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Verso la fine del 1973 arrivarono nel<br />
nostro paese quattro giovani preti.<br />
A vederli per la strada non sembravano<br />
affatto dei sacerdoti perché vestivano<br />
come tutti i giovani della loro età<br />
ed avevano un atteggiamento ben diverso<br />
da quello dei curati che eravamo abituati<br />
a vedere da sempre. Ci si rivolgeva<br />
loro usando il “tu” e senza mettere davanti<br />
al nome il tradizionale “don”. Per tutti erano<br />
semplicemente Gigi, Corrado, Sergio<br />
e Piergiorgio. Una piccola rivoluzione, per<br />
quei tempi. Ma la cosa che fece più scalpore<br />
fu il fatto che questi giovani avevano<br />
deciso che si sarebbero guadagnati da<br />
vivere lavorando, come qualsiasi altra persona.<br />
Sarebbero quindi stati preti-operai.<br />
Eccola, la rivoluzione, quella vera. Ma ecco<br />
anche lo scandalo e la paura della Gerarchia.<br />
<strong>Il</strong> vento del Sessantotto aveva infatti<br />
soffiato anche sul Seminario alimentando<br />
nuove idee e nuove speranze nei<br />
giovani aspiranti preti. Non era più possibile<br />
star fermi o pregare e basta. Bisognava<br />
darsi da fare, partecipare, comprendere,<br />
lavorare. Appunto, lavorare.<br />
Ecco la nuova strada. Ma lavoro significa<br />
anche indipendenza economica e l’indipendenza<br />
convive difficilmente<br />
con l’obbedienza. <strong>Il</strong> Vescovo Carraro<br />
aveva capito tutto e cercava i<br />
rimedi. Ma era anche quel vescovo<br />
che mesi prima aveva celebrato<br />
la Messa di Natale nella cartiera<br />
occupata dagli operai. Non poteva<br />
tradire se stesso, ma non poteva<br />
nemmeno sciogliere tutte le<br />
briglie e lasciare i cavalli galoppare<br />
liberamente nella prateria.<br />
Diamine, anche lui doveva in<br />
qualche modo rendere conto, giustificare.<br />
La soluzione fu trovata<br />
ed ai quattro venne concessa l’opportunità<br />
di lavorare e di avere<br />
una chiesa a disposizione.<br />
Era nata la Comunità della Madonnina.<br />
Per interessamento di<br />
Don Leone che, a suo modo, era<br />
stato un anticipatore dei preti-operai perché<br />
era riuscito a costruire una chiesa raccogliendo<br />
la carta, trovarono ospitalità<br />
nella “corte de Baeardèla”, cioè Ca’ dei<br />
Sordi. Era una tipica corte agricola usata<br />
spesso come luogo di accoglienza di lavoratori<br />
stagionali, di girovaghi, o di gente<br />
che aveva bisogno di sistemazioni provvisorie<br />
o di emergenza.<br />
Ca’ dei Sordi diventò presto un punto di riferimento<br />
per chiunque fosse alla ricerca di<br />
qualcosa. Era il luogo d’incontro di sindacalisti,<br />
di studenti-lavoratori, di operai che<br />
avevano voglia di capire meglio i problemi<br />
della società, di donne che finalmente<br />
trovavano uno spazio per far sentire la loro<br />
voce. Tutto questo in un vero clima di<br />
amicizia, anche se talvolta le discussioni<br />
I Fedayn della<br />
Madonnina<br />
La sorprendente esperienza dei preti-operai a San Giovanni<br />
Arrivati nel 1973, hanno dato vita alla Comunità della Madonnina.<br />
Ca’ dei Sordi rasa al suolo, un brutto ricordo<br />
erano molto animate e sembravano baruffe.<br />
Naturalmente in paese giungeva l’eco<br />
di quello che succedeva ed i preti della<br />
Madonnina vennero subito soprannominati<br />
“i Fedayn”. L’arrivo in Ca’ dei Sordi<br />
di una famiglia di profughi cileni, fuggiti<br />
dalla dittatura di Pinochet, rafforzò nella<br />
gente la convinzione che in paese fossero<br />
arrivati dei rivoluzionari. I fedeli tradizionali,<br />
le pie donne, i basabànchi, spaventati,<br />
abbandonarono la Madonnina e si rifugiarono<br />
sotto l’ala protettiva della chiesa<br />
grande, ma il santuario tanto caro ai Lupatotini<br />
non rimase vuoto. Anzi, si riempì<br />
come mai si era visto prima. E si riempì di<br />
gente che non aveva mai frequentato la<br />
chiesa o che vi aveva messo piede solo in<br />
rare occasioni. Ed in chiesa, adesso, la gen-<br />
te poteva prendere in mano il<br />
microfono e parlare. All’inizio,<br />
con difficoltà perché non era facile<br />
per nessuno trovare il coraggio<br />
di parlare in pubblico ma,<br />
un po’ alla volta, la gente prese<br />
confidenza anche col microfono<br />
e cominciò ad esprimersi.<br />
Col passare del tempo, “i Fedayn”<br />
diventarono per il paese<br />
“i Butèi”, segno che non erano<br />
più visti<br />
come rivoluzionari, ma come<br />
tutti gli altri giovani, che indossavano<br />
la tuta e andavano a lavorare.<br />
Anche la corte di Ca’ dei Sordi<br />
non c’era più. Era stata abbattuta<br />
dai soliti speculatori che in<br />
questo paese sembrano averla sempre<br />
vinta. Intanto, Sergio e Piergiorgio avevano<br />
fatto altre scelte ed alla Madonnina<br />
erano rimasti soltanto Gigi e Corrado, oggi<br />
diventati quasi un’istituzione per il paese<br />
e comunque un punto di riferimento<br />
per il centinaio di famiglie che oggi partecipa<br />
alla Comunità.<br />
Sulla loro esperienza, ciascuno può pensare<br />
quello che gli pare, ma credo d’interpretare<br />
il parere di molti se dico che<br />
questo paese li deve ringraziare per quello<br />
che hanno fatto e che ancora stanno facendo.<br />
Se poi uno è cristiano e quindi crede<br />
o spera in Gesù Cristo, li deve ringraziare<br />
doppiamente perché questi “butèi”,<br />
preti lo sono davvero.<br />
Igino Maggiotto