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Plauto e l'arte della risata - Liceo scientifico Mericianum

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* Un autore di successo<br />

PLAUTO E L’ARTE DELLA RISATA<br />

Se Livio Andronico e Nevio erano ancora legati alla tradizione culturale <strong>della</strong> Magna Grecia, Tito Maccio<br />

<strong>Plauto</strong> fu il primo poeta latino di origine schiettamente italica. Sono poche le notizie sulla sua vita: di certo,<br />

sappiamo che <strong>Plauto</strong> venne giovanissimo a Roma, dove soggiornò per la maggior parte <strong>della</strong> sua vita,<br />

svolgendo in un primo momento la professione di attore.<br />

Un’antica e poco attendibile tradizione attesta che il poeta avrebbe cercato di investire nel commercio i<br />

soldi guadagnati con la recitazione e, in seguito al fallimento del suo tentativo, si sarebbe ritrovato in una<br />

condizione umiliante, costretto, come gli schiavi, a girare la macina del mulino per pagarsi i debiti:<br />

[…] ma il Saturio, l’Addictus e un’altra commedia di cui ora non ricordo il nome furono da lui scritte in<br />

un mulino, secondo quanto affermano Varrone e molti altri, poiché avendo perduto in investimenti<br />

commerciali tutto il denaro che aveva guadagnato lavorando in teatro, era tornato a Roma con le tasche<br />

vuote e, per procurarsi da vivere, aveva cominciato a prestare opera in un mulino come addetto alla<br />

mola, detta mola a braccia<br />

Aulo Gellio, Noctes Atticae, III,3 ,14<br />

Al di là di pochi dati e di qualche altro elemento probabile, appare difficile disporre in un preciso quadro<br />

cronologico le ventuno commedie di <strong>Plauto</strong> che ci sono pervenute. Esse appartengono tutte al genere<br />

<strong>della</strong> palliata e si ispirano alle opere <strong>della</strong> Commedia Nuova, fiorita in Attica fra il IV e il III secolo a.C.,<br />

presentandosi esplicitamente come libere traduzioni, rifacimenti e adattamenti di quei testi. <strong>Plauto</strong> ha<br />

tenuto conto talvolta di un unico modello, più spesso invece ha riunito insieme parti di opere diverse,<br />

secondo il procedimento <strong>della</strong> contaminatio. Ciò non significa che <strong>Plauto</strong> abbia semplicemente tradotto in<br />

latino e divulgato in ambiente romano i modelli greci. Grande appare il contributo <strong>della</strong> sua vis comica a<br />

strutture e situazioni imposte dalla tradizione <strong>della</strong> Commedia Nuova. Non va, poi, neppure sottovalutata<br />

la sua creatività nel “romanizzare” ambiente e personaggi originariamente pensati per la scena greca.<br />

<strong>Plauto</strong> morì nel 184 a.C.; un epitaffio celebra così la sua scomparsa:<br />

Postquam est mortem aptus Plautus, Comoedia luget,<br />

Scaena est deserta, dein Risus Ludus Iocusque<br />

et Numeri innumeri simul omnes conlacrimarunt.<br />

La popolarità di <strong>Plauto</strong> aveva dunque raggiunto il culmine e, dal momento che il solo nome dell’autore<br />

bastava a richiamare il grande pubblico, negli anni successivi alla sua scomparsa si moltiplicarono i tentativi<br />

di imitare e contraffare le commedie plautine. Si rese, perciò, necessario, pochi decenni dopo la morte<br />

dell’autore, vagliare l’autenticità delle centotrenta commedie a lui attribuite, opera a cui si dedicarono i<br />

primi filologi latini.<br />

Varrone Reatino nel I secolo a.C. scrisse il De comoediis Plautinis, opera nella quale indicò come sicuramente<br />

autentiche ventuno commedie e diciannove come probabilmente autentiche. La sua selezione fu in seguito<br />

largamente accettata, tanto che la tradizione manoscritta ha gradualmente accantonato i testi che Varrone<br />

aveva valutato come spuri o incerti. Le Fabuale Varronianae sono le uniche a essere arrivata fino a noi.


* Considerazioni sulla poetica e sullo stile.<br />

> L'essenza <strong>della</strong> comicità plautina<br />

Volendo azzardare una schematizzazione, si può affermare che la comicità plautina può essere di 3 generi:<br />

1. di situazione: basata, cioè, sugli equivoci e sugli scambi di persona, con successiva<br />

«agnizione», che porta al lieto fine;<br />

2. di carattere: basata sull’accentuazione caricaturale e macchiettistica dei difetti dei protagonisti;<br />

3. bassa: basata su battute volgari e sull’esasperazione di sentimenti naturali.<br />

È ovvio che le commedie che rispettano tutte e tre le condizioni sovraesposte risultano essere quelle<br />

meglio riuscite e più gradite al pubblico: e, quindi, in prima linea, l’ Amphitruo e lo Pseudolus.<br />

> Gli «argumenta» di Aurelio Opillo e i prologhi<br />

Diciannove commedie di <strong>Plauto</strong> sono precedute da un argumentum acrostico, un riassunto versificato, in cui<br />

le iniziali di ciascun verso costituiscono il titolo <strong>della</strong> commedia. Ecco un esempio tratto dalla Rudens:<br />

Reti piscator de mari extraxit vidulum<br />

Ubi erant erilis filiae crepundia,<br />

Domnum ad lenonem quae subrepta venerat.<br />

Ea in clientelam suipte imprudens patris<br />

Naufragio eiecta devenit: cognoscitur<br />

Suoque amico Plesidippo iungitur.<br />

Trad.<br />

Recupera dal mare un pescatore con la rete<br />

Un baule contenente i giocattoli <strong>della</strong> figlia<br />

Del suo padrone, che era stata rapita e venduta a un lenone.<br />

Ella, scampata a un naufragio, finisce al servizio del proprio padre,<br />

Non sapendo però chi sia in realtà: lo scopre e<br />

Sposa il suo amato Plesidippo.<br />

Autore degli «argumenta» non fu <strong>Plauto</strong> ma Aurelio Opillo, un grammatico dell’Età di Cesare, mentre sono<br />

quasi sicuramente di <strong>Plauto</strong> i prologhi che introducono le commedie superstiti. Il prologo plautino è<br />

generalmente recitato da un personaggio <strong>della</strong> commedia, da un dio o da una entità astratta, che viene per<br />

l’occasione personificata, come ad esempio il «Prologo» stesso o la «Lussuria»; oltre a qualche<br />

ammiccamento con il pubblico, a riferimenti alle circostanze esterne <strong>della</strong> rappresentazione o a eventi<br />

contemporanei, i prologhi plautini contengono gli antefatti <strong>della</strong> vicenda, cenni sul carattere dei personaggi<br />

e sullo sviluppo <strong>della</strong> fabula.<br />

Il loro compito è quello di informare gli spettatori sulla vicenda e persino sul suo esito, che viene reso noto<br />

fin dall’inizio e che comunque, per le convenzioni del genere comico, non potrà che essere lieto. Si crea<br />

così un effetto straniante, per cui le attese del pubblico vengono indirizzate non sullo scioglimento <strong>della</strong><br />

vicenda ma sulla singolarità dell’intreccio, sulla vis comica delle situazioni di volta in volta rappresentate.


La particolarità degl'intrecci.<br />

Gli intrecci delle commedie plautine derivano da originali greci, sono abbastanza complicati, ma altrettanto<br />

ripetitivi e caratterizzati da elementi convenzionali. Ben 16 su 20 presentano infatti la stessa situazione di<br />

base: l’amore ostacolato di un adulescens per una giovane cortigiana: l’ostacolo è la mancanza di denaro<br />

(l’adulescens dipende economicamente dal padre) per ottenerne i favori o per “riscattarla”. Può essere<br />

innamorato anche di una fanciulla onesta ma senza dote, e, in questo caso, gli ostacoli sono gli<br />

impedimenti sociali che ne derivano. L’adulescens lotta (ancora) per far trionfare l’amore contro qualche<br />

antagonista, il padre, il lenone o il miles gloriosus, il mercenario che compra la cortigiana. In questa lotta, egli<br />

viene aiutato da un amico, da un vecchio comprensivo o da un parassita, ma, soprattutto dal servus callidus<br />

(cioè scaltro). Spesso la commedia si risolve in una serie di inganni organizzati da quest’ultimo per<br />

ingannare il padrone e carpirgli il denaro necessario all’adulescens. Ogni commedia termina con un lieto fine:<br />

i giovani vengono perdonati dai padri, che si riconciliano anche con i servi; i danni e le beffe spettano ai<br />

personaggi esterni alla famiglia, quali il miles e il lenone. Spesso il lieto fine coincide con il matrimonio, che<br />

è reso possibile dal topos dell’ «agnizione» o «riconoscimento»: si scopre infine che la ragazza era nata libera<br />

da genitori benestanti, ma esposta o rapita dai pirati.<br />

> La lingua<br />

La tecnica linguistica, che si piega genialmente in battute e motteggi, riveste un ruolo fondamentale<br />

nell’economia <strong>della</strong> comicità plautina: l’autore la riempie spesso di espressioni greche o grecizzanti, quando<br />

addirittura non rinuncia a servirsi di idiomi insoliti, come il punico. A ciò, si aggiungano parole mezzo<br />

latine e mezzo greche, le quali dovevano suonare ridicole alle orecchie del pubblico (ad es. «pultifagus» =<br />

«mangiapolenta»), grecismi con terminazione latina («atticissare» = «parlare greco»), parole formate da più<br />

radici («turpilucricupidus» = «desideroso di turpi guadagni»), oltre a neologismi veri e propri («dentifrangibula»,<br />

riferito ai pugni che «rompono i denti»; «emissicius», che si manda alla scoperta di qualcosa e perciò, riferito<br />

agli occhi, curioso, da spia); superlativi iperbolici e ridicoli («ipsissimus» = «stessissimo»; «occisissimus», =<br />

«uccisissimo»).<br />

Il “sermo” dei personaggi plautini è inoltre arricchito da fantasmagorici giochi di parole, identificazioni<br />

scherzose (ad es. «Ma è forse fumo questa ragazza che stai abbracciando?» «Perché mai?» «Perché ti stanno<br />

lacrimando gli occhi!» Asin.619), espressioni alle quali si aggiungono doppi sensi e, su un piano più<br />

propriamente stilistico, da allitterazioni, anafore ed ogni sorta di figura retorica.<br />

Malgrado queste caratteristiche, tuttavia, la lingua di <strong>Plauto</strong>, fatta eccezione naturalmente di alcuni tratti<br />

particolari (come i discorsi degli schiavi), non è quella del volgo e del popolino, ma risente di una certa<br />

raffinatezza, che derivava dalle discussioni del Senato, dalle assemblee del popolo e dei tribunali, e per la<br />

quale essa s’innalzava sul livello <strong>della</strong> parlata popolare, pur conservando di questa la schiettezza e la<br />

spontaneità: una lingua, insomma, non propriamente popolare, ma che il popolo altresì capisce ed<br />

apprezza.<br />

> I «Numeri innumeri»<br />

Fondamentale in <strong>Plauto</strong> è anche la maestria ritmica, i «numeri in numeri», gli «infiniti metri», la predilezione<br />

per le forme cantate. Ne deriva una conseguenza importante: lo stile è intrinsecamente vario e polifonico,<br />

ma varia piuttosto poco da commedia a commedia, in una forte profonda coerenza. Insomma, si deduce<br />

che <strong>Plauto</strong> non dipendeva esclusivamente dallo stile di alcun modello, anzi, dava sfoggio di ampia<br />

originalità: ristrutturazione metrica, cancellazione <strong>della</strong> divisione in atti, completa trasformazione del<br />

sistema onomastico. «Musas plautino sermone locuturas fuisse, si latine loqui vellent» («Se le Muse avessero voluto<br />

esprimersi in latino avrebbero parlato con la lingua di <strong>Plauto</strong>»): così Quintiliano, nella sua Instituto oratoria, ci<br />

tramanda il giudizio critico di Elio Stilone, il primo grande filologo latino del II sec. a.C. . Non si<br />

dimentichi, poi, l’epitaffio del poeta citato da Aulo Gellio

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