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Il mondo miceneo<br />
<strong>Dispensa</strong> 2: Lezioni dell’autunno 2010<br />
Miscellanea a cura di Sandro Caranzano , riservati<br />
ai fruitori del corso di archeologia presso<br />
l'Università Popolare di Torino 2010-2011<br />
2.1 – Inquadramento storico – archeologico del mondo miceneo<br />
A titolo riassuntivo, ripropongo la traduzione di un importante contributo del<br />
famoso archeologo Lord Wiliam Taylor che in “I Micenei” ripropone un<br />
inquadramento schematico della cronologia e dei principali tratti storici della civiltà<br />
micenea:<br />
Quando i Micenei compaiono per la prima volta sulla scena, all'inizio del XVI<br />
secolo, i ritrovamenti delle tombe a fossa mostrano che la loro cultura era già ricca e<br />
complessa. Essa presenta segni evidenti di numerosi e svariati contatti con il mondo<br />
esterno: l'ambra proveniente<br />
dal Nord, l'avorio dalla Siria,<br />
l'oro presumibilmente<br />
dall'Egitto, e — apporto<br />
immateriale — l'impronta<br />
minoica sui tesori artistici<br />
sepolti nelle tombe L'influenza<br />
cretese è più notevole nelle<br />
tombe del Circolo A; in quelle<br />
più antiche del Circolo B sono<br />
in numero molto maggiore le<br />
ceramiche medio-elladiche. La<br />
figura di Danao, secondo<br />
alcuni studiosi, va collocata nel<br />
contesto della dinastia delle<br />
tombe a fossa. Se le cose stanno<br />
così, cagli cara un usurpatore.<br />
Si tratta dell'antenato eponimo<br />
dei Danai, uno dei nomi che<br />
Omero dà ai Greci. Narra la<br />
Fig. 28 – Ricostruzione grafica della cittadelle di Micene con, in primo leggenda che Danao venne<br />
piano, la Porta dei leoni e il circolo funerario A; in alto, il palazzo.<br />
dall'Egitto e si stabilì in<br />
Argolide, divenendone il re.<br />
Non era egiziano, ma di origine greca, forse addirittura divina. Per parte di madre<br />
può darsi che fosse imparentato con la famiglia reale degli Hyksos, che in quello<br />
stesso periodo (TE I) vennero scacciati dall'Egitto; a questo proposito, tornano in<br />
mente certi tatti egizi delle tombe del Circolo funerario A, sebbene nel complesso<br />
esse siano d'ispirazione minoica. Nessuna costruzione della Cittadella di Micene<br />
può essere attribuita con certezza a questo periodo. La successiva ricostruzione del<br />
palazzo ne ha fatto sparire qualsiasi traccia. Perseo, discendente di Danao, è<br />
secondo la tradizione il fondatore della città. Pausania dice «Perseo divenne il<br />
fondatore della città, i Greci lo sanno bene», ma egli naturalmente non ebbe nessun<br />
rapporto con le mura ciclopiche, che appartengono al TE III.<br />
In base alla ceramica del tardo ME venuta alla luce nella tholos di horyphasion è<br />
probabile che Pilo fosse già un centro fiorente nel TE I, e vi sono prove che<br />
dimostrano che anche Iolkos era un centro importante di quello stesso periodo.<br />
Secondo la leggenda, in questo tempo vi era un rapporto fra le due aree. Pelia e<br />
22
Neleo erano due gemelli, la cui patria era Iolkos. Vennero a contesa, e Neleo fu<br />
costretto ad emigrare in Messenia dove fondò una dinastia. Suo figlio, Nestore, fu<br />
uno degli eroi della guerra troiana. Fratello di Pelia per parte di madre, fu Esone,<br />
padre di quel Giasone che salpò sulla nave Argo alla conquista del Vello d'oro.<br />
Questa fu probabilmente una spedizione verso il Mar Nero, ma per nostra sfortuna<br />
non ha lasciato alcuna traccia archeologica. In questo periodo, tuttavia, o poco<br />
prima, i Micenei navigavano già in lungo e in largo per il Mediterraneo. Si trovano<br />
vasi TE I e II a Troia e Mileto, e in Occidente nelle isole Eolie, dove i Micenei erano<br />
stati già preceduti dai loro antenati medio-elladici. Nel TE II viene fondata una<br />
colonia a Rodi e da questa base si sviluppò il commercio con i paesi levantini e con<br />
l'Egitto.<br />
Il potente regno di Minosse si trovava sulla rotta che collegava direttamente la<br />
Grecia con l'Egitto, e solo quando questo temuto rivale fosse stato sopraffatto, i<br />
reami micenei, fra cui possiamo annoverare in quel tempo Micene, Pilo, Iolkos, e<br />
probabilmente Tebe ed Orcomeno, avrebbero potuto dominare incontrastati sul<br />
Mediterraneo. Un evento naturale, inaspettato quanto catastrofico, offrì loro<br />
l'occasione per realizzare le loro ambizioni. Verso la fine del sedicesimo secolo,<br />
l'isola vulcanica di Thera (Santorino), appartenente alle Cicladi meridionali,<br />
esplose con ripercussioni devastanti sulle isole vicine, e specialmente su Creta. Vi<br />
sono buoni motivi per ritenere che gli effetti di questa esplosione abbiano causato<br />
un declino disastroso, anche se temporaneo, dell'economia locale, rendendo così<br />
l'isola facile preda per i suoi nemici; ed è appunto dalla metà del quindicesimo<br />
secolo che vi sono chiare indicazioni del fatto che Cnosso, capitale minoica, era<br />
ormai caduta sotto l'influsso miceneo, se non addirittura nelle mani di un principe<br />
pirata. Certo, gran parte delle prove a sostegno di questa affermazione derivano<br />
dal contenuto militare di alcune tavolette, la cui datazione è messa in dubbio da<br />
qualche studioso; ma oltre alle tavolette esistono altre prove. Si tratta delle grandi<br />
anfore nello stile di Palazzo venute alla luce soltanto a Cnosso e nella parte<br />
orientale dell'isola, mentre nella Grecia continentale sono diffuse quasi ovunque.<br />
L'alabastron, un tipo di recipiente diffusissimo sul continente, a Creta è raro;<br />
sembra peraltro che dopo la conquista abbia incontrato un maggiore favore. Si<br />
iniziano anche a produrre localmente copie della coppa efirea, tipica tipologia<br />
micenea. In diverse tombe di questo periodo (TM II) è ricalcata la pianta della<br />
Fig. 29 – Planimetria generale della cittadella di Micene.<br />
23
tomba a camera micenea; per il corredo in esse rinvenuto queste tombe ben<br />
meritano l'appellativo di "Tombe dei Guerrieri". Infine vicino a Cnosso vi è una<br />
tholos che, per quanto riguarda la tecnica costruttiva e la forma, è tipicamente<br />
micenea; essa mostra poca affinità con le più antiche tombe a volta della parte<br />
meridionale dell'isola di Creta.<br />
I Greci che dominarono Creta alla fine del XV secolo, mentre imposero il loro gusto<br />
riguardo ai riti funebri e ad alcuni tipi di vasi, non influenzarono praticamente la<br />
cultura minoica, più antica ed evoluta, esistente nell'isola. Essi presero più che non<br />
dettero. Appresero l'arte della scrittura (lineare B) e i vantaggi che ne derivavano,<br />
compreso l'efficiente, anche se burocratico, sistema <strong>org</strong>anizzativo.<br />
Chiunque sia stato colui che ereditò o usurpò il temuto nome di Minosse, egli fu<br />
indubbiamente un sovrano di cui non si poteva non tener conto nel mondo antico.<br />
È a questo periodo che dobbiamo far risalire la disastrosa spedizione di Minosse in<br />
Sicilia? Un greco irrequieto, ambizioso e dotato di spirito d'avventura potrebbe<br />
aver tentato benissimo una simile impresa. Il racconto riferisce che Minosse vi<br />
andò a pretendere la consegna di Dedalo, l'architetto del Labirinto di Cnosso, che si<br />
era rifugiato alla corte del re Cocalo nella Sicilia meridionale e che li aveva<br />
realizzato molte importanti opere d'ingegneria per il suo nuovo signore;<br />
evidentemente un Leonardo da Vinci, dei cui servigi si poteva difficilmente fare a<br />
meno. Minosse morì in Sicilia e i superstiti della sua infausta spedizione si<br />
stabilirono in Apulia, nel tallone d'Italia, e vi fondarono delle colonie. Le<br />
testimonianze archeologiche per i periodi più antichi (XVI e XV secolo) non sono<br />
chiare, ma nel XIV secolo l'influenza in Sicilia è indubbiamente micenea e così pure<br />
chiaramente nell'Italia meridionale, dove è possibile riconoscere un elemento<br />
rodio.<br />
Vi è quindi il famoso episodio di Teseo e del Minotauro, il quale dimostra che Atene<br />
per un certo periodo di tempo fu tributaria di Cnosso; e questo forse è confermato<br />
dai recenti scavi effettuati nell'isola di Ceo, di fronte alle coste dell'Attica, dove sono<br />
stati rinvenuti molti vasi del TM I e II che corrispondono a questo periodo. La<br />
leggenda simboleggia la liberazione di Atene dal giogo minoico. Forse Atene<br />
capeggiò una rivolta che tentò di schiacciare un detestato rivale miceneo? Non era<br />
forse questo il momento opportuno, dopo il fallimento della spedizione di Sicilia?<br />
Nel periodo classico gli staterelli greci furono sempre in guerra l'uno contro l'altro,<br />
Fig. 30 – Ricostruzione grafica del palazzo con<br />
megaron di Micene.<br />
e sembra che siano stati ugualmente litigiosi in<br />
epoche più antiche. Tutto ciò che sappiamo è che<br />
i Greci di Cnosso nel XIV secolo soccombettero<br />
ad una potenza invidiosa, e che dopo di ciò<br />
esistono prove ancor più numerose dell'influenza<br />
micenea su di loro, anche se la cultura di base<br />
riesce sempre a conservare il tipico carattere<br />
minoico.<br />
Cadmo è un altro "straniero" che secondo la<br />
leggenda venne dalla Siria per stabilirsi nella<br />
fertile regione della Beozia, fondandovi la<br />
famosa città dalle sette porte. A questa città sono<br />
associati molti nomi illustri, e tra questi il più<br />
noto è forse quello di Edipo, egli stesso<br />
discendente di Cadmo. Tebe divenne una delle<br />
più potenti città della Grecia. Tra le regioni con<br />
cui intrattenne rapporti, ricordiamo il Vicino<br />
Oriente (sono venuti alla luce oggetti d'avorio,<br />
sigilli cilindrici, lapislazzuli) e Creta; è stato<br />
dimostrato che molte delle anfore a staffa non<br />
dipinte rinvenute nel palazzo provengono<br />
proprio dall'isola. I1 successo delle sue iniziative<br />
commerciali suscitò l'invidia e l'ostilità dei regni<br />
vicini, e diede origine alla famosa spedizione dei<br />
Sette contro Tebe, a cui parteciparono<br />
soprattutto le città dell'Argolide. Essa fallì, ma la<br />
generazione successiva, quella degli Epigonoi,<br />
riuscì nell'intento. Secondo Omero, si tratta della<br />
stessa generazione che combatté a Troia. Poiché<br />
24
Fig. 31 – Disegno<br />
ricostruttivo del<br />
cortile del palazzo<br />
miceneo di Pilo.<br />
il sito dell'antica Tebe è occupato dalla città moderna, non è stato possibile<br />
compiere scavi sistematici; quelli effettuati ci hanno comunque consentito di<br />
stabilire che vi erano due palazzi, orientati diversamente. Sembra che il più antico,<br />
la "Casa di Cadmo", sia stato distrutto da un incendio nella prima metà del<br />
quattordicesimo secolo; alcuni studiosi tuttavia non sono d'accordo su questa<br />
datazione. Il "Palazzo Nuovo" venne distrutto, a quanto pare, nel 1250-1240 a.C.:<br />
questa data concorderebbe sostanzialmente con quella della tradizione.<br />
La distruzione di Cnosso si data generalmente intorno al 1400 a. C., anche se la<br />
ceramica potrebbe indurre a collocarla da 30 a 50 anni più tardi. Qualunque sia la<br />
data precisa, per la civilta micenea questo evento segna l'inizio del periodo della<br />
massima fioritura. Le navi da carico provenienti dalla Grecia continentale<br />
circolano indisturbate per tutto il Mediterraneo, giungendo in Occidente almeno<br />
fino ad Ischia. Le Cicladi, e Mito in particolare, recano l'impronta della civiltà<br />
micenea. Il commercio con l'Egitto raggiunge la sua punta massima durante il<br />
breve regno di Akhenaton. A Cipro vi sono colonie commerciali che sfruttano i<br />
mercati dell'Oriente. Rodi, colonizzata nel secolo precedente, raggiunge una<br />
posizione di semi-indipendenza, tant'è vero che possiede un proprio scalo commerciale<br />
nella lontana "Iàranto. A Micene assume il potere la nuova dinastia dei<br />
Pelopidi. Si dice che Pelope, il suo fondatore, fosse venuto dall'Asia Minore. Questo<br />
fatto è di per sé indicativo dello spirito dei tempi: nel reame miceneo qualsiasi<br />
principe avventuroso poteva reclamare qualche titolo fittizio, come farà molto più<br />
tardi in Inghilterra Guglielmo il Conquistatore, per crearsi un suo regno o meglio<br />
ancora per insediarsi stabilmente al vertice del comando; come infatti ci<br />
confermano i dati archeologici, quello di Micene era il più potente dei regni<br />
micenei, quantunque in teoria fosse semplicemente primo inter pares.<br />
Ma è proprio per questo periodo che le notizie storiche contribuiscono in qualche<br />
modo ad arricchire le scarne testimonianze fornite dall'archeologia e dalla<br />
leggenda. Negli annali degli imperatori ittiti del XIV e XI II secolo si parla del<br />
"regno di Ahhijava". Quantunque vi siano alcune difficoltà filologiche<br />
nell'equazione Ahhijava-Acaia, l'identificazione è accolta dalla maggior parte degli<br />
studiosi. In Omero, ai Greci viene spesso dato il nome di Achei e indubbiamente<br />
questo avveniva anche in età micenea. D'altra parte, nei loro documenti gli Ittiti si<br />
riferiscono a paesi piuttosto che a popoli. Nel caso di Ahhijava è chiaro che<br />
alludono ad una potenza marittima. Un importantissimo documento è costituito da<br />
una lunga lettera, nel complesso abbastanza conciliante, indirizzata<br />
dall'imperatore ittita al re di Ahhijava, che in quel tempo sembra fosse nelle<br />
vicinanze; e per questo alcuni studiosi hanno pensato che Ahhijava dovesse essere<br />
Rodi, uno dei più potenti regni micenei, come abbiamo già visto. Ma non c'è dubbio<br />
che il vero centro del potere fosse a Micene, come testimoniano i monumenti<br />
25
Fig. 32 – Pianta del palazzo di<br />
Pilo con indicazione della<br />
destinazione dei diversi ambienti<br />
dell'Argolide, che superano tutti gli altri monumenti della Grecia. Gli Ittiti, che<br />
erano una potenza continentale e non marittima, non potevano rendersi conto<br />
della reale estensione dell'impero acheo, né sapere dove si trovasse il suo centro di<br />
gravità. I contatti si limitavano alle aree contigue dei due regni. Nel nostro caso —<br />
cioè nella lettera di cui si è parlato — quest'area era Millavanda (o Milavata) che<br />
generalmente si suppone corrispondere a Mileto. Forse una questione di confini?<br />
Può anche darsi; dalla lettera tuttavia risulta che Mileto ed il suo entroterra in quel<br />
tempo facevano parte del territorio miceneo, anche se erano stati<br />
temporaneamente occupati dall'imperatore ittita. Questo fa pensare che la linea di<br />
demarcazione fra le due potenze fosse piuttosto fluida. Si è già notato che Micene<br />
ebbe per lungo tempo rapporti commerciali con Mileto e che in seguito vi stabili<br />
una colonia. Essa era anche in rapporto commerciale con Mersina, Tarso e Kazanli<br />
in Cilicia ed aveva una colonia a Ras Shamra. Tutte, ad eccezione di quest'ultima,<br />
si trovano appena dentro il confine ittita, e la stessa Ras Shamu a è vicinissima alla<br />
frontiera. I due regni quindi erano veramente contigui, ma possiamo desumere<br />
dagli<br />
archivi ittiti che le loro relazioni fossero nel complesso amichevoli, poiché ciascuno<br />
riconosceva i propri limiti: uno era più potente in terra, l'altro aveva il controllo<br />
dei mari.<br />
Al tempo della guerra di Troia la potenza di Micene si estendeva su tutto il<br />
Mediterraneo centro-orientale, ma abbiamo le prove del fatto che era già in fase<br />
discendente. Verso la metà del XIII secolo la capitale subì alcune incursioni che<br />
distrussero le case fuori della Cittadella; queste non furono più ricostruite. Anche<br />
la Cittadella in questo periodo ebbe probabilmente a risentirne. In ogni caso, dopo<br />
questo disastro si ampliarono le mura di fortificazione e si costruì la cisterna<br />
segreta. Non siamo assolutamente in grado di dire se questo attacco alla Cittadella<br />
debba essere attribuito alla discordia tra i due fratelli Atreo e Tieste, figli di Pelope<br />
e ambedue pretendenti al trono. In altre parti della Grecia si lavorava a rafforzare<br />
le fortificazioni, e verso la fine del TE IIIB venne costruita sull'istmo di Corinto mia<br />
grande muraglia in opera ciclopica di cui restano alcune parti all'estremità sudorientale<br />
dell'istmo.<br />
Non sappiamo quale fu la causa della guerra di Troia, poiché il rapimento di Elena<br />
da parte di un principe troiano fu semplicemente un pretesto. Christopher Mee ha<br />
26
Fig. 33 – Foto del<br />
focolare<br />
appartenente al<br />
megaron del<br />
palazzo di<br />
Nestore a Pilo<br />
avanzato un'ipotesi interessante: la guerra può essere stata causata da un conflitto<br />
riguardo ai diritti di pesca. Alla fine della primavera, infitti, sgombri e tonni dal<br />
Mediterraneo vanno a deporre le uova nel Mar Nero. Alla fine dell'estate<br />
percorrono il cammino inverso, e vengono “catturati da reti gettate negli stretti del<br />
Bosforo e dell'Ellesponto”. Anche in tempi recenti, del resto, i diritti di pesca sono<br />
stati all'origine di crisi internazionali. Troia godeva da secoli di una prosperità<br />
ininterrotta. La sua ricchezza è stata attribuita a vari fattori; forse il commercio vi<br />
contribuì in gran parte. Nonostante confinasse con il grande impero ittita a nordovest,<br />
essa a quanto pare non importava nessun prodotto ittita; i suoi rapporti<br />
riguardavano esclusivamente l'Occidente. La città, tuttavia, non doveva la sua<br />
ricchezza solo al commercio. A differenza della sterile e montuosa patria dei<br />
Micenei con le sue poche vallate fertili, Troia era circondata da ricche, fertili pianure<br />
che provvedevano largamente al nutrimento della popolazione, e fornivano<br />
anche prodotti per l'esportazione. La regione, conce risulta dai poemi omerici, era<br />
famosa per i suoi cavalli. Troia per di più aveva una prospera industria di filatura<br />
e forse anche di tessitura. Vi si rinvenne infatti un numero di fusi molto superiore a<br />
quello scoperto in qualsiasi altra località. Perciò può anche darsi che essa<br />
rappresentasse una temibile concorrente dei Micenei nel commercio dei tessili.<br />
Contro questa rivale ritenuta formidabile, si raccolsero tutte le forze di Grecia con<br />
a capo Agamennone,
Fig. 34 –<br />
Disegno<br />
didattico<br />
ricostruttivo<br />
del megaron<br />
del Palazzo di<br />
Nestore a Pilo<br />
volta per sempre, da Ramsete III nel 1191 a. C., o nel 1186 secondo altri. (Le date<br />
egizie per questo periodo presentano un divario massimo di dieci anni). Fra le<br />
tribù sconfitte vi erano i Peleset (i Filistei), che da questo momento si stanziarono<br />
in Palestina. Poco dopo che essi si furono stabiliti nella loro nuova sede appare la<br />
ceramica "filistea", la quale presenta grande affinità con la ceramica micenea IIIC<br />
prodotta a Cipro dopo il passaggio dei "Popoli del Mare". Questo tipo di ceramica<br />
nacque a Micene dopo le calamità che colsero di sorpresa la Grecia continentale e<br />
che non possono essersi verificate molto dopo il 1200 a. C., dal momento che una<br />
versione modificata di questo nuovo stile di ceramica (IIIC) raggiunge la Palestina<br />
attraverso Cipro poco dopo il 1191 a. C. In base a queste considerazioni, quindi, è<br />
preferibile datare la caduta di Troia al 1220-1210 a. C.<br />
Se il racconto fatto appare confuso, questo è inevitabile, perché i tempi stessi erano<br />
confusi e agitati. Molte tribù erano in movimento, forse spinte dalla carestia<br />
lontano dalle loro terre. Quella dei "Popoli del Mare" fu una migrazione in massa. I<br />
guerrieri si portavano appresso le loro famiglie e i loro beni, e così sono raffigurati<br />
nei monumenti egizi. L'impero ittita si disintegrò al loro passaggio. L'Egitto riuscì<br />
a stento a respingere gli invasori, e i Micenei stessi non furono risparmiati. Per<br />
loro tuttavia il pericolo non sembra che sia venuto dal mare, ma sia stato piuttosto<br />
dovuto a problemi interni.<br />
Il mare dopo tutto era il<br />
loro elemento, e si deve<br />
tener presente tra l'altro<br />
che né le Cicladi né il<br />
Dodecanneso sembrano<br />
essere stati toccati dal<br />
sommovimento. Infatti<br />
Rodi in questo periodo<br />
continuava il suo<br />
commercio con la lontana<br />
Taranto ed esportava i suoi<br />
prodotti in Attica e<br />
nell'Anatolia occidentale<br />
(l'odierna Turchia). Ma per<br />
la Grecia continentale<br />
quello successivo alla<br />
caduta di Troia fu Un<br />
periodo molto triste.<br />
Nell'alissea siamo in grado<br />
di seguire il destino di molti<br />
degli eroi che erano<br />
sopravvissuti alla guerra.<br />
Agamennone tornò a<br />
Micene solo per essere<br />
assassinato a tradimento<br />
dalla moglie Clitennestra.<br />
Ulisse fu costretto a vagabondare per dieci anni prima di raggiungere la sua<br />
patria, Itaca. Altri eroi fecero naufragio e dovettero stabilirsi in terra straniera.<br />
Coloro che fecero ritorno in patria ripresero ben presto il mare per andare a cercar<br />
fortuna altrove. Nella tradizione letteraria si citano la Libia, la Sicilia, l'Asia<br />
Minore e Cipro, e per quanto riguarda queste ultime vi sono testimonianze<br />
archeologiche che sembrerebbero dare una conferma, soprattutto a Cipro. Nestore<br />
e Menelao furono più fortunati; una tradizione più tarda narra che al primo<br />
successero sul trono il figlio e il nipote. Ciò pone un problema cronologico, a meno<br />
che essi non abbiano regnato per un periodo assai breve, in quanto secondo Blegen<br />
il palazzo di Nestore venne completamente distrutto da un violentissimo incendio<br />
verso la fine del TE IIIB, ossia intorno al 1200 a. C. È un periodo che vide la<br />
distruzione e la devastazione di molti insediamenti. Furono distrutte da spaventosi<br />
incendi le grandi cittadelle del continente: Micene, Tirinto, Midea e Pilo. Altre, tra<br />
le quali Gla, Koraku, Zygouries, Prosymna e Berbati vennero abbandonate o<br />
distrutte più o meno nello stesso periodo. Un destino analogo sembra essere<br />
toccato a Iolkos nel TE IIIC.<br />
Soltanto Atene fra tutte le rocche micenee resistette, e gli Ateniesi in seguito si<br />
28
vantarono con <strong>org</strong>oglio di essere un popolo autoctono che aveva respinto tutte le<br />
invasioni straniere; l'archeologia sembrerebbe confermare questo loro vanto. Ma<br />
sebbene sull'acropoli di Atene non vi siano tracce di distruzione risalenti a questo<br />
periodo (1200 a. C. circa), le abitazioni più antiche che si trovano ai piedi<br />
dell'Acropoli vennero abbandonate e il periodo seguente mostra chiari segni di<br />
impoverimento.<br />
Non si deve immaginare che questi eventi catastrofici abbiano avuto luogo<br />
contemporaneamente; essi possono essere avvenuti nell'arco di una decina d'anni<br />
o anche più. Riguardo alle loro cause, gli studiosi non hanno ancora trovato un<br />
accordo. Alcuni le individuano nell'invasione dei Dori, ma secondo una tradizione<br />
greca su cui le fonti concordano le tribù doriche non invasero il Peloponneso che<br />
due generazioni dopo la caduta di Troia.<br />
Altri attribuiscono i disordini a guerre senza quartiere tra i vari staterelli. Altri<br />
ancora li spiegano con un peggioramento del clivia che avrebbe portato siccità e<br />
carestie. Ma anche precedentemente alla caduta di Troia l'inquietudine<br />
serpeggiava in tutto il Vicino Oriente. La potenza ittita stava perdendo la presa<br />
sugli stati vassalli, e le migrazioni dei "Popoli del Mare" sconvolgevano le regioni<br />
dell'Egeo orientale, ostacolando il regolare svolgimento di quelle attività<br />
commerciali che tanta importanza avevano avuto nel creare la ricchezza della<br />
Grecia continentale.<br />
Nel XII secolo vi fu una dispersione generale della popolazione. Alcuni<br />
attraversarono il mare per iniziare una nuova vita a Cipro; altri giunsero fino a<br />
Tarso. Sembra che in questo periodo l'insediamento di Lefkandi nell'Eubea abbia<br />
visto un aumento della sua popolazione. Molti abitanti dell'Attica emigrarono a<br />
Perati, sulla costa orientale; gli scavi ivi condotti da Iakovidis mostrano che essa<br />
diventò un centro fiorente. L'Acaia, sulle rive settentrionali del Peloponneso, venne<br />
ora occupata, e forse per la prima volta in forma massiccia, perché la ceramica<br />
rinvenuta nelle tombe (che costituisce in pratica l'unica testimonianza) è<br />
preminentemente del tipo TE IIIC. Dopo il saccheggio di Pilo, molti abitanti della<br />
Messenia si rifugiarono nelle vicine isole ionie e soprattutto a Cefalonia.<br />
In tutte queste aree ora si produceva esclusivamente ceramica del tipo TE IIIC.<br />
Micene continuò a ispirare i nuovi stili, tra i quali il più elegante è il cosiddetto Stile<br />
Serrato (vedi capitolo 1). Dopo la catastrofe generale Micene infatti recuperò parte<br />
della sua potenza, anche se non tornò mai più quella di prima. La sua sfera<br />
d'influenza quasi coincideva con quella del periodo precedente, ma il controllo<br />
esercitato era meno stretto, e le risorse della comunità erano più scarse. A<br />
testimonianza del primo fatto abbiamo le differenze di stile nella ceramica<br />
prodotta nelle varie località, in particolare a Cefalonia, nell'Acaia e a Lefkandi; per<br />
quanto riguarda il secondo, abbiamo l'abbandono di vari insediamenti<br />
nell'Argolide, e l'abbassamento degli standard produttivi in ogni settore delle<br />
attività artigianali. Non si conoscono per questo periodo tavolette in lineare B ed è<br />
probabile che il vecchio sistema di registrazione e di controllo fosse stato abbandonato<br />
per far posto ad una forma di governo più primitiva. È evidente un<br />
progressivo deterioramento della qualità e della decorazione della ceramica, e si<br />
diffonde sempre più lo stile semplice e rozzo del Granaio. Questo stile fu in gran<br />
voga a Cipro dopo che l'isola subì una seconda e più grave distruzione, più o meno<br />
intorno al 1190 a.C. Questa, a sua volta, fu seguita da un vero e proprio<br />
insediamento, giacché ora per la prima volta vengono introdotte nell'isola le tombe<br />
a camera di tipo miceneo.<br />
Lo sconvolgimento e l'inquietudine tornarono ancora una volta nel mondo<br />
miceneo. La prova negativa di questo fatto è data dall'abbandono di molti<br />
sepolcreti prima della fine del periodo. I seppellimenti di ciste sostituirono le tombe<br />
a camera in Attica, nell'Argolide e in Beozia. Le deposizioni singole e doppie<br />
presero il posto di quelle multiple. E difficile spiegare la ricomparsa della tomba a<br />
cista, anche se il suo uso non era mai completamente scomparso, ma la<br />
suppellettile del sepolcro, a parte la ceramica che riflette l'antica tradizione, non è<br />
più micenea. Vanno ora di moda i lunghi spilloni di bronzo e le fibule (un tipo<br />
elaborato di spilla di sicurezza), mentre le onnipresenti figurine micenee, che erano<br />
diventate meno frequenti nel periodo TE IIIC, ora scompaiono. Ma questi<br />
mutamenti furono preceduti da catastrofi che segnarono la fine della potenza<br />
micenea e della sua civiltà. Esse non furono così disastrose come le precedenti,<br />
forse perché c'era meno da distruggere. A nord, Iolkos, capitale del regno di<br />
29
Tessaglia, fu sopraffatta. Al confine orientale del reame, Mileto fu incendiata e,<br />
proprio al centro di esso, Micene fu finalmente distrutta. Tutte queste calamità si<br />
datano approssimativamente intorno al 1 120 a. C.<br />
Alcuni studiosi attribuiscono la caduta della civiltà micenea all'invasione dei Dori,<br />
evento a cui le fonti antiche fanno riferimento col termine pittoresco di Ritorno<br />
degli Eraclidi (i discendenti di Ercole), che si sarebbero messi alla testa delle tribù<br />
doriche. Secondo la leggenda, Illo, figlio di Ercole, uccise Euristeo, l'ultimo dei re<br />
perseidi di Micene (lo stesso che aveva costretto Ercole a compiere le Dodici<br />
Fatiche); Illo tuttavia venne ucciso a sua volta nel corso di una battaglia tra gli<br />
Eraclidi e un esercito peloponnesiaco condotto da Atreo, figlio di Pelope, salito nel<br />
frattempo sul trono di Micene. Gli Eraclidi si ritirarono, e l'oracolo di Delfi proibì<br />
loro di far ritorno per cento anni. Se si data la fine del TE IIIC e del periodo<br />
miceneo approssimativamente al 1 120 a. C., l'introduzione nel racconto di Euristeo<br />
e di Atreo costituisce un anacronismo. Se invece l'invasione dei Dori ebbe luogo più<br />
di un secolo prima, come ritengono alcuni studiosi, allora questo racconto<br />
risulterebbe più verosimile.<br />
Qui l'archeologia non ci può essere di alcun aiuto, poiché i Dori non hanno lasciato<br />
di sé nessuna traccia. Non esistono ceramiche, gioielli, armi o riti funebri che si<br />
possano loro attribuire. La loro cultura era praticamente inesistente, o una forma<br />
corrotta di quella micenea. Una ipotesi stimolante, che preferisce ignorare la<br />
tradizione dell'invasione dorica, è quella che vede nei Dori una classe fino ad allora<br />
sottomessa della società micenea, una classe "sommersa" che parlava un dialetto<br />
differente, e che a un certo punto si ribellò. II successo finale dell'invasione o<br />
ribellione che dir si voglia, ammesso che essa abbia avuto per protagonista una<br />
classe inferiore e oppressa, può essere stato dovuto alla connivenza di una nobilita<br />
scontenta e ambiziosa: le fortezze ciclopiche, infatti, potevano essere conquistate<br />
solo per fame o col tradimento.<br />
L'ultima fase rappresenta un periodo molto triste. Lo stato miceneo in realtà non si<br />
riprese più dalle calamità, qualsivoglia ne fosse l'origine, sofferte alla fine del XIII<br />
secolo. La complessa amministrazione che aveva sorretto la sua potenza si<br />
disintegrò e il tessuto della sua società decadde verso una fine ingloriosa. Siamo<br />
giunti alle soglie del medioevo ellenico.<br />
2.1 – Palazzi, mura e riserve d’acqua<br />
Secondo la datazione di Eratostene, la guerra di Troia ebbe luogo nel 1183<br />
a.C. e re Minosse visse tre generazioni prima. Quindi, per i Greci, il regno di<br />
Minosse conobbe il suo apice intorno al 1260 a.C., circa cento anni dopo la data<br />
in cui, come sostengono la maggior parte degli archeologi, fu abbandonata la<br />
Cittadelle, palazzi e case<br />
Origine del megaron: La pianta del nucleo centrale di un palazzo miceneo deriva<br />
da un prototipo molto semplice del periodo medio elladico: una stanza di forma<br />
allungata, preceduta, su uno dei lati brevi, da un vestibolo. Davanti al vestibolo di<br />
questa costruzione primitiva c'era, senza dubbio, un portico di tipo molto semplice,<br />
come si trova ancora oggi in molte case dei villaggi greci, fatto cioè di una graticciata<br />
sorretta da due pali con una vite o un'altra pianta rampicante a dare ombra. Nel<br />
palazzo miceneo tali elementi presero la forma di un portico colonnato che<br />
conduceva in un vestibolo e da qui nella sala principale, detta megaron. Assai spesso<br />
le case medio-elladiche avevano un altro ambiente sul retro, usato come magazzino,<br />
con un ingresso indipendente, come ritroviamo nel palazzo di Nestore a Pilo. Nelle<br />
camere delle case del ME e del TE si trova di solito un focolare fisso, talvolta<br />
circolare. Nei palazzi micenei questo è di grandi dimensioni ed occupa la parte<br />
centrale del megaron. Attorno al focolare rotondo erano disposte, simmetricamente,<br />
quattro basi circolari per colonne, spesso di duro calcare azzurro. Data la loro<br />
grandezza, si ritiene che dovessero sostenere colonne di legno alte e robuste che<br />
reggevano la parte centrale del tetto sopra il resto della stanza, come avviene nella<br />
navata centrale di una chiesa. A Pilo si sono rinvenuti sopra il focolare i resti di due<br />
condotti appartenenti ad un grande camino di terracotta, ma nelle case più modeste<br />
è probabile che ci fosse una semplice apertura per l'uscita del fumo.<br />
Non rimane nessun palazzo del periodo TE I/II. Il più antico edificio che si conosca<br />
con lo stile di un palazzo è stato scoperto in Laconia presso Menelaion: è un<br />
30
Fig. 35 – Ricostruzione<br />
assonometrica della<br />
planimetria del<br />
Menelaion<br />
santuario dedicato a Menelao e ad Elena che si trova sopra una collina a 2,9 km a<br />
est/sud-est di Sparta. II sito era già stato scavato, in parte, dalla scuola britannica<br />
nel 1910. Qui si sono scoperti i resti di una casa del TE IIIB distrutta da un incendio.<br />
La sua pianta ricorda quella del palazzo di Nestore: un megaron con una stanza sul<br />
retro e vani su entrambi i lati, separati da un corridoio.<br />
Il palazzo di Micene, cioè della città che stava a capo di tutti i principati della<br />
Grecia, doveva essere la più splendida di tutte le residenze regali; ma la sua<br />
magnifica posizione dominante sulla sommità dell'acropoli l'ha esposta infatti<br />
all'inclemenza degli agenti atmosferici, che non l'hanno risparmiata. Ne restano<br />
tuttavia parte delle fondazioni (del megaron, del vestibolo, del portico e ciel cortile),<br />
ma abbiamo solo qualche parvenza di edifici importanti posti più in alto sulla<br />
collina, che costruttori di epoche più tarde spogliarono di tutti i blocchi fino alla<br />
nuda roccia per edificare un tempio arcaico o una casa ellenistica.<br />
Per illustrare più compiutamente un impianto residenziale e amministrativo<br />
dobbiamo rifarci al palazzo di Nestore a Pilo.<br />
Attualmente a Pilo si possono vedere solo le assise inferiori, ma nell'antichità le<br />
mura maestose del palazzo dovevano vedersi fin da lontano. Per entrarvi si<br />
attraversava una costruzione non dissimile nella pianta da un propileo di età<br />
classica, un ingresso con portico sulla facciata e portico verso l'interno, sorretti l'uno<br />
e l'altro da una sola colonna. Come in lutti i palazzi e gli edifici pubblici e privati<br />
micenei, le colonne erano in genere di legno, perciò non ne è rimasta traccia; se ne<br />
conosce però la forma. A Micene erano di vari tipi. Le semicolonne litiche delle<br />
tholoi sono scanalate, come nella Tomba di Clitennestra, o decorate con un motivo a<br />
zig-zag, come nel Tesoro di Atreo. Nel rilievo della Porta dei Leoni il fusto è liscio e<br />
rastremato verso la base (a differenza della colonna di età classica). A Pilo,<br />
qualunque fosse il tipo di capitello, il fusto della colonna è quasi sempre scanalato, e<br />
le scanalature sono in numero variabile da 32 a 64. Le prove di questo le abbiamo<br />
dal fatto che nell'antichità il collarino che si trovava alla base della colonna veniva<br />
ripetutamente intonacato per cui, scomparsa la colonna, ne è rimasta l'impronta<br />
sull'intonaco.<br />
Entrando dall'ingresso principale, s'incontra sulla destra un ambiente riservato<br />
presumibilmente al corpo di guardia; una bassa piattaforma subito a sinistra della<br />
porta indica il posto della sentinella. Gli ambienti a sinistra dell'ingresso erano<br />
adibiti ad archivi. Qui si conservavano i registri degli affari quotidiani: la parte dei<br />
prodotti dovuti come tassa alla casa reale o agli dei, la distribuzione dei materiali e<br />
della manodopera per i vari compiti di governo. L'ingresso al palazzo permetteva un<br />
facile controllo delle pratiche quotidiane. Così anche il Granaio di Micene, presso la<br />
Porta dei Leoni, aveva probabilmente la medesima funzione di ufficio<br />
amministrativo.<br />
31
A Pilo l'ospite di riguardo veniva condotto attraverso il cortile fino ad una sala<br />
d'aspetto che si trovava immediatamente a sinistra dell'ingresso porticato<br />
dell'appartamento reale. Qui vi era, in un angolo, un sedile di stucco bianco con la<br />
parete verticale decorata con motivi ornamentali, ora per lo più svaniti. Vi erano,<br />
inoltre, due grandi pithoi, che probabilmente contenevano vino poiché nella porta<br />
accanto c'era un dispensa ben fornita di coppe (kylikes). Nella sala d'aspetto, che vi<br />
si servisse o no il vino, doveva aver luogo una specie di preparazione rituale<br />
dell'ospite prima di ammetterlo nella sala di ricevimento. Nella cerimonia dovevano<br />
essere comprese probabilmente abluzioni e libagioni.<br />
La disposizione delle sale di rappresentanza dimostra che erano adatte sia alle<br />
grandi occasioni che agli affari quotidiani. Il portico ed il vestibolo erano riccamente<br />
adorni di affreschi, e forse un ospite di particolare riguardo poteva essere invitato a<br />
trascorrervi la notte. «Nestore di Gerenia invitò Telemaco, il caro figlio del divino<br />
Ulisse, a dormire su un letto intrecciato di corde sotto il portico risonante». Il<br />
contrasto che si avvertiva passando dal vestibolo largo ma poco profondo all'ampia<br />
sala colonnati del megaron doveva suscitare una profonda impressione. Lo sguardo<br />
era subito attirato dalle quattro alte colonne scanalate che sorreggevano la lanterna<br />
rialzata nel soffitto sopra il grande focolare rotondo dal bordo dipinto. Il fuoco, ardendo<br />
lentamente, doveva aggiungere movimento alle numerose spirali colorate che<br />
si svolgevano ininterrottamente sul fusto delle colonne. Le pareti della sala ciel trono<br />
sono ora conservate per un'altezza massima di 91 cm., ma in origine le loro superfici<br />
rivestite di stucco e dipinte a vivaci colori dovevano narrare molte gloriose imprese e<br />
leggende eroiche, quali il re amava udire nel corso delle feste dalle labbra del cantore<br />
di corte; ed è anzi giunto fino a noi un frammento di affresco che forse rappresenta<br />
lo stesso cantore con la lira, forse Orfeo che incanta con la sua musica le fiere e gli<br />
uccelli. Alle spalle del trono era rappresentato un altro soggetto, cui motivo anche<br />
questo dell'iconografia regale: due grifi accovacciati e disposti l'uno di fronte all'altro<br />
ai lati del trono, la testa eretta e le ali spiegate: la testa adorna di un pennacchio<br />
ingioiellato, le spalle forti coperte di penne di pavone, le code protese in alto e<br />
terminanti in forma di ricciolo quasi a salutare il re. Dietro i due grifi era<br />
rappresentata, a mo' di scorta, una coppia di leoni che nell'araldica micenea<br />
dovevano forse raffigurare un'altra casata principesca legata al re da vincoli matrimoniali.<br />
Nel corso della giornata il vestibolo, ossia l'anticamera della sala reale, diventava un<br />
luogo di grande movimento, essendo il passaggio più facile e diretto alle altre parti<br />
del palazzo. Oltre alle due grandi porte situate al centro dei lati lunghi ve ne erano<br />
altre due sui lati brevi. Quella a sinistra, guardando verso il megaron, dava<br />
direttamente accesso alle dispense e ai depositi di stoviglie, ed una scala di fronte<br />
alla porta conduceva al primo piano. Le dispense erano una parte importante del palazzo.<br />
In una sono stati ritrovati gli steli di non meno di 2853 kylikes, erano state<br />
ammassate in origine su scaffali. Il consumo di vino nel palazzo sembra essere stato<br />
Fig. 36 – Pianta della cittadella di Tirinto.<br />
32
notevole. Omero ci parla della coppa d'oro di Nestore che nessuno all'infuori di lui<br />
poteva sollevare quando era piena. D'altra parte è possibile che una provvista così<br />
grande di kylikes fosse destinata ad altri centri del regno.<br />
La porta che si trova all'altra estremità del vestibolo immetteva in un corridoio ed<br />
aveva di fronte loia scala di cui sono ben conservati i primi otto gradini di pietra.<br />
Voltando a sinistra in questo corridoio si raggiungono alcuni vani-magazzino ed una<br />
grande stanza divisa in due, dietro al megaron, che conteneva grosse provviste di<br />
olio d'oliva. Il sistema di immagazzinare l’olio era differente da quello usato nella<br />
Casa del Mercante d'Olio a Micene. A Pilo i pithoi sono parzialmente affondati nel<br />
terreno: la metà superiore che si trova al di sopra ciel livello del pavimento è<br />
incassata in uno zoccolo d'argilla ricoperta di stucco così da evitare la dispersione<br />
dell'olio versato durante il travaso e facilitare la pulizia. I pithoi sono disposti lungo<br />
le pareti della stanza cosicché, con la loro incassatura d'argilla, sembrano quasi<br />
racchiusi in un lungo e largo bancone. Erano molto profondi, e quando il livello<br />
dell'olio si abbassava si dovevano usare lunghi mestoli per vuotarli.<br />
Ripercorrendo il corridoio in direzione del vestibolo, ma proseguendo poi in linea<br />
retta attraverso un portico colonnato aperto sulla corte principale, si giunge<br />
all'appartamento della regina. Questo era formano da un megaron più piccolo con<br />
un focolare dipinto al centro, ma senza colonne, e da due stanzette separate da un<br />
corridoio, una delle quali, a giudicare dalla decorazione, potrebbe essere considerata<br />
come un salottino privato. Accanto al megaron della regina, a nord-ovest, ma non<br />
direttamente accessibile da questo, c'era una grande stanza da bagno. La vasca di<br />
terracotta è racchiusa, come nei bagni moderni, in un cassone rettangolare di argilla<br />
rivestita d'intonaco bianco. Una raffinatezza che non si trova in molti bagni moderni<br />
è costituita da un ampio gradino, anch'esso intonacato, che permetteva di entrare<br />
più comodamente nella vasca, a metà della quale c'era una sp<strong>org</strong>enza su cui deporre<br />
qualche oggetto da toeletta. In un angolo della stanza vi sono due grandi pithoi dalla<br />
bocca larga, anch'essi incassati in una massa d'intonaco. In fondo ai pithoi vi erano<br />
delle coppe a stelo (kylikes) in frammenti. Altre due coppe furono rinvenute dentro<br />
la vasca. La somiglianza tra tali coppe e le odierne coppe da champagne potrebbe<br />
indurci a trarre conclusioni affrettate, sulla base di un metro di giudizio moderno.<br />
Ancor oggi in Turchia in alcuni bagni si versa l'acqua sul corpo con vasi poco fondi,<br />
non dissimili da una kylix micenea, e certamente non più capaci. È un fatto, ciel<br />
resto, che nell'antichità si usava, per la pulizia del corpo, oltre all'acqua, anche l'olio<br />
di oliva. Così, secondo un racconto di Omero nell'Odissea, quando la bella Policaste,<br />
figlia minore di Nestore, fece il bagno a Telemaco, «quando l'ebbe bagnato e poi<br />
unto con l'olio d'oliva ... egli emerse dal bagno simile nella persona a uro degli<br />
immortali».<br />
La posizione di questa stanza da bagno entro il palazzo farebbe pensare che fosse<br />
riservata non ad uso privato ma pubblico; non a caso essa poteva essere raggiunta<br />
più facilmente dal cortile centrale e dalle stanze che gli stanno intorno piuttosto che<br />
dall'adiacente megaron della regina. È facile pensare perciò che Telemaco venisse<br />
condotto per il suo bagno rituale proprio in questa parte del cortile. Fino ad oggi<br />
nessuna località micenea ci ha restituito qualcosa di simile.<br />
A Tirinto rimane soltanto il pavimento che è costituito da un grande lastrone<br />
monolitico che ha, lungo il perimetro, una serie di fori trapanati per le caviglie con<br />
cui si fissavano le pareti lignee; queste ultime dovevano essere naturalmente<br />
intonacate. Il pavimento è un poco inclinato per permettere all'acqua di fluire verso<br />
il canale di scolo. A Pilo la vasca da bagno non aveva scarico e l'acqua doveva essere<br />
tolta perciò con dei secchi e versata in una canaletta di scolo che passava attraverso<br />
il muro.<br />
Nel cortile centrale di un palazzo miceneo doveva regnare sempre una grande<br />
animazione. A Pilo il cortile è più piccolo di quelli di Micene e di Tirinto, ma la<br />
diversità dei portici e delle logge gli conferiva un aspetto più vario e meno<br />
convenzionale.<br />
II cortile del palazzo di Tirinto, che è il più grande di tutti, era di tipo più<br />
tradizionale, ma i suoi lunghi colonnati dove si alternavano pilastri e colonne<br />
dovevano conferirgli grande dignità. La Grande Corte di Micene aveva il pavimento<br />
di stucco, diviso in riquadri dipinti con musivi geometrici, mentre quelli di Pilo<br />
avevano una superficie piana di conglomerato cementizio, ogni tanto interrotta in<br />
modo quasi impercettibile dalla bocca di un canale di scolo per l'acqua piovana,<br />
costituita generalmente da una lastra di pietra con tre fori. Sotto il palazzo vi è un<br />
33
labirinto di fognature non ancora del tutto esplorato. Quelle più piccole, con le pareti<br />
laterali formate da lastroni di pietra e una serie di lastre per copertura, erano<br />
abbastanza grandi da permettere ad una persona di corporatura snella di strisciarvi<br />
dentro; esse si vuotavano in canali più grandi costruiti allo stesso modo, dove un<br />
uomo poteva stare quasi in piedi. Un analogo sistema di fognature si può vedere a<br />
Micene, Giove però la copertura è formata da due lastroni inclinati che formano un<br />
arco appuntito, la cosiddetta tecnica "a modiglioni”. I canali micenei servivano in<br />
primo luogo a raccogliere l'acqua piovana e tutti i rifiuti che questa trascinava con<br />
sé. Tutto ciò che potrebbe avvicinarsi in qualche anodo ad un moderno impianto<br />
igienico doveva essere molto raro.<br />
Struttura della città: La città di Agamennone, come tutte<br />
le altre città-stato dei regni micenei, era formata infatti da un<br />
insieme di villaggi tribali situati ciascuno su una delle<br />
numerose colline che circondavano la Cittadella, o almeno<br />
così si presume dallo forma plurale dei nomi delle città più<br />
importanti (Mikenai, Thebai, Athenai). Ciascun villaggio<br />
sembra aver costituito un'unità a sé stante con la necropoli<br />
nelle immediate vicinanze. Nei dintorni della Cittadella vi<br />
erano alcuni imponenti edifici, ritenuti botteghe del re o,<br />
secondo alcuni, case di mercanti. Tre di queste case si<br />
trovano allineate proprio accanto alla strada moderna e<br />
distano circa 150 metri dall'acropoli. Sulla base degli oggetti<br />
più importanti qui rinvenuti sono state chiamate (a partire<br />
da quella più settentrionale) Casa degli Scudi, Casa del<br />
Mercante d'olio e Casa delle Sfingi. …<br />
All'interno della Cittadella di Micene sono state scavate<br />
diverse case di cui le più note sono il Granaio accanto alla<br />
Porta dei Leoni e la cosiddetta Casa del Vaso dei<br />
Guerrieri vicino al Circolo funerario. Questi edifici sono<br />
stati completamente saccheggiati, cosicché non è più<br />
possibile stabilirne la funzione, ad eccezione forse del<br />
Granaio.<br />
Un'altra casa all'estremità orientale della Cittadella, chiamata<br />
da Wace Casa delle Colonne, sembrerebbe essere l'ala<br />
orientale del palazzo stesso. Quantunque sia molto rovinata e<br />
Fig. 38 – Passaggio che conduce alla la sua pianta sia difficile da ricostruire, aveva però<br />
cisterna segreta di Micene.<br />
sicuramente un cortile colonnato da cui si passava in un<br />
ambiente a forma di megaron, e, a un livello inferiore, a una<br />
serie di magazzini. I muri di fondazione erano costruiti solidamente con pietre conce<br />
o grezze, e il loro spessore variava secondo la grandezza e il peso dell'alzato. Il muro<br />
veniva spesso costruito con un'intelaiatura in legno, una specie di rinforzo, almeno<br />
così si crede, contro i terremoti. Essa consisteva in una serie di pali rizzati a intervalli<br />
regolari sulle due facce del muro e collegati fra loro da travetti trasversali collocati<br />
nello spessore del muro. C'erano anche travi orizzontali inserite a varie altezze nelle<br />
due facce del muro. Tale struttura "semilignea" non era per lo più visibile. Nelle<br />
stanze al pianterreno era coperta da uno strato d'intonaco fangoso, nelle stanze di<br />
soggiorno o di ricevimento da una decorazione più accurata. In questo caso la<br />
superficie era di solito finemente stuccata e spesso dipinta con affreschi. Il piano<br />
sopra a quello di fondazione è quasi invariabilmente costruito in mattoni crudi.<br />
Impianti per la captazione dell’acqua: Quello dell'approvvigionamento<br />
dell'acqua era un serio problema in estate, cotte lo è ancor oggi, e assumeva<br />
particolare importanza durante gli assedi. Furono perciò inventati molti sistemi<br />
ingegnosi per superare questa difficoltà. A Micene fu costruita alla fine del XIII<br />
secolo una cisterna segreta (erroneamente citata talvolta come Fonte Perseia) che<br />
è un miracolo di ingegneria. Le rampe di scale scendono al serbatoio. La prima è<br />
costruita all'interno ciel muro di fortificazione, le altre due sono scavate nel<br />
sottosuolo e fuori delle mura. La cisterna era alimentata dalla fonte detta Perseia<br />
(dal nome dell'eroe Perseo), che ancor oggi sg<strong>org</strong>a circa 200 metri più a monte della<br />
Cittadella. Si presunte che l'acqua fosse incanalata in un condotto sotterraneo di cui<br />
non si è rinvenuta alcuna traccia, fuorché alcuni tubi di terracotta che arrivano fino<br />
34
all'apertura del tetto sopra la cisterna. Quest'ultima non è molto grande, ma la sua<br />
capacità era enormemente accresciuta se si permetteva all'acqua di occupare tutta la<br />
rampa inferiore di scale, il cui soffitto scavato nella roccia era alto più di tre metri e<br />
mezzo. Onde evitare perdite d'acqua, questa parte della scala era ricoperta da uno<br />
strato di conglomerato cementizio impermeabile, che si conserva tuttora. La<br />
posizione o anche l'esistenza di questa cisterna potevano essere conosciute dal<br />
nemico solo grazie a una delazione: ma quand'egli l'avesse conosciuta la sorte della<br />
Cittadella sarebbe stata segnata.<br />
A Tirinto gli scavi hanno portato alla luce due s<strong>org</strong>enti sotterranee vicine, situate<br />
proprio all'esterno delle mura della fortezza inferiore. A queste s<strong>org</strong>enti si giunge<br />
attraverso due camminamenti in discesa che passano sotto il muro, costruiti in<br />
opera ciclopica e dalla copertura a modiglioni. I frammenti di ceramica dimostrino<br />
che erano ancora in uso nel periodo TE IIIIC.<br />
Mura micenee: Ai Greci dell'età successiva la<br />
costruzione di queste mura sembrò essere stata al di<br />
sopra delle possibilità untane. Solo dei giganti, i Ciclopi,<br />
potevano aver trasportato quelle pietre, e "ciclopiche" è<br />
infatti l'aggettivo usato finora per queste mura e per<br />
tutte le costruzioni ugualmente grandiose. Uno dei<br />
sistemi impiegati consisteva nel costruire una grande<br />
rampa di terra su cui i blocchi venivano fascinati fino<br />
all'altezza desiderata e poi messi in opera. Quanto più<br />
s'innalzava l'edificio, tanto più si elevava la rampa, che<br />
veniva allungata perché l'inclinazione del piano non<br />
divenisse eccessiva. E difficile credere che tale sistema<br />
possa essere servito per la costruzione delle mura<br />
ciclopiche, ma dev'essere stato possibile per sollevare e<br />
mettere in opera gli enormi architravi sulle porte<br />
d'ingresso delle tombe a tholos (il blocco più intento<br />
dell'architrave del "Tesoro di Atreo pesa circa 120<br />
tonnellate). In questi casi era il fianco della collina a<br />
servire da rampa.<br />
I grandi blocchi di pietra usati nelle mura ciclopiche<br />
erano lavorati solo in parte, e molti non lo erano affatto.<br />
Lo stato di fondazione posava su una massicciata di<br />
sassi. Le altre assise erano costruite a secco, mentre gli<br />
interstizi venivano riempiti con argilla e pietre più<br />
Fig. 37 – Fotografia di archivio realizzata ad<br />
piccole. Nelle mura di fortificazione lo spessore era in<br />
inizio ‘900 in occasione dei restauri della media di m. 4,60; a Micene esso raggiunge talvolta i m<br />
Porta dei Leoni di Micene.<br />
6,70. I blocchi ciclopici sono usati però soltanto per le<br />
due facce del muro; l'intercapedine è riempita di terra e<br />
pietre. Un'alta tecnica costruttiva, che si ritrova particolarmente a Micene e a Pilo,<br />
era quella a blocchi squadrati (grossi blocchi simmetrici venivano lavorati col<br />
martello e tagliati con la sega). Gli allineamenti erano più regolari e più orizzontali<br />
che nelle costruzioni ciclopiche. Ritroviamo questa tecnica nelle mura e nei due bastioni<br />
ai lati della Porta dei Leoni; essa conferisce senza dubbio all'ingresso un<br />
aspetto più nobile. Fu usata anche in alcune tholoi e soprattutto in quelle più recenti<br />
a Micene. Gli esempi più grandiosi sono il "Tesoro di Atreo e la 'Tomba di<br />
Clitemnestra.<br />
35
2.3 – Le tombe a fossa e le tombe a tholos:<br />
Le più antiche tombe dell'età micenea non presentano grandi differenze rispetto ai<br />
tipi già sviluppati nel periodo medio elladico. Ve ne sono di due forme: un<br />
pozzetto poco profondo scavato nella roccia tenera e appena sufficiente a<br />
contenere il corpo di un defunto, deposto su un fianco in posizione contratta; e una<br />
tomba rettangolare limitata da lastroni di piega, nota come tomba a cista. In<br />
quest'ultima talvolta i lastroni e la roccia sono sostituiti da pareti costruite in<br />
muratura, e vi può essere una copertura formata da lastroni. Il corredo funebre<br />
consisteva di solito in un unico vaso, ma molto spesso mancava anche quello.<br />
Vari studiosi pensano che il tipo molto più grande di "tomba a fossa" che seguì alla<br />
tomba ciel tipo a cista, sia semplicemente uno sviluppo di quest'ultima. Gli esempi<br />
migliori si trovano nei due Circoli funerari di Micene. La fossa poteva raggiungere<br />
una profondità di tre o quatto metri. Sul pavimento era steso uno stato di ciottoli su<br />
cui era deposto il cadavere; le pareti lunghe del sepolcro erano rivestite di bassi<br />
muretti di pietre grezze che sorreggevano il tetto ligneo. Dopo che questo era stato<br />
messo in opera, la profonda fossa veniva riempita di terra. Tavolta si poneva<br />
come segnacolo una stele scolpita o un lastrone. Alcune di queste tombe erano<br />
individuali ma altre erano molto più grandi (la più grande di tutte misura m<br />
6,40x4,50) e contenevano più deposizioni, che si presume appartenessero tutte ad<br />
una sola famiglia. Per la ricchezza del loro corredo sono state denominate tombe<br />
"reali". Nel Circolo funerario di Schliemann (ora noto come Circolo A) vi erano sei<br />
tombe di questo tipo che contenevano ciascuna da due a cinque scheletri. Solo la<br />
tomba II conteneva una singola deposizione. All'interno del Circolo si trovavano<br />
anche altri sepolcri a pozzetto. Nel Circolo B vi erano 24 tombe di cui 14 si possono<br />
definire tombe a fossa. Il loro corredo, per quanto notevole, non era così ricco come<br />
quello delle tombe del Circolo A; d'altra parte il Circolo B è un po' più antico di<br />
quello A, e risale all'inizio ciel XVI secolo. Nei due Circoli vi sono esempi di<br />
deposizioni con cadavere disteso, un uso che sembra iniziare proprio alla fine del<br />
medio elladico o poco dopo, contemporaneamente all'ampliamento delle tombe.<br />
Oggetti insoliti, che non si trovano né prima né dopo, sono le maschere d'oro poste<br />
sul viso di alcuni morti. Ne sono state scoperte cinque nelle tombe del Circolo A e<br />
undici nel Circolo B.<br />
I due Circoli funerari facevano parte di un unico grande sepolcreto che si estendeva<br />
fino a raggiungere i piedi dell'acropoli. In seguito, quando nel XIII secolo si<br />
ampliarono le mura di fortificazione della Cittadella, le tombe del Circolo A erano<br />
ancora oggetto di tale pietà religiosa da parte degli abitanti da venir separate dal<br />
resto della necropoli e incorporate nel circolo delle nuove mure ciclopiche, con non<br />
pochi inconvenienti per la<br />
difesa. Contemporaneamente<br />
si costruì, ad un livello più<br />
alto, un nuovo e più<br />
importante muro di<br />
recinzione, che ancora si<br />
conserva.<br />
L'ultimo seppellimento nelle<br />
tombe del Circolo A è<br />
datato intorno al 1500 a.C.,<br />
ma l’uso di seppellire in<br />
tombe a fossa continuò sino<br />
alla fine del TEII ( circa 1400<br />
a.C.). Tombe a fossa del TE I<br />
si conoscono anche a Heusi e<br />
a Lerna. Nel frattempo un<br />
tipo completamente diverso<br />
di tomba regia si sostituì alle<br />
tombe a fossa reali diMicene:<br />
è quello molto più grande<br />
della tholos. A pianta<br />
circolare e a forma di cupola<br />
ogivale, è costruito di solito<br />
(sempre a Micene) nel fianco<br />
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di una collina. Alla tholos si accedeva mediante un lungo corridoio (dromos)<br />
tagliato in piano nel pendio della collina. I costruttori di queste tombe a Micene<br />
sono indicati comunemente come "dinastia delle tombe a tholos". A Micene sono<br />
state scoperte nove tombe di questo tipo, che si datano tra il 1500 circa e il 1200 a.C.<br />
La loro struttura mostra un notevole progresso tecnico che raggiunge l'apogeo nei<br />
magnifici monumenti noti come Tesoro di Atreo e la Tomba di Clitennestra.<br />
Recenti ricerche hanno dimostrato che la tomba del tipo a tholos è molto più antica<br />
di quanto si supponesse all'inizio. L'esempio più antico che si conosca si trova presso<br />
l’attuale centro di Korvphasion in Messenia. La maggior parte della ceramica<br />
rinvenutavi appartiene all'ultima fase del ME; si può datare quindi alla prima<br />
metà del XVI secolo a.C. Le tombe a tholos si trovano in tutta la Grecia, e in misura<br />
minore nelle regioni più lontane dei domini micenei. Ne sono state scavate ben più<br />
di cento, ma si pensa che ce ne siano molte di più. Appaiono particolarmente<br />
concentrate in Messenia.<br />
Non si è ancora raggiunto un pieno accordo sul problema dell'origine della tomba<br />
a tholos. Tombe a pianta circolare di vario tipo sono state trovate in quasi tutto il<br />
Mediterraneo, anche nelle regioni più lontane, ma non è sempre possibile datarle<br />
con certezza. Alcune di quelle che si<br />
trovano nella Spagna meridionale<br />
sembrano essere molto antiche,<br />
poiché risalgono al III millennio a.C.<br />
(secondo recenti esami con il<br />
radiocarbonio), ma sono molto più<br />
piccole delle tholoi greche, e mal<br />
conservate. Altre, sempre nella<br />
stessa area, si avvicinano di più al<br />
tipo miceneo, ma sembrano più<br />
tarde e quindi influenzate<br />
probabilmente dal modello greco.<br />
Molto più vicina alla Grecia, l'isola<br />
di Creta aveva una lunga tradizione<br />
di tombe circolari, le più antiche<br />
delle quali possono essere collocate<br />
nel III millennio a.C. Alcune di<br />
queste tombe continuarono a restare<br />
in uso per molto tempo, fino<br />
all'ultima fase del medio elladico,<br />
quando appunto i rapporti fra Creta<br />
e la Messenia erano particolarmente stretti.<br />
Nella costruzione delle tomb e più antiche si usavano piccoli blocchi, non lavorati e<br />
scelti per la loro superficie regolare. Lo spessore delle pareti non supera i 91 cm nelle<br />
tombe più piccole. La parte inferiore della parete s'innalzava di regola perpendicolarmente<br />
al piano, a tamburo, fino a raggiungere circa un quarto dell'altezza stabilita<br />
per la tomba. Veniva allora aggiunta la cupola, costruita con un sistema di filari<br />
aggettanti, secondo un metodo costruttivo conosciuto da lungo tempo nel Vicino<br />
Oriente e a Creta. Per formare la curvatura della volta si faceva aggettare o sp<strong>org</strong>ere<br />
ciascun filare della cortina muraria su duello inferiore. L'ultimo filare della volta era<br />
formato da un unico blocco di coronamento. Lo spazio compreso fra la superficie<br />
esterna della volta e il pozzo circolare in cui si era costruita la tomba veniva poi<br />
colmato di terra pressata, e sulla sommità della volta veniva eretto un tumulo. Col<br />
progresso della tecnica edilizia furono impiegati blocchi anche più grandi, con la<br />
superficie interna accuratamente sagomata per ottenere la curvatura della volta.<br />
Nella fase finale di sviluppo furono impiegati blocchi enormi e si raggiunse la<br />
perfezione nella cupola del Tesoro di Atreo.<br />
Nella costruzione della tomba a tholos si incontrano altri due elementi: la porta<br />
d'ingresso e il dromos. La loro evoluzione nel corso dei secoli è esemplificata nel<br />
modo migliore nelle nove tholoi di Micene, anche se logicamente questo non vale per<br />
tutta la Grecia. Nelle tombe più antiche, costruite con lastre molto piccole, i blocchi<br />
dell'architrave della porta d'ingresso sono corti e non hanno quei triangoli di scarico<br />
che furono realizzati successivamente con lo scopo di deviare la pressione della<br />
sovrastruttura sui pilastri più resistenti del vano della porta. Infatti, nelle tholoi più<br />
antiche quasi tutti gli architravi sono crollati. Nel primo periodo non si trovano mai<br />
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soglie di pietra. Nelle tholoi più recenti, invece, si può notare un progresso della<br />
struttura. L'architrave è più lungo e spesso si è conservato grazie allo spazio<br />
triangolare vuoto che lo sovrasta e che diminuisce il peso incombente, e gli stipiti<br />
della porta sono costruiti con una solida muratura a blocchi squadrati. Appaiono<br />
per la prima volta le soglie, formate da blocchi di conglomerato tagliati con la<br />
sega. Quella del Tesoro di Atreo è un modello di precisione costruttiva. Infatti,<br />
poiché non era possibile che una soglia monolitica coincidesse perfettamente con<br />
l'apertura del vano d'ingresso, furono usati due blocchi fra i quali vennero inserite<br />
alcune zeppe di poros (un tipo di pietra calcarea) sistemate in modo tale da<br />
esercitare sui blocchi una pressione contro gli stipiti della porta. L'evoluzione del<br />
dromos o corridoio d'accesso alla tomba si può descrivere in breve. Dapprima il<br />
corridoio è tagliato nella roccia e non viene delimitato lateralmente da pareti in<br />
muratura. Quando ci si rese conto della loro facilità a crollare, le pareti furono<br />
rivestite con pietre grezze.<br />
L'ultima fase si riscontra nei magnifici dromoi delle tombe a tholos più recenti,<br />
costruiti con blocchi squadrati di conglomerato.<br />
La tomba a tholos più recente a Micene è quella detta di Clitennesta, del XIII<br />
secolo. In essa confluiscono i risultati di molti secoli di esperienze nel campo<br />
dell'architettura. Nel 1952-53 si scoprì un nuoto elemento: in quegli anni Wace mise<br />
in luce un bel muro<br />
curvilineo, intorno al<br />
fianco est della Tomba di<br />
Clitennesta. Era un muro<br />
di contenimento, in poros,<br />
che sorreggeva il cumulo<br />
di terra sopra la tholos.<br />
Restano inoltre tacce<br />
dell'intonaco bianco che<br />
rivestiva la sommità del<br />
tumulo, un elemento<br />
ornamentale insolito e<br />
sorprendente. Questa<br />
tomba doveva essere perciò<br />
quella che Pausania<br />
descrive come Tomba di<br />
Atreo, capo-stipite della<br />
famiglia degli Atridi e<br />
padre di Agamennone<br />
(l'autore greco era già a<br />
conoscenza della tomba<br />
Fig. 40 – Dromos della Tesoro di Atreo a Micene.<br />
più antica che descrisse<br />
come 'tesoro per il fatto che<br />
era aperta). D'alta parte, poiché non esiste per queste tholoi una datazione assoluta<br />
ma solo relativa, la "Tomba di Clitennesta” potrebbe essere quella di Agamennone e<br />
la tholos più antica quella di Atreo, a cui è riferita la tradizione.<br />
Non conosciamo molto del rito funebre delle tholoi, giacché quasi tutte erano state<br />
saccheggiate fin dall'antichità. Una fortunata eccezione è costituita da una piccola<br />
tholos situata nei pressi del palazzo di Nestore a Pilo. La tomba sfuggì miracolosamente<br />
al saccheggio, forse in seguito ad un antico crollo della volta (attenuto<br />
probabilmente nel XlV secolo), e poi per il fatto di essere passata inosservata nei<br />
tempi agitati che seguirono. La tomba, che misura m 5,50 di diametro, conteneva un<br />
gran numero di deposizioni (circa 23). Quattro di queste, le più antiche, erano<br />
contenute in pithoi (grandi vasi per le provviste); il che rappresenta un'usanza che in<br />
Grecia appare sporadicamente nel tardo periodo medio elladico e di solito nei<br />
tumuli, ma che invece era comune a Creta in quel tempo. Un defunto era stato seppellito<br />
in un vaso a becco di tipo cretese. Le ossa di un alto defunto erano<br />
contenute in vaso dello "stile di Palazzo". Lo stesso rito funebre fu forse seguito in<br />
una tholos a Kakovatos, circa 65 km più a nord, sulla costa. Vi furono rinvenuti<br />
frammenti di diversi vasi dello "stile di Palazzo" e un gran numero di ossa sparse<br />
nella tomba.<br />
Le altre deposizioni della tomba di Pilo, ad eccezione dell'ultima erano<br />
ammucchiate in piccoli pozzetti scavati per l'occasione. Si tratta di un uso comune<br />
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nelle tombe micenee, perché in ambienti di ridotte dimensioni non esistevano alar<br />
alternative se si voleva creare uno spazio sufficiente per le solenni esequie<br />
dell'ultimo defunto. Nel nostro caso, l'ultimo seppellimento era stato eseguito<br />
deponendo il cadavere disteso nel mezzo della tomba con tutti gli oggetti che gli<br />
erano stati cari in vita; un pugnale accanto al fianco sinistro, una freccia fra le<br />
gambe, una piccola tazza di bronzo dietro la testa, uno specchio di bronzo sul basso<br />
ventre (gli specchi infatti erano diffusi anche fra gli uomini), e un vasetto, forse<br />
contenente unguenti, sul fianco. Sul petto erano deposti un punteruolo di bronzo<br />
con manico d'avorio e una figurina femminile. Poiché nessun pezzo di ceramica in<br />
questa tomba è più tardo del periodo di transizione fra TEII e TEIII (cioè circa 1400<br />
a.C.), questa è una delle più antiche statuette micenee elle si conoscano.<br />
La suppellettile funebre della persona deposta nel pithos è piuttosto interessante.<br />
Insieme con una delle anfore più antiche, con una decorazione di tradizione medioelladica,<br />
vi erano un calderone non molto profondo, una lunga spada e un pugnale,<br />
tutti di bronzo; sul fondo del vaso fu trovato un frammento di una foglietta<br />
circolare d'oro. Con un altro vaso, anch'esso dipinto nello stile medio elladico, si<br />
trovavano quattro lunghe spade, due punte di freccia di selce e un calderone<br />
profondo che conteneva alcuni strumenti di bronzo. All'interno del vaso e<br />
frammisti con le ossa vi erano parecchi lunghi spilloni di bronzo, forse usati per<br />
tenere chiuso il sudario, ed un frammento di un vaso d'argento decorato a sbalzo. II<br />
vaso a becco di formas cretese conteneva soltanto una tazza di terracotta del tipo di<br />
Vapiò, ma accanto vi erano tre lunghe spade e due pugnali. II quarto vaso dello "stile<br />
di Palazzo", e quindi più recente degli altri (XV secolo), conteneva soltanto lo<br />
scheletro. Due pozzetti, che contenevano gli scheletri rimossi, erano privi di<br />
suppellettili, ma in uno di essi furono rinvenuti sei pugnali e tre frammenti di foglia<br />
d'oro che facevano parte di un elegante diadema, peraltro di dimensioni molto più<br />
piccole dei magnifici esemplari rinvenuti nelle tombe a fossa di Micene . Molte delle<br />
armi trovate in questa tholos si possono raffrontare con quelle delle tombe a fossa.<br />
La tomba in effetti fu probabilmente in uso per circa centocinquanta anni.<br />
La suppellettile di questa tholos è stata descritta con una certa minuziosità perché è<br />
una delle poche giunte fino a noi relativamente intatte. Non si tratta di una tomba<br />
ricca, tuttavia ci testimonia lo stato sociale di una famiglia, probabilmente principesca,<br />
che viveva in quella regione.<br />
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Riti funebri: Dei riti funebri che si svolgevano in una tholos alla morte di un<br />
personaggio della famiglia regale si può dire ben poco, e anche questo poco è assai<br />
ipotetico. La grande tomba a volta doveva essere vista probabilmente in tutto il suo<br />
splendore quando veniva aperta per accogliere le prime esequie della famiglia reale.<br />
Nel tesoro di Atreo, la processione funebre risaliva lentamente il lungo dromos tra<br />
le pareti laterali che si facevano sempre più alte quanto più si penetrava nel cuore<br />
della collina. Di fronte, si levava il grande ingresso con la complessa decorazione<br />
scolpita dei suoi elementi architettonici e le alte semicolonne ai lati della porta. I due<br />
battenti della grande porta di bronzo con le loro borchie dorate dovevano aprirsi<br />
verso l'interno per accogliere il corteo e<br />
nella debole luce la volta, con le sue<br />
fasce orizzontali di bronzo, doveva<br />
brillare per i riflessi di mille rosette<br />
d'oro. Sul pavimento di terra battuta<br />
era stato disteso un tappeto d'oro per<br />
accogliere il corpo del re, vestito con i<br />
suoi abiti di cerimonia, con il capo<br />
cinto dal diadema, con i sigilli del suo<br />
potere legati al polso e il suo pugnale<br />
preferito al fianco. Intorno a lui<br />
venivano deposti i vasi con il cibo, le<br />
bottiglie di vino, i vasetti di olio e<br />
unguento, e tutto ciò che era<br />
necessario al sostentamento e alla cura<br />
del suo corpo nell'ultimo viaggio. Vi si<br />
aggiungevano anche le armi di guerra:<br />
spade, pugnali, lance, il possente scudo<br />
a forma di 8, la faretra piena di frecce,<br />
e l'arco.<br />
Una delle spade ha un ruolo<br />
particolare: mentre si pronunciano<br />
solenni formule magiche, la sua<br />
lama viene piegata, così che il suo<br />
spirito sia libero e pronto a combattere<br />
Fig. 42 – Deposizioni funerari all’interno di una piccola tholos<br />
per il suo signore, nel caso che demoni<br />
scoperta presso il palazzo di Nestore a Pilo..<br />
minacciosi gli chiudano il cammino. Si<br />
dà quindi il segnale all'uccisione dei cavalli, che hanno trainato il carro con il feretro<br />
e che, inquieti per la loro sorte, scalpitano nervosamente nel dromos. Infine si<br />
procede, nell'interno, al sacrificio degli arieti e di altri animali. Si accendono fuochi,<br />
si arrostiscono gli animali immolati, e tutti prendono parte al banchetto funebre.<br />
Alla luce del fuoco che si sta estinguendo i partecipanti alla cerimonia funebre<br />
gettano le ultime offerte al defunto, prima di ritirarsi. Quando la grande porta si è<br />
richiusa, si può cominciare a murare l'ingresso. Le persone del corteo passano nel<br />
dromos, evitando con cura i cadaveri dei cavalli, diligentemente collocati uno di<br />
fronte all'altro; si fanno strada in mezzo alle file serrate degli schiavi allineati lungo il<br />
dromos, e quando escono nuovamente alla luce, vedono proiettate sui muri del<br />
dromos le ombre di altri schiavi e, dietro di loro, cumuli di terra. All'ingresso del<br />
lungo corridoio sono stati già messi in opera alcuni grossi blocchi di pietra, e si può<br />
ora cominciare ad interrare il dromos.<br />
Questo che si è descritto è naturalmente un quadro composito ricostruito con un po'<br />
di fantasia, e presenta un rituale che non era seguito in tutti i funerali. Abbiamo, per<br />
esempio, una sola testimonianza dell'uccisione dei cavalli nel dromos, portata alla<br />
luce durante la ripresa dello scavo ciel dromos di una tomba a tholos, già scavata in<br />
passato, nei pressi di Maratona<br />
Il secondo seppellimento nella stessa tomba e quelli successivi dovevano essere<br />
molto meno solenni. Se la morte era sopravvenuta all'improvviso e nel colmo<br />
dell'estate, nemmeno un esercito di schiavi avrebbe fatto in tempo, pur lavorando<br />
febbrilmente, a liberare il dromos dalla terra e a smantellare il puro di pietre che<br />
chiudeva l'entrata. In questo caso si sterrava in parte il dromos, così da formare<br />
una rampa, e si smantellava soltanto la parte superiore del muro che chiudeva<br />
l'ingresso. Il corteo poteva così salire la rampa e scendere per mezzo di scale a pioli<br />
nella tomba. Poiché l'aria all'interno non doveva essere molto respirabile, si<br />
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accendevano, probabilmente, dei fuochi e si bruciavano degli aromi per purificarla<br />
prima della nuova cerimonia. Per ospitare la nuova sepoltura, i resti di coloro che<br />
erano morti in precedenza venivano raccolti insieme e deposti in un sepolcro scavato<br />
in fretta vicino alla parete interna della tholos. Durante questi lavori preparatori, che<br />
vedevano impegnate tante persone, è probabile che venissero commessi molti<br />
piccoli furti, e nessuno avrà protestato se qualche membro della famiglia si<br />
riprendeva degli oggetti preziosi che poteva reclamare come propri. Debolezze<br />
umane.<br />
Se la seconda inumazione non aveva la dignità della prima, le successive dovevano<br />
essere ancora più macabre. Oltre al fatto di muoversi con difficoltà per entrare e<br />
uscire dalla tomba, c'era sempre meno spazio via via che nuove salme venivano<br />
deposte e le precedenti erano messe da parte. Si dovevano scavare nuovi pozzetti,<br />
oppure quelli già esistenti venivano riempiti del tutto con l'ultimo scheletro. E’ l’<br />
immagine poco piacevole, che ci offre la piccola tholos di Pilo.<br />
I riti funebri ora descritti non venivano celebrati soltanto nelle tombe regali, ma<br />
erano comuni a tutte le classi sociali e durarono per tutta l'età micenea. Cambiava<br />
solo il tipo di sepoltura. I più poveri non potevano permettersi altro che il semplice<br />
tipo di tomba usato dai loro antenati medio-elladici, mentre fra la nobiltà e le classi<br />
più abbienti era quasi universalmente diffuso l'uso di seppellire i defunti in tombe a<br />
camera.<br />
Quest'uso inizia nel TEI, ma un<br />
poco prima in Messenia. Secondo<br />
alcuni studiosi, questi sepolcri<br />
sono copie delle tombe egiziane<br />
scavate nella roccia durante il<br />
Medio Regno; altri invece,<br />
vogliono farli procedere da Creta.<br />
In Messenia, alcuni fra i più<br />
antichi esempi di tombe a<br />
camera sembrano quasi la copia<br />
in piccolo di una tholos, poiché<br />
riproducono la pianta circolare e<br />
perfino la cupola a sezione<br />
ogivale. Di solito tuttavia la<br />
pianta è approssimativamente<br />
quadrata o rettangolare, con gli<br />
angoli stondati. Come la tholos,<br />
queste tombe sono scavate nel<br />
fianco di una collina e vi si<br />
accede per mezzo di un corridoio<br />
aperto, o dromos, che veniva<br />
Fig. 43 – Sezione delle tombe in grotticella (a proto tholos) della Messenia.<br />
colmato di terra dopo il<br />
seppellimento; la differenza<br />
principale, oltre alle dimensioni, consiste nel fatto che le sole parti costruite sono il<br />
muro che chiude l'ingresso alla camera e gli eventuali rinforzi delle pareti rocciose.<br />
Ad evitare il pericolo che il soffitto crollasse, questo era costruito di solito a quatto<br />
spioventi leggermente inclinati, ma questa precauzione spesso non servì a nulla. Le<br />
pareti del dromos erano spesso inclinate all'interno cosicché la larghezza del<br />
passaggio si restringeva dal basso verso l'alto. Questo stesso schema si ritrova a volte<br />
nel vano d'accesso, che somiglia perciò all'ingresso delle tombe egiziane. Il<br />
pavimento del dromos scendeva con un leggero pendio verso la camera. Nel TEI e II<br />
il dromos è generalmente breve e largo, ha una pendenza piuttosto ripida e<br />
talvolta dei gradini. Nel TEIII la pendenza è leggera e il corridoio può essere lungo<br />
anche più di 30 metri.<br />
Le tombe a camera erano sepolcri di famiglia e quindi, come le tholoi reali,<br />
venivano riaperte per ogni successiva inumazione. Il defunto era deposto al centro<br />
della tomba, di solito in posizione supina, con la testa talvolta sorretta da un cuscino<br />
di pietra. Era sepolto con tutti i suoi abiti addosso, come attesterebbero dei bottoni<br />
trovati a volte sullo scheletro. Oltre agli oggetti personali, il corredo funebre<br />
comprendeva di solito alcuni vasi, per lo più d'argilla. Quando avveniva la nuova<br />
deposizione, il corpo, se lo spazio lo consentiva, veniva spostato verso i margini,<br />
ma quando la tomba era piena i suoi primi occupanti venivano deposti entro i<br />
41
pozzetti. Talvolta, quando c'era, si usava come ossario una camera laterale.<br />
Occasionalmente le sepolture precendenti venivano relegate in una nicchia aperta<br />
nella parete o in un pozzetto scavato nel dromos. Il sistema più radicale consisteva<br />
nel ripulire tutta la tomba, gettare le ossa nel dromos e ricominciare da capo.<br />
Letture consigliate:<br />
- Pierre Demargne, Arte egea, Feltrinelli e Rizzoli, Milano, 1964 e successive riediz.<br />
Rizzoli; nuova ediz. con il titolo Arte egea: i primordi dell'arte greca, Corriere della Sera-<br />
RCS -Quotidiani, Milano, 2005 (introduz. generale alla civiltà micenea)<br />
- William Taylour, I Micenei, Il Saggiatore, Milano, 1966; nuova ediz. aggiornata:<br />
Giunti, Firenze, 1987<br />
- (a cura di) Gianfranco Maddoli, La civiltà micenea: guida storica e critica,<br />
Laterza, Roma-Bari, 1977; nuova ediz. ampliata 1992<br />
- (a cura di) Massimiliano Marazzi, La società micenea, Editori Riuniti, Roma, 1978;<br />
nuova ediz. ampliata: Il Bagatto, Roma, 1994<br />
- John Chadwick, Il mondo miceneo, Mondadori, Milano, 1980<br />
- Wolf-Dietrich Niemeier, Nascita e sviluppo del mondo miceneo;<br />
- Alexander Uchitel, Preistoria del greco e archivi di palazzo;<br />
- Lucia Vagnetti, Espansione e diffusione dei Micenei; questo saggio e i due<br />
precedenti in (a cura di) Salvatore Settis, I Greci: storia, cultura, arte, società, Einaudi,<br />
Torino, 1997 (vol. II, tomo 1); ripubblicata anche come AA.VV. Storia Einaudi dei Greci e<br />
dei Romani, Ediz. de "Il Sole 24 Ore", Milano, 2008 (vedi il vol. 3°)<br />
- Louis Godart, Popoli dell'Egeo: civiltà dei palazzi, Silvana editoriale, Cinisello<br />
Balsamo, 2002<br />
- Rodney Castleden, I Micenei e le origini dell'Europa, ECIG, Genova, 2007<br />
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