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A SCUOLA DI FAUNA

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Graziano Fabris<br />

A <strong>SCUOLA</strong> <strong>DI</strong> <strong>FAUNA</strong><br />

Curiosità, modi di dire, proverbi, aneddoti, miti e leggende sugli animali<br />

Disegni di Tiziana Forese, Luca e Marialuisa Dal Poz


PREFAZIONE<br />

Un occhio laico capace di cogliere preziose notizie del mondo animale.<br />

Fabris è riuscito a capire con invidiabile eclettismo e curiosità le informazioni<br />

sugli animali, ovunque esse si siano esplicitate o si siano nascoste.<br />

Non importa che esse fossero celate nei suoi ricordi di ragazzo, o nella sua<br />

esperienza di allevatore; non importa che esse fossero espresse in testi scientifici<br />

o nei racconti di vecchi contadini o cacciatori; o che fossero nascoste<br />

tra le righe di una favola, nella mitologia o nella letteratura.<br />

L’autore, con abilità e passione, ha saputo scovare tutto quello che serve per<br />

incuriosirci ovunque abbia ritenuto di poter cogliere un particolare, una tradizione<br />

o un aneddoto.<br />

Ha saputo porsi come investigatore vivo e curioso per conoscere l’animale<br />

nelle sue interazioni con chi lo sta osservando.<br />

Auguro agli studenti di apprezzare questa raccolta per far luce sulla conoscenza<br />

del mondo degli animali e degli uomini che con essi condividono una<br />

nicchia ecologica.<br />

Agli insegnanti va il prezioso compito di aiutare i ragazzi a sistematizzare e<br />

organizzare i numerosi e variegati spunti contenuti in questo lavoro.<br />

Allo scrittore auguro che questa pubblicazione sia solo l’inizio e attendo con<br />

curiosità le sue prossime storie.<br />

Leonardo Muraro<br />

Presidente Vicario della Provincia di Treviso


PRESENTAZIONE DELL’AUTORE<br />

Questo libro, è dedicato a tutti i ragazzi in età scolare che ho incontrato nell’ambito<br />

del progetto di educazione ambientale voluto dalla Provincia di Treviso.<br />

In esso, non sono presenti le solite monografie che si trovano nei vari libri di animali,<br />

ma una raccolta di esperienze, di curiosità, di particolarità, di leggende, di<br />

aneddoti e di proverbi, che per secoli sono stati vissuti, raccontati e tramandati,<br />

quando uomini e animali vivevano gli uni accanto agli altri in un habitat ormai del<br />

tutto scomparso.<br />

Cari ragazzi, queste mie conoscenze partono da molto lontano, da quando ero un<br />

ragazzino come voi e appena tornato da scuola e fatti i compiti, “scappavo” da<br />

casa e andavo “per campi” dove potevo incontrarmi con un mondo animale, che<br />

viveva in un habitat ideale, in perfetta simbiosi con l’uomo. E davanti ai miei occhi,<br />

di bambino innamorato degli animali e della natura, potevo osservare questo<br />

mondo fantastico, che con il passare degli anni ha finito con lasciarmi un segno<br />

profondo fatto di ricordi, di attese, di incontri, di sensazioni, le stesse che erano state<br />

di tanti altri bambini che le avevano vissute prima di me, ma che le mie generazioni<br />

purtroppo non hanno saputo tramandare e che voi oggi, purtroppo, potete soltanto<br />

ascoltare e rivivere con un po’di immaginazione come in una favola bella. E<br />

sì, scappavo proprio di casa ogni qualvolta riuscivo ad eludere la vigilanza di<br />

nonna Maria, che non poteva certo competere con la mia vivacità e doveva accontentarsi<br />

di seguirmi da lontano, timorosa, che andassi, come si soleva dire allora, a<br />

“pericolarmi”. Allora, erano i primi anni ‘50, la gente lavorava la terra con la<br />

forza delle braccia, e, per questo, la campagna era molto frequentata da un nugolo<br />

di bambini di tutte le età, da genitori, da nonni e da vicini di casa che prestavano<br />

la loro opera e che trascorrevano nei campi l’intera giornata. Il lavoro era così<br />

tanto, che, per non perdere troppo tempo, spesse volte il frugale pranzo veniva portato<br />

direttamente sul posto e i lavoranti si sedevano all’ombra di un albero per mangiare<br />

quel poco che era stato cucinato per loro. La vita era disciplinata dal sole e<br />

dal canto del gallo, che davano la sveglia e l’inizio al lavoro. Era poi scandita dalla<br />

5


campana che rintoccava il mezzogiorno, allora il lavoro s’interrompeva, e suonava<br />

la sera, quando il lavoro cessava. Ed era ancora la campana a suonare a festa,<br />

la domenica, quando lavorare era peccato, quando finalmente si poteva mettere il<br />

vestito buono e mangiare con tranquillità, magari un po’di pane, anziché la solita<br />

polenta. Nella campagna che si estendeva per qualche kilometro intorno a casa<br />

mia, mi conoscevano tutti e nonostante fossero molto gelosi del loro terreno, guai<br />

per esempio calpestare l’erba, quando mi<br />

vedevano comparire mi accettavano di buon<br />

grado, sapendo di questa mia grande passione.<br />

Sovente mi intrattenevo con i più vecchi<br />

e chiedevo di raccontarmi le loro esperienze,<br />

i loro fortuiti incontri con gli animali<br />

e, da essi, sapevo che in quel determinato<br />

luogo potevo vedere un nido di Fringuello o<br />

la tana di un Riccio.<br />

Raccoglievo tutte queste notizie e questi<br />

RAMARRO<br />

insegnamenti nel mio (tipico per quegli<br />

anni), quadernone con la copertina nera e i fogli bordati di rosso del quale ero gelosissimo.<br />

In esso, registravo pure i miei incontri e le mie esperienze. Ricordo ancora<br />

adesso quelli con il Ramarro (Boretoeon), un lucertolone lungo una trentina di centimetri<br />

che incuteva un certo timore anche agli adulti; mi sembra adesso quando lo<br />

vedevo attraversare velocissimo un viottolo per scomparire subito dopo nella fitta<br />

vegetazione di una siepe o in un campo coltivato. Era un lampo, una visione, che<br />

durava pochi secondi, ma mi riempiva il cuore di una gioia immensa che mi ripagava<br />

abbondantemente per la passione che nutrivo per questo mondo fantastico.<br />

Ricordo del Ramarro i suoi colori bellissimi, quel verde-giallo-azzurro, che ai raggi<br />

del sole assumevano dei riflessi intensi e particolari. Qualche volta sul ciglio del<br />

fossato quando si sentiva al sicuro, il “sauro”, si fermava e volgeva la testa verso<br />

di me, avevo così qualche attimo di più per ammirarlo in tutta la sua bellezza.<br />

Ricordo quando, al mattino, sentivo nonna Maria raccontare con partecipe dispia-<br />

6


cere, che la Donnola (el Puisatt), aveva<br />

distrutto il pollaio a “quella” famiglia; e<br />

allora correvo in quel luogo, perché sapevo<br />

che di lì a poco, sarebbe scattata la “caccia”<br />

ai piccoli terribili mustelidi artefici del<br />

“misfatto”, e allora volevo assistervi, anche<br />

se provavo un certo dispiacere per la loro<br />

uccisione. Proprio così, mi dispiaceva, per-<br />

RAGANELLA<br />

ché pur sapendo che quella disinfestazione<br />

era giustificata, la (Bea Donoea) (altro nome dialettale che indicava la Donnola),<br />

era così bella ed elegante nelle sue movenze, che mi piangeva il cuore vederla uccidere<br />

e quasi tifavo perché qualche esemplare riuscisse a fuggire. Ma la lotta era<br />

impari, e quando i mustelidi venivano stanati e uscivano dal loro rifugio, inseguiti<br />

dai cani e dagli uomini, pur dimostrando di possedere un’agilità e una vivacità<br />

incredibile (vendevano cara la pelle), finivano prima o dopo per cadere nelle fauci<br />

dei cani e molto più spesso sotto i randelli degli uomini. Scene cruente, scene che<br />

si ripetevano frequentemente nella quiete delle contrade dei nostri paesi, ma che<br />

purtroppo erano atti dovuti perché il danno arrecato all’economia della povera<br />

famiglia, era già molto grande e nessuno poteva permettersi il rischio che il misfatto<br />

si ripetesse dopo qualche giorno. Nel mio continuo peregrinare per la campagna<br />

m’imbattevo sovente con la Raganella verde (a Racoeta), che prendevo in mano e<br />

con la quale giocavo, divertendomi a farle<br />

fare dei saltelli per poi lasciarla libera, in<br />

mezzo al verde di un prato, non ancora<br />

avvelenato dall’uomo. Nelle ore del mezzogiorno,<br />

mi dilettavo ad ascoltare il frinire<br />

delle Cicale che cantavano in continuazione,<br />

così come la sera, me ne stavo seduto in<br />

silenzio in mezzo all’erba ad ascoltare il<br />

canto dei Grilli e il gracidare dei Rospi. Per<br />

CICALA<br />

7


il gorgheggio dell’Usignolo poi, avevo una particolare predilezione, sapevo dove<br />

potevo incontrare e ascoltare questi splendidi cantori, e allora mi nascondevo<br />

all’interno della siepe e rimanevo rapito per ore, con la bocca aperta, trattenendo<br />

persino il respiro per poter godere intensamente la melodia del principe degli uccelli<br />

cantori. Nell’interno della siepe, ero solito trascorrere molto del mio tempo. La<br />

siepe, era un luogo dove crescevano alberi<br />

di diversi tipi, unitamente a cespugli e arbusti,<br />

e questo era l’habitat ideale dove trovavano<br />

protezione e cibo decine di specie di<br />

animali. Nelle siepi, tra gli altri, erano presenti<br />

due alberi entrambi tagliati a capitozza,<br />

un sistema di taglio questo che permetteva<br />

di ottenere dalla pianta dei pali dritti e<br />

vigorosi (atoe), molto utili nelle case per<br />

costruire dei recinti e in agricoltura per<br />

CINCIARELLA<br />

diversi impieghi. Questi alberi erano il<br />

Salice bianco (el Selgher), e il Pioppo (el Talpon), che raggiunta una certa età aprivano<br />

nei loro tronchi una grande quantità di anfratti e buchi diventando così dei<br />

veri e propri ricettacoli per mammiferi, uccelli e invertebrati. Su questi tronchi, in<br />

parte marcescenti, prosperava una vita che mi appassionava e dove trovavano ospitalità:<br />

la Cinciarella (Parussoea), il Picchio, la Passera mattugia, il Pipistrello<br />

(Notol), e poi la Donnola, il Topo di campagna, il Riccio, la Lucertola (Boretoea) e<br />

via via tanti altri, e proprio questi alberi rappresentavano per questi animali delle<br />

vere e proprie dispense, dove, senza tanta fatica, potevano trovare un’infinità di<br />

insetti, larve, tenebrioni, mosche, formiche, chioccioline ecc. ecc.. Bastava sostare<br />

in silenzio e nell’immobilità più assoluta, per poter assistere al via vai della vita frenetica<br />

di tutti questi animali specialmente quando arrivava la buona stagione. E’<br />

rimanendo nelle siepi, che ho imparato ad affinare la mia vista e il mio udito, è stato<br />

lì nelle siepi, che ho potuto assistere al dipanarsi della vita di tanti animali, ed è<br />

stato ancora lì nelle siepi, che ho imparato a conoscerli e a capire quanto essi fos-<br />

8


sero importanti per l’uomo. Sono ricordi molto nitidi, come quando ho avuto la fortuna<br />

di osservare nove “pullus” di Cinciarella, uscire dal nido per volare sui rami<br />

più alti, e, poi, piano piano allontanarsi seguiti dai genitori instancabili nel nutrirli;<br />

o come quando a non più di tre metri, ho potuto vedere una cucciolata di cinque<br />

Ricci, che in fila indiana, seguivano la propria madre, che vedendomi si fermò per<br />

un attimo per poi, come se non esistessi, attraversare il fosso con la stessa tranquillità<br />

con la quale era arrivata. Erano anni in cui le strade erano ancora in terra battuta,<br />

ed erano percorse da qualche carretto trainato dai buoi e solo raramente dalle<br />

poche automobili che le percorrevano sollevando polveroni incredibili, e, il silenzio,<br />

era ancora un pregio di cui godere; ecco che allora, si potevano udire suoni,<br />

voci, canti di una vita umana e animale che si spargeva nella campagna e nella<br />

campagna si propagava. L’inquinamento acustico provocato dai rombi dei motori<br />

delle vetture e dalle macchine industriali, era poca cosa, per questo, in primavera,<br />

potevo sentire provenire, anche dalle case più lontane, il canto delle galline dopo la<br />

deposizione dell’uovo, ed era questo un coro che si ripeteva in continuazione per<br />

ore e rappresentava una gradita “comunicazione”, perchè questi canti venivano<br />

addirittura contati dalle donne nei campi, le quali al ritorno, sapevano già quante<br />

uova potevano raccogliere nei vari covi sparsi nel pollaio e nell’aia. In estate poi,<br />

erano mille e mille, le voci che si potevano udire, perchè cantavano gli uomini nei<br />

campi, e cantavano gli uccelli nell’aria ed erano tutti inni alla vita e alla gioia. Con<br />

l’arrivo dell’inverno, i lavori diminuivano, la vita rallentava i suoi ritmi, ma il mese<br />

di dicembre era dedicato all’uccisione del Maiale, così mi capitava di sentire il suo<br />

grido di dolore e allora mi dirigevo verso quella casa, dove si stava compiendo<br />

quello che era quasi un “rito” e in ogni caso un momento importante che la famiglia<br />

attendeva, e, per il quale, fremevano già da giorni, attese e preparativi.<br />

Ricordo, quel pentolone fumante ricolmo di acqua bollente, attorno al quale si<br />

affaccendavano uomini e donne, e un gruppo di bambini di tutte le età un po’discosti<br />

che assistevano in silenzio, così, come ricordo quei visi paonazzi per il freddo,<br />

sui quali si vedeva disegnata una gioia immensa, che di certo non proveniva dal<br />

fatto che avevano ucciso un animale, ma perché sapevano che esso rappresentava<br />

9


un “bene” immenso, un elemento essenziale per la loro sopravvivenza. Ed era<br />

grande la cura e la conoscenza con la quale trattavano quell’animale e le sue<br />

carni, dividendole, sezionandole, secondo la loro particolarità, perché ognuna era<br />

adatta ad un tipo di salume che successivamente veniva sapientemente lavorato,<br />

asciugato e conservato per tutto l’anno. Nell’occasione, non mancava il classico<br />

tradizionale, immancabile scherzo, che alla fine provocava risate e scherno da<br />

parte degli adulti, e un po’di rabbia da parte di chi lo aveva subito. E’toccato del<br />

resto a tutti i ragazzini, ed era un po’il pedaggio che ognuno doveva pagare prima<br />

di essere accettato nel mondo dei più grandi. Si soleva infatti dire che dopo questo<br />

scherzo: “ti saresti fatto uomo, ti saresti svegliato”. Accadeva, che ad un certo<br />

punto, si faceva avanti il salumiere e con fare deciso ti diceva: vai in quella casa<br />

e chiedi a “Piero”, che ti dia lo “stampo per i salami”. Sembrava quasi che “Il<br />

Piero” ti stesse aspettando, che fosse stato nel frattempo informato del tuo arrivo,<br />

eppure non c’era ancora il telefono e nessuno lo avrebbe potuto informare anche<br />

perché, quel tratto di strada tu lo avevi fatto correndo velocemente. Dopo qualche<br />

attimo di attesa, “Piero” ti consegnava un sacco pesantissimo, che con tutte le tue<br />

forze riuscivi a stento a trascinare fin da dove eri partito, e consegnarlo al salumiere.<br />

Arrivavi sfinito, ma anche felice perché pensavi di esserti reso utile. Una<br />

volta però aperto il sacco, vedevi che esso era pieno di mattoni, pezzi di ferro e<br />

altri materiali pesanti, che niente avevano a che fare con uno “stampo per i salami”,<br />

stampo, che in realtà non poteva esistere. Del resto a farti capire che c’eri<br />

“caduto dentro” erano le risate degli adulti, ma per fortuna come per “riparare”,<br />

provvedeva la nonna di casa (alla quale facevi pena). La nonna era una figura<br />

molto importante nella famiglia (a parona), essa ti faceva sedere attorno al tavolo<br />

e ti serviva un po’ di pasta fresca di salame, cotta sulla piastra della “cucina<br />

economica”, ed allora, anche per te, era un po’festa, tanto che dimenticavi anche<br />

lo scherzo e ci facevi insieme ai presenti una bella risata. Ecco, mi rendo conto di<br />

aver evocato momenti che non ritorneranno più, momenti, che sembrano d’altri<br />

tempi, tempi lontanissimi, ma che invece appartengono a ieri momenti di vita che<br />

io ho vissuto e che mi auguro di farvi rivivere attraverso questo libro.<br />

10


“Le parole diventano piume e raccontano storie<br />

da me vissute, silenziose e timide, come speranze<br />

che ricamano giorni, che il tempo colora di<br />

malinconia e ripercorrono la mia favola bella<br />

Sono frammenti di ricordi che continuo a raccontare<br />

un po’ orgoglioso che altri non sappiano”.<br />

11<br />

Graziano Fabris


Graziano Fabris<br />

A <strong>SCUOLA</strong> <strong>DI</strong> <strong>FAUNA</strong><br />

Curiosità, modi di dire, proverbi,<br />

aneddoti, miti e leggende<br />

sugli animali<br />

Disegni di Tiziana Forese, Luca e Marialuisa Dal Poz


LA COLORAZIONE DEGLI UCCELLI<br />

………in precedenza, secondo il racconto biblico, Dio aveva creato la luce,<br />

le acque, gli alberi, il sole, la luna e le stelle, i pesci e gli uccelli. Il settimo<br />

giorno si riposò.<br />

Il giorno dopo Dio passeggiando fra le nuvole scorse che su una di esse erano<br />

riuniti in “assemblea”, tutti gli uccelli che aveva creato. Si avvicinò senza<br />

farsi scorgere e ascoltò i loro discorsi. Essi, si lamentavano perché erano sì<br />

diversi in quanto a forma, ma erano tutti del medesimo colore: bianco/ grigio<br />

e non avevano nemmeno un nome.<br />

Dio capì che con gli uccelli non aveva fatto cosa buona e giusta e allora, presa<br />

tavolozza e colori, si avvicinò ad essi, li chiamò presso di sé uno dopo l’altro<br />

e incominciò a colorarli e a battezzarli.<br />

Lavorò tutto il giorno finchè arrivò sera. Stava per andarsene quando guardando<br />

meglio in fondo alla nuvola si accorse che alcuni uccelli stavano ancora<br />

chiacchierando fra di essi e li sollecitò a presentarsi al suo cospetto per ricevere<br />

la loro colorazione. Arrivò quindi la prima coppia di questi ritardatari;<br />

Dio osservò la sua tavolozza dove i colori erano pressoché finiti, erano rimasti<br />

solo dei rimasugli. Raccolse allora con il pennello un po’ di nero, un po’ di<br />

rosso, un po’ di bianco, un po’ di giallo, un po’ di grigio e un po’ di bruno con<br />

i quali dipinse i nuovi arrivati; guardò il suo lavoro e rivolgendosi al maschio<br />

disse: “Scendi sulla terra; sei veramente<br />

bello, ti chiamerai Cardellino.”<br />

Subito dopo arrivò una nuova coppia.<br />

Dio si rese conto che nella sua tavolozza<br />

era rimasto solo un po’ di bruno e un po’<br />

di grigio, pennellò il dorso di bruno, il<br />

petto e il ventre di grigio agli uccelli che<br />

aveva davanti e disse loro: “figli miei ho<br />

esaurito i colori dovete accontentarvi di<br />

CARDELLINO<br />

14


quello che ho potuto fare per voi.<br />

Scendete sulla terra”. Ma il maschio protestò,<br />

si sentiva troppo brutto; allora Dio<br />

nella sua infinita bontà lo richiamò nuovamente<br />

presso di sé, con un dito toccò la<br />

sua gola e gli disse: “Vai adesso, tu sarai<br />

l’ Usignolo e sarai il più grande cantore”.<br />

E venne ancora una coppia e Dio raschiò<br />

USIGNOLO<br />

veramente il fondo della sua tavolozza<br />

tanto che a malapena riuscì a mettere insieme una pennellata di bruno, ancora<br />

più sbiadito del precedente, e un’altra di grigio e anche in questo caso ci<br />

furono proteste, ma Dio questa volta fu però irremovibile e disse: non posso<br />

proprio fare di meglio, ma abbiate fede, non preoccupatevi, sarà sulla terra<br />

che il figlio mio, terminerà la mia opera nei vostri confronti. Andate con<br />

fiducia.<br />

Arrivò infine l’ultima coppia, i due si presentarono tenendosi “sotto l’ala” al<br />

cospetto di Dio che non aveva più colori nella sua tavolozza. Aveva solamente<br />

un po’ di giallo rimasto su di un pennello, con il quale dipinse il becco del<br />

maschio. Li guardò e disse loro: “Siete dei Merli scendete sulla terra così<br />

come siete, non posso fare più niente per voi”. I due, intristiti e sempre tenendosi<br />

“sotto l’ala” percorsero il tragitto dal cielo alla terra e arrivarono a destinazione<br />

che era molto freddo; era infatti<br />

inverno inoltrato ed esattamente il 29 di<br />

gennaio. La femmina si guardò intorno e,<br />

scorto che da un camino usciva del fumo<br />

nero, pensò che se c’era del fumo, significava<br />

che c’era pure del fuoco e quindi<br />

del calore. Con un breve cenno del capo,<br />

indicò al proprio compagno quella fonte<br />

di calore e i due volarono insieme sul<br />

15<br />

COPPIA <strong>DI</strong> MERLI


tetto della casa avvicinandosi a quel camino dove rimasero per 3 giorni a<br />

riscaldarsi. Quando scesero, si accorsero con gioia di essere diventati neri, a<br />

causa del fumo che li aveva avvolti e il maschio era più nero della femmina<br />

perché, più freddoloso, era stato più vicino al fumo. Quei tre giorni il 29, 30<br />

e 31 di gennaio, solitamente i giorni più freddi dell’anno, sono da tempo<br />

immemore ricordati: come “i giorni della Merla”.<br />

C’era ancora un uccellino che girava per<br />

il mondo alla ricerca della sua colorazione.<br />

Dio, lassù su quella nuvola, qualche<br />

tempo prima, gli aveva promesso che il<br />

suo lavoro lo avrebbe terminato suo<br />

figlio. Così, nel suo girovagare per il<br />

mondo, questo uccellino volò un giorno<br />

sul monte Calvario dove vide un uomo in<br />

croce con una corona di spine attorno<br />

PETTIROSSO<br />

alla testa. Mosso da compassione egli<br />

volò sul capo del Crocefisso e con il becco<br />

tanto lavorò, che riuscì a togliere una spina che era profondamente conficcata<br />

sulla sua testa. A questo punto una goccia di sangue gli cadde sul petto.<br />

Sentì allora che con un filo di voce il Crocefisso, che era Gesù Cristo il Figlio<br />

di Dio, gli disse: “Sei stato buono e caritatevole, il rosso del mio sangue<br />

rimarrà per sempre sul tuo petto. Da oggi ti chiamerai “Pettirosso”.<br />

16


“Cos’è l’uomo senza gli animali? Se tutti gli animali<br />

scomparissero l’uomo morirebbe di una grande<br />

solitudine di spirito. Poiché qualunque cosa capiti<br />

agli animali, presto capiterà anche all’uomo”.<br />

Capo Pellerossa Sealt


I CHIO<strong>DI</strong> <strong>DI</strong> MIO NONNO<br />

Era il 28 agosto 1953. Allora poco più che decenne, convinsi mio padre ad<br />

accompagnarmi a Sacile dove avrei potuto vedere per la prima volta la grande<br />

fiera degli uccelli di cui tanto avevo sentito parlare. “Beppi”, mio padre, a differenza<br />

di suo padre, mio nonno, non c’era mai stato e conosceva a malapena<br />

la strada per arrivarci. Ricordava solamente che “nonno Nino” partiva da<br />

Varago, ovviamente a piedi, dopo la frugale cena del sabato sera, quando il sole<br />

non era ancora del tutto calato, attraversava la Piave fra Maserada e<br />

Cimadolmo, là dove il guado era più facile e con in tasca qualche “palanca”<br />

andava puntualmente ogni anno alla “Sagra<br />

dei Osei”. Nonno Nino amava gli animali,<br />

anche se aveva una particolare predilezione<br />

per gli uccelli, e, a ricordarlo anche dopo la<br />

sua morte, sono rimasti per anni conficcati<br />

sul muro davanti a casa i chiodi fatti a mano<br />

sui quali appendeva le gabbie con dentro<br />

Fringuelli e Tordine. Dalla fiera, egli tornava<br />

sempre con qualche esemplare che, con<br />

ORGANETTO<br />

infinito amore, deteneva allietandosi del<br />

loro canto. Quando nonno Nino morì, io non ero ancora nato; i suoi uccelli furono<br />

donati ad altri appassionati e, a testimoniare quella sua grande passione,<br />

rimasero per lunghi anni quei chiodi sul muro, che nonna Maria, non volle mai<br />

togliere. Ricordo, quella mia prima volta, dopo oltre cinquant’anni, come se<br />

fosse ieri. Andai a letto molto presto, perché la sveglia era prevista per l’una di<br />

notte, ma ovviamente non chiusi occhio; finalmente sarei andato alla fiera,<br />

finalmente avrei visto tanti uccelli tutti insieme e questo stato d’animo, non mi<br />

permetteva certo di addormentarmi. Mio padre, falegname provetto, mi aveva<br />

costruito tre bellissime gabbie, così avevo evitato di spendere dei soldi per il<br />

loro acquisto e potei conservare interamente quelle mille lire, frutto di tante pic-<br />

19


cole “mancette” per i vari lavoretti fatti in casa. Con quei soldi, avrei potuto<br />

acquistare (ma temevo tanto che non bastassero) un fringuello, un lucherino, un<br />

cardellino e magari anche qualche altro piccolo uccellino. Quando mio padre<br />

venne in camera per svegliarmi, mi trovò già in piedi, vestito e con una dose<br />

abbondante di brillantina sui capelli, ero già pronto per la partenza. Sistemate<br />

due gabbie sul portapacchi della bici di mio padre e una sulla mia (in realtà la<br />

bici, era di mia madre), partimmo per la “grande avventura”. Sulla Piave non<br />

c’era acqua e così, sia pure con qualche difficoltà di orientamento (era una<br />

notte senza luna), riuscimmo ad attraversare le Grave di Papadopoli, per proseguire<br />

“di là” della Piave alla volta di Sacile. Dopo Codognè fummo sorpassati<br />

e sorpassammo altri ciclisti e soprattutto pedoni, vecchi e giovani che si dirigevano<br />

sicuramente verso la stessa meta, trainando dei carrettini carichi di gabbie:<br />

seppi più tardi che erano i concorrenti ai concorsi canori, ma pure venditori<br />

e compratori che provenivano dalla sinistra Piave.<br />

Cento e più volte chiesi a mio padre quanta strada mancasse e che ora fosse,<br />

quando finalmente, comparve un cartello con la scritta “SACILE”, che la fioca<br />

luce dei fanali rischiarò per un attimo. Eravamo arrivati e, sulle strade, erano<br />

ormai le quattro del mattino, c’era già molta gente. Sistemate le bici in “custodia”,<br />

ci avviammo con le gabbie in mano verso quello che, lo comprendemmo<br />

fatti pochi passi, era il centro del paese, il cuore della fiera. Un forte e sgradevole<br />

odore di vischio e un vociare sempre più intenso, mi fece capire che eravamo<br />

davvero arrivati. Man mano che<br />

albeggiava, potei vedere quella gente: me<br />

la ricordo ancora con il cappello all’alpina<br />

e la piuma di fagiano sulla tesa, i pantaloni<br />

alla “zuava” (abbottonati appena sotto<br />

il ginocchio) e la giacca di velluto (ad<br />

agosto) “ciuciata” (strettissima) da non<br />

starci quasi dentro. Mi ricordo di tantissimi<br />

giovani, ragazzi e bambini di tutte le<br />

CIUFFOLOTTO<br />

20


età, con i pantaloni corti, con gli zoccoli, e con i capelli tagliati all’“umberta”<br />

(una moda di quei tempi che voleva i capelli tagliati cortissimi, come li portava<br />

il Re, ma in realtà per andare meno volte dal barbiere e quindi risparmiare<br />

dei soldi), o con la testa ricoperta da un<br />

berretto dalle fogge più svariate. E poi, le<br />

tante gabbie posate per terra, lunghe e<br />

basse e tutte piene di uccelli in vendita.<br />

Sopra queste gabbie su di un pezzo di<br />

carta gialla (fatta con la paglia) i vari prezzi:<br />

Lucherini 250£, Fringuelli 300£,<br />

Cardellini 280£. Con un rapido calcolo,<br />

capii che i soldi, che tenevo stretti nel<br />

pugno dentro la tasca, mi sarebbero basta-<br />

LUCHERINO<br />

ti e che, finalmente, avrei potuto avere i<br />

miei primi animaletti, nello specifico degli uccellini. Ripercorrendo a ritroso<br />

sotto il sole allo zenith, la stessa strada percorsa nel buio pesto della notte precedente,<br />

mi sembrò enormemente più lunga, interminabile. Tuttavia non senza<br />

qualche peripezia, giunsi nel tardo pomeriggio finalmente a casa con i miei piccoli<br />

Amici.<br />

Quei chiodi, piantati sul muro davanti a casa molti anni prima da mio nonno,<br />

ritornarono utili, perché vi appesi quelle mie prime gabbie. E qui, ricordo il<br />

volto di mia nonna, che, sorprendendomi davanti alle stesse con l’identica<br />

espressione negli occhi che per tanti anni aveva visto a mio nonno, pianse commossa.<br />

Ho desiderato raccontare quella mia prima volta, perchè penso a quanti<br />

altri bambini e ragazzi avranno iniziato prima di me proprio così, e a quanti<br />

altri, negli anni, animati dalla mia stessa passione rivivranno attimi e sensazioni<br />

come le mie. Sì, perché il rapporto uomo-animale, rimarrà tale, credo anzi<br />

che diventerà ancora più forte, perché mai come adesso, l’uomo ha tanto bisogno<br />

della compagnia di un animale da accarezzare, da sentire vicino, e al quale<br />

dedicare tutte le sue cure.<br />

21


PILLOLE <strong>DI</strong> SAPERE: GLI UCCELLI<br />

Sono animali vertebrati omeotermi, hanno il corpo ricoperto da piume e penne<br />

e con arti superiori trasformati in ali, nella maggior parte dei casi atte al volo. In<br />

fatto di lunghezza il più piccolo degli uccelli è una specie di Colibrì, l’Acestrura<br />

bombus, che non raggiunge i 6 cm, il Pavone raggiunge i 230 cm e una razza<br />

di Gallo giapponese, il Phoenix, prezioso<br />

per le sue penne, supera in qualche esemplare<br />

i 600 cm. Il più alto è lo Struzzo che<br />

raggiunge i 300 cm. Il primato dell’apertura<br />

alare spetta all’Albatros urlatore con i<br />

suoi 340 cm, superato sino ad una cinquantina<br />

di anni fa solo dall’Avvoltoio del<br />

Nevada con i suoi 5 m. Questo gigantesco<br />

uccello oggi è estinto. Il peso dei pullus al<br />

momento della schiusa varia dai 0,19 gr<br />

STRUZZO<br />

del Colibrì, ai 1000 gr dello Struzzo;<br />

anche se un suo consimile, lo Struzzo del Madagascar (oggi estinto anch’esso)<br />

raggiungeva i 6.500 gr. Il peso degli uccelli adulti varia dai 1,6 gr del Colibrì ai<br />

140kg dello Struzzo, ancora una volta superato finchè era presente sulla terra<br />

dalla varietà del Madagascar che raggiungeva lo straordinario peso di 450 kg.<br />

Le piccolissime ali del Colibrì battono in<br />

maniera vorticosa arrivando a 75-80 battiti<br />

al secondo, ciò consente a questo piccolo<br />

uccello di rimanere sospeso nell’aria<br />

mentre si nutre aspirando il nettare<br />

dai fiori. Un Rondone può compiere ogni<br />

giorno la straordinaria distanza di 7/800km<br />

alla ricerca del cibo, ma neppure la<br />

Cinciallegra scherza superando i 100 km.<br />

COLIBRI<br />

23


Sempre i Rondoni passano oltre 14 ore al giorno in volo mantenendo una velocità<br />

di 60-65 km orari. In quanto a velocità in volo, il Codirosso è il più lento<br />

con i suoi 30-35km orari, mentre il più veloce è il Rondone del Tibet che in<br />

picchiata può raggiungere e superare i 375. Per salire verso l’alto, il Passero lo<br />

fa in maniera quasi verticale, ma come tanti altri uccelli non va oltre 110 m, il<br />

record di altitudine appartiene ad un’Oca selvatica che può raggiungere gli<br />

8.800m. Durante le migrazioni, gli uccelli compiono migliaia di km. La<br />

Rondine di mare artica è l’uccello che percorre più strada arrivando a 40.000<br />

km, la Cicogna arriva a 23.000, il Rondone a 13.000. Nelle traversate dei mari<br />

gli uccelli in alcuni casi volano senza mai posarsi anche per 3.500 km, tuttavia<br />

la distanza media che percorrono giornalmente varia dai 300 ai 700 km. I più<br />

lenti nella migrazione, sono i Corvidi in genere, il Fringuello e le Rondini che<br />

hanno una velocità massima di 50/55 km orari, mentre i più veloci sono gli<br />

Anatidi che raggiungono e talvolta superano gli 80km orari.<br />

L’espirazione e l’inspirazione negli uccelli hanno una frequenza assai notevole.<br />

Nel Colibrì, per esempio, l’uccello a riposo ha una frequenza di circa 230 atti di<br />

respirazione al minuto e questi atti salgono fino a 3100 quando è in volo; nel<br />

Colombo questi atti scendono a 450 quando è in volo, a 200 quando si muove<br />

sul terreno e scendono a 30 quando è a riposo. Molto varia è la lunghezza della<br />

vita degli uccelli. I Pappagalli sono ritenuti i più longevi e alcuni esemplari di<br />

grande taglia come Cenerini, Are e Cacatua, possono arrivare anche a 80-85<br />

anni; qualche naturalista sostiene che certi esemplari di Cenerino siano arrivati<br />

al secolo di vita, anche i Gabbiani reali vivono a lungo con una aspettativa intorno<br />

ai 28 anni. Generalmente gli uccelli di piccola taglia come i fringillidi, allo<br />

stato libero, vivono mediamente dai 3 agli 8-9 anni. L’uovo più grande è quello<br />

dello Struzzo: esso è pari a circa 25-30 uova di Gallina e a 1 kg di peso; può essere<br />

conservato in frigorifero per un anno intero e per renderlo sodo sono necessarie<br />

2 ore di cottura. Sempre lo Struzzo è l’uccello più veloce; lanciato in corsa<br />

compie 3m ad ogni falcata e raggiunge una velocità di “crociera” di circa 50km<br />

orari con punte anche di 70-75. Un naturalista tedesco grande appassionato del<br />

24


Picchio in genere, ha analizzato 665 pasti del Picchio rosso. Ebbene contò che la<br />

sua dieta è composta in totale da 2347 animaletti diversi; fra essi vi erano molti<br />

parassiti di alberi e circa 2000 bruchi dello stesso genere (Limantria monaca). Un<br />

biologo finlandese ha invece osservato il Picchio rosso maggiore e ha cercato di<br />

valutare numericamente i pinoli consumati da questo uccello; ebbene, ha stabilito<br />

che in un’ora esso è capace di divorarne circa 165-170. Calcolando che la sua<br />

attività giornaliera si protrae per un massimo di 17 ore vorrà dire che questo uccello<br />

divorerà circa 2850 di questi semi. Il Torcicollo nutre i suoi piccoli prevalentemente<br />

con le ninfe di formica, ed una covata di piccoli abbisogna giornalmente<br />

di circa 11-12.000 di queste prede. Anch’esso possiede una lunga lingua<br />

vischiosa particolarmente adatta a catturare le formiche. Quando la introduce in<br />

un formicaio e la ritrae, ad essa rimangono attaccate larve, ninfe e insetti adulti<br />

che vengono successivamente inoltrati nel sacco della gola, il quale riesce a contenerne<br />

fino a 160. Aiutata da dispositivi particolari posti nel cranio, la lingua dei<br />

Picchi può uscire dal becco in maniera incredibile. Nel caso del Picchio verde<br />

fuoriesce per oltre 11cm. Diversi studiosi hanno inciso su nastri il rullio di diverse<br />

specie di Picchi; ebbene è risultato che il Picchio nero è il campione in assoluto<br />

con i suoi 39-45 colpi al minuto, il Picchio cenerino 28-31, seguono tutti gli<br />

altri con 12-18 colpi al minuto. L’Allodola è fra i piccoli uccelli quello che sulla<br />

terraferma riesce a muoversi più velocemente, infatti grazie alle sue grandi<br />

zampe raggiunge, e talvolta supera, una velocità di 8 km/h. Questo uccello non<br />

fa mai il bagno nell’acqua, ma si limita a<br />

strofinarsi su steli d’erba bagnati dalla<br />

rugiada e preferisce un bagno nella polvere<br />

in piccole fossette appositamente scavate<br />

per lo scopo. Il Tordo bottaccio è uno<br />

dei magnifici cantori che compongono il<br />

“coro delle fiere degli uccelli”. Il suo canto<br />

melodioso e variabile è composto da 3-4<br />

strofe, ognuna delle quali è costituita da<br />

TORDO BOTTACCIO<br />

25


varie sillabe che intercala a brevi pause riprendendo subito dopo con grande rapidità.<br />

Un alimento importante per la sua dieta estiva è costituito dagli acini dell’uva,<br />

da cui deriva la denominazione dialettale: “tordo da ua”. Un’altra preda di<br />

cui egli è ghiotto sono le lumache, il cui guscio viene infranto sbattendolo con<br />

forza contro un sasso (sempre lo stesso) che viene chiamato “fucina del Tordo”.<br />

Contrariamente agli altri uccelli che portano all’interno del loro nido materiale<br />

soffice, sul quale deporre le uova e far nascere i propri piccoli, il Tordo spalma<br />

il suo interno con una mistura di fango e legno marcito intriso di saliva che funziona<br />

da collante. Si ritiene che ciò sia dovuto al fatto che la schiusa delle uova<br />

abbisogna di un alto tasso di umidità, prerogativa, questa, che si ottiene proprio<br />

sostituendo piume e sottilissimi steli con questo rigido e impermeabile rivestimento.<br />

Fino ad una sessantina d’anni fa era d’uso raccogliere i nidi di Pendolino<br />

e conservarli per l’inverno quando venivano usati dai bambini piccoli come<br />

calde pantofole. Il primato per il maggior numero di uova deposte in una covata<br />

spetta alla Starna che ne può covare da 16 a 28.<br />

La fiaba<br />

“Il Gracchio e gli uccelli”<br />

Zeus volendo dare un Re agli Uccelli, fissò loro un appuntamento; essi dovevano<br />

presentarsi al suo cospetto affinché egli potesse scegliere il più bello di tutti<br />

per poterlo far regnare sopra di essi. Allora tutti gli uccelli incominciarono a<br />

lisciarsi le piume e le penne e a farsi più belli. Il Gracchio, nero e brutto resosi<br />

conto che non avrebbe mai potuto competere, pensò di raccogliere tutte le piume<br />

e le penne che erano cadute agli altri uccelli e di attaccarsele al proprio corpo.<br />

Con questo espediente, gli riuscì di essere il più bello di tutti. Il giorno stabilito<br />

tutti gli uccelli sfilarono davanti a Zeus, e fra di essi anche il Gracchio coperto<br />

di piume di ogni colore, e Zeus colpito da tanta bellezza stava già per designarlo<br />

Re. Ma gli altri uccelli si indignarono e gli strapparono ognuno le proprie<br />

piume e le proprie penne; spogliato di ciò che non era suo, il povero Gracchio<br />

ritornò ad essere quello che in realtà era. (Esopo)<br />

26


“Gli alberi sono il sostegno del mondo, se li tagliamo<br />

il firmamento cadrà sopra di noi.”<br />

…da un’antica leggenda Indios


IL CIGNO REALE<br />

Il Cigno reale con la sua maestosa bellezza dovuta all’armoniosa figura, nello<br />

stesso tempo fiera e dolce, rende nobile qualsiasi laghetto o corso d’acqua, che<br />

diversamente, sarebbe misero e squallido. Famosi sono i Cigni del Tamigi voluti<br />

dalla Regina Vittoria intorno al 1.850. Rispetto agli altri Cigni (quello minore,<br />

quello selvatico e quello nero) è decisamente più grande. Si caratterizza<br />

anche per il colore del becco giallo arancio con una protuberanza nera più marcata<br />

nel maschio. In acqua si distingue anche in lontananza per la caratteristica<br />

posizione a “S” del collo mentre negli altri cigni è eretta. I “pullus” nascono<br />

ricoperti da un piumino color beige-grigio che poi, alla prima “muta” diventa<br />

bianco, ma per una ragione sconosciuta, i “pullus” di Cigno che nascono in<br />

Polonia sono di color bianco come gli adulti. L’elegante bellezza e austerità di<br />

questo animale ha sempre stimolato la fantasia degli uomini, del resto quando<br />

si pavoneggia gonfio e impettito specchiandosi sulla superficie dell’acqua,<br />

continua a stimolare sempre sensazioni estetiche che mai un corvo potrebbe<br />

suscitare. Un’antica leggenda lo fa nascere per mano di Apollo che avrebbe<br />

trasformato nel candido uccello il re dei Liguri Cinco, musico e cantore che<br />

disperato piangeva la morte dell’amato amico Fetonte con melodiosi lamenti.<br />

In seguito Apollo, non soddisfatto del pur grande privilegio accordato a Cinco,<br />

lo condusse in cielo e lo trasformò in una costellazione che ancora oggi dal<br />

Cigno prende il nome. Tanta è la leggiadria del Cigno, che il divino Giove, che<br />

non disdegnava gli inganni più astuti per far cadere nelle sue brame anche femmine<br />

note per la loro castità e molto fedeli ai propri compagni, avrebbe assunto<br />

le sue sembianze per affascinare e sedurre Leda che finì con l’accoppiarsi<br />

con il bellissimo pennuto. Quella stessa notte Leda, evidentemente non appagata<br />

dal rapporto divino, giacque anche con il marito Tindaro re di Sparta. Da<br />

questa tumultuosa attività amorosa, Leda generò un uovo da cui nacquero i due<br />

gemelli Castore e Polluce, uno figlio di “Zeus Cigno” e l’altro figlio del sovrano<br />

marito. Anche il colore bianco è stato motivo di lode e di infamia per que-<br />

29


sti poveri e inconsapevoli pennuti. Basti pensare alla celebre fiaba di<br />

Andersen in cui l’anatroccolo, brutto e grigio, si trasforma, dopo tutta una<br />

serie di incredibili peripezie, per la sua gioia e per quella degli altri animali<br />

dello stagno, in un regale bianco Cigno. E non va dimenticato come anche<br />

l’arte, attraverso la musica di Cajkovskij e il libretto di Begicev, sia stata affascinata<br />

da questo straordinario pennuto.<br />

La storia vuole che il principe Sigfrido si innamori di Odette, la regina dei<br />

Cigni, una donna che di giorno si trasforma in Cigno a causa di un incantesimo<br />

operato da uno stregone. Odette racconta che è destinata a rimanere nelle<br />

sembianze di questa creatura finchè non verrà salvata dal grande ed eterno<br />

amore di un uomo. Incantato dalla sua bellezza il principe le promette il suo<br />

eterno amore ottenendo così la fine dell’incantesimo. Ma in seguito, durante<br />

una festa, egli viene ingannato dallo stesso stregone che lo convince a dichiarare<br />

il suo amore a Odile, la malvagia sorella di Odette.<br />

Sigfrido invita Odile a ballare con lui, ma in quel momento una grande nuvola<br />

oscura per un attimo il cielo e il principe si accorge che Odette si è nuovamente<br />

trasformata in Cigno.<br />

Compreso il suo involontario tradimento egli si precipita al lago. Odette con<br />

il cuore spezzato per quello che considera un tradimento cerca conforto fra le<br />

sue compagne in riva al lago. Raggiuntala, Sigfrido ne scongiura il perdono,<br />

ma la fanciulla muore di crepacuore tra le sue braccia. Gli antichi credevano<br />

che il Cigno cantasse e che il suo canto<br />

più bello, fosse quello che precedeva la<br />

sua morte. Ha un’apertura alare di circa<br />

220 cm, una lunghezza di 150/155 cm,<br />

un peso corporeo intorno ai 12/16 kg e<br />

una aspettativa di vita di 12/15 anni.<br />

Depone da 5 a 8 uova, di color grigio<br />

verde brunastro, che cova per 35/37 giorni.<br />

Ha uno status esistenziale ottimo.<br />

CIGNO<br />

30


La Fiaba<br />

“Il Cigno preso per un’Oca”<br />

Un Uomo allevava nel medesimo cortile un Cigno ed un’Oca . Il Cigno per il<br />

canto e l’Oca per la sua prelibata carne. Venne il momento che l’Oca doveva<br />

fare la fine per la quale era stata allevata, quella notte era molto buio e<br />

l’uomo recatosi dove i due Uccelli dormivano non fu in grado di distinguere<br />

l’uno dall’altra, e così fu preso il Cigno al posto dell’Oca. Ma a questo punto<br />

ecco che esso intona un canto che prelude la morte; in questo modo rivela la<br />

sua identità e, grazie a ciò, evita di essere ucciso. (Esopo)<br />

L’ OCA SELVATICA<br />

Pur iniziando gli accoppiamenti già a 18/20 mesi di età, raggiunge la sua<br />

piena maturità sessuale solamente al quarto anno di vita. Il vincolo della coppia<br />

rimane tale fino alla morte di uno dei due partners. Grande volatrice,<br />

durante il periodo della muta perde in pochi giorni, e non gradatamente, le<br />

penne delle ali e della coda; per questo<br />

rimane, gioco forza, a terra dove riesce a<br />

spostarsi da un pascolo all’altro o sfuggire<br />

a qualche predatore, correndo molto<br />

velocemente. Riacquisterà però la padronanza<br />

del volo dopo solo quattro settimane.<br />

Durante questo periodo l’Oca è particolarmente<br />

sospettosa e timorosa. Si<br />

suole dire che coloro che hanno in casa<br />

delle Oche non abbisognano della guar-<br />

OCA SELVATICA<br />

dia di un Cane. Leggendarie rimangono<br />

infatti, le Oche del Campidoglio che con il loro schiamazzo misero in allerta<br />

i difensori che intervennero contro gli invasori. Molto apprezzato è il suo piumino<br />

con il quale si imbottiscono dei caldi piumoni e dei preziosi giubbotti.<br />

31


Nelle Oche non esiste un notevole dimorfismo sessuale in quanto maschi e<br />

femmine sono pressoché uguali; si possono tuttavia riconoscere a prima vista<br />

dalla taglia, che è molto più grande nei maschi. Un altro aspetto curioso e<br />

unico riguarda la disposizione delle piume nella parte alta del collo; esse assumono<br />

una singolare disposizione che le allinea in rilevate striature verticali, per<br />

cui il collo di questi uccelli assume un aspetto zigrinato. Vivono in branchi<br />

numerosissimi ed essendo volatili molto timorosi e prudenti, hanno l’abitudine<br />

di piazzare delle sentinelle incaricate di dare l’allarme in caso di pericolo.<br />

Un tempo si tendeva ad ingrassare forzatamente le Oche all’inverosimile.<br />

Questo risultato veniva ottenuto per mezzo dell’ingozzamento a forza, pratica<br />

questa in uso fin dai tempi più antichi. L’animale veniva immobilizzato,<br />

dopo di che si introduceva un imbuto nel suo esofago lungo il quale si faceva<br />

scendere una gran quantità di granoturco, sfarinati vari e, in tempi più antichi,<br />

anche fichi e noci, fino al totale riempimento del gozzo. Con questo sistema<br />

il peso delle povere Oche raddoppiava. L’ingozzamento veniva praticato<br />

per oltre un mese e richiedeva una notevole esperienza per non soffocare<br />

l’animale. In questo modo la sua carne diventava saporita e tenera, ma altrettanto<br />

prelibato era il suo grasso che fatto bollire con il latte, una volta raffreddato<br />

e conservato, veniva usato al posto del burro. Fra le tante razze d’Oca,<br />

molto celebre è l’Oca di Tolosa allevata in Francia per la produzione del<br />

“fegato grasso” dal quale si ricava il famoso “patè de foi gras”. Il peso del<br />

fegato di quest’Oca, sottoposta anch’essa all’ingrasso con gli stessi metodi<br />

dell’ingozzamento, aumenta a dismisura passando dai 3/400 grammi della<br />

norma, ai 2-3 kilogrammi.<br />

Ha un’apertura alare di circa 155 cm, una lunghezza di 75/80 cm, un peso corporeo<br />

di 4/6 kg e un’aspettativa di vita di 9/13 anni. Depone da 6/9 uova, di colore<br />

bianco grigio, che cova per 27/28 giorni. Ha uno status esistenziale ottimo.<br />

32


L’AIRONE CENERINO<br />

Fa parte della grande famiglia degli “Ardeidi” nella quale troviamo anche la<br />

Garzetta, tipica abitatrice di canali, piccoli corsi d’acqua e addirittura degli<br />

scoli in campo aperto. L’Airone ha abitudini gregarie e nidifica in numerose<br />

colonie note con il nome di “Garzaie”. Possiede un collo molto lungo, un<br />

becco anch’esso lungo e appuntito e gambe lunghissime che sembrano dei<br />

veri e propri trampoli. Molto allungate sono pure le quattro dita, mentre, fatto<br />

curioso è rappresentato dall’unghia del dito medio dotata di una dentellatura<br />

sul margine interno che viene usata per riassettare il piumaggio. Un’altra<br />

curiosità dell’Airone è la pressocché mancanza della coda. Ha abitudini diurne,<br />

ma nel periodo della riproduzione quando deve alimentare i suoi piccoli,<br />

esce anche di notte. Molto rumoroso durante il periodo della riproduzione,<br />

diventa estremamente silenzioso nei periodi di riposo. Una curiosa abitudine<br />

dei pullus nel nido, che è anche un efficace<br />

metodo di difesa, è quella di “vomitare”<br />

addosso ai disturbatori della colonia.<br />

La credenza popolare ritiene che<br />

questo comportamento sia dovuto al fatto<br />

che con lo stomaco vuoto sia più facile e<br />

veloce sfuggire alla cattura da parte dei<br />

loro consimili adulti, tutti potenziali predatori.<br />

Una singolare curiosità deriva dal<br />

fatto che in questo uccello, la ghiandola<br />

AIRONE<br />

dell’uropigio è atrofizzata. Ma tanto<br />

l’Airone Cenerino, quanto pure tutti gli altri componenti della sua famiglia,<br />

suppliscono la mancanza della secrezione protettiva per le piume e per le<br />

penne (indispensabile per gli altri uccelli), distribuendo sul suo piumaggio dei<br />

minutissimi frammenti della desquamazione, prodotti da particolari cuscinetti<br />

di piume situati nella zona inguinale e sul petto. In questi cuscinetti, le<br />

33


piume crescono in continuazione, e, disgregandosi alle estremità, producono<br />

una specie di cipria, che viene raccolta dal becco dell’uccello e cosparsa sul<br />

suo piumaggio rendendolo in tal modo impermeabile. Questa operazione,<br />

come del resto tutta la lisciatura del piumaggio viene facilitata dalla particolare<br />

conformazione del dito medio della zampa che, possiede come già detto,<br />

un bordo dentellato.<br />

Ha un’apertura alare di circa 185 cm, una lunghezza di 85/90 cm, un peso corporeo<br />

intorno ai 1800/2000 gr e un’aspettativa di vita di 11/20 anni. Depone<br />

4/6 uova, di color verde azzurrino, che cova per 25/27 giorni. Ha uno status<br />

esistenziale buono.<br />

IL GERMANO REALE<br />

E’ il più comune dei nostri uccelli acquatici ed è famoso per la sua peculiarità<br />

di sollevarsi in volo senza bisogno di prendere nessuna rincorsa, così come<br />

fa un elicottero. Un’altra curiosità deriva dal fatto che le due timoniere centrali<br />

non sono dritte e rigide, bensì dei morbidi ricci rivolti verso l’alto. Molto<br />

caratteristico è lo specchio alare, uguale sia nel maschio che nella femmina,<br />

di un bel colore viola/porporino delimitato da due barre bianche che si evidenzia<br />

quando il Germano è in volo. Il maschio assume il piumaggio completo<br />

da ottobre a maggio e va in eclisse, da giugno a settembre; in questo periodo<br />

il suo piumaggio perde le caratteristiche<br />

e i colori tipici, tanto da poter essere<br />

confuso con quello delle femmine se non<br />

fosse per la sua maggiore mole e per<br />

alcune parti del corpo dove il piumaggio<br />

è più scuro e rossiccio. Non è raro che il<br />

Germano reale nidifichi sopra la capitozza<br />

di qualche pianta anziché sul terreno<br />

in mezzo ai cespugli, come tendenzial-<br />

GERMANO REALE<br />

34


mente è portato a fare. In questo caso, quando i piccoli nasceranno, saranno<br />

portati a terra con il becco dai genitori che li reggeranno per le zampe; in altri<br />

casi i pullus si butteranno letteralmente al suolo o nell’acqua circostante. I<br />

Germani in cattività sono molto longevi e possono superare agevolmente i<br />

vent’anni di vita.<br />

Nei Germani reali è sempre la femmina a conquistare il maschio. Uno degli<br />

atteggiamenti al quale ricorre con maggiore frequenza è, ad esempio, il nuoto<br />

serpentino, una specie di parata nuziale al femminile, che si conclude davanti<br />

al maschio prescelto; se questi l’accetterà, incomincerà a nuotare dietro di<br />

lui in segno di sottomissione. Per secoli le sue soffici piume sono state utilizzate<br />

per cucire dei soffici e vaporosi piumoni da letto, le famose “colsare” che<br />

riparavano dal freddo pungente durante le notti.<br />

Ha un’apertura alare di circa 80/90 cm, una lunghezza di 55/58 cm, un peso<br />

corporeo intorno ai 900/1100 gr e una aspettativa di vita di 5/10 anni. Depone<br />

8/12 uova, di color oliva-beige, che cova per 28/29 giorni. Ha uno status di<br />

presenza ottimo.<br />

IL CORMORANO<br />

Uccello pescatore per antonomasia compie vere e proprie razzie in allevamenti<br />

ittici. Nei suoi luoghi originari in buona parte dell’Asia, l’uomo lo preleva<br />

dal suo nido subito dopo la schiusa dell’uovo e lo alleva “allo stecco”,<br />

sostituendosi quindi alla madre, in questo modo lo abitua alla sua presenza<br />

tanto che il piccolo, lo seguirà ovunque come se fosse proprio la madre.<br />

Appena svezzato egli sarà addestrato alla pesca e seguirà sul bordo della barca<br />

insieme ad altri suoi consimili, “l’uomo madre” che, giunto sul luogo di<br />

pesca, gli infilerà attorno al collo un anello e lo farà scendere in acqua per<br />

pescare. Il Cormorano, risalirà di lì a poco con il becco e il collo pieno di<br />

pesci che non potrà ingoiare a causa dell’anello che gli stringe la gola e che,<br />

rigurgiterà dopo una leggera pressione delle mani “dell’uomo madre” sul<br />

35


collo. Continuerà instancabile a fare questo<br />

“lavoro”, fino a che non avrà ottenuto<br />

una buona pesca e così giorno dopo<br />

giorno, in cambio di qualche pesciolino o<br />

di scarti di quel pesce più pregiato da lui<br />

stesso pescato. Quando è posato a terra,<br />

assume la caratteristica posa eretta che lo<br />

fa assomigliare ad un pinguino, ancora<br />

CORMORANO<br />

caratteristico è il suo atteggiamento ad<br />

ali aperte che assume frequentemente per accelerare i tempi di asciugatura del<br />

suo piumaggio.<br />

Ha un’apertura alare di circa 150 cm, una lunghezza di 85/95 cm, un peso corporeo<br />

intorno ai 2100/2400 gr ed un’aspettativa di vita di 13/15 anni. Depone<br />

da 3 a 5 uova di color bruno chiaro, che cova per 27/28 giorni. Ha uno status<br />

esistenziale molto buono.<br />

IL TUFFETTO<br />

Lo dice il suo nome: è un’Anatra tuffatrice ed è uno spettacolo osservare le<br />

sue esibizioni. Si tuffa in continuazione per cercare nel fondo del corso<br />

d’acqua insetti, lumache, crostacei e, d’inverno, anche piccoli pesci dei quali<br />

si nutre unitamente alle alghe più tenere.<br />

Rimane sott’acqua anche 35/40 secondi per riapparire nello stesso posto, ma<br />

molto più spesso anche molti metri più in là. Il Tuffetto non supera mai i sette<br />

metri di profondità. In genere vive in acque dolci e raggiunge il mare soltanto<br />

al termine del periodo riproduttivo.<br />

Il fittissimo rivestimento di piume, molto morbide e perfettamente impermeabilizzate,<br />

protegge durante le sue continue immersioni il corpo dall’acqua. In<br />

passato queste “piume-pelliccia” vennero impiegate nella fabbricazione di<br />

colletti e accessori, proprio in luogo delle vere pellicce. I piccoli sono rivesti-<br />

36


ti da un piumino variopinto e striato, e, non appena usciti dall’uovo, si raccolgono<br />

sotto le ali dei genitori e tra le folte piume che ne ricoprono il dorso; in<br />

questo modo, si immergono e nuotano insieme ad essi finchè, trascorse alcune<br />

settimane, imparano a nuotare e a tuffarsi<br />

da soli. In genere i Tuffetti raggiungono<br />

un aspetto simile a quello dei genitori<br />

solamente al loro secondo anno di<br />

vita. Il Tuffetto sa anche catturare insetti<br />

volanti compiendo un salto in alto fuori<br />

dall’acqua per afferrarli. Possiede ali<br />

molto corte e nuota anche sott’acqua,<br />

aiutandosi quasi esclusivamente con le<br />

zampe che hanno il tarso compresso late-<br />

TUFFETTO<br />

ralmente e le dita lobate. Considerata<br />

infine la sua spiccata abilità nel nuoto e nel tuffo, la natura per contro lo ha<br />

reso poco incline al volo.<br />

Ha un’apertura alare di circa 43 cm, una lunghezza di 26/28 cm, un peso corporeo<br />

intorno ai 100/120 gr e una aspettativa di vita di 8/13 anni. Depone da<br />

4 a 7 uova, di colore bianco brunastro, che cova per 20/22 giorni. Ha uno status<br />

esistenziale discreto.<br />

LO SVASSO MAGGIORE<br />

Lo Svasso, durante il periodo degli amori acquisisce sul capo vari ornamenti<br />

(sia nel maschio che nella femmina), che vengono usati nel corteggiamento e<br />

nel cerimoniale amoroso, ma che servono pure per “rinforzare”particolari<br />

atteggiamenti del comportamento sociale o di difesa del proprio territorio.<br />

Questi ornamenti, tra l’altro molto belli e caratteristici, con l’arrivo dell’autunno<br />

e dell’inverno cadranno per ricomparire d’incanto la primavera successiva.<br />

Curiosa e caratteristica è la struttura delle sue piume che hanno un aspet-<br />

37


to serico, ma anche “peloso”, a causa del rapido consumarsi delle barbule.<br />

Questa particolarità, unita alla distribuzione fitta e continua delle piume sulle<br />

parti inferiori, rende il piumaggio degli Svassi molto simile ad una pelliccia,<br />

tanto che fino a una cinquantina d’anni fa le “pelli di Svasso” erano usate per<br />

foderare cappotti e mantelli, per fabbricare dei caldi manicotti per proteggersi<br />

dal freddo e molto più spesso per fasciare le parti del corpo colpite da artrosi<br />

e artriti. Un’altra curiosità tipica degli Svassi (e anche del Tuffetto), è quella<br />

di ingerire abitualmente piume del<br />

proprio corpo. La funzione digestiva che<br />

ne deriva, pur non essendo chiara, deve<br />

essere molto importante dato che i piccoli<br />

vengono imbeccati dai genitori con una<br />

grande quantità di piume fin dalla loro<br />

nascita. A questo proposito esiste una<br />

credenza popolare che attribuisce alle<br />

piume nello stomaco la proprietà di trat-<br />

SVASSO MAGGIORE<br />

tenere le spine più grosse di alcuni pesci<br />

e le parti indigeribili di molti invertebrati<br />

acquatici. Come nei Rapaci anche lo Svasso (e il Tuffetto suo consimile pur<br />

se molto più piccolo) espelle queste sostanze attraverso le “borre”. I piccoli<br />

di Svasso, contrariamente ad altri uccelli acquatici, non nascono con il piumaggio<br />

impermeabile ma lo acquisiscono nel tempo, per questo si arrampicano<br />

da tergo sul dorso dei genitori e da essi si fanno trasportare. Anche quando<br />

gli adulti si tuffano loro rimangono attaccati al corpo dei genitori. Una<br />

volta però che saranno diventati indipendenti non saranno più tollerati sul<br />

dorso degli adulti che li scacceranno a colpi di becco.<br />

Ha un’apertura alare di circa 85 cm, una lunghezza di 45/48 cm, un peso corporeo<br />

intorno ai 800/900 gr ed un’aspettativa di vita di 8/14 anni. Depone da<br />

3 a 6 uova, biancastre con riflessi celesti, che cova per 27/29 giorni. Ha uno<br />

status esistenziale discreto.<br />

38


LA GALLINELLA D’ACQUA<br />

Pur essendo un uccello acquatico, non possiede le zampe palmate caratteristiche<br />

della specie. Riesce però a nuotare abbastanza agevolmente aiutandosi<br />

con movimenti ritmici, “avanti e indietro”, del capo e del collo. Un altro particolare<br />

che non sfugge all’occhio attento dell’osservatore, è che nuota mantenendo<br />

il corpo più emerso rispetto a quello di altri uccelli acquatici: sembra<br />

infatti che galleggi; ciò per avere un<br />

minore attrito con l’acqua e spostarsi<br />

così il più velocemente possibile. E’<br />

molto abile nel tuffarsi e nel nuotare sott’acqua<br />

dove può restare in apnea per<br />

oltre un minuto. Compie dei brevi voli<br />

tenendo le zampe pendenti. Quando<br />

decide di alzarsi in un volo medio lungo,<br />

ha bisogno di correre sul pelo dell’acqua<br />

per diverse decine di metri prima di<br />

GALLINELLA D’ACQUA<br />

potersi sollevare. Come la Folaga,<br />

costruisce quasi sempre un nido galleggiante che può spostarsi dal sito originario<br />

con l’alzarsi dell’acqua in seguito a temporali e con il perdurare del maltempo.<br />

Durante il periodo della muta questi uccelli, per la contemporanea<br />

caduta delle remiganti, divengono inetti al volo e di conseguenza sono molto<br />

vulnerabili. La loro carne tuttavia risulta pressoché immangiabile, sicché sono<br />

pochi i pericoli che essi corrono.<br />

Ha un’apertura alare di circa 53 cm, un peso corporeo intorno ai 190/250 gr<br />

ed un’aspettativa di vita di 11/13 anni. Depone da 6 a 10 uova di color beige<br />

giallastro punteggiate di marroncino che cova per 20/22 giorni. Ha uno status<br />

esistenziale ottimo.<br />

39


LA MARZAIOLA<br />

E’ una piccola e aggraziata anatra che prende il nome di Marzaiola perché la<br />

sua migrazione di ritorno si conclude nel mese di Marzo. E’ l’anatra che ha il<br />

più lungo periodo di eclisse del piumaggio. Il maschio perde i suoi colori in<br />

luglio e li riacquista solamente a febbraio, quando inizia il periodo della riproduzione.<br />

Nei mesi eclissali assomiglia molto alla femmina e si differenzia da essa unicamente<br />

perché mantiene la tinta grigio-bluastra delle copritrici alari.<br />

Caratteristica del maschio è una lunga e larga barra bianca che parte dall’occhio<br />

e finisce dietro la nuca. In un primo momento si potrebbe confondere con<br />

l’Alzavola, ma in pratica la distinzione avviene a prima vista, osservando la<br />

colorazione dello specchio alare che è di colore assai meno intenso nella<br />

Marzaiola.<br />

Come tutte le Anatre anche la Marzaiola ha le zampe molto spostate all’indietro,<br />

per questo si muove con grande difficoltà sulla terraferma; è infatti priva<br />

del lobo del dito posteriore, per questo motivo dondola lateralmente tanto da<br />

sembrare zoppicante.<br />

Ha ali lunghe e appuntite che le consentono di sollevarsi dall’acqua con una certa<br />

facilità, senza dover prendere un lungo slancio. Queste anatre, si tuffano assai di<br />

rado, preferiscono immergere il capo, il collo e la parte anteriore del corpo cercando<br />

accuratamente il cibo sul fondo,<br />

mentre la regione posteriore emerge completamente<br />

dall’acqua. Ha un’apertura<br />

alare di circa 55 cm, una lunghezza di<br />

35/37 cm, un peso corporeo intorno ai 250/<br />

350 gr ed un’aspettativa di vita di 8/10<br />

anni. Depone da 7 a 12 uova, di color<br />

bruno oliva chiaro, che cova per 22/23<br />

giorni. Ha uno status esistenziale precario.<br />

MARZAIOLA<br />

40


LA VOLPOCA<br />

E’ la più grande delle anatre ed è considerata,<br />

per la bellezza dei suoi colori, una<br />

delle più attraenti. La curiosità sta nel<br />

fatto che la colorazione del maschio e<br />

della femmina è pressoché uguale. Il<br />

maschio però si differenzia dalla femmina<br />

per il grosso tubercolo che gli orna il<br />

becco partendo dall’attaccatura dello<br />

stesso con la testa. Nel periodo della<br />

riproduzione, la colorazione del becco<br />

VOLPOCA<br />

tende ad essere di un bel colore rosso che<br />

sbiadisce nei mesi estivi fino a diventare arancio giallo. Vive e si alimenta nei<br />

corsi d’acqua, ma nidifica anche molto lontano dalla riva scegliendo tane<br />

abbandonate dai conigli selvatici o anfratti naturali. Covando in questi siti<br />

riparati, nascosta alla vista dei predatori, anche la femmina si può permettere<br />

un piumaggio intensamente colorato.<br />

Contrariamente, i piccoli quando nascono sono dotati invece di un piumaggio<br />

mimetico, e rimangono più a lungo di anatroccoli di altre specie in prossimità<br />

della “tana nido” prima di avventurarsi in acqua seguendo i genitori.<br />

Un’ultima curiosità di questa specie è rappresentata dalle sue uova, che tendono<br />

ad avere una forma stranamente arrotondata.<br />

Ha un’apertura alare di circa 125 cm, una lunghezza di 56/58 cm, un peso corporeo<br />

intorno ai 900/1350 gr ed un’aspettativa di vita di 6/13 anni. Depone da<br />

8 a 14 uova, di colore beige chiaro, che cova per 28/30 giorni. Ha uno status<br />

esistenziale buono.<br />

41


L’ANATRA MANDARINA<br />

E’ sicuramente la più famosa anatra nella letteratura e nell’arte sia giapponese<br />

che cinese. Simbolo della fedeltà coniugale, è stata addirittura considerata<br />

sacra in certi villaggi. Il ciuffo sul capo, la colorazione da “ stampa giapponese”,<br />

le sue vele che si uniscono tanto da<br />

sembrare il tetto di una pagoda, i suoi<br />

colori vivaci, la fanno apprezzare dagli<br />

appassionati. E’ considerata un’anatra di<br />

bosco in quanto nidifica nei vecchi tronchi<br />

d’albero; il nido rivestito di morbido<br />

piumino, viene sempre collocato anche a<br />

notevole altezza dal suolo. Quando i piccoli<br />

nascono, sono muniti di unghie affilatissime<br />

adatte ad arrampicarsi lungo il<br />

ANATRA MANDARINA<br />

tronco dell’albero per ritornare nel nido<br />

dal quale, per scendere, si lanciano letteralmente nel vuoto da qualunque<br />

altezza. Quasi mai avvengono incidenti in seguito a questi spericolati atterraggi,<br />

infatti lo scarso peso e le piccole “alucce” anche se ancora poco sviluppate,<br />

riescono in qualche modo ad attutire la caduta. Gli antichi Samurai hanno<br />

sicuramente copiato per foggia e colori i loro costumi da questa splendida<br />

anatra. Naturalmente anche il maschio di questa specie, va in eclisse di piumaggio<br />

e nei mesi estivi assomiglia molto alla femmina perdendo quasi totalmente<br />

il suo splendido e particolare apparato nuziale.<br />

Ha un’apertura alare di circa 70 cm, una lunghezza di 42/48 cm, un peso corporeo<br />

intorno ai 500/600 gr ed un’aspettativa di vita di 8/12 anni. Depone da<br />

9 a 10 uova, di color beige chiaro, che cova per 28/30 giorni. Ha uno staus<br />

esistenziale buono.<br />

42


IL MARTIN PESCATORE<br />

Da secoli il Martin pescatore, nonostante non sia un uccello tipico da compagnia<br />

o da canto, continua a richiamare l’attenzione dell’uomo eccitandone la<br />

fantasia. Secondo antiche leggende si dice che originariamente il suo piumaggio<br />

avesse una colorazione grigiastra e quindi insignificante. Narra una leggenda<br />

che Noè avesse comunque provveduto a caricare sulla sua arca anche<br />

una coppia di questi uccelli. Al termine del diluvio universale quando tutti gli<br />

animali abbandonarono l’arca per tornare sulla terraferma e nei cieli, il Martin<br />

pescatore lo fece con un tale impeto che andò a sbattere contro il sole al tramonto<br />

con la parte ventrale del suo corpo che divenne brunita, mentre il<br />

dorso, sbattuto dall’impatto con il sole, andò a cozzare contro il cielo prendendone<br />

il colore azzurro acciaio. Un’altra leggenda racconta che gli antichi<br />

Greci erano convinti che questo uccello deponesse e covasse in un nido<br />

costruito sopra le onde in mare aperto, da cui il nome greco “halkyon” (colui<br />

che concepisce sul mare). E si pensava che gli dèi fossero cosi propizi nei suoi<br />

confronti che durante il periodo riproduttivo spianassero le onde del mare per<br />

tutta la durata del ciclo riproduttivo. Un’altra leggenda mitologica narra che<br />

un Martin pescatore sposò Ceice figlia della stella della sera Espero. Quando<br />

l’uccello morì annegato, Ceice disperata si precipitò in mare a gridare tutta la<br />

sua disperazione, fu così che gli dèi, impietositi la tramutarono in Martin<br />

pescatore. Questo uccello si nutre di<br />

pesciolini scegliendo sempre i più piccoli<br />

del branco o esemplari malati e vecchi,<br />

per farlo usa una tecnica particolare: si<br />

posa su di un ramo che passa sopra un<br />

corso d’ acqua, per lo più sempre limpidissima,<br />

e quando avvista la preda prescelta<br />

si tuffa catturandola con il forte<br />

becco lungo un terzo del suo corpo. Una<br />

43<br />

MARTIN PESCATORE


volta portata la preda sul ramo prende a sbatacchiarla ripetutamente fino a che<br />

la lisca e le spine non si staccheranno dal corpo rimanendo conficcate nel<br />

legno del ramo, dopo di che porta la preda alla femmina in attesa accanto al<br />

nido, che successivamente alimenta i suoi piccoli. La razione giornaliera dei<br />

“pullus” di Martin pescatore è di 6-7 pesciolini, va da sé che una nidiata composta<br />

mediamente da 6 piccoli abbisogna di una quarantina di prede al giorno.<br />

Questo uccello ha un’altra particolarità, non si vede mai in branchi, ma sempre<br />

e solo in coppia e ha bisogno di un habitat abbastanza esteso di circa 150<br />

metri lungo un corso d’acqua, all’interno del quale non tollera la presenza di<br />

suoi consimili.<br />

Teme in modo particolare il freddo e in certi inverni molto rigidi la sua popolazione<br />

può ridursi anche del 70-80%.<br />

Ha un’apertura alare di circa 25 cm, una lunghezza di 14/16 cm, un peso corporeo<br />

intorno ai 35 gr ed un’aspettativa di vita di 6/9 anni. Depone in una<br />

cavità del terreno da 5 a 7 uova, di color bianco, che cova per 19/21 giorni.<br />

Ha uno status esistenziale preoccupante.<br />

44


“Dio si fa conoscere attraverso la maestosa<br />

bellezza della natura.”<br />

Galileo Galilei


LA RON<strong>DI</strong>NE<br />

Costruisce il suo nido in maniera molto singolare. Non sceglie né rami di<br />

alberi né cavità né anfratti, ma da provetto muratore qual è, la Rondine<br />

costruisce il suo nido sui muri sotto i tetti o sotto una trave sia in legno che in<br />

cemento. Per far ciò si posa al suolo e con il becco, appallottola la terra con<br />

degli steli d’erba mescolandoli con la saliva; ottiene così tanti piccoli mattoncini<br />

che attacca uno sotto l’altro, ottenendo una coppa semicircolare perfettamente<br />

attaccata al muro.<br />

All’interno però, il suo nido è foderato di materiale molto soffice costituito da<br />

sottili fili d’erba e piume di Gallina. Si ritiene che gli antichi, quando iniziarono<br />

a costruire i primi mattoni per edificare<br />

le loro case, si siano ispirati proprio al<br />

lavoro della Rondine impastando paglia e<br />

fango e pigiando il tutto con i piedi.<br />

Un tempo, quando non si sapeva che gli<br />

uccelli migravano verso i paesi più caldi,<br />

si pensava che la Rondine, che con il<br />

giungere del freddo scompariva, andasse<br />

in letargo o si ibernasse. Un’altra credenza<br />

popolare, del resto molto verosimile,<br />

RON<strong>DI</strong>NE<br />

diceva che quando la Rondine volava<br />

alta il tempo era buono, quando invece volava bassa sarebbe arrivata una perturbazione<br />

e quindi la pioggia. Ciò perché la Rondine, dovendo catturare gli<br />

insetti volatili di cui si nutre, era costretta a seguirli in alto o in basso a seconda<br />

delle condizioni atmosferiche in arrivo. E’ vero infine che la Rondine ritorna<br />

al suo nido. Lo si è scoperto spruzzando un po’ di vernice indelebile su<br />

diversi esemplari in partenza per la migrazione, alcuni dei quali, quelli<br />

sopravvissuti alla grande fatica, sono infatti tornati al loro nido lasciato l’anno<br />

precedente. In questo caso si limitano a riassettarlo e a ristrutturarlo, laddove<br />

47


necessita, per poter così accogliere una nuova covata.<br />

Ha un’apertura alare di circa 33 cm, una lunghezza di 16/18 cm, un peso corporeo<br />

intorno ai 20 gr ed un’aspettativa di vita di 3/5 anni. Depone da 4 a 6<br />

uova, di color bianco, picchiettate di marrone, che cova per 13/14 giorni. Ha<br />

uno status esistenziale preoccupante.<br />

La fiaba<br />

“L’Usignolo e la Rondine”<br />

Una Rondine molto amica di un Usignolo lo invitò a nidificare come lei, sotto<br />

il tetto delle case degli uomini e a condividere la loro dimora, ma quello<br />

rispose:“scusami ma non desidero rivivere le mie antiche sventure che ho<br />

subito vivendo accanto all’uomo; per questo voglio vivere in luoghi solitari”.<br />

(Esopo)<br />

IL RONDONE<br />

Costruisce il suo nido nelle cavità degli alberi e dei muri, sotto le tegole e non<br />

disdegna i “nidi artificiali”. Un tempo andato, i torrioni dei castelli, intere<br />

pareti di palazzi e di campanili presentavano dei fori collegati con l’interno e<br />

chiusi da uno sportellino. Su questi fori andavano a nidificare i Rondoni i cui<br />

pullus, una volta raggiunta la maturità e quindi poco prima dell’involo, venivano<br />

prelevati dalla servitù per arricchire le mense dei loro signori. Si diceva<br />

che fossero “el boccon dei siori e dei preti”. Questo uccello si accoppia più<br />

frequentemente in volo, non si posa al suolo per bere, ma lo fa rasentando il<br />

corso d’acqua; terminato il periodo della riproduzione trascorre tutto il giorno<br />

e anche la notte in volo. Non si posa mai per terra o su di un ramo, preferendo<br />

riposarsi per brevi periodi, aggrappato ad un tronco di un albero, su una<br />

parete verticale o su di una roccia.<br />

Il Rondone si nutre solo ed esclusivamente di insetti volanti catturati in volo;<br />

questi insetti sono abbondanti con il tempo buono e ovviamente scarseggiano<br />

48


con il perdurare delle cattive giornate, ed<br />

è ovvio che, in queste situazioni, egli sia<br />

costretto per sopravvivere a cercare il<br />

cibo a decine e decine, e talvolta anche a<br />

centinaia, di chilometri lontano dal suo<br />

nido. In questi periodi di magra, fatto<br />

davvero curioso ed inspiegabile, la femmina<br />

interromperà per alcuni giorni la<br />

RONDONE<br />

sua deposizione se questa fosse già iniziata,<br />

per riprenderla di lì a qualche giorno; ma nel caso stesse già covando<br />

abbandonerà le uova per alcuni giorni, senza che queste, pur raffreddandosi,<br />

rallentino il loro sviluppo embrionale. Anche i piccoli già nati possono rimanere<br />

a digiuno senza morire per diversi giorni, cadendo in uno stato di inedia<br />

durante il quale, per sopravvivere, attingeranno alle loro riserve di grasso. Se<br />

il digiuno perdurerà, i piccoli Rondoni perderanno il controllo della temperatura<br />

corporea, diventeranno cioè a “sangue freddo” cadendo in una specie di<br />

torpore che però consentirà loro di sopravvivere fino a quando non potranno<br />

essere nuovamente alimentati regolarmente. Fino a qualche anno fa era frequente<br />

ammirare il suo volo in stormo, molto bello e spettacolare, ad altissima<br />

velocità intorno a chiese e campanili. Al Rondone del Tibet, che del resto<br />

non si discosta molto da quello che conosciamo, spetta il primato della velocità<br />

in picchiata che raggiunge i 375 kilometri orari.<br />

Ha un’apertura alare di circa 45 cm, una lunghezza di 15/18 cm, un peso corporeo<br />

intorno ai 45/55 gr ed un’aspettativa di vita di 7/9 anni. Depone da 2 a<br />

5 uova, di colore bianco grigio, che cova per 13/14 giorni. Ha uno staus esistenziale<br />

preoccupante.<br />

49


IL CUCULO<br />

Si pensava un tempo che il suo canto portasse poco di buono. Va premesso<br />

che il Cuculo più che cantare, emette a brevi sequenze un suono un po’ lugubre;<br />

ebbene si pensava che a chi capitava di sentire questi versi, venissero<br />

comunicati gli anni che ancora aveva da vivere…e questi versi purtroppo per<br />

lui erano sempre pochi. Tutto ciò, per fortuna, non è affatto vero, ma in passato<br />

(ancora oggi nella zona del Cansiglio), qualcuno ci credeva. Piuttosto è<br />

vera, ed è da sempre confermata, la fama di parassita del Cuculo: infatti questo<br />

uccello, non ha voglia di fare niente, non vuole cercarsi il sito dove<br />

costruirsi il nido e ovviamente non lo costruisce, non vuole covare le proprie<br />

uova e men che mai intende allevare i suoi piccoli. Ecco che allora ha sviluppato<br />

alcune caratteristiche che gli consentono in ogni modo (pur fasendo el<br />

mestier del Miceasso, magnar e bevar e andar a spasso) senza fare nulla, di<br />

dare continuità alla sua specie. In una stagione riproduttiva una femmina di<br />

Cuculo deposita, a giorni alterni, fino ad una quindicina di uova, uno in ogni<br />

nido di specie anche diverse l’una dall’altra. Le sue uova inspiegabilmente si<br />

avvicinano alla colorazione di quelle deposte nel nido ospitante, pur essendo<br />

ovviamente più grandi. E qui, viene da chiedersi quali conoscenze di chimica<br />

esso abbia acquisito per ottenere questi risultati. Generalmente tutti gli uccelli<br />

depongono le loro uova nelle prime ore del mattino, contrariamente al<br />

Cuculo che invece le depone il pomeriggio. Dopo la deposizione del proprio<br />

uovo, questo autentico parassita provvede ad asportarne uno di quelli che già<br />

si trovano nel nido “ospitante” (a volte l’uovo viene mangiato, a volte viene<br />

buttato via), in modo che il numero rimanga invariato. Per la sua deposizione<br />

egli sceglie sempre nidi di piccolissimi insettivori con netta preferenza per<br />

Cannaiole, Pigliamosche, Magnanine e Capinere. E anche in questo caso si<br />

rimane colpiti da questa sua conoscenza, se infatti andasse a deporre in nidi<br />

di uccelli granivori la sua prole non vivrebbe. L’uovo del Cuculo, anche questo<br />

è straordinario, si schiude sempre un giorno prima degli altri; appena nato<br />

50


l’istinto del piccolo Cuculo lo porta a<br />

sospingere fuori dal nido le uova che ha<br />

intorno a sé e quasi sempre riesce a<br />

disfarsene, ma se non ce la facesse a fare<br />

piazza pulita e il giorno dopo dovesse<br />

nascere qualche piccolo, terminerebbe il<br />

suo “misfatto” buttando letteralmente<br />

fuori dal nido anche questo, in modo da<br />

CUCULO<br />

rimanere da solo. Questo perché il cibo<br />

che riusciranno a portare i suoi ignari genitori adottivi sarà sufficiente solamente<br />

per lui, che alla fine risulterà essere almeno venti volte più grande e<br />

grosso di essi. Il Cuculo adulto è un animale vorace che si nutre in prevalenza<br />

dei bruchi pelosi trascurati dagli altri volatili a causa delle sostanze urticanti<br />

in essi contenute. Esaminando l’interno dello stomaco del Cuculo, si è<br />

trovato la membrana gastrica ricoperta da “peletti” di questi bruchi tanto da<br />

apparire come un tessuto vellutato; l’eliminazione di queste sostanze indigeribili<br />

avviene periodicamente mediante la muta della stessa membrana gastrica.<br />

Non essendo animale commestibile, non viene né cacciato né predato.<br />

Ha un’apertura alare di circa 63 cm, una lunghezza di 30/33 cm, un peso corporeo<br />

intorno ai 110/125 gr ed un’aspettativa di vita di 8/10 anni.<br />

Depone da 12 a 15 uova, di colore vario, su nidi di altri uccelli, che schiudono<br />

dopo 12 giorni di cova. Ha uno status esistenziale buono.<br />

51


IL PICCHIO<br />

Nel suo genere è un uccello dalle diverse curiosità. Possiede una coda molto<br />

rigida, infatti le sue timoniere servono da supporto quando si arrampica o<br />

rimane appeso per scavare il nido negli alberi o per cercare il cibo. Per il<br />

Picchio, la coda è talmente importante che nel periodo della muta le timoniere<br />

centrali cadono solamente quando quelle laterali sono già cresciute, in<br />

modo da non lasciarlo privo di questo prezioso sostegno. Il suo becco, molto<br />

forte a forma di punteruolo, gli permette di scavare nel tronco di un albero con<br />

una certa facilità. Le sue narici sono ricoperte di piume setolose che lo riparano<br />

dalla polvere quando scava nei tronchi. La sua particolare caratteristica<br />

è però rappresentata dalla sua lingua, incredibilmente lunga, che riesce a spingere<br />

fuori dal palato in maniera notevole,<br />

ciò grazie alla particolare struttura e<br />

dimensione delle ossa del cranio che la<br />

sostengono. La punta della lingua è rigida<br />

e orlata di setole e barbe uncinate. Ma<br />

non basta, perché questo organo è anche<br />

ricoperto da una sostanza collosa, prodotta<br />

da ghiandole secernenti muco<br />

vischioso, il tutto nel suo insieme costituisce<br />

un efficacissimo strumento per<br />

PICCHIO<br />

catturare le prede più ambite come larve,<br />

tenebrioni, insetti in genere e formiche, ma anche per succhiare la linfa degli<br />

alberi. Quando è spaventato, allunga a dismisura il collo e lo fa ondeggiare<br />

lateralmente imitando in tal modo il comportamento dei serpenti. I piccoli<br />

sono in grado di abbandonare il nido arrampicandosi sui tronchi e sui rami già<br />

prima di saper volare.<br />

Il Picchio, è stato considerato fin dall’antichità un uccello sacro e numerose<br />

sono le leggende e i simbolismi che lo accompagnano. In antichità secondo<br />

52


un mito, veniva considerato come un inviato sulla terra di Marte e Giove e<br />

dunque capace di trasmettere la loro volontà, per cui, un essere importantissimo<br />

al quale rivolgersi, per i buoni auspici nell’andamento delle guerre e delle<br />

pacifiche attività agricole e pastorali. Un Picchio appare anche nella leggenda<br />

della fondazione di Roma. Infatti, sotto l’ombra del fico, dove si sarebbe<br />

arenata la cesta con Remo e Romolo, giunsero una Lupa e un Picchio per<br />

nutrirli e allevarli. E Plutarco infatti scrive di quanto questi due animali furono<br />

ritenuti sacri e come i Latini abbiano sempre avuto per il Picchio una<br />

venerazione particolare. Il Picchio infine, nelle sembianze del re di Albalonga<br />

(che si chiamava Pico cioè Picchio), era non solo l’istitutore del matrimonio,<br />

il protettore delle nascite e il detentore del potere oracolare, ma, tramite il<br />

potere di intercessione su Giove, dominava sul fulmine, sul tuono, e sulle<br />

piogge benefiche che permettevano un buon raccolto. Questi forti simbolismi<br />

si ritroveranno poi sia nel Medioevo come nel Rinascimento, tanto che si arrivò<br />

a vedere nel Picchio predatore dei vermi nascosti che scova con il becco<br />

appuntito, un simbolo del Cristo che contrasta dappertutto il nemico.<br />

Ha un’apertura alare di circa 37 cm, una lunghezza di 21/22 cm, un peso corporeo<br />

intorno ai 75/90 gr ed un’aspettativa di vita di 5/9 anni. Depone da 4 a<br />

8 uova, di colore bianco grigiastro, che cova per 15/16 giorni. Ha uno status<br />

esistenziale buono.<br />

L’USIGNOLO<br />

E’ il re degli uccelli cantori. Il maschio si pone sulla cima di un albero della<br />

siepe nella quale ha il suo nido e, da quel sito, emette forte e melodioso il suo<br />

canto. Con il canto l’Usignolo intende soprattutto far capire ad eventuali<br />

intrusi che quello è il suo territorio e che non accetta vicini; è molto raro infatti,<br />

sentir cantare nei paraggi altri Usignoli. Racconta un chioccolatore (imitatore<br />

del canto degli uccelli), che un giorno volle “sfidare” un Usignolo per<br />

studiarne la reazione. Messosi un sacco di juta sopra la testa, entrò nella siepe<br />

53


dove, sopra un albero, un Usignolo stava<br />

cantando. Mimetizzandosi a dovere e<br />

coprendosi con il sacco e delle frasche,<br />

incominciò a cantare imitandolo, questi<br />

reagì alzando il tono della sua voce; il<br />

chioccolatore fece altrettanto e iniziò<br />

così la sfida fra i due. Ad un certo punto<br />

l’Usignolo si avvicinò all’uomo e gli si<br />

USIGNOLO<br />

pose sopra la testa mimetizzata con il<br />

sacco e cominciò a colpirlo con il becco; ma l’uomo imperterrito continuò a<br />

cantare e allora successe l’incredibile; il maschio, comprendendo di aver perduto<br />

il “confronto” volò via e la femmina, che stava covando poco più in là,<br />

abbandonò il nido e si avvicinò all’uomo con fare sottomesso: aveva accettato<br />

il nuovo maschio. L’uomo ad un certo punto smise e se ne andò e allora la<br />

femmina “scoperto il giochetto” ritornò nel suo nido, così come l’Usignolo<br />

ritornò a cantare sul suo albero.<br />

Ha un’apertura alare di circa 24 cm, una lunghezza di 15/16 cm, un peso corporeo<br />

intorno ai 22/25 gr ed un’aspettativa di vita di 3/4 anni. Depone da 4 a<br />

6 uova di color grigio piombo, che cova per 12/13 giorni. Ha uno status esistenziale<br />

preoccupante.<br />

LA CINCIALLEGRA<br />

La Cinciallegra è un bell’uccellino che costruisce il suo nido all’interno di un<br />

buco di un albero. Questo nido è il più soffice che esista in quanto internamente<br />

è tutto rivestito di lana vergine, infatti la Cinciallegra percorre chilometri<br />

e chilometri alla ricerca dei ciuffetti di lana lasciati negli arbusti e nei<br />

rami bassi degli alberi dalle pecore durante la loro transumanza.<br />

La femmina depone nove-dodici uova, una al giorno, e durante questo lasso<br />

di tempo non cova e si allontana dal nido. Prima di abbandonare le uova, le<br />

54


copre accuratamente nascondendole sotto lo stesso materiale con il quale ha<br />

costruito il nido. Nel corso di una stagione riproduttiva una Cinciallegra può<br />

dunque deporre in tre covate fino a trenta uova dalle quali nasceranno altrettanti<br />

pullus.<br />

Durante l’allevamento però circa un terzo dei nati muore per vari fattori, e se<br />

ciò non bastasse, la mortalità continuerà a colpire le giovani Cinciallegre<br />

anche in seguito, tanto che dei venti giovani che potrebbero essere mediamente<br />

svezzati, ben il 70/80% perirà entro i<br />

primi dieci mesi di vita, così che arriverà<br />

in età adulta e quindi all’attività produttiva<br />

un numero piuttosto esiguo di esemplari.<br />

Anche la vita media della<br />

Cinciallegra adulta è comunque molto<br />

bassa, essa può vivere in media dai due ai<br />

tre anni pur se alcuni esemplari, molto<br />

raramente però, possono arrivare anche a<br />

6-7. I suoi piccoli vengono alimentati in<br />

CINCIALLEGRA<br />

continuazione tant’è vero che si calcola<br />

che una coppia in allevamento porti l’imbeccata ai piccoli per oltre cinquantamila<br />

volte. Un detto popolare dice che la Cinciallegra porti la primavera: è<br />

infatti il primo uccello che si sente cantare e il suo verso sembra dire: “fuori<br />

tutti, fuori tutti fuori tutti”……che l’inverno è finito e la bella stagione sta per<br />

iniziare.<br />

Ha un’apertura alare di circa 24 cm, una lunghezza di 13/15 cm, un peso corporeo<br />

intorno ai 18/22 gr ed un’aspettativa di vita di 2/3 anni. Depone da 6 a<br />

12 uova di color bianco punteggiate di beige che cova per 12/13 giorni. Ha<br />

uno status esistenziale discreto. Nell’ambito del progetto di educazione<br />

ambientale della Provincia di Treviso, vengono inseriti nei cortili delle scuole<br />

delle cassette nido per la reintroduzione nel territorio di alcuni uccelli. La<br />

Cinciallegra fra gli altri è quella maggiormente presente.<br />

55


L’ AVERLA<br />

E’ tipico abitatore dei vigneti e di zone ricche di cespugli; se eccitato muove<br />

la coda in qua e in là. Non è un rapace pur avendo tante affinità con questa<br />

specie. E’ infatti dotato di un forte becco leggermente adunco e dentato e possiede<br />

dei veri e propri artigli al posto delle unghie.<br />

Ad accostarlo ancora di più ai falconidi è la sua alimentazione in quanto le<br />

sue prede preferite sono quelle tipiche degli uccelli predatori: arvicole, topolini,<br />

piccoli rettili, lucertole, anfibi e piccoli uccelli che dopo la cattura ama<br />

infilzare su spine e ramoscelli lasciandoli “appassire” per qualche giorno<br />

prima di nutrirsene. Svariate sono le interpretazioni per questo curioso e strano<br />

comportamento: per taluni sarebbe un modo più comodo per poter dilaniarne<br />

le carni, mentre la tradizione popolare ha sempre ritenuto che questo<br />

fosse un modo per poter contare su delle scorte alle quali ricorrere nei<br />

momenti di magra, dovuta magari a giornate piovose.<br />

Che il motivo di questo comportamento sia appunto quello di avere delle<br />

“dispense” di riserva, risulterebbe anche dal fatto che molte di queste prede<br />

vengono sapientemente infilzate sulle spine all’altezza delle prime vertebre,<br />

dietro l’articolazione del capo, così da rimanere paralizzate, ma ancora in vita<br />

e durare quindi più a lungo evitando la decomposizione anticipata.<br />

Anche nel caso si trattasse di insetti, l’Averla, prima di cibarsene, ha nei loro<br />

confronti un trattamento particolare:<br />

mantiene la preda ben stretta nel becco<br />

strappando con i piccoli, ma forti artigli<br />

le parti chitinose più ampie; se si tratta di<br />

bruchi, a colpi di becco ne estrae addirittura<br />

l’intestino e quando cattura un imenottero<br />

lo priva del suo pungiglione sfregandolo<br />

ad arte contro un ramo.<br />

E’ raro poter ascoltare il canto<br />

AVERLA PICCOLA<br />

56


dell’Averla e comunque, sempre e solo, dopo il suo immediato ritorno dai luoghi<br />

di svernamento. I fortunati fruitori del suo canto hanno così modo di<br />

apprezzare le sue qualità canore e di vivere un’esperienza particolare.<br />

Oltre al tipico verso della sua specie, questo uccello ha modo di farsi apprezzare<br />

per le varie imitazioni del canto di numerosi altri volatili, riunite in una<br />

armoniosa ed eccellente composizione, che esegue per lungo tempo.<br />

Ha un’apertura alare di circa 25 cm, una lunghezza di 16/17 cm, un peso corporeo<br />

intorno ai 23/28 gr ed un’aspettativa di vita di 2/4 anni. Depone da 4 a<br />

6 uova, di colore variabile verdino giallino e rossiccio picchiettate di bruno,<br />

che cova per 14/15 giorni. Ha uno status esistenziale preoccupante.<br />

IL CROCIERE<br />

La curiosità maggiore di questo uccello è quella di possedere un becco incrociato,<br />

forse unico nel mondo degli uccelli, che dà appunto origine al suo<br />

nome: Crociere. La sua dieta è composta quasi essenzialmente di semi di<br />

conifere, che estrae dalle squame legnose delle pigne, grazie alla conformazione<br />

incrociata delle punte di questo becco che funziona come un apriscatole.<br />

Un altro particolare significativo è dovuto all’abbondanza anche nei mesi<br />

freddi del cibo di cui si nutre, quindi è in grado di nidificare molto precocemente;<br />

si possono trovare nidi di Crociere infatti fin da gennaio. Per questo<br />

loro trafficare incessantemente con i frutti<br />

di conifere, i Crocieri hanno spesso il<br />

piumaggio ricoperto da un leggero strato<br />

di resina il che talvolta impedisce ai<br />

corpi dei volatili morti di decomporsi,<br />

restando soggetti ad un processo di<br />

mummificazione naturale. Questi uccelli<br />

sono anche famosi per i grandi stormi<br />

che formano durante le loro migrazioni<br />

57<br />

CROCIERE


provocate da sovrappopolamento o a scarsità di cibo. Spesso, a causa della<br />

loro entità numerica molto elevata, questi stormi destano un’attenzione notevole.<br />

Ricorda un cronista inglese che nel lontano 1251 un enorme stormo di<br />

Crocieri aveva letteralmente “sommerso” il suo paese.<br />

Ha un’apertura alare di circa 28 cm, una lunghezza di 15/16 cm, un peso corporeo<br />

intorno ai 36 gr ed un’aspettativa di vita di 2/4 anni. Depone da 3 a 4<br />

uova, di color beige chiaro con rare macchie brunastre, che cova per 14 /16<br />

giorni. Ha uno status esistenziale buono.<br />

IL FROSONE<br />

Questo uccello dalla struttura corporea corta e tozza, che lo rende un animale molto<br />

vigoroso, presenta una particolare curiosità: un becco talmente forte da diventare<br />

oggetto di studio e di approfondimento da parte di tanti studiosi e zoologi. Il Frosone<br />

è un uccello granivoro e per arrivare al seme della ciliegia, dell’oliva o del susino<br />

deve spolpare il frutto e arrivare al nocciolo che con estrema facilità riesce a rompere.<br />

Un noto studioso francese di Frosoni scrive in un suo testo: “Il loro cranio è<br />

stato ammirato da ingegneri meccanici come un esempio perfetto di adattamento a<br />

sollecitazioni particolarmente forti. In questo cranio ogni linea retta e curva è rinforzata,<br />

puntellata e ingrossata, in modo da aumentarne la robustezza. La forza necessaria<br />

per rompere tali semi è stata misurata per mezzo di speciali apparecchi costruiti<br />

a imitazione del becco di questi uccelli. In<br />

uno di questi congegni per rompere dei noccioli<br />

di ciliegia fu necessario esercitare una<br />

forza da 27,5 a 43,2 kg; mentre per rompere<br />

i noccioli di oliva decisamente più duri<br />

furono necessari da 45,8 a 68,3 kg”. Lo studioso<br />

in questione evidenzia il fatto che questi<br />

dati da capogiro devono essere confrontati<br />

con il peso corporeo dei Frosoni non<br />

FROSONE<br />

58


superiore ai 55 gr. Un’altra curiosità del Frosone è rappresentata dal fatto che, al<br />

contrario di altri uccelli, esso si presenta in grande quantità tra resti fossili; in uno<br />

di questi resti, scoperto in Polonia nel 1910 in un deposito dell’era glaciale, fu recuperato<br />

addirittura lo stomaco dell’uccello, all’interno del quale furono rinvenuti<br />

semi di ciliegie selvatiche, piante tuttora presenti nella stessa regione ed ancora<br />

predilette dai Frosoni presenti in quei luoghi. Ha un’apertura alare di circa 31<br />

cm, una lunghezza di 16/18 cm, un peso corporeo di circa 55 gr ed un’aspettativa<br />

di vita di circa 2/4 anni. Depone da 3 a 7 uova di color grigio azzurrastro con macchie<br />

bruno-oliva, che incuba per 12/14 giorni. Ha uno status esistenziale buono.<br />

IL RIGOGOLO<br />

È conosciuto con diversi nomi dialettali:<br />

“Compare Piero”, “Miglioro” e “Uccello<br />

della Pentecoste”. (Poichè ritorna nei<br />

luoghi di nidificazione piuttosto tardi a<br />

primavera inoltrata). Per costruire il suo<br />

nido sceglie sempre un grande albero con<br />

delle chiome molto frondose e nella parte<br />

alta ed esterna, da quel gran “artigiano”<br />

qual’è, intreccia in maniera perfetta e con<br />

grande maestria lunghi fili d’erba nella<br />

RIGOGOLO<br />

biforcazione orizzontale del ramo in<br />

modo che alla fine del suo lavoro il nido risulterà una specie di amaca sospesa<br />

nel vuoto. Particolare curioso: per far si che i fili d’erba non si sfilaccino e<br />

che il nido non cada, il Rigogolo, a opera conclusa, passa ogni stelo con la sua<br />

saliva che è un ottimo collante così da rendere i fili d’erba, che sostengono il<br />

nido, particolarmente resistenti. Nonostante i colori vistosi del maschio è difficile<br />

scorgerlo mimetizzato com’è nel folto del fogliame, la sua presenza si<br />

avverte soltanto in seguito al suo canto che difficilmente sfugge all’ascolto. Il<br />

59


dimorfismo (la differenza) sessuale tra il maschio e la femmina è notevole, e i<br />

giovani Rigogoli fino a muta conclusa hanno lo stesso piumaggio della madre.<br />

La femmina porta a termine una sola covata in quanto già ad agosto per questa<br />

specie inizia la grande avventura della migrazione; questi uccelli attraversano<br />

tutta l’Africa e svernano nella parte meridionale del continente nero. Ecco<br />

perché partono presto e arrivano tardi rispetto alle altre specie. Ha un’apertura<br />

alare di circa 35 cm, una lunghezza di 23/25 cm, un peso corporeo di 52/55 gr<br />

ed un’aspettativa di vita di 3/5 anni. Depone da 4 a 5 uova di colore biancastro,<br />

tendente al rosa, picchiettate di bruno violaceo e le cova per 14/15 giorni.<br />

Ha uno status esistenziale discreto.<br />

LA GAZZA<br />

In dialetto “Gaia” o “Checa”. Un tempo veniva allevata e addomesticata dall’uomo<br />

che la lasciava libera nel cortile della casa colonica unitamente agli<br />

altri volatili, come galline, colombi, tacchini e altri. È ovvio che non era detenuta<br />

per la sua carne (si dice non sia buona) bensì per compagnia.<br />

Obbediente, intelligente, per molti appassionati è pure stata una spalla ideale<br />

in spettacoli televisivi e teatrali. L’appellativo di “ladra” le è appropriato poichè<br />

è attratta da tutto ciò che luccica e quindi anche dai gioielli. Un tempo si<br />

cercavano i nidi di gazza proprio per ritrovare, la catenina o il braccialetto<br />

d’oro, improvvisamente scomparsi,<br />

molto spesso si aveva la bella sorpresa di<br />

ritrovarli proprio all’interno del nido,<br />

insieme a pezzettini di vetro, frammenti<br />

di specchio e altro ancora, tutti oggetti<br />

che la Gazza riteneva utili per adornare<br />

la sua “casa”. Volatile ciarliero e chiassoso<br />

(alcuni linguisti fanno derivare da<br />

Gazza il termine “gazzarra”), ha una<br />

60<br />

GAZZA LADRA


voce rauca e sgradevole che rivela chiaramente nelle varie intonazioni lo stato<br />

d’animo dell’animale. Si nutre di qualsiasi alimento: insetti, molluschi, piccoli<br />

invertebrati, granaglie, frutta e bacche, ma non disdegna nemmeno le carogne<br />

di animali morti pur se il suo cibo preferito è costituito da uova e da pullus<br />

di uccelli, che, famelica, preda dai loro nidi.<br />

Molti soggetti hanno l’abitudine di premunirsi contro periodi di carestia accumulando<br />

scorte di cibo e nascondendole nelle cavità degli alberi o in altri<br />

nascondigli. Gli antichi Romani usavano tenere presso la porta di casa una<br />

gabbia con dentro una Gazza addestrata a rivolgere il saluto ai visitatori.<br />

Ha un’apertura alare di circa 55 cm, una lunghezza di 43/45 cm, un peso corporeo<br />

di 220/250 gr ed un’aspettativa di vita di 12/13 anni. Depone 6/8 uova<br />

di colore grigio verde azzurrognolo con macchie olivastre, e le cova per 25/27<br />

giorni. Ha uno staus esistenziale in esasperato aumento.<br />

L’ UPUPA<br />

Presente in molti esemplari nel nostro territorio fino ad una quarantina d’anni<br />

fa, oggi sopravvive a stento in pochissimi esemplari a causa della scomparsa<br />

del suo habitat preferito: la siepe con i salici selvatici che, invecchiando,<br />

lasciavano degli anfratti sui quali, appunto, l’Upupa nidificava. Era molto<br />

facile pertanto trovare il suo nido, bastava visitare questi siti, attirati anche da<br />

un odore nauseabondo che si spargeva tutto intorno. Gli uccelli in genere,<br />

mantengono puliti i loro nidi dalle deiezioni dei piccoli, per evitare che il cattivo<br />

odore attiri i predatori; cosa questa che l’Upupa non fa lasciando tutte le<br />

feci intorno al nido. A difendere la sua nidiata ha però provveduto madre natura;<br />

i “pullus” infatti sono dotati di sostanze puzzolenti che in caso di pericolo<br />

vengono “spruzzate” dalla ghiandola uropigia contro il predatore che sarà<br />

così costretto ad abbandonare le potenziali prede. Questi schizzi sono preceduti<br />

da un primo avvertimento: un forte sibilo emesso, sia in coro che singolarmente,<br />

con l’intento di allontanare i predatori. Spesso questo sibilo intimo-<br />

61


iva anche l’uomo che, prima di introdurre<br />

la mano nell’anfratto, ci pensava due<br />

volte temendo la presenza, di qualche<br />

altro animale. A contribuire e ad aumentare<br />

il cattivo odore prodotto dalle deiezioni<br />

e dagli schizzi, è la stessa femmina<br />

in cova nel nido; essa secerne una sostanza<br />

maleodorante che impregna il nido<br />

UPUPA<br />

stesso e ovviamente i piccoli, ma non<br />

basta, perchè a completare il quadro anche i “pullus” producono la stessa<br />

sostanza puzzolente e maleodorante. L’Upupa possiede un’altra curiosità<br />

meritevole di essere segnalata: essa si nutre di vermi, grillotalpe, coleotteri e<br />

bruchi di ogni genere, cercati nel terreno, fra i sassi e nello sterco del bestiame.<br />

Prima di inghiottire le prede più grosse, le libera delle parti chitinose sbattendole<br />

più volte a terra fino a che le ali, la testa e le zampe non si staccano<br />

dal corpo riducendone in questo modo le dimensioni, ma l’Upupa ha un becco<br />

troppo sottile e la piccola lingua non riesce ancora a spingere all’interno del<br />

gozzo il prelibato “boccone”. Allora ricorre ad uno stratagemma tutto suo.<br />

Lancia in alto la preda e la afferra con il becco spalancato così da inghiottirla<br />

di colpo senza molta fatica. L’Upupa in volo sembra una grossa farfalla per<br />

il suo battito d’ali molto lento e per la traiettoria piuttosto ondulata.<br />

Ha un’apertura alare di circa 45 cm, una lunghezza di 25/27 cm, un peso corporeo<br />

intorno ai 65/70 gr ed un’aspettativa di vita di 8/9 anni. Depone da 6 a<br />

8 uova color bianco grigioverde, e le cova per 17/19 giorni. Ha uno status esistenziale<br />

preoccupante.<br />

62


“Con tutti gli esseri e tutte le cose noi saremo fratelli.”<br />

Proverbio Pellerossa


LA GRACULA<br />

La Gracula religiosa detta anche Maina o ancora Merlo indiano, è originaria<br />

dell’India anche se ormai fa parte degli uccelli frequentemente allevati e detenuti<br />

per affezione da parte di tanti appassionati.<br />

Allo stato selvatico nei luoghi d’origine è molto apprezzata dagli indigeni<br />

nonostante le dannose scorrerie nei campi coltivati. Sin dai tempi antichissimi<br />

era uso in India tenere questi volatili in cattività e bisogna dire che le<br />

Gracule per il bell’aspetto, la vivace intelligenza, la perfetta adattabilità alla<br />

vita captiva, risultano piacevolissimi pennuti ornamentali. Ma il pregio maggiore<br />

di questo volatile risiede nelle notevoli capacità mimiche che lo rendono<br />

capace non solo di riprodurre il canto di altri uccelli, il verso di altri animali<br />

e di apprendere a fischiettare semplici<br />

“ariette”, ma soprattutto di ripetere<br />

con estrema chiarezza alcune parole del<br />

linguaggio umano. A questo riguardo le<br />

Gracule superano di molto i Pappagalli,<br />

non solo perché riescono a ripetere un<br />

maggior numero di parole, ma per il tono<br />

della voce che assomiglia in modo sorprendente<br />

a quello umano. All’uso della<br />

“parola” anche le Gracule, come i<br />

GRACULA<br />

Pappagalli, vanno pazientemente addestrate.<br />

Un’altra particolarità curiosa è dovuta al fatto che questi uccelli, se particolarmente<br />

addestrati, sono capaci di seguire passo dopo passo il proprietario<br />

e di accorrere, con una prontezza incredibile, al suo richiamo.<br />

Ha un’apertura alare di circa 42 cm, una lunghezza di 28/32 cm, un peso corporeo<br />

intorno ai 130/140 gr e una aspettativa di vita di 15/20 anni. Depone da<br />

2 a 4 uova di colore biancastro e le cova per 27/29 giorni. Ha uno status esistenziale<br />

buono.<br />

65


I PAPPAGALLI<br />

Primo particolare curioso che riguarda questa specie è rappresentato dal fatto<br />

che è presente in tutti i continenti fatta eccezione per l’Europa, tuttavia grazie<br />

al ritrovamento di fossili di Pappagalli Cenerini africani, se n’é potuta dimostrare<br />

la presenza, risalente a circa 40-50 milioni di anni fa, anche nel nostro<br />

continente. Il Pappagallo è molto apprezzato per i suoi variopinti colori e per<br />

la sua particolare capacità di imitare le parole umane. Quasi tutti i Pappagalli<br />

usano il becco come se fosse la loro terza zampa, principalmente quando si<br />

arrampicano su di un albero. Già migliaia di anni fa l’uomo si interessò ai<br />

Pappagalli: fu un timoniere di una nave di Carlo Magno a portare in Europa i<br />

primi esemplari vivi. Nell’antica Roma già si allevavano Pappagalli, come<br />

ricorda Plinio il Vecchio dissertando, a proposito di questi uccelli, che sembravano<br />

capaci di parlare. Egli descrisse un singolare metodo per indurli a<br />

farlo: “si prenda un bastone duro quanto il becco dell’animale e con esso lo si<br />

picchi sul capo”. In una nota della Curia, che risale al quattordicesimo secolo<br />

e conservata negli archivi Vaticani, si cita un “custode dei Pappagalli”.<br />

Sempre in questo periodo l’imperatore tedesco Federico 2°, considerato il<br />

fondatore dell’ornitologia scientifica, possedeva un Cacatua Alba, donatogli<br />

dal sultano di Babilonia. Un’altra curiosità su questi volatili, vuole che abbiano<br />

contribuito alla scoperta dell’America. Uno stormo di questi uccelli,<br />

secondo certi racconti, avrebbe indotto Colombo a un decisivo mutamento di<br />

rotta per seguirlo; il celebre navigatore collegò la presenza dei Pappagalli alla<br />

vicinanza della terra ferma, intuizione felice che poi si realizzò. I Pappagalli<br />

sono molto longevi: gli Ondulati possono arrivare facilmente ai 13 anni, ma<br />

aumentando le dimensioni si sono avuti casi di Cacatua, Amazzoni e Are che<br />

hanno raggiunto gli 80 anni e talvolta superato anche il secolo di vita. Il più<br />

ciarliero dei pappagalli è il Cenerino; certi esemplari di questa specie<br />

Africana riescono a ripetere anche 90 parole. Un artista di un circo poneva al<br />

suo “pupillo” ben 30 domande in quattro diverse lingue, l’uccello dava le<br />

66


isposte imparate a memoria nella lingua<br />

giusta. Il celebre Perzina, riconosciuto<br />

come il padre dei Pappagalli, riusciva a<br />

far rappresentare dai suoi Uccelli una<br />

scena di addio alla stazione ferroviaria<br />

con le diverse parti perfettamente distribuite:<br />

“salire sulla carrozza e chiudere la<br />

porta”, “non sporgersi dai finestrini”;<br />

PAPPAGALLO CENERINO<br />

continuava poi con il fischio, il rumore<br />

del convoglio che partiva e concludeva con “arrivederci mamma”. Questi<br />

risultati si ottengono in quanto l’animale tende a creare un rapporto stretto<br />

con il suo tutore, che viene ad assumere il ruolo di compagno mancante.<br />

Tutti i Pappagalli hanno un comportamento sociale e farli vivere soli è per<br />

essi una grande sofferenza. Ecco perché l’uomo deve trascorrere molte delle<br />

sue ore creando questo rapporto sostitutivo. I grandi Pappagalli tenuti isolati<br />

purtroppo molto spesso si strappano da soli le penne delle ali e della coda. La<br />

causa di questo comportamento molto spiacevole va ricercata nella noia della<br />

solitudine.<br />

Sono molte le specie di Pappagalli ormai allevate dall’uomo e soprattutto<br />

sono molte diverse le loro dimensioni, il loro peso corporeo, il numero delle<br />

uova deposte e la loro longevità.<br />

67


L’ AQUILA REALE<br />

E’ indubbiamente uno degli uccelli più imponenti e maestosi. Per tale ragione sin<br />

dai tempi dell’antichità è assurta a simbolo di nobiltà e di fierezza, e la sua immagine<br />

è stata riprodotta su innumerevoli stemmi gentilizi. Leggermente più piccola<br />

solo dell’Aquila di mare, è comunque la più forte, grazie soprattutto alla potenza<br />

dei suoi artigli. Per avere ragione anche delle prede più combattive, l’Aquila<br />

reale gioca soprattutto sul fattore sorpresa: durante la caccia esamina infatti con<br />

molta attenzione il territorio, abbassandosi a breve distanza dalla terra, una volta<br />

individuata la preda anziché cacciarla con il rischio di vedersela sfuggire, preferisce<br />

“ allontanarsi” e risalire rapidamente a grandi altezze, per poi calare su di essa<br />

con una picchiata fulminea e inaspettata, atterrendo in tal senso la preda con la sua<br />

improvvisa apparizione, tanto che questa rimarrà immobile come pietrificata.<br />

Riuscirà così a ucciderla facilmente. Una volta affondati gli artigli sulla preda, se<br />

si tratta di un animale vigoroso, si lascerà trasportare anche per centinaia di metri<br />

senza mollare la presa, finchè la vittima cadrà sfinita per le profonde ferite e le<br />

abbondanti perdite di sangue. Le prede preferite vanno dai cuccioli di Camosci,<br />

Caprioli e Cervi, a Marmotte, Volpi, Conigli selvatici e Lepri, che vengono portati<br />

successivamente in un luogo aperto per venire dilaniati a colpi del suo possente<br />

becco adunco. Se si tratterà di uccelli, l’Aquila li ghermirà in volo e li ucciderà<br />

con un ben assestato colpo dell’unghia del dito posteriore prima di trasportarli<br />

nel suo nido. In certi paesi asiatici, è<br />

ancora attuale il mercato delle Aquile che<br />

vengono addestrate per la caccia in particolare<br />

a Volpi, Caprioli, e Lupi. Il loro prezzo<br />

è fissato in due o più Cavalli o in due o più<br />

Cammelli, a seconda della bontà dell’addestramento<br />

del rapace. L’Aquila ha bisogno<br />

di un habitat molto esteso (8.000/10.000<br />

ha) sul quale costruisce alcuni nidi che<br />

AQUILA<br />

68


sono usati alternativamente nel corso degli anni. L’Aquila depone generalmente<br />

due sole uova con un intervallo, tra il primo e il secondo, anche di quattro giorni;<br />

in qualche rara occasione può deporne anche tre. I pullus lasciano il nido dopo 70<br />

giorni circa e raggiungono la maturità sessuale solamente al quarto anno di età.<br />

Come gli altri rapaci, una volta compiuta la digestione anche l’Aquila rigurgita le<br />

cosiddette “borre piumate”, un ammasso di piume e ossa delle prede che non riesce<br />

a defecare. Ha un’apertura alare di circa 200 cm, una lunghezza di 78/83 cm,<br />

un peso corporeo di 4/6 kg ed un’aspettativa di vita di circa 25 anni. Depone generalmente<br />

2 uova di colore bianco con grandi chiazze color rosso-bruno e le cova<br />

per circa 45 giorni. Ha uno status esistenziale preoccupante.<br />

La fiaba<br />

“L Aquila e la Volpe”<br />

Un’Aquila e una Volpe divennero amiche e decisero di abitare una accanto all’altra,<br />

convinte di rafforzare il loro sentimento. Così l’Aquila volò sopra ad una rupe<br />

e vi costruì il suo nido dove nacquero i suoi piccoli, la Volpe scelse un cespuglio<br />

sotto la stessa rupe dove scavò la sua tana e partorì i suoi cuccioli. Un giorno,<br />

mentre mamma Volpe era a caccia di prede per nutrire i suoi cuccioli, l’Aquila<br />

osservandoli mentre giocherellavano al di fuori della tana, piombò su di essi e se<br />

li portò nel suo nido dove, insieme ai suoi piccoli, li divorò. Al ritorno dalla caccia,<br />

mamma Volpe scoprendo il misfatto fu colta da un grande sconforto, sia per la<br />

morte dei suoi cuccioli sia per il tradimento subito da parte dell’amica. Da allora,<br />

pur se impotente perché mai avrebbe potuto arrivare fin sopra la rupe, pensò solo<br />

alla vendetta. E non passò molto tempo. Un giorno l’Aquila osservò dall’alto della<br />

sua dimora, che a valle si stava offrendo in sacrificio una capra agli dèi, essa piombò<br />

giù e ghermì uno dei visceri dell’animale sacrificato senza accorgersi che stava<br />

prendendo fuoco; una volta tornata sul nido, lo depose fra la paglia e i rami secchi,<br />

ma una folata di vento accese una vivida fiammata che investi i suoi piccoli<br />

che in breve bruciarono e caddero al suolo. La Volpe allora accorse e se li divorò<br />

sotto gli occhi atterriti della madre che osservava dall’alto della rupe. (Esopo)<br />

69


FALCO PECCHIAIOLO<br />

La buona riuscita della sua covata dipende dalla quantità di vespe, api e calabroni<br />

allo stato larvale che riesce a trovare. E’ meno interessato agli insetti<br />

adulti dei quali tuttavia non teme le punture, protetto com’è, da un piumaggio<br />

forte e ispido disposto regolarmente tra il becco e gli occhi con il compito di<br />

proteggere la vista durante la cattura di<br />

questi insetti. Nello stomaco e nel gozzo<br />

di alcuni Pecchiaioli furono rinvenute<br />

vespe e api prive di pungiglione, e questo<br />

portò a ritenere che questo falconide<br />

provvedesse ad eliminare il pericoloso<br />

organo, prima di inghiottire gli insetti.<br />

Un Pecchiaiolo, intento a raspare sul terreno<br />

alla ricerca dei nidi di vespe è talmente<br />

preso da questo lavoro, che non si<br />

FALCO PECCHIAIOLO<br />

accorgerebbe nemmeno dell’avvicinarsi<br />

dell’uomo che lo potrebbe facilmente catturare con le mani, se esso non fosse<br />

circondato da un nugolo di insetti ronzanti. Alcuni anziani raccontano di aver<br />

osservato più volte che dei Pecchiaioli di fronte alla carcassa di animali morti<br />

da giorni, non si nutrivano della loro carne, bensì delle larve di mosconi che<br />

trovavano nelle carogne. Naturalmente questi rapaci si cibano anche di rettili,<br />

uccelli e piccoli mammiferi ma talvolta non disdegnano nemmeno frutta e<br />

bacche. Il Pecchiaiolo non si costruisce il nido da sé, ma opportunamente<br />

sfrutta un vecchio nido abbandonato di Astori o Poiane, restaurandolo.<br />

Generalmente nascono due pullus, solo raramente tre, ma quasi sempre sarà<br />

uno solo ad arrivare alla maturità. I piccoli depongono le loro deiezioni sul<br />

fondo del nido e non oltre il bordo del medesimo, come fanno generalmente<br />

gli uccelli; queste deiezioni, tra l’altro, molto dense e scure, imbrattano il nido<br />

e di conseguenza i genitori devono portare in continuazione del fogliame fre-<br />

70


sco per isolarle. Contrariamente alla maggior parte degli altri uccelli, i<br />

Pecchiaioli non provvedono ad eliminare i resti del pasto dal nido dopo aver<br />

nutrito i pullus, per cui con il trascorrere dei giorni i favi finiscono per accumularsi<br />

gli uni sugli altri sino a impedirne i movimenti. Un’altra curiosità,<br />

questa volta assurda, riguarda l’abbattimento sistematico di questo splendido<br />

rapace quando questi rientra in Italia dopo lo svernamento. I Pecchiaioli vengono<br />

abbattuti a centinaia ogni anno intorno allo stretto di Messina dall’uomo<br />

della strada, convinto che una volta abbattuto un Pecchiaiolo la propria<br />

moglie non lo tradirà mai….<br />

Ha un’apertura alare di circa 130 cm, una lunghezza di 50/55 cm, un peso corporeo<br />

di 750/1150 gr ed un’aspettativa di vita di 23 anni. Depone 2/3 uova di<br />

color biancastro picchiettate di porpora scuro e le cova per 33/35 giorni. Ha<br />

uno status esistenziale discreto.<br />

LA POIANA<br />

E’ sicuramente il rapace più diffuso e popolare nella nostra zona. Essa nidifica<br />

nelle foreste, mentre caccia in prevalenza nelle zone agricole aperte, che<br />

esplora dall’alto con volo planato, librandosi talvolta immobile nell’aria.<br />

Alcuni studiosi hanno dimostrato che la preda preferita dalla Poiana è il topo<br />

campagnolo; tale roditore costituisce circa il 40% delle sue prede; se si tiene<br />

poi conto delle altre specie di topi catturate,<br />

si raggiunge una percentuale di oltre<br />

il 50%. Questo rapace non disdegna<br />

cibarsi anche di uccelli, locuste, serpenti,<br />

coleotteri e lombrichi con i quali integra<br />

la propria dieta.<br />

Un tempo era considerato un grave pericolo<br />

per i pulcini di gallina o altri animali<br />

da cortile domestici. Il volteggiare in<br />

71<br />

POIANA


cielo della Poiana, metteva in allerta le donne delle campagne, che si passavano<br />

parola del pericolo incombente e correvano nei cortili e nei campi circostanti<br />

le abitazioni per portare al riparo nei recinti e nelle stalle i piccoli animali,<br />

preservandoli dall’attacco del predatore. Particolare curioso: chi percorre<br />

l’autostrada, che porta da Padova a Bologna (ma pure altrove), potrà osservare<br />

diverse Poiane appollaiate sulla rete di recinzione che delimita l’arteria<br />

stradale dall’aperta campagna. La scarsità di cibo e un habitat davvero stravolto,<br />

ha trasformato questi abili rapaci in veri e propri opportunisti; essi<br />

infatti attendono che qualche uccello o qualche mammifero venga travolto dal<br />

traffico per volare su di esso, ghermirlo dalla sede stradale e portarselo sul terreno<br />

aperto per potersene cibare. Ha un’apertura alare di circa 115 cm, una<br />

lunghezza di 52/55 cm, un peso corporeo di 700/1100 g ed un’aspettativa di<br />

vita di circa 20 anni. Depone 2/3 uova di color biancastro con macchie brunoruggine<br />

e le cova per 27/28 giorni. Ha uno status esistenziale buono.<br />

IL BARBAGIANNI<br />

E’ uno dei rapaci notturni più diffusi, tipico abitatore di campanili, granai, soffitte<br />

e anfratti di vecchie case. Una sua stranezza deriva dal fatto che inizia a<br />

covare dopo la deposizione del primo uovo; in questo modo i piccoli della sua<br />

covata avranno svariate dimensioni, i piccoli potranno avere cinque o anche<br />

sei giorni di differenza l’uno dall’altro.<br />

Come tutti i rapaci notturni, possiede un piumaggio molto folto e ciò gli consente<br />

un volo molto silenzioso grazie anche ad una particolare struttura pettinata<br />

della parte più esterna dell’ala, che impedisce la vibrazione dell’aria spostata.<br />

Ciò dà al Barbagianni un grande vantaggio all’atto della cattura della<br />

preda prescelta. Le zampe sono piuttosto lunghe e ricoperte di piume, gli artigli<br />

hanno un rado rivestimento di peli, l’artiglio esterno è reversibile, può, cioè,<br />

essere spostato sia lateralmente che all’indietro. Come altri predatori della<br />

notte possiede un udito molto sviluppato che gli permette di localizzare la<br />

72


preda anche nell’oscurità più profonda.<br />

Il Barbagianni non si spinge sulle montagne<br />

nemmeno per cacciare, in quanto è<br />

molto sensibile al freddo e non possiede<br />

la proprietà di poter immagazzinare, in<br />

autunno, grandi quantità di grasso. Negli<br />

inverni più rigidi, quando la neve copre il<br />

terreno, molti barbagianni non riescono a<br />

BARBAGIANNI<br />

sopravvivere e muoiono. Anche i piccoli<br />

nel nido sono piuttosto freddolosi ed è sufficiente che la temperatura scenda<br />

di qualche grado perché si addossino l’uno all’altro per riscaldarsi, così come<br />

del resto fanno pure i mammiferi. Il Barbagianni è molto fedele al suo territorio,<br />

quindi nemmeno i giovani in età riproduttiva si allontanano di molto<br />

dall’habitat in cui sono nati. Le sue prede preferite sono quelle tipiche degli<br />

Stringiformi in genere: Topi, Topi campagnoli, Arvicole terrestri, Ratti, Talpe<br />

e piccoli Uccelli. Ma la preda preferita dal Barbagianni è costituita dai<br />

Pipistrelli che vengono catturati in volo quando escono dai loro antri emettendo<br />

i tipici squittii che richiamano l’attenzione del predatore. Per secoli è stato<br />

considerato il “marito” della Civetta. Effettivamente i due uccelli notturni frequentano<br />

spesso gli stessi ambienti, perciò vederli insieme nei casolari e nei<br />

fienili contribuì ad accomunarli in un modo tanto improprio.<br />

Ha un’apertura alare di circa 90 cm, una lunghezza di 33/37 cm, un peso corporeo<br />

intorno ai 350 gr e una aspettativa di vita di 7/9 anni.Depone da 4 a 7<br />

uova di color biancastro e le cova per 32/34 giorni. Ha uno status esistenziale<br />

molto precario.<br />

73


LA CIVETTA<br />

Tipica abitatrice delle vecchie case coloniche, trova tuttavia habitat ideale<br />

anche in buchi di alberi, anfratti e altre cavità. E’ il rapace notturno più conosciuto<br />

e popolare. Diverse sono le curiosità che riguardano la Civetta. Il suo<br />

canto, per chi avesse la sventura di sentirlo, sarebbe portatore di disgrazie, ma<br />

ciò non è certamente veritiero; contrariamente agli altri rapaci notturni la<br />

Civetta si può osservare, sia pure raramente, anche di giorno posata su pali,<br />

tetti e altri posatoi; caratteristici sono i suoi rapidi movimenti da destra a sinistra,<br />

in alto e in basso del capo e del corpo, conosciuti come delle “riverenze”<br />

che indicano la sua titubanza quando si sente scoperta; durante gli inverni più<br />

rigidi molti esemplari di Civetta muoiono di inedia. Come del resto per altri<br />

rapaci notturni, il numero di cellule visive nella retina è altissimo e abbondano<br />

soprattutto quelle che consentono la visione in “bianco e nero” anche di<br />

notte. La posizione frontale degli occhi non permette a questi rapaci una<br />

buona visione laterale, ciò significa che la loro vista sarà naturalmente precisa,<br />

ma solo in una ristretta zona del campo visivo, appunto quella frontale, ciò<br />

rende possibile una buona visione in profondità e quindi una sicura percezione<br />

delle distanze. Gli occhi della Civetta, come del resto quella di tutti i rapaci<br />

notturni, sono assai grandi e, come si è detto, immobili; di conseguenza gli<br />

uccelli devono volgere il capo ogni qualvolta vogliono mutare la direzione<br />

dello sguardo. Questo rapace come del<br />

resto gli altri della sua famiglia, è allora<br />

in grado di girare la testa fino a 270° (riesce<br />

in pratica a roteare il capo e a portare<br />

gli occhi dietro le spalle) e questa<br />

incredibile opportunità è necessaria per<br />

poter controllare tutto intorno alla ricerca<br />

delle prede in maniera silenziosa, senza<br />

doversi spostare sul ramo. Un udito finis-<br />

CIVETTA<br />

74


simo è infine il senso maggiormente sviluppato che aiuterà il rapace notturno<br />

nelle sue cacce. Nell’antica Grecia la Civetta era sacra e il suo nome scientifico,<br />

Athene noctua, ci ricorda che era associata ad Atena, la dèa della sapienza.<br />

Per gli indiani d’America le Civette rappresentano, ancora oggi,<br />

l’incarnazione del Grande Spirito che ammonisce gli uomini per la mancanza<br />

di rispetto verso gli animali; gli aborigeni australiani infine credono che le<br />

Civette racchiudano l’anima femminile. Una espressione assai comune e<br />

attuale, definisce la donna truccata ed elegante: un po’ “civettuola”.<br />

Ha un’apertura alare di circa 55 cm, una lunghezza di 20/22 cm, un peso corporeo<br />

intorno ai 180/190 gr ed una longevità di 6/10 anni. Depone da 4 a 8<br />

uova di colore bianco e le cova per 25/27 giorni. Ha uno status esistenziale<br />

molto precario.<br />

IL GUFO COMUNE E REALE<br />

E’ un rapace notturno, ma la sua prerogativa consiste nel cacciare già nel<br />

pomeriggio per alimentare i suoi piccoli sempre piuttosto numerosi e quindi<br />

sempre affamati. Abita boschi e boscaglie dove non costruisce il suo nido, ma<br />

utilizza quelli di Gazze e Cornacchie abbandonati. I piccoli, quando nascono,<br />

sono coperti da un piumino bianco rosato, mutato con il passare dei giorni con<br />

il piumaggio da adulti. Molto simile all’Assiolo, si differenzia dallo stesso per<br />

le dimensioni quasi doppie, per il colore del suo piumaggio di un caldo marrone,<br />

per i suoi occhi gialli e per due ciuffetti di penne poste sulla punta delle<br />

orecchie anch’essi molto più evidenti. La femmina generalmente è più grande<br />

del maschio.<br />

Accanto al Gufo comune si distingue il Gufo reale. Decisamente più grande<br />

e più grosso si differenzia anche per la posizione dei ciuffetti di penne posti<br />

sulle orecchie: anziché essere ben ritti verticalmente, sono spostati lateralmente.<br />

Il Gufo reale vive in particolari gole dalle pareti ripide che offrono la<br />

protezione di nicchie e caverne. Compare però anche in selve, foreste acqui-<br />

75


trinose e macchie di pini selvatici.<br />

Nidifica prevalentemente nei nidi abbandonati<br />

di Corvidi, di Colombacci e di<br />

Garzette; in alcuni casi sono state notate<br />

deposizioni sul terreno, fra i cespugli.<br />

Sono uccelli stanziali e rimangono fedeli<br />

al loro territorio personale ricco di quelle<br />

prede che maggiormente apprezzano<br />

GUFO COMUNE<br />

come Lepri, Conigli selvatici, Colombi,<br />

Ricci, Scoiattoli, e di altre meno gradite ma comunque ricercate come Ratti,<br />

Topi e Arvicole. Le “borre” vomitate dal Gufo reale sono estremamente lunghe<br />

(circa 10 cm x 3), nonostante questi rapaci siano portati a scuoiare e a<br />

spennare le prede più grosse, eliminando così quasi tutte le parti non commestibili.<br />

Sovente sono stati trovati sotto i fili dell’alta tensione dei Gufi reali<br />

morti perché fulminati dalla corrente elettrica; ciò è dovuto alla loro grande<br />

apertura alare che può arrivare sino ai 170 cm. di larghezza. Queste dimensioni<br />

impediscono al volatile di passare tra un cavo e l’altro della linea elettrica,<br />

andando ad urtare i due poli dell’alta tensione provocando il contatto che li<br />

uccide sul colpo. Le uova del Gufo reale hanno una insolita forma cilindrica<br />

e vengono deposte a intervalli irregolari, da 1 a 4 giorni di distanza uno dall’altro.<br />

La vita del Gufo reale è piuttosto lunga, dato che arrivano frequentemente<br />

ai 25 anni.<br />

Il Gufo Comune, ha un’apertura alare di circa 90 cm, una lunghezza di 35/37<br />

cm, un peso corporeo intorno ai 250/320 gr ed un’aspettativa di vita di 10/13<br />

anni. Depone 2/3 uova di color bianco e le cova per 34/35 giorni. Ha uno status<br />

esistenziale discreto.<br />

Il Gufo reale ha un’apertura alare di circa 160 cm, una lunghezza di 56/73<br />

cm, un peso corporeo intorno ai 2.800 g ed un’aspettativa di vita di 15/25<br />

anni. Depone da 2 a 5 uova di colore bianco grigio, covate per 33/35 giorni.<br />

Ha uno status esistenziale molto a rischio.<br />

76


IL PAVONE<br />

Originario dell’India, dove pare sia apparso circa 4.000 anni orsono, il Pavone<br />

è oggi diffuso in tutto il mondo come Uccello ornamentale, ma anche per le<br />

sue carni pregiate. I maschi possiedono le penne copritrici della coda molto<br />

allungate, dotate di una forte rachide e sfarzosamente colorate.<br />

Esse si prolungano sopra la coda formata da 20 penne e costituiscono lo strascico<br />

provvisto di tanti cerchietti che sembrano occhi; durante la parata nuziale<br />

questo strascico viene sollevato e allargato come una ruota, che viene sostenuta<br />

dalle timoniere che risultano molto più corte e quindi non si vedono. Fin<br />

da piccoli i giovani Pavoni si esercitano nell’arte del sollevare la coda, anche<br />

se questa non è ancora provvista delle penne per fare la ruota: infatti la loro<br />

crescita è piuttosto lenta e lo strascico si completerà solamente al terzo anno<br />

di vita anche se continuerà a crescere fino a raggiungere, in certi casi, la lunghezza<br />

di 150/160 centimetri. Secondo alcuni etologi, la magnifica e multicolore<br />

ruota del maschio è un segnale visibile da lontano dalle femmine pronte<br />

per l’accoppiamento; secondo altri invece<br />

la ruota serve per richiamare presso di<br />

sé la femmina ed offrirle del cibo. Il<br />

Pavone domestico curato dall’uomo e<br />

lontano dai predatori, è molto longevo e<br />

può arrivare con una certa facilità ai 30<br />

anni di vita. Nei luoghi di origine il<br />

Pavone è protetto dagli indù come simbolo<br />

di una loro divinità, il dio Krishna,<br />

in quanto svolge delle funzioni importantissime<br />

per quelle popolazioni: gode la<br />

fama di essere uno spietato sterminatore<br />

di cobra e di segnalare all’uomo con le<br />

sue forti grida la presenza di tigri nelle<br />

PAVONE<br />

77


vicinanze di villaggi. In realtà è il Pavone, più che l’uomo, ad essere predato<br />

dal felino. Il grido del Pavone è tradotto dagli indù con un “manhao” (assomiglia<br />

al miagolio del gatto a 100 decibel) che significa “arriva la pioggia”;<br />

effettivamente i Pavoni fanno sentire in continuazione questo grido prima dell’arrivo<br />

di forti temporali.<br />

Ha un’apertura alare di circa 110 cm, una lunghezza coda compresa di<br />

220/250 cm, un peso corporeo di circa 4/5 kg ed un’aspettativa di vita di 8/10<br />

anni. Depone da 3 a 5 uova di color bianco macchiate di bruno e le cova per<br />

27/28 giorni. Ha uno status esistenziale buono.<br />

La Fiaba<br />

“Il Pavone e la Gru”<br />

Il Pavone rideva della Gru e criticava il colore del suo piumaggio dicendo:<br />

”io sono vestito di porpora e di oro, mentre tu non hai nulla di bello ne sulle<br />

tue piume, ne sulle tue penne”, “ma io” rispose l’altra, “canto vicino alle<br />

stelle e volo nell’alto dei cieli, tu invece, giri per terra come un galletto in<br />

mezzo alle galline”. (Esopo)<br />

78


“Ci sono più cose in cielo e in terra Orazio, che<br />

non nella tua filosofia.”<br />

William Shakespeare


I FAGIANI<br />

Già Marco Polo, nel 13° secolo, ritornando dalla Cina (allora Catai) riferì<br />

notizie di uno splendido e grosso uccello. Si trattava del Fagiano Venerato<br />

dagli svariati colori e dalla lunga coda che può arrivare anche a 160 centimetri<br />

di lunghezza. Questa specie di Fagiano, per vivere bene, ha bisogno di<br />

grandi spazi e ha la sua caratteristica principale nella litigiosità sia con i propri<br />

simili, sia con altri fasianidi. I suoi pullus, ancora in tenera età, si esibiscono<br />

in rabbiose lotte tra fratelli che talvolta si concludono con la morte dei più<br />

deboli. Un Fagiano Venerato che fugge trascinando la lunghissima coda, offre<br />

un meraviglioso spettacolo. La coda del resto non lo ostacola affatto, anzi, se<br />

ne serve addirittura a guisa di timone o freno. Durante il corteggiamento<br />

arruffa il piumaggio, tiene il corpo inclinato verso la femmina e compie<br />

inspiegabilmente dei grandi salti verso di essa come se fosse un canguro,<br />

prima di effettuare l’accoppiamento. Allo stato domestico, ospitato in parchi<br />

o grandi voliere, se trattato bene il Venerato arriva all’età di 25 anni.<br />

Ancora più antico e noto è il Fagiano Comune. Della sua esistenza ne parlano<br />

già gli antichi Greci e sembrerebbe che Giasone, di ritorno dopo una battaglia<br />

vittoriosa in una terra che si estendeva vicino al Mar Nero, avesse portato<br />

come bottino di guerra, appunto, dei Fagiani. Ciò è confermato anche da<br />

Pericle, che parla già a quei tempi di allevamenti del gustoso pennuto. Ma il<br />

vocabolo “Fagiano” si riconduce al latino<br />

“phasianus” ed è allora ovvio pensare<br />

che anche gli antichi Romani conoscessero<br />

questo Fagiano; del resto si fatica a<br />

pensare ad un antico e sontuoso banchetto<br />

senza la presenza di questo prelibato<br />

volatile. Dell’esistenza del Fagiano<br />

comune fra gli antichi Romani ce ne dà<br />

infatti conferma la storia che racconta<br />

FAGIANO<br />

81


come lo sfrenato imperatore Eliogabalo,<br />

si divertisse a vedere sbranati questi<br />

Fagiani dai leoni nel loro serraglio. In<br />

Inghilterra attorno al 1050, un Abate<br />

ottenne il permesso di dar la caccia a<br />

questi Fagiani e fu da allora che questo<br />

fasianide viene considerato come selvaggina.<br />

Il Fagiano vive molto bene in<br />

FAGIANO DORATO<br />

comunità con i suoi simili, tanto che in<br />

un chilometro quadrato vi si possono contare oltre 20 coppie. Il Fagiano<br />

Dorato è sicuramente il più ammirato per la bellezza dei suoi colori. Esso riunisce<br />

in sé tutte le qualità per essere considerato un uccello ideale da ornamento.<br />

In Cina, suo paese d’origine, è ancora oggi preso a modello per essere<br />

riprodotto in opere d’arte. Molto timoroso, è piuttosto raro poterlo osservare<br />

in un terreno aperto; allo stato selvatico, infatti, vive in un ambiente dalla<br />

vegetazione intricata che lo protegge e lo nasconde; da questo fitto ricovero,<br />

esce raramente per ritornarvi assai velocemente. Nel mese di maggio, quando<br />

la sua livrea è al massimo del suo splendore, viene “bracconato” molto intensamente<br />

e offerto in vendita nei mercati di quei paesi. Per evitare che si rovini<br />

il piumaggio, ogni uccello di questa specie viene rinchiuso in una gabbia<br />

oblunga costruita con sottili canne di bambù, simile al rivestimento di paglia<br />

che fodera i nostri fiaschi, questo contenitore è così stretto, che il prigioniero<br />

non può né rizzarsi sulle gambe né rigirarsi. Tuttavia i Fagiani Dorati resistono<br />

anche per un mese in queste condizioni e quando vengono acquistati, e<br />

rimessi in libertà, sono così anchilosati che per una settimana non riescono a<br />

muoversi.<br />

Il Fagiano Comune ha un’apertura alare di circa 85 cm, una lunghezza di<br />

80/90 cm, un peso corporeo intorno ai 1150 gr ed un’aspettativa di vita di 6/7<br />

anni. Depone da 8 a 15 uova di color marrone olivastro, covate per 23/25 giorni.<br />

Ha uno status esistenziale ottimo, perché viene allevato.<br />

82


LA QUAGLIA<br />

La sua forma corta e tozza e le ali piuttosto piccole, non le consentono di essere<br />

una buona volatrice, ma essa ha bisogno di svernare in territori molto caldi<br />

e per questo si deve spingere fino al sud del Sahara. Nella grande trasvolata<br />

del mar Mediterraneo, dalla punta della Sicilia alle coste dell’Africa e viceversa<br />

al suo ritorno, questa specie perde un buon 75% della propria popolazione.<br />

Quando le Quaglie, dopo lo strenuo sforzo della trasvolata raggiungono<br />

le coste si buttano sfinite sulla spiaggia, dove ad attenderle ci sono gli indigeni,<br />

che muniti di cesti e sacchi le raccolgono ormai incapaci di opporre la<br />

benchè minima reazione.<br />

Un tempo essa viveva nelle vaste steppe erbose coperte da vegetazione bassa<br />

e varia, ma da qualche secolo si è avvicinata sempre di più all’ambiente agricolo<br />

creato dall’uomo, tanto da poterla incontrare sui campi di foraggio e dentro<br />

le piantagioni di cereali. Non disdegna nemmeno i terreni incolti e il limitare<br />

degli stessi in prossimità delle siepi. Soprattutto nelle ore notturne, si ha<br />

la possibilità di ascoltare il canto del maschio composto di poche note espresse<br />

in maniera forte e decisa. Con questo canto egli tende a far capire ad eventuali<br />

altri maschi che lui è presente su quel territorio con le sue femmine e non<br />

tollera la presenza di intrusi. Il canto viene un po’ addolcito con una specie di<br />

miagolio finale quando invece sta avvicinandosi una femmina. A questo punto<br />

il maschio, dopo il “richiamo canoro”,<br />

ricorre anche ad un altro stratagemma<br />

nell’intento di conquistare una nuova<br />

compagna; l’avvicina con il piumaggio<br />

arruffato tenendo nel becco del cibo<br />

quasi a farle notare quanta abbondanza ci<br />

sia nel suo territorio, la femmina accetta<br />

e a ciò segue subito dopo<br />

l’accoppiamento. I piccoli, dopo la<br />

83<br />

QUAGLIA


schiusa, sono già in grado di seguire la madre procurandosi il cibo da soli, e<br />

all’età di 13/14 giorni riescono a compiere dei brevi voli; saranno sufficienti<br />

altri 4/5 giorni, perché questi giovani siano in grado di volare perfettamente.<br />

Dovranno tuttavia rimanere ancora con la madre per alcune settimane, dopo<br />

di che saranno autosufficienti del tutto. Raggiungeranno la maturità sessuale<br />

solamente a 10/11 mesi di vita. La Quaglia è diventata da qualche decennio<br />

un animale domestico allevato in batteria, sia per la sua carne, sia per le uova.<br />

Dopo un mese dalla nascita, la giovane Quaglia può essere già macellata e<br />

venduta sui mercati, mentre le femmine destinate alla produzione di uova<br />

dopo 40/45 giorni avranno raggiunto la maturità sessuale e deporranno il loro<br />

primo uovo e continueranno così a intervalli di 18/24 ore l’uno dall’altro per<br />

10/11 mesi. Recentemente le Quaglie hanno anche acquisito una certa importanza<br />

come animali da esperimento.<br />

Ha un’apertura alare di circa 33 cm, una lunghezza di 15/17 cm, un peso corporeo<br />

intorno ai 100 gr ed un’aspettativa di vita di 6/7 anni. Depone da 8 a 12<br />

uova di color oliva chiaro picchiettate di bruno, e le cova per 15/16 giorni. Ha<br />

uno status esistenziale ottimo perché viene allevata.<br />

IL COLOMBO<br />

Si nutre generalmente di semi, sia coltivati che selvatici, per questo possiede<br />

un ventriglio robusto e muscoloso che contiene ghiaietta e altri materiali duri<br />

che servono per triturare appunto questi alimenti e un lungo intestino per<br />

digerirli meglio; caratteristica tipica del resto di tutti gli Uccelli granivori.<br />

Un’altra curiosità sta nel fatto che si nutre di piccole chiocciole e invertebrati,<br />

ma anche di frutta della quale inghiotte pure il nocciolo. Questo una volta<br />

evacuato, potrà cadere in un terreno adatto e dare vita ad una nuova pianta. I<br />

genitori, per i primi otto dieci giorni, nutrono i propri pullus con una sostanza<br />

biancastra prodotta dalle ghiandole del gozzo, nota con il nome di “latte di<br />

piccione”. Per nutrirsi di questa “pappa” i piccoli Colombi, introducono pro-<br />

84


fondamente il loro becco nell’angolo di quello dei genitori per ricevere direttamente<br />

questo prezioso alimento. Per non ostacolare questo tipo di alimentazione,<br />

che dura circa 10 giorni, nei giovani Colombi le piume della fronte e<br />

del collo spuntano per ultime. Dopo questo primo periodo, la produzione del<br />

“latte” cessa e i piccoli riceveranno dai genitori semi e frutta in quantità sempre<br />

maggiore.<br />

Sono note le grandi attitudini al volo dei Colombi: opportunamente addestrati,<br />

possono percorrere centinaia di chilometri a grande velocità ritrovando,<br />

grazie ad un infallibile senso dell’orientamento, il luogo della loro residenza.<br />

L’utilizzazione dei Colombi viaggiatori da parte dell’uomo, ha origini antichissime<br />

e la storia ricorda esempi singolari<br />

di importanti messaggi recapitati per<br />

mezzo di questi volatili anche in tempi di<br />

guerra. Certi esemplari riescono a percorrere<br />

anche mille chilometri al giorno.<br />

I Colombi venivano allevati con certezza<br />

in Egitto già nel quarto secolo avanti<br />

Cristo e in Asia centrale anche prima.<br />

Presso certi popoli era d’uso sacrificare<br />

agli dèi dei Colombi, infatti innumere-<br />

PICCIONE SELVATICO<br />

voli furono immolati per secoli nel tempio<br />

di Gerusalemme. Sul Monte degli Ulivi si tenevano a tale proposito delle<br />

colombaie, nelle quali venivano allevati migliaia di Colombi in attesa dei<br />

sacrifici. Attendibili testimonianze ricordano come presso i più antichi popoli<br />

dell’oriente i Colombi godessero di grande rispetto: potevano nidificare nei<br />

templi e non era permesso né disturbarli, nè tanto meno ucciderli. Fatto del<br />

tutto particolare e curioso: tutti i Columbiformi bevono immergendo il becco<br />

nell’acqua aspirandola, un modo quindi veramente insolito fra gli uccelli che<br />

raccolgono normalmente con il becco una sorsata d’acqua e sollevano la testa<br />

per deglutirla.<br />

85


L’accrescimento numerico dei Colombi cittadini è diventato un vero problema.<br />

Un tempo essi avevano numerosi nemici, per cui non si poteva certo parlare<br />

di una loro eccessiva moltiplicazione, rimanendo invariato l’equilibrio<br />

biologico. I principali nemici erano il Falco pellegrino, l’Astore, lo Sparviero,<br />

le Civette e tutti i Mustelidi, predatori questi che negli anni si sono sempre più<br />

rarefatti. I Colombi, oggi, sono portatori di numerosi parassiti come Acari,<br />

Cimici, Zecche e altri ancora che possono diffondersi nelle abitazioni dell’uomo.<br />

Una forte presenza di Colombi può portatore l’ornitosi, una malattia che<br />

talvolta colpisce anche l’uomo e non va neppure sottovalutato che la maggior<br />

parte dei Colombi di città è ammalato di salmonellosi, un germe patogeno che<br />

può portare il tifo.<br />

I Colombi provocano danni a monumenti e palazzi a causa dell’alto potere<br />

corrosivo dei loro escrementi, medesimi danni provocano su grondaie e cornicioni.<br />

In tante città sono in atto mezzi meccanici, acustici, chimici ed elettrici<br />

nell’intento di limitare questi danni; in altre ci sono dei tentativi di regolare<br />

la loro riproduzione ricorrendo all’uso di anticoncezionali.<br />

Parente stretta del Colombo è la Tortora comune, indubbiamente un animale<br />

molto grazioso sia per la forma che per i colori. E’ però un uccello timoroso<br />

e timidissimo, (sono davvero pochi gli esemplari che si possono contare nel<br />

nostro territorio) ragion per cui è stata scacciata dalla Tortora dal collare<br />

orientale più forte ed aggressiva impadronitasi del suo habitat. Questa Tortora<br />

è oggi presente in maniera abnorme e fa ormai parte della fauna cittadina nidificando<br />

un po’ ovunque.<br />

E’ arrivata da noi durante il periodo della seconda guerra mondiale intorno al<br />

1944, importata forse da qualche soldato alleato; in poco più di mezzo secolo<br />

è riuscita a insediarsi in maniera incredibile. Va ricordata, infine, la<br />

Colomba bianca che posandosi sull’arca di Noè con un ramoscello d’ulivo sul<br />

becco comunicò al patriarca la fine del diluvio universale.<br />

Il Colombo selvatico ha un’apertura alare di circa 70 cm, una lunghezza 30/34<br />

cm, un peso corporeo intorno ai 280/300 gr ed un’aspettativa di vita di 6/8<br />

86


anni. Depone 2 uova di color bianco grigio e le cova per 16/17 giorni. Ha uno<br />

status esistenziale ottimo, perché esistono molte razze diverse allevate in cattività.<br />

La fiaba<br />

“ Il Gracchio e i Colombi”<br />

Un Gracchio osservando che i Colombi in piccionaia mangiavano bene, si<br />

dipinse il corpo di bianco e volò in mezzo ad essi per avere lo stesso trattamento.<br />

I Colombi, credendolo uno di loro, lo accettarono e lo ammisero alla<br />

loro mensa. Ma un bel giorno il Gracchio aperse la bocca e incominciò a<br />

gracchiare, allora i Colombi riconoscendo l’intruso lo cacciarono via. Così<br />

allontanato dalla piccionaia il povero Gracchio ritornò tra i suoi. Ma dato il<br />

nuovo colore, questi non lo riconobbero e anch’ essi lo cacciarono dalla loro<br />

pastura. E così avendo voluto mangiare da due parti non mangiò più né da<br />

una né dall’altra. (Esopo)<br />

LA GALLINA<br />

Non si hanno dati precisi circa l’epoca in cui l’uomo incominciò ad allevare<br />

allo stato domestico questi uccelli, ma sembra che questo abbia avuto inizio<br />

oltre 5 mila anni fa presso alcuni popoli dell’India. In pochi secoli<br />

l’allevamento di questi galliformi si estese<br />

in tutto l’emisfero orientale, soprattutto<br />

nell’antica Persia e Mesopotamia (le<br />

attuali Iran e Iraq), ma fu in Egitto, a partire<br />

dalla quinta dinastia faraonica che,<br />

secondo Aristotele, iniziò l’incubazione<br />

artificiale e quindi i grandi allevamenti.<br />

Da antichi manoscritti, e soprattutto da<br />

Catone nel suo poema “de re rustica”, ci<br />

87<br />

GALLO


viene tramandato che gli antichi Romani avessero già allora selezionato ben<br />

6 razze diverse di questo pollame. Da sempre l’uomo si pone il dilemma: è<br />

nato prima l’uovo, o prima la gallina? E questo è un bel dilemma al quale non<br />

si sa ancora dare una spiegazione logica. La Gallina a causa del suo corpo<br />

pesante e delle ossa con il midollo (e quindi non cave) è inetta al volo. E’<br />

un’ottima chioccia che può covare senza scendere dal covo anche per due o<br />

tre covate consecutive, lasciando i pulcini alle cure dell’allevatore. Un tempo,<br />

quando si avevano uova fertili e ancora nessuna Gallina chiocciava, si provvedeva<br />

forzatamente. A tale scopo si faceva bere del vino all’animale; subito<br />

dopo lo si introduceva in un sacco e lo si faceva roteare con una certa forza<br />

in aria per qualche tempo. Quindi si estraeva la Gallina dal sacco per posarla<br />

sul covo dove erano state poste precedentemente le uova. La povera bestia<br />

stordita e “ubriaca” si accovacciava, abbassava la testa, chiudeva gli occhi e<br />

si abbandonava ad un leggero sonno. Quando lo stordimento unito alla sbornia<br />

passava, essa si era “innamorata” del covo e lì vi rimaneva.<br />

Terminate le covate, la chioccia non serviva più, ma se questa non intendeva<br />

abbandonare il covo anche in questo caso si provvedeva di “brutto” a schiocciarla.<br />

Si riprendeva il famoso sacco, vi si introduceva la chioccia e la si<br />

immergeva ripetutamente per alcuni istanti nell’acqua fredda. Aperto il sacco,<br />

la povera Gallina, ancora un po’ frastornata, si guardava intorno, si scuoteva<br />

(a se sveiava), e poi tranquillamente se ne tornava nel pollaio per riprendere<br />

a deporre di lì a qualche giorno. In dialetto<br />

trevigiano la Chioccia in cova, viene<br />

chiamata “Cioca”, come una persona<br />

ubriaca. Considerata infine la scarsa<br />

intelligenza di questo galliforme, va<br />

ricordato un altro detto popolare: “te ha<br />

na testa come na gaina”, (sei intelligente<br />

come una Gallina). I Galli cantano in<br />

maniera più spiccata al sorgere del sole e<br />

GALLINA<br />

88


questo per molti anni è stata la sveglia della gente che si avviava poi al lavoro<br />

nei campi; un vecchio detto soleva dire: “andar in letto coe gaine e vegner<br />

su col gaeo” (a letto molto presto e alzarsi altrettanto presto). Il canto e lo<br />

schiamazzo delle ali che battono assieme sul dorso testimoniano la possente<br />

attività del Gallo. Un altro vecchio detto recita così: “do gai in te un puner no<br />

i va d’accordo” infatti sono frequenti le liti nello stesso pollaio fra maschi che<br />

si combattono ferocemente. Da ciò la sadica e condannata selezione dei Galli<br />

da combattimento iniziata molti secoli orsono e ancora praticata, specie in<br />

Sud America e in Asia. Il curioso comportamento dei Polli è quello di fare<br />

ogni giorno il loro bagno di terra, necessario per eliminare i parassiti e gli<br />

acari che si annidano nel loro piumaggio; non amano invece l’acqua e quando<br />

piove cercano sempre riparo.<br />

La fiaba<br />

“La Donna e la gallina”<br />

Una Donna vedova aveva una Gallina, che tutti i giorni deponeva un uovo.<br />

Pensò che dandole forse del becchime in più la gallina ne avrebbe fatti due e<br />

così raddoppiò la razione giornaliera. E la Gallina mangiò con tanta avidità<br />

che ingrassò così tanto che non riuscì a deporne nemmeno più uno. (Esopo)<br />

IL GABBIANO<br />

E’ un uccello tipicamente marino, anche se da qualche tempo ama trascorrere<br />

dei periodi più o meno lunghi sia in campagna che in collina. Questo suo<br />

“migrare giornaliero” è dovuto alla continua ricerca di cibo che trova abbondante<br />

nelle discariche e nei campi arati. Tuttavia la sua vita si svolge maggiormente<br />

sulle coste, vicino al mare, è perciò facile scorgerlo all’interno dei porti<br />

e nei pressi dei centri abitati costieri dato che in tali zone questi volatili reperiscono<br />

rifiuti con cui nutrirsi. Infatti, pur cibandosi di preferenza con animaletti<br />

acquatici e pesci, questi volatili appetiscono ogni genere di rifiuto orga-<br />

89


nico, carogne comprese. Sono pertanto da considerarsi onnivori e svolgono<br />

un’utile azione da spazzini ripulendo porti e spiagge. I Gabbiani hanno carni<br />

non commestibili, né per l’uomo né per probabili predatori; tuttavia in molte<br />

zone vengono cacciati per le loro piume e in altre è attiva la raccolta delle<br />

uova utilizzate a scopo alimentare. Queste uova non sono appetibili se consumate<br />

crude perché hanno un forte sapore di pesce, che scompare del tutto<br />

dopo la cottura che le rende del tutto<br />

simili a quelle della gallina. Ma il particolare<br />

più curioso è rappresentato dal<br />

fatto che l’albume delle uova di<br />

Gabbiano rimane trasparente anche dopo<br />

la cottura. In certe nazioni dell’Europa<br />

settentrionale la raccolta e la vendita di<br />

queste uova è organizzata su vasta scala.<br />

Il Gabbiano comune in abito nuziale, sia<br />

maschio che femmina, presenta un cap-<br />

GABBIANO<br />

puccio di un bel colore bruno scuro su di<br />

un colore grigio perla. In periodo eclissale questo cappuccio sparisce lasciando<br />

al suo posto qualche leggera striatura bruna. A causa della loro leggerezza<br />

corporea, pur nuotando agilmente, i Gabbiani non sono abili tuffatori e possono<br />

pertanto nutrirsi solamente di ciò che si mantiene a galla. Le dure conchiglie<br />

dei molluschi non costituiscono un ostacolo per questi uccelli, che<br />

usano lasciarle cadere dall’alto, onde infrangerle sulle rocce, rendendo così<br />

accessibile il ghiotto contenuto.<br />

Ha un’apertura alare di circa 95 cm, una lunghezza di 33/36 cm, un peso corporeo<br />

intorno ai 250/280 gr, un’aspettativa di vita di 8/14 anni. Depone da 3<br />

a 5 uova color oliva-azzurognolo, e le cova per 23/25 giorni. Ha uno status<br />

esistenziale ottimo.<br />

90


“Sali sulla cima tra il cielo e la terra per raggiungere<br />

la costante armonia con una natura infinita.”<br />

Yi Un Sahg


MO<strong>DI</strong> <strong>DI</strong> <strong>DI</strong>RE (ACCOSTAMENTO UOMO/ANIMALE).<br />

Svelto- come un Gatto; va indietro- come un Gambero; cieco- come una<br />

Talpa; fedele- come un Cane; veloce- come una Lepre; lento- come una<br />

Lumaca; rude- come un Orso; vista- da Aquila; piomba- come un Falco;<br />

occhio- da Lince; furbo- come una Volpe; sporco- come un Maiale; viscidocome<br />

un Serpente; velenosa- come una Vipera; lavora- come un’Ape; previdente-<br />

come una Formica; canta- come un Usignolo; dorme- come un Ghiro;<br />

soffre- come un Cane; allegra- come una Cicala; mangia (poco)- come un<br />

Cardellino; irsuto- come un Porcospino; fame- da Lupo; timido- come un<br />

Coniglio; mangia (tanto)- come un Bue; esibizionista- come un Pavone; tubano-<br />

come Colombi; striscia- come un Verme; rinunciatario- come uno<br />

Struzzo; muto- come un Pesce; frenetico- come una Donnola; spinoso- come<br />

un Riccio; puzza- come una Capra; mansueto- come un Agnello; testardocome<br />

un Mulo; leggiadra- come una Farfalla; insistente- come un Tarlo; steso<br />

al sole- come una Lucertola; parassita- come un Cuculo; forte- come un Toro;<br />

ladro- come una Gazza; nero- come un Corvo; tenero- come un Pulcino; beffardo-<br />

come una Iena; fastidioso- come una Zanzara; lacrime- di Coccodrillo;<br />

porta male- come un Gufo; paziente- come un Ciuco; silenziosa- come una<br />

Mosca; stupida- come un’Oca; crudele- come una Tigre; resistente- come un<br />

Cammello; timoroso- come una Pecora; superbo- come un Cervo; schifosocome<br />

un Rospo; ignorante- come un Asino; pio- come un Bove; bizzosocome<br />

un Cavallo; grossa- come una Balena; magro- come uno Stambecco;<br />

agile- come una Gazzella; dopo tre giorni puzza- come il Pesce; scioccocome<br />

un Pollo; spietato- come un’Arpia; pesante- come un Elefante; piccolocome<br />

uno Scricciolo; cervello- da Gallina; regale- come un Leone; balzo- da<br />

Pantera; incantato - come una Marmotta; sguscia – come un’Anguilla; profuma-<br />

come una Puzzola; imbranato – come una Foca; iettatore – come un<br />

Corvo; giocherellone – come un Delfino.<br />

92


“O Dio perdonaci per gli animaletti che calpestiamo<br />

lungo il nostro cammino.”<br />

Massima Buddista


I MAMMIFERI<br />

La classe dei mammiferi, comprende oltre 4.000 specie di animali riconosciuti<br />

come i più evoluti del regno animale, presenti in tutti i tipi di habitat. Nel<br />

mare ci sono le foche, le balene e i delfini, nei corsi dei fiumi le lontre e i<br />

castori, sopra e sotto la terraferma, quando non addirittura sugli alberi, e infine<br />

i pipistrelli che con i loro patagi hanno conquistato l’aria. Sono animali<br />

vertebrati, provvisti, cioè, di colonna vertebrale, a sangue caldo, con quattro<br />

arti e con il corpo ricoperto di peli. Il feto si sviluppa nel corpo della madre<br />

che, dopo un periodo più o meno lungo di gestazione, partorisce. In alcuni<br />

casi, per esempio nei roditori e in alcuni carnivori, i cuccioli nascono ciechi e<br />

nudi e hanno bisogno di un certo periodo di tempo e di cure da parte della<br />

madre per poter completare la loro formazione. In altri casi, quando nascono<br />

essi sono perfettamente formati e i loro organi interamente funzionanti.<br />

L’alimentazione dei cuccioli avviene con l’allattamento. Oltre al loro complicato<br />

tipo di riproduzione, i mammiferi si distinguono per diversi altri elementi.<br />

Sono dotati di un cervello molto ben sviluppato, e dispongono di numerosi<br />

sistemi di comunicazione, che hanno permesso loro un’alta organizzazione<br />

sociale, basti pensare a quelli olfattivi, visivi e soprattutto, a quelli vocali. I<br />

peli, spesso molto fitti, ricoprono la pelle fungendo da strato isolante, contribuendo<br />

a mantenere il corpo a una temperatura costante, indipendentemente<br />

dalle condizioni atmosferiche. Lo strato di grasso che si trova sotto la pelle ha<br />

una doppia funzione: serve per proteggere dal freddo, ma funge anche da<br />

riserva calorica nei periodi di scarsità di cibo. Questa riserva di grasso, altamente<br />

ricca di calorie, viene distribuita a tutto l’organismo attraverso un sistema<br />

circolatorio che fa capo al cuore e quando questa regolazione diventa<br />

impossibile, per esempio nei mesi del grande freddo, certi mammiferi vanno<br />

in letargo e altri in ibernazione. Avviene così che la temperatura del loro corpo<br />

si abbassa notevolmente, il metabolismo riduce il suo ritmo al minimo così da<br />

consumare una minor quantità di energia possibile. Il letargo e l’ibernazione<br />

95


consentono a vari mammiferi di sopravvivere durante i mesi invernali, proprio<br />

sfruttando le loro riserve di grasso precedentemente accumulate. E’ pressoché<br />

impossibile stabilire le cause che hanno portato i mammiferi a una così<br />

grande evoluzione; si pensa che in parte ciò sia dovuto a un insieme di tanti<br />

fattori biologici, ma sicuramente in buona parte anche al caso. La comparsa<br />

poi dell’uomo sulla terra, soprattutto dell’uomo d’oggi, ha reso più rapida e<br />

drammatica la scomparsa di vari gruppi di animali, mentre altri, vedi i roditori,<br />

stanno occupando nuove nicchie ecologiche create proprio dall’attività<br />

umana. Oggi i mammiferi, grazie al loro rappresentante più evoluto che è<br />

l’uomo, sono l’incontrastato e predominante gruppo che domina il mondo ed<br />

è proprio nelle mani dell’uomo che sta il futuro del nostro pianeta.<br />

96


PILLOLE <strong>DI</strong> SAPERE: I MAMMIFERI<br />

Il Canguro rosso è il più grande dei marsupiali. Un maschio adulto arriva ad<br />

essere lungo oltre i 260 cm, dei quali 120 appartengono alla sua possente<br />

coda. La femmina è molto più piccola, talvolta anche la metà del maschio.<br />

Si sposta poggiando sugli arti posteriori compiendo grandi balzi, che arrivano<br />

anche a 10 metri, con i quali raggiunge una velocità di oltre 45 km orari, con<br />

un consumo di energia pari alla metà di un qualsiasi altro quadrupede. Questo<br />

grande risparmio di energia non è dovuto al caso, bensì al fatto che deve compiere<br />

grandi distanze e perciò questo risparmio diventa estremamente importante.<br />

Se il periodo di siccità dovesse perdurare a lungo e mamma canguro dovesse<br />

perdere il latte materno, il cucciolo verrà espulso dal marsupio e morirà. Con<br />

il ritorno delle piogge e delle provviste<br />

alimentari, un embrione di “riserva” il<br />

cui sviluppo era rimasto sospeso, si<br />

impianterà nuovamente nell’utero della<br />

femmina, dove si svilupperà, senza che<br />

ci sia stato bisognoso di un nuovo accoppiamento.<br />

Il cucciolo rimane per circa 250 giorni<br />

all’interno del marsupio della madre.<br />

CANGURO<br />

Considerato un animale nocivo, esso<br />

viene diffusamente ucciso sia per la<br />

carne che per la pelle. Recentemente è stato censito un numero ragguardevole<br />

di questi animali che si possono contare in oltre 12 milioni di esemplari.<br />

Per segnalare un pericolo, picchia con le zampe e con la coda violentemente<br />

il suolo, allertando in questo modo i compagni in pericolo.<br />

I Toporagno sono animali molto attivi e hanno bisogno di alimentarsi in continuazione<br />

pari a quattro volte il loro peso ogni giorno. Si cibano di inverte-<br />

97


ati, insetti, carogne e spesso anche delle loro stesse feci e di quelle di altri<br />

animali. Le pulsazioni del cuore possono arrivare a oltre 1.200 battiti al minuto.<br />

Vengono predati da vari rapaci sia diurni che notturni, ma possedendo<br />

delle ghiandole cutanee che emettono un odore repellente, una volta uccisi,<br />

non vengono quasi mai divorati.<br />

Il Gorilla non marca il proprio territorio con le urine o con le feci, ma lo delimita<br />

“tambureggiando” il terreno a distanza e i vecchi maschi dominanti<br />

minacciano i rivali, stando ritti sulle zampe posteriori, battendosi il petto e<br />

gridando. I piccoli Gorilla stanno sempre aggrappati al pelo della madre e<br />

solo a 3 mesi incominciano a sedersi, mentre a 5 riescono a camminare e ad<br />

arrampicarsi. Vengono allattati per oltre un anno e mezzo e rimangono<br />

comunque con la madre, fino a 3 anni, quando vengono bruscamente allontanati.<br />

La famiglia dei Canidi è molto numerosa e conta circa 35 specie presenti su<br />

tutta la terra, essi sono assenti solamente in Nuova Zelanda, Nuova Guinea e<br />

Madagascar, e in qualche altra isola minore. Fatta eccezione per la Volpe, che<br />

caccia solitaria, tutti gli altri lo fanno in branco.<br />

La Lontra marina si nutre di ricci di mare e altri molluschi, che raccoglie in<br />

fondo al mare e mangia mentre è in acqua. Per rompere il guscio delle dure<br />

conchiglie, essa ha scoperto come usare i sassi.<br />

Quando infatti si tuffa, oltre alle prede, prende dal fondale un sasso, se lo<br />

mette sul petto, e, galleggiando sul dorso, sbatte il mollusco contro di esso,<br />

finchè ne rompe il guscio, dopodiché si ciba del gradito contenuto.<br />

Possiede dei polmoni molto sviluppati, il doppio di quelli di qualsiasi altro<br />

animale di taglia simile, che le consentono di immergersi fino a 30 metri. La<br />

Iena possiede le più forti mascelle di un qualsiasi altro mammifero. Esse sono<br />

in grado di frantumare le ossa più grosse della preda per estrarne il midollo.<br />

Raramente questi animali cacciano, preferendo cibarsi di carogne uccise da<br />

altri predatori.<br />

Quando nascono, i cuccioli sono di colore nero e solamente dopo alcuni mesi<br />

98


acquisiscono il colore marrone striato o macchiato degli adulti.<br />

E’ la femmina ad essere più grande del maschio e a dominare il clan. Tutti<br />

insieme, i componenti difendono il territorio che costituisce il loro habitat e<br />

che può arrivare addirittura a 70/80 km quadrati, continuamente marchiati tramite<br />

ripetuti richiami e sostanze organiche. Il Ghepardo è il più veloce animale<br />

terrestre e può raggiungere e superare<br />

con uno scatto di 10 secondi, una velocità<br />

di 110 km orari.<br />

Velocità che può però mantenere solamente<br />

per un tratto breve, dopodiché<br />

dovrà abbandonare la preda qualora non<br />

l’avesse catturata. La femmina può partorire<br />

anche 6/7 cuccioli, dopo circa 3<br />

mesi di gestazione.<br />

Le Foche sono dotate di sofisticati mec-<br />

FOCA CUMUNE<br />

canismi che permettono loro di potersi<br />

cercare il cibo anche a una certa profondità rimanendo immerse per lungo<br />

tempo e in questo caso, l’adattamento più importante riguarda la circolazione<br />

del sangue. Durante l’immersione in profondità, il suo normale ritmo cardiaco<br />

passa dagli abituali 120 a solo 4 battiti al minuto, senza avvertire una corrispondente<br />

caduta di pressione.<br />

La Foca ha il corpo coperto da una pelliccia che subisce una muta annuale. In<br />

questo mammifero la riproduzione è accompagnata da un fenomeno particolare:<br />

“l’annidamento differito” per cui, gli embrioni cominciano a svilupparsi<br />

dopo un certo periodo dell’avvenuta fecondazione.<br />

I piccoli sono in grado di strisciare e di nuotare dopo meno di un’ora dalla<br />

nascita. Una specie, la Foca di Wenddell, compie le immersioni più lunghe e<br />

più profonde, raggiungendo i 600 m dove può rimanere per oltre 70 minuti e<br />

quando raggiunge queste profondità, il ritmo cardiaco si abbassa del 75%,<br />

scende cioè a poco più di un battito al minuto.<br />

99


La Balenottera azzurra, è il più grande mammifero esistente. E’ lunga oltre 30<br />

metri e può pesare fino a 1.500 quintali. Malgrado questa mole impressionante,<br />

grazie al suo corpo affusolato, riesce a muoversi con molta agilità.<br />

Soprattutto in estate, si nutre incessantemente e, pur essendo molto selettiva,<br />

è capace di mangiare oltre 55 quintali di plancton (piccoli crostacei di crill)<br />

ogni giorno.<br />

La Balenottera azzurra possiede un altro primato, ha infatti la più lunga gestazione<br />

di tutti i mammiferi marini: si prolunga per oltre 11 mesi. Grugnisce e<br />

ronza emettendo lamenti a volte superiori a 180 decibel, che sono i suoni più<br />

forti fra tutti i versi degli animali e che possono essere uditi da altre balene<br />

consorelle a oltre 1.000 km di distanza.<br />

L’Elefante è il più grande mammifero terrestre; alcuni esemplari sono alti 4<br />

metri e raggiungono facilmente i 60 quintali di peso.<br />

Possiede delle grandissime orecchie che hanno una funzione molto importante,<br />

sono infatti delle enormi ventole che il pachiderma muove continuamente<br />

avanti e indietro per “farsi vento” e diminuire così, l’eccesso del calore corporeo.<br />

Molto curiosa è anche la proboscide formata dalla fusione del naso e<br />

del labbro superiore, essa è molto flessibile e termina con due appendici sensibilissime,<br />

che servono per afferrare il cibo, bere, lottare, lavorare e fiutare.<br />

Gli incisivi superiori crescono a dismisura fino a diventare delle grandi zanne<br />

d’avorio, per questa particolarità è sempre stato molto abbattuto tanto da<br />

diventare in diverse zone, assai raro.<br />

Può mangiare per 20 ore e per più di 200 kg al giorno di sostanze vegetali<br />

costituite da foglie, germogli, rametti e frutti di varie piante.<br />

La femmina di Elefante detiene il primato per la gestazione più lunga nel<br />

regno dei mammiferi: arriva a 22 mesi, ed il piccolo viene allattato per oltre<br />

2 anni.<br />

Negli Elefanti è sempre la femmina più anziana, (la matriarca) a capeggiare<br />

il branco e a condurlo sovente alla ricerca dell’acqua che riesce a localizzare<br />

sotto terra.<br />

100


Il Cammello, unitamente al Dromedario, al Guanaco e al Vigogna rappresentano<br />

la famiglia dei Camelidi, considerati i più primitivi fra i ruminanti.<br />

Gli antichi Incas circa 6.000 anni fa, hanno selezionato dall’accoppiamento<br />

del Guanaco con il Vigogna (entrambi, in grave crisi esistenziale), il Lama,<br />

oggi da considerarsi un animale domestico, da soma, tipico della zona delle<br />

Ande. Esso viene allevato sia per la sua carne, che per la sua lana anche al di<br />

fuori dell’America del Sud.<br />

Il Cammello è caratterizzato da due gobbe poste sopra il dorso, queste gibbosità<br />

servono come riserve di grasso per i tempi in cui il cibo scarseggia.<br />

Questo mammifero ha il corpo ricoperto di lunghi peli irsuti che lo proteggono<br />

dal freddo durante l’inverno, e cadono<br />

d’estate lasciandolo quasi nudo.<br />

Possiede degli arti ”altamente specializzati”,<br />

con sole due dita per piede, munite<br />

di unghia superiormente, le cui ossa si<br />

sono allargate lateralmente per dare<br />

impianto a due ampi cuscinetti callosi.<br />

Questi cuscinetti elastici permettono<br />

all’animale di spostarsi agevolmente<br />

sulla sabbia mobile, dove degli zoccoli<br />

CAMMELLO<br />

rigidi affonderebbero. Il Dromedario a<br />

differenza del Cammello, possiede una sola gobba e si dice sia stato addomesticato<br />

molto prima, attorno al 4.000 a.C. Un po’ più piccolo del Cammello<br />

può immagazzinare nel suo stomaco delle grandi riserve d’acqua permettendogli<br />

di rimanere per molto tempo senza bere.<br />

La sua gobba (del resto come le due del Cammello), oltre ad accumulare il<br />

grasso necessario per i periodi di carestia, serve anche come protezione contro<br />

il sole in quanto ne assorbe il calore.<br />

I reni possono concentrare l’urina per evitare al massimo le perdite d’acqua e,<br />

in caso di bisogno, l’organismo può assorbire l’umidità contenuta nelle feci.<br />

101


Infine la temperatura dell’animale scende abbondantemente nelle ore notturne<br />

per aumentare progressivamente durante il giorno, ciò per evitare all’animale<br />

di traspirare troppo per raffreddarsi.<br />

Il Dromedario, come il Cammello, può perdere durante i periodi di siccità<br />

fino al 30% del proprio peso, scendendo dai 600 ai 400 kg circa, senza risentirne,<br />

sarà però sufficiente incontrare un’oasi e poter bere, che in dieci minuti<br />

riacquisterà tutto il peso perduto.<br />

Dopo diversi controlli effettuati si può affermare che questi animali assetati<br />

sono in grado di bere in pochi minuti oltre 110 litri di acqua.<br />

La fiaba<br />

“ Il Leone, la Volpe e il Cervo”<br />

Un Leone che giaceva ammalato nella sua tana, disse alla Volpe che gli era<br />

affezionata e spesso veniva a trovarlo: “Se tu vuoi che io guarisca e che continui<br />

a vivere e a regnare, devi con la tua furbizia convincere quel grande<br />

Cervo che abita nel bosco a venirmi a trovare così da spingerlo fra le mie<br />

zampe, ho una gran voglia delle sue viscere e ancora di più del suo cuore”.<br />

La Volpe andò e trovò il Cervo che scorazzava nei boschi e tutta complimentosa<br />

gli disse: “Sono venuta a portarti una bella notizia.<br />

Il Leone nostro Re, che come sai è mio vicino di casa, è molto malato ed è sul<br />

punto di morire. Egli ha pensato a quale delle bestie dovrà succedergli nel<br />

regno.<br />

Il Cinghiale, diceva, è uno stupido, l’ Orso è balordo, la Pantera è collerica,<br />

la Tigre è superba, per me, il più adatto a fare il Re è il Cervo, che ha una<br />

bella statura, vive molti anni e con le sue corna fa paura anche ai Serpenti.<br />

In conclusione il Leone ti ha scelto come suo successore, diventerai Re.<br />

Ti ho portato il suo messaggio e adesso ho fretta perché devo rientrare in casa<br />

e recarmi dal Leone che già mi starà facendo cercare, in quanto lui non fa più<br />

niente senza i miei consigli; piuttosto se anche tu ne vuoi uno, vieni con me a<br />

fargli visita e a stargli vicino fino a che, non morirà”. Così disse la Volpe.<br />

102


A queste lusinghe il Cervo si montò la testa, e, ignaro di quel che l’aspettava,<br />

si avviò seguendo la Volpe verso la caverna del Leone.<br />

Questi, vedendoselo davanti, gli balzò addosso, ma riuscì soltanto a lacerargli<br />

le orecchie con gli artigli, perché il Cervo con un veloce scatto scappò<br />

rientrando nel bosco. La Volpe si rammaricò molto per aver visto vanamente<br />

sprecate le sue fatiche, e il Leone ruggiva a gran voce, vinto dalla fame e dal<br />

dolore e scongiurò nuovamente la furba Volpe di fare un’altra prova, escogitando<br />

un altro stratagemma per portargli nuovamente il Cervo.<br />

La Volpe ripartì alla ricerca del Cervo e quando lo incontrò, questi stava<br />

ancora leccandosi le ferite; vedendosela davanti pieno d’ira e con il pelo<br />

arruffato gridò: “non mi ingannerai più brutta bestiaccia, se ti avvicinerai a<br />

me ti infilzerò con le mie corna.<br />

Va a “incantare” quelli che ancora non ti conoscono, vai a sceglier qualcun<br />

altro al quale montargli la testa per farlo diventare Re”. E la Volpe rispose:<br />

“Ma perché sei così vile e pauroso? Perché sospetti di noi, tuoi amici? Il<br />

Leone ti aveva afferrato gli orecchi perchè voleva darti dei consigli e delle<br />

istruzioni sulla tua importante funzione di Re prima di morire.<br />

E tu non sei stato capace di sopportare il graffio di una zampa di un povero<br />

ammalato. Ora egli è più adirato di te e vuole lasciare il regno al Lupo e allora<br />

quando questi regnerà te ne accorgerai.<br />

Ma se tu vieni nuovamente a fargli visita senza paura e senza comportarti<br />

come una Pecora ti assicuro che il Leone non ti farà niente di male e in quanto<br />

a me sarò sempre ai tuoi servizi. Ingannando nuovamente il disgraziato<br />

Cervo, lo convinse nuovamente a seguirlo nella tana del Leone.<br />

E questa volta il Re degli animali non se lo fece scappare ed ebbe il suo desiderato<br />

pranzo.<br />

Ma mentre il Leone banchettava con le ossa e le viscere della sua preda, il<br />

cuore del Cervo cadde a terra e la Volpe che stava osservando la scena<br />

l’afferrò e se lo mangiò come compenso per le sue fatiche.<br />

Il Leone intanto stava cercando fra i pezzi di carne del povero Cervo dilania-<br />

103


ti dai suoi artigli proprio il cuore, motivo del suo principale desiderio. La<br />

Volpe, fermatasi un po’ lontano osservandolo gli disse: ”Ma quello di cuore<br />

non ne aveva, inutile cercarlo; che cuore vuoi che avesse uno che per due<br />

volte è venuto nella tua tana, anzi proprio tra le tue zampe?”. (Esopo)<br />

104


“Il futuro sarà una gara tra l’educazione e la catastrofe.”<br />

Henrj George Welles


PILLOLE <strong>DI</strong> SAPERE: I MUSTELI<strong>DI</strong><br />

Fanno parte di questa famiglia oltre 65 specie di carnivori, ma in questo caso<br />

ne esamineremo soltanto alcune. In genere i Mustelidi presentano tutti le<br />

medesime caratteristiche: corpo lungo e sinuoso, arti corti, una dentatura sviluppata,<br />

occhi piuttosto piccoli e luccicanti, orecchie piccole, ma proporzionate.<br />

Hanno prevalentemente un comportamento solitario. Insolitamente, essendo<br />

dei carnivori al posto degli artigli posseggono 5 dita unghiate non retrattili.<br />

Le ghiandole anali producono cattivi odori e spesso diventano un’arma di difesa.<br />

Tutti i mustelidi uccidono le loro prede, non tanto per cibarsene, quanto<br />

perché il movimento delle stesse scatena in questi animali l’atto predatorio<br />

vero e proprio e fintanto che il movimento permane, il mustelide è stimolato<br />

ad uccidere. Tale particolare comportamento può essere facilmente notato<br />

quando questi predatori entrano in un pollaio dove le galline volano impaurite<br />

qua e là rafforzando in tal modo l’istinto del predatore, che finirà per ucciderle<br />

tutte.<br />

L’Ermellino è diffuso anche sulle nostre Alpi sia pure a notevole altezza. Dalla<br />

notte dei tempi questo Mustelide è stato il simbolo della regalità e della sovranità<br />

intellettuale, in quanto la sua pelliccia ha ornato i mantelli di principi e<br />

sovrani, ma pure toghe e cappe di magistrati e uomini di scienza. E’ da considerarsi<br />

una piccola vera belva dall’indicibile voracità in grado di attaccare<br />

prede anche molto più grosse di lui, dalle<br />

quali ama suggere il sangue. Particolare e<br />

stupefacente è l’eclisse che subisce il suo<br />

mantello, che passa dal color rosso giallastro<br />

dell’estate, al bianco immacolato dell’inverno,<br />

periodo che lo rende tanto prezioso<br />

e ricercato per la sua pelliccia.<br />

L’Ermellino è un predatore che caccia<br />

prevalentemente Conigli selvatici,<br />

107<br />

ERMELLINO


Starne, Pernici, Fagiani e altri animali, oggetto di caccia anche da parte dell’uomo.<br />

E’ stato importato massicciamente in Nuova Zelanda per riequilibrare<br />

la presenza in quel territorio del Coniglio selvatico presente in maniera abnorme.<br />

Una curiosità vuole che il celebre quadro di Leonardo da Vinci arrivato<br />

sino ai giorni nostri con la denominazione di ”La dama dell’Ermellino” in realtà<br />

non rappresenti un Ermellino, bensì un Furetto albino; animale abbastanza<br />

simile, tuttavia diverso.<br />

La Donnola, il più piccolo dei Mustelidi, è tra l’altro l’unico della famiglia a<br />

cacciare il Toporagno evitato da tutti gli altri suoi ”parenti” a causa dell’insipienza<br />

delle sue carni e del cattivo odore che emana.<br />

Lo Zibellino è onnivoro in quanto, oltre che di carne, si nutre anche di bacche.<br />

Questo animaletto è stato cacciato con trappole e trabocchetti per secoli a<br />

causa della sua pelliccia particolarmente pregiata, ma l’astuzia dello Zibellino<br />

è tale che molto spesso riesce ad impadronirsi delle esche senza far scattare le<br />

trappole. Un tempo era presente un po’ ovunque, compreso nelle nostre montagne,<br />

ma a causa di una caccia spietata per la sua pelliccia, oggi la continuità<br />

della sua specie è messa fortemente in pericolo. Lo si può trovare con una certa<br />

frequenza solamente nella parte alta della Siberia, mentre nel resto dell’Europa<br />

manca da circa 80 anni. Anche la Faina e la Martora, oltre che di prede abituali,<br />

si nutrono, specie nel periodo autunnale, di frutta e bacche.<br />

Le Martore, a dispetto degli Zibellini, sono abbastanza rappresentate in tutto il<br />

mondo. Sono animali molto crudeli, uccidono per diletto, e senza nessuna<br />

ragione le vittime che poi abbandonano sul posto senza più toccarle. Spesso si<br />

riuniscono in vere e proprie “bande” e invadono nuove zone della foresta compiendo<br />

inspiegabili migrazioni che lasciano tracce sanguinose.<br />

Le Lontre si cibano prevalentemente di prede anfibie che individuano sott’acqua<br />

con l’aiuto delle loro vibrisse rigide e sensibili adatte a captare le correnti<br />

provocate dai movimenti delle prede. La Lontra comunica con i suoi simili<br />

mediante numerosi suoni e odori emessi dalle ghiandole che hanno un particolare<br />

significato di status. Nei paesi asiatici le Lontre particolarmente addestra-<br />

108


te, vengono impegnate dai pescatori per<br />

dirigere il pesce verso le reti, infatti allo<br />

stato libero le Lontre hanno la tendenza a<br />

convogliare il pesce verso un’insenatura<br />

dove diventa più facile catturarlo. Le<br />

Lontre cacciano generalmente di notte,<br />

preferendo quelle rischiarate dalla luna<br />

piena. Questa specie possiede un gran<br />

LONTRA<br />

numero di tane, ripari e rifugi temporanei<br />

che costantemente ispeziona e mantiene idonei ed efficienti.<br />

Anche il Tasso è un Mustelide anche se non possiede le stesse caratteristiche<br />

dei suoi parenti stretti. Il suo corpo è piuttosto tozzo, vive in piccoli branchi ed<br />

ha quindi un comportamento sociale. E’ onnivoro, ma si nutre prevalentemente<br />

di lombrichi che “aspira” nella notte umida dal terreno con il suo naso. La<br />

vista è piuttosto scarsa per cui, per cacciare le sue prede, ricorre all’olfatto e<br />

all’udito che invece sono molto sviluppati. Ha bisogno di un ampio territorio<br />

che può arrivare anche a un centinaio di ettari di terreno.<br />

La Puzzola possiede delle dita lunghe e forti adatte a scavare le tane in cui<br />

l’animale trascorre gran parte della sua vita sotterranea. Anch’ essa è una grande<br />

predatrice di roditori e piccoli mammiferi, ma non disdegna rettili e Vipere<br />

delle quali non teme affatto il veleno. Deve il suo nome al fortissimo e repulsivo<br />

odore che impregna di continuo il corpo e quindi il suo pelo. Per questo<br />

la sua pelliccia non è assolutamente apprezzata anche perché dopo innumerevoli<br />

e particolari trattamenti ancora nessun pellicciaio è riuscito a renderla inodore.<br />

Questa sgradevole peculiarità è dovuta ad alcune ghiandole secernenti<br />

una sostanza nauseabonda, che ha un doppio scopo: quello di far volgere in<br />

precipitosa fuga gli avversari e di richiamare gli individui della stessa specie.<br />

109


LA DONNOLA<br />

E’ un attivissimo predatore che caccia sia di giorno che di notte preferendo<br />

Topi e Arvicole, ma non disdegnando uova e piccoli uccelli.<br />

Molte sono le credenze popolari su questo mustelide, un tempo grande frequentatore<br />

delle case coloniche dove spesso entrava in conflitto con l’uomo.<br />

Come quasi tutti i mustelidi essa possiede, tra le altre, la proprietà di allungare<br />

a dismisura il suo corpo. Ricordano i più vecchi come la Donnola, fosse in<br />

grado di entrare in un piccolo pertugio allungandosi di quasi la metà della lunghezza<br />

del suo corpo. Una volta entrata nel pollaio la Donnola, che è un animaletto<br />

lungo poco più di 22-23 cm e del peso di 2-300 gr, durante la notte riusciva<br />

a sgozzare tutti gli animali che vi erano rinchiusi: triste era il mattino<br />

quando solitamente la nonna che si alzava per prima, si accorgeva della strage<br />

fatta. Nei tempi più lontani si pensava che a compiere il misfatto fossero i vampiri,<br />

considerati i due classici forellini lasciati nel collo delle vittime.<br />

Successivamente si scoprì invece che l’autore era la Donnola, qualche altra<br />

volta (ma più raramente) potevano essere anche le sue “compagne e vicine di<br />

tana” vale a dire la Faina, la Martora e la Puzzola.<br />

Le case coloniche erano un ricettacolo molto gradito da questo mustelide: i<br />

pagliai, i fienili e soprattutto le cataste di fasci di legna erano i suoi habitat preferiti<br />

e quando accadeva che un pollaio venisse distrutto, arrecando un grave<br />

danno alla già povera famiglia, allora<br />

scattava la rabbia e si procedeva con spietatezza<br />

alla caccia. L’uomo sapeva dove<br />

le Donnole avevano le loro tane e allora<br />

disfaceva la catasta di fasci di legna,<br />

poneva gli stessi sulla terra uno sopra<br />

l’altro in maniera da ottenere una piccola<br />

arena e quando tutti i fasci erano rimossi,<br />

110<br />

DONNOLA


sul terreno sottostante apparivano decine di buchi, una vera e propria gruviera:<br />

erano le tane delle Donnole, o in qualche caso anche di altri Mustelidi. A<br />

questo punto entravano in scena dei Cani (molto abili e particolarmente addestrati<br />

nel cacciare i Ratti), che azzannavano le “povere bestie” appena queste<br />

sporgevano con il loro musetto dalla tana tentando la fuga. Se qualcuna sfuggiva<br />

alle fauci dei Cani, andava a sbattere contro i fasci di legna e in questo<br />

caso erano gli uomini dentro il recinto, a finirle con dei bastoni o delle forche.<br />

La voce della distruzione del pollaio da parte della Donnola e della sua caccia<br />

si spargeva per il paese e tutti correvano ad assistere al triste, ma “necessario<br />

spettacolo”. Poi una volta conclusa l’opera di “bonifica”, si potevano osservare<br />

sul selciato davanti la casa colonica le Donnole uccise e fra di esse, quasi<br />

sempre c’erano anche le sue “compagne e vicine di tana” Martore, Faine e<br />

Puzzole. Si procedeva dunque a scuoiare gli animali e ad inchiodare ben tese<br />

le loro pelli su delle tavole che venivano poi esposte al sole affinché si potessero<br />

asciugare. Successivamente venivano vendute allo straccivendolo (strassariol)<br />

che settimanalmente passava per le case a raccogliere le “robe vece”, le<br />

ossa, il ferro vecchio e, appunto, le pelli degli animali. Si poteva raccogliere<br />

così un po’ di denaro che in qualche modo ripagava la sfortunata famiglia per<br />

il danno del pollaio distrutto. Le pelli venivano successivamente portate in<br />

conceria e finivano per abbellire polsini e colletti dei cappotti delle signore.<br />

Va pure ricordato come qualche famiglia, nell’intento di prevenire la strage nel<br />

pollaio, saltuariamente usasse raccogliere del cuoio proveniente dalle tomaie<br />

degli zoccoli e delle scarpe vecchie e lo bruciasse in prossimità delle tane con<br />

la speranza che l’odore, davvero cattivo, emanato dal cuoio bruciato, scacciasse<br />

i terribili mustelidi. Ma era una prevenzione che non portava a nessun risultato,<br />

e la Donnola se ne stava tranquilla nella sua tana; da qui il vecchio detto:<br />

“Non a va via gnanca se te brusa curame”.<br />

Nei tempi andati, la Donnola era conosciuta come un animaletto molto dispettoso,<br />

e si diceva che si divertisse proprio a procurare guai all’uomo e che poi<br />

per sfuggire alla sua ira, usasse arrampicarsi velocemente sull’albero più alto<br />

111


anche per evitare la cattura da parte dei cani. Nella bassa Trevigiana, essa veniva<br />

anche individuata con i nomi dialettali di: “puissat”, e “bea donoea”. E tanti<br />

sono gli aneddoti raccontati. Frequentemente infastidiva le vacche durante la<br />

mungitura tanto che queste, con uno scarto improvviso rovesciavano il secchio<br />

del latte e il mungitore stesso. Molto spesso tormentava con la sua presenza le<br />

chiocce che covavano, e le molestava al tal punto che queste lasciavano il covo<br />

e allora predava uova e pulcini. Ancora più spesso entrava nelle case e con la<br />

frenesia che la contraddistingueva metteva tutto sottosopra e talvolta rubava<br />

quel poco che c’era da mangiare. La Donnola ha dunque una vita molto frenetica,<br />

in continuo movimento, dorme pochissimo, la sua alimentazione giornaliera<br />

deve essere pari ad un terzo del suo peso, ha una vita brevissima che può<br />

durare non più di 12/15 mesi. Ha un comportamento solitario, una gestazione<br />

di 35/37 giorni e può partorire fino a 9 cuccioli.<br />

La fiaba<br />

“La Donnola e il Gallo”<br />

Una Donnola aveva catturato un Gallo e avrebbe voluto un pretesto plausibile<br />

per poterlo uccidere. Iniziò ad accusarlo perché cantando di notte non permetteva<br />

all’uomo di riposare. Il Gallo però si difese sostenendo che il suo<br />

canto consentiva all’uomo di svegliarsi presto e di poter lavorare. Allora la<br />

Donnola accusò il Gallo di violare le leggi della natura accoppiandosi nel pollaio<br />

con la madre e con le sorelle. E poiché il gallo anche in questo asserì che<br />

tutto ciò era nell’interesse dell’uomo, poiché le galline facevano molte uova,<br />

la Donnola esclamò: “ va bene vedo che non ti mancano delle buone giustificazioni;<br />

ma io per questo non voglio rinunciare al mio buon pasto” e se lo<br />

divorò. (Esopo)<br />

112


IL TASSO<br />

E’ un animale che ha sempre dovuto fare “i conti” con l’uomo. Sebbene la sua<br />

pelliccia non abbia il valore di quelle della Lontra, dell’Ermellino o dello<br />

Zibellino, è tuttavia molto ricercata perché se una volta serviva a foderare bauli e<br />

valigie, il suo pelo ancora oggi viene usato per fabbricare i migliori pennelli da<br />

barba, quelli per il trucco e ancora, spazzolini da denti per gengive delicate; la<br />

pelle invece è adoperata dai sellai per ricoprire le più eleganti e preziose selle da<br />

equitazione. Anche la sua carne è considerata molto pregiata. Il Tasso ha abitudini<br />

notturne e teme pertanto la luce del giorno, durante il quale se ne sta rintanato<br />

nelle sue inaccessibili tane dalle quali esce solo all’imbrunire per cercarsi il cibo.<br />

Questo mustelide è, per sua natura, scontroso, diffidente, poco socievole ed<br />

aggressivo. Durante la stagione fredda cade in letargo, ma, a differenza di molti<br />

suoi congeneri, si sveglia ripetutamente e per sgranchirsi compie pur brevi movimenti,<br />

talvolta arrischiandosi ad uscire anche fuori della tana. E’ piuttosto lento e<br />

impacciato nei movimenti, tuttavia sa arrampicarsi sugli alberi con una certa facilità<br />

ed è pure un abile saltatore. Di regola è carnivoro, si nutre infatti di Insetti,<br />

Larve sotterranee, Lombrichi, Topi, Molluschi che costituiscono con piccoli<br />

Conigli e leprotti il suo cibo più gradito; ma all’occorrenza si nutre anche di frutta,<br />

tuberi e radici, non disdegnando neppure le carogne di altri animali. Per questo<br />

si può affermare che il Tasso è in definitiva un animale onnivoro. Questo<br />

Mustelide ha bisogno di alimentarsi in continuazione,<br />

ma nonostante sia veramente<br />

insaziabile, può sopportare lunghi periodi<br />

di digiuno senza soffrirne eccessivamente;<br />

questa scoperta, è dovuta ad alcuni naturalisti<br />

che hanno tenuto dei Tassi a digiuno<br />

per oltre quaranta giorni senza che gli animali<br />

ne risentissero minimamente. Il Tasso<br />

è ritenuto un animale che in fatto di astuzia<br />

113<br />

TASSO


supera anche la Volpe e grazie a questa sua particolarità, raramente cade nelle<br />

trappole tese dall’uomo; è quindi un animale difficilissimo da cacciare. Solo dei<br />

cani bene addestrati riescono a stanarlo dalla sua tana, ma prima di farsi sopraffare,<br />

ingaggia con questi una lotta furibonda: si sdraia sul dorso e lotta ferocemente,<br />

tanto che prima di soccombere riesce a metterne fuori combattimento almeno<br />

tre o quattro. Come si è detto, il Tasso è aggressivo, ma anche coraggioso. Si racconta<br />

che molti anni fa, una femmina, alla quale era stata affumicata la tana per<br />

catturare i suoi cuccioli, si avventò contro una contadina e continuò a morderla<br />

finchè la donna fu soccorsa e l’animale fu ucciso. Ma anche la povera donna morì<br />

di lì a pochi giorni per idrofobia. Degna della massima attenzione per le sue curiosità<br />

è la tana del Tasso. Esso sceglie sempre dei siti esposti a mezzogiorno preoccupandosi<br />

che ci sia sempre un grande masso ben ancorato al suolo o un grosso<br />

tronco d’albero nelle vicinanze. Allora scaverà un lungo corridoio in fondo al<br />

quale costruirà una grande camera che tappezzerà di erba, muschio e foglie secche;<br />

sarà il soggiorno della famiglia in cui regnerà un’estrema pulizia. Dalla<br />

camera dipartiranno diversi corridoi che funzioneranno sia da vie d’uscita che da<br />

bocche d’aria. Nella camera del Tasso, come detto, regna dunque una grande pulizia,<br />

questo animale è veramente un igienista, infatti, nelle immediate vicinanze,<br />

ma talvolta sul finire del corridoio d’uscita, si costruisce delle lettiere che mantiene<br />

pulite portando periodicamente i “rifiuti”, molto lontano. Non è raro che altri<br />

animali quali Lepri, Conigli o Topi, utilizzino soprattutto i corridoi d’uscita dalla<br />

tana dove spesso vi costruiscono la loro “cuccia”. Ebbene, pur essendo questi dei<br />

bocconi prelibati, pare che il Tasso abbia un grande rispetto per i suoi ospiti. Infatti<br />

questi roditori che coabitano nelle sue tane, si sentono tranquilli e protetti poichè<br />

non si sa per quale stranezza, il padrone di casa li accoglie senza far loro del male.<br />

Un tempo era d’uso catturare dei Tassi molto giovani per poterli addomesticare,<br />

ed era frequente osservare questi animali vivere nelle case dell’uomo come se fossero<br />

dei gatti o dei cani. Sempre nei tempi andati, il grasso del Tasso veniva usato<br />

per curare artrosi e reumatismi. Ha un comportamento sociale, una gestazione di<br />

40/42 giorni e può partorire da 4 a 5 cuccioli.<br />

114


LA MARMOTTA<br />

È tutta avvolta da una calda e folta pelliccia bruna, leggermente rossiccia sul<br />

ventre e terminante con un bel ciuffo nero sulla coda. La testa è piuttosto massiccia<br />

coronata da orecchie piuttosto piccole. Ma la cosa che maggiormente<br />

spicca in questo animale sono gli occhi neri e rotondi, vivaci e brillanti che<br />

sembrano animati da una luce maliziosa. Fu a lungo allevata dalle popolazioni<br />

alpine per avere a buon mercato delle pellicce, ma anche perché da alcuni<br />

organi e dal suo grasso, si sono ricavati per secoli farmaci e unguenti “miracolosi”<br />

per curare diversi malanni. La Marmotta è pure stata considerata un animale<br />

da compagnia che spesso sostituiva il Cane, perché di carattere giocherellone<br />

e domestico. È ritenuto, a dovere, l’animale selvatico più pulito. Non<br />

c’è un centimetro quadrato del suo corpo che non lavi e pulisca con meticolosa<br />

attenzione. La Marmotta ha un comportamento assai sociale vivendo in<br />

gruppi numerosi che trascorrono la giornata giocando a rincorrersi e nutrendosi<br />

di erbe aromatiche. Vive in prevalenza anche oltre i 3000 metri di altezza,<br />

ma non appena le prime brume avvolgono la montagna, ridiscende verso i luoghi<br />

più caldi. Possiede due tane: una estiva con una camera non molto profonda<br />

di media ampiezza in nuda terra e con una via d’uscita per la fuga. Quella<br />

invernale sarà invece più profonda anche 4-5 metri con una grande camera<br />

centrale che riempie di erba, foglie e felci e che diventerà il luogo dove trascorrerà<br />

l’inverno in uno stato di ibernazione,<br />

ma la cosa strana è che la Marmotta si<br />

risveglia ogni 20-25 giorni per andare a<br />

deporre i propri escrementi all’estremità<br />

del corridoio d’accesso, mantenendo in<br />

questo modo la camera sempre pulita e<br />

inodore. Un altro particolare curioso va<br />

individuato nel fatto che in questa grande<br />

camera trascorreranno l’inverno molti<br />

115<br />

MARMOTTA


individui appoggiati gli uni agli altri e tutti legati da stretti vincoli di parentela.<br />

Il periodo che la Marmotta passa in questo stato di ibernazione particolare,<br />

dura sei lunghi mesi ed è più lungo di qualsiasi altro animale. Nel corso di questo<br />

periodo perde circa il 60% del suo peso corporeo. Per segnalare pericoli<br />

incombenti le marmotte di sentinella emettono un caratteristico segnale, il<br />

famoso “fischio delle Marmotte”. Questo fischio opportunamente modulato e<br />

protratto, va diversamente inteso come una conversazione oppure come<br />

l’espressione di uno stato d’animo particolare.<br />

Ha un comportamento sociale, una gestazione di circa 30 giorni e può partorire<br />

da 4 a 8 piccoli.<br />

116


“Non siamo i padroni della natura, ma i suoi custodi.”<br />

Henrj David Thoreau


LA TALPA<br />

Vive sottoterra, è cieca, è priva d’olfatto, non ha un udito particolarmente sviluppato,<br />

ha invece nel tatto, il senso nel quale può maggiormente contare. Ed<br />

è infatti con il tatto che riesce ad individuare le sue prede che incontra scavando<br />

nel terreno. La Talpa deve alimentarsi ogni giorno per circa la metà del suo<br />

peso corporeo, pertanto è innato in questo animale l’istinto della continua ricerca;<br />

ecco perché scava senza interruzioni. Anche sazia, incontrando nuovi<br />

Lombrichi e nuovi Vermi essa li morderà; nella sua saliva sono presenti delle<br />

sostanze paralizzanti che agiranno sulla preda immobilizzandola per alcune ore;<br />

la Talpa, appena il cibo scarseggerà, ritornerà sui suoi passi e si ciberà di queste<br />

riserve. Contrariamente ad altri mammiferi, il pelo della Talpa alla carezza non<br />

si rovescia ma rimane dritto e morbido. La Talpa viene cacciata in diversi modi<br />

(molti di essi inefficaci) ma il più praticato e sicuro rimane sempre quello di<br />

attendere con pazienza la ripresa del suo lavoro, laddove è affiorata in superficie<br />

la sua piccola ultima duna. Sarà sempre al mattino presto, o alla sera al crepuscolo,<br />

che essa si rifarà viva e incomincerà a portare in superficie con i forti arti<br />

posteriori, la terra che scaverà con quelli anteriori, a questo punto basterà calcolare<br />

il ritmo con il quale il piccolo cumulo salirà, e con un colpo netto del badile,<br />

sollevare da sotto il cumulo intero, all’interno del quale quasi sempre ci sarà<br />

la Talpa. Un tempo la pelliccia di questo animale era molto preziosa e valeva<br />

veramente la pena cacciarla, infatti al passaggio<br />

dello straccivendolo che raccoglieva<br />

tutto, la pelle della Talpa, pur essendo piccola<br />

(un rettangolino di circa 12cm per 10),<br />

veniva pagata almeno 20 volte quella di un<br />

Coniglio che era molto, ma molto più grande.<br />

Ha un comportamento solitario, una<br />

gestazione di circa 28 giorni e partorisce<br />

da 3 a 5 cuccioli.<br />

TALPA EUROPEA<br />

119


La fiaba<br />

“ La Talpa e sua Madre”<br />

Una Talpa, animale cieco per natura, un bel giorno comunicò a sua madre<br />

che ci vedeva. La madre per verificare se fosse vero le diede un granello di<br />

incenso chiedendole cosa fosse. Essa allora dichiarò che era un sassolino.<br />

“Figlia mia” esclamò allora la madre, “tu non solo sei cieca, ma hai pure<br />

perduto il senso dell’olfatto”. (Esopo)<br />

IL CRICETO<br />

Le curiosità del Criceto incominciano da come costruisce la sua tana, sempre e<br />

comunque dotata di un’entrata e di un’uscita. Nel profondo della medesima si<br />

costruisce più camere.<br />

La prima, quella principale, solitamente la più grande, diventa il luogo di soggiorno.<br />

Sarà “arredata” con tenere foglie e sottili fili d’erba che diventeranno un<br />

morbido giaciglio anche per i piccoli che<br />

nasceranno. Seguiranno dei magazzini nei<br />

quali saranno accumulate, durante la stagione<br />

propizia, molte riserve di cibo per<br />

l’inverno; si calcola che ogni Criceto<br />

possa approvvigionarsi dai 13 ai 16 kg di<br />

vegetali tra i quali tarassaco, piantaggine,<br />

piccoli frutti, tuberi, radici e altro ancora.<br />

Ma il Criceto dopo il soggiorno e i magaz-<br />

CRICETO<br />

zini scaverà altri recessi, le così dette latrine,<br />

dove tutta la famigliola andrà a defecare<br />

lasciando pulito tutto il resto della tana. Un ultimo particolare curioso deriva<br />

dal fatto che il Criceto alle prime avvisaglie dell’inverno, chiude gli sbocchi<br />

esterni delle sue gallerie proteggendosi così dal freddo e dai predatori.<br />

Il suo letargo sarà piuttosto vigile perché fino all’arrivo della primavera alterne-<br />

120


à stati di breve letargia ad altrettanti brevi risvegli durante i quali consumerà<br />

piccole parti delle sue abbondanti scorte di cibo.<br />

Ha un comportamento solitario, una gestazione di circa 20 giorni e partorisce<br />

da 4 a 14 cuccioli.<br />

IL GHIRO<br />

Se non fosse per la sua lunga coda pelosa potrebbe essere scambiato per un<br />

Ratto considerate anche le pressoché identiche dimensioni. E’ un animale prevalentemente<br />

arboricolo, che occupa con successo una nicchia rimasta libera<br />

fra quella degli Scoiattoli e quella dei Ratti e dei Topi. Ha un mantello folto e<br />

lanuginoso e una coda interamente rivestita di pelo piuttosto lungo.<br />

Caratteristici sono i suoi grandi occhi sporgenti e la rotondità dei padiglioni<br />

auricolari, mentre i suoi sensi maggiormente sviluppati sono l’olfatto e<br />

l’udito. Vive costantemente fra i rami degli alberi, ma anche tra i cespugli<br />

scendendo sul terreno solo raramente. E’ maggiormente attivo nelle ore notturne<br />

durante le quali cerca frutta, semi e tenere cortecce, ma non disdegna di<br />

predare insetti, uova e piccoli nidiacei di uccelli. All’inizio dell’autunno, il<br />

Ghiro si alimenta con una maggiore voracità tanto da ingrassare in maniera<br />

notevole in vista del periodo freddo e del lungo sonno invernale. Anche il<br />

Ghiro, come gli Scoiattoli, ama costruire il suo nido nelle cavità degli alberi.<br />

Infatti, il suo habitat si identifica con<br />

boschi di querce e frassini misti a pini,<br />

dove, ad un’abbondante fruttificazione di<br />

queste piante si accompagna un’ampia<br />

disponibilità di cavità naturali; a tale proposito<br />

si è notato che, in questo particolare<br />

habitat, viene riscontrata una maggiore<br />

densità di Ghiri. Tuttavia questo<br />

animale non disdegna soluzioni alternati-<br />

121<br />

GHIRO


ve e sa costruirsi, fra i rami di cespugli e arbusti molto fitti, un nido globoso<br />

fatto di fronde e di stecchi simile a quello degli uccelli, pur se vistosamente<br />

più grande rispetto alla sua mole. In questi suoi nidi, siano essi nelle cavità o<br />

nei cespugli, il Ghiro introduce delle riserve di cibo che consumerà subito<br />

dopo il suo risveglio dal lungo e ininterrotto letargo. Si è notata una particolarità<br />

molto curiosa: il Ghiro rifiuta le cavità degli alberi che non abbiano il<br />

foro di ingresso rivolto a sud o che comunque non sia ben protetto dagli agenti<br />

atmosferici. La prima scelta resta tuttavia un rifugio ipogeo (sottoterra) ricavato<br />

fra il groviglio di radici di un albero; si tratta sempre di una tana piuttosto<br />

grande dove più individui possono raccogliersi insieme. In questi rifugi,<br />

in caso di forti densità di popolazione, più femmine condividono la tana per<br />

partorire ed allevare insieme i loro figli. Fra gli antichi Romani era d’uso allevare<br />

questi animali, che venivano ingrassati al punto giusto per passare poi<br />

allo spiedo e finire con l’allietare i loro banchetti. Questa usanza è venuta<br />

meno con la fine dell’Impero Romano.<br />

Ha un comportamento sociale, una gestazione di circa 30 giorni e partorisce<br />

da 4 a 10 piccoli.<br />

IL MOSCAR<strong>DI</strong>NO<br />

Questo animale è un piccolo Ghiro ed è poco più grande di un topolino domestico<br />

dal quale si distingue per il colore bruno-arancio del suo mantello e per la<br />

coda rivestita di un pelo corto ma folto. Ha abitudini alimentari abbastanza<br />

simili al Ghiro pur avendo una particolare predilezione per le nocciole, di cui,<br />

con grande abilità, riesce a forare il guscio e ad estrarre il seme. Preferisce vivere<br />

e cacciare sulle sommità dei cespugli e costruisce il nido di soggiorno con<br />

erbe, foglie e lembi sottili di corteccia intrecciati fra di loro sempre in forma<br />

globosa, con foro di accesso laterale capace di contenere un solo individuo e ad<br />

una certa altezza dal suolo. Il nido, dove le femmine vanno a partorire, è più<br />

grande, più robusto e più vicino al suolo. Il ritrovamento di più nidi uno accan-<br />

122


to all’altro, sta ad indicare che il<br />

Moscardino ha un comportamento sociale.<br />

Il nido, dove trascorrerà l’inverno, sarà<br />

invece costruito con dei materiali più<br />

compatti, appoggiato al suolo e coperto da<br />

foglie e detriti del sottobosco. In questo<br />

rifugio, con l’approssimarsi della cattiva<br />

stagione e senza aver effettuato alcuna<br />

provvista per l’inverno, si rinchiuderà rag-<br />

MOSCAR<strong>DI</strong>NO<br />

gomitolandosi a palla con la coda che gli coprirà la testa e le spalle come una<br />

sciarpa. Cadrà quindi in un profondo letargo che durerà fino a primavera inoltrata,<br />

senza mai svegliarsi. In caso di pericolo il Moscardino ha affinato un<br />

modo straordinario per mimetizzarsi, riesce ad appiattirsi contro i tronchi degli<br />

alberi al punto da passare inosservato e da sembrare una piccola protuberanza<br />

della corteccia alla quale nessun predatore darà mai alcuna importanza.<br />

Ha un comportamento sociale, una gestazione di circa 23 giorni e partorisce da<br />

4 a 8 piccoli.<br />

LO SCOIATTOLO ROSSO EUROPEO<br />

La curiosità che contraddistingue questo animale è che ciascun sesso mantiene<br />

separatamente il proprio territorio per gran parte dell’anno. Solo nel periodo<br />

degli amori il maschio entra nel territorio della femmina e la segue con<br />

insistenza fino al momento dell’accoppiamento. Ma per entrare in contatto<br />

con la femmina il maschio emette dei richiami molto simili a quelli emessi dai<br />

giovani traendo così in inganno la stessa che finisce in ogni modo con<br />

l’accettarlo. La grande coda degli scoiattoli, oltre ad essere un ovvio abbellimento<br />

dell’animale, ha altre varie funzioni: regola l’equilibrio e funge da<br />

“timone” quanto compie dei salti acrobatici lanciandosi da un ramo all’altro,<br />

quando non addirittura da un albero all’altro e la utilizza anche come paraca-<br />

123


dute frenante qualora decidesse di lanciarsi<br />

nel vuoto per raggiungere il terreno<br />

sottostante. Ma sembra avere pure un<br />

altro ruolo importante, quello di comunicazione<br />

nei rapporti interindividuali, fatti<br />

di spostamenti, di sbandieramenti e<br />

mosse insolite e cerimoniose. Lo<br />

Scoiattolo trova il suo habitat nei buchi e<br />

SCOIATTOLO COMUNE<br />

negli anfratti degli alberi, ma se questi<br />

venissero a mancare esso si costruirà, nella parte alta di un grande albero, un<br />

nido del tutto simile a quello degli uccelli, ma decisamente più grande e sproporzionato<br />

rispetto alla sua mole: ciò perché dovrà contenere tutte le provviste<br />

per il freddo e lungo inverno, quando riduce la propria attività per entrare<br />

in un vigile letargo, fatto di continui risvegli, durante i quali si alimenterà e<br />

scenderà addirittura al suolo, sia pur per brevissimi periodi.<br />

Il simpatico roditore, possiede nei denti incisivi un elemento che caratterizza<br />

quest’ordine di mammiferi presentando aspetti particolari e unici. Questi<br />

denti sono privi della radice, e sono ridotti ad un solo paio in entrambe le<br />

mascelle, dove appaiono relativamente sviluppati e notevolmente ricurvi. La<br />

loro estremità basale è aperta e ripiena di una polpa vascolarizzata, che assicura<br />

il loro accrescimento continuo, compensando, in tal modo, l’estremità<br />

dei medesimi, che viene consumata nell’erosione continua provocata dall’incessante<br />

rodere dell’animale. Altro aspetto curioso dello Scoiattolo, è rappresentato<br />

dalle tipiche impronte lasciate sulla neve e sul terreno, infatti si può<br />

notare che le zampe anteriori sono provviste di quattro dita e che le loro<br />

impronte sono sempre precedute da quelle posteriori, maggiormente sviluppate<br />

e comprensive di cinque dita. E va ricordato pure un ultimo aspetto<br />

curioso dello Scoiattolo: in tempi lontani (ma in certi paesi dell’Asia ancora<br />

oggi), riconoscendo a questo animale delle straordinarie capacità funamboliche,<br />

si riteneva che cibarsi del suo cervello, una volta disseccato e polveriz-<br />

124


zato, preservasse saltimbanchi ed equilibristi da cadute ed infortuni.<br />

Merita una nota aggiuntiva la vicenda dello scoiattolo grigio, che intorno agli<br />

anni 50 è stato introdotto, provenendo dal Nord America, all’inizio in Gran<br />

Bretagna e successivamente nel resto del continente Europeo. Oggi, questo<br />

Scoiattolo, essendo decisamente più grande e più forte dello Scoiattolo rosso<br />

europeo (comune), si è rivelato perturbatore degli equilibri esistenti, entrando<br />

in competizione con il medesimo e scacciandolo dal suo habitat originale. In<br />

alcune regioni Italiane come la Liguria e il Piemonte, si può ormai “denunciare”<br />

la scomparsa dello Scoiattolo autoctono e l’insediamento al suo posto<br />

dello Scoiattolo grigio.<br />

Ha un comportamento variabile, una gestazione di circa 45 giorni e partorisce<br />

da 2 a 6 piccoli.<br />

.<br />

IL TOPORAGNO<br />

Numerose caratteristiche di questi animali sono legate alle loro piccole dimensioni;<br />

ciò vale soprattutto per il metabolismo, estremamente elevato in relazione<br />

alla legge secondo la quale diminuendo le dimensioni del corpo il metabolismo,<br />

o meglio il costo metabolico, aumenta progressivamente; ciò lo rende<br />

estremamente vorace per la continua necessità di ingerire fonti alimentari energetiche.<br />

Per vivere, il Toporagno deve continuamente nutrirsi, tanto da abbisognare<br />

di una quantità di cibo giornaliera<br />

davvero notevole pari a dieci volte il suo<br />

peso corporeo. Le necessità energetiche<br />

durante la gestazione aumentano maggiormente<br />

e la ricerca di cibo richiede uno<br />

sforzo notevole; perciò può succedere che<br />

in determinati periodi le femmine gravide<br />

non trovino nutrimento sufficiente e quindi<br />

siano costrette a interrompere la gesta-<br />

125<br />

TOPORAGNO


zione. In questi casi non si assiste ad un aborto come sarebbe naturale per gli<br />

altri mammiferi, bensì ad un riassorbimento degli embrioni. In parole povere<br />

succede che la madre, non riuscendo a trovare nutrimento per se stessa e conseguentemente<br />

per gli embrioni e trovandosi nella necessità di sopravvivere,<br />

si… “rimangia il tutto”.<br />

Le femmine di Toporagno riescono a partorire anche cinque volte l’anno.<br />

Considerando che la pressione predatoria limita la vita di questo animaletto a<br />

quindici-diciotto mesi, si capisce come l’alto tasso riproduttivo sia necessario<br />

per assicurare la conservazione della specie. Un altro comportamento degno di<br />

interesse è rappresentato da brevi momenti di pausa e sonno a causa della continua<br />

agitazione in cui versa il Toporagno; durante lo stesso periodo invernale,<br />

il Toporagno pur rimanendo a lungo nella tana non entra in letargo essendo di<br />

natura sempre agitato e incapace di prendere sonno. Viene predato assiduamente<br />

da Gatti, Volpi, Rapaci diurni e notturni, da Vipere, Gazze e altri ancora, ma<br />

a causa del suo sapore sgradevole e di una accertata tossicità della sua carne,<br />

dopo la predazione il suo corpo viene abbandonato senza essere divorato.<br />

Davvero curioso, infine, è il modo con il quale una famigliola di Toporagno si<br />

sposta da una zona all’altra: i cuccioli, tutti in fila indiana tenendo tra i denti uno<br />

la coda dell’altro, si lasceranno guidare dalla madre.<br />

Ha un comportamento solitario, una gestazione di circa 20 giorni e partorisce<br />

da 5 a 7 piccoli.<br />

126


IL RICCIO<br />

Il comportamento del Riccio presenta diversi particolari curiosi. Ad esempio<br />

quando caccia, soprattutto nelle ore notturne, i piccoli seguono la madre a<br />

poca distanza tutti in fila indiana e si avvicinano ad essa solamente quando<br />

questa ha catturato qualche preda e con i tipici richiami, che somigliano a dei<br />

timidi grugniti, li chiama presso di sé.<br />

Quando viene attaccato, il Riccio ritira sul ventre le zampe e gli arti e si appallottola<br />

su se stesso diventando inespugnabile. Questo metodo di difesa è possibile<br />

in quanto il Riccio possiede una muscolatura particolarmente robusta<br />

posta sotto gli aculei. È appunto la contrazione di questa “guaina” che lo fa<br />

appallottolare. Quando i cuccioli nascono, per circa due giorni sono vulnerabili<br />

in quanto il loro corpo è coperto solo<br />

da una leggera peluria, ma basteranno<br />

ancora poche ore perché questi peli si<br />

modifichino in aculei tanto resistenti<br />

quanto quelli degli adulti.<br />

La credenza popolare ritiene che il<br />

Riccio sia immune al veleno della<br />

Vipera. In realtà egli teme molto il morso<br />

del rettile il quale però non riesce a superare<br />

con i suoi denti veleniferi lo strato di<br />

RICCIO EUROPEO<br />

aculei e finisce, dopo una lunga lotta, per<br />

soccombere ai suoi continui morsi, con i quali riuscirà a spezzare la colonna<br />

vertebrale del rettile. Ci sono stati diversi esperimenti in laboratorio e da questi<br />

si è dedotto che, a parità di peso, il Riccio è in grado di sopportare, senza<br />

gravi danni, una quantità di veleno di Vipera quasi dieci volte superiore quella<br />

che potrebbero sopportare altri mammiferi e tra di essi anche l’uomo. Il<br />

Riccio riesce a nuotare e a cacciare Rane, piccoli Anfibi e invertebrati; ad<br />

arrampicarsi sugli alberi dove preda uova e piccoli Uccelli ed a camminare<br />

127


molto velocemente sul terreno dove si nutre particolarmente di insetti e<br />

Lucertole. Si nutre molto voracemente pure di Vespe, Api e Coleotteri, anche<br />

dei più tossici, come Meloe e Litta, che contengono una buona dose di cantaridina,<br />

non subendo danno alcuno. È un animale che possiede una grande<br />

energia che spesso rasenta la frenesia. Non solo nel periodo degli amori, ma<br />

anche in altre stagioni, egli ama correre freneticamente in cerchio apparentemente<br />

per divertimento, ma quasi sempre per scaricare l’eccesso di energie.<br />

Un ultimo fatto, considerato per anni credenza popolare, si è dimostrato, in<br />

realtà, assai veritiero. Il Riccio ha l’abitudine di cospargersi, con incredibili<br />

contorsioni, gli aculei con sostanze che emanano un forte e sgradevole odore.<br />

Poiché questo comportamento provoca un aumento della salivazione è stato<br />

anche definito “autosputo”.<br />

Ha un comportamento solitario, una gestazione di circa 35 giorni e partorisce<br />

da 3 a 7 piccoli.<br />

128


“Che Allah sia lodato per la varietà della sua creazione.”<br />

Proverbio Arabo


IL CERVO<br />

Il Cervo europeo è caratterizzato da: un accentuato sviluppo della parte anteriore<br />

del corpo; altezza (dalla spalla) che può arrivare a 2 m, zampe proporzionalmente<br />

alte, robuste ed agilissime e una dentatura completa (34 denti compresi i<br />

canini che mancano in altre specie).<br />

Osservato in libertà, il Cervo non sembra essere quello scellerato e balordo animale<br />

che i più ci descrivono. Questo ungulato sa opporre tattica a tattica e sa<br />

mettere a buon profitto tutti i suoi acutissimi sensi, che gli permettono di sentire<br />

la presenza dell’uomo fino a 600 m di distanza. La celerità dei suoi garretti<br />

d’acciaio, la resistenza al nuoto, la capacità di sopportare la fame e la sete rimanendo,<br />

per ore e ore, affondato fino alla testa nelle paludi e nei pantani, il saper<br />

trarre vantaggio dagli ostacoli naturali per ritardare l’inseguimento e far perdere<br />

le tracce ai suoi predatori, denotano, oltre che prestanza fisica, anche prudenza<br />

e intelligenza. Naturalmente come per ogni animale della foresta, la legge del<br />

più forte vale anche per il Cervo. L’egoismo si identifica con l’istinto di conservazione.<br />

Ciò è tanto più evidente nella femmina. Per natura la Cerva è dolce e<br />

timida ed è una madre affettuosa, ma quando i suoi cuccioli sono minacciati può<br />

diventare feroce. Per ogni figliata nasce un solo cucciolo, raramente due.<br />

Quindi questo “figlio unico” è coccolato e viziato dalla madre fino alla nascita<br />

del nuovo rampollo; allora il figlio ormai grande viene energicamente cacciato<br />

di casa e lasciato al suo destino. Solo all’inizio del sesto mese la distinzione fra<br />

i due sessi si rivela chiaramente. Non soltanto si diversificano nel mantello<br />

invernale, ma nel maschio comincia a formarsi, sia da un lato che dall’altro<br />

sulla parte anteriore della fronte, una prominenza arcuata: la rosa. Appena<br />

l’osso della rosa avrà raggiunto la debita altezza, nascerà su di esso una fitta<br />

peluria (il velluto). Sbucherà quindi un germoglio corneo che andrà via via sviluppandosi<br />

in un fuso robusto (asta). A questa fase del suo sviluppo il cerbiatto<br />

prende il nome di “fusone”. Quanto più il cerbiatto è robusto tanto più l’asta<br />

cornea è forte e massiccia. All’inizio essa è sempre ricoperta da una guaina vel-<br />

131


lutata la quale, a crescita ultimata, si lacererà e cadrà lasciandola nuda. All’inizio<br />

del secondo anno di vita, cioè la primavera successiva, quelle prime aste (palco)<br />

cadranno per rinascere più tardi, accresciute da un nuovo germoglio. Questa<br />

prima diramazione (occhiale) promuove il giovane “fusone “ al grado di “forcuto”.<br />

Nell’ anno successivo (il terzo), il palco accresciuto di un secondo germoglio,<br />

gli conferirà il titolo di “treppunte”. Il Cervo possiede dunque un palco<br />

massiccio e caduco. Accade infatti ogni anno, a fine marzo-aprile, che il palco<br />

si decalcifichi e cada. La cicatrice, dopo qualche giorno, verrà ricoperta dal<br />

“velluto” e il palco tornerà a riformarsi rapidamente per opera delle cellule<br />

costruttrici delle ossa e sarà, ogni volta, più saldo, più robusto e con un germoglio<br />

in più. Sempre per un periodo transitorio, la guaina vellutata ricopre esternamente<br />

le aste mentre all’interno una rete sempre più fitta di arterie sanguigne<br />

alimenta queste escrescenze che costituiscono, per il cervo, l’arma poderosa, il<br />

suo ornamento e il suo attributo di campione. Normalmente, se non avrà infortuni<br />

o malattie gravi, un Cervo adulto avrà fra i sette e i dieci anni, palchi (ripiani)<br />

costituiti da 12 e più punte i quali formano alla sommità una specie di “corona”<br />

che, per la forma, si diversifica da specie a specie ed anche talvolta da individuo<br />

a individuo. Scompariranno invece le punte infantili che costituivano il<br />

palco giovanile. In vecchiaia, e cioè dopo i 13/14 anni, la crescita delle punte si<br />

arresterà. La perdita del palco non produce sofferenza all’animale, ma sicuramente<br />

un po’ di fastidio, mentre un certo malessere lo produce la caduta del velluto<br />

che si distacca a brandelli e di cui il Cervo si libera strofinandosi selvaggiamente<br />

contro i tronchi degli alberi. Inoltre, poiché è difficile che i 2 fusti<br />

cadano nello stesso momento, quando il primo è caduto la sproporzione di peso<br />

costringe l’animale ad inclinare la testa da un lato e allora la scuote sovente<br />

come se volesse liberarsi al più presto anche dell’altro fusto. Per rinnovare il<br />

palco l’animale impiega da 3 a 4 mesi, e si arriva così a fine estate, epoca in cui<br />

i palchi saranno necessari al Cervo innamorato per affrontare i rivali. Se si considera<br />

che nel Cervo adulto la lunghezza media dei fusti che formano il palco è<br />

di circa 100 cm, che l’apertura tra le due estremità può arrivare ai 130 e che il<br />

132


numero dei pugnali va da 12 ad oltre 20,<br />

non è difficile pensare quanto siano poderose<br />

le armi di cui dispone. Un’altra caratteristica<br />

del Cervo è quella della “muta”.<br />

La lunghezza, la densità e il colore del<br />

pellame sono molto differenti nella stagione<br />

fredda e nella stagione calda. La muta,<br />

che inizia in primavera e termina in esta-<br />

CERVO<br />

te, conferisce al Cervo un abito estivo in<br />

cui prevalgono i colori ruggine rossastro, mentre in quello invernale domina<br />

una tinta grigio bruna. Le orme del Cervo si riconoscono facilmente; infatti il<br />

suo zoccolo è tipico: formato da 2 unghioni allungati neri e cornei riuniti fino a<br />

metà da un forte legamento formando nell’insieme una palma tenera a forma di<br />

cuore. Il Cervo che vive libero nel bosco si nutre di teneri rami, germogli,<br />

foglie, scorze d’albero, funghi e bacche. Ama anche scavare nel terreno con il<br />

suo muso appuntito alla ricerca di patate e altri tuberi, ma pure di radici mangerecce.<br />

Il Cervo è sempre stato cacciato sin dai tempi più lontani; tutte le epopee<br />

ne parlano ed è presente nelle tradizioni di tutti i popoli e di tutti i paesi. Nei<br />

miti delle divinità pagane la Cerva era sacra alla dèa Giunone, moglie del re<br />

dell’Olimpo Giove-Zeus, che con la sua arma terribile, la folgore, dominava<br />

uomini e dèi, e alla dèa della caccia Diana, che di giorno penetrava nelle selve<br />

e di notte saliva sul carro argenteo della luna. Nella cristianità il Cervo assume<br />

invece un significato metaforico nuovo, raffigurando il Cristo e successivamente<br />

gli Apostoli. Di conseguenza tutto il Medioevo è pieno di leggende che<br />

narrano di conversioni dovute ad apparizioni di Cervi bianchi, di Cervi fiammeggianti,<br />

di Cervi recanti fra le corna del palco croci abbaglianti, di Cervi<br />

alati. Il Bramito del Cervo viene emesso dal maschio nel periodo che precede<br />

l’amore quando tende a difendere il suo territorio e ad arricchire il suo harem<br />

di nuove femmine. Strenue e prolungate sono le lotte fra maschi per ottenere<br />

il predominio sul territorio, lotte che sempre finiscono con la prevalenza del<br />

133


maschio più forte che diventa così dominante. In questo periodo il Cervo,<br />

impegnato com’è a bramire, ad accoppiarsi, a lottare per la dominanza, a controllare<br />

territorio e femmine, non ha nemmeno il tempo per alimentarsi, tanto<br />

che in 25-30 giorni, tanto lungo è il periodo dell’estro, arriva a perdere anche<br />

55-60 kg del suo peso. Alla fine dell’inverno lungo le strade del loro habitat,<br />

ormai libere dalla neve, di sera e fino all’alba, è molto facile poter osservare le<br />

strade invase dai Cervi intenti a leccare l’asfalto reso salato dalla cosparsa da<br />

parte dell’uomo di sale per sciogliere la neve. E’ altrettanto interessante sapere<br />

come in certe località si possano osservare alcune rocce contenenti evidenti<br />

residui di sale rese perfettamente lisce, in quanto leccate per millenni dai<br />

Cervi. Un antico aforisma “maschilista” racconta, che quando due novelli<br />

sposi entravano nella loro casa, l’uomo rivolgendosi alla moglie dicesse: “o<br />

servi come una serva, o fuggi come una Cerva”. Ha un comportamento sociale,<br />

una gestazione di circa 250 giorni e partorisce un solo piccolo.<br />

La fiaba<br />

“Il Cervo alla fonte del Leone”<br />

Un Cervo assetato si recò presso la fonte: bevve e poi rimase a contemplare la<br />

sua immagine riflessa nell’acqua. Si sentì orgoglioso del suo bel palco e<br />

ammirò la sua grandezza e il suo disegno. Ma delle sue gambe non si sentì<br />

soddisfatto perché gli sembravano troppo fragili. Mentre stava ancora riflettendo<br />

su ciò, un Leone arrivò alla fonte e scorgendo il Cervo incominciò a<br />

inseguirlo, ma il Cervo con le sue gambe agili si diede alla fuga, attraversò<br />

tutta la pianura ed entrò nel bosco con un buon vantaggio sul felino che però<br />

continuò ad inseguirlo. Arrivato però nel bosco accadde che il suo maestoso<br />

e bellissimo palco si impigliò su degli arbusti, così che il Cervo non potè più<br />

correre e fu catturato dal Leone affamato. Allora mentre stava per morire<br />

esclamò: “ Me disgraziato quelle gambe in cui non avevo fiducia mi offrivano<br />

la salvezza e mi tocca morire proprio per colpa di quello in cui riponevo tutta<br />

la mia fiducia”. (Esopo)<br />

134


LA VOLPE<br />

E’ un animale che nasce carnivoro, ma che oggi deve essere considerato onnivoro.<br />

Tipico abitatore delle colline e delle montagne, dove con grande furbizia<br />

e poco dispendio di energie sa cacciare le sue prede, essendo molto intelligente<br />

e quindi opportunista, è ultimamente sceso a valle ed è arrivato sino al mare,<br />

incontrando sulla sua strada discariche e cassonetti delle immondizie dove si<br />

nutre dei rifiuti dell’uomo faticando ancora<br />

meno. E’ un animale dall’incedere<br />

molto elegante tanto che si ritiene che le<br />

indossatrici in passerella imitino il suo<br />

camminare, ponendo una gamba davanti<br />

l’altra e ancheggiando, proprio come fa la<br />

Volpe.<br />

Il suo territorio, fortemente “marcato” da<br />

urine e feci, varia dai 7 ai 10 kilometri<br />

quadrati, all’interno dei quali soprattutto il<br />

VOLPE<br />

maschio caccia in solitudine, preferibilmente<br />

di notte. Nelle tane della Volpe sono stati sovente trovati i resti delle<br />

prede più svariate, va riconosciuto pure che, all’occorrenza, si introduce in qualche<br />

pollaio dove comunque non fa razzie, ma si limita a predare un solo animale.<br />

E purtroppo entra ancora in conflitto con l’uomo anche quando preda con<br />

facilità la selvaggina che nidifica a terra. Tuttavia a conti fatti si è comunque<br />

potuto accertare che la Volpe preda prevalentemente vari piccoli roditori e non<br />

è quindi così dannosa all’uomo come si è portati a credere. Raramente il<br />

maschio divora le sue prede sul posto in quanto ama portare il bottino nella sua<br />

tana e consumarlo con la femmina e i cuccioli che lo attendono. I cuccioli non<br />

sono accuditi solo dalla madre naturale, ma molto frequentemente anche da<br />

altre femmine “aiutanti” che rimangono nella tana o nelle immediate vicinanze<br />

sino ad oltre tre mesi. Se le prede sono di grossa taglia o numerose, la Volpe<br />

135


scava un buco nel terreno e le seppellisce memorizzando il luogo e ritornandovi<br />

su di esso nei momenti di carestia. La Volpe è sempre stata vittima della caccia<br />

da parte dell’uomo, sia per la sua preziosa pelliccia, sia perché la sua esistenza<br />

ha colorito molte favole del passato e certamente ha dato così un tocco<br />

di mistero a tante tradizioni popolari. In questi ultimi anni la lotta contro questo<br />

astuto animale che, grazie proprio alla sua furbizia, riesce comunque a sopravvivere<br />

in gran numero, si è intensificata perché l’animale quando scende a valle<br />

e arriva sino al mare, essendo portatore e diffusore della “rabbia silvestre”, una<br />

forma di idrofobia che fa strage tra le popolazioni selvatiche di animali, potrebbe,<br />

mordendolo, trasmetterla anche all’uomo.<br />

Ha un comportamento solitario, una gestazione di circa 50 giorni e può partorire<br />

da 4 a 10 piccoli.<br />

La fiaba<br />

“La Volpe e l’uva”<br />

Una Volpe affamata notò dei bellissimi grappoli d’uva pendere da una pergola<br />

e tentò di mangiarli. I grappoli erano troppo in alto e nonostante vari tentativi<br />

non riuscì nel suo intento. Disse allora tra sé e sé “sono troppo acerbi non mi<br />

sarebbero piaciuti” e si allontanò (Esopo).<br />

LA LINCE<br />

E’ un superpredatore per eccellenza; possiede una vista acutissima e un udito<br />

altrettanto sviluppato. E’ dotata di artigli retrattili che usa per artigliare le<br />

prede o per salire sugli alberi e che ritira quando si sposta sul terreno. Questo<br />

felino è di maestosa bellezza, si muove con una rapidità assai maggiore dei<br />

suoi parenti dell’Asia e dell’Africa. Come del resto tutti i felini, la sua lingua<br />

presenta papille cornificate rivolte all’indietro, usate per raschiare la carne<br />

dalle ossa. Per la Lince, la digeribilità è facile e non implica particolari specializzazioni<br />

dell’apparato digerente. In genere la secrezione salivare è scar-<br />

136


sa e la struttura dello stomaco molto<br />

semplice. Il suo intestino breve non<br />

supera la lunghezza di 4 volte la dimensione<br />

del suo corpo. E’ curioso sapere a<br />

questo punto che quello di una Foca è di<br />

20 volte superiore, mentre quello del<br />

Leone marino arriva a 80 volte. La Lince<br />

come i suoi simili (predatori carnivori),<br />

LINCE<br />

presenta sul corpo ghiandole di diverso<br />

tipo. Alcune sono in funzione della termoregolazione, servono, cioè, a mantenere<br />

il pelo in buone condizioni e a renderlo isolante: è il caso delle ghiandole<br />

sebacee che (come negli uccelli) producono una secrezione che serve a<br />

lubrificare la pelliccia. Anche le ghiandole anali sono particolarmente sviluppate<br />

e producono una sostanza davvero nauseante.<br />

La Lince riesce a scorgere un piccolo Topo nascosto fra la vegetazione a 50<br />

metri di distanza; a 100 metri individua una Lepre e a 300 metri un piccolo di<br />

Capriolo nascosto in un prato. Si distingue dagli altri felini (a parte il<br />

“Caracal” che possiede anch’esso questa caratteristica pur se in proporzioni<br />

più ridotte), per i ciuffetti piuttosto lunghi posti sulla sommità delle orecchie<br />

appuntite che hanno una funzione auricolare aggiunta. Si evidenziano pure i<br />

suoi sviluppati e rigidi “baffi” bianchi o grigi che si allineano sul labbro superiore,<br />

conferendo al muso un aspetto fiero e particolare, ravvivato da un paio<br />

d’occhi dal freddo sguardo metallico. E’ un animale molto forte che riesce ad<br />

abbattere persino dei Caprioli e dei giovani Cervi, saltando sul dorso delle vittime<br />

e dilaniandole a colpi di artigli e di denti. E’ stato osservato che i giovani<br />

maschi hanno un alto tasso di mortalità, probabilmente per ragioni genetiche.<br />

Ha un comportamento solitario, una gestazione di circa 65 giorni e può partorire<br />

da 2 a 4 piccoli.<br />

137


L’ORSO BRUNO<br />

È tornato ad abitare (anche se solo di passaggio) la foresta del Cansiglio provenendo<br />

da est dopo alcuni decenni di totale assenza. È parente stretto del<br />

Grizzly, del Kodiac e di altri Orsi orientali. Contrariamente a quanto la gente<br />

è portata a credere, l’Orso bruno è un animale prevalentemente erbivoro. La<br />

sua alimentazione di base è infatti costituita da erba, radici, tuberi, funghi e<br />

frutta e solo saltuariamente si nutre di qualche carogna. Integra questa dieta<br />

con miele che ruba alle Api selvatiche, non disdegnando nemmeno gli stessi<br />

insetti. Nelle sue abitudini, niente giustifica l’aureola di terrore da cui è circondato;<br />

tanto più che, ignorando sovranamente l’uomo, si lascia avvicinare<br />

dallo stesso senza reagire, limitandosi a emettere dei sonori grugniti quando<br />

ritiene che si stia per sorpassare i limiti di una rispettosa familiarità. Soltanto<br />

il suo aspetto può spiegare la sua cattiva reputazione: infatti è grande e massiccio<br />

e tutto di lui è imponente soprattutto con l’avvicinarsi dell’inverno,<br />

quando il suo corpo si copre di grasso per proteggersi dal freddo. L’Orso<br />

bruno allora raddoppia il suo peso e diventa un mostro grottesco con la sua<br />

andatura pesante e faticosa. In realtà, il terribile protagonista di tante leggende<br />

ha solo la forza di raggiungere traballando la propria tana, dove rimarrà in<br />

letargo nei mesi invernali. Peso e dimensioni variano in base all’habitat e<br />

quindi al tipo di alimentazione; certi maschi adulti arrivano a pesare 5/7 quintali<br />

e, ritti sulle zampe, possono raggiungere<br />

e superare i 2 metri e mezzo di altezza.<br />

In oriente l’Orso Tibetano, che ha le<br />

medesime caratteristiche dell’Orso<br />

bruno, viene accusato dalle popolazioni<br />

locali di introdursi nottetempo nei villaggi<br />

e compiere razzie di animali domestici,<br />

tanto che molte leggende lo citano<br />

come responsabile di mille misfatti e per<br />

ORSO BRUNO<br />

138


questo è fatto oggetto di una caccia spietata. In realtà viene ucciso in quanto<br />

si crede che alcune parti del suo corpo, specialmente la cistifellea, servano a<br />

produrre farmaci che si rivelerebbero essere la panacea per guarire tutti i mali<br />

e queste medicine, soprattutto unguenti, vengono venduti sui mercati a prezzi<br />

davvero ragguardevoli.<br />

Ha un comportamento solitario, una gestazione di circa 65 giorni e può partorire<br />

da 1 a 3 piccoli.<br />

La fiaba<br />

“I viandanti e l’ Orso”<br />

Due amici viaggiavano insieme, quando si videro sbarrare la strada da un<br />

grande Orso. Uno dei due, più svelto, si arrampicò su un albero e vi restò<br />

nascosto, mentre l’altro, si gettò al suolo fingendosi morto. L’Orso si avvicinò<br />

e lo annusò e il povero uomo trattenne persino il respiro, perché a quel che<br />

si diceva l’Orso non avrebbe mai toccato un cadavere. E l’Orso dopo averlo<br />

nuovamente annusato si allontanò.<br />

Solo allora, quello che era sull’albero, ridiscese e chiese all’altro che cosa<br />

gli avesse detto nell’orecchio l’Orso: E quello gli rispose:” di non viaggiare<br />

più con dei compagni che nel pericolo non restano al tuo fianco”. (Esopo)<br />

IL LUPO<br />

Le disgrazie del Lupo non sono tutte imputabili a Cappuccetto rosso, alle favole<br />

di La Fontaine, a quelle di Esopo o ai racconti di Daudet, e nemmeno all’immaginario<br />

collettivo Cristiano, che durante il Medioevo vedeva nel Lupo<br />

l’incarnazione del demonio, delle forze oscure del male e del peccato. Della sua<br />

cattiva fama sono responsabili anche i contributi di importanti zoologi e di narratori.<br />

Nell’ottocento si leggono dei trattati che definiscono il Lupo: “il più cattivo<br />

degli animali feroci” e in altre occasioni lo si fa conoscere all’uomo attraverso<br />

comunicati e manifesti che insegnano : “i feroci costumi del Lupo, noci-<br />

139


vo da vivo e inutile da morto”. Per ribaltare<br />

le opinioni in favore del Lupo, bisogna<br />

attendere le esperienze dei ricercatori<br />

cresciuti alla scuola di K. Lorenz che lo<br />

hanno studiato a fondo. Oggi, alla luce<br />

delle ultime (tardive) esperienze, se potesse<br />

parlare, solo la Pecora potrebbe dire:<br />

“crepi il Lupo”. Il destino dell’Uomo e del<br />

LUPO<br />

Lupo si intrecciano sin dai tempi della<br />

preistoria. Essi hanno infatti gli stessi gusti e mirano entrambi alla stessa selvaggina.<br />

Ma è quando l’Uomo si dedica all’allevamento che la lotta si fa più<br />

spietata. La Pecora è una preda facile e abbondante, e il Lupo diventa un nemico<br />

pericoloso e organizzato. Più di tutti, i pastori ne conoscono la strategia, e le<br />

varie tattiche, soprattutto se il terreno è innevato, ma nonostante ciò, e pur con<br />

l’aiuto di Cani custodi, non riescono quasi mai a evitare che il Lupo faccia delle<br />

vittime. E l’Uomo capisce che non può sottrarsi alla forza e all’astuzia del Lupo<br />

e, se vuole salvare le sue greggi, deve attaccarlo e ucciderlo. Così, sempre nell’ottocento,<br />

viene decretata la fine di questo animale feroce. Si organizzano tre<br />

volte all’anno, delle battute di caccia, mentre trabocchetti, trappole e bocconi<br />

avvelenati vengono disseminati in continuazione sul terreno durante tutto<br />

l’anno. Lo combattono pastori, cacciatori, ma, per solidarietà, anche uomini del<br />

paese che compiono altri lavori, e i nobili. In Francia, per esempio, al tempo del<br />

suo regno, anche Luigi XV mandò a caccia del lupo i suoi luogotenenti e le sue<br />

particolarmente addestrate mute di cani. Oggi il Lupo è un animale che vive in<br />

piccoli branchi nei boschi più inaccessibili, e in tutto il mondo occidentale, la<br />

sua riabilitazione è in atto grazie anche ad un graduale mutamento di mentalità.<br />

Il Lupo rimane comunque un magnifico predatore da controllare, ma che di<br />

certo non è gratuitamente cattivo. Una delle tante caratteristiche tipiche del<br />

Lupo, come del resto di altri Canidi, è quella di possedere un muso appuntito,<br />

grandi orecchie erette, arti lunghi, muscolatura del corpo molto sviluppata, coda<br />

140


lunga e folta. Possiede cinque dita nelle zampe anteriori e quattro in quelle<br />

posteriori. Il Lupo non è particolarmente veloce, ma piuttosto resistente; può<br />

correre anche per trenta kilometri prima di arrendersi e letteralmente cadere a<br />

terra perché sfinito; nessuna preda è in grado di riuscire a reggere questo confronto.<br />

I Lupi, nella bella stagione, vivono isolati, nutrendosi di piccole prede<br />

come roditori e uccelli; d’inverno invece si riuniscono in branchi per cacciare<br />

animali molto più grandi come Cervi e Caprioli. I piccoli di Lupo nascono<br />

generalmente alla fine dell’inverno in una tana appositamente costruita dalla<br />

madre, ed è la stessa madre a liberarli dalla placenta, recidendo il cordone<br />

ombelicale con gli incisivi. I cuccioli hanno una crescita molto rapida e ben presto<br />

imparano a nutrirsi di carne rigurgitata dai genitori. All’età di 7/8 mesi, i giovani<br />

Lupi sono già in grado di accompagnare gli adulti nelle varie scorribande,<br />

pur limitandosi ad apprendere le tecniche di caccia usate, partecipano agli inseguimenti,<br />

si cimentano negli attimi finali della cattura, fino ad imparare, dopo<br />

un certo periodo di “apprendistato”, non solo i vari sistemi di caccia, ma ancora<br />

di più le abitudini delle prede. Queste “lezioni” talvolta li costringono a percorrere<br />

decine di chilometri; d’inverno, quando con le zampe affondano nella<br />

neve, per risparmiare preziose energie avanzano in fila indiana ricalcando esattamente<br />

le orme del primo e alternandosi poi alla guida. Un comportamento<br />

sociale va individuato nell’ululato con cui i Lupi si richiamano, mantenendosi<br />

in contatto anche se molto lontani. L’olfatto è probabilmente l’elemento fondamentale<br />

per il riconoscimento individuale e la coesione del branco. I Lupi oltre<br />

ai segnali odorosi emessi con l’urina e le feci, possiedono sopra la coda delle<br />

ghiandole rese visibili dalla presenza di peli più scuri, il cui secreto svolge una<br />

parte importante nel riconoscere i vari individui. I Lupi si riuniscono in branchi<br />

che possono arrivare anche a trenta unità. Le dimensioni di un branco sembrano<br />

condizionate almeno da due fattori: il numero minimo di componenti in<br />

grado di stanare e uccidere una preda, e il numero massimo per potersi nutrire<br />

sufficientemente della medesima. Per quanto riguarda l’aggressività del Lupo,<br />

per troppo tempo si è favoleggiato intorno ad una ferocia che nella realtà non è<br />

141


mai esistita. Molto raramente, e solo se riuniti in branco e spinti dalla fame, i<br />

Lupi attaccano l’Uomo, prima comunque, aggrediscono altri animali eliminando<br />

le bestie malate e vecchie, per questa selezione i Lupi possono essere considerati<br />

preziosi per l’Uomo stesso. Il Lupo è considerato l’antenato del Cane<br />

domestico che l’Uomo avrebbe selezionato partendo da una sottospecie: il Lupo<br />

asiatico. Incapace di “lappare” come i Cani, i Lupi aspirano l’acqua da bere producendo<br />

un sibilo molto caratteristico. Ha un comportamento sociale, una<br />

gestazione di circa 60 giorni e può partorire da 2 a 10 piccoli.<br />

La fiaba<br />

“Il Lupo e l’Airone”<br />

Anche sul Lupo esistono tantissime fiabe, segno evidente di quanto la storia di questo<br />

canide sia stata continuamente vicina all’uomo e agli altri animali. Si narra<br />

che un Lupo, dopo aver ingoiato un grande osso, se ne andasse dolorante in giro<br />

cercando qualcuno che lo liberasse. Incontrato un Airone, lo pregò di estrargli<br />

quell’osso che tanto dolore gli procurava, affermando che alla fine lo avrebbe<br />

ricompensato. L’Airone accettò e conficcata la sua testa munita di un lunghissimo<br />

becco nella gola del Lupo, estrasse l’osso e quindi reclamò il suo compenso. Ma<br />

il Lupo gli rispose: “caro mio, non sei contento di aver tirato fuori la tua testa<br />

dalla bocca di un Lupo? perché allora osi chiedere un compenso”. (Esopo)<br />

LA LEPRE<br />

Non sembrerebbero esserci grandi differenze fra la Lepre e il Coniglio selvatico,<br />

se non per le orecchie più grandi e per gli arti maggiormente sviluppati<br />

della prima. In realtà le diversità sono molte. La Lepre ha come suo habitat un<br />

avvallamento del terreno un po’ riparato (la sua cuccia) dove partorisce i suoi<br />

leprotti. Il Coniglio si scava invece una tana con più uscite, nella quale si<br />

costruisce un nido molto soffice costituito di fili d’erba, foglie e, soprattutto,<br />

molto pelo che la femmina si strappa dal corpo e sopra il quale partorirà i suoi<br />

142


piccoli. I cuccioli di Lepre vengono partoriti<br />

senza che la madre appronti per loro<br />

nemmeno un semplice giaciglio e nascono<br />

con gli occhi già aperti e con il corpo<br />

coperto di pelo. Saranno subito lasciati<br />

soli dalla madre che starà con essi solamente<br />

durante le ore notturne e per lo<br />

stretto tempo necessario ad allattarli.<br />

LEPRE<br />

Diversamente, i cuccioli di Coniglio<br />

nascono “nudi”, con gli occhi chiusi e avranno bisogno di molto tempo, prima<br />

di poter abbandonare la tana e seguire la madre. Alle prime ombre della sera,<br />

osservando con attenzione un campo di erba medica, terreno prediletto per<br />

“pascolare”, si possono osservare le Lepri, che, rizzate sugli arti posteriori,<br />

sembrano fare a pugni come se fossero dei veri pugili. Potrebbero essere due<br />

maschi che si affrontano per la difesa del territorio, ma molto più spesso si tratta<br />

di una femmina che intende tenere alla larga il maschio perché non ancora<br />

pronta per l’accoppiamento. La Lepre tende ad alzarsi in continuazione sulle<br />

zampe posteriori e da questa posizione, muovendo alternativamente in avanti<br />

e indietro le sue lunghe orecchie (l’udito, considerati i grandi padiglioni auricolari,<br />

è sicuramente il suo senso maggiormente sviluppato), controlla che<br />

nelle vicinanze del suo pascolo non ci siano predatori in agguato. Questo comportamento<br />

lo ripete ogni qualvolta percepisce un sia pur piccolo rumore. Un<br />

altro particolare curioso che riguarda la Lepre è la tattica che addotta per far<br />

perdere le proprie tracce ad eventuali predatori. Non è mai una corsa cieca<br />

bensì un capolavoro di astuzia, teso appunto a confondere il suo inseguitore.<br />

Non segue mai uno spostamento retto, ma compie delle traiettorie che la vedono<br />

spostarsi a destra e a sinistra, tornare sui propri passi e compiere dei grandi<br />

balzi; tutto questo confonde il predatore, se a questo uniamo la sua maggiore<br />

caratteristica, la velocità, la cattura della Lepre diventa difficoltosa per qualsiasi<br />

predatore.<br />

143


Fino a una quarantina d’anni fa, la consegna di un piccolo leprotto ai guardiacaccia,<br />

veniva compensata con una lauta “mancia”. Era pertanto naturale poter<br />

vedere per la campagna e nella golena del Piave gruppi di ragazzi a “caccia”<br />

di cuccioli. Particolare curioso, ma d’uso, era quello che al piccolo leprotto<br />

veniva tagliato un pezzetto di orecchio prima di rimetterlo in libertà; era questa<br />

sicuramente una forma piuttosto cruenta per “marchiarlo”.<br />

Ha un comportamento solitario, una gestazione di circa 40 giorni e può partorire<br />

da 4 a 10 piccoli.<br />

La fiaba<br />

“ Le Lepri e le Ranocchie”<br />

Un giorno le Lepri, riunite tutte insieme, stavano lamentandosi della loro vita,<br />

sempre di corsa, piena di insidie e di paure, essendo prede ambite da tanti predatori.<br />

Meglio dunque farla finita una volta per tutte, che vivere male tutta la<br />

vita. Presa questa decisione si lanciarono tutte verso lo stagno per buttarsi dentro<br />

e affogare. Le Ranocchie che sostavano tutto intorno all’acqua dello stagno,<br />

appena si accorsero del loro avvicinarsi si buttarono immediatamente in acqua.<br />

E allora una delle Lepri che sembrava capeggiare le altre disse: “fermiamoci<br />

amiche è meglio risparmiarci questo orribile passo, perché avete visto anche<br />

voi, che, in fatto di paura e di insidie c’è chi sta peggio di noi”. (Esopo)<br />

IL CONIGLIO<br />

Sin dai tempi più remoti, i Conigli godettero, presso gli uomini di molto interesse,<br />

e non solo per la bontà delle carni e l’utilità della loro pelliccia, ma<br />

anche per il grazioso aspetto e per l’indole dolce e sottomessa.<br />

Un’usanza gentile ad esempio, ancora in vigore nei paesi anglosassoni, ma<br />

che già era viva nell’antica Grecia, ha fatto di loro il simbolo dell’abbondanza,<br />

della fortuna, della felicità familiare e della figliolanza numerosa.<br />

La figura del coniglietto appare spesso nei biglietti di auguri che vengono<br />

144


scambiati specialmente durante le feste Pasquali fra amici e parenti.<br />

Famose sono ancora le “Conigliette” (in realtà delle bellissime ragazze) che<br />

appaiono in una nota rivista, e molto apprezzate sono le altrettanto bellissime<br />

cameriere di tanti ristoranti “in”, “vestite” appunto da conigliette.<br />

Altre prove dell’interesse che l’uomo ha sempre avuto nei confronti di questi<br />

animali possiamo trovarle nella letteratura popolare di ogni paese in quanto<br />

molto spesso essi sono stati scelti come protagonisti di fiabe e racconti,<br />

soprattutto quando si voleva indicare la timidezza, la mitezza e anche la<br />

paura.<br />

Il Coniglio, nella storia, ha rivestito un ruolo molto importante tanto da scomodare<br />

Plinio il Vecchio che nel primo secolo dopo Cristo, dà notizia dei<br />

mezzi escogitati per liberarsi dai Conigli<br />

che arrecavano danni ingenti alle coltivazioni,<br />

lodando le imprese dei Furetti che<br />

li spingevano fuori dalle tane per essere<br />

catturati.<br />

Plinio scrive ancora come i Romani si<br />

cibassero di “laurices”, una pietanza<br />

conosciuta dagli Spagnoli a base di neonati<br />

di Coniglio. Sull’abbondanza di questo<br />

roditore, e sull’importanza che ha<br />

CONIGLIO<br />

sempre avuto nella vita dell’uomo, si<br />

legge in un vecchio trattato che nel 1.337 in Sicilia un mercante richiese a dei<br />

cacciatori la fornitura di 10.000 pellicce di Coniglio e che costoro gliene consegnarono<br />

850 in poche settimane. I suoi resti fossili più antichi, comunque,<br />

sono stati trovati in Spagna e datano che la sua presenza risale a oltre 500.000<br />

anni or sono, mentre si ha notizia certa che nel 1.555 il Coniglio non era ancora<br />

addomesticato nè tanto meno selezionato.<br />

Lo si apprende in un trattato dell’epoca in cui lo zoologo in questione, scrive<br />

di conoscere solamente dei Conigli selvatici. E bisogna arrivare nella secon-<br />

145


da metà dell’Ottocento per avere notizie certe del suo allevamento, anche se<br />

molto recentemente, e solo intorno al 1950, si inizia ad allevarlo seguendo<br />

moderne tecnologie in maniera intensiva.<br />

Come del resto tutti i roditori, il Coniglio è molto prolifico: si pensi che una<br />

femmina è in grado di partorire anche 7/8 cucciolate di 5/10 piccoli l’una per<br />

ogni anno; a questo proposito va ricordato come nel 1859 gli Inglesi pensarono<br />

di introdurre 12 coppie di Coniglio in Australia.<br />

Ebbene in pochi anni divennero centinaia di milioni arrivando a distruggere<br />

fino alle radici alberi e coltivazioni, tanto che, per riportare un certo equilibrio,<br />

il governo di quel paese dovette promuovere una campagna di abbattimento<br />

di proporzioni gigantesche.<br />

Gli antichi Romani poi, avevano l’abitudine di introdurre una coppia di<br />

Conigli nelle varie isolette sparse nel loro impero. In tempi brevi, questi animali<br />

diventavano tanto numerosi da costituire una insostituibile fonte di cibo<br />

per eventuali approdi fortuiti in quelle terre diversamente inospitali.<br />

Quella di introdurre un animale nuovo in un territorio non suo, non è comunque<br />

una buona cosa, perché fa sì che egli, essendo sconosciuto e non facendo<br />

parte della catena alimentare dei predatori presenti, non venga da essi riconosciuto<br />

e quindi predato e possa così riprodursi in maniera abnorme causando<br />

alla fine dei guai e degli squilibri notevoli.<br />

Una espressione che si usava un tempo, parlando di una donna che aveva<br />

avuto molti figli (talvolta 15/20) era questa: “a Maria la e come na cunicia”<br />

(La Maria è prolifica come una coniglia che appunto alleva molti figli).<br />

Ha un comportamento sociale, una gestazione di circa 30 giorni e può partorire<br />

da 5 a 10 piccoli.<br />

146


“Per poter salvare la fauna selvatica bisogna<br />

riuscire a trovare il giusto compromesso tra il massacro brutale<br />

e insensato e lo sciocco sentimentalismo. Entrambi<br />

condurrebbero infatti alla perdita e all’estinzione totale<br />

degli animali.”<br />

Theodore Roosvelt


IL RATTO GRIGIO<br />

Ha raggiunto l’Europa sicuramente molto tempo dopo il Ratto nero, provenendo<br />

dalle regioni della Cina e della Mongolia. Egli sa adattarsi meglio di<br />

un qualsiasi altro animale negli ambienti che frequenta. In pratica si può trovarlo<br />

ovunque pur se predilige le zone umide. Rimane in ogni modo un tipico<br />

“commensale” dell’uomo del quale, oltre agli edifici destinati alle più varie<br />

attività, può, invadere anche le sue abitazioni. Vive soprattutto nelle fogne,<br />

nelle cantine e nei cortili, come nei villaggi e nelle aree rurali, ma anche nel<br />

cuore delle grandi metropoli. Il Ratto scava delle gallerie che hanno più di un<br />

ingresso e sono molto ramificate con camere adibite a soggiorno ed altre a<br />

ripostiglio, dove accumula grandi quantità di alimenti. Talvolta ama spingersi<br />

anche molto lontano alla ricerca di fonti di cibo particolarmente gradite: per<br />

esempio in particolari periodi dell’anno<br />

in cui sui campi avviene la maturazione<br />

del frumento e del mais, il Ratto è attratto<br />

irresistibilmente dall’improvvisa e<br />

abbondante disponibilità di questi alimenti<br />

molto appetitosi e, pur di raggiungerli,<br />

non esita a percorrere ogni notte<br />

diversi chilometri. Durante questi spostamenti,<br />

egli segue sempre lo stesso percorso<br />

lasciando dietro di sè delle tracce<br />

RATTO<br />

che non tardano ad essere scoperte dai<br />

predatori che spesso si appostano nelle vicinanze di questi “camminamenti” e<br />

lo catturano. I Ratti vivono in gruppi abbastanza numerosi i cui componenti<br />

discendono probabilmente da una sola femmina. Si tratta di gruppi familiari<br />

all’interno dei quali si stabilisce una certa gerarchia con uno o più maschi<br />

dominanti e altri subordinati. Secondo alcuni studiosi, la dominanza sembra<br />

essere in rapporto, non tanto all’età, quanto al peso corporeo dei maschi. Le<br />

149


stesse femmine non accetterebbero mai di essere coperte da maschi più leggeri<br />

di loro. I Ratti grigi sono animali notturni; tuttavia, in presenza di forti<br />

densità di popolazione, è possibile vedere qualche individuo anche durante il<br />

giorno: si tratta senza ombra di dubbio di esemplari di rango inferiore ai quali,<br />

durante le ore di attività notturna, gli individui dominanti precludono le vie<br />

d’accesso alle fonti di cibo. Diversamente dal Ratto nero, quello grigio tende<br />

ad essere anche carnivoro e spesso si ciba di insetti, crostacei, e piccoli di<br />

uccello nonché delle loro uova. Non disdegna neppure le carogne di altri animali<br />

e sostanze organiche in decomposizione frequentando discariche, fogne<br />

e mattatoi. Come altri roditori è un animale previdente che accumula riserve<br />

alimentari nel profondo delle sue tane. Quando nuota mantiene la coda, che è<br />

lunga quanto il suo corpo, fuori dall’acqua per bilanciarsi. L’uomo può<br />

ammalarsi di leptospirosi, una malattia letale, che potrebbe contrarre entrando<br />

in contatto con dell’acqua, di un fossato o di un canale, intrisa dall’urina<br />

di questi animali. E’ un abile nuotatore anche in apnea, ed è un altrettanto<br />

agile arrampicatore. Ha un comportamento sociale, una gestazione di circa 23<br />

giorni e può partorire da 5 a 10 piccoli.<br />

IL TOPOLINO<br />

Il Topolino, come il Ratto grigio, è anch’ esso specie molto vicina all’uomo e<br />

cosmopolita. Molto diffuso e abitatore delle nostre case, anche in appartamenti<br />

situati a diversi piani di altezza; può però anche vivere allo stato semiselvatico<br />

preferendo terreni lavorati, dove si scava delle tane in cui ricava una<br />

grande camera per abitazione e altre piccole celle dove poter immagazzinare<br />

delle provviste per i periodi di carestia. Si è accertato negli ultimi anni un evidente<br />

aumento della sua popolazione e ciò sembra sia da attribuire ad un notevole<br />

incremento di alcune colture cerealicole tipo mais, frumento e girasole e<br />

al contemporaneo impiego di mezzi meccanici per la loro raccolta. L’uso di<br />

questi mezzi comporta una maggiore “perdita” sul terreno del prodotto matu-<br />

150


o coperto, a trebbiatura avvenuta, da un alto strato di paglia. Pertanto, in questo<br />

ambiente ideale, egli può rimanere per qualche mese trovando cibo, un<br />

ottimo rifugio e motivazioni valide a stimolare gli accoppiamenti dando origine<br />

in tal modo a rapidi incrementi della popolazione. Anche il Topolino<br />

domestico vive in gruppi familiari, all’interno dei quali viene stabilita una<br />

certa gerarchia fra i maschi; questa dominanza<br />

serve soprattutto nel mantenere i<br />

territori acquisiti. Anche in questo caso<br />

gli individui subordinati tendono ad alimentarsi<br />

nei momenti in cui sono inattivi<br />

i maschi dominanti. L’urina di questi animali<br />

abbondantemente sparsa all’interno<br />

del territorio frequentato, dagli stessi<br />

produce il tipico “odore di topo” che<br />

immancabilmente determina la loro pre-<br />

TOPOLINO<br />

senza in quell’ambiente e ciò sembra<br />

giocare un ruolo determinante nella vita sociale del gruppo. Un’altra curiosità<br />

di questo animale è rappresentata dal fatto che ogni notte è solito percorrere<br />

il suo territorio, esaminando con cura ogni eventuale cambiamento o ogni<br />

nuovo oggetto che possa esservi stato introdotto di recente. La femmina è più<br />

grande e robusta del maschio. Come il Ratto, viene allevato come cavia per<br />

la ricerca scientifica; la sua coda ha la medesima lunghezza del suo corpo,<br />

costruisce il suo nido molto simile a quello degli uccelli, usando sovente<br />

anche gli stessi materiali. Ha un comportamento sociale e una gestazione di<br />

circa 21 giorni e può partorire da 4 a 9 piccoli.<br />

La fiaba<br />

“ I Topi e le Donnole”<br />

Topi e Donnole erano in guerra fra loro, e i Topi non facevano che perdere.<br />

Allora i Topi decisero di riunirsi in assemblea e discussero sul fatto che forse<br />

151


queste sconfitte avvenivano perché non avevano dei capi. Scelsero allora<br />

alcuni di loro e li nominarono capitani.<br />

Questi, una volta accettato l’incarico, volendo distinguersi dagli altri, si fecero<br />

costruire delle corna e se le fissarono sulla testa. Iniziò una nuova battaglia<br />

e l’esercito dei Topi, nonostante che a comandarli ci fossero questi<br />

comandanti, ebbe ancora una volta la peggio.<br />

Ma mentre i topi semplici soldati in fuga, si poterono infilare nelle loro tane<br />

e riuscirono a salvarsi, i capitani, non vi poterono entrare perché impediti<br />

dalle loro grandi corna, che portavano sulla testa e vennero così presi e divorati<br />

dalle Donnole. (Esopo)<br />

IL PIPISTRELLO O NOTTOLA<br />

La sua caratteristica principale è quella che, pur essendo un mammifero, riesce<br />

a volare. Non è dotato di ali vere e proprie bensì di “patagi”, ovvero di<br />

sottilissime membrane tese tra gli arti inferiori e anteriori che hanno comunque,<br />

per il Pipistrello (Nottol), la medesima<br />

funzione di un’ala per un uccello.<br />

A differenza di quest’ultima che riesce a<br />

portare molto in alto un uccello, il patagio<br />

del Pipistrello gli consente un volo a<br />

bassa quota, o comunque non più alto di<br />

una ventina di metri dal suolo. Gli arti<br />

posteriori, sono molto più sviluppati<br />

rispetto a quelli anteriori e le dita sono<br />

PIPISTRELLO<br />

munite di forti unghioni, che permettono<br />

ai Pipistrelli di appendersi ai rami degli<br />

alberi, a delle fenditure o a pareti di roccia con la testa all’ingiù durante il<br />

riposo. Il Pipistrello in riposo avvolge il patagio attorno al corpo, come se<br />

fosse un mantello. Conduce una intensa vita notturna alla continua ricerca di<br />

152


cibo che trova intorno ai lampioni, che con la loro luce attirano nugoli di<br />

Pappataci e Ditteri. Quello che colpisce maggiormente è il suo volo fatto di<br />

guizzi improvvisi, brevi picchiate, continue e rapidissime deviazioni. La spiegazione<br />

di tutto ciò sta nelle orecchie dotate di ampi padiglioni auricolari che<br />

funzionano come un diapason.<br />

Il Pipistrello emette dei suoni che colpiscono degli oggetti e da questi vengono<br />

riflessi in forma di eco e captati dalle sue strutture auricolari. Il tempo di<br />

ritorno dell’eco determina la distanza dell’oggetto colpito. Si consideri che il<br />

Pipistrello emette un numero ragguardevole di impulsi, anche 14/15 al secondo,<br />

ognuno dei quali della durata di 5 millesecondi.<br />

Emettendo questi ultrasuoni, i Pipistrelli contraggono un particolare muscolo<br />

che impedisce loro di percepire suoni a bassa e media frequenza, facilitando<br />

pertanto la percezione dell’eco proveniente dagli oggetti o dagli insetti volanti.<br />

Questi impulsi consistono in onde ad altissima frequenza non udibili da<br />

parte dell’orecchio umano e possono essere emessi sia dalla bocca che dalle<br />

narici.<br />

La frequenza del suo battito cardiaco raggiunge in momenti di grande stress,<br />

1200 pulsazioni al minuto.<br />

Può succedere che un grande spavento, come quello procurato da un forte<br />

tuono, ne provochi la morte.<br />

Raramente può fare la sua comparsa anche di giorno volando a bassa quota<br />

alla ricerca di insetti che sono il suo alimento base. Difficilmente esce dal suo<br />

rifugio quando piove.<br />

Una credenza popolare ancora molto attuale, vuole che il Pipistrello possa<br />

annidarsi fra i capelli delle donne, soprattutto se questi sono lunghi e ricci, e<br />

non se ne voglia più andare, tanto che la malcapitata oltre alla grande paura<br />

dovrà ricorrere alle forbici e perdere così la sua fluente chioma. Non si è mai<br />

assistito ad un fatto del genere, tuttavia la credenza è ben lungi dal venire<br />

meno. In realtà, la donna o l’uomo rappresentano per lui un ostacolo che grazie<br />

alla sua ecolocazione (il diapason) evita con certezza assoluta.<br />

153


Ha un comportamento sociale e una gestazione di circa 70 giorni e può partorire<br />

da 1 a 3 piccoli.<br />

La fiaba<br />

“Il Pipistrello, il rovo e il Gabbiano”<br />

Un Pipistrello, un rovo e un Gabbiano fecero società e decisero di darsi al<br />

commercio. Il Pipistrello si fece prestare del denaro e lo mise in comune; il<br />

rovo prese con sé delle stoffe; il Gabbiano, ci mise del rame, e tutti e tre si<br />

imbarcarono sulla nave per iniziare la loro attività commerciale. Durante la<br />

navigazione si scatenò una violenta tempesta, e la nave colò a picco. I tre riuscirono<br />

a mettersi in salvo ma perdettero tutto il loro carico. Da allora il<br />

Gabbiano è sempre in agguato sugli scogli, per vedere se il mare da una parte<br />

o dall’altra gli restituisce il suo rame; il Pipistrello, per paura dei suoi creditori<br />

di giorno non si fa vedere ed esce solo di notte per cercarsi da mangiare;<br />

il rovo, poi, si aggrappa ai vestiti dei passanti, per vedere se riconosce le<br />

sue stoffe. (Esopo)<br />

IL MAIALE<br />

E’, tra gli animali domestici, uno dei più preziosi. Per secoli ha rappresentato<br />

la ricchezza di milioni di famiglie; del Maiale si dice infatti che “non si<br />

butta via niente”. L’addomesticamento del Maiale, che discende sicuramente<br />

dal Cinghiale, risale a circa 6.000 anni fa e furono ancora una volta i Cinesi<br />

che compresero per primi l’importanza alimentare di questo animale. Dalla<br />

Cina si sarebbe poi diffuso verso i paesi occidentali. Greci, Romani ed<br />

Egiziani lo hanno raffigurato in opere e riproduzioni artistiche apprezzandolo<br />

per le sue carni molto tenere e saporite. Solo gli Ebrei e i Mussulmani, per<br />

loro motivi religiosi, ripudiano il Maiale ritenendolo un animale immondo. La<br />

pelle molto spessa e robusta viene chiamata “cotenna” ed è nella maggior<br />

parte delle razze ricoperta da setole più o meno dure. Sotto la cotenna, si trova<br />

154


uno strato di grasso che può arrivare anche a 8 cm chiamato “lardo”, molto<br />

apprezzato e considerato il “prosciutto bianco”. Curioso è il muso denominato<br />

“grugno” molto mobile e ricco di muscoli, con il quale i Maiali “grufolano”<br />

nel terreno alla ricerca continua di cibo, dissotterrando radici, tuberi, ma<br />

raccogliendo anche ghiande, castagne e frutta varia. Il Maiale non disdegna di<br />

nutrirsi neppure di qualche piccolo animale come Topi, Vermi e Chiocciole.<br />

Mangia infatti di tutto grazie anche alla sua particolare e robusta dentatura<br />

formata da 44 denti. I piccoli quando nascono (anche 12-13 per volta) pesano<br />

circa 1 kg, ma in 18 mesi arrivano facilmente a pesare più di 2 quintali. La<br />

sua carne si può mangiare sia fresca che conservata. In questo caso sono<br />

molto apprezzati i prosciutti, le mortadelle, le salsicce, gli zamponi e i salumi<br />

in genere. Anche il grasso viene utilizzato; per liquefarlo, viene fatto bollire a<br />

lungo, ottenendo in tal modo lo “strutto”<br />

che viene poi usato per friggere diverse<br />

pietanze e in particolar modo il pesce. Un<br />

tempo, per conservare a lungo lo strutto<br />

senza che potesse irrancidire (quando<br />

non c’erano i frigoriferi), dopo la bollitura<br />

e prima che si raffreddasse, e quindi<br />

che si rapprendesse, veniva introdotto<br />

nella vescica dello stesso animale ucciso,<br />

che veniva preventivamente allargata a<br />

MAIALE<br />

dismisura soffiandoci dentro e fatta<br />

essiccare. Dalla “sugna”, che è il grasso del ventre, si ottiene una sostanza<br />

grassa, bianca e inodore che è impiegata per la preparazione di creme e pomate.<br />

Neppure il sangue andava disperso; la morte del Maiale era piuttosto<br />

cruenta e per sgozzarlo veniva messo con il collo ad un livello più basso del<br />

resto del corpo, in modo che il sangue fuoriuscisse il più velocemente possibile<br />

così da lasciare le carni bianche; il sangue quindi veniva raccolto in una<br />

pentola. Una parte veniva lasciata raffreddare e conservata per mangiarla uni-<br />

155


tamente al fegato stufandola con pomodoro burro e cipolla, era questo un tipico<br />

e appetitoso piatto da consumarsi la sera stessa della macellazione con la<br />

polenta. L’altra metà del sangue invece, mentre ancora usciva dalla ferita<br />

della povera bestia, veniva mescolata in continuazione con un apposito<br />

mestolo di canna di bambù fatto a “croce”, perché non si rapprendesse e ancora<br />

calda veniva unita a zucchero, uvetta passa, pinoli, noci, fichi secchi, a<br />

seconda, delle abitudini della famiglia e successivamente prima che si raffreddasse<br />

del tutto, insaccata come se fosse un salame.<br />

Conservato in un luogo fresco, diventava un dolce prelibato (nel trevigiano è<br />

riconosciuto con il nome di “baldon”), che la famiglia si divedeva a piccole<br />

fette tutte uguali (a ogni un a so parte), che toccavano ad ogni membro della<br />

famiglia. Del Maiale tutto veniva utilizzato: con le setole si fabbricavano (e<br />

si fabbricano ancora oggi) spazzole e pennelli, mentre le unghie servivano per<br />

ottenere dei fertilizzanti.<br />

Non si buttava via nemmeno la mandibola inferiore; essa veniva raschiata a<br />

dovere e posta sul fondo del mastello in prossimità del foro di uscita della<br />

“lisciva”. La mandibola grazie alla sua particolare conformazione teneva sollevati<br />

i panni messi a lavare consentendo al tempo stesso la fuoriuscita del<br />

“detersivo”.<br />

Ha una gestazione di circa 125 giorni e può partorire da 6 a 12 piccoli.<br />

IL CAVALLO<br />

Anche oggi che il motore occupa una parte dominante nella vita dell’uomo, il<br />

Cavallo, intelligente generoso e nobile animale, continua ad essere un compagno<br />

di vita per l’Uomo nel suo lungo cammino in questa vita terrena. In<br />

Asia e successivamente in Europa, esso compare fin dalla più remota preistoria;<br />

in una grotta della Dordogna, in un dipinto che risale a 50.000 anni fa,<br />

appare un Cavallo al galoppo. Ma la storia “moderna” del Cavallo inizia con<br />

le civiltà degli Arii in India, per proseguire in Cina e in Giappone; mentre in<br />

156


Europa bisogna attendere quelle degli<br />

Ittiti e degli Assiri per vederlo protagonista<br />

in ogni fatto storico accanto<br />

all’Uomo.<br />

Greci e Romani lo adoperavano per le<br />

loro guerre, per i lavori dei campi, per i<br />

trasporti, nonchè per le loro corse dei<br />

cocchi e per l’equitazione. Avevano per<br />

CAVALLO<br />

questo animale una passione tale che<br />

rasentava il fanatismo. Caligola, l’imperatore pazzo, arrivò a nominare il suo<br />

Cavallo “Incitatus” Senatore, e a fargli costruire una scuderia in marmo pregiato<br />

con ricche rifiniture e accessori in argento. Dalle tribune del Colosseo,<br />

capace di oltre duecentomila spettatori, si udivano a distanze chilometriche le<br />

grida dei sostenitori che incitavano i Cavalli nelle corse delle quadriglie.<br />

Con la fine dell’impero Romano una delle cose che sopravvisse a tanto sfacelo,<br />

fu proprio l’arte equestre che si venne sempre più affermando come privilegio<br />

della nobiltà. Quando nel 1519 il piccolo drappello di soldati spagnoli<br />

capitanato da Cortez si inoltrò fra le gole e i deserti del Messico, suscitò straordinarie<br />

manifestazioni di rispetto e deferenza fra i sudditi di Montezuma.<br />

Gli Aztechi non avevano mai visto un Cavallo e credevano che gli uomini fossero,<br />

tutt’uno con l’animale come dei giganteschi centauri, tanto da venerarli<br />

ritenendoli i compagni del loro Dio, Signore del tuono e della folgore, dal<br />

torso d’Uomo e dal corpo belluino.<br />

Oggi con il Cavallo non si va più alla conquista di nuove terre, come non<br />

viene più adoperato nell’aratura della terra o nel traino di pesanti carri carichi<br />

di merci; oggi viene per lo più impegnato nelle corse ippiche, in battute di<br />

caccia, nei circhi, nel gioco del polo, ma ancora di più è diventato un animale<br />

di affezione con il quale compiere lunghe passeggiate in luoghi dove difficilmente<br />

l’uomo potrebbe arrivare da solo.<br />

Frutto del lavoro di selezione dell’uomo, esistono decine di razze equine spes-<br />

157


so assai diverse fra di loro e adatte ai più svariati compiti; ne vanno ricordate<br />

due su tutte, lo Schire, un mastodontico Cavallo da tiro dalle zampe larghe e<br />

pelose e pesante fino a dieci quintali e il Purosangue, frutto di incroci fra<br />

Cavalli arabi ed inglesi, un magnifico campione di velocità e resistenza diventato<br />

il dominatore degli ippodromi.<br />

L’Uomo, nei secoli, ha pure scoperto la interfecondità fra il Cavallo e l’Asino<br />

ottenendo dal maschio Cavallo e dalla femmina Asina il Bardotto, scarsamente<br />

impegnato perché non presenta evidenti vantaggi; mentre dall’accoppiamento<br />

inverso si è ottenuto il Mulo, che riunisce in sé le migliori caratteristiche<br />

dei parentali: dell’Asino, anche se più alto e pesante, conserva le doti di<br />

pazienza e di resistenza; della Cavalla la celerità e una indocilità proverbiale<br />

che lo ha reso famoso. Entrambi questi ibridi sono negati alla riproduzione e<br />

il Mulo nella maggior parte dei casi, è muto.<br />

Ha una gestazione di circa 360 giorni e partorisce di norma 1 piccolo.<br />

IL CANE<br />

Tante sono le storie vissute dal cane che raccontano la sua grande dedizione<br />

nei confronti non solo dell’Uomo, ma molto spesso anche delle sue cose.<br />

Omero racconta in uno dei più toccanti episodi dell’Odissea, la consacrazione<br />

della fedeltà canina, di quell’amicizia che non conosce oblio o tradimento.<br />

Il vecchio Argo se ne stava sdraiato al sole sopra un mucchio di rifiuti con gli<br />

occhi semichiusi.<br />

Nella sua casa, che era stata di Ulisse, nessuno da tempo si curava più di lui,<br />

e nessuno sperava più di vedere ritornare l’eroe della guerra di Troia. Il povero<br />

Cane, stanco, vecchio e malandato si era disteso come al solito nel suo<br />

angolo, forse “sognando” l’amato padrone.<br />

Ma ecco che una voce riconosciuta lo scuote dal suo torpore, un uomo curvo<br />

su se stesso, lacero e sporco appare sotto il porticato e lo chiama per nome.<br />

Argo non ha dubbi: l’odore, i gesti, ma soprattutto la voce dello straccione,<br />

158


fanno alzare sia pure a fatica il vecchio Cane che si trascina fino ai piedi del<br />

nuovo venuto fissandolo con tutto l’amore di cui è capace, dimenando debolmente<br />

la coda.<br />

È proprio lui. È Ulisse che ritorna dopo vent’anni di lontananza, irriconoscibile<br />

per tutti, anche per sua moglie e per suo figlio, ma non per il suo Cane.<br />

E mentre Ulisse commosso si china per accarezzarlo, il vecchio Argo, muore<br />

pago di gioia per aver rivisto il suo padrone per un’ultima volta e di saperlo<br />

ancora a casa. Tremila anni fa come oggi, l’uomo ha sempre trovato nel Cane<br />

un amico fedele, disposto a servirlo in ogni momento e spesso anche al costo<br />

del sacrificio della propria vita. Ma quando ha avuto inizio questa straordinaria<br />

amicizia tra l’Uomo e il Cane?<br />

Nessuno lo può dire con certezza, ma<br />

sicuramente in epoca lontana, e si ritiene<br />

che sia stato proprio il Cane circa 12.000<br />

anni or sono, ad iniziare con l’Uomo quel<br />

processo di addomesticazione che è poi<br />

continuato con tanti altri animali. Reperti<br />

fossili indicano con certezza che, già<br />

9.000 anni or sono, l’Uomo iniziò a operare<br />

le prime selezioni, anche se furono i<br />

CANE<br />

Romani ad accentuare l’impegno tanto<br />

da definire forme e taglie presenti ancora oggi nelle razze moderne.<br />

E sempre i Romani iniziarono ad impiegare i Cani sia per la caccia, sia per la<br />

guardia di altri animali che per la compagnia. Oggi si ha ragione di ritenere<br />

che tutte le razze di Cane, indipendentemente dalla diversa forma e taglia,<br />

discendano dal Lupo grigio. Un processo di selezione sviluppatosi in oltre<br />

4.400 generazioni, per passare dal progenitore citato, per esempio, al piccolo<br />

Cane da “grembo” il Chiuauha. Questo lungo lavoro ha portato alla creazione<br />

di animali assai diversi fra di loro sia per la diversa struttura fisica, sia per<br />

attitudini, ma tutti dotati di quelle particolari doti di fedeltà, di prontezza, e<br />

159


spesso di sacrificio, che hanno fatto preferire il Cane sopra ad ogni altro animale.<br />

Si ha ragione di ritenere che il primo impegno selettivo, da parte<br />

dell’Uomo, sia stato effettuato per ottenere dei buoni Cani da pastore ai quali<br />

affidare i greggi. Tipici, in questo caso sono il Pastore Maremmano e quello<br />

Bergamasco; soggetti molto forti e aggressivi, atti a rincorrere le pecore<br />

sbrancate e a dividere nel gregge i maschi che litigano, anche se il più noto è<br />

il Cane da pastore Tedesco apprezzato per la sua straordinaria intelligenza,<br />

per la sua forza e per la sua agilità.<br />

Questa razza è oggi particolarmente apprezzata come Cane poliziotto, come<br />

guida per i ciechi e come Cane da guerra. Molti lo chiamano “Cane Lupo”<br />

considerata la rassomiglianza con il suo feroce antenato. Ma le razze canine<br />

sono numerosissime, più di quanto ne possiamo elencare, come numerosi<br />

sono i compiti per cui sono state selezionate. Dopo i Cani da pastore, possiamo<br />

citare i Cani particolarmente selezionati per la guardia, e, fra di essi, il<br />

Molosso, il gigantesco Alano, il Boxer, il Mastino. Tutti dotati di una muscolatura<br />

straordinaria e di mascelle robustissime in grado di incutere timore a<br />

qualsiasi male intenzionato.<br />

Vanno ricordati poi i Cani da utilità: a tutti sono note le imprese di tanti salvataggi<br />

compiuti in montagna dal Gran San Bernardo, che viene considerato<br />

il gigante del mondo canino. Così come va ricordata l’abilità del nuoto dei<br />

grossi Terranova, anch’essi spesso impiegati nei salvataggi in acqua. Nel<br />

“profondo nord” sono stati selezionati per il traino delle slitte dei Cani che riescono<br />

a percorrere decine di chilometri ad una temperatura di 40° sotto zero<br />

come i Samoiedo, l’Alaskan Malamute, il Groelandese, il Siberian Huski.<br />

Questi animali, sono stati, prima dell’avvento della meccanizzazione, veramente<br />

insostituibili sia per il trasporto delle merci che dell’Uomo stesso, in<br />

ambienti e in condizioni metereologiche particolarmente difficili. Tantissime<br />

sono poi le razze dei Cani da caccia selezionate ognuna per un tipo di questa<br />

attività, e in questo caso, non va dimenticato come la caccia per secoli sia<br />

stata essenziale per la sopravvivenza dell’Uomo e allora vanno ricordati: i<br />

160


Setter, il Labrador, il Pointer, il Bracco, lo Spinone, il Bassotto, i Levrieri, i<br />

Segugi. Infine vanno ricordati i Cani da compagnia (pur se tutte le razze, a<br />

prescindere dalle loro particolari mansioni per le quali sono stati selezionati,<br />

sono comunque ottimi compagni del proprio padrone nella vita di tutti i giorni),<br />

il Chiuauha, gli Spitz, i Barboni, il Pechinese, il Maltese, tanto per citarne<br />

alcuni, che svolgono un ruolo importante nella vita di persone sole, anziani<br />

e handicappati. Oggi come gli Uccelli e i Gatti, anche i Cani, soprattutto<br />

quelli da compagnia, sono considerati molto utili nella pet terapy. Ha una<br />

gestazione di circa 62 giorni e può partorire da 4 a 10 piccoli.<br />

La fiaba<br />

“Il Cane, il Gallo e la Volpe”<br />

Un Cane e un Gallo erano diventati amici e decisero di fare un viaggio insieme.<br />

Giunta sera si fermarono per dormire. Il gallo salì sopra un albero e il<br />

cane si accomodò sotto il medesimo dove c’era una piccola buca. All’alba il<br />

Gallo, secondo le sue abitudini, incominciò a cantare. Da lontano, una Volpe<br />

lo udì; si avvicinò all’albero sopra il quale stava il Gallo e lo pregò di scendere<br />

in quanto voleva abbracciare un animale dotato di una voce così bella.<br />

Il Gallo rispose di svegliare il suo portinaio che stava dormendo ai piedi dell’albero,<br />

affinchè gli aprisse l’uscio, dopo di chè sarebbe sceso. Ma mentre la<br />

povera Volpe stava per rivolgersi al portinaio, questi le balzò addosso e la<br />

sbranò. (Esopo)<br />

IL GATTO<br />

“Nella giungla il viandante teme la Tigre, la Tigre teme l’Elefante del rajah;<br />

ma il Gatto selvatico appollaiato su un albero guarda passare il viandante, la<br />

Tigre e l’Elefante del rajah.” Così racconta un vecchio detto indiano. Ma il<br />

Gatto, anche quando scende dall’albero, è sempre il medesimo osservatore,<br />

attento e indifferente di quanto succede intorno a lui.<br />

161


Il Gatto è considerato il principe della casa, così vicino, e così distante, così<br />

familiare, e così misterioso, egli ha da sempre affascinato l’Uomo per questo<br />

suo comportamento, per questa sua imprevedibilità, che lo rendono al tempo<br />

stesso “coccolone” e sfuggente, “ruffiano” e ladro, tanto da rappresentare per<br />

l’Uomo uno degli animali dai quali è maggiormente conquistato. Del resto dal<br />

Gatto è stato impressionato, e lo ricorda con la sua celeberrima frase, lo stesso<br />

Leonardo da Vinci “il più piccolo dei piccoli felini è già lui stesso un vero<br />

capolavoro”. Anche pur essendo rimasti a lungo distanti, la coabitazione<br />

dell’Uomo con il Gatto, risale alla notte dei tempi. La qualità di cacciatore di<br />

questo piccolo felino, anche se addomesticato, ne ha fatto nei secoli un protettore<br />

naturale di granai e di cucine, tanto è risaputa la sua attitudine alla caccia<br />

di roditori nocivi come Topi e Ratti. Tuttavia la sua indipendenza, a volte<br />

vicina all’irriverenza, e le pratiche alle quali fu associato nel Medioevo, offuscarono<br />

a lungo la sua immagine. E’ solo più tardi, nel 1800, che il Gatto ritornerà<br />

di moda, comparendo soprattutto nei cosiddetti saloni letterari, sul grembo<br />

delle dame o accucciato accanto ai piedi dei signori di allora. Diversi artisti,<br />

in quel periodo, lo ritraggono nei loro dipinti quale simbolo ormai della<br />

sua addomesticazione acquisita. Ma proprio la sua addomesticazione, rimane<br />

molto misteriosa e non è ancora stata stabilita con certezza la data in cui è iniziata.<br />

In Egitto compaiono comunque le prime tracce risalenti al 4.000 a.C.,<br />

quando sembra che questa civiltà lo avesse già addomesticato trasformandolo<br />

da abile cacciatore a importante predatore di Ratti e Topi, veri flagelli dei<br />

raccolti. La civiltà egizia del resto gli riconobbe un posto fra gli dèi e si assistette<br />

così, sotto la XXII dinastia alla comparsa di Bastet, la dèa raffigurata<br />

con la testa di Gatta, simbolo della femminilità, della sensualità, della musica,<br />

della danza e della maternità. Molto più tardi, nel XIX secolo, furono rinvenute<br />

numerose mummie conservate perfettamente in sarcofaghi di legno<br />

intagliati con la figura del piccolo felino. Fra gli egizi la sacralità del Gatto<br />

era così forte che un re persiano vinse addirittura una guerra con uno stratagemma:<br />

fece legare sugli scudi dei suoi soldati dei Gatti, convinto a ragione,<br />

162


che gli Egizi non avrebbero mai contrattaccato per timore di colpire gli animali.<br />

Alcuni Gatti, gelosamente allevati dagli Egizi, furono rubati dai Greci<br />

in occasione di scambi culturali e commerciali, e in seguito introdotti in<br />

Europa e conseguentemente a Roma. I Romani, secondo quanto afferma<br />

Plinio il Vecchio, hanno imparato successivamente ad apprezzare il Gatto non<br />

solo per le sue qualità di cacciatore, ma<br />

anche per la sua bellezza e per il suo spirito<br />

indipendente tanto da essere considerato<br />

il simbolo della libertà. Anche gli<br />

Arabi, consideravano il Gatto come<br />

un’anima pura, contrariamente all’immagine<br />

che avevano del Cane. Essi, già<br />

prima dell’avvento dell’Islam, adoravano<br />

il Gatto d’oro, e persino Maometto<br />

dimostrò di avere rispetto e riguardo per<br />

GATTO<br />

questo animale. Una leggenda narra<br />

come il profeta per non svegliare la sua Gatta preferita che stava dormendogli<br />

tra le braccia, fece tagliare le maniche del vestito che indossava, e, successivamente,<br />

di averle concesso, il privilegio di cadere da qualsiasi altezza,<br />

sempre sulle zampe senza procurarsi danni e di avere sette vite. In Europa,<br />

con l’avvento del Cristianesimo, il mito del Gatto iniziò a declinare ad eccezione<br />

dell’epoca delle crociate, durante le quali si ebbe una temibile diffusione<br />

di Ratti, per cui si dovette nuovamente ed interessantemente ricorrere al suo<br />

ausilio. La Chiesa per sradicare il mito del Gatto e i culti pagani ad esso legati,<br />

gli attribuì strani poteri malefici, e a centinaia di migliaia questi animali<br />

furono uccisi, crocifissi, e buttati nel fuoco purificatore perché considerati<br />

complici delle streghe e quindi portatori di malefici. L’inquisizione permise<br />

violenze incredibili nei confronti di questi animali tanto da rasentare la loro<br />

estinzione, così il Gatto divenne il simbolo del male e una emanazione di<br />

Satana. Ma nel 1799 fu ancora una volta un’invasione di Ratti che lo riportò<br />

163


in auge e da allora, con l’avvento dell’Illuminismo, vennero meno le superstizioni<br />

e le crudeltà. Si deve infine a Pasteur, nel 1885, la riabilitazione totale<br />

del Gatto; lo scienziato osservò che mentre tutti gli animali possono essere<br />

portatori di malattie attraverso i microbi, viene fatta eccezione per il Gatto,<br />

essendo questi amante della pulizia e dell’igiene. Da allora è storia contemporanea<br />

fatta di dipinti, racconti e favole su quello che va considerato uno dei<br />

più cari e preziosi amici dell’Uomo. Una delle credenze popolari assai diffuse<br />

fino a qualche anno fa (ma che vive in certe zone ancora oggi), voleva che<br />

chi si vedesse attraversare la strada da un Gatto nero, dovesse deviare su altre<br />

vie, perché, continuando a percorrere quella, avrebbe sicuramente incontrato<br />

pericoli e molto spesso la morte. Troppi Gatti neri (visti dall’immaginazione<br />

popolare come gli abiti delle streghe) hanno fatto così una brutta fine, vittime<br />

dell’ignoranza umana e di una sorte che li ha fatti nascere scuri come la notte,<br />

e come il buio dell’umana superstizione. Il 17 febbraio di ogni anno si celebra<br />

la giornata mondiale del Gatto. Ha una gestazione di circa 60 giorni e può<br />

partorire da 3 a 6 piccoli.<br />

La fiaba<br />

“La Gatta e Afrodite”<br />

Una Gatta che si era innamorata di un bel giovane, pregò Afrodite di trasformarla<br />

in Donna. La dèa, mossa da compassione per questo amore, la trasformò<br />

in una bella ragazza. Così, incontrandola, il giovane se ne innamorò e se<br />

la portò a casa. Un giorno, mentre i due innamorati se ne stavano sdraiati nel<br />

letto nuziale, ad Afrodite venne in mente di controllare se la ragazza pur cambiando<br />

corpo, non avesse ancora dentro di sè le attitudini della Gatta. Fece<br />

così cadere nel bel mezzo del letto un bel Topo che la ragazza inseguì e divorò.<br />

Allora la dèa indignata per questo comportamento, la ritrasformò in<br />

Gatta. (Esopo)<br />

164


IL BACO DA SETA<br />

Confucio narra in un suo libro che un’imperatrice cinese fu divinizzata e adorata<br />

come “dèa della seta” dal suo popolo riconoscente, perché insegnò loro<br />

ad allevare il Baco da seta e a tesserne la sua bava. Ciò avvenne ben 2.600<br />

anni prima di Cristo. La leggenda narra che questa imperatrice, passeggiando<br />

per i suoi giardini, notò strani minuscoli animali. Li osservò per diversi giorni<br />

e si accorse che uno di questi bruchi, si avvolgeva su se stesso, formando<br />

un bozzolo, con un filo lucente; aveva scoperto il Baco da seta. Il silenzio<br />

avvolse per molti secoli la scoperta gelosamente custodita dalla corte imperiale<br />

e solo nel IV secolo d.C., da principio l’India e poi il Giappone, ne vennero<br />

a conoscenza grazie ad un curioso stratagemma messo a punto da una<br />

principessa cinese andata sposa al re del Turkestan. Non volendo rinunciare<br />

ai suoi vestiti di seta, nascose fra i fluenti capelli alcune uova del prezioso<br />

bruco, e da allora il Baco da seta sia pur molto lentamente si diffuse in tutto<br />

l’oriente e molto più tardi nel resto del mondo. Sotto l’imperatore Augusto nel<br />

I secolo d.C., Roma iniziò i propri rapporti con il fastoso Oriente così che profumi,<br />

oro, e gioielli entrarono nelle abitazioni dei patrizi e la seta divenne il<br />

tessuto preferito dalle nobildonne Romane. I Romani appresero che la seta<br />

proveniva dalla Cina, ma non capirono da quali sostanze essa potesse derivare.<br />

Pensarono che si trattasse di un prodotto vegetale proveniente da piante<br />

non presenti in Europa. Passarono ancora<br />

molti secoli e furono due monaci,<br />

inviati dell’imperatore Giustiniano, a<br />

portare a Bisanzio, nascosti nelle cavità<br />

dei loro bastoni di viandanti alcuni bozzoli<br />

del Baco da seta. Fu così che nel giro<br />

di qualche decennio anche in Italia si diffuse<br />

l’allevamento del prezioso bruco.<br />

La Cina rimase tuttavia la maggiore pro-<br />

165<br />

BACO


duttrice tanto che l’itinerario percorso dai mercanti fu chiamato per lungo<br />

tempo “la via della seta”. La sericoltura si diffuse in tutta Europa grazie agli<br />

Italiani e in special modo per merito dei Genovesi che per primi trasferirono<br />

il commercio ad Avignone.<br />

A Firenze, a tutelare il diritto dei setaioli, esisteva la “corporazione della seta”<br />

e furono sempre gli Italiani ad allevare per primi il prezioso bruco sia in<br />

Svizzera che in Inghilterra. Il ciclo riproduttivo del Baco da seta inizia quando<br />

l’insetto perfetto esce dal bozzolo e depone le uova dette anche “seme da<br />

Bachi”. Queste uova un tempo si compravano a once e si ponevano sopra a<br />

dei fogli di carta fittamente bucherellati. Qui avveniva la nascita dei piccoli<br />

bruchi che incominciavano subito a nutrirsi di foglie di gelso finemente triturate.<br />

I Bachi crescevano e questo periodo era denominato “dormita”. Le dormite<br />

erano quattro. Più i bruchi crescevano e più le foglie venivano triturate<br />

grossolanamente, fino a venire “servite” intere.<br />

Alla fine della quarta “dormita”, il Baco si svegliava, cominciava a secernere<br />

un filamento che a contatto con l’aria si induriva rapidamente; a questo<br />

punto veniva aiutato a salire sul “bosco” che altro non era se non un intreccio<br />

di ramoscelli e sterpaglia messi appositamente dall’uomo. Qui, il Baco incominciava<br />

ad avvolgere intorno a sé, intrecciandolo a forma di arachide, il filamento<br />

serico per formare il bozzolo. I bozzoli venivano successivamente<br />

inviati alle filande dove delle donne molto esperte li sottoponevano a ebollizione<br />

e con le mani nude cercavano nell’acqua bollente i filamenti per poi<br />

avviarli a delle bobine rotanti che li riunivano in un unico filo. Alla fine della<br />

stagione di lavoro alla filanda, queste povere donne avevano le dita talmente<br />

rovinate (ridotte “in carne viva”) che abbisognavano di un anno intero prima<br />

di ricostruire la pelle, ma non facevano nemmeno in tempo a guarire che già<br />

incominciava la nuova stagione e con essa la nuova “tortura”. Per molti<br />

decenni, l’allevamento del Baco da seta ha fatto parte integrante di tanti magri<br />

bilanci familiari aiutando i poveri contadini a vivere un po’ meno faticosamente.<br />

Questa attività comportava però un notevole impegno sia in fatto di<br />

166


lavoro (bisognava alzarsi nel cuore della notte per alimentare i bruchi) che<br />

economico, in quanto gli ambienti dove venivano allevati i Bachi dovevano<br />

essere riscaldati; così, negli anni l’interesse è sempre venuto meno fino a<br />

scomparire del tutto. Cosa che invece continua a essere importante nei luoghi<br />

d’origine e nei paesi dell’Europa dell’est.<br />

LE FARFALLE<br />

Alle Farfalle la natura ha fornito il massimo della prodigalità in fatto di bellezza<br />

ed armonia di colori. La diversità e varietà delle tinte, le iridescenze, i<br />

riflessi metallici, la leggiadria del volo, fanno si che questi insetti sembrino<br />

creati per rappresentare la bellezza del<br />

regno animale. Nell’osservare la loro esistenza<br />

si rimane stupiti da tanta armonia.<br />

Le femmine muoiono subito dopo aver<br />

deposto le loro uova, la vita delle Farfalle<br />

è quindi relativamente breve e va da<br />

qualche giorno a due mesi. Dall’uovo<br />

deposto all’insetto perfetto passa circa un<br />

anno e precisamente da una primavera<br />

all’altra. Il periodo larvale, a seconda<br />

FARFALLE<br />

della specie, ha una durata varia, da<br />

poche settimane a parecchi mesi. In alcune specie la farfalla si “schiude” in<br />

meno di un mese, in altre lo stadio ninfale si prolunga per tutto l’inverno. Le<br />

Farfalle depongono uova piccolissime dalle quali nasce un bruco che cresce<br />

rapidamente, mutando quattro o cinque volte la propria pelle prima di diventare<br />

adulto. Nel frattempo si sarà nutrito di fiori, frutta e foglie, ma al raggiungimento<br />

del suo completo sviluppo non si nutrirà più e andrà a cercarsi un<br />

luogo adatto dove poter trasformarsi in ninfa. Per fare questo la larva si avvolge<br />

in un involucro tessuto con i fili che emette dalla bocca e si rinchiude nella<br />

167


sua crisalide.<br />

Mentre la ninfa sta rinchiusa nella sua crisalide avviene l’ultima trasformazione<br />

e dopo un tempo, più o meno lungo, uscirà da questo involucro la Farfalla<br />

vera propria, ovverosia l’”insetto perfetto”. La parte più interessante di questi<br />

insetti sono le ali, ricoperte su entrambe le facce da minuscole squame<br />

variamente colorate e facilmente distaccabili: sarà sufficiente prenderle in<br />

mano e ci accorgeremo che un pulviscolo variopinto rimarrà attaccato alle<br />

nostre dita. La Farfalla più grande è la varietà Pavonia, la sua apertura alare<br />

raggiunge i 15 cm e vive sugli alberi da frutta. La Testa di Morto è così chiamata<br />

per il disegno che ha sul torace assomigliante ad un teschio. Se viene<br />

molestata, emette un suono stridulo dovuto allo sfregamento del suo organo<br />

succhiatore. La Vanessa Pavone ha delle ali magnifiche che ricordano lo<br />

splendore delle penne del pavone ed è fra le più comuni. La Cavolaia è indubbiamente<br />

la più conosciuta e vive negli orti e nei giardini. Ha le ali di colore<br />

bianco o giallo con delle macchiette nere.<br />

IL MAGGIOLINO<br />

Alla fine di aprile e per tutto maggio, ma anche oltre, andando per la campagna<br />

si possono osservare dei grossi insetti dal volo pesante e rumoroso, volare<br />

bassi tra le erbe e posarsi sulle fronde degli alberi, sono i Maggiolini. Si<br />

possono prendere in mano senza paura e senza ribrezzo perché sono innocui<br />

e dall’aspetto gradevole. Questi coleotteri assai diffusi si possono trovare a<br />

nugoli tra il fogliame delle più comuni piante da frutto, intenti a divorare il<br />

tessuto delle loro foglie.<br />

I danni provocati dal Maggiolino adulto sono incalcolabili, ma ancora maggiori<br />

sono quelli provocati dalla sua larva. In maggio la femmina, prima di<br />

concludere la sua breve vita, scava una corta galleria nel terreno tenero e lavorato<br />

e in fondo ad essa depone diversi mucchietti di uova. Dopo<br />

un’incubazione di una quindicina di giorni nascono le piccole larve che già<br />

168


incominciano a divorare bulbi, radici, tuberi che trovano intorno alla galleria.<br />

All’inizio della cattiva stagione queste larve sprofondano nel terreno e rimangono<br />

a riposo fino all’inizio della primavera quando rincominciano nella loro<br />

opera distruttrice che continua per tutta l’estate e l’autunno fino a quando arriva<br />

il momento di nascondersi nuovamente in profondità in attesa ancora una<br />

volta della buona stagione.<br />

Durante la stagione successiva, la larva raggiunge il massimo delle sue<br />

dimensioni: si tratta di un bruco piuttosto tozzo lungo fino a 5 cm. In questa<br />

terza estate della sua vita la larva produce, viste le dimensioni raggiunte e la<br />

conseguente voracità, i maggiori danni alle coltivazioni. Raggiunto l’autunno,<br />

la larva si scaverà una galleria profonda anche 60-70 cm al termine della<br />

quale formerà una celletta tondeggiante,<br />

che sarà tappezzata con una sostanza<br />

cementante. In questa celletta si trasformerà<br />

in ninfa. Durante la stagione invernale<br />

nuova metamorfosi: da ninfa, si trasformerà<br />

in insetto perfetto che però<br />

rimarrà nel suo sito in attesa della primavera.<br />

Il ciclo evolutivo è durato 3 anni,<br />

ma nei paesi più freddi può arrivare<br />

anche a 5. L’insetto perfetto per contro<br />

MAGGIOLINO<br />

vivrà invece solamente un mese, nel<br />

corso del quale però arrecherà notevoli danni. Fino a una quarantina di anni<br />

fa, il Maggiolino era oggetto di un gioco “stupido” da parte dei ragazzi che lo<br />

catturavano facilmente. Si legava un sottile filo di cotone ad una zampetta e<br />

poi lo si faceva roteare per tutta la lunghezza del filo medesimo. Iniziava così<br />

una gara fra ragazzi per contendersi le figurine degli animali o dei calciatori,<br />

vinceva il proprietario del Maggiolino che volava più a lungo. Ma i ragazzi<br />

avevano anche un altro compito, comandato in questo caso dagli adulti: ogni<br />

giorno sul calar della sera, muniti di lunghe pertiche, percuotevano le fronde<br />

169


degli alberi dalle quali cadevano a terra grandi quantità di Maggiolini; questi,<br />

venivano messi dentro a dei sacchi e successivamente immersi nell’acqua di<br />

un canale per farli morire annegati.<br />

Successivamente venivano disposti sul selciato davanti a casa dove si facevano<br />

essiccare al sole per poi frantumarli calpestandoli con i piedi. Questo “sfarinato”<br />

era successivamente impiegato come concime per gli orti, ma molto<br />

più spesso ed in maggiore quantità, costituiva un ottimo mangime (forse il<br />

primo), che veniva dato in pasto ai maiali mescolato al siero del latte. Durante<br />

l’aratura in profondità della terra vengono riportate in superficie grandi quantità<br />

di larve di Maggiolino; un tempo i contadini prima di iniziare il lavoro<br />

liberavano nei campi i Polli che, molto ghiotti di queste larve, le divoravano<br />

tutte. Oggi a sostituire i Polli ci sono i Gabbiani che da grandi opportunisti,<br />

hanno scoperto il prelibato e gratuito banchetto e ne approfittano con grande<br />

sollievo da parte dell’Uomo.<br />

170


“La sopravvivenza della fauna selvatica è un problema<br />

di vitale importanza per tutti noi in Africa.”<br />

Julius Njerere


LE API<br />

Lotte spietate e imprese eroiche, in cui si alternano avventure drammatiche e<br />

misteriose, rappresentano la complessa vita e la storia delle Api.<br />

Immaginiamo la cavità di un grosso albero, nella quale uno sciame d’Api abbia<br />

fissato la propria dimora, cerchiamo allora di immaginare questa cavità come<br />

una città popolata da cinquantamila abitanti, dove la vita deve scorrere organizzata,<br />

disciplinata da regole e leggi e dove ogni cittadino ha un compito ben preciso.<br />

E allora cerchiamo di darci un’idea dell’architettura di questa città e di quello<br />

che potremmo definire la sua viabilità e le funzioni dei suoi abitanti. Le strettissime<br />

“stradine” ampie 3 millimetri sono fiancheggiate da tantissime casette (le<br />

cellette) a forma esagonale perfettamente equidistanti una dall’altra. Non tutte<br />

queste casette però sono uguali: il popolo infatti, abita in quelle più piccole, i<br />

fuchi (i cavalieri) abitano quelle di media grandezza, mentre in quelle più grandi<br />

vivono le principesse, una delle quali diventerà l’Ape regina. In questo grande<br />

agglomerato “urbano” vi sono pure dei grandi depositi. All’interno della città<br />

(alveare), l’aria che si respira è “condizionata” per ottenere ciò, appostate all’ingresso<br />

una dopo l’altra ci sono delle Api operaie addette alla ventilazione: esse<br />

fanno vibrare le loro ali così rapidamente che le stesse diventano invisibili.<br />

Molto accurato è il servizio di nettezza urbana e in questo caso le Api addette<br />

sono migliaia perché tutto deve essere spazzolato in continuazione con le loro<br />

zampette pelose affinché mai nessun rifiuto rimanga disperso. Le Api primeggiano<br />

in fatto di organizzazione anche nei trasporti: le scorte di propoli, di miele e<br />

di resina, sono assicurate alla comunità, non solo per i bisogni di ogni giorno, ma<br />

ancora di più per le riserve che vengono con grande previdenza immagazzinate.<br />

Dunque si capisce come in questa società basata sul lavoro la rappresentanza più<br />

numerosa sia quella del popolo cioè dalle Api operaie. In questo mondo tutte le<br />

femmine sono destinate a rimanere nubili e quindi a lavorare per tutta la loro vita.<br />

In un alveare come quello descritto comprensivo di 50 mila Api, circa 45 mila<br />

saranno operaie, i fuchi, che condurranno una vita agiata e oziosa, saranno qual-<br />

173


che centinaio, le rimanenti saranno le principesse,<br />

una sola delle quali sarà eletta<br />

Regina. Le operaie, quando nascono, sono<br />

provviste dei loro attrezzi da lavoro. Le<br />

mandibole e la lingua hanno le funzioni di<br />

sega, di uncino, di spatola, di tenaglia e di<br />

succhiello; hanno tre paia di zampe provviste<br />

di arpioni per rimanere appese, di<br />

API<br />

spazzola e di ceste che servono per il trasporto<br />

delle provviste. Nella parte posteriore del corpo le Api posseggono i pungiglioni.<br />

Tutto il lavoro delle Api operaie è rivolto alla regina che dopo le<br />

“nozze” deporrà un numero incredibile di uova (anche 2.500 al giorno) fecondate<br />

dal fuco prescelto e dalle quali nasceranno nuove operaie, nuovi fuchi e nuove<br />

principesse. La regina deporrà un uovo in ogni celletta e subito, le operaie lo<br />

copriranno di polline e miele in modo che quando la larva nascerà troverà subito<br />

di che alimentarsi. Dopo soli 3 giorni nasceranno le larve che a 6 saranno talmente<br />

sviluppate da occupare tutta la celletta. Allora smetteranno di alimentarsi<br />

e inizieranno a filare un piccolo bozzolo. Questo lavoro durerà alcuni giorni e<br />

quindi la metamorfosi si compirà; dal bozzolo uscirà una larva di Ape operaia<br />

che in una ventina di giorni diventerà insetto perfetto, ben 26 giorni impiegheranno<br />

invece i fuchi, mentre le principesse ne impiegheranno solamente 12. Ma<br />

queste non potranno uscire subito dalla celletta, saranno infatti trattenute prigioniere<br />

dalle nutrici ancora per 7 giorni. Operaie e fuchi, nasceranno senza fare<br />

nessun rumore, diversamente le principesse emetteranno un caratteristico rumore<br />

riassunto in un “cuac-cuac” che purtroppo per loro sarà letale e al quale la regina<br />

risponderà con un sibilo inquietante. Questo “dialogo fra le principesse e la<br />

regina, secondo, gli esperti esprime sospetto e timore ed è noto come “il canto<br />

delle regine”. Infatti in questo mondo così organizzato e operoso avvengono<br />

delle vere e proprie tragedie, una di queste è rappresentata appunto dal massacro<br />

delle principesse. La prima che uscirà dalla sua celletta sarà la nuova Ape regi-<br />

174


na, allora la vecchia madre abbandonerà, seguita da una parte numerosa della<br />

popolazione tra cui molte Api edili, la sua città per costruirsene una nuova. La<br />

nuova Ape regina dopo l’insediamento, si nutrirà notevolmente di miele e quindi<br />

inizierà a percorrere le strade che dividono le cellette soffermandosi allorché<br />

udirà il “cuac-cuac “ di una principessa che si appresta ad uscire. La primogenita<br />

già Regina, si avvicinerà aprirà i sigilli della celletta e strapperà la testa della<br />

sorella ancora viva e ripeterà il fratricidio ad ogni cripta regale, fino a che avrà<br />

sterminato tutte le principesse e rimarrà da sola. Quando arriverà il giorno delle<br />

nozze accadrà ancora qualche cosa di sorprendente e di tragico. L’Ape regina inizierà<br />

la sua danza nuziale lanciandosi verso l’alto e sarà imitata da tutti i fuchi<br />

che la seguiranno in cielo, molti periranno, uno solo sarà il prescelto, e quei<br />

pochi che ritorneranno, ritenuti ormai solo un peso per la comunità che non vorrà<br />

più mantenerli, verranno uccisi dalle Api operaie. All’inizio della primavera<br />

un’Ape prescelta dopo il riposo invernale uscirà dall’alveare per prima, ed ispezionerà<br />

con un lungo volo il terreno circostante finche non troverà il primo polline<br />

dei fiori, loro essenza naturale. Dopo aver riempito le cestelle delle zampette<br />

posteriori l’Ape, mandata in avanscoperta, ritornerà alla sua arnia, dove scaricherà<br />

il polline raccolto nel magazzino e subito, inebriata di felicità, inizierà una<br />

danza indiavolata, che verrà interpretata dalle altre Api come l’annuncio della<br />

primavera arrivata. Terminato questo rituale le compagne partiranno in sciame<br />

verso la campagna ormai coperta di fiori iniziando così una nuova stagione di<br />

lavoro, cerimoniali, sacrificio e morte.<br />

La fiaba<br />

“Le Api e Zeus”<br />

Le Api gelose perché gli uomini si servivano del loro miele, andarono da Zeus<br />

e lo pregarono di dar loro il potere di uccidere a colpi di pungiglione chiunque<br />

si avvicinasse ai loro alveari. Zeus sdegnato per tanta cattiveria fece sì<br />

che esse, non appena colpiscono qualcuno, perdano il pungiglione e, dopo di<br />

questo, anche la vita. (Esopo)<br />

175


LE VIPERE<br />

“…E io porrò inimicizia fra te e la donna e fra la tua progenie e la progenie<br />

di lei: essa ti calpesterà il capo e tu le ferirai il calcagno”.<br />

Le parole del Signore risuonano negli scarni versetti della Bibbia come una<br />

solenne maledizione per il serpente, che da allora diventa il simbolo del male.<br />

L’ira celeste è così forte che ci si può immaginare il rettile demoniaco torcersi<br />

sotto la voce tonante del Signore. Da allora esiste una grande ostilità da<br />

parte dell’uomo nei confronti di tutti i serpenti anche se molti di essi risultano<br />

essere innocui. Essi, sia per la tradizione cristiana che per quella ebraica<br />

rappresentano l’emblema dell’astuzia e dell’insidia rivolta al peccato.<br />

I serpenti come del resto tutti i rettili sono animali “eterotermi”, in grado cioè,<br />

di regolare la loro temperatura corporea su quella dell’ambiente in cui vivono;<br />

da ciò la loro abitudine di crogiolarsi al sole nelle belle giornate e di rintanarsi<br />

in anfratti o tane sotto terra nei mesi più freddi dove cadono in letargo.<br />

Scoperto il loro nascondiglio invernale, si potranno contare un ragguardevole<br />

numero di Vipere attorcigliate strettamente le une sulle altre con lo scopo<br />

di procurarsi quella minima quantità di calore che a loro necessita per continuare<br />

a vivere. Il veleno che con il loro morso inoculano ad altri animali, tra<br />

i quali l’Uomo, è uno dei motivi (in questo caso a ragione) che ha creato ai<br />

serpenti motivo di cattiva fama. Gli unici serpenti velenosi presenti nel territorio<br />

Veneto e quindi Trevigiano, sono le<br />

Vipere. Esse hanno una lunghezza di<br />

circa 55-60 cm, e la testa, dalla caratteristica<br />

forma triangolare, decorata da un<br />

disegno scuro a forma di V rovesciato. Si<br />

può incontrare la vipera un po’ ovunque,<br />

anche se predilige i luoghi aridi della<br />

montagna, dove è facile trovarla rimuovendo<br />

mucchi di vecchie ramaglie, o<br />

176<br />

VIPERA


sotto a delle pietraie. Molto simili alla Vipera e abitanti nello stesso territorio<br />

sono: la Vipera dal Corno, chiamata così per via di una piccola protuberanza<br />

che possiede all’altezza del naso, e il Marasso simile alla Vipera, ma più grosso<br />

e più lungo.<br />

Questi serpenti cacciano generalmente nelle ore notturne e prediligono topi,<br />

piccoli anfibi e altri animali. Come un qualsiasi altro serpente, le Vipere e il<br />

Marasso possiedono una lingua bifida e le mascelle disarticolate fra di loro in<br />

modo che possono aprirsi in maniera smisurata per inghiottire prede molto<br />

più grosse della loro apertura boccale. I due temuti denti veleniferi sono ricurvi<br />

e infissi verso l’interno del palato; sono percorsi da una scanalatura che<br />

comunica con una vescichetta (la ghiandola velenifera), dalla quale, dopo il<br />

morso, esce, attraverso proprio queste scanalature, come se si trattasse di una<br />

vera e propria iniezione ipodermica, il veleno. Veleno, che in poche ore diventa<br />

letale sia per l’Uomo, che per tutti gli animali a sangue caldo.<br />

La persona morsa da una Vipera, o da un Marasso, va soccorsa immediatamente:<br />

con l’aiuto di un legaccio va stretto energicamente l’arto sopra la parte<br />

morsicata, quindi bisogna procedere ad incidere con un coltellino la ferita in<br />

modo da far uscire il sangue, nel frattempo è soprattutto necessario trasportare<br />

la “vittima” al più vicino ospedale. Molto importante è anche il siero anti<br />

Vipera, ma anche in questo caso bisogna correre al più presto in un luogo di<br />

pronto soccorso.<br />

Fino alla fine degli anni 70, in occasione della Fiera agostana degli uccelli di<br />

Sacile, scendeva dal Cansiglio un ometto chiamato “Vipera”. Egli aveva ereditato<br />

da generazioni l’arte della cattura delle Vipere e, come il nonno e il<br />

padre, approfittava della grande sagra ornitologica per esibirsi con questo rettile.<br />

Sulla sua bici portava, una davanti e l’altra dietro, due cassette da frutta<br />

“foderate” di rete metallica, all’interno delle quali si trovavano diversi di questi<br />

rettili sia adulti che piccoli. Quando davanti al lui si formava un gruppetto<br />

di persone, arrotolava una striscia di tessuto fino ad ottenere un cilindretto<br />

del diametro di circa un cm e lo faceva mordere da una vipera, così facendo<br />

177


la privava momentaneamente del veleno e successivamente “giocava” con<br />

essa suscitando incredulità e attenzione da parte dei presenti che alla fine<br />

lasciavano cadere sul piattino alcune monetine. “Vipera” aveva la pelle del<br />

corpo molto spessa e dura, di colore scuro, che sembrava essere cuoio. Soleva<br />

ripetere di essere stato morso decine e decine di volte soprattutto alle mani,<br />

ma di essersi sempre salvato effettuando una veloce incisione con una lametta<br />

da barba sopra i due forellini e provvedendo subito dopo ad aspirare energicamente<br />

con la bocca il veleno, per poi sputarlo lontano.<br />

Effettivamente le sue dita e i suoi polsi erano pieni di piccole ferite. E<br />

“Vipera” ripeteva ancora: “se io dovessi mordere qualcuno è come se questi<br />

venisse morso da una Vipera vera”.<br />

La fiaba<br />

“La Vipera e la Biscia d’ acqua”<br />

Una Vipera andava tutti i giorni ad abbeverarsi ad una sorgente; e una Biscia<br />

che vi abitava voleva impedirglielo. Non bastava infatti alla Vipera avere un<br />

pascolo tutto per sè che veniva a invadere anche la sua casa. La contesa<br />

divenne sempre più aspra finchè non decisero di sfidarsi a duello. Le<br />

Ranocchie che abitavano vicino alla sorgente e che odiavano la Biscia andarono<br />

a trovare la Vipera promettendole che anch’esse avrebbero combattuto<br />

al suo fianco. Iniziò il duello e mentre le due contendenti stavano combattendo<br />

le Rane incominciarono a cantare con tutte le loro forze. Alla fine con<br />

molta fatica la Vipera vinse la battaglia e rivolgendosi alle Rane le accusò di<br />

non averla aiutata e di non essere state di parola, ma quelle risposero: devi<br />

sapere, cara mia che noi intendevamo aiutarti con una prestazione non di<br />

braccia, ma di voce. E la Vipera capì…… (Esopo)<br />

178


“Rammento la corsa della lepre che gli antichi chiamavano figlia della luna<br />

e ricordo, il canto dell’allodola in cui pagani e seguaci di Cristo vollero<br />

vedere la preghiera che sale in alto, e persino l’elevazione dell’ uomo”.<br />

Graziano Fabris


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE<br />

Robert Frèdèrik GLI ANIMALI Fratelli Fabbri Editori Milano 1966<br />

Gianfranco Bologna IL MONDO DEGLI UCCELLI Arnoldo Mondatori Editore<br />

Milano 1976.<br />

Franco Tassi ANIMALI A RISCHIO Editoriale Giorgio Mondatori Segrate Milano<br />

ottobre 1990.<br />

Rob Hume UCCELLI D’ EUROPA Fabbri Editori Edizioni manuali Fabbri Milano<br />

aprile 2003.<br />

Juliet Clutton Brock MAMMIFERI Fabbri Editori Edizione manuali Fabbri Milano<br />

giugno 2002.<br />

ENCICLOPE<strong>DI</strong>A DEGLI UCCELLI D’EUROPA Rizzoli Editore Milano 1972.<br />

Zanetti M. IL FOSSO, IL SALICE, LA SIEPE Edizioni Nuova Dimensione P<br />

Portogruaro Venezia 1998.<br />

Gianfranco Bologna UCCELLI Arnoldo Mondatori Verona settembre1978.<br />

ESOPO FAVOLE BUR Rizzoli Editore Milano maggio 1976.<br />

Autori Vari NATURA <strong>DI</strong> NOTTE Reverdito Editore Trento 1984.<br />

Autori Vari LE RIVE Edizioni Multigraf Spinea /Venezia 1989.<br />

181


IN<strong>DI</strong>CE<br />

La colorazione degli uccelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 14<br />

I chiodi di mio nonno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 19<br />

Pillole di sapere: gli Uccelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 23<br />

Il Cigno Reale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 29<br />

L’Oca Selvatica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 31<br />

L’Airone Cenerino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 33<br />

Il Germano Reale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 34<br />

Il Cormorano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 35<br />

Il Tuffetto. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 36<br />

Lo Svasso Maggiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 37<br />

La Gallinella d’acqua . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 39<br />

La Marzaiola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 40<br />

La Volpoca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 41<br />

L’Anatra Mandarina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 42<br />

Il Martin Pescatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 43<br />

La Rondine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 47<br />

Il Rondone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 48<br />

Il Cuculo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 50<br />

Il Picchio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 52<br />

L’Usignolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 53<br />

La Cinciallegra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 54<br />

L’Averla . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 56<br />

Il Crociere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 57<br />

Il Frosone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 58<br />

Il Rigogolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 59<br />

La Gazza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 60<br />

L’Upupa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 61<br />

La Gracula . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 65<br />

183


I Pappagalli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 66<br />

L’Aquila Reale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 68<br />

Il Falco Pecchiaiolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 70<br />

La Poiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 71<br />

Il Barbagianni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 72<br />

La Civetta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 74<br />

Il Gufo Comune e Reale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 75<br />

Il Pavone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 77<br />

I Fagiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 81<br />

La Quaglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 83<br />

Il Colombo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 84<br />

La Gallina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 87<br />

Il Gabbiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 89<br />

Modi di Dire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 92<br />

I Mammiferi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 95<br />

Pillole di sapere: i Mammiferi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 97<br />

Pillole di sapere: i Mustelidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 107<br />

La Donnola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 110<br />

Il Tasso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 113<br />

La Marmotta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 115<br />

La Talpa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 119<br />

Il Criceto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 120<br />

Il Ghiro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 121<br />

Il Moscardino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 122<br />

La Scoiattolo rosso europeo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 123<br />

Il Toporagno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 125<br />

Il Riccio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 127<br />

Il Cervo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 131<br />

184


La Volpe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 135<br />

La Lince . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 136<br />

L’Orso Bruno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 138<br />

Il Lupo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 139<br />

La Lepre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 142<br />

Il Coniglio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 144<br />

Il Ratto Grigio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 149<br />

Il Topolino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 150<br />

Il Pipistrello o Nottola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 152<br />

Il Maiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 154<br />

Il Cavallo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 156<br />

Il Cane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 158<br />

Il Gatto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 161<br />

Il Baco da seta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 165<br />

Le Farfalle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 167<br />

Il Maggiolino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 168<br />

Le Api . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 173<br />

Le Vipere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 176<br />

185


RINGRAZIAMENTI<br />

Sarebbero troppe le persone che dovrei ringraziare per avermi dato modo di<br />

poter scrivere questo libro, ma esse non ci sono più. Erano già vecchi quando<br />

mi trasmettevano la passione per gli animali: vecchi contadini, vecchi cacciatori,<br />

persone vicine al mondo animale e che dell’animale sapevano tutto,<br />

persone dalle quali ho imparato tante cose, cose, che proprio attraverso questo<br />

libro saranno tramandate ai più giovani con il sorriso e la benedizione di<br />

questi vecchi: Nonno Elia, Erico, Arcangelo, Italo, Zio Beppin, Vittorio,<br />

Ernesto, Virginio, Gildo, Massimo, Francesco... Grazie.<br />

Un ringraziamento particolare lo rivolgo alla cara Amica Alessandra Gamba<br />

insegnante presso le scuole elementari di Olmi di San Biagio che ha corretto<br />

le bozze di questo libro.<br />

E non posso dimenticare di rivolgere un grazie di cuore al Presidente della<br />

Provincia di Treviso Luca Zaia e all’Assessore Stefano Busolin che hanno il<br />

grande merito di aver ideato e voluto il progetto di educazione ambientale<br />

nelle scuole della Provincia, motivo questo, che mi ha dato lo spunto per scrivere:<br />

“A Scuola di Fauna”. Ed infine un pensiero grato desidero rivolgerlo<br />

anche al dr. Mario Feltrin, un grande Amico sul quale durante questi tre anni<br />

ho sempre potuto contare.<br />

L’autore rivolge un pensiero grato anche alle insegnanti Maria Grazia<br />

Carrelli e Martinella Biscaro per aver seguito i disegni di Tiziana Forese, e<br />

Franca Borsoi per aver seguito quelli di Marialuisa e Luca Dal Poz.<br />

187


Gli autori dei disegni<br />

ai quali rivolgo un grazie grosso così…<br />

Luca Dal Poz<br />

Frequenta la terza elementare presso<br />

la Scuola di Mignagola di Carbonera,<br />

è nato il 12-5-1996.<br />

Marialuisa Dal Poz<br />

Frequenta la quinta elementare presso<br />

la Scuola di Mignagola di Carbonera,<br />

è nata il 18-9-1994.<br />

Tiziana Forese<br />

Frequenta la seconda media presso<br />

la Scuola “Arturo Martini” di San Biagio<br />

di Callalta, è nata il 22-5-1992.<br />

189


Finito di stampare<br />

nel mese di agosto 2005<br />

presso<br />

Arti Grafiche Conegliano SpA<br />

Susegana/Tv


Settore Gestione della Fauna<br />

Via Cesare Battisti, 30 - 31100 Treviso<br />

Tel. 0422.656.341 - Fax 0422 656.032

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