torna a casa, suona la sveglia e<br />

l’omino torna a lavorare e così via per un po’ di volte. Allora<br />

70<br />

un industriale che passava nel corridoio e non sapeva niente<br />

di disegno animato entrò a vedere il film: iniziò a capire un<br />

po’ la storia nel momento in cui vide l’uomo che andava da<br />

casa al lavoro e dal lavoro a casa, si riconobbe esclamando<br />

ad alta voce «ehi, ma quello sono io» e, a quel punto, cominciò<br />

a gustare il film, perché aveva capito che quell’uomo<br />

era lui, non era un puntino, una macchia di colore».<br />

Effetto che si ottiene ancora di più con le nuove tecnologie<br />

dell’animazione…<br />

«Il disegno animato è cambiato molto, con l’avvento del<br />

3D. Avatar vi sembra sia un film dal vero o un film animato?<br />

Io non lo so. E la scena in cui il personaggio vero, copiato da<br />

una persona reale e reso attraverso l’uso del motion capture,<br />

vola sul dorso di un drago del tutto inventato? Vedete che<br />

ormai non si capisce più la differenza in molti film, già dai<br />

primi «Star Wars» in cui alcune sequenze erano completamente<br />

realizzate in animazione e altre erano vere. Ritengo<br />

che questo sia un corretto punto di arrivo: usare tutte le<br />

tecnologie per arrivare a un unico discorso che è - torno a<br />

ripetere - la storia da raccontare. Una volta ho immaginato<br />

una storia e mi sono accorto che non potevo renderla


Da sopra, Sport o Spork, Einstein e la meccanica<br />

quantistica per Quark, Tapum la storia delle armi,<br />

il Signor Rossi alla mostra di Bozzetto a Seoul nel 2008<br />

attraverso disegni animati, ma che dovevo realizzarla con attori<br />

e così ho fatto, in un film dal vero di un’ora e mezza dal vero.<br />

Vedete che tutto parte sempre da che cosa vogliamo raccontare.<br />

Quando uno di voi scrive un articolo, prima di prendere in<br />

mano la penna, dovrebbe sapere cosa vuole scrivere. Se no che<br />

cosa scrive? lettere dell’alfabeto, parole a caso? Lo stesso vale per<br />

noi. Purtroppo il disegno animato è spesso in mano a persone<br />

che sono soltanto artisti, bravi nel disegnare, nel creare quadri o<br />

illustrazioni spettacolari: la storia viene messa in secondo piano<br />

e film bellissimi non raccontano belle storie, ma si limitano a<br />

comporre belle immagini».<br />

Lei ha dimostrato, nella collaborazione con Piero Angela,<br />

71<br />

che i disegni animati possono trattare argomenti come<br />

quelli scientifici a fini didattici e di divulgazione.<br />

«Non vedo molto la televisione, quindi non conoscevo Angela<br />

come presentatore televisivo, ma leggevo e rileggevo e li<br />

vedevo come film, tanto erano scritti in una maniera chiara<br />

e ricca di esempi. Allora gli ho scritto: “Caro Piero Angela,<br />

mi piacerebbe tanto trarre un film da un Suo libro, che ritengo<br />

scritto in una maniera cinematografica, quindi possibile<br />

da illustrare”. Lui mi ha risposto “fantastico, ma come<br />

facciamo? non ho nessuna possibilità”. Dopo sei mesi e la<br />

nascita di «Quark», mi ha telefonato: “Bruno, nasce questa<br />

trasmissione e mi piacerebbe inserire in ogni puntata filmati<br />

di quattro, cinque, sei minuti dedicati a un argomento<br />

scientifico, come l’entropia, l’energia, la meccanica quantistica,<br />

la relatività. Guarda un mio articolo sull’energia su di<br />

un certo giornale e vedi se si riesce a raccontare una storia<br />

visiva da questo racconto”.<br />

Realizzai uno storyboard, cioè una sceneggiatura disegnata.<br />

Da allora abbiamo lavorato insieme per dieci anni, realizzando<br />

cento film, in perfetta sintonia. Tutt’al più mi consigliava:<br />

“Quando disegni questo scienziato, ricordati che<br />

ha gli occhiali”. Lui era per così dire più legato alla realtà,<br />

io ero più fantasioso, uscivo un po’ dal seminato, il che era<br />

utile. Ho poi avuto modo di incontrare giovani che mi hanno<br />

detto di aver deciso di prendere una strada nel settore<br />

tecnologico – scientifico, stimolati da questi film che non<br />

potevano spiegare temi come la relatività in sei minuti, ma<br />

erano sufficienti a introdurre chiaramente l’argomento e a<br />

far nascere il desiderio di approfondirlo: già un bel risultato».<br />

Lei ha dimostrato anche che i disegni animati possono<br />

trattare temi complessi e trasmettere valori. Ha realizzato<br />

molti lavori per iniziative di solidarietà?<br />

«Per aiutare gli altri in qualche modo, ne ho realizzati tanti<br />

- conclude Bozzetto -. Il più recente, che sarà presto presentato<br />

a Torino, riguarda i bambini cosiddetti troppo agitati o<br />

iperattivi, che vengono curati con farmaci invece che indirizzati<br />

a sfogare in un’altra maniera la propria vivacità. Ho<br />

realizzato più lavori per la campagna contro il fumo e per il<br />

Wwf. Le considero delle sfide interessanti, perché affronto<br />

argomenti tosti in un minuto o addirittura in trenta secondi,<br />

ad esempio spiegare<br />

che cos’è la libertà in un<br />

minuto esige sintesi. Sintesi<br />

che tante volte viene<br />

scambiata per semplicità<br />

o povertà e che invece è<br />

un punto di arrivo importante».<br />

Fede<br />

il primino di seconda<br />

con la redazione del Cater


SPOrT<br />

72


Tutto Doni, dal sogno raggiunto in Nazionale all’amore dimostrato per l’Atalanta<br />

Il principe neroazzurro<br />

«Essere capitano di una squadra non è solo portare una fascia sul braccio»<br />

Si premette che quest’intervista è stata<br />

richiesta e rilasciata prima delle recenti notizie<br />

relative al calcioscommesse. Elisabetta<br />

Calcaterra, tutor del corso Caterpillar, in accordo<br />

con gli studenti che hanno atteso, preparato<br />

e realizzato l’intervista, ritiene che<br />

non vi sia alcuna ragione per non inserirla in<br />

questo numero del Caterpillar, cui era destinata.<br />

Non tanto perché le notizie divulgate<br />

dalla stampa non riferiscono ancora l’esistenza<br />

di prove certe e dirette di un coinvolgimento<br />

dell’intervistato nello scandalo delle<br />

scommesse calcistiche, quanto perché queste notizie<br />

non mettono in discussione l’esperienza<br />

dell’intervistato e il contributo da lui dato<br />

alla squadra di cui molti lettori del Cater sono<br />

tifosi, perché il contenuto dell’intervista non<br />

si può definire non veritiero e non verificabile<br />

per quanto riguarda fatti e dati e perché il<br />

Caterpillar, sebbene sia solo un giornale studentesco<br />

stampato e distribuito all’interno di<br />

un liceo, si propone di rispettare il principio<br />

della libertà di pensiero e d’espressione,<br />

senza ricorrere a un criterio di giudizio, che<br />

avrebbe fondamenta a priori e applicazione a<br />

posteriori e sarebbe in certo senso radicale e<br />

moralistico.<br />

Dieci stagioni e 297 presenze in maglia nerazzurra,<br />

col numero 27. Non è solo il capitano<br />

dell’Atalanta, ma anche il recordman tra i bomber<br />

della squadra bergamasca: le sue 112 reti<br />

hanno distaccato le 62 di Cominelli, le 57 di<br />

Bassetto e le 53 di Rasmussen. È proprio lui,<br />

Cristiano Doni. E questa è l’intervista che i<br />

numerosi atalantini del Maske aspettavano...<br />

L’obiettivo l’avete centrato: siete tornati in<br />

serie A dopo solo un anno. Da capitano dell’Atalanta,<br />

cosa hai provato?<br />

«Avevamo una stagione da farci perdonare. Era<br />

una promessa fatta a noi stessi e ai tifosi.<br />

Perciò ci siamo tirati su le maniche dall’estate<br />

scorsa».<br />

Corrono voci sul tuo ritiro. Giocherai ancora<br />

un anno o ti ritirerai quest’estate?<br />

«No, non lo so ancora. Non l’ho detto a nessuno<br />

adesso. Vedrò a inizio anno. Devo fare delle<br />

valutazioni e poi deciderò».<br />

Alle spalle hai tanti anni di carriera e più<br />

squadre, compresi il mondiale in Corea e Giappone<br />

nel 2002 e la parentesi spagnola al Maiorca.<br />

73<br />

Cosa ti è rimasto dell’esperienza in Nazionale,<br />

con Giovanni Trapattoni in panchina, e cosa ha<br />

significato l’andata e il ritorno Italia-Spagna?<br />

«Il discorso della Nazionale è il coronamento<br />

di un sogno. Quando parti da zero e poi raggiungi<br />

il top del tuo lavoro penso sia il raggiungimento<br />

di un sogno. È motivo di orgoglio e di<br />

responsabilità e anche di grande soddisfazione.<br />

Avrei scelto di fare prima l’esperienza in Spagna;<br />

me l’ha impedito il mio amore per l’Atalanta.<br />

È un’esperienza che consiglio a tutti, soprattutto<br />

ai giovani che ne hanno la possibilità<br />

e ai miei colleghi più giovani, indipendentemente<br />

dall’età… Perché è un’esperienza incredibile,<br />

che fa conoscere luoghi diversi, una lingua<br />

e una mentalità diverse dalle nostre».<br />

Il campionato spagnolo è molto diverso da quello<br />

italiano?<br />

«È completamente diversa la mentalità: i calciatori<br />

vanno in campo per divertirsi, per fare<br />

uno spettacolo, non per raggiungere il risultato.<br />

Però ci sono i pro e i contro anche lì».<br />

A livello di Mondiale?


«Non lo so, questo non lo so. Sicuramente il<br />

campionato inglese e quello spagnolo adesso hanno<br />

qualcosa in più, a livello di grandi giocatori».<br />

E il campionato italiano?<br />

«Per livello qualitativo penso che il nostro<br />

sia diventato il terzo o il quarto campionato».<br />

Esterno di centrocampo, centrale, trequartista,<br />

seconda punta… Quale il ruolo che hai preferito?<br />

«Seconda punta, quest’anno, sicuramente molto<br />

poco. Ho giocato in più ruoli, per esempio come<br />

centrocampista con doti offensive, come attaccante…<br />

Forse il ruolo che mi completa di più e<br />

mi dà più soddisfazioni è quello di punta. Ma mi<br />

piace giocare anche da trequartista o come seconda<br />

punta. Forse il culmine della mia carriera<br />

l’ho raggiunto con l’allenatore Vavassori, giocando<br />

in un ruolo un po’ particolare: quello di<br />

esterno sinistro».<br />

Cosa comporta essere capitano di una squadra?<br />

«Non è solo portare una fascia sul braccio. Essere<br />

il capitano di una squadra significa avere<br />

delle responsabilità nello spogliatoio, in campo,<br />

con la società. Per esempio io sono ormai da<br />

tanti anni a Bergamo e ho una certa età, conosco<br />

quindi l’ambiente, le dinamiche e la dirigenza,<br />

la società. A volte sono quindi un punto<br />

di riferimento per i più giovani o per i miei<br />

compagni, in quanto ho più esperienza. Cerco di<br />

trasmettere la mentalità dell’Atalanta: non mollare<br />

mai, saper soffrire, cercare di “stare sempre<br />

lì, sul pezzo”, di essere presente a tutti<br />

gli allenamenti… Perché penso che questo valga<br />

per ogni giocatore,<br />

indipendentemente<br />

dalla fascia».<br />

Qual è stato il campione<br />

di un campione<br />

come te quando non<br />

eri ancora un professionista<br />

del calcio?<br />

«Avendo vissuto in<br />

più città italiane,<br />

perché mio padre si<br />

trasferiva sempre<br />

per lavoro, non ho<br />

mai una squadra del<br />

cuore. Ma il calcio<br />

era proprio la<br />

mia passione, indipendentemente<br />

dalla<br />

maglie. Adoravo campioni<br />

quali Platini<br />

e Van Basten, come<br />

74<br />

Maradona. Quando ero piccolo cercavo anche di<br />

studiarli, mi piacevano molto. Li seguivo da tifoso.<br />

Infatti credo che ognuno debba esprimere<br />

la sua personalità, il suo carattere».<br />

Ogni goal è un atto unico e irrepetibile, cosa<br />

rappresenta per te?<br />

«Io non sono un centravanti, non sono un attaccante,<br />

non sono il classico bomber. Credo che il<br />

goal sia nel mio DNA, nelle mie caratteristiche.<br />

Anche se mi rendo conto che il goal è nelle mie<br />

corde, non vivo per il goal, cerco di fare anche<br />

assist».<br />

Tanti goal, una sola firma: perché quel gesto<br />

unico, come la tua mano sotto il mento e come la<br />

linguaccia di Del Piero, la paperella di Matri,<br />

il balletto di Ronaldhino, l’hai visto di Pazzini<br />

e l’hai sentito di Toni?<br />

«Credo che sia un marchio distintivo per ogni<br />

giocatore. Credo che sia anche un modo di<br />

trasmettere qualcosa in quello che è il momento<br />

più bello per un calciatore, la manifestazione di<br />

un gol. Credo che faccia parte dello spettacolo<br />

del nostro lavoro, come il marchio distintivo<br />

di un artista, no? una pennellata o una firma<br />

un po’ particolare… Penso sia bello associare<br />

un gesto dopo un goal a un calciatore e sono<br />

contento di averlo fatto, perché sono convinto<br />

mi rappresenti: si cade tante volte nella vita,<br />

non solo nel calcio, no? Penso che l’importante,<br />

soprattutto nella vita, sia sempre rialzarsi e<br />

avere la capacità di reagire. È il mio motto,<br />

in quel gesto: a testa alta, sempre, nel bene e<br />

nel male».


Come si concilia il lavoro di calciatore con la<br />

vita familiare?<br />

«Cerco di portare il mio lavoro a casa il meno<br />

possibile, nel senso che la vita con la mia<br />

famiglia già “ruota” abbastanza intorno alla<br />

mia figura. Ovviamente il calcio è la mia vita,<br />

la mia passione. Comunque, in linea di massima,<br />

cerco di “staccare” quando sono in famiglia».<br />

Come si vive quando si è molto conosciuti e<br />

apprezzati?<br />

«Credo che il segreto sia anche non prendersi<br />

molto sul serio, no? Scherzarci su. A volte,<br />

comunque, bisogna avere qualcuno vicino. E credo<br />

che le persone che ci stanno vicino siano molto<br />

importanti. Per poter raggiungere il giusto<br />

equilibrio, per poter comunque vivere una vita il<br />

più normale possibile. Però sappiamo benissimo<br />

che abbiamo addosso gli occhi degli altri. Poi<br />

ci si abitua».<br />

Com’è il rapporto con il presidente dell’Atalanta,<br />

Percassi?<br />

«Indipendentemente dal fatto che sia il mio<br />

capo , credo che l'Atalanta abbia trovato una<br />

persona che ha passione, capacità e una voglia<br />

incredibile. È una persona che ha messo notevoli<br />

passione e impegno, che ha speso veramente<br />

tutto, non solo denaro, nella propria vita<br />

lavorativa e in questo progetto. La sua famiglia<br />

è molto seria, molto appassionata, molto tifosa<br />

dell'Atalanta».<br />

Si sente spesso parlare di etica del lavoro nel<br />

calcio. In che cosa consiste ed è importante<br />

per te?<br />

«Sì, assolutamente. Credo molto nel lavoro, ho<br />

sempre creduto nel lavoro. E penso che la mia<br />

esperienza, dopo quasi vent’anni da calciatore<br />

professionista, sia una dimostrazione che alla<br />

lunga il lavoro paga, sempre. Alla fine i valori<br />

vengono fuori, grazie al lavoro. Invece, senza<br />

sacrificio, non si ottengono i risultati. Non<br />

è un modo di dire…, ho sempre fatto di questo<br />

motto il mio grido di battaglia, no? Credo che<br />

il lavoro paghi giorno per giorno, magari senza<br />

risultati all’inizio. Questi si vedono alla<br />

lunga. Io ne sono la dimostrazione, perché sono<br />

uscito da un settore giovanile non importante,<br />

ho fatto la C2 o meglio quella che allora era<br />

la C2 (nel Rimini, nel 1992, ndr), ho proprio<br />

fatto le categorie… e non ero predestinato.<br />

Quindi so cosa vuol dire fare i passi uno alla<br />

volta, cercare di diventare un giocatore di C1<br />

e continuare a lavorare per arrivare in serie<br />

A, anche se la concorrenza è tanta. Ovvio, il<br />

talento ci deve essere per poter arrivare ad alti<br />

livelli. Però - questi sono la mia esperienza<br />

75<br />

e il mio pensiero - il talento, da solo, non<br />

basta».<br />

Quando si concluderà la tua esperienza<br />

di calciatore (noi speriamo il più tardi<br />

possibile), desidereresti continuare a lavorare<br />

nell’ambiente?<br />

«Da una parte credo che il calcio sia la mia vita<br />

e spero di poter sfruttare tutta l’esperienza<br />

che ho acquisito; dall’altra parte sono stanco<br />

di stare sotto i riflettori, ho bisogno anch’io<br />

di vivere una vita un pochino più normale. Tra<br />

queste due posizioni credo stia il mio futuro.<br />

Penso che l’allenatore non lo farò, anche se<br />

non si può mai dire. Ma lo dimostra il fatto<br />

che non ho preso alcun patentino. E sono stanco<br />

di girare, di trasferirmi: ho trovato la mia<br />

città qui a Bergamo e ci vorrei restare, vorrei<br />

lavorare per l’Atalanta, magari in un ruolo<br />

dirigenziale. Certo, non penso che farlo sia<br />

così facile come dirlo… Però spero che questa<br />

sia la mia futura collocazione».<br />

Gio e Leo


AMARCORD tratto dal Caterpillar 51<br />

Compiti delle vacanze<br />

76

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