Anno Numero 1993 12 - Studi Filosofici
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INFORMAZIONE<br />
FILOSOFICA<br />
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In copertina:<br />
Cittadini di Weimar vengono<br />
condotti dalle truppe alleate<br />
a visitare il campo di concentramento<br />
di Buchenwald, 1945.<br />
<strong>12</strong>
Gentili lettori,<br />
al significato del ricordo e delle parole nel lavoro dello<br />
storico è dedicato il saggio di apertura di questo numero,<br />
che presenta uno scritto inedito di Enrico Rambaldi,<br />
rielaborazione di un suo intervento all’Università di Bari<br />
in occasione della presentazione del libro di Paolo Rossi,<br />
Il passato, la memoria, l'oblio (Il Mulino, Bologna 1991).<br />
E’ indubbio che lo storiografo, nel suo sforzo di ricostruzione<br />
e interpretazione del passato, si trovi assai spesso<br />
di fronte a “oggetti dimenticati”, sotterrati, sepolti dal<br />
divenire degli eventi storici. La metafora dello “scavare<br />
nel passato”, sovente utilizzata per caratterizzare l’operare<br />
dell’ “arte della memoria”, ben si addice al lavoro<br />
dello storico. Solo che qui interviene una sorta di “necessità<br />
morale”, poiché lo storiografo, calato in una tale<br />
situazione, non si sente semplicemente chiamato al recupero<br />
del documento, ma avverte il bisogno di porre<br />
rimedio alla dimenticanza, di dar voce al ricordo, di far<br />
sì che le parole parlino al presente dell’uomo e indichino<br />
un futuro, un destino.<br />
Nella storia di questo secolo vi è una vicenda, non molto<br />
nota, che si presta forse più di ogni altra a esprimere,<br />
anche in modo emblematico, il significato morale che<br />
investe lo storiografo nella sua opera di recupero del<br />
passato. Si tratta del ritrovamento, nel settembre del<br />
1946, e in seguito nel dicembre del 1950, dei cosiddetti<br />
“Diari di Ringelblum”, a cui si deve la storia del Ghetto<br />
di Varsavia e dello sterminio degli ebrei dall’epoca<br />
dell’invasione della Polonia (1939) da parte dei soldati<br />
nazisti fino alla completa distruzione del Ghetto (1943).<br />
Ciò che in particolare colpisce di questo ritrovamento,<br />
oltre al fondamentale valore storico del documento, è che<br />
Emmanuel Ringelblum, ebreo del Ghetto di Varsavia,<br />
autore dei “Diari”, agì nella compilazione della sua<br />
cronaca prefigurando, da storiografo, il compito morale<br />
che si sarebbe posto lo storico di fronte alla scoperta dei<br />
“Diari”. Egli volutamente scrisse la sua cronaca con<br />
l’intenzione di farne un “oggetto dimenticato”, analogamente<br />
a quanto i nazisti intendevano fare sistematicamente<br />
del Ghetto e degli ebrei. Una prima parte dei<br />
“Diari” fu infatti ritrovata nel Ghetto sotterrata in due<br />
casse, una seconda parte nascosta in due recipienti da<br />
latte sigillati in gomma. L’emblematicità del ritrovamento,<br />
pensato innanzitutto per preservare il documento<br />
dall’inevitabile distruzione, non sarebbe sfuggita allo<br />
sguardo dello storico, che all’interpretazione della testimonianza<br />
scritta e infalsificabile degli eventi avrebbe<br />
per sempre legato nella memoria dei contemporanei il<br />
ricordo inestirpabile di ciò che era accaduto.<br />
“Passato, memoria, oblio”: sono dunque questi i contorni<br />
che segnano il lavoro dello storico alle prese con la<br />
vicenda umana. Di questa connessione problematica ci<br />
offre un’ampia traccia di riflessione il sopracitato studio<br />
di Paolo Rossi, di cui riportiamo qui un brano significativo:<br />
«La storiografia non coincide con la spontaneità della<br />
memoria individuale e collettiva: è una forma di conoscenza<br />
che deve «passare al vaglio della critica» gli<br />
apporti della memoria. Fra storia e memoria si dà tuttavia<br />
un rapporto assai stretto perché la storia si nutre di<br />
memoria e la memoria «si impregna di tutta una serie di<br />
nozioni e di sentimenti che sono prodotti e veicolati dalla<br />
storiografia».<br />
La crescita del sapere storico sembra principalmente<br />
affidata alla capacità di individuare nel passato nuovi<br />
oggetti e di prospettare in modi nuovi relazioni e rapporti<br />
individuali. Anche nella storiografia i manuali vengono<br />
continuamente riscritti e vengono abbandonati come non<br />
più utilizzabili o oggetti di semplice curiosità. La novità,<br />
si dice, consiste principalmente in un «nuovo taglio». Ma<br />
quest’ultimo, a guardar bene, coincide spesso con la<br />
capacità di individuare e rammemorare oggetti trascurati<br />
o dimenticati che emergono, come si suol dire, «in primo<br />
piano». La loro presenza fa crescere o diminuire il significato<br />
e la rilevanza di altri oggetti, consente di individuare<br />
nuove relazioni, mette soprattutto in crisi consolidati<br />
paradigmi interpretativi. Com’è per esempio accaduto,<br />
relativamente alla storia delle idee, nel caso del potere<br />
taumaturgico dei Re, dei modi della vita materiale, della<br />
nozione di crescita e di crisi economica, delle immagini<br />
degli dèi degli antichi, dei processi alle streghe, dei<br />
selvaggi americani.<br />
Nel caso della storiografia i processi di rammemorazione,<br />
che la costituiscono nella sua essenza più profonda,<br />
sembrano guidati da intenzioni precise: porre rimedio<br />
alla dimenticanza naturale degli esseri umani affaccendati<br />
nel loro quotidiano presente; conservare e consentire<br />
che venga utilizzato un grande e ricco patrimonio di<br />
tradizioni, di istituzioni, di idee; creare un legame fra le<br />
diverse generazioni; dar luogo a forme di memoria collettiva<br />
che possono riguardare piccole o grandi comunità (i<br />
Tifernati, gli Scozzesi o gli Europei) o, addirittura, l’intero<br />
genere umano. Quella memoria collettiva, alla quale<br />
l’attività degli storici e degli antropologi dà un contributo<br />
notevole, è in genere intesa come possibilità di far riferimento<br />
ad un passato dotato di senso: qualcosa che può<br />
porre solidi argini ai processi di sfaldamento, frantumazione,<br />
isolamento, sradicamento dal loro ambiente e dal<br />
loro passato dei singoli e delle comunità.»<br />
Si ringrazia il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC)<br />
per il materiale iconografico gentilmente messo a disposizione.
5 SAGGIO<br />
5 Ricordo e parole in storiografia<br />
15 INTERVISTA<br />
15 Ritratto d’autore: le immagini del mio nome:<br />
intervista a Yves Hersant e Louis Marin<br />
23 AUTORI E IDEE<br />
23 Veracità della conoscenza<br />
23 I luoghi della memoria<br />
24 L’ultimo francofortese<br />
24 Axel Honneth e il progresso sociale<br />
26 Derrida: le interviste<br />
26 La debolezza dell’Io<br />
27 Utopia: il paese che non c’è<br />
29 La politica di Hegel<br />
29 tendenze e dibattiti<br />
30 Tendenze provinciali<br />
30 Sociologia della conoscenza e civiltà moderna<br />
31 La morale ineffabile<br />
31 Il paradosso del pensiero occidentale<br />
32 Filosofia della mente<br />
32 Coerenza di Nietzsche<br />
33 Marxismo ed ecologia<br />
34 Diritto di replica:<br />
Sulla “Volontà di potenza” di Nietzsche<br />
39 PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
39 La logica di Ockham<br />
39 Emil Lask: la logica della filosofia<br />
40 Il viaggio in Italia dei Goethe<br />
40 ‘Il Candelaio’ di Bruno<br />
41 Herder: la filosofia e il linguaggio<br />
41 Max Weber negli Stati Uniti<br />
SOMMARIO<br />
42 NOTIZIARIO<br />
43 CONVEGNI E SEMINARI<br />
43 Neoantico contro neoetnico<br />
44 Schlegel e la filosofia della storia<br />
44 Orfeo e orfismo<br />
45 Continuità e mutamenti nella scienza<br />
45 Linguaggi della mente<br />
47 Introduzione alle scienze cognitive<br />
48 Fonosimbolismo e linguaggio poetico.<br />
48 Il sistema filosofico<br />
49 Ri-pensare l’Antropologia.<br />
53 Fondamenti della geometria<br />
53 Aspetti filosofici della letteratura russa<br />
54 Fenomenologia del politico<br />
55 L’eresia gnostica<br />
55 Omaggio a Pareyson<br />
57 Jean Paul: per una estetica della conoscenza<br />
58 Ermeneutica del dolore<br />
59 CALENDARIO<br />
60 OPINIONI A CONFRONTO<br />
61 DIDATTICA<br />
61 Nuovi manuali di filosofia<br />
63 Convegni<br />
65 RASSEGNA RIVISTE<br />
71 NOVITÀ IN LIBRERIA
SAGGIO<br />
“Diari di Ringelblum”:<br />
recupero della prima parte (Varsavia, settembre 1946);<br />
contenitori in cui era nascosta la seconda parte (Varsavia, dicembre 1950); prima pagina<br />
4
In occasione della recente pubblicazione<br />
del volume di Paolo Rossi, Il passato, la<br />
memoria, l’oblio (Il Mulino, Bologna 1991),<br />
l’Istituto di Filosofia e Storia di Bari ha<br />
organizzato il 19 gennaio <strong>1993</strong>, presso l’Aula<br />
Magna del Palazzo Ateneo di Bari, una<br />
tavola rotonda sul tema: “La memoria e<br />
l’occidente”, alla quale hanno partecipato<br />
Davide Bigalli, Enrico Rambaldi, Mauro<br />
Di Giandomenico, Giorgio Cerboni Baiardi,<br />
Paolo Rossi.<br />
Introducendo i lavori, Davide Bigalli ha<br />
individuato, nell’atteggiamento di reazione<br />
negativa di Erasmo nei confronti del<br />
proliferare dell’arte rinascimentale della<br />
memoria, un momento storico determinato<br />
nell’ambito di quel processo di “parabola<br />
della memoria” esaminato da Paolo Rossi.<br />
L’avversione di Erasmo nei confronti dell’arte<br />
mnemotecnica è stata sviluppata intorno<br />
a due argomentazioni: 1. la considerazione<br />
della parola da parte<br />
delle arti rammemorative; 2.<br />
l’importanza attribuita da Erasmo<br />
alla stampa. Nelle arti rammemorative<br />
manca, per Erasmo,<br />
la consapevolezza dell’evoluzione<br />
temporale della<br />
parola: le parole sono piene di<br />
tempo, sono sedimentazioni<br />
temporali. La pagina stampata<br />
è supporto tecnologico per una<br />
memoria non intesa più come<br />
tecnica separata. La stampa consente<br />
la riflessione sulla parola,<br />
la lettura, che non è ripetizione,<br />
ma è la possibilità della riflessione.<br />
Con la stampa scompare<br />
la necessità di avere tutto nella<br />
memoria. Il venir meno di questa<br />
necessità comporta l’irruzione<br />
della soggettività nel tempo<br />
dello studio. In senso contrario<br />
per Erasmo non c’è sapere,<br />
ma museografia. Erasmo è, così,<br />
assunto come la prima pietra<br />
d’inciampo della parabola della<br />
memoria, che ha un altro momento significativo<br />
nell’età di Leibniz, allorché si assiste<br />
alla scomparsa definitiva della memoria<br />
come tecnica separata.<br />
Enrico Rambaldi ha posto il problema<br />
della memoria in relazione al valore del<br />
ricordo. Il ricordare, da un lato, investe il<br />
riconoscimento dell’importanza delle ori-<br />
vola rotonda.<br />
Chi conosca, anche non per esteso, la produzione<br />
scientifica di Paolo Rossi, già prima di leggere<br />
quest’ultimo suo bel libro ha presente il taglio di<br />
storiografia delle idee con cui tratta la storia e della<br />
filosofia e della scienza. Il lettore ne conosce anche la<br />
«spiccata predilezione» per il «mondo spesso ambiguo e<br />
sfuggente» delle «metafore», dei «themata», degli «stili<br />
di pensiero» (p.8) e lo sa avverso a troppo definiti confini<br />
tra «le scienze della natura e le scienze cosiddette umane».<br />
Del resto, scrive Rossi, varcandoli e rivarcandoli, i<br />
confini, «ogni giorno, alla piena luce del sole», quelle<br />
SAGGIO<br />
gini (“abbi coscienza delle tue origini”)<br />
come elemento di potenza nell’agire. Dall’altro<br />
lato, il ricordare è assunto dagli<br />
scienziati, dopo Galileo, spesso con una<br />
valenza negativa: si pone la necessità del<br />
saper dimenticare per poter cancellare, della<br />
scelta dell’oblio, del “dovere di saper<br />
dimenticare”. Questa duplice valenza presuppone<br />
una diversificazione semantica del<br />
ricordo: da un lato esso ha un aspetto pregnante,<br />
anche emozionale, e dall’altro una<br />
connotazione cognitiva (memoria). L’identificazione<br />
delle due sfere imporrebbe il<br />
problema del cancellare. La cancellazione<br />
del passato è sempre stato un segno distintivo<br />
dell’oppressione. E’ stata sottolineata,<br />
inoltre, la diversità del ruolo del ricordo nei<br />
vari ambiti disciplinari.<br />
Mauro Di Giandomenico si è soffermato<br />
sul nesso scienza e oblio. La scienza si<br />
presenta come un insieme di risultati abba-<br />
Ricordo<br />
e parole<br />
in storiografia<br />
di Enrico I. Rambaldi<br />
«La mia immagine del passato<br />
è come una terra assetata d’acqua:<br />
vi cade una goccia e subitamente scompare;<br />
vi scorre un torrente ed eccolo assorbito dal<br />
suolo.»<br />
Saul Friedländer<br />
stanza certi proprio in relazione al rapporto<br />
che instaura con la memoria. E’ necessario,<br />
per comprendere la relazione tra scienze e<br />
memoria, ricorrere alla distinzione psicologica<br />
tra “memoria a breve termine” e<br />
“memoria a lungo termine” e alla relazione<br />
costituente, che si pone tra scienza militante<br />
e memoria a breve termine e storia della<br />
5<br />
scienza e memoria a lungo termine. L’oggetto<br />
della scienza ha come oggetto la<br />
storia stessa, mentre l’oggetto della scienza<br />
non ha storia. La scienza si definisce come<br />
capacità inglobativa del passato.<br />
La relazione di Giorgio Cerboni Baiardi<br />
ha messo in evidenza sia la problematicità<br />
dell’appartenenza alla propria storicità -<br />
mediante il richiamo alle istanze nietzscheane<br />
della Seconda Considerazione inattuale.<br />
Sull’utilità e il danno della storia per la<br />
vita -, sia il nesso tra storicità e memoria<br />
letteraria. La parola letteraria denota un<br />
legame con l’istante e un radicamento con<br />
il passato. La memoria, intesa come appartenenza<br />
alla propria storicità, ha una dimensione<br />
immediatamente produttiva nell’esperienza<br />
artistica tanto del produttore<br />
quanto del fruitore: essa offre possibilità<br />
istantanee. Tutta la tradizione letteraria viene<br />
considerata come un complesso gioco<br />
tra memoria e oblio.<br />
A conclusione delle relazioni,<br />
l’intervento di Paolo Rossi<br />
ha ripreso il parallelismo,<br />
che, da sempre, contraddistingue<br />
l’atteggiamento nei confronti<br />
della memoria: la convinzione<br />
dell’importanza della<br />
memoria e la polemica contro<br />
la memoria, polemica che<br />
può presentarsi, anche, come<br />
un’avversità al “sapere cose”.<br />
E’ stata ripresa e approfondita<br />
la doppia necessità di dimenticare<br />
e di ricordare. A<br />
proposito del rapporto tra<br />
scienza e oblio, si è osservato<br />
come la consapevolezza che<br />
si costruisce in vista dell’accantonamento<br />
o del superamento<br />
dei prodotti del proprio<br />
lavoro coincida con l’assunzione<br />
della propria mortalità.<br />
In riferimento al ruolo<br />
della memoria nella letteratura,<br />
è stata valutata l’importanza<br />
delle emozioni come elementi della<br />
memoria, che diventa, con Proust,<br />
luogo di intrecci. F.R.C.<br />
Presentiamo qui una rielaborazione dell’intervento<br />
di Enrico Rambaldi alla ta-<br />
«schiere di clandestini» ed inguaribili colporteurs che<br />
sono gli storici dimostrano che essi somigliano più ad<br />
«una membrana semimpermeabile» che non ad «un muro<br />
di cemento» (pp. 179-183).<br />
Anche per i più affezionati lettori di Rossi, questo libro<br />
presenta tuttavia una peculiarità: un acuto senso, che ne<br />
illumina e ravviva le pagine, delle aporie che investono il<br />
lavoro di storico che si occupa di scienze sia umane, sia<br />
naturali, cioè due ambiti nei quali l’atteggiamento verso<br />
il passato è non solo differente, ma opposto. Negli studi<br />
umanistici, scrive Rossi, regna la memoria, l’oblio in<br />
quelli di scienze naturali. «Nessuno studente potrebbe
mai pensare di laurearsi in filosofia senza aver mai letto<br />
un dialogo di Platone o un’opera di Descartes e di Kant»,<br />
mentre, «al contrario, ci sembra del tutto ovvio e naturale<br />
che un laureando in fisica o in biologia possa non aver mai<br />
letto direttamente i Principia di Newton o le memorie di<br />
Einstein o L’origine delle specie di Darwin» (p.155).<br />
Di quest’aporia, che l’atteggiamento verso il passato in<br />
quei due ambiti disciplinari sia tanto differente, ed anzi<br />
opposto, Rossi, come mostra già il titolo del libro, è ben<br />
conscio, e ciò contribuisce a render affascinanti le sue<br />
pagine, tese a “viverlo” come ricercatore, quel paradosso.<br />
Non solo sulla memoria, ma anche sull’oblio scrive da<br />
storico, ponendo il problema del suo dominio nelle scienze,<br />
che bandiscono la memoria: «Quando una scienza si<br />
è saldamente costituita, gli specialisti di quella scienza<br />
dimenticano il passato del loro proprio sapere» (p.157),<br />
affondano nell’oblio non «solo le teorie invecchiate o<br />
superate, ma anche la genesi delle singole scienze» (159).<br />
Lo storico della scienza, quindi, va a scavare in un passato<br />
che non è vissuto come costitutivo della loro identità da<br />
coloro che pure esso identifica: è quel passato che fa del<br />
cultore di quella disciplina scientifica ciò che egli è.<br />
Come se esistessero palazzi, i cui inquilini non lasciassero<br />
mai l’attico; anche questa un’immagine di Blade<br />
Runner, film che Rossi cita a proposito dei replicanti,<br />
organismi artificiali ma «privi di memoria» (p.20). In<br />
quei palazzi lo storico scende, invece, sin a scrutarne le<br />
fondamenta, in sotterranei dei quali i superbi abitanti<br />
sanno pur l’esistenza, se ogni giorno vi precipitano,<br />
lungo cunicoli senza ritorno, bracciate di libri, riviste<br />
scientifiche da annate intere.<br />
Per chiarire i termini di queste osservazioni, preciso<br />
d’intender qui le coppie memoria/oblio e ricordo/dimenticanza<br />
come opposti, ed i due termini di ciascuna coppia<br />
con campi semantici coestesi. Considero cioè la memoria<br />
(e l’oblio) come denotante capacità cognitive d’archiviare<br />
(cancellare) nozioni, ed anche così Rossi la caratterizzò<br />
in un libro importante, Clavis universalis: arti della<br />
memoria e logica combinatoria da Lullo a Leibniz 1 , e di<br />
nuovo in questo libro la dipinge (“L’arte della memoria:<br />
rinascita e trasfigurazioni”; pp. 59-94). Riprendendo<br />
Kuhn, egli descrive, ad esempio, la pratica dell’oblio dei<br />
«manuali» scientifici, che «non solo nascondono il ruolo,<br />
ma l’esistenza stessa delle passate rivoluzioni [scientifiche]<br />
che hanno contribuito a generarli», e se ne riportano<br />
«frammentarie» notizie storiche, è per eleggere alcuni<br />
aspetti del passato ad «anticipazioni» e «precorrimenti»<br />
di «verità» (p.160). Quest’aporeticità del lavoro dello<br />
storico può allora esser delineata così: egli si occupa<br />
(anche) di un contenuto diverso che non quello cognitivo<br />
della coppia memoria/oblio, poiché cerca, nel passato,<br />
ciò che costituisce il presente e lo apre anche al futuro. Lo<br />
storico, cioè, potendo inviterebbe il demoniaco biologo<br />
che abita l’attico del palazzo di Blade Runner a ricordarsi<br />
del passato, a fondarvi il suo agire presente e futuro. E se<br />
quell’arrogante dio minore l’avesse accettato, il ricordo,<br />
ne sarebbero scaturite conseguenze non solo cognitive<br />
(di memoria), ma anche morali: avrebbe forse compreso,<br />
come alla fine il protagonista del film, Harrison Ford, che<br />
i replicanti sono sì “privi di memoria”, ma solo nel senso<br />
che non ebbero infanzia, e quindi non possono ramme-<br />
SAGGIO<br />
6<br />
morarne episodi né affetti, ma non nel senso che gli anni<br />
della loro effettiva esistenza siano senza ricordi. Questi<br />
ricordi vogliono anzi trasmetterli, saperli accolti e conservati<br />
come valore anche dagli uomini, e con ciò esprimono,<br />
da ultimo, l’esigenza di esser riconosciuti come<br />
fini, non umiliati a mezzi. I replicanti di Blade runner,<br />
che in pochi anni bruciano intensamente, come candele<br />
che ardono ai due estremi, sono soggetti morali, capaci di<br />
atti liberi, amano ed odiano, ed è di questo che chiedono<br />
il riconoscimento: «Io ne ho viste cose», dice morendo<br />
l’ultimo degli androidi ribelli, Rutger Hauer, «che voi<br />
umani non potreste immaginarvi», ed all’uccisore dei<br />
suoi compagni affida lampi di ricordo, delle battaglie<br />
sostenute contro «navi da combattimento in fiamme al<br />
largo dei bastioni di Orione». L’accoglierli, quei lampi di<br />
ricordo, riscatta il suo persecutore: egli impedisce che<br />
«quei momenti» precipitino nella dimenticanza, smarrendosi<br />
«nel tempo, come lacrime nella pioggia». Quegli<br />
organismi artificiali diventano così, per Harrison Ford,<br />
soggetti morali, ed il film si chiude con l’amore tra lui ed<br />
una replicante, in una conquistata uguaglianza.<br />
So bene che memoria e ricordo sono, nel linguaggio, per<br />
lo più sinonimi, come anche oblio e dimenticanza. Tuttavia,<br />
la distinzione tra aspetti prevalentemente cognitivi di<br />
memoria/oblio, e morali di ricordo/dimenticanza (anche<br />
per l’etimo, che contiene riferimento al cuore) non mi<br />
pare irrilevante, pur nella ristrettezza di ogni uso definitorio<br />
delle parole. Quante non sono le persone di poca<br />
memoria ma saldissimi ricordi, estremamente coscienti<br />
della propria identità, radicate in tradizioni e costumi, ma<br />
smemorate per date, ricorrenze, nomi ecc.? Rossi, opportunamente,<br />
discorre nel libro anche di Freud, e difatti<br />
nell’ambito teorico della psicanalisi il ricordo è distinto<br />
dalla memoria, e si assume come potentemente attiva la<br />
presenza di ricordi dei quali non si ha, e spesso nemmeno<br />
si può avere, memoria alcuna, e che pure costituiscono<br />
l’identità più intima dell’individuo, contribuiscono a<br />
plasmarlo come soggetto morale. V’è chi teorizza, in<br />
ambito latamente freudiano, di ricordi latenti del trauma<br />
della nascita e addirittura della vita fetale (differenze<br />
caratteriali tra gemelli vengono, ad esempio, fatte risalire<br />
anche alle diverse posizioni nel grembo materno, per<br />
stabilire quale incombesse sull’altro). Nessuno ha memoria<br />
di sé poppante, ma ricordo sì, perché il suo tessuto<br />
emozionale primario ancora contiene, ed attivissimo,<br />
quell’obliato vissuto. Se quindi la memoria può esser non<br />
illegittimamente descritta come una facoltà soprattutto<br />
cognitiva, un archivio, riguardi essa un passato remoto,<br />
recente o sin l’oggi, il ricordo può esser denotato, invece,<br />
come un destino, che inscindibilmente abbraccia passato,<br />
presente e futuro, e costituisce l’identità, il soggetto. E lo<br />
storico, che si occupa di ricordi, tramite la storia tenta di<br />
comprendere e le origini stesse, per quanto umbratili, e la<br />
presente identità, per quanto incerta, e l’orizzonte del<br />
futuro, per quanto precario. Così infatti Rossi: «la memoria<br />
è di uomini e animali, la reminiscenza è solo dell’uomo»<br />
(p.13). Il fatto che Rossi sviluppi quest’aporia e<br />
ritenga che si possa (debba) far storia anche di ambiti nei<br />
quali (come le scienze) regna l’oblio, dà spessore alle sue<br />
pagine e, più in generale, al suo profilo di studioso, ed io<br />
ho ancora oggi viva nell’animo una citazione ch’egli fece
nella relazione conclusiva di un convegno torinese degli<br />
anni Sessanta; citazione che gli è cara, se qui la riprende,<br />
e che è tratta da un romanziere nero americano, James<br />
Baldwin, il quale richiama il proprio popolo alla sua<br />
identità presente come pegno di riscatto futuro, e quindi<br />
al ricordo come destino: «Abbi coscienza delle tue origini:<br />
se conosci le tue origini, allora non ci saranno limiti ai<br />
quali tu non possa spingerti» (p.21).<br />
Questa distinzione tra memoria e ricordo, oblio e<br />
dimenticanza solleva altre aporie. Ad esempio<br />
in Bacone, autore caro a Rossi, troviamo invocato<br />
l’oblio come rifiuto della sudditanza agli Antichi e<br />
difesa della dignità dei Moderni. “L’augmentum delle<br />
scienze” richiederebbe non solo la critica, ma anche<br />
l’oblio de “la antiquatio theoriarum”, giuste sia la sentenza<br />
che «Scientia ex naturae lumine petenda, non ex<br />
antiquitatis obscuritate repetenda» (p.166), sia l’invocazione<br />
de «la formula mediante la quale io possa consacrarli<br />
all’oblio», i «falsificatori delle cose» (p.25). Se<br />
l’oblio dell’errore antico è indispensabile alla nascita<br />
della modernità, fino a che punto il perseguimento della<br />
verità scientifica lo giustifica? E’, l’oblio, atteggiamento<br />
del tutto neutro, che possa legittimamente applicarsi in<br />
ambito scientifico, come semplice opposto della memoria<br />
(qui intesa come stracco nozionismo di obscuritates),<br />
o non contiene invece, perché insieme alla memoria<br />
fatalmente cancella il ricordo, un intrinseco pericolo<br />
morale? Se l’oblio occulta, interpola, elegge, come nei<br />
manuali scientifici, “notizie frammentarie” del passato<br />
ad “anticipazioni” della “verità” del presente, allora tal<br />
modo di procedere, praticato innocentemente dagli scienziati,<br />
troppo somiglia, e come una goccia d’acqua, alla<br />
perenne pratica del Potere. Cancellare, emendare, è difatti<br />
il mezzo con cui il Potere da sempre mente, falsifica,<br />
opprime. Inutile ricordare esempi di come sovente esso<br />
abbia proibito sin l’uso della lingua materna degli oppressi,<br />
cioè le loro parole, per spegnerne l’identità,<br />
negarne il carattere di soggetto politico-morale, il diritto<br />
all’uguaglianza.<br />
L’oblio non pare una tecnica neutrale, se è l’arma più<br />
subdola della tirannia. Rossi ha presente quest’uso luciferino<br />
dell’oblio, e lo denuncia in pagine severe su «gli<br />
assassini della memoria» (pp. 24-29). «Le emendationes<br />
del ventesimo secolo -osserva amaramente- non hanno<br />
nulla da invidiare a quelle dell’età della Controriforma»,<br />
e sotto i nostri occhi «intere opere di storia sono state<br />
riscritte cancellando i nomi degli eroi di un tempo»<br />
(p.26). Un secolo, il nostro, carico di roghi di libri, di<br />
censure, di lavaggi del cervello, di falsificazioni, menzogne<br />
di Stato, per cancellare non solo la memoria, ma<br />
anche il ricordo. Rossi ricorda Koestler, Orwell, l’agghiacciante<br />
slogan di 1984: «C’è uno slogan del Partito<br />
che riguarda il controllo del passato [...] “Chi controlla il<br />
passato, controlla il futuro, chi controlla il presente<br />
controlla il futuro”» e per raggiungere questa perfetta<br />
malvagità occorre «una sorta di educazione della memoria»<br />
nella quale l’intreccio tra memoria, oblio, ricordo e<br />
dimenticanza diviene veramente satanico: il servo del<br />
Potere deve «ricordare che i fatti avvennero in quella<br />
determinata maniera», usarne il ricordo non per la verità<br />
SAGGIO<br />
7<br />
morale dell’identità, ma per «rimettere a posto la propria<br />
memoria, e riaggiustarla con, documenti scritti», e poi<br />
distruggere il ricordo perfino di quel delitto: «dimentichi<br />
di averlo fatto»! Descrizione romanzesca di una<br />
pratica attuata dal XX secolo in misura superiore,<br />
forse, che non quelli trascorsi, e che un autore citato da<br />
Rossi , Yerushalmi, descrive come «invenzione di un<br />
passato mitico», costruito «per servire il potere delle<br />
tenebre» dagli “agenti dell’oblio”, che obliterano “i<br />
documenti”, li riducono “a brandelli”. «Soltanto lo<br />
storico -scrive Yerushalmi- con la sua rigorosa passione<br />
per i fatti, per le prove e le testimonianze, può<br />
realmente montare la guardia [...] contro gli assassini<br />
della memoria e i revisori delle enciclopedie, contro i<br />
cospiratori del silenzio» (pp.27-28).<br />
La letteratura sulla Shoah è oggi il luogo eminente<br />
nel quale i difensori della memoria e del<br />
ricordo si scontrano con gli agenti dell’oblio e<br />
della dimenticanza, che, per «impedirne il ricordo»,<br />
cercano d’impedire sin di «contare le vittime» (p.26).<br />
Sono stati infiniti, durante la persecuzione e dopo, i<br />
percorsi dell’oblio, a volte anche incruenti, ma sempre<br />
intesi a spegnere l’identità, uccidendo il ricordo. Saul<br />
Friedländer, nato a Praga appena prima della salita al<br />
potere di Hitler ed oggi insegnante a Tel Aviv, ha raccontato<br />
in un libro, A poco a poco il ricordo2 , la faticosa<br />
riconquista della propria identità, lui che era scampato3 anche perché costretto a dimenticare la propria origine,<br />
convertito al cattolicesimo, cancellato dal novero dei<br />
bambini deportati dalla Francia perché ormai quasi non<br />
più ebreo, non più lui; studiò persino da prete cattolico.<br />
Poi, a poco a poco, venne il ricordo, e l’esergo del libro,<br />
di Gustav Meyrink, recita: «Quando viene la conoscenza,<br />
viene anche a poco a poco il ricordo. Conoscenza e<br />
ricordo sono una sola e medesima cosa».<br />
Ma proprio la Shoah solleva un’altra, drammatica aporia.<br />
«E’ difficile non esser d’accordo con ciascuna di queste<br />
affermazioni di Yosef Hayim Yerushalmi, non avvertire<br />
la forza del suo appello contro gli “assassini della memoria”»<br />
scrive Paolo Rossi, che poi però osserva: «E tuttavia,<br />
ogni volta che tocchiamo il tema della memoria<br />
siamo richiamati anche al tema della dimenticanza»<br />
(pp.28-29). E ricordare, infatti? Non può annidarvisi il<br />
pericolo di restar prigionieri del male subito, del risentimento?<br />
E il risentimento pare vicolo cieco, che preclude<br />
di vivere nel presente ed aprirsi al futuro. Sembra dunque<br />
di dover tornare sul problema dell’oblio, anche quello<br />
non volto all’augmentum scientiarum, e riconoscerlo,<br />
almeno talvolta, legittimo. Non solo: persino la dimenticanza,<br />
se ricordare (o ricordare troppo vivamente) fosse<br />
motivo di disperare del presente e del futuro, persino la<br />
dimenticanza potrebbe essere, almeno talvolta, giustificata.<br />
Paolo Rossi introduce qui l’opinione di uno studioso<br />
che anch’io ebbi modo di conoscere, Yehuda Elkana,<br />
deportato ad Auschwitz all’età di dieci anni e che oggi<br />
vive a Gerusalemme. Militante, a quanto so, di Shalom<br />
Ak’shav, il movimento israeliano di Peace now, con un<br />
articolo del 1988 suscitò in Israele “polemiche feroci”,<br />
contestando in sostanza l’ammonimento “Ricordati che<br />
cosa ti fece Amalek” (Deuteronomio, 25:17) ed esortan-
do a sradicare dall’identità politica d’Israele se non il<br />
ricordo, quanto meno i suoi “eccessi”. «La storia e la<br />
memoria collettiva -scrive Elkana nei passi che Rossi cita<br />
- sono parte inseparabile di ogni cultura, ma il passato<br />
non è e non deve diventare l’elemento determinante del<br />
futuro di una società e di un popolo». Egli ritiene che un<br />
eccesso di ricordo delle persecuzioni avrebbe «suscitato<br />
la diffusa credenza che il mondo intero sia contro di noi»,<br />
sicché «dalle ceneri di Auschwitz» sarebbero emerse<br />
“due nazioni”, che nel suo testo sembrano potersi intendere<br />
come la destra e la sinistra ebraiche. Della destra,<br />
allora maggioranza nel Knesseth, il parlamento israeliano,<br />
Elkana dà una descrizione infamante. Mentre infatti<br />
la minoritaria “nazione” di sinistra s’ispirerebbe al principio<br />
che «ciò non dovrà accadere mai più», l’altra<br />
“nazione”, «maggioranza terrorizzata ed ossessionata»,<br />
affermerebbe: «ciò non dovrà mai più accadere a noi».<br />
Ecco la conclusione della dicotomia: «una democrazia si<br />
nutre di presente e di futuro, e un eccesso di dedizione al<br />
passato mina i fondamenti di una democrazia», donde il<br />
rimedio: «dobbiamo imparare a dimenticare», poiché «è<br />
giunto il momento di sradicare dalle nostre vite l’oppressione<br />
del ricordo» (p.29).<br />
Non è facile criticare riflessioni sulla Shoah svolte da chi<br />
l’abbia patita. Ma credo che Elkana sbagli. Egli interpreta<br />
il ricordo, o quanto meno il ricordo bruciante, che implica<br />
il risentimento, come un fattore ostile a pace ed uguaglianza<br />
possibili: quel ricordo isolerebbe il popolo ebraico,<br />
lo renderebbe incapace di sentire l’identità dell’Altro.<br />
E’ invece vero l’opposto: solo se Israele ricorda può<br />
comprendere altri che ricordino; se dimentica, perde non<br />
solo la propria identità, ma anche la possibilità di contatto<br />
con l’identità dell’Altro, e quindi la via dell’uguaglianza,<br />
che è valore morale e politico solo se tra differenti. Infatti<br />
non perché Tu ed Io siamo entrambi ebrei, arabi o che<br />
altro, non per questo siamo moralmente uguali, ma perché<br />
ci diamo reciproco riconoscimento delle nostre differenze<br />
naturali e storiche come di valori che costituiscono<br />
le nostre identità. E’ questa la condizione perché possiamo<br />
distribuirci uguaglianza: a meno di non infingerci<br />
titani impegnati in una seconda creazione, è evidente che<br />
l’uguaglianza vada perseguita a muovere da esistenti ed<br />
insopprimibili disuguaglianze naturali. L’uguaglianza<br />
morale e politica è un atto di libertà che quelle differenze<br />
naturali riplasma, come scrisse Rousseau: «Io vedo nel<br />
genere umano due tipi di ineguaglianza; la prima che<br />
chiamo naturale o fisica, perché è stabilita dalla natura, e<br />
che consiste nella differenza dell’età, della salute, delle<br />
forze fisiche e delle qualità dello spirito o dell’anima;<br />
l’altra, che si può chiamare ineguaglianza morale o<br />
politica, perché dipende da una specie di convinzione ed<br />
è stabilita o almeno autorizzata dal consenso degli uomini».<br />
E, più radicalmente ancora, Marx non solo nega che<br />
la disuguaglianza naturale abbia incidenza su quella<br />
morale, ma sviluppa una concezione per cui le categorie<br />
che costituiscono l’uguaglianza morale, «amore» e «fiducia»<br />
reciproci, presuppongono le differenze naturali, e<br />
nulla hanno a che vedere con la «Nivellierungssucht»<br />
(«brama di livellamento»). La disuguaglianza fisica, ad<br />
esempio la bruttezza, è compatibile con l’uguaglianza<br />
morale. L’uomo brutto, argomenta Marx, può, non meno<br />
SAGGIO<br />
8<br />
dell’uomo bello, conquistare l’amore di una donna, purché<br />
espliciti l’universalità umana presente nella sua empirica<br />
individualità, e scambi con la donna riconoscimenti<br />
universalmente umani, “amore” con “amore” e “fiducia”<br />
con “fiducia”. Se invece Io, “brutto”, pretendo di<br />
“comprarmi la più bella donna”, e m’arrogo che in forza<br />
del mio danaro “non sono brutto”, allora vengo meno<br />
all’uguaglianza con me stesso, al mio Io, mi spoglio della<br />
mia umanità, nego che bruttezza, amore e fiducia siano<br />
compatibili nell’uguaglianza morale. Il bacio tra i due<br />
amanti non esprime allora la comune umanità, perché il<br />
danaro pietrifica le differenze in opposti irriducibili, ed è<br />
esso che, contro natura, «li unisce» e «li costringe a<br />
baciarsi». Marx ritiene dunque che l’uguaglianza tra<br />
uomini sia in primo luogo uguaglianza di ognuno con se<br />
stesso, ed egli e Rousseau, a diversi livelli di radicalità,<br />
vengono a dir questo: che l’uguaglianza può esser costruita<br />
a partire da ciò che fa sì che ogni Io sia quell’Io che è 4 .<br />
Volendo scindere tra ricordo ed identità, Elkana sostiene<br />
invece il contrario: sradichiamoci dalla nostra storia, e<br />
saremo meno tentati dalla disuguaglianza. Una versione<br />
morale della pax romana: desertifichiamoci!<br />
U<br />
na posizione ben più complessa esprime Jean<br />
Améry, anch’egli sopravvissuto ad Auschwitz,<br />
dove fu compagno di baracca di Levi, e che<br />
Paolo Rossi ricorda subito dopo, ma troppo avvicinandolo<br />
ad Elkana: «Il breve articolo di Elkana ha suscitato<br />
polemiche feroci. Ma credo che egli non volesse dire una<br />
cosa diversa da quella alla quale faceva riferimento uno<br />
dei più grandi testimoni dell’Olocausto: Jean Améry che,<br />
senza alcuna pietà verso se stesso, si vedeva irrimediabilmente<br />
prigioniero di “quel risentimento che impedisce lo<br />
sbocco verso il futuro, che è la dimensione più autenticamente<br />
umana”» (p.29). Nelle amarissime pagine di Intellettuale<br />
a Auschwitz5 , Améry esamina con inaudito coraggio<br />
la presenza, nel ricordo, del risentimento, che non<br />
solo accetta, ma rivendica e moralmente legittima.<br />
«L’esperienza delle persecuzione era in ultima analisi<br />
quella di un’estrema solitudine»(p.<strong>12</strong>2), scrive, ed è da<br />
quell’estrema e determinatissima miseria dell’Io che<br />
inizia la sua analisi: da un evento preciso, la tortura, patita<br />
il 23 luglio del 1943, quando il tenente delle SS Praust gli<br />
fissò un gancio alle manette che gli stringevano i polsi<br />
“dietro la schiena” e, per fustigarlo, lo sollevò un metro<br />
dal suolo. «Avvertii uno schianto e uno scheggiarsi nelle<br />
spalle che il mio corpo sino ad oggi non ha dimenticato.<br />
Le teste degli omeri saltarono dalla loro sede. Il mio<br />
stesso peso provocò una lussazione, caddi nel vuoto e mi<br />
ritrovai appeso alle braccia slogate, sollevate da dietro e<br />
chiuse sopra la testa in posizione rovesciata» (p.72). Ciò<br />
che accadde quel giorno al suo Io, il ricordo della “prima<br />
percossa” (p.64), ciò e molto altro ancora rimase da<br />
allora inscindibilmente parte della sua individualità. Ma<br />
ognuno, anche chi non abbia subito terrificanti oltraggi,<br />
partecipa con Améry di una caratteristica dell’Io: di<br />
essere «moralmente unico» (p.<strong>12</strong>3). Da questa unicità di<br />
ciascuno, dai ricordi che lo costituiscono così come<br />
effettivamente sono (compresi i risentimenti) si deve<br />
partire per vivere l’identità e l’uguaglianza.<br />
Le riflessioni di Améry restano eroicamente fedeli al
concetto d’individualità. Egli testimonia: «sin dalla prima<br />
percossa, [l’Io del torturato] perde qualcosa che forse<br />
possiamo definire in via provvisoria la fiducia nel mondo»,<br />
e che designa la fiducia che la propria specifica,<br />
irriducibile ed individuale identità sia riconosciuta come<br />
valore. «L’elemento più importante della fiducia nel<br />
mondo [...] è la certezza che l’altro, sulla scorta di<br />
contratti sociali scritti e non, avrà riguardo di me, più<br />
precisamente, che egli rispetterà la mia sostanza fisica e<br />
quindi metafisica. I confini del mio corpo sono i confini<br />
del mio Io. La superficie cutanea mi protegge dal mondo<br />
esterno; se devo avere fiducia, sulla pelle devo sentire<br />
solo ciò che io voglio sentire»<br />
(p.66). La tortura esprime<br />
dunque «la violazione<br />
del confine del mio Io da<br />
parte dell’Altro» (p.73), e<br />
per questo lascia «un marchio<br />
indelebile» (74), che<br />
s’imprime nel ricordo risentito:<br />
«parlo da vittima e<br />
analizzo i miei risentimenti»,<br />
e «devo assumermi la<br />
responsabilità del mio risentimento»,legittimandolo<br />
«come parte integrante<br />
della mia personalità»<br />
(pp.1<strong>12</strong>-113). A chi gli oppone<br />
che “i tratti caratteriali”<br />
che determinano la personalità<br />
del risentito sono<br />
“distorti”, e quindi vanno<br />
sradicati in nome del futuro,<br />
Améry risponde: «Saremmo,<br />
così si afferma, dei<br />
“distorti”. Di sfuggita ripenso<br />
alle mie braccia contorte<br />
dietro la schiena durante<br />
la tortura, e questa<br />
mia realtà mi richiama a<br />
“ridefinire il nostro essere<br />
distorti come forma di umanità<br />
moralmente e storicamente<br />
più elevata rispetto<br />
alla sana dirittura» (p.119).<br />
Il libro di Paolo Rossi è, da<br />
ultimo, libro di uno storico<br />
sul tempo. Ed è a proposito del tempo storico che Améry<br />
mette a nudo una aporia profonda: se il ricordo recupera<br />
il passato, e quindi il tempo, allora è in contraddizione<br />
con il risentimento, che il tempo pare voler negare: «Il<br />
senso del tempo di chi è prigioniero del risentimento è<br />
distorto, dissociato, se si preferisce, perché pretende ciò<br />
che è doppiamente impossibile: il cammino a ritroso<br />
verso il già vissuto e l’annullamento di ciò che è stato»<br />
(pp.119-<strong>12</strong>0). Ciò ha conseguenze sul futuro: «L’uomo<br />
del risentimento non può unirsi a quell’inno alla pace che<br />
ci esorta a non guardare più indietro, ma in avanti, verso<br />
un migliore e comune futuro», come pretende Elkana.<br />
Améry è ben conscio dell’aporia concettuale che ciò<br />
comporta: «Alle mie riflessioni non è rimasto nascosto<br />
SAGGIO<br />
Classe di Talmud, Cecoslovacchia 1938 (foto di M.<br />
9<br />
che il risentimento è una condizione non solo contro la<br />
natura umana ma anche contraddittorio a livello logico.<br />
Inchioda ciascuno di noi alla croce del nostro passato<br />
distrutto [...] impedisce lo sbocco verso il futuro, la<br />
dimensione più autenticamente umana» (p.119; corsivo<br />
mio; Rossi, a p. 29, cita parte di questo passo, ma senza<br />
analizzare a fondo la morale del risentimento). L’Io<br />
ricorda, e vuole ricordare, e non può non ricordare, ma<br />
ricorda con il “character indelebilis” (p.74) dell’offesa<br />
subita. Come superare quella contraddittorietà logica ed<br />
impedire che il risentimento precluda il futuro e l’uguaglianza?<br />
Anzi: come costruire futuro ed uguaglianza<br />
anche sul risentimento?<br />
Améry risponde con una<br />
acuta distinzione tra tempo<br />
morale, interiore, e tempo<br />
naturale (distinzione che,<br />
in altri termini, fa anche<br />
Paolo Rossi; pp. 81-84). E’<br />
difficile stabilire qui, e del<br />
resto non ne sarei capace,<br />
quanto pesino l’uno e l’altro<br />
tempo, ed il loro intreccio,<br />
nel lavoro dello storico.<br />
Ma la distinzione è incontrovertibile:<br />
il tempo<br />
naturale, ad esempio, ha risanato<br />
gli omeri di Améry,<br />
ma non la violazione morale<br />
dell’Io. «Chi è stato torturato<br />
resta tale. La tortura<br />
è un marchio indelebile anche<br />
quando clinicamente<br />
non sono riscontrabili tracce<br />
oggettive» (p.74). Assimilare<br />
il tempo morale, interiore,<br />
a quello naturale è<br />
profondamente immorale:<br />
«Il senso naturale del tempo<br />
ha le sue radici effettive<br />
nel processo fisiologico del<br />
rimarginarsi delle ferite ed<br />
è entrato a far parte della<br />
rappresentazione sociale<br />
della realtà», ma quest’irenismo<br />
naturalistico perverte<br />
il significato morale del<br />
tempo: «quel che è stato è stato: questa espressione è<br />
tanto vera quanto contraria alla morale e allo spirito».<br />
Ricordare con risentimento è quindi legittimo: «E’ diritto<br />
e privilegio dell’essere umano non dichiararsi d’accordo<br />
con ogni avvenimento naturale, e quindi nemmeno con il<br />
rimarginarsi biologico provocato dal tempo» (p.<strong>12</strong>4). E’<br />
un suo diritto storico (fondato sul suo ricordo) individuale,<br />
che non può esser annacquato nell’asserzione di<br />
Elkana che «una democrazia si nutre di presente e di<br />
futuro e un eccesso di dedizione al passato mina i fondamenti<br />
di una democrazia». L’esperienza individuale che,<br />
in impensabile, tremenda solitudine, ogni singola vittima<br />
fece, solo ingannevolmente può esser riscattata da una<br />
società che si presenti, rispetto all’individuo, come sog-
getto sublimato. Una tale società «pensa solo alla propria<br />
continuità. La società si preoccupa della propria sicurezza,<br />
non di una vita lesa» (p.<strong>12</strong>2), mentre lui, Hans Meyer,<br />
al quale il nazismo ha strappato «identità e passato» 6 ,<br />
costringendolo a mutare persino il proprio nome 7 , è una<br />
vita lesa. E’ qui, in questa verità individuale, ch’è da<br />
scavarsi per trovare la soluzione, perché «se accetto i<br />
miei risentimenti, se ammetto di essere “prevenuto” nel<br />
considerare il nostro problema, so però anche di essere<br />
prigioniero della verità morale di questo conflitto»<br />
(p.<strong>12</strong>1).<br />
Nessuna soluzione, dunque? O il naturalismo di Elkana<br />
o il risentimento “contraddittorio a livello logico”, che<br />
impedisce “lo sbocco verso il futuro”? E’ il rigore con il<br />
quale Améry spinge sino all’estremo l’analisi che ci<br />
toglie dall’impasse: egli mostra come al fondo del risentimento<br />
giaccia la possibilità d’invertire il corso naturale<br />
del tempo, di fondere ricordo e risentimento raggiungendo<br />
un’identificazione di sé come soggetto morale, che<br />
consente di aprirsi non solo all’Altro, ma (nella giustizia)<br />
anche all’offensore. Améry procede per eventi singolari,<br />
e ricorda, ad esempio, il kapo Juszek, «un criminale<br />
polacco di terrificante vigoria», che un giorno lo colpì.<br />
Molto più debole fisicamente, Améry reagì e, prima di<br />
crollare sotto le percosse, gli sferrò un pugno. Reagì,<br />
testimonia, «perché avevo ben compreso che nella vita vi<br />
sono situazioni in cui il nostro corpo è tutto il nostro Io e<br />
tutto il nostro destino. Ero il mio corpo e null’altro [...].<br />
Il mio corpo, nel momento in cui si tendeva per sferrare<br />
il colpo, era la mia dignità fisica e metafisica [...]. Nel<br />
colpo io ero me stesso: lo ero per me e per l’avversario»<br />
(p.148; il corsivo è mio). Qui è dalla riaffermazione del<br />
proprio valore nel “Zurückschlagen” (“rendere il colpo”)<br />
che nasce l’intersoggettività, e Améry esige non di sradicare<br />
il ricordo perché esso è anche risentimento, ma di<br />
costruire su esso come veramente è, ricordo risentito,<br />
l’uguaglianza. Invoca non la dimenticanza, falso perdono<br />
alla deriva nel flusso del tempo naturale, ma la<br />
giustizia, che consente l’inversione morale del tempo:<br />
«L’uomo morale esige la sospensione del tempo; nel<br />
nostro caso, inchiodando il misfattore al suo misfatto. In<br />
questo modo egli potrà, avvenuta l’inversione morale del<br />
tempo, essere accostato alla vittima in quanto suo simile»<br />
(<strong>12</strong>4). E Améry ci parla nuovamente di un individuo ed<br />
un evento singolari, della “SS fiamminga Wajs”, “pluriomicida<br />
e torturatore”, che lo «colpiva alla testa con il<br />
manico della pala». Anche Wajs era un Io, e «viveva<br />
l’attrezzo come il prolungamento della sua mano», e di<br />
fronte a quell’Io persecutore, scrive Améry, «solo io ero,<br />
e ancora oggi sono, in possesso della verità morale delle<br />
percosse che tuttora mi risuonano nella testa, e ho quindi<br />
maggior diritto a giudicare non solo rispetto ai colpevoli,<br />
ma anche alla società» (pp. <strong>12</strong>1-<strong>12</strong>2), poiché «la remissione<br />
e l’oblio provocati da una pressione sociale sono<br />
immorali» (<strong>12</strong>3-<strong>12</strong>4).<br />
E’ nella punizione del colpevole che la vittima può<br />
incontrare l’aguzzino, perché lo ritrova solo, come essa,<br />
da allora, è sola. Il ricordo della vittima è risentimento<br />
perché la sua “estrema solitudine” è «una condizione che<br />
ancora perdura». Améry è depositario di questa verità<br />
morale, e potrà riconoscere Wajs (ma solo lui; non anche,<br />
SAGGIO<br />
10<br />
attraverso di lui, i complici rimasti impuniti; il riconoscimento<br />
è tra individui) soltanto se anche Wajs sperimenterà,<br />
nella corporeità fisica e metafisica del suo Io, la<br />
verità morale dei suoi misfatti. Wajs fu processato, condannato,<br />
fucilato. Ed eccola, l’amara ma profonda ed<br />
umana soluzione: «Di fronte al plotone d’esecuzione la<br />
SS Wajs sperimentò la verità morale dei suoi misfatti. In<br />
quell’istante era con me: e io non ero più solo con il<br />
manico della pala. Voglio credere che nell’istante della<br />
sua esecuzione egli avrebbe voluto, al pari mio, invertire<br />
il tempo, annullare quanto era accaduto. Nel momento in<br />
cui era condotto sul luogo dell’esecuzione, da avverso<br />
egli si era nuovamente ritrasformato in prossimo» (p.<strong>12</strong>2).<br />
Così, nel ricordo, anche il risentimento diviene elemento<br />
di identità, di valore, di uguaglianza, di un’autentica<br />
apertura al futuro. A ciò non conducono la dimenticanza,<br />
l’oblio, il perdono naturalistico-sociale.<br />
L<br />
e testimonianze sulla Shoah sono piene di episodi<br />
di vittime che disperatamente tentavano<br />
di lasciare tracce al ricordo, e di carnefici che le<br />
cancellavano. Un passo di Simon Wiesenthal, citato da<br />
Paolo Rossi, mostra quanto fosse impari quella lotta: non<br />
solo perché le vittime erano inermi e i carnefici avevano<br />
il Potere, ma soprattutto perché l’orrore pareva troppo<br />
grande per la mente umana, ed elevava una barriera<br />
metafisica contro il ricordo: «I prigionieri dei Lager -ha<br />
scritto Simon Wiesenthal- venivano così ammoniti dai<br />
loro aguzzini: “In qualunque modo questa guerra finisca,<br />
la guerra contro di voi l’abbiamo vinta noi; nessuno di voi<br />
rimarrà per portare testimonianza, ma se anche qualcuno<br />
scampasse, il mondo non gli crederà”» (p.27). Era questa,<br />
ritengo, la “estrema solitudine” di cui testimonia Améry.<br />
In un filmato che molti hanno visto, Shoah, di Claude<br />
Lanzmann, questa solitudine è resa visibile. Le immagini<br />
si chiudono con le parole di un resistente di Varsavia, che<br />
si ricorda solo tra quelle rovine di morte, e testimonia<br />
(anche nel tono della voce, nelle espressioni del viso) una<br />
solitudine tanto ampia e profonda e di così intensa e ricca<br />
moralità, da non esser quasi più esprimibile come disperazione:<br />
«E mi ricordo di un momento - in cui ho provato<br />
una specie di quiete, - di serenità, - in cui mi sono detto:<br />
- «Sono l’ultimo degli ebrei, - aspetterò il mattino -<br />
aspetterò i tedeschi”» 8 .<br />
Vittime che per testimoniare usavano fragilissime parole:<br />
nomi, date, eventi scritti su fogli che sigillavano in<br />
scatole di latta e seppellivano, che qualcuno, un giorno,<br />
li ritrovasse; parole incise su muri di morte, vergate e<br />
gettate da treni di morte, scambiate tra esseri umani che<br />
abitavano la morte, che un sopravvissuto le ricordasse.<br />
Migliaia e migliaia e ancora migliaia di parole scritte e<br />
dette da milioni di vittime: quindi, letteralmente, miliardi<br />
e miliardi e ancora miliardi di parole, affidate all’oceano<br />
del tempo, nella speranza che qualcuna giungesse a noi e,<br />
dopo di noi, ai posteri. E carnefici che costringevano<br />
quelle stesse vittime a sbiancarli e risbiancarli, quei muri,<br />
a pulire e ripulire le camere a gas, che facevano saltare<br />
con la dinamite, al momento di abbandonarli, i forni,<br />
che... Sterminate quantità di eventi opposti: gli uni per il<br />
ricordo, gli altri per stendere l’oblio e la dimenticanza.<br />
Una lotta impari, che Primo Levi ricorda in frasi asciutte:
«Il bisogno di raccontare agli “altri”, di fare gli “altri”<br />
partecipi, aveva assunto fra noi, prima della liberazione<br />
e dopo, il carattere di un impulso immediato e violento» 9 .<br />
E il timore di non esser ascoltati, che il valore della<br />
propria testimonianza non fosse accolto, era come un<br />
incubo, diffuso tra i deportati: «Sentivo un bisogno così<br />
prepotente di raccontare, che raccontavo a voce. Allora,<br />
nel lager, facevo spesso un sogno: sognavo che tornavo,<br />
rientravo nella mia famiglia, raccontavo, e non ero ascoltato.<br />
Colui che mi sta davanti non mi sta a sentire, si volta<br />
e se ne va. Ho raccontato questo sogno, in lager, ai miei<br />
amici, e loro hanno detto: «Capita anche a noi» 10 .<br />
Qui l’aporia dello storico si<br />
fa acutissima, e traluce nelle<br />
pagine di Paolo Rossi<br />
laddove egli riesamina la<br />
differenza tra la funzione<br />
del ricordo e della testimonianza<br />
nelle Lettere e nelle<br />
Scienze. La fragilità delle<br />
parole, veicolo principale<br />
del ricordo, pare infatti tale,<br />
che sembra doversi disperare<br />
della possibilità di tramandare<br />
ciò che principalmente<br />
alimenta le Lettere:<br />
passioni, emozioni, giudizi<br />
morali, credenze, speranze<br />
ecc. Per la stessa aleatorietà<br />
di poter esser affidati solo<br />
a parole (le arti visive, almeno<br />
sino al XX secolo,<br />
hanno molta minor rilevanza<br />
da questo punto di vista),<br />
i fatti riguardanti le<br />
umane sorti paiono più facilmente<br />
falsificabili. La testimonianza<br />
di Améry può<br />
esser contraddetta, e non<br />
solo nel senso maledetto dei<br />
persecutori e della storiografia<br />
revisionista, ma anche<br />
da chi, suo amico e<br />
compagno di sventura, in-<br />
terpreti e viva gli stessi<br />
eventi in modo differente.<br />
Primo Levi, ad esempio,<br />
non condivise il risentimento di Améry, suo “compagno<br />
ed antagonista”, e questi a sua volta lo chiamò, in una<br />
lettera privata, “il perdonatore”, definizione che Levi<br />
respinse: «Non la considero né un’offesa né una lode,<br />
bensì un’imprecisione» 11 . Comunque, siamo innegabilmente<br />
davanti ad una drammatica differenza tra le interpretazioni<br />
dei ricordi di due testimoni degli stessi eventi.<br />
La precarietà di affidarsi prevalentemente a parole era<br />
resa ancora più acuta dal fatto che i Lager erano una<br />
babele di lingue, ove le parole venivano spessissimo<br />
fraintese, storpiate, o restavano indecifrabili. In Se questo<br />
è un uomo, Levi racconta di un ebreo francese di origine<br />
polacca, Gounan, che ne apostrofa uno ungherese, Kraus,<br />
il quale «capisce assai male il tedesco e non sa una parola<br />
SAGGIO<br />
Manoscirtto in lingua jiddish<br />
sotterrato nel KL. di Auschwitz da un Sonderkommando<br />
11<br />
di francese» e non ha ancora imparato che, per tentare di<br />
sopravvivere, bisogna lavorare il più lentamente possibile,<br />
«fare economia di tutto, di fiato, di movimenti, perfino<br />
di pensiero». “Pas si vite, idiot!”, impreca Gounan. Kraus<br />
non capisce, ed allora il francese, attingendo anche al<br />
patrimonio della propria storia di ebreo d’origine polacca:<br />
«Langsam, du blöder Einer, langsam, verstanden?»,<br />
ch’è un ibrido di tedesco ed jiddish e significa, parola per<br />
parola, «Piano tu stupido uno, piano, capito?»”. Levi (nel<br />
1946, a ridosso della persecuzione) l’aveva trascritta<br />
“tale e quale”, credendo però che fosse solo tedesco <strong>12</strong> ,<br />
lingua che lo stesso Levi conosceva ancora malamente.<br />
Anni più tardi, quando Se<br />
questo è un uomo viene tradotto<br />
in tedesco, dopo una<br />
lunga discussione epistolare<br />
con il traduttore, che non<br />
si raccapezza con quel “du<br />
blöder Einer”, espressione<br />
che in tedesco suona scorretta,<br />
Levi accetta quella<br />
che i filologi definiscono<br />
una lectio facilior: Il traduttore<br />
lo convince che<br />
quella frase è da emendarsi<br />
in «Langsam, du blöder<br />
Heini...», dove Heini è il<br />
diminutivo di Heinrich,<br />
Enrico. «Dovevo aver sentito<br />
o ricordato male», ammette<br />
Levi, e l’edizione tedesca<br />
del libro esce con il<br />
testo che pare emendato,<br />
ed invece è corrotto. Passati<br />
altri anni, Levi legge un<br />
libro sullo jid-disch, e si<br />
avvede di aver ricordato<br />
giusto: l’espressione “du<br />
eyner” era jiddisch, e Gounan,<br />
franco-polacco, aveva<br />
attinto alla comune tradizione<br />
askenazita per farsi<br />
intendere da Kraus, ebreo<br />
ungherese. Quindi, vivente<br />
il testimone e con i fatti<br />
ancora prossimi, le parole<br />
mostrano una straordinaria<br />
precarietà: al momento della traduzione tedesca di Se<br />
questo è un uomo mutarono lingua, lezione ed anche il<br />
destinatario del libro, poiché Levi si avvide solo allora<br />
che «i [...] destinatari veri, quelli contro cui il libro si<br />
puntava come un’arma, erano loro, i tedeschi» 13 . E, come<br />
vedremo in Spinoza, lingua, lezione e destinatario sono<br />
elementi decisivi nella trasmissione di un monumento<br />
letterario, composto di parole.<br />
Nella trasmissione del teorema di Pitagora, ad esempio,<br />
questa dipendenza dalla lingua, dalla lezione, dal destinatario<br />
ecc. è assente, ed è con una citazione da Spinoza che<br />
Paolo Rossi esamina quest’ulteriore differenza tra lo<br />
scienziato (il “filosofo naturale” secentesco) ed il letterato;<br />
ulteriore perché il tema dell’oblio si presenta qui non
solo come atteggiamento soggettivo dell’autore di manuali<br />
scientifici, ma anche come dato oggettivo: matematica<br />
ed esperimento non abbisognano di testimonianze, e<br />
lo scienziato s’erge indipendente di fronte alla tradizione.<br />
«Galilei -scrive Rossi- contrappone i filosofi naturali agli<br />
“istorici” o “dottori di memoria”. La mentalità di questi<br />
ultimi è caratterizzata dal continuo bisogno di richiamarsi<br />
ad una guida. L’immagine che Galilei contrappone a<br />
questa mentalità è quella di ricercatori che, a differenza<br />
dei ciechi, non hanno bisogno di guida alcuna [...]. Le<br />
testimonianze di altri non hanno alcun valore di fronte al<br />
criterio del vero e del falso: “Addurre tanti testimoni non<br />
serve a niente”» (162). Dunque le testimonianze di chi<br />
vuol tramandare non verità scientifico-matematiche, ma<br />
eventi umani, passioni, giudizi morali ecc. paiono condannate,<br />
per loro natura, ad essere non solo falsificabili,<br />
ma intrinsecamente ambigue; implicano dizione ed ascolto<br />
corretti, la conoscenza del contesto, ecc., come si è visto<br />
per “du eyner”. Altrimenti nelle scienze, scrive Rossi:<br />
«Le verità della geometria, il suo rigore appartengono per<br />
Spinoza ad un mondo che non dipende dall’approvazione<br />
degli ascoltatori o dalle vicende temporali» (p.163), ed<br />
è più facile raggiungere la verità quando si ha «assoluta<br />
irrilevanza dei contesti» storici, «delle vicende che si<br />
svolgono nel tempo», delle testimonianze umane. La<br />
veridicità degli Elementi di Euclide, scrive Spinoza nel<br />
passo che Rossi cita, è indiscussa perché non contiene «se<br />
non cose semplicissime e quanto mai intelligibili», indipendenti<br />
dalla lingua in cui primieramente furono scritte;<br />
dalla conoscenza approfondita de “la vita, gli studi, i<br />
costumi dell’autore”; dal “destinatario”; dalla “fortuna”<br />
e “varie lezioni” del libro; dalla “deliberazione” con cui<br />
il suo contenuto é stato “approvato”. Nelle matematiche,<br />
dunque, vi sarebbe motivo d’ottimismo quanto a poter<br />
discorrere di cose certe e vere. D’altra parte, vien da<br />
osservare, sotto questo profilo ottimismo e inutilità vanno,<br />
dal punto di vista storiografico, di pari passo: lo scavo<br />
nelle fonti e nei contesti pare servire poco o punto, ed anzi<br />
confonderebbe inutilmente le acque, se la materia stessa<br />
della Proposizione 47 a del libro I degli Elementi, il<br />
teorema di Pitagora, non fosse per natura al di sopra di<br />
ogni fraintendimento possibile.<br />
Il passo spinoziano citato da Rossi è nel capitolo VII, “De<br />
interpretatione Scripturae”, del Trattato teologico-politico<br />
14 . Stando a solo quel passo, e paragonando sotto quel<br />
riguardo la Scrittura e gli Elementi, l’attendibilità della<br />
prima come monumento storico pare pressoché nulla,<br />
proprio per la precarietà dei discorsi non scientificomatematici.<br />
Spinoza spiega infatti nel VII capitolo ed in<br />
quelli successivi che per interpretare la Scrittura occorre<br />
conoscere la lingua ebraica e gli ebraismi dei libri neotestamentari<br />
dei quali non abbiamo l’originale ebraico; la<br />
vita, l’indole e la cultura dei (presunti) autori; il contesto<br />
nel quale scrissero; la situazione storica, politica, culturale<br />
e morale dei destinatari; la fortuna dei singoli libri; le<br />
diverse lezioni; come, quando e da chi ne venne deliberata<br />
la canonizzazione, ecc. Operazioni tutte impossibili<br />
per la Scrittura, dato che non abbiamo né grammatiche,<br />
né trattati di retorica, né dizionari coevi; che moltissimi<br />
sono gli apax legomena, le lezioni incerte, i testi incompleti<br />
ed interpolati, a volte grammaticamente e sintattica-<br />
SAGGIO<br />
<strong>12</strong><br />
mente scorretti; che i veri autori sono sovente ignoti; le<br />
motivazioni delle lezioni marginali incerte; che nella<br />
lingua ebraica le lettere labiali sono tra loro spesso<br />
intercambiabili, e così le linguali, dentali, palatali e<br />
gutturali; le forme verbali assimilabili a nomi e prive di<br />
molti tempi; le congiunzioni e gli avverbi con significati<br />
spesso opposti; inoltre il testo mancava, in origine, di<br />
segni d’interpunzione, accenti, vocali, che vennero aggiunti<br />
secoli e secoli più tardi da dotti per i quali la lingua<br />
della Scrittura era ormai antichissima. Dal punto di vista<br />
linguistico e della lezione delle parole (che è quello che<br />
qui più preme), è dunque evidente che nella Scrittura<br />
come monumento letterario, in forza di «questa costituzione<br />
e natura della lingua ebraica debbano nascere tante<br />
ambiguità che non vi è metodo in grado di risolvere» (p.<br />
198). Per questi ed altri motivi si può concludere che la<br />
lezione della Scrittura è inguaribilmente corrotta dal<br />
tempo, dagli uomini, dalle circostanze di trasmissione<br />
ecc. Per di più, la narrazione è zeppa di miracoli, il<br />
linguaggio figurato, Dio descritto in modi contraddittori<br />
e spesso antropomorfici, le proposizioni naturali enunciate<br />
da ignoranti per ignoranti (Giosué, al quale viene<br />
attribuito il miracolo del Sole che s’arresta nel cielo, era<br />
uomo d’arme ignorante di scienze naturali); le cronologie<br />
contraddittorie, le profezie manifestamente dipendenti<br />
dall’indole e dalla cultura del profeta: Daniele cupo, Isaia<br />
aulico, Geremia rustico; Salomone affatto sapientissimo,<br />
ignorando egli l’incommensurabilità tra raggio e circonferenza,<br />
ecc.<br />
E se, pur con molte riserve, la Scrittura può essere<br />
assimilata ad altri monumenti letterari che non esprimano<br />
le verità semplicissime e perfettamente intelligibili degli<br />
Elementi, allora la difficoltà pare investire l’intero universo<br />
di quel veicolo di testimonianza che sono le parole.<br />
L’aporeticità, a questo punto, pare anzi insuperabile<br />
anche per lo storico della scienza, che si occupa di<br />
monumenti letterari contenenti proposizioni scientifiche,<br />
e quindi di parole, non direttamente di verità scientifico-matematiche.<br />
Ogni testimone ed ogni storico pare<br />
quindi condannato all’errore, all’incertezza radicale, e<br />
somigliare piuttosto a un viaggiatore, come scrivono<br />
Cartesio e Malebranche in passi citati da Rossi, «troppo<br />
curioso di cose del passato» e «molto ignorante di quelle<br />
presenti»; interessato «alle cose rare e lontane», non a «le<br />
verità più necessarie e più belle» (p. 163).<br />
Lo sforzo di ricostruire il passato, salvare il ricordo,<br />
costituire l’identità del presente e l’apertura sul<br />
futuro pare dunque vana fatica di Sisifo, e che<br />
questo sia già oggi, ed ancora più nei decenni e secoli a<br />
venire, il destino degli storici della Shoah: scriveranno in<br />
un contesto nel quale il Terzo Reich «sarà semplicemente<br />
storia, non migliore e non peggiore di quanto non lo siano<br />
in genere tutte le epoche storiche drammatiche», osserva<br />
Améry, e Hitler apparirà come una sorta di Napoleone,<br />
anch’egli sconfitto dalle gelide steppe russe. Il conto<br />
delle vittime, già oggi contestato per la quasi totalità dalla<br />
storiografia revisionista, sarà ridotto in modo ancor più<br />
tracotante da studiosi tedeschi cresciuti con «il ritratto del<br />
bisnonno con l’uniforme delle SS [...] ben in vista nel<br />
salotto buono» (p.134). Quegli agenti delle tenebre sa-
anno ancor più numerosi che non gli odierni assassini<br />
della memoria, perché proverranno dall’immenso stuolo<br />
dei «né caldi, né freddi». Le fragilissime parole, cancellate<br />
a miriadi già quando venivano scritte e pronunciate,<br />
e per di più spesso fraintese dagli stessi testimoni, paiono<br />
veramente impotenti ad impedire l’oblio e la dimenticanza<br />
della verità fondamentale della Shoah.<br />
Ma non è mai mancato chi, come Bayle, Hume e molti<br />
altri, negasse che le verità matematiche detengano il<br />
primato nella conoscenza. Chiare e distinte quanto si<br />
voglia le loro premesse, constano tuttavia di proposizioni<br />
difficili da dimostrarsi, ardue da ritenersi, pressoché<br />
ininfluenti sulla vita quotidiana, e l’esistenza di Cicerone<br />
appare più indiscussa e viene più facilmente ricordata che<br />
non l’equazione del cerchio. Proprio Spinoza ci dice, in<br />
una pagina di quello stesso VII capitolo che va accostata,<br />
credo, a quella citata da Rossi, che in verità non vi è<br />
motivo di disperare della trasmissione certa e veritiera<br />
dei contenuti morali. Egli argomenta ampiamente l’impossibilità<br />
di falsificare le parole. «Le cose che sono<br />
percepite facilmente per natura», come anche che Améry<br />
fu torturato, «non si possono mai dire in modo così oscuro<br />
da non poter essere facilmente comprese», e ciò vale non<br />
solo per Euclide, ma anche per la Scrittura, per quanto<br />
attiene al suo contenuto morale fondamentale (e quindi,<br />
più in generale, per i monumenti letterari della storia).<br />
«Noi possiamo facilmente comprendere la Scrittura e<br />
essere certi del vero significato del suo insegnamento<br />
morale», che si esprime “con parole usatissime”. E le<br />
parole non sono falsificabili: «In verità è difficilissimo<br />
mutare il senso di una parola, perché colui che tentasse di<br />
farlo, sarebbe costretto contemporaneamente a spiegare<br />
secondo l’indole e l’intenzione di ciascuno tutti quanti gli<br />
scrittori che scrissero in quella lingua e che usarono<br />
quella parola nel senso comunemente accettato; oppure a<br />
travisarla con estrema cautela. E poi, a conservare la<br />
lingua concorre con i dotti anche il volgo, mentre il senso<br />
dei discorsi e i libri sono conservati unicamente dai dotti,<br />
i quali, come facilmente possiamo comprendere, hanno<br />
potuto bensì modificare o alterare il senso di un passo di<br />
un libro rarissimo in loro possesso, ma non quello delle<br />
parole; senza contare che chi volesse modificare il significato<br />
usuale di una parola, non potrebbe poi senza<br />
difficoltà mantenere tale modifica nel parlare e nello<br />
scrivere» (pp.194-195).<br />
Lo storico, in ultima analisi, potrà sempre fare il suo<br />
lavoro, che ha carattere anche morale, con attendibilità.<br />
Egli, che conserva le parole, è per natura, come dice<br />
Yerushalmi, un testimone della verità. E pur nelle discre-<br />
ultimo, mi pare, delle aporie che<br />
percorrono e ravvivano il libro ed il<br />
pensiero storiografico di Paolo Rossi,<br />
e di questo gli siamo grati.<br />
1 Ricciardi, Milano-Napoli 1960; nuova ed. rivista<br />
presso Il Mulino, Bologna 1983.<br />
2 Trad. it. Einaudi, Torino 1990.<br />
3 La letteratura sulla Shoah testimonia anche il<br />
dramma degli scampati. Giuliano Della Pergola, figlio<br />
di matrimonio misto, educato nella fede cattolica,<br />
scampato che solo con gli anni scoprì d’essere<br />
ebreo, scrive: «Io non faccio parte dei sopravvissuti,<br />
ma degli scampati» che «non solo non vogliono<br />
SAGGIO<br />
Note<br />
dimenticare, ma che cercano di trasformare quel<br />
ricordo in una particolare moralità storica» (Giuliano<br />
Della Pergola, Un bambino nato due volte. L’enfant<br />
qui naquit deux fois, Jouve, s.l., <strong>1993</strong>, pp. 30,14).<br />
4 Per le considerazioni su Rousseau e Marx, rinvio al<br />
mio Natura e costrizione. Per una riflessione sull’uguaglianza<br />
nei «Manoscritti del 1844» di Marx, in<br />
AA.VV., I filosofi e l’uguaglianza, relazioni al XXX<br />
Congresso Nazionale della Società Filosofica Italiana,<br />
Messina, 21-24 aprile 1989, Sicania, Messina 1991,v.<br />
I pp. 101-148.<br />
5 Trad. it. Bollati Boringhieri, Torino 1987.<br />
6 C. Magris, “Presentazione” a Intellettuale a Auschwitz,<br />
p. 11.<br />
7 Jean Améry è anagramma e francesizzazione di<br />
13<br />
panze di giudizio tra Améry e Levi, la verità morale di che<br />
cosa sia stata la Shoah emerge incoercibile. Vi è un<br />
aspetto, in cui questa comune verità dei due ex compagni<br />
di baracca fa rabbrividire di spavento, nella sua crudele<br />
semplicità. Ne I sommersi e i salvati, Levi registra con<br />
fermezza un dissenso da Améry e, ricordando l’episodio<br />
del pugno sferrato al kapo polacco, critica la morale del<br />
risentimento, la «morale del Zurückschlagen, del “rendere<br />
il colpo”», e ad essa riconduce il destino estremo del<br />
compagno, quasi egli avesse infine dovuto soccombere al<br />
risentimento. Di quella morale di Améry, Levi scrive:<br />
«La ammiro: ma devo constatare che quella scelta, protrattasi<br />
per tutto il suo dopo-Auschwitz, lo ha condotto su<br />
posizioni di una tale severità ed intransigenza da renderlo<br />
incapace di trovar gioia nella vita, anzi di vivere: chi “fa<br />
a pugni” col mondo intero ritrova la sua dignità ma la<br />
paga ad un prezzo altissimo, perché è sicuro di venire<br />
sconfitto. Il suicidio di Améry, avvenuto nel 1978 a<br />
Salisburgo, come tutti i suicidi ammette una nebulosa di<br />
spiegazioni, ma, a posteriori, l’episodio della sfida contro<br />
il polacco ne offre un’interpretazione» (pp.109-110).<br />
Un dissenso sull’intrerpretazione degli eventi testimoniati,<br />
dunque. Ma la comune verità morale del vissuto di<br />
Améry e di Levi si conferma, in modo spaventevole, nel<br />
suicidio scelto, anni dopo, anche da Levi: nessuno potrà<br />
mai dire quale sia stata, e per l’uno e per l’altro, la<br />
“nebulosa di spiegazioni” della loro scelta estrema. Pure<br />
certo entrambi testimoniarono, da punti di vista differenti,<br />
con storie differenti, ma anche con l’estremo gesto<br />
comune, della mostruosità della Shoah, della solitudine<br />
dei sopravvissuti. Le parole di entrambi loro sono fragilissime,<br />
ma infalsificabili. Sta a noi, destinatari del loro<br />
messaggio, riuscire ad avvertire ciò che hanno di comune.<br />
Infalsificabili, e frutto della libera scelta di testimoniare.<br />
Al di là di ogni possibile aporia, ciò basta a fare<br />
della storia una disciplina anche morale, senza che si<br />
debba ricorrere alla finzione che sia magistra vitae. Si<br />
può esser tranquillamente pessimisti che lo storico<br />
possa migliorare il corso degli eventi rammemorando<br />
il passato, ma tuttavia certi che il passato sia, nel suo<br />
insieme, infalsificabile, e dunque non rassegnarsi all’oblio.<br />
Proprio Paolo Rossi, commentando Leopardi,<br />
scrive: «Tra pessimismo e rassegnazione non esiste<br />
alcun rapporto necessario» 15 . La pedagogia morale<br />
che lo storico esercita non pare retorico-persuasiva,<br />
ma piuttosto testimonianza dell’identità, e quindi<br />
d’uguaglianza e di libertà. Testimoniare, e scrivere di<br />
storia, è anzitutto una libera scelta. E’ questo il senso<br />
Hans Mayer.<br />
8 C. Lanzmann, Shoah, trad. it. Rizzoli, Milano 1987,<br />
p. 239.<br />
9 P. Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino<br />
1963, p. 8.<br />
10 P. Levi, Autoritratto, “Nord-Est” N. 2, Padova<br />
1987, p. 50.<br />
11 P. Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino<br />
1986, pp. 114, 110.<br />
<strong>12</strong> «Gounan [...] si ricorda di tradurre in tedesco»,<br />
scrive Levi, che difatti usa la maiuscola e la vocalizzazione<br />
germanica, trascrivendo non “eyner”, ma<br />
“Einer” (cfr. Se questo è un uomo, p.167; il corsivo è<br />
mio)<br />
13 Per i passi citati cfr. Se questo è un uomo, p. 167;<br />
I sommersi e i salvati, pp. 79, 138.<br />
14 Mi avvalgo della trad. it. a cura di A. Droetto ed E.
INTERVISTA<br />
Albrecht Dürer, Evangelista Marco, Kupferstichkabinett di Berlino<br />
14
Chi è il soggetto del ritratto? Chi è attore o<br />
autore della rappresentazione di sé? Come<br />
e in che momento ritrarre un uomo? Il<br />
ritratto di qualcuno “vale” per costui? In<br />
quali termini? Queste alcune delle domande<br />
che possono sorgere ingenuamente di<br />
fronte a un ritratto e che nolens volens<br />
bussano alla porta degli artisti e si presentano<br />
come problema filosofico. In altri termini:<br />
quali significati e valori antropologici<br />
sono posti in gioco dall’esperienza del<br />
ritratto? Quale modello di uomo e di humanitas<br />
viene messo in opera?<br />
Tali interrogativi corrono lungo l’asse problematico<br />
della rappresentazione e sono<br />
recentemente al centro in Francia di numerosi<br />
studi, differenti per approccio e finalità,<br />
ma sorprendentemente convergenti verso<br />
un oggetto privilegiato d’indagine: il<br />
volto e il suo ritratto. In particolare, all’Ecole<br />
des Hautes Etudes, nel quadro delle<br />
ricerche sulla rappresentazione<br />
e sul linguaggio, alcuni studiosi,<br />
Louis Marin, Yves Hersant,<br />
George Didi-Huberman,<br />
hanno focalizzato le loro ricerche<br />
sul problema del ritratto.<br />
Marin si è interessato alla rappresentazione<br />
del politico nell’Europa<br />
del XVI/XVII, concentrandosi<br />
in particolare sul<br />
processo e sugli effetti politici e<br />
estetici della rappresentazione<br />
del re. Hersant si è preoccupato<br />
di analizzare i dispositivi letterari,<br />
pittorici, retorici della rappresentazione<br />
dell’uomo nella<br />
cultura rinascimentale. Didi-<br />
Huberman ha perseguito invece<br />
un progetto di storia e di<br />
antropologia del ritratto considerato<br />
come mito e rito dell’immaginario<br />
occidentale (tra le sue<br />
pubblicazioni, ricordiamo: Devant<br />
l’image. Question posée<br />
aux fins d’une histoire de l’art,<br />
Minuit, Paris 1990; Fra Angelico<br />
-Dissemblance et figuration, Flammarion,<br />
Paris 1990; Le cube et le visage.<br />
Autour d’une sculpture d’Alberto Giacometti,<br />
Macula, Paris 1992).<br />
Altro evento importante in questo contesto<br />
è stata la mostra organizzata da Didi-Huberman<br />
a Jouy-en-Josas dal titolo: “A visage<br />
découvert”, e la pubblicazione dell’omonimo<br />
catalogo (Flammarion, Paris 1992):<br />
ricca messe di immagini e preziosi interventi<br />
di studiosi da tempo interessati a<br />
spiare da più angoli di visuale, se non da<br />
dietro le quinte della faccia, i tratti e i<br />
meccanismi che ne fanno un volto; ricordiamo,<br />
in quest’occasione, oltre ai già menzionati<br />
Marin, Hersant, Didi-Huberman,<br />
gli interventi, fra gli altri, di Jean Clair, di<br />
Xavier Grand. Di concerto questi autori<br />
s’interrogano sui termini e sul piano rilevante<br />
su cui, , «si possa avvicinare - come<br />
scrive Didi-Huberman - il problema del<br />
viso in quanto problema posto all’immagine,<br />
e reciprocamente, il problema dell’im-<br />
INTERVISTA<br />
magine come problema posto al volto».<br />
Domande incrociate, dunque, sullo specifico<br />
dell’uomo a partire da uno sguardo<br />
storico attento alle procedure artistiche della<br />
rappresentazione e, d’altro canto, sulle possibilità<br />
intrinseche ai sistemi di rappresentazione<br />
a partire da una riflessione filosofica<br />
sul significato e sul valore antropologici<br />
del volto. E’ da sottolineare in questi autori,<br />
al di là delle differenze rilevanti, un<br />
“comune stile di pensiero”, un condiviso<br />
orizzonte di interessi e di pratica intellettuale:<br />
in primo luogo, una duplice formazione,<br />
filosofica e letterario-artistica, cioè<br />
una competenza semiologica e un atteggiamento<br />
riflessivo coniugati (felicemente) a<br />
una sensibilità educata dalla frequentazione<br />
assidua e competente con le opere d’arte.<br />
Gli interrogativi sono così posti su un<br />
piano estetico nel duplice senso di teoria<br />
della percezione (e relative valenze antro-<br />
Ritratto d’autore:<br />
le immagini<br />
del mio nome.<br />
Interviste a<br />
Yves Hersant<br />
Louis Marin<br />
di Fosca Mariani Zini<br />
pologiche) e di teoria dell’arte (e implicite<br />
connessioni storiche). All’origine di questa<br />
problematica vi è una “passione predominante”<br />
per il dispositivo della rappresentazione<br />
artistica come piano di convergenza<br />
(ma non di fusione) fra ciò che vi è di più<br />
“spontaneo” (la sensazione, il volto nudo<br />
in particolare) e di più “artificiale” (la figuratività,<br />
il ritratto).<br />
Il volto è stato oggetto, per così dire, anche<br />
di altri approcci: David le Breton ha recentemente<br />
pubblicato lo studio: Des visages.<br />
Essai d’anthropologie (Métaillié, Paris<br />
1992). L’approccio è dunque antropologico,<br />
volto alla ricerca delle vie tramite cui<br />
avvicinarsi (senza aggredire) il “segreto”<br />
del volto, traccia visibile dell’unicità di<br />
ogni avventura personale d’identità, scena<br />
teatrale, la cui «ristrettezza non è certo un<br />
ostacolo alla molteplicità delle combinazioni».<br />
Le Breton cerca di cogliere l’emergenza<br />
del volto come cifra dell’uomo nelle<br />
scansioni delle vicende storico-culturali: il<br />
15<br />
volto infatti non è a suo avviso solo “naturale”,<br />
bensì deve molto, per quanto riguarda<br />
la forma, i movimenti e l’apprezzamento<br />
degli altri, alla dimensione collettiva e<br />
sociale (sul significato antropologico e socialmente<br />
“strutturato” del corpo si veda<br />
dell’autore: Corps et société, Klincksieck,<br />
Paris 1985; Sociologie du corps, PUF, Paris<br />
1992). Il volto è sempre “una composizione”:<br />
in questo senso l’autore analizza<br />
alcuni fenomeni salienti della vita di società<br />
relativi alla “messa in opera “del viso,<br />
quali l’invecchiamento, la bruttezza, la sfigurazione<br />
(per accidente o per crudeltà),<br />
ma anche gli effetti della “massificazione”<br />
del corpo nelle società democratiche.<br />
Uno dei punti di maggior interesse di questo<br />
dibattito riguarda la questione della<br />
nascita del ritratto, in particolare dell’uomo.<br />
Per Le Breton il “sentimento” di avere<br />
un volto è relativamente tardivo nella storia:<br />
nasce con lo spiccato senso<br />
d’individualità che caratterizza<br />
il Quattrocento italiano: «Differenziandosi<br />
dalla comunità,<br />
distinguendosi dal cosmo, l’uomo<br />
colto rinascimentale comin-<br />
cia a considerare la propria incarnazione<br />
come luogo della<br />
propria sovranità. Il corpo in<br />
qualche modo interrompe e permette<br />
di affermare la differenza<br />
individuale che il volto corona».<br />
L’individuo trova il suo<br />
proprio posto alloggiando nel<br />
proprio volto, ritagliandosi uno<br />
spazio rispetto al cosmo, agli<br />
altri e a sé nella misura in cui<br />
anima e corpo, come gemelli<br />
crudeli, tanto si cercano, quanto<br />
si distruggono a vicenda. In<br />
questo senso il ritratto nasce<br />
come celebrazione dell’uomo<br />
colto e potente, dell’uomo che<br />
si può guardare nello specchio<br />
e, se può pagare, farsi ritrarre da<br />
un pittore. Per converso, Hersant,<br />
attraverso un approccio congiunto<br />
alla letteratura e alle arti plastiche, propone<br />
un’interpretazione più nuancée della connessione<br />
fra emergenza dell’individuo e<br />
ritratto. Non solo il Rinascimento è un<br />
orizzonte culturale molto complesso, percorso<br />
dall’interno da più inquietudini e da<br />
differenti visioni del rapporto fa uomo e<br />
cosmo, ma anche l’idea di “ritratto” non è<br />
assegnabile al solo “genere” della pittura.<br />
Fra pittura e scrittura vengono stretti nodi<br />
molto difficili da districare: concorrenza o<br />
compresenza? Radice comune (nella tradizione<br />
retorica) o differenziata (nelle pratiche<br />
specifiche)? La riflessione storico-critica<br />
sul ritratto deve porre su un piano<br />
filosofico le seguenti domande: è possibile<br />
fare il ritratto di un uomo? Esiste forse una<br />
natura specifica dell’uomo? Per Bruno, ad<br />
esempio, è assurdo fare il ritratto di un<br />
uomo, poiché questi partecipa di un’ “infinitudine”<br />
in atto e immanente, che rende<br />
paradossale ogni “arresto” in immagine.
Solo la scrittura è forse adeguata a tale<br />
infinitudine, agli “eroici furori” dell’uomo:<br />
grazie al carattere infinito del discorrere,<br />
al carattere intellettuale e non sensibile<br />
della scrittura, alla mancanza di cornici<br />
e di chiusure come nei quadri o di<br />
rigidità statuarie...<br />
A seconda dei momenti storici e degli autori,<br />
il volto è stato inteso come superficie<br />
“sincera” dell’animo, oppure luogo “menzognero”<br />
per eccellenza. Forse che, nel<br />
primo caso, la rappresentazione “sveli” l’autenticità<br />
del volto? Oppure, è la seconda<br />
ipotesi, raddoppia le ambiguità dell’originaria<br />
menzogna in un gioco vertiginoso in<br />
cui il volto si cancella per far posto a una<br />
maschera?<br />
Marin ha molto lavorato sul nesso rappresentazione<br />
- politica, in particolare sulla<br />
rappresentazione del re. Rifacendosi soprattutto<br />
ai ritratti regali del XVI secolo<br />
(Trouvain, Rigaud, Le Brun), stabilisce un<br />
nesso molto perspicuo fra “rappresentazione<br />
del re e re di rappresentazione”. Il re,<br />
infatti, poserebbe come modello del “principe”,<br />
quale egli è, per acquisire, nella<br />
contemplazione del proprio ritratto, l’immagine<br />
di sé come “monarca”, cioè la pienezza<br />
di una genericità assoluta, un grado<br />
zero, l’immagine di nessuno, di un nessuno<br />
che è pieno «della neutralità di una funzione<br />
il cui nome proprio è re.» Il principe<br />
come modello è disposto a cedere un po'<br />
della sua umanità, divenendo così “impassibilità<br />
contemplativa”, per avere in cambio<br />
l’ostensione di sé come monarca, indossare<br />
finalmente i panni del suo ruolo.<br />
Ma ogni sistema di rappresentazione implica<br />
al suo interno delle falle, dei punti di<br />
corrosione: nella rappresentazione di sé<br />
come potere assoluto, il re contempla e<br />
prende tutta la misura della distanza fra la<br />
rappresentazione del suo potere e il suo<br />
potere effettivo. Il ritratto risarcisce i danni<br />
di un sogno di assoluto potere che non può<br />
che rimanere parziale e affidato al ricordo:<br />
il re guarda lo spettatore perché lo sguardo<br />
di chi è fuori scena salvi, “salvaguardi”<br />
nell’immagine, di un futuro mai abbastanza<br />
possibile, il potere che si vuole assoluto.<br />
Ma il ritratto se può simulare ciò che non è,<br />
ciò che un altro è, non si limita solo ai<br />
giochi della rappresentazione, al contrario,<br />
insiste Marin, non è solo cifra di una perdita<br />
bensì strumento della conoscenza di sé e<br />
dell’altro. Non c’è identificazione che non<br />
passi per simulazione, si potrebbe dire:<br />
incontrandosi, il mio Io e l’Altro entriamo<br />
in una dinamica di simulazione reciproca,<br />
di “simpatia allofagica”; ciascuno assume<br />
sul proprio volto i tratti dell’altro, lo assimila,<br />
captandone il gioco “facciale”, e al<br />
contempo tenta di mettersi a distanza dal<br />
tentativo di assorbimento dell’altro. La simulazione<br />
dell’altro sul mio volto non è<br />
mai perfetta e questo “tirarsi fuori” dall’assorbimento<br />
dell’altro è ciò che ci salva, che<br />
c’impedisce di divenire una maschera. L’incontro<br />
fra due volti, il riflesso fra un volto<br />
e un ritratto non è mai fusione o interscam-<br />
INTERVISTA<br />
bialità: dietro al proprio volto, nella solitudine<br />
perpendicolare dell’anonimato, resta<br />
il luogo, il punto di fuga prospettico in cui<br />
l’identità prende consistenza.<br />
Ci sono strette connessioni fra la morte e il<br />
ritratto. Le Breton sottolinea che solo in<br />
un’interazione sociale e simbolica “gratificante”<br />
un volto può acquisire la propria<br />
espressività. Senza una rete di tal genere<br />
nessuno è in grado di dare un “luogo” ai<br />
propri tratti, di dare al volto il suo ubi<br />
consistam. Non a caso il bambino autista ha<br />
un “viso socialmente incompiuto” e la persona<br />
i cui tratti sono stati sfigurati ha il<br />
sentimento di aver perso se stessa. Peggio<br />
ancora, quando l’odio trova i mezzi per<br />
esercitarsi è sul volto che si accanisce, così<br />
come i campi di concentramento, le inenarrabili<br />
sevizie di tutti i tempi, testimoniano.<br />
Didi-Huberman, lavorando in una prospettiva<br />
antropologica sul significato del visuale/visivo,<br />
mette a punto una possibile convergenza<br />
fra ritratto e morte attraverso la<br />
nozione di vestigia. Prendendo in contropiede<br />
le metafisiche della presenza, Didi-<br />
Huberman considera il ritratto come un<br />
sostituto della presenza nei termini di vestigia,<br />
ossia come quasi-presenza che «pone<br />
la propria referenza solo per dire che ne è<br />
privo, che qualcosa è stato distrutto e dunque<br />
allontanato definitivamente». Da un<br />
punto di vista storico e genetico il ritratto è<br />
nato come genere funerario quindi è vestigia<br />
anche nel senso di traccia lasciata sulla<br />
sabbia. Infine è indice di una rovina, di una<br />
procedura di morte di cui resta come sola<br />
testimonianza il luogo della distruzione.<br />
Didi-Huberman s’interroga allora sui nessi<br />
fra perdita, traccia, luogo in relazione alla<br />
funzione antropologica del ritratto. In particolare,<br />
nelle maschere funerarie come nel<br />
processo di mummificazione, si conserva<br />
l’impronta del viso morto, allorché il viso<br />
“naturale” viene abbandonato alla cenere<br />
di cui è fatto. Proprio perché il volto è<br />
destinato a scomparire, nasce l’esigenza di<br />
conservarne una traccia figurale che gli<br />
sopravviva. Il ritratto metterebbe dunque<br />
in opera non la rappresentazione di un<br />
volto, quanto la sua “scomparsa presentata”.<br />
Il volto sparisce come rappresentazione<br />
(nella rappresentazione), ma la sua traccia<br />
esibita ne conserva l’aura, la sua visualità<br />
paradossale.<br />
Marin, invece, soffermandosi sulle opere<br />
di Philippe de la Campagne, s’interroga sul<br />
significato paradossale del “volto universale”,<br />
sulla persona che non è nessuno<br />
(personne), «volto universale di ciascuno<br />
che la morte di ognuno realizza». Ogni<br />
volto si annulla nel memento mori della<br />
nostra ultima espressione: sguardo vuoto,<br />
bocca aperta senza voce, “maschera di tutti”,<br />
ritratto che trova nell’anonimato della<br />
morte un’immagine (forse la propria); in<br />
altri termini, viso-ritratto di «una esistenza<br />
temporale singolare che acquisisce nella<br />
morte, nell’usura stessa del tempo sul corpo<br />
e sul viso morto, l’eloquenza muta e<br />
irresistibile dell’universale ultima verità<br />
16<br />
della vita».<br />
Quanto al “ritratto delle passioni, “ al di là<br />
dei tentativi della fisiognomia e della patognomia,<br />
o grazie anche a questi tentativi,<br />
come è incline a sostenere Hersant, la macchina<br />
pitturale, la grammatica delle passioni<br />
hanno valore conoscitivo. Non semplice<br />
imitazione o riduzione, la scomposizione<br />
geometrica del volto e l’artificiosa ricomposizione<br />
delle espressioni «ritracciano<br />
come segno ciò che la natura ha tracciato<br />
come indice», non riproducono ingenuamente<br />
somiglianze e analogie, bensì cercano<br />
attraverso l’artificio di tradurre e interpretare<br />
la natura nei suoi elementi essenziali.<br />
Precisa Hersant: «E’ per meglio rivelare<br />
la natura che nelle figure di Le Brun il<br />
gesto “istituito” toglie di mezzo il gesto<br />
“naturale”». Dal canto suo, Didi-Huberman<br />
rileva il carattere metamorfico, cangiante<br />
del volto e la sua inquietante “familiarità”<br />
con immagini ancestrali di voracità,<br />
di eccessiva prossimità e di attività vulcanica.<br />
Il volto, per eccellenza nudo, richiamerebbe<br />
ben altre nudità, altrettanto<br />
“oscene” (nel senso di “davanti alla scena”):<br />
luogo che trasforma lo spazio in cui<br />
compare, scena infernale di disordine e di<br />
effetti violenti, superficie aperta come una<br />
ferita o un frutto, aperta dalla voragine<br />
della bocca, giù a perpendicolo in antichi<br />
fantasmi dove l’alto e il basso si scambiano<br />
in un “magma tellurico”.<br />
Nel ritratto non si tratta tanto di stabilire chi<br />
sia il modello, o se l’artista sia stato “fedele”,<br />
bensì dobbiamo chiederci: Chi è l’autore<br />
del ritratto? Chi ritrae chi? Come si<br />
costituisce l’auctoritas? Marin si è a lungo<br />
occupato di questo aspetto a proposito soprattutto<br />
dell’autoritratto letterario, dell’autobiografia.<br />
Come porsi, infatti, autore di<br />
sé, della propria esistenza? Come scrivere:<br />
“io sono nato” o “io sono morto”, se non<br />
attraverso la machinerie della scrittura?<br />
Macchinazione, congenio, “invenzione” di<br />
figure di enunciazione che, nella loro artificiosità,<br />
innescano un dispositivo di auctoritas,<br />
dando cioè consistenza, spessore e<br />
identità a colui che si cerca nel “luogo” in<br />
cui stare come nome proprio. Molte figure<br />
concorrono a dare immagini a questo nome<br />
proprio, cercato in tutti gli umbratili profili<br />
di noi e degli altri sul muro dell’esistenza.<br />
L’ “io” diviene “me” solo attraverso l’incontro<br />
con l’altro, in incontri però di pura<br />
casualità che non prevedono né progetto,<br />
né riconoscimento dell’altro. Il soggetto<br />
nasce in un incontro “inavvertito” con il<br />
reale: «caso come incidente, accidente come<br />
occasione, il reale che in un istante ci cade<br />
addosso con tutto il suo peso». Ma solo<br />
après coup, quando l’incontro sarà già stato<br />
mancato, e l’occasione risuonerà come<br />
un’eco lontana, solo allora «il reale sarà<br />
passato e il soggetto preso per sempre nella<br />
rete dei segni». L’esperienza, e in particolare<br />
l’esperienza di sé come soggetto consistente,<br />
non si costituisce se non come eco,<br />
risonanza, controchoc di un’occasione che,<br />
persa nel reale, viene messa in forma nelle
“reti di segni”. E’ la voce dell’altro che mi<br />
fa “me”, che apre in me un luogo in cui<br />
possa “consistere” (e non riconoscermi).<br />
Tutto il lavoro all’opera nell’autobiografia<br />
è il tentativo di circoscrivere con i segni<br />
l’emergenza di quel luogo dove il soggetto<br />
ha risuonato per la prima volta come Me.<br />
Hersant, dal canto suo, ha rivendicato la<br />
relazione privilegiata fra ritratto e autorità<br />
piuttosto che fra ritratto e espressione. In<br />
altri termini, il ritratto (pittorico e/o letterario)<br />
metterebbe in forma non tanto una<br />
rappresentazione del volto “naturale”, portandone<br />
in superficie gli “autentici” tratti,<br />
quanto allestirebbe un congenio, una “mac-<br />
“posare”.<br />
Intervista L’allegoria: storicamente trae la sua forza<br />
a:<br />
dalla religione e dalla retorica e si impone<br />
Yves Hersant tanto più queste sono vigorose. Geograficamente,<br />
estende il suo Impero su tutta Europa,<br />
ma più nei paesi cattolici che a Nord. Culturalmente<br />
struttura tutte le rappresentazioni<br />
immaginabili, iconique o verbali, decorative<br />
o persuasive, con fini sia morali che cognitivi,<br />
politici e religiosi. Tecnica intellettuale<br />
al servizio della vertià, quanto tecnica emotiva facendo presa sugli<br />
affetti e le passioni, l’allegoria tende sempre a convertire, insegnare<br />
o convincere. Sotto spoglie umili o raffinate, la nostra cultura le<br />
assegna un ruolo eminentemente didattico: non perché semplifica bensì<br />
perché “intriga”; mettendo in opera una pedagogia del segreto,<br />
l’allegoria fa presentire dei misteri. (Yves Hersant)<br />
D: Lei si definerebbe un intellettuale o un homme de<br />
lettres, i cui molteplici interessi aperti a raggiera sull’attività<br />
retorico-letteraria, sulle modalità di rappresentazione<br />
artistica dell’uomo rinascimentale, sulla storia<br />
della traduzione in Europa, e ancora sull’allegoria,<br />
punterebbero a un ideale di completezza e organicità<br />
culturale?<br />
R: No di certo. Intellettuale è una parola “anacronistica”.<br />
E’ una parola restrittiva e perfino arrogante: cara forse ai<br />
“tuttologi” e forse agli ideologi ma l’intervento ideologico<br />
va bene solo come cittadino. Anche la figura dell’<br />
“homme de lettres” è riduttiva. Sono figure, direi, nostalgiche.<br />
Preferisco avere come riferimento privilegiato la<br />
cultura rinascimentale dove più che un ideale di organicità<br />
e di totalizzazione si tendeva a non porre cesure<br />
profonde e arbitrarie fa le scienze e le arti, le pratiche e le<br />
riflessioni teoriche. Il pensiero circolava liberamente fra<br />
le discipline e sulle strade di Europa. Certo è evidente che<br />
nella storia moderna si è prodotta una rottura tale che<br />
nessuno oggi può prendersi per Pico della Mirandola. In<br />
particolare nelle scienze esatte, dove la specializzazione<br />
è la parola d’ordine.<br />
D: Le rincresce di aver sbagliato epoca?<br />
R: No. Ma da un decennio almeno nel campo delle<br />
scienze umane si parla di un possibile neo-Rinascimento,<br />
o, per meglio dire, vi è un’attenzione crescente<br />
verso alcuni temi centrali del Rinascimento. Due sono<br />
le spinte principali: la prima è un rifiuto deciso del<br />
ghetto disciplinare e dell’ipertrofia della specializza-<br />
INTERVISTA<br />
chinazione” in grado di dare autorità, cioè<br />
di costituire un “autore”. In particolare si è<br />
soffermato sui rapporti fra scrittura e melanconia<br />
per far toccare con mano come<br />
l’autore (anche come l’autore di sé) si costituisca<br />
solo a partire da montaggi, “collages”<br />
di immagini altrui e attraverso l’altrui.<br />
Altri è sia la tradizione letteraria di referenza,<br />
la propria “biblioteca”, sia la scrittura<br />
che costruisce, nel suo discorrere, nel corpo<br />
di un libro il corpo di un autore... E’<br />
impossibile nominare se stessi se non passando<br />
per “travestimenti” successivi, impensabile<br />
consistere in un volto se non a<br />
partire dai mille ritratti possibili che siamo<br />
17<br />
stati e che saremo: a partire, anche, da tutti<br />
coloro a cui abbiamo “rubato” un’immagine,<br />
ricalcato un’impronta, per dimenticare<br />
in fretta loro, per costruire, con calma, noi.<br />
“Ritratti d’autore”, dunque, dove autore<br />
non è sinonimo d’artista, bensì di attore/<br />
agente implicato nella “fabbricazione” artificiosa<br />
della propria immagine “naturale”.<br />
Bizzarra “morale” del ritratto; morale,<br />
ben inteso, par provision: l’elaborazione<br />
dell’artificio verrebbe a “coincidere”, per<br />
coincidentia oppositorum, con l’esibizione<br />
di un naturale mai esistito, ragion per cui<br />
l’acuto Diderot rifiutava l’eventualità di<br />
zione; la seconda riannoda le fila della modernità<br />
all’ideale di una “nuova alleanza” fra domini differenti<br />
delle scienze.<br />
D: Ma questa “nuova alleanza” fra i domini del sapere<br />
parrebbe dipendere da una visione unitaria del cosmo...<br />
R: Per fugare ogni malinteso Le darò una risposta bruniana.<br />
Il cosmo non va pensato come una sfera: il cerchio,<br />
durante il Rinascimento, si è aperto all’infinità dei mondi.<br />
In Bruno non c’è solo la formulazione dell’infinità dei<br />
mondi come teoria cosmologica, bensì viene proposta<br />
una nuova visione dell’uomo: in una parola, il rapporto<br />
all’infinito va di pari passo con gli “eroici furori”, con<br />
l’elevazione e l’affermazione del sé. E’ un rapporto che<br />
decentra il mero io, ma che al contempo implica un’espansione<br />
autentica del soggetto, a condizione che sappia<br />
“attirare” a sé l’infinità del tutto. In questa prospettiva, è<br />
una logica dell'infinito che illuminerebbe la storia umana...<br />
Per contro, l’Umanesimo è stato da noi moderni<br />
spesso banalizzato e ci siamo abituati a pensare le contraddizioni<br />
in modo dialettico e per esclusioni: o è A o è<br />
B. La forza teorica del Rinascimento (e bisognerebbe per<br />
questo ristudiare seriamente Cusano, Bruno...) risiede<br />
nel tentativo di pensare insieme il problema del semplice<br />
e del composto, dell’uno e del molteplice senza portare<br />
soluzioni concettuali, dialettiche, mediatrici. E’ una cultura<br />
tesa al pensiero del cosmo nei termini di e... e, e non<br />
di o... o.<br />
D: Lei sta curando la traduzione francese delle opere di<br />
Giordano Bruno e lei stesso è traduttore non solo di<br />
Bruno, ma anche di numerosi autori antichi e moderni,<br />
fra l’altro anche di scrittori contemporanei italiani come<br />
Camon. Da dove ha origine quest’attività?<br />
R: La traduzione ha a che fare con due grandi problematiche,<br />
l’alterità e la molteplicità, affrontate non solo in<br />
termini astratti e teorici, ma anche nella “fatica” quotidiana<br />
della pratica e del mestiere. La traduzione è un lavoro<br />
complesso, che esula al contempo sia dalla mera imitazione,<br />
sia dal trasformismo, dal travestimento: al contrario,<br />
è cruciale la questione che s’interroga sul fatto se<br />
un traduttore sia a sua volta un autore, il che rinvia al<br />
rapporto fra identità e alterità, medesimo e estraneo/<br />
straniero. Ancora una volta, ritengo molto interessan-
te la visione bruniana della traduzione. Premetto che<br />
si tratta di un pensiero molto difficile da ricostruire<br />
seguendone le tracce nei suoi scritti, così eterogenei<br />
per lingua (italiana o latina) e per argomenti. In ogni<br />
caso due punti mi paiono accertati: da un lato, per<br />
Bruno esiste un rapporto molto perspicuo fra cosmologia<br />
e traduzione, dall’altro, la traduzione richiede<br />
un lavoro inventivo non solo imitativo. La traduzione<br />
implica dunque un particolare rapporto con il mondo:<br />
in una formula si potrebbe dire, con Bruno, che poiché<br />
il mondo è in perpetuo movimento, la traduzione deve<br />
tradurre il cosmo infinito nella dimensione di una<br />
pagina: deve coglierne gli<br />
intrecci, gli intrichi per<br />
meglio dire. Non c’è una<br />
equivalenza fra le cose e<br />
le parole per cui il traduttore<br />
non deve mirare a una<br />
precisione formale e a<br />
un’imitazione “pedante”.<br />
Tradurre è ripetere il gioco<br />
del mondo, liberarne il<br />
senso attraverso la sperimentazione:<br />
da un lato,<br />
quindi il traduttore gravita<br />
attorno all’orbita dell’autore<br />
scelto, non ne indossa<br />
semplicemente i<br />
panni, dall’altro, libera la<br />
pagina dall’immobilità e<br />
dalla rigidità stessa del testo.<br />
E’ un movimento di<br />
va e vieni fra medesimo e<br />
altro, una “caccia” se vuole,<br />
che non esclude una certa<br />
violenza.<br />
D: Ma non teme che questa<br />
gravitazione sia dispersiva,<br />
che sia un momento di<br />
disgregazione dell’io?<br />
R: Preferisco questo rischio<br />
a quello della chiusura, della<br />
rigidità: bisognerebbe<br />
esercitarsi a pensare fuori<br />
dalla logica binomica, oppositiva,<br />
in particolare per quello che riguarda le scienze<br />
sociali. Per quanto mi riguarda cerco, nell’avvicinarmi a<br />
temi estremamente “densi” come l’allegoria o la malinconia,<br />
di privilegiare la complessità, i crocevia, le impurità<br />
se vuole. Il fascino esercitato da autori come Bruno<br />
è dato dalla loro capacità di tirarsi fuori dai binomi<br />
oppositivi, di dare forma al molteplice senza perdere di<br />
vista un punto unitario. Gravitazione dispersiva? Questo<br />
è possibile solo se ci si ostina a pensare a un universo di<br />
senso nei termini di chiusura con un centro ben preciso.<br />
In realtà gli autori del Rinascimento c’ invitano a pensare<br />
a un mondo con più centri, senza una gerarchia prestabilita,<br />
a più orbite, ciascuna delle quali importante e significativa<br />
di per sé. Significa anche fra l’altro prestare<br />
INTERVISTA<br />
Giorgione, La vecchia, Galleria dell’Accademia, Vene-<br />
18<br />
un’attenzione tutta particolare ai dettagli, ai particolari,<br />
sia nel campo delle ricerche storiche, che artistiche. Di<br />
formazione sono un letterato e nel corso degli anni mi<br />
sono sempre di più convinto che i romanzieri hanno<br />
molto da dire sui problemi delle scienze umane. Ai miei<br />
tempi, negli anni ’60, per chi studiava si presentava<br />
questa frattura: da un lato le Belles lettres, dall’altro le<br />
cose serie. In realtà la letteratura, pensi alla concezione<br />
del romanzo di Kundera, ha dato un movimento particolare<br />
alle scienze umane.<br />
D: Ma quale metodo adottare se si privilegiano gli<br />
intrichi, i dettagli?<br />
R: Le potrei dire che il metodo<br />
è “il cammino una<br />
volta che è stato percorso”:<br />
viene après coup. Il mio<br />
fine nella ricerca non è tanto<br />
trovare un metodo quanto<br />
colpire un bersaglio, ossia<br />
fare centro, colpire al<br />
cuore. Lo pseudo Aristotele<br />
scriveva che il «buon arciere<br />
è quello che tira da<br />
lontano»: è una bella metafora<br />
per esprimere il lavoro<br />
della ricerca. Ogni tema<br />
implica più aspetti e variabili,<br />
così che per mirare giusto<br />
occorre porsi a distanza,<br />
aguzzare la vista, scorgere<br />
da lontano anche altri<br />
arcieri, lo storico, il semiologo<br />
per esempio: darsi più<br />
possibilità nella misura in<br />
cui si gode di più punti di<br />
vista. Chi sta troppo vicino<br />
non ha che una possibilità.<br />
D: Ed è così che si svolgono<br />
i suoi seminari sulla<br />
“Storia e critica dell’Umanesimo”,<br />
in particolare<br />
negli due ultimi anni dedicati<br />
all’esame delle teorie<br />
e delle pratiche del ritratto<br />
(pitturale e letterario) nell’Europa del XV e del XVI?<br />
R: Spero. Il seminario sul ritratto è stato motivato dal<br />
tentativo di cogliere, da più punti di vista, (pittorico,<br />
retorico, letterario, filosofico) come l’uomo rinascimentale<br />
concepisse e mettesse in opera nella pratica artistica<br />
la rappresentazione di sé, la propria umanità. Abbiamo<br />
così toccato con mano l’efficacia della mira da lontano,<br />
cogliendo così volta per volta le priorità, le poste in gioco,<br />
le difficoltà teoriche e tecniche dell’autorappresentazione<br />
in ritratti individuali, collettivi, in ritratti fisiognomici<br />
e di carattere, in ritratti di dettagli, negli autoritratti...<br />
Quest’apertura a compasso sul tema del ritratto si è<br />
rivelata estremamente perspicua, in particolare ha evi-
denziato quel rapporto non dialettico e non oppositivo, di<br />
cui Le dicevo, fra uno e molteplice, semplice e complesso,<br />
medesimo e altro, quale cifra possibile di un certo<br />
pensiero e “stile” rinascimentali. Rappresentare l’uomo<br />
significa esibirne l’intima alterità, il suo essere diviso fra<br />
bestialità e divinità. L’uomo porta in sé una dualità<br />
costitutiva e questa è uno dei luoghi comuni dell’artista<br />
rinascimentale, che per definizione è malinconico, sente<br />
lavorare dentro sé un altro: eppure, con il proprio lavoro<br />
creativo, misura e dà forma a questa sofferenza. Ecco<br />
un’altra obiezione all’intellettuale: non c’è solo l’intelletto,<br />
ma anche la psiche, il cuore, l’esprit e il ventre.<br />
D: Anche qui c’è il rischio di una disgregazione fra poli<br />
diversi e anche una mancanza di coerenza, di “fedeltà”<br />
a se stesso da parte del soggetto...<br />
R: Uno dei problemi più affascinanti della cultura rinascimentale<br />
è quello dell’auctoritas, in particolare nella<br />
retorica. In una formula, potrei dire che sono un antiromantico:<br />
non è l’espressione, l’espressività che occupa i<br />
miei interessi. Piuttosto è il problema dell’autore, del<br />
riconoscimento e dell’autoriconoscimento di un autore<br />
nonostante e grazie al decentramento, alla “spezzatura”<br />
dell’io. Non basta, in letteratura, distinguere fra narratore<br />
e autore e fare intervenire l’istanza di enunciazione, se<br />
poi ogni polo si richiude su di sé. Autori come Tasso,<br />
Bruno, sanno intrecciare queste istanze senza chiusure.<br />
La coerenza con se stesso, allora, può essere indice di<br />
ottusità: la “fedeltà” perseguita come un valore rigido<br />
può avere qualcosa d’immorale poiché è la negazione<br />
della costitutiva alterità ospitata dall’individuo, della sua<br />
non coincidenza con sé stesso in ogni istante. Fra la<br />
coerenza come costanza, immobilità, e la disgregazione<br />
non passa un’alternativa, ma una strada, per quanto<br />
stretta, su cui a ogni passo questo problema si ripropone.<br />
D: Un po' “lunatica”...<br />
R: In tristitia hilaris, in hilaritate<br />
tristis”...<br />
Yves Hersant è direttore di ricerca all’Ecole<br />
des Hautes Etudes nel quadro di un<br />
progetto dedicato alla storia e alla critica<br />
della cultura rinascimentale. L’originalità<br />
del suo approccio consiste nel non irrigidirsi<br />
sulle differenze dei generi letterari e<br />
artistici, bensì di studiare di concerto lo<br />
Intervista<br />
a:<br />
Louis Marin<br />
la follia di Ippocrate, La cena delle ceneri<br />
e Il Candelaio di Giordano Bruno, Lezioni<br />
americane di Italo Calvino, Stanze di Giorgio<br />
Agamben, e numerosi romanzi di Ferdinando<br />
Camon.<br />
Ciò che viene chiamato nell’età moderna<br />
“rappresentazione” può essere considerato<br />
come lutto dell’oggetto, del presente e del<br />
reale. In questo senso, ogni rappresentazione<br />
può considerarsi malinconica. Il soggetto mai si consolerà della<br />
perdita del reale, della disappropriazione del mondo. . . La rappre-<br />
INTERVISTA<br />
studio della rappresentazione e il suo significato<br />
nel Rinascimento. La radice comune<br />
infatti di pittura, scultura, scrittura<br />
sarebbe per Hersant da ricercare nella tradizione<br />
retorica.<br />
In questo senso Hersant dirige con altri una<br />
collana, presso le edizione Belles Lettres di<br />
Parigi, dal titolo: “Le corps éloquent”, che<br />
si occupa di tradurre e pubblicare dei testi<br />
brevi, ma preziosi, in cui la relazione per-<br />
19<br />
D: E’ questa non fedeltà con sé stesso, quest’alterità<br />
intima che la “seduce”? Mi riferisco al fatto che Lei sta<br />
preparando per le edizioni Fayard un libro dal titolo: La<br />
séduction mélancolique, e con Jackie Pigeaud un testo<br />
sulla storia del concetto della malinconia fino a Freud,<br />
escluso.<br />
R: Sì. In primo luogo la malinconia è il luogo di quest’alterità<br />
intima: il malinconico, soprattutto il genio artistico,<br />
soffrendo si scopre diverso, ingaggia una lotta con sé,<br />
anima e corpo direi, spiando nella propria carne il lato<br />
animale, vegetale non animato, in una parola. Ma se da un<br />
lato la malinconia è paralisi, chiusura, non riconoscimento,<br />
dall’altro è strettamente intrecciata al piano culturale;<br />
è per così dire l’accesso privilegiato alla creatività culturale.<br />
Uno dei problemi centrali della malinconia è relativo<br />
al rapporto fra sofferenza e cultura: come mai la<br />
malinconia che può essere anche un minus, poiché l’uomo<br />
malinconico si rivela bestiale, duplice, irretito dagli<br />
“umori”, è anche “culturizzante”? La malinconia è questo<br />
mélange fra determinazioni fisiologiche, umorali e<br />
psicologiche (in senso lato), e non un’ispirazione divina<br />
che spinge a divenire altro da sé per folgorazioni, scatti<br />
violenti, momenti di discontinuità e ad accedere alla<br />
creazione artistica. Ma la malinconia al lavoro non ha a<br />
che fare con il lavoro del lutto freudiano: si tratta di un<br />
particolare rapporto fra corpo e anima, fra sé e mondo,<br />
che non mira a ricomporre le fratture o a convivere con gli<br />
scacchi dell’esistenza. Al contrario, si nutre delle ambivalenze,<br />
gioca sugli e con gli eccessi; può essere, paradossalmente,<br />
coincidenza degli opposti e mettere così<br />
insieme senza dialettizzarli il lato bestiale e il lato divino<br />
dell’uomo, le luci e le ombre. Per questo la malinconia<br />
“seduce” e può essere pericolosa per chi ne viene a<br />
contatto, perché è mille miglia lontana dalla mediocritas.<br />
E’ alterità e identità, unica e molteplice...<br />
spicua fra figura e discorso è tematizzata<br />
esplicitamente (fra gli autori di questa collana:<br />
Luciano, Gorgia, Amyot, De Vega,<br />
Tesauro, Tasso). Sempre per le edizioni<br />
Belles lettres, sta curando l’edizione completa<br />
delle opere di Giordano Bruno. Direttore<br />
del “Centre Europe” si occupa fra altro<br />
di un seminario sulla storia della traduzione:<br />
traduttore a sua volta dal greco, dal<br />
latino, dall’italiano e dall’inglese (tra le sue<br />
traduzioni ricordiamo, fra altro: Sul riso e<br />
sentazione rigiocherà indefinitivamente, nelle immagini, nei ritratti,<br />
nei racconti la fine di questa perdita. (Louis Marin)<br />
D: Qual è il filo rosso che lega la molteplicità dei suoi<br />
interessi?<br />
R: Quando divenni direttore di ricerca nel 1977, il mio<br />
progetto riguardava il sistema, o meglio i sistemi rappresentativi<br />
nell’epoca moderna. La rappresentazione è al<br />
centro del mio lavoro; in primo luogo perché è la cifra, la<br />
nozione chiave dell’epoca moderna, non modernista, ben
inteso. Le questioni cruciali del XVII secolo, la filosofia<br />
del soggetto, il rapporto fra imitazione e rappresentazione,<br />
l’attività di giudizio, sono state messe in opera dagli<br />
artisti, prima che dai filosofi. E così le opere artistiche, sia<br />
letterarie, sia pittoriche, architettoniche... hanno preceduto<br />
le formule filosofiche. Certo i sistemi di rappresentazione,<br />
pittorica, letteraria ecc. non sono stati sincronici<br />
per ispirazione, mezzi, contenuti, e questo spiega la<br />
“polivalenza” dei sistemi rappresentativi e anche dei miei<br />
interessi di ricerca. Per esempio il problema della rappresentazione<br />
è cruciale nel XVII-XVIII secolo anche nel<br />
dominio del politico: l’efficacia del potere è connessa<br />
anche alla sua teatralizzazione<br />
e alla messa in scena<br />
di questo potere. In questo<br />
senso è particolarmente intrigante<br />
il rapporto fra potere<br />
e rappresentazione nel<br />
caso del ritratto del re: storiografia,<br />
ritratti ufficiali,<br />
discorso, elogio del re...,<br />
tutto ciò concorre alla messa<br />
in scena del potere regale<br />
grazie alla forza della<br />
rappresentazione.<br />
D: Ma questa nozione di<br />
rappresentazione, e la costellazione<br />
che comporta<br />
volta per volta a livello storico<br />
e culturale, non manca<br />
forse di una dimensione<br />
critica?<br />
R: Di primo acchito il mio<br />
lavoro parrebbe sprovvisto<br />
di una dimensione critica.<br />
Certo non mi pongo rispetto<br />
a un problema artisticoculturale<br />
della modernità<br />
come un giudice o un arbitro.<br />
Non mi pongo dal di<br />
fuori, dall’esterno. Ma questo<br />
non significa non avvalersi<br />
di un punto di vista<br />
critico. Al contrario, ritengo<br />
che ogni sistema di rappresentazione<br />
implichi nel proprio funzionamento la<br />
propria messa in questione, comportando un’interrogazione<br />
costitutiva e una critica interna sui propri assunti,<br />
mezzi, contenuti: nessun sistema è perfetto; comporta<br />
anzi dei punti deboli, qualcosa anche di “mancato” che<br />
non è riducibile alla semplice accidentalità o alla anedottica.<br />
La costruzione di un dispositivo implica la propria<br />
decostruzione, la messa in dubbio, l’esercizio dell’interrogazione,<br />
la ricerca delle sfumature e delle falle... Questo<br />
vacillare, ondeggiare di ogni sistema richiede uno<br />
sguardo archeologico: in primo piano si pone la dimensione<br />
deconstruttiva dell’impianto della rappresentazione.<br />
Pensi alla riflessione di Pascal riguardo alla logica di<br />
Port Royal: la sua è una critica dall’interno, uno smantel-<br />
INTERVISTA<br />
Albrecht Dürer, San Gerolamo, Museo di Arte Antica,<br />
20<br />
lamento raffinato dei dispositivi di pensiero, in particolare<br />
dell’Eucarestia. La sua non è una critica, per così dire,<br />
dell’ideologia, quanto una critica di secondo grado della<br />
rappresentazione. In una formula: la filosofia della rappresentazione<br />
comporta ed è la critica di se stessa. Riprendendo<br />
un certo lascito foucaultiano direi che il mio<br />
lavoro di ricerca si avvale anche di una prospettiva critica<br />
ed è volto allo studio di un’epistéme della rappresentazione.<br />
D: Ma questo stile di ricerca volto alla costruzionedecostruzione<br />
di dispositivi di rappresentazione così<br />
differenti fra loro, a seconda<br />
delle epoche e dei mezzi,<br />
pittorici, letterari ecc., implica<br />
forse un lavoro “micrologico”,<br />
un’attenzione<br />
tutta particolare ai dettagli<br />
che potrebbe forse tralasciare<br />
una visione più globale?<br />
Un lavoro, insomma,<br />
di pura “erudizione”...<br />
R: E’ forse curioso e paradossale,<br />
ma per dare forza<br />
a una critica storico-sociale<br />
della rappresentazione<br />
da un punto di vista<br />
esterno, bisogna a mio<br />
avviso esercitarsi a fondo<br />
in una critica della sua logica<br />
immanente. Si è spesso<br />
rimproverato agli strutturalisti<br />
di trascurare<br />
l’esteriorità, il contesto,<br />
il quadro storico, ma io<br />
credo che entrando nel<br />
cuore dei problemi, per<br />
un approccio ravvicinato,<br />
microscopico, si debba ridisegnarne<br />
il profilo storico,<br />
contestualizzarli. La<br />
sola analisi della ricezione<br />
non è sufficiente.<br />
D: A proposito di strutturalismo,<br />
vorrei chiederle<br />
come è avvenuto il suo ingresso all’Ecole Hautes Etudes,<br />
nata in opposizione agli studi accademici di filosofia, di<br />
letteratura.<br />
R: La mia formazione è filosofica e... direi agregé e<br />
normalien. La tesi di dottorato riguardava la logica di<br />
Port Royal. Per ragioni biografiche e esigenze intellettuali<br />
mi sono interessato al pensiero di Merleau-Ponty, in<br />
particolare alla sua riflessione sulle strutture di comportamento<br />
corporali. Con Greimas abbiamo intravisto poi<br />
di sviluppare una semantica strutturale a partire appunto<br />
dal comportamento. Ha preso così forma un progetto<br />
volto ad articolare una ricerca filosofica a partire da una<br />
formazione, all’epoca ancora pionieristica, linguistica e
semantica. L’interesse allora per le scienze sociali, e<br />
in particolare per la rappresentazione “visiva” artistica,<br />
è venuto direi naturalmente. Con Barthes ho lavorato<br />
in seguito sul racconto evangelico e sulla semantica<br />
delle passioni. Questo incrocio fecondo di approcci,<br />
filosofico e semiologico, ancorato al piano<br />
storico è un po' la cifra delle ricerche all’Ecole che<br />
privilegiano l’interdisciplinarietà, le transizioni e le<br />
passerelle fra i domini storici, artistici, semiologici,<br />
filosofici: la filosofia stessa si definisce in un rapporto<br />
complesso con le scienze sociali, la letteratura, la<br />
storia dell’arte.<br />
D: Cosa può trovare uno studente, un ricercatore nella<br />
comunità scientifica dell’Ecole?<br />
R: Un certo piacere nella ricerca, una certa creatività.<br />
Infatti l’oggetto della ricerca da parte degli studenti e dei<br />
ricercatori è spesso costruito e non trovato nel repertorio<br />
dei soggetti classici. Si costruisce un oggetto a partire da<br />
intuizioni, ipotesi spesso di confine tra domini differenti,<br />
sollecitate da interrogativi incrociati sulla storia dell’arte,<br />
sulla rappresentazione, sulle poste in gioco teoricofilosofiche.<br />
In più, si privilegia lo scambio, il dialogo in<br />
piccoli gruppi di ricerca, in seminari: io stesso con i miei<br />
studenti di dottorato mi considero semplicemente un<br />
unus inter pares.<br />
D: Vorrei porLe qualche domanda sui temi a cui ha dedicato<br />
una particolare attenzione. L’utopia per esempio...<br />
R: Il tema dell’utopia mi è particolarmente caro. Nel<br />
quadro di una storia della rappresentazione offre una<br />
complessità molto significativa. Da un lato l’utopia è un<br />
ritratto, una topografia per quanto immaginaria: Lei sa<br />
infatti che nel XVII secolo la mappa di una città si<br />
chiamava “ritratto” e questo nesso fra mappa, tratti e<br />
ritratto mi pare molto perspicuo nel campo della rappresentazione<br />
come attività spirituale, artistica, tecnica...<br />
D’altro lato, nel transfert dell’utopia immaginaria alcuni<br />
tratti cadono, vengono tralasciati, così che la “realtà” si<br />
trova spiazzata, posta su un altro piano, su un secondo<br />
grado di rappresentazione. Nel caso dell’utopia, penso al<br />
testo principe, l’ Utopia di More, la mappa-ritratto che fa<br />
vedere il “luogo” è senza luogo, è una finzione, un<br />
façonnement e un modelage del luogo e dello spazio.<br />
L’utopia è un ritratto mobile, un prodotto attivo proprio<br />
per la sua messa in forma paradossale di realtà e di<br />
finzione nel cuore della medesima rappresentazione. E’<br />
un vulcano in attività.<br />
D: A proposito della mappa-ritratto dell’utopia senza<br />
luogo, Lei pensa all’utopia come il ritratto possibile di<br />
una promessa di felicità? Potrebbe essere anche una<br />
falsa promessa, un’illusione...<br />
R: La finzione utopica non è solo un ritratto bensì il<br />
ritratto di una realtà virtuale. Non si tratta di una semplice<br />
proiezione o di evasione: riprendendo la nozione di<br />
utopia di Bloch, in particolare quella contenuta in Tracce,<br />
direi che l’utopia si presenta, per tracce, come attesa, e<br />
INTERVISTA<br />
21<br />
anticipazione al contempo, di una realtà virtuale a venire.<br />
Questo virtuale è in ogni caso il possibile, la latenza e la<br />
forza che giacciono in potenza nella società presente. La<br />
promessa di felicità risiede nella finzione, non nella<br />
rappresentazione tout court: nella messa in gioco dello<br />
spazio utopico, che è un non luogo, nelle tracce paradossali<br />
della speranza.<br />
D: Nella prospettiva della ricerca sul ritratto e sulla<br />
rappresentazione, l’autoritratto così come l’autobiografia<br />
costituiscono un tema privilegiato e ricco d’insidie...<br />
R: E’ uno dei miei interessi principali: nell’autoritratto<br />
c’è qualcosa di vertiginoso, poiché esso costituisce<br />
il culmine del funzionamento della rappresentazione:<br />
qui è il soggetto della presentazione che si autorappresenta.<br />
Il movimento riflessivo raggiunge il suo punto<br />
di maggior tensione: si ha come un tourniquet, nel<br />
senso che il dispositivo di rappresentazione può perfino<br />
incepparsi. L’autoritratto implica il problema del<br />
soggetto dell’enunciazione; nell’autobiografia le pratiche<br />
di scrittura istituiscono spesso un soggetto simulacro<br />
dell’enunciazione, che non può mai apparire<br />
come soggetto d’enunciato. Il problema è come scrivere<br />
la propria autobiografia, come trasformare l’io in<br />
oggetto rappresentato. Ecco allora intervenire la scrittura<br />
come “macchinazione”, che permette di captare,<br />
intercettare il soggetto dell’enunciazione come tale. Pensi<br />
per esempio a Sant’Agostino, alla sua conversione: è<br />
come se, nelle Confessioni, un’altra voce di se stesso<br />
gli permettesse di parlare di sé. Si tratta di una voce<br />
infantile, di un ritornello di altri tempi tolle lege: un<br />
buco, un bianco nel testo, per dire questo altro da sé<br />
che è pur sempre il sé della propria biografia. <strong>Numero</strong>si<br />
sono gli esempi di scrittura autobiografica: Stendhal,<br />
Montaigne..., in cui la nozione chiave è quella<br />
del soggetto dell’enunciazione che nella narrazione,<br />
come sottolineava Benveniste, viene in qualche modo<br />
nascosto, occultato. Così, per il pittore la questione<br />
cruciale è: quale soggetto dipingere? In quale momento<br />
della vita? Ogni autoritratto “negozia” una duplice relazione,<br />
con la propria vita e con la propria morte, da parte<br />
di un soggetto che le enuncia, senza avere il ricordo<br />
dell’inizio, né l’esperienza della fine.<br />
D: Questa distanza fra vita e morte che il soggetto<br />
deve “negoziare” per autorappresentarsi rinvia a un<br />
terzo elemento, mi sembra, fra medesimo e altro, a<br />
un’istanza neutra. Non a caso per esempio in Lectures<br />
traversières non pochi interventi sono dedicati a queste<br />
istanze “neutre”: l’angelo, l’androgino, l’utopico.<br />
Cosa significa quest’attenzione per il “neutro”: è<br />
forse un’istanza polemica rispetto alle filosofie della<br />
rappresentazione dualistiche, binomiche, centrate<br />
sull’opposizione originale-copia?<br />
R: L’attenzione per l’istanza neutra, terza, è per me un<br />
punto di inizio, non un fine in se stesso. E’ la ricerca di un<br />
polo non sintetico, non mediatore che rifiuti ogni pensiero<br />
binario di stile strutturalista centrato sull’opposizione<br />
dei contrari. Il neutro è appunto la negazione simultanea<br />
dei contrari e non la semplice negazione dialettica:
l’androgino è il terzo sesso, che non è un sesso, l’angelo<br />
non è umano, né del tutto divino... In altri termini è la<br />
ricerca di uno spazio attivo, non inerte, in grado di<br />
cogliere la differenza generica, la cifra di un’origine<br />
come fondamento “critico”. In questo momento penso a<br />
Deleuze, a Differenza e ripetizione: qualcosa come un<br />
effondrement, l’apertura di uno scarto. Tutto ciò a condi-<br />
ciazione sarebbe un neutro anonimo,<br />
identificato solo dalla macchinazione<br />
letteraria, o quanto meno artistica?<br />
R: Eh sì! In fin dei conti è il “non” che<br />
identifica. Pascal potrebbe fornire una<br />
risposta. Pensi al suo modo di firmarsi:<br />
Pascal, Damas, Jesus... C’è quasi<br />
un’estenuazione del nome, una struttura<br />
intessuta di ossimori per nominare<br />
il nome dell’altro. Per esempio<br />
Salomone come re saggio e Gesù<br />
come saggio folle, solo che Salomone<br />
ha bisogno della lettera s (jesus),<br />
che è la lettera mancante, il neutro e<br />
l’anonimo. In primo piano balzerebbe<br />
il ritratto anonimo della scrittura.<br />
Louis Marin è scomparso a Parigi il 29<br />
ottobre 1992. Possiamo leggere in molte<br />
sue pagine, suggerisce Jacques Derrida,<br />
«una meditazione - ostinata, infaticabile,<br />
rinnovata - su tutte le figure, esperienze<br />
o approcci riguardanti la morte, il lutto e<br />
la sopravvivenza». Meditazione<br />
incrociata, fin dall’inizio, nella<br />
riflessione al contempo filosofica e<br />
storica sui sistemi di rappresentazione<br />
(filosofici, artistici, retorici, politici)<br />
dell’epoca classica. Forte di un pensiero<br />
diamantino e di una spiccata intuitività,<br />
Marin ha inteso i sistemi di<br />
rappresentazione non nella prospettiva<br />
strette di mani e d’infinita pazienza,<br />
studioso entusiasta, ma ponderato, Louis<br />
Marin ha lasciato un exemplum felice di<br />
pensatore che va dritto al cuore e al<br />
cuore dell’intelligenza. L’ultima pagina<br />
di Lectures traversières riporta, isolata,<br />
una citazione di Pascal che così recita:<br />
«Je n’admire point l’excès d’une vertu,<br />
comme de la valeur, si je n’en vois en<br />
même temps l’excès de la vertu opposée,<br />
comme en Epaminondas, qui avait<br />
l’extrême valeur et l’extrême bénignité.<br />
Car, autrement, ce n’est pas monter, c’est<br />
tomber. On ne montre pas sa grandeur<br />
pour être à une extrêmité, mais bien en<br />
touchant les deux à la fois et remplissant<br />
tout l’entre-deux. Mais peut-être que ce<br />
n’est qu’un soudain mouvement de l’âme<br />
INTERVISTA<br />
esclusiva di una teoria dell’arte o di una<br />
semiotica della rappresentazione, bensì<br />
ha coniugato strumenti semiotici,<br />
duttilità retorica, rigore filosofico, colpo<br />
d’occhio e sensibilità artistica, per<br />
interrogare e cogliere sul fatto le<br />
sovrastratificazioni di senso della<br />
rappresentazione, i “trabo-cchetti” della<br />
narrazione, i “doppi fondi” della pittura,<br />
gli effetti politici dell’im-magine. Potere<br />
seduttivo, a volte ingan-natore,<br />
dell’immagine, come Marin ha<br />
dimostrato nel suo studio Le portrait du<br />
roi (1985), una delle opere più originali<br />
degli ultimi anni. Ma l’immagine e la<br />
pittura (gli amati Poussin, Philippe de la<br />
Champaigne) non devono far dimenticare<br />
i suoi studi incisivi sul linguaggio, a<br />
partire dalla logica di Port Royal (La<br />
logique du discours. Les Pensées de<br />
Pascal et la logique de Port-Royal,<br />
1975).<br />
Attento alle falle e ai complessi<br />
dispositivi dell’enunciazione, Marin si è<br />
a lungo occupato del problema della<br />
”auto-biografia”, in cui più perspicuo è<br />
il nesso fra enunciato e enunciazione.<br />
Qui la rappresentazione mette in opera<br />
una voix excommuniée (La voix<br />
excommuniée. Essai de mémoire, 1983);<br />
la scrittura s’ingegna a restituire l’attimo<br />
sorgivo del proprio sé nella necessaria,<br />
ma imbaraz-zante permanenza dei segni.<br />
Gli studi consacrati alle Confessioni di<br />
Sant’Ago-stino, a Rousseau, a Montaigne<br />
hanno davvero “fatto scuola”.<br />
Bibliografia delle opere in volume<br />
de l’un à l’autre de ces extrêmes, et<br />
qu’elle n’est jamais qu’en un point,<br />
comme le tison de feu. - Soit, mais au<br />
moins cela marque l’agilité de l’âme, si<br />
cela n’en marque l’étendue» (Pensées,<br />
Brunschvicg, 353).<br />
Etudes Sémiologiques.<br />
Ecritures, peintures,<br />
Klincksieck, Parigi 1971<br />
Sémiotique de la passion,<br />
Aubier, Parigi 1972<br />
Le récit évangélique,<br />
Aubier, Parigi 1973<br />
22<br />
zione che il neutro sia pensato come una potenza anche<br />
terrifica di neutralizzazione dei contrari, una forza corros<br />
i v a .<br />
D: Sembrerebbe quasi che l’ultima parola sull’autoritratto<br />
sia l’anonimato: il soggetto autentico dell’enun-<br />
Lo sguardo acuto e penetrante di Marin<br />
si è posato anche sulle dinamiche proprie<br />
allo spazio figurale e pittorico: fra gli<br />
altri, campeggia un testo maggiore,<br />
riferimento obbligato per filosofi e storici<br />
dell’arte: Opacité de la peinture. Essai<br />
sur la représentation au Quattrocento<br />
(1989). Qui il termine “opacità” non<br />
concede nulla all’ineffabilità o a<br />
generiche invisibilità dietro la superficie<br />
dipinta. Al contrario, Marin vuole<br />
dimostrare come con materiale visibile<br />
(figure, colori, disegno ecc.) la pittura<br />
riesca a mettere in opera l’invisibile, le<br />
incertezze inquietanti. Opaca è la natura<br />
del segno, che può essere al contempo<br />
cosa e rappre-sentazione, dando luogo a<br />
traspa-renze offuscate e a presenze<br />
diafane, che lasciano intravvedere come<br />
segno ciò che nascon-dono come cosa.<br />
L’intensa attività culturale, la familiarità<br />
con la scrittura, la forte impronta da lui<br />
lasciata su colleghi, studiosi e allievi, è<br />
dovuta alla sua «intelligenza luminosa e<br />
generosa», come sottolinea Derrida, alla<br />
sua disponibilità «sempre pronta a<br />
comunicare l’entusiasmo della scoperta<br />
e a restituire l’impressione del primo<br />
mattino». La stima condivisa per l’opera<br />
di Marin è motivata, osserva Hubert<br />
Damisch, dal carattere “polimorfo”, ma<br />
rigorosissimo, delle sue ricerche.<br />
Filosofo sofisticato ma cristallino, Marin<br />
era personaggio pubblico estraneo a ogni<br />
eccesso o snobismo. Uomo dalle vigorose<br />
Utopiques, jeux d’espaces,<br />
Minuit, Parigi 1973<br />
La critique du discours.<br />
Etude sur les pensées de Pascal<br />
et la logique du Port-Royal,<br />
Minuit, Parigi 1975<br />
Détruire la peinture,<br />
Galilée, Parigi 1977<br />
Le récit est un piège,<br />
Minuit, Parigi 1978<br />
La voix excommuniée.<br />
Essai de mémoire,<br />
Galilée, Parigi 1983<br />
Le portrait du Roi,
Veracità della conoscenza<br />
LA VÉRACITÉ. ESSAI DE PHILOSOPHIE NÉGATIVE<br />
(La veracità. Saggio di filosofia negativa,<br />
Verdier, Parigi <strong>1993</strong>) recita il titolo<br />
del libro di Guy Lardreau, che raccoglie<br />
in sistema gli elementi sparsi del<br />
suo pensiero.<br />
Con quest’opera Guy Lardreau, che ha<br />
conosciuto la militanza politica nelle file<br />
della sinistra maoista e si è poi isolato in un<br />
silenzio di riflessione e di approfondimento<br />
di alcuni motivi fondamentali del suo<br />
pensiero, ne propone qui una sintesi libera<br />
da «qualsiasi preoccupazione apologetica,<br />
da alcun obbligo di marcare una continuità».<br />
Nessuna nota, nessun apparato critico<br />
supporta il testo di Lardreau, che della sua<br />
concezione rivendica un carattere non dimostrativo,<br />
ma “sinfonico”, dove gli autori<br />
classici della filosofia sono convocati -<br />
così afferma l’autore - «non per essere<br />
chiariti, ma soltanto nel momento in cui mi<br />
fanno luce».<br />
La critica della conoscenza, che l’autore<br />
propone opponendo il concetto di veracità<br />
a quello - più ontologicamente marcato - di<br />
verità, segnala un impianto filosofico kantiano,<br />
evidente nella tripartizione dei capitoli<br />
dell’opera, che trattano rispettivamente<br />
dell’attività teoretica, pratica (morale e<br />
politica) e poetica. A dare unità a queste<br />
diverse caratterizzazioni dell’agire è il soggetto,<br />
cui spetta un ruolo costitutivo: «A<br />
questo titolo - sostiene l’autore - la filosofia<br />
proposta accetterebbe volentieri (...) d’essere<br />
considerata una filosofia della spontaneità».<br />
In questa prospettiva viene ripresa<br />
l’analisi lacaniana del discorso razionale in<br />
funzione del nodo costituito dal Reale, dal<br />
Simbolico e dall’Immaginario. La caratterizzazione<br />
“negativa” della filosofia risiederebbe<br />
nell’assunzione razionale dei limiti<br />
della razionalità e nella consapevolezza<br />
che il Reale non è la realtà.<br />
Lontano dalle illusioni di un sapere che<br />
progredisce verso la conoscenza ultima,<br />
come pure da vie di fuga già vanamente<br />
battute: le strade della rivelazione mistica o<br />
dell’indifferenza del relativismo, Lardreau<br />
sostiene il carattere di verità razionale della<br />
filosofia negativa, dal momento «che la Ragione<br />
esige nientedimeno che il prendere su<br />
AUTORI E IDEE<br />
AUTORI E IDEE<br />
di sé la propria negazione». Una negatività<br />
che ha una dimensione ad un tempo esistenziale<br />
e ontologica; gli uomini infatti, davanti<br />
all’esistenza, provano qualcosa «come l’effetto<br />
di una caduta, che non ha soltanto<br />
“avuto luogo”, ma che dura; caduta continua,<br />
(...) che certo non è altro che la loro<br />
maniera di accedere al tempo». Appartiene<br />
dunque all’uomo un sentimento nostalgico,<br />
eminentemente negativo, che - come<br />
vuole Lardreau - esprime il modo attraverso<br />
il quale «l’anima tiene al reale». E.N.<br />
I luoghi della memoria<br />
Ultimo tomo di un considerevole lavoro<br />
storico-enciclopedico, LES LIEUX<br />
DE LA MÉMOIRE (I luoghi della memoria),<br />
diretto da Pierre Nora, è stato da poco<br />
pubblicato in tre volumi LES FRANCE. I:<br />
CONFLITS ET PARTAGES; II: TRADITIONS; III: DE<br />
L’ARCHIVE À L’EMBLÈME (Le Francie. I:<br />
Conflitti e divisioni; II: Tradizioni; III:<br />
Dall’archivio all’emblema, Gallimard,<br />
Paris <strong>1993</strong>). Questo progetto colossale<br />
(ogni volume consta di un migliaio<br />
di pagine), nato nel 1984, si caratterizza<br />
per un particolare modo di scrivere<br />
e di elaborare la storia a partire non<br />
dai “fatti” bensì dalle “rappresentazioni”<br />
collettive, “luoghi della memoria”<br />
come monumenti, celebrazioni,<br />
emblemi, folklore, culinaria, che nel<br />
loro insieme costituirebbero un’autentica<br />
“identità” nazionale.<br />
Pierre Nora è l’iniziatore e il direttore di<br />
questo monumentale progetto. Ben inteso:<br />
“monumentale” in senso letterale, visto<br />
che si tratta di un’impresa mirante a reperire<br />
i punti di cristallizzazione della memoria<br />
nazionale francese, in primo luogo i monumenti,<br />
o per meglio dire la memoria fissatasi<br />
in “monumento”: Panthéon, piazze<br />
celebrative, archi, piramidi, centri culturali;<br />
ma anche, feste, emblemi, specialità<br />
gastronimiche, costumi sociali...<br />
Il primo volume, Conflits et partages, porta<br />
non tanto sull’unità nazionale, quanto<br />
sui conflitti e sulle divisioni della memoria<br />
nazionale. La storia francese pare così rias-<br />
23<br />
sumersi attraverso coppie antagoniste, ma<br />
inseparabili: franchi e galli, cattolici e laici,<br />
cattolici e ugonotti, “gaullistes” e comunisti,<br />
metropolitani (o meglio: parigini) e non<br />
metropolitani (la “France profonde”). Il<br />
secondo volume, Traditions, tratta delle<br />
“tradizioni”. Tradizione - afferma Nora - è<br />
«una memoria divenuta storicamente cosciente<br />
di sé». In questo modo si declina<br />
una Francia ancorata alle proprie tradizioni<br />
locali, presa fra una memoria a volte obsoleta<br />
e il tentativo di rivitalizzare le proprie<br />
radici. Il terzo volume, De l’archive à l’emblème,<br />
parrebbe una “duplicazione” interna<br />
alla problematica della memoria: archivi<br />
e emblemi. Se il primo termine porta<br />
soprattutto sui luoghi più “discreti” della<br />
memoria nazionale (registri notarili, archivi<br />
amministrativi...), il secondo è centrato<br />
sulla memoria “simbolica”, sugli “hauts<br />
lieux”: personaggi, bandiere, emblemi,<br />
monumenti che rappresentano la “mitologia<br />
nazionale”. Conclude il volume la riflessione<br />
sul “genio” della lingua francese,<br />
sicuramente il luogo della memoria più<br />
consensuale.<br />
Una serie nutrita di incontri e dibattiti di<br />
ogni genere hanno registrato un vivo interesse<br />
per quest’archiviazione monumentale<br />
della memoria nazionale, ma anche ne<br />
hanno sottolineato i punti critici. Molto<br />
critica nei confronti di quest’opera è stata la<br />
storica Arlette Farge, la quale ha qualificato<br />
il metodo storico usato per questi<br />
Lieux come “imperialista”: esso costringerebbe<br />
lo storico a curvarsi sul nazionale<br />
(nazionalistico?), cristallizzandosi nell’autocelebrazione<br />
(pericolosissima) del passato.<br />
Anche a Georges Duby questo ripiegamento<br />
su di sé, che esclude lo sguardo di<br />
altre memorie (gli stranieri in e fuori dalla<br />
Francia; l’analisi comparitivistica fra memorie<br />
di diversi paesi, fra l’Europa e l’Oriente<br />
ecc...) non è affatto apparso un segno di<br />
buona salute.<br />
A queste accuse Pierre Nora si difende<br />
sostenendo che questo sguardo mnestico è<br />
un atto di modestia, connesso a un forte<br />
senso del “presente”. La storia tradizionale<br />
infatti, volta a cogliere quanto del passato<br />
potesse essere utile all’avvenire (sotto forma<br />
di: restaurazione, progresso, rivoluzione)<br />
è obsoleta, poiché il futuro stesso pare<br />
sempre vecchio e mai prossimo. F.M.Z.
L’ultimo francofortese<br />
All’età di novantadue anni, è scomparso<br />
il 21 gennaio <strong>1993</strong> Leo Löwenthal.<br />
<strong>Studi</strong>oso di sociologia della letteratura<br />
e di storia della cultura, analista<br />
e critico della cultura di massa e<br />
dell’industria culturale, Löwenthal era<br />
considerato l’ultimo esponente della<br />
Scuola di Francoforte della generazione<br />
di Adorno, Benjamin, Horkheimer<br />
e Marcuse.<br />
Rispetto agli altri esponenti del gruppo di<br />
pensatori dell’Institut für Sozialforschung<br />
di Francoforte, Leo Löwenthal godeva di<br />
una relativa fama. In Italia, ad esempio,<br />
dove i pensatori francofortesi sono stati<br />
oggetto di un vero e proprio culto, la sua<br />
opera principale, Literature and the Image<br />
of Man (La letteratura e l’immagine dell’uomo,<br />
1957), non è mai stata tradotta e<br />
altri suoi lavori hanno attirato l’attenzione<br />
solo di piccoli editori: Letteratura, cultura<br />
popolare e società (Liguori), Per una teoria<br />
critica della letteratura (Flaccovio), Il<br />
rogo dei libri (Il Melangolo), L’integrità<br />
degli intellettuali (Solfanelli).<br />
Fedele all’immagine dell’intellettuale critico<br />
e radicale, cara anche agli altri esponenti<br />
del gruppo francofortese, Löwenthal<br />
metteva in guardia dal considerare lui e i<br />
suoi illustri amici come parte di una “scuola”,<br />
ed evidenziava come ciò che accomunava<br />
personaggi come Adorno, Benjamin e<br />
Marcuse fosse lo spirito di indipendenza e<br />
l’avversione per le scuole, sin nelle forme<br />
della scrittura: “La parola ‘scuola’ non ha<br />
senso. Non avevamo testi sacri. Non avevamo<br />
discepoli. E in un certo senso non<br />
scrivevamo neppure libri: Adorno aforismi,<br />
Marcuse solo lunghi saggi, io addirittura<br />
articoli. L’unica scuola a cui ci sentivamo<br />
di appartenere era la scuola dei contrari”.<br />
Con gli altri pensatori francofortesi Lîwenthal<br />
condivide l’origine ebraica e il destino<br />
dell’esilio negli anni del nazismo (sarà lui<br />
l’ultimo del gruppo ad abbandonare la<br />
Germania, il 2 marzo 1933, due giorni<br />
prima che i nazisti facessero irruzione nelle<br />
stanze dell’Istituto per la Ricerca Sociale).<br />
Nella sua autobiografia, Non ho mai<br />
voluto collaborare, Löwenthal ripercorre<br />
le tappe principali della propria vita: l’abbandono<br />
della Germania e gli anni trascorsi<br />
fino all’ultimo negli Stati Uniti, dove fu<br />
professore di Sociologia nell’Università<br />
di Berkeley.<br />
Storico e teorico della letteratura, Löwenthal<br />
dedicò le proprie forze non solo all’analisi<br />
ideologica e filosofica del fenomeno<br />
letterario ma anche allo studio dei<br />
suoi aspetti sociali (ad esempio la ricerca<br />
sui gruppi di lettori di Dostoevskij nella<br />
Germania degli anni Venti e Trenta) e allo<br />
studio della cultura di massa e di quella che<br />
Theodor W. Adorno e Max Horkheimer<br />
chiamavano “industria culturale”. A questo<br />
proposito bisogna ricordare l’analisi<br />
AUTORI E IDEE<br />
condotta da Löwenthal sulle biografie di<br />
personaggi celebri, apparse sulle riviste<br />
popolari negli Stati Uniti nei primi quarant’anni<br />
del nostro secolo. Qui, cogliendo<br />
con precisione quella che si sarebbe<br />
rivelata una tendenza (fino a oggi) duratura,<br />
Löwenthal indicava uno spostamento<br />
dell’interesse del pubblico dalla vita di<br />
industriali, banchieri e rappresentanti della<br />
cultura cosiddetta “alta”, in senso tradizionale,<br />
a personaggi della musica leggera,<br />
del cinema, dello sport e dello spettacolo.<br />
Egli - come leggiamo in una lettera a<br />
Horkheimer del 3 febbraio 1942 - considerava<br />
questo fenomeno come espressione<br />
di aspirazioni alla felicità che non trovavano<br />
realizzazione nel mondo quotidiano e<br />
nella storia; una diversa espressione dell’utopia<br />
marcusiana di una vita liberata,<br />
nel senso del principio di piacere, e di<br />
quella “nostalgia dell’altro” che, secondo<br />
Martin Jay, costituisce un motivo comune<br />
ai pensatori francofortesi: «Questo fenomeno<br />
contiene anche il sogno dell’umanità<br />
futura che potrebbe accentrare i propri<br />
interessi nella felicità, non nella durezza<br />
del lavoro, nella gioia dei beni sensuali nel<br />
senso più ampio del termine. Mentre, da<br />
una parte, l’informazione storica diventa<br />
per le masse una trappola fatta di menzogne<br />
e un ridicolo cumulo di fatti e delle<br />
figure più insignificanti, le stesse masse,<br />
proprio nel loro interesse per questa gente<br />
e nei loro modi di consumo, rivelano una<br />
nostalgia per una vita fatta d’innocenza».<br />
In Germania le opere complete di Leo<br />
Löwenthal sono pubblicate presso l’editore<br />
Suhrkamp di Francoforte: il primo volume<br />
raccoglie gli studi sulla letteratura e<br />
sulla cultura di massa, il secondo le analisi<br />
dedicate al romanzo borghese, il terzo quelle<br />
sulla psicologia collettiva, il quarto le lettere<br />
e gli scritti sparsi. Le opere filosofiche<br />
giovanili di Löwental saranno pubblicate a<br />
cura dell’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong><br />
presso la casa editrice Guerini e<br />
Associati di Milano. M.M.<br />
Axel Honneth<br />
e il progresso sociale<br />
Se negli ultimi cinquant’anni si è avuta<br />
l’impressione che la constatazione<br />
della morte di G. W. F. Hegel fosse<br />
ormai irrevocabile, bisogna tuttavia<br />
riconoscere che finora egli è sopravvissuto<br />
a ogni tentativo di sepoltura<br />
spirituale: troppo complesso e stimolante<br />
è il suo pensiero perché lo si<br />
possa mettere da parte con l’etichetta<br />
di “metafisica”. Di queste potenzialità<br />
di interesse è testimonianza anche il<br />
nuovo libro di Axel Honneth, KAMPF UM<br />
ANERKENNUNG. ZUR MORALISCHER GRAM-<br />
MATIK SOZIALER KONFLIKTE (Lotta per il<br />
riconoscimento. Sulla grammatica morale<br />
dei conflitti sociali, Suhrkamp,<br />
Frankfurt a. M. 1992). Un’ espressione<br />
24<br />
del giovane Hegel, la “lotta per il riconoscimento”,<br />
costituisce qui il punto<br />
di partenza di una teoria della società<br />
che vuole far fronte alle esigenze dei<br />
tempi.<br />
La prima parte dell’opera di Axel Honneth<br />
è dedicata alla discussione di quei progetti<br />
filosofici, alla cui stesura Hegel lavora quando<br />
non è ancora un famoso professore<br />
berlinese, ma un semplice Privatdozent a<br />
Jena. La sua idea speculativa fondamentale<br />
consiste nel progetto di una teoria dei<br />
diversi livelli del riconoscimento sociale.<br />
Attraverso i livelli dell’amore, del diritto e<br />
della solidarietà o - come scrive Hegel -<br />
della “eticità” (Sittlichkeit) si danno tre<br />
forme del riconoscimento, nelle quali l’essere<br />
umano viene riconosciuto dapprima<br />
emozionalmente come intero, poi formalmente<br />
come persona giuridica e infine<br />
come particolarità individuale. Poiché però<br />
il pensiero di Hegel, anche nel periodo<br />
jenese, è legato a presupposti metafisici,<br />
sovratemporali, Honneth si sottopone nella<br />
seconda parte del suo libro al compito di<br />
mettere alla prova empiricamente l’idea<br />
speculativa di fondo. Ciò avviene, da una<br />
parte, attraverso un riferimento alla psicologia<br />
sociale di George Herbert Mead,<br />
dall’altra sulla base di ricerche psicologiche<br />
e storico-psicologiche. Su entrambi i<br />
piani il risultato è che il modello hegeliano<br />
resiste ad una riflessione scientificamente<br />
disincantata.<br />
Così, con l’aiuto delle teorie psicoanalitiche,<br />
l’amore può essere concepito come un<br />
forte legame affettivo tra poche persone in<br />
cui si tratta di produrre un equilibrio tra<br />
autonomia e dipendenza, tra il desiderio di<br />
essere soli e il desiderio di fusione. Questo<br />
equilibrio è costantemente in pericolo e<br />
assume le diverse forme di una lotta. Le<br />
esperienze delle relazioni d’amore familiari,<br />
amicali ed erotiche non possono certo<br />
venire estese ad altre relazioni sociali,<br />
ma contengono già un nucleo di carattere<br />
morale, che si sviluppa poi ai livelli del<br />
diritto e della solidarietà. Qui si tratta del<br />
fatto che i cittadini di una comunità si<br />
considerano uguali in quanto membri di<br />
una comunità giuridica e imparano a considerarsi<br />
disuguali, individui, in quanto<br />
membri di una comunità di valori. Qui il<br />
riconoscimento reciproco si mostra nell’attenzione<br />
e nella valutazione.<br />
Lo studio di Honneth offre in particolare<br />
una risposta alla questione del modo in cui<br />
si possono spiegare i processi del mutamento<br />
sociale. Le società si trasformano<br />
perché sono costruite sulla base delle obbligazioni<br />
morali implicite nella triplice<br />
relazione di riconoscimento. Nei conflitti<br />
sociali si esprime così non solo un interesse<br />
di gruppo, ma anche lo sviluppo morale<br />
delle società. Non si tratta solo della povertà,<br />
ma anche del diritto e della dignità. I<br />
conflitti sociali seguono una “grammatica<br />
morale” e regole che sono pre-date attraverso<br />
le diverse forme del riconoscimento.
AUTORI E IDEE<br />
Leo Löwenthal<br />
L’Institut für Sozialforschung di Francoforte sul Meno, 1924<br />
25
In questa prospettiva una filosofia sociale<br />
sostenuta scientificamente raccoglie l’eredità<br />
della vecchia filosofia della storia.<br />
Nella terza parte del suo studio, Honneth<br />
mette in rilievo un “concetto formale dell’eticità”<br />
come più elevato punto di riferimento.<br />
Il movimento della sua argomentazione<br />
è chiaro e integrato, un movimento<br />
quasi circolare di impratichimento, che<br />
sviluppa l’idea fondamentale con un interesse<br />
al compimento e che la rende pregnante<br />
attraverso la ripetizione. L’opera<br />
presenta motivi di riflessione. La “grammatica<br />
morale” vale ad esempio non per<br />
tutte le società, ma solo per quella moderna,<br />
costituita secondo il modello dello stato<br />
di diritto. L’esigenza di validità universale<br />
del principio del riconoscimento viene<br />
con ciò limitata. Esso può motivare ad<br />
un agire morale e alle lotte sociali, ma può<br />
legittimare il riconoscimento solo nel contesto<br />
della modernità. Con ciò un filosofo<br />
che pensa in modo post-metafisico può<br />
dichiararsi soddisfatto. J.F.<br />
Derrida: le interviste<br />
E’ lo stesso Jacques Derrida che ha<br />
deciso di raccogliere in volume, e successivamente<br />
di pubblicare, le interviste<br />
che nel corso degli anni hanno accompagnato<br />
la sua ricerca, facendo<br />
rientrare a pieno titolo nella sua opera<br />
anche questa produzione marginale,<br />
per non specialisti, che generalmente<br />
è così difficile da collocare. POINTS DE<br />
SUSPENSION. ENTRETIENS. (Punti di sospensione.<br />
Interviste., Galilée, Paris<br />
<strong>1993</strong>) permette così di ripercorrere<br />
vent’anni di lavoro e di scrittura di questo<br />
autore, offrendo una via d’accesso<br />
ad un pensiero che disorienta proprio<br />
per la difficoltà che sempre si affaccia<br />
quando si cerca di ritrovarne i punti di<br />
riferimento.<br />
Si tratta per lo più di indicazioni biografiche,<br />
riflessioni che colgono l’occasione<br />
dell’attualità, per poi approfondirsi in tematiche<br />
squisitamente filosofiche, considerazioni<br />
e punti di vista che fanno luce su<br />
di una soggettività e insieme su di un metodo,<br />
la pratica della decostruzione, che qui<br />
diventa trasparente proprio mettendosi in<br />
opera su tracce ben visibili, dalla tossicodipendenza<br />
al tentativo di riformare l’insegnamento<br />
della filosofia. Ma vi è anche<br />
l’interrogarsi quasi ossessivo su cosa sia<br />
un’intervista, sulle modalità di un discorso<br />
rivolto ad un pubblico che non è il proprio<br />
e quindi sul ruolo dell’intellettuale nel suo<br />
rapporto con i media, con il pubblico e con<br />
il politico. Soprattutto ciò che traspare è il<br />
tentativo di ridefinire il rapporto tra gli<br />
intellettuali e il politico, attraverso una<br />
metodica decostruzione del modello sartriano:<br />
un modo del tutto attuale di essere<br />
AUTORI E IDEE<br />
apolitico è quello che modula il proprio<br />
atteggiamento su codici e retoriche pressoché<br />
istituzionalizzate, e pertanto prevedibili<br />
e sin dall’inizio neutralizzate.<br />
Come egli stesso ha più volte ribadito, non<br />
esiste una «filosofia» di Jacques Derrida.<br />
Esiste un confronto, una esplicazione di<br />
Derrida attraverso i testi che analizza e che<br />
di conseguenza lo obbligano ad esporsi alla<br />
loro luce o alla loro oscurità. E soprattutto<br />
esiste un “idioma”, che è uno stile di scrittura<br />
che ogni volta si sforza di cambiare<br />
accento per eludere le aspettative, giocando<br />
a svelarne i presupposti. Particolarmente<br />
significativo diventa quindi il testo dedicato<br />
alla lingua della filosofia, costruito a<br />
partire dalla domanda che si interroga sulla<br />
possibilità di tradurre la filosofia, sullo<br />
sfondo del presentimento che essa possa<br />
invece essere consustanziale ad una lingua<br />
e ad una tradizione. E proprio il diretto<br />
riferimento alla tradizione nazionale lascia<br />
emergere la difficoltà di pensare il nazionalismo,<br />
difficoltà che prende forma nella<br />
contraddizione tra la necessità di difendere<br />
le lingue minoritarie e l’esigenza della comunicazione,<br />
che non può che avvenire su<br />
di un terreno comune. Un esempio di come,<br />
per Derrida, le questioni filosofiche debbano<br />
sfociare in quelle concernenti la responsabilità<br />
etica e politica, facendo coincidere<br />
la pratica della decostruzione con una volontà<br />
di democratizzazione. M.V.<br />
La debolezza dell’Io<br />
E’ recentemente apparsa la nuova traduzione<br />
di un’importante opera giovanile<br />
di Jean Paul Sartre, il suo primo,<br />
vero e proprio scritto filosofico, LA<br />
TRASCENDENZA DELL’EGO. UNA DESCRIZIONE<br />
FENOMENOLOGICA (traduzione e cura di<br />
Rocco Ronchi, EGEA, MIlano 1992),<br />
che contiene non solo i presupposti<br />
teoretici del periodo “fenomenologico”,<br />
ma anche alcuni spunti che saranno<br />
alla base dello sviluppo successivo<br />
del pensiero di Sartre. A questo<br />
testo può essere accostata la più recente<br />
raccolta di saggi di Pier Aldo<br />
Rovatti, TRASFORMAZIONI DEL SOGGETTO.<br />
UN ITINERARIO FILOSOFICO (Il Poligrafo,<br />
Padova 1992) che, a partire anche dalla<br />
riflessione sartreana, ricostruisce una<br />
delle fonti del “pensiero debole”, quella<br />
che prende le mosse dal tentativo<br />
di ricostruzione di una nozione di soggettività.<br />
Ne La trascendenza dell’Ego il punto di<br />
partenza della riflessione di Jean Paul<br />
Sartre consiste nella constatazione della<br />
non originarietà della determinazione dell’Ego<br />
nei confronti dei fenomeni riguardanti<br />
il manifestarsi della soggettività. Sartre<br />
rileva, infatti, come la tesi kantiana<br />
relativa all’esigenza di un Io trascendenta-<br />
26<br />
le, che accompagni e unifichi le rappresentazioni<br />
soggettive, si ponga come un “dover<br />
essere”, come esigenza di fronte al<br />
fatto che l’unità delle rappresentazioni<br />
precede l’Io ed è indipendente da esso, e in<br />
essa si fonda la possibilità dell’unità dell’Ego,<br />
e non viceversa.<br />
Questa constatazione fattuale, caratteristica<br />
dell’approccio fenomenologico, porta<br />
appunto Sartre a definire il campo del trascendentale<br />
come “coscienza”, come livello,<br />
cioè, pre-individuato, non riflesso, caratterizzato<br />
da un’essenziale spontaneità,<br />
rispetto al quale l’Io è dunque trascendente,<br />
passivo, agito. Sebbene Sartre rimproveri<br />
allo Husserl di Idee di aver ricondotto<br />
all’Ego, con una sovrapposizione indebita,<br />
le manifestazioni originarie proprie della<br />
coscienza, Rocco Ronchi, curatore di questa<br />
edizione di Sartre (che segue quella,<br />
risalente al 1971, a cura di Nestore Pirillo),<br />
rileva d’altra parte come in questo saggio,<br />
proprio nella determinazione del livello<br />
coscienziale, Sartre sia più debitore a Husserl<br />
di quanto egli stesso non mostri di<br />
credere. Nel suo ampio saggio introduttivo,<br />
dedicato al “bergsonismo di Sartre”,<br />
Ronchi sostiene, a dispetto degli espliciti<br />
attacchi portati da Sartre a Bergson, la<br />
contiguità della nozione sartreana di coscienza<br />
a quella bergsoniana di durata, sulla<br />
base del loro comune carattere di spontaneità.<br />
Reale è solo la spontaneità della<br />
coscienza; apparente è invece la spontaneità<br />
dell’Io nei confronti delle “sue” rappresentazioni,<br />
ovvero nei confronti dei “suoi”<br />
stati, delle “sue” azioni, delle qualità degli<br />
oggetti, che si tende spesso, a torto, a considerare<br />
prodotto di inclinazioni e affezioni<br />
dell’Io. Tali rappresentazioni, nota Sartre,<br />
non sono “proprietà” dell’Io cui sono riferite,<br />
ma è piuttosto questo Io ad essere<br />
“giocato” da esse. Proprio a partire da questa<br />
considerazione si aprono, a parere di<br />
Sartre, nuove prospettive nel campo morale.<br />
Anche facendo leva sugli effetti, in questa<br />
direzione, del “depotenziamento” dell’Io<br />
conseguente alle analisi sartreane, Pier<br />
Aldo Rovatti, nel suo recente Trasformazioni<br />
del soggetto, intende offrire una ricostruzione<br />
del percorso e delle fonti del suo<br />
contributo al “pensiero debole”.<br />
Come è noto, quella relativa al “pensiero<br />
debole” è ipotesi nata, con la pubblicazione<br />
nel 1983 del testo omonimo, dal rilievo<br />
dello scollamento fra soggetto e oggetto,<br />
ovvero dal rilievo del carattere problematico<br />
di una scissione fra i due termini e di una<br />
loro successiva ricomposizione dal punto<br />
di vista della gnoseologia, dell’etica, della<br />
metafisica, nella prospettiva di un’indefinita<br />
manipolabilità degli enti da parte del<br />
soggetto e in quella di una sostanzialità<br />
(cioè di un carattere “forte”, fondato sulla<br />
caratteristica ontologica della “presenza”)<br />
del soggetto medesimo. Ma se Gianni<br />
Vattimo, altro esponente di quella corrente,<br />
si indirizzava, a partire dal pensiero di<br />
Heidegger, e da quello di Derrida, all’ela-
orazione del concetto di un “declino” del<br />
soggetto, che compiva la sua parabola sullo<br />
sfondo di una concezione “debole” dell’ontologia,<br />
Rovatti ha successivamente<br />
preferito focalizzare il suo discorso sulla<br />
questione linguistica, intesa come questione<br />
relativa allo stile del pensiero.<br />
Il dichiarato intento di questa raccolta di<br />
saggi di Rovatti è quello di retrodatare il<br />
costituirsi delle questioni inerenti alla configurazione<br />
del pensiero debole. Inaspettatamente,<br />
per chi di queste tematiche abbia<br />
informazione solo relativamente agli ultimi<br />
sviluppi, Rovatti ne mostra le radici<br />
nella riflessione sulle pratiche politiche<br />
degli anni Settanta. Riaffiora dunque la<br />
discussione sulla questione dei “bisogni”,<br />
e sulla loro inconciliabilità con il terreno<br />
del politico. E’ questo l’ambito in cui si è<br />
posta per Rovatti l’esigenza di una “nuova<br />
razionalità”, intesa come “cultura dei soggetti”,<br />
“processo di approssimazione al<br />
soggetto”. Il catalizzatore indispensabile<br />
in questa elaborazione è Foucault, che con<br />
la sua “microfisica del potere” ha indicato<br />
la strada per l’individuazione dei punti di<br />
resistenza ai percorsi storici della logica<br />
centralizzante del potere. La nozione “non<br />
tradizionale” di bisogno ha in tal senso per<br />
Rovatti la caratteristica di un’immagine<br />
non concettualmente strutturata, che individua<br />
però il terreno di contraddizione fra<br />
l’universalizzazione astrattizzante della<br />
logica del potere, nelle spoglie della società<br />
di massa, e la pretesa alla soggettività, al<br />
riconoscimento del proprio carattere differenziale,<br />
che pure l’individuo-massa rivendica.<br />
D’altra parte, se Foucault fornisce indispensabili<br />
indicazioni di percorso, per Rovatti<br />
alle radici del “pensiero debole” c’è<br />
Marx, con la sua nozione di “lavoro vivo”,<br />
che fonda l’articolarsi del discorso marxiano<br />
nella prospettiva di una ricostruzione,<br />
“al di là” del modo di produzione capitalista,<br />
di uno “specifico soggettivo”. Laddove<br />
la determinazione di “forza-lavoro” rimanda<br />
alla caratterizzazione come “merce”<br />
dell’essenza dell’operaio-massa nel<br />
processo produttivo capitalistico, conducendo<br />
così alla cristallizzazione dell’homo<br />
oeconomicus, nella nozione di “lavoro<br />
vivo”, dove l’accento cade proprio sul<br />
carattere di “vitalità”, cioè di spontaneità<br />
del lavoro, a parere di Rovatti si trascende<br />
tale cristallizzazione e si segnala invece<br />
con forza l’esigenza di un “punto di vista”<br />
soggettivo. M.C.<br />
Utopia: il paese che non c’è<br />
Il tema dell’utopia torna a riproporsi<br />
come tema centrale in senso filosofico<br />
in alcune recenti riflessioni. Maria<br />
Moneti Codignola ne ripercorre i contorni<br />
problematici, in riferimento soprattutto<br />
alle utopie dell’età moder-<br />
AUTORI E IDEE<br />
na, nel suo recente studio: IL PAESE CHE<br />
NON C’È E I SUOI ABITANTI (La Nuova<br />
Italia, Firenze 1992). Una raccolta di<br />
saggi a cura di Arrigo Colombo e di<br />
Giuseppe Schiavone, L’UTOPIA NELLA<br />
STORIA: LA RIVOLUZIONE INGLESE (Dedalo,<br />
Bari 1992), intende invece sia richiamare<br />
l’attenzione sul significato storico<br />
dell’utopia come progetto della<br />
società giusta e fraterna, sia riconoscere<br />
nella Rivoluzione inglese il senso<br />
di primo, fondamentale evento utopico<br />
nella costruzione di questa società.<br />
In una sorta di viaggio nell’utopia attraverso<br />
i secoli, fino alle soglie della civiltà<br />
contemporanea, Maria Moneti Codignola<br />
si propone di trattare, senza alcuna pretesa<br />
di esaustività, i contorni storici e problematici<br />
dell’utopia, intesa essenzialmente<br />
come “genere filosofico-letterario”, attraverso<br />
un’ampia rassegna di autori, compiendo<br />
una specifica selezione tematica,<br />
relativa ai rapporti di implicazione reciproca<br />
fra l’idea di città perfetta e quella di<br />
uomini perfetti, dunque fra la politica e<br />
l’educazione. L’idea della formazione dell’uomo<br />
buono e l’immagine dell’infanzia,<br />
ove essa è presente, costituiscono il duplice<br />
selettore d’indagine di questo viaggio<br />
attraverso l’utopia “classica” di Platone, le<br />
utopie dell’era moderna (More, Campanella,<br />
Bacone, Cyrano de Bergerac), del<br />
preilluminismo (Foigny, Fontenelle, Fénelon),<br />
dell’età dei Lumi (Morelly, Dom<br />
Deschamps, Mably, Diderot, Rousseau),<br />
per concludersi con un ampio ventaglio di<br />
considerazioni teoriche, fra cui “l’idea di<br />
felicità e i suoi paradossi”, “l’utopia moderna<br />
come teodicea radicale”.<br />
Nel tentativo di circoscriverne il concetto,<br />
Moneti Codignola sottolinea che per utopia<br />
si deve anzitutto intendere «quel genere<br />
letterario-filosofico che ha per contenuto il<br />
racconto o la descrizione di un mondo<br />
immaginario che viene, in modo implicito<br />
o esplicito, presentato in termini deontologici<br />
o almeno ottativi». Vengono pertanto<br />
distinti dall’utopia stricto sensu quei racconti,<br />
di genere affine, che hanno il carattere<br />
di descrizioni di paesi assurdi o di mondi<br />
alla rovescia, i cui rapporti con il genere<br />
utopico trovano nondimeno alcune utili<br />
precisazioni, così come viene ampiamente<br />
tematizzato il rapporto utopia/distopia<br />
(esempi di distopia possono essere considerati<br />
testi come 1984 di Orwell o Brave<br />
New World di Huxley). Vengono invece<br />
espressamente poste ai margini della trattazione<br />
quelle produzioni dell’immaginazione<br />
utopica che nascono dall’ansia di rigenerazione<br />
e di salvezza espressa dalla cultura<br />
popolare. Nel delineare le tappe di<br />
un’evoluzione interna del genere utopico<br />
nell’età moderna, Moneti Codignola inizia<br />
da una fase di «riflessione critico-propositiva<br />
sulla realtà politica e sociale del proprio<br />
tempo», che si limita a «contrapporre<br />
una situazione ideale, auspicata e presenta-<br />
27<br />
ta sotto la forma fantastica di un paese<br />
immaginario, alla realtà presente criticata<br />
anche alla luce di quell’ideale». In una<br />
seconda fase di riflessione «la società umana<br />
è pensata come una sorta di provincia di<br />
una più universale realtà cosmologica di<br />
cui fa parte ma di cui, unico punto nell’universo,<br />
contraddice i principi», sicché la<br />
proposta utopica si concepisce come «una<br />
reintegrazione di questa provincia nell’universo».<br />
A ciò fa seguito la fase di introduzione<br />
della dimensione temporale. Infine,<br />
nella fase più prossima a noi, si arriva fino<br />
a rovesciare l’ordine utopico, «facendolo<br />
diventare, da speranza e promessa che era,<br />
una oscura e terribile minaccia da cui difendersi».<br />
Del resto ogni forma di rigidità<br />
normativa o propositiva, di concezione<br />
totalitaria dell’uomo e della società sono<br />
oggi sotto accusa, e proprio l’esperienza di<br />
questo secolo impone di «maneggiare le<br />
idee utopiche con grande cautela e anche<br />
con tutto il distacco e le mediazioni possibili».<br />
Di diverso tenore la convinzione teorica<br />
che sorregge la raccolta di scritti, curata da<br />
Arrigo Colombo e Giuseppe Schiavone,<br />
sul significato storico dell’utopia, esemplificato<br />
in rapporto alla Rivoluzione inglese.<br />
Il volume rientra nella serie “L’Utopia.<br />
Per una società giusta e fraterna”, a<br />
cura di Arrigo Colombo, che ha già visto la<br />
pubblicazione di altri contributi sul problema<br />
del carattere storico-progettuale<br />
dell’utopia, e nasce da un convegno organizzato<br />
nel 1990 dal Gruppo di ricerca<br />
sull’utopia dell’Università di Lecce. In<br />
quell’occasione, ricorda Colombo, era stato<br />
ribadito, in senso programmatico, che l’utopia,<br />
come fatto storico e politico, costituisce<br />
«il progetto della società giusta e fraterna»,<br />
il quale può esprimersi sotto forme<br />
molteplici: dal discorso filosofico al racconto<br />
letterario, dall’annunzio religioso al<br />
programma politico.<br />
Nella sua introduzione al volume Colombo<br />
distingue quattro fasi dell’utopia, che è<br />
al contempo progetto della storia e processo<br />
in cui il progetto si va realizzando.<br />
La prima fase è quella sotterranea del<br />
progetto popolare implicito, che vive nella<br />
coscienza popolare oppressa dalla società<br />
ingiusta; la seconda è la fase del mito, in<br />
cui il progetto popolare tende a proiettarsi<br />
in determinate figurazioni simboliche; la<br />
terza è quella dei movimenti di salvezza,<br />
in cui il progetto assume la forma di attesa<br />
e di annunzio, fatto proprio da comunità<br />
religiose; la quarta infine è l’età delle rivoluzioni,<br />
in cui «il progetto viene assunto<br />
nella storia umana in senso universale (...),<br />
definitivo, progressuale, attraverso momenti<br />
esplosivo-eversivi di forte intensità,<br />
forte luce, capacità comprensiva, capacità<br />
creativa e innovativa, forte decisione e<br />
azione sovvertitrice della società ingiusta».<br />
Una volta restituita all’utopia il suo<br />
carattere storico-progettuale, A orientare<br />
questo filone di ricerca sull’utopia come<br />
fatto storico e processuale è peraltro l’idea<br />
che proprio nell’attuale età, segnata dal<br />
crollo del comunismo, «l’utopia riemerge
TENDENZE E DIBATTITI<br />
Georg Wilhelm Friedrich Hegel, l’Università di Berlino<br />
La Porta di Brandenburgo, Thomas Hobbes<br />
28
La politica di Hegel<br />
Del mai sopìto interesse per le valenze<br />
politiche della riflessione hegeliana<br />
è una riprova la serie di studi critici<br />
recentemente apparsi: il saggio di Geminello<br />
Preterossi, I LUOGHI DELLA POLI-<br />
TICA. FIGURE ISTITUZIONALI DELLA FILOSOFIA<br />
DEL DIRITTO HEGELIANA (Guerini e Associati,<br />
Milano 1992), e l’opera di Fiorinda<br />
Li Vigni, LA DIALETTICA DELL’ETICO.<br />
LESSICO RAGIONATO DELLA FILOSOFIA ETICO-<br />
POLITICA HEGELIANA NEL PERIODO DI JENA<br />
(Guerini e Associati, Milano 1992), entrambi<br />
pubblicati nella collana “Hegeliana”<br />
dell’Istituto Italiano per gli<br />
<strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong>; lo studio di Cristiana<br />
Senigaglia, IL GIOCO DELLE ASSONANZE<br />
(La Nuova Italia, Firenze 1992), dedicato<br />
all’individuazione delle ascendenze<br />
hobbesiane della filosofia politica<br />
di Hegel; l’antologia IL PENSIERO<br />
POLITICO DI HEGEL (a cura di Giuseppe<br />
Bedeschi, Laterza, Roma-Bari <strong>1993</strong>),<br />
introdotta da un ampio profilo critico,<br />
che offre uno sguardo sintetico complessivo<br />
sul pensiero politico del filosofo<br />
di Stoccarda. Da segnalare anche,<br />
in questo contesto, sebbene con<br />
una impostazione più generale, la recente<br />
introduzione al pensiero hegeliano<br />
curata da Pietro Rossi, HEGEL.<br />
GUIDA STORICA E CRITICA (Laterza, Roma-<br />
Bari 1992), nonché la corposa biografia<br />
in lingua tedesca che al pensatore<br />
di Stoccarda ha dedicato Horst Althaus,<br />
HEGEL UND DIE AEROISCHEN JAHRE<br />
DER PHILOSOPHIE. EINE BIOGRAPHIE (Hegel<br />
e l’età eroica della filosofia. Una biografia,<br />
Hanser Verlag, München 1992).<br />
Lo studio di Geminello Preterossi, I luoghi<br />
della politica, dedicato ad alcune «figure<br />
istituzionali della filosofia del diritto<br />
hegeliana», tematizza la connotazione “conciliativa”<br />
di questa filosofia, di cui mostra<br />
la valenza positiva, il «grande valore e<br />
dignità», tanto sul piano della riflessione<br />
filosofica, quanto su quello più immediatamente<br />
politico. La riflessione hegeliana fa<br />
combaciare elementi e istanze che nel pensiero<br />
filosofico-politico successivo si contrappongono<br />
e si frammentano in linee di<br />
fuga divergenti: libertà individuale e unita-<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
rietà della persona statale, interesse dei<br />
singoli e principio di sovranità dello Stato,<br />
legittimazione sociale della volontà politica<br />
ed espressione formale del diritto. Per<br />
raggiungere il suo scopo, quello di uno<br />
sguardo unitario che tenga insieme le varie<br />
istanze, Hegel punta verso un “profilo alto”<br />
della statalità, come tentativo di realizzare<br />
il connubio, sostiene l’autore, fra l’unitarismo<br />
del principio di sovranità e il pluralismo<br />
delle istanze sociali; scartando cioè<br />
tanto la concezione liberale lato sensu, che<br />
vede lo stato come momento funzionale<br />
alla società, quanto il decisionismo, radicalmente<br />
arazionale, sostenuto per esempio<br />
da Carl Schmitt.<br />
Il “lessico ragionato” della filosofia hegeliana<br />
nel periodo di Jena che Fiorinda Li<br />
Vigni presenta con il volume La dialettica<br />
dell’etico individua 52 voci, raggruppandole<br />
in 6 “famiglie concettuali” (linguaggio,<br />
lavoro, famiglia, diritto, eticità, singolarità-universalità),<br />
e facendo precedere<br />
ciascuna di esse da un’”introduzione” alla<br />
parte lessicale vera e propria, in un rapporto<br />
che è comunque di reciproca autonomia.<br />
Più che una tavola di occorrenze, nelle<br />
intenzioni dell’autrice questo lessico, ponderoso<br />
e tuttavia estremamente maneggevole<br />
nella consultazione, si configura come<br />
un tentativo di ripercorrere lo sviluppo di<br />
ciascuno dei concetti individuati nelle opere<br />
prese in esame, e all’interno di ciascuna<br />
di esse; il metodo di scomposizione analitico<br />
dei testi è quindi finalizzato a una<br />
ricostruzione della genesi dei concetti.<br />
“A proposito degli influssi hobbesiani sul<br />
pensiero filosofico-politico di Hegel” è<br />
l’esplicito sottotitolo che accompagna<br />
l’opera di Cristiana Senigaglia, Il gioco<br />
delle assonanze. Muovendo dall’apparente<br />
dissonanza fra l’esplicito riconoscimento<br />
hegeliano di Hobbes come iniziatore<br />
della “scienza politica”, e la brevità delle<br />
analisi che a questi vengono dedicate dal<br />
pensatore tedesco, Senigaglia enuclea alcuni<br />
nodi tematici del confronto tra i due<br />
filosofi. In primo luogo, la precisazione del<br />
senso in cui Hobbes è per Hegel l’iniziatore<br />
della “scienza politica”. Non si tratta certo<br />
di ciò che nel filosofo inglese si presenta<br />
come presupposto, vale a dire l’ipotesi giusnaturalista,<br />
rifiutata da Hegel senza incertezze.<br />
Piuttosto, passando oltre il dualismo<br />
29<br />
tra stato di natura e Stato, che per Hobbes<br />
permane come orizzonte fondativo, il reale<br />
terreno di confronto tra i due pensatori<br />
consiste nella questione relativa alla legittimazione<br />
dello Stato medesimo, nonché<br />
nelle esigenze di carattere politico riconducibili<br />
a interessi individuali, espressi a livello<br />
della società civile. In altri termini, il<br />
terreno di incontro fra i due pensatori non<br />
può essere individuato, a parere di Senigaglia,<br />
in rapporto alla questione dell’origine<br />
del diritto dallo stato di natura - a partire<br />
dalla quale Hegel, tutt’al più, può apprezzare<br />
in modo generico il ruolo riconosciuto<br />
da Hobbes al principio di conflittualità fra<br />
gli individui - bensì sul piano della questione<br />
istituzionale, cioè della struttura organica<br />
dello Stato.<br />
Come è noto, lo Stato interviene in Hegel<br />
per sanare gli squilibri della società civile.<br />
Come ricorda Giuseppe Bedeschi nel suo<br />
ampio saggio introduttivo all’antologia<br />
dedicata a Il pensiero politico di Hegel, il<br />
filosofo di Stoccarda fu sempre pessimista<br />
nei confronti del funzionamento della sfera<br />
socio-economica moderna, la cui descrizione<br />
realistica è in lui desunta dall’economia<br />
classica. D’altra parte, Bedeschi sottolinea<br />
il ruolo centrale che, nella visione<br />
hegeliana della società civile, riveste la<br />
nozione di corporazione, di cui il filosofo<br />
lamenta la soppressione nell’età moderna.<br />
Contro chi sostiene il carattere moderno<br />
del concetto hegeliano di corporazione,<br />
evidenziando come esso non sia identificabile<br />
con la mera descrizione (alla stregua di<br />
un anacronistico tentativo di rimessa in<br />
auge) della realtà storica delle corporazioni<br />
medioevali, Bedeschi ritiene che, in ultima<br />
analisi, sia giustificata l’impressione che<br />
Hegel «sia ricorso a strumenti tutto sommato<br />
arcaici per porre rimedio ai problemi<br />
moderni della concorrenza e dell’atomismo».<br />
Proprio per questo, conclude Bedeschi,<br />
su questo specifico punto «lo sguardo<br />
di Hegel sembra rivolto più al passato che<br />
al futuro».<br />
Il volume Hegel. Guida storica e critica,<br />
curato da Pietro Rossi, intende collocare la<br />
filosofia hegeliana nel quadro del suo contesto<br />
storico-culturale. L’approccio è<br />
multilaterale; vengono messi a fuoco vari<br />
aspetti del “sistema” hegeliano e della sua<br />
evoluzione storica: Hegel fra Romantici-
smo e Idealismo (Luigi Marino); la genesi<br />
della logica hegeliana (Franco Chiereghin);<br />
la Fenomenologia dello spirito (Sergio<br />
Landucci); la Filosofia del diritto come<br />
sistema dello spirito oggettivo (Giuliano<br />
Marini); il rapporto di Hegel con l’estetica<br />
(Paolo D’Angelo); Hegel tra religione e<br />
filosofia (Claudio Cesa); il rapporto tra la<br />
storia universale e il suo quadro geografico<br />
(Pietro Rossi), la questione della storia<br />
della filosofia (Remo Bodei); e infine la<br />
ricezione di Hegel nei manuali scolastici di<br />
filosofia (Giovanni Bonacina).<br />
E’ da segnalare, infine, una voluminosa<br />
biografia di Hegel recentemente pubblicata<br />
in Germania da Horst Althaus. Testimonianza<br />
corposa, più che filosoficamente<br />
rilevante, dell’attuale interesse per Hegel,<br />
estremamente particolare e informata riguardo<br />
all’aneddotica, cede fin troppo spesso<br />
alla tentazione di ironizzare, dal punto di<br />
vista del “comune buon senso”, ovvero<br />
della vita ordinaria, sugli aspetti speculativamente<br />
rilevanti della riflessione hegeliana,<br />
la dialettica in primo luogo. F.C.<br />
Tendenze provinciali<br />
Con il suo ottavo numero la rivista<br />
TELLUS. QUADRIMESTRALE DI CRITICA DELLA<br />
CULTURA delinea il proprio manifesto,<br />
indagando intorno alla possibilità e al<br />
significato di un “pensiero provinciale”.<br />
Ne risulta una caratterizzazione<br />
della “provincia” non come ritorno a<br />
mitiche radici, ma come luogo a partire<br />
dal quale sembra ancora possibile<br />
esercitare la problematizzazione, continuata<br />
e perseverante, del senso comune.<br />
Questa prospettiva viene tematizzata<br />
a partire dal testo di Martin<br />
Heidegger, PERCHÉ RESTIAMO IN PROVIN-<br />
CIA?, e da scritti di Marco Baldino, Luisa<br />
Bonesio, Aldo Bonomi, Giorgio<br />
Frank, Caterina Resta, Saverio Xeres.<br />
Marco Baldino, direttore di Tellus, sottolinea<br />
come la nozione di provincia rinvii a<br />
una dimensione minore dell’esistenza, che<br />
ha i caratteri della domesticità e della privatezza:<br />
domus e idios. La nozione di provincia<br />
è stata tematizzata da Martin Heidegger,<br />
da lui eretta a fondamento di un nuovo<br />
compito planetario del pensiero. Contro<br />
l’interpretazione di Theodor Wiesengrund<br />
Adorno, che vi legge solo una nostalgia<br />
premacchinistica, Baldino sottolinea il nesso<br />
di questo concetto con la questione della<br />
tecnica, e più in generale con quella della<br />
rifondazione dell’esserci storico europeo,<br />
a fronte del progetto mondializzante della<br />
tecnica, culmine della prospettiva metafisica.<br />
La nozione di provincia appare, per<br />
Baldino, non solo come luogo di partenza<br />
per una maggiore penetrazione nella Seinsfrage,<br />
ma anche per chiarire il senso dello<br />
heideggeriano “nuovo inizio”, che si di-<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
spiega, come autentica necessità teoretica,<br />
dinanzi al declino della vecchia complicità,<br />
e complementarietà, di polis ed episteme.<br />
L’obiettivo di Heidegger, molto evidente<br />
nel discorso di rettorato del 1983, è quello<br />
di rovesciare il rapporto esistente tra ragione,<br />
università e scienza. Se il progetto moderno<br />
dissolve la scienza in una serie di<br />
saperi specialistici, organizzati socialmente<br />
dal sistema dell’industria universale, a<br />
esso Heidegger oppone la pratica di un<br />
pensiero del “rovescio”, la cui radicalità,<br />
anche secondo Caterina Resta, non fu<br />
compresa da Adorno. Quest’ultimo interpretò<br />
il tentativo di esporre la scienza all’idio-maticità<br />
della ripetizione ontologica<br />
come una nefasta concessione alla cultura<br />
Blut und Boden. Ciò che per Adorno è la<br />
tara dello heideggerismo, cioè il “gergo<br />
dell’autenticità”, costituisce invece la lingua<br />
dell’idios, di ciò che sta a parte, ed è<br />
perciò intraducibile; così come non traducibile,<br />
non urbanizzabile, è la “provincia”<br />
heideggeriana, quell’Ort che, come punto<br />
di convergenza e raccoglimento, diventa<br />
per Heidegger il centro unitario di ogni<br />
esperienza, dell’apertura del mondo dell’esserci.<br />
Ciò a cui Heidegger si riferisce con il<br />
concetto di provincia, osserva Resta, non è<br />
un nostalgico ritorno a un radicamento<br />
ormai impossibile, per esempio su base<br />
etnica, ma un nuovo criterio di appartenenza,<br />
la cui base è “etica”; laddove ethos vale<br />
come “soggiorno”, luogo dove si abita, il<br />
punto di convergenza e di raccolta delle<br />
coordinate dell’abitare.<br />
Accanto alla nozione heideggeriana di provincia,<br />
l’intervento di Luisa Bonesio mette<br />
in gioco autori come Oswald Spengler,<br />
Robert Pogue Harrison, Walter Benjamin,<br />
Ernst Jünger. La provincia è per<br />
Spengler il paesaggio materno dell’intero<br />
Occidente, succube del discorso della città,<br />
cioè della monumentalizzazione; l’imperialismo<br />
livellatorio della lingua crea la<br />
provincia come sottoprodotto della metropoli.<br />
Citando Harrison, Bonesio ricorda<br />
che la pietra della città non è quella della<br />
campagna, di cui esiste un’”altra faccia”,<br />
un lato nascosto; questa pietra, quando<br />
viene estratta dal terreno rivela il brulichìo<br />
silenzioso della vita di “terra, radici e vermi”,<br />
che si svolgeva sotto il sasso quando<br />
esso, prima di essere smosso dalla sua<br />
terra, era ancora parte di un oscuro paesaggio<br />
naturale. Ernst Jünger rende obsoleta<br />
l’opposizione di città e provincia nella considerazione<br />
che la tecnica macina tutte le<br />
pietre, sia naturali che monumentali, trasformando<br />
tutto il paesaggio umano in un<br />
immenso deserto di rovine. La “provincia”<br />
diventa dunque «quel limite costitutivo di<br />
ambiente naturale, di selva, sparendo il<br />
quale sparirebbe l’oikos umano». A questo<br />
punto, secondo Bonesio, si incontra Benjamin,<br />
che con la sua archeologia pare dar<br />
vita all’unico sapere possibile nell’epoca<br />
in cui tutto, compresa la natura, è anticipa-<br />
30<br />
tamente prodotto come rovina. Qui, osserva<br />
Bonesio, il limite dell’”officina mondiale”,<br />
della prospettiva totalizzante del<br />
progetto planetario della tecnica, diventa<br />
non più la “provincia”, ma la natura medesima.<br />
Il tema della provincia si connette a quello<br />
del silenzio nella riflessione di Saverio<br />
Xeres, che prende le mosse dalla celebre<br />
lirica montaliana I limoni. Xeres teorizza il<br />
fatto che l’ascolto del palpito che pulsa<br />
sotto la crosta del quotidiano, cioè sotto<br />
l’ambito della pura chiacchiera, o il vuoto<br />
di parole che si crea intorno a un evento<br />
limite, come può essere la morte, possano<br />
restituire al mondo il suo incanto; in ciò<br />
risiedono l’essenza e il ruolo della provincia.<br />
All’opposto, Aldo Bonomi, che pure<br />
coglie nel silenzio il tratto caratteristico<br />
della grande periferia, vi scorge non la base<br />
per un reincantamento del mondo, bensì il<br />
silenzio del sociale, l’incapacità di comunicazione<br />
di una società stanca e disanimata.<br />
Soluzione di ciò è il modello dell’esodo,<br />
nel riconoscimento di sé come esseri senza<br />
radici che si realizzano nell’ “andare”, unico<br />
fondamento per una qualche forma di<br />
pratica sociale, una qualche prassi datrice<br />
di senso.<br />
La “teologia del paradosso” di Giorgio<br />
Frank riconduce più esplicitamente il discorso<br />
sul piano della riflessione filosofica.<br />
Frank sostiene che la gratuità dell’esistenza<br />
non è solo l’esito più estremo del nichilismo,<br />
ma anche lo stigma dell’essere nell’epoca<br />
della morte di Dio. L’uomo sperimenta<br />
tale “gratuità”, quotidianamente,<br />
nell’esperienza del silenzio di Dio; a partire<br />
da questo silenzio nasce l’indicazione<br />
relativa a un pensare che non potrà essere<br />
se non un pensiero del Dio silenzioso e<br />
gratuito, cioè infondato, perché un Dio che<br />
non fonda l’esistenza umana non fonda<br />
nemmeno se stesso. In altri termini, se da<br />
un lato l’esercizio del pensiero comporta<br />
oggi la consapevolezza del disincanto del<br />
mondo, dall’altro esso ricerca la possibilità<br />
di rapportarsi non più al Dio della metafisica,<br />
quello che un tempo parlava e ora tace,<br />
ma al volto di un Dio che parla attraverso il<br />
suo tacere. F.C.<br />
Sociologia della conoscenza<br />
e civiltà moderna<br />
Due opere recentemente pubblicate<br />
in Germania propongono una riflessione<br />
su alcuni momenti della storia<br />
della sociologia della conoscenza,<br />
che rinnova la tendenza di un possibile<br />
contributo di tale disciplina alla<br />
comprensione della società attuale.<br />
Si tratta dello studio di Wolfgang<br />
Engler, SELBSTBILDER. DAS REFLEXIVE<br />
PROJEKT DER WISSENSSOZIOLOGIE (Immagini<br />
di sé. Il progetto riflessivo della<br />
sociologia della conoscenza, Aka-
demie Verlag, Berlin 1992) e di quello<br />
di Stefan Breuer, DIE GESELLSCHAFT<br />
DES VERSCHWINDENS. VON DER SELBST-<br />
ZERSTÖRUNG DER TECHNISCHEN ZIVILISA-<br />
TION (La società dell’eclissarsi. L’autodistruzione<br />
della civilizzazione<br />
della tecnica, Junius Verlag, Hamburg<br />
1992).<br />
La precedente opera di Wolfgang Engler,<br />
Die zivilisatorische Lücke (La lacuna civilizzatrice,<br />
Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1992)<br />
era dedicata al tentativo di comprendere lo<br />
sviluppo di quelle che erano le società del<br />
socialismo di stato alla luce della teoria<br />
della civilizzazione di Norbert Elias. Diversamente<br />
dall’Europa dell’Ovest, con il<br />
suo principio di una “civilizzazione riflessiva”,<br />
l’Europa dell’Est sarebbe caratterizzata<br />
da una “civilizzazione autodistruttiva”,<br />
in cui l’autogoverno degli individui<br />
veniva ottenuto solo con proibizioni e al<br />
prezzo dell’inefficienza. Tale caratteristica<br />
avrebbe reso queste società più fragili e<br />
suscettibili di un ritorno a forme di barbarie,<br />
nello sviluppo di un modello di organizzazione<br />
sociale che per Elias era già<br />
operante nello stato autoritario guglielmino.<br />
Il nuovo libro di Engler, Selbstbilder,<br />
torna in diversi punti su questo problema:<br />
non nel senso di un approfondimento, ma<br />
piuttosto nel tentativo di precisare il concetto<br />
di “civilizzazione riflessiva” all’interno<br />
di una discussione di questioni e<br />
momenti di quel ramo della sociologia detto<br />
“sociologia della conoscenza”.<br />
Engler presenta anzitutto la fondazione della<br />
sociologia della conoscenza da parte di<br />
Karl Mannheim, caratterizzando la prospettiva<br />
della sua ricerca come “sguardo<br />
della ragione sulla propria struttura”. Segue<br />
un saggio dedicato a Elias, di gran<br />
lunga l’allievo più celebre di Mannheim.<br />
Qui Engler osserva che le tendenze alla<br />
razionalizzazione, contenute nel concetto<br />
di civilizzazione di Elias, implicano sul<br />
piano pubblico il rischio di una catastrofe<br />
ecologica e sul piano privato quello del<br />
venir meno della capacità di imparare da<br />
parte del soggetto: «Un essere completamente<br />
civilizzato intrattiene un rapporto<br />
parassitario con l’ecosistema e un rapporto<br />
repressivo con se stesso».<br />
Altri tre studi sono dedicati da Engler alla<br />
microsociologia (in particolare all’interazionismo<br />
simbolico) e all’opera di Pierre<br />
Bourdieu e di Michel Foucault. Il concetto<br />
foucaultiano della società disciplinare viene<br />
qui indicato come utile e fecondo per<br />
l’analisi dello stato-partito e dello stato di<br />
polizia delle società dell’Europa orientale.<br />
Alcuni dei pensatori presenti nel libro di<br />
Engler si ritrovano anche in Die Gesellschaft<br />
des Verschwindens di Stefan Breuer,<br />
una raccolta di saggi per lo più già apparsi<br />
in riviste. Elias, Foucault, Adorno, Luhmann,<br />
F.G. Jünger e Virilio vengono presi<br />
in considerazione in quanto teorici e studiosi<br />
della società, in una prospettiva ispirata<br />
fondamentalmente alle posizioni della<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
Scuola di Francoforte. Importante è anche<br />
il riferimento all’antropologo francese<br />
Claude Lévi-Strauss. Sulla base di questi<br />
riferimenti teorici Breuer analizza la società<br />
moderna come società della tecnica. Tesi<br />
di fondo della sua opera è che la tecnica<br />
moderna rappresenta il motore di uno sviluppo<br />
che si sostituisce alle antiche concezioni<br />
dell’assoluto: «L’assoluto c’è, deve<br />
solo essere pensato diversamente: non come<br />
grande soggetto o come spirito, non come<br />
ordine che riposa su se stesso e nemmeno<br />
come struttura di norme e istituzioni, ma<br />
piuttosto come processo autopoietico con<br />
conclusione catastrofica (...). Il sistema<br />
sociale non è, come volentieri si presenta,<br />
superamento del caos, ma è solo il metodo<br />
di produrre il caos più velocemente di quanto<br />
sarebbe possibile secondo le leggi dello<br />
sviluppo spontaneo». M.M.<br />
La morale ineffabile<br />
In corrispondenza dell’uscita in librerie<br />
delle loro rispettive opere, LE CRÉPU-<br />
SCULE DU DEVOIR, (Il crepuscolo del dovere,<br />
Gallimard, Parigi 1992) e UNE MO-<br />
RALE SANS MORALISME (Una morale senza<br />
moralismo, Flammarion, Parigi<br />
1992), le opinioni sulla morale contemporanea<br />
di due filosofi agli antipodi<br />
per concezione e tradizione di pensiero:<br />
Gilles Lipovetsky, teorico dell’individualismo<br />
e di una società postmorale,<br />
e Jean-Marie Domenach, un<br />
vecchio discepolo di Emmanuel Mounier,<br />
hanno trovato spazio sulle pagine<br />
del settimanale di cultura “L’Evenement<br />
du Jeudi” (3-9 dicembre 1992).<br />
Il proposito del libro di Gilles Lipovetsky<br />
è quello di stabilire le condizioni di funzionamento<br />
di un’etica nelle società democratiche,<br />
dove i valori individuali e il diritto al<br />
benessere danno le direttrici ai comportamenti<br />
e forniscono legittimità alla macchina<br />
politica; la società post-morale e quella<br />
propria di un’ «epoca dove il dovere è<br />
edulcorato, reso anemico, dove l’idea del<br />
sacrificio del sé risulta socialmente delegittimato,<br />
dove la morale non esige più di<br />
devolversi ad un fine superiore, dove le<br />
lezioni di morale sono coperte dagli spots<br />
del viver meglio, dal sole delle vacanze, dal<br />
divertimento mediatico». D’altra parte è<br />
proprio sulla base di questa cultura individualista<br />
ed edonista che si aprono le contraddizioni<br />
maggiori negli ambiti in cui si<br />
incontrano l’interesse collettivo e quello<br />
privato: l’ecologia, l’utilizzo delle tecnologie.<br />
Dove insomma si pone l’esigenza di<br />
stabilire delle norme, la risposta sembra<br />
andare nel senso della riproposizione di<br />
comportamenti manichei e fondamentalisti.<br />
Operando una ricognizione che è più storica<br />
che filosofica, Lipovetsky si interessa<br />
31<br />
soprattutto alla messa in scena della moralità<br />
nella società mediatica: gli spettacoli a<br />
favore di iniziative umanitarie, la tele-solidarietà;<br />
atteggiamenti che rivelano la spettacolarizzazione<br />
dell’impegno e la sua trasformazione<br />
in una morale minimalista,<br />
“indolore”.<br />
Per quanto convinto che una certa cultura<br />
sacrificale della morale sia finita, Jean-<br />
Marie Domenach sostiene che l’apprezzamento<br />
del grado di moralità di una democrazia<br />
non si misura con i dati sociologici,<br />
né con gli strumenti della statistica, ribadendo<br />
che parlare di morale indolore significa<br />
rinunciare al concetto di responsabilità<br />
che è implicito in qualsiasi atto morale.<br />
Dell’attuale impasse sarebbe responsabile<br />
l’individualismo contemporaneo: non si dà<br />
morale se non nel legame che si vuole<br />
stabilire con l’altro, ma - per evitare che<br />
essa si trasformi in moralismo, che imponga<br />
dei comportamenti e non delle scelte - si<br />
deve essere consapevoli che la morale è un<br />
prodotto e una realizzazione storica e vive,<br />
oltre che negli atteggiamenti degli individui,<br />
nelle loro forme politiche, nel diritto,<br />
nella deontologia delle professioni. I valori<br />
sono dunque depositati nelle istituzioni storiche<br />
dei popoli e hanno sempre il significato<br />
di un compromesso con un’epoca e<br />
una società determinata.<br />
In un’unica conclusione sembrano ritrovarsi<br />
i due autori: la politica delle responsabilità<br />
è il nome laico che assume l’impegno<br />
morale nei confronti dei fanatismi. E.N.<br />
Il paradosso<br />
del pensiero occidentale<br />
Il volume collettivo a cura di Paul Geyer<br />
e Roland Hagen Büchle, DAS PARADOX.<br />
EINE HERAUSFORDERUNG DES ABENDLÄNDI-<br />
SCHEN DENKENS (Il paradosso. Una sfida<br />
del pensiero occidentale, Stauffenburg<br />
Verlag, Tübingen 1992) presenta<br />
un’analisi di carattere interdisciplinare<br />
di un fenomeno che da tempo incluso<br />
tra le chiavi di lettura della modernità<br />
mostra di non essere più solo<br />
oggetto esclusivo di ricerca retorica,<br />
logica e filosofica.<br />
Cosa sono i paradossi? Come hanno origine?<br />
In cosa si distinguono da fenomeni<br />
analoghi? Qual è il rapporto tra il concetto<br />
di paradosso usato dalla logica in senso<br />
“tecnico” (l’antinomia) e l’uso più ampio<br />
che di questo concetto o figura retorica<br />
viene fatto da altre discipline, come la<br />
letteratura e l’arte? Il volume collettivo<br />
Das Paradox, che raccoglie gli interventi<br />
presentati ad un recente convegno sul tema:<br />
“Fenomenologia dei paradossi. Sullo sviluppo<br />
storico di una forma dello stile e del<br />
pensiero”, tenutosi presso l’università cattolica<br />
di Eichstätt, cerca di dare una risposta<br />
a questa e ad altre domande, sia presen-
tando analisi di carattere sistematico e teoretico,<br />
sia attraverso ricostruzioni della storia<br />
del concetto, della parola e del problema.<br />
La parte sistematica del volume raccoglie<br />
contributi di carattere filosofico, teologico,<br />
psicologico, retorico, logico, biologico e di<br />
filosofia del linguaggio, preceduti da due<br />
interventi dedicati a questioni più generali,<br />
che possono servire da introduzione agli<br />
studi su temi più specifici: quello di Gerhard<br />
Vollmer, sul rapporto tra paradossi<br />
e antinomie, e quello di Henrich Plett, che<br />
ricostruisce la tradizione retorica del concetto<br />
di paradosso. Mentre gli interventi<br />
raccolti nella parte storica coprono un arco<br />
di tempo che va dall’antichità greca e romana<br />
ai “testi post-moderni” e alla “letteratura<br />
post-mimetica”. Preminenti sono qui<br />
studi dedicati a temi come il “paradosso<br />
mistico” e l’“esistenza religiosa”.<br />
La ricchezza e l’ampiezza dei materiali<br />
presentati nel volume danno un’idea della<br />
complessità e problematicità della discussione<br />
sul paradosso. Una complessità che<br />
sembra smentire una certa tendenza alla<br />
stilizzazione e alla semplificazione presente<br />
nell’introduzione al volume, in cui,<br />
sotto il poco modesto titolo di “Fondazione<br />
storico-sistematica”, si legge tra<br />
l’altro: «Il paradosso è una figura della<br />
resistenza contro la presa del potere di<br />
un sistema di pensiero chiuso. La storia<br />
di questa resistenza è anche una storia<br />
del pensiero occidentale, una storia per<br />
così dire dal basso». M.M.<br />
Filosofia della mente<br />
«Qual è la relazione tra la vita mentale<br />
di un uomo e gli eventi del suo cervello?»<br />
Questa domanda, tanto semplice<br />
nella sua formulazione, quanto complessa<br />
per il groviglio di problemi a cui<br />
direttamente ci introduce, è il risultato<br />
emblematico, potremmo dire, dell’incontro<br />
di tradizionali questioni filosofiche<br />
con i risultati ottenuti in varie<br />
discipline scientifiche, tra cui la neurofisiologia,<br />
la psicologia, la cibernetica<br />
e la linguistica. In questo ambito di<br />
riflessione, comunemente caratterizzato<br />
come filosofia della mente, rientrano<br />
alcuni recenti studi, oggi disponibili<br />
in traduzione italiana: CONTENUTO<br />
E COSCIENZA (trad. di G. Mugnaio, Il<br />
Mulino, Bologna 1992) di Daniel C.<br />
Dennet; LA NATURA DELLA MENTE E LA<br />
STRUTTURA DELLA SCIENZA - UNA PROSPETTI-<br />
VA NEUROCOMPUTAZIONALE (trad. di G.<br />
Farabegoli, introd. di R. Luccio, Il Mulino,<br />
Bologna 1992) di Paul M. Churchland;<br />
FILOSOFIA DELLA MENTE (trad. di M.<br />
Salucci, Il Mulino, Bologna 1992) di<br />
William Bechtel; LA MENTE DELL’UOMO<br />
(trad. di M. Ricucci, Il Mulino, Bologna<br />
1992) di Anthony J. Sanford.<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
In questo suo nuovo volume Daniel C.<br />
Dennett, noto studioso, che da tempo si<br />
occupa di I. A. (Intelligenza Artificiale),<br />
propone la “tesi centralista” come tentativo<br />
di mediare un approccio intenzionale allo<br />
studio della mente con l’esigenza ineliminabile<br />
della costruzione di teorie estensionali<br />
e modelli matematici in grado di descrivere<br />
gli eventi mentali più diversi con<br />
un linguaggio “scientifico” e non solo “personalistico”.<br />
Come osserva Riccardo Luccio nell’Introduzione<br />
al testo, Paul M. Churchland,<br />
filosofo americano, «incarna in modo quasi<br />
eccessivo l’anima del materialismo eliminativista»,<br />
presentando con entusiasmo<br />
e ottimismo in questo suo nuovo lavoro una<br />
forte teoria connettivista che vede il pensiero<br />
come proprietà emergente dall’autorganizzazione<br />
di una mente concepita come<br />
rete di unità profondamente interconnesse.<br />
Churchland costruisce un paradigma cognitivo,<br />
da sostituire a quello enunciativo<br />
della psicologia del senso comune, fondato<br />
sulle neuroscienze: la mente viene interpretata<br />
in termini di reti neurali e le virtù<br />
sovraempiriche della teoria, come la semplicità,<br />
la chiarezza, la coerenza e il potere<br />
esplicativo sono di fatto caratteristiche di<br />
funzionamento delle reti neurali.<br />
Il materialismo eliminativista di Churchland<br />
è tutt’altro che un rozzo meccanicismo<br />
e si avvicina molto a quello che nel<br />
panorama della filosofia della mente , soprattutto<br />
americana, prende il nome di<br />
“emergentismo”; con quest’ultimo si sostiene<br />
l’impossibilità di parlare di mente<br />
se la complessità strutturale del sistema<br />
nervoso che si considera si pone al di sotto<br />
di un certo livello critico. Il punto di partenza<br />
è il modello di sistema nervoso preconizzato<br />
da Hebb nel 1949, modello che<br />
prevede la capacità dei neuroni di unirsi in<br />
gruppi chiamati “assembramenti cellulari”;<br />
il funzionamento del sistema si collega<br />
non ai singoli neuroni, ma ad interi assembramenti,<br />
o a più assembramenti in “sequenza<br />
di fase”.<br />
Sia Churchland che Dennett contribuiscono,<br />
più o meno consapevolmente, a far<br />
luce sull’evoluzione del problema mente/<br />
corpo, a partire dagli anni ’60 in poi, come<br />
lotta tra una forma radicale di materialismo<br />
monistico eliminazionista (teoria dell’identità),<br />
una riaffermazione del dualismo<br />
(con alla testa personaggi come Popper<br />
ed Eccles), l’emergentismo (che forse<br />
è solo una sottospecie della teoria dell’identità)<br />
e infine le posizioni funzionalistiche<br />
di Putnam e Johnson-Laird, popolari<br />
tra gli psicologi cognitivisti e che trovano<br />
oggi in Jerry Fodor il loro più lucido e<br />
provocatorio fautore.<br />
Intento, e conseguentemente impostazione<br />
totalmente diversa, hanno i lavori di William<br />
Bechtel e Anthony J. Sanford. Bechtel,<br />
filosofo americano, sceglie di scrivere<br />
in questo suo nuovo studio per i “non<br />
addetti ai lavori” e tenta un semplice e<br />
32<br />
introduttivo approccio storico al problema<br />
della mente, passando attraverso la filosofia<br />
antica di Platone e Aristotele, la tradizione<br />
scolastica di Ockham, i classici della<br />
filosofia moderna come Descartes, Locke,<br />
Leibniz, Kant, per arrivare alla problematica<br />
contemporanea, ampliatasi notevolmente<br />
grazie ai risultati raggiunti dalle varie discipline<br />
scientifiche e grazie a filosofi come<br />
Wittgenstein, Dennett, Davidson, Putnam<br />
ecc. Anche in Bechtel, come in Dennett, si<br />
sente l’esigenza di guardare in una prospettiva<br />
unificante gli esiti della logica, della<br />
filosofia del linguaggio, della psicologia e<br />
delle neuroscienze, senza trascurare l’importanza<br />
che il metodo e le teorie filosofiche<br />
rivestono per la scienza cognitiva.<br />
Il lavoro di Sanford ha invece il carattere di<br />
una introduzione alla psicologia cognitiva<br />
più che alla filosofia della mente in generale;<br />
punto di partenza è il tema ormai classico<br />
del “comprendere la comprensione umana”,<br />
tema che l’autore tratta attraverso vari<br />
approcci sperimentali e introspettivi, esplorando<br />
le aree dell’attenzione, del ragionamento,<br />
dell’apprendimento e della memoria.<br />
La mente viene trattata come sistema di<br />
elaborazione delle informazioni e Sanford<br />
si preoccupa di illustrarne i meccanismi di<br />
comprensione del linguaggio e del pensiero<br />
attraverso strumenti come l’analogia, le<br />
rappresentazioni mentali e varie procedure<br />
di semplificazione.<br />
Sanford ci invita a mettere in dubbio le<br />
nostre certezze conoscitive, a renderci consapevoli<br />
della fallibilità della ragione umana<br />
attraverso una più profonda conoscenza<br />
dei nostri modelli di comprensione del<br />
mondo; in sostanza non dobbiamo confondere<br />
la sensazione intuitiva della certezza<br />
con la “verità”, perché questo rischia di<br />
limitare le nostre stesse capacità conoscitive.<br />
In ultima analisi Sanford illustra l’utilità<br />
pratica della conoscenza della mente:<br />
i vantaggi concreti nella vita quotidiana<br />
dell’uomo comune e contemporaneamente<br />
il maggior rigore metodologico dello<br />
scienziato. S.B./S.L.<br />
Coerenza di Nietzsche<br />
Davanti alla molteplicità, al carattere<br />
spesso contraddittorio dell’opera di<br />
Friedrich Nietzsche, la critica ha cercato<br />
di dare un ordine, classificando<br />
sotto diverse “stagioni” il pensiero di<br />
un filosofo che arrivava a sostenere:<br />
«Io non sono un uomo, sono della<br />
dinamite». A rivendicare l’unità e la<br />
fondamentale coerenza dei suoi testi<br />
sono due saggi di recente pubblicazione<br />
in Francia: EXPLOSION I. DE L’ECCE<br />
HOMO DI NIETZSCHE di Sarah Kofman<br />
(Esplosione, I vol. l’Ecce Homo di<br />
Nietzsche, Galilée, Paris <strong>1993</strong>) e NIETZ-<br />
SCHE ET LE DÉPASSEMENT DE LA MÉTHAPHISI-<br />
QUE (Nietzsche e il superamento della
metafisica, Gallimard, Paris <strong>1993</strong>), di<br />
Michel Haar.<br />
Torino 1888. Quando si accinge a scrivere<br />
l’Ecce Homo Friedrich Nietzsche ha già<br />
portato a termine l’opera di demolizione<br />
della categoria di soggetto; abbandonata<br />
l’illusione di un sé, un luogo puntuale dove<br />
le diversità si organizzano in un identico, sa<br />
che il molteplice e il contraddittorio dell’esistenza<br />
individuale può essere tenuto<br />
assieme soltanto dall’impianto della scrittura.<br />
A questo artificio d’ordine Nietzsche<br />
sembra rinunciare, col rischio di restare<br />
inaudito. Così, anche nella forma, Ecce<br />
Homo è qualcosa di diverso da una autobiografia:<br />
nessuna linearità; un testo “esploso”,<br />
come lo presenta Sarah Kofman, che<br />
«mette in pericolo il mondo», secondo quanto<br />
afferma Nietzsche stesso in questa sua<br />
ultima riflessione sul sé, prima di perdersi,<br />
di errare per i territori della follia.<br />
Di fronte alla “coerenza senza unità”<br />
dell’opera nietzscheana, all’esegesi non<br />
è rimasta che la risorsa di dare valore<br />
fondativo, di innalzare a principi alcune<br />
finzioni: la volontà di potenza, il Superuomo,<br />
l’Eterno ritorno; senza considerare<br />
il fatto che nessuna di queste vuole,<br />
né può generare un orizzonte che possa<br />
valere come normativo o legittimante.<br />
Come rileva Michel Haar nel suo recente<br />
studio: Nietzsche et le dépassement de<br />
la métaphisique, la stessa lettura di<br />
Heidegger, che fa di Nietzsche il compimento<br />
della metafisica nel momento in<br />
cui ne rovescia le categorie e denuncia il<br />
platonismo fondamentale di ogni costrutto<br />
metafisico, mantiene il pensiero nietzscheano<br />
all’interno dello stesso orizzonte<br />
che tale pensiero voleva sovvertire.<br />
Haar è invece convinto che la posizione<br />
di Nietzsche «non si riduce ad un controplatonismo»,<br />
dal momento che il corpo<br />
(la grande ragione, come dice Zarathustra)<br />
e le sue energie pulsionali, nel momento<br />
in cui producono i valori, nascondono<br />
la loro origine e il loro cominciamento<br />
assoluto. Il “mondo dietro il mondo”<br />
rimane definitivamente insondabile,<br />
mentre l’esistenza vive nel gioco delle<br />
apparenze. Il “sì alla vita” nietzscheano,<br />
conclude Haar nella sua prefazione, è<br />
la forza di assumere la necessità dell’imperfezione,<br />
del negativo e infine del dolore,<br />
con quel sentimento di “tragica gioia”<br />
che, del tutto, vuole l’eternità. E.N.<br />
Marxismo ed ecologia<br />
Tra i tentativi di rivisitare il pensiero<br />
marxiano alla luce delle problematiche<br />
contemporanee, uno dei più interessanti<br />
è certo quello “ecomarxista”.<br />
A partire dalla pubblicazione<br />
del saggio di James O’ Connor su<br />
CAPITALISME, NATURE, SOCIALISM (1988;<br />
trad. it. L’ecomarxismo. Introduzio-<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
ne ad una teoria, Roma 1989), gli<br />
studi sull’argomento si sono moltiplicati.<br />
Tra i più recenti segnaliamo<br />
quelli contenuti nel “Dossier” del n.<br />
<strong>12</strong> di “Actuel Marx” (II semestre<br />
1992), dedicato a L’ÉCOLOGIE, CE MA-<br />
TÉRIALISME HISTORIQUE, e nei nn. 6 e 7<br />
della rivista “Capitalismo Natura<br />
Socialismo” (ed. it. di “Capitalism,<br />
Nature, Socialism”, fondata nel 1988<br />
dallo stesso O’ Connor).<br />
La questione fondamentale attorno alla<br />
quale ruotano molti dei saggi qui esaminati<br />
è la seguente: la responsabilità del dissidio<br />
storicamente verificatosi tra marxismo ed<br />
ecologia è da imputare al fondatore del<br />
materialismo storico o ai suoi prosecutori,<br />
che non avrebbero sviluppato gli spunti<br />
“ecologisti” contenuti nella sua critica al<br />
capitalismo? Gli intervenuti propendono<br />
generalmente per la seconda ipotesi, tendendo<br />
ad assolvere Karl Marx dall’accusa<br />
di aver portato alle estreme conseguenze il<br />
mito prometeico del produttivismo e riconoscendo<br />
la capacità del marxismo, previo<br />
l’innesto sul suo tronco di altri filoni del<br />
pensiero contemporaneo (Weber, Polany,<br />
Habermas, Elias, Hayek, Durkheim, Levi-<br />
Strauss) e la rimozione degli aspetti più<br />
caduchi della dottrina, a fondare una critica<br />
ecologica della società, i cui prodromi si<br />
ritroverebbero già nei marxiani Manoscritti<br />
economico-filosofici del ‘44.<br />
In particolare, in “Actuel Marx”, Ted Benton<br />
(“Marxisme et limites naturalles: critique<br />
et reconstrution écologiques”) ritiene<br />
che Marx ed Engels, nonostante il loro<br />
“naturalismo” e “materialismo”, abbiano<br />
trascurato il fatto che il lavoro non è solo<br />
“trasformazione”, ma anche “appropriazione”<br />
delle risorse naturali: anch’esse dunque<br />
andrebbero riprodotte, e non solo sfruttate;<br />
tuttavia il programma marxiano di<br />
“ecologia della specie umana” contiene in<br />
sé gli elementi per una critica ecologica e<br />
sociale del capitalismo. Dello stesso avviso<br />
è anche Jacques Bidet (“Y a-t-il une<br />
écologie marxiste?”), il quale attribuisce le<br />
“carenze ecologiche” del marxismo alla<br />
sottovalutazione del mercato e all’utopia di<br />
una sua sostituzione integrale da parte della<br />
pianificazione, riassumendo le argomentazioni<br />
contenute nella sua recente Théorie<br />
de la modernité (trad. it. Teoria della modernità,<br />
Editori Riuniti, Roma 1992).<br />
James O’ Connor (“La seconde contradiction<br />
du capitalisme: cause et consequences”)<br />
analizza invece lo sfruttamento indiscriminato<br />
dell’ambiente come elemento<br />
decisivo per sostenere gli alti tassi di sviluppo<br />
attuali, ma nello stesso tempo anche<br />
causa del sorgere di una serie di movimenti<br />
di opposizione al sistema in tutto il mondo.<br />
La contraddizione tra produzione e natura,<br />
alla quale O’ Connor attribuisce le ricorrenti<br />
“crisi da domanda” e “crisi da aumento<br />
dei costi” del sistema economico contemporaneo,<br />
è stata al centro del dibattito<br />
anche nel n. 6 di “Capitalismo Natura So-<br />
33<br />
cialismo”, con interventi tra gli altri di<br />
Amin, Altvater, Lebowitz; alcuni ritengono<br />
non più praticabile la proposta di<br />
soluzione al problema presentata dallo stesso<br />
O’ Connor, consistente nell’attribuire<br />
allo Stato un ruolo sempre maggiore nella<br />
programmazione economica, dopo le esperienze<br />
negative di questo secolo. Del resto<br />
è naturale che proprio nel passaggio dall’analisi<br />
teorica al piano pratico i contrasti<br />
si manifestino più acuti; così in “Actuel<br />
Marx”, André Gorz (“L’ecologie politique<br />
entre expertocratie et autolimitation”)<br />
vede il movimento ecologico diviso tra<br />
un’ala tecnocratica (raccolta intorno al “club<br />
di Roma”), che intende imporre dall’alto<br />
comportamenti ecocompatibili in nome di<br />
principi sedicenti scientifici (erede in questo<br />
del peggiore “diamat”), ed un’ala democratica<br />
che vuole lottare contro lo sfruttamento<br />
capitalista di natura ed individui,<br />
con l’obiettivo di una società autogestita<br />
sulla base dell’autolimitazione di bisogni e<br />
consumi, secondo un “principio di sufficienza”<br />
che garantisca a tutti maggiore<br />
libertà, sicurezza e tempo libero. Analogamente,<br />
in “Capitalismo Natura Socialismo”,<br />
Fabio Giovannini (“La democrazia fa bene<br />
all’ambiente”) intende opporsi a quella parte<br />
del movimento ecologico che ritiene irrilevante<br />
la scelta tra democrazia ed autoritarismo<br />
quali mezzi per salvare il pianeta; la<br />
seconda opzione può richiamarsi da un<br />
punto di vista teorico alle tesi di Hans<br />
Jonas (Il principio responsabilità, Torino<br />
1979) e Vittorio Hösle (Filosofia della<br />
crisi ecologica, Torino 1992), che giunge<br />
perfino ad ipotizzare l’avvento di un “ecodittatore”.<br />
Sullo stesso numero di “Capitalismo Natura<br />
Socialismo” viene inoltre presentato e<br />
commentato il testo inedito di una conferenza<br />
tenuta da Herbert Marcuse all’Università<br />
di Berkeley nel ’79 (l’anno della sua<br />
morte), in cui, per spiegare gli opposti<br />
istinti umani alla difesa e alla distruzione<br />
della natura, il filosofo tedesco faceva ricorso,<br />
oltre all’economia, ai concetti freudiani<br />
di Eros e Thanatos, giungendo alla<br />
conclusione che quello ecologico è «un<br />
movimento politico e psicologico di liberazione».<br />
L’aspetto psicologico della questione<br />
è esaminato anche da Denis Duclos<br />
in “Actuel Marx” (“La nature: principale<br />
contradiction culturelle du capitalisme?”),<br />
che vede nella scomparsa della frontiera tra<br />
natura e cultura la conseguenza principale<br />
dello sforzo di conciliazione tra capitalismo<br />
ed ecologia, simboleggiato dal mitomostro<br />
del riciclaggio, moderno corrispondente<br />
di incesto e cannibalismo.<br />
Prosegue infine su “Capitalismo Natura<br />
Socialismo” la discussione intorno alla proposta<br />
di Giorgio Nebbia, presentata sul n.<br />
4 della stessa rivista, di un “manifesto per<br />
un’ecologia socialista”. Lo stesso Nebbia,<br />
insieme a Tiziano Bagarolo, Giuseppe<br />
Prestipino, Laura Conti, recentemente<br />
scomparsa, e altri, interviene su “Marxismo<br />
ed ecologia” anche nel n. 10 di “Giano”,<br />
un’altra rivista da sempre attenta a<br />
queste tematiche, che sono state anche al
Diritto di replica:<br />
Sulla “Volontà di potenza”<br />
di Nietzsche<br />
La recente riedizione italiana a cura di<br />
Maurizio Ferraris e di Pietro Kobau, su<br />
suggerimento di Pier Aldo Rovatti, di<br />
un’opera postuma di Friedrich Nietzsche,<br />
LA VOLONTÀ DI POTENZA. SAGGIO DI<br />
UNA TRASVALUTAZIONE DI TUTTI I VALORI<br />
(Bompiani, Milano 1992), che riprende,<br />
rivedendola, la traduzione del 1927<br />
di Angelo Treves per l’editore Monanni<br />
di Milano, ha sollevato tra gli studiosi<br />
e gli interpreti dell’opera nietzscheana<br />
un’ampia polemica, dai toni<br />
talvolta aspri e intransigenti, che ha<br />
trovato spazio, a più riprese, sulle pagine<br />
di molti tra i maggiori giornali<br />
quotidiani italiani. Poiché crediamo che<br />
anche le polemiche, una volta composte,<br />
giovino alla comprensione di<br />
un’opera, di un pensiero, abbiamo raccolto<br />
e articolato qui di seguito in<br />
forma documentativa le obiezioni e<br />
considerazioni critiche intervenute in<br />
questa polemica, lasciando poi ad uno<br />
degli autori chiamati in causa, Maurizio<br />
Ferraris, la possibilità di un’ultima<br />
replica.<br />
Alla base della polemica vi è la vicenda<br />
editoriale tormentata, e per certi aspetti<br />
ancora oscura, che determinò e segnò<br />
profondamente, nel contesto del programma<br />
di edizione del Nachlass<br />
nietzscheano promosso dal “Nietzsche-Archiv”,<br />
la pubblicazione originaria<br />
di quest’opera in 1067 pseudoaforismi,<br />
apparsa per la prima volta nel<br />
1906, presso l’editore Naumann di Lipsia,<br />
con il titolo: Der Wille zur<br />
Macht. Versuch einer Umwerthung<br />
aller Werthe (“Taschenausgabe”,<br />
voll. IX e X), a cura di Elisabeth<br />
Förster Nietzsche, sorella del filosofo,<br />
e Peter Gast (pseudonimo di Heinrich<br />
Köselitz), discepolo e devoto amico di<br />
Nietzsche. Nel 1911 essa venne ristampata<br />
in edizione canonica, inalterata<br />
nel testo, ma ampliata negli apparati,<br />
presso l’editore Kröner di Stoccarda<br />
(“Gross-Oktav-Ausgabe”, voll. XV e<br />
XVI), a cura di Otto Weiss, già editore<br />
di Schelling.<br />
La controversia editoriale che condizionò<br />
quest’edizione fu determinata<br />
dal fatto che di quest’opera Nietzsche<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
aveva solo redatto, a partire dal 1885,<br />
una serie di dichiarazioni d’intenti,<br />
abbozzi programmatici e annunci di<br />
pubblicazione, predisponendo inizialmente<br />
a tale scopo una raccolta di 372<br />
frammenti, numerati e organizzati secondo<br />
una Rubrik. Su questo nucleo<br />
originario di materiali sono intervenuti<br />
i vari curatori, che interpretando l’intento<br />
di Nietzsche secondo presupposti<br />
e prospettive tra loro diversi, contingenti,<br />
se non talvolta vagamente<br />
difformi rispetto all’intenzione originaria<br />
del filosofo, hanno portato l’opera<br />
alla pubblicazione, adottando innanzitutto,<br />
come criterio strutturale,<br />
l’ordinamento tematico dei frammenti,<br />
e non quello cronologico-sistematico,<br />
e ampliando di conseguenza, sia in<br />
avanti, che indietro, il periodo di pertinenza<br />
del materiale. Così, nel 1901, si<br />
arriva alla pubblicazione, già con il<br />
titolo di Der Wille zur Macht, di una<br />
prima raccolta di 483 pseudoaforismi<br />
(dove peraltro non tutti i 372 frammenti<br />
ordinati da Nietzsche sono contenuti),<br />
curata da Peter Gast e da Ernst ed<br />
August Horneffer (“Gross-Oktav-Ausgabe”,<br />
vol. XV), a cui succede l’edizione<br />
definitiva, in 1067 pseudoaforismi<br />
(dove in misura ancora minore<br />
sono presenti i 372 frammenti originari),<br />
del 1906 e del 1911.<br />
Le controversie sull’autorità e validità<br />
dell’opera, e dunque sulle responsabilità<br />
dei curatori, che tali esiti editoriali<br />
già allora sollevarono, sono di fatto<br />
anche all’origine della polemica che<br />
oggi investe la recente riedizione italiana<br />
de La volontà di potenza,<br />
tanto più se si considera che l’edizione<br />
storico-critica dell’opera omnia di<br />
Nietzsche, avviata negli anni ’30 dalla<br />
stessa Elisabeth Förster Nietzsche presso<br />
l’editore Beck di Monaco di Baviera<br />
e ripresa negli anni ’60 da Giorgio Colli<br />
e Mazzino Montinari per l’editore Adelphi<br />
in Italia, Gallimard in Francia e de<br />
Gruyter in Germania, ha necessariamente<br />
assorbito nell’ordine cronologico<br />
dei Frammenti postumi<br />
(Nietzsche-Werke / Nietzsche, Opere)<br />
la compilazione degli stessi confluita<br />
in origine nelle varie edizioni<br />
di Der Wille zur Macht, sgretolando<br />
l’identità di quest’opera.<br />
Proprio in relazione a quest’ordine di<br />
considerazioni si è sviluppata una delle<br />
principali obiezioni che hanno caratterizzato<br />
la polemica intorno alla<br />
riedizione de La volontà di potenza,<br />
proposta da Maurizio Ferraris e<br />
Pietro Kobau.<br />
L’ “operazione editoriale”, come è stata<br />
definita questa riedizione, è apparsa<br />
di fatto, pur se storicamente lecita, non<br />
sufficientemente caratterizzata in senso<br />
storico-documentario, dopo che<br />
l’edizione storico-critica di Colli e Montinari<br />
(quest’ultimo, peraltro, non ave-<br />
34<br />
va tuttavia escluso l’ipotesi di una pubblicazione<br />
separata, come documento<br />
storico, de La volontà di potenza)<br />
aveva sancito, in forma filologicamente<br />
rigorosa, il testo, la cronologia e<br />
l’ambito tematico di pertinenza di ciascun<br />
frammento all’interno della produzione<br />
di pensiero di Nietzsche confluita<br />
nei cosiddetti Frammenti postumi,<br />
e indirettamente nell’Anticristo<br />
e nel Crepuscolo degli idoli.<br />
Tra gli argomenti a sostegno di questa<br />
obiezione domina innanzitutto la ripresa<br />
dell’accusa di arbitrio, faziosità e<br />
falsificazione, che in più modi fu rivolta<br />
a Elisabeth Förster Nietzsche in rapporto<br />
alla scelta, compilazione e distribuzione<br />
dei frammenti per l’edizione<br />
di Der Wille zur Macht del 1906, in<br />
cui, tra i vari piani dell’opera abbozzati<br />
da Nietzsche, veniva fatto riferimento<br />
esclusivamente a quello di Nizza del 17<br />
marzo 1887, e in cui, oltre all’occultamento<br />
e smembramento di testi, venivano<br />
mescolati sistematicamente<br />
frammenti di periodi diversi.<br />
L’insieme di queste accuse rendono la<br />
Volontà di potenza un puro documento<br />
storico di fronte all’impresa storico-critica,<br />
realizzata da Colli e Montinari,<br />
di presentare i testi nella forma e<br />
nella successione, filologicamente corrette,<br />
in cui sono tramandati dai manoscritti.<br />
E proprio sulla validità storicodocumentaria<br />
dell’apparato di commento<br />
e note, a cui pure fa seguito una<br />
“tavola di concordanza” tra le varie<br />
edizioni dei frammenti, si concentrano<br />
di fatto la maggior parte delle critiche<br />
alla riedizione italiana de La volontà<br />
di potenza. Alla lunga postfazione di<br />
Maurizio Ferraris, Storia della volontà<br />
di potenza, che accompagna<br />
questa pubblicazione, viene in particolare<br />
rimproverato di non fornire un<br />
orientamento sufficientemente documentato<br />
nella diversità del materiale<br />
di cui si compone la Volontà di<br />
potenza, costituito da frammenti di<br />
rilevante contenuto filosofico, abbozzi,<br />
varianti, materiale preparatorio di<br />
opere pubblicate da Nietzsche stesso,<br />
riflessioni e appunti a margine di letture,<br />
trascrizioni di brani di altri autori,<br />
che in misura ovviamente diversa hanno<br />
subito poi l’intervento dei curatori<br />
dell’opera originale.<br />
Tuttavia il taglio biografico-ermeneutico<br />
adottato da Ferraris nella sua postfazione,<br />
in cui un certo tipo di “cronologia”<br />
viene elevato al rango di genere<br />
letterario attraverso l’uso dei<br />
materiali e il modo della scrittura, si<br />
mostra più incline, come è stato osservato,<br />
a dar conto della storia degli<br />
effetti suscitati dalla ricezione di quest’opera,<br />
la cui contraddittorietà filosofica,<br />
la rischiosa inquietudine, il gioco<br />
di aperture e chiusure costituiscono<br />
non tanto il limite, quanto il carattere
di attualità proprio della proposta di<br />
pensiero nietzscheana. Da questo punto<br />
di vista la Volontà di potenza si<br />
presenterebbe come opera in sé - e<br />
come tale, secondo alcuni, dovrebbe<br />
innanzitutto essere giudicata - per l’intima<br />
connessione che la lega ai suoi<br />
effetti: da un lato, il peso di quest’opera<br />
sulla grande cultura filosofica del<br />
nostro secolo, a cominciare dall’interpretazione<br />
di Nietzsche elaborata da<br />
Heidegger alla fine degli anni ’30; dall’altro<br />
il ruolo stesso della concezione<br />
che sta alla base di quest’opera come<br />
progetto fondamentale all’interno dell’ultima<br />
produzione di pensiero di Nietzsche,<br />
che testimonia del preciso intento<br />
del filosofo di concentrare in un’opera<br />
sulla “trasvalutazione di tutti i valori”<br />
quanto era stato annunciato con lo<br />
Zarathustra. Tuttavia, troppo semplificante,<br />
se non addirittura deviante,<br />
è apparsa ad alcuni critici la linea interpretativa<br />
proposta da Ferraris, che secondo<br />
una prospettiva teleologica collegherebbe<br />
il giovanile studio di Nietzsche<br />
su Teognide al Wille zur Macht,<br />
per cui la centralità dell’idea di<br />
volontà di potenza verrebbe a identificarsi<br />
con una sorta di “radicalismo<br />
aristocratico”, con il rischio di consegnare<br />
di nuovo il pensiero nietzscheano<br />
alla lunga e insistita strumentalizzazione<br />
nazista di cui già fu vittima.<br />
All’ipotesi di un Nietzsche potenziale<br />
precursore del nazismo, che la proposta<br />
interpretativa di Ferraris, come è<br />
stato obiettato, parrebbe pericolosamente<br />
avallare, è necessario opporre,<br />
secondo alcuni, le responsabilità personali<br />
della sorella del filosofo, Elisabeth<br />
Förster Nietzsche, che nell’opera<br />
di manipolazione e compilazione dei<br />
frammenti per l’edizione del 1906 di<br />
Der Wille zur Macht sarebbe intervenuta<br />
arbitrariamente con scelte,<br />
smembramenti, inclusioni e occultamenti<br />
di testi, tali da contribuire al<br />
consolidarsi tra gli interpreti dell’idea<br />
di un fondo antisemitico del pensiero<br />
nietzscheano, direttamente conseguente<br />
dall’aristocraticismo iperbolico<br />
di Nietzsche, dalle sue requisitorie<br />
contro i deboli e gli oppressi, a favore<br />
dei signori. Se anche, come è stato<br />
osservato, il sottolineare l’irriducibilità<br />
degli elementi di durezza aristocratica<br />
della concezione nietzscheana non<br />
significa consegnarla, in modo semplicistico,<br />
all’ideologia nazionalsocialista,<br />
pure una tale operazione recupera<br />
e attualizza un Nietzsche “mitico”,<br />
lontano dal confrontarsi con il contesto<br />
culturale della sua epoca, con le<br />
posizioni antidemocratiche di pensatori<br />
a lui contemporanei; un confronto<br />
che solo potrebbe mettere in chiaro il<br />
potenziale critico del suo pensiero. Da<br />
un tale punto di vista la Volontà di<br />
potenza rappresenterebbe nient’altro<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
che lo specchio della sua epoca, della<br />
crisi di valori dell’Europa, a cui Nietzsche<br />
reagisce auspicando il trionfo dei<br />
forti, portatori di valori, degli aristocratici,<br />
contro i deboli, fautori della<br />
cultura di massa, del democraticismo,<br />
del socialismo. E se anche, come è<br />
stato osservato, da questa comprensione<br />
del mondo in quanto lotta e interazione<br />
di individuali volontà di potenza<br />
si volesse dedurre una sostanza<br />
metafisica, che “celebri” la volontà di<br />
potenza come “fondamento del reale”,<br />
questo non spiegherebbe ancora<br />
il fatto che in Nietzsche l’entrata nel<br />
“male del pensiero” implichi l’uscita<br />
nel “Terzo Reich”.<br />
In risposta a questa serie di obiezioni si<br />
è osservato che considerare l’antisemitismo<br />
nietzscheano come fatto secondario,<br />
o comunque relativo, secondo<br />
quell’atteggiamento diffuso che distingue<br />
nelle grandi figure della cultura<br />
occidentale tra ciò che è essenziale<br />
della loro opera e ciò che è caduco,<br />
significa non distinguere tra patologia<br />
e ideologia; una distinzione, che nello<br />
specifico del significato attuale di<br />
un’opera controversa come la Volontà<br />
di potenza non solo ne giustificherebbe<br />
la pubblicazione sul piano<br />
della storia della ricezione di Nietzsche,<br />
ma ne convaliderebbe ulteriormente<br />
il carattere di documento storico.<br />
Di fatto, così è stato osservato,<br />
l’inquadramento del pensiero nietzscheano<br />
all’interno di una prospettiva<br />
che in definitiva si sarebbe rivelata di<br />
stampo nazista è un atto ideologico di<br />
strumentalizzazione, sia pur giustificato<br />
da un processo patologico di corruzione<br />
del pensiero, che sebbene abbia<br />
dato adito ad una tale distorsione, ha<br />
notevolmente arricchito il significato<br />
di quel pensiero sul piano speculativo.<br />
In tal senso, è stato notato, non si può<br />
non riconoscere che nella concezione<br />
della volontà di potenza, come in quella<br />
dell’eterno ritorno, che insieme caratterizzano<br />
nel segno della trasvalutazione<br />
l’epoca dello Zarathustra, è<br />
all’opera la ricerca di Nietzsche della<br />
“redenzione dalla redenzione”, della<br />
“fine della promessa”. Il non rendersi<br />
conto che con questo ci si trova di<br />
fronte ad un pensiero che vuole essere<br />
“al di là del bene e del male”, al di là di<br />
qualsiasi concezione etica, significa rinchiudere<br />
la volontà di potenza all’interno<br />
di uno psicologismo che s’illude<br />
di vedere ancora nell’uomo il soggetto<br />
delle proprie scelte, l’artefice del proprio<br />
destino. L’impossibilità di una tale<br />
chiusura, che è anche quella, come è<br />
stato osservato, del significato nella<br />
forma, ovvero della forma su se stessa,<br />
che dà luogo al sorgere del senso,<br />
è appunto l’esperienza fondamentale<br />
che emerge dalla Volontà di potenza,<br />
l’esperienza del nichilismo come<br />
35<br />
risposta alla crisi dell’idea di cultura.<br />
Ma la perdita di cogenza della forma<br />
ne implica l’imposizione autoritaria a<br />
un universo che non si lascia<br />
più rinchiudere in un orizzonte<br />
fisso: da qui appunto l’aristocraticismo<br />
e l’antidemocraticismo<br />
di Nietzsche. R.R.<br />
La vicenda editoriale della Volontà di<br />
potenza è tormentata per quello che è<br />
successo dopo, ci fosse o no quella compilazione,<br />
fuori o dentro l’Archivio, con<br />
o senza Elisabeth - e in una storia che è<br />
anche nostra; ma non è affatto oscura, né<br />
lo è stata sin dal 1906, quando, in vivacissime<br />
polemiche, si seppe tutto l’essenziale;<br />
un essenziale che, per motivi<br />
che mi risultano parzialmente inspiegabili,<br />
sembra risorgere periodicamente<br />
come una rivelazione assoluta. August<br />
ed Ernst Horneffer polemizzano all’inizio<br />
del secolo, Podach negli anni Trenta,<br />
Schlechta negli anni Cinquanta, Colli e<br />
Montinari negli anni Sessanta; tutti dicono<br />
le stesse cose, e cioè che la Volontà<br />
di potenza, come del resto risulta chiarissimamente<br />
dall’apparato della edizione<br />
Weiss nella Gross-Oktav (1911) non<br />
segue un ordine cronologico e compie<br />
accorpamenti arbitrari. E’ quello che,<br />
ovviamente, dico anch’io.<br />
Per non iterare un discorso già troppe<br />
volte ripetuto, mi limito a citare quanto<br />
scrivo (tra molte altre cose, anche relative<br />
alla vicenda editoriale) nella mia cronologia:<br />
«Ecco allora che cosa hanno<br />
sempre saputo in molti, i redattori dell’Archivio<br />
e i loro nemici, e che parve<br />
invece riemergere di tempo in tempo<br />
come una apocalisse. 1. Elisabeth e Gast<br />
nel 1906, estendendo la compilazione di<br />
Gast e Ernst e August Horneffer del<br />
1901, hanno ordinato in modo tematico,<br />
appoggiandosi al piano abbozzato da<br />
Nietzsche nel marzo ’87, ai 372 frammenti<br />
numerati dell’autunno di quell’anno<br />
e alla rubrica relativa, ma spaziando<br />
dal 1883 al 1888, ciò che in buona regola<br />
filologica avrebbe dovuto essere disposto<br />
cronologicamente. Non si trattò di<br />
una decisione incontrastata, e sin dall’inizio<br />
ci furono discussioni nell’Archivio<br />
e fuori, baruffe pubbliche e universalmente<br />
note. Fu inoltre un patto più<br />
o meno scellerato stretto tra due, Gast e<br />
Elisabeth, che non si amavano, gelosi<br />
dell’amico e fratello, rivali sul lascito,<br />
dalla cui gestione il musicista era stato<br />
allontanato in malo modo per sei anni; si<br />
può ragionevolmente pensare che dei<br />
falsi ideologici si potessero orchestrare<br />
in una circostanza del genere? Tornando<br />
al Wille zur Macht, si noti però che la<br />
classificazione arbitraria non escludeva<br />
l’edizione di altri frammenti nei voll.<br />
XIII e XIV (1903 e 1904, dunque prima<br />
di Wille zur Macht2) della Gross-Oktav<br />
relativi al “periodo della trasvalutazione”<br />
(1882/3-1888); che in ogni edizione
del Wille zur Macht, con punte in Weiss<br />
e in Würzbach, vennero pubblicati altri<br />
piani; e che nel 1901, nella pagina a<br />
destra del frontespizio, si poteva leggere:<br />
Nachgelassene Werke / Der Wille zur<br />
Macht / Versuch einer Umwerthung aller<br />
Werthe / (<strong>Studi</strong>en und Fragmente) /<br />
von / Friedrich Nietzsche. <strong>Studi</strong> e frammenti,<br />
dunque, non opere definitive. Questa<br />
è stata la scelta decisiva, dettata dai<br />
motivi più diversi, fossero l’interesse<br />
venale, l’esigenza di rispondere alle attese<br />
del pubblico, il (presunto) pregiudizio<br />
del sistema o altro. Tutto il resto,<br />
come nella settima proposizione della<br />
‘legge contro il cristianesimo’, ‘segue<br />
da ciò’. Ossia: 2. La decisione di accorpare<br />
frammenti di epoche diverse. Il terminus<br />
a quo, l’anno 1883, non è del resto<br />
privo di motivi, visto che il progetto di<br />
un’opera teoretica accompagna e segue<br />
la stesura dello Zarathustra. 3. Quella di<br />
comporre con frammenti diversi (e in<br />
rari casi con materiale allotrio ma comunque<br />
di Nietzsche, come brani di lettere<br />
o avantesti di altre opere) uno pseudoaforisma<br />
o, inversamente, di frammentare<br />
un testo continuo per cavarne<br />
più ‘aforismi’. 4. Quella di sostenere (in<br />
un complicato rapporto con il pregiudizio<br />
del sistema) che il Wille zur Macht,<br />
capo d’opera sistematico, sarebbe stato<br />
però composto non di testi continui di<br />
cui ci restano abbozzi preparatori, ma<br />
Friedrich Nietzsche, 1882<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
per l’appunto di aforismi, secondo il<br />
modello rifiutato o superato già nella<br />
Genealogia della morale, e che riappare<br />
parzialmente nelle opere del 1888. 5. La<br />
scelta di cassare dei frammenti, per esempio<br />
dalla lista dei 372, che risultassero<br />
incompleti, o ripetitivi, o ‘poco filosofici’,<br />
ossia contrastanti con l’autoconclusività<br />
dell’aforisma o con la pretesa di<br />
un piano organico.» (pp. 611-<strong>12</strong>).<br />
Una volta appurato, come è risaputo da<br />
quasi novant’anni, ossia appunto dall’apparire<br />
della Volontà di potenza, che<br />
non si tratta di un’opera voluta da Nietzsche,<br />
né soprattutto voluta in quel modo,<br />
mi sembra inutile passare dalla storia<br />
alla psicologia e chiedersi se la compilazione<br />
rispecchiasse o meno le sue intenzioni.<br />
Ovviamente non le rispecchia, nel<br />
senso che Elisabeth e Gast non le conoscevano<br />
così come non le conosciamo<br />
noi. Ma proprio per questo non possiamo<br />
nemmeno semplicemente dire che le<br />
falsifica. I testi presenti sono tutti di<br />
pugno di Nietzsche, mentre una diffusa<br />
leggenda voleva che ci fossero delle aggiunte<br />
antisemite o protonaziste (termine<br />
che mi resta sostanzialmente oscuro:<br />
se si vuol dire che il Wille zur Macht esce<br />
25 anni prima dell’ascesa al potere di<br />
Hitler, dovremmo concluderne che allora<br />
una qualunque opera apparsa nel 1970,<br />
ossia 25 anni dopo la capitolazione, è<br />
tardonazista). Poi, Nietzsche non era an-<br />
36<br />
tisemita, ma platealmente filosemita, e<br />
questo è largamente attestato nel Wille<br />
zur Macht confezionato da Elisabeth e<br />
da Gast. Come la poesia, così la filologia<br />
e la filosofia non si fanno con le<br />
buone o cattive intenzioni. Se assurdo è<br />
concludere che Nietzsche avrebbe fatto<br />
il Wille zur Macht nel modo in cui lo<br />
hanno combinato Elisabeth e Gast, tanto<br />
più assurdo - già sul piano meramente<br />
algebrico - è escludere che non lo avrebbe<br />
fatto in qualunque altro modo. La<br />
verità è che non ne sappiamo nulla.<br />
Su altre questioni sappiamo invece moltissimo.<br />
Conosciamo la tragedia di Nietzsche<br />
e soprattutto la catastrofe della Germania<br />
e dell’Europa (non lo si scordi,<br />
per non attribuire a un solo popolo un<br />
male che ci riguarda tutti). Conosciamo<br />
il tentativo (sostanzialmente fallito) di<br />
arruolare Nietzsche (tutto Nietzsche, non<br />
solo quest’opera) nel Terzo Reich; conosciamo<br />
il tentativo postbellico o di<br />
proscriverlo, oppure di addossare le responsabilità<br />
del male che è in lui alla<br />
sorella. Conosciamo, ed è un esperimento<br />
alla portata di chiunque abbia la pazienza<br />
di farlo, la coerenza di pensiero<br />
tra i frammenti postumi ordinati cronologicamente,<br />
la compilazione tematica<br />
di Elisabeth e di Gast, e le opere pubblicate<br />
da Nietzsche. Mentre sulle intenzioni<br />
di Nietzsche ragionare non ha senso,<br />
ragionare su quest’ultima circostanza<br />
di senso ne ha alquanto. Nietzsche ha<br />
scritto cose tremende. Possiamo dirlo,<br />
senza con questo sposare il partito di<br />
Bäumler, né quello di Lukács (che restano<br />
differenti, e nella scelta, che fortunatamente<br />
non si porrà mai, sarei per<br />
Lukács); dobbiamo dirlo, per non cadere<br />
nell’equivoco di ammansire Nietzsche<br />
sino a renderlo irriconoscibile.<br />
In quel male (e qui si passa al contesto,<br />
alla storia e alla filosofia, visto che grazie<br />
a Dio non siamo in un tribunale: per<br />
questo preferisco la democrazia e il giornalismo<br />
che d’altra parte, e per motivi<br />
non futili, Nietzsche biasimava), non è<br />
stato il solo: si pensi a Baudelaire e a<br />
Dostoevskij. E’ il segno di una crisi<br />
europea da cui dubito che si sia usciti, e<br />
da cui dubito specialmente che se ne<br />
esca dicendo che Nietzsche non ha mai<br />
scritto certe cose, oppure sostenendo che<br />
Auschwitz è un caso, oppure (o peggio)<br />
che è il semplice segno di una fatalità<br />
faustiana del popolo tedesco. Il modo<br />
migliore per capire è, credo, non bendarsi<br />
gli occhi.<br />
E’ quello che cerco di fare nella mia<br />
cronologia. E’ così semplice da intendersi.<br />
Si dà un testo di cui non si nasconde,<br />
e sin dalla copertina (“Frammenti<br />
postumi ordinati da Peter Gast e Elisabeth<br />
Förster-Nietzsche”), il carattere<br />
compilativo; si danno le concordanze<br />
con i postumi, in modo che ogni uomo di<br />
buona volontà possa ragguagliarsi sul<br />
genere di interventi dei curatori del 1906;
TENDENZE E DIBATTITI<br />
Abbozzo per il Wille Zur Macht, Sils Maria 1888; Elisabeth Förster Nietzsche, 1916<br />
si racconta la gestazione del concetto in<br />
Nietzsche, la storia dell’Archivio, le vicende<br />
e le interpretazioni prebelliche e<br />
postbelliche. Soprattutto, si dà un testo<br />
che è stato letto da Heidegger e non da<br />
Hitler. Ma se anche lo avesse letto, invece<br />
di leggere Schopenhauer, crediamo<br />
davvero che sarebbe cambiato qualcosa?<br />
E siamo davvero tanto speranzosi<br />
(“animali speranzosi”, così Nietzsche<br />
chiamò una volta i filologi) da pensare<br />
che una edizione storico-critica avrebbe<br />
inibito l’abuso? Questo è tanto poco vero<br />
che una edizione storico-critica, non<br />
meno esigente e rigorosa della Colli-<br />
Montinari, fu avviata da Elisabeth e proseguì<br />
nella Germania di Hitler, e fu interrotta<br />
non da Goebbels, ma dalla disfatta<br />
tedesca.<br />
Ora, resta per me moralmente inesplicabile<br />
che non si riesca a intendere qualcosa<br />
che, razionalmente e intellettualmente,<br />
è tanto semplice: il fatto, cioè, che la<br />
voglia di non bendarsi gli occhi rispetto<br />
alle durezze e agli abissi di un autore,<br />
Nietzsche, che per altri versi si ama, non<br />
significa in nessun modo approvare quelle<br />
durezze. Del resto non c’è scelta, le<br />
alternative essendo la credula cecità o la<br />
condanna non meno cieca. Si rifletta, per<br />
analogia, sul caso di Machiavelli. Il suo<br />
nome è stato associato a tutti i machiavelli<br />
e alle basse storie di cui si è nutrita<br />
la crisi europea, e specialmente italiana.<br />
Ovvio che lui non ne è il responsabile.<br />
Ma proprio perché non ne è il responsabile,<br />
non c’è assolutamente bisogno di<br />
angelicarlo; Machiavelli resta colui che<br />
non ha esitato a sputar fiele sul morto<br />
Pier Soderini. Così Nietzsche. Ovvio che<br />
non ha mai fabbricato un Lager; ma proprio<br />
per questo, non c’è affatto bisogno<br />
di negare che il male che compare con<br />
tanta violenza in tante sue pagine è il<br />
frutto di una falsificazione dell’eredità o<br />
di un equivoco ermeneutico. «Lo “sfruttamento”<br />
non compete a una società guasta<br />
oppure imperfetta e primitiva: esso<br />
concerne l’essenza del vivente, in quanto<br />
funzione organica, è una conseguenza<br />
di quella caratteristica volontà di potenza,<br />
che è appunto la volontà della vita. -<br />
Ammesso che questa, come teoria, sia<br />
una novità - come realtà è il fatto originario<br />
di tutta la storia: si sia fino a questo<br />
punto sinceri con se stessi» (Al di là del<br />
bene e del male). Questo, Nietzsche l’ha<br />
scritto nel pieno possesso delle sue facoltà.<br />
Possiamo far finta che non l’abbia<br />
scritto; possiamo dire che la volontà di<br />
potenza è un concetto essoterico e pubblicitario<br />
(bella pubblicità!). Oppure possiamo<br />
dire che lo ha scritto, e chiederci<br />
che cosa volesse dire. Non espressamente,<br />
visto che il significato letterale di<br />
questa frase è davvero troppo chiaro. Ma<br />
chiederci perché lo scrivesse, e che morale<br />
dobbiamo trarne noialtri. Ecco il<br />
37<br />
contesto, storico e non solo storico. E’<br />
chiaro che Nietzsche non scriveva queste<br />
cose per semplice cattiveria o per<br />
cruda bestialità; ma se questo è vero,<br />
allora il male è nello spirito più grande,<br />
e non potremo consolarci pensando che<br />
sia appannaggio dei bruti. Chi non ama<br />
Baudelaire? Eppure lui (e non Nietzsche)<br />
era davvero antisemita, e fantasticava<br />
di una congiura per sterminare gli<br />
ebrei, “bibliotecari e testimoni della<br />
Redenzione”. Il curatore delle opere nella<br />
Pléiade commenta quel passo dicendo<br />
che è di difficile interpretazione, e che<br />
ogni antisemitismo è da escludersi. Bell’affare!<br />
Lo stesso che risuona in chi<br />
pretende che il male di Nietzsche non è<br />
affar suo, ma di sua sorella.<br />
E’ quanto scrivo nella quarta di copertina:<br />
«E se anche la lode del terrore e dello<br />
sfruttamento - uguale in questi frammenti<br />
1883-1888 ordinati dalla sorella e<br />
dal discepolo e copista Peter Gast così<br />
come in opere che Nietzsche pubblicò<br />
nel pieno dei suoi spiriti - sembra precorrere<br />
Auschwitz, non è un buon motivo<br />
per accusare la sorella-parafulmine, e<br />
per dire che Nietzsche non avrebbe mai<br />
voluto o pensato La volontà di potenza.<br />
Esiste insomma un male dello spirito, e<br />
si avrebbe torto addossandolo ai poveri<br />
di spirito soltanto, pena sottoscrivere<br />
proprio quel male che traspare sotto il<br />
nome di Volontà di potenza.» Se non<br />
facciamo i conti anche con questo, ci<br />
ritroveremo sempre a stupirci del male
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
Pagina con iniziale miniata di un manoscritto del XIV sec.<br />
38
La logica di Ockham<br />
E’ rilevante, per accuratezza e ampiezza<br />
dell’apparato critico, la prima<br />
edizione italiana della SUMMA LOGICAE<br />
di Guglielmo di Ockham, che compare<br />
col titolo: LOGICA DEI TERMINI (traduzione,<br />
introduzione, note e indici di<br />
Paola Müller, Rusconi, Milano 1992).<br />
L’opera segna una svolta all’interno,<br />
più che della logica, della filosofia<br />
medievale, marcando in essa, in modo<br />
nuovo, la differenza tra logica antiqua<br />
e logica modernorum, e aprendo la<br />
strada alla considerazione semantica.<br />
Vexata quaestio all’interno della bibliografia<br />
critica dedicata a Guglielmo di<br />
Ockham, è il tentativo di stabilire il legame<br />
fra la sua impostazione logica e quella<br />
ontologica da una parte, e le prese di posizione<br />
politiche dall’altra. Come è noto, da<br />
un punto di vista biografico si può riscontrare<br />
una cesura fra gli studi di carattere<br />
più esplicitamente filosofico e teologico e<br />
quelli invece di carattere politico ed ecclesiologico,<br />
in coincidenza con la fuga di<br />
Ockham da Avignone, a seguito del contrasto<br />
con Giovanni XXII, e il successivo<br />
asilo presso l’imperatore Ludovico il Bavaro.<br />
Da quel momento Guglielmo, francescano,<br />
sostenitore della povertà della Chiesa,<br />
si dedica soprattutto a trarre da questo<br />
precetto evangelico l’estrema conseguenza<br />
relativa alla negazione della legittimità<br />
del potere temporale della Chiesa, finalizzando<br />
questa tesi a quella dell’indipendenza<br />
del potere civile da quello ecclesiastico.<br />
Dal punto di vista gnoseologico, il fondamento<br />
di queste posizioni risiede nella distinzione<br />
tra conoscenza razionale e fede;<br />
la prima, che può essere intuitiva o astrattiva,<br />
pone capo a verità che non possono<br />
essere confutate dalla fede. E’ proprio nell’articolazione<br />
della conoscenza che il terminismo<br />
ockhamiano trova le proprie radici.<br />
Guglielmo sostiene infatti il primato<br />
della conoscenza intuitiva nei confronti di<br />
quella astrattiva sulla base del fatto che la<br />
prima, per ciò che concerne gli enti naturali<br />
(escludendo, dunque, quelli la cui esistenza<br />
è materia di fede), presuppone l’esistenza<br />
dell’oggetto intenzionato. La notitia in-<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
tuitiva, cioè questo tipo di conoscenza, è<br />
sempre singolare, poiché nessuno degli enti<br />
naturali è un universale. Ma se questo è il<br />
percorso teorico che dall’affermazione<br />
ontologica della singolarità degli enti risale,<br />
dal punto di vista logico, al nominalismo,<br />
dal punto di vista storiografico il<br />
cammino compiuto da Ockham segue la<br />
direzione opposta, prendendo avvio dalle<br />
posizioni del nominalismo logico, a cui<br />
conferisce un significato esplicitamente<br />
ontologico. Qui risiede la “svolta ockhamiana”,<br />
la sua novità, che in prima istanza<br />
non riguarda tanto la logica, quanto la riflessione<br />
filosofica nel suo complesso.<br />
Il nominalismo logico di Ockham non presenta,<br />
in quanto tale, motivi di novità sostanziale<br />
nei confronti delle posizioni nominaliste<br />
del Duecento e, in ultima analisi,<br />
non consiste altro che nella definizione<br />
della logica come scienza “formale”. Ma<br />
quando, con Guglielmo, il nominalismo<br />
diventa una posizione filosofica, ponendo<br />
capo alla tesi del carattere singolare degli<br />
oggetti di natura, vanno in crisi proprio i<br />
modelli metafisici precedenti, tanto gli<br />
essenzialismi platonico-agostiniani, quanto<br />
il modello concordista del tomismo. Per<br />
questo la logica modernorum, di cui Ockham<br />
è iniziatore, prima che capitolo di<br />
storia della logica, è momento di svolta<br />
all’interno della metafisica. Il “rasoio di<br />
Ockham”, o principio di economia, secondo<br />
il quale occorre non introdurre più enti<br />
di quanto non sia necessario alla spiegazione<br />
di fenomeni, porta così il filosofo a<br />
precorrere la critica humeana al concetto<br />
di sostanza; analogamente, grazie al suo<br />
“rasoio”, anche il “volontarismo teologico”,<br />
cioè la tesi relativa all’assoluta libertà<br />
di Dio, discende dalla critica di Ockham<br />
alla causalità teleologica.<br />
D’altra parte, come mostra Paola Müller<br />
in modo estremamente puntuale nella<br />
sua Introduzione, rilevanti e decisive<br />
sono le innovazioni che con Ockham si<br />
aprono allo strumento logico formale<br />
medesimo, quasi come ricaduta dell’impostazione<br />
metafisica. Così la sua teoria<br />
della significazione, inserita all’interno<br />
della discussione sulla natura (“significativa”)<br />
dei termini, e quella della supposizione,<br />
che per Ockham consiste nella<br />
«proprietà di un termine in un contesto<br />
proposizionale», costituiscono spunti<br />
teorici rilevanti anche 39 per la semiotica<br />
contemporanea. F.C<br />
Emil Lask:<br />
la logica della filosofia<br />
Nello studio EMIL LASKS GRUNDLEHRE (La<br />
dottrina fondamentale di Emil Lask,<br />
J. C. B. Mohr, Tübingen 1992) Stephan<br />
Nachtsheim ricostruisce, nella<br />
prospettiva di un confronto critico e<br />
problematico, il pensiero di Emil Lask,<br />
filosofo di orientamento neo-kantiano,<br />
definito da Heidegger nel 1919<br />
«una delle più forti personalità filosofiche<br />
del presente».<br />
Emil Lask fu docente all’Università di<br />
Heidelberg, dove fu allievo di Heinrich<br />
Rickert. Morto nel corso della prima guerra<br />
mondiale nel 1915, all’età di trentanove<br />
anni, egli lasciò una serie di scritti di teoria<br />
della conoscenza, di logica e di filosofia<br />
del diritto che risentono dell’atmosfera del<br />
neo-kantismo badense e che al tempo stesso<br />
sviluppano alcuni motivi originali, che<br />
avrebbero avuto un certo influsso sui contemporanei<br />
(tra cui, ad esempio, Martin<br />
Heidegger, che in diverse occasioni ne ha<br />
riconosciuto l’importanza per la propria<br />
filosofia).<br />
Come Rickert, Lask si rifà a Kant. Ma,<br />
invece di partire dalle funzioni soggettive<br />
dell’intelletto, riprende, riferendosi al maestro<br />
e a Lotze, la distinzione tra essere e<br />
valore. Concetto centrale nella sua teoria<br />
della conoscenza è quello delle forme della<br />
conoscenza che valgono in modo transsoggettivo.<br />
La distinzione tra essere e valore<br />
è per lui l’ultima distinzione fondamentale<br />
nel «tutto del pensabile in generale».<br />
Centrale nella sua dottrina è così -<br />
come mette in luce Stephan Nachtsheim<br />
- l’idea di una “logica della filosofia”.<br />
Questa logica è però in Lask qualcosa di<br />
formale, riguardante le categorie, ma i<br />
contenuti a cui tali categorie si applicano<br />
possono essere alogici o irrazionali. Lask<br />
intende così reagire a una riduzione “panlogistica”<br />
della vita spirituale alla logica, o<br />
dei contenuti del pensiero alle forme razionali.<br />
Nel suo studio Nachtsheim si riferisce<br />
soprattutto agli scritti fondamentali di Lask:
Die Logik der Philosophie und die Kategorienlehre<br />
(La logica della filosofia e la<br />
dottrina delle categorie, 1911) e Die Lehre<br />
vom Urteil (La dottrina del giudizio, 19<strong>12</strong>).<br />
A differenza dei precedenti studi su Lask<br />
di Konrad Hobe e di Hans-Peter Sommerhäuser,<br />
risalenti agli anni ’60, egli utilizza<br />
anche i testi appartenenti al lascito laskiano<br />
e contenuti nel III volume delle Gesammelte<br />
Schriften, un corso su Platone e<br />
alcuni scritti e appunti dedicati al problema<br />
di una dottrina della conoscenza e della<br />
verità. Secondo Nachtsheim non il “pensiero<br />
puro” ma il “soggetto vivente” (das<br />
erlebende Subjekt) è in questione in questi<br />
testi, e da ciò risulterebbe la prossimità di<br />
Lask ad alcuni motivi della Lebensphilosophie.<br />
Lo studio di Nachtsheim non si presenta<br />
come una ricostruzione storica, ma vuole<br />
essere una discussione critica della filosofia<br />
di Lask, della quale intende in particolare<br />
«sviluppare ulteriormente il programma<br />
della dottrina delle categorie» alla luce<br />
del problema di una Letztbegründung della<br />
filosofia, cioè di una sua funzione fondante<br />
e autonoma di fronte alle scienze<br />
positive. E’ dalla soluzione di tale questione<br />
che dipende, per Lask, la possibilità<br />
della filosofia di adempiere la funzione di<br />
scienza originaria (Urwissenschaft) dell’ambito<br />
teoretico. Egli delinea così l’idea<br />
di una logica filosofica nella quale i contenuti<br />
della riflessione gnoseologica diventano,<br />
a loro volta, oggetto dell’analisi. Si<br />
apre così l’ambito di una dottrina delle<br />
categorie, o di una teoria della logica che si<br />
distingue dalle teorie delle diverse “regioni<br />
categoriali” (filosofie dell’arte, della<br />
religione, della natura ecc.), a loro volta<br />
distinte dai contenuti (arte, religione ecc.),<br />
e che si pone così come una metateoria<br />
dell’ambito teoretico e logico. M.M.<br />
Il viaggio in Italia dei Goethe<br />
Nella ITALIENISCHE REISE, Johann Wolfgang<br />
Goethe nota che suo padre, nella<br />
sua vita, non fu mai del tutto infelice<br />
perché poteva pur sempre ricordarsi<br />
di essere stato a Napoli, una<br />
volta. GOETHES VATER REIST NACH ITALIEN (<br />
Il padre di Goethe in viaggio per l’<br />
Italia) è il titolo di una bella mostra<br />
che ha chiuso i battenti il 14 marzo<br />
<strong>1993</strong> al Freies Deutsches Hochstift -<br />
Frankfurter Goethe Museum di Francoforte<br />
sul Meno. L’esposizione, curata<br />
da Doris Hopp, presenta - evidenziandone<br />
le tre tappe fondamentali,<br />
Venezia, Roma e Napoli - le fasi e le<br />
modalità del viaggio in Italia di Johann<br />
Caspar Goethe.<br />
La storia ha celebrato in Johann Wolfgang<br />
Goethe un grande della cultura di<br />
tutti i tempi; suo padre Johann Caspar,<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
invece, viene ricordato come un tranquillo,<br />
solido borghese che ha dato i natali ad<br />
un genio dell’umanità. Eppure, l’amore<br />
per il viaggio, ed in particolare per l’Italia,<br />
fu trasmesso al giovane Goethe proprio<br />
dal padre che, nel 1740, aveva compiuto<br />
un viaggio in Italia di circa otto mesi.<br />
Appena trentenne, conclusi gli studi giuridici<br />
a Gießen con un dottorato, Johann<br />
Caspar Goethe affrontò il Grand Tour<br />
verso il Sud inaugurando, si può ben dire,<br />
una tradizione che, proprio a partire da<br />
quegli anni, vedrà i giovani della buona<br />
borghesia compiere viaggi di formazione<br />
all’estero, in precedenza privilegio esclusivo<br />
dei nobili. L’Italia del tempo era,<br />
come è noto, meta prediletta per quanti<br />
volessero allargare le proprie conoscenze<br />
riguardo all’arte e alla storia. Tuttavia la<br />
presenza di così differenti forme di governo<br />
in un territorio relativamente ristretto<br />
come la nostra penisola, forniva un notevole<br />
oggetto di studio ad un giurista quale<br />
J. C. Goethe - molto dotato nel parlare<br />
l’italiano - che poteva in tal modo coronare<br />
degnamente la sua brillante carriera universitaria.<br />
Ma per il viaggio italiano di Goethe padre<br />
non mancarono stimoli di natura puramente<br />
edonistica. Il carnevale di Venezia fu<br />
per lui, ad esempio, un’attrattiva eccezionale,<br />
potendo nella città lagunare vedere<br />
per la prima volta il mare. Il giovane,<br />
entusiasta viaggiatore trascorse le prime<br />
due settimane di aprile a Napoli, le cui<br />
bellezze naturali vengono considerate -<br />
come in seguito dal figlio Johann Wolfgang<br />
- “paradisiache”. Johann Caspar fu,<br />
inoltre, uno dei primi tedeschi a visitare<br />
Ercolano, i cui scavi erano iniziati appena<br />
due anni prima. Risalendo a nord Goethe<br />
padre si fermò solo due settimane a Roma,<br />
città troppo cattolica per un convinto protestante<br />
come lui. Ancora a Venezia, poi,<br />
attirò la sua attenzione per un intero mese;<br />
stupisce, invece, che egli abbia trascorso<br />
cinque settimane nella calura estiva di<br />
Milano. Ma con buone probabilità il lungo<br />
soggiorno lombardo era dovuto ad una<br />
vicenda sentimentale con Maria Giuseppa<br />
Merati. L’ultima tappa italiana di Johann<br />
Caspar è Genova dal cui porto sul finire<br />
dell’agosto del 1740, salpò alla volta di<br />
Marsiglia.<br />
In una riuscita fusione tra documentazione<br />
scientifica e trattamento scenografico-teatrale<br />
del materiale a disposizione la mostra<br />
ricostruisce un episodio fondamentale della<br />
vita di Goethe padre. Questi avrebbe ripercorso<br />
idealmente la sua discesa al Sud<br />
cimentandosi, a partire dal 1760, nella<br />
stesura del diario Viaggio per l’Italia. Si<br />
tratta di una descrizione del viaggio compiuto<br />
vent’anni prima, redatta nella forma,<br />
classica per il Settecento, di lettere inviate<br />
ad un destinatario fittizio.<br />
L’opera risente certamente delle convinzione<br />
del tempo e delle scarse capacità<br />
letterarie di Johnann Caspar Goethe; eppure,<br />
essa è unica nel suo genere poiché<br />
40<br />
redatta in lingua italiana da un ormai anziano<br />
pedante, un soddisfatto pater familias<br />
che scrive solo per se stesso.<br />
Il Viaggio per l’Italia uscì per la prima<br />
volta nel nostra paese a cura di Arturo<br />
Farinelli; correva l’anno 1932 e, per ironia<br />
della sorte, tutto il mondo celebrava i cento<br />
anni della morte di Johann Wolfgang<br />
Goethe. Una traduzione in tedesco del<br />
curioso diario di viaggio di Johann Caspar<br />
Goethe è apparsa nel 1986 a cura della<br />
Deutsche-Italienische Vereinigung di Francoforte<br />
sul Meno. N.B.<br />
‘Il Candelaio’ di Bruno<br />
E’ stato di recente pubblicato in traduzione<br />
francese IL CANDELAIO (trad. di<br />
Y. Hersant, introd. di G. Aquilecchia,<br />
prefaz. di G. Barberi Squarotti, Belles<br />
lettres, Paris <strong>1993</strong>), primo volume dell’opera<br />
omnia di Giordano Bruno in 20<br />
volumi, di cui l’ultimo uscirà simbolicamente<br />
il 17 febbraio 2000, quarto<br />
centenario del rogo del filosofo a Campo<br />
dei Fiori. Il progetto e la realizzazione<br />
di questo lavoro sono diretti da<br />
Yves Hersant, dell’Ecole Hautes Etudes<br />
di Parigi e da Nuccio Ordine, dell’Università<br />
di Arcavacata, con il patrocinio<br />
dell’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong>.<br />
Che si tratti di un evento culturale importante,<br />
lo sottolineano sia i giornali italiani<br />
che francesi, le librerie del centro di Parigi<br />
e una presentazione del progetto-Bruno al<br />
Gran Salon de la Sorbonne sotto il patronato<br />
della rettrice, Michèle Gendreau-<br />
Massaloux, presenti Gerardo Marotta,<br />
Presidente dell’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong><br />
<strong>Filosofici</strong> di Napoli, Michel Desgranges,<br />
direttore delle edizioni Belles Lettres, Yves<br />
Hersant e Nuccio Ordine, e Marc Fumaroli,<br />
del Collège de France, che ha<br />
tenuto una conferenza sull’ironia bruniana.<br />
Al di là del battage pubblicitario, questo<br />
progetto è un autentico unicum, come<br />
ha sottolineato Nuccio Ordine in una intervista:<br />
«In Spagna hanno tradotto quasi<br />
tutte le opere italiane di Bruno; in Germania<br />
stanno traducendo le latine; in Inghilterra,<br />
in Giappone, in Russia altre traduzioni<br />
parziali sono in corso. Ma da nessuna<br />
parte, neanche in Italia, esiste un’edizione<br />
integrale e critica come quella che stiamo<br />
preparando in Francia».<br />
La novità di questa edizione è dunque la<br />
completezza e la critica filologica delle<br />
opere italiane e latine di un filosofo come<br />
Bruno spesso citato e poco studiato a fondo.<br />
Il gruppo di traduttori, filosofi, letterati,<br />
filologi è di livello europeo e questo<br />
incrocio savant di italiani, spagnoli, francesi,<br />
inglesi ecc... sarebbe piaciuto al girovago<br />
Bruno, tre volte scomunicato (da<br />
cattolici, protestanti, calvinisti), braccato<br />
ovunque, sempre in fuga. Per le opere<br />
italiane l’edizione critica è stata stabilita<br />
da Giovanni Aquilecchia, quella latina da<br />
Rita Sturlese. Due criteri essenziali ac-
compagnano questo progetto: per ogni<br />
opera la traduzione e la introduzione sono<br />
affidate a studiosi diversi, inoltre il testo<br />
originale è sempre a fronte.<br />
Il candelaio è nella scrittura di Bruno un<br />
caso particolare: è l’unica commedia che<br />
abbia mai scritto e denota una “pirotecnica<br />
linguistica” assai sconvolgente. La storia è<br />
metà-oscena, metà-edificante. Bruno è ben<br />
lontano dall’essere un presuntuoso moralista;<br />
dalla sua ha l’arma più temibile e<br />
sofisticata che ci sia: l’ironia, il riso, la<br />
satira, unica panoplia per un uomo libero<br />
in un mondo di “pedanti”. Anche le pagine<br />
buffe, oscene, divertentissime del Candelaio<br />
vanno lette come il rifiuto assoluto di<br />
ogni dogmatismo attraverso il riso, il tentativo<br />
filosofico di pensare insieme, anche<br />
attraverso il comico, l’uno e il molteplice,<br />
il centro e la periferia, il dettaglio e l’insieme.<br />
La commedia è il laboratorio comico<br />
di una visione cosmologica concepita come<br />
ossimoro in atto.<br />
Di questo tenere insieme gli opposti, giocando<br />
con gli estremi, è cifra la figura<br />
dell’asino che nella sua proverbiale cocciutaggine<br />
e ottusità nasconde una scintilla<br />
di divinità. A questa figura Nuccio Ordine<br />
ha dedicato un libro, ora tradotto in<br />
francese per le Belles Lettres, dal titolo Le<br />
mystère de l’ane. F.M.Z.<br />
Herder: la filosofia e il linguaggio<br />
Un giovane ricercatore, Pierre Pénisson,<br />
già noto in Francia e in Germania<br />
per l’edizione critica del TRATTATO SUL-<br />
L’ORIGINE DELLA LINGUA (1772) di Johann<br />
Gottfried Herder, ha organizzato a<br />
Parigi il colloquio: HERDER ET LA PHILO-<br />
SOPHIE DE L’HISTOIRE, e ha presentato in<br />
questa primavera (in particolare nel<br />
quadro d’incontri franco-tedeschi) alcuni<br />
motivi fondamentali del pensiero<br />
di Herder, a cui ha dedicato recentemente<br />
un saggio dal titolo: J. H.<br />
GERDER, LA RAISON DANS LES PEUPLES (Cerf,<br />
Paris, 1992).<br />
Scopo del lavoro di Pierre Pénisson è<br />
riabilitare lo stile originale e polimorfo di<br />
Herder contro, da un lato, le oziose semplificazioni,<br />
che vedono in lui solo l’odioso<br />
precursore di certi “demoni” moderni (nazionalismo,<br />
irrazionalismo, relativismo,<br />
storicismo), dall’altro, le interpretazioni<br />
selettive e interessate, che ne hanno segnato<br />
la storia della ricezione.<br />
Eroe dell’idea di nazione e del monde<br />
storico, Johann Gottfried Herder fu per<br />
Edgar Quinet, che l’introdusse in Francia,<br />
«l’Erodoto della filosofia della storia», e<br />
una delle referenze privilegiate di Michelet<br />
e di Renan: in questo contesto, fu soprattutto<br />
conosciuto e stimato per la sua<br />
riscoperta del folklore e per le sue idee<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
sulla storia. E’ noto come l’ideologia nazista<br />
abbia elaborato un’immagine durevole<br />
e deformata di Herder, in grado di giustificare<br />
ideologicamente una politica di potenza,<br />
sebbene l’antica Germania “democratica”<br />
e la critica sovietica (differenziandosi<br />
da Lukács) abbiano proposto un<br />
Herder un po' meno fosco, vicino al popolo<br />
e ai popoli, sottolineandone l’empirismo<br />
quale rimedio alle speculazioni sistematiche<br />
e idealiste rifiutate dal marxismo.<br />
Questa attuale pertinenza di Herder nel<br />
quadro filosofico contemporaneo (un colloquio<br />
internazionale riuniva nel novembre<br />
1987 i partecipanti sotto il tema: “Herder<br />
today”, a Stanford) è stata, ancora una<br />
volta, confermata nelle discussioni del congresso<br />
parigino del <strong>1993</strong> (presenti: G. Arnold,<br />
E. Behler, M. Bollacher, P. Caussat,<br />
D. Modigliani, T. Namowicz, R. Otto, W.<br />
Malsch, E. A. Menze, E. Fauquet, M. Crespon,<br />
K. Menges, L. Sala Molin, B. Binoche),<br />
che si è sviluppato nella prospettiva<br />
di una riflessione sulle nozioni di cultura,<br />
di lingua, di nazione, di storia certo, in cui<br />
Herder figurava al centro di una rinnovata<br />
interpretazione.<br />
Pénisson non gioca il popolo contro i popoli,<br />
anche se indica la prossimità di Herder<br />
con molti temi della “Popularphilosophie”;<br />
il “popolo” herderiano, nozione<br />
centrale della sua antropologia, designa<br />
ogni “comunità d’individui”, o la “storia<br />
comune”, la “cultura”, la “credenza”, e<br />
non è al di fuori dei popoli particolari.<br />
Pénisson insiste sulla profusione delle particolarità<br />
in contrasto con l’idea di “umanità”<br />
in sé, cercando di dimostrare come<br />
questo movimento di dispersione venga<br />
compensato in Herder da un costante lavoro<br />
di passaggio, di trasposizione, di traduzione,<br />
di “transizione”. <strong>Numero</strong>si testi<br />
herderiani testimoniano la preoccupazione<br />
del filosofo tedesco di ritrovare “la<br />
ragione nei popoli”. La ricerca di una tale<br />
unità nella diversità, al di fuori comunque<br />
di ogni dialettica totalizzante, è sempre<br />
ardua, come si vede nella ricerca di una<br />
norma interna alla storia, e nel caso del<br />
linguaggio, nel tentativo di comprendere il<br />
passaggio al linguaggio propriamente<br />
umano. Non ci si stupisca dunque che lo<br />
stile stesso di Herder sia estremamente<br />
particolare, contrassegnato da un gioco<br />
costante di déplacement, interno alla scrittura.<br />
A questo stile non è forse estranea la pratica<br />
e la riflessione sulla traduzione che in<br />
Herder, osserva Pénisson, è un nodo teorico<br />
cruciale e una chiave di interpretazione<br />
non trascurabile. L’idea che, traducendo,<br />
non si possa uscire dalla propria lingua<br />
materna (per cui si crea un Shakespeare<br />
tedesco) e che, tuttavia, la traduzione sia<br />
una “trans-plantation” reciproca fra le lingue<br />
e che un vero originale non esista, è<br />
riflessione certo portatrice di contraddizioni,<br />
ma anche di interrogativi fecondi.<br />
Alla riflessione di Pénisson non sono mancate<br />
le critiche, fra cui la più argomentata<br />
41<br />
è relativa al metodo stesso con cui il ricercatore<br />
francese affronta il pensiero herderiano.<br />
Nel saggio di Pénisson il pensiero di<br />
Herder non è infatti tanto ricostruito o<br />
riabilitato, quanto percorso e evocato lungo<br />
il filo delle tappe della vita e delle opere<br />
del filosofo. La prima parte del saggio è<br />
una specie di biografia intellettuale, in cui<br />
il percorso herderiano viene ritracciato<br />
come un viaggio segnato da “transizioni”<br />
(anche geograficamente: dalla Prussia<br />
orientale alla Francia, a Buckeburg, a<br />
Weimar). La seconda parte tratta del rapporto<br />
fra traduzione e canti popolari e<br />
oralità, riprendendo la polemica di Herder<br />
con Nicolai. Herder difende, a questo proposito,<br />
il procedimento “anti-critico” che<br />
supporrebbe un’“altra filosofia del linguaggio”<br />
per cui la lingua è origine e si caratterizza<br />
come flusso espressivo eccedente le<br />
determinazioni fisse dei significanti. Da<br />
qui, si apre la via per un’ermeneutica del<br />
profondo. La terza parte s’interessa rapidamente<br />
di certi aspetti della “diffusione”<br />
dell’opera herderiana nell’Europa centrale,<br />
fra i popoli slavi (Vuk, Radichtchev) e<br />
nei paesi anglofoni (Coleridge, De Quincey)<br />
e in Francia. L’ultima parte riporta<br />
due testi di Quinet. D.T.<br />
Max Weber negli Stati Uniti<br />
Nello studio MAX WEBER IN AMERIKA.<br />
WIRKUNGSGESCHICHTE UND REZEPTIONSGE-<br />
SCHICHTE WEBERS IN DER ANGLO-AMERIKA-<br />
NISCHEN PHILOSOPHIE UND SOZIALWISSEN-<br />
SCHAFT (Max Weber in America. Storia<br />
degli effetti e della ricezione di Weber<br />
nella filosofia e nella scienza sociale<br />
anglo-americana, trad. ted. di Klara<br />
Bodnar, Passagen Verlag, Vienna<br />
1992) Agnes Erdelyi analizza le trasformazioni<br />
terminologiche e concettuali<br />
subite dalla sociologia weberiana<br />
nella sua ricezione, soprattutto da<br />
parte di Talcott Parsons, negli Stati<br />
Uniti.<br />
Finito il dominio dell’ortodossia dei “classici<br />
del socialismo” le scienze sociali e<br />
umane sono alla ricerca, nei paesi una<br />
volta detti del “socialismo reale”, di nuovi<br />
punti di riferimento di carattere epistemologico.<br />
Sembra essere questo il caso dello<br />
studio in lingua ungherese di Agnes Erdelyi,<br />
recentemente tradotto in tedesco, in<br />
cui si intende ricostruire la Wirkungsgeschichte<br />
(storia degli effetti) dell’opera di<br />
Max Weber negli Stati Uniti. Un problema<br />
che implica un’analisi e una valutazione<br />
del confronto e del passaggio tra due diversi<br />
ambienti culturali: la Germania di<br />
Weber, con la sua tradizione di storiografia<br />
e di Geisteswissenschaften, e gli Stati<br />
Uniti di un Tallcott Parsons, in cui la<br />
dottrina e il metodo weberiano si innestano<br />
su un terreno positivistico, naturalistico<br />
e pragmatistico. Secondo Erdelyi, Parsons<br />
discioglie la specificità della prospettiva
Sono stati pubblicati nel fascicolo<br />
n. 41 degli Hohenheimer Protokolle<br />
gli atti di un convegno dedicato<br />
al tema: FILOSOFIA RELIGIOSA<br />
RUSSA. L’eredità riguadagnata -<br />
Distanza e appropriazione, a cura<br />
di Eberhard Müller e Franz Joseph<br />
Klehr (il volume può essere richiesto<br />
all’Akademie der Diözese Rottenburg-Stuttgart,<br />
Im Schellenkönig<br />
61, Stuttgart). Centrale nei diversi<br />
interventi di studiosi tedeschi,<br />
russi e francesi è la questione<br />
della qualità e del senso della ricezione<br />
dell’eredità della filosofia religiosa<br />
russa della fine del secolo<br />
XIX e dell’inizio del XX negli ambienti<br />
intellettuali, filosofici e letterari<br />
della Russia odierna. Questa<br />
ricezione si muove oggi tra due<br />
poli: da una parte la filosofia di<br />
pensatori quali Vladimir Soloviev<br />
e Nikolaj Berdjajev viene esaltata<br />
come premessa di una trasformazione<br />
morale e spirituale della società<br />
russa; dall’altra si fa valere<br />
l’esigenza di una rottura con la<br />
tradizione come condizione di un<br />
rinnovamento della cultura. Resta<br />
in ogni caso problematico il rapporto<br />
con tale tradizione, e da più<br />
parti ci si chiede se dietro l’esaltazione<br />
delle tradizioni filosoficoreligiose<br />
della cultura russa non si<br />
celino un nuovo dogmatismo e<br />
un’avversione per il pluralismo<br />
delle idee non meno rischiosi e<br />
deleteri dell’ortodossia culturale<br />
imposta negli anni del “socialismo<br />
reale”.<br />
Il 25 febbraio <strong>1993</strong>, presso la Deutsche<br />
Bibliothek di Francoforte sul<br />
Meno, è stata inaugurata la mostra<br />
DEUTSCHE INTELLEKTUELLE<br />
IM EXIL. Ihre Akademie und die<br />
“American Guild for German Cultural<br />
Freedom”. L’esposizione è<br />
stata realizzata dal Deutsches Exilarchiv<br />
1933-1945 della Deutsche<br />
Bibliothek di Francoforte. L’Exilarchiv<br />
costituisce il fiore all’occhiello<br />
della biblioteca nazionale<br />
francofortese, grazie alla preziosa<br />
documentazione che esso raccoglie<br />
sulla ricca vicenda della cultura<br />
tedesca in esilio nel “dodicennio<br />
nero” nazista. La mostra presenta e<br />
illustra un capitolo sinora poco noto<br />
della storia degli scrittori, scienziati<br />
e artisti di lingua tedesca, costretti<br />
ad emigrare durante il regime<br />
di Hitler. Tema principale dell’esposizione<br />
è il tentativo intrapreso<br />
dal principe Hubertus di<br />
Löwenstein per creare un’Accademia<br />
tedesca delle arti e delle scienze<br />
in esilio e di fondare un’organizzazione<br />
a suo sostegno: “The<br />
American Guild for German Cultural<br />
Freedom”. Compito dell’Accademia<br />
doveva essere quello di<br />
riunire gli intellettuali tedeschi<br />
sparsi in tutto il mondo in una organizzazione<br />
apartitica, una sorta<br />
di terra franca per lo spirito tedesco.<br />
Nello stesso tempo si trattava<br />
di aiutare con tutti i mezzi possibili<br />
gli intellettuali a proseguire il loro<br />
lavoro nelle difficili condizioni dell’esilio.<br />
Il principe di Löwenstein, infaticabile<br />
figura di studioso ed organizzatore,<br />
coinvolse importanti uomini<br />
di cultura nella nobile causa - tra<br />
gli altri, Thomas Mann e Sigmund<br />
Freud presiedettero, rispettivamente,<br />
le sezioni arti e scienze dell’Accademia.<br />
Tra il 1938 e il 1940 furono<br />
elargite a più di 160 scrittori,<br />
scienziati ed artisti, borse di studio<br />
o contributi per costi di stampa.<br />
Gli intellettuali che poterono godere<br />
di questo provvidenziale appoggio<br />
economico variarono dai<br />
conservatori Uriel Birnbaum e Joseph<br />
Roth ai socialisti Ernst Bloch,<br />
Bertold Brecht e Anne Seghers.<br />
Con il diffondersi del nazismo in<br />
Europa, poi, l’American Guild nel<br />
1939-40 si occupò anche di salvare<br />
molti intellettuali da situazioni<br />
estremamente pericolose. Soprattutto<br />
in Cecoslovacchia ed in Francia<br />
furono fatti pervenire visti, af-<br />
NOTIZIARIO<br />
NOTIZIARIO<br />
42<br />
fidavit e biglietti per la tanto agognata<br />
traversata verso gli U.S.A.<br />
La mostra, quindi, fa luce sul problema<br />
della sopravvivenza materiale<br />
di tanti intellettuali che, senza<br />
le iniziative lanciate da Hubertus<br />
di Löwenstein, probabilmente non<br />
avrebbero retto alle fatiche dell’esilio.<br />
L’esposizione è accompagnata da<br />
un esaustivo catalogo dal titolo:<br />
Deutsche Intellektuelle im Exil:<br />
ihre Akademie und die “american<br />
Guild for German Cultural Freedom”;<br />
eine Ausstellung des Deutschen<br />
Exilarchivs 1933-1945 der<br />
deutschen Bibliothek, Frankfurt am<br />
Main, a cura di Werner Berthold,<br />
Brita Eckert e Frank Wende (Saur,<br />
München, London, New York, Paris<br />
<strong>1993</strong>), che ricostruisce, in generale,<br />
la storia dell’organizzazione<br />
e, in particolare, fornisce con 30<br />
casi esemplari - tra cui quelli di<br />
Renato Mondo, Sigfried Kracauer,<br />
Robert Musil, Julius Bab, Ernst<br />
Weiß, Kurt Hiller - un quadro, a<br />
volte toccante, delle difficili con-<br />
Hubertus Prinz zu Löwenstein (1930), Thomas Mann<br />
(1938)<br />
dizioni di lavoro degli intellettuali<br />
in esilio. La mostra sarà aperta fino<br />
al 5 giugno <strong>1993</strong> (dal lunedì al giovedì<br />
ore 9-20, venerdì ore 9-18, sabato<br />
ore 9-17), presso la Deutsche Bibliotek<br />
(Zeppelinalee 4-8, 6000 Frankfurt<br />
a.M. 1).<br />
E’ annunciata presso l’editore Rubbettino,<br />
Soveria Mannelli, (CZ e<br />
Messina), una nuova collana SAG-<br />
GI BREVI DI ESTETICA COMPA-<br />
RATA, diretta da Grazia Marchianò.<br />
Si tratta di piccoli volumi di<br />
cento pagine, di prezzo modesto,<br />
ma di ampia apertura tematica, utili<br />
a chiunque voglia documentarsi<br />
su figure e problemi dell’estetica<br />
contemporanea di Oriente e Occidente.<br />
I primi titoli in uscita quest’anno:<br />
Nuovi autori di estetica in<br />
Cina (testi di Zhou Laixiang, Fei<br />
Xingbei e Zhou Ping), Scritti italiani<br />
su N. K. Roerich (testi di Bazzarelli,<br />
Lopez, Spendel, Zolla),<br />
Sugli orienti del pensiero, di Grazia<br />
Marchianò.<br />
L’ISTITUTO ITALIANO PER GLI<br />
STUDI STORICI bandisce un concorso<br />
a dodici borse di studio per<br />
l’anno accademico <strong>1993</strong>-1994, per<br />
giovani laureati in Università italiane.<br />
L’importo di ciascuna borsa<br />
sarà di L. <strong>12</strong>.000.000, qualora i<br />
vincitori non risiedano nella provincia<br />
di Napoli; di L. 8.000.000,<br />
se residenti nella provincia di Napoli.<br />
Al concorso possono partecipare<br />
tutti coloro che siano laureati<br />
in Lettere o in Filosofia, e i laureati<br />
in Giurisprudenza o in Scienze<br />
politiche o in Economia e Commercio<br />
o in Architettura, che abbiano<br />
svolto la tesi in discipline<br />
storiche o filosofiche, che non abbiano<br />
superato il trentacinquesimo<br />
anno di età alla data del 1˚ ottobre<br />
<strong>1993</strong> e che non abbiano ancora<br />
usufruito di borse di studio presso<br />
l’Istituto; sono inoltre esclusi dalla<br />
partecipazione al concorso gli<br />
ammessi ai dottorati di ricerca e<br />
coloro che abbiano conseguito il<br />
titolo di dottore di ricerca, così<br />
come coloro che percepiscano altre<br />
borse di studio o che svolgano<br />
altre attività retribuite.<br />
I concorrenti ritenuti idonei in base<br />
ai titoli presentati potranno essere,<br />
ove se ne ravvisi l’opportunità, invitati<br />
ad un Colloquio con la Commissione<br />
giudicatrice. Le spese del<br />
viaggio per il colloquio saranno<br />
rimborsate. L’importo della borsa<br />
verrà corrisposto ai vincitori in 8<br />
rate mensili, a partire dal novembre<br />
<strong>1993</strong>. I concorrenti dovranno<br />
presentare alla Direzione dell’Istituto<br />
entro il 1˚ ottobre <strong>1993</strong>, domanda<br />
in carta semplice, corredandola<br />
con i seguenti documenti: certificato<br />
anagrafico, certificato di<br />
laurea, copia della tesi di laurea,<br />
curriculum studiorum del candidato,<br />
lettera e attestati di professori<br />
sotto la cui guida il candidato lavora<br />
o ha lavorato, elenco delle altre<br />
eventuali istituzioni cui il candidato<br />
abbia presentato o intenda presentare<br />
analoga domanda entro il<br />
1˚ novembre <strong>1993</strong>. Informazioni:<br />
Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong> Storici,<br />
80100 Napoli, tel. 081/5517159.
Neoantico contro neoetnico<br />
Fornire un primo significativo contributo<br />
all’individuazione e all’approfondimento<br />
dell’orizzonte concettuale del<br />
neoantico, rilevare la crescente influenza<br />
che le culture e le civiltà premoderne<br />
esercitano sul mondo contemporaneo<br />
e, quindi, suggerire nuove possibili<br />
strategie per la riappropriazione<br />
dell’antico e dell’arcaico: sono stati<br />
questi gli scopi del Convegno internazionale:<br />
IL NEOANTICO. TECNICA E POSSES-<br />
SIONE NELLA CULTURA, NELLA POESIA E NELLE<br />
ARTI, svoltosi nei giorni 29 e 30 gennaio<br />
<strong>1993</strong> presso l’Accademia Spagnola di<br />
Storia Archeologica e Belle Arti di<br />
Roma, organizzato dalla cattedra di<br />
Estetica del Dipartimento di Ricerche<br />
Filosofiche dell’Università di Roma<br />
“Tor Vergata”, cui hanno partecipato<br />
studiosi di diverse discipline, orientamenti<br />
e nazionalità.<br />
A partire dal momento in cui viene a cadere<br />
ogni pretesa metafisica e totalizzante di<br />
considerare il pensiero occidentale, nella<br />
cultura contemporanea sembra affacciarsi<br />
la possibilità di ripensare i propri principi,<br />
origini e fondamenti in una prospettiva che<br />
possa prendere in considerazione l’intero<br />
patrimonio culturale dell’Occidente secondo<br />
una metodologia etno-logica ed etnofilosofica,<br />
che potremmo definire “neoantica”,<br />
in grado cioè di ancorare il pensiero<br />
occidentale ad un retroterra antropologico,<br />
poetico e mitologico in vista della costituzione<br />
di un sapere positivo e trasmissibile.<br />
Diversamente da un modello di tipo neoclassico,<br />
che vede nel passato un paradigma<br />
vitalistico ed esemplare cui riferirsi, il<br />
neoantico rifugge tuttavia da ogni intento<br />
prescrittivo e dal riferimento ad ideali normativi<br />
dell’arte e della cultura, realizzati<br />
nel passato, riaffermando piuttosto la necessità<br />
del giudizio critico, pur negando<br />
qualsivoglia volontà di stabilire gerarchie<br />
di civiltà e di culture.<br />
Alla diffusione di questo orientamento fanno<br />
tuttavia da ostacolo, osserva Mario<br />
Perniola, promotore ed organizzatore del<br />
Convegno, due tendenze opposte e speculari:<br />
da un lato il movimento postmoderno,<br />
che promuovendo un libero spostarsi e<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
differenziarsi del senso, uno scambio incessante<br />
di stili, finisce col considerare<br />
tutte le culture come omogenee e intercambiabili,<br />
col dissolvere ogni identità o abolire<br />
qualsiasi dimensione storica; dall’altro,<br />
la tendenza neoetnica che, richiamandosi<br />
all’originario, all’arcaico, al puro, recupera<br />
sí l’identità culturale di singole comunità,<br />
ma finisce per riaffermarne solo gli<br />
aspetti grotteschi, paradossali e, non di<br />
rado, violenti.<br />
Aprendo i lavori del Convegno, il direttore<br />
dell’Accademia spagnola, Jorge Lozano,<br />
ha tenuto anzitutto a ribadire che se si vuole<br />
seriamente riflettere sulle attuali condizioni<br />
della poesia e delle arti a partire da un<br />
orientamento di tipo neoantico è necessario<br />
prendere le distanze da termini come<br />
“postmoderno” o “transavanguardia”. Di<br />
fatto, nella formulazione di Perniola, il<br />
neoantico intende essere una diversa sensibilità,<br />
che cerca nell’antico non i principi<br />
fondamentali del mondo moderno, o le<br />
pure origini della cultura occidentale, ma<br />
ciò che è rimasto estraneo, differente, altro,<br />
rimosso, giungendo in tal modo a scorgere<br />
nella fase iniziale della cultura occidentale<br />
i momenti di confluenza tra le sue varie<br />
componenti etniche e i diversi punti di<br />
incontro con le culture extra-europee. Interrogandosi<br />
sulle proprie radici antiche,<br />
animata da questo orientamento neoantico,<br />
la riflessione estetica contemporanea scopre<br />
infatti che due dimensioni dell’esperienza,<br />
apparentemente antitetiche, hanno<br />
determinato il sorgere e lo sviluppo del<br />
proprio oggetto di ricerca: l’aspetto pratico-razionale<br />
del produrre (la tecnica) e<br />
l’aspetto poetico-emozionale del creare (la<br />
possessione), entrambi necessari per la riuscita<br />
del fare artistico.<br />
Riflettendo sullo statuto dell’estetica moderna<br />
e contemporanea, Cristoph Wulff<br />
(Frei Universität di Berlino) ha rilevato<br />
come l’estetica in quanto “forma” e formazione<br />
di senso abbia in sé la possibilità di<br />
chiamare all’esperienza dell’agire e del<br />
senso morale. Vi è tuttavia un’ambivalenza<br />
dell’estetica e del sentire, per cui si<br />
assiste oggi ad una estetizzazione diffusa<br />
delle forme del sapere e della vita quotidiana,<br />
ad un sentire generalizzato nella forma<br />
del “già sentito” - un trionfo della “sensologia”,<br />
direbbe Perniola - che non acuisce<br />
43<br />
affatto le nostre facoltà percettive, ma produce<br />
una sorta di anestesia, un torpore dei<br />
sensi. Di fronte a questa situazione, sostiene<br />
Wulff, occorre dare nuovo significato<br />
alla nozione di mimesis, di “assimilazione<br />
mimetica” come facoltà creativa che consente<br />
un rapporto di consonanza tra l’uomo<br />
e il mondo circostante e apre nuove prospettive<br />
di senso. In questa accezione la<br />
nozione di mimesis introduce una dimensione<br />
storica e antropologica del neoantico<br />
che ha costituito lo sfondo problematico<br />
dell’intervento di Francesco Pellizzi (Università<br />
di New York), il quale, da un punto<br />
di vista spiccatamente storico-religioso, si<br />
è interrogato sulla portata simbolica di alcune<br />
esperienze artistiche contemporanee,<br />
in particolare di una suggestiva performance<br />
americana di Joseph Beuys dal titolo:<br />
“Incontro col coyote”, in cui l’artista/l’uomo<br />
si trova a coabitare con l’animale per<br />
diversi giorni all’interno di una galleria<br />
d’arte newyorkese, instaurando con esso<br />
un rapporto di identità/alterità, della cui<br />
esperienza Pellizzi ha sottolineato soprattutto<br />
la forte componente estatico-sciamanica,<br />
la possessione artistica che apre ad<br />
una connotazione del neoantico come neoprimitivo,<br />
come assimilazione dell’altro,<br />
dell’estraneo, del selvaggio che è fuori di<br />
noi, ma che forse anche più intimamente ci<br />
appartiene.<br />
Della componente antropologica della possessione<br />
si è occupato nel suo intervento<br />
anche Roberto Motta (Università di Recife),<br />
che analizzando i culti religiosi afrobrasiliani<br />
ha evidenziato l’intimo rapporto<br />
tra sacrificio e possessione in relazione alla<br />
morte. Sulla nozione di sacrificio, sulla sua<br />
importanza per la comprensione del pensiero<br />
e dell’opera di Georges Bataille si è<br />
poi soffermato Giuliano Compagno, il<br />
quale ha insistito sulla irriducibilità di tale<br />
nozione ai principi dell’ordine, della conservazione<br />
e del risparmio tipici dell’economia<br />
tradizionale, secondo i quali sarebbero<br />
del tutto incomprensibili la forte attitudine<br />
dissipatrice, il dispendio, il più di<br />
energie che caratterizzano invece il sacrificio<br />
secondo Bataille definito come espressione<br />
di intimo accordo tra la vita e la<br />
morte, prossimo quindi alla trasgressione,<br />
allo scandalo, all’irruenza della morte.<br />
Se il Convegno cercava anche di verificare
la sfida lanciata dal neoantico all’ambito<br />
della creazione poetica e letteraria, occorre<br />
dire che essa è stata positivamente raccolta<br />
da alcune voci della cultura militante contemporanea,<br />
poeti e critici in primo luogo.<br />
Michel Deguy, uno tra i più grandi poeti<br />
francesi contemporanei, attuale presidente<br />
del Collège Internationale de Philosophie,<br />
ha infatti riflettuto su l’inspiration in poesia,<br />
non potendo fare a meno di richiamarsi<br />
proprio a quell’aspetto poetico-emozionale<br />
del fare poesia che è la possessione,<br />
intendendo quindi l’ispirazione della poesia<br />
come peculiare forma di possessione e<br />
affermando del resto la superiorità, il primato<br />
del linguaggio poetico. Giulio Ferroni<br />
ha invece misurato il significato dell’antico<br />
nell’opera di Pier Paolo Pasolini,<br />
parlando tuttavia, più significativamente,<br />
di un essere “postumo” di Pasolini e della<br />
sua opera complessiva, i cui caratteri distintivi<br />
di incompiutezza, posteriorità, ultimità<br />
ne fanno un’opera costitutivamente<br />
aperta ed attuale, come ad esempio nel caso<br />
dell’ultimo Petrolio.<br />
Ancora sul versante poetico, la riflessione<br />
di Giuseppe Conte ha voluto sottolineare<br />
le possibilità infinite dell’antico sotto forma<br />
di mito. Facendo del mito l’elemento<br />
centrale della sua opera poetica, Conte intende<br />
infatti dare vita ad una poesia mitica<br />
le cui condizioni si troverebbero in quella<br />
che egli definisce la capacità della poesia di<br />
«personificare» e «dialogare con le ombre»,<br />
in cui il mito stesso è energia vitale,<br />
irruzione dell’arcaico, del simbolico, dell’originario.<br />
Ancora su un terreno poetico, lo statuto del<br />
neoantico in rapporto ai movimenti dell’avanguardia,<br />
da un lato, e del postmoderno,<br />
dall’altro, è stato al centro della relazione<br />
di Isabella Vincentini, che ha evidenziato<br />
come dopo lo “smembramento di<br />
Orfeo” (Hassan), vale a dire dopo l’evanescenza<br />
della forma poetica postmoderna,<br />
occorra ripensare l’antico anche sotto<br />
l’aspetto aspro e crudele dell’arcaico in una<br />
lirica senza elegia, avvicinando per qualche<br />
verso la poetica neoantica alla poesia<br />
neo-orfica contemporanea. Da una diversa<br />
prospettiva, Tomaso Kemeny (Università<br />
di Pavia), in una suggestiva lettura dei<br />
Cantos di Ezra Pound, la cui poesia, tutta<br />
segnata dall’antico, costituisce forse il<br />
momento catastrofico e abissale del moderno,<br />
ha suggerito la possibilità di una<br />
civiltà del simbolo, contro una civiltà del<br />
segno, in cui vi sia un certo spazio per le<br />
Muse.<br />
Il tema della possessione, nella forma della<br />
possessione del nome, è poi tornato nell’intervento<br />
di Roberto Salizzoni, il cui intento<br />
è stato quello di riflettere su una filosofia<br />
del linguaggio intesa come “filosofia del<br />
nome”, in cui il mondo si apre nel nome ed<br />
il nome che propriamente (ci) possiede è il<br />
nome di Dio. Tutte tematiche che emergono<br />
dall’interpretazione che da qualche tempo<br />
suggestivamente Salizzoni compie di<br />
certa filosofia russa dei primi anni venti<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
(Florensky, Bulgakov e soprattutto il quasi<br />
sconosciuto Losiev). La riflessione sul<br />
mondo primitivo di Benjamin Fondane,<br />
pensatore rumeno ebreo dei primi anni<br />
Trenta, ha invece costituito l’oggetto di<br />
discussione di Ann Van Sevenant che ha<br />
mostrato come tale riflessione sia centrata<br />
soprattutto sulla nozione di “partecipazione”,<br />
che interpreta la relazione dell’uomo<br />
primitivo con il mondo intesa sia come<br />
“fare parte di” che un “prendere parte a”.<br />
Sul neoantico sotto l’aspetto pratico-razionale<br />
del produrre, nella dimensione della<br />
tecnica come in quella della possessione, si<br />
è soffermata Claudia Castellucci che ha<br />
parlato della tecnica, in modo personale,<br />
come «ciò che un altro fa fare», ciò che<br />
chiama ad un rapporto di ubbidienza assoluta,<br />
nella cui modalità di relazione si fonderebbe<br />
la sola possibilità di affrancamento<br />
da essa. E’ qui evidente come la tecnica<br />
non sia solo pratica del fare ma relazione<br />
con una alterità eventualmente esperita<br />
anche nella forma della possessione. Antonio<br />
Caronia ha concluso i lavori del Convegno<br />
scoprendo, quasi paradossalmente,<br />
sorprendenti motivi neoantichi nell’universo<br />
tecnologico cyberpunk, vale a dire in<br />
quel fenomeno underground degli anni<br />
Ottanta che riesce a coniugare le tecnologie<br />
informatiche e telematiche con il fenomeno<br />
di costume punk, mostrando un atteggiamento<br />
apertamente positivo nei confronti<br />
della tecnica che, come estensione<br />
delle potenzialità umane, consentirebbe un<br />
certo recupero della dimensione unitaria<br />
dell’esperienza umana. Con quest’ultima<br />
prospettiva in particolare, il neoantico si<br />
rivela una cultura della contaminazione,<br />
dell’incontro, dello scambio, una crossculture<br />
che va in direzione opposta rispetto<br />
a certo neotribalismo e neo-oscurantismo<br />
risorgenti. G.P.<br />
Schlegel e la filosofia<br />
della storia<br />
Ernst Behler, dell’Università di Seattle,<br />
curatore della edizione critica delle<br />
opere complete dei fratelli Schlegel,<br />
ha tenuto nel marzo <strong>1993</strong> un ciclo di<br />
conferenze all’Ecole Normal Supérieur<br />
di Parigi, dal titolo: SCHLEGEL ET LA PHILO-<br />
SOPHIE DE L’HISTOIRE. In tale occasione<br />
Behler ha voluto fare il punto del suo<br />
progetto critico-filologico, che ha visto<br />
la luce nel 1988, sottolineando in<br />
particolare l’originalità della concezione<br />
storica di Friedrich Schlegel.<br />
Nelle sue conferenze Ernst Behler ha in<br />
particolare incentrato le sue analisi sull’originalità<br />
della concezione della storia<br />
di Friedrich Schlegel, a partire dalla cornice<br />
propria della Querelle des Anciens et des<br />
Modernes, letta da Schlegel alla luce del<br />
concetto di “interazione”. Inspirandosi in<br />
44<br />
origine alla filosofia di Fichte e arrischiando<br />
una filosofia della storia, Schlegel, secondo<br />
Behler, passa progressivamente,<br />
sotto l’influenza di Condorcet, a una riflessione<br />
sulla coscienza storica. La comprensione<br />
del poetico moderno come universale<br />
e progressivo non sarebbe infatti estraneo<br />
all’interpretazione personale di Condorcet:<br />
per quanto schematico, Schlegel<br />
trova nel filosofo francese il modello di<br />
una perfettibilità lineare, potenzialmente<br />
infinita. Ciò non toglie che Schlegel sia<br />
ben lungi dal condividerne l’ottimismo e<br />
l’astrazione.<br />
Questa linearità progressiva, infinita, in<br />
qualche modo asintotica, consente al filosofo<br />
tedesco di sottrarsi agli schemi della<br />
riflessione storica tradizionale di un Lessing,<br />
di un Herder, di uno Schiller, centrata<br />
sull’idea dell’educazione del genere umano<br />
e sulla concezione delle epoche dell’umanità.<br />
Da un lato, Schlegel pensa all’idea<br />
di perfettibilità infinita nei termini di<br />
un telos, se non di una totalità; dall’altro,<br />
l’accento cade prioritariamente sul carattere<br />
infinito, indeterminato di questa progressività<br />
potenziale. Anche quando la terminologia<br />
di Condorcet sparisce dalla scrittura<br />
schlegeliana, il filosofo tedesco se ne<br />
ispira sempre, sottolineando l’inaccessibilità<br />
di un rapporto diretto con il tempo,<br />
concepito invece sotto le categorie del “non<br />
ancora”, del “intanto che”. A questa concezione<br />
del tempo è strettamente connesso il<br />
lavoro stesso dell’interpretazione, per cui<br />
gli autori antichi, come Platone, non vanno<br />
letti come una totalità organica e genetica,<br />
bensì come un insieme di frammenti spezzati<br />
di una ligna virtualmente infinita.<br />
Altri temi più specificatamente ermeneutici<br />
sono stati ingaggiati da Behler nelle sue<br />
conferenze, quali la riflessione schlegeliana<br />
sull’ironia in rapporto a Hegel e la<br />
cruciale questione dell’Unverständlichkeit,<br />
segno dell’impossibilità di comprendere e<br />
di farsi comprendere. La discussione ha<br />
portato in particolare sull’opposizione noncomprensione/incomprensione<br />
nella filosofia<br />
di Schlegel. F.M.Z.<br />
Orfeo e orfismo<br />
Il 20 marzo <strong>1993</strong> si è tenuta all’Università<br />
Ch. De Gaulle-Lille III, una giornata<br />
di studi sull’orfismo, in particolare sulla<br />
pratica del commento filologico e sull’interpretazione<br />
della teologia orfica.<br />
Filologia e filosofia si sono intrecciate<br />
strettamente in questa giornata, che<br />
ha visto tra gli animatori della giornata<br />
Jean Bollack e Pierre Judet de la<br />
Combe.<br />
Uno dei temi più discussi è stato il rapporto<br />
intricato fra teogonia esiodea e teogonia<br />
orfica; quest’ultima risulterebbe particolarmente<br />
intelligibile se letta come conte-
stazione e subversion (aristocratica) del<br />
modello esiodeo: alla doppia origine esiodea<br />
si opporrebbe una figura centrale che<br />
pare sottrarsi a un quadro genealogico.<br />
Questa in sintesi l’opinione esposta da<br />
Philippe Borgeaud (Ginevra).<br />
Luc Brisson (Parigi) ha esposto i problemi<br />
filologici e interpretativi connessi ai papiri<br />
di Derveni, insistendo in particolare sull’esigenza<br />
ermeneutica di sviluppare la dimensione<br />
critica della teogonia orfica. Su<br />
questa linea, Jean Bollack, figura chiave<br />
del Centre Philologique de Lille, ha sottolineato<br />
come la scrittura allegorica e ermetica<br />
segni il desiderio di uno scarto, di una<br />
dé- narrativation, che pur richiedendo necessariamente<br />
un lettore, si sottrae alla seduzione<br />
retorica. Questa chiusura ermetica<br />
sarebbe strettamente connessa con la ricerca<br />
di un fondo costitutivo separato da ogni<br />
manifestazione. Mentre E. Rhode tendeva<br />
a interpretare i poemi orfici nel seno di una<br />
tradizione popolare, Bollack riprende l’ipotesi<br />
di una scrittura legata a una reazione<br />
aristocratica.<br />
Pierre Ellinger (Reims) ha centrato l’intervento<br />
sull’antropogonia orfica, in particolare<br />
sul motivo della suie della fumée dei<br />
Titani. La sovversione del modello esiodeo<br />
della Mekoné sarebbe visibile proprio in<br />
questo punto: contro Detienne, Ellinger<br />
sostiene che non esiste la cenere dei Titani,<br />
ma solamente la suie della folgore; di conseguenza<br />
tutti i momenti del rito sacrificale<br />
vengono sovvertiti. Sulla stessa linea, R.<br />
Schlesier (Berlino) ha sottolineato invece<br />
la scomparsa della figura attiva di Prometeo<br />
per quella, passiva, di Dioniso divorato.<br />
Infine Jean Bollack ha concluso con un<br />
intervento sulla pluralità d’interpretazioni<br />
del mito d’Orfeo, tanto da tracciarne una<br />
cartografia. Da parte sua, Bollack ha fatto<br />
l’ipotesi di un nesso fra la scelta convenzionale<br />
di un nome comune e leggendario e la<br />
nascita di particolari gruppi sociali. La riflessione<br />
proseguirà nell’aprile <strong>1993</strong> a Princeton.<br />
F.M.Z<br />
Continuità e mutamenti<br />
nella scienza<br />
Con il titolo: CONTINUITÀ E MUTAMENTI<br />
NELLA RICERCA SCIENTIFICA E NELLA RIFLES-<br />
SIONE EPISTEMOLOGICA, Francesco Barone<br />
ha tenuto dal 7 all’11 dicembre<br />
1992, presso l’Istituto Italiano per gli<br />
<strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> di Napoli, un seminario<br />
il cui scopo è stato quello di ricostruire<br />
alcune tappe fondamentali dell’evoluzione<br />
del concetto di “scienza”<br />
in rapporto al problema dell’immutabilità<br />
o mutabilità storica del significato<br />
del termine.<br />
Secondo la prospettiva “linguistico-essenzialistica”<br />
dell’epistemologia, il termine<br />
“scienza” denoterebbe un ambito di attività<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
culturale, immutabile storicamente, che<br />
mira a conoscenze obiettive, coordinate fra<br />
di loro, rigorose, valide in senso intersoggettivo<br />
e tali da permettere all’uomo di<br />
operare sulla realtà. Una tale concezione<br />
essenzialistica, affermatasi a partire dall’inizio<br />
dell’Ottocento (con Kant) fino a<br />
arrivare alla metà del nostro secolo (col<br />
neopositivismo), è però entrata in crisi, ha<br />
fatto notare Francesco Barone, allorché ci<br />
si è accorti dell’ambiguità e della plurisignificatività<br />
dei termini adoperati, nella<br />
misura in cui il significato di un termine<br />
risiede nell’uso che se ne fa, che dipende a<br />
sua volta dal contesto temporale in cui il<br />
termine compare: la parola “scienza” indicherebbe<br />
in tal senso non un’essenza che<br />
permane immutata, ma piuttosto un fenomeno<br />
storico iscritto nell’ordine del tempo.<br />
Secondo un epistemologo contemporaneo<br />
come Paul Feyerabend, la scienza, ha<br />
notato Barone, è invece frutto di una particolare<br />
ideologia, di una certa maniera di<br />
pensare, e piuttosto che essere una disciplina<br />
rigorosa ed intersoggettiva, dipende da<br />
preferenze ed interessi; in tal modo la scienza,<br />
privata del metodo, non si distingue più<br />
dall’arte.<br />
Ora, ha osservato Barone, se la concezione<br />
essenzialistica del linguaggio impedisce di<br />
cogliere la storicità del fenomeno culturale<br />
della ricerca scientifica, è vero altresì che,<br />
considerando il significato delle parole in<br />
base all’uso che se ne fa, in base ai vari<br />
contesti, si corre il rischio di cadere in un<br />
relativismo estremo, in cui non solo la<br />
scienza non ha un’essenza, ma diviene<br />
“scienza” tutto ciò che si decide di chiamare<br />
con questo termine. Ci troviamo dunque<br />
a oscillare tra due poli contrapposti: da una<br />
parte le epistemologie normative (da Kant<br />
al neopositivismo), in cui si parla di scienza<br />
indipendentemente dal divenire storico;<br />
dall’altra una concezione come quella di<br />
Feyerabend, per il quale la scienza ha la<br />
stessa consistenza di un mito, è un’ideologia:<br />
muta a seconda dei contesti e delle<br />
società in cui operano gli scienziati.<br />
Tuttavia, ha rilevato Barone, si continua a<br />
definire “scienza” fenomeni del tutto diversi;<br />
si tratta allora di andare alla ricerca di<br />
qualcosa che ci permetta di definire “scienza”<br />
tutti questi diversi momenti culturali.<br />
La continuità del fenomeno culturale “scienza”,<br />
secondo Barone, è da ricercarsi nelle<br />
radici biologico-esistenziali della nostra<br />
specie; l’homo sapiens sapiens ha infatti<br />
una caratteristica costante, quella di divenire<br />
consapevole delle cose che lo circondano.<br />
Questa radice biologica che accomuna<br />
l’homo sapiens sapiens agli altri animali,<br />
e che determina le variazioni storicoculturali<br />
del fenomeno-scienza, è indispensabile<br />
per la sopravvivenza degli individui<br />
della specie homo, così come lo è per gli<br />
individui di altre specie animali.<br />
Uno dei maggiori epistemologi contemporanei,<br />
Karl Reimund Popper, ha osservato<br />
che l’unica differenza spiccata che c’è<br />
45<br />
tra Einstein e un’ameba, entrambi “animali”<br />
che cercano di sopravvivere adattandosi<br />
all’ambiente, è che mentre l’ameba applica<br />
la sua “teoria”, la sua interpretazione dell’ambiente<br />
a cui deve adattarsi, direttamente<br />
sulla sua esistenza, Einstein mette alla<br />
prova tra loro teorie, interpretazioni della<br />
realtà a cui deve adattarsi. E’ in virtù di<br />
questo condizionamento della cultura da<br />
parte della natura che le varie accezioni di<br />
“scienza” costituiscono una “famiglia”, in<br />
senso wittgensteiano, e, per quanto profonde<br />
possano essere le differenze tra le varie<br />
forme culturali, il passaggio dall’una all’altra<br />
non è mai un passaggio a cose completamente<br />
diverse. Se la scienza, come<br />
suggerisce l’epistemologia evoluzionistica<br />
da cui muove Barone, è radicata in<br />
questo bisogno dell’uomo di orientarsi nel<br />
mondo, di adattarsi a un mondo, un ambiente,<br />
allora gli sviluppi storici della scienza<br />
altro non rappresentano che tentativi che<br />
mutano col mutare delle situazioni cui l’uomo<br />
deve adattarsi. L.M.<br />
Linguaggi della mente<br />
Nel quadro della necessità attuale della<br />
psichiatria, Italiana e non, di ridefinirsi<br />
concettualmente e terapeuticamente<br />
anche attraverso l’apertura verso<br />
temi e discipline solitamente considerati<br />
lontani dal proprio ambito disciplinare,<br />
si è svolto a Umbertide (PG),<br />
dal 15 al 17 ottobre 1992, il convegno:<br />
I LINGUAGGI DELLA MENTE, coordinato dal<br />
dipartimento di psichiatria della USSL<br />
di Città di Castello. La natura intrinsecamente<br />
interdisciplinare del convegno<br />
è stata confermata dalla partecipazione<br />
ai lavori di psichiatri come<br />
Salomon Resnick e Sergio Piro, neuropsichiatri<br />
come Oliver Sacks, filosofi<br />
come Paolo Rossi e Remo Bodei.<br />
Il filosofo Paolo Rossi, seguendo quelle<br />
stesse linee di interesse da lui percorse<br />
negli ultimi anni, ha concentrato la sua<br />
attenzione sui mezzi con i quali comunichiamo,<br />
presentando quella che egli chiama<br />
la “Legge di Ong”: la comparsa di un<br />
nuovo mezzo di comunicazione di massa<br />
non distrugge il vecchio mezzo, anzi lo<br />
trasforma profondamente, e il nuovo e il<br />
vecchio si rafforzano reciprocamente. Da<br />
un tale punto di vista il primo nodo cruciale<br />
che si presenta è senz’altro il passaggio dal<br />
linguaggio gestuale (che, secondo Vico,<br />
veniva utilizzato dai primi uomini) a quello<br />
verbale. Ma i gesti, sia quelli innati e universalmente<br />
compresi, sia quelli definiti<br />
contestualmente ad una cultura, continuano<br />
ad accompagnare l’espressione orale. Il<br />
problema della “teatralità” in un pubblico<br />
discorso era ampiamente discusso nei manuali<br />
di retorica, come anche quello della<br />
“topica” e della “promptuaria”: come rac-
CONVEGNI E SEMINARI<br />
Salomon Resnik, Paolo Rossi (foto di G. Barbaro)<br />
cogliere un gran numero di argomenti da<br />
poter utilizzare all’occorrenza in una orazione.<br />
In altri termini, osserva Rossi, è il<br />
problema della memoria il tema fondamentale<br />
in ogni cultura orale.<br />
La comparsa della scrittura segna un passaggio<br />
più radicale: dall’udibile e temporale<br />
della parola orale, si passa al visibile e<br />
spaziale della scrittura. Tramite la scrittura,<br />
la parola si stacca da noi, si fissa nella<br />
materia, si conserva e può essere richiamata<br />
all’occorrenza: non c’è più bisogno di<br />
ricordare; il pensiero è più libero. L’invenzione<br />
della stampa amplia e muta ulteriormente<br />
quella della scrittura. Ma l’ultimo<br />
passo, in questa storia nella storia dell’uomo,<br />
è segnato dall’avvento dei computer<br />
con il loro velocissimo progredire e diffondersi.<br />
A questo riguardo Rossi tenta l’ipotesi<br />
di una analogia fra il moderno e il postmoderno:<br />
così come Francis Bacon<br />
scandalosamente indicava come novità<br />
radicali non le filosofie, ma le invenzioni<br />
dei “meccanici”, potremmo noi far lo<br />
stesso per la nostra epoca, guardando le<br />
esplorazioni cosmiche come egli guardava<br />
i viaggi transoceanici, l’energia<br />
nucleare come la polvere da sparo, i<br />
calcolatori come la stampa? Quelle tre<br />
grandi invenzioni modificarono l’uomo,<br />
le sue conoscenze e suscitarono in lui<br />
paure e speranze, esattamente come le<br />
suscitano le tre “invenzioni” della nostra<br />
epoca.<br />
Secondo lo psicoanalista e psichiatra Salomon<br />
Resnik, il linguaggio della mente, pur<br />
non essendo unico, è pittografico. Il dialogo<br />
è spaziale, ma asimmetrico, in quanto<br />
contempla la diversità. Il modo per capire<br />
ciò che si pensa è esser capaci di comunicare<br />
la propria esperienza; da qui i tentativi<br />
dell’uomo si evolvono dai graffiti su pietra<br />
alla scrittura alfabetica. Resnik ha paragonato<br />
in tal senso l’uomo a una tavoletta di<br />
cera coperta da un foglio: la cera è come<br />
l’inconscio; il foglio come una protezione<br />
contro gli stimoli esterni; vi si può scrivere<br />
sopra e poi cancellare, ma qualche traccia<br />
resta comunque impressa nella cera.<br />
Il neuropsichiatra Oliver Sacks è partito<br />
dai suoi studi sull’emicrania per presentare<br />
una ipotesi affascinante. Nei tentativi di<br />
rappresentare, tramite disegno, le distorsioni<br />
che si producono nel campo visivo<br />
durante attacchi emicranici, si può notare<br />
la costante apparizione di strutture organizzate,<br />
reticolari o spiraliformi. La stessa<br />
organizzazione a patterns emerge in individui<br />
sotto l’effetto di droghe come l’hascisc<br />
o la mescalina. L’ipotesi di Sacks è<br />
che la corteccia visiva sia essa stessa autoorganizzata<br />
in strutture precise, con modelli<br />
geometrici ricorrenti, e che sia proprio<br />
questa stessa struttura che si rivela in momenti<br />
particolari, come anche nell’immaginazione<br />
e nell’arte.<br />
Lo svizzero Pierre Bovet, psichiatra di<br />
46<br />
Losanna, ha parlato dei disturbi del linguaggio<br />
in soggetti schizofrenici. Partendo<br />
da una concezione “dialettica” della schizofrenia,<br />
secondo la quale bisogna tener<br />
conto sia di componenti organiche, come<br />
predisposizioni genetiche o malattie virali<br />
pre o post-natali, sia dei processi psicodinamici<br />
nell’individuo, Bovet riprende le<br />
concezioni dello psicologo russo Vygotsky.<br />
Se per l’approccio cognitivista vi è identità<br />
tra linguaggio e pensiero, ovvero anomalie<br />
nella parola implicano anomalie nel pensiero,<br />
e se è il cervello che produce il<br />
linguaggio, come una catena di montaggio<br />
priva di interazioni dinamiche con l’esterno,<br />
Bovet propende per una distinzione dei<br />
due fattori, interno-esterno, e tenta di inquadrare<br />
l’eziopatologia della schizofrenia<br />
in una dialettica incompiuta tra formazioni<br />
preconcettuali nel bambino e interazioni<br />
con le altre persone. Sulla stessa scia<br />
anti-cognitivista si pone l’americano G. S.<br />
Rousseau, secondo il quale l’analogia cervello-computer<br />
serve a dare solo uno dei<br />
modelli possibili per il cervello, ma non ne<br />
esaurisce le caratteristiche. Essere umani è,<br />
sì, possedere un cervello, ma non in senso<br />
riduzionista, bensì come un sistema globalmente<br />
inteso, che abbia la capacità di<br />
raccontare e comprendere “storie”: un cervello<br />
biografo e narratore.<br />
Lo psichiatra napoletano Sergio Piro ha<br />
proposto nel suo intervento la costituzione<br />
di una antropologia trasformazionale, che<br />
ricongiunga le diverse scienze umane. Pur<br />
mantenendo le necessarie diversità degli<br />
strumenti linguistici propri delle discipline<br />
umanistiche, un avvicinamento potrebbe<br />
avvenire grazie a linguaggi operazionali<br />
intermedi, cioè inerenti ad operazioni empiriche,<br />
così come ce li offrono sociologia<br />
e psicologia. Di interesse schiettamente<br />
psicoanalitico è stata invece la relazione di<br />
Eugenio Gaburri, il quale ha esposto alcuni<br />
dei problemi di comunicazione tra<br />
analista e paziente descrivendo come il<br />
graduale unisono che si instaura tra i due<br />
porti alla produzione di una interpretazione<br />
dello stato effettivo del paziente.<br />
Un’analisi del disegno infantile è stata proposta<br />
da Ruggero Pierantoni; mentre il<br />
problema del polilinguismo, ovvero la conoscenza<br />
di più lingue fin dall’infanzia, è<br />
stato oggetto di trattazione da parte della<br />
psicoanalista Simona Argentieri, che si è<br />
interrogata sui sistemi di libera associazione<br />
linguistica e di come questi possono e<br />
vengono modificati dall’uso di una lingua<br />
o più lingue diverse.<br />
L’epistemologo Alessandro Pagnini ha<br />
trattato dei “paradossi della razionalità”,<br />
come recita anche il titolo di un libro del<br />
filosofo americano Davidson. Come si può<br />
spiegare l’intrinseca paradossalità delle<br />
azioni acratiche, ovvero di quelle azioni<br />
che vanno contro l’interesse del soggetto<br />
agente, o che comunque non hanno spiegazioni<br />
razionali? Nell’ambito del panorama<br />
cognitivista attuale, una spiegazione è fornita<br />
dalla teoria omuncolare presentata, sia
pur in modi diversi, sia da Daniel Dennett<br />
che da Davidson. Secondo quest’ultimo il<br />
crollo delle relazioni di ragione è dovuta<br />
alla partizione della mente in omuncoli,<br />
appunto, ognuno dei quali possiede poteri<br />
di causazione delle azioni, ma, ovviamente,<br />
non di spiegazioni razionali. Confortante,<br />
comunque, l’apporto di Pagnini, nel<br />
quadro del convegno, a favore dell’ipotesi<br />
cognitivista, sottolineando la capacità euristica<br />
del computer come metafora del cervello<br />
e ricordando come le macchine, nel<br />
corso storico della riflessione umana, abbiano<br />
spesso ricoperto un ruolo metaforico<br />
ricco di indicazioni fertili.<br />
La poesia come linguaggio delle passioni è<br />
l’argomento a cui il filosofo Remo Bodei<br />
ha dedicato il proprio intervento. Al di là<br />
dell’alternativa tra mimesi del mondo reale<br />
e prodotto di immaginazione arbitraria, alla<br />
poesia spetta, secondo Bodei, un terzo regno,<br />
sia pubblico che privato, ma intrinsecamente<br />
atopico. Inizialmente occorrerebbe<br />
indebolire l’idea di un mondo reale,<br />
oggettivo e razionale, che abbia potere sulla<br />
mente, abolendo così l’antagonismo tra<br />
“verità” artistica e “verità” oggettiva. La<br />
poesia si situa ai margini dell’ovvio verso<br />
possibilità all’interno delle quali ricrea densità<br />
di senso. Inoltre dovremmo liberarci<br />
dell’idea di arte come rappresentazione: gli<br />
oggetti artistici sono irrapresentabili essi<br />
stessi, sono un altrove virtuale, ma che è già<br />
qui, presente e inclassificabile. Così la poesia<br />
è anche utopia: coglie un mondo vero,<br />
quello delle passioni umane, e gli conferisce<br />
una natura diversa da quella oggettiva.<br />
Non bisogna tuttavia cadere nell’opposto<br />
inverso, ha osservato Bodei, nel quale<br />
la poesia abbia tagliato i ponti con la<br />
realtà: l’arte non è solo ispirazione, ma<br />
anche capacità di deformare l’immediatezza,<br />
di staccarsi dalle esperienze private.<br />
La poesia è nello stesso tempo<br />
cognitiva ed emotiva ed esprime quelle<br />
possibilità che altrimenti troverebbero<br />
manifestazione come passioni non ancora<br />
elaborate e oggettivate. G.B.<br />
Introduzione<br />
alle scienze cognitive<br />
Spiegare fenomeni universali, comuni<br />
a tutta la specie umana, apparentemente<br />
incomprensibili o fonte di illusioni,<br />
è lo scopo principale delle cosiddette<br />
scienze cognitive. A questo contesto<br />
problematico ha fatto riferimento<br />
Massimo Piattelli Palmarini in un<br />
seminario dal titolo: INTRODUZIONE ALLE<br />
SCIENZE COGNITIVE, tenuto dal 15 al 18<br />
dicembre 1992 presso l’Istituto Italiano<br />
per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> di Napoli.<br />
Secondo il fisico francese Jean Petain «è<br />
compito della scienza sostituire a dei visi-<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
bili complicati degli invisibili semplici»;<br />
proprio questo, ha esordito Massimo Piattelli<br />
Palmarini, è ciò che programmaticamente<br />
si propongono le scienze cognitive<br />
volte allo studio dell’intelligenza e della<br />
mente umana. I “visibili complicati”, che<br />
interessano le scienze cognitive sono costituiti<br />
da quelle numerose acquisizioni e conoscenze<br />
che tutti noi abbiamo, ma che<br />
nessuno ci ha mai insegnato, che non abbiamo<br />
ricavato dall’esperienza, e che non<br />
ci rendiamo nemmeno conto di possedere.<br />
Noi uomini, ha osservato Piattelli Palmarini,<br />
siamo governati cognitivamente<br />
da dei principi di razionalità, alcuni dei<br />
quali scoperti già da Aristotele e dalla<br />
logica classica e senza i quali ci sarebbe<br />
impossibile comprendere i nostri simili e<br />
convivere con essi; tuttavia spesso, nostro<br />
malgrado, non rispettiamo le regole della<br />
razionalità: partendo da premesse vere, siamo<br />
talvolta incapaci di arrivare ad una<br />
conclusione vera, che pure si dà necessariamente.<br />
Un caso ben studiato fin dai tempi<br />
di Aristotele è quello del ragionamento<br />
sillogistico; date ad esempio le premesse:<br />
«tutti i ministri sono ladri» e «nessuno<br />
dei benzinai è ministro», qual’è la deduzione<br />
logica da trarre? La conclusione<br />
corretta è: «alcuni tra i ladri non sono<br />
benzinai»: purtuttavia persone colte, intelligenti,<br />
non vedono questa conclusione.<br />
Si tratta in effetti di un’illusione<br />
cognitiva di tipo deduttivo: ci sono pre-<br />
47<br />
messe certe introdotte dai quantificatori<br />
“tutti” e “nessuno”, e una conclusione,<br />
essa pure certa, introdotta però né da<br />
“tutti”, né da “nessuno”, ma dal quantificatore<br />
“alcuni”, che per la maggior<br />
parte non riusciamo a “vedere”.<br />
Un altro caso interessante, ha aggiunto<br />
Piattelli Palmarini, riguarda la confusione<br />
che c’è nella nostra mente tra probabilità e<br />
causalità. Se si chiede ai soggetti, «sapendo<br />
che una madre ha gli occhi celesti, quant’è<br />
probabile che sua figlia abbia gli occhi<br />
celesti», si ottiene una certa stima; se invece<br />
si chiede, «sapendo che una figlia ha gli<br />
occhi celesti, quant’è probabile che sua<br />
madre abbia gli occhi celesti», si ottiene<br />
una stima minore della precedente. E’ chiaro<br />
che il colore degli occhi della madre è<br />
una concausa del colore degli occhi della<br />
figlia, ma non viceversa. Tuttavia, ciò è del<br />
tutto irrilevante ai fini della ricerca di una<br />
correlazione probabilistica; il fatto che la<br />
causalità ci sia in un senso, ma non all’inverso,<br />
condiziona però talmente il giudizio<br />
probabilistico da farlo slittare in senso causalistico.<br />
L’importanza dello studio delle illusioni<br />
cognitive, secondo Piattelli Palmarini, risiede<br />
nel fatto che errori di questo tipo<br />
possono avere spesso conseguenze disastrose,<br />
come dimostra l’esame del seguente<br />
test realistico, effettuato su un gruppo di<br />
medici e studenti di medicina di Harvard.<br />
Si disse loro che un test clinico, atto a<br />
Remo Bodei, Oliver Sacks (foto di G. Barbaro)
ilevare la presenza di un certo tumore, era<br />
stato effettuato su un certo individuo; il test<br />
era risultato positivo. Sapendo che quella<br />
forma di tumore colpisce in media un individuo<br />
su mille, e che il test ha un’affidabilità<br />
del 95% (cioè dà un 5% di falsi positivi),<br />
e senza sapere nient’altro sullo stato di<br />
salute di quella persona, si chiese quant’era<br />
probabile che avesse effettivamente il tumore.<br />
Ebbene, qui è piuttosto impressionante<br />
notare il divario fra ciò che le illusioni<br />
cognitive suggeriscono e il risultato a cui<br />
portò il calcolo esatto: mentre infatti il 56%<br />
dei soggetti rispose che era probabile nel<br />
95% dei casi, e la grande maggioranza di<br />
essi (75%) stimò comunque la probabilità<br />
superiore al 50%, la risposta corretta, calcolata<br />
in base alla legge statistica di Bayes,<br />
diede una percentuale inferiore al 2% dei<br />
casi. La spiegazione di tale divario nella<br />
valutazione è che se anche l’intuizione<br />
suggerisce di combinare la probabilità che<br />
il test clinico abbia fallito (5%) e quella che<br />
l’individuo abbia contratto la malattia indipendentemente<br />
dal risultato del test (1%),<br />
si tende spontaneamente a dimenticare o<br />
comunque a sottostimare la probabilità<br />
che qualcosa avvenga indipendentemente<br />
da qualsiasi condizione esterna (fenomeno<br />
della “trascuratezza delle frequenze di<br />
base”).<br />
Il problema qui non sta tanto nella mancanza<br />
di strumenti analitici istintivi adeguati al<br />
calcolo esatto delle probabilità, quanto nella<br />
fiducia e nella sicurezza malamente riposte<br />
nelle nostre istituzioni. In questo si<br />
esprime la forza delle illusioni cognitive,<br />
pari o addirittura superiore a quella della<br />
ragione, e a cui siamo disposti a dare credito<br />
più che alla ragione; ciò implica la necessità<br />
di rivedere la classica partizione fra<br />
percezione e giudizio, che se in molti casi<br />
si presentano come due fenomeni distinti,<br />
talvolta riesce difficile separare, ciò che<br />
riguarda l’occhio da ciò che riguarda la<br />
mente.<br />
Si tratta allora, ha concluso Piattelli Palmarini,<br />
di allargare il concetto di epistemic<br />
boundedness (delimitazione epistemica)<br />
anche alla nostra specie; si tratta cioè di<br />
capire che anche noi uomini, al pari dei topi<br />
o degli scimpanzé, siamo degli organismi<br />
biologici di natura contingente e finita, che<br />
interagiamo col mondo attraverso i mezzi<br />
che la natura ci ha fornito, e che tutto ciò<br />
che possiamo pensare o scoprire è limitato<br />
dalle nostre capacità cognitive. L.M.<br />
Fonosimbolismo<br />
e linguaggio poetico.<br />
Col titolo: FONOSIMBOLISMO E LINGUAGGIO<br />
POETICO si è tenuta dal 20 al 21 ottobre,<br />
presso il Centro Internazionale di <strong>Studi</strong><br />
Semiotici e Cognitivi di San Marino,<br />
una serie di conferenze di semiotica e<br />
linguistica, incentrate sul rapporto tra<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
capacità rappresentativa dei simboli e<br />
composizione poetica. Tra i partecipanti<br />
al convegno: Linda Waugh, Masako<br />
K. Hiraga, Haj Ross, Ivan Fonagy.<br />
Gli interventi si sono sviluppati per la maggior<br />
parte in aperta opposizione alla concezione<br />
strutturalista, che considera la relazione<br />
tra significato e significante una relazione<br />
convenzionale, dovuta cioè alla scelta<br />
arbitraria che una società primitiva attua<br />
nel momento in cui decide quali suoni<br />
assegnare a determinati oggetti e come<br />
legare tra loro i segni che denotano e designano<br />
rispettivamente oggetti e concetti. Il<br />
carattere iconico del lessico delle lingue<br />
rivelerebbe piuttosto un legame stretto tra<br />
simbolo e significato. In particolare, Linda<br />
Waugh (“Degrees of Iconicity in the Lexicon”)<br />
ha indicato come uno dei risultati più<br />
sorprendenti del genio precoce ginevrino<br />
di de Saussure considerare l’attribuzione di<br />
un valore “convenzionale” alla relazione<br />
tra significante e significato come un’azione<br />
valida prevalentemente a livello sociale,<br />
poiché imposta alla società dalla natura<br />
delle cose. Il significato è rappresentato in<br />
gradi differenti dal significante grazie a<br />
caratteristiche proprie della lingua, quasi<br />
che l’associazione sia avvenuta, in principio,<br />
per affinità tra la forma e la struttura<br />
del significante - giacché è dell’immagine<br />
e del diagramma che tratta Waugh - e il<br />
concetto significato, per poi evolversi separatamente.<br />
Masako K. Hiraga (“Iconicity as Principle<br />
of Composition and Interpretation: A<br />
Case Study in Japanese Short Poems”) ha<br />
presentato uno studio sull’incidenza dell’iconicità<br />
del linguaggio sulla composizione<br />
poetica, schierandosi a favore dell’interpretazione<br />
che vuole legate indissolubilmente<br />
immagine e segno, concetto e<br />
significante, e che vede in Jakobson e Peirce<br />
i suoi più autentici promotori. Jakobson<br />
sostiene infatti come il linguaggio abbia<br />
proprietà non-arbitrarie di iconicità; i termini<br />
linguistici non sono dipendenti unicamente<br />
dalla nostra capacità di scelta arbitraria,<br />
ma ci vengono, per così dire, imposti<br />
dalla loro stessa forza rappresentativa. Per<br />
quanto riguarda invece la definizione di<br />
icona data da Peirce, Hiraga si è soffermato<br />
su due dei suoi tre sottotipi: immagine,<br />
diagramma e metafora. L’immagine, cioè<br />
la “somiglianza semplice, sensoriale e mimetica”<br />
con l’oggetto, non è stata trattata<br />
da Hiraga, che invece ha approfondito l’importanza<br />
del diagramma, o analogia strutturale<br />
con il concetto, e della metafora, o<br />
“parallelismo triadico rappresentativo”.<br />
Nella composizione poetica, ha osservato<br />
Hiraga, affiora l’importanza primaria della<br />
capacità iconica del linguaggio, come dimostrano<br />
gli haiku e i tanka di alcuni poeti<br />
giapponesi: emerge qui come l’artista, consciamente<br />
e, talvolta, inconsciamente, si<br />
sia lasciato guidare nella scelta dei termini<br />
dal maggiore grado di iconicità dei medesimi<br />
e di come la stessa capacità espressiva<br />
48<br />
insita nei termini usati ci aiuti a trovare una<br />
nuova e più valida interpretazione dell’opera<br />
poetica.<br />
Nel suo intervento Háj Ross (“The Taoing<br />
of a Sound: Phonetic Drama in William<br />
Blake’s The Tyger”) ha proceduto a un’analisi<br />
molto approfondita della struttura globale,<br />
della metrica, della forma delle singole<br />
parole, della posizione delle interrogazioni<br />
e dell’effetto fonetico emergente dalla<br />
poesia di Blake, che permette di scoprire<br />
in essa la rappresentazione simbolica della<br />
forza vitale taoista, il teh. In particolare, ha<br />
fatto notare Ross, nella struttura centrale<br />
del poema The Tyger si evidenzia un’alternanza<br />
di combinazioni sonore AB - BA,<br />
che indica un’opposizione di fonemi e di<br />
simboli del tipo della contrapposizione di<br />
yin e yang, e nell’equilibrio finale raggiunto<br />
da questi due concetti compenetrantesi,<br />
emerge la simbolizzazione tao. M.P.<br />
Il sistema filosofico<br />
In occasione della pubblicazione dell’edizione<br />
italiana del volume di Nicholas<br />
Rescher, LA LOTTA DEI SISTEMI.<br />
FONDAMENTI E IMPLICAZIONI DELLA PLURA-<br />
LITÀ FILOSOFICA (traduzione di Nicola<br />
Vassallo, introduzione di Andrea<br />
Bottani, Marietti, Genova <strong>1993</strong>) si è<br />
tenuta a Milano il 20 gennaio 1991,<br />
presso la Sala Incontri dell’ISU, la<br />
conferenza dell’autore sul tema: L’interconnessione<br />
sistemica dei temi<br />
filosofici, alla quale hanno partecipato<br />
Carlo Sini, Carlo Penco, Michele<br />
Marsonet e Andrea Bottani.<br />
Autore tra i più prolifici della filosofia<br />
americana contemporanea (ha scritto più di<br />
60 libri) Nicholas Rescher è soprattutto<br />
conosciuto per la sua teoria coerentista<br />
della verità e per i suoi lavori sulla contraddizione<br />
e la coerenza in logica. La visione<br />
che Rescher ha della filosofia fa parte della<br />
“sua” filosofia: la sua metafilosofia è prescrittiva<br />
nel senso indicato da Robert Nozick,<br />
anche se le conclusioni che Rescher trae<br />
da questo punto di vista sono diverse da<br />
quelle di Nozick. La storia della filosofia è<br />
vista come una serie di tentativi di riorganizzare<br />
il sistema di conoscenze del proprio<br />
tempo in modo da eliminare contraddizioni.<br />
I filosofi, osserva Rescher, si trovano<br />
in ogni momento della storia ad affrontare<br />
un insieme di tesi proposte per<br />
spiegare l’esperienza, ma queste tesi non<br />
riescono a formare un sistema coerente.<br />
Solo scartando alcune di queste tesi e scegliendone<br />
altre si può rispondere al profondo<br />
bisogno di coerenza che pervade ogni<br />
essere umano. Questa scelta porta inevitabilmente<br />
al contrasto tra diversi sistemi<br />
filosofici.<br />
Attraverso un’analisi dei diversi sistemi di<br />
tesi in contrasto tra loro, Rescher propone,
in questa sua opera, una storia della filosofia<br />
del tutto originale, che mostra il sorgere<br />
del contrasto filosofico dai tentativi di trovare<br />
una coerenza all’interno di gruppi di<br />
idee tra loro non tutte compatibili. Ma il<br />
valore di quest’opera sta anche nella riflessione<br />
sul senso di questo lavoro, che aiuta<br />
a chiarire il ruolo e lo statuto particolare<br />
della filosofia rispetto alle altre dimensioni<br />
del sapere. Nasce un affresco originale del<br />
lavoro filosofico, che può venire classificato<br />
come “pluralismo degli orientamenti”,<br />
un atteggiamento che è del tutto all’opposto<br />
dei settarismi correnti anche in filosofia.<br />
Rescher difende con forza la sua posizione<br />
contro le tentazioni del relativismo e dello<br />
scetticismo; in particolare dedica una ampia<br />
parte del lavoro a una critica delle<br />
posizioni di Richard Rorty, che rappresenta<br />
forse il suo antagonista più naturale,<br />
per la sua visione della filosofia come impresa<br />
“edificante” più che come impresa<br />
“cognitiva”. Rorty propone una filosofia<br />
liberatoria come liberazione dalla filosofia;<br />
questa deve essere esiliata dalla sfera<br />
della ragione, e in particolare dai problemi<br />
della filosofia specialistica che sono solo<br />
problemi e questioni dei filosofi. La reazione<br />
di Rescher si può riassumere con le sue<br />
stesse parole: «La fondamentale divisione<br />
del lavoro è già stata fissata da Platone, che<br />
oppone il filosofo al poeta. Anche il secondo<br />
può descrivere possibilità e progettare<br />
idee, ma è solo il primo ad occuparsi della<br />
loro valutazione razionale - introducendo e<br />
sviluppando argomentazioni pro e contro<br />
la loro adozione. (...) Ritirandoci dalla lotta<br />
delle dottrine e dal contrasto delle questioni,<br />
abbandoniamo il filosofare come impresa<br />
razionale».<br />
Ma perché Rorty e tanti altri filosofi sono<br />
portati verso scelte scettiche, irrazionaliste<br />
o quanto meno non cognitiviste, tali cioè da<br />
negare ogni valore cognitivo all’impresa<br />
filosofica? Probabilmente, suggerisce Rescher,<br />
perché cercano di rendere coerente<br />
l’insieme di idee comuni nel nostro tempo,<br />
che non sono però compatibili tra loro: 1. la<br />
filosofia è un’impresa di valore; 2. le imprese<br />
intellettuali di valore stabiliscono<br />
tesi; 3. la filosofia non può stabilire tesi. La<br />
negazione di 1. porta allo scetticismo; la<br />
negazione di 2. porta al non cognitivismo;<br />
solo la negazione di 3. permette di salvare<br />
la filosofia come impresa cognitiva; ma<br />
questo non vuole dire che le tesi filosofiche<br />
siano assolute: esse si danno sempre nel<br />
contesto di certi valori, presuppongono<br />
scelte di valore cognitivo. Questa la conclusione<br />
del lavoro di Rescher: «sarebbe<br />
bizzarro pensare che la filosofia non ha<br />
valore perché le posizioni filosofiche sono<br />
costrette a riflettere i particolari valori che<br />
sosteniamo».<br />
Nella conferenza in occasione della presentazione<br />
a Milano della sua opera: Il<br />
conflitto dei sistemi, Nicholas Rescher ha<br />
esordito ricordando come la filosofia anglo-americana<br />
abbia sempre più concen-<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
trato i propri sforzi su ricerche particolari e<br />
su temi estremamente delimitati. Si è<br />
conseguentemente sviluppata una divisione<br />
del lavoro e una specializzazione impensabili<br />
per i filosofi di epoche precedenti.<br />
Problemi filosofici che emergono in aree<br />
a prima vista molto distanti fra loro sono,<br />
spesso, tanto strettamente correlati, che<br />
una posizione assunta riguardo a uno di<br />
essi ha implicazioni profonde rispetto alle<br />
posizioni assumibili in un altro. «Per questo<br />
loro intrinseco carattere di interrelazione<br />
- ha affermato Rescher - le posizioni<br />
filosofiche in generale formano parti di<br />
insiemi aporetici, e non possiamo risolvere<br />
queste aporìe senza la dovuta attenzione<br />
per gli aspetti sistematici della discussione<br />
filosofica».<br />
Rescher ha paragonato la prassi filosofica a<br />
quella di un ingegnere, che deve ottemperare,<br />
bilanciandole, a esigenze molteplici,<br />
spesso in conflitto fra loro: efficienza, sicurezza,<br />
economicità. In questa situazione,<br />
non ci servirebbe una vettura particolarmente<br />
sicura, ma una in grado di procedere<br />
a non oltre tre chilometri all’ora. La medesima<br />
situazione vale anche per la riflessione<br />
filosofica: «l’ambito dei nostri interessi<br />
filosofici è una rete, in cui ogni cosa è<br />
interconnessa con ogni altra. Non abbiamo<br />
alcuna alternativa sensata se non procedere<br />
olisticamente. L’interconnessione sistematica<br />
dei problemi filosofici è un fatto inevitabile:<br />
in filosofia dobbiamo o sistematizzare,<br />
o lavorare invano».<br />
La riflessione di Rescher prende dunque le<br />
mosse dal rilievo del dissenso tra le varie<br />
posizioni filosofiche, il cui non accordo<br />
può valere come motivo di scetticismo nei<br />
confronti non solo e non tanto dei contenuti<br />
delle teorie, quanto soprattutto della pretesa<br />
di verità a cui le teorie, in quanto tali,<br />
ambiscono. L’epoché scettica verte insomma<br />
direttamente sullo statuto veritativo delle<br />
teorie filosofiche, aprendo così una serie di<br />
questioni relative anzitutto al valore conoscitivo,<br />
in filosofia, del dissenso, e in secondo<br />
luogo al tipo di oggettività a cui<br />
possono pervenire le conoscenze filosofiche.<br />
In merito al primo punto, Rescher<br />
propone alla filosofia il ruolo di prassi<br />
discorsiva, risolutiva, con un approccio<br />
olistico, delle aporìe fra le singole conoscenze<br />
che ci sono consegnate dal nostro<br />
patrimonio conoscitivo. Nei confronti della<br />
diversità delle teorie, Rescher rifiuta<br />
l’incommensurabilismo, sulla base della<br />
tesi dell’unicità del linguaggio, strumento<br />
di attività semantica che, peraltro, non scioglie<br />
mai definitivamente le contraddizioni,<br />
ma le porta a livelli di espressione sempre<br />
più avanzati. La rinuncia all’oggettività<br />
delle conoscenze che vengono in questo<br />
modo via via acquisite, non comporta perciò,<br />
come ha sottolineato Andrea Bottani,<br />
la rinuncia alla dignità gnoseologica dell’impresa.<br />
Si pone a questo punto la seconda questione,<br />
relativa al carattere delle conoscenze<br />
acquisite da questa prassi. A tale proposito,<br />
49<br />
Carlo Sini ha ritenuto importante il richiamo<br />
al pragmatismo di William James, sottolineando<br />
come esso avvicini la posizione<br />
di Rescher a quella di Richard Rorty, e dia<br />
nel contempo conto da un lato di un fenomeno<br />
di mediazione culturale tipico dell’evoluzione<br />
della filosofia analitica anglosassone,<br />
e dall’altro dell’approccio “olistico”<br />
e sistemico di Rescher alla questione<br />
della verità. Su questo punto Michele<br />
Marsonet ha posto la questione del rapporto<br />
fra pragmatismo e idealismo, tenendo<br />
conto degli esordi idealistici di John Dewey,<br />
un altro autore che costituisce un punto di<br />
riferimento per la riflessione rescheriana, e<br />
ha altresì sollevato il problema, a partire<br />
dall’approccio olistico, di una possibile<br />
rivalutazione della metafisica. A questo<br />
proposito Carlo Penco ha obiettato che la<br />
tendenza olistica pare debba essere posta in<br />
secondo piano nel momento in cui si realizza<br />
in concreto la ricerca, che ha un carattere<br />
essenzialmente specialistico. In realtà, ha<br />
risposto Rescher, la “logica della scoperta<br />
scientifica” è spesso sistemica, e prevede<br />
l’interconnessione di tutti i tipi di conoscenze<br />
umane, ivi comprese quelle metafisiche.<br />
D’altra parte, la stessa “questione<br />
olistica” riveste un carattere metafisico,<br />
come pure le tesi fondamentali dei neopositivisti,<br />
che pure vorrebbero rifiutare la<br />
metafisica. Se si dà contrapposizione fra<br />
pragmatismo e metafisica, ha continuato<br />
Rescher, essa può essere definita proprio a<br />
partire dalle indicazioni di Dewey, e non<br />
consiste in un’alternativa; poiché la metafisica<br />
rappresenta effettivamente, nella sua<br />
versione idealistica, una deformazione della<br />
realtà, ciò non esclude comunque che<br />
anche attraverso conoscenze metafisiche si<br />
possa pervenire a un controllo della realtà<br />
medesima, che è il tratto caratteristico del<br />
pragmatismo. F.C./ C.P.<br />
Ri-pensare l’Antropologia.<br />
La lettura incrociata di due recenti<br />
studi sul pensiero antropologico, il<br />
primo di Hans Peter Duerr, TEMPO DI<br />
SOGNO (trad. it. di F. Cassinari, Guerini<br />
e Associati, Milano 1992), il secondo di<br />
Silvana Borutti, PER UN’ETICA DEL DISCOR-<br />
SO ANTROPOLOGICO (Guerini e Associati,<br />
Milano <strong>1993</strong>), consente un ripensamento<br />
critico delle pratiche di ricerca<br />
e dei riferimenti teorici comuni all’etnologia<br />
e all’antropologia ed apre interessanti<br />
orizzonti di ricollocamento<br />
filosofico dei loro rispettivi assetti disciplinari.<br />
Un momento di approfondimento<br />
delle tematiche proposte in<br />
TEMPO DI SOGNO di Hans Duerr è stata la<br />
presentazione dell’opera alla Libreria<br />
Feltrinelli di Milano (6 maggio <strong>1993</strong>),<br />
con la partecipazione di Flavio Cassinari,<br />
Alfredo Civita, Ugo Fabietti e Carlo<br />
Sini.
L’immersione in un’atmosfera di pozioni<br />
stregonesche, profili di lupi mannari e sciamani<br />
volanti da impervi crepacci corrisponde<br />
ad una precisa strategia comunicativa<br />
di Hans Peter Duerr in Tempo di<br />
sogno: arredare la scena narrativa per accogliere<br />
un personaggio, che si delinea solo<br />
allusivamente nel susseguirsi dei vari capitoli<br />
e la cui piena identità viene esibita solo<br />
al termine della trattazione. L’intenzione di<br />
Duer è di tratteggiare la difficile e scomoda<br />
figura del ricercatore sul campo, che vive<br />
una situazione di doppio isolamento: dal<br />
mondo della natura selvaggia, che il ricercatore<br />
indaga senza appartenere ad esso, e<br />
dal mondo scientifico della civiltà moderna,<br />
da cui l’esperienza sul campo tende ad<br />
allontanarlo. Questa solitudine, vissuta in<br />
prima persona, è secondo Duerr la condizione<br />
inaugurale per una radicale critica<br />
della etnologia, come disciplina scientifica,<br />
e delle sue metodologie di ricerca.<br />
Un concetto-chiave di questa disciplina,<br />
attorno al quale, come giustamente osserva<br />
Flavio Cassinari, ruota tutto il ragionamento<br />
di Duerr, è quello di “limite” (Grenze),<br />
inteso come “delimitazione ed insieme<br />
apertura” dall’interno, piuttosto che come<br />
“confine”, barriera rigida (Schranke), che<br />
separa due regioni estranee l’una all’altra.<br />
La critica radicale di Duerr nasce proprio<br />
da questo snaturamento del concetto di<br />
limite compiuto dagli studiosi nei confronti<br />
della Wildnis, la dimensione della natura<br />
selvaggia. L’effetto è il fraintendimento,<br />
l’alterazione del messaggio nel rapporto<br />
dialogico con l’interlocutore indigeno.<br />
L’erezione della barriera della Zivilisation,<br />
il processo di civilizzazione, di fronte alla<br />
natura selvaggia è un fenomeno che risale<br />
agli albori dell’evo moderno, con il generalizzarsi<br />
della persecuzione delle streghe.<br />
Lo stesso atteggiamento mentale che ha<br />
informato la logica dei processi alle streghe,<br />
osserva Duerr, è stato assunto dai<br />
moderni studiosi della mentalità dei popoli<br />
non ancora assorbiti dalla nostra civiltà: un<br />
meccanismo difensivo di rifiuto erige una<br />
barriera di presunta superiorità razionale e<br />
impedisce di accogliere le “ragioni degli<br />
altri”, se non filtrandole e accomodandole<br />
alla nostra.<br />
Questo atteggiamento è comune ad entrambi<br />
gli schieramenti operanti nel campo<br />
dell’etno-antropologia, i dogmatici e i relativisti:<br />
i primi rinserrati nelle categorie<br />
coltivate all’interno della barriera; i secondi<br />
disponibili a sorpassare lo steccato per<br />
incontrare “gli altri”, ma pronti a rientrarvi,<br />
senza mai mettere in discussione né i presupposti,<br />
né i confini del loro territorio. Il<br />
passo decisivo diventa per Duerr quello di<br />
riconsiderare la dimensione selvaggia come<br />
qualcosa di originariamente costitutivo<br />
della nostra civiltà e di condividere l’esperienza<br />
degli indigeni incontrati al di fuori<br />
dei propri confini come qualcosa di non<br />
totalmente altro. In una certa misura, il<br />
ricercatore sul campo deve perdere il limite<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
per allargare la conoscenza dell’altro e di<br />
sé, del luogo dove è transitato e di quello di<br />
provenienza. Le pratiche dell’etnologo e le<br />
corrispondenti riflessioni antropologiche<br />
devono implicare un allargamento del noi<br />
che pratichiamo e che vediamo allo specchio<br />
della nostra autocoscienza riflessiva;<br />
gli spazi della nostra realtà effettuale<br />
(Wirklichkeit) devono poter abbracciare una<br />
possibile realtà in costituzione (Realität),<br />
attingibile mediante un Erlebnis, un vissuto<br />
di esperienza.<br />
Un movimento teorico insieme inverso ma,<br />
per diversi tratti, convergente con quello di<br />
Duerr è quello che ritroviamo nell’ultimo<br />
lavoro di Silvana Borutti, Per un’etica del<br />
discorso antropologico. Inverso, in quanto<br />
l’approccio è costituito da premesse di tipo<br />
filosofico ed epistemologico; convergente,<br />
in quanto si arriva a riflessioni sullo statuto<br />
delle pratiche e degli assetti disciplinari<br />
dell’antropologia che si rivelano in opposizione<br />
a entrambi gli schieramenti denunciati<br />
da Duerr, i dogmatici dell’oggettivismo<br />
scientista ed i relativisti della convenzione<br />
radicale. Inoltre, anche Borutti assume<br />
il tema del limite come elemento portante<br />
della sua analisi, ma lo caratterizza<br />
secondo una diversa intenzionalità filosofica,<br />
di ascendenza wittgensteiniana: il limite<br />
non è barriera, ma sfondo, contorno,<br />
delimitazione e insieme apertura di un contesto.<br />
Il limite-orizzonte (Hintergrund) apre<br />
lo spazio del gioco linguistico che presiede<br />
una forma di vita; se per un verso traccia lo<br />
spazio entro un contorno, per un altro apre<br />
un ventaglio di possibilità, più precisamente<br />
si configura come trascendendale linguistico<br />
della vita comunitaria, mostrando<br />
lo spiraglio attraverso cui accedervi.<br />
Il linguaggio presenta caratteri di plasticità,<br />
si offre a continue rimodellazioni e<br />
presenta una varietà straordinaria di pieghe<br />
e sfumature, ma non può tutto, né a livello<br />
semantico, né a livello dialogico: apre all’Altro,<br />
ma con oscurità, vuoti, lacerazioni.<br />
Come passare il Zwischen, il “tra”, che<br />
separa il Sé e l’Altro, la forma di vita<br />
familiare e quella estranea e ignota? Su<br />
questo punto le proposte di Duerr e della<br />
Borutti divaricano: per Duerr il tramite è il<br />
soggetto, ovvero lo stesso ricercatore, che<br />
grazie ad un Erlebnis coglie la dimensione<br />
selvaggia - con il rischio di subire la fascinazione<br />
di quella dimensione e non tornare<br />
più dal suo viaggio; per Borutti, il tramite è<br />
il medium linguistico ed una sua specifica<br />
attitudine, la traduzione, che fa da ponte tra<br />
i due universi.<br />
La traduzione rappresenta inevitabilmente<br />
un compromesso agito sulla contraddizione<br />
altrimenti insuperabile per cui «non si<br />
può non tradurre» e, d’altro canto, «non si<br />
può tradurre» in senso pieno e totale, da cui<br />
ne segue la tensione mai pacificata nell’antropologo<br />
tra il vincolo del conservare la<br />
differenza dell’Altro e la volontà di sapere<br />
del Sé; condizioni entrambe ineliminabili<br />
per rispettare il dialogo di alterità che solo<br />
può evitare i due rischi contrapposti: o<br />
50<br />
l’annullamento dell’Altro entro il dominio<br />
del Sé, o il dissolvimento del Sé con l’immedesimazione<br />
senza residui nell’Altro.<br />
Nel dibattito che è seguito alla presentazione<br />
dell’opera di Duerr, Tempo di sogno,<br />
alla Libreria Feltrinelli di Milano, Flavio<br />
Cassinari, traduttore dell’opera, ha respinto<br />
con forza il giudizio secondo il quale l’impostazione<br />
di Duerr debba considerarsi “ingenuamente<br />
esotica”. Al contrario, ha osservato<br />
Cassinari, Duerr ha messo a fuoco<br />
le radici teoriche che accomunano sia l’etnologo<br />
sia il girovago hippy nei loro<br />
rapporti con popoli non civilizzati: entrambi<br />
credono che la loro realtà sia<br />
unica e monocentrica; solo che i primi<br />
credono che la realtà di queste popolazioni<br />
sia sussumibile alla propria, i secondi<br />
invece che sia componibile con la<br />
propria. Il merito di Duerr è di aver<br />
indicato, sia attraverso una descrizione<br />
storica, sia con il ricorso ad una analisi<br />
teorica, che la realtà della Wildnis non è<br />
una realtà altra, ma è il “buco nero”,<br />
l’orlo rimosso e misterioso della civilizzazione.<br />
E’ questo il terreno di incontro<br />
tra l’etnologo e il nativo, e la scrittura<br />
etnografica deve avviare una sorta di<br />
ricucitura tra i due mondi, o meglio,<br />
deve evidenziare nella sua trama i segni<br />
di uno strappo, di una lacerazione epocale,<br />
storicamente consumatasi.<br />
A Duerr, eventualmente, si può imputare,<br />
come ha fatto Alfredo Civita, il mancato<br />
chiarimento circa i caratteri di questo fondo<br />
oscuro della Wildnis, costitutivo della<br />
nostra civiltà e da questa esorcizzato: si<br />
tratta di qualcosa di radicalmente altro e<br />
inaccessibile, oppure di regolamentabile<br />
ed esperibile attraverso appropriati rituali?<br />
Sulla base di questa alternativa irrisolta si<br />
sviluppa la riflessione proposta dall’autore,<br />
che si articola su tre piani distinti, ma nel<br />
contempo collegati: un piano descrittivo di<br />
tipo etnografico (un racconto delle esperienze-limite<br />
dalla Grecia del mito ai giorni<br />
nostri); un piano teorico-epistemologico<br />
(un’analisi del valore di verità degli<br />
enunciati dei nativi); infine un piano<br />
filosofico-morale (sui connotati della<br />
civiltà occidentale).<br />
Riprendendo questa impostazione, Ugo<br />
Fabietti ha sintetizzato nel suo intervento<br />
quello che è diventato il problema antropologico<br />
per eccellenza: quale è la corretta<br />
impostazione che permette al ricercatore<br />
l’approccio all’alterità culturale? Secondo<br />
Fabietti, la proposta di Duerr ci offre una<br />
prospettiva interessante, quando sostiene<br />
che il ricercatore deve rimanere a cavallo<br />
tra i due mondi, quello a cui appartiene e<br />
quello che è l’oggetto del suo studio. In tal<br />
senso viene esclusa qualsiasi impostazione<br />
di tipo scientista, che pretenda di fissare<br />
con rigidità tassonomica e formalizzante la<br />
conoscenza delle altre culture; come, d’altro<br />
canto, l’approccio ai significati di queste<br />
culture non è garantito da un processo di<br />
immedesimazione nei soggetti che ad esse<br />
appartengono.
Per quanto riguarda la questione delle categorie<br />
interpretative da applicare nella conoscenza<br />
di queste culture, Fabietti ha proposto<br />
la distinzione tra comunicazione sul<br />
campo e comunicazione al pubblico (la<br />
comunità scientifica, gli studenti, i lettori<br />
delle opere di divulgazione). Nel primo<br />
caso, il ricercatore procede per gradi, e<br />
comincia da una vera e propria simulazione<br />
di un’altra forma di vita, che con il passar<br />
del tempo egli perfeziona, accelerando,<br />
quasi inconsciamente, questo processo<br />
di interazione con l’altro. Nel secondo<br />
caso, il grado di comprensione acquisita<br />
sul campo si evidenzia nel tasso di plausibilità<br />
che assumono le descrizioni etnologiche<br />
quando sono presentate al<br />
pubblico; in questa situazione comunicativa,<br />
è opportuno un assiduo e meditato<br />
rinvio tra le categorie analitiche dell’antropologo<br />
e quelle del nativo, al fine<br />
di far intendere al pubblico ciò che il<br />
ricercatore crede di aver capito sul campo.<br />
Carlo Sini, infine, ha analizzato alcune<br />
implicazioni delle posizioni di Duerr sul<br />
versante filosofico, ricordando l’osservazione<br />
di Foucault contenuta ne Les<br />
mots et le choses secondo la quale vi<br />
sono due scienze di confine, destinate ad<br />
esplodere in quanto tali ed a diventare<br />
luoghi di interrogazione filosofica, ovvero<br />
la psicoanalisi e l’antropologia. Esse<br />
mettono in scacco la nostra ambizione<br />
epistemologica di dominio intellettuale<br />
sull’Altro, che è una sorta di esorcismo<br />
nei confronti della differenza, interna ed<br />
esterna a noi.<br />
In questo contesto riflessivo occupa un<br />
ruolo centrale il problema della comprensione.<br />
Duerr prende significativamente<br />
le distanze dalla posizione di Habermas,<br />
che sostiene l’idea di una illimitata<br />
trasparenza comunicativa dei linguaggi<br />
naturali. Tuttavia, la posizione di<br />
Duerr rimane a questo proposito non<br />
sufficientemente approfondita: la comprensione<br />
non è solo evento, non coincide<br />
con la pratica della traduzione, in<br />
quanto trasferimento di significati da un<br />
universo discorsivo a un altro. L’interazione<br />
con il “gioco linguistico” di una<br />
differente forma di vita, riprendendo Wittgenstein,<br />
impone uno sguardo capace di<br />
scrutare, sotto la superficie comunicativa,<br />
la fisionomia, opaca e inquietante,<br />
dell’Altro che c’è in noi, oltre che nell’interlocutore<br />
di fronte a noi. F.S.<br />
Il dibattito sorto in occasione della presentazione<br />
dell’opera di Duerr ha messo<br />
in evidenza alcuni motivi di riflessione,<br />
che abbiamo proposto a Silvana Borutti,<br />
non presente all’incontro. L’intervista<br />
che segue è di Franco Sarcinelli.<br />
Un punto forte del discorso di Duerr è<br />
l’idea che l’etnologo scientifico non sia<br />
cosciente della Wildnis da cui si è originata<br />
la nostra modernità. Che cosa ne<br />
pensa di questo vizio di fondo della etnoantropologia<br />
contemporanea?<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
Ciò che mi sembra assolutamente vero è<br />
che l’oblio dell’origine, del proprio carattere<br />
storico e quindi della differenza<br />
in rapporto ad altre forme di civiltà, sia<br />
tipico della forma moderna occidentale<br />
di civilizzazione. La razionalità scientifica<br />
è di per sé monologica. Per chi vive<br />
in essa, la forma di vita scientifico-razionale,<br />
dominata dai modi tecnologici<br />
del rapporto col mondo e dai modi logico-calcolistici<br />
del pensiero, appare come<br />
una necessità e un assoluto: sembra di<br />
poter pensare solo in essa. E’ vero anche<br />
che l’etno-antropologia ha ripetuto questa<br />
rimozione e ha praticato inconsapevolmente<br />
una vera e propria volontà di<br />
sapere, che è diventata un’oggettivazione<br />
dell’altro. Ma osserverei anche due<br />
cose: da un parte il dibattito epistemologico<br />
nell’antropologia contemporanea,<br />
che è molto vivo (pensiamo ad esempio<br />
alla discussione tra la prospettiva interpretativa<br />
e quella oggettivistica), ci dice<br />
che l’etno-antropologia riflette ormai<br />
sulla propria volontà di oggettivazione e<br />
si pone il problema della differenza (il<br />
libro di Duerr, del 1978, appartiene agli<br />
anni iniziali del dibattito); dall’altra parte,<br />
l’asimmetria sottolineata da Duerr tra<br />
lo stregone e l’antropologo è riconducibile<br />
anche alla differenza tra una forte<br />
esperienza di appartenenza comunitaria,<br />
tra il limite come vissuto di identità per<br />
lo stregone, e il sentimento occidentale,<br />
molto più labile e incerto, dell’appartenenza<br />
e dell’identità: il viaggio dell’antropologo<br />
non è solo volontà di sapere,<br />
ma anche confessione e détour alla ricerca<br />
di sé.<br />
Duerr sostiene che tradurre non è comprendere,<br />
perché esclude quel trasferimento<br />
vitale nel mondo del nativo - ad<br />
esempio vivere l’esperienza dell’ululare<br />
coi lupi - che sola costituisce la base<br />
di una genuina comprensione. Ma allora<br />
comprensione e traduzione si contrappongono<br />
o, in ogni caso, sono nettamente<br />
distinguibili?<br />
In sintesi: Duerr pensa che comprendere<br />
l’altro sia il trasferimento vitale nel suo<br />
mondo, l’empatia, il diventare l’altro; io<br />
penso invece che comprendere sia tradurre,<br />
sia un tornare presso di sé dopo<br />
essere stato presso l’altro. Perché la traduzione<br />
è, a mio parere, esemplare del<br />
comprendere antropologico? La comprensione<br />
antropologica, come l’apprendimento<br />
di una lingua, richiede certamente<br />
l’immersione in una forma di vita,<br />
in un addestramento, una formazione<br />
che sia insieme linguistica e sociale, e<br />
che metta l’antropologo nella condizione<br />
di poter partecipare a giochi linguistici<br />
regolati. Ma, così come una traduzione<br />
è il trasferimento nel proprio corpo<br />
linguistico dei significati dell’altro testo,<br />
la comprensione antropologica è un<br />
apprendimento finalizzato a dire l’altro<br />
nella nostra lingua, non a diventare l’altro:<br />
è una pratica della differenza, non<br />
51<br />
dell’identità.<br />
L’assunzione del punto di vista dei nativi<br />
deve cioè rimanere uno sforzo cosciente<br />
e riflesso di simulazione e di<br />
traduzione - un processo, come dice Papi,<br />
di «simulazione ontologica necessaria».<br />
Comprendere non è diventare l’altro, ma<br />
simulare l’altro a partire da sé.<br />
Si può ritenere che la comunicazione sul<br />
campo dello studioso con il nativo si<br />
fondi su categorie implicite e su atti<br />
enunciativi complessi mentre, di fatto,<br />
la necessità di tassonomie e formalizzazioni<br />
s’imponga nel momento della comunicazione<br />
dello studioso al suo pubblico?<br />
Credo che l’opposizione tra un’esperienza<br />
sul campo, che avviene attraverso le<br />
strutture del dialogo in atto (mosse enunciative<br />
complesse, negoziazione dei ruoli,<br />
riferimento alla relazione in atto, fraintendimenti,<br />
compromessi, ecc.) e la comunicazione<br />
scientifica, che avviene attraverso<br />
categorizzazioni teoriche proprie<br />
di una comunità di sapere, corrisponda<br />
perfettamente all’esperienza dell’antropologo.<br />
Forse è corretto aggiungere<br />
che sul campo l’antropologo deve<br />
fare in modo che la sua intenzione scientifica,<br />
che è una condizione inevitabile,<br />
non gli impedisca di mettersi in dialogo.<br />
Molti antropologi (Favret-Saada, Guidieri,<br />
Sperber) raccontano esperienze sul<br />
campo in cui, per superare l’impasse di<br />
un dialogo impossibile, hanno dovuto<br />
ristrutturare in parte il proprio “comportamento<br />
scientifico” e il proprio modo di<br />
far ricerca.<br />
Ponendo la scrittura antropologica come<br />
scrittura filosofica, si potrebbe sostenere<br />
che il problema della comprensione dell’Altro<br />
in antropologia si risolve nella questione<br />
della descrivibilità dell’esperienza<br />
propria, ovvero nel suo essere altra?<br />
Direi di sì, e risponderei che la scrittura<br />
antropologica è scrittura filosofica proprio<br />
perché è esemplare del percorso non<br />
narcisistico (uscita da sé, via lunga che<br />
passa attraverso l’alterità, come dice Ricoeur)<br />
che deve essere la conoscenza di<br />
sé. Potremmo pensare l’antropologia<br />
come lavoro di comparazione che non<br />
mira all’universalizzazione ( a trovare<br />
l’umano in generale), ma piuttosto al<br />
riconoscimento contrastivo e asimmetrico<br />
di sé: noi, primitivi - come dice il<br />
titolo di un libro di Francesco Remotti;<br />
noi che possiamo attraversare la distanza<br />
dell’altro solo dopo aver preso distanza<br />
da noi - come diceva Lévi-Strauss,<br />
leggendo nelle Confessioni di Rousseau<br />
la fondazione delle scienze dell’uomo.<br />
Più in generale, quali contributi specifici<br />
la filosofia potrebbe offrire all’antropologia,<br />
contributi spesso richiesti esplicitamente<br />
dagli antropologi militanti?<br />
Oggi nessuno pensa più che ci siano tipi<br />
di conoscenza che richiedano l’assoluta<br />
spontaneità dell’approccio, né, all’opposto,<br />
che le metodologie siano strutture
CONVEGNI E SEMINARI<br />
Cranio umano ricoperto di argilla dipinta, Nuova Guinea, Sepik<br />
52
indiscutibili ed elaborate una volta per<br />
tutte. La messa in chiaro dei livelli della<br />
comprensione e della costruzione della<br />
conoscenza antropologica (dialogo sul<br />
campo, costruzione delle descrizioni etnografiche,<br />
scrittura finale del testo antropologico)<br />
è un compito che ha aspetti<br />
filosofici e epistemologici, che emergono<br />
sia nelle riflessioni degli antropologi,<br />
sia nei loro scambi coi filosofi - come ha<br />
dimostrato il dibattito, ancora in corso,<br />
sul modello interpretativo in antropologia.<br />
Il che mette in luce, d’altro canto, che la<br />
filosofia, se è un discorso socialmente<br />
raro, cioè non immediatamente volgarizzabile,<br />
non è tuttavia un discorso separato,<br />
ma immesso nella comunicazione<br />
scientifica e sociale.<br />
Fondamenti della geometria<br />
Dal 21 al 25 settembre 1992 Imre Toth<br />
ha tenuto, all’Istituto Italiano per gli<br />
<strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong>, un seminario sul tema:<br />
LA CRITICA DELLA RAGION PURA E LA RICERCA<br />
DEI FONDAMENTI DELLA GEOMETRIA NEL XVIII<br />
SECOLO. Scopo delle riflessioni di Toth<br />
è stato di dimostrare l’importanza<br />
della concezione kantiana della matematica<br />
nell’evoluzione storica che ha<br />
portato a fondare una geometria non<br />
e u c l i d e a .<br />
Come per molti filosofi prima di lui (Euclide,<br />
Platone, Descartes, Leibniz, per citarne<br />
solo alcuni) anche per Immanuel Kant la<br />
matematica riveste un ruolo notevole nel<br />
suo sistema filosofico. Prendendo spunto<br />
dal postulato euclideo delle parallele, Kant<br />
si pone la questione se le verità indubitabili<br />
(i postulati) possono essere dimostrate, dove<br />
per dimostrazione si intenda ciò che una<br />
certa collettività umana, in un dato momento<br />
storico, accetta come dimostrazione.<br />
La questione tuttavia non è tanto quella<br />
di accertare la verità delle proposizioni (per<br />
esempio, che da due punti passa una retta e<br />
una sola), ma se da un certo numero di<br />
proposizioni dipende la formulazione di<br />
altre proposizioni. Di fatto, solo dopo la<br />
scoperta della geometria non-euclidea il<br />
pensiero filosofico diverrà cosciente della<br />
diversità delle due questioni, dando vita, ad<br />
una “meta-matematica” e ad una “metageometria”,<br />
in quanto ricerche scientifiche<br />
con metodi loro propri.<br />
L’intuizione kantiana di una geometria non<br />
euclidea risale al 1746; è, infatti, a quest’epoca<br />
che risalgono i suoi pensieri sulla<br />
possibilità di una creazione divina di mondi<br />
paralleli. Kant afferma che dal punto di<br />
vista metafisico è possibile che Dio abbia<br />
creato milioni di mondi, anche di quarta<br />
dimensione. Essi tuttavia non possono essere<br />
conosciuti dagli uomini, ai quali è<br />
precluso ogni contatto con questi mondi:<br />
per gli esseri umani l’esistenza o la non<br />
esistenza di questi mondi è “indecidibile”<br />
con mezzi logici; tali mondi, infatti, devono<br />
avere una giustificazione assolutamente<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
differente, per cui le nostre verità geometriche<br />
non sono valide.<br />
La novità di queste deduzioni, ha osservato<br />
Imre Toth, è la presenza chiara in Kant del<br />
problema della pluralità dei mondi, un problema<br />
che egli imposta sul piano prettamente<br />
geometrico, dato che essi si distinguono<br />
per la loro “quadrimensionalità”.<br />
Una geometria di quarta dimensione è già<br />
una geometria non euclidea in senso generale.<br />
Interessante, secondo Toth, è anche la<br />
consapevolezza kantiana dell’esistenza di<br />
attributi geometrici che sono in relazione<br />
sintetica con le altre proprietà geometriche.<br />
Nella Critica, invece, anche a seguito<br />
dell’influenza fondamentale di Klügel su<br />
Kant, vi è un cambiamento radicale del<br />
repertorio geometrico: la quarta dimensione<br />
scompare totalmente. Il problema della<br />
quarta dimensione, secondo Klügel, era<br />
infatti enigma dello Spirito umano e non un<br />
problema di geometria. Questa consapevolezza<br />
era presente anche in Kant, già nel<br />
1770. Inoltre, ha rilevato Toth, nell’affermare<br />
che la somma degli angoli di un<br />
triangolo può essere maggiore di un angolo<br />
piatto, Kant mostra di essere a conoscenza<br />
dell’opera di Saccheri, che ne aveva dato<br />
dimostrazione.<br />
Nei decenni a partire dal 1760 Kant arriva,<br />
dunque, alla convinzione che le proposizioni<br />
della geometria sono in realtà sintetiche.<br />
A tale riguardo, nella Critica Kant<br />
afferma che dal concetto del triangolo (euclideo<br />
o meno) non è possibile desumere se<br />
la somma degli angoli sia o meno uguale ad<br />
un angolo piatto; in altri termini, la seconda<br />
proposizione ha il carattere della sintesi, è<br />
sintetica e non analitica. Con questo, ha<br />
concluso Toth, Kant ha fatto una vera e<br />
propria “rivoluzione copernicana”, decisiva<br />
per lo sviluppo ulteriore della matematica<br />
e della geometria. Il principale merito<br />
di Kant è soprattutto quello di aver distinto<br />
la “verità” delle proposizioni dalla “derivabilità”<br />
o “non derivabilità” di una proposizione<br />
da un’altra. Se però due proposizioni<br />
sono inderivabili e non contraddittorie e se<br />
la sorgente della verità è il soggetto (umano)<br />
libero, con quali mezzi si può fondare<br />
il sentimento della certezza della verità<br />
euclidea? A questo riguardo Toth ha evidenziato<br />
come Kant faccia una scelta che<br />
lui stesso considera “arbitraria”, affermando<br />
che ciò che deve essere motivato non è<br />
la congiunzione del predicato con il soggetto<br />
(il triangolo è euclideo), ma la necessità<br />
apodittica della congiunzione a priori.<br />
E tale necessità deriva dal fatto che esistono<br />
verità pure a priori nel soggetto (e tra<br />
queste vi è la geometria euclidea) che impongono<br />
questa soluzione.<br />
Toth ha richiamato in tal senso C. F. Gauss,<br />
più o meno contemporaneo di Kant, il quale<br />
è il vero e proprio fondatore della geometria<br />
non euclidea. Come risulta dalle sue<br />
lettere all’amico Wolfgang Bolyai, egli<br />
visse in grande tormento interiore perché,<br />
pur essendo un kantiano convinto, si trovava<br />
ad aver scoperto una geometria total-<br />
53<br />
mente sconvolgente. Soltanto dopo<br />
trent’anni (dal 1804 circa) Gauss riesce<br />
finalmente a raggiungere una serenità interna,<br />
evidenziata anche dal fatto che egli<br />
stesso battezza le sue scoperte come “geometria<br />
non euclidea”. Quasi contemporaneamente<br />
anche un altro studioso, Lobacevskij,<br />
raggiunge gli stessi risultati di Gauss,<br />
a più di 4000 Km. di distanza e senza che vi<br />
sia stato alcun contatto con il matematico<br />
tedesco. Gauss arriverà poi alla conclusione<br />
che entrambe le geometrie (quella euclidea<br />
e quella non euclidea) hanno uguale<br />
«diritto alla cittadinanza».<br />
Secondo Toth, questa metafora ha grande<br />
importanza. In primo luogo, per un motivo<br />
storico-politico: infatti Gauss è un accanito<br />
sostenitore della monarchia costituzionale,<br />
nella quale tutti devono essere posti sullo<br />
stesso piano. Egli inoltre ha mostrato che la<br />
verità del soggetto, l’etica, è sovrapposta<br />
alla geometria e non viceversa. Allora se<br />
una delle due geometrie è vera, è vera<br />
anche l’altra: il diritto di esistere appartiene<br />
ad entrambe, senza alcuna discriminazione.<br />
La scelta dell’una o dell’altra è comunque<br />
“arbitraria”. E questa è la differenza<br />
rispetto a Kant, che considerava “arbitraria”<br />
solo la scelta della geometria non euclidea.<br />
L’esistenza delle due geometrie è,<br />
dunque, la dimostrazione di un’unica verità:<br />
che la scelta dell’una o dell’altra è<br />
assolutamente libera.<br />
La nuova verità della geometria non euclidea<br />
lascia intatta la verità di quella euclidea:<br />
se la seconda parte dell’affermazione<br />
che la somma degli angoli di un triangolo è<br />
uguale ad un angolo piatto, la prima, viceversa,<br />
parte dall’affermazione che la somma<br />
degli angoli non è necessariamente<br />
uguale a un angolo piatto. S.Ba.<br />
Aspetti filosofici<br />
della letteratura russa<br />
Inoltrandosi nella storia della letteratura<br />
russa da Pusckin a Dostoevskij e<br />
Tolstoj, Georg Friedländer, dell’Istituto<br />
Puskin di Mosca, ha condotto<br />
presso l’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong><br />
<strong>Filosofici</strong> di Napoli, dal 19 al 22 ottobre<br />
1992, un seminario dal titolo: ASPET-<br />
TI FILOSOFICI DELLA LETTERATURA RUSSA,<br />
mettendo in rilievo momenti significativi<br />
nella tradizione letteraria russa<br />
che hanno dato sviluppo al pensiero<br />
filosofico.<br />
Lo sviluppo del pensiero filosofico in Russia<br />
non segue inizialmente una linea autonoma<br />
ma, fino al XVII secolo, è legato alla<br />
religione orientale e quindi a Bisanzio. La<br />
nascita di movimenti eretici e di una scienza<br />
laica, libera dall’influsso della Chiesa,<br />
avviene solo nel Settecento, in seguito alla<br />
penetrazione del Cattolicesimo e del Protestantesimo<br />
attraverso la Polonia e la Ger-
mania. Ed è proprio con Pietro il Grande,<br />
che nel 1713 spostò la capitale a Pietroburgo,<br />
che la letteratura russa comincia ad<br />
accogliere influenze e suggestioni tipiche<br />
della cultura europea. Pietro il Grande incrementò<br />
la vita culturale russa dando inizio<br />
all’accademia delle Scienze e all’Università<br />
di Pietroburgo. Inoltre, essendo del<br />
tutto assenti nel grande paese figure di<br />
spessore filosofico, si rivolse a Leibniz e la<br />
suo allievo Wolf per istituire una linea di<br />
pensiero autonoma.<br />
Diversamente da quanto avviene in Germania,<br />
ha osservato Georg Friedländer,<br />
lo sviluppo della filosofia in Russia non è<br />
generato dall’Accademia o altre istituzioni;<br />
è legato prevalentemente alla letteratura<br />
e si concentra, in primo luogo, su riflessioni<br />
concernenti la grandezza di Dio e il ruolo<br />
dell’uomo nell’universo assieme a tematiche<br />
di sfondo sociale, quali il rapporto<br />
nobiltà-servitù della gleba. L’Ottocento si<br />
apre in Russia con le Favole di Krylov,<br />
ricche di folklore e leggende, ma nel contempo<br />
protese verso la realtà contemporanea<br />
e le suggestioni straniere. Il Romanticismo<br />
trova qui un terreno culturale e<br />
psicologico particolarmente sensibile, tipico<br />
del processo di trasformazione in atto<br />
in ogni ambito del sapere. Quando in Occidente<br />
Byron ha pubblicato i primi due<br />
capitoli del Don Juan, Manzoni Il Conte di<br />
Carmagnola e Goethe il Wihlelm Meister,<br />
trionfa l’opera di Aleksandr Puskin, che<br />
regala alla letteratura del grande Paese<br />
risonanza mondiale. Il tratto caratterizzante<br />
della sua produzione letteraria, ha<br />
osservato Friedländer, sta nell’ampio arco<br />
di tematiche e personaggi da lui analizzati<br />
con acume e chiarezza.<br />
Figura difficilmente inquadrabile in una<br />
sola corrente o definizione, Puskin è stato<br />
accostato al genio universale di Goethe o a<br />
Leonardo da Vinci, ma egli è prevalentemente<br />
un poeta-artista, pronto a rielaborare<br />
creativamente tutto ciò che lo circonda. Sin<br />
dagli anni del liceo, pur non potendo seguire<br />
delle regolari lezioni di filosofia, Puskin<br />
compone delle poesie giovanili di squisito<br />
contenuto filosofico dove è ben presente<br />
l’introspezione e uno schietto entusiasmo<br />
nei confronti della vita e dei suoi valori.<br />
Egli non si pone, come i suoi predecessori,<br />
il problema sul registro linguistico più appropriato<br />
da usare; l’opera riflette il fluire<br />
della vita ed è pertanto musicale e spontanea<br />
e le trame dei suoi romanzi, pur essendo<br />
estremamente lineari, ricoprono un disegno<br />
complesso. E’ tipico del talento di<br />
Puskin, ha notato Friedländer, riuscire, attraverso<br />
semplici soggetti, ad analizzare i<br />
problemi basilari dell’esistenza umana.<br />
L’adozione di un realismo lirico nella descrizione<br />
dei vari aspetti della vita russa lo<br />
porterà nei Racconti di Belkin ad una purezza<br />
estetica raggiunta nonostante la scarna<br />
semplicità dei personaggi.<br />
Se con Puskin si dà inizio alla letteratura<br />
russa moderna, Fedor Dostoevskij, ha osservato<br />
Friedländer, delinea un filone ben<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
determinato e consistente nella narrativa.<br />
Impressionato dalla miseria del sottoproletariato<br />
urbano, scrive il suo primo romanzo,<br />
Povera gente, incentrandolo sulla pietà<br />
per l’uomo socialmente subalterno ed emarginato,<br />
sulla simpatia per i puri di cuori e<br />
sulla vocazione umanitaria, temi che farà<br />
suoi e che ritorneranno in Umiliati e offesi<br />
e nei Fratelli Karamazov. Benché Dostoevskij<br />
non avesse una particolare formazione<br />
filosofica, fu convinto assertore dell’interrelazione<br />
esistente tra filosofia e letteratura.<br />
Successivamente pubblica Il sosia,<br />
narrazione che ribadisce il profondo interesse<br />
dell’autore per la problematica psicomorale<br />
legata allo sdoppiamento della personalità,<br />
in cui l’alter ego compare come<br />
una persecuzione. In Dostoevskij, diversamente<br />
da Freud, l’inconscio non ha una<br />
dimensione astorica, ma è legato alla civiltà<br />
e precisamente a quei tre stadi della vita<br />
dell’uomo che dalla mitica età dell’oro<br />
approdano, col futuro, al sogno di una<br />
nuova armonia, passando per lo stadio<br />
intermedio del presente come epoca di<br />
malattia e passaggio, dimidiata tra il bene<br />
e il male.<br />
Tra il primo e il secondo periodo si colloca<br />
l’esperienza della condanna a morte in<br />
Siberia, che segnerà la sua produzione al<br />
punto tale da fargli scoprire al suo ritorno<br />
il “positivo” sul piano spirituale anche<br />
nella rappresentazione del mondo degli<br />
emarginati. Tale analisi psicologico-introspettiva,<br />
e la capacità di illuminare la<br />
condizione di “condannato”, troverà con<br />
Memorie del sottosuolo, la sua migliore<br />
realizzazione. L.R.<br />
Fenomenologia del politico<br />
Nella sede dell’Istituto Italiano per gli<br />
<strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> di Napoli, dal 2 al 6<br />
novembre 1992, Klaus Held, dell’Università<br />
di Wuppertal, ha tenuto un<br />
seminario sul tema: LA FENOMENOLOGIA<br />
DI HUSSERL E DI HEIDEGGER E I GRECI, sottolineando<br />
l’esigenza filosofica di un<br />
rinnovamento dell’apertura umana al<br />
mondo.<br />
La fenomenologia può fornire, secondo<br />
Klaus Held, un importante contributo nel<br />
delineare l’attuale orizzonte della filosofia.<br />
E’ però necessario riconsiderare il pensiero<br />
di Edmund Husserl che, pretendendo cartesianamente<br />
di dare nuovo inizio al filosofare,<br />
ripropone in effetti la distinzione greca<br />
tra epistéme e doxa. Se la prima rimanda<br />
alla “percezione dell’unità”, propria della<br />
scienza rigorosa, la seconda esprime i “mondi<br />
particolari”, cioè la settorialità dell’esperienza<br />
soggettiva. Husserl, come i Greci, si<br />
risolve fondamentalmente a tagliare i ponti<br />
con l’esperienza naturale a favore dell’atteggiamento<br />
filosofico. Tuttavia, ha osservato<br />
Held, il senso teoretico e storico della<br />
54<br />
fenomenologia presenta tratti del tutto nuovi,<br />
in quanto essa esige la tematizzazione<br />
del mondo. Il logos del fenomenon, infatti,<br />
è la teoria dell’apparenza, e in quanto tale<br />
è l’analisi della correlazione tra diverse<br />
esperienze soggettive, che vengono perciò<br />
non negate, ma coordinate fra loro per il<br />
fine della conoscenza.<br />
Martin Heidegger, ha proseguito Held,<br />
sviluppa ulteriormente il tema del mondo<br />
quale elemento centrale della fenomenologia,<br />
ponendo la distinzione tra vita autentica<br />
e inautentica, in cui si esprime l’apertura<br />
al mondo all’interno della polarità svelamento-nascondimento.<br />
L’uscita della latenza<br />
è possibile laddove entra in gioco la<br />
tonalità emotiva, quello «stupore ammirato<br />
per il fatto di esserci», che i Greci indicavano<br />
con il termine taumazein. Uscire<br />
dall’agire strumentale della quotidianità,<br />
significa “sostare” presso le cose, scoprendo<br />
i rimandi di senso che caratterizzano<br />
l’ordine del kosmos. Nel momento in cui<br />
l’uomo deve deliberare e sosta presso le<br />
sue possibilità d’azione si svela invece il<br />
mondo politico, con i problemi politici<br />
legati alla convivenza sociale. La scienza<br />
del kosmos e la democratizzazione della<br />
polis sono i modi in cui i Greci avevano<br />
scoperto il mondo.<br />
Eraclito paragona l’ordine del kosmos (logos)<br />
con quello della polis (nomos) e critica<br />
la doxa in quanto contrapposta all’epistéme.<br />
Ciò può sembrare in contraddizione<br />
con il concetto di democrazia fondato sul<br />
confronto tra le opinioni. Invero bisogna<br />
distinguere la doxa come atteggiamento<br />
naturale, per cui ognuno resta nel proprio<br />
mondo particolare, dal logon didonai, di<br />
cui parla lo stesso filosofo di Efeso, che è<br />
invece un rendiconto a viva voce motivato<br />
da ragioni. In tal modo l’opinione resta<br />
soggettiva ma punta, come il giudizio riflettente<br />
di Kant, a trascendere l’interesse<br />
particolare per trovare unità nel comune<br />
mondo politico: la democrazia.<br />
Anche la cosmologia, come studio delle<br />
leggi connesse all’ordine di mondo, non<br />
esula, pur nella sua unità di riferimento,<br />
dalla prospettiva individuale. Si origina<br />
infatti da quello stupore che permette di<br />
sostare presso le cose e che è esperito come<br />
tonalità emotiva. Il rapporto dei Greci con<br />
la totalità passava per la famiglia, la pratica<br />
quotidiana, il ciclo del raccolto: il kosmos<br />
era l’oikos, il luogo della conservazione<br />
della vita, l’ambito domestico che si sottrae<br />
alla dimensione pubblica della polis. Tale<br />
intimità con il cosmo è oggi scomparsa<br />
nella tendenza alla specializzazione dei<br />
saperi, anche se ancora non si può fare a<br />
meno di quella nozione di “familiarità”,<br />
adoperata da Husserl, necessaria per comprenderne,<br />
ad esempio, gli attuali problemi<br />
di ordine ecologico. Per superare l’oggettivismo<br />
moderno occorre far riferimento,<br />
come nella Crisi delle scienze europee,<br />
all’ambito precategoriale e intuitivo della<br />
Lebenswelt. Tornare all’evidenza originaria<br />
significa per Husserl riscoprire la di-
mensione intuitiva del mondo della vita,<br />
ma anche rapportarla all’orizzonte universale<br />
attraverso il principio di correlazione.<br />
La crisi del moderno, ha osservato Held,<br />
implica un’anamnesi che scopre nell’oblio<br />
la sigla dell’epoca presente: perde infatti<br />
ogni importanza il mondo com’è per noi e<br />
si guarda soltanto alla sua inseità. L’orizzonte<br />
individuale relativo, attraverso il quale<br />
si poteva scorgere quello universale, è sostituito<br />
dalla categoria di totalità. Questo<br />
rifiuto della soggettività implica la perdita<br />
l’originaria libertà d’interesse della teoria;<br />
la filosofia e la scienza si lasciano assorbire<br />
in modo assoluto dall’aspetto professionale,<br />
riducendo il sapere a mera tecne, cioè<br />
ingegnosità finalizzata ad uno scopo. Senza<br />
il limite husserliano del suo dissolvimento<br />
nell’infinito, la finitezza assume un<br />
carattere del tutto nuovo in Heidegger, laddove<br />
la dimensione dell’apertura si schiude<br />
a partire dalla latenza, dal sottrarsi dell’uomo<br />
alla comprensione.<br />
L’oggettivismo moderno si rafforza nel<br />
passaggio dal fuoco all’energia come elemento<br />
vitale della scienza. Quest’ultima<br />
infatti non ha qualità, è puro quantum di<br />
forze: l’universo è dunque una sorta di<br />
deposito di cui l’uomo può disporre. Tutto<br />
sembra a disposizione e viene utilizzato in<br />
chiave meramente tecnica e funzionale,<br />
venendo meno il senso degli infiniti rimandi,<br />
del riserbo per cui ogni cosa connette<br />
ad altro da sé. Con ciò si esaurisce<br />
anche la possibilità dell’esistenza autentica<br />
e si spiega quella politicizzazione da cui<br />
nasce il totalitarismo.<br />
La fenomenologia, ha osservato Held, deve<br />
allora mettere al centro del suo interesse<br />
l’ambito politico in una connessione di<br />
ethos e kairos, di libertà e situazione favorevole,<br />
riscoprendo l’aspetto soggettivo<br />
dell’interiorizzazione che passa per la coscienza<br />
del limite: il totalitarismo è infatti<br />
un tentativo di negare l’individualità e di<br />
fornire all’ethos un carattere vincolante.<br />
Recuperare lo stupore, quindi il riserbo che<br />
lo sostiene, è possibile attraverso una tonalità<br />
emotiva che Heidegger chiama angoscia<br />
e che è disponibilità di fronte al ritrarsi.<br />
Ma anche la felicità può essere adatta a<br />
scoprire il sorprendente ripetersi della vita<br />
umana nell’altro. G.V.<br />
L’eresia gnostica<br />
Nel corso di un ciclo di lezioni su CRI-<br />
STIANESIMO, GNOSTICISMO E FILOSOFIA NEL-<br />
L’ELENCHOS DI IPPOLITO DI ROMA, tenute<br />
all’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong><br />
dal 16 al 19 novembre, Jaap Mansfeld,<br />
dell’Università di Utrecht, ha ripercorso<br />
i principali nodi dottrinali<br />
della prima patristica nella refutazione<br />
dell’eresia gnostica, dando ampie<br />
informazioni sulle tradizioni del pitagorismo,<br />
del platonismo, dell’aristo-<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
telismo e dello stoicismo nei primi due<br />
secoli dopo Cristo.<br />
Innanzitutto Jaap Mansfeld ha voluto chiarire<br />
struttura e fonti, scopi e metodi di un<br />
testo singolare come la Confutazione di<br />
tutte le eresie, nota altrimenti come Philosophoumena<br />
di Ippolito di Roma (235<br />
d.C.). Nel primo libro, Ippolito ci offre una<br />
storia dettagliata della filosofia greca; nei<br />
successivi - sono dieci libri- sviluppa il<br />
confronto fra hairesis nel senso originario<br />
del termine: scelta di un modo di pensare e,<br />
per estensione, scuola filosofica, e hairesis<br />
nel senso derivato e cristiano: scelta<br />
illecita, quindi deviazione dottrinale, con<br />
l’intento di dimostrare che i sistemi gnostici<br />
sono in verità travestimenti della<br />
tradizione filosofica greca. Per far questo<br />
Ippolito ordina in un certo modo i<br />
frammenti, insiste sulla linea Pitagora-<br />
Platone, e nella refutazione degli gnostici<br />
definisce la loro diadioché illegittima<br />
di fronte a quella cristiana: i cristiani<br />
sono gli eredi degli apostoli ispirati dallo<br />
Spirito Santo, gli gnostici, invece,<br />
non sono parte integrante dell’unica diadoché<br />
valida, che rimanda allo Spirito<br />
Santo e agli Ebrei, in questo sono debitori<br />
intellettuali dei greci.<br />
Il primo sistema gnostico considerato da<br />
Ippolito è quello di Basilide, di cui viene in<br />
particolare sottolineata la derivazione dalla<br />
filosofia aristotelica; la dottrina di Basilide,<br />
secondo la quale nella pleròma vi<br />
sarebbe tutto l’essere, il mondo stesso, la<br />
specie, gli individui, è infatti assimilata alla<br />
divisione aristotelica del genere in specie e<br />
individui: un Aristotele, questo, di chiara<br />
provenienza platonica.<br />
Ciò che è implicito nell’Elenchos di Ippolito,<br />
ha osservato Mansfeld, è che l’unica<br />
tradizione filosofica valida è quella pitagorico-platonica:<br />
Ippolito parla indifferentemente<br />
di Pitagora e Platone; Aristotele è<br />
soprattutto un allievo di Platone, Empedocle<br />
ed Eraclito sono essenzialmente dei<br />
pitagorici. E così, in Valentino, la serie<br />
degli eoni che si genera dal Padre, richiama<br />
l’aritmo-geometria pitagorica, dove l’Unità<br />
produce gli altri numeri e la linea, la<br />
superficie, il solido si generano dal punto.<br />
Infine, Empedocle ed Eraclito, pitagorici<br />
secondo Ippolito, sono le fonti degli eresiarchi,<br />
Marcione, Noèto e Callisto. Dei<br />
sistemi di Empedocle ed Eraclito abbiamo<br />
una brevissima descrizione, ma già deformata<br />
ed adattata al suo scopo: costruire un<br />
legame stretto fra Pitagora, Empedocle ed<br />
Eraclito, attribuendo indifferentemente all’uno<br />
dottrine dell’altro. Secondo Ippolito,<br />
l’eretico Marcione riprenderebbe anche<br />
troppo palesemente la “teologia” empedoclea:<br />
da una parte Amore, il cui scopo<br />
è l’omogeneo, l’unità; dall’altra Odiom il<br />
demiurgo cattivo del mondo, che introducendo<br />
la diversità crea gli esseri di questo<br />
mondo. Inoltre, Ippolito interpreta la Musa,<br />
cui Empedocle in un frammento si rivolge<br />
per attingere la Verità, come la potenza<br />
55<br />
mediatrice fra le due forze opposte del<br />
bene e del male.<br />
Come nei capitoli su Empedocle, i frammenti<br />
sono combinati in modo da creare la<br />
somiglianza con Marcione, così, in quelli<br />
su Eraclito è evidente, secondo Mansfeld,<br />
una riorganizzazione delle “oscure” sentenze<br />
eraclitee che produca una somiglianza<br />
col sistema di Noèto. Ippolito trova in<br />
Eraclito dottrine proto-cristiane quando<br />
questi parla dei cicli dell’universo come il<br />
risultato di successive conflagrazione e rinascite,<br />
che richiamano la resurrezione<br />
dell’anima e del corpo.<br />
Mansfeld tuttavia non ha mancato di sottolineare<br />
il valore che per lo storico della<br />
filosofia può avere un testo come i philosophoumena<br />
di Ippolito. Pur piegando ai<br />
suoi scopi le dottrine “elencate” - e anzi<br />
proprio per questo - Ippolito è un testimone<br />
prezioso del clima intellettuale del proprio<br />
tempo. Nei Philosophoumena ritroviamo<br />
citazioni di testi gnostici che altrimenti non<br />
conosceremmo, l’eco di problemi interpretativi<br />
contemporanei, tracce che ci informano<br />
del modo in cui una tradizione interpretativa<br />
poteva costruirsi nei primi due<br />
secoli dopo Cristo, sospesa tra fedeltà letterale<br />
ai testi dei maestri, Pitagora e Platone,<br />
e “necessaria” libertà d’interpretazione.<br />
A.I.<br />
Omaggio a Pareyson<br />
La scomparsa di Luigi Pareyson nel<br />
settembre del 1991 è all’origine di<br />
due recenti commemorazioni dell’opera<br />
e del pensiero di uno dei maggiori<br />
pensatori di questo secolo. Organizzata<br />
da Armando Rigobello dell’Università<br />
di Roma “Tor Vergata”, in collaborazione<br />
con l’Accademia Spagnola<br />
di Storia, Archeologia e Belle Arti<br />
di Roma, si è tenuta una giornata di<br />
studi dedicata a L’ESTETICA DI LUIGI<br />
PAREYSON. Di tono maggiormente celebrativo,<br />
la commemorazione organizzata<br />
al Piccolo Regio di Torino<br />
il 25 marzo <strong>1993</strong>, ha raccolto innanzitutto<br />
la folta schiera degli allievi,<br />
da Gianni Vattimo e Giuseppe Riconda<br />
agli allievi più lontani, come<br />
Massimo Cacciari, che hanno affiancato<br />
l’intervento di due filosofi insigni,<br />
con i quali Pareyson intrattenne<br />
sempre rapporti di amicizia e collaborazione,<br />
Hans-Georg Gadamer e<br />
Xavier Tilliette.<br />
Valerio Verra ha aperto i lavori della<br />
giornata di studi su L’estetica di Luigi<br />
Pareyson ricordando la figura del maestro<br />
e soprattutto la fertile riflessione estetica<br />
da lui inaugurata, che in forme quanto mai<br />
ampie e variegate continua ad occupare<br />
ancora oggi buona parte della discussione<br />
estetico-filosofica italiana e internazionale.<br />
L’estetica di Pareyson è stata affrontata<br />
soprattutto dalla prospettiva della ben nota<br />
“teoria della formatività”, su cui i vari<br />
relatori si sono intrattenuti, ma non ha
potuto fare a meno di essere messa in<br />
relazione ai numerosi aspetti del pensiero<br />
pareysoniano: dall’ontologia al personalismo,<br />
dal pensiero tragico all’ermeneutica,<br />
dal primo esistenzialismo all’ultima sua<br />
riflessione su tematiche inerenti al sacro e<br />
al tragico, condotta essenzialmente sui vari<br />
numeri dell’ “Annuario di Filosofia”, da<br />
lui mirabilmente creato e diretto.<br />
Xavier Tilliette ha esplicitato alcune tra le<br />
numerose aperture tematiche dell’estetica<br />
pareysoniana mettendone in evidenza le<br />
connessioni con una riflessione sulle cifre<br />
della trascendenza, mentre Franco Fanizza<br />
e Maurizio Ferraris hanno sottolineato<br />
i rapporti spesso conflittuali emergenti<br />
dal confronto tra l’orizzonte estetico idealistico<br />
e crociano e quello pareysoniano.<br />
Guido Morpurgo-Tagliabue ha inoltre<br />
interrogato l’estetica di Pareyson muovendo<br />
da alcune problematiche interne<br />
alla riflessione poetica aristotelica, mentre<br />
Francesco Piselli ne ha evidenziato le<br />
prolifiche ambiguità. Claudio Vicentini,<br />
ancora, ha mostrato le grandi possibilità<br />
dell’estetica pareysoniana letta a partire<br />
da una prospettiva di teoria teatrale e Roberto<br />
Salizzoni l’ha suggestivamente<br />
messa a confronto col pensiero esteticofilosofico<br />
russo. Gianni Carchia si è soffermato<br />
sul rapporto tra estetica ed ermeneutica<br />
in Pareyson alla luce di alcune<br />
suggestioni provenienti dalla riflessione<br />
filosofica francese contemporanea e Ser-<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
Gianni Vattimo, Umberto Eco, Luigi Pareyson, Hans Georg Gadamer<br />
gio Givone ha riflettuto sulla connessione<br />
di arte, mito e religione nel pensiero pareysoniano,<br />
sottolineando l’emergenza di un<br />
pensiero tragico e della differenza. Infine,<br />
Mario Perniola ha concluso i lavori della<br />
giornata di studi da lui stesso coordinata,<br />
mostrando come anche nella riflessione<br />
filosofica dell’ “ultimo” (per così dire)<br />
Pareyson, caratterizzata dalla frequente<br />
presenza di problematiche di carattere teologico-religioso,<br />
si nasconde in realtà<br />
un’autentica esigenza riflessiva di tipo estetico<br />
significativamente con i temi del male,<br />
del mito e del simbolo.<br />
Il pomeriggio torinese in ricordo di Luigi<br />
Pareyson nasceva da una precisa occasione<br />
editoriale: l’uscita da Einaudi degli<br />
scritti di Pareyson su Dostoevskij, che a<br />
due anni dalla morte dell’autore appare un<br />
po’ come il battesimo extra-accademico di<br />
un pensiero rigoroso e schivo, mai sedotto<br />
dalle sirene dell’attualità e dai richiami<br />
della pubblicistica alla moda. Stranamente,<br />
è proprio quel nucleo severo, il lungo e<br />
doloroso confronto col problema del male<br />
e la costante apertura “metafisica” (testimoniate<br />
“in compensio” dalla lezione di<br />
congedo accademico del 27 ottobre 1988),<br />
a richiamare oggi l’attenzione di chi riscopre<br />
il pensiero di Pareyson a distanza. Ma<br />
anche, oltre a questo, la possibilità di intendere<br />
l’ermeneutica in una forma, se<br />
vogliamo, meno “postmoderna”: ossia<br />
meno legata al declino degli orizzonti “for-<br />
56<br />
ti” e più vicina all’esperienza diretta dell’opera<br />
d’arte intesa come luogo ontologicamente<br />
denso, come luogo di verità.<br />
I brevi interventi di Italo Lana e del direttore<br />
Dianzani, in rappresentanza dell’Ateneo<br />
torinese, hanno aperto la strada agli<br />
ospiti Hans-Georg Gadamer, Xavier Tilliette<br />
e Massimo Cacciari: tre interventi,<br />
tre culture, tre “stili” di commemorazione<br />
così diversi da risultare complementari, in<br />
una sorta di curiosa armonia prestabilita.<br />
Quello di Hans-Georg Gadamer si è presentato<br />
come un omaggio al collega scomparso<br />
nella forma della lezione accademica,<br />
e precisamente di una lezione sul tema<br />
“arte e verità”. Un Gadamer poco “gadameriano”,<br />
perché la prospettiva dello storicismo,<br />
e dell’ermeneutica come erede<br />
dello storicismo, è rimasta decisamente in<br />
ombra a favore di un’insistita riflessione<br />
sul tema della presenza: la “presenza intemporale”<br />
dell’opera d’arte, prima e al di<br />
là della sua vita storica e del suo costituirsi<br />
come orizzonte mobile di significato. Quella<br />
che è venuta a profilarsi è insomma<br />
l’idea di un fondo “religioso” e “metafisico”<br />
dell’opera d’arte, da intendere in un<br />
senso vicino al kantiano “sapere senza<br />
concetto”: nel senso che il bello risponde<br />
di se stesso, non ammette canoni oggettivi,<br />
e assorbe chi ne fruisce in un istante non<br />
dialettizzabile.<br />
Questo sacrificio integrale della dimensione<br />
storico-dialogica potrebbe apparire
molto strano da parte di Gadamer - quasi<br />
una conversione in extremis a un credo<br />
antiermeneutico - se non nascesse appunto<br />
come un omaggio alla memoria di Pareyson<br />
e come un dialogo a distanza. Un<br />
dialogo così discreto da non chiamare mai<br />
in causa il suo interlocutore, e tuttavia così<br />
radicale da “sposarne” la prospettiva estetica<br />
in una sorta di delicato e affettuoso<br />
mimetismo. Il principio gadameriano della<br />
Horizontverschemelzung (fusione<br />
d’orizzonte), messo da parte e quasi rinnegato<br />
nei contenuti teorici del discorso torinese,<br />
ha continuato a funzionare come<br />
forma trascendentale del discorso stesso in<br />
un sottile esercizio di ermeneutica in atto o<br />
anche, romanticamente, di filosofia a due<br />
voci.<br />
Con l’intervento di Xavier Tilliette, si è<br />
assistito a una fitta pagina da journal intime:<br />
un profilo di Luigi Pareyson al tempo<br />
stesso affettuoso, elegante e non privo di<br />
tratti di ironica malizia. A ricordare il<br />
collega scomparso è stato questa volta l’<br />
“amico francese”, tutto preso dal ricordo<br />
della «figura magra e china», dalla «sembianza<br />
grave e meditativa» che la malattia<br />
avrebbe reso col passare degli anni ancora<br />
più austera. E’ toccato poi allo stesso Tilliette<br />
rievocare le tappe salienti della ricerca<br />
e dell’opera pareysoniana: dai giovanili<br />
e pioneristici studi sull’esistenzialismo,<br />
all’Estetica, a Verità e interpretazione,<br />
dove il problema della libertà si coniuga a<br />
un’ontologia dell’ “inesauribile”, fino alla<br />
“strana bellezza” e allo “splendore notturno”<br />
degli ultimi scritti, dove i temi dell’ermeneutica<br />
e della libertà si aprono sull’orizzonte<br />
del pensiero tragico. Lo spiritus<br />
rector, l’angelo-guida di quest’ultima<br />
fase è naturalmente Schelling, “felice scoperta”<br />
dell’età matura e crocevia di tutti i<br />
principali temi pareysoniani. Quello stesso<br />
Schelling a cui Pareyson dedicava, da filologo<br />
appassionato, l’ “impareggiabile monumento”<br />
degli Schellinghiana rariora. E<br />
il baricentro teorico dell’intervento di Tilliette<br />
va cercato proprio in quel “discorso<br />
temerario” di schellinghiana provenienza<br />
che riconosce in Dio non già l’autore del<br />
male, ma comunque il suo “inventore”, nel<br />
senso che la scelta divina implica il male<br />
come sfondo, come ombra o residuo non<br />
attualizzato. per quanto Pareyson rifiutasse<br />
l’accusa di “demonizzare” Dio, di riproporre<br />
l’eresia gnostica, marcionita, del dio<br />
malvagio, resterebbe qui secondo Tilliette<br />
qualcosa di irrisolto, una difficoltà estrema<br />
con cui il cammino di Pareyson si chiude,<br />
quasi rassegnandosi, da credente, di fronte<br />
al mistero doloroso del Crocefisso. Divinum<br />
est pati.<br />
Dagli ultimi scritti di Pareyson - gli scritti<br />
dell’ultimo decennio - ha preso le mosse<br />
anche l’intervento di Massimo Cacciari,<br />
“allievo lontano” per sua stessa definizione,<br />
ma non per questo meno devoto e<br />
impegnato qui in una sorta di appassionato<br />
dialogo a distanza. La domanda dell’ultimo<br />
Pareyson è, secondo Cacciari, la do-<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
manda fondamentale della metafisica:<br />
«Perché l’essente piuttosto che il nulla».<br />
E’ la domanda di Dio nei due sensi del<br />
genitivo (la domanda “su” Dio, ma anche<br />
la domanda che Dio, l’ente sommo, pone a<br />
se stesso); ed è insieme la domanda che<br />
denuncia i limiti del linguaggio rappresentativo,<br />
suggerendo una forma di scrittura<br />
diversa dalla forma filosofico-metafisica,<br />
una forma che non pretenda di «raggiungere<br />
l’inoggettivabile mediante il concetto».<br />
Se lo Heidegger della Introduzione<br />
alla metafisica rispondeva a quella domanda<br />
ponendo l’ambiguità di un Essere<br />
che è «quasi come il nulla», Pareyson<br />
radicalizza la posizione heideggeriana interrogandosi<br />
sull’origine di quella ambiguità.<br />
E l’origine dell’ambiguità è la libertà,<br />
intesa non già come semplice disposizione<br />
umana, ma come l’essere stesso,<br />
come il “nome” dell’essere. Qui “va a<br />
fondo”, dice Cacciari, ogni filosofia del<br />
fondamento, perché la libertà così intesa<br />
non fonda, ma è il puro inizio abissale,<br />
l’Ungrund. E questa radicalizzazione del<br />
problema heideggeriano è nello stesso tempo<br />
un “tradimento”, perché la libertà come<br />
inizio non è pensabile come puro Ereignis,<br />
come l’av-venire dell’essere, ma va pensata<br />
insieme come inizio e come scelta: la<br />
scelta di Dio che, mentre avviene, de-cide,<br />
ossia ritaglia nella possibilità lo spazio del<br />
bene. Se però la scelta del bene è il rifiuto<br />
del negativo come non-essere, occorrerà<br />
57<br />
che il non-essere sia tuttavia presente in<br />
Dio; e si apre qui, osserva Cacciari, il<br />
grande agon del pensiero pareysoniano: il<br />
tentativo di mostrare come il male sia<br />
realmente sconfitto in Dio pur restando in<br />
qualche modo presente, come «traccia sbiadita»,<br />
come «impronta», «voce inquietante,<br />
ma zittita». Tanto più che la possibilità,<br />
da parte dell’uomo, di ridestare il male<br />
sembra implicare una revoca della stessa<br />
scelta originaria, e quindi un fallimento<br />
effettivo e après coup della libertà divina.<br />
Conclusione drammatica e aporetica, questa,<br />
per Cacciari come per Tilliette, dove il<br />
linguaggio della filosofia sembra sfociare<br />
irreversibilmente nel tema religioso della<br />
Redenzione. G.P./F.Cu.<br />
Jean Paul: per una estetica<br />
della conoscenza<br />
Una precisa ricostruzione del significato<br />
dell’opera di Jean Paul, figura<br />
originale e controversa nel panorama<br />
filosofico-letterario della Germania di<br />
fine ‘700, è stato lo scopo del seminario<br />
dal titolo: IL PENSIERO DI JEAN PAUL.<br />
INTRODUZIONE A UNA DOTTRINA ESTETICA<br />
DELLA CONOSCENZA, tenuto da Gerd Held<br />
nei giorni <strong>12</strong>-16 ottobre 1992 presso la<br />
sede dell’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong><br />
Jean Paul (disegno di Vogel von Vogelstein)
<strong>Filosofici</strong> di Napoli.<br />
Etichettato variamente e sospeso tra la teoria<br />
stürmeriana del genio e un certo atteggiamento<br />
romantico, Johann Paul Friedrich<br />
Richter, meglio noto con lo pseudonimo<br />
di Jean Paul, è una figura insolita<br />
all’interno della letteratura tedesca, poco<br />
nota in Italia e superficialmente indagata in<br />
Germania. Elaborò lungo tutto l’arco della<br />
sua opera una lingua originale, bizzarra e<br />
pullulante di allegorie tratte dal pensiero<br />
comune come dall’arte. Dare una definizione<br />
della sua opera, ha osservato Gerd<br />
Held, risulta un’impresa vana: gli elementi<br />
di cui si compone il suo articolato linguaggio<br />
sono disclocati e insituabili e non hanno<br />
senso né valore se non in una assoluta<br />
atipicità. Di Jean Paul è proprio lo sforzo,<br />
comune anche a Novalis, Schiller e Lichtenberg,<br />
di superare la soglia tra letteratura<br />
e poesia. Certo è azzardato definirlo<br />
anche filosofo: Jean Paul non ha scritto né<br />
creato un sistema di pensiero; tuttavia all’interno<br />
della sua produzione esistono interessanti<br />
frammenti filosofici.<br />
Uno degli aspetti più innovativi ed immediati<br />
della sua opera è, secondo Held, il<br />
permanente dissidio tra l’io e il mondo, tra<br />
la fede e la pura verità scientifica. D’altro<br />
canto nella Clavis Fichtiana seu Leibgeberiana<br />
l’equazione problematica dell’io-non<br />
io viene parodiata; il carattere autocritico è<br />
molto interessante ed è simile ad un’autoliberazione<br />
dalla febbre dell’io. La Clavis,<br />
nel cui titolo c’è una chiara allusione alla<br />
chiave, simbolo per inoltrarsi nei meandri<br />
del sistema di Fichte, è al tempo stesso una<br />
critica filosofica del linguaggio e del pensiero.<br />
Qui Jean Paul, attraverso il Leibgeber,<br />
cioè datore di corpo, figura che compare<br />
anche nel Titan, supera il concetto idealistico<br />
del soggetto nel divenire infinito dell’io<br />
puro. Jean Paul, ha notato Held, vuole<br />
scagliarsi soprattutto contro il primo Fichte,<br />
quello della Dottrina della scienza, e<br />
la morte del Leibgeber rappresenta una<br />
liberazione dalla separazione interna del<br />
non-io e la realizzazione dell’Uno-Tutto.<br />
Tra il tono serio e quello satirico, ha osservato<br />
Held, la Clavis dimostra, secondo<br />
l’intento del suo autore, che si può scherzare<br />
e filosofare contemporaneamente;<br />
l’umorista non è soltanto un’alternativa al<br />
filosofo idealista, ma è parte di lui. E’ un<br />
espediente per difendersi dalla filosofia<br />
contro la filosofia; è il trionfo della metafora<br />
e dell’allegoria in quanto forme aperte,<br />
plasmabili a piacere e non conchiuse e<br />
unilaterali come una dottrina filosofica.<br />
Anche l’umorismo di Jean Paul si concreta<br />
nelle subitanee oscillazioni polari tra la<br />
Phantasiebildenkraft e il realismo magico:<br />
di qui l’appello sempre più frequente a<br />
quella “metafisica dell’occhio” che è la<br />
sola a poter produrre legami multilineari<br />
tra oggetti-oggetto e soggetti-soggetto. La<br />
critica che egli muove a Kant, invece, non<br />
può essere propriamente definita tale; più<br />
che una critica, ha affermato Held, è un<br />
richiamo dovuto alla sua sommaria cono-<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
scenza del filosofo, che non andava oltre la<br />
prima edizione della Critica della ragion<br />
pura. Ma pur essendo la sua polemica<br />
indirizzata per lo più agli imitatori kantiani,<br />
non si può non sottolineare secondo<br />
Held il diverso modo di concepire l’unità<br />
che in Jean Paul ha le stesse proprietà di un<br />
frammento ed è pertanto provvisoria, limitata<br />
e parziale.<br />
Il filosofare estetico di Jean Paul, la riabilitazione<br />
della metafora e della sua capacità<br />
di ridurre le immagini in concetti e<br />
viceversa, unito all’appello alla forza combinatoria<br />
del Witz, arguzia, non possono<br />
non riconoscersi attuali. In tal senso, ha<br />
concluso Held, non è rischioso accostare<br />
Jean Paul a Wittgenstein, anche lui pensatore<br />
per immagini, e ai surrealisti, autori in<br />
cui la perdita del centro, e la conseguente<br />
predilezione per la molteplicità prospettica<br />
dell’ellisse, è segno tangibile di una<br />
realtà plastica. L.R.<br />
Ermeneutica del dolore<br />
Nella sede dell’Istituto Italiano per gli<br />
<strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong>, dal 19 al 23 ottobre<br />
1992, Salvatore Natoli ha tenuto un<br />
seminario dal titolo: FORME DI VITA E<br />
STILI DI PENSIERO. INDAGINI DI GENEALOGIA<br />
DELLA MORALE. In esso è stato affrontato<br />
il “fenomeno” del dolore a partire<br />
dall’interrogazione originaria sul suo<br />
“senso” e all’interno dei principali<br />
modelli di significazione che l’Occidente<br />
ha elaborato nel corso della<br />
sua storia e che costituiscono l’inquietante<br />
scenario che ospita e complica<br />
le nostre personali “esperienze”<br />
del dolore.<br />
Salvatore Natoli ha rinvenuto due scene,<br />
due tradizioni che hanno “detto” e “vissuto”<br />
il dolore in Occidente: quella greca e<br />
quella ebraico-cristiana. La flessione mista<br />
delle due tradizioni nella vicenda della<br />
modernità lascia intatta la loro differenza<br />
come origini storiche di esperienze peculiari,<br />
di “stili di vita” individuali e collettivi,<br />
cui il pensiero ha dato “forma”.<br />
Il greco parte dalla visione della natura<br />
come mescolanza di generazione e corruzione,<br />
di felicità e crudeltà: la perenne -<br />
ciclica - trasformazione della physis costituisce<br />
lo sfondo su cui si alternano nei<br />
viventi piacere e dolore, in un rapporto di<br />
esaltazione reciproca. Ciò impedisce che<br />
l’uomo si ponga come esistente per-sé,<br />
slegato da ciclo; tuttavia, il tragico lo inchioda<br />
al dolore della sua individuazione,<br />
alla lotta eroica contro la propria singola<br />
morte che la natura prescrive. L’individualità<br />
tragica, prima di Parmenide e di Platone,<br />
è l’ebbrezza di uno stato contradditorio<br />
e lacerante. Il greco non può immaginare<br />
un mondo senza dolore: il dolore, non avendo<br />
ragione, non ha origine. L’unico atteg-<br />
58<br />
giamento possibile di fronte ad esso è agonico:<br />
resistere fino in fondo senza soccombere<br />
- senza perdere la propria forma umana...<br />
La Grecia antica non rifiuta come<br />
scandalo la sofferenza; il suo ethos è una<br />
sfida al dolore stesso, attraverso cui viene<br />
selezionato il più forte, colui che vivendo<br />
fa esperienza personale della bellezza e<br />
della crudeltà nella forma del doversi dominare.<br />
L’uomo greco è natura consapevole<br />
di sé: nella coscienza della lotta contro il<br />
dolore egli testimonia così, col contegno e<br />
finanche col grido, che chi soffre è vivo,<br />
benché aggredito dalla “malattia”.<br />
La visione giudaico-cristiana entra nell’Occidente<br />
come rifiuto originario del dolore,<br />
eskanton di un mondo senza sofferenza e<br />
senza morte, il cui avvento - sulla terra o nei<br />
cieli - appare garantito dall’esperienza che<br />
il popolo ebraico ha fatto di un dio di<br />
speranza, allontanamento e amore. Jahvé è<br />
il Dio che mette l’uomo alla prova; attraverso<br />
il Suo intervento e il dono della<br />
Legge il popolo ebraico ha un destino, e<br />
una storia che conduce alla salvezza.<br />
L’ebreo comunica con un Dio che, se da<br />
una parte gli promette salvezza, dall’altra<br />
si fa incomprensibile e lontano nella sua<br />
giustizia (libro di Giobbe): la fede ebraica<br />
vacilla di fronte alla sofferenza innocente.<br />
Nella Bibbia l’insopportabilità del dolore<br />
proibisce la rassegnazione di fronte ad esso,<br />
e postula una vita oltremondana che costituisca<br />
il compimento (la redenzione) del<br />
giusto al di là della sua assurda, incomprensibile<br />
sofferenza terrena.<br />
Prima il Cristo e poi la religione cristiana,<br />
ha osservato Natoli, prendono su di sé il<br />
bisogno di salvezza - di cancellazione del<br />
dolore - dell’ebraismo. L’elemento dominante<br />
dell’esperienza ebraico-cristiana del<br />
dolore è la presenza di un “Tu”-Dio; se<br />
questo Tu scompare, se la sofferenza rimane<br />
senza Dio, senza la sua giustizia o addirittura<br />
in virtù della sua necrosi (il Dio<br />
morto di Nietzsche), il mondo appare infernale,<br />
privo sia di bellezza che di felicità.<br />
Natoli ha poi delineato lo scenario complesso<br />
della modernità, mostrando l’intreccio<br />
che l’Occidente, come luogo dell’ethos,<br />
costituisce rispetto ai due modelli. Cartesio<br />
e Hobbes ne sono gli emblemi; infatti nel<br />
Seicento ci si avvia ad un progressivo distacco<br />
da Dio, da quel “senso” del mondo<br />
compreso a partire da Lui; la Chiesa si<br />
trasforma, da comunità in attesa della salvezza<br />
e del giudizio divino, in una istituzione<br />
mondana che non custodisce più la<br />
verità assoluta e unica del dogma. L’esigenza<br />
di assolutezza del fondamento trapassa<br />
nel soggetto, e la politica è il<br />
terreno su cui si misura l’azione, col<br />
criterio della felicità e dell’uguaglianza:<br />
la Rivoluzione francese delinea due vie<br />
possibili, quella razional-utopistica del<br />
giacobinismo, e quella storico-rivoluzionaria<br />
del marxismo, che l’umanità<br />
percorre nella sua terrena perfettibilità...<br />
Liquidata la trascendenza come “morte”<br />
di Dio, scienza e tecnica moderne lasciano<br />
intravedere la possibilità estrema di<br />
abolire il dolore: il mondo è reso più
Il 16 aprile presso il Centro Culturale<br />
Polivalente, Romano Màdera, docente<br />
di antropologia filosofica all’Università<br />
di Venezia, ha tenuto una conversazione<br />
intitolata: Homo religiosus<br />
et paganus, che si inserisce nel ciclo<br />
“Idoli”, ossia l’edizione <strong>1993</strong> della<br />
rassegna “Cosa fanno oggi i filosofi?”,<br />
dedicata quest’anno all’antropologia<br />
vastamente intesa. Il ciclo<br />
comprende altri incontri fino al 4 giugno:<br />
23 aprile, Paolo Fabbri: “Animal<br />
loquens”; 26 aprile, Giacomo<br />
Marramao: “Homo oeconomicus”; 7<br />
maggio, Adriana Cavarero: “De homine<br />
et foemina”; 14 maggio, Umberto<br />
Galimberti: “Homo idolum<br />
maximum”; 21 maggio, Danilo Mainardi:<br />
“Homo sapiens sapiens”; 28<br />
maggio, Ersilio Tonini: “Genus<br />
Homo”; 4 giugno, Renato Barilli:<br />
“Homo ornatus”. Da ricordare che<br />
l’iniziativa è organizzata dalla Biblioteca<br />
Comunale di cattolica in collaborazione<br />
con l’Istituto Italiano per<br />
gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> di Napoli e la<br />
Rivista “Nuova Civiltà delle Macchine”.<br />
● Informazioni: Centro Culturale<br />
Polivalente, Piazza della Repubblica<br />
31, 47033 Cattolica, tel. 0541/967802.<br />
Il corso di perfezionamento in estetica,<br />
presso l’Istituto Suor Orsola Benincasa,<br />
diretto da Aldo Trione, con<br />
la partecipazione di specialisti italiani<br />
e francesi, si svolge dal 26 aprile<br />
alla fine di giugno sul tema: Il trucco<br />
e l’anima.<br />
● Informazioni: Istituto Suor Orsola<br />
Benincasa, via Suor Orsola, 80110<br />
Napoli, tel. 081/411101.<br />
Nel mese di maggio <strong>1993</strong> si sono<br />
svolti due incontri alla Libreria Feltrinelli:<br />
il 6 maggio, Flavio Cassinari,<br />
Alfredo Civita, Ugo Fabietti, Carlo<br />
Sini hanno presentato il libro: Tempo<br />
di sogno, di Hans Peter Duerr<br />
(Guerini e Associati, Milano1992); il<br />
27 maggio, Fulvio Carmagnola, Carlo<br />
Formenti, Federica Olivares, Fulvio<br />
Scaparro e Umberta Telfener sono<br />
intervenuti in occasione della presentazione<br />
del libro di Gianluca Bocchi e<br />
Mauro Ceruti, Origini di storie (Feltrinelli,<br />
Milano <strong>1993</strong>).<br />
● Informazioni: Libreria Feltrinelli,<br />
via Manzoni <strong>12</strong>, 20100 Milano.<br />
Il Politecnico di Milano, Facoltà di<br />
Architettura, ha organizzato, dal 4 al<br />
25 maggio, un seminario, dal titolo:<br />
Natura, tecnica, immaginario.<br />
Questo il calendario dei lavori: 4 maggio,<br />
Piero Derossi, Franco Trabucco,<br />
Federico Vercellone: “Tecnologia e/<br />
o decorazione”; 11 maggio, Emilio<br />
Battisti, Maria Bottero e Elio Franzini:<br />
“Progetto di architettura e materialità<br />
dei processi”; 18 maggio, Giulio<br />
Giorello, Ezio Manzini e Pierluigi<br />
Nicolin: “Scienza, tecnica, architettura:<br />
immagini del mondo”; 25 maggio,<br />
Bianca Bottero, Valerio Di Battista<br />
e Maurizio Ferraris: “Decostruzione<br />
e tradizione”.<br />
● Informazioni: Politecnico di Mi-<br />
CALENDARIO<br />
CALENDARIO<br />
lano, Dipartimento di Programmazione,<br />
Progettazione e Produzione<br />
Edilizia, via D’Ovidio 3, 20100 Milano,<br />
tel. 02/23995133.<br />
Il Goethe Institut di Milano, in collaborazione<br />
con l’Istituto per il diritto<br />
allo <strong>Studi</strong>o Universitario dell’Università<br />
degli studi di Milano, ha organizzato,<br />
l’11 maggio, per la serie “Filosofia<br />
in Germania oggi II”, una<br />
conferenza di Oskar Negt (Hannover)<br />
su La Scuola di Francoforte.<br />
Ha introdotto Francesco Moiso.<br />
● Informazioni: ISU, via Festa del<br />
Perdono 7, 20100 Milano, tel. 02/<br />
809431.<br />
Nel ciclo delle attività culturali della<br />
Fondazione San Carlo, il <strong>12</strong> maggio<br />
ha avuto luogo una conferenza di<br />
Marcel Fournier (Università di Montréal)<br />
su: Marcel Mauss o il dono di<br />
sé; il 21 maggio, per il ciclo di lezioni<br />
“Questioni del tradurre”, Clifford<br />
Geertz (Princeton) ha tenuto una conferenza<br />
dal titolo: Riflessioni sullo<br />
studio della cultura; il 27 maggio,<br />
in occasione della presentazione del<br />
volume delle Edizioni Paoline, La<br />
figura di Cristo nella filosofia contemporanea,<br />
sono intervenuti Franco<br />
Ardusso e Silvano Zucal.<br />
● Informazioni: Fondazione San<br />
Carlo, via San Carlo 5, 41100 Modena,<br />
tel. 059/222315.<br />
Il 22 maggio, in occasione della pubblicazione<br />
del volume La tentazione<br />
dell’oblio. Razzismo, antisemitismo,<br />
neonazismo di Franco<br />
Ferrarotti, si è tenuto un dibattito * *<br />
* * , organizzato da Editori Laterza, a<br />
cui hanno partecipato oltre all’autore<br />
Massimo Firpo, Nicola Tranfaglia,<br />
Gianni Vattimo.<br />
● Informazioni: Ed. Laterza,<br />
P.zza Umberto I 54, Bari, tel. 080-<br />
5216713<br />
Il 27 maggio, presso la Biblioteca<br />
Nazionale Braidense, ha avuto luogo<br />
la presentazione dei primi volumi<br />
della Nuova Collana Testi a fronte,<br />
edita da Rusconi Libri. Giulio Giorello<br />
e Giovanni Reale hanno introdotto<br />
ai temi: “Aristotele, Etica nicomachea”<br />
a cura di Claudio Mazzarelli;<br />
59<br />
“Immanuel Kant, Critica della Ragion<br />
pratica” a cura di Vittorio Mathieu;<br />
“Blaise Pascal, Pensieri” a cura<br />
di Adriano Bausola; “Platone, Fedro”<br />
a cura di Giovanni Reale; “Platone,<br />
Simposio” a cura di Giovanni<br />
Reale.<br />
● Informazioni: Biblioteca Nazionale<br />
Braidense, via Brera 28, 20100<br />
Milano.<br />
Il Centro Internazionale di <strong>Studi</strong> Semiotici<br />
e Cognitivi dell’Università<br />
degli <strong>Studi</strong> della Repubblica di San<br />
Marino, ha organizzato il 10-11 giugno<br />
<strong>1993</strong> un seminario dal titolo:<br />
Mind and Consciousness, con la<br />
partecipazione di Daniel C. Dennet e<br />
Richard Rorty, che sono intervenuti<br />
rispettivamente su: “Consciousness<br />
is not a Medium” e “Holism, Intrinsicality;<br />
and the Ambition of Trascendence”;<br />
l’11 giugno si è tenuta una<br />
tavola rotonda con la partecipazione<br />
di Samuel Guttenplan (Londra), Ernest<br />
LePore (Rutgers University) e<br />
Marco Santambrogio (Università di<br />
Bologna).<br />
Il 29-30 giugno e 1 luglio <strong>1993</strong> avrà<br />
luogo un seminario di Alessandro<br />
Duranti e Elinor Ochs su: The Culture<br />
of Discourse: How to Study<br />
Communication as a Cultural<br />
Practice. Questo il calendario degli<br />
interventi: 29 giugno, “Constructing<br />
Culture Through Discourse” e<br />
“Methodology”; 30 giugno: “Constituing<br />
Language Activities” e “Methodology”;<br />
1 luglio: “Constructing Social<br />
Identity” e “Methodology”. I lavori<br />
si svolgeranno in italiano ed inglese.<br />
● Informazioni: Università di San<br />
Marino, Contrada Omerelli 77, 47031<br />
San Marino, tel. 0549/882516.<br />
Dal 10 al 13 giugno <strong>1993</strong> avrà luogo<br />
a Stoccarda, al Centro culturale e dei<br />
Congressi, il Congresso della Internationale<br />
Hegel-Vereinigung sul<br />
tema: Vernunftbegriffe in der Moderne.<br />
Sono in programma interventi<br />
su (fra parentesi i relatori): 1. “La<br />
ragione nel razionalismo e nell’empirismo<br />
precritico” (A. Bühler, L. C.<br />
Madonna, J. Ecole, J.-L. Marion); 2.<br />
“Razionalità teoretica e pratica nelle<br />
persone” (R. Bittner, H. G. Frankfurt,<br />
T. Spitzley); 3. “Conoscenza della<br />
ragione in Kant e nei suoi allievi” (M.<br />
Baum, P. Guyer, P. Rohs); 4. “Razionalità<br />
e irrazionalità come tema dell’antropologia<br />
medica” (D. Baron,<br />
Erich Wulff); 5. “Ragione e ragionevole<br />
nel pensiero di Hegel” (A. Doz,<br />
K. Düsing, A. Nuzzo); 6. “Razionalità<br />
nel confronto culturale” (R. A.<br />
Mall, R. Ohashi, M. Savadogo); 7.<br />
“Critica o distruzione della ragione<br />
nella filosofia dopo Hegel?” (R. B.<br />
Pippin, H. J. Sandkühler); 8. “Il posto<br />
della ragione nella moralità” (A. Höffe,<br />
O. O’Neill, A. Peperzak); 9. Postmoderni<br />
al di là della ragione?” (M.<br />
C. Nussbaum, M. Seel, W. Welsch);<br />
10. “Ragione all’interno e all’esterno<br />
della scienza” (L. Laudan, J. Nida-<br />
Rümelin, E. Ullmann-Margalit); 11.<br />
“Modelli di critica della ragione nel<br />
XX secolo” (A. Kemmerling, S. A.<br />
Kripke, H.-P. Schütt, G. Vattimo);<br />
<strong>12</strong>. “Razionalità e irrazionalità del<br />
sistema sociale” (S. Benhabib. L.<br />
Ferry, W. Kersting). Nelle manifestazioni<br />
pubbliche serali sono intervenuti:<br />
M. Theunissen, E.-J. Mestmäcker<br />
e E. Scheibe.<br />
● Informazioni:Internationale Hegel-Vereinigung,<br />
Philosophisches Seminar,<br />
Universität, Marsiliusplatz 1,<br />
D-6900 Heidelberg, Tel. 062 21<br />
542482-542283.<br />
Dal 6 al 10 luglio <strong>1993</strong> la Hume-<br />
Society organizza a Ottawa (Canada)<br />
la XX. Hume Conference, dal tema:<br />
Hume and His Scottish Setting.<br />
Interventi su: “Hume and His Critic”;<br />
“Hume and the Practice of History in<br />
the Enlightenment”; “Hume’s Critique<br />
of Religion”.<br />
● Informazioni: Prof. Dorothy Coleman,<br />
Secretary of the Hume-Society,<br />
Department of Philosophy,<br />
College of William and Mary, P.O.<br />
Box 8795, Williamsburg, VA 23187-<br />
8795.<br />
Dal 18 al 30 luglio a Leuven si terrà la<br />
III. Conferenza Internazionale di<br />
Linguistica Cognitiva.<br />
● Informazioni: Dirk Heeraerts,<br />
ICLA93, Department of Linguistic,<br />
Katholieke Universiteit Leuven, Bliijde<br />
Inkomststraat 21, B-3000 Leuven<br />
Dal 15 al 21 agosto si terrà a Kirchberg<br />
il XVI. Simposio Internazionale<br />
Wittgenstein sul tema: Philosophy<br />
and the Cognitive Science. Sono<br />
previste le seguenti sezioni: “Linguaggio<br />
e conoscenza”; “La psicologia e<br />
la filosofia della mente”; “Metodologie<br />
della scienza cognitiva”; “Psicologia<br />
popolare e fisica naïf”; “Teorie<br />
della percezione”; “Intelligenza artificiale”;<br />
“Wittgenstein e la psicologia<br />
filosofica”. Organizzatori del simposio<br />
sono Barry Smith e Roberto<br />
Casati.<br />
● Informazioni: Prof. Dr. B. Smith,<br />
Internationale Akademie für Philosophie,<br />
Obergasse 75, FL-9494<br />
Schaan, Liechtenstein.<br />
La quinta scuola europea estiva
CALENDARIO CALENDARIO OPINIONI A CONFRONTO<br />
di logica, linguaggio e informazione<br />
si terrà all’università di Lisbona,<br />
dal 16 al 27 Agosto <strong>1993</strong>. La<br />
scuola è organizzata sotto l’auspicio<br />
del FOLLI (European Foundation for<br />
Logic, Language and Information).<br />
Supporti finanziari alla scuola giungono<br />
da più parti, compresa la Commissione<br />
della Comunità Europea attraverso<br />
il progetto Erasmus, i National<br />
Research Councils e alcune industrie<br />
sponsors. Il principale obbiettivo<br />
del programma è la realizzazione<br />
di un collegamento fra linguistica,<br />
logica e computazione che interessi<br />
la modellizzazione di abilità umane<br />
linguistiche e cognitive. Il corso quest’anno<br />
coprirà una varietà di argomenti<br />
attraverso sei aree di interesse:<br />
Logica, Computazione, Linguaggio,<br />
Logica e Computazione, Computazione<br />
e linguaggio, Linguaggio e<br />
Logica.<br />
Le iscrizioni sono aperte dai primi di<br />
Marzo.<br />
● Informazioni: FOLLI Office,<br />
Plantage Muidergracht 24, 1018 TV<br />
Amsterdam, The Netherlands<br />
Dal 22 al 28 agosto si terrà a Mosca il<br />
XIX. Congresso Mondiale di Filosofia,<br />
il cui tema sarà: Mankind at a<br />
turning point: philosophical perspectives.<br />
Direttore del comitato organizzatore<br />
sarà il peruviano F. Miro<br />
Quesada, affiancato anche da F. Jacques<br />
(Francia), W. Kluxen (Germania),<br />
K. Satchidanomda Murti (India),<br />
T. Ntumba (Zaire), E. Sosa<br />
(USA), I. T. Frolow (GUS), V. A.<br />
Lektorsky (GUS), M. K. Mamardashvili<br />
(GUS), N. V. Motroshilova<br />
(GUS) e V. S. Stiopin (GUS). In<br />
sezioni plenarie, simposi, dibattiti e<br />
34 sezioni speciali verrà trattato l’intero<br />
ambito della filosofia.<br />
● Informazioni: International Organizing<br />
Secretariat, studia ega, viale<br />
Tiziano 19, I-00196 Roma.<br />
L’Istituto Banfi ha organizzato per il<br />
4-5-6- novembre <strong>1993</strong> un Convegno<br />
dal titolo: Banfi tra le due guerre:<br />
modernità e crisi. Il programma,<br />
per ora provvisorio, è il seguente: 4<br />
novembre, Fulvio Papi: “La terza immagine<br />
di Banfi”; Guido Davide Neri:<br />
“Il tema della crisi”; Luisa Bonesio:<br />
“Le figure dominanti di Nietzsche e<br />
Klanges”; Mauro Mocchi: “Banfi e<br />
Husserl negli anni Venti”; 5 novembre,<br />
Paolo Rossi: “La scienza nella<br />
filosofia banfiana”; Gabriele Scaramuzza:<br />
“Arte e avanguardia”; Lucio<br />
Perucchi: “Il rapporto con Simmel”;<br />
Amedeo Vigorelli: “L’interpretazione<br />
di Kierkegaard e dei teologi protestanti”;<br />
Jean Petitot: “Il rapporto con<br />
il razionalismo francese”; Livio Sichirollo:<br />
“Il comunismo di Banfi”;<br />
Luisa Bertolini: “Il rapporto con i<br />
neokantiani tedeschi”; Roberto Diodato:<br />
“Banfi e la filosofia cattolica”;<br />
Lorenzo Magnani: Banfi e Poincaré”.<br />
● Informazioni: Istituto Banfi, via<br />
Pasteur 11, 42100 Reggio Emilia, tel.<br />
0522/554360.<br />
Nella “scheda”: I luoghi della<br />
filosofia. L’Università di Ginevra<br />
(“Informazione Filosofica”,<br />
n. 7, pagg. 15-16), di Leonardo<br />
Distaso, viene presentato un quadro del<br />
Dipartimento di Filosofia dell’Università<br />
ginevrina, che pur essendo veridico nelle<br />
sue linee generali, pecca di varie unilateralità<br />
e di giudizi un po’ corrivi e “tendenziosi”.<br />
In particolare, il quadro che viene tracciato<br />
dell’attività filosofica di Kevin Mulligan<br />
rischia di appiattirlo su posizioni, per<br />
così dire, “vetero-analitiche”, combinate<br />
con una presunta forma rinnovata di materialismo<br />
illuministico che, a detta dell’autore<br />
dell’articolo, darebbe adito a “esiti<br />
riduzionistici”: ora, è vero che nell’attività<br />
filosofica e storiografica di Mulligan<br />
viene valorizzata quella tendenza al “filosofare<br />
esatto”, le cui radici sono rintracciabili<br />
nella filosofia austro-tedesca tra<br />
‘800 e ‘900 e che ha poi innervato sia il<br />
neopositivismo del Wiener Kreis, sia le<br />
pratiche filosofiche consuete nelle scuole<br />
analitiche anglosassoni. Ma nel resoconto<br />
di Distaso sembra quasi che si attribuisca<br />
a Mulligan tutta l’eredità negativa di tale<br />
tradizione - sintetizzabile in una pretesa<br />
avversione ad ogni metafisica che non sia<br />
quella connessa ad una visione scientifica<br />
del mondo, che l’autore dell’articolo bolla<br />
sprezzantemente come “scientista”. Ma qui<br />
occorre piuttosto intendersi sul significato<br />
dei termini: mi domando se la “metafisica<br />
descrittiva” di Strawson, o le varie forme<br />
di “ontologia formale”, non siano anch’esse<br />
forme di “metafisica” con piena cittadinanza<br />
nella costellazione analitica e se ad<br />
esse possa disinvoltamente assegnarsi l’etichetta<br />
di “scientiste”. Ne uscirebbe fuori,<br />
pertanto, una figura di filosofo analitico<br />
irriducibilmente chiuso ad ogni apporto<br />
proveniente da filosofie “altre” e pronto<br />
alla polemica contro ogni tendenza non<br />
assimilabile, dall’ermeneutica al decostruzionismo,<br />
in nome di una concezione “forte”<br />
della verità. Si tratta di una immagine<br />
caricaturale e deformante, che non rende<br />
affatto giustizia né alla filosofia analitica,<br />
né al filosofo in questione e non intende<br />
che la ricerca di argomentazioni rigorose e<br />
formalmente corrette è il miglior servizio<br />
che si possa rendere all’antagonista filosofico,<br />
affinché anche lui si senta stimolato a<br />
chiarire il proprio pensiero, traducendolo<br />
in un “linguaggio” eterogeneo rispetto a<br />
quello usualmente adottato. Infine, mi sembra<br />
generico o addirittura poco sensato<br />
ritenere che Mulligan riduca la volontà<br />
alla nozione di “io volitivo” e questo (sono<br />
parole dell’autore) sulla scorta di filosofie<br />
«del primo Brentano, del primo Husserl,<br />
del primo Wittgenstein e del primo Carnap»:<br />
non capisco da dove Distaso abbia<br />
desunto tale stravagante tesi che, al di là<br />
della figura retorica costituita dall’iterazione<br />
anaforica della parola “primo”, non<br />
ha alcun fondamento testuale. Sia l’approccio<br />
di Mulligan che, più in generale,<br />
della filosofia analitica al problema della<br />
volontà non è riducibile a ciò che pensa<br />
Distaso e, in ogni caso, il pensiero degli<br />
autori citati, e in particolar modo quello di<br />
Brentano e di Wittgestein, viene da Mulligan<br />
o da altri filosofi analitici (pensiamo<br />
ad esempio a Bernard Williams) considerato<br />
nella sua globalità e non soltanto in<br />
60<br />
una non meglio precisata prima<br />
fase.<br />
Teodosio Orlando<br />
Ho avuto modo di studiare con Kevin Mulligan<br />
durante la mia specializzazione all’Università<br />
di Ginevra. Non solo. Ho avuto<br />
modo di apprezzare Kevin Mulligan, oltre<br />
che per la qualità del lavoro, anche per il suo<br />
humor e la sua gentilezza, che rendevano<br />
interessanti ed al contempo simpatici gli<br />
incontri quasi quotidiani. Ho immediatamente<br />
riconosciuto stimolante la sua linea di<br />
ricerca anche se, devo dire, non sempre<br />
trovavo convincenti le conclusioni cui arrivava<br />
seguendo linee di pensiero evidentemente<br />
diverse dalle mie. Bontà mia, non mi<br />
permetto di discutere questo punto, non pretendo<br />
di dare distesa spiegazione a questioni<br />
che vanno sì sotto il campo della rigorosa<br />
argomentazione, ma molto ricadono volentieri<br />
nel dominio della persuasione! Dico<br />
questo perché penso che una doverosa quanto<br />
serena replica alle obiezioni portatemi dal<br />
mio amico fiorentino necessiti di un rendiconto<br />
non solo di contenuti argomentativi<br />
filosofici - contenuti che andrebbero discussi<br />
lungo l’arco intero di una carriera filosofica<br />
e non nelle poche righe di una pagina- ma<br />
anche di quell’insieme di insegnamenti minimali<br />
che l’agiografia quotidiana consente<br />
di cogliere, discernere, ritenere. In altre parole,<br />
io, con Kevin Mulligan, durante l’anno<br />
accademico in cui sono stato a Ginevra, ho<br />
avuto molti colloqui che mi sono serviti a<br />
chiarire i contenuti delle sue lezioni, di alcuni<br />
suoi scritti, di molte sue posizioni filosofiche.<br />
E non nascondo - perché dovrei, non<br />
sono un “tendenzioso malizioso o velato”,<br />
piuttosto un “tendenzioso perché di un’altra<br />
tendenza” - che spesso non ero d’accordo<br />
con quanto sosteneva il mio anglosassone<br />
interlocutore.<br />
La questione potrebbe anche chiudersi qui, in<br />
un certo senso; ma posso altresì, in altro<br />
senso, chiarire ulteriormente alcune tesi non<br />
per persuasione, ma per doverosa considerazione<br />
di ogni mio contraddicente.<br />
1. Che Mulligan sia materialista non sono io<br />
che lo penso ma lui direttamente; di quale tipo<br />
di materialismo si tratti certo lui ne avrà<br />
un’idea: sta poi ai critici capire e valutare<br />
l’intera questione (che lascio senz’altro fare,<br />
meglio di quanto possa fare io).<br />
2. Non bollo sprezzantemente Mulligan di<br />
scientismo: dico che è scientista. Con questo<br />
non penso che “essere scientista” equivalga<br />
ad essere portatore di qualche malattia! “Scientismo”<br />
è un preciso e legittimo concetto,<br />
come “illuminismo”, “umanismo”, “radicalismo”,<br />
“razzismo” ed “erotismo”. Stop.<br />
3. (Qui debbo dar ragione al mio amico fiorentino:<br />
bisogna intendersi sui significati dei<br />
termini, al di là dell’adesione o meno al loro<br />
portato).<br />
4. So bene che Mulligan persegue un dialogo<br />
tra tendenze filosofiche diverse tra loro: è suo<br />
l’impegno al confronto tra quella che viene<br />
chiamata “filosofia anglo-americana” e “filosofia<br />
continentale”; so anche che Mulligan,<br />
per essere anglosassone, è anche molto continentale<br />
e questo va tutto a favore della<br />
completezza della ricerca.<br />
5. Sono del tutto d’accordo con l’obiezione
OPINIONI A CONFRONTO<br />
che sarebbe ora di finirla con la banale contrapposizione<br />
tra una filosofia analitica, portatrice<br />
di cio che è “forte”, “vero”, “stabile”,<br />
“significativo”, e una svolazzante filosofia<br />
estetico-ermeneutica che vaneggia immagini<br />
metaforiche di miti e leggende insensate,<br />
insegue poeti per i boschi, si strugge tra il<br />
tragico e il niente, interpreta e non sa cosa<br />
dice. Sono d’accordo: sarebbe ora di finirla.<br />
Ma non l’ho mica inventata io la filosofia<br />
analitica! E non capisco perché non si possa,<br />
finalmente e di nuovo, parlare di filosofia tout<br />
court: che bisogno c’è di aggettivarla? Per<br />
quel poco che ne ho capito, insisto nell’essere<br />
idealmente sintonizzato con tutto lo sforzo<br />
fatto dal “secondo Wittgenstein” per smantellare<br />
l’impianto metafisico della filosofia<br />
(analitica anglosassone).<br />
6. Questo mi dà agio di poter rispondere<br />
anche alla questione del “primo” o “secondo”<br />
pensiero di qualcuno. A volte dovremmo<br />
essere un po’ più concilianti con gli storiografi<br />
e gli storici: se ci capiamo meglio dicendo<br />
brevemente che dallo Husserl delle Ricerche<br />
a quello delle Idee, o che tra lo Heidegger di<br />
Essere e tempo e quello di Cosa significa<br />
pensare? ci sono delle differenze, che c’è di<br />
male? D’obbligo è la riflessione su quelle<br />
differenze, che non possono e non devono<br />
ridursi ad abituali tratti convenzionali che<br />
interrompono il dovere di capire. Ma se siamo<br />
d’accordo su questo allora diventa innocente<br />
la semplificazione storiografica: semplificazione<br />
problematica, dunque.<br />
7. Ciò mi consente anche di spiegare meglio la<br />
posizione di Mulligan sull’io volitivo. Non ho<br />
detto che la nozione di “io volitivo” Mulligan<br />
la deduce dal “primo” Brentano, dal “primo”<br />
Husserl, dal “primo” Wittgenstein e dal “primo”<br />
Carnap. Piuttosto è esatto dire che Mulligan<br />
ritiene corretta la tesi filosofica che la<br />
nozione di “io” abbia senso solo in quanto<br />
quest’io è un “io volitivo”, sganciato dalla<br />
designazione. E’ questa la tesi che Mulligan<br />
ritiene e mette a confronto con le filosofie del<br />
Brentano della Psicologia dal punto di vista<br />
empirico, dello Husserl delle Ricerche logiche,<br />
del Wittgenstein del Tractatus, del Carnap<br />
della Costruzione e della Sintassi. Ma, ripeto,<br />
la nozione di “io volitivo” Mulligan non la<br />
deduce da questi autori, poiché si appoggia per<br />
questo su alcune tesi di B. O’Shaugnessy,<br />
capitalizzate nel monumentale libro The Will.<br />
Dove io abbia desunto la tesi stravagante che<br />
Mulligan “flirta” con i pensieri giovanili dei<br />
filosofi in questione è presto detto. L’ho desunto<br />
dalle sue considerazioni fatte durante le<br />
lezioni, in cui egli stesso confessava tali stravaganze:<br />
«l’unico Husserl è quello delle Ricerche»;<br />
oppure: «il “primo” Brentano è quello<br />
che vale, poi egli si perde strada facendo»;<br />
ancora: «l’unica cosa che valga la pena di<br />
leggere di Wittgenstein - e neanche tanto - è<br />
il Tractatus», tant’è vero che a Ginevra circolava<br />
la battuta che, stando a Mulligan, per fare<br />
una buona filosofia si sarebbe dovuto fare un<br />
patto con Mefistofele per non invecchiare.<br />
Anche di Kant, del quale Mulligan si professa<br />
fiero oppositore, l’unico testo che avesse dignità<br />
di lettura è la Prima Critica. Quando gli<br />
ho ricordato che Kant aveva anche scritto<br />
altre due Critiche (in particolare una Critica<br />
del Giudizio che compie il percorso critico<br />
lasciato solo interrotto nella Prima), rispondeva<br />
che non rientravano nei suoi interessi<br />
(evidentemente legati ad una concezione troppo<br />
marburghese del criticismo kantiano). Per<br />
non parlare di Heidegger (che Mulligan vede<br />
come il fumo agli occhi), del quale si è degnato,<br />
con tutta evidenza, di commentare solo<br />
alcune parti di Essere e tempo (quelle sull’an-<br />
CALENDARIO<br />
61
DIDATTICA<br />
Uovi manuali di filosofia<br />
Le recenti pubblicazioni di manuali di<br />
filosofia per i licei valorizzano soprattutto<br />
l’approccio diretto ai testi filosofici,<br />
purché questi siano inseriti nel<br />
contesto delle tradizioni e sostenuti<br />
da adeguati strumenti interpretativi.<br />
E’ il caso dell’opera di F. Cioffi, F.<br />
Gallo, G. Luppi, A. Vigorelli, E. Zanette,<br />
IL TESTO FILOSOFICO (Bruno Mondadori,<br />
Milano <strong>1993</strong>), che con la recente<br />
pubblicazione del terzo ed ultimo volume,<br />
in due tomi, giunge al suo completamento;<br />
della STORIA E ANTOLOGIA<br />
DELLA FILOSOFIA (3 voll., Laterza, Roma-<br />
Bari <strong>1993</strong>) di G. Cambiano e M. Mori;<br />
e del CORSO DI FILOSOFIA (4 voll., Bompiani,<br />
Milano <strong>1993</strong>), diretto da S. Veca<br />
e realizzato da G. Mancini, S. Marzocchi,<br />
G. Picinali.<br />
Con l’apparizione dei due tomi del terzo ed<br />
ultimo volume del Testo filosofico, dedicati<br />
al pensiero dell’Ottocento e del Novecento,<br />
si conclude l’ampia impresa, avviata<br />
da Fabio Cioffi, Giorgio Luppi, Amedeo<br />
Vigorelli, Emilio Zanette, di costruire un<br />
complesso itinerario nel pensiero filosofico,<br />
scandito attraverso un’analisi di autori,<br />
opere e problemi (si vedano le recensioni<br />
dei due primi volumi nei fascicoli 5 e 6 di<br />
questa rivista). Franco Gallo ha contribuito<br />
alla realizzazione editoriale di questo<br />
terzo volume e alla stesura di numerosi<br />
capitoli. Diversi altri studiosi di filosofia<br />
hanno poi dato il loro contributo specifico<br />
alla costruzione di singoli capitoli dell’opera.<br />
Quest’ultima nasce pertanto dalla collaborazione<br />
e dall’incontro di più studiosi,<br />
senza tuttavia smarrire un’impronta unitaria,<br />
ma anzi mettendo a frutto le specifiche<br />
competenze disciplinari.<br />
Anche nel terzo volume compare un’articolazione<br />
della materia attraverso apparati<br />
d’introduzione ai temi e agli autori, schede<br />
di approfondimento e ampie selezioni di<br />
testi (non solo di quelli più ricorrenti nelle<br />
antologie scolastiche, ma anche di testi<br />
spesso trascurati o esclusi dall’approccio<br />
dell’insegnamento liceale); le singole unità<br />
didattiche sono inoltre suddivise per<br />
“temi e problemi”, per “opere” di particolare<br />
rilevanza storico-filosofica, per “auto-<br />
61<br />
DIDATTICA<br />
a cura di Riccardo Lazzari<br />
ri”, e infine per “biografie” ed “intersezioni”.<br />
Sotto il primo titolo, per esempio, sono<br />
costruiti i capitoli iniziali sulla genesi dell’idealismo<br />
tedesco, sull’estetica e sulla<br />
filosofia della natura del Romanticismo; il<br />
pensiero di Hegel viene non solo ampiamente<br />
presentato sotto la rubrica “autori”,<br />
ma una specifica unità “opere” è dedicata<br />
all’analisi della Fenomenologia dello spirito,<br />
di cui si riportano distesamente alcune<br />
scelte testuali. Sotto il titolo “biografie”<br />
troviamo un capitolo su Kierkegaard. Fra<br />
le “intersezioni”, infine, ricordiamo l’ampio<br />
capitolo «Dalla crisi del meccanicismo<br />
alla meccanica quantistica».<br />
Il secondo tomo vede poi un’articolazione<br />
diversa della materia rispetto a quella dei<br />
precedenti volumi. Una prima parte di esso<br />
è costruita secondo le rubriche sopra indicate<br />
e comprende non soltanto unità didattiche<br />
incentrate sui momenti divenuti ormai<br />
“classici” del pensiero del Novecento<br />
(per fare dei nomi o per citare dei titoli<br />
generali, ricorrenti ormai anche nei programmi<br />
scolastici dell’ultimo anno: Croce,<br />
Husserl, Heidegger, Wittgenstein, l’esistenzialismo,<br />
l’empirismo logico), che vengono<br />
qui presentati con rinnovato rigore<br />
interpretativo, ma comprende anche capitoli<br />
incentrati su temi ed autori che solo<br />
una certa pigrizia intellettuale esclude dalle<br />
possibili scelte che l’insegnante può<br />
effettuare in sede di programmazione di<br />
un iter relativo al pensiero dell’ultimo<br />
secolo. Troviamo così, in posizione di<br />
rilievo, capitoli dedicati a «Io e mondo»<br />
nelle analisi fenomenologiche, alla Filosofia<br />
delle forme simboliche di Cassirer,<br />
alla Difesa del senso comune di Moore.<br />
Una particolare cura, inoltre, è dedicata<br />
alla filosofia italiana del Novecento, di cui<br />
si ricostruisce non solo la linea ideale<br />
Croce-Gentile-Gramsci, ma si focalizzano<br />
anche temi quali l’idealismo critico di<br />
Piero Martinetti, la ragione problematica<br />
di Banfi, lo scetticismo di Rensi e Levi, in<br />
modo da ottenere un’immagine per lo meno<br />
più variegata della nostra tradizione recente.<br />
Una seconda parte del volume, poi, è dedicata<br />
a ricostruire «orientamenti e tradizioni»<br />
della ricerca filosofica contemporanea<br />
ed è architettata mediante schede informative<br />
(corredate ciascuna da un lessico di
parole chiave) sui principali indirizzi, scuole<br />
e tradizioni (riconducibili, per es., alle voci<br />
“ermeneutica”, “falsificazionismo”, “strutturalismo”),<br />
che sono ormai consolidate<br />
nell’odierno dibattito teorico. Una sezione<br />
dal titolo «Problemi e discussioni» è poi<br />
dedicata ad un ampio ventaglio di nodi<br />
della ricerca contemporanea, relativi sia a<br />
questioni interne allo sviluppo del pensiero<br />
filosofico, che al rapporto tra riflessione<br />
filosofica e scienze naturali e umane. Ciascuna<br />
unità mette a confronto testi rappresentativi<br />
di diversi autori. Fra i titoli: “Che<br />
cos’è il linguaggio”, “Le macchine possono<br />
pensare?”, “Quando una teoria scientifica<br />
è vera?”. Un dizionario bio-bibliografico<br />
sui principali filosofi contemporanei<br />
completa questa sezione.<br />
L’apparizione del terzo volume del Testo<br />
filosofico è stata anche occasione per alcuni<br />
incontri non solo di presentazione dell’opera<br />
da parte degli autori a un pubblico<br />
di insegnanti, ma anche di confronto e di<br />
bilancio sul senso dell’insegnare filosofia<br />
oggi.<br />
Da incontri svoltisi presso i licei di diverse<br />
città, fra cui Vicenza (Liceo Classico “Zanella”),<br />
Caserta (Liceo Scientifico “A.<br />
Diaz”), Milano (Liceo Scientifico “Allende”)<br />
è uscito un orientamento dei docenti<br />
complessivamente favorevole all’architettura<br />
del manuale, sia per l’ampiezza che<br />
per l’articolazione degli apparati predisposti<br />
per agevolare la lettura dei testi (note,<br />
schede di lettura, dizionario). Si è riconosciuto<br />
come tale impianto favorisca una<br />
didattica che intende superare la lezione<br />
frontale e stimolare negli studenti particolari<br />
attività di ricerca, sorrette dall’aiuto<br />
competente dell’insegnante. Non sono<br />
mancate alcune critiche relative a specifiche<br />
carenze (per es. la mancanza di un’adeguato<br />
approfondimento della logica simbolica,<br />
l’assenza di testi di tipo storiografico,<br />
una certa complessità nell’introdurre<br />
taluni argomenti), ma, significativamente,<br />
tali critiche non hanno quasi mai investito<br />
l’aspetto della “ponderosità” dell’opera. E’<br />
emersa invece (come dagli incontri svoltisi<br />
il 4 marzo presso la Facoltà di Magistero di<br />
Bologna e il 19 marzo presso la Facoltà di<br />
Lettere a Cagliari) la richiesta agli autori,<br />
da parte di insegnanti, di indicare percorsi<br />
didattici attraverso i quali poter selezionare<br />
i materiali, collegando fra loro le unità o<br />
parti di esse.<br />
Il Testo filosofico è stato anche presentato<br />
all’Università di Padova, nell’ambito di<br />
una tavola rotonda tenutasi il 19 novembre<br />
dello scorso anno, cui hanno partecipato,<br />
oltre a Giorgio Luppi, Enrico Berti, Sergio<br />
Moravia, Ugo Perone, sul tema: “Nuovi<br />
impegni e nuove tendenze nei manuali<br />
per l’insegnamento della filosofia nella<br />
scuola secondaria superiore”. Questo dibattito<br />
veniva proposto nell’ambito di un<br />
Corso di perfezionamento dell’Istituto di<br />
Storia della Filosofia, rivolto alla formazione<br />
metodologica e didattica degli insegnanti<br />
di filosofia e diretto da Giovanni<br />
DIDATTICA<br />
Sentinello. Al centro del dibattito il tema<br />
del rapporto tra uso del manuale e lettura<br />
dei testi, discusso anche in relazione al<br />
nesso, non solo didattico ma squisitamente<br />
teorico, tra testualità e storia del pensiero.<br />
Il 15 aprile dell’anno in corso si è tenuta,<br />
presso il Dipartimento di Scienze Filosofiche<br />
dell’Università di Bari, una presentazione<br />
pubblica del Testo filosofico, cui<br />
hanno partecipato, oltre a Franco Gallo e<br />
Amedeo Vigorelli, Davide Bigalli e Francesco<br />
Fistetti. Presentando l’opera ad un<br />
pubblico prevalentemente di insegnanti<br />
della scuola secondaria, Francesco Fistetti<br />
ha sottolineato come essa venga incontro<br />
al crescente “bisogno di filosofia”, successivo<br />
al fallimento delle ipotesi di assorbimento<br />
dell’insegnamento secondario della<br />
filosofia in quello delle scienze umane.<br />
Proprio l’attuale crisi di identità delle scienze<br />
umane, e la conseguente esigenza di<br />
autoriflessione circa il loro statuto e i loro<br />
metodi, rende tale “bisogno di filosofia”<br />
più stringente. Fistetti ha poi particolarmente<br />
apprezzato la scelta degli autori di<br />
restituire al “testo” la sua indispensabile<br />
centralità nell’apprendimento della filosofia<br />
e ha osservato come tale opera (una vera<br />
e propria “enciclopedia filosofica”), nella<br />
ricchezza della proposta didattica e nel<br />
rigore filologico dell’approfondimento,<br />
esalti la funzione “mediatrice” del docente.<br />
Fistetti ha sottolineato inoltre come il Testo<br />
filosofico si presti ad essere utilizzato anche<br />
nelle Università per la preparazione<br />
della parte istituzionale dell’esame di storia<br />
della filosofia e si rivolga ad una utenza<br />
qualificata e non limitata solo alla scuola<br />
secondaria.<br />
Davide Bigalli è partito dalla constatazione<br />
di una difficoltà ad individuare con<br />
sicurezza l’oggetto “storia della filosofia”<br />
di fronte alla pluralizzazione delle pratiche<br />
scientifiche e filosofiche. Egli ha ritenuto<br />
in questa prospettiva felice la scelta degli<br />
autori del Testo filosofico di identificare la<br />
pratica filosofica, nelle diverse epoche della<br />
storia, con una pratica testuale, non sempre<br />
ristretta agli ambiti scolasticamente<br />
tradizionali della storia della filosofia, e da<br />
rivisitare con finezza di approccio filologico<br />
ed ermeneutico.<br />
Gli interventi degli insegnanti presenti hanno<br />
in generale sottolineato la positività di<br />
una proposta didattica che, affidando al<br />
docente un essenziale e qualificato ruolo di<br />
mediazione culturale, sembra finalmente<br />
farlo uscire da quella posizione di “minorità”<br />
intellettuale cui una pratica burocratica<br />
della scuola lo ha sempre più relegato.<br />
La proposta di Giuseppe Cambiano e di<br />
Massimo Mori che presentano con la loro<br />
Storia e antologia della filosofia, è quella<br />
di un approccio allo studio della filosofia,<br />
dove l’inevitabile uso del manuale si coniughi<br />
con una intensa frequentazione dei<br />
testi degli autori. Tale obbiettivo non è però<br />
conseguito dagli autori mediante la semplice<br />
aggiunta di una appendice antologica<br />
all’esposizione storica, ma attraverso la<br />
62<br />
congiunzione paritetica (come sottolinea<br />
lo stesso titolo dell’opera) dell’elemento<br />
storico e di quello antologico.<br />
Ciascun capitolo presenta così una divisione<br />
in due parti. La prima consiste in un’esposizione<br />
storica esauriente, mai semplicemente<br />
nozionistica, attenta ad inserire gli<br />
autori nel più ampio contesto in cui sono<br />
nate le loro filosofie, a valorizzare dunque<br />
i riferimenti al quadro storico-politico, alle<br />
forme istituzionali di produzione e di trasmissione<br />
del sapere, al rapporto tra la<br />
filosofia e gli altri ambiti culturali. Gli<br />
autori cosiddetti “minori” non sono mai<br />
citati in modo puramente elencativo, ma<br />
inseriti nei capitoli su interi periodi o indirizzi<br />
filosofici ed esaminati nella misura in<br />
cui lo consente lo sviluppo di un discorso<br />
concettualmente organico.<br />
La seconda parte di ciascun capitolo è<br />
articolata attraverso un percorso testuale,<br />
costruito intorno ai fulcri tematici più rilevanti.<br />
La parte antologica è corredata inoltre<br />
da un ricco apparato esplicativo: ciascun<br />
brano infatti è preceduto da una presentazione<br />
relativa alla sua collocazione<br />
nell’opera da cui è tratto oppure all’inquadramento<br />
di quest’ultima nella produzione<br />
complessiva dell’autore; talora la presentazione<br />
verte sulle connessioni del tema<br />
con altri aspetti del pensiero del filosofo<br />
trattato ovvero tende alla ricostruzione della<br />
storia del problema. Ogni testo è poi<br />
accompagnato da numerose note esplicative<br />
a pie’ di pagina.<br />
Le due parti si presentano organicamente<br />
collegate mediante frequenti richiami.<br />
Sottolineano gli autori, nella loro<br />
Prefazione, come questa connessione fra<br />
le due parti abbia altresì la funzione di<br />
evitare il pericolo, cui è soggetto ogni<br />
manuale, di «stendere una patina di uniformità<br />
su tutti gli autori e periodi storici»:<br />
in questo senso, «la scelta antologica,<br />
cedendo direttamente la parola agli<br />
autori stessi su punti cruciali delle loro<br />
costruzioni filosofiche, mira anche a<br />
documentare la diversità delle forme letterarie,<br />
dei modi di scrivere e di argomentare,<br />
impiegati nel corso della storia<br />
della filosofia».<br />
Corso di filosofia è il titolo di una nuova<br />
proposta di manuale, realizzata da Giorgio<br />
Mancini, Stefano Marzocchi, Giambattista<br />
Picinali e coordinata da Salvatore<br />
Veca. Il Corso di filosofia si articola in un<br />
unico volume, Storia, di carattere storicointroduttivo<br />
alle idee e agli snodi della<br />
ricerca filosofica, e in tre volumi, Materiali,<br />
che contengono materiale antologico,<br />
selezionato intorno ad alcune grandi questioni<br />
ricorrenti del dibattito filosofico. Il<br />
manuale di Storia, rivolto in particolare<br />
all’approfondimento di una serie di pensatori,<br />
considerati fondamentali dagli autori,<br />
anche alla luce dei progetti didattici di<br />
riforma più recenti, segue il percorso storico<br />
della filosofia occidentale dalle origini<br />
fino al pensiero contemporaneo. Da una<br />
civiltà ancora dominata dal mito, in cui
l’uomo cerca di rispondere all’interrogativo<br />
circa l’origine delle cose e del mondo, si<br />
passa ad una civiltà rivolta alla ricerca<br />
“insonne” del “conosci te stesso” mediante<br />
l’uso del dialogo. La filosofia come “amore<br />
per il sapere” recupera il nesso tra verità<br />
e linguaggio ormai dissolto dalla sofistica;<br />
un nesso che, come viene illustrato chiaramente<br />
nel manuale attraverso le principali<br />
tappe storiche, rappresenta una delle questioni<br />
centrali nel dibattito filosofico del<br />
Novecento sul senso dell’essere. Così, alla<br />
fine del lungo cammino, simbolicamente<br />
tracciato nel manuale, si apre l’illimitato<br />
orizzonte ermeneutico di una filosofia che<br />
ritrova nel linguaggio una delle parole chiave<br />
di questa fine secolo.<br />
Come specifica Veca nella presentazione<br />
dell’opera, la parte storica è stata realizzata<br />
non sulla base del «criterio della esaustività<br />
e della completezza dell’informazione su<br />
singole scuole, tradizioni ed autori», bensì<br />
di una selezione ragionata, in modo da<br />
consentire un uso effettivo del volume (unico<br />
per tutto il triennio, e dunque utilizzabile<br />
anche secondo criteri diversi da quelli di<br />
una rigida compartimentazione dei programmi).<br />
Fedele alla forma dialogica con cui è impostato<br />
questo Corso di filosofia, il volume<br />
sulla Storia è affiancato da tre volumi di<br />
Materiali, che permettono all’insegnante<br />
di organizzare le lezioni in libertà, suffragando<br />
la propria esposizione con il rimando<br />
alle grandi questioni come verità ed<br />
etica, bellezza e storia politica e tempo,<br />
immagine del mondo, vita e morte, linguaggio,<br />
che ricorrono nel tempo all’interno<br />
delle problematiche filosofiche.<br />
I tre volumi che costituiscono i Materiali<br />
non vogliono fornire una semplice<br />
silloge di testi. I testi filosofici, avverte<br />
Veca, sono introdotti invece come «una<br />
sequenza di risposte a un ristretto nucleo<br />
di grandi domande, a quella manciata di<br />
problemi ricorrenti (questioni di verità e<br />
di etica, di bellezza e di storia, di politica<br />
e di tempo, di immagine del mondo, di<br />
vita e di morte), in cui da un lato sembra<br />
consistere quella che è stata chiamata la<br />
“conversazione umana” nel tempo e a<br />
cui, dall’altro, sembrano poter essere<br />
personalmente interessati i giovani che<br />
si avvicinano allo studio della storia delle<br />
idee e delle teorie filosofiche».<br />
In occasione della presentazione del Corso<br />
di filosofia presso la sede dell’Istituto Italiano<br />
per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> di Napoli, si è<br />
tenuta una tavola rotonda, cui hanno partecipato<br />
Giuseppe Galasso, Fulvio Tessitore<br />
e Salvatore Veca.<br />
L’incontro si è aperto con l’intervento di<br />
Salvatore Veca, che ha richiamato i due<br />
approcci oggi prevalenti in tema di insegnamento<br />
della filosofia. Il primo, storicistico,<br />
considera unica via di accesso al<br />
sapere filosofico l’apprendimento della sua<br />
storia, riscontrandola sui testi antologici;<br />
da questo punto di vista, la filosofia si<br />
presenta come la serie dei tentativi di cia-<br />
DIDATTICA<br />
scuna epoca di autorappresentarsi, o meglio,<br />
di fare da sé il proprio ritratto. Il<br />
secondo approccio, analitico, ritiene al contrario<br />
indispensabile concentrarsi sui problemi,<br />
indipendentemente dai contesti storici;<br />
di qui una filosofia che si muove<br />
unicamente per interrogativi, ai quali cerca<br />
di dare una risposta. Due paradigmi, questi,<br />
che risultano distinti, secondo Veca, ma<br />
non indipendenti l’uno dall’altro; infatti,<br />
essi interagiscono in vista di un unico fine:<br />
“l’insegnamento della filosofia”. Insegnamento<br />
che, ben altro dall’essere una “dieta<br />
monotona”, si esemplifica nella forma di<br />
«conversazione umana nella catena delle<br />
problematiche del tempo storico», in cui<br />
ogni persona convive con una varietà essenziale<br />
di fini e di ragioni, spesso conflittuali,<br />
attraverso le quali articola il rapporto<br />
con se stessa e con il mondo. La precisazione<br />
è fondamentale, perché caratterizza uno<br />
spazio politico specifico, quello dell’organizzazione<br />
della polis. Apprendere filosofia<br />
significa dunque, per Veca, intraprendere<br />
un viaggio verso nuove mete, nuovi<br />
orizzonti, che ravvivando sempre più il<br />
desiderio incessante del conoscere, contribuisce<br />
in modo originale ad espandere «il<br />
cerchio della solidarietà umana». In tal<br />
senso, l’insegnamento della filosofia abilita<br />
a partecipare, ad essere in compagnia<br />
dell’altro: rinnovamento e tradizione si presentano,<br />
metaforicamente, come due “squadre”<br />
di una stessa partita, la cui sola interazione<br />
porta alla vittoria.<br />
L’intervento di Giuseppe Galasso ha inteso<br />
segnare un goal a favore dell’insegnamento<br />
storico (e non storicistico) della filosofia,<br />
che a suo avviso rappresenta l’unica<br />
forma in grado di conferire rigore e direzione<br />
a un pensiero che procede ripercorrendo<br />
il sapere filosofico del passato e confidando<br />
nell’attività creativa ed individuale della<br />
mente umana. Riferendosi al pensiero di<br />
Gadamer, e in particolare alla sua filosofia<br />
ermeneutica come espressione dell’aprirsi<br />
dell’uomo al mondo, Galasso legge il nesso<br />
individuo-società in termini dialettici.<br />
Da qui la necessità non solo di diffondere la<br />
filosofia all’interno del suo stesso mondo,<br />
ma di considerarla come sapere privilegiato<br />
di fronte al progressivo vuoto ideologico<br />
che affligge il mondo contemporaneo. Apprendere<br />
filosofia significa dunque non<br />
solo acquisire specifiche abilità relative<br />
alla conoscenza del pensiero e allo stile<br />
speculativo dei filosofi, ma vivere insieme<br />
con gli altri.<br />
L’importante ruolo svolto dalla filosofia<br />
nel sollecitare la riflessione, e non nel trasmettere<br />
passivamente nozioni in sé compiute,<br />
ha rappresentato il centro dell’intervento<br />
conclusivo di Fulvio Tessitore. Allo<br />
scopo di proporre un punto di equilibrio<br />
nella dimensione storica, in cui sia possibile<br />
cogliere la poliedricità profonda che<br />
affiora nei sistemi filosofici, ogni volta<br />
diversi, Tessitore predilige una filosofia<br />
che sia «trascendenza senza metafisica»,<br />
una trascendenza basata sulla ricerca empi-<br />
63<br />
rica e non ancorata nelle strettoie del “trascendentalismo<br />
logico”. Questo sarebbe<br />
appunto il rimedio contro quel grande difetto<br />
della cultura che considera la filosofia<br />
esclusivamente scientia scientiarum; il<br />
pensiero umano vive della tensione tra l’ambizione<br />
alla verità - nel tentativo di cogliere<br />
in un sistema tutto il reale - e la storicità<br />
che, invece, ridimensiona queste pretese.<br />
L’uomo, infatti, si realizza sempre e ogni<br />
volta in maniera originale, nell’immediatezza<br />
dell’esperienza vissuta. La temporalità<br />
della vita di ogni essere, come essere<br />
storico, rappresenta la caratteristica principale<br />
dell’uomo. Di qui la sua costitutiva<br />
storicità in quanto essere parlante, perché<br />
solo il movimento dialogico del discorso<br />
della filosofia, ha osservato Tessitore, può<br />
abbandonare la ricerca dell’essere, per potersi<br />
concentrare su quella del senso della<br />
vita che, sulle orme di Humboldt, trova nel<br />
linguaggio il fondamento e l’esito della<br />
propria riflessione. (R.I. per il resoconto<br />
della presentazione a Napoli del Corso di<br />
filosofia)<br />
Convegni<br />
Organizzato dall’ARIFS ( Associazione<br />
per la Ricerca e l’Insegnamento<br />
di Filosofia e Storia) si è tenuto a<br />
Brescia dal 19 al 21 Marzo il XVII<br />
Convegno nazionale per l’aggiornamento<br />
degli insegnanti sul tema: LA<br />
FILOSOFIA ITALIANA TRA UMANESIMO E RI-<br />
NASCIMENTO, con il coordinamento<br />
scientifico di Claudio Cesa e con la<br />
partecipazione di noti studiosi quali<br />
Cesare Vasoli, Gianfranco Fioravanti,<br />
Alfonso Ingegno, Paola Zambelli,<br />
Germana Ernst, Michele Ciliberto,<br />
Davide Bigalli, Paolo Galluzzi.<br />
L’obiettivo fondamentale del convegno<br />
è stato quello di rivisitare le tradizionali<br />
categorie interpretative dell’Umanesimo<br />
e del Rinascimento alla luce dello specifico<br />
ruolo giocato in quella fase storica<br />
dal pensiero filosofico italiano. Nella<br />
sua introduzione, Cesare Vasoli ha esordito<br />
ricollegandosi al giudizio espresso<br />
da Delio Cantimori alcuni decenni fa<br />
circa lo scarso valore scientifico delle<br />
tradizionali etichettature della cultura<br />
dei secoli XV e XVI elaborate in base a<br />
discutibili criteri storico-ideologici, a<br />
partire dai notissimi studi sul Rinascimento<br />
di Burkhardt. Dopo aver ricostruito<br />
la genesi e l’evoluzione delle differenti<br />
interpretazioni di questo concetto,<br />
Vasoli ha insistito sulla complessità di<br />
quella stagione culturale e sull’avvio di<br />
profonde trasformazioni che essa determinò<br />
in ogni campo. In questa prospettiva,<br />
la filosofia italiana dell’epoca, ha<br />
osservato Vasoli, assunse in modo non<br />
subalterno, ma critico il rapporto con la
cultura classica, intrecciando tradizioni<br />
diverse nella prospettiva di un radicale<br />
rinnovamento del pensiero.<br />
Gli interventi successivi hanno approfondito<br />
in modo convergente la varietà e<br />
la complessità di questo quadro di insieme.<br />
Gianfranco Fioravanti ha analizzato<br />
con molta attenzione sia la forza<br />
teorica e istituzionale della filosofia delle<br />
Università, eredi e mediatrici della<br />
tradizione aristotelica, dotata di una poderosa<br />
macchina dialettica e di un sistema<br />
di sapere complessivo capace di abbracciare<br />
tutte le scienze. L’impatto della<br />
nuova cultura umanistica, che nacque<br />
al di fuori e contro quella tradizione, fu<br />
tale da incidere sulla fortificata cittadella<br />
degli studi universitari, determinando<br />
nel secolo XVI un rinnovamento interno<br />
dello stesso aristotelismo, a cui si potrebbe<br />
non senza ragione attribuire la<br />
definizione di “aristotelismo umanistico”.<br />
Sulla filosofia umanistica è intervenuto<br />
Alfonso Ingegno, che ha messo in rilievo<br />
la crisi della scolastica ad opera dei<br />
filosofi più rappresentativi della nuova<br />
cultura. L’interesse filologico portò Valla<br />
ed Erasmo ad una rilettura su basi morali<br />
e non metafisiche delle Sacre Scritture.<br />
Anche Marsilio Ficino tentò una apologia<br />
della religione cristiana attraverso il<br />
suo inserimento in una tradizione millenaria,<br />
precedente lo stesso Platone, di<br />
tipo spiritualistico, che egli definì come<br />
una sorta di philosophia perennis. Non<br />
dissimile fu l’intenzione di Pico della<br />
Mirandola di ricercare alle radici delle<br />
differenti tradizioni filosofiche un’unica<br />
verità attraverso una operazione di<br />
sincretismo teorico atto a ricomporre su<br />
un unico piano convergente linee di pensiero<br />
assai distanti tra loro. In questo<br />
contesto, ha notato Paola Zambelli, va<br />
inserito nella sua originalità e specificità<br />
la figura di Pietro Pomponazzi. Anche in<br />
Pomponazzi c’è una attenzione filologica<br />
per i testi della tradizione filosofica, a<br />
partire dai quali egli sviluppò audaci tesi<br />
naturalistiche - non solo la negazione<br />
della immortalità dell’anima, ma anche<br />
l’idea della “magia come arte fattiva” e<br />
delle forze naturali come le autentiche<br />
forze che muovono le sfere celesti -,<br />
teorie affidate a manoscritti non pubblicati<br />
ma di circolazione clandestina, per<br />
timore della censura ecclesiastica, che<br />
furono di riferimento per la posteriore<br />
tradizione libertina del sec. XVII.<br />
Un altro terreno fondamentale di innovazione<br />
teorica fu quello della riflessione<br />
politica, come ha evidenziato Davide<br />
Bigalli nella sua relazione sul pensiero<br />
politico del 1500. La grande novità di<br />
Machiavelli, ha fatto notare Bigalli, consiste<br />
nella sua concezione dello Stato,<br />
non più definito sulla base della dottrina<br />
tradizionale delle differenti forme istituzionali<br />
- aristocrazia, monarchia, democrazia<br />
-, ma sul presupposto della sua<br />
DIDATTICA<br />
natura di costruzione artificiale atta a<br />
dominare le passioni e a regolamentare i<br />
rapporti collettivi. In sintesi, Bigalli ha<br />
proposto un approccio al pensiero di<br />
Machiavelli non in quanto visione antropomorfica<br />
del potere identificato nella<br />
persona del Principe ma come fenomenologia<br />
del potere.<br />
Michele Ciliberto ha messo in rilievo le<br />
ragioni della attuale renaissance del pensiero<br />
di Bruno e del suo spessore prettamente<br />
filosofico. Centrale è il suo concetto<br />
di vita-materia infinita che toglie<br />
all’uomo qualsiasi primato ontologico e<br />
lo colloca in una situazione di ineluttabile<br />
finitezza, quale accidente finito tra<br />
innumerevoli accidenti finiti entro un<br />
universo infinito. Al sapiente tocca il<br />
compito di comunicare alle masse le<br />
mutazioni “vicissitudinali” della realtà<br />
umana e fisica, in aperta e frontale opposizione<br />
alle tenebre con le quali - a giudizio<br />
di Bruno -la religione cristiana<br />
ottenebra le menti degli uomini. Analoga<br />
missione profetica permea il pensiero<br />
di Tommaso Campanella, di cui Germana<br />
Aisler ha messo in rilievo la ricchezza,<br />
la complessità e - anche - le ambiguità.<br />
Nonostante limiti e contraddizioni<br />
evidenti, filtra nel suo pensiero una costante<br />
apertura per le novità in campo<br />
filosofico e scientifico, come attesta il<br />
suo assiduo confronto con le posizioni di<br />
Machiavelli da un lato e di Galileo dall’altro.<br />
Il suo riferimento alla religione -<br />
ambiguamente intesa ora come pura religione<br />
naturale, ora identificata con il<br />
Cristianesimo - si tinge di utopia, in<br />
quanto egli la immagina come cardine di<br />
un nuovo ordine sociale armonioso e<br />
felice in un momento storico tragico e<br />
contrassegnato dalla oppressione e dalla<br />
violenza.<br />
Paolo Galluzzi nel suo intervento ha<br />
fatto il punto sulle differenti interpretazioni<br />
del metodo di Galileo, prendendo<br />
le distanze sia da coloro che ne enfatizzano<br />
- come fa nei suoi recenti studi il<br />
canadese S. Drake - il momento praticosperimentale,<br />
sia da coloro che sottolineano<br />
i suoi legami con l’aristotelismo.<br />
Al contrario, Galluzzi ha riaffermato con<br />
forza la validità dell’interpretazione di<br />
Koyré, tesa a evidenziare il primato della<br />
elaborazione teorica in Galilei rispetto<br />
alla evidenza osservativa, carattere<br />
che conferisce grande arditezza alla sua<br />
avventura intellettuale. Prendendo in<br />
esame le leggi del movimento fisico,<br />
emerge con chiarezza la sostanziale novità<br />
della rete concettuale di Galileo rispetto<br />
a quella tradizionale.<br />
E’ toccato a Cesare Vasoli il compito di<br />
tirare le fila dei differenti contributi nella<br />
sintesi conclusiva e di evidenziarne<br />
una serie di interessanti convergenze interpretative.<br />
In primo luogo, è emersa la<br />
necessità di una revisione delle tradizionali<br />
interpretazioni del Rinascimento,<br />
inadeguate rispetto alla complessità dei<br />
64<br />
fenomeni culturali che lo hanno caratterizzato.<br />
Un secondo aspetto ha messo in<br />
rilievo la varietà degli apporti che si<br />
intrecciano nella ricerca e nel dibattito<br />
filosofico: non c’è solo platonismo, ma<br />
anche la continuazione e , in qualche<br />
caso, la rivitalizzazione dell’aristotelismo.Anche<br />
lo spiritualismo di<br />
ascendenza platonica non deve essere<br />
letto come una pura e semplice riaffermazione<br />
del Cristianesimo, ma come il<br />
tentativo di affrontare una situazione di<br />
crescente lacerazione tra religione istituzionalizzata<br />
e suggestioni spirituali di<br />
antica origine e tradizione.<br />
In tutte le relazioni si è sottolineata la<br />
grande varietà di spunti della filosofia<br />
rinascimentale ed insieme la fortissima<br />
spinta innovativa. Giunto a piena maturazione,<br />
il Rinascimento ha messo in<br />
luce anticipazioni e precorrimenti del<br />
pensiero moderno, ed in questo la filosofia<br />
italiana del tempo ha ricoperto un<br />
ruolo fondamentale. Per dirla con Weber,<br />
il moderno cominciava a prendere<br />
corpo come il mondo del politeismo ed<br />
in questo senso il Rinascimento aveva<br />
già iniziato ad indirizzare le sue ricerche.<br />
Alla fine del convegno, Giancarlo Conti,<br />
presidente dell’ARIFS, ha presentato<br />
il programma del prossimo convegno di<br />
filosofia che riguarderà Platone e avrà<br />
come sede il Centro dei Congressi di<br />
Firenze (Piazza Adua) nei giorni 19 e 20<br />
novembre <strong>1993</strong>. Gli interventi saranno i<br />
seguenti: venerdì 19 Novembre, ore 9.00,<br />
Francesco Adorno: “Socrate e Platone”;<br />
Giuseppe Cambiano: “Platone, i<br />
sofisti e la letteratura socratico-platonica”;<br />
Carlo Augusto Viano: “Idee e mito<br />
in Platone”; Mario Vegetti: “Platone e<br />
la scienza”; Margherita Isnardi<br />
Parente:”Oralità dialettica e politica”.<br />
Sabato 20 novembre, ore 9.00, Bruno<br />
Gentili: “Poesia e mito in Platone”; Luc<br />
Brisson: “Recenti orientamenti della storiografia<br />
platonica”; Bruno Centrone:<br />
“L’immagine di Platone nei manuali scolastici”.<br />
Sabato 20 novembre, ore 15:<br />
tavola rotonda conclusiva, coordinata da<br />
Carlo Augusto Viano.<br />
Termine delle iscrizioni: 30 settembre<br />
<strong>1993</strong>. Inviare richiesta di iscrizione, unitamente<br />
alla ricevuta di £.75.000 sul c/c<br />
postale n. <strong>12</strong>808259 intestato a:<br />
A.R.I.F.S. - casella postale 103 - 25100<br />
Brescia (Causale del versamento: “per<br />
quota associativa”). Per ulteriori informazioni:<br />
tel/fax 030.3757341, dalle 15<br />
alle 16, esclusi festivi, prefestivi. F.S.
TEORIA<br />
Vol. XII, n. 2, 1992<br />
ETS, Pisa<br />
Il romanzo dell’identità. Metafisica ed ermeneutica,<br />
di V. Sainati: il tema dell’identità<br />
da Parmenide ad Heidegger.<br />
Universalismo e particolarismo nell’etica<br />
contemporanea, di O. Guariglia.<br />
L’ermeneutica e il problema della fine, di<br />
A. Fabris: recensione di M. Ruggenini, I<br />
fenomeni e le parole. La verità finita dell’ermeneutica<br />
(Marietti, Genova, 1992), e<br />
di V. Vitiello, Topologia del moderno (Marietti,<br />
Genova, 1992).<br />
Recenti studi fichtiani, di G. Rotta: recensione<br />
di P. Baumanns, J. G. Fichte. Kritische<br />
Gasamtdarstellung seiner Philosophie<br />
(Alber, Freiburg/München, 1990), e di P.<br />
Rohs, J. G. Fichte (C. H. Beck, München,<br />
1991).<br />
Poesia e verità, a cura di M. Corsi: le lettere<br />
di Luigi Scaravelli a Clotilde Marghieri.<br />
AUT AUT<br />
n. 252, novembre-dicembre 1992<br />
La Nuova Italia, Firenze<br />
Tema della rivista: “Retoriche dell’alterità”.<br />
Retoriche dell’alterità, di P. A. Rovatti:<br />
l’articolo analizza la questione dell’alterità<br />
dal punto di vista della retorica, cioè degli<br />
atteggiamenti teorici e pratici, attraverso<br />
cui essa si dà nel linguaggio.<br />
Il nemico, categoria dell’alterità, di A. Del<br />
Lago: l’alterità come sintomo della spoliticizzazione<br />
del pensiero a seguito della crisi<br />
della metafisica, con particolare attenzione<br />
alla sfera dell’ostilità.<br />
Alterità cosmiche, di G. P. Comolli:<br />
pur essendosi così allontanato dalla natura,<br />
l’uomo ha avuto modo, più di ogni<br />
altro essere, di contemplare da vicino le<br />
RASSEGNA RIVISTE<br />
RASSEGNA RIVISTE<br />
a cura di Silvia Cecchi<br />
forme del cosmo; la protolingua del cosmo<br />
ed il rapporto con la lingua dell’uomo.<br />
Riserva di alterità, di R. Prezzo: la donna<br />
come simbolo dell’alterità e la proiezione<br />
su di essa delle caratteristiche dell’estraneo.<br />
Verso un’etica della necessità, di F. Polidori:<br />
il vincolo che lega il Medesimo e<br />
l’Altro.<br />
Estranea familiarità, di G. Berto: la nozione<br />
di Umheimliche a partire da un saggio di<br />
Freud del 1919-1920.<br />
Molteplicità e alterità, di R. Cristin.<br />
L’innesto impossibile: l’alterità imperfetta<br />
del confronto ebraico-cristiano, di R. De<br />
Benedetti.<br />
L’altro io, di E. Greblo: la riflessione etica<br />
di R. Hare.<br />
L’essere “altrove” dell’etnografia, di R.<br />
De Biasi.<br />
Invito a pranzo da Kant, di A. Heller: la<br />
filosofia della cultura in Kant.<br />
Tra ermeneutica e semiotica, di P. Ricoeur.<br />
ELENCHOS<br />
Vol. XIII, 1992, n. 1-2<br />
Bibliopolis, Napoli<br />
Tema della rivista: “Sesto Empirico e il<br />
pensiero antico”.<br />
Appaiono in questo numero doppio, unico<br />
dell’annata, le relazioni presentate al convegno<br />
internazioinale di studi dal titolo:<br />
“Sesto Empirico e il pensiero antico”, organizzato<br />
dal Centro di studio del pensiero<br />
antico del CNR (Sestri Levante 28/5-1/6<br />
1991). Il convegno ha messo in luce non<br />
solo la posizione di Sesto in relazione alle<br />
più importanti correnti filosofiche dell’antichità,<br />
ma anche lo stato degli studi relativi<br />
allo scetticismo ed alla figura di Sesto.<br />
65<br />
Sextus Empiricus and the atomist criteria<br />
of truth, di D. Sedley: sulla base dei riferimenti<br />
agli atomisti in M VII 46-262, l’intervento<br />
analizza la classificazione data<br />
degli atomisti da Sesto che riprende da<br />
Enesidemo e da Antioco di Ascalona il<br />
materiale della sua trattazione.<br />
L’esposizione dei sofisti e della sofistica<br />
in Sesto Empirico, di C. J. Classen: la<br />
posizione di Sesto in relazione a Protagora,<br />
Gorgia, Prodico, Seniade, Eutidemo,<br />
Dionisodoro.<br />
Die sogenannten kleinen Sokratiker und<br />
ihre Schulen bei Sextus Empiricus, di K.<br />
Döring: i riferimenti di Sesto a Socrate e ai<br />
Socratici.<br />
Sesto, Platone l’Accademia antica e i Pitagorici,<br />
di M. Isnardi Parente: il riferimento<br />
di Sesto a Platone, ai Platonici e ai Pitagorici<br />
riguarda soprattutto questioni di esegesi<br />
di alcuni passi di difficile interpretazione.<br />
Sesto Empirici e l’Accademia scettica, di<br />
A. M. Ioppolo: Sesto tende a distinguere la<br />
posizione dello scetticismo da quella dell’Accademia<br />
scettica.<br />
Sextus Empiricus and the Peripatetics, di J.<br />
Annas: secondo una tesi storiografica accreditata<br />
le citazioni di Aristotele e degli<br />
Aristotelici da parte di Sesto sembrano<br />
derivare più da una manualistica che da una<br />
conoscenza diretta e sono usate per lo più in<br />
chiave antistoica.<br />
Sextus Empiricus und die Stoiker, di K.<br />
Hülser: gli Stoici sono per Sesto i dogmatici<br />
per eccellenza; lo scontro tra le due<br />
posizioni assume significati interessanti<br />
anche alla luce della riflessione moderna.<br />
Sesto e gli Scettici, di F. Caizzi Decleva:<br />
riflettendo sulla figura di Sesto non come<br />
fonte, ma come autore, vengono messi in<br />
luce i rapporti tra Sesto Empirico, Eneside
mo e l’Accademia scettica.<br />
IL CANNOCCHIALE<br />
n. 2, maggio-agosto 1992<br />
EDS, Napoli<br />
Teoresi del fondamento (II), di P. Miccoli.<br />
La verità e l’annuncio. Il significato religioso<br />
del pensiero di Heidegger, di G.<br />
Sadun Bordoni: la presenza di un tema<br />
religioso sullo sfondo del pensiero heideggeriano<br />
emerge significativamente attraverso<br />
il problema della verità. In un’ottica<br />
di questo tipo troverebbero soluzione anche<br />
tutte le difficoltà interpretative relative<br />
alla “svolta”.<br />
La geometria caotica della mente. Complessità<br />
e creatività del sistema cerebrale,<br />
di F. Ianneo: un approccio interdisciplinare<br />
che, partendo dalle più recenti acquisizioni<br />
della neurofisiologia, coglie la complessità<br />
strutturale di una personalità mentale.<br />
“Il nome della rosa” e la semiotica di Eco,<br />
di J. Kèlemen.<br />
FENOMENOLOGIA E SOCIETA’<br />
Vol. XV, n. 2, 1992<br />
Edizioni Piemme, Alessandria<br />
Introduzione a “cultura e comunicazione”,<br />
di K. Eder: attraverso una rapidissima<br />
disamina della “svolta culturalistica” che è<br />
stata operata all’interno della sociologia, il<br />
breve articolo rileva il nesso tra cultura e<br />
discorso, consentendo di inquadrare meglio<br />
il ruolo della cultura all’interno delle<br />
varie condizioni sociali.<br />
Il paradosso della “cultura”. Oltre una<br />
teoria della cultura come fattore consensuale,<br />
di K. Eder: contrariamente a quanto<br />
sostiene la teoria tradizionale della sociologia,<br />
tanto di Weber, quanto di Parsons,<br />
secondo cui la cultura è un fattore che lega<br />
la società, viene dimostrato come in realtà<br />
la cultura sia un elemento di dissociazione.<br />
Le teorie contemporanee della giustizia:<br />
vicolo cieco o necessità?, di P. Van<br />
Parijs: versione in parte modificata dell’ultimo<br />
capitolo di un opera, Che cos’è<br />
una società giusta?, che l’autore sta approntando<br />
per la casa editrice Seuil di<br />
Parigi, l’articolo analizza le teorie contemporanee<br />
della giustizia, sottolineando<br />
al tempo stesso quali aporie comportano<br />
le soluzioni proposte.<br />
Aristotele e i rapporti di dominio, di F.<br />
Ingravalle: breve nota sull’XI Symposium<br />
aristotelicum del 25/8-3/9 1987.<br />
Senso tragico della storia ed “Heureuses<br />
RASSEGNA RIVISTE<br />
révolutions” nel pensiero di Condorcet, di<br />
G. Piazza: una lettura di Esquisse d’un<br />
tableau historique des progrès de l’esprit<br />
humain di Condorcet, a partire dall’interpretazione<br />
di G. G. Granger (La mathématique<br />
sociale du marquis de Condorcet,<br />
PUF, Paris, 1953).<br />
La crisi euripidea del mito e il post-moderno,<br />
di G. M. Cordero: se la Sofistica mette<br />
in luce la contraddizione che esiste a livello<br />
etico tra normatività e desiderio, volere e<br />
comportamento ispirato alla norme dell’ethos,<br />
Euripide, il tragediografo che più<br />
da vicino si ispira al pensiero sofistico,<br />
appare certamente inattuale rispetto all’ambiente<br />
in cui vive, in quanto avverte lo iato<br />
tra disposizione razionale e volontà, realizzando<br />
una sorta di fallimento del razionalismo<br />
che aporeticamente può essere proposto<br />
al pensatore post-moderno.<br />
L’etica del discorso e i suoi nemici, di F.<br />
Giani: recensione della raccolta di saggi<br />
dal titolo: Etiche in dialogo, curata da M. T.<br />
Vasconcelos e M. Calloni (Marietti, Genova,<br />
1990), da cui emerge la rilevanza e<br />
l’attualità intellettuale della filosofia pratica,<br />
introdotta da due interventi programmatici<br />
di Apel ed Habermas.<br />
Eticità e modernità. Sul filo della riflessione<br />
weberiana, di G. Balistreri: l’articolo<br />
propone una riflessione sulle conclusioni<br />
di Weber sul significato etico della Modernità;<br />
se da un lato il mondo moderno si<br />
configura come una rottura dell’unitarietà<br />
della vita e come una parcellizzazione dell’anima<br />
che non è più in grado di conformarsi<br />
ad un cosmo ordinato, oggettivo ed<br />
unitario di valori, dall’altro proprio questa<br />
situazione rende possibile per il soggetto<br />
una scelta soggettiva, ma responsabile, delle<br />
proprie decisioni, scelta che si pone come<br />
vero e proprio destino a cui il soggetto<br />
liberamente si vota.<br />
ACTA PHILOSOPHICA<br />
Vol. I, n. 2, 1992<br />
Armando editore, Roma<br />
Edmund Husserl ed Edith Stein. La questione<br />
del metodo fenomenologico, di A.<br />
Ales Bello: la ricostruzione della formazione<br />
fenomenologica e della ricezione<br />
della dottrina di Husserl da parte di Edith<br />
Stein.<br />
Per una metafisica problematica e dialettica,<br />
di E. Berti: il problema della<br />
metafisica in rapporto ai recenti interventi<br />
di Habermas, con il suo attuale<br />
attacco al ritorno metafisico di origine<br />
gadameriana, e alle posizioni di W. Pannenberg,<br />
che pone la necessità di un<br />
rinnovamento della metafisica.<br />
66<br />
Rethinking the christian philosophy debate:<br />
an old puzzle and some new points of<br />
orientation , di T. D’Andrea: esame dei<br />
principali interventi nel dibattito sulla “filosofia<br />
cristiana”.<br />
Descubrimiento de América: derecho natural<br />
y pensamiento utopico, di M. Fazio:<br />
sul dibattito e sui problemi teorici sollevati<br />
dalla scoperta dell’America: la dignità<br />
umana degli indigeni, la giustificazione<br />
delle guerre di conquista, la nascita del<br />
pensiero politico utopistico.<br />
Perché una filosofia politica? Elementi<br />
storici per una risposta, di M. Rhonheimer.<br />
L’umanesimo del lavoro nel Beato Josemariaà<br />
Escrivà: Riflessioni filosofiche, di<br />
J. J. Sanguineti.<br />
L’antropologia tomista e il body-mind problem<br />
(alla ricerca di un contributo mancante),<br />
di L. Borghi: la relazione mentecorpo<br />
nell’antropologia tomista.<br />
Unidad del conocimiento y fundamentacion<br />
de la metafisica en la Critica de la<br />
razon pura, di P. Giralt.<br />
La mimesi e la metafora nella poetica di<br />
Aristotele, di A. Malo.<br />
Ethical theology and its dissolution in Kant,<br />
di A. Ramos.<br />
FILOSOFIA<br />
Vol. XLIII, n. 3, settembre-dicembre 1992<br />
Mursia, Milano<br />
L’attualismo di Gentile e la morte dell’arte,<br />
di V. Mathieu.<br />
La forma e il limite, di G. Gallino: l’esperienza<br />
del Bildungsroman inaugurato da<br />
Goethe e l’idea di una normatività dell’ironia<br />
come limite per la forza dirompente<br />
della soggettività romantica.<br />
L’inno della perla: una risposta al problema<br />
gnostico, di S. Nosari: all’interno della<br />
prospettiva gnostica di una ricerca della<br />
coscienza come processo di perfezionamento<br />
del proprio stato ontologico e liberazione<br />
dalla schiavitu mondana, l’articolo<br />
esamina L’inno della perla, versione poetica<br />
del mito soteriologico gnostico.<br />
La posizione storiografica del pensiero di<br />
Carlo Mazzantini, di A. Rizza.<br />
L’”Antibancor” e la filosofia del danaro,<br />
di M. Pinottini: presentazione del volume<br />
dell’autore: L’Antibancor (Padova, Ed. di
Ar, settembre 1992).<br />
RIVISTA DI FILOSOFIA<br />
NEOSCOLASTICA<br />
Vol. LXXXIV, n. 2-3, aprile-settembre<br />
1992<br />
Vita e Pensiero, Milano.<br />
L’interpretazione di Platone della scuola<br />
di Tubinga e della scuola di Milano, di H.<br />
Krämer: l’ autore interviene a proposito<br />
della decima edizione dell’opera di Giovanni<br />
Reale, Per una nuova interpretazione<br />
di Platone: rilettura della metafisica dei<br />
grandi dialoghi alla luce delle dottrine non<br />
scritte (Vita e Pensiero, 1986).<br />
Precisazioni metodologiche sulle implicanze<br />
e sulle dimensioni storiche del nuovo<br />
paradigma ermeneutico nell’interpretazione<br />
di Platone, di G. Reale: critica di alcuni<br />
pregiudizi di natura teoreticistica, storica,<br />
ideologica circa il nuovo paradigma interpretativo<br />
di Platone offerto dalla Scuola di<br />
Tubinga e, in Italia, da quella di Reale.<br />
Una nuova edizione italiana di Platone, di<br />
A. Bausola: presentazione dell’edizione<br />
dell’opera di Platone a cura di G. Reale:<br />
Tutti gli Scritti (Rusconi, Milano, 1991).<br />
Inmportanza storica e teoretica del pensiero<br />
neoplatonico nel pensare l’Uno di Werner<br />
Beierwaltes, di M. L. Gatti.<br />
Plotino e Ficino: autorelazione del pensiero,<br />
di W. Beierwaltes: Ficino rappresenta<br />
senz’altro uno degli interpreti più significativi<br />
del pensiero plotiniano, sia per la sua<br />
acutezza interpretativa, che per la sua profonda<br />
conoscenza della lingua greca che gli<br />
permise di entrare in sintonia con il grande<br />
pensatore tardo-antico. In particolare, la<br />
questione relativa all’autorelazione del<br />
pensiero, sia rispetto al pensiero divino e<br />
assoluto, sia rispetto a quello umano e<br />
finito, viene sviluppata da Ficino in rapporto<br />
a Plotino e alla luce della mediazione<br />
agostiniana.<br />
L’interpretazione di Plotino della teoria<br />
platonica dell’anima, di T. A. Szlezak:<br />
all’interno dei concetti della tradizione platonica<br />
l’articolo sviluppa l’analisi della teoria<br />
dell’anima plotiniana.<br />
Interpretazione e critica di Plotino della<br />
concezione del tempo dei suoi predecessori,<br />
di A. Trotta: in Enneade III, 7 Plotino<br />
elabora il proprio concetto di tempo come<br />
vita dell’anima in rapporto al mondo attraverso<br />
una lunga preparazione, che passa<br />
anche da un’analisi delle dottrine postplatoniche<br />
del tempo, allo scopo di sottolineare<br />
la relazione problematica tra tempo<br />
e movimento e mettere in luce il primato<br />
ontologico della successione temporale nei<br />
confronti del movimento stesso. L’essere<br />
del tempo è fondato per Plotino nell’anima<br />
del mondo come atto che svolge l’unità<br />
RASSEGNA RIVISTE<br />
dell’eterno nella successione; creando il<br />
tempo l’anima crea il mondo sensibile e il<br />
movimento.<br />
Teologia cosmica e metacosmica nella filosofia<br />
greca e nello gnosticismo di A. P.<br />
Bos: se lo gnosticismo ellenistico è pervaso<br />
dal desiderio di conoscere l’Origine e il<br />
Fondamento dell’uomo e di tutte le cose,<br />
appare evidente come il fondamento della<br />
comprensione piena del fenomeno della<br />
Gnosi sia il richiamo alla tradizione della<br />
filosofia greca.<br />
La funzione e la portata della critica alle<br />
idee nel Parmenide di Platone, di M. Pezzolato.<br />
I metaxù nella Repubblica: loro significato<br />
e loro funzione, di C. Marcellino.<br />
La struttura del mondo soprasensibile nella<br />
filosofia di Giamblico, di G. Cocco: la<br />
moltiplicazione delle ipostasi soprasensibili,<br />
caratteristica peculiare del neoplatonismo<br />
di Giamblico, rappresenta il tentativo<br />
di rifondare ontologicamente e concettualmente<br />
il politeismo pagano; più che sulla<br />
filosofia, la metafisica di Giamblico appare<br />
perciò fondata su problematiche religiose.<br />
Gli influssi del platonismo sul neostoicismo<br />
senecano di M. Natali: benché la formazione<br />
di Seneca sia decisamente stoica,<br />
nel suo pensiero sono presenti spunti spiritualistici<br />
di origine platonica, che incrinano,<br />
sul piano storico-filosofico, il trionfante<br />
materialismo, preparando la successiva<br />
ripresa della tradizione spiritualista.<br />
Originalità filosofica dei Pensieri di Marco<br />
Aurelio, di L. Crovi.<br />
John Niemeyer Findlay, un platonico fra i<br />
neopositivisti: ritratto biografico, di M.<br />
Marchetto.<br />
PER LA FILOSOFIA<br />
<strong>Anno</strong> IX, n. 26, settembre-dicembre 1992<br />
Massimo, Milano<br />
Tema della rivista: “Le vie della metafisica”.<br />
Per una metafisica problematica e dialettica,<br />
di E. Berti: nel nostro secolo le dichiarazioni<br />
di “morte” della metafisica di tipo<br />
nietzcheano e heideggeriano hanno avuto<br />
una valida alternativa nelle proposte di una<br />
razionalità dialogica ed argomentativa offerte<br />
dalla seconda generazione della Scuola<br />
di Francoforte, in particolare da Habermas<br />
ed Apel. L’articolo discute perciò la<br />
recente presa di posizione di Habermas<br />
contro il “ritorno alla metafisica” rappresentato<br />
dal “neoaristotelismo ermeneu-<br />
67<br />
tico” di Gadamer, dalla “teleologia oggettivistica”<br />
di Spaemann e di Jonas e dal<br />
“rinnovamento della metafisica” di Henrich.<br />
Nello stesso tempo, proprio dal fronte<br />
antimetafisico di stampo heideggeriano<br />
emerge la necessità di un “rinnovamento<br />
della metafisica”, quale viene proposto da<br />
un teologo della speranza come Pannenb<br />
e r g .<br />
Il concetto di metafisica, di P. Faggiotto:<br />
l’articolo tenta di formulare una definizione<br />
di metafisica legato alla struttura dell’esperienza<br />
umana.<br />
Interpretazione esistenziale della metafisica,<br />
di G. Penzo.<br />
L’inevitabilità della metafisica del postmoderno,<br />
di A. Poppi.<br />
Sull’ingresso della metafisica, di V. Possenti:<br />
la conoscenza dell’essere e l’esperienza<br />
del Sé in M. Heidegger.<br />
Metafisica: pensiero forte o pensiero debole?,<br />
di U. Regina: l’uso del termine metafisica<br />
in Heidegger.<br />
Una via d’accesso alla metafisica: l’ulteriorità<br />
come dialettica, di A. Rigobello:<br />
l’articolo ritrova uno spazio per la metafisica<br />
in un pensiero che sia ulteriore rispetto<br />
al dominio analitico dei vari settori dell’esperienza,<br />
propri della riflessione contemporanea.<br />
Critica del neoparmenidismo e semantizzazione<br />
dell’essere di C. Vigna: un confronto<br />
con il pensiero di E. Severino.<br />
Tomismo e democrazia, di J. F. Nothomb:<br />
il senso della democrazia in Maritain.<br />
Appunti per un profilo storico-filosofico<br />
del pensiero di Hegel, di M. Roncoroni.<br />
L’educazione alla verità: il valore del “senso<br />
comune” in Vico e in Pareyson, di F.<br />
Russo.<br />
Il filosofo scienziato Ludovico Geymonat,<br />
di D. Coviello.<br />
CON-TRATTO<br />
<strong>Anno</strong> I, n. 1, dicembre 1992<br />
Il Poligrafo, Padova<br />
La parte tomista della rivista è dedicata al<br />
tema: “Nichilismo e Gnosi”; la parte contemporanea<br />
è dedicata al tema: “Ermeneutiche<br />
leopardiane”.<br />
Le radici del pensiero debole: nihilismo e<br />
fondamenti della matematica, di G. Basti e<br />
A. Perrone.<br />
Nichilismo. Genesi filosofica e rifles-
si sulla cultura contemporanea, di E.<br />
Corradi: l’articolo si sviluppa attorno<br />
a tre nodi tematici: il rapporto tra nichilismo<br />
e carattere complesso del nostro<br />
tempo; la genesi filosofica del nichilismo<br />
e i suoi principali sviluppi; i riflessi<br />
del nichilismo sulla mentalità post-moderna.<br />
Dominio dell’istante, dominio della morte<br />
alla ricerca di uno schema gnostico, di E.<br />
Samek Lodovici: la concezione gnostica<br />
del tempo e dell’istante appare connessa al<br />
pensiero rivoluzionario marxista; per i<br />
compagni e per la società del rivoluzionario,<br />
dominio della morte significa un nuovo<br />
modo di pensare l’istante, cioè di percepire<br />
il tempo.<br />
Gnosi antica e “sapientia” tomista. Elementi<br />
per un confronto speculativo, di A.<br />
Porcarelli.<br />
Scrittura e poesia. Conversazioni con Edmond<br />
Jabès, a cura di E. Manfredotti.<br />
Cammino di un lettore. Conversazione con<br />
Cesare Galimberti di A. Folin.<br />
Leopardi platonicus?, di M. Cacciari.<br />
Indifferenza e natura. Una presenza gnostica<br />
in Giacomo Leopardi, di R. Panattoni:<br />
l’accostamento, comunque problematico,<br />
tra Leopardi e la gnosi antica viene qui<br />
proposto attraverso il riferimento alla libertà<br />
umana in rapporto alla natura.<br />
“Quasi una finta imago”, di A. Folin: la<br />
meditazione leopardiana sul concetto di<br />
immagine.<br />
Il segno e il velo della differenza. Sull’Indice<br />
dello Zibaldone, di A. Calzolari e M. R.<br />
Torlasco.<br />
Notturno, di A. Prete: il tema del notturno<br />
nei Canti leopardiani.<br />
Etimologie della Ginestra, di G. Scalia.<br />
IRIDE<br />
n. 9, maggio-agosto 1992<br />
Ponte alle Grazie, Firenze<br />
Epistemologia e verità, di D. Davison: l’articolo<br />
vuole mettere in discussione il concetto<br />
di verità che emerge dalle teorie intuitive<br />
e dalle contrapposte teorie relativistiche<br />
della verità.<br />
Le strutture del mondo del senso comune,<br />
di B. Smith: l’articolo dimostra che il mondo<br />
del senso comune può essere trattato,<br />
dal punto di vista ontologico, come oggetto<br />
di un’indagine autonoma che può a sua<br />
volta aiutare a capire le strutture della realtà<br />
RASSEGNA RIVISTE<br />
fisica e della conoscenza.<br />
Trotsky e le orchidee selvatiche, di R. Rorty:<br />
un articolo autobiografico sulla genesi<br />
delle proprie idee.<br />
Il presente respira attraverso la storia, di<br />
M. Cruz.<br />
Narrazione e futuro. A proposito di Temps<br />
et Récit e dell’unità della storia, di G. Mari.<br />
Il soggetto come identità e l’identità del<br />
soggetto di S. Moravia.<br />
Narrazione e “fragilità”. Su alcune variazioni<br />
in Paul Ricoeur, di P. A. Rovatti.<br />
Narrazione e tradizione, di C. Sini: la serie<br />
dei cinque interventi è dedicata alla figura<br />
di Paul Ricoeur ed al tema “narrazione,<br />
tempo, soggetto”.<br />
Elogio di Epimeteo. di U. Curi.<br />
Soggetto (l’io e l’altro), di S. Givone.<br />
Individuo. persona, diritti: quale base razionale<br />
per l’etica?, di E. Lecaldano: i due<br />
ultimi articoli affrontano il tema della dimensione<br />
della soggettività sulla scorta dei<br />
risultati emersi in un seminario organizzato<br />
da IRIDE.<br />
Variazioni barocche, di F. Jarauta: sulla<br />
base della trattazione di Benjanin, il breve<br />
intervento sottolinea l’importanza del barocco<br />
nella genesi della modernità.<br />
Reale relativismo, di E. LePore: il realismo<br />
di Putnam.<br />
A proposito di de Finetti, di M. G. Sandrini.<br />
Lecaldano e la legge di Hume, di M. Vacatello:<br />
recensione di E. Lecaldano: Hume e<br />
la nascita dell’etica contemporanea (Laterza,<br />
Bari, 1991).<br />
ITINERARI FILOSOFICI<br />
<strong>Anno</strong> II, n. 3,<br />
maggio-agosto 1992<br />
Università degli <strong>Studi</strong>, Milano<br />
Figure del Fondo. La filosofia e il soggetto<br />
nella Montagna Incantata di Thomas Mann,<br />
di M. Fortunato.<br />
Spiegazione dell’agire, agire dell’esplicazione,<br />
di D. Sparti: un’indagine relativa<br />
alla nozione di spiegazione, la cui analisi,<br />
presentata nel quadro pragmatico dello spiegare<br />
come pratica teorico-comunicativa,<br />
viene spostata da un piano epistemologico<br />
ad uno pratico. L’articolo interpreta lo spiegare<br />
come attività tipicamante comunicativa<br />
che comporta la ridescrizione di una<br />
68<br />
determinata azione compiuta da chi spiega<br />
e rivolta a chi ascolta, entrambi “attori<br />
sociali”. Le due funzioni della spiegazione,<br />
quella “normativa” e quella di “identificazione”,<br />
hanno in comune il fatto di produrre<br />
(o riprodurre) una forma di organizzazione<br />
dell’ordine sociale.<br />
Tracce della differenza ontologica: Kant,<br />
Hegel, Heidegger, di F. Cassinari: il saggio<br />
sostiene un’analogia di struttura e di motivi<br />
nell’atteggiamento ermeneutico di Heidegger<br />
nei confronti di Kant ed Hegel. Attraverso<br />
l’esame dei testi di questi filosofi in<br />
rapporto alla lettura datane da Heidegger,<br />
l’autore chiarisce come sia possibile trovare<br />
decisive chiavi di accesso per la comprensione<br />
del pensiero heideggeriano nella<br />
sua originalità, nonché per cogliere in esso<br />
alcune aporie, soprattutto quella relativa<br />
alla nozione di “superamento” della metafisica.<br />
Heidegger a Zollikon, di C. La Rocca.<br />
Lettura sintomale ed ermeneutica psicoanalitica,<br />
a cura di I. Domanin: resoconto<br />
del convegno su Louis Althusser, tenutosi<br />
a Milano presso l’Università degli <strong>Studi</strong> (5-<br />
6 Febbraio 1992).<br />
REVUE PHILOSOPHIQUE DE LOUVAIN<br />
Vol. 90, novembre 1992<br />
Editions de l’institut supérieur de philosophie<br />
Tema della rivista: “Metafisica e ontologia”.<br />
Le concept de philosophie première dans<br />
la Métaphysique d’Aristote, di J. Follon:<br />
una lettura ontoteologica della filosofia<br />
prima di Aristotele, quale scienza delle<br />
cause prime e perciò delle sostanze divine;<br />
secondo l’interpretazione tradizionale essa<br />
è perciò eziologia e teologia, ma anche<br />
ontologia, dato che le cause prime si riferiscono<br />
all’essere.<br />
“Physique” et “métaphysique”chez Aristote,<br />
di P. Destrée.<br />
De l’ontologie à la théologie; lecture du<br />
livre Z de la Métaphysique d’Aristote, di G.<br />
Gérard: il libro Z della Metafisica rappresenta<br />
una chiave di volta nell’economia<br />
della filosofia aristotelica, poiché qui Aristotele<br />
individua nella teologia il senso<br />
profondo della tematica ontologica.<br />
La stylométrie et la question de Métaphysique<br />
K, di C. Rutten.<br />
Le statut de l’Un dans la Métaphysique, di<br />
L. Couloubaritsis: nonostante la generale<br />
convinzione che Essere ed Uno siano concetti<br />
e termini convertibili reciprocamente,
l’autore sostiene che, al di là di pochi casi<br />
limite, il rapporto tra Essere ed Uno sia<br />
regolato dalla complementarietà.<br />
Une nouvelle approche de la philosophie<br />
d’Ernst Cassirer, di S. Loft: recensione di<br />
J. M. Krois: Cassirer: symbolic forms and<br />
history (Yale University Press, New Haven,<br />
London 1991).<br />
Coup d’oeil sur la philosophie italienne<br />
contemporaine: le “trascendentalismo della<br />
prassi” et la philosophie critique de M.<br />
Dal Pra, di L. Rizzerio.<br />
REVUE PHILOSOPHIQUE<br />
DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER<br />
n. 4, ottobre-dicembre 1992<br />
PUF, Paris<br />
Tema della rivista: “Cartesio e la tradizione<br />
umanista”.<br />
L’image de l’homme chez Descartes et<br />
chez le cardinal de Bérulle, di J. L. Vieillard-Baron:<br />
la differenza tra la posizione di<br />
Cartesio e quella di Bérulle sulla concezione<br />
dell’uomo appare emblematica di un<br />
cambiamento avvenuto nella cultura e nella<br />
mentalità nel corso di quegli anni. Se per<br />
Bérulle l’uomo, pur rivestendo un ruolo<br />
centrale nell’universo, come per Cartesio,<br />
si colloca all’interno di una visione rinascimentale<br />
della cosmologia, per Cartesio esso<br />
partecipa del meccanicismo dell’universo.<br />
Anche per quanto riguarda l’analisi della<br />
volontà umana e delle passioni la visione di<br />
Bérulle è in un certo senso antiumanista,<br />
perché si riconnette alla tradizione agostiniana,<br />
mentre per Cartesio il libero arbitrio<br />
è la più nobile delle funzioni umane.<br />
Descartes philosophe et écrivain, di J. Lafond:<br />
l’articolo ricostruisce con precisione<br />
l’interesse mostrato da Cartesio nei confronti<br />
del dibattito coevo relativo al ruolo e<br />
alle forme della letteratura.<br />
Doute pratique et doute spéculatif chez<br />
Montaigne et Descartes, di G. Rodis-Lewis.<br />
L’homme et le langage chez Montaigne et<br />
Descartes, di F. de Buzon: il rapporto che<br />
lega Cartesio a Montaigne è piuttosto complesso:<br />
più che accettare completamente o<br />
completamente rigettare alcuni aspetti della<br />
filosofia di Montaigne, Cartesio utilizza<br />
alcuni suoi argomenti, ad esempio scettici,<br />
in una direzione opposta allo scetticismo.<br />
L’unica tematica in cui Cartesio evoca esplicitamente<br />
Montaigne è la questione del<br />
linguaggio e della differenza tra l’uomo e<br />
l’animale.<br />
RASSEGNA RIVISTE<br />
René Descartes et Pierre Charron, di M.<br />
Adam: l’articolo analizza in che senso il<br />
pensiero di Charron (1541-1603), accanto<br />
a quello di Montaigne, possa essere considerato<br />
una fonte di quello cartesiano.<br />
LES ETUDES PHILOSOPHIQUES<br />
ottobre-dicembre 1992<br />
PUF, Paris<br />
Tema della rivista: “Poesia e filosofia nell’idealismo<br />
tedesco”.<br />
Sensibilité et dualisme dans les Lettres sue<br />
l’éducation esthétique de l’homme, di M.<br />
Castillo: il superamento del dualismo kantiano<br />
tra ragione e sensibilità è ottenuto da<br />
Schiller attraverso la scoperta della dimensione<br />
estetica che apre anche una curvatura<br />
politica nella sua riflessione.<br />
Poésie, philosophie et science chez Friedrich<br />
von Hardenberg (Novalis), di D.<br />
Lancerau.<br />
Enthousiasme et ironie. La dialectique artistique<br />
selon K. W. F. Solger, di J. Colette:<br />
le considerazioni sull’arte e sull’artista di<br />
Solger nel dialogo Erwin (1815) e nelle<br />
Lezioni d’estetica (1829).<br />
Hölderlin: fragment d’une esthétique spéculative,<br />
di J. L. Vieillard-Baron: la sintesi<br />
tra l’atto del poetare e quello del filosofare<br />
vengono esaminati a partire dalla Dichterberuf<br />
(1801) e dalle esplicazioni teoriche<br />
redatte ai tempi dell’Empedocle (1798-<br />
1800).<br />
Poésie et mysticisme dans la dernière philosophie<br />
de Schelling, di M. C. Challiol.<br />
Empédocle et Zarathustra: sept versions<br />
de la morte libre, di M. Kerkhoff.<br />
PHENOMENOLOGICAL INQUIRY<br />
Vol. XVI, ottobre 1992<br />
The World Institute<br />
of Advanced Phenomenological Research<br />
and Learning<br />
Belmont<br />
A phenomenological interpretation of John<br />
Locke’s distinction between sensible and<br />
intellegible ideas, di Y. Tomida: l’interpretazione<br />
della teoria lockeane delle idee alla<br />
luce della teoria husserliane del significato.<br />
Husserl and his analytic interpreters: some<br />
revealing questions, di R. Cobb-Stevens:<br />
scopo dell’articolo è cogliere il senso ed<br />
esaminare criticamente le recenti interpretazioni<br />
date dalla scuola analitica ad alcuni<br />
69<br />
aspetti del pensiero di Husserl, con particolare<br />
attenzione al concetto di noema.<br />
Conceptions of freedom: Hegel, Sartre and<br />
confucianism, di Y. Chen.<br />
Sartre conception of freedom, di W. L. Mc<br />
Bride.<br />
Innocence, guilt and totalitarianism, di M.<br />
L. Pfeiffer: una breve riflessione su Humanisme<br />
et Terreur (1947) di M. Merleau-<br />
Ponty.<br />
Heidegger and the fundamental ontology<br />
of language, di R. Raj Singh.<br />
The world of language: Merleau-Ponty<br />
and Mead, di P. L. Bourgeois e S. B.<br />
Rosenthal: il pensiero di Merleau-Ponty e<br />
Mead affonda le proprie radici in una concezione<br />
olistica, che rifiuta un approccio<br />
semplicemente riduzionista alla questione<br />
del linguaggio.<br />
Communication in the context of cultural<br />
diversity, di C. O. Schrag: la questione del<br />
rapporto tra comunicazione e comunità a<br />
partire da Ragione ed Esistenza di Jaspers.<br />
Allegory and maxim: power and faith, passions<br />
and virtues. Queen Christina of Sweden,<br />
a citizen of the world: from Stockholm<br />
to Paris to baroque Rome, di M. Kronegger.<br />
Is philosophy as a rigorous science still<br />
topical today?, di A. Ales Bello.<br />
JOURNAL OF THE HISTORY<br />
OF PHILOSOPHY<br />
Vol. XXX, n. 4, ottobre 1992<br />
Washington University, St. Louis<br />
Plotinus’ account of participation in Ennead<br />
VI 4-5, di S. K. Strange: un aspetto<br />
non sufficientemente analizzato dalla critica<br />
plotiniana, eppure di grande importanzaper<br />
una corretta e completa comprensione<br />
della metafisica plotiniana, è il problema<br />
della partecipazione del sensibile alle<br />
idee, questione al centro anche del commento<br />
di Proclo al Parmenide platonico. Si<br />
tratta di un’analisi .<br />
Mathematical construction, symbolic cognition<br />
and the infinite intellect: reflections<br />
on Maimon and Maimonides, di D. R.<br />
Lachterman.<br />
Leibniz’s adamic language of thought di<br />
M. Losonsky: prendendo spunto dalla diversità<br />
di posizione tra Locke e Leibniz sul<br />
problema del linguaggio, l’articolo vuole<br />
ricostruire ed evidenziare l’importanza<br />
dell’adesione di Leibniz alle linee di fondo<br />
della teoria adamica del linguaggio; attra-
verso un breve excursus sulla storia di<br />
questa posizione, l’articolo mostra come<br />
essa non si proponga soltanto come teoria<br />
del linguaggio, ma anche come teoria del<br />
pensiero<br />
Hume on the duties of humanity, di R.<br />
Shaver: il dibattito tra doveri della giustizia<br />
e doveri dell’umanità nel XVIII sec.<br />
Fichte, Lask and Lukács’s hegelian marxism,<br />
di T. Rockmore: nella formazione di<br />
Lukács l’approdo al marxismo non avviene<br />
soltanto sulla base dei presupposti hegeliani,<br />
ma risulta fondamentale anche la<br />
meditazione sulla filosofia classica tedesca.<br />
Più in particolare la soluzione marxiana<br />
del problema kantiano della cosa in sé<br />
appare come il frutto della riflessione sul<br />
pensiero di Fichte, attraverso la mediazione<br />
di Lask.<br />
Bergson’s concept of order, di R. Lorand:<br />
il concetto di ordine è fondamentale in tutta<br />
la filosofia occidentale e soprattutto nel<br />
pensiero di Bergson. L’articolo prende in<br />
esame appunto la posizione del filosofo<br />
francese, tenendo presenti i due presupposti<br />
bergsoniani: ci sono due tipi di ordine; il<br />
disordine non esiste.<br />
ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHISCHE<br />
FORSCHUNG<br />
Vol, 46, n. 3, luglio-settembre 1992<br />
Vittorio Klostermann Verlag, Frankfurt<br />
a/M<br />
Sind Tiere Bewussthaber?, di H. Schmitz.<br />
Fichte und die Metaphysik des Unendlichen,<br />
di W. Pannenberg: l’articolo segue le<br />
tappe dello sviluppo della filosofia della<br />
religione di Fichte.<br />
Kein Platz für phänomenale Qualitäten<br />
und Leib- Umwelt-Interaktion?, di G. Pohlenz:<br />
l’analisi trascendentale e le tendenze<br />
della scienza empirica.<br />
Hegels Idee von Europa, di D. Innerarity.<br />
Aesthetica und Anaesthetica, di B. Recki:<br />
recensione di O. Marquard: Aesthetica und<br />
Anaesthetica. Philosophische Überlegungen<br />
(Paderborn 1989)<br />
Das Verschwinden des Originals, di H. J.<br />
Gawoll: dopo aver ricostruito le vicende<br />
relative alla attribuzione dello älteste Systemprogramm<br />
des deutschen Idealismus,<br />
RASSEGNA RIVISTE<br />
frammento scoperto nel 1913 e la cui redazione<br />
é stata generalmente attribuita a Hegel,<br />
l’articolo prende in considerazione i<br />
più recenti interventi critici attorno al frammento,<br />
con particolare attenzione allo studio<br />
di F. P. Hansen “Das älteste Systemprogramm<br />
des deutschen Idealismus”.<br />
Receptions Geschichte und Interpretation<br />
(Berlin, New York 1989).<br />
ARCHIV FÜR GESCHICHTE DER<br />
PHILOSOPHIE<br />
n. 3, 1992<br />
Walter de Gruyter, Berlin, New York<br />
Anmerkungen zur schottischen Aufklärung<br />
(in Aberdeen). Neue Briefe von Baxter,<br />
Beattie, Fordyce, Reid und Stewart, di H.<br />
F. Klemme.<br />
Markt, Motive, moralische Institutionen.<br />
Zur Philosophie Adam Smiths, di G. Streminger.<br />
Go-carts of judgement: exemplars in kantian<br />
moral education, di R. B. Louden: gli<br />
esempi morali individuali occupano nella<br />
riflessione morale di Kant un ruolo superiore<br />
a quello generalmente riconosciuto<br />
ad essi, benché non possano essere considerarti<br />
sufficienti per un’educazione morale.<br />
DAIMON<br />
n. 5, 1992<br />
Universidad de Murcia<br />
Tema della rivista: “Filosofia e letteratura”.<br />
Elegy and identity, di S. Campbell: l’articolo<br />
sviluppa, a partire dal Rinascimento,<br />
l’analisi di esempi storici circa la rottura<br />
dell’identità dovuta alla morte .<br />
El autor, la ficcion, la verdad, di A. Campillo:<br />
a partire dalle considerazioni di Derrida<br />
e Foucault sul rapporto tra autore, vita<br />
ed opera, l’articolo propone un’analisi storica<br />
della categoria di autore, allo scopo di<br />
ripensare la relazione tra filosofia e letteratura<br />
occidentale.<br />
“Back from Moscow, in the URSS”, di J.<br />
Derrida.<br />
Idylle und Müssiggang in der Literatur des<br />
18. Jahrhunderts, di R. Münster.<br />
La letencia o la ficcion de verdad. Sobre el<br />
método del discurso de M. Blanchot, di A.<br />
Poca: attraverso l’esperienza di Blanchot<br />
della scrittura, l’articolo analizza il rapporto<br />
tra soggetto e linguaggio; importantii<br />
riferimenti a Bataille, Klossowski, Deleuze,<br />
Foucault, Derrida.<br />
70<br />
Borges y la filosofia del tiempo, di M.<br />
Schultz.<br />
Cinco curisidades desde la novela gotica,<br />
di J. Seoane.<br />
De la filosofia a la literatura: el caso de<br />
Richard Rorty, di C. Thiebaut: il neopragmatismo<br />
di Rorty occupa un posto centrale<br />
all’interno delle discussioni relative al rapporto<br />
tra filosofia analitica e tradizione<br />
continentale. Attraverso questa sintesi egli<br />
realizza un legame forte tra filosofia e<br />
letteratura.<br />
La construccion del texto, di M. E. Vasquez:<br />
l’articolo si propone di chiarire il<br />
senso del rapporto tra letteratura e filosofia.<br />
LES ETUDES PHILOSOPHIQUES (lugliosettembre<br />
1992, PUF, Paris). Tema della<br />
rivista: “La teoria computazionale dello<br />
spirito; filosofia e scinze cognitive”. Segnaliano,<br />
tra gli altri articoli, un intervento<br />
di H. Putnam: La nature des états mentaux.<br />
FILOSOFIA E TEOLOGIA (Vol. VI, n. 3,<br />
settembre - dicembre 1992) affronta il tema:<br />
“Religione e Sacro tra moderno e postmoderno”,<br />
con interventi su Hegel (Religione<br />
e filosofia in Hegel, di S. Rostagno), su<br />
Lukács (Menschwerdung e Gottesreich nel<br />
giovane Lukács, di L. La Porta), su Adorno<br />
(Filosofia e modernità in Th. Adorno, di I.<br />
Poma), su Habermas (Religione e teoria<br />
critica. Il potenziale critico della religione<br />
di fronte al progetto di Habermas, di J. M.<br />
Mardones).<br />
AESTHETICA (n. 36, dicembre 1992, Centro<br />
Internazionale <strong>Studi</strong> di Estetica, Palermo)<br />
presenta un volume monografico curato<br />
da A. Van Sevenant dal titolo: La<br />
decostruzione e Derrida.<br />
IDEE (<strong>Anno</strong> VII, n. 21, settembre-dicembre<br />
1992, Milella, Lecce) presenta, tra gli<br />
altri, un intervento di R. Convertini su<br />
L’idea di tempo tra filosofia e psichiatria.<br />
REVUE DE METAPHYSIQUE ET DE<br />
MORALE (A. Colin, Paris) ha presentato,<br />
nell’annata 1992, i seguenti numeri monografici:<br />
“Gli Universali” (1/1992); “Neuroscienze<br />
e filosofia; il problema della coscienza”<br />
(2/1992); “Dossografia antica”<br />
(3/1992); “Cassirer” (4/1992).<br />
NUOVA CIVILTA DELLE MACCHINE<br />
(<strong>Anno</strong> XI, n. 1, <strong>1993</strong>, Nuova Eri, Roma)<br />
presenta le riflessione di alcuni autori sul<br />
tema: “La felicità”. L’ambiguità del concetto<br />
di felicità è tale da stimolare fortemente<br />
la riflessione filosofica, ma anche<br />
quella psicologica, scientifica e storica.<br />
Ecco perché, accanto ad interventi più strettamente<br />
filosofici, troviamo alcuni articoli
AA.VV.<br />
Medieval philosophy<br />
and theology: vol. 2<br />
University of Notre Dame Press,<br />
gennaio <strong>1993</strong><br />
pp. 208, £ 13,50<br />
Secondo volume di una rivista annuale<br />
dedicata a studi originali della filosofia<br />
e della teologia medievale. Incoraggiando<br />
un ampio raggio di argomenti<br />
e approcci, essa cerca di stimolare<br />
la conversazione e lo scambio<br />
attraverso i moderni confini delle discipline<br />
e fra metodologie di ricerca e<br />
tradizioni opposte.<br />
AA.VV.<br />
Physikalisierung des Lebens.<br />
Interpretationen und Quellen<br />
zur wissenschaftskritischen<br />
Rekonstruktion<br />
del “Lebens” - Begriff<br />
Vlg.f. Interkult. Komm.<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp. 255, DM 32<br />
AA.VV<br />
Immaginari a confronto<br />
a cura di Carlo Chiarenza<br />
e William L. Vance<br />
Marsilio, aprile <strong>1993</strong><br />
pp.2<strong>12</strong>, L. 32.000<br />
I saggi di questo volume, scritti da<br />
studiosi americani e italiani, si propongono<br />
di far luce sui meccanismi,<br />
più o meno nascosti, che controllano<br />
l’immaginario individuale<br />
e collettivo.<br />
AA.VV.<br />
Die Europaidee<br />
im deutschen Idealismus<br />
und in der deutschen Romantik<br />
Bad Homburg febbraio <strong>1993</strong><br />
pp. 138, DM 28<br />
AA.VV.<br />
<strong>Studi</strong> di filosofia trascendentale<br />
a cura di V. Melchiorre<br />
Vita e Pensiero, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.348, L. 52.000<br />
Il testo analizza il tema dell’identità e<br />
della differenza, che è tra i più sollecitanti<br />
del pensiero contemporaneo e<br />
che per molti aspetti costituisce un<br />
ritorno all’antico problema dell’analogia.<br />
Il volume raccoglie contributi<br />
discussi all’interno di un seminario<br />
promosso dal Dipartimento di Filosofia<br />
e dal Centro di Metafisica dell’Università<br />
Cattolica.<br />
NOVITÀ IN LIBRERIA<br />
NOVITÀ IN LIBRERIA<br />
AA.VV.<br />
La figura di Cristo<br />
nella filosofia contemporanea<br />
Ed. Paoline, marzo <strong>1993</strong><br />
pp. 598, L. 35.000<br />
Prefazione di B. Forte. In una sorta di<br />
colloquio con Cristo vengono rivisitati<br />
i grandi filosofi degli ultimi due<br />
secoli: Kant, Schleiermacher, Hegel,<br />
Kierkgaard, Feuerbach, Marx, Engels<br />
ecc...<br />
Agazzi, Evandro (a cura di)<br />
Bioetica e persona<br />
Franco Angeli, aprile <strong>1993</strong><br />
pp.5<strong>12</strong>, L. 50.000<br />
Nel volume viene messa alla prova<br />
l’ipotesi che l’impasse della discussione<br />
bioetica risalga essenzialmente<br />
alla forte disparità delle teorie etiche,<br />
che stanno alla base delle prese di<br />
posizione bio-etiche, e che sembrano<br />
inconciliabili in forza della forte divaricazione<br />
dei rispettivi principi. I<br />
saggi qui raccolti lumeggiano la complessità<br />
di questa tematica e indicano<br />
di quali ulteriori chiarimenti ci sarebbe<br />
bisogno per riuscire a utilizzare<br />
fecondamente questo concetto.<br />
Albert. H. et al. (a cura di)<br />
Mensch und Gesellschaft<br />
aus der Sicht<br />
des kritischen Rationalismus<br />
Editions Rodopi, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.260, Dfl 40<br />
Esposizione delle posizioni di base<br />
della teoria critica della società della<br />
Scuola di Francoforte. Il problema<br />
anima-corpo e la concezione della<br />
società aperta. Dalla società totalitaria<br />
a quella aperta negli ex paesi socialisti.<br />
Metodo. Problemi della scienza<br />
della società.<br />
Allouch, Jean<br />
Louis Althusser, récit divan:<br />
lettre ouvert à Clément Rosset<br />
à propos de ses notes<br />
sur Louis Althusser<br />
EPEL, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.58, F 65<br />
Una risposta all’interpretazione del<br />
caso Althusser proposta dal filosofo<br />
Clément Rosset. Come collocare Althusser<br />
senza lasciarsi prendere dalla<br />
sua impostura? L’assassionio di sua<br />
moglie ne fa parte? Secondo l’autore<br />
il dibattito attuale prolunga il non<br />
luogo a procedere pronunciato in seguito<br />
alla perizia psichiatrica.<br />
71<br />
Ankersmith, F. R.<br />
Mooij, J.J. A. (a cura di)<br />
Knowledge and language:<br />
Vol. III. Metaphor and knowledge<br />
Kluwer Academic Publishers<br />
gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.216, £ 64<br />
Terzo volume di un’opera in tre volumi,<br />
il testo sostiene che è essenziale<br />
considerare la metafora quando si<br />
indaga su come si arrivi alla verità<br />
nella scienza e nel rapporto quotidiano<br />
con la realtà. Il ruolo della metafora<br />
viene esaminato in campi che vanno<br />
dalla poesia e l’arte alla medicina<br />
e alla teoria politica.<br />
Annas, Julia (a cura di)<br />
Oxford <strong>Studi</strong>es<br />
in Ancient Philosophy<br />
Volume 10: 1992<br />
Clarendon Press, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.304, £ 35<br />
Decima pubblicazione annuale<br />
(1992) della serie di saggi sulla filosofia<br />
antica, questo volume tratta<br />
un’ampia scelta di argomenti di filosofia<br />
antica passando in rassegna i<br />
testi principali.<br />
Antonio Rosmini<br />
Introduction à la philosophie<br />
A cura di J.-M. Trigeaud<br />
Bière, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.340, F 145<br />
Antonio Rosmini (1797-1855) nell’Origine<br />
del pensiero, pubblicata nel<br />
1830, pone i fondamenti della sua<br />
filosofia: unire l’atto metafisico di<br />
pensare all’atto corporeo di sentire.<br />
Aschheim, Steven E.<br />
The Nietzsche legacy<br />
in Germany, 1890-1990<br />
University of California<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.368, $ 48<br />
Aschheim propone una cronaca magistrale<br />
della presenza del filosofo<br />
nella vita e nella politica tedesche,<br />
dalla fine del secolo scorso fino alla<br />
recente riunificazione.<br />
Ayer, A. J. et al. (a cura di)<br />
A dictionary<br />
of philosophical quotations<br />
Blackwell Publ.,febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.352, £ 25<br />
Nel corso della storia, i filosofi sono<br />
venuti a contatto con la questione di<br />
come si debba vivere e perché, con<br />
problemi politici, scientifici, lingui-<br />
stici. Il presente dizionario esamina<br />
da vicino la tradizione filosofica mostrando<br />
i pensieri, i paradossi, gli errori<br />
e le falle che accompagnano la<br />
speculazione umana.<br />
Azzaro, Salvatore<br />
Politica e storia in Fichte<br />
Jaca Book, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.168, L. 28.000<br />
Il pensiero politico in Fichte è inscindibilmente<br />
legato alla sua interpretazione<br />
della Rivoluzione francese. La<br />
storia della ricezione critica del pensiero<br />
politico fichtiano parte proprio<br />
dalla Francia ed esamina la critica<br />
tedesca e quella italiana.<br />
Baranoff-Chestov, Nathalie<br />
Vie de Léon Chestov<br />
2: Les dernières années<br />
La Différence, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.288, F <strong>12</strong>0<br />
In questa seconda parte in cui si raccontano<br />
gli ultimi anni di Chestov<br />
(1930-1938) ritroviamo i momenti<br />
più fecondi (e anche quelli più dolorosi)<br />
della vita del pensatore.<br />
Barr, James<br />
Biblical faith<br />
and natural theology:<br />
The Gifford lectures for 1991<br />
Clarendon, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.256, £ 30<br />
Il libro esamina la questione se si<br />
conosca Dio solo in quanto esseri<br />
umani o se sia necessaria l’assistenza<br />
della Bibbia o di Dio. La<br />
presente raccolta di saggi esamina<br />
quanto dice in proposito la stessa<br />
Bibbia e ne considera l’impatto<br />
sulle idee religiose.<br />
Barry, Robert<br />
A theory of almost everything:<br />
A religious and scientific quest<br />
for ultimate answers<br />
Oneworld Publ., febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.224, £ 9,95<br />
In cerca di una “teoria del tutto”<br />
questo libro esplora cose complesse<br />
quali la teoria psicologica, la<br />
fisica quantistica e la teoria della<br />
relatività di Einstein, proponendo<br />
una teoria olistica dell’io che mette<br />
in collegamente idee di realtà<br />
scientifiche e religiose.
Baumgartner, H. M.<br />
Jacobs, W. G. (a cura di)<br />
Philosophie der Subjektivität?<br />
Zur Bestimmungdes<br />
neuzeitlichen Philosophierens.<br />
Akten des Kongresses<br />
der Internationalen Schelling-<br />
Gesellschaft 1989<br />
Frommann-Holzboog<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.606, DM 99<br />
Benso, Silvia<br />
Pensare dopo Auschwitz<br />
Ed. Scientifiche, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.262, L. 34.000<br />
L’opera, strutturata in due parti - filosofica<br />
la prima, teologica la seconda<br />
- muove dall’affermazione di Adorno<br />
secondo cui «è necessario pensare in<br />
modo che Auschwitz non si ripeta».<br />
Memore di tale imperativo, l’autore<br />
va dunque alla ricerca di categorie di<br />
pensiero atte a tener conto dell’interruzione<br />
irriconciliabile e irredimibile<br />
che Auschwitz presenta nell’orizzonte<br />
storico.<br />
Berkeley, George<br />
Oeuvres<br />
3:Alciphron ou le Petit philosophe<br />
A cura di G. Brykman<br />
PUF, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.424, F 280<br />
Nel 1732 il filosofo irlandese proponeva<br />
un’apologia diretta della religione<br />
cristiana, appoggiata dalla critica<br />
del libero pensiero: sette dialoghi<br />
in cui l’immaterialismo non viene<br />
trattato affatto e in cui il celebre principio<br />
“Esistere, cioè essere percepiti”<br />
e l’inesistenza della materia non rappresentano<br />
che dei mezzi obliqui per<br />
la difesa del cristianesimo.<br />
Berlinger, R. - Schrader, W.<br />
(a cura di)<br />
Gnosis und Philosophie.<br />
Miscellanea<br />
Prefazione di A. Böhlig<br />
Editions Rodopi, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.200, Dfl 75<br />
Berry, Phillipa<br />
Wernick, Andrew (a cura di)<br />
Shadow or spirit:<br />
Post-modernism and religion<br />
Routledge, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.288, £ <strong>12</strong>,99<br />
Il volume affronta il moderno miscuglio<br />
di teoria, cultura e politica, che<br />
ha portato al nuovo incontro fra umanesimo<br />
e dibattiti sulla religione. Gli<br />
autori sfidano la premessa invalsa<br />
che il pensiero contemporaneo occidentale<br />
sia legato al nichilismo.<br />
Beyer, Uwe<br />
Christus und Dyonysos.<br />
Ihre widerstreidende Bedeutung<br />
im Denken Hölderlins<br />
und Nietzsches<br />
Lit, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.500, DM 78<br />
Bezzola, Tobia<br />
Die Rhetorik bei Kant,<br />
Fichte und Hegel. Ein Beitrag<br />
zur Philosophiegeschichte<br />
der Rhetorik<br />
Niemeyer, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.172, DM 68<br />
Bienenstock, Myriam<br />
Politique du jeune Hegel:<br />
Iéna, 1801-1806<br />
PUF, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.288, F 196<br />
In contrapposizione alle tre linee interpretative<br />
tradizionali dell’hegelismo<br />
(linguaggio, lavoro, comunicazione)<br />
questo saggio cerca di riappropriarsi<br />
del senso del progetto filosofico<br />
totale di Hegel, esaminando il modo<br />
in cui si sviluppa il suo sistema in un<br />
momento cruciale della sua formazione.<br />
Bigré, Gérard<br />
Métier philosophe<br />
Hésiode, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.320, F 95<br />
Ecco un libello in forma dialogica<br />
sulla crisi delle idee e sulla crisi del<br />
pensiero attuale che cerca al contempo<br />
di dimostrare la necessita di una<br />
riabilitazione della filosofia.<br />
Blackburn, Pierre<br />
Connaissance et argumentation<br />
Renouveau pédagogique<br />
gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.488, F 149<br />
Il testo espone le nozioni fondamentali<br />
delle più recenti teorie filosofiche<br />
sulla natura della conoscenza. Per gli<br />
studiosi di scienze umane o per le<br />
classi preparatorie alle scuole commerciali.<br />
Bloch, Olivier<br />
Spinoza au XXe siècle<br />
PUF, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.608, F 400<br />
Se lo Spinoza del XVIII secolo era il<br />
prototipo del razionalista ateo, se quello<br />
del XIX si presentava sotto l’immagine<br />
dominante di un filosofo mistico,<br />
nel XX abbiamo visto apparire<br />
quella di uno Spinoza rivoluzionario,<br />
padrone della sua vita, mediatore e<br />
agente di trasmutazioni per tutti i sistemi<br />
di pensiero.<br />
Blosser, Philip<br />
Schimomisse, Eiichi<br />
Embree,Lester - Kojima, Hiroshi<br />
(a cura di)<br />
Japanese<br />
and western phenomenology<br />
Kluwer Academic Publishers<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.468, £ 89,50<br />
Sviluppato dal primo grande incontro<br />
di fenomenologi giapponesi<br />
e occidentali, tenutosi a Sanda<br />
City. Prevalentemente filosofico,<br />
tratta il pensiero di Husserl, ma<br />
mostra anche i collegamenti con le<br />
scienze umane e figure come Dilthey<br />
e Fink, nonché con lo Zen e<br />
con la tradizione giapponese.<br />
NOVITÀ IN LIBRERIA<br />
72<br />
Bocchi, Gianluca<br />
Ceruti, Mario<br />
Origini di storie<br />
Feltrinelli, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.240, L. 32.000<br />
Il volume è un’introduzione ai nuovi<br />
saperi (scientifici, filosofici, spirituali)<br />
che si stanno elaborando per affrontare<br />
le sfide che caratterizzano<br />
questa fine di secolo: Origini di storie<br />
inaugura, infatti, una scrittura inconsueta<br />
per la filosofia e la divulgazione<br />
scientifica: uno stile accessibile a un<br />
pubblico più ampio degli addetti ai<br />
lavori, che però non semplifica i problemi<br />
affrontati.<br />
Böhler, D. - Neuberth, R.<br />
(a cura di)<br />
Herausforderung<br />
und Zukunftverantwortung.<br />
Hans Jonas zu Ehren<br />
Lit Verlag, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.142, DM 24,80<br />
Boituzat, François<br />
Un droit de mentir?<br />
Constant ou Kant?<br />
PUF, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.<strong>12</strong>8, F 48<br />
E’lecito mentire per salvare la vita di<br />
un amico? Lo studio di questo problema<br />
casuistico consente a B. Constant<br />
di denunciare quanto vi è di arbitrario,<br />
in morale, nella proibizione incondizionata<br />
della menzogna. Kant<br />
ritorna sulla questione mettendo in<br />
luce l’inutilità della polemica avviata<br />
dal suo contraddittore.<br />
Bottiroli, Giovanni<br />
Retorica.<br />
L’intelligenza figurale nell’arte<br />
e nella filosofia<br />
Bollati Boringhieri, aprile <strong>1993</strong><br />
pp.320, L. 35.000<br />
Il libro muove dalla situazione della<br />
retorica nel mondo attuale caratterizzato<br />
da una retoricità diffusa. In un<br />
confronto serrato con i maestri della<br />
linguistica e della semiotica, da Jakobson<br />
a Greimas, e con le correnti di<br />
pensiero che oggi riflettono sul linguaggio,<br />
Bottiroli rimette in questione<br />
la natura della retorica, le assegna<br />
una nuova identità e un compito non<br />
settoriale.<br />
Botto, Evandro<br />
Etica sociale e filosofia<br />
della politica in Rosmini<br />
Vita e Pensiero, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.296, L. 44.000<br />
Più che un territorio a sé stante, la<br />
filosofia della società e della politica<br />
si presenta in Rosmini come uno dei<br />
crocevia dell’intera filosofia della<br />
pratica, come il punto in cui si incontrano<br />
filosofia della morale e filosofia<br />
del diritto, filosofia della storia e filosofia<br />
della religione, in forza del loro<br />
comune riferimento ad una ben definita<br />
“ontologia della persona”.<br />
Brandl, J. et al. (a cura di)<br />
Metamind, knowledge,<br />
and coherence.<br />
Essays on the philosophy<br />
of Keith Lehrer<br />
Editions Rodopi, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.232, Dfl 35<br />
Brentano, Franz - David, Pascal<br />
(a cura di)<br />
De la diversité des acceptions<br />
de l’être d’après Aristote<br />
Vrin, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.208, F 183<br />
Questa leggendaria dissertazione di<br />
Franz Brentano, pubblicata a Friburgo<br />
nel 1862, prende come filo conduttore<br />
della propria interpretazione<br />
della metafisica il seguente leit-motiv:<br />
“l’essere è plurale”.<br />
Bröckling, Ulrich<br />
Katholische Intellektuelle<br />
inder Wiemarer Republik.<br />
Zeitkritik und Gesellschaftstheorie<br />
bei W. Dirks, R. Guardini, C.<br />
Schmitt, E. Michel und H. Mertens<br />
W. Fink, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.144, DM 38<br />
Questi intellettuali cercano di sfuggire<br />
alle aporie delle salde credenze<br />
sulla rivelazione e del pensiero secolare<br />
dei moderni, attualizzando diversi<br />
frammenti del cosmo cattolico<br />
in frantumi.<br />
Brun, Jean<br />
La Philosophie de Pascal<br />
PUF, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.<strong>12</strong>8, F 38<br />
Assai poco amato dai filosofi francesi,<br />
Pascal ebbe l’audacia, secondo<br />
loro, di chiedere il conto alla ragione.<br />
Critico demistificatore, in realtà Pascal<br />
denunciò le pretese assolutistiche<br />
dei relativismi, le fughe nei sogni<br />
e la ricerca di un rifugio nel consenso,<br />
tanto acclamato al giorno d’oggi.<br />
Brzezinski, J. - Nowak, L.<br />
(a cura di)<br />
Idealization III:<br />
Approximation and truth<br />
Editions Rodopi, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.288, Dfl 135<br />
Indice: Introduzione, approssimazione<br />
e verità.<br />
Cambi, Paolo (a cura di)<br />
Tra scienza e storia.<br />
Percorsi del neostoricismo:<br />
Eugenio Garin, Paolo Rossi<br />
Sergio Moravia<br />
Unicopli, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.167, L. 27.000<br />
L’avventura del neostoricismo a partire<br />
dagli anni Cinquanta, analizzando<br />
il contributo di Garin e della sua<br />
“scuola” alla definizione dell’immagine<br />
della filosofia come intersezione<br />
critica, aperta, problematica tra sapere<br />
e società, ragione e storia.<br />
Canguilhem, Georges<br />
La connaissance de la vie<br />
Vrin, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.198, F 60<br />
G. Canguilhem si interroga sullo straordinario<br />
opportunismo del rapporto<br />
degli esseri viventi con il proprio<br />
ambiente, sull’originalità di questa<br />
presenza in quel mondo che chiamiamo<br />
vita.<br />
Caporali, Riccardo<br />
Heroes Gentium.<br />
Sapere e politica in Vico<br />
Il Mulino, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.304, L. 34.000
Carruthers, Peter<br />
The animals issue.<br />
Moral theory in practice<br />
Cambridge UP, febbraio <strong>1993</strong><br />
£ 9<br />
Carruthers esplora diverse teorie<br />
morali e conclude che il contrattualismo<br />
(nella tradizione di Kant e di<br />
Rawls) è quello che offre la cornice<br />
più accettabile. In una prospettiva di<br />
questo tipo gli animali restano privi<br />
di un diretto significato morale. Ciò<br />
tuttavia non vuol dire che non vi siano<br />
costrizioni morali nel trattare con essi.<br />
Cicéron<br />
Tusculanes- 3: Le Bonheur:<br />
IVe et Ve Tusculanes<br />
Ariéa, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.157, F 95<br />
I presenti libri ricapitolano in un certo<br />
senso il suo insegnamento, disegnando<br />
l’immagine di un uomo che trova<br />
nel compimento dei suoi doveri la<br />
tranquillità interiore.<br />
Clark, Austen<br />
Sensory qualities<br />
Clarendon, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.264, £ 27,50<br />
Parecchi filosofi dubitano che si possa<br />
fornire una spiegazione convincente<br />
delle capacità sensoriali, del<br />
modo in cui le cose appaiono, impressionano<br />
o sembrano a un soggetto<br />
percipiente. Clark affronta questo<br />
problema apparentemente intrattabile<br />
e suggerisce che una soluzione in<br />
effetti sia possibile.<br />
Clergue, André<br />
Mon père je m’arcuse<br />
Lacour, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.379, F 145<br />
Herbert Marcuse (1898-1979), filosofo<br />
americano d’origine tedesca, è<br />
uno dei rappresentanti del freudmarxismo.<br />
A. Clergue dedica un esame<br />
approfondito a Eros e civilizzazione.<br />
Cometti, Jean-Pierre<br />
Lire Rorty: Le pragmatisme<br />
et ses conséquences<br />
Eclat, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.304, F 150<br />
Dopo i primi saggi dedicati al pragmatismo,<br />
all’inizio degli anni ’60<br />
Richard Rorty è diventato uno dei<br />
principali attori di un’evoluzione che<br />
conduce al giorno d’oggi un certo<br />
numero di filosofi analitici a riesaminare<br />
i presupposti della tradizione da<br />
loro rappresentata.<br />
Corey, M. A.<br />
God and the new cosmology:<br />
The anthropic design argument<br />
Rowman & Littlefield,<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.352, £ 19,95<br />
Basato sui fatti naturali fisici e cosmologici<br />
recentemente scoperti, il<br />
libro si propone di rivoluzionare la<br />
nostra concezione dei rapporti fra<br />
scienza e religione, usando prove<br />
scientifiche per dimostrare l’esistenza<br />
di Dio al di là di ogni ragionevole<br />
dubbio.<br />
Corvi, Roberta<br />
Invito al pensiero di Popper<br />
Mursia, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.384, L. 15.000<br />
Un’invito all’esame critico del pensiero<br />
di Popper. Una cronologia parallela<br />
tra la biografia del pensatore e<br />
i fatti della storia politica, filosofica e<br />
culturale; il profilo di Popper e la sua<br />
personalità intellettuale. Analisi delle<br />
opere, dei temi trattati e gli orientamenti<br />
della critica.<br />
Couloubaritsis, Lambros<br />
Aux origins de la philosophie<br />
européenne: de la pensée<br />
archaïque au neoplatonisme<br />
De Boeck-Wesmael<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.673, F 230<br />
Il saggio studia le principali correnti<br />
filosofiche che sono all’origine<br />
della filosofia occidentale, dal<br />
VII secolo prima della nostra era<br />
all’anno 529, data simbolica della<br />
chiusura della scuola neoplatonica<br />
di Atene a opera dell’imperatore<br />
bizantino Giustiniano.<br />
Cresci L.R. - Piccirilli, L.<br />
L’Athenaion Politeia di Aristotele<br />
Il Melangolo, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.176, L. 20.000<br />
Cronin, Kieran<br />
Rights and christian ethics<br />
Cambridge University Press,<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.346, £ 37,50<br />
Kieran Cronin in questo libro si propone<br />
di dimostrare come una prospettiva<br />
cristiana possa rivelarsi un contributo<br />
fecondo per il linguaggio dei<br />
diritti. A tale scopo egli esamina alcune<br />
delle difficoltà insite nell’uso di<br />
questo linguaggio, attingendo da<br />
esempi tratti dalla letteratura di filosofia<br />
morale e dalla giurisprudenza.<br />
Cropsey, Joseph - Strauss, Leo<br />
Storia della filosofia politica<br />
Vol. I<br />
Il Melangolo, aprile <strong>1993</strong><br />
pp.300, L. 35.000<br />
Il volume, giunto negli Stati Uniti alla<br />
quinta edizione nel giro di poco più di<br />
vent’anni, è fra le più ampie e dettagliate<br />
rassegne del pensiero politico<br />
occidentale. Questo primo volume<br />
comprende, oltre i classici, anche storici<br />
come Tucidide, pensatori arabi<br />
come Alfarabi, ebrei come Mosè<br />
Maimonide, offrendo in questo modo<br />
un panorama articolato, originale e<br />
esaustivo del operiodo preso in considerazione.<br />
Czerwinsky, Peter<br />
Gegenwärtigkeit.<br />
Simultane Räume und zyklische<br />
Zeiten im Mittelalter<br />
W. Fink, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.524, DM 180<br />
Quando le forme di pensiero mutano<br />
storicamente in maniera così<br />
decisiva che le testimonianze delle<br />
altre culture ci sono accessibili solo<br />
limitatamente, ogni ricerca su di<br />
esse dovrebbe prima di tutto e costantemente<br />
riflettere la loro logi-<br />
NOVITÀ IN LIBRERIA<br />
73<br />
ca “straniera”. Il saggio abbozza<br />
una storia della percezione che può<br />
servire come strumento.<br />
Dagognet, François<br />
Etienne-Jules Marey:<br />
A passion for the trace<br />
Zone Books, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.208, £ 24,25<br />
Etienne-Jules Marey elaborò tecniche<br />
fotografiche per lo studio della<br />
locomozione animale che influenzarono<br />
l’invenzione della cinematografia.<br />
In questo resoconto, focalizzato<br />
sul significato del suo lavoro, e cioè<br />
di riuscire a catturare la traccia di ciò<br />
che normalmente è il mondo invisibile<br />
del movimento, emerge la storia di<br />
Marey.<br />
Daly, Herman E.<br />
Townsend, Kenneth N.<br />
Valuing the earth:<br />
Economics, ecology, ethics<br />
The MIT Press, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.400, £ 16,95<br />
Raccolta di saggi che si propone di<br />
ampliare il pensiero economico inserendo<br />
l’economia nel suo proprio<br />
contesto ecologico ed etico. Vi si<br />
dimostra che, contrariamente alle attuali<br />
preoccupazioni macro-economiche,<br />
non si può sostenere la crescita<br />
continua su un pianeta dalle risorse<br />
limitate e che ciò è moralmente sbagliato.<br />
Dascal, M. - Gerhardus, D.<br />
et al. (a cura di)<br />
Sprachphilosophie /<br />
Philosophy of language /<br />
La philosophie du langage.<br />
Ein internationales Handbuch<br />
zeitgenössischer Forschung<br />
vol. I<br />
de Gruyter, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.872, DM 680<br />
Rassegna sullo stato della ricerca in<br />
<strong>12</strong>0 articoli, divisa in due volumi. I<br />
volume: Ricognizione spazio-temporale,<br />
persone, posizioni. (II volume:<br />
Controversie, concetti, aspetti filosofico-linguistici<br />
in altri campi)<br />
Davies, Brian<br />
An introduction<br />
to the philosophy of religion<br />
Oxford University Press<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.270, £ 30<br />
Questa edizione riveduta mette particolarmente<br />
in rilievo questioni che di<br />
recente sono diventate filosoficamente<br />
controverse. Il libro fornisce un<br />
esame critico delle questioni fondamentali<br />
della religione e dei modi in<br />
cui sono state trattate dai grandi pensatori.<br />
Davies, Brian<br />
The thought of Thomas Aquinas<br />
Clarendon, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.408, £ 14,95<br />
Introduzione a tutto il pensiero dell’Aquinate,<br />
che non fa alcuna divisione<br />
arbitraria fra le proprie idee filosofiche<br />
e quelle teologiche. Il testo mette<br />
in relazione il pensiero dell’Aquinate<br />
con autori successivi e precedenti allo<br />
stesso Tommaso.<br />
Del Noce, Augusto<br />
Filosofi dell’esistenza<br />
e della libertà<br />
Giuffrè, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.676, L. 75.000<br />
Saggi su Spir, Chestov, Lequier, Renouvier,<br />
Benda, Weil, Vidari, Faggi,<br />
Martinetti, Rensi, Juvalta, Mazzantini,<br />
Castelli, Capograssi.<br />
Della Porta, Giovan Battista<br />
Della celeste fisionomia<br />
a cura di L. Caruso<br />
Belforte, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.164, L. 60.000<br />
Edizione anastatica del testo in volgare<br />
del 1616. L’opera tenta di spezzare<br />
le basi stesse dell’astrologia, esaltando<br />
la “potenza visiva” dell’uomo.<br />
Pur essendo venata da influenze e<br />
tradizioni alchemiche, rivela una curiosità<br />
alle condizioni materiali e operative,<br />
preparandosi al barocco napoletano.<br />
Derrida, Jacques<br />
Dissemination<br />
The Athlone, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.400, £ 14,95<br />
Il libro propone le opere più importanti<br />
e feconde: “La pharmacie de<br />
Platon”, “La double seance” e “La<br />
dissemination”, originali letture di<br />
Mallarmé: “La dissemination” costituisce<br />
anche una rivalutazione della<br />
logica del senso e della funzione della<br />
scrittura nel dibattito occidentale.<br />
Derrida, Jacques<br />
Otobiographies<br />
L’insegnamento di Nietzsche<br />
e la politica del nome proprio<br />
Il Poligrafo, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.96, L. 22.000<br />
Questa conferenza fu tenuta da Derrida<br />
nel 1976 a Charlottesville, presso<br />
l’Università della Virginia. L’occasione<br />
era data dal bicentenario della<br />
Dichiarazione d’Indipendenza, ma da<br />
questa procedeva con un commento<br />
sull’incipit di Ecce Homo fino alle<br />
conferenze nietzscheane Sull’avvenire<br />
delle nostre scuole, per chiudersi<br />
sul problema della libertà accademica.<br />
Un testo dunque che può apparire<br />
stravagante nella sua eterogeneità, ma<br />
che è reso coerente da un filo conduttore:<br />
il rapporto tra nome e istituzione,<br />
che Derrida sintetizza nel problema<br />
della firma.<br />
Descamps, Christian<br />
Philosophie et anthropologie<br />
Ed. du Centre Pompidou<br />
gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.192, F <strong>12</strong>0<br />
Una riflessione sulla nostra estraneità<br />
e su quella altrui attraverso la filosofia<br />
e l’antropologia.<br />
Descamps, Christian<br />
Surréalisme et philosophie<br />
Ed. du Centre Pompidou,<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.160, F <strong>12</strong>0<br />
Gli autori affrontano qui i rapporti dei<br />
surrealisti con l’ambito filosofico.
Descartes, René<br />
La morale: textes choisi<br />
A cura di N. Grimaldi<br />
Vrin, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.186, F 45<br />
Il volume raccoglie, in ordine tematico,<br />
tutti i testi in cui Descartes espone<br />
la propria morale.<br />
Destutt de Tracy, Antoine<br />
Mémoire sur la faculté<br />
de penser: 1798-1802<br />
Fayard, febbraio <strong>1993</strong><br />
F 200<br />
Alla fine della Rivoluzione, Destutt<br />
de Tracy, aristrocratico che ha rinunciato<br />
ai suoi titoli, vecchio costituente,<br />
legislatore, presenta all’istituto<br />
nazionale diverse memorie di filosofia,<br />
ripubblicate qui per la prima volta,<br />
che espongono una storia critica<br />
della conoscenza umana del linguaggio<br />
e una logica.<br />
Dewey, John<br />
Logique:<br />
la théorie de l’enquête<br />
PUF, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.696, F 320<br />
Apparsa nel 1938, la Logica di Dewey<br />
è letteralmente una logica dell’inchiesta<br />
e della ricerca, di qualsiasi ricerca,<br />
di quella formale come di quella epistemologica,<br />
di quella teorica e di<br />
quella pratica. La logica di Dewey è<br />
un’esperienza e una ricostruzione<br />
continua dell’esperienza.<br />
Dilworth, Cr. (a cura di)<br />
Idealization IX:<br />
Intelligibility in science<br />
Editions Rodopi, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.411, Dfl 180<br />
Donnelly, Margaret E.<br />
Reinterpreting the legacy<br />
of William James<br />
American Psychological Ass.<br />
gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.400, 22,50<br />
Il testo esamina il modo in cui i “Principi<br />
di psicologia” potrebbero essere<br />
stati rivisti alla luce dell’ultimo approccio<br />
di James pluralistico, pragmatico<br />
alla filosofia e alla psicologia.<br />
Psicologi, filosofi e storici mettono<br />
alla prova questo e altri punti, concentrandosi<br />
sull’importanza attuale<br />
dell’opera di James.<br />
Dörrie, H. - Baltes, M.<br />
Der Platonismus im 2. und 3.<br />
Jahrhundert nach Christus.<br />
Bausteine 73-100: Text,<br />
Übersetzung, Kommentar<br />
Frommann-Holzboog<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.440, DM 567<br />
Doyé, S. et al. (a cura di)<br />
J. G. Fichte-Bibliographie<br />
(1969-1991)<br />
Editions Rodopi, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.200, Dfl 70<br />
Il volume porta avanti la prima bibliografia<br />
di Fichte, pubblicata da H.<br />
M. Baumgartner e W. Jacobs (1968),<br />
fino all’attuale stato della ricerca.<br />
Ecole Française de Rome<br />
(a cura di)<br />
La Langue latine,<br />
langue de philosophie:<br />
actes/colloque organisé<br />
par l’Ecole française de Rome,<br />
Rome, 17-19 mai, 1990<br />
Ecole française de Rome,<br />
gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.346, F 360<br />
Il latino è diventata la lingua del pensiero<br />
filosofico al termine di un’evoluzione<br />
spirituale continua, dopo la<br />
messa a punto di una riflessione morale<br />
spontanea che si diversificherà e<br />
si rafforzerà grazie al teatro. Un vocabolario<br />
latino si crea per esprimere i<br />
concetti elaborati dagli autori di<br />
espressione greca.<br />
Ellwood, Robert S.<br />
Introducing religion:<br />
From inside and outside<br />
Prentice Hall US, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.256, £ 23,55<br />
Questa panoramica introduttiva ai<br />
saggi religiosi parte dai problemi, i<br />
quesiti e le esperienze religiose quotidiane.<br />
Sottolineando il concetto di<br />
religione come “scenario per il vero<br />
io”, il libro fornisce una trattazione<br />
equilibrata dell’espressione religiosa,<br />
attingendo esempi da molte religioni<br />
mondiali.<br />
Elster, Jon<br />
Ulisse e le sirene.<br />
Indagine sulla razionalità<br />
e l’irrazionalità<br />
Il Mulino, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.294, L. 34.000<br />
I temi affrontati nel volume sono: La<br />
razionalità perfetta: vedere la vetta;<br />
La razionalità imperfetta: Ulisse e le<br />
Sirene; La razionalità difficile: alcuni<br />
problemi irrisolti nella teoria del comportamento<br />
razionale; L’irrazionalità:<br />
contraddizioni della mente.<br />
Fenves, Peter (a cura di)<br />
Raising the tone<br />
of the philosophy:<br />
Late essays by Immanuel Kant<br />
transformative critique<br />
by Jacques Derrida<br />
The John Hopkins University<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp. 208, £ 24<br />
Il libro raccoglie importanti saggi di<br />
Kant, disponibili per la prima volta in<br />
inglese, e presenta una traduzione<br />
revisionata dell’opera di Derrida su<br />
Kant, che esplora le connessioni fra<br />
decostruzione e filosofia.<br />
Ferguson, Frances<br />
Solitude and the sublime.<br />
Romanticism and the aesthetics<br />
of individuation<br />
Routledge, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.256, £ 35<br />
Ferguson delinea lo sviluppo di due<br />
resoconti del sublime, l’empirismo di<br />
Burke e il formalismo di Kant, sostenendo<br />
che essi sono stati definitivi<br />
per i dibattiti successivi sul significato<br />
dell’estetica, compreso il criticismo<br />
decostruttivo.<br />
NOVITÀ IN LIBRERIA<br />
74<br />
Fiorato, Pierfrancesco<br />
Geschichtliche Ewigkeit.<br />
Ursprung und Zeitlichkeit<br />
in der Philosophie Hermann Cohens<br />
Königshausen & Neumann,<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.200, DM 48<br />
Fleischer, Margot<br />
Der “Sinn der Erde”<br />
und die Entzauberung<br />
des Übermenschen.<br />
Eine Auseinandersetzung<br />
mit Nietzsche<br />
Wissenschaftl. Buchges.,<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.370, DM 74<br />
Che cosa può avere oggi Nietzsche da<br />
dire a una filosofia che si occupa<br />
dell’esistenziale? Soltanto nella contrapposizione<br />
critica si può trovare<br />
una risposta e pervenire a una nuova<br />
esperienza di pensiero dalla filosofia<br />
di Nietzsche.<br />
Floistad, Guttform (a cura di)<br />
Contemporary philosophy:<br />
A new survey:<br />
Vol.7. Asian Philosophy<br />
Kluwer Acedemic Publishers,<br />
gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.416, £ 89<br />
Settimo volume di una collana che<br />
ripercorre la ricerca filosofica negli<br />
ultimi decenni in vari paesi. Centrato<br />
sulla filosofia asiatica, comprende<br />
contributi di studiosi indiani, giapponesi<br />
e coreani e discute argomenti<br />
chiave dell’induismo, del taoismo,<br />
del buddismo, del confucianesimo e<br />
dello sciamanesimo.<br />
Flueler, Christoph<br />
Rezeption und Interpretation<br />
der Aristotelischen<br />
”Politica” im späten Mittelalter<br />
John Benjamins, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.551, Dfl 200<br />
Foucault, Michel et al.<br />
Techologien des Selbst<br />
S. Fischer, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.192, DM 34<br />
«Nel lavoro come nella vita, la cosa<br />
più importante è diventare qualcosa<br />
che non si era all’inizio». (Michel<br />
Foucault)<br />
Frenken, Martin<br />
Transzendentale Theorie<br />
der Einheit. <strong>Studi</strong>en<br />
zur Kategorienlehre Kants<br />
und Fichtes<br />
Editions Rodopi, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.200, Dfl 60<br />
Secondo il motto dell’epoca moderna,<br />
per il quale bisogna confrontare le<br />
sicurezze con la verità, si può fare<br />
ricorso solo all’Io in quanto fondamento<br />
di tutte le cose. Soltanto Fichte<br />
riesce a svelare l’Io come originaria e<br />
completa unità del tutto. Ciò consente<br />
in primo luogo la deduzione di<br />
categorie universali con rigore sistematico.<br />
Frye, Northrop<br />
La duplice visione.<br />
Linguaggio e significato<br />
della religione<br />
Marsilio, aprile <strong>1993</strong><br />
pp.104, L. 22.000<br />
In un continuo gioco di rimandi, Frye<br />
affronta, da un lato, i grandi temi<br />
della contemporaneità: guerra, capitalismo<br />
e comunismo, chiesa e Stato,<br />
Hitler e Stalin, religione islamica e<br />
fondamentalismo, spiritualità e corpo;<br />
e dall’altro lato, la fitta tessitura<br />
mitica e metaforica della Bibbia soprattutto,<br />
ma anche di altre grandi<br />
creazioni letterarie da Blake a Dante,<br />
a Shakespeare, a Eliot.<br />
Galgan, Gerlad J.<br />
Interpreting the present:<br />
Six philosophical essays<br />
University Press of America,<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.268, £ 21,50<br />
I presenti saggi esplorano il rapporto<br />
fra linguaggio metafisico ed epistemologico<br />
e la transizione fra il medievale<br />
Libro Cristiano della Natura<br />
alla concezione moderna della soggettività.<br />
Galgan si propone di costruire<br />
un passato filosofico e di ricavarne<br />
il mondo moderno di “dèi senza<br />
dèi”.<br />
Gallie, W. B.<br />
Filosofie di pace e di guerra.<br />
Kant, Clausewitz, Marx,<br />
Engels, Tolstoj<br />
Il Mulino, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.216, L. 20.000<br />
La visione moderna della pace e della<br />
guerra deriva da autori impegnati in<br />
campi del sapere del tutto diversi, che<br />
hanno però in comune il rifiuto dell’idea<br />
settecentesca di guerra come<br />
meccanismo intrinseco alla società<br />
occidentale.<br />
Gamm. Hans J.<br />
Standhalten im Dasein.<br />
Friedrich Nietzsches<br />
Botschaft für die Gewgenwart<br />
List, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.360, DM 48<br />
Abbozzo di un’etica “per l’epoca dopo<br />
Marx e Cristo”.<br />
Gebauer, Richard<br />
Letzte Begründung.<br />
Eine Kritik der Diskursethik<br />
von J. Habermas<br />
W. Fink, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.224, DM 58<br />
Gethmann, C. F. - Kloepfer, M.<br />
Handeln unter Risiko<br />
im Umweltstaat<br />
Springer, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.115, DM 38<br />
Il saggio si incentra sulla questione<br />
di quali mutamenti istituzionali<br />
e di altro genere si debbano intraprendere<br />
perché lo stato possa occuparsi<br />
dei problemi di recente riconosciuti<br />
delle attività a rischio.<br />
Il libro tratta l’argomento sul versante<br />
filosofico e giuridico.
Gigante, M.<br />
Cinismo e epicureismo<br />
Bibliopolis, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.<strong>12</strong>8, L. 20.000<br />
Gil, Thomas<br />
Kritik der Geschichtsphilosophie.<br />
L. von Rankes, J. Burkhardts<br />
und H. Freyers Problematisierung<br />
der klassischen<br />
Geschichtsphilosophie<br />
M und P, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.273, DM 39,80<br />
Goldberg, S. L.<br />
Agents and lives:<br />
Moral thinking in literature<br />
Cambridge University,<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.349, £ 40<br />
Il libro propone un ripensamento della<br />
tradizionale idea “umanista” della<br />
letteratura, esaminando il modo in<br />
cui la letteratura è stata valutata per il<br />
suo cosiddetto “apporto morale”.<br />
L’autore spazia nella letteratura dal<br />
Rinascimento, arrivando a includere<br />
scrittori come George Eliot e Pope.<br />
Goldman, Laurence<br />
The culture of coincidence<br />
Clarendon Press, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.460, £ 45<br />
Il presente saggio analizza il terreno<br />
fra legge, linguistica e antropologia<br />
proponendo un’etnografia<br />
sulla grammatica e la pragmatica<br />
dell’incidente, argomento raramente<br />
preso in esame.<br />
Graham, George<br />
Philosophy of mind:<br />
An introduction<br />
Blackwell Publishing, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.224, £ 10,99<br />
Introduzione alla filosofia della mente,<br />
che si occupa di argomenti quali<br />
mente/corpo, identità personale, coscienza,<br />
intenzionalità e libera volontà.<br />
Il libro tratta anche questioni come<br />
“l’esperienza dopo la morte”, la mente<br />
degli animali e di Dio, malattia<br />
mentale e felicità.<br />
Gran, Pierre<br />
La culture par le grands<br />
textes et leur commentaires<br />
P. Grand, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.109, F 85<br />
L’autore cita e commenta alcuni<br />
estratti di opere filosofiche classiche,<br />
divise per temi: il caso e la vita, la<br />
materia e lo spirito, la libertà, la morale.<br />
Per tutti i lettori.<br />
Grice, Paul<br />
Logica e conversione.<br />
Saggi su intenzione, significato<br />
e comunicazione<br />
Il Mulino, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.384, L. 48.000<br />
Alcuni fra i temi del pensiero griceano<br />
che si sono rivelati fondamentali<br />
per la filosofia analitica: la<br />
distinzione tra significato naturale<br />
e non naturale e quella tra significato<br />
convenzionale e non convenzionale<br />
di parole e frasi; la definizione<br />
del significato secondo le<br />
“intenzioni” del parlante, ecc.<br />
Grimaldi, Nicolas<br />
Ontologie du temps:<br />
l’attente et la rupture<br />
PUF, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.224, F 198<br />
Dimostrando che la coscienza pura è<br />
pura attesa, questo saggio descrive<br />
come l’attesa strutturi trascendentalmente<br />
ogni rappresentazione che noi<br />
possiamo avere del tempo.<br />
Haar, Michel<br />
Nietzsche et la métaphysique<br />
Gallimard, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.294, F 72<br />
Il volume riunisce più saggi su Nietzsche.<br />
L’autore, professore di filosofia,<br />
ha già pubblicato parecchi studi<br />
su Heidegger.<br />
Halder, H. - Müller, M.<br />
Philosophisches Wörterbuch.<br />
Erweiterte Neuesausagbe<br />
Herder, febbraio <strong>1993</strong><br />
DM 24,80<br />
Haller, Rudolf<br />
(e altri)<br />
Il circolo di Vienna<br />
Pratiche, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.140, L. 16.000<br />
Quattro filosofi di generazioni diverse<br />
scrivono brevi riflessioni intorno<br />
al circolo di Vienna, uno dei momenti<br />
più significativi dell’elaborazione filosofica<br />
del Novecento.<br />
Hammacher, Kl. - Schottky, R.<br />
Schrader, W. H. (a cura di)<br />
Transzendentalphilosophie<br />
und Evolutionstheorie<br />
Editions Rodopi, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.270. Dfl 80<br />
Hare, R. M.<br />
Essays in ethical theory<br />
Clarendon, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.270, £ 11,95<br />
Questa raccolta di saggi costituisce il<br />
retroterra teoretico all’opera dell’autore<br />
sulla filosofia morale. Il suo tema<br />
centrale è il paradosso per cui se i<br />
giudizi morali fossero semplicemente<br />
affermazioni di fatto, non si potrebbe<br />
evitare il relativismo.<br />
Haslett, David<br />
Ethics and economic systems<br />
Clarendon Press, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.224, £ 30<br />
Confrontando i sistemi economici da<br />
un punto di vista filosofico, questo<br />
saggio indaga gli argomenti etici per<br />
i differenti tipi di sistemi economici.<br />
L’autore soppesa vantaggi e svantaggi<br />
dei sistemi presi in esame e discute<br />
i possibili compromessi accettabili.<br />
Heil, John et al. (a cura di)<br />
Mental causation<br />
Clarendon, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.352, £ 35<br />
Raccolta di saggi scritti da insigni<br />
filosofi che affrontano il problema<br />
della causalità mentale partendo da<br />
punti di vista ampiamente diversi.<br />
NOVITÀ IN LIBRERIA<br />
75<br />
Hodgson, David<br />
The mind matters:<br />
Consciousness and choice<br />
in a quantum world<br />
Clarendon, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.496, <strong>12</strong>,95<br />
Questa monografia argomenta contro<br />
l’attuale visione meccanicistica<br />
ortodossa del cervello e sviluppa l’idea<br />
che “la mente conta”. L’autore spazia<br />
fra argomenti quali la coscienza, il<br />
ragionamento informale, i computer,<br />
l’evoluzione, l’indeterminatezza<br />
quantistica e la non località.<br />
Hoff, Benjamin<br />
Il Tao di Winnie Pooh<br />
Guanda, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.160, L. 26.000<br />
Winnie Pooh e i suoi compagni colti<br />
nel loro lato filosofico; un certo modo<br />
di fare, un certo modo di essere affine<br />
agli antichi principi cinesi del Tao.<br />
Hopkins, Burt C.<br />
Intentionality in Husserl<br />
and Heidegger:<br />
The problem of the original method<br />
and phenomen of phenomenology<br />
Kluwer Academic Publishers<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.320, £ 66<br />
Una riconsiderazione della “controversia”<br />
fenomenologica fra Husserl e<br />
Heidegger sullo status proprio del<br />
fenomeno di intenzionalità Lo scopo<br />
è di determinare se la critica ermeneutica<br />
di quest’ultimo sull’intenzionalità<br />
sia sensibile al resoconto riflessivo<br />
di Husserl del proprio “sachen<br />
selbst”.<br />
Hügli, A. - Lübcke, P.<br />
(a cura di)<br />
Philosophie im 20. Jahrhundert.<br />
Band 2: Wissenschaftstheorie<br />
und Analytische Philosophie<br />
Rowohlt, febbraio <strong>1993</strong><br />
DM 39,90<br />
Nel libro vengono esposti i filoni principali<br />
della filosofia contemporanea<br />
in Europa e negli USA e i filosofi più<br />
autorevoli.<br />
Husserl, Edmund<br />
Méditations cartésiennes:<br />
introduction à la phénomenologie<br />
Vrin, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.256, F 59<br />
Pubblicato nel 1931, a seguito di una<br />
serie di conferenze tenute alla Sorbona<br />
di Parigi, nel 1929 l’opera riprende<br />
dal punto di partenza il “cogito ergo<br />
sum” cartesiano e sviluppa il tema<br />
della fenomenologia trascendentale.<br />
Husserl, Edmund<br />
Lezioni sulla sintesi passiva<br />
Guerini, aprile <strong>1993</strong><br />
pp.329, L. 50.000<br />
Husserl delinea una fenomenologia<br />
della percezione che affronta la<br />
struttura dell’esperienza visiva,<br />
soffermandosi sulle forme del dubbio,<br />
della negazione, della riacquisizione<br />
della certezza: la certezza<br />
del mondo esterno.<br />
Isoldi Jacobelli, Angela M.<br />
Kant<br />
Giunti, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.<strong>12</strong>8, L. 10.000<br />
Il complesso itinerario delle riflessioni<br />
kantiane attraverso l’esame delle<br />
opere, le matrici culturali e l’influenza<br />
esercitata sulla ricerca filosofica<br />
dell’800 e del ‘900 nei paesi europei<br />
e d’oltreoceano.<br />
Ivaldo, Marco<br />
Libertà e ragione.<br />
L’etica di Fichte<br />
Mursia, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.344, L. 40.000<br />
Alcuni elementi di contesto, in particolare<br />
la maturazione dei primi concetti<br />
etici negli scritti religiosi e politici<br />
giovanili: l’idea di filosofia trascendentale<br />
e i concetti fondamentali<br />
che fungono da orizzonte metaetico<br />
della dottrina morale; l’etica trascendentale<br />
elaborata da Fichte; la prospettiva<br />
dell’etica trascendentale superiore.<br />
Jaspers, Karl<br />
Volontà e destino<br />
Il Melangolo, aprile <strong>1993</strong><br />
pp.228, L. 25.000<br />
L’opera ripercorre in quattro tappe (I.<br />
Famiglia e infanzia, II. Anamnesi,<br />
III. Diario 1939-1942, IV. Da Heidelberg<br />
a Basilea) le vicende pubbliche<br />
e private di Jaspers uomo e studioso,<br />
vicende che sono strettamente intrecciate<br />
agli avvenimenti della storia dei<br />
primi settant’anni del nostro secolo.<br />
Jordan, William<br />
Ancient concepts of philosophy<br />
Routledge, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.224, £ 10,99<br />
Nel corso del libro l’opera degli antichi<br />
viene inserita nel contesto del<br />
pensiero più recente sulla natura e il<br />
valore della filosofia. Il saggio dimostra<br />
che abbiamo molto da imparare<br />
dalle idee dei filosofi antichi sulla<br />
vita di un filosofo.<br />
Kamlah, A. et al. (a cura di)<br />
Hans Reichenbach<br />
und die Berliner Gruppe<br />
Vieweg, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.350, DM 90<br />
Per il 100º anniversario della nascita<br />
di Hans Reichenbach nel 1991 si è<br />
tenuto ad Amburgo un Convegno internazionale,<br />
il cui tema centrale era<br />
la filosofia dell’empirismo logico.<br />
Kanitscheider, Bernulf<br />
Von der mechanistischen Welt<br />
zum kreativen Universum.<br />
Zu einem neuen philosophischen<br />
Verständnis der Natur<br />
Wissenschaftl. Buchges.<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.272, DM 49<br />
Il libro si propone di promuovere<br />
presso una cerchia allargata di lettori,<br />
grazie alla mediazione di una conoscenza<br />
scientifico-naturale e di una<br />
riflessione filosofico-naturale, la comprensione<br />
di un mondo che diventa<br />
sempre più complesso.
Kaulbach, Ernest N.<br />
Imaginative prophecy<br />
in the B-text of Piers Plowman<br />
D. S. Brewer, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.192, £ 29,50<br />
Un’esplorazione della teoria psicologica<br />
araba (in particolare di Avicenna)<br />
sottesa al “Piers Plowman” che<br />
illumina i rapporti fra agenti e altre<br />
figure apparentemente non psicologiche.<br />
Il libro descrive anche il contesto<br />
in cui la psicologia araba raggiunse<br />
un poeta inglese del XIV secolo.<br />
Keal, Paul (a cura di)<br />
Ethics and foreign policy<br />
Allen & Unwin (UCL Press),<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.260, £ 11,95<br />
Pensato per mettere in relazione le<br />
questioni etiche con gli affari internazionali,<br />
il libro si concentra sulle<br />
questioni morali sollevate dalla conduzione<br />
della politica estera australiana.<br />
Kenny, Anthony<br />
Aquinas on mind<br />
Routledge, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.192, £ 30<br />
Il testo discute parti della teoria dell’Aquinate<br />
valide ancora oggi. Il libro<br />
si concentra su una attenta lettura<br />
della sezioni della “Summa Theologiae”<br />
dedicate all’intelletto e alla<br />
volontà umana e ai rapporti fra anima<br />
e corpo.<br />
Kervégan, Jean-François<br />
Hegel, Carl Schmitt:<br />
le politique entre spéculation<br />
et positivité<br />
PUF, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.35, F 272<br />
Il testo propone un confronto fra il<br />
sistema hegeliano e il pensiero di<br />
Carl Schmitt (1888-1985), facendo<br />
come se Schmitt avesse tentato di<br />
ricostruire un hegelismo senza dialettica<br />
e senza ragione speculativa.<br />
Ketelhodt, Friederike von<br />
Verantwortung für Natur<br />
und Nachkommen<br />
Centaurus-Vlg.-Ges.<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.214, DM 48<br />
Knuuttila, Simo<br />
Modalities in medieval philosophy<br />
Routledge, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.256, £ 35<br />
I saggi sulle nozioni modali hanno<br />
sempre avuto un ruolo importante<br />
nell’analisi filosofica. La storia di<br />
questi concetti è la storia di una varietà<br />
di premesse che hanno dato forma<br />
a una parte del discorso razionale.<br />
Kraut, Richard (a cura di)<br />
The Cambridge companion to Plato<br />
Cambridge University gennaio <strong>1993</strong><br />
pp. 596, $ <strong>12</strong>,95<br />
Il presente volume contiene dodici<br />
nuovi saggi che trattano delle idee<br />
di Platone sul sapere, sulla realtà,<br />
la matematica, la politica, l’etica,<br />
l’amore, la poesia e la religione. Vi<br />
sono inoltre analisi dello sfondo<br />
intellettuale e sociale del suo pen-<br />
siero, dello sviluppo della sua filosofia<br />
e del suo stile.<br />
Kremer-Marietti, Angèle<br />
Nietzsche et la rhétorique<br />
PUF, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.272, F 210<br />
Il libro offre una visione sistematica<br />
del rapporto fra Nietzsche e la retorica,<br />
mentre la sua filosofia emerge<br />
come una grande impresa ermeneutica,<br />
nella quale si annegano il gioco e<br />
il simbolo, il segno e l’immagine.<br />
Krieger, Martin<br />
Geist, Welt und Gott<br />
bei Christian August Crusius.<br />
Erkenntnistheoretischpsychologische,<br />
kosmologische<br />
und religionsphilosophische<br />
Perspektiven im Kontrast<br />
zum Wolffschen System<br />
Königshausen & Neumann,<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.548, DM 98<br />
Il saggio esamina a fondo l’originalità<br />
delle teorie sul mondo di Crusius<br />
elaborate a delimitazione della metafisica<br />
di Wolff, e la conoscenza divina,<br />
mettendone in luce il significato<br />
per lo sviluppo della filosofia di Kant.<br />
Kristeller, Paul<br />
Greek philosophers<br />
of the hellenic age<br />
Columbia University<br />
gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.<strong>12</strong>8, £ 14,95<br />
Centrato sulla storia della filosofia<br />
antica fra il III e il I secolo a.C., il<br />
saggio si basa su scritti primari greci<br />
e latini dei filosofi in questione e su<br />
frammenti, parafrasi e testimonianze<br />
delle loro opere perdute.<br />
Kuksewicz, Zd (a cura di)<br />
Aegidius Aurelianiensis:<br />
Quaestiones super De<br />
generatione et corruptione<br />
Grüner, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.237, DM 130<br />
Labarrière, Pierre-Jean<br />
L’utopie logique<br />
L’Harmattan, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.143, F 80<br />
Vivace nei periodi di mutamento culturale,<br />
la tradizione utopica si arricchisce<br />
oggi di aspetti complementari<br />
che mettono in opera una logica dialettica,<br />
logica che sviluppa anche un<br />
rapporto all’origine liberato dalla fissità<br />
delle rappresentazioni.<br />
Lacey, J. Michael<br />
Haakonssen, Knud (a cura di)<br />
A culture of rights:<br />
The Bill of Rights in philosophy,<br />
politics and law<br />
1791 and 1991<br />
Cambridge University<br />
gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.496, £ 14,95<br />
Questi saggi, di autorevoli studiosi di<br />
storia, filosofia, giurisprudenza e teorie<br />
politica, si propongono di fornire<br />
nuove prospettive sui mutevoli e<br />
mutati contenuti del pensiero e della<br />
consapevolezza sui diritti che stanno<br />
al centro della cultura politica ameri-<br />
NOVITÀ IN LIBRERIA<br />
76<br />
cana e improntano le sue istituzioni<br />
politiche centrali.<br />
Lachelier, Jules<br />
Du fondement de l’induction:<br />
et autres textes<br />
Fayard, febbraio <strong>1993</strong><br />
F 160<br />
Lachelier, della Scuola Normale Superiore,<br />
attraverso i suoi corsi alla<br />
Normale, con il modo con cui ha<br />
svolto i propri compiti di ispettore<br />
generale delle lettere e della filosofia,<br />
con le sue pubblicazioni, ha contribuito<br />
a restaurare gli studi di filosofia<br />
nell’università francese nel primo terzo<br />
del XIX secolo.<br />
Lamport, F. J.<br />
Justice and difference<br />
in the works of Rousseau:<br />
”Bienfaisance” and “Pudeur”<br />
Cambridge University Press,<br />
gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.276, £ 35<br />
Secondo Rousseau, il miglior rapporto<br />
fra disuguali è quello di “beneficenza”,<br />
del dare, ricevere e ricambiare<br />
benefici. Il ibro affronta il problema,<br />
insito nei suoi scritti, se sia effettivamente<br />
possibile l’esistenza di un<br />
rapporto giusto e generoso fra ineguali.<br />
Landsberg, Paul-Louis<br />
Essai sur l’expérience de la mort:<br />
Le problème moral du suicide<br />
Seuil, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.155, F 28<br />
Meditazioni di questo filosofo personalista,<br />
allievo di E. Mounier, nato<br />
nel 1901 e morto nel 1944, a proposito<br />
di questa prova e di questa tentazione<br />
umana.<br />
Laurent, Alain<br />
Histoire de l’individualisme<br />
PUF, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.<strong>12</strong>8, F 38<br />
L’individualismo riposa sulla convinzione<br />
che l’umanità sia composta<br />
non da insiemi sociali (nazioni, classi...),<br />
ma da individui, da esseri viventi<br />
indivisibili e irriducibili gli uni<br />
agli altri, gli unici che sentano, pensino<br />
e agiscano veramente.<br />
Lawson, Thomas E<br />
McCauley, Robert N.<br />
Rethinking religion:<br />
Connecting cognition<br />
and culture<br />
Cambridge University<br />
gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.240, £ <strong>12</strong>,95<br />
In questo libro gli autori cercano di<br />
elaborare un approccio cognitivo alla<br />
religione, fornendo una panoramica<br />
critica di approcci già affermati allo<br />
studio della religione e fanno una<br />
perentoria dichiarazione in favore<br />
della combinazione di interpretazioni<br />
e spiegazioni.<br />
Le Blanc, Charles<br />
Mathieu, Rémy<br />
Mythe et philosophie à l’aube<br />
de la Chine Impériale:<br />
études sur le Hauinan Zi<br />
Université de Montreal<br />
De Boccard, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.240, F 165<br />
Testimonianza privilegiata della rinascita<br />
delle arti, delle lettere e delle<br />
scienze che segna l’avvento della dinastia<br />
Han, lo Hauinan Zi (Libro del<br />
maestro di Huainan) riflette le concezione<br />
sintetica dell’uomo, della società<br />
e della natura nel II secolo a.C.<br />
a partire dai principi posti dai pensatori<br />
taoisti.<br />
Le Diraison, Serge<br />
Zernik, Eric<br />
Le corps des philosophes<br />
PUF, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.272, F 144<br />
Il testo si accosta al corpo attraverso<br />
quattro problematiche che costituiscono<br />
altrettanti momenti importanti<br />
della filosofia occidentale: Platone o<br />
il Rieducatore del corpo; Descartes o<br />
il corpo senz’ombra; Nietzsche o il<br />
corpo a corpo; Merleau-Ponty o le<br />
pieghe della carne, del corpo soggetto<br />
alla carne del mondo.<br />
Lecourt, Dominique<br />
Duroux, Françoise<br />
Canguilhem, philosophe<br />
et historien des sciences<br />
Albin Michel, febbraio <strong>1993</strong><br />
F 140<br />
In questo volume sono raccolte le<br />
comunicazioni del congresso organizzato<br />
a Parigi nel 1990 dal Collège<br />
international de philosophie; l’opera<br />
cerca di dare conto della complessità<br />
del pensiero di Canguilhem passando<br />
per tutte le sue dimensioni, scientifica,<br />
filosofica, etica e politica.<br />
Leibniz, Gottfried W.<br />
Saggi di teodicea<br />
Rizzoli, aprile <strong>1993</strong><br />
pp.520, L. 16.000<br />
La Teodicea si presenta come l’opera<br />
di una vita, il tentativo compiuto da<br />
Leibniz di esporre in modo sistematico<br />
la parte più rilevante del suo pensiero,<br />
di mettere ordine in meditazioni<br />
la cui traccia risale agli anni della<br />
gioventù.<br />
Lenk, Hans<br />
Philosophie und Interpretation.<br />
Vorlesungen zur Entwicklung<br />
konstruktionistischer<br />
Interpretationsansätze<br />
Suhrkamp, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.288, DM 20<br />
Lesch, W. - Schwind, G.<br />
(a cura di)<br />
Das Ende der alten<br />
Gewißheiten. Theologische<br />
Auseinandersetzung<br />
mit der Postmoderne<br />
Matthias-Grünewald-Vlg.,<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.168, DM 36<br />
Lesher, J. H. (a cura di)<br />
Xenophanes of Colophon:<br />
Fragments.<br />
Univ. of Toronto, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.380, $ 45<br />
Senofane di Colofone fu un poeta<br />
filosofo che visse in varie città del-
l’antico mondo greco tra la fine del<br />
VI e l’inizio del V secolo a.C.<br />
Lévy, Carlos<br />
Cicero academicus: recherche<br />
sur les Académiques<br />
et sur la philosophie cicéronienne<br />
Ecole française de Rome<br />
gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.697, F 590<br />
Troppo spesso considerato un trattato<br />
dedicato esclusivamente ai problemi<br />
della conoscenza, le Accademiche<br />
vengono da C. Lévy nuovamente poste<br />
nella doppia prospettiva della filosofia<br />
ellenistica e dell’itinerario personale<br />
di Cicerone, nello stesso tempo<br />
filosofo e uomo politico.<br />
Lütterfelds, W. (a cura di)<br />
Evolutionäre Ethik zwischen<br />
Naturalismus und Idealismus.<br />
Eine moderne Theorie<br />
der Moral<br />
Wissenschaftl. Buchges.<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.252, DM 45<br />
Il volume mostra come l’etica evoluzionistica,<br />
nell’ampio arco tensivo<br />
delle posizioni filosofiche contrapposte,<br />
venga discussa in modo estremamente<br />
controverso. Il saggio vuole<br />
portare un contributo al dibattito<br />
per rendere fruttuosa un’etica evoluzionistica<br />
e tenta una mediazione fra<br />
le concezioni etiche idealistiche e<br />
quelle naturalistiche.<br />
Macherey, Pierre<br />
Avec Spinoza:<br />
études sur la doctrine<br />
et l’histoire du spinozisme<br />
PUF, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.272, F 172<br />
Una lettura di Spinoza “al presente”<br />
che consente di riformulare problemi<br />
attuali che noi ci poniamo qui e oggi,<br />
attraverso il riesame di alcuni punti<br />
dottrinali, dai paradossi della conoscenza<br />
immediata alla questione della<br />
fine della storia.<br />
Mahajan, Gurpreet<br />
Explanation and understanding<br />
in the human sciences<br />
OUP India, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.136, £ 8,95<br />
Il saggio affronta diverse questioni<br />
importanti che hanno dominato il dibattito<br />
nella filosofia delle scienze<br />
sociali e costituisce una trattazione<br />
lucida delle faccende legate all’adeguatezza<br />
delle diverse forme di spiegazione.<br />
Mahon, Michael<br />
Houcault’s Nietzschean<br />
genealogy. Truth, power<br />
and the subject<br />
State Univ. of New York<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.288, $ 19<br />
Il primo studio di ampio respiro sull’impatto<br />
degli scritti di Friedrich<br />
Nietzsche sul pensiero di Michel Foucault.<br />
Malebranche, Nicholas<br />
Treatise on ethics (1684)<br />
Kluwer Academic Publishers,<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.240, £ 59<br />
Nel suo “Trattato sull’etica” Malebranche<br />
elabora una scienza dettagliata,<br />
“sperimentale” dell’etica in<br />
due parti: l’etica della virtù e l’etica<br />
del dovere. Vengono distinte sei<br />
fonti di motivazione (dalla percezione<br />
alla passione) ed esplorati i<br />
nostri doveri verso noi stessi, verso<br />
gli altri e verso Dio.<br />
Marin, Louis<br />
De pouvoirs de l’image: gloses<br />
Seuil, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.255, F 150<br />
Testi che per la maggior parte appartengono<br />
all’età della rappresentazione,<br />
vengono qui letti e riscritti secondo<br />
il genere della glossa: letture, riscritture<br />
che li spostano altrove e li<br />
aprono su un oggetto che va a ruba e<br />
di cui tuttavia non cessano di parlare<br />
e di scrivere: l’immagine.<br />
Matteï, Jean-François<br />
Pythagore et les pythagoriciens<br />
PUF, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.<strong>12</strong>8, F 38<br />
Il libro costituisce più un’esposizione<br />
di un sistema coerente con una prospettiva<br />
illumminante che parte da<br />
alcuni testi di Platone, che non una<br />
semplice intuizione delle dottrine pitagoriche.<br />
McBride, Joseph<br />
Albert Camus:<br />
Philosopher and litterateur<br />
Macmillan Press, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.288, £ 19,99<br />
Il libro segna una riaffermazione della<br />
scrittura di Camus che indaga la<br />
natura e le origini filosofiche del pensiero<br />
di Camus sull’”autenticità” e<br />
“l’assurdo”, concetti espressi in “Il<br />
mito di Sisifo” e “l’Outsider”, dimostrando<br />
che egli non fu solo una figura<br />
letteraria, ma anche un filosofo.<br />
Mele, Alfred R.<br />
Irrationality:<br />
An essay on “Akrasia”,<br />
self-deception, and self-control<br />
Oxford University<br />
gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.194, £ <strong>12</strong>,95<br />
L’autore dimostra che certe forme di<br />
irrazionalità (azione incontinente e<br />
inganno di sé) rifiutate da molti filosofi<br />
perché logicamente o psicologicamente<br />
impossibili, sono in effetti<br />
possibili.<br />
Merleau-Ponty, Maurice<br />
Il visibile e l’invisibile<br />
Bompiani, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.320, L. 34.000<br />
La discussione delle impostazioni filosofiche<br />
di Kant, di Husserl e di<br />
Sartre problematizza la contrapposizione<br />
fra il “visibile e l’invisibile” su<br />
cui è fondata la metafisica occidentale:<br />
si profila una nuova considerazione<br />
dell’Essere, un diverso stile di<br />
pensiero e di scrittura filosofica.<br />
Milkov, Nikolay<br />
Kaleidoscopic mind.<br />
An essay in post-Wittgensteinian<br />
philosophy<br />
Editions Rodopi, febbraio <strong>1993</strong><br />
NOVITÀ IN LIBRERIA<br />
77<br />
pp.4<strong>12</strong>, Dfl 160<br />
Il libro sostiene che a dispetto delle<br />
tendenze antifunzionalistiche di Wittgenstein,<br />
espresse chiaramente nell’idea<br />
di filosofia come attività di<br />
analisi linguistica, in realtà la sua<br />
filosofia è costruita su un particolare<br />
schema concettuale (oscillante).<br />
Montaigne, Michel de<br />
The complete essays<br />
Penguin Books, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.1344, £ 9,99<br />
Nessuno nella civiltà occidentale ha<br />
mai tentato di fare ciò che intraprese<br />
Montaigne. Questi si muove di pensiero<br />
in pensiero, spesso allontanandosi<br />
da un’idea solo per ritornarvi<br />
dopo esservisi imbattuto altrove. In<br />
questi saggi, Montaigne espone il suo<br />
progetto per una vita e una morte<br />
saggia dell’uomo.<br />
Montaleone C., Sini C.<br />
Remo Cantoni<br />
filosofia a misura della vita<br />
Guerini, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.224, L. 32.000<br />
La figura di Remo Cantoni (1914-<br />
1978), allievo di Antonio Banfi e<br />
esponente di spicco della “scuola banfiana”,<br />
docente di Filosofia morale,<br />
ricordato attraverso i contributi di alcuni<br />
intellettuali.<br />
Moro, Tommaso<br />
L’utopia<br />
o la migliore forma di Repubblica<br />
Laterza, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.200, L. 8.000<br />
La prima costruzione immaginaria<br />
di uno Stato ideale. Nell’Inghilterra<br />
del primo Cinquecento si delinea<br />
la struttura economica, sociale<br />
e religiosa di uno Stato ideale, quello<br />
appunto esistente nella immaginaria<br />
isola di Utopia.<br />
Morris, Charles W.<br />
Symbolism and reality:<br />
A study in the nature of mind<br />
John Benjamins Publishing<br />
Company, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.<strong>12</strong>8, £ 32<br />
Il libro si propone di dimostrare che il<br />
pensiero e la mente non sono entità,<br />
né processi che comportano una sostanza<br />
psichica distinta dal resto della<br />
realtà, ma li si può spiegare come il<br />
funzionamento di parti dell’esperienza<br />
in quanto simboli di un organismo<br />
di altre parti dell’esperienza.<br />
Mourelatos, Alexander P. D.<br />
(a cura di)<br />
The pre-socratics:<br />
A collection of critical essays<br />
Princeton University,<br />
gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.580, £ 13,95<br />
La presente raccolta vuole introdurre<br />
il lettore ad alcune delle scuole presocratiche<br />
più rispettate nel XX secolo.<br />
Vi sono traduzioni di opere importanti<br />
di studiosi europei fino a questo<br />
momento non disponibili in inglese,<br />
oltre agli argomenti principali e agli<br />
approcci attuali.<br />
Munk, Linda<br />
The trivial sublime:<br />
Theology and american poetics<br />
Macmillan, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.208, £ 35<br />
Il saggio colloca il sublime americano<br />
in ciò che apparentemente è triviale:<br />
nei piccoli oggetti comuni, nelle<br />
persone umili e di bassa estrazione,<br />
insomma in ciò che il filosofo Stanley<br />
Cavell chiamava l’”ordinarietà” del<br />
linguaggio americano. Letture radicali<br />
di opere di Ralph Waldo Emerson<br />
e di Herman Melville.<br />
Musgrave, Alan<br />
Common sense, science<br />
and scepticism: An historical<br />
introduction to the theory<br />
of knowledge<br />
Cambridge University<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.324, £ <strong>12</strong>,95<br />
Questa opera epistemologica costituisce<br />
una ricognizione introduttiva, di<br />
base storica, del dibattito fra dogmatismo<br />
e scetticismo, schierandosi quasi<br />
sempre per lo scetticismo per dimostrare<br />
che il desiderio di sgominarlo<br />
spesso a portato a dottrine idealistiche<br />
o antirealistiche.<br />
Neumann, Walter G.<br />
Kritishe Theorie der Kultur heute.<br />
Der Mensch zwischen revolutionärer<br />
Selbsterhaltung und evolutionärer<br />
Selbstverwicklichung<br />
Die Blaue Eule, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.140, DM 34<br />
Newman, Andrew (a cura di)<br />
The physical basis of predication<br />
Cambridge UP, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.256, £ 30<br />
Il testo difende un’immagine realistica<br />
degli universali metafisici, dove<br />
l’idea di universale viene caratterizzata<br />
prendendo in considerazione il<br />
linguaggio e la logica, l’idea di possibilità,<br />
le gerarchie di universali e causalità.<br />
La tesi è che né il linguaggio né<br />
la logica siano buone guide alla natura<br />
della realtà.<br />
Nuttall, Jon<br />
Moral questions:<br />
An introduction to ethics<br />
Polity Press, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.240, £ 11,95<br />
Il testo discute valori e giudizi ed<br />
esamina l’educazione morale e religiosa<br />
e la punizione. Nuttall osserva<br />
la moralità sessuale con capitoli dedicati<br />
alla pornografia, all’aborto, alla<br />
ricerca fetale e ai bambini, e analizza<br />
le questioni morali concernenti la<br />
morte, i diritti degli animali e le teorie<br />
morali.<br />
O’Meara, Dominic J.<br />
Plotinus: An introduction<br />
to the “Enneads”<br />
Clarendon, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.152, £ 22,50<br />
Introduzione all’opera di Plotino,<br />
autore del III secolo a.C. Punti importanti<br />
della sua filosofia vengono discussi<br />
in relazione a testi scelti, si<br />
tratteggia la sua grande influenza sulla<br />
tradizione intellettuale occidenta-
le. Informazioni bibliografiche per<br />
ulteriori letture.<br />
O’Meara, John J.<br />
<strong>Studi</strong>es in Augustine<br />
and Eriugena<br />
Catholic University of America<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.375, £ 53,95<br />
Il libro si propone di rendere disponibile<br />
a studiosi e studenti lo sviluppo<br />
del pensiero di uno dei maggiori studiosi<br />
di Agostino, John J. O’Meara. I<br />
23 saggi puntano principalmente agli<br />
interessi filosofici che contribuirono<br />
alla conversione di Agostino al cristianesimo<br />
e all’uso di Agostino fatto<br />
da John Scotus Eriugena.<br />
Oliner, Pearl M.<br />
Oliner, Samuel P.<br />
Baron, Lawrence<br />
Blum, Lawrence A.<br />
Krebs, Dennis L.<br />
Smolenske, M. Zuzanna (a cura di)<br />
Embracing the other:<br />
Philosophical, psychological,<br />
and historical perspectives<br />
on altruism<br />
New York University<br />
gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.456, £ 44,95<br />
Il presente testo è nato primariamente<br />
come risposta alla recente ricerca sulla<br />
manifestazione di un altruismo della<br />
vita reale, e cioè ai saggi sui salvatori<br />
non ebrei di ebrei durante la Seconda<br />
Guerra Mondiale. Il libro affronta questioni<br />
in diverse discipline, pur restando<br />
centrato su argomenti comuni.<br />
Pagano, Maurizio<br />
Hegel. La religione<br />
e l’ermeneutica del concetto<br />
Ed. Scientifiche, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.246, L 32.000<br />
Si individua nel nesso tra i due momenti,<br />
logico e ermeneutico, il punto<br />
focale del pensiero di Hegel; una ricostruzione<br />
del primo confronto della<br />
teologia cattolica con Hegel, condotta<br />
da un contemporaneo del filosofo,<br />
Franz Anton Staudenmaier.<br />
Pallavidini, Renato<br />
Hegel critico dell’autoritarismo<br />
Arnaud, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.160, L. 25.000<br />
Il confronto critico con la Rivoluzione<br />
francese alle origini dei modelli<br />
teorici del giovane Hegel.<br />
Panaccio, Claude<br />
Le mots, le concepts<br />
et les choses: la sémantique<br />
de Guillaume d’Occam<br />
et le nominalisme d’aujourd’hui<br />
Vrin, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.288 F 172<br />
La vecchia questione del nominalismo<br />
si ritrova al cuore della filosofia<br />
analitica contemporanea: come possono<br />
il discorso e il pensiero articolarsi<br />
in un mondo esterno popolato di<br />
cose singole? L’autore mette in parallelo<br />
le idee di Occam, francescano<br />
inglese, con quelle di Fodor, Goodman<br />
e Quine.<br />
Paty, Michel<br />
Einstein philosophe: la physique<br />
comme pratique philosophique<br />
PUF, febbraio <strong>1993</strong><br />
Philp, Mark - Fitzpatrick,<br />
Martin - St Clair, William<br />
(a cura di)<br />
The political and philosophical<br />
writings of William Godwin<br />
Pickering & Chatto<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
£ 395<br />
L’opera contiene tutti i maggiori scritti<br />
politici, filosofici ed educazionali di<br />
William Godwin, uno dei più grandi<br />
filosofi della sua epoca. Il suo lavoro<br />
sul governo e sulla libertà individuale,<br />
“Political justice”, ne fece l’esponente<br />
di spicco del radicalismo inglese<br />
nell’ultima metà del XVIII secolo.<br />
Platon<br />
Le Souci du bien<br />
Arléa, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.<strong>12</strong>5, F 85<br />
A cura di M. Gondicas<br />
Due dei dialoghi socratici più noti,<br />
Liside e Carmide, volti a definire il<br />
bene, aspirazione primordiale dell’uomo,<br />
in piena luminosità di coscienza.<br />
Platone<br />
Apologia di Socrate<br />
a cura di Elisa Avezzù<br />
Marsilio, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.136, L. <strong>12</strong>.000<br />
Pöltner, Günther<br />
Evolutionäre Vernunft.<br />
Eine Auseinandersetzung<br />
mit der evolutionären<br />
Erkenntnistheorie<br />
Kohlhammer, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.240<br />
Quéran, Odile<br />
Trarieux, Denis (a cura di)<br />
Les discours du corps:<br />
une anthologie<br />
Presse Pocket, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.50<br />
Una raccolta di testi sulla rappresentazione<br />
del corpo, il suo ruolo nella<br />
costituzione dell’identità e il problema<br />
della sua conoscenza.<br />
Quine, Willard Van Orman<br />
La poursuite de la verité<br />
Seuil, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.153, F 99<br />
Il saggio condensa, con approfondimenti,<br />
l’insieme delle idee di questo<br />
filosofo americano sulla significazione<br />
cognitiva, la referenza oggettiva e<br />
le basi della conoscenza.<br />
Raulet, Gérard<br />
Herbert Marcuse:<br />
Philosophie de l’émancipation<br />
PUF, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.256, F 80<br />
Il pensiero di Marcuse viene confrontato<br />
oggi alla capacità del capitalismo<br />
di generare “miscugli” che mettano<br />
in scacco ogni critica. La congiunzione<br />
di un individualismo sfrenato e del<br />
dominio planetario della tecnica sembra<br />
realizzare al di là di ogni “speran-<br />
NOVITÀ IN LIBRERIA<br />
78<br />
za” la civiltà unidimensionale denunciata<br />
dalla filosofia.<br />
Reboul, Olivier<br />
Garcia, Jean-François<br />
Rhétorique de...<br />
Université de Strasbourg<br />
gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.116, F 90<br />
Una raccolta di testi che mettono in<br />
evidenza il ruolo dell’argomentazione<br />
nel campo della comunicazione.<br />
Redeker, Hans<br />
Helmut Plessner<br />
oder die verkörperte Philosophie<br />
Duncker und Humblot<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.241, DM 84<br />
Reimmann, Jacob Fr.<br />
Historia universalis atheismi<br />
et atheorum falso<br />
et merito suspectorum<br />
Introduzione di W. Schröder<br />
Frommann-Holzboog<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.722, DM 490<br />
Rescher, Nicholas<br />
Rationalität.<br />
Eine philosophische Untersuchung<br />
über das Wesen<br />
und die Rechtfertigung<br />
von Vernunft<br />
Königshausen & Neumann<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.300, DM 48<br />
Il testo di questo libro comprende<br />
tutto il materiale dell’edizione inglese.<br />
In più qui sono state aggiunte una<br />
trentina di pagine di nuovi materiali,<br />
che chiariscono e spiegano i rapporti<br />
fra diversi ambiti di problemi.<br />
Reuland, Eric - Abraham, Werner<br />
(a cura di)<br />
Knowledge and language:<br />
Vol. I. From Orwell’s problem<br />
to Plato’s problem<br />
Kluwer Academic Publishers<br />
gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.264, £ 77<br />
Primo volume di un’opera in tre volumi,<br />
indaga il ruolo della struttura concettuale<br />
nei processi cognitivi, esplorandolo<br />
da diversi punti di vista, fra<br />
cui la filosofia del linguaggio, la linguistica,<br />
la psicologia e l’estetica.<br />
Reuland, Eric - Abraham, Werner<br />
(a cura di)<br />
Knowledge and language:<br />
Vol. II. Lexical and conceptual<br />
structure<br />
Kluwer Academic Publishers,<br />
gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.264, £ 67<br />
Secondo volume di un’opera in tre<br />
volumi, il testo affronta la natura dell’interfaccia<br />
fra struttura concettuale<br />
e linguistica, sforzandosi di fornire<br />
una cornice teoretica del rapporto fra<br />
senso come entità linguistiche ed entità<br />
del mondo reale.<br />
Rizzi, Lino<br />
Eticità e stato in Hegel<br />
Mursia, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.368, L. 40.000<br />
La teoria hegeliana dell’Eticità appa-<br />
re come un grande sforzo di comprendere<br />
il modo in cui le sfere dell’economia,<br />
del diritto e della politica<br />
costituiscono sistemi tra loro distinti<br />
solo “operativamente”, ma come “eticamente”<br />
siano funzioni dirette alla<br />
realizzazione degli individui.<br />
Rocca, Ettore<br />
L’essere e il giallo.<br />
Saggio su Merleau-Ponty<br />
Pratiche, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.150, L. 18.000<br />
Come e dove sorge la domanda filosofica<br />
e perché la domanda sull’esperienza<br />
o sull’essere è al tempo filosofia<br />
che si interroga sulla sua stessa<br />
possibilità sono gli interrogativi, centrali<br />
per la filosofia del Novecento,<br />
filo conduttore per accostarsi al percorso<br />
di pensiero di Merleau-Ponty.<br />
Rousseau, Jean-Jacques<br />
Il contratto sociale<br />
Rizzoli, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.222, L. 9.000<br />
Il ritratto di una società etica e politica<br />
insieme, in cui l’individuo non<br />
obbedisca ad alcuna volontà estranea<br />
o superiore, ma a una volontà generale<br />
che egli stesso sceglie e che quindi<br />
viene a coincidere che la sua.<br />
Rousseau, Jean-Jacques<br />
Le fantasticherie<br />
del passeggiatore solitario<br />
Einaudi, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.151, L.18.000<br />
Meditazioni sui temi della religione,<br />
dell’educazione, del diritto sociale; argomenti<br />
tutti che gli avevano causato<br />
inimicizie ed amarezze. Rousseau si<br />
interroga, e cerca di spiegare a se stesso<br />
l’origine di tali delusioni, ma lo<br />
supera con lo slancio entusiasta che<br />
egli porta ai suoi ideali umani e religiosi.<br />
Rovatti, Pier Aldo<br />
Trasformazioni del soggetto<br />
Il Poligrafo, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.144, L. 26.000<br />
I saggi che compongono il volume<br />
hanno al loro centro la discussa proposta<br />
di una “pensiero debole”. Questa<br />
proposta, formulata nel 1983, si<br />
articolava intorno al nome di Friedrich<br />
Nietzsche, ma anche a quello di<br />
Husserl, Lacan, Serres; si trattava del<br />
problema di un luogo diverso da dare<br />
alla soggettività, dinanzi a una modificata<br />
descrizione del potere. La lettura<br />
di questo lavoro permette di ricostruire<br />
qualcosa come un corpo omogeneo<br />
di domande: bisogno, soggettività,<br />
potere e pratica del pensiero.<br />
Runzo, Joseph (a cura di)<br />
Is god real?<br />
Macmillan, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.288, £ 40<br />
Raccolta di saggi dedicata al dibattito<br />
attuale sul realismo teologico. C’è<br />
una realtà divina, trascendente indipendente<br />
dal pensiero umano? Negli
scritti di importanti esponenti di entrambe<br />
le parti, il libro presenta un<br />
dialogo fra realisti e non realisti.<br />
Rupp, G. (a cura di)<br />
Was leisten<br />
die Geisteswissenschaften<br />
für die Zukunft? Beiträge<br />
zum Modellversuch<br />
“Geisteswissenschaftliches<br />
<strong>Studi</strong>um Fundamentale”<br />
an der Universität Bochum<br />
Brockmeyer, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.168, DM 16,80<br />
Ryle, Gilbert<br />
Gilbert Ryle<br />
and the philosophy of mind<br />
Blackwell Publishing<br />
gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.256, £ 45<br />
Raccolta di scritti di Gilbert Ryle,<br />
professore di filosofia a Oxford dal<br />
1945 al 1967. Il libro comprende anche<br />
due omaggi a Ryle: uno di John<br />
Mabbot, suo intimo amico, sull’uomo<br />
Ryle; l’altro è di David Gallop,<br />
suo ex studente, sul Ryle filosofo.<br />
Sarvepalli Radhakrishnan<br />
Indian philosophy: Vol. 1<br />
OUP India, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.738, £ <strong>12</strong>,95<br />
L’opera si propone di fornire un resoconto<br />
chiaro dei più elevati concetti<br />
dell’induismo. In essa vi si trovano<br />
mescolati concetti orientali e terminologia<br />
occidentale, così da rendere<br />
accessibile e istruttivo il testo anche a<br />
chi si dovesse accostare all’argomento<br />
per la prima volta.<br />
Sarvepalli Radhakrishnan<br />
Indian philosophy: Vol.2<br />
OUP India, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.808, £ <strong>12</strong>,95<br />
Scheffer, Thomas<br />
Kants Kriterium der Wahrheit.<br />
Eine systematische Interpretation<br />
der Argumentation<br />
für die Anschauungsformen<br />
und Kategorien a priori<br />
in der “Kritik der reinen Vernunft”<br />
de Gruyter, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.311, DM 136<br />
Schmidt, Amos<br />
Materialismus zwischen<br />
Metaphysik und Positivismus.<br />
Max Horkheimer Frühwerk.<br />
Darstellung und Kritik<br />
Westdeutscher Vlg.<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.384, DM 62<br />
Schmidt, Hermann J.<br />
Das Ereignis Nietzsche -<br />
ausgehend von Röcken.<br />
Gedenkvortrag<br />
auf der Gedenkveranstaltung<br />
zum 90. Todestag von Friedrich<br />
Wilhelm Nietzsche<br />
am 25.8.1990 in der Pfarrkirche<br />
zu Röcken<br />
Dortmund, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.35, DM 4<br />
Le note e un “Supplemento 25.8.1992:<br />
Due anni dopo o Ricordi di una singolare<br />
esperienza fra la caduta del muro<br />
e la riconquista” aggiornano lo scritto.<br />
Schoeman, Ferdinand David<br />
Privacy and social freedom<br />
Cambridge UP, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.240, £ 30<br />
Il libro attacca la premessa, comune a<br />
molte filosofie morali, che il controllo<br />
sociale in quanto tale sia una forza<br />
intellettualmente e moralmente distruttiva.<br />
Schomberg, Rene von<br />
Science, politics and morality<br />
Kluwer Academic Publishers<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.180, £ 46<br />
Insigni autori di diversi paesi europei<br />
e americani forniscono una prospettiva<br />
incrociata sui problemi decisionali<br />
politici in condizioni di incertezza<br />
scientifica. Si discutono esempi tratti<br />
dalla biotecnologia e dalle scienze<br />
ambientali.<br />
Schulte, Joachim<br />
Experience and expression.<br />
Wittgenstein’s philosophy<br />
of psychology<br />
Clarendon Press, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.192, £ 25<br />
Il saggio usa i dibattiti sui concetti<br />
psicologici degli ultimi manoscritti<br />
di Wittgenstein come base per la ricostruzione<br />
degli argomenti e delle elucidazioni<br />
concettuali di Wittgenstein.<br />
Il testo fornisce prospettive sulla filosofia<br />
della psicologia, sull’estetica e<br />
sulla teoria del significato.<br />
Sen, Amartya<br />
Libertà e benessere<br />
Marsilio, aprile <strong>1993</strong><br />
pp.140, L. 15.000<br />
Una proposta di radicale ridefinizione<br />
dei criteri utilizzati per identificare<br />
il tenore di vita viene qui avanzata da<br />
Sen, che ci invita a non separare gli<br />
strumenti oggettivi da quelli soggettivi<br />
e filosofici che appartengono al<br />
bagaglio ideale di ciscun individuo.<br />
✂<br />
NOVITÀ IN LIBRERIA<br />
79<br />
Shields, Philip R.<br />
Logic and sin in the writings<br />
of Ludwig Wittgenstein<br />
Univ. of Chicago febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.176, $ 31<br />
Shields dimostra come una matrice<br />
etica e religiosa pervada anche gli<br />
scritti più tecnici sulla logica e il<br />
linguaggio e che per Wittgenstein il<br />
bisogno di stabilire limiti chiari è<br />
un’esigenza allo stesso tempo logica<br />
ed etica.<br />
Shin, Sang-Hie<br />
Wahrheitsfrage und Kehre<br />
bei Martin Heidegger.<br />
Die Frage nach der Wahrheit<br />
in der Fundamentalontologie<br />
und im Ereignis-Denken<br />
Königshausen & Neumann<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.224, DM 48<br />
Smith Ferguson, Martin<br />
Diogene di Enoanda.<br />
L’iscrizione epicurea<br />
Bibliopolis, aprile <strong>1993</strong><br />
pp.660, L. 200.000<br />
L’edizione di Smith, che consta di<br />
introduzione, testo critico, traduzione,<br />
commento e indici, è l’unica a<br />
presentare tutti i frammenti noti dell’opera<br />
di Diogene, filosofo e filantropo<br />
che la fece incidere sul muro di<br />
una stoa a Enoanda nella Licia settentrionale.<br />
Fondata sul controllo di tutti<br />
i blocchi di pietra scopeti e riscoperti<br />
dagli inglesi, questa edizione presenta<br />
centinaia di letture e supplementi<br />
inediti.<br />
Sorel, Georges<br />
Le illusioni del progresso<br />
Bollati Boringhieri, aprile <strong>1993</strong><br />
pp.240, L. 24.000<br />
Pubblicato nel 1908, poco dopo le<br />
Considerazioni sulla violenza, questo<br />
libro affronta con più ampio respiro<br />
storico e filosofico gli aspetti ide-<br />
ologici di quella che Sorel considerava<br />
la subalternità del socialismo riformista<br />
al progetto illuministico della<br />
borghesia.<br />
Sorell, Tom<br />
The rise of modern philosophy.<br />
The new and traditional<br />
philosophies from Machiavelli<br />
to Leibniz<br />
Oxford UP, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.360, £ 40<br />
Il saggio esamina il pensiero di tredici<br />
autori in ogni campo della filosofia<br />
e delle scienze e cerca di dimostrare<br />
che la frattura fra le “nuove” filosofie<br />
e quelle tradizionali classiche non è<br />
così totale come si pensa in genere.<br />
Soulez, Philippe<br />
La guerre et les philosophes:<br />
de la fin des années<br />
20 aux années 50<br />
Universitaire de Vincennes<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.320, F 140<br />
Scritti di J. Barnes, J. A. Barash, J.-<br />
M. Besnier e altri.Come il precedente<br />
(Les philosophes et la guerre de 14) il<br />
presente volume riunisce analisi sugli<br />
atteggiamenti individuali o collettivi<br />
dei filosofi, da Aron a Wittgenstein,<br />
di fronte alla problematica dell’orrore<br />
che il nazismo, ancora oggi,<br />
ci costringe a pensare.<br />
Southgate, Beverley C.<br />
”Covetous of truth”: The life<br />
and work of Thomas White,<br />
1593-1676<br />
Kluwer Academic Publishers<br />
gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.196, $ 60<br />
Il lavoro è dedicato alla vita e all’opera<br />
di Thomas White, importante ed<br />
eclettico pensatore del XVII secolo.<br />
Ci viene presentato come il capo di<br />
un’influente fazione dei cattolici inglesi,<br />
come un accanito oppositore<br />
dello scetticismo e come la possibile<br />
sintesi del pensiero scolastico con la<br />
“nuova filosofia”.<br />
Sparles, Harvey B.<br />
Osservazioni ……………………………………………………………………<br />
…………………………………………………………………………………<br />
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…………………………………………………………………………………<br />
Suggerimenti ………………………………………………………………<br />
…………………………………………………………………………………<br />
…………………………………………………………………………………<br />
…………………………………………………………………………………
✂<br />
Teaching as dialogue:<br />
A teacher’s study<br />
University of America<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.216, £ 21,95<br />
Il testo osserva il significato e il contesto<br />
della conoscenza e afferma che la<br />
natura dell’apprendimento induce speranza<br />
e ispirazione per il futuro; sostiene<br />
anche che il dialogo permette agli<br />
studiosi di perseguire il sapere sviluppando<br />
forza e ingenerando un senso<br />
della finalità.<br />
Spat, Werner<br />
Philosophie und Grundprobleme<br />
der modernen Astrologie.<br />
Neues zu einem “alten” Thema<br />
Die Blaue Eule febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.173, DM 39<br />
Stalder, Henry J.<br />
Rational realism.<br />
About relative ration<br />
and relative reality<br />
Haag & Herchen, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.116, DM 19,80<br />
Sterling, Marvin C.<br />
Philosophy of religion:<br />
A universalist perspective<br />
University Press of America,<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.234, £ 21,95<br />
Il libro tenta di chiarire e valutare i<br />
concetti chiave della religione come<br />
anche quelli che sono caratteristica<br />
esclusiva di particolari tradizioni religiose.<br />
L’autore vede un’armonia di<br />
fondo fra le differenti religioni mondiali<br />
e ne sottolinea i punti di contatto.<br />
Thanbichler, Christian<br />
Die Abstraktion<br />
und die Unglaublichkeit<br />
des Irrtums menschlichen Denkens<br />
Die Blaue Eule febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.91, DM 23<br />
Tiedemann, Paul<br />
Über den Sinn des Lebens.<br />
Die perspektivische Lebensform<br />
Wissenschaftl. Buchges.<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.352, DM 39<br />
Come può l’uomo di oggi ancora trovare<br />
la pienezza del senso? Il libro<br />
presenta una fenomenologia dei diversi<br />
concetti di senso che sono stati<br />
elaborati nel corso della storia umana.<br />
L’autore li confronta con il concetto di<br />
senso prospettivo, che a suo parere<br />
potrebbe essere portante per l’epoca<br />
moderna.<br />
Torrance, J. (a cura di)<br />
The concept of nature<br />
Clarendon, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.208, £ <strong>12</strong>,50<br />
Una serie di saggi di filosofi della<br />
scienza che trattano le principali fasi<br />
dello sviluppo storico della concezione<br />
scientifica della natura.<br />
Uebel, Thomas E.<br />
Overcoming logical<br />
positivism from within.<br />
The emergence of Neurath’s<br />
naturalism in the Vienna Circle’s<br />
protocol sentence debate<br />
Editions Rodopi, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.377, Dfl 140<br />
Unger, Peter<br />
Identity, consciousness and value<br />
Oxford University gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.358, £ 15<br />
Il tema dell’identità personale ha dato<br />
l’avvio recentemente a vivaci dibattiti<br />
filosofici. In un contributo alla discussione,<br />
l’autore di questo trattato<br />
presenta un resoconto psicologicamente<br />
orientato, ma con una base<br />
fisica, della nostra identità nel corso<br />
del tempo.<br />
Vacca, Roberto<br />
La via della ragione<br />
Bompiani, marzo <strong>1993</strong><br />
pp.256, L. 30.000<br />
Che cos’è la “nuova morale”? A<br />
questa e ad altre domande si cerca di<br />
rispondere ripercorrendo la storia del<br />
pensiero e analizzando l’assurdità<br />
insita nelle “regole fisse”, o il cammino<br />
della “ragione” dalla Bibbia al<br />
Talmud, o l’autonomia del diritto, o<br />
cercando di saldare il pensiero di<br />
NOVITÀ IN LIBRERIA<br />
Tommaso d’Aquino e Ignazio di<br />
Loyola.<br />
Vadée, Michel<br />
Marx, penseur du possible<br />
Méridiens-Klincksieck,<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.568, F 180<br />
Il libro dimostra che nella sua critica<br />
dell’economia politica, nella sua concezione<br />
della storia e nel suo materialismo<br />
filosofico, Marx ammette diverse<br />
forme di possibilità: astratte o teoriche,<br />
concrete o storiche e soprattutto<br />
una possibilità reale, quella di un “regno<br />
della libertà”.<br />
oss, Stephen (a cura di)<br />
Essays on the philosophy<br />
and science of Rene Descartes<br />
Oxford UP, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.336, £ 16<br />
Questi saggi di importanti studiosi di<br />
Descartes, mai pubblicati prima in<br />
inglese, costituiscono una rassegna<br />
della ricerca contemporanea sulla filosofia<br />
e la scienza cartesiana.<br />
Warnock, G. J.<br />
Berkeley<br />
Gregg Revivals, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.240, $ 35<br />
In questa nuova edizione riveduta della<br />
sua introduzione a Berkeley, l’autore<br />
esamina tutte le maggiori opere e<br />
idee filosofiche di Berkeley e discute i<br />
suoi contributi a questioni ancora dibattute<br />
oggi. Il libro vuole essere un<br />
aiuto per il lettore a imparare qualcosa<br />
sulla filosofia grazie a questo saggio<br />
su Berkeley.<br />
Westphal, Merold<br />
Hegel, freedom, and modernity<br />
State Univ. of New York Pr.,<br />
febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.288, $ 19<br />
Westphal è uno dei più insigni commentatori<br />
contemporanei di Hegel. La<br />
sua opera propone numerose prospettive<br />
stimolanti e riesce straordinariamente<br />
bene a presentare la rilevanza di<br />
Hegel per tutta una serie di questioni e<br />
pensatori contemporanei, e dunque l’agi-<br />
ome e cognome ………………………………………………………………<br />
ndirizzo ………………………………………………………………………<br />
………………………………………………………………………<br />
elefono ………………………………………………………………………<br />
omputer usato ❏ IBM-Compatibile ❏ Macintosh<br />
❏ Ms-Dos ❏ Windows ❏ System 6.x ❏ System 7.x<br />
❏ Cd-Rom ❏ Monitor a colori ❏ Floppy 3.5” HD<br />
uono di prenotazione<br />
❏ Desidero prenotare fin d’ora n°… copie su floppy disk da 3,5” per Ms-Dos/<br />
Windows<br />
❏ Desidero prenotare fin d’ora n°… copie su floppy disk da 3,5” per Macintosh<br />
al prezzo scontato di £ <strong>12</strong>0.000 (iva esclusa)*<br />
*le modalità di pagamento 80 verranno indicate in seguito<br />
tazione di Hegel come moderno pensatore.<br />
Wittgenstein, Ludwig<br />
Le cours de Cambridge,<br />
1932-1935: etablis par Alice<br />
Ambrose à partir des notes<br />
d’Alice Ambrose<br />
et de Margaret Macdonald<br />
TER, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.267, F 169<br />
Oltre agli appunti presi alle lezioni<br />
fra il 1932 e il 1935 in questo volume<br />
si troverà il Quaderno giallo in cui<br />
sono annotate le lezioni e le discussioni<br />
informali che precedono le differenti<br />
sedute di dettatura del Quaderno<br />
blu. Vi si trovano trattate ampiamente<br />
le questioni sollevate da<br />
quest’ultimo, precisate in alcuni punti<br />
centrali.<br />
Wöhrle, G. (a cura di)<br />
Anaximenes aus Milet.<br />
Die Fragmente zu seiner Lehre<br />
Steiner, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.88, DM 48<br />
Wolandt, G. - Breil, R.<br />
(a cura di)<br />
Ostdeutsche Denker.<br />
Vier Jahrhunderte philosophischer<br />
Tradition von Jakob Böhme<br />
bis Moritz Löwi<br />
Vertrieb., febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.262, DM 36<br />
Wollgast, Siegfried<br />
Vergessene und Verkannte.<br />
Zur Philosophie<br />
und Geistesentwicklung<br />
in Deutschland zwischen<br />
1526 und 1700<br />
Akademie, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.342, DM 130<br />
Wright, Crispin<br />
Truth and objectivity<br />
Harvard University gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.262, £ 19,95<br />
Basandosi sulle lezioni Waynflete<br />
tenute a Oxford nel 1991, Wright<br />
propone una prospettiva originale sul<br />
luogo del “realismo” nella ricerca filosofica.<br />
Egli propone una nuova cornice<br />
per il dibattito sulle affermazioni<br />
dei realisti, che pensano la verità come<br />
assolutamente oggettiva, e gli anti<br />
realisti, per i quali non è così.<br />
Wuketits, Franz M.<br />
Verdammt zur Unmoral?<br />
Zur Naturgeschichte<br />
von Gut und Böse<br />
Piper, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.240, DM 39,80<br />
L’autore presenta l’abbozzo di<br />
un’”etica evoluzionistica”, libera dagli<br />
astratti principi della filosofia<br />
morale. Egli propugna l’applicazione<br />
dell’etica all’interno di precisi confini<br />
biologici e il distacco da ogni rappresentazione<br />
idealistica.<br />
Zoglauer, Thomas<br />
Das Problem der theoretischen<br />
Terme. Eine Kritik<br />
an der strukturalistischen<br />
Wissenschaftstheorie<br />
Vieweg, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.250, DM 80<br />
La tradizionali proposte risolutive (per<br />
esempio di Sneed e di Stegmüller)