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Anno Numero 1993 12 - Studi Filosofici

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INFORMAZIONE<br />

FILOSOFICA<br />

Rivista<br />

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a cura di:<br />

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Edinform. Informazione e Cultura<br />

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Viale Monte Nero, 68<br />

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In copertina:<br />

Cittadini di Weimar vengono<br />

condotti dalle truppe alleate<br />

a visitare il campo di concentramento<br />

di Buchenwald, 1945.<br />

<strong>12</strong>


Gentili lettori,<br />

al significato del ricordo e delle parole nel lavoro dello<br />

storico è dedicato il saggio di apertura di questo numero,<br />

che presenta uno scritto inedito di Enrico Rambaldi,<br />

rielaborazione di un suo intervento all’Università di Bari<br />

in occasione della presentazione del libro di Paolo Rossi,<br />

Il passato, la memoria, l'oblio (Il Mulino, Bologna 1991).<br />

E’ indubbio che lo storiografo, nel suo sforzo di ricostruzione<br />

e interpretazione del passato, si trovi assai spesso<br />

di fronte a “oggetti dimenticati”, sotterrati, sepolti dal<br />

divenire degli eventi storici. La metafora dello “scavare<br />

nel passato”, sovente utilizzata per caratterizzare l’operare<br />

dell’ “arte della memoria”, ben si addice al lavoro<br />

dello storico. Solo che qui interviene una sorta di “necessità<br />

morale”, poiché lo storiografo, calato in una tale<br />

situazione, non si sente semplicemente chiamato al recupero<br />

del documento, ma avverte il bisogno di porre<br />

rimedio alla dimenticanza, di dar voce al ricordo, di far<br />

sì che le parole parlino al presente dell’uomo e indichino<br />

un futuro, un destino.<br />

Nella storia di questo secolo vi è una vicenda, non molto<br />

nota, che si presta forse più di ogni altra a esprimere,<br />

anche in modo emblematico, il significato morale che<br />

investe lo storiografo nella sua opera di recupero del<br />

passato. Si tratta del ritrovamento, nel settembre del<br />

1946, e in seguito nel dicembre del 1950, dei cosiddetti<br />

“Diari di Ringelblum”, a cui si deve la storia del Ghetto<br />

di Varsavia e dello sterminio degli ebrei dall’epoca<br />

dell’invasione della Polonia (1939) da parte dei soldati<br />

nazisti fino alla completa distruzione del Ghetto (1943).<br />

Ciò che in particolare colpisce di questo ritrovamento,<br />

oltre al fondamentale valore storico del documento, è che<br />

Emmanuel Ringelblum, ebreo del Ghetto di Varsavia,<br />

autore dei “Diari”, agì nella compilazione della sua<br />

cronaca prefigurando, da storiografo, il compito morale<br />

che si sarebbe posto lo storico di fronte alla scoperta dei<br />

“Diari”. Egli volutamente scrisse la sua cronaca con<br />

l’intenzione di farne un “oggetto dimenticato”, analogamente<br />

a quanto i nazisti intendevano fare sistematicamente<br />

del Ghetto e degli ebrei. Una prima parte dei<br />

“Diari” fu infatti ritrovata nel Ghetto sotterrata in due<br />

casse, una seconda parte nascosta in due recipienti da<br />

latte sigillati in gomma. L’emblematicità del ritrovamento,<br />

pensato innanzitutto per preservare il documento<br />

dall’inevitabile distruzione, non sarebbe sfuggita allo<br />

sguardo dello storico, che all’interpretazione della testimonianza<br />

scritta e infalsificabile degli eventi avrebbe<br />

per sempre legato nella memoria dei contemporanei il<br />

ricordo inestirpabile di ciò che era accaduto.<br />

“Passato, memoria, oblio”: sono dunque questi i contorni<br />

che segnano il lavoro dello storico alle prese con la<br />

vicenda umana. Di questa connessione problematica ci<br />

offre un’ampia traccia di riflessione il sopracitato studio<br />

di Paolo Rossi, di cui riportiamo qui un brano significativo:<br />

«La storiografia non coincide con la spontaneità della<br />

memoria individuale e collettiva: è una forma di conoscenza<br />

che deve «passare al vaglio della critica» gli<br />

apporti della memoria. Fra storia e memoria si dà tuttavia<br />

un rapporto assai stretto perché la storia si nutre di<br />

memoria e la memoria «si impregna di tutta una serie di<br />

nozioni e di sentimenti che sono prodotti e veicolati dalla<br />

storiografia».<br />

La crescita del sapere storico sembra principalmente<br />

affidata alla capacità di individuare nel passato nuovi<br />

oggetti e di prospettare in modi nuovi relazioni e rapporti<br />

individuali. Anche nella storiografia i manuali vengono<br />

continuamente riscritti e vengono abbandonati come non<br />

più utilizzabili o oggetti di semplice curiosità. La novità,<br />

si dice, consiste principalmente in un «nuovo taglio». Ma<br />

quest’ultimo, a guardar bene, coincide spesso con la<br />

capacità di individuare e rammemorare oggetti trascurati<br />

o dimenticati che emergono, come si suol dire, «in primo<br />

piano». La loro presenza fa crescere o diminuire il significato<br />

e la rilevanza di altri oggetti, consente di individuare<br />

nuove relazioni, mette soprattutto in crisi consolidati<br />

paradigmi interpretativi. Com’è per esempio accaduto,<br />

relativamente alla storia delle idee, nel caso del potere<br />

taumaturgico dei Re, dei modi della vita materiale, della<br />

nozione di crescita e di crisi economica, delle immagini<br />

degli dèi degli antichi, dei processi alle streghe, dei<br />

selvaggi americani.<br />

Nel caso della storiografia i processi di rammemorazione,<br />

che la costituiscono nella sua essenza più profonda,<br />

sembrano guidati da intenzioni precise: porre rimedio<br />

alla dimenticanza naturale degli esseri umani affaccendati<br />

nel loro quotidiano presente; conservare e consentire<br />

che venga utilizzato un grande e ricco patrimonio di<br />

tradizioni, di istituzioni, di idee; creare un legame fra le<br />

diverse generazioni; dar luogo a forme di memoria collettiva<br />

che possono riguardare piccole o grandi comunità (i<br />

Tifernati, gli Scozzesi o gli Europei) o, addirittura, l’intero<br />

genere umano. Quella memoria collettiva, alla quale<br />

l’attività degli storici e degli antropologi dà un contributo<br />

notevole, è in genere intesa come possibilità di far riferimento<br />

ad un passato dotato di senso: qualcosa che può<br />

porre solidi argini ai processi di sfaldamento, frantumazione,<br />

isolamento, sradicamento dal loro ambiente e dal<br />

loro passato dei singoli e delle comunità.»<br />

Si ringrazia il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC)<br />

per il materiale iconografico gentilmente messo a disposizione.


5 SAGGIO<br />

5 Ricordo e parole in storiografia<br />

15 INTERVISTA<br />

15 Ritratto d’autore: le immagini del mio nome:<br />

intervista a Yves Hersant e Louis Marin<br />

23 AUTORI E IDEE<br />

23 Veracità della conoscenza<br />

23 I luoghi della memoria<br />

24 L’ultimo francofortese<br />

24 Axel Honneth e il progresso sociale<br />

26 Derrida: le interviste<br />

26 La debolezza dell’Io<br />

27 Utopia: il paese che non c’è<br />

29 La politica di Hegel<br />

29 tendenze e dibattiti<br />

30 Tendenze provinciali<br />

30 Sociologia della conoscenza e civiltà moderna<br />

31 La morale ineffabile<br />

31 Il paradosso del pensiero occidentale<br />

32 Filosofia della mente<br />

32 Coerenza di Nietzsche<br />

33 Marxismo ed ecologia<br />

34 Diritto di replica:<br />

Sulla “Volontà di potenza” di Nietzsche<br />

39 PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

39 La logica di Ockham<br />

39 Emil Lask: la logica della filosofia<br />

40 Il viaggio in Italia dei Goethe<br />

40 ‘Il Candelaio’ di Bruno<br />

41 Herder: la filosofia e il linguaggio<br />

41 Max Weber negli Stati Uniti<br />

SOMMARIO<br />

42 NOTIZIARIO<br />

43 CONVEGNI E SEMINARI<br />

43 Neoantico contro neoetnico<br />

44 Schlegel e la filosofia della storia<br />

44 Orfeo e orfismo<br />

45 Continuità e mutamenti nella scienza<br />

45 Linguaggi della mente<br />

47 Introduzione alle scienze cognitive<br />

48 Fonosimbolismo e linguaggio poetico.<br />

48 Il sistema filosofico<br />

49 Ri-pensare l’Antropologia.<br />

53 Fondamenti della geometria<br />

53 Aspetti filosofici della letteratura russa<br />

54 Fenomenologia del politico<br />

55 L’eresia gnostica<br />

55 Omaggio a Pareyson<br />

57 Jean Paul: per una estetica della conoscenza<br />

58 Ermeneutica del dolore<br />

59 CALENDARIO<br />

60 OPINIONI A CONFRONTO<br />

61 DIDATTICA<br />

61 Nuovi manuali di filosofia<br />

63 Convegni<br />

65 RASSEGNA RIVISTE<br />

71 NOVITÀ IN LIBRERIA


SAGGIO<br />

“Diari di Ringelblum”:<br />

recupero della prima parte (Varsavia, settembre 1946);<br />

contenitori in cui era nascosta la seconda parte (Varsavia, dicembre 1950); prima pagina<br />

4


In occasione della recente pubblicazione<br />

del volume di Paolo Rossi, Il passato, la<br />

memoria, l’oblio (Il Mulino, Bologna 1991),<br />

l’Istituto di Filosofia e Storia di Bari ha<br />

organizzato il 19 gennaio <strong>1993</strong>, presso l’Aula<br />

Magna del Palazzo Ateneo di Bari, una<br />

tavola rotonda sul tema: “La memoria e<br />

l’occidente”, alla quale hanno partecipato<br />

Davide Bigalli, Enrico Rambaldi, Mauro<br />

Di Giandomenico, Giorgio Cerboni Baiardi,<br />

Paolo Rossi.<br />

Introducendo i lavori, Davide Bigalli ha<br />

individuato, nell’atteggiamento di reazione<br />

negativa di Erasmo nei confronti del<br />

proliferare dell’arte rinascimentale della<br />

memoria, un momento storico determinato<br />

nell’ambito di quel processo di “parabola<br />

della memoria” esaminato da Paolo Rossi.<br />

L’avversione di Erasmo nei confronti dell’arte<br />

mnemotecnica è stata sviluppata intorno<br />

a due argomentazioni: 1. la considerazione<br />

della parola da parte<br />

delle arti rammemorative; 2.<br />

l’importanza attribuita da Erasmo<br />

alla stampa. Nelle arti rammemorative<br />

manca, per Erasmo,<br />

la consapevolezza dell’evoluzione<br />

temporale della<br />

parola: le parole sono piene di<br />

tempo, sono sedimentazioni<br />

temporali. La pagina stampata<br />

è supporto tecnologico per una<br />

memoria non intesa più come<br />

tecnica separata. La stampa consente<br />

la riflessione sulla parola,<br />

la lettura, che non è ripetizione,<br />

ma è la possibilità della riflessione.<br />

Con la stampa scompare<br />

la necessità di avere tutto nella<br />

memoria. Il venir meno di questa<br />

necessità comporta l’irruzione<br />

della soggettività nel tempo<br />

dello studio. In senso contrario<br />

per Erasmo non c’è sapere,<br />

ma museografia. Erasmo è, così,<br />

assunto come la prima pietra<br />

d’inciampo della parabola della<br />

memoria, che ha un altro momento significativo<br />

nell’età di Leibniz, allorché si assiste<br />

alla scomparsa definitiva della memoria<br />

come tecnica separata.<br />

Enrico Rambaldi ha posto il problema<br />

della memoria in relazione al valore del<br />

ricordo. Il ricordare, da un lato, investe il<br />

riconoscimento dell’importanza delle ori-<br />

vola rotonda.<br />

Chi conosca, anche non per esteso, la produzione<br />

scientifica di Paolo Rossi, già prima di leggere<br />

quest’ultimo suo bel libro ha presente il taglio di<br />

storiografia delle idee con cui tratta la storia e della<br />

filosofia e della scienza. Il lettore ne conosce anche la<br />

«spiccata predilezione» per il «mondo spesso ambiguo e<br />

sfuggente» delle «metafore», dei «themata», degli «stili<br />

di pensiero» (p.8) e lo sa avverso a troppo definiti confini<br />

tra «le scienze della natura e le scienze cosiddette umane».<br />

Del resto, scrive Rossi, varcandoli e rivarcandoli, i<br />

confini, «ogni giorno, alla piena luce del sole», quelle<br />

SAGGIO<br />

gini (“abbi coscienza delle tue origini”)<br />

come elemento di potenza nell’agire. Dall’altro<br />

lato, il ricordare è assunto dagli<br />

scienziati, dopo Galileo, spesso con una<br />

valenza negativa: si pone la necessità del<br />

saper dimenticare per poter cancellare, della<br />

scelta dell’oblio, del “dovere di saper<br />

dimenticare”. Questa duplice valenza presuppone<br />

una diversificazione semantica del<br />

ricordo: da un lato esso ha un aspetto pregnante,<br />

anche emozionale, e dall’altro una<br />

connotazione cognitiva (memoria). L’identificazione<br />

delle due sfere imporrebbe il<br />

problema del cancellare. La cancellazione<br />

del passato è sempre stato un segno distintivo<br />

dell’oppressione. E’ stata sottolineata,<br />

inoltre, la diversità del ruolo del ricordo nei<br />

vari ambiti disciplinari.<br />

Mauro Di Giandomenico si è soffermato<br />

sul nesso scienza e oblio. La scienza si<br />

presenta come un insieme di risultati abba-<br />

Ricordo<br />

e parole<br />

in storiografia<br />

di Enrico I. Rambaldi<br />

«La mia immagine del passato<br />

è come una terra assetata d’acqua:<br />

vi cade una goccia e subitamente scompare;<br />

vi scorre un torrente ed eccolo assorbito dal<br />

suolo.»<br />

Saul Friedländer<br />

stanza certi proprio in relazione al rapporto<br />

che instaura con la memoria. E’ necessario,<br />

per comprendere la relazione tra scienze e<br />

memoria, ricorrere alla distinzione psicologica<br />

tra “memoria a breve termine” e<br />

“memoria a lungo termine” e alla relazione<br />

costituente, che si pone tra scienza militante<br />

e memoria a breve termine e storia della<br />

5<br />

scienza e memoria a lungo termine. L’oggetto<br />

della scienza ha come oggetto la<br />

storia stessa, mentre l’oggetto della scienza<br />

non ha storia. La scienza si definisce come<br />

capacità inglobativa del passato.<br />

La relazione di Giorgio Cerboni Baiardi<br />

ha messo in evidenza sia la problematicità<br />

dell’appartenenza alla propria storicità -<br />

mediante il richiamo alle istanze nietzscheane<br />

della Seconda Considerazione inattuale.<br />

Sull’utilità e il danno della storia per la<br />

vita -, sia il nesso tra storicità e memoria<br />

letteraria. La parola letteraria denota un<br />

legame con l’istante e un radicamento con<br />

il passato. La memoria, intesa come appartenenza<br />

alla propria storicità, ha una dimensione<br />

immediatamente produttiva nell’esperienza<br />

artistica tanto del produttore<br />

quanto del fruitore: essa offre possibilità<br />

istantanee. Tutta la tradizione letteraria viene<br />

considerata come un complesso gioco<br />

tra memoria e oblio.<br />

A conclusione delle relazioni,<br />

l’intervento di Paolo Rossi<br />

ha ripreso il parallelismo,<br />

che, da sempre, contraddistingue<br />

l’atteggiamento nei confronti<br />

della memoria: la convinzione<br />

dell’importanza della<br />

memoria e la polemica contro<br />

la memoria, polemica che<br />

può presentarsi, anche, come<br />

un’avversità al “sapere cose”.<br />

E’ stata ripresa e approfondita<br />

la doppia necessità di dimenticare<br />

e di ricordare. A<br />

proposito del rapporto tra<br />

scienza e oblio, si è osservato<br />

come la consapevolezza che<br />

si costruisce in vista dell’accantonamento<br />

o del superamento<br />

dei prodotti del proprio<br />

lavoro coincida con l’assunzione<br />

della propria mortalità.<br />

In riferimento al ruolo<br />

della memoria nella letteratura,<br />

è stata valutata l’importanza<br />

delle emozioni come elementi della<br />

memoria, che diventa, con Proust,<br />

luogo di intrecci. F.R.C.<br />

Presentiamo qui una rielaborazione dell’intervento<br />

di Enrico Rambaldi alla ta-<br />

«schiere di clandestini» ed inguaribili colporteurs che<br />

sono gli storici dimostrano che essi somigliano più ad<br />

«una membrana semimpermeabile» che non ad «un muro<br />

di cemento» (pp. 179-183).<br />

Anche per i più affezionati lettori di Rossi, questo libro<br />

presenta tuttavia una peculiarità: un acuto senso, che ne<br />

illumina e ravviva le pagine, delle aporie che investono il<br />

lavoro di storico che si occupa di scienze sia umane, sia<br />

naturali, cioè due ambiti nei quali l’atteggiamento verso<br />

il passato è non solo differente, ma opposto. Negli studi<br />

umanistici, scrive Rossi, regna la memoria, l’oblio in<br />

quelli di scienze naturali. «Nessuno studente potrebbe


mai pensare di laurearsi in filosofia senza aver mai letto<br />

un dialogo di Platone o un’opera di Descartes e di Kant»,<br />

mentre, «al contrario, ci sembra del tutto ovvio e naturale<br />

che un laureando in fisica o in biologia possa non aver mai<br />

letto direttamente i Principia di Newton o le memorie di<br />

Einstein o L’origine delle specie di Darwin» (p.155).<br />

Di quest’aporia, che l’atteggiamento verso il passato in<br />

quei due ambiti disciplinari sia tanto differente, ed anzi<br />

opposto, Rossi, come mostra già il titolo del libro, è ben<br />

conscio, e ciò contribuisce a render affascinanti le sue<br />

pagine, tese a “viverlo” come ricercatore, quel paradosso.<br />

Non solo sulla memoria, ma anche sull’oblio scrive da<br />

storico, ponendo il problema del suo dominio nelle scienze,<br />

che bandiscono la memoria: «Quando una scienza si<br />

è saldamente costituita, gli specialisti di quella scienza<br />

dimenticano il passato del loro proprio sapere» (p.157),<br />

affondano nell’oblio non «solo le teorie invecchiate o<br />

superate, ma anche la genesi delle singole scienze» (159).<br />

Lo storico della scienza, quindi, va a scavare in un passato<br />

che non è vissuto come costitutivo della loro identità da<br />

coloro che pure esso identifica: è quel passato che fa del<br />

cultore di quella disciplina scientifica ciò che egli è.<br />

Come se esistessero palazzi, i cui inquilini non lasciassero<br />

mai l’attico; anche questa un’immagine di Blade<br />

Runner, film che Rossi cita a proposito dei replicanti,<br />

organismi artificiali ma «privi di memoria» (p.20). In<br />

quei palazzi lo storico scende, invece, sin a scrutarne le<br />

fondamenta, in sotterranei dei quali i superbi abitanti<br />

sanno pur l’esistenza, se ogni giorno vi precipitano,<br />

lungo cunicoli senza ritorno, bracciate di libri, riviste<br />

scientifiche da annate intere.<br />

Per chiarire i termini di queste osservazioni, preciso<br />

d’intender qui le coppie memoria/oblio e ricordo/dimenticanza<br />

come opposti, ed i due termini di ciascuna coppia<br />

con campi semantici coestesi. Considero cioè la memoria<br />

(e l’oblio) come denotante capacità cognitive d’archiviare<br />

(cancellare) nozioni, ed anche così Rossi la caratterizzò<br />

in un libro importante, Clavis universalis: arti della<br />

memoria e logica combinatoria da Lullo a Leibniz 1 , e di<br />

nuovo in questo libro la dipinge (“L’arte della memoria:<br />

rinascita e trasfigurazioni”; pp. 59-94). Riprendendo<br />

Kuhn, egli descrive, ad esempio, la pratica dell’oblio dei<br />

«manuali» scientifici, che «non solo nascondono il ruolo,<br />

ma l’esistenza stessa delle passate rivoluzioni [scientifiche]<br />

che hanno contribuito a generarli», e se ne riportano<br />

«frammentarie» notizie storiche, è per eleggere alcuni<br />

aspetti del passato ad «anticipazioni» e «precorrimenti»<br />

di «verità» (p.160). Quest’aporeticità del lavoro dello<br />

storico può allora esser delineata così: egli si occupa<br />

(anche) di un contenuto diverso che non quello cognitivo<br />

della coppia memoria/oblio, poiché cerca, nel passato,<br />

ciò che costituisce il presente e lo apre anche al futuro. Lo<br />

storico, cioè, potendo inviterebbe il demoniaco biologo<br />

che abita l’attico del palazzo di Blade Runner a ricordarsi<br />

del passato, a fondarvi il suo agire presente e futuro. E se<br />

quell’arrogante dio minore l’avesse accettato, il ricordo,<br />

ne sarebbero scaturite conseguenze non solo cognitive<br />

(di memoria), ma anche morali: avrebbe forse compreso,<br />

come alla fine il protagonista del film, Harrison Ford, che<br />

i replicanti sono sì “privi di memoria”, ma solo nel senso<br />

che non ebbero infanzia, e quindi non possono ramme-<br />

SAGGIO<br />

6<br />

morarne episodi né affetti, ma non nel senso che gli anni<br />

della loro effettiva esistenza siano senza ricordi. Questi<br />

ricordi vogliono anzi trasmetterli, saperli accolti e conservati<br />

come valore anche dagli uomini, e con ciò esprimono,<br />

da ultimo, l’esigenza di esser riconosciuti come<br />

fini, non umiliati a mezzi. I replicanti di Blade runner,<br />

che in pochi anni bruciano intensamente, come candele<br />

che ardono ai due estremi, sono soggetti morali, capaci di<br />

atti liberi, amano ed odiano, ed è di questo che chiedono<br />

il riconoscimento: «Io ne ho viste cose», dice morendo<br />

l’ultimo degli androidi ribelli, Rutger Hauer, «che voi<br />

umani non potreste immaginarvi», ed all’uccisore dei<br />

suoi compagni affida lampi di ricordo, delle battaglie<br />

sostenute contro «navi da combattimento in fiamme al<br />

largo dei bastioni di Orione». L’accoglierli, quei lampi di<br />

ricordo, riscatta il suo persecutore: egli impedisce che<br />

«quei momenti» precipitino nella dimenticanza, smarrendosi<br />

«nel tempo, come lacrime nella pioggia». Quegli<br />

organismi artificiali diventano così, per Harrison Ford,<br />

soggetti morali, ed il film si chiude con l’amore tra lui ed<br />

una replicante, in una conquistata uguaglianza.<br />

So bene che memoria e ricordo sono, nel linguaggio, per<br />

lo più sinonimi, come anche oblio e dimenticanza. Tuttavia,<br />

la distinzione tra aspetti prevalentemente cognitivi di<br />

memoria/oblio, e morali di ricordo/dimenticanza (anche<br />

per l’etimo, che contiene riferimento al cuore) non mi<br />

pare irrilevante, pur nella ristrettezza di ogni uso definitorio<br />

delle parole. Quante non sono le persone di poca<br />

memoria ma saldissimi ricordi, estremamente coscienti<br />

della propria identità, radicate in tradizioni e costumi, ma<br />

smemorate per date, ricorrenze, nomi ecc.? Rossi, opportunamente,<br />

discorre nel libro anche di Freud, e difatti<br />

nell’ambito teorico della psicanalisi il ricordo è distinto<br />

dalla memoria, e si assume come potentemente attiva la<br />

presenza di ricordi dei quali non si ha, e spesso nemmeno<br />

si può avere, memoria alcuna, e che pure costituiscono<br />

l’identità più intima dell’individuo, contribuiscono a<br />

plasmarlo come soggetto morale. V’è chi teorizza, in<br />

ambito latamente freudiano, di ricordi latenti del trauma<br />

della nascita e addirittura della vita fetale (differenze<br />

caratteriali tra gemelli vengono, ad esempio, fatte risalire<br />

anche alle diverse posizioni nel grembo materno, per<br />

stabilire quale incombesse sull’altro). Nessuno ha memoria<br />

di sé poppante, ma ricordo sì, perché il suo tessuto<br />

emozionale primario ancora contiene, ed attivissimo,<br />

quell’obliato vissuto. Se quindi la memoria può esser non<br />

illegittimamente descritta come una facoltà soprattutto<br />

cognitiva, un archivio, riguardi essa un passato remoto,<br />

recente o sin l’oggi, il ricordo può esser denotato, invece,<br />

come un destino, che inscindibilmente abbraccia passato,<br />

presente e futuro, e costituisce l’identità, il soggetto. E lo<br />

storico, che si occupa di ricordi, tramite la storia tenta di<br />

comprendere e le origini stesse, per quanto umbratili, e la<br />

presente identità, per quanto incerta, e l’orizzonte del<br />

futuro, per quanto precario. Così infatti Rossi: «la memoria<br />

è di uomini e animali, la reminiscenza è solo dell’uomo»<br />

(p.13). Il fatto che Rossi sviluppi quest’aporia e<br />

ritenga che si possa (debba) far storia anche di ambiti nei<br />

quali (come le scienze) regna l’oblio, dà spessore alle sue<br />

pagine e, più in generale, al suo profilo di studioso, ed io<br />

ho ancora oggi viva nell’animo una citazione ch’egli fece


nella relazione conclusiva di un convegno torinese degli<br />

anni Sessanta; citazione che gli è cara, se qui la riprende,<br />

e che è tratta da un romanziere nero americano, James<br />

Baldwin, il quale richiama il proprio popolo alla sua<br />

identità presente come pegno di riscatto futuro, e quindi<br />

al ricordo come destino: «Abbi coscienza delle tue origini:<br />

se conosci le tue origini, allora non ci saranno limiti ai<br />

quali tu non possa spingerti» (p.21).<br />

Questa distinzione tra memoria e ricordo, oblio e<br />

dimenticanza solleva altre aporie. Ad esempio<br />

in Bacone, autore caro a Rossi, troviamo invocato<br />

l’oblio come rifiuto della sudditanza agli Antichi e<br />

difesa della dignità dei Moderni. “L’augmentum delle<br />

scienze” richiederebbe non solo la critica, ma anche<br />

l’oblio de “la antiquatio theoriarum”, giuste sia la sentenza<br />

che «Scientia ex naturae lumine petenda, non ex<br />

antiquitatis obscuritate repetenda» (p.166), sia l’invocazione<br />

de «la formula mediante la quale io possa consacrarli<br />

all’oblio», i «falsificatori delle cose» (p.25). Se<br />

l’oblio dell’errore antico è indispensabile alla nascita<br />

della modernità, fino a che punto il perseguimento della<br />

verità scientifica lo giustifica? E’, l’oblio, atteggiamento<br />

del tutto neutro, che possa legittimamente applicarsi in<br />

ambito scientifico, come semplice opposto della memoria<br />

(qui intesa come stracco nozionismo di obscuritates),<br />

o non contiene invece, perché insieme alla memoria<br />

fatalmente cancella il ricordo, un intrinseco pericolo<br />

morale? Se l’oblio occulta, interpola, elegge, come nei<br />

manuali scientifici, “notizie frammentarie” del passato<br />

ad “anticipazioni” della “verità” del presente, allora tal<br />

modo di procedere, praticato innocentemente dagli scienziati,<br />

troppo somiglia, e come una goccia d’acqua, alla<br />

perenne pratica del Potere. Cancellare, emendare, è difatti<br />

il mezzo con cui il Potere da sempre mente, falsifica,<br />

opprime. Inutile ricordare esempi di come sovente esso<br />

abbia proibito sin l’uso della lingua materna degli oppressi,<br />

cioè le loro parole, per spegnerne l’identità,<br />

negarne il carattere di soggetto politico-morale, il diritto<br />

all’uguaglianza.<br />

L’oblio non pare una tecnica neutrale, se è l’arma più<br />

subdola della tirannia. Rossi ha presente quest’uso luciferino<br />

dell’oblio, e lo denuncia in pagine severe su «gli<br />

assassini della memoria» (pp. 24-29). «Le emendationes<br />

del ventesimo secolo -osserva amaramente- non hanno<br />

nulla da invidiare a quelle dell’età della Controriforma»,<br />

e sotto i nostri occhi «intere opere di storia sono state<br />

riscritte cancellando i nomi degli eroi di un tempo»<br />

(p.26). Un secolo, il nostro, carico di roghi di libri, di<br />

censure, di lavaggi del cervello, di falsificazioni, menzogne<br />

di Stato, per cancellare non solo la memoria, ma<br />

anche il ricordo. Rossi ricorda Koestler, Orwell, l’agghiacciante<br />

slogan di 1984: «C’è uno slogan del Partito<br />

che riguarda il controllo del passato [...] “Chi controlla il<br />

passato, controlla il futuro, chi controlla il presente<br />

controlla il futuro”» e per raggiungere questa perfetta<br />

malvagità occorre «una sorta di educazione della memoria»<br />

nella quale l’intreccio tra memoria, oblio, ricordo e<br />

dimenticanza diviene veramente satanico: il servo del<br />

Potere deve «ricordare che i fatti avvennero in quella<br />

determinata maniera», usarne il ricordo non per la verità<br />

SAGGIO<br />

7<br />

morale dell’identità, ma per «rimettere a posto la propria<br />

memoria, e riaggiustarla con, documenti scritti», e poi<br />

distruggere il ricordo perfino di quel delitto: «dimentichi<br />

di averlo fatto»! Descrizione romanzesca di una<br />

pratica attuata dal XX secolo in misura superiore,<br />

forse, che non quelli trascorsi, e che un autore citato da<br />

Rossi , Yerushalmi, descrive come «invenzione di un<br />

passato mitico», costruito «per servire il potere delle<br />

tenebre» dagli “agenti dell’oblio”, che obliterano “i<br />

documenti”, li riducono “a brandelli”. «Soltanto lo<br />

storico -scrive Yerushalmi- con la sua rigorosa passione<br />

per i fatti, per le prove e le testimonianze, può<br />

realmente montare la guardia [...] contro gli assassini<br />

della memoria e i revisori delle enciclopedie, contro i<br />

cospiratori del silenzio» (pp.27-28).<br />

La letteratura sulla Shoah è oggi il luogo eminente<br />

nel quale i difensori della memoria e del<br />

ricordo si scontrano con gli agenti dell’oblio e<br />

della dimenticanza, che, per «impedirne il ricordo»,<br />

cercano d’impedire sin di «contare le vittime» (p.26).<br />

Sono stati infiniti, durante la persecuzione e dopo, i<br />

percorsi dell’oblio, a volte anche incruenti, ma sempre<br />

intesi a spegnere l’identità, uccidendo il ricordo. Saul<br />

Friedländer, nato a Praga appena prima della salita al<br />

potere di Hitler ed oggi insegnante a Tel Aviv, ha raccontato<br />

in un libro, A poco a poco il ricordo2 , la faticosa<br />

riconquista della propria identità, lui che era scampato3 anche perché costretto a dimenticare la propria origine,<br />

convertito al cattolicesimo, cancellato dal novero dei<br />

bambini deportati dalla Francia perché ormai quasi non<br />

più ebreo, non più lui; studiò persino da prete cattolico.<br />

Poi, a poco a poco, venne il ricordo, e l’esergo del libro,<br />

di Gustav Meyrink, recita: «Quando viene la conoscenza,<br />

viene anche a poco a poco il ricordo. Conoscenza e<br />

ricordo sono una sola e medesima cosa».<br />

Ma proprio la Shoah solleva un’altra, drammatica aporia.<br />

«E’ difficile non esser d’accordo con ciascuna di queste<br />

affermazioni di Yosef Hayim Yerushalmi, non avvertire<br />

la forza del suo appello contro gli “assassini della memoria”»<br />

scrive Paolo Rossi, che poi però osserva: «E tuttavia,<br />

ogni volta che tocchiamo il tema della memoria<br />

siamo richiamati anche al tema della dimenticanza»<br />

(pp.28-29). E ricordare, infatti? Non può annidarvisi il<br />

pericolo di restar prigionieri del male subito, del risentimento?<br />

E il risentimento pare vicolo cieco, che preclude<br />

di vivere nel presente ed aprirsi al futuro. Sembra dunque<br />

di dover tornare sul problema dell’oblio, anche quello<br />

non volto all’augmentum scientiarum, e riconoscerlo,<br />

almeno talvolta, legittimo. Non solo: persino la dimenticanza,<br />

se ricordare (o ricordare troppo vivamente) fosse<br />

motivo di disperare del presente e del futuro, persino la<br />

dimenticanza potrebbe essere, almeno talvolta, giustificata.<br />

Paolo Rossi introduce qui l’opinione di uno studioso<br />

che anch’io ebbi modo di conoscere, Yehuda Elkana,<br />

deportato ad Auschwitz all’età di dieci anni e che oggi<br />

vive a Gerusalemme. Militante, a quanto so, di Shalom<br />

Ak’shav, il movimento israeliano di Peace now, con un<br />

articolo del 1988 suscitò in Israele “polemiche feroci”,<br />

contestando in sostanza l’ammonimento “Ricordati che<br />

cosa ti fece Amalek” (Deuteronomio, 25:17) ed esortan-


do a sradicare dall’identità politica d’Israele se non il<br />

ricordo, quanto meno i suoi “eccessi”. «La storia e la<br />

memoria collettiva -scrive Elkana nei passi che Rossi cita<br />

- sono parte inseparabile di ogni cultura, ma il passato<br />

non è e non deve diventare l’elemento determinante del<br />

futuro di una società e di un popolo». Egli ritiene che un<br />

eccesso di ricordo delle persecuzioni avrebbe «suscitato<br />

la diffusa credenza che il mondo intero sia contro di noi»,<br />

sicché «dalle ceneri di Auschwitz» sarebbero emerse<br />

“due nazioni”, che nel suo testo sembrano potersi intendere<br />

come la destra e la sinistra ebraiche. Della destra,<br />

allora maggioranza nel Knesseth, il parlamento israeliano,<br />

Elkana dà una descrizione infamante. Mentre infatti<br />

la minoritaria “nazione” di sinistra s’ispirerebbe al principio<br />

che «ciò non dovrà accadere mai più», l’altra<br />

“nazione”, «maggioranza terrorizzata ed ossessionata»,<br />

affermerebbe: «ciò non dovrà mai più accadere a noi».<br />

Ecco la conclusione della dicotomia: «una democrazia si<br />

nutre di presente e di futuro, e un eccesso di dedizione al<br />

passato mina i fondamenti di una democrazia», donde il<br />

rimedio: «dobbiamo imparare a dimenticare», poiché «è<br />

giunto il momento di sradicare dalle nostre vite l’oppressione<br />

del ricordo» (p.29).<br />

Non è facile criticare riflessioni sulla Shoah svolte da chi<br />

l’abbia patita. Ma credo che Elkana sbagli. Egli interpreta<br />

il ricordo, o quanto meno il ricordo bruciante, che implica<br />

il risentimento, come un fattore ostile a pace ed uguaglianza<br />

possibili: quel ricordo isolerebbe il popolo ebraico,<br />

lo renderebbe incapace di sentire l’identità dell’Altro.<br />

E’ invece vero l’opposto: solo se Israele ricorda può<br />

comprendere altri che ricordino; se dimentica, perde non<br />

solo la propria identità, ma anche la possibilità di contatto<br />

con l’identità dell’Altro, e quindi la via dell’uguaglianza,<br />

che è valore morale e politico solo se tra differenti. Infatti<br />

non perché Tu ed Io siamo entrambi ebrei, arabi o che<br />

altro, non per questo siamo moralmente uguali, ma perché<br />

ci diamo reciproco riconoscimento delle nostre differenze<br />

naturali e storiche come di valori che costituiscono<br />

le nostre identità. E’ questa la condizione perché possiamo<br />

distribuirci uguaglianza: a meno di non infingerci<br />

titani impegnati in una seconda creazione, è evidente che<br />

l’uguaglianza vada perseguita a muovere da esistenti ed<br />

insopprimibili disuguaglianze naturali. L’uguaglianza<br />

morale e politica è un atto di libertà che quelle differenze<br />

naturali riplasma, come scrisse Rousseau: «Io vedo nel<br />

genere umano due tipi di ineguaglianza; la prima che<br />

chiamo naturale o fisica, perché è stabilita dalla natura, e<br />

che consiste nella differenza dell’età, della salute, delle<br />

forze fisiche e delle qualità dello spirito o dell’anima;<br />

l’altra, che si può chiamare ineguaglianza morale o<br />

politica, perché dipende da una specie di convinzione ed<br />

è stabilita o almeno autorizzata dal consenso degli uomini».<br />

E, più radicalmente ancora, Marx non solo nega che<br />

la disuguaglianza naturale abbia incidenza su quella<br />

morale, ma sviluppa una concezione per cui le categorie<br />

che costituiscono l’uguaglianza morale, «amore» e «fiducia»<br />

reciproci, presuppongono le differenze naturali, e<br />

nulla hanno a che vedere con la «Nivellierungssucht»<br />

(«brama di livellamento»). La disuguaglianza fisica, ad<br />

esempio la bruttezza, è compatibile con l’uguaglianza<br />

morale. L’uomo brutto, argomenta Marx, può, non meno<br />

SAGGIO<br />

8<br />

dell’uomo bello, conquistare l’amore di una donna, purché<br />

espliciti l’universalità umana presente nella sua empirica<br />

individualità, e scambi con la donna riconoscimenti<br />

universalmente umani, “amore” con “amore” e “fiducia”<br />

con “fiducia”. Se invece Io, “brutto”, pretendo di<br />

“comprarmi la più bella donna”, e m’arrogo che in forza<br />

del mio danaro “non sono brutto”, allora vengo meno<br />

all’uguaglianza con me stesso, al mio Io, mi spoglio della<br />

mia umanità, nego che bruttezza, amore e fiducia siano<br />

compatibili nell’uguaglianza morale. Il bacio tra i due<br />

amanti non esprime allora la comune umanità, perché il<br />

danaro pietrifica le differenze in opposti irriducibili, ed è<br />

esso che, contro natura, «li unisce» e «li costringe a<br />

baciarsi». Marx ritiene dunque che l’uguaglianza tra<br />

uomini sia in primo luogo uguaglianza di ognuno con se<br />

stesso, ed egli e Rousseau, a diversi livelli di radicalità,<br />

vengono a dir questo: che l’uguaglianza può esser costruita<br />

a partire da ciò che fa sì che ogni Io sia quell’Io che è 4 .<br />

Volendo scindere tra ricordo ed identità, Elkana sostiene<br />

invece il contrario: sradichiamoci dalla nostra storia, e<br />

saremo meno tentati dalla disuguaglianza. Una versione<br />

morale della pax romana: desertifichiamoci!<br />

U<br />

na posizione ben più complessa esprime Jean<br />

Améry, anch’egli sopravvissuto ad Auschwitz,<br />

dove fu compagno di baracca di Levi, e che<br />

Paolo Rossi ricorda subito dopo, ma troppo avvicinandolo<br />

ad Elkana: «Il breve articolo di Elkana ha suscitato<br />

polemiche feroci. Ma credo che egli non volesse dire una<br />

cosa diversa da quella alla quale faceva riferimento uno<br />

dei più grandi testimoni dell’Olocausto: Jean Améry che,<br />

senza alcuna pietà verso se stesso, si vedeva irrimediabilmente<br />

prigioniero di “quel risentimento che impedisce lo<br />

sbocco verso il futuro, che è la dimensione più autenticamente<br />

umana”» (p.29). Nelle amarissime pagine di Intellettuale<br />

a Auschwitz5 , Améry esamina con inaudito coraggio<br />

la presenza, nel ricordo, del risentimento, che non<br />

solo accetta, ma rivendica e moralmente legittima.<br />

«L’esperienza delle persecuzione era in ultima analisi<br />

quella di un’estrema solitudine»(p.<strong>12</strong>2), scrive, ed è da<br />

quell’estrema e determinatissima miseria dell’Io che<br />

inizia la sua analisi: da un evento preciso, la tortura, patita<br />

il 23 luglio del 1943, quando il tenente delle SS Praust gli<br />

fissò un gancio alle manette che gli stringevano i polsi<br />

“dietro la schiena” e, per fustigarlo, lo sollevò un metro<br />

dal suolo. «Avvertii uno schianto e uno scheggiarsi nelle<br />

spalle che il mio corpo sino ad oggi non ha dimenticato.<br />

Le teste degli omeri saltarono dalla loro sede. Il mio<br />

stesso peso provocò una lussazione, caddi nel vuoto e mi<br />

ritrovai appeso alle braccia slogate, sollevate da dietro e<br />

chiuse sopra la testa in posizione rovesciata» (p.72). Ciò<br />

che accadde quel giorno al suo Io, il ricordo della “prima<br />

percossa” (p.64), ciò e molto altro ancora rimase da<br />

allora inscindibilmente parte della sua individualità. Ma<br />

ognuno, anche chi non abbia subito terrificanti oltraggi,<br />

partecipa con Améry di una caratteristica dell’Io: di<br />

essere «moralmente unico» (p.<strong>12</strong>3). Da questa unicità di<br />

ciascuno, dai ricordi che lo costituiscono così come<br />

effettivamente sono (compresi i risentimenti) si deve<br />

partire per vivere l’identità e l’uguaglianza.<br />

Le riflessioni di Améry restano eroicamente fedeli al


concetto d’individualità. Egli testimonia: «sin dalla prima<br />

percossa, [l’Io del torturato] perde qualcosa che forse<br />

possiamo definire in via provvisoria la fiducia nel mondo»,<br />

e che designa la fiducia che la propria specifica,<br />

irriducibile ed individuale identità sia riconosciuta come<br />

valore. «L’elemento più importante della fiducia nel<br />

mondo [...] è la certezza che l’altro, sulla scorta di<br />

contratti sociali scritti e non, avrà riguardo di me, più<br />

precisamente, che egli rispetterà la mia sostanza fisica e<br />

quindi metafisica. I confini del mio corpo sono i confini<br />

del mio Io. La superficie cutanea mi protegge dal mondo<br />

esterno; se devo avere fiducia, sulla pelle devo sentire<br />

solo ciò che io voglio sentire»<br />

(p.66). La tortura esprime<br />

dunque «la violazione<br />

del confine del mio Io da<br />

parte dell’Altro» (p.73), e<br />

per questo lascia «un marchio<br />

indelebile» (74), che<br />

s’imprime nel ricordo risentito:<br />

«parlo da vittima e<br />

analizzo i miei risentimenti»,<br />

e «devo assumermi la<br />

responsabilità del mio risentimento»,legittimandolo<br />

«come parte integrante<br />

della mia personalità»<br />

(pp.1<strong>12</strong>-113). A chi gli oppone<br />

che “i tratti caratteriali”<br />

che determinano la personalità<br />

del risentito sono<br />

“distorti”, e quindi vanno<br />

sradicati in nome del futuro,<br />

Améry risponde: «Saremmo,<br />

così si afferma, dei<br />

“distorti”. Di sfuggita ripenso<br />

alle mie braccia contorte<br />

dietro la schiena durante<br />

la tortura, e questa<br />

mia realtà mi richiama a<br />

“ridefinire il nostro essere<br />

distorti come forma di umanità<br />

moralmente e storicamente<br />

più elevata rispetto<br />

alla sana dirittura» (p.119).<br />

Il libro di Paolo Rossi è, da<br />

ultimo, libro di uno storico<br />

sul tempo. Ed è a proposito del tempo storico che Améry<br />

mette a nudo una aporia profonda: se il ricordo recupera<br />

il passato, e quindi il tempo, allora è in contraddizione<br />

con il risentimento, che il tempo pare voler negare: «Il<br />

senso del tempo di chi è prigioniero del risentimento è<br />

distorto, dissociato, se si preferisce, perché pretende ciò<br />

che è doppiamente impossibile: il cammino a ritroso<br />

verso il già vissuto e l’annullamento di ciò che è stato»<br />

(pp.119-<strong>12</strong>0). Ciò ha conseguenze sul futuro: «L’uomo<br />

del risentimento non può unirsi a quell’inno alla pace che<br />

ci esorta a non guardare più indietro, ma in avanti, verso<br />

un migliore e comune futuro», come pretende Elkana.<br />

Améry è ben conscio dell’aporia concettuale che ciò<br />

comporta: «Alle mie riflessioni non è rimasto nascosto<br />

SAGGIO<br />

Classe di Talmud, Cecoslovacchia 1938 (foto di M.<br />

9<br />

che il risentimento è una condizione non solo contro la<br />

natura umana ma anche contraddittorio a livello logico.<br />

Inchioda ciascuno di noi alla croce del nostro passato<br />

distrutto [...] impedisce lo sbocco verso il futuro, la<br />

dimensione più autenticamente umana» (p.119; corsivo<br />

mio; Rossi, a p. 29, cita parte di questo passo, ma senza<br />

analizzare a fondo la morale del risentimento). L’Io<br />

ricorda, e vuole ricordare, e non può non ricordare, ma<br />

ricorda con il “character indelebilis” (p.74) dell’offesa<br />

subita. Come superare quella contraddittorietà logica ed<br />

impedire che il risentimento precluda il futuro e l’uguaglianza?<br />

Anzi: come costruire futuro ed uguaglianza<br />

anche sul risentimento?<br />

Améry risponde con una<br />

acuta distinzione tra tempo<br />

morale, interiore, e tempo<br />

naturale (distinzione che,<br />

in altri termini, fa anche<br />

Paolo Rossi; pp. 81-84). E’<br />

difficile stabilire qui, e del<br />

resto non ne sarei capace,<br />

quanto pesino l’uno e l’altro<br />

tempo, ed il loro intreccio,<br />

nel lavoro dello storico.<br />

Ma la distinzione è incontrovertibile:<br />

il tempo<br />

naturale, ad esempio, ha risanato<br />

gli omeri di Améry,<br />

ma non la violazione morale<br />

dell’Io. «Chi è stato torturato<br />

resta tale. La tortura<br />

è un marchio indelebile anche<br />

quando clinicamente<br />

non sono riscontrabili tracce<br />

oggettive» (p.74). Assimilare<br />

il tempo morale, interiore,<br />

a quello naturale è<br />

profondamente immorale:<br />

«Il senso naturale del tempo<br />

ha le sue radici effettive<br />

nel processo fisiologico del<br />

rimarginarsi delle ferite ed<br />

è entrato a far parte della<br />

rappresentazione sociale<br />

della realtà», ma quest’irenismo<br />

naturalistico perverte<br />

il significato morale del<br />

tempo: «quel che è stato è stato: questa espressione è<br />

tanto vera quanto contraria alla morale e allo spirito».<br />

Ricordare con risentimento è quindi legittimo: «E’ diritto<br />

e privilegio dell’essere umano non dichiararsi d’accordo<br />

con ogni avvenimento naturale, e quindi nemmeno con il<br />

rimarginarsi biologico provocato dal tempo» (p.<strong>12</strong>4). E’<br />

un suo diritto storico (fondato sul suo ricordo) individuale,<br />

che non può esser annacquato nell’asserzione di<br />

Elkana che «una democrazia si nutre di presente e di<br />

futuro e un eccesso di dedizione al passato mina i fondamenti<br />

di una democrazia». L’esperienza individuale che,<br />

in impensabile, tremenda solitudine, ogni singola vittima<br />

fece, solo ingannevolmente può esser riscattata da una<br />

società che si presenti, rispetto all’individuo, come sog-


getto sublimato. Una tale società «pensa solo alla propria<br />

continuità. La società si preoccupa della propria sicurezza,<br />

non di una vita lesa» (p.<strong>12</strong>2), mentre lui, Hans Meyer,<br />

al quale il nazismo ha strappato «identità e passato» 6 ,<br />

costringendolo a mutare persino il proprio nome 7 , è una<br />

vita lesa. E’ qui, in questa verità individuale, ch’è da<br />

scavarsi per trovare la soluzione, perché «se accetto i<br />

miei risentimenti, se ammetto di essere “prevenuto” nel<br />

considerare il nostro problema, so però anche di essere<br />

prigioniero della verità morale di questo conflitto»<br />

(p.<strong>12</strong>1).<br />

Nessuna soluzione, dunque? O il naturalismo di Elkana<br />

o il risentimento “contraddittorio a livello logico”, che<br />

impedisce “lo sbocco verso il futuro”? E’ il rigore con il<br />

quale Améry spinge sino all’estremo l’analisi che ci<br />

toglie dall’impasse: egli mostra come al fondo del risentimento<br />

giaccia la possibilità d’invertire il corso naturale<br />

del tempo, di fondere ricordo e risentimento raggiungendo<br />

un’identificazione di sé come soggetto morale, che<br />

consente di aprirsi non solo all’Altro, ma (nella giustizia)<br />

anche all’offensore. Améry procede per eventi singolari,<br />

e ricorda, ad esempio, il kapo Juszek, «un criminale<br />

polacco di terrificante vigoria», che un giorno lo colpì.<br />

Molto più debole fisicamente, Améry reagì e, prima di<br />

crollare sotto le percosse, gli sferrò un pugno. Reagì,<br />

testimonia, «perché avevo ben compreso che nella vita vi<br />

sono situazioni in cui il nostro corpo è tutto il nostro Io e<br />

tutto il nostro destino. Ero il mio corpo e null’altro [...].<br />

Il mio corpo, nel momento in cui si tendeva per sferrare<br />

il colpo, era la mia dignità fisica e metafisica [...]. Nel<br />

colpo io ero me stesso: lo ero per me e per l’avversario»<br />

(p.148; il corsivo è mio). Qui è dalla riaffermazione del<br />

proprio valore nel “Zurückschlagen” (“rendere il colpo”)<br />

che nasce l’intersoggettività, e Améry esige non di sradicare<br />

il ricordo perché esso è anche risentimento, ma di<br />

costruire su esso come veramente è, ricordo risentito,<br />

l’uguaglianza. Invoca non la dimenticanza, falso perdono<br />

alla deriva nel flusso del tempo naturale, ma la<br />

giustizia, che consente l’inversione morale del tempo:<br />

«L’uomo morale esige la sospensione del tempo; nel<br />

nostro caso, inchiodando il misfattore al suo misfatto. In<br />

questo modo egli potrà, avvenuta l’inversione morale del<br />

tempo, essere accostato alla vittima in quanto suo simile»<br />

(<strong>12</strong>4). E Améry ci parla nuovamente di un individuo ed<br />

un evento singolari, della “SS fiamminga Wajs”, “pluriomicida<br />

e torturatore”, che lo «colpiva alla testa con il<br />

manico della pala». Anche Wajs era un Io, e «viveva<br />

l’attrezzo come il prolungamento della sua mano», e di<br />

fronte a quell’Io persecutore, scrive Améry, «solo io ero,<br />

e ancora oggi sono, in possesso della verità morale delle<br />

percosse che tuttora mi risuonano nella testa, e ho quindi<br />

maggior diritto a giudicare non solo rispetto ai colpevoli,<br />

ma anche alla società» (pp. <strong>12</strong>1-<strong>12</strong>2), poiché «la remissione<br />

e l’oblio provocati da una pressione sociale sono<br />

immorali» (<strong>12</strong>3-<strong>12</strong>4).<br />

E’ nella punizione del colpevole che la vittima può<br />

incontrare l’aguzzino, perché lo ritrova solo, come essa,<br />

da allora, è sola. Il ricordo della vittima è risentimento<br />

perché la sua “estrema solitudine” è «una condizione che<br />

ancora perdura». Améry è depositario di questa verità<br />

morale, e potrà riconoscere Wajs (ma solo lui; non anche,<br />

SAGGIO<br />

10<br />

attraverso di lui, i complici rimasti impuniti; il riconoscimento<br />

è tra individui) soltanto se anche Wajs sperimenterà,<br />

nella corporeità fisica e metafisica del suo Io, la<br />

verità morale dei suoi misfatti. Wajs fu processato, condannato,<br />

fucilato. Ed eccola, l’amara ma profonda ed<br />

umana soluzione: «Di fronte al plotone d’esecuzione la<br />

SS Wajs sperimentò la verità morale dei suoi misfatti. In<br />

quell’istante era con me: e io non ero più solo con il<br />

manico della pala. Voglio credere che nell’istante della<br />

sua esecuzione egli avrebbe voluto, al pari mio, invertire<br />

il tempo, annullare quanto era accaduto. Nel momento in<br />

cui era condotto sul luogo dell’esecuzione, da avverso<br />

egli si era nuovamente ritrasformato in prossimo» (p.<strong>12</strong>2).<br />

Così, nel ricordo, anche il risentimento diviene elemento<br />

di identità, di valore, di uguaglianza, di un’autentica<br />

apertura al futuro. A ciò non conducono la dimenticanza,<br />

l’oblio, il perdono naturalistico-sociale.<br />

L<br />

e testimonianze sulla Shoah sono piene di episodi<br />

di vittime che disperatamente tentavano<br />

di lasciare tracce al ricordo, e di carnefici che le<br />

cancellavano. Un passo di Simon Wiesenthal, citato da<br />

Paolo Rossi, mostra quanto fosse impari quella lotta: non<br />

solo perché le vittime erano inermi e i carnefici avevano<br />

il Potere, ma soprattutto perché l’orrore pareva troppo<br />

grande per la mente umana, ed elevava una barriera<br />

metafisica contro il ricordo: «I prigionieri dei Lager -ha<br />

scritto Simon Wiesenthal- venivano così ammoniti dai<br />

loro aguzzini: “In qualunque modo questa guerra finisca,<br />

la guerra contro di voi l’abbiamo vinta noi; nessuno di voi<br />

rimarrà per portare testimonianza, ma se anche qualcuno<br />

scampasse, il mondo non gli crederà”» (p.27). Era questa,<br />

ritengo, la “estrema solitudine” di cui testimonia Améry.<br />

In un filmato che molti hanno visto, Shoah, di Claude<br />

Lanzmann, questa solitudine è resa visibile. Le immagini<br />

si chiudono con le parole di un resistente di Varsavia, che<br />

si ricorda solo tra quelle rovine di morte, e testimonia<br />

(anche nel tono della voce, nelle espressioni del viso) una<br />

solitudine tanto ampia e profonda e di così intensa e ricca<br />

moralità, da non esser quasi più esprimibile come disperazione:<br />

«E mi ricordo di un momento - in cui ho provato<br />

una specie di quiete, - di serenità, - in cui mi sono detto:<br />

- «Sono l’ultimo degli ebrei, - aspetterò il mattino -<br />

aspetterò i tedeschi”» 8 .<br />

Vittime che per testimoniare usavano fragilissime parole:<br />

nomi, date, eventi scritti su fogli che sigillavano in<br />

scatole di latta e seppellivano, che qualcuno, un giorno,<br />

li ritrovasse; parole incise su muri di morte, vergate e<br />

gettate da treni di morte, scambiate tra esseri umani che<br />

abitavano la morte, che un sopravvissuto le ricordasse.<br />

Migliaia e migliaia e ancora migliaia di parole scritte e<br />

dette da milioni di vittime: quindi, letteralmente, miliardi<br />

e miliardi e ancora miliardi di parole, affidate all’oceano<br />

del tempo, nella speranza che qualcuna giungesse a noi e,<br />

dopo di noi, ai posteri. E carnefici che costringevano<br />

quelle stesse vittime a sbiancarli e risbiancarli, quei muri,<br />

a pulire e ripulire le camere a gas, che facevano saltare<br />

con la dinamite, al momento di abbandonarli, i forni,<br />

che... Sterminate quantità di eventi opposti: gli uni per il<br />

ricordo, gli altri per stendere l’oblio e la dimenticanza.<br />

Una lotta impari, che Primo Levi ricorda in frasi asciutte:


«Il bisogno di raccontare agli “altri”, di fare gli “altri”<br />

partecipi, aveva assunto fra noi, prima della liberazione<br />

e dopo, il carattere di un impulso immediato e violento» 9 .<br />

E il timore di non esser ascoltati, che il valore della<br />

propria testimonianza non fosse accolto, era come un<br />

incubo, diffuso tra i deportati: «Sentivo un bisogno così<br />

prepotente di raccontare, che raccontavo a voce. Allora,<br />

nel lager, facevo spesso un sogno: sognavo che tornavo,<br />

rientravo nella mia famiglia, raccontavo, e non ero ascoltato.<br />

Colui che mi sta davanti non mi sta a sentire, si volta<br />

e se ne va. Ho raccontato questo sogno, in lager, ai miei<br />

amici, e loro hanno detto: «Capita anche a noi» 10 .<br />

Qui l’aporia dello storico si<br />

fa acutissima, e traluce nelle<br />

pagine di Paolo Rossi<br />

laddove egli riesamina la<br />

differenza tra la funzione<br />

del ricordo e della testimonianza<br />

nelle Lettere e nelle<br />

Scienze. La fragilità delle<br />

parole, veicolo principale<br />

del ricordo, pare infatti tale,<br />

che sembra doversi disperare<br />

della possibilità di tramandare<br />

ciò che principalmente<br />

alimenta le Lettere:<br />

passioni, emozioni, giudizi<br />

morali, credenze, speranze<br />

ecc. Per la stessa aleatorietà<br />

di poter esser affidati solo<br />

a parole (le arti visive, almeno<br />

sino al XX secolo,<br />

hanno molta minor rilevanza<br />

da questo punto di vista),<br />

i fatti riguardanti le<br />

umane sorti paiono più facilmente<br />

falsificabili. La testimonianza<br />

di Améry può<br />

esser contraddetta, e non<br />

solo nel senso maledetto dei<br />

persecutori e della storiografia<br />

revisionista, ma anche<br />

da chi, suo amico e<br />

compagno di sventura, in-<br />

terpreti e viva gli stessi<br />

eventi in modo differente.<br />

Primo Levi, ad esempio,<br />

non condivise il risentimento di Améry, suo “compagno<br />

ed antagonista”, e questi a sua volta lo chiamò, in una<br />

lettera privata, “il perdonatore”, definizione che Levi<br />

respinse: «Non la considero né un’offesa né una lode,<br />

bensì un’imprecisione» 11 . Comunque, siamo innegabilmente<br />

davanti ad una drammatica differenza tra le interpretazioni<br />

dei ricordi di due testimoni degli stessi eventi.<br />

La precarietà di affidarsi prevalentemente a parole era<br />

resa ancora più acuta dal fatto che i Lager erano una<br />

babele di lingue, ove le parole venivano spessissimo<br />

fraintese, storpiate, o restavano indecifrabili. In Se questo<br />

è un uomo, Levi racconta di un ebreo francese di origine<br />

polacca, Gounan, che ne apostrofa uno ungherese, Kraus,<br />

il quale «capisce assai male il tedesco e non sa una parola<br />

SAGGIO<br />

Manoscirtto in lingua jiddish<br />

sotterrato nel KL. di Auschwitz da un Sonderkommando<br />

11<br />

di francese» e non ha ancora imparato che, per tentare di<br />

sopravvivere, bisogna lavorare il più lentamente possibile,<br />

«fare economia di tutto, di fiato, di movimenti, perfino<br />

di pensiero». “Pas si vite, idiot!”, impreca Gounan. Kraus<br />

non capisce, ed allora il francese, attingendo anche al<br />

patrimonio della propria storia di ebreo d’origine polacca:<br />

«Langsam, du blöder Einer, langsam, verstanden?»,<br />

ch’è un ibrido di tedesco ed jiddish e significa, parola per<br />

parola, «Piano tu stupido uno, piano, capito?»”. Levi (nel<br />

1946, a ridosso della persecuzione) l’aveva trascritta<br />

“tale e quale”, credendo però che fosse solo tedesco <strong>12</strong> ,<br />

lingua che lo stesso Levi conosceva ancora malamente.<br />

Anni più tardi, quando Se<br />

questo è un uomo viene tradotto<br />

in tedesco, dopo una<br />

lunga discussione epistolare<br />

con il traduttore, che non<br />

si raccapezza con quel “du<br />

blöder Einer”, espressione<br />

che in tedesco suona scorretta,<br />

Levi accetta quella<br />

che i filologi definiscono<br />

una lectio facilior: Il traduttore<br />

lo convince che<br />

quella frase è da emendarsi<br />

in «Langsam, du blöder<br />

Heini...», dove Heini è il<br />

diminutivo di Heinrich,<br />

Enrico. «Dovevo aver sentito<br />

o ricordato male», ammette<br />

Levi, e l’edizione tedesca<br />

del libro esce con il<br />

testo che pare emendato,<br />

ed invece è corrotto. Passati<br />

altri anni, Levi legge un<br />

libro sullo jid-disch, e si<br />

avvede di aver ricordato<br />

giusto: l’espressione “du<br />

eyner” era jiddisch, e Gounan,<br />

franco-polacco, aveva<br />

attinto alla comune tradizione<br />

askenazita per farsi<br />

intendere da Kraus, ebreo<br />

ungherese. Quindi, vivente<br />

il testimone e con i fatti<br />

ancora prossimi, le parole<br />

mostrano una straordinaria<br />

precarietà: al momento della traduzione tedesca di Se<br />

questo è un uomo mutarono lingua, lezione ed anche il<br />

destinatario del libro, poiché Levi si avvide solo allora<br />

che «i [...] destinatari veri, quelli contro cui il libro si<br />

puntava come un’arma, erano loro, i tedeschi» 13 . E, come<br />

vedremo in Spinoza, lingua, lezione e destinatario sono<br />

elementi decisivi nella trasmissione di un monumento<br />

letterario, composto di parole.<br />

Nella trasmissione del teorema di Pitagora, ad esempio,<br />

questa dipendenza dalla lingua, dalla lezione, dal destinatario<br />

ecc. è assente, ed è con una citazione da Spinoza che<br />

Paolo Rossi esamina quest’ulteriore differenza tra lo<br />

scienziato (il “filosofo naturale” secentesco) ed il letterato;<br />

ulteriore perché il tema dell’oblio si presenta qui non


solo come atteggiamento soggettivo dell’autore di manuali<br />

scientifici, ma anche come dato oggettivo: matematica<br />

ed esperimento non abbisognano di testimonianze, e<br />

lo scienziato s’erge indipendente di fronte alla tradizione.<br />

«Galilei -scrive Rossi- contrappone i filosofi naturali agli<br />

“istorici” o “dottori di memoria”. La mentalità di questi<br />

ultimi è caratterizzata dal continuo bisogno di richiamarsi<br />

ad una guida. L’immagine che Galilei contrappone a<br />

questa mentalità è quella di ricercatori che, a differenza<br />

dei ciechi, non hanno bisogno di guida alcuna [...]. Le<br />

testimonianze di altri non hanno alcun valore di fronte al<br />

criterio del vero e del falso: “Addurre tanti testimoni non<br />

serve a niente”» (162). Dunque le testimonianze di chi<br />

vuol tramandare non verità scientifico-matematiche, ma<br />

eventi umani, passioni, giudizi morali ecc. paiono condannate,<br />

per loro natura, ad essere non solo falsificabili,<br />

ma intrinsecamente ambigue; implicano dizione ed ascolto<br />

corretti, la conoscenza del contesto, ecc., come si è visto<br />

per “du eyner”. Altrimenti nelle scienze, scrive Rossi:<br />

«Le verità della geometria, il suo rigore appartengono per<br />

Spinoza ad un mondo che non dipende dall’approvazione<br />

degli ascoltatori o dalle vicende temporali» (p.163), ed<br />

è più facile raggiungere la verità quando si ha «assoluta<br />

irrilevanza dei contesti» storici, «delle vicende che si<br />

svolgono nel tempo», delle testimonianze umane. La<br />

veridicità degli Elementi di Euclide, scrive Spinoza nel<br />

passo che Rossi cita, è indiscussa perché non contiene «se<br />

non cose semplicissime e quanto mai intelligibili», indipendenti<br />

dalla lingua in cui primieramente furono scritte;<br />

dalla conoscenza approfondita de “la vita, gli studi, i<br />

costumi dell’autore”; dal “destinatario”; dalla “fortuna”<br />

e “varie lezioni” del libro; dalla “deliberazione” con cui<br />

il suo contenuto é stato “approvato”. Nelle matematiche,<br />

dunque, vi sarebbe motivo d’ottimismo quanto a poter<br />

discorrere di cose certe e vere. D’altra parte, vien da<br />

osservare, sotto questo profilo ottimismo e inutilità vanno,<br />

dal punto di vista storiografico, di pari passo: lo scavo<br />

nelle fonti e nei contesti pare servire poco o punto, ed anzi<br />

confonderebbe inutilmente le acque, se la materia stessa<br />

della Proposizione 47 a del libro I degli Elementi, il<br />

teorema di Pitagora, non fosse per natura al di sopra di<br />

ogni fraintendimento possibile.<br />

Il passo spinoziano citato da Rossi è nel capitolo VII, “De<br />

interpretatione Scripturae”, del Trattato teologico-politico<br />

14 . Stando a solo quel passo, e paragonando sotto quel<br />

riguardo la Scrittura e gli Elementi, l’attendibilità della<br />

prima come monumento storico pare pressoché nulla,<br />

proprio per la precarietà dei discorsi non scientificomatematici.<br />

Spinoza spiega infatti nel VII capitolo ed in<br />

quelli successivi che per interpretare la Scrittura occorre<br />

conoscere la lingua ebraica e gli ebraismi dei libri neotestamentari<br />

dei quali non abbiamo l’originale ebraico; la<br />

vita, l’indole e la cultura dei (presunti) autori; il contesto<br />

nel quale scrissero; la situazione storica, politica, culturale<br />

e morale dei destinatari; la fortuna dei singoli libri; le<br />

diverse lezioni; come, quando e da chi ne venne deliberata<br />

la canonizzazione, ecc. Operazioni tutte impossibili<br />

per la Scrittura, dato che non abbiamo né grammatiche,<br />

né trattati di retorica, né dizionari coevi; che moltissimi<br />

sono gli apax legomena, le lezioni incerte, i testi incompleti<br />

ed interpolati, a volte grammaticamente e sintattica-<br />

SAGGIO<br />

<strong>12</strong><br />

mente scorretti; che i veri autori sono sovente ignoti; le<br />

motivazioni delle lezioni marginali incerte; che nella<br />

lingua ebraica le lettere labiali sono tra loro spesso<br />

intercambiabili, e così le linguali, dentali, palatali e<br />

gutturali; le forme verbali assimilabili a nomi e prive di<br />

molti tempi; le congiunzioni e gli avverbi con significati<br />

spesso opposti; inoltre il testo mancava, in origine, di<br />

segni d’interpunzione, accenti, vocali, che vennero aggiunti<br />

secoli e secoli più tardi da dotti per i quali la lingua<br />

della Scrittura era ormai antichissima. Dal punto di vista<br />

linguistico e della lezione delle parole (che è quello che<br />

qui più preme), è dunque evidente che nella Scrittura<br />

come monumento letterario, in forza di «questa costituzione<br />

e natura della lingua ebraica debbano nascere tante<br />

ambiguità che non vi è metodo in grado di risolvere» (p.<br />

198). Per questi ed altri motivi si può concludere che la<br />

lezione della Scrittura è inguaribilmente corrotta dal<br />

tempo, dagli uomini, dalle circostanze di trasmissione<br />

ecc. Per di più, la narrazione è zeppa di miracoli, il<br />

linguaggio figurato, Dio descritto in modi contraddittori<br />

e spesso antropomorfici, le proposizioni naturali enunciate<br />

da ignoranti per ignoranti (Giosué, al quale viene<br />

attribuito il miracolo del Sole che s’arresta nel cielo, era<br />

uomo d’arme ignorante di scienze naturali); le cronologie<br />

contraddittorie, le profezie manifestamente dipendenti<br />

dall’indole e dalla cultura del profeta: Daniele cupo, Isaia<br />

aulico, Geremia rustico; Salomone affatto sapientissimo,<br />

ignorando egli l’incommensurabilità tra raggio e circonferenza,<br />

ecc.<br />

E se, pur con molte riserve, la Scrittura può essere<br />

assimilata ad altri monumenti letterari che non esprimano<br />

le verità semplicissime e perfettamente intelligibili degli<br />

Elementi, allora la difficoltà pare investire l’intero universo<br />

di quel veicolo di testimonianza che sono le parole.<br />

L’aporeticità, a questo punto, pare anzi insuperabile<br />

anche per lo storico della scienza, che si occupa di<br />

monumenti letterari contenenti proposizioni scientifiche,<br />

e quindi di parole, non direttamente di verità scientifico-matematiche.<br />

Ogni testimone ed ogni storico pare<br />

quindi condannato all’errore, all’incertezza radicale, e<br />

somigliare piuttosto a un viaggiatore, come scrivono<br />

Cartesio e Malebranche in passi citati da Rossi, «troppo<br />

curioso di cose del passato» e «molto ignorante di quelle<br />

presenti»; interessato «alle cose rare e lontane», non a «le<br />

verità più necessarie e più belle» (p. 163).<br />

Lo sforzo di ricostruire il passato, salvare il ricordo,<br />

costituire l’identità del presente e l’apertura sul<br />

futuro pare dunque vana fatica di Sisifo, e che<br />

questo sia già oggi, ed ancora più nei decenni e secoli a<br />

venire, il destino degli storici della Shoah: scriveranno in<br />

un contesto nel quale il Terzo Reich «sarà semplicemente<br />

storia, non migliore e non peggiore di quanto non lo siano<br />

in genere tutte le epoche storiche drammatiche», osserva<br />

Améry, e Hitler apparirà come una sorta di Napoleone,<br />

anch’egli sconfitto dalle gelide steppe russe. Il conto<br />

delle vittime, già oggi contestato per la quasi totalità dalla<br />

storiografia revisionista, sarà ridotto in modo ancor più<br />

tracotante da studiosi tedeschi cresciuti con «il ritratto del<br />

bisnonno con l’uniforme delle SS [...] ben in vista nel<br />

salotto buono» (p.134). Quegli agenti delle tenebre sa-


anno ancor più numerosi che non gli odierni assassini<br />

della memoria, perché proverranno dall’immenso stuolo<br />

dei «né caldi, né freddi». Le fragilissime parole, cancellate<br />

a miriadi già quando venivano scritte e pronunciate,<br />

e per di più spesso fraintese dagli stessi testimoni, paiono<br />

veramente impotenti ad impedire l’oblio e la dimenticanza<br />

della verità fondamentale della Shoah.<br />

Ma non è mai mancato chi, come Bayle, Hume e molti<br />

altri, negasse che le verità matematiche detengano il<br />

primato nella conoscenza. Chiare e distinte quanto si<br />

voglia le loro premesse, constano tuttavia di proposizioni<br />

difficili da dimostrarsi, ardue da ritenersi, pressoché<br />

ininfluenti sulla vita quotidiana, e l’esistenza di Cicerone<br />

appare più indiscussa e viene più facilmente ricordata che<br />

non l’equazione del cerchio. Proprio Spinoza ci dice, in<br />

una pagina di quello stesso VII capitolo che va accostata,<br />

credo, a quella citata da Rossi, che in verità non vi è<br />

motivo di disperare della trasmissione certa e veritiera<br />

dei contenuti morali. Egli argomenta ampiamente l’impossibilità<br />

di falsificare le parole. «Le cose che sono<br />

percepite facilmente per natura», come anche che Améry<br />

fu torturato, «non si possono mai dire in modo così oscuro<br />

da non poter essere facilmente comprese», e ciò vale non<br />

solo per Euclide, ma anche per la Scrittura, per quanto<br />

attiene al suo contenuto morale fondamentale (e quindi,<br />

più in generale, per i monumenti letterari della storia).<br />

«Noi possiamo facilmente comprendere la Scrittura e<br />

essere certi del vero significato del suo insegnamento<br />

morale», che si esprime “con parole usatissime”. E le<br />

parole non sono falsificabili: «In verità è difficilissimo<br />

mutare il senso di una parola, perché colui che tentasse di<br />

farlo, sarebbe costretto contemporaneamente a spiegare<br />

secondo l’indole e l’intenzione di ciascuno tutti quanti gli<br />

scrittori che scrissero in quella lingua e che usarono<br />

quella parola nel senso comunemente accettato; oppure a<br />

travisarla con estrema cautela. E poi, a conservare la<br />

lingua concorre con i dotti anche il volgo, mentre il senso<br />

dei discorsi e i libri sono conservati unicamente dai dotti,<br />

i quali, come facilmente possiamo comprendere, hanno<br />

potuto bensì modificare o alterare il senso di un passo di<br />

un libro rarissimo in loro possesso, ma non quello delle<br />

parole; senza contare che chi volesse modificare il significato<br />

usuale di una parola, non potrebbe poi senza<br />

difficoltà mantenere tale modifica nel parlare e nello<br />

scrivere» (pp.194-195).<br />

Lo storico, in ultima analisi, potrà sempre fare il suo<br />

lavoro, che ha carattere anche morale, con attendibilità.<br />

Egli, che conserva le parole, è per natura, come dice<br />

Yerushalmi, un testimone della verità. E pur nelle discre-<br />

ultimo, mi pare, delle aporie che<br />

percorrono e ravvivano il libro ed il<br />

pensiero storiografico di Paolo Rossi,<br />

e di questo gli siamo grati.<br />

1 Ricciardi, Milano-Napoli 1960; nuova ed. rivista<br />

presso Il Mulino, Bologna 1983.<br />

2 Trad. it. Einaudi, Torino 1990.<br />

3 La letteratura sulla Shoah testimonia anche il<br />

dramma degli scampati. Giuliano Della Pergola, figlio<br />

di matrimonio misto, educato nella fede cattolica,<br />

scampato che solo con gli anni scoprì d’essere<br />

ebreo, scrive: «Io non faccio parte dei sopravvissuti,<br />

ma degli scampati» che «non solo non vogliono<br />

SAGGIO<br />

Note<br />

dimenticare, ma che cercano di trasformare quel<br />

ricordo in una particolare moralità storica» (Giuliano<br />

Della Pergola, Un bambino nato due volte. L’enfant<br />

qui naquit deux fois, Jouve, s.l., <strong>1993</strong>, pp. 30,14).<br />

4 Per le considerazioni su Rousseau e Marx, rinvio al<br />

mio Natura e costrizione. Per una riflessione sull’uguaglianza<br />

nei «Manoscritti del 1844» di Marx, in<br />

AA.VV., I filosofi e l’uguaglianza, relazioni al XXX<br />

Congresso Nazionale della Società Filosofica Italiana,<br />

Messina, 21-24 aprile 1989, Sicania, Messina 1991,v.<br />

I pp. 101-148.<br />

5 Trad. it. Bollati Boringhieri, Torino 1987.<br />

6 C. Magris, “Presentazione” a Intellettuale a Auschwitz,<br />

p. 11.<br />

7 Jean Améry è anagramma e francesizzazione di<br />

13<br />

panze di giudizio tra Améry e Levi, la verità morale di che<br />

cosa sia stata la Shoah emerge incoercibile. Vi è un<br />

aspetto, in cui questa comune verità dei due ex compagni<br />

di baracca fa rabbrividire di spavento, nella sua crudele<br />

semplicità. Ne I sommersi e i salvati, Levi registra con<br />

fermezza un dissenso da Améry e, ricordando l’episodio<br />

del pugno sferrato al kapo polacco, critica la morale del<br />

risentimento, la «morale del Zurückschlagen, del “rendere<br />

il colpo”», e ad essa riconduce il destino estremo del<br />

compagno, quasi egli avesse infine dovuto soccombere al<br />

risentimento. Di quella morale di Améry, Levi scrive:<br />

«La ammiro: ma devo constatare che quella scelta, protrattasi<br />

per tutto il suo dopo-Auschwitz, lo ha condotto su<br />

posizioni di una tale severità ed intransigenza da renderlo<br />

incapace di trovar gioia nella vita, anzi di vivere: chi “fa<br />

a pugni” col mondo intero ritrova la sua dignità ma la<br />

paga ad un prezzo altissimo, perché è sicuro di venire<br />

sconfitto. Il suicidio di Améry, avvenuto nel 1978 a<br />

Salisburgo, come tutti i suicidi ammette una nebulosa di<br />

spiegazioni, ma, a posteriori, l’episodio della sfida contro<br />

il polacco ne offre un’interpretazione» (pp.109-110).<br />

Un dissenso sull’intrerpretazione degli eventi testimoniati,<br />

dunque. Ma la comune verità morale del vissuto di<br />

Améry e di Levi si conferma, in modo spaventevole, nel<br />

suicidio scelto, anni dopo, anche da Levi: nessuno potrà<br />

mai dire quale sia stata, e per l’uno e per l’altro, la<br />

“nebulosa di spiegazioni” della loro scelta estrema. Pure<br />

certo entrambi testimoniarono, da punti di vista differenti,<br />

con storie differenti, ma anche con l’estremo gesto<br />

comune, della mostruosità della Shoah, della solitudine<br />

dei sopravvissuti. Le parole di entrambi loro sono fragilissime,<br />

ma infalsificabili. Sta a noi, destinatari del loro<br />

messaggio, riuscire ad avvertire ciò che hanno di comune.<br />

Infalsificabili, e frutto della libera scelta di testimoniare.<br />

Al di là di ogni possibile aporia, ciò basta a fare<br />

della storia una disciplina anche morale, senza che si<br />

debba ricorrere alla finzione che sia magistra vitae. Si<br />

può esser tranquillamente pessimisti che lo storico<br />

possa migliorare il corso degli eventi rammemorando<br />

il passato, ma tuttavia certi che il passato sia, nel suo<br />

insieme, infalsificabile, e dunque non rassegnarsi all’oblio.<br />

Proprio Paolo Rossi, commentando Leopardi,<br />

scrive: «Tra pessimismo e rassegnazione non esiste<br />

alcun rapporto necessario» 15 . La pedagogia morale<br />

che lo storico esercita non pare retorico-persuasiva,<br />

ma piuttosto testimonianza dell’identità, e quindi<br />

d’uguaglianza e di libertà. Testimoniare, e scrivere di<br />

storia, è anzitutto una libera scelta. E’ questo il senso<br />

Hans Mayer.<br />

8 C. Lanzmann, Shoah, trad. it. Rizzoli, Milano 1987,<br />

p. 239.<br />

9 P. Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino<br />

1963, p. 8.<br />

10 P. Levi, Autoritratto, “Nord-Est” N. 2, Padova<br />

1987, p. 50.<br />

11 P. Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino<br />

1986, pp. 114, 110.<br />

<strong>12</strong> «Gounan [...] si ricorda di tradurre in tedesco»,<br />

scrive Levi, che difatti usa la maiuscola e la vocalizzazione<br />

germanica, trascrivendo non “eyner”, ma<br />

“Einer” (cfr. Se questo è un uomo, p.167; il corsivo è<br />

mio)<br />

13 Per i passi citati cfr. Se questo è un uomo, p. 167;<br />

I sommersi e i salvati, pp. 79, 138.<br />

14 Mi avvalgo della trad. it. a cura di A. Droetto ed E.


INTERVISTA<br />

Albrecht Dürer, Evangelista Marco, Kupferstichkabinett di Berlino<br />

14


Chi è il soggetto del ritratto? Chi è attore o<br />

autore della rappresentazione di sé? Come<br />

e in che momento ritrarre un uomo? Il<br />

ritratto di qualcuno “vale” per costui? In<br />

quali termini? Queste alcune delle domande<br />

che possono sorgere ingenuamente di<br />

fronte a un ritratto e che nolens volens<br />

bussano alla porta degli artisti e si presentano<br />

come problema filosofico. In altri termini:<br />

quali significati e valori antropologici<br />

sono posti in gioco dall’esperienza del<br />

ritratto? Quale modello di uomo e di humanitas<br />

viene messo in opera?<br />

Tali interrogativi corrono lungo l’asse problematico<br />

della rappresentazione e sono<br />

recentemente al centro in Francia di numerosi<br />

studi, differenti per approccio e finalità,<br />

ma sorprendentemente convergenti verso<br />

un oggetto privilegiato d’indagine: il<br />

volto e il suo ritratto. In particolare, all’Ecole<br />

des Hautes Etudes, nel quadro delle<br />

ricerche sulla rappresentazione<br />

e sul linguaggio, alcuni studiosi,<br />

Louis Marin, Yves Hersant,<br />

George Didi-Huberman,<br />

hanno focalizzato le loro ricerche<br />

sul problema del ritratto.<br />

Marin si è interessato alla rappresentazione<br />

del politico nell’Europa<br />

del XVI/XVII, concentrandosi<br />

in particolare sul<br />

processo e sugli effetti politici e<br />

estetici della rappresentazione<br />

del re. Hersant si è preoccupato<br />

di analizzare i dispositivi letterari,<br />

pittorici, retorici della rappresentazione<br />

dell’uomo nella<br />

cultura rinascimentale. Didi-<br />

Huberman ha perseguito invece<br />

un progetto di storia e di<br />

antropologia del ritratto considerato<br />

come mito e rito dell’immaginario<br />

occidentale (tra le sue<br />

pubblicazioni, ricordiamo: Devant<br />

l’image. Question posée<br />

aux fins d’une histoire de l’art,<br />

Minuit, Paris 1990; Fra Angelico<br />

-Dissemblance et figuration, Flammarion,<br />

Paris 1990; Le cube et le visage.<br />

Autour d’une sculpture d’Alberto Giacometti,<br />

Macula, Paris 1992).<br />

Altro evento importante in questo contesto<br />

è stata la mostra organizzata da Didi-Huberman<br />

a Jouy-en-Josas dal titolo: “A visage<br />

découvert”, e la pubblicazione dell’omonimo<br />

catalogo (Flammarion, Paris 1992):<br />

ricca messe di immagini e preziosi interventi<br />

di studiosi da tempo interessati a<br />

spiare da più angoli di visuale, se non da<br />

dietro le quinte della faccia, i tratti e i<br />

meccanismi che ne fanno un volto; ricordiamo,<br />

in quest’occasione, oltre ai già menzionati<br />

Marin, Hersant, Didi-Huberman,<br />

gli interventi, fra gli altri, di Jean Clair, di<br />

Xavier Grand. Di concerto questi autori<br />

s’interrogano sui termini e sul piano rilevante<br />

su cui, , «si possa avvicinare - come<br />

scrive Didi-Huberman - il problema del<br />

viso in quanto problema posto all’immagine,<br />

e reciprocamente, il problema dell’im-<br />

INTERVISTA<br />

magine come problema posto al volto».<br />

Domande incrociate, dunque, sullo specifico<br />

dell’uomo a partire da uno sguardo<br />

storico attento alle procedure artistiche della<br />

rappresentazione e, d’altro canto, sulle possibilità<br />

intrinseche ai sistemi di rappresentazione<br />

a partire da una riflessione filosofica<br />

sul significato e sul valore antropologici<br />

del volto. E’ da sottolineare in questi autori,<br />

al di là delle differenze rilevanti, un<br />

“comune stile di pensiero”, un condiviso<br />

orizzonte di interessi e di pratica intellettuale:<br />

in primo luogo, una duplice formazione,<br />

filosofica e letterario-artistica, cioè<br />

una competenza semiologica e un atteggiamento<br />

riflessivo coniugati (felicemente) a<br />

una sensibilità educata dalla frequentazione<br />

assidua e competente con le opere d’arte.<br />

Gli interrogativi sono così posti su un<br />

piano estetico nel duplice senso di teoria<br />

della percezione (e relative valenze antro-<br />

Ritratto d’autore:<br />

le immagini<br />

del mio nome.<br />

Interviste a<br />

Yves Hersant<br />

Louis Marin<br />

di Fosca Mariani Zini<br />

pologiche) e di teoria dell’arte (e implicite<br />

connessioni storiche). All’origine di questa<br />

problematica vi è una “passione predominante”<br />

per il dispositivo della rappresentazione<br />

artistica come piano di convergenza<br />

(ma non di fusione) fra ciò che vi è di più<br />

“spontaneo” (la sensazione, il volto nudo<br />

in particolare) e di più “artificiale” (la figuratività,<br />

il ritratto).<br />

Il volto è stato oggetto, per così dire, anche<br />

di altri approcci: David le Breton ha recentemente<br />

pubblicato lo studio: Des visages.<br />

Essai d’anthropologie (Métaillié, Paris<br />

1992). L’approccio è dunque antropologico,<br />

volto alla ricerca delle vie tramite cui<br />

avvicinarsi (senza aggredire) il “segreto”<br />

del volto, traccia visibile dell’unicità di<br />

ogni avventura personale d’identità, scena<br />

teatrale, la cui «ristrettezza non è certo un<br />

ostacolo alla molteplicità delle combinazioni».<br />

Le Breton cerca di cogliere l’emergenza<br />

del volto come cifra dell’uomo nelle<br />

scansioni delle vicende storico-culturali: il<br />

15<br />

volto infatti non è a suo avviso solo “naturale”,<br />

bensì deve molto, per quanto riguarda<br />

la forma, i movimenti e l’apprezzamento<br />

degli altri, alla dimensione collettiva e<br />

sociale (sul significato antropologico e socialmente<br />

“strutturato” del corpo si veda<br />

dell’autore: Corps et société, Klincksieck,<br />

Paris 1985; Sociologie du corps, PUF, Paris<br />

1992). Il volto è sempre “una composizione”:<br />

in questo senso l’autore analizza<br />

alcuni fenomeni salienti della vita di società<br />

relativi alla “messa in opera “del viso,<br />

quali l’invecchiamento, la bruttezza, la sfigurazione<br />

(per accidente o per crudeltà),<br />

ma anche gli effetti della “massificazione”<br />

del corpo nelle società democratiche.<br />

Uno dei punti di maggior interesse di questo<br />

dibattito riguarda la questione della<br />

nascita del ritratto, in particolare dell’uomo.<br />

Per Le Breton il “sentimento” di avere<br />

un volto è relativamente tardivo nella storia:<br />

nasce con lo spiccato senso<br />

d’individualità che caratterizza<br />

il Quattrocento italiano: «Differenziandosi<br />

dalla comunità,<br />

distinguendosi dal cosmo, l’uomo<br />

colto rinascimentale comin-<br />

cia a considerare la propria incarnazione<br />

come luogo della<br />

propria sovranità. Il corpo in<br />

qualche modo interrompe e permette<br />

di affermare la differenza<br />

individuale che il volto corona».<br />

L’individuo trova il suo<br />

proprio posto alloggiando nel<br />

proprio volto, ritagliandosi uno<br />

spazio rispetto al cosmo, agli<br />

altri e a sé nella misura in cui<br />

anima e corpo, come gemelli<br />

crudeli, tanto si cercano, quanto<br />

si distruggono a vicenda. In<br />

questo senso il ritratto nasce<br />

come celebrazione dell’uomo<br />

colto e potente, dell’uomo che<br />

si può guardare nello specchio<br />

e, se può pagare, farsi ritrarre da<br />

un pittore. Per converso, Hersant,<br />

attraverso un approccio congiunto<br />

alla letteratura e alle arti plastiche, propone<br />

un’interpretazione più nuancée della connessione<br />

fra emergenza dell’individuo e<br />

ritratto. Non solo il Rinascimento è un<br />

orizzonte culturale molto complesso, percorso<br />

dall’interno da più inquietudini e da<br />

differenti visioni del rapporto fa uomo e<br />

cosmo, ma anche l’idea di “ritratto” non è<br />

assegnabile al solo “genere” della pittura.<br />

Fra pittura e scrittura vengono stretti nodi<br />

molto difficili da districare: concorrenza o<br />

compresenza? Radice comune (nella tradizione<br />

retorica) o differenziata (nelle pratiche<br />

specifiche)? La riflessione storico-critica<br />

sul ritratto deve porre su un piano<br />

filosofico le seguenti domande: è possibile<br />

fare il ritratto di un uomo? Esiste forse una<br />

natura specifica dell’uomo? Per Bruno, ad<br />

esempio, è assurdo fare il ritratto di un<br />

uomo, poiché questi partecipa di un’ “infinitudine”<br />

in atto e immanente, che rende<br />

paradossale ogni “arresto” in immagine.


Solo la scrittura è forse adeguata a tale<br />

infinitudine, agli “eroici furori” dell’uomo:<br />

grazie al carattere infinito del discorrere,<br />

al carattere intellettuale e non sensibile<br />

della scrittura, alla mancanza di cornici<br />

e di chiusure come nei quadri o di<br />

rigidità statuarie...<br />

A seconda dei momenti storici e degli autori,<br />

il volto è stato inteso come superficie<br />

“sincera” dell’animo, oppure luogo “menzognero”<br />

per eccellenza. Forse che, nel<br />

primo caso, la rappresentazione “sveli” l’autenticità<br />

del volto? Oppure, è la seconda<br />

ipotesi, raddoppia le ambiguità dell’originaria<br />

menzogna in un gioco vertiginoso in<br />

cui il volto si cancella per far posto a una<br />

maschera?<br />

Marin ha molto lavorato sul nesso rappresentazione<br />

- politica, in particolare sulla<br />

rappresentazione del re. Rifacendosi soprattutto<br />

ai ritratti regali del XVI secolo<br />

(Trouvain, Rigaud, Le Brun), stabilisce un<br />

nesso molto perspicuo fra “rappresentazione<br />

del re e re di rappresentazione”. Il re,<br />

infatti, poserebbe come modello del “principe”,<br />

quale egli è, per acquisire, nella<br />

contemplazione del proprio ritratto, l’immagine<br />

di sé come “monarca”, cioè la pienezza<br />

di una genericità assoluta, un grado<br />

zero, l’immagine di nessuno, di un nessuno<br />

che è pieno «della neutralità di una funzione<br />

il cui nome proprio è re.» Il principe<br />

come modello è disposto a cedere un po'<br />

della sua umanità, divenendo così “impassibilità<br />

contemplativa”, per avere in cambio<br />

l’ostensione di sé come monarca, indossare<br />

finalmente i panni del suo ruolo.<br />

Ma ogni sistema di rappresentazione implica<br />

al suo interno delle falle, dei punti di<br />

corrosione: nella rappresentazione di sé<br />

come potere assoluto, il re contempla e<br />

prende tutta la misura della distanza fra la<br />

rappresentazione del suo potere e il suo<br />

potere effettivo. Il ritratto risarcisce i danni<br />

di un sogno di assoluto potere che non può<br />

che rimanere parziale e affidato al ricordo:<br />

il re guarda lo spettatore perché lo sguardo<br />

di chi è fuori scena salvi, “salvaguardi”<br />

nell’immagine, di un futuro mai abbastanza<br />

possibile, il potere che si vuole assoluto.<br />

Ma il ritratto se può simulare ciò che non è,<br />

ciò che un altro è, non si limita solo ai<br />

giochi della rappresentazione, al contrario,<br />

insiste Marin, non è solo cifra di una perdita<br />

bensì strumento della conoscenza di sé e<br />

dell’altro. Non c’è identificazione che non<br />

passi per simulazione, si potrebbe dire:<br />

incontrandosi, il mio Io e l’Altro entriamo<br />

in una dinamica di simulazione reciproca,<br />

di “simpatia allofagica”; ciascuno assume<br />

sul proprio volto i tratti dell’altro, lo assimila,<br />

captandone il gioco “facciale”, e al<br />

contempo tenta di mettersi a distanza dal<br />

tentativo di assorbimento dell’altro. La simulazione<br />

dell’altro sul mio volto non è<br />

mai perfetta e questo “tirarsi fuori” dall’assorbimento<br />

dell’altro è ciò che ci salva, che<br />

c’impedisce di divenire una maschera. L’incontro<br />

fra due volti, il riflesso fra un volto<br />

e un ritratto non è mai fusione o interscam-<br />

INTERVISTA<br />

bialità: dietro al proprio volto, nella solitudine<br />

perpendicolare dell’anonimato, resta<br />

il luogo, il punto di fuga prospettico in cui<br />

l’identità prende consistenza.<br />

Ci sono strette connessioni fra la morte e il<br />

ritratto. Le Breton sottolinea che solo in<br />

un’interazione sociale e simbolica “gratificante”<br />

un volto può acquisire la propria<br />

espressività. Senza una rete di tal genere<br />

nessuno è in grado di dare un “luogo” ai<br />

propri tratti, di dare al volto il suo ubi<br />

consistam. Non a caso il bambino autista ha<br />

un “viso socialmente incompiuto” e la persona<br />

i cui tratti sono stati sfigurati ha il<br />

sentimento di aver perso se stessa. Peggio<br />

ancora, quando l’odio trova i mezzi per<br />

esercitarsi è sul volto che si accanisce, così<br />

come i campi di concentramento, le inenarrabili<br />

sevizie di tutti i tempi, testimoniano.<br />

Didi-Huberman, lavorando in una prospettiva<br />

antropologica sul significato del visuale/visivo,<br />

mette a punto una possibile convergenza<br />

fra ritratto e morte attraverso la<br />

nozione di vestigia. Prendendo in contropiede<br />

le metafisiche della presenza, Didi-<br />

Huberman considera il ritratto come un<br />

sostituto della presenza nei termini di vestigia,<br />

ossia come quasi-presenza che «pone<br />

la propria referenza solo per dire che ne è<br />

privo, che qualcosa è stato distrutto e dunque<br />

allontanato definitivamente». Da un<br />

punto di vista storico e genetico il ritratto è<br />

nato come genere funerario quindi è vestigia<br />

anche nel senso di traccia lasciata sulla<br />

sabbia. Infine è indice di una rovina, di una<br />

procedura di morte di cui resta come sola<br />

testimonianza il luogo della distruzione.<br />

Didi-Huberman s’interroga allora sui nessi<br />

fra perdita, traccia, luogo in relazione alla<br />

funzione antropologica del ritratto. In particolare,<br />

nelle maschere funerarie come nel<br />

processo di mummificazione, si conserva<br />

l’impronta del viso morto, allorché il viso<br />

“naturale” viene abbandonato alla cenere<br />

di cui è fatto. Proprio perché il volto è<br />

destinato a scomparire, nasce l’esigenza di<br />

conservarne una traccia figurale che gli<br />

sopravviva. Il ritratto metterebbe dunque<br />

in opera non la rappresentazione di un<br />

volto, quanto la sua “scomparsa presentata”.<br />

Il volto sparisce come rappresentazione<br />

(nella rappresentazione), ma la sua traccia<br />

esibita ne conserva l’aura, la sua visualità<br />

paradossale.<br />

Marin, invece, soffermandosi sulle opere<br />

di Philippe de la Campagne, s’interroga sul<br />

significato paradossale del “volto universale”,<br />

sulla persona che non è nessuno<br />

(personne), «volto universale di ciascuno<br />

che la morte di ognuno realizza». Ogni<br />

volto si annulla nel memento mori della<br />

nostra ultima espressione: sguardo vuoto,<br />

bocca aperta senza voce, “maschera di tutti”,<br />

ritratto che trova nell’anonimato della<br />

morte un’immagine (forse la propria); in<br />

altri termini, viso-ritratto di «una esistenza<br />

temporale singolare che acquisisce nella<br />

morte, nell’usura stessa del tempo sul corpo<br />

e sul viso morto, l’eloquenza muta e<br />

irresistibile dell’universale ultima verità<br />

16<br />

della vita».<br />

Quanto al “ritratto delle passioni, “ al di là<br />

dei tentativi della fisiognomia e della patognomia,<br />

o grazie anche a questi tentativi,<br />

come è incline a sostenere Hersant, la macchina<br />

pitturale, la grammatica delle passioni<br />

hanno valore conoscitivo. Non semplice<br />

imitazione o riduzione, la scomposizione<br />

geometrica del volto e l’artificiosa ricomposizione<br />

delle espressioni «ritracciano<br />

come segno ciò che la natura ha tracciato<br />

come indice», non riproducono ingenuamente<br />

somiglianze e analogie, bensì cercano<br />

attraverso l’artificio di tradurre e interpretare<br />

la natura nei suoi elementi essenziali.<br />

Precisa Hersant: «E’ per meglio rivelare<br />

la natura che nelle figure di Le Brun il<br />

gesto “istituito” toglie di mezzo il gesto<br />

“naturale”». Dal canto suo, Didi-Huberman<br />

rileva il carattere metamorfico, cangiante<br />

del volto e la sua inquietante “familiarità”<br />

con immagini ancestrali di voracità,<br />

di eccessiva prossimità e di attività vulcanica.<br />

Il volto, per eccellenza nudo, richiamerebbe<br />

ben altre nudità, altrettanto<br />

“oscene” (nel senso di “davanti alla scena”):<br />

luogo che trasforma lo spazio in cui<br />

compare, scena infernale di disordine e di<br />

effetti violenti, superficie aperta come una<br />

ferita o un frutto, aperta dalla voragine<br />

della bocca, giù a perpendicolo in antichi<br />

fantasmi dove l’alto e il basso si scambiano<br />

in un “magma tellurico”.<br />

Nel ritratto non si tratta tanto di stabilire chi<br />

sia il modello, o se l’artista sia stato “fedele”,<br />

bensì dobbiamo chiederci: Chi è l’autore<br />

del ritratto? Chi ritrae chi? Come si<br />

costituisce l’auctoritas? Marin si è a lungo<br />

occupato di questo aspetto a proposito soprattutto<br />

dell’autoritratto letterario, dell’autobiografia.<br />

Come porsi, infatti, autore di<br />

sé, della propria esistenza? Come scrivere:<br />

“io sono nato” o “io sono morto”, se non<br />

attraverso la machinerie della scrittura?<br />

Macchinazione, congenio, “invenzione” di<br />

figure di enunciazione che, nella loro artificiosità,<br />

innescano un dispositivo di auctoritas,<br />

dando cioè consistenza, spessore e<br />

identità a colui che si cerca nel “luogo” in<br />

cui stare come nome proprio. Molte figure<br />

concorrono a dare immagini a questo nome<br />

proprio, cercato in tutti gli umbratili profili<br />

di noi e degli altri sul muro dell’esistenza.<br />

L’ “io” diviene “me” solo attraverso l’incontro<br />

con l’altro, in incontri però di pura<br />

casualità che non prevedono né progetto,<br />

né riconoscimento dell’altro. Il soggetto<br />

nasce in un incontro “inavvertito” con il<br />

reale: «caso come incidente, accidente come<br />

occasione, il reale che in un istante ci cade<br />

addosso con tutto il suo peso». Ma solo<br />

après coup, quando l’incontro sarà già stato<br />

mancato, e l’occasione risuonerà come<br />

un’eco lontana, solo allora «il reale sarà<br />

passato e il soggetto preso per sempre nella<br />

rete dei segni». L’esperienza, e in particolare<br />

l’esperienza di sé come soggetto consistente,<br />

non si costituisce se non come eco,<br />

risonanza, controchoc di un’occasione che,<br />

persa nel reale, viene messa in forma nelle


“reti di segni”. E’ la voce dell’altro che mi<br />

fa “me”, che apre in me un luogo in cui<br />

possa “consistere” (e non riconoscermi).<br />

Tutto il lavoro all’opera nell’autobiografia<br />

è il tentativo di circoscrivere con i segni<br />

l’emergenza di quel luogo dove il soggetto<br />

ha risuonato per la prima volta come Me.<br />

Hersant, dal canto suo, ha rivendicato la<br />

relazione privilegiata fra ritratto e autorità<br />

piuttosto che fra ritratto e espressione. In<br />

altri termini, il ritratto (pittorico e/o letterario)<br />

metterebbe in forma non tanto una<br />

rappresentazione del volto “naturale”, portandone<br />

in superficie gli “autentici” tratti,<br />

quanto allestirebbe un congenio, una “mac-<br />

“posare”.<br />

Intervista L’allegoria: storicamente trae la sua forza<br />

a:<br />

dalla religione e dalla retorica e si impone<br />

Yves Hersant tanto più queste sono vigorose. Geograficamente,<br />

estende il suo Impero su tutta Europa,<br />

ma più nei paesi cattolici che a Nord. Culturalmente<br />

struttura tutte le rappresentazioni<br />

immaginabili, iconique o verbali, decorative<br />

o persuasive, con fini sia morali che cognitivi,<br />

politici e religiosi. Tecnica intellettuale<br />

al servizio della vertià, quanto tecnica emotiva facendo presa sugli<br />

affetti e le passioni, l’allegoria tende sempre a convertire, insegnare<br />

o convincere. Sotto spoglie umili o raffinate, la nostra cultura le<br />

assegna un ruolo eminentemente didattico: non perché semplifica bensì<br />

perché “intriga”; mettendo in opera una pedagogia del segreto,<br />

l’allegoria fa presentire dei misteri. (Yves Hersant)<br />

D: Lei si definerebbe un intellettuale o un homme de<br />

lettres, i cui molteplici interessi aperti a raggiera sull’attività<br />

retorico-letteraria, sulle modalità di rappresentazione<br />

artistica dell’uomo rinascimentale, sulla storia<br />

della traduzione in Europa, e ancora sull’allegoria,<br />

punterebbero a un ideale di completezza e organicità<br />

culturale?<br />

R: No di certo. Intellettuale è una parola “anacronistica”.<br />

E’ una parola restrittiva e perfino arrogante: cara forse ai<br />

“tuttologi” e forse agli ideologi ma l’intervento ideologico<br />

va bene solo come cittadino. Anche la figura dell’<br />

“homme de lettres” è riduttiva. Sono figure, direi, nostalgiche.<br />

Preferisco avere come riferimento privilegiato la<br />

cultura rinascimentale dove più che un ideale di organicità<br />

e di totalizzazione si tendeva a non porre cesure<br />

profonde e arbitrarie fa le scienze e le arti, le pratiche e le<br />

riflessioni teoriche. Il pensiero circolava liberamente fra<br />

le discipline e sulle strade di Europa. Certo è evidente che<br />

nella storia moderna si è prodotta una rottura tale che<br />

nessuno oggi può prendersi per Pico della Mirandola. In<br />

particolare nelle scienze esatte, dove la specializzazione<br />

è la parola d’ordine.<br />

D: Le rincresce di aver sbagliato epoca?<br />

R: No. Ma da un decennio almeno nel campo delle<br />

scienze umane si parla di un possibile neo-Rinascimento,<br />

o, per meglio dire, vi è un’attenzione crescente<br />

verso alcuni temi centrali del Rinascimento. Due sono<br />

le spinte principali: la prima è un rifiuto deciso del<br />

ghetto disciplinare e dell’ipertrofia della specializza-<br />

INTERVISTA<br />

chinazione” in grado di dare autorità, cioè<br />

di costituire un “autore”. In particolare si è<br />

soffermato sui rapporti fra scrittura e melanconia<br />

per far toccare con mano come<br />

l’autore (anche come l’autore di sé) si costituisca<br />

solo a partire da montaggi, “collages”<br />

di immagini altrui e attraverso l’altrui.<br />

Altri è sia la tradizione letteraria di referenza,<br />

la propria “biblioteca”, sia la scrittura<br />

che costruisce, nel suo discorrere, nel corpo<br />

di un libro il corpo di un autore... E’<br />

impossibile nominare se stessi se non passando<br />

per “travestimenti” successivi, impensabile<br />

consistere in un volto se non a<br />

partire dai mille ritratti possibili che siamo<br />

17<br />

stati e che saremo: a partire, anche, da tutti<br />

coloro a cui abbiamo “rubato” un’immagine,<br />

ricalcato un’impronta, per dimenticare<br />

in fretta loro, per costruire, con calma, noi.<br />

“Ritratti d’autore”, dunque, dove autore<br />

non è sinonimo d’artista, bensì di attore/<br />

agente implicato nella “fabbricazione” artificiosa<br />

della propria immagine “naturale”.<br />

Bizzarra “morale” del ritratto; morale,<br />

ben inteso, par provision: l’elaborazione<br />

dell’artificio verrebbe a “coincidere”, per<br />

coincidentia oppositorum, con l’esibizione<br />

di un naturale mai esistito, ragion per cui<br />

l’acuto Diderot rifiutava l’eventualità di<br />

zione; la seconda riannoda le fila della modernità<br />

all’ideale di una “nuova alleanza” fra domini differenti<br />

delle scienze.<br />

D: Ma questa “nuova alleanza” fra i domini del sapere<br />

parrebbe dipendere da una visione unitaria del cosmo...<br />

R: Per fugare ogni malinteso Le darò una risposta bruniana.<br />

Il cosmo non va pensato come una sfera: il cerchio,<br />

durante il Rinascimento, si è aperto all’infinità dei mondi.<br />

In Bruno non c’è solo la formulazione dell’infinità dei<br />

mondi come teoria cosmologica, bensì viene proposta<br />

una nuova visione dell’uomo: in una parola, il rapporto<br />

all’infinito va di pari passo con gli “eroici furori”, con<br />

l’elevazione e l’affermazione del sé. E’ un rapporto che<br />

decentra il mero io, ma che al contempo implica un’espansione<br />

autentica del soggetto, a condizione che sappia<br />

“attirare” a sé l’infinità del tutto. In questa prospettiva, è<br />

una logica dell'infinito che illuminerebbe la storia umana...<br />

Per contro, l’Umanesimo è stato da noi moderni<br />

spesso banalizzato e ci siamo abituati a pensare le contraddizioni<br />

in modo dialettico e per esclusioni: o è A o è<br />

B. La forza teorica del Rinascimento (e bisognerebbe per<br />

questo ristudiare seriamente Cusano, Bruno...) risiede<br />

nel tentativo di pensare insieme il problema del semplice<br />

e del composto, dell’uno e del molteplice senza portare<br />

soluzioni concettuali, dialettiche, mediatrici. E’ una cultura<br />

tesa al pensiero del cosmo nei termini di e... e, e non<br />

di o... o.<br />

D: Lei sta curando la traduzione francese delle opere di<br />

Giordano Bruno e lei stesso è traduttore non solo di<br />

Bruno, ma anche di numerosi autori antichi e moderni,<br />

fra l’altro anche di scrittori contemporanei italiani come<br />

Camon. Da dove ha origine quest’attività?<br />

R: La traduzione ha a che fare con due grandi problematiche,<br />

l’alterità e la molteplicità, affrontate non solo in<br />

termini astratti e teorici, ma anche nella “fatica” quotidiana<br />

della pratica e del mestiere. La traduzione è un lavoro<br />

complesso, che esula al contempo sia dalla mera imitazione,<br />

sia dal trasformismo, dal travestimento: al contrario,<br />

è cruciale la questione che s’interroga sul fatto se<br />

un traduttore sia a sua volta un autore, il che rinvia al<br />

rapporto fra identità e alterità, medesimo e estraneo/<br />

straniero. Ancora una volta, ritengo molto interessan-


te la visione bruniana della traduzione. Premetto che<br />

si tratta di un pensiero molto difficile da ricostruire<br />

seguendone le tracce nei suoi scritti, così eterogenei<br />

per lingua (italiana o latina) e per argomenti. In ogni<br />

caso due punti mi paiono accertati: da un lato, per<br />

Bruno esiste un rapporto molto perspicuo fra cosmologia<br />

e traduzione, dall’altro, la traduzione richiede<br />

un lavoro inventivo non solo imitativo. La traduzione<br />

implica dunque un particolare rapporto con il mondo:<br />

in una formula si potrebbe dire, con Bruno, che poiché<br />

il mondo è in perpetuo movimento, la traduzione deve<br />

tradurre il cosmo infinito nella dimensione di una<br />

pagina: deve coglierne gli<br />

intrecci, gli intrichi per<br />

meglio dire. Non c’è una<br />

equivalenza fra le cose e<br />

le parole per cui il traduttore<br />

non deve mirare a una<br />

precisione formale e a<br />

un’imitazione “pedante”.<br />

Tradurre è ripetere il gioco<br />

del mondo, liberarne il<br />

senso attraverso la sperimentazione:<br />

da un lato,<br />

quindi il traduttore gravita<br />

attorno all’orbita dell’autore<br />

scelto, non ne indossa<br />

semplicemente i<br />

panni, dall’altro, libera la<br />

pagina dall’immobilità e<br />

dalla rigidità stessa del testo.<br />

E’ un movimento di<br />

va e vieni fra medesimo e<br />

altro, una “caccia” se vuole,<br />

che non esclude una certa<br />

violenza.<br />

D: Ma non teme che questa<br />

gravitazione sia dispersiva,<br />

che sia un momento di<br />

disgregazione dell’io?<br />

R: Preferisco questo rischio<br />

a quello della chiusura, della<br />

rigidità: bisognerebbe<br />

esercitarsi a pensare fuori<br />

dalla logica binomica, oppositiva,<br />

in particolare per quello che riguarda le scienze<br />

sociali. Per quanto mi riguarda cerco, nell’avvicinarmi a<br />

temi estremamente “densi” come l’allegoria o la malinconia,<br />

di privilegiare la complessità, i crocevia, le impurità<br />

se vuole. Il fascino esercitato da autori come Bruno<br />

è dato dalla loro capacità di tirarsi fuori dai binomi<br />

oppositivi, di dare forma al molteplice senza perdere di<br />

vista un punto unitario. Gravitazione dispersiva? Questo<br />

è possibile solo se ci si ostina a pensare a un universo di<br />

senso nei termini di chiusura con un centro ben preciso.<br />

In realtà gli autori del Rinascimento c’ invitano a pensare<br />

a un mondo con più centri, senza una gerarchia prestabilita,<br />

a più orbite, ciascuna delle quali importante e significativa<br />

di per sé. Significa anche fra l’altro prestare<br />

INTERVISTA<br />

Giorgione, La vecchia, Galleria dell’Accademia, Vene-<br />

18<br />

un’attenzione tutta particolare ai dettagli, ai particolari,<br />

sia nel campo delle ricerche storiche, che artistiche. Di<br />

formazione sono un letterato e nel corso degli anni mi<br />

sono sempre di più convinto che i romanzieri hanno<br />

molto da dire sui problemi delle scienze umane. Ai miei<br />

tempi, negli anni ’60, per chi studiava si presentava<br />

questa frattura: da un lato le Belles lettres, dall’altro le<br />

cose serie. In realtà la letteratura, pensi alla concezione<br />

del romanzo di Kundera, ha dato un movimento particolare<br />

alle scienze umane.<br />

D: Ma quale metodo adottare se si privilegiano gli<br />

intrichi, i dettagli?<br />

R: Le potrei dire che il metodo<br />

è “il cammino una<br />

volta che è stato percorso”:<br />

viene après coup. Il mio<br />

fine nella ricerca non è tanto<br />

trovare un metodo quanto<br />

colpire un bersaglio, ossia<br />

fare centro, colpire al<br />

cuore. Lo pseudo Aristotele<br />

scriveva che il «buon arciere<br />

è quello che tira da<br />

lontano»: è una bella metafora<br />

per esprimere il lavoro<br />

della ricerca. Ogni tema<br />

implica più aspetti e variabili,<br />

così che per mirare giusto<br />

occorre porsi a distanza,<br />

aguzzare la vista, scorgere<br />

da lontano anche altri<br />

arcieri, lo storico, il semiologo<br />

per esempio: darsi più<br />

possibilità nella misura in<br />

cui si gode di più punti di<br />

vista. Chi sta troppo vicino<br />

non ha che una possibilità.<br />

D: Ed è così che si svolgono<br />

i suoi seminari sulla<br />

“Storia e critica dell’Umanesimo”,<br />

in particolare<br />

negli due ultimi anni dedicati<br />

all’esame delle teorie<br />

e delle pratiche del ritratto<br />

(pitturale e letterario) nell’Europa del XV e del XVI?<br />

R: Spero. Il seminario sul ritratto è stato motivato dal<br />

tentativo di cogliere, da più punti di vista, (pittorico,<br />

retorico, letterario, filosofico) come l’uomo rinascimentale<br />

concepisse e mettesse in opera nella pratica artistica<br />

la rappresentazione di sé, la propria umanità. Abbiamo<br />

così toccato con mano l’efficacia della mira da lontano,<br />

cogliendo così volta per volta le priorità, le poste in gioco,<br />

le difficoltà teoriche e tecniche dell’autorappresentazione<br />

in ritratti individuali, collettivi, in ritratti fisiognomici<br />

e di carattere, in ritratti di dettagli, negli autoritratti...<br />

Quest’apertura a compasso sul tema del ritratto si è<br />

rivelata estremamente perspicua, in particolare ha evi-


denziato quel rapporto non dialettico e non oppositivo, di<br />

cui Le dicevo, fra uno e molteplice, semplice e complesso,<br />

medesimo e altro, quale cifra possibile di un certo<br />

pensiero e “stile” rinascimentali. Rappresentare l’uomo<br />

significa esibirne l’intima alterità, il suo essere diviso fra<br />

bestialità e divinità. L’uomo porta in sé una dualità<br />

costitutiva e questa è uno dei luoghi comuni dell’artista<br />

rinascimentale, che per definizione è malinconico, sente<br />

lavorare dentro sé un altro: eppure, con il proprio lavoro<br />

creativo, misura e dà forma a questa sofferenza. Ecco<br />

un’altra obiezione all’intellettuale: non c’è solo l’intelletto,<br />

ma anche la psiche, il cuore, l’esprit e il ventre.<br />

D: Anche qui c’è il rischio di una disgregazione fra poli<br />

diversi e anche una mancanza di coerenza, di “fedeltà”<br />

a se stesso da parte del soggetto...<br />

R: Uno dei problemi più affascinanti della cultura rinascimentale<br />

è quello dell’auctoritas, in particolare nella<br />

retorica. In una formula, potrei dire che sono un antiromantico:<br />

non è l’espressione, l’espressività che occupa i<br />

miei interessi. Piuttosto è il problema dell’autore, del<br />

riconoscimento e dell’autoriconoscimento di un autore<br />

nonostante e grazie al decentramento, alla “spezzatura”<br />

dell’io. Non basta, in letteratura, distinguere fra narratore<br />

e autore e fare intervenire l’istanza di enunciazione, se<br />

poi ogni polo si richiude su di sé. Autori come Tasso,<br />

Bruno, sanno intrecciare queste istanze senza chiusure.<br />

La coerenza con se stesso, allora, può essere indice di<br />

ottusità: la “fedeltà” perseguita come un valore rigido<br />

può avere qualcosa d’immorale poiché è la negazione<br />

della costitutiva alterità ospitata dall’individuo, della sua<br />

non coincidenza con sé stesso in ogni istante. Fra la<br />

coerenza come costanza, immobilità, e la disgregazione<br />

non passa un’alternativa, ma una strada, per quanto<br />

stretta, su cui a ogni passo questo problema si ripropone.<br />

D: Un po' “lunatica”...<br />

R: In tristitia hilaris, in hilaritate<br />

tristis”...<br />

Yves Hersant è direttore di ricerca all’Ecole<br />

des Hautes Etudes nel quadro di un<br />

progetto dedicato alla storia e alla critica<br />

della cultura rinascimentale. L’originalità<br />

del suo approccio consiste nel non irrigidirsi<br />

sulle differenze dei generi letterari e<br />

artistici, bensì di studiare di concerto lo<br />

Intervista<br />

a:<br />

Louis Marin<br />

la follia di Ippocrate, La cena delle ceneri<br />

e Il Candelaio di Giordano Bruno, Lezioni<br />

americane di Italo Calvino, Stanze di Giorgio<br />

Agamben, e numerosi romanzi di Ferdinando<br />

Camon.<br />

Ciò che viene chiamato nell’età moderna<br />

“rappresentazione” può essere considerato<br />

come lutto dell’oggetto, del presente e del<br />

reale. In questo senso, ogni rappresentazione<br />

può considerarsi malinconica. Il soggetto mai si consolerà della<br />

perdita del reale, della disappropriazione del mondo. . . La rappre-<br />

INTERVISTA<br />

studio della rappresentazione e il suo significato<br />

nel Rinascimento. La radice comune<br />

infatti di pittura, scultura, scrittura<br />

sarebbe per Hersant da ricercare nella tradizione<br />

retorica.<br />

In questo senso Hersant dirige con altri una<br />

collana, presso le edizione Belles Lettres di<br />

Parigi, dal titolo: “Le corps éloquent”, che<br />

si occupa di tradurre e pubblicare dei testi<br />

brevi, ma preziosi, in cui la relazione per-<br />

19<br />

D: E’ questa non fedeltà con sé stesso, quest’alterità<br />

intima che la “seduce”? Mi riferisco al fatto che Lei sta<br />

preparando per le edizioni Fayard un libro dal titolo: La<br />

séduction mélancolique, e con Jackie Pigeaud un testo<br />

sulla storia del concetto della malinconia fino a Freud,<br />

escluso.<br />

R: Sì. In primo luogo la malinconia è il luogo di quest’alterità<br />

intima: il malinconico, soprattutto il genio artistico,<br />

soffrendo si scopre diverso, ingaggia una lotta con sé,<br />

anima e corpo direi, spiando nella propria carne il lato<br />

animale, vegetale non animato, in una parola. Ma se da un<br />

lato la malinconia è paralisi, chiusura, non riconoscimento,<br />

dall’altro è strettamente intrecciata al piano culturale;<br />

è per così dire l’accesso privilegiato alla creatività culturale.<br />

Uno dei problemi centrali della malinconia è relativo<br />

al rapporto fra sofferenza e cultura: come mai la<br />

malinconia che può essere anche un minus, poiché l’uomo<br />

malinconico si rivela bestiale, duplice, irretito dagli<br />

“umori”, è anche “culturizzante”? La malinconia è questo<br />

mélange fra determinazioni fisiologiche, umorali e<br />

psicologiche (in senso lato), e non un’ispirazione divina<br />

che spinge a divenire altro da sé per folgorazioni, scatti<br />

violenti, momenti di discontinuità e ad accedere alla<br />

creazione artistica. Ma la malinconia al lavoro non ha a<br />

che fare con il lavoro del lutto freudiano: si tratta di un<br />

particolare rapporto fra corpo e anima, fra sé e mondo,<br />

che non mira a ricomporre le fratture o a convivere con gli<br />

scacchi dell’esistenza. Al contrario, si nutre delle ambivalenze,<br />

gioca sugli e con gli eccessi; può essere, paradossalmente,<br />

coincidenza degli opposti e mettere così<br />

insieme senza dialettizzarli il lato bestiale e il lato divino<br />

dell’uomo, le luci e le ombre. Per questo la malinconia<br />

“seduce” e può essere pericolosa per chi ne viene a<br />

contatto, perché è mille miglia lontana dalla mediocritas.<br />

E’ alterità e identità, unica e molteplice...<br />

spicua fra figura e discorso è tematizzata<br />

esplicitamente (fra gli autori di questa collana:<br />

Luciano, Gorgia, Amyot, De Vega,<br />

Tesauro, Tasso). Sempre per le edizioni<br />

Belles lettres, sta curando l’edizione completa<br />

delle opere di Giordano Bruno. Direttore<br />

del “Centre Europe” si occupa fra altro<br />

di un seminario sulla storia della traduzione:<br />

traduttore a sua volta dal greco, dal<br />

latino, dall’italiano e dall’inglese (tra le sue<br />

traduzioni ricordiamo, fra altro: Sul riso e<br />

sentazione rigiocherà indefinitivamente, nelle immagini, nei ritratti,<br />

nei racconti la fine di questa perdita. (Louis Marin)<br />

D: Qual è il filo rosso che lega la molteplicità dei suoi<br />

interessi?<br />

R: Quando divenni direttore di ricerca nel 1977, il mio<br />

progetto riguardava il sistema, o meglio i sistemi rappresentativi<br />

nell’epoca moderna. La rappresentazione è al<br />

centro del mio lavoro; in primo luogo perché è la cifra, la<br />

nozione chiave dell’epoca moderna, non modernista, ben


inteso. Le questioni cruciali del XVII secolo, la filosofia<br />

del soggetto, il rapporto fra imitazione e rappresentazione,<br />

l’attività di giudizio, sono state messe in opera dagli<br />

artisti, prima che dai filosofi. E così le opere artistiche, sia<br />

letterarie, sia pittoriche, architettoniche... hanno preceduto<br />

le formule filosofiche. Certo i sistemi di rappresentazione,<br />

pittorica, letteraria ecc. non sono stati sincronici<br />

per ispirazione, mezzi, contenuti, e questo spiega la<br />

“polivalenza” dei sistemi rappresentativi e anche dei miei<br />

interessi di ricerca. Per esempio il problema della rappresentazione<br />

è cruciale nel XVII-XVIII secolo anche nel<br />

dominio del politico: l’efficacia del potere è connessa<br />

anche alla sua teatralizzazione<br />

e alla messa in scena<br />

di questo potere. In questo<br />

senso è particolarmente intrigante<br />

il rapporto fra potere<br />

e rappresentazione nel<br />

caso del ritratto del re: storiografia,<br />

ritratti ufficiali,<br />

discorso, elogio del re...,<br />

tutto ciò concorre alla messa<br />

in scena del potere regale<br />

grazie alla forza della<br />

rappresentazione.<br />

D: Ma questa nozione di<br />

rappresentazione, e la costellazione<br />

che comporta<br />

volta per volta a livello storico<br />

e culturale, non manca<br />

forse di una dimensione<br />

critica?<br />

R: Di primo acchito il mio<br />

lavoro parrebbe sprovvisto<br />

di una dimensione critica.<br />

Certo non mi pongo rispetto<br />

a un problema artisticoculturale<br />

della modernità<br />

come un giudice o un arbitro.<br />

Non mi pongo dal di<br />

fuori, dall’esterno. Ma questo<br />

non significa non avvalersi<br />

di un punto di vista<br />

critico. Al contrario, ritengo<br />

che ogni sistema di rappresentazione<br />

implichi nel proprio funzionamento la<br />

propria messa in questione, comportando un’interrogazione<br />

costitutiva e una critica interna sui propri assunti,<br />

mezzi, contenuti: nessun sistema è perfetto; comporta<br />

anzi dei punti deboli, qualcosa anche di “mancato” che<br />

non è riducibile alla semplice accidentalità o alla anedottica.<br />

La costruzione di un dispositivo implica la propria<br />

decostruzione, la messa in dubbio, l’esercizio dell’interrogazione,<br />

la ricerca delle sfumature e delle falle... Questo<br />

vacillare, ondeggiare di ogni sistema richiede uno<br />

sguardo archeologico: in primo piano si pone la dimensione<br />

deconstruttiva dell’impianto della rappresentazione.<br />

Pensi alla riflessione di Pascal riguardo alla logica di<br />

Port Royal: la sua è una critica dall’interno, uno smantel-<br />

INTERVISTA<br />

Albrecht Dürer, San Gerolamo, Museo di Arte Antica,<br />

20<br />

lamento raffinato dei dispositivi di pensiero, in particolare<br />

dell’Eucarestia. La sua non è una critica, per così dire,<br />

dell’ideologia, quanto una critica di secondo grado della<br />

rappresentazione. In una formula: la filosofia della rappresentazione<br />

comporta ed è la critica di se stessa. Riprendendo<br />

un certo lascito foucaultiano direi che il mio<br />

lavoro di ricerca si avvale anche di una prospettiva critica<br />

ed è volto allo studio di un’epistéme della rappresentazione.<br />

D: Ma questo stile di ricerca volto alla costruzionedecostruzione<br />

di dispositivi di rappresentazione così<br />

differenti fra loro, a seconda<br />

delle epoche e dei mezzi,<br />

pittorici, letterari ecc., implica<br />

forse un lavoro “micrologico”,<br />

un’attenzione<br />

tutta particolare ai dettagli<br />

che potrebbe forse tralasciare<br />

una visione più globale?<br />

Un lavoro, insomma,<br />

di pura “erudizione”...<br />

R: E’ forse curioso e paradossale,<br />

ma per dare forza<br />

a una critica storico-sociale<br />

della rappresentazione<br />

da un punto di vista<br />

esterno, bisogna a mio<br />

avviso esercitarsi a fondo<br />

in una critica della sua logica<br />

immanente. Si è spesso<br />

rimproverato agli strutturalisti<br />

di trascurare<br />

l’esteriorità, il contesto,<br />

il quadro storico, ma io<br />

credo che entrando nel<br />

cuore dei problemi, per<br />

un approccio ravvicinato,<br />

microscopico, si debba ridisegnarne<br />

il profilo storico,<br />

contestualizzarli. La<br />

sola analisi della ricezione<br />

non è sufficiente.<br />

D: A proposito di strutturalismo,<br />

vorrei chiederle<br />

come è avvenuto il suo ingresso all’Ecole Hautes Etudes,<br />

nata in opposizione agli studi accademici di filosofia, di<br />

letteratura.<br />

R: La mia formazione è filosofica e... direi agregé e<br />

normalien. La tesi di dottorato riguardava la logica di<br />

Port Royal. Per ragioni biografiche e esigenze intellettuali<br />

mi sono interessato al pensiero di Merleau-Ponty, in<br />

particolare alla sua riflessione sulle strutture di comportamento<br />

corporali. Con Greimas abbiamo intravisto poi<br />

di sviluppare una semantica strutturale a partire appunto<br />

dal comportamento. Ha preso così forma un progetto<br />

volto ad articolare una ricerca filosofica a partire da una<br />

formazione, all’epoca ancora pionieristica, linguistica e


semantica. L’interesse allora per le scienze sociali, e<br />

in particolare per la rappresentazione “visiva” artistica,<br />

è venuto direi naturalmente. Con Barthes ho lavorato<br />

in seguito sul racconto evangelico e sulla semantica<br />

delle passioni. Questo incrocio fecondo di approcci,<br />

filosofico e semiologico, ancorato al piano<br />

storico è un po' la cifra delle ricerche all’Ecole che<br />

privilegiano l’interdisciplinarietà, le transizioni e le<br />

passerelle fra i domini storici, artistici, semiologici,<br />

filosofici: la filosofia stessa si definisce in un rapporto<br />

complesso con le scienze sociali, la letteratura, la<br />

storia dell’arte.<br />

D: Cosa può trovare uno studente, un ricercatore nella<br />

comunità scientifica dell’Ecole?<br />

R: Un certo piacere nella ricerca, una certa creatività.<br />

Infatti l’oggetto della ricerca da parte degli studenti e dei<br />

ricercatori è spesso costruito e non trovato nel repertorio<br />

dei soggetti classici. Si costruisce un oggetto a partire da<br />

intuizioni, ipotesi spesso di confine tra domini differenti,<br />

sollecitate da interrogativi incrociati sulla storia dell’arte,<br />

sulla rappresentazione, sulle poste in gioco teoricofilosofiche.<br />

In più, si privilegia lo scambio, il dialogo in<br />

piccoli gruppi di ricerca, in seminari: io stesso con i miei<br />

studenti di dottorato mi considero semplicemente un<br />

unus inter pares.<br />

D: Vorrei porLe qualche domanda sui temi a cui ha dedicato<br />

una particolare attenzione. L’utopia per esempio...<br />

R: Il tema dell’utopia mi è particolarmente caro. Nel<br />

quadro di una storia della rappresentazione offre una<br />

complessità molto significativa. Da un lato l’utopia è un<br />

ritratto, una topografia per quanto immaginaria: Lei sa<br />

infatti che nel XVII secolo la mappa di una città si<br />

chiamava “ritratto” e questo nesso fra mappa, tratti e<br />

ritratto mi pare molto perspicuo nel campo della rappresentazione<br />

come attività spirituale, artistica, tecnica...<br />

D’altro lato, nel transfert dell’utopia immaginaria alcuni<br />

tratti cadono, vengono tralasciati, così che la “realtà” si<br />

trova spiazzata, posta su un altro piano, su un secondo<br />

grado di rappresentazione. Nel caso dell’utopia, penso al<br />

testo principe, l’ Utopia di More, la mappa-ritratto che fa<br />

vedere il “luogo” è senza luogo, è una finzione, un<br />

façonnement e un modelage del luogo e dello spazio.<br />

L’utopia è un ritratto mobile, un prodotto attivo proprio<br />

per la sua messa in forma paradossale di realtà e di<br />

finzione nel cuore della medesima rappresentazione. E’<br />

un vulcano in attività.<br />

D: A proposito della mappa-ritratto dell’utopia senza<br />

luogo, Lei pensa all’utopia come il ritratto possibile di<br />

una promessa di felicità? Potrebbe essere anche una<br />

falsa promessa, un’illusione...<br />

R: La finzione utopica non è solo un ritratto bensì il<br />

ritratto di una realtà virtuale. Non si tratta di una semplice<br />

proiezione o di evasione: riprendendo la nozione di<br />

utopia di Bloch, in particolare quella contenuta in Tracce,<br />

direi che l’utopia si presenta, per tracce, come attesa, e<br />

INTERVISTA<br />

21<br />

anticipazione al contempo, di una realtà virtuale a venire.<br />

Questo virtuale è in ogni caso il possibile, la latenza e la<br />

forza che giacciono in potenza nella società presente. La<br />

promessa di felicità risiede nella finzione, non nella<br />

rappresentazione tout court: nella messa in gioco dello<br />

spazio utopico, che è un non luogo, nelle tracce paradossali<br />

della speranza.<br />

D: Nella prospettiva della ricerca sul ritratto e sulla<br />

rappresentazione, l’autoritratto così come l’autobiografia<br />

costituiscono un tema privilegiato e ricco d’insidie...<br />

R: E’ uno dei miei interessi principali: nell’autoritratto<br />

c’è qualcosa di vertiginoso, poiché esso costituisce<br />

il culmine del funzionamento della rappresentazione:<br />

qui è il soggetto della presentazione che si autorappresenta.<br />

Il movimento riflessivo raggiunge il suo punto<br />

di maggior tensione: si ha come un tourniquet, nel<br />

senso che il dispositivo di rappresentazione può perfino<br />

incepparsi. L’autoritratto implica il problema del<br />

soggetto dell’enunciazione; nell’autobiografia le pratiche<br />

di scrittura istituiscono spesso un soggetto simulacro<br />

dell’enunciazione, che non può mai apparire<br />

come soggetto d’enunciato. Il problema è come scrivere<br />

la propria autobiografia, come trasformare l’io in<br />

oggetto rappresentato. Ecco allora intervenire la scrittura<br />

come “macchinazione”, che permette di captare,<br />

intercettare il soggetto dell’enunciazione come tale. Pensi<br />

per esempio a Sant’Agostino, alla sua conversione: è<br />

come se, nelle Confessioni, un’altra voce di se stesso<br />

gli permettesse di parlare di sé. Si tratta di una voce<br />

infantile, di un ritornello di altri tempi tolle lege: un<br />

buco, un bianco nel testo, per dire questo altro da sé<br />

che è pur sempre il sé della propria biografia. <strong>Numero</strong>si<br />

sono gli esempi di scrittura autobiografica: Stendhal,<br />

Montaigne..., in cui la nozione chiave è quella<br />

del soggetto dell’enunciazione che nella narrazione,<br />

come sottolineava Benveniste, viene in qualche modo<br />

nascosto, occultato. Così, per il pittore la questione<br />

cruciale è: quale soggetto dipingere? In quale momento<br />

della vita? Ogni autoritratto “negozia” una duplice relazione,<br />

con la propria vita e con la propria morte, da parte<br />

di un soggetto che le enuncia, senza avere il ricordo<br />

dell’inizio, né l’esperienza della fine.<br />

D: Questa distanza fra vita e morte che il soggetto<br />

deve “negoziare” per autorappresentarsi rinvia a un<br />

terzo elemento, mi sembra, fra medesimo e altro, a<br />

un’istanza neutra. Non a caso per esempio in Lectures<br />

traversières non pochi interventi sono dedicati a queste<br />

istanze “neutre”: l’angelo, l’androgino, l’utopico.<br />

Cosa significa quest’attenzione per il “neutro”: è<br />

forse un’istanza polemica rispetto alle filosofie della<br />

rappresentazione dualistiche, binomiche, centrate<br />

sull’opposizione originale-copia?<br />

R: L’attenzione per l’istanza neutra, terza, è per me un<br />

punto di inizio, non un fine in se stesso. E’ la ricerca di un<br />

polo non sintetico, non mediatore che rifiuti ogni pensiero<br />

binario di stile strutturalista centrato sull’opposizione<br />

dei contrari. Il neutro è appunto la negazione simultanea<br />

dei contrari e non la semplice negazione dialettica:


l’androgino è il terzo sesso, che non è un sesso, l’angelo<br />

non è umano, né del tutto divino... In altri termini è la<br />

ricerca di uno spazio attivo, non inerte, in grado di<br />

cogliere la differenza generica, la cifra di un’origine<br />

come fondamento “critico”. In questo momento penso a<br />

Deleuze, a Differenza e ripetizione: qualcosa come un<br />

effondrement, l’apertura di uno scarto. Tutto ciò a condi-<br />

ciazione sarebbe un neutro anonimo,<br />

identificato solo dalla macchinazione<br />

letteraria, o quanto meno artistica?<br />

R: Eh sì! In fin dei conti è il “non” che<br />

identifica. Pascal potrebbe fornire una<br />

risposta. Pensi al suo modo di firmarsi:<br />

Pascal, Damas, Jesus... C’è quasi<br />

un’estenuazione del nome, una struttura<br />

intessuta di ossimori per nominare<br />

il nome dell’altro. Per esempio<br />

Salomone come re saggio e Gesù<br />

come saggio folle, solo che Salomone<br />

ha bisogno della lettera s (jesus),<br />

che è la lettera mancante, il neutro e<br />

l’anonimo. In primo piano balzerebbe<br />

il ritratto anonimo della scrittura.<br />

Louis Marin è scomparso a Parigi il 29<br />

ottobre 1992. Possiamo leggere in molte<br />

sue pagine, suggerisce Jacques Derrida,<br />

«una meditazione - ostinata, infaticabile,<br />

rinnovata - su tutte le figure, esperienze<br />

o approcci riguardanti la morte, il lutto e<br />

la sopravvivenza». Meditazione<br />

incrociata, fin dall’inizio, nella<br />

riflessione al contempo filosofica e<br />

storica sui sistemi di rappresentazione<br />

(filosofici, artistici, retorici, politici)<br />

dell’epoca classica. Forte di un pensiero<br />

diamantino e di una spiccata intuitività,<br />

Marin ha inteso i sistemi di<br />

rappresentazione non nella prospettiva<br />

strette di mani e d’infinita pazienza,<br />

studioso entusiasta, ma ponderato, Louis<br />

Marin ha lasciato un exemplum felice di<br />

pensatore che va dritto al cuore e al<br />

cuore dell’intelligenza. L’ultima pagina<br />

di Lectures traversières riporta, isolata,<br />

una citazione di Pascal che così recita:<br />

«Je n’admire point l’excès d’une vertu,<br />

comme de la valeur, si je n’en vois en<br />

même temps l’excès de la vertu opposée,<br />

comme en Epaminondas, qui avait<br />

l’extrême valeur et l’extrême bénignité.<br />

Car, autrement, ce n’est pas monter, c’est<br />

tomber. On ne montre pas sa grandeur<br />

pour être à une extrêmité, mais bien en<br />

touchant les deux à la fois et remplissant<br />

tout l’entre-deux. Mais peut-être que ce<br />

n’est qu’un soudain mouvement de l’âme<br />

INTERVISTA<br />

esclusiva di una teoria dell’arte o di una<br />

semiotica della rappresentazione, bensì<br />

ha coniugato strumenti semiotici,<br />

duttilità retorica, rigore filosofico, colpo<br />

d’occhio e sensibilità artistica, per<br />

interrogare e cogliere sul fatto le<br />

sovrastratificazioni di senso della<br />

rappresentazione, i “trabo-cchetti” della<br />

narrazione, i “doppi fondi” della pittura,<br />

gli effetti politici dell’im-magine. Potere<br />

seduttivo, a volte ingan-natore,<br />

dell’immagine, come Marin ha<br />

dimostrato nel suo studio Le portrait du<br />

roi (1985), una delle opere più originali<br />

degli ultimi anni. Ma l’immagine e la<br />

pittura (gli amati Poussin, Philippe de la<br />

Champaigne) non devono far dimenticare<br />

i suoi studi incisivi sul linguaggio, a<br />

partire dalla logica di Port Royal (La<br />

logique du discours. Les Pensées de<br />

Pascal et la logique de Port-Royal,<br />

1975).<br />

Attento alle falle e ai complessi<br />

dispositivi dell’enunciazione, Marin si è<br />

a lungo occupato del problema della<br />

”auto-biografia”, in cui più perspicuo è<br />

il nesso fra enunciato e enunciazione.<br />

Qui la rappresentazione mette in opera<br />

una voix excommuniée (La voix<br />

excommuniée. Essai de mémoire, 1983);<br />

la scrittura s’ingegna a restituire l’attimo<br />

sorgivo del proprio sé nella necessaria,<br />

ma imbaraz-zante permanenza dei segni.<br />

Gli studi consacrati alle Confessioni di<br />

Sant’Ago-stino, a Rousseau, a Montaigne<br />

hanno davvero “fatto scuola”.<br />

Bibliografia delle opere in volume<br />

de l’un à l’autre de ces extrêmes, et<br />

qu’elle n’est jamais qu’en un point,<br />

comme le tison de feu. - Soit, mais au<br />

moins cela marque l’agilité de l’âme, si<br />

cela n’en marque l’étendue» (Pensées,<br />

Brunschvicg, 353).<br />

Etudes Sémiologiques.<br />

Ecritures, peintures,<br />

Klincksieck, Parigi 1971<br />

Sémiotique de la passion,<br />

Aubier, Parigi 1972<br />

Le récit évangélique,<br />

Aubier, Parigi 1973<br />

22<br />

zione che il neutro sia pensato come una potenza anche<br />

terrifica di neutralizzazione dei contrari, una forza corros<br />

i v a .<br />

D: Sembrerebbe quasi che l’ultima parola sull’autoritratto<br />

sia l’anonimato: il soggetto autentico dell’enun-<br />

Lo sguardo acuto e penetrante di Marin<br />

si è posato anche sulle dinamiche proprie<br />

allo spazio figurale e pittorico: fra gli<br />

altri, campeggia un testo maggiore,<br />

riferimento obbligato per filosofi e storici<br />

dell’arte: Opacité de la peinture. Essai<br />

sur la représentation au Quattrocento<br />

(1989). Qui il termine “opacità” non<br />

concede nulla all’ineffabilità o a<br />

generiche invisibilità dietro la superficie<br />

dipinta. Al contrario, Marin vuole<br />

dimostrare come con materiale visibile<br />

(figure, colori, disegno ecc.) la pittura<br />

riesca a mettere in opera l’invisibile, le<br />

incertezze inquietanti. Opaca è la natura<br />

del segno, che può essere al contempo<br />

cosa e rappre-sentazione, dando luogo a<br />

traspa-renze offuscate e a presenze<br />

diafane, che lasciano intravvedere come<br />

segno ciò che nascon-dono come cosa.<br />

L’intensa attività culturale, la familiarità<br />

con la scrittura, la forte impronta da lui<br />

lasciata su colleghi, studiosi e allievi, è<br />

dovuta alla sua «intelligenza luminosa e<br />

generosa», come sottolinea Derrida, alla<br />

sua disponibilità «sempre pronta a<br />

comunicare l’entusiasmo della scoperta<br />

e a restituire l’impressione del primo<br />

mattino». La stima condivisa per l’opera<br />

di Marin è motivata, osserva Hubert<br />

Damisch, dal carattere “polimorfo”, ma<br />

rigorosissimo, delle sue ricerche.<br />

Filosofo sofisticato ma cristallino, Marin<br />

era personaggio pubblico estraneo a ogni<br />

eccesso o snobismo. Uomo dalle vigorose<br />

Utopiques, jeux d’espaces,<br />

Minuit, Parigi 1973<br />

La critique du discours.<br />

Etude sur les pensées de Pascal<br />

et la logique du Port-Royal,<br />

Minuit, Parigi 1975<br />

Détruire la peinture,<br />

Galilée, Parigi 1977<br />

Le récit est un piège,<br />

Minuit, Parigi 1978<br />

La voix excommuniée.<br />

Essai de mémoire,<br />

Galilée, Parigi 1983<br />

Le portrait du Roi,


Veracità della conoscenza<br />

LA VÉRACITÉ. ESSAI DE PHILOSOPHIE NÉGATIVE<br />

(La veracità. Saggio di filosofia negativa,<br />

Verdier, Parigi <strong>1993</strong>) recita il titolo<br />

del libro di Guy Lardreau, che raccoglie<br />

in sistema gli elementi sparsi del<br />

suo pensiero.<br />

Con quest’opera Guy Lardreau, che ha<br />

conosciuto la militanza politica nelle file<br />

della sinistra maoista e si è poi isolato in un<br />

silenzio di riflessione e di approfondimento<br />

di alcuni motivi fondamentali del suo<br />

pensiero, ne propone qui una sintesi libera<br />

da «qualsiasi preoccupazione apologetica,<br />

da alcun obbligo di marcare una continuità».<br />

Nessuna nota, nessun apparato critico<br />

supporta il testo di Lardreau, che della sua<br />

concezione rivendica un carattere non dimostrativo,<br />

ma “sinfonico”, dove gli autori<br />

classici della filosofia sono convocati -<br />

così afferma l’autore - «non per essere<br />

chiariti, ma soltanto nel momento in cui mi<br />

fanno luce».<br />

La critica della conoscenza, che l’autore<br />

propone opponendo il concetto di veracità<br />

a quello - più ontologicamente marcato - di<br />

verità, segnala un impianto filosofico kantiano,<br />

evidente nella tripartizione dei capitoli<br />

dell’opera, che trattano rispettivamente<br />

dell’attività teoretica, pratica (morale e<br />

politica) e poetica. A dare unità a queste<br />

diverse caratterizzazioni dell’agire è il soggetto,<br />

cui spetta un ruolo costitutivo: «A<br />

questo titolo - sostiene l’autore - la filosofia<br />

proposta accetterebbe volentieri (...) d’essere<br />

considerata una filosofia della spontaneità».<br />

In questa prospettiva viene ripresa<br />

l’analisi lacaniana del discorso razionale in<br />

funzione del nodo costituito dal Reale, dal<br />

Simbolico e dall’Immaginario. La caratterizzazione<br />

“negativa” della filosofia risiederebbe<br />

nell’assunzione razionale dei limiti<br />

della razionalità e nella consapevolezza<br />

che il Reale non è la realtà.<br />

Lontano dalle illusioni di un sapere che<br />

progredisce verso la conoscenza ultima,<br />

come pure da vie di fuga già vanamente<br />

battute: le strade della rivelazione mistica o<br />

dell’indifferenza del relativismo, Lardreau<br />

sostiene il carattere di verità razionale della<br />

filosofia negativa, dal momento «che la Ragione<br />

esige nientedimeno che il prendere su<br />

AUTORI E IDEE<br />

AUTORI E IDEE<br />

di sé la propria negazione». Una negatività<br />

che ha una dimensione ad un tempo esistenziale<br />

e ontologica; gli uomini infatti, davanti<br />

all’esistenza, provano qualcosa «come l’effetto<br />

di una caduta, che non ha soltanto<br />

“avuto luogo”, ma che dura; caduta continua,<br />

(...) che certo non è altro che la loro<br />

maniera di accedere al tempo». Appartiene<br />

dunque all’uomo un sentimento nostalgico,<br />

eminentemente negativo, che - come<br />

vuole Lardreau - esprime il modo attraverso<br />

il quale «l’anima tiene al reale». E.N.<br />

I luoghi della memoria<br />

Ultimo tomo di un considerevole lavoro<br />

storico-enciclopedico, LES LIEUX<br />

DE LA MÉMOIRE (I luoghi della memoria),<br />

diretto da Pierre Nora, è stato da poco<br />

pubblicato in tre volumi LES FRANCE. I:<br />

CONFLITS ET PARTAGES; II: TRADITIONS; III: DE<br />

L’ARCHIVE À L’EMBLÈME (Le Francie. I:<br />

Conflitti e divisioni; II: Tradizioni; III:<br />

Dall’archivio all’emblema, Gallimard,<br />

Paris <strong>1993</strong>). Questo progetto colossale<br />

(ogni volume consta di un migliaio<br />

di pagine), nato nel 1984, si caratterizza<br />

per un particolare modo di scrivere<br />

e di elaborare la storia a partire non<br />

dai “fatti” bensì dalle “rappresentazioni”<br />

collettive, “luoghi della memoria”<br />

come monumenti, celebrazioni,<br />

emblemi, folklore, culinaria, che nel<br />

loro insieme costituirebbero un’autentica<br />

“identità” nazionale.<br />

Pierre Nora è l’iniziatore e il direttore di<br />

questo monumentale progetto. Ben inteso:<br />

“monumentale” in senso letterale, visto<br />

che si tratta di un’impresa mirante a reperire<br />

i punti di cristallizzazione della memoria<br />

nazionale francese, in primo luogo i monumenti,<br />

o per meglio dire la memoria fissatasi<br />

in “monumento”: Panthéon, piazze<br />

celebrative, archi, piramidi, centri culturali;<br />

ma anche, feste, emblemi, specialità<br />

gastronimiche, costumi sociali...<br />

Il primo volume, Conflits et partages, porta<br />

non tanto sull’unità nazionale, quanto<br />

sui conflitti e sulle divisioni della memoria<br />

nazionale. La storia francese pare così rias-<br />

23<br />

sumersi attraverso coppie antagoniste, ma<br />

inseparabili: franchi e galli, cattolici e laici,<br />

cattolici e ugonotti, “gaullistes” e comunisti,<br />

metropolitani (o meglio: parigini) e non<br />

metropolitani (la “France profonde”). Il<br />

secondo volume, Traditions, tratta delle<br />

“tradizioni”. Tradizione - afferma Nora - è<br />

«una memoria divenuta storicamente cosciente<br />

di sé». In questo modo si declina<br />

una Francia ancorata alle proprie tradizioni<br />

locali, presa fra una memoria a volte obsoleta<br />

e il tentativo di rivitalizzare le proprie<br />

radici. Il terzo volume, De l’archive à l’emblème,<br />

parrebbe una “duplicazione” interna<br />

alla problematica della memoria: archivi<br />

e emblemi. Se il primo termine porta<br />

soprattutto sui luoghi più “discreti” della<br />

memoria nazionale (registri notarili, archivi<br />

amministrativi...), il secondo è centrato<br />

sulla memoria “simbolica”, sugli “hauts<br />

lieux”: personaggi, bandiere, emblemi,<br />

monumenti che rappresentano la “mitologia<br />

nazionale”. Conclude il volume la riflessione<br />

sul “genio” della lingua francese,<br />

sicuramente il luogo della memoria più<br />

consensuale.<br />

Una serie nutrita di incontri e dibattiti di<br />

ogni genere hanno registrato un vivo interesse<br />

per quest’archiviazione monumentale<br />

della memoria nazionale, ma anche ne<br />

hanno sottolineato i punti critici. Molto<br />

critica nei confronti di quest’opera è stata la<br />

storica Arlette Farge, la quale ha qualificato<br />

il metodo storico usato per questi<br />

Lieux come “imperialista”: esso costringerebbe<br />

lo storico a curvarsi sul nazionale<br />

(nazionalistico?), cristallizzandosi nell’autocelebrazione<br />

(pericolosissima) del passato.<br />

Anche a Georges Duby questo ripiegamento<br />

su di sé, che esclude lo sguardo di<br />

altre memorie (gli stranieri in e fuori dalla<br />

Francia; l’analisi comparitivistica fra memorie<br />

di diversi paesi, fra l’Europa e l’Oriente<br />

ecc...) non è affatto apparso un segno di<br />

buona salute.<br />

A queste accuse Pierre Nora si difende<br />

sostenendo che questo sguardo mnestico è<br />

un atto di modestia, connesso a un forte<br />

senso del “presente”. La storia tradizionale<br />

infatti, volta a cogliere quanto del passato<br />

potesse essere utile all’avvenire (sotto forma<br />

di: restaurazione, progresso, rivoluzione)<br />

è obsoleta, poiché il futuro stesso pare<br />

sempre vecchio e mai prossimo. F.M.Z.


L’ultimo francofortese<br />

All’età di novantadue anni, è scomparso<br />

il 21 gennaio <strong>1993</strong> Leo Löwenthal.<br />

<strong>Studi</strong>oso di sociologia della letteratura<br />

e di storia della cultura, analista<br />

e critico della cultura di massa e<br />

dell’industria culturale, Löwenthal era<br />

considerato l’ultimo esponente della<br />

Scuola di Francoforte della generazione<br />

di Adorno, Benjamin, Horkheimer<br />

e Marcuse.<br />

Rispetto agli altri esponenti del gruppo di<br />

pensatori dell’Institut für Sozialforschung<br />

di Francoforte, Leo Löwenthal godeva di<br />

una relativa fama. In Italia, ad esempio,<br />

dove i pensatori francofortesi sono stati<br />

oggetto di un vero e proprio culto, la sua<br />

opera principale, Literature and the Image<br />

of Man (La letteratura e l’immagine dell’uomo,<br />

1957), non è mai stata tradotta e<br />

altri suoi lavori hanno attirato l’attenzione<br />

solo di piccoli editori: Letteratura, cultura<br />

popolare e società (Liguori), Per una teoria<br />

critica della letteratura (Flaccovio), Il<br />

rogo dei libri (Il Melangolo), L’integrità<br />

degli intellettuali (Solfanelli).<br />

Fedele all’immagine dell’intellettuale critico<br />

e radicale, cara anche agli altri esponenti<br />

del gruppo francofortese, Löwenthal<br />

metteva in guardia dal considerare lui e i<br />

suoi illustri amici come parte di una “scuola”,<br />

ed evidenziava come ciò che accomunava<br />

personaggi come Adorno, Benjamin e<br />

Marcuse fosse lo spirito di indipendenza e<br />

l’avversione per le scuole, sin nelle forme<br />

della scrittura: “La parola ‘scuola’ non ha<br />

senso. Non avevamo testi sacri. Non avevamo<br />

discepoli. E in un certo senso non<br />

scrivevamo neppure libri: Adorno aforismi,<br />

Marcuse solo lunghi saggi, io addirittura<br />

articoli. L’unica scuola a cui ci sentivamo<br />

di appartenere era la scuola dei contrari”.<br />

Con gli altri pensatori francofortesi Lîwenthal<br />

condivide l’origine ebraica e il destino<br />

dell’esilio negli anni del nazismo (sarà lui<br />

l’ultimo del gruppo ad abbandonare la<br />

Germania, il 2 marzo 1933, due giorni<br />

prima che i nazisti facessero irruzione nelle<br />

stanze dell’Istituto per la Ricerca Sociale).<br />

Nella sua autobiografia, Non ho mai<br />

voluto collaborare, Löwenthal ripercorre<br />

le tappe principali della propria vita: l’abbandono<br />

della Germania e gli anni trascorsi<br />

fino all’ultimo negli Stati Uniti, dove fu<br />

professore di Sociologia nell’Università<br />

di Berkeley.<br />

Storico e teorico della letteratura, Löwenthal<br />

dedicò le proprie forze non solo all’analisi<br />

ideologica e filosofica del fenomeno<br />

letterario ma anche allo studio dei<br />

suoi aspetti sociali (ad esempio la ricerca<br />

sui gruppi di lettori di Dostoevskij nella<br />

Germania degli anni Venti e Trenta) e allo<br />

studio della cultura di massa e di quella che<br />

Theodor W. Adorno e Max Horkheimer<br />

chiamavano “industria culturale”. A questo<br />

proposito bisogna ricordare l’analisi<br />

AUTORI E IDEE<br />

condotta da Löwenthal sulle biografie di<br />

personaggi celebri, apparse sulle riviste<br />

popolari negli Stati Uniti nei primi quarant’anni<br />

del nostro secolo. Qui, cogliendo<br />

con precisione quella che si sarebbe<br />

rivelata una tendenza (fino a oggi) duratura,<br />

Löwenthal indicava uno spostamento<br />

dell’interesse del pubblico dalla vita di<br />

industriali, banchieri e rappresentanti della<br />

cultura cosiddetta “alta”, in senso tradizionale,<br />

a personaggi della musica leggera,<br />

del cinema, dello sport e dello spettacolo.<br />

Egli - come leggiamo in una lettera a<br />

Horkheimer del 3 febbraio 1942 - considerava<br />

questo fenomeno come espressione<br />

di aspirazioni alla felicità che non trovavano<br />

realizzazione nel mondo quotidiano e<br />

nella storia; una diversa espressione dell’utopia<br />

marcusiana di una vita liberata,<br />

nel senso del principio di piacere, e di<br />

quella “nostalgia dell’altro” che, secondo<br />

Martin Jay, costituisce un motivo comune<br />

ai pensatori francofortesi: «Questo fenomeno<br />

contiene anche il sogno dell’umanità<br />

futura che potrebbe accentrare i propri<br />

interessi nella felicità, non nella durezza<br />

del lavoro, nella gioia dei beni sensuali nel<br />

senso più ampio del termine. Mentre, da<br />

una parte, l’informazione storica diventa<br />

per le masse una trappola fatta di menzogne<br />

e un ridicolo cumulo di fatti e delle<br />

figure più insignificanti, le stesse masse,<br />

proprio nel loro interesse per questa gente<br />

e nei loro modi di consumo, rivelano una<br />

nostalgia per una vita fatta d’innocenza».<br />

In Germania le opere complete di Leo<br />

Löwenthal sono pubblicate presso l’editore<br />

Suhrkamp di Francoforte: il primo volume<br />

raccoglie gli studi sulla letteratura e<br />

sulla cultura di massa, il secondo le analisi<br />

dedicate al romanzo borghese, il terzo quelle<br />

sulla psicologia collettiva, il quarto le lettere<br />

e gli scritti sparsi. Le opere filosofiche<br />

giovanili di Löwental saranno pubblicate a<br />

cura dell’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong><br />

presso la casa editrice Guerini e<br />

Associati di Milano. M.M.<br />

Axel Honneth<br />

e il progresso sociale<br />

Se negli ultimi cinquant’anni si è avuta<br />

l’impressione che la constatazione<br />

della morte di G. W. F. Hegel fosse<br />

ormai irrevocabile, bisogna tuttavia<br />

riconoscere che finora egli è sopravvissuto<br />

a ogni tentativo di sepoltura<br />

spirituale: troppo complesso e stimolante<br />

è il suo pensiero perché lo si<br />

possa mettere da parte con l’etichetta<br />

di “metafisica”. Di queste potenzialità<br />

di interesse è testimonianza anche il<br />

nuovo libro di Axel Honneth, KAMPF UM<br />

ANERKENNUNG. ZUR MORALISCHER GRAM-<br />

MATIK SOZIALER KONFLIKTE (Lotta per il<br />

riconoscimento. Sulla grammatica morale<br />

dei conflitti sociali, Suhrkamp,<br />

Frankfurt a. M. 1992). Un’ espressione<br />

24<br />

del giovane Hegel, la “lotta per il riconoscimento”,<br />

costituisce qui il punto<br />

di partenza di una teoria della società<br />

che vuole far fronte alle esigenze dei<br />

tempi.<br />

La prima parte dell’opera di Axel Honneth<br />

è dedicata alla discussione di quei progetti<br />

filosofici, alla cui stesura Hegel lavora quando<br />

non è ancora un famoso professore<br />

berlinese, ma un semplice Privatdozent a<br />

Jena. La sua idea speculativa fondamentale<br />

consiste nel progetto di una teoria dei<br />

diversi livelli del riconoscimento sociale.<br />

Attraverso i livelli dell’amore, del diritto e<br />

della solidarietà o - come scrive Hegel -<br />

della “eticità” (Sittlichkeit) si danno tre<br />

forme del riconoscimento, nelle quali l’essere<br />

umano viene riconosciuto dapprima<br />

emozionalmente come intero, poi formalmente<br />

come persona giuridica e infine<br />

come particolarità individuale. Poiché però<br />

il pensiero di Hegel, anche nel periodo<br />

jenese, è legato a presupposti metafisici,<br />

sovratemporali, Honneth si sottopone nella<br />

seconda parte del suo libro al compito di<br />

mettere alla prova empiricamente l’idea<br />

speculativa di fondo. Ciò avviene, da una<br />

parte, attraverso un riferimento alla psicologia<br />

sociale di George Herbert Mead,<br />

dall’altra sulla base di ricerche psicologiche<br />

e storico-psicologiche. Su entrambi i<br />

piani il risultato è che il modello hegeliano<br />

resiste ad una riflessione scientificamente<br />

disincantata.<br />

Così, con l’aiuto delle teorie psicoanalitiche,<br />

l’amore può essere concepito come un<br />

forte legame affettivo tra poche persone in<br />

cui si tratta di produrre un equilibrio tra<br />

autonomia e dipendenza, tra il desiderio di<br />

essere soli e il desiderio di fusione. Questo<br />

equilibrio è costantemente in pericolo e<br />

assume le diverse forme di una lotta. Le<br />

esperienze delle relazioni d’amore familiari,<br />

amicali ed erotiche non possono certo<br />

venire estese ad altre relazioni sociali,<br />

ma contengono già un nucleo di carattere<br />

morale, che si sviluppa poi ai livelli del<br />

diritto e della solidarietà. Qui si tratta del<br />

fatto che i cittadini di una comunità si<br />

considerano uguali in quanto membri di<br />

una comunità giuridica e imparano a considerarsi<br />

disuguali, individui, in quanto<br />

membri di una comunità di valori. Qui il<br />

riconoscimento reciproco si mostra nell’attenzione<br />

e nella valutazione.<br />

Lo studio di Honneth offre in particolare<br />

una risposta alla questione del modo in cui<br />

si possono spiegare i processi del mutamento<br />

sociale. Le società si trasformano<br />

perché sono costruite sulla base delle obbligazioni<br />

morali implicite nella triplice<br />

relazione di riconoscimento. Nei conflitti<br />

sociali si esprime così non solo un interesse<br />

di gruppo, ma anche lo sviluppo morale<br />

delle società. Non si tratta solo della povertà,<br />

ma anche del diritto e della dignità. I<br />

conflitti sociali seguono una “grammatica<br />

morale” e regole che sono pre-date attraverso<br />

le diverse forme del riconoscimento.


AUTORI E IDEE<br />

Leo Löwenthal<br />

L’Institut für Sozialforschung di Francoforte sul Meno, 1924<br />

25


In questa prospettiva una filosofia sociale<br />

sostenuta scientificamente raccoglie l’eredità<br />

della vecchia filosofia della storia.<br />

Nella terza parte del suo studio, Honneth<br />

mette in rilievo un “concetto formale dell’eticità”<br />

come più elevato punto di riferimento.<br />

Il movimento della sua argomentazione<br />

è chiaro e integrato, un movimento<br />

quasi circolare di impratichimento, che<br />

sviluppa l’idea fondamentale con un interesse<br />

al compimento e che la rende pregnante<br />

attraverso la ripetizione. L’opera<br />

presenta motivi di riflessione. La “grammatica<br />

morale” vale ad esempio non per<br />

tutte le società, ma solo per quella moderna,<br />

costituita secondo il modello dello stato<br />

di diritto. L’esigenza di validità universale<br />

del principio del riconoscimento viene<br />

con ciò limitata. Esso può motivare ad<br />

un agire morale e alle lotte sociali, ma può<br />

legittimare il riconoscimento solo nel contesto<br />

della modernità. Con ciò un filosofo<br />

che pensa in modo post-metafisico può<br />

dichiararsi soddisfatto. J.F.<br />

Derrida: le interviste<br />

E’ lo stesso Jacques Derrida che ha<br />

deciso di raccogliere in volume, e successivamente<br />

di pubblicare, le interviste<br />

che nel corso degli anni hanno accompagnato<br />

la sua ricerca, facendo<br />

rientrare a pieno titolo nella sua opera<br />

anche questa produzione marginale,<br />

per non specialisti, che generalmente<br />

è così difficile da collocare. POINTS DE<br />

SUSPENSION. ENTRETIENS. (Punti di sospensione.<br />

Interviste., Galilée, Paris<br />

<strong>1993</strong>) permette così di ripercorrere<br />

vent’anni di lavoro e di scrittura di questo<br />

autore, offrendo una via d’accesso<br />

ad un pensiero che disorienta proprio<br />

per la difficoltà che sempre si affaccia<br />

quando si cerca di ritrovarne i punti di<br />

riferimento.<br />

Si tratta per lo più di indicazioni biografiche,<br />

riflessioni che colgono l’occasione<br />

dell’attualità, per poi approfondirsi in tematiche<br />

squisitamente filosofiche, considerazioni<br />

e punti di vista che fanno luce su<br />

di una soggettività e insieme su di un metodo,<br />

la pratica della decostruzione, che qui<br />

diventa trasparente proprio mettendosi in<br />

opera su tracce ben visibili, dalla tossicodipendenza<br />

al tentativo di riformare l’insegnamento<br />

della filosofia. Ma vi è anche<br />

l’interrogarsi quasi ossessivo su cosa sia<br />

un’intervista, sulle modalità di un discorso<br />

rivolto ad un pubblico che non è il proprio<br />

e quindi sul ruolo dell’intellettuale nel suo<br />

rapporto con i media, con il pubblico e con<br />

il politico. Soprattutto ciò che traspare è il<br />

tentativo di ridefinire il rapporto tra gli<br />

intellettuali e il politico, attraverso una<br />

metodica decostruzione del modello sartriano:<br />

un modo del tutto attuale di essere<br />

AUTORI E IDEE<br />

apolitico è quello che modula il proprio<br />

atteggiamento su codici e retoriche pressoché<br />

istituzionalizzate, e pertanto prevedibili<br />

e sin dall’inizio neutralizzate.<br />

Come egli stesso ha più volte ribadito, non<br />

esiste una «filosofia» di Jacques Derrida.<br />

Esiste un confronto, una esplicazione di<br />

Derrida attraverso i testi che analizza e che<br />

di conseguenza lo obbligano ad esporsi alla<br />

loro luce o alla loro oscurità. E soprattutto<br />

esiste un “idioma”, che è uno stile di scrittura<br />

che ogni volta si sforza di cambiare<br />

accento per eludere le aspettative, giocando<br />

a svelarne i presupposti. Particolarmente<br />

significativo diventa quindi il testo dedicato<br />

alla lingua della filosofia, costruito a<br />

partire dalla domanda che si interroga sulla<br />

possibilità di tradurre la filosofia, sullo<br />

sfondo del presentimento che essa possa<br />

invece essere consustanziale ad una lingua<br />

e ad una tradizione. E proprio il diretto<br />

riferimento alla tradizione nazionale lascia<br />

emergere la difficoltà di pensare il nazionalismo,<br />

difficoltà che prende forma nella<br />

contraddizione tra la necessità di difendere<br />

le lingue minoritarie e l’esigenza della comunicazione,<br />

che non può che avvenire su<br />

di un terreno comune. Un esempio di come,<br />

per Derrida, le questioni filosofiche debbano<br />

sfociare in quelle concernenti la responsabilità<br />

etica e politica, facendo coincidere<br />

la pratica della decostruzione con una volontà<br />

di democratizzazione. M.V.<br />

La debolezza dell’Io<br />

E’ recentemente apparsa la nuova traduzione<br />

di un’importante opera giovanile<br />

di Jean Paul Sartre, il suo primo,<br />

vero e proprio scritto filosofico, LA<br />

TRASCENDENZA DELL’EGO. UNA DESCRIZIONE<br />

FENOMENOLOGICA (traduzione e cura di<br />

Rocco Ronchi, EGEA, MIlano 1992),<br />

che contiene non solo i presupposti<br />

teoretici del periodo “fenomenologico”,<br />

ma anche alcuni spunti che saranno<br />

alla base dello sviluppo successivo<br />

del pensiero di Sartre. A questo<br />

testo può essere accostata la più recente<br />

raccolta di saggi di Pier Aldo<br />

Rovatti, TRASFORMAZIONI DEL SOGGETTO.<br />

UN ITINERARIO FILOSOFICO (Il Poligrafo,<br />

Padova 1992) che, a partire anche dalla<br />

riflessione sartreana, ricostruisce una<br />

delle fonti del “pensiero debole”, quella<br />

che prende le mosse dal tentativo<br />

di ricostruzione di una nozione di soggettività.<br />

Ne La trascendenza dell’Ego il punto di<br />

partenza della riflessione di Jean Paul<br />

Sartre consiste nella constatazione della<br />

non originarietà della determinazione dell’Ego<br />

nei confronti dei fenomeni riguardanti<br />

il manifestarsi della soggettività. Sartre<br />

rileva, infatti, come la tesi kantiana<br />

relativa all’esigenza di un Io trascendenta-<br />

26<br />

le, che accompagni e unifichi le rappresentazioni<br />

soggettive, si ponga come un “dover<br />

essere”, come esigenza di fronte al<br />

fatto che l’unità delle rappresentazioni<br />

precede l’Io ed è indipendente da esso, e in<br />

essa si fonda la possibilità dell’unità dell’Ego,<br />

e non viceversa.<br />

Questa constatazione fattuale, caratteristica<br />

dell’approccio fenomenologico, porta<br />

appunto Sartre a definire il campo del trascendentale<br />

come “coscienza”, come livello,<br />

cioè, pre-individuato, non riflesso, caratterizzato<br />

da un’essenziale spontaneità,<br />

rispetto al quale l’Io è dunque trascendente,<br />

passivo, agito. Sebbene Sartre rimproveri<br />

allo Husserl di Idee di aver ricondotto<br />

all’Ego, con una sovrapposizione indebita,<br />

le manifestazioni originarie proprie della<br />

coscienza, Rocco Ronchi, curatore di questa<br />

edizione di Sartre (che segue quella,<br />

risalente al 1971, a cura di Nestore Pirillo),<br />

rileva d’altra parte come in questo saggio,<br />

proprio nella determinazione del livello<br />

coscienziale, Sartre sia più debitore a Husserl<br />

di quanto egli stesso non mostri di<br />

credere. Nel suo ampio saggio introduttivo,<br />

dedicato al “bergsonismo di Sartre”,<br />

Ronchi sostiene, a dispetto degli espliciti<br />

attacchi portati da Sartre a Bergson, la<br />

contiguità della nozione sartreana di coscienza<br />

a quella bergsoniana di durata, sulla<br />

base del loro comune carattere di spontaneità.<br />

Reale è solo la spontaneità della<br />

coscienza; apparente è invece la spontaneità<br />

dell’Io nei confronti delle “sue” rappresentazioni,<br />

ovvero nei confronti dei “suoi”<br />

stati, delle “sue” azioni, delle qualità degli<br />

oggetti, che si tende spesso, a torto, a considerare<br />

prodotto di inclinazioni e affezioni<br />

dell’Io. Tali rappresentazioni, nota Sartre,<br />

non sono “proprietà” dell’Io cui sono riferite,<br />

ma è piuttosto questo Io ad essere<br />

“giocato” da esse. Proprio a partire da questa<br />

considerazione si aprono, a parere di<br />

Sartre, nuove prospettive nel campo morale.<br />

Anche facendo leva sugli effetti, in questa<br />

direzione, del “depotenziamento” dell’Io<br />

conseguente alle analisi sartreane, Pier<br />

Aldo Rovatti, nel suo recente Trasformazioni<br />

del soggetto, intende offrire una ricostruzione<br />

del percorso e delle fonti del suo<br />

contributo al “pensiero debole”.<br />

Come è noto, quella relativa al “pensiero<br />

debole” è ipotesi nata, con la pubblicazione<br />

nel 1983 del testo omonimo, dal rilievo<br />

dello scollamento fra soggetto e oggetto,<br />

ovvero dal rilievo del carattere problematico<br />

di una scissione fra i due termini e di una<br />

loro successiva ricomposizione dal punto<br />

di vista della gnoseologia, dell’etica, della<br />

metafisica, nella prospettiva di un’indefinita<br />

manipolabilità degli enti da parte del<br />

soggetto e in quella di una sostanzialità<br />

(cioè di un carattere “forte”, fondato sulla<br />

caratteristica ontologica della “presenza”)<br />

del soggetto medesimo. Ma se Gianni<br />

Vattimo, altro esponente di quella corrente,<br />

si indirizzava, a partire dal pensiero di<br />

Heidegger, e da quello di Derrida, all’ela-


orazione del concetto di un “declino” del<br />

soggetto, che compiva la sua parabola sullo<br />

sfondo di una concezione “debole” dell’ontologia,<br />

Rovatti ha successivamente<br />

preferito focalizzare il suo discorso sulla<br />

questione linguistica, intesa come questione<br />

relativa allo stile del pensiero.<br />

Il dichiarato intento di questa raccolta di<br />

saggi di Rovatti è quello di retrodatare il<br />

costituirsi delle questioni inerenti alla configurazione<br />

del pensiero debole. Inaspettatamente,<br />

per chi di queste tematiche abbia<br />

informazione solo relativamente agli ultimi<br />

sviluppi, Rovatti ne mostra le radici<br />

nella riflessione sulle pratiche politiche<br />

degli anni Settanta. Riaffiora dunque la<br />

discussione sulla questione dei “bisogni”,<br />

e sulla loro inconciliabilità con il terreno<br />

del politico. E’ questo l’ambito in cui si è<br />

posta per Rovatti l’esigenza di una “nuova<br />

razionalità”, intesa come “cultura dei soggetti”,<br />

“processo di approssimazione al<br />

soggetto”. Il catalizzatore indispensabile<br />

in questa elaborazione è Foucault, che con<br />

la sua “microfisica del potere” ha indicato<br />

la strada per l’individuazione dei punti di<br />

resistenza ai percorsi storici della logica<br />

centralizzante del potere. La nozione “non<br />

tradizionale” di bisogno ha in tal senso per<br />

Rovatti la caratteristica di un’immagine<br />

non concettualmente strutturata, che individua<br />

però il terreno di contraddizione fra<br />

l’universalizzazione astrattizzante della<br />

logica del potere, nelle spoglie della società<br />

di massa, e la pretesa alla soggettività, al<br />

riconoscimento del proprio carattere differenziale,<br />

che pure l’individuo-massa rivendica.<br />

D’altra parte, se Foucault fornisce indispensabili<br />

indicazioni di percorso, per Rovatti<br />

alle radici del “pensiero debole” c’è<br />

Marx, con la sua nozione di “lavoro vivo”,<br />

che fonda l’articolarsi del discorso marxiano<br />

nella prospettiva di una ricostruzione,<br />

“al di là” del modo di produzione capitalista,<br />

di uno “specifico soggettivo”. Laddove<br />

la determinazione di “forza-lavoro” rimanda<br />

alla caratterizzazione come “merce”<br />

dell’essenza dell’operaio-massa nel<br />

processo produttivo capitalistico, conducendo<br />

così alla cristallizzazione dell’homo<br />

oeconomicus, nella nozione di “lavoro<br />

vivo”, dove l’accento cade proprio sul<br />

carattere di “vitalità”, cioè di spontaneità<br />

del lavoro, a parere di Rovatti si trascende<br />

tale cristallizzazione e si segnala invece<br />

con forza l’esigenza di un “punto di vista”<br />

soggettivo. M.C.<br />

Utopia: il paese che non c’è<br />

Il tema dell’utopia torna a riproporsi<br />

come tema centrale in senso filosofico<br />

in alcune recenti riflessioni. Maria<br />

Moneti Codignola ne ripercorre i contorni<br />

problematici, in riferimento soprattutto<br />

alle utopie dell’età moder-<br />

AUTORI E IDEE<br />

na, nel suo recente studio: IL PAESE CHE<br />

NON C’È E I SUOI ABITANTI (La Nuova<br />

Italia, Firenze 1992). Una raccolta di<br />

saggi a cura di Arrigo Colombo e di<br />

Giuseppe Schiavone, L’UTOPIA NELLA<br />

STORIA: LA RIVOLUZIONE INGLESE (Dedalo,<br />

Bari 1992), intende invece sia richiamare<br />

l’attenzione sul significato storico<br />

dell’utopia come progetto della<br />

società giusta e fraterna, sia riconoscere<br />

nella Rivoluzione inglese il senso<br />

di primo, fondamentale evento utopico<br />

nella costruzione di questa società.<br />

In una sorta di viaggio nell’utopia attraverso<br />

i secoli, fino alle soglie della civiltà<br />

contemporanea, Maria Moneti Codignola<br />

si propone di trattare, senza alcuna pretesa<br />

di esaustività, i contorni storici e problematici<br />

dell’utopia, intesa essenzialmente<br />

come “genere filosofico-letterario”, attraverso<br />

un’ampia rassegna di autori, compiendo<br />

una specifica selezione tematica,<br />

relativa ai rapporti di implicazione reciproca<br />

fra l’idea di città perfetta e quella di<br />

uomini perfetti, dunque fra la politica e<br />

l’educazione. L’idea della formazione dell’uomo<br />

buono e l’immagine dell’infanzia,<br />

ove essa è presente, costituiscono il duplice<br />

selettore d’indagine di questo viaggio<br />

attraverso l’utopia “classica” di Platone, le<br />

utopie dell’era moderna (More, Campanella,<br />

Bacone, Cyrano de Bergerac), del<br />

preilluminismo (Foigny, Fontenelle, Fénelon),<br />

dell’età dei Lumi (Morelly, Dom<br />

Deschamps, Mably, Diderot, Rousseau),<br />

per concludersi con un ampio ventaglio di<br />

considerazioni teoriche, fra cui “l’idea di<br />

felicità e i suoi paradossi”, “l’utopia moderna<br />

come teodicea radicale”.<br />

Nel tentativo di circoscriverne il concetto,<br />

Moneti Codignola sottolinea che per utopia<br />

si deve anzitutto intendere «quel genere<br />

letterario-filosofico che ha per contenuto il<br />

racconto o la descrizione di un mondo<br />

immaginario che viene, in modo implicito<br />

o esplicito, presentato in termini deontologici<br />

o almeno ottativi». Vengono pertanto<br />

distinti dall’utopia stricto sensu quei racconti,<br />

di genere affine, che hanno il carattere<br />

di descrizioni di paesi assurdi o di mondi<br />

alla rovescia, i cui rapporti con il genere<br />

utopico trovano nondimeno alcune utili<br />

precisazioni, così come viene ampiamente<br />

tematizzato il rapporto utopia/distopia<br />

(esempi di distopia possono essere considerati<br />

testi come 1984 di Orwell o Brave<br />

New World di Huxley). Vengono invece<br />

espressamente poste ai margini della trattazione<br />

quelle produzioni dell’immaginazione<br />

utopica che nascono dall’ansia di rigenerazione<br />

e di salvezza espressa dalla cultura<br />

popolare. Nel delineare le tappe di<br />

un’evoluzione interna del genere utopico<br />

nell’età moderna, Moneti Codignola inizia<br />

da una fase di «riflessione critico-propositiva<br />

sulla realtà politica e sociale del proprio<br />

tempo», che si limita a «contrapporre<br />

una situazione ideale, auspicata e presenta-<br />

27<br />

ta sotto la forma fantastica di un paese<br />

immaginario, alla realtà presente criticata<br />

anche alla luce di quell’ideale». In una<br />

seconda fase di riflessione «la società umana<br />

è pensata come una sorta di provincia di<br />

una più universale realtà cosmologica di<br />

cui fa parte ma di cui, unico punto nell’universo,<br />

contraddice i principi», sicché la<br />

proposta utopica si concepisce come «una<br />

reintegrazione di questa provincia nell’universo».<br />

A ciò fa seguito la fase di introduzione<br />

della dimensione temporale. Infine,<br />

nella fase più prossima a noi, si arriva fino<br />

a rovesciare l’ordine utopico, «facendolo<br />

diventare, da speranza e promessa che era,<br />

una oscura e terribile minaccia da cui difendersi».<br />

Del resto ogni forma di rigidità<br />

normativa o propositiva, di concezione<br />

totalitaria dell’uomo e della società sono<br />

oggi sotto accusa, e proprio l’esperienza di<br />

questo secolo impone di «maneggiare le<br />

idee utopiche con grande cautela e anche<br />

con tutto il distacco e le mediazioni possibili».<br />

Di diverso tenore la convinzione teorica<br />

che sorregge la raccolta di scritti, curata da<br />

Arrigo Colombo e Giuseppe Schiavone,<br />

sul significato storico dell’utopia, esemplificato<br />

in rapporto alla Rivoluzione inglese.<br />

Il volume rientra nella serie “L’Utopia.<br />

Per una società giusta e fraterna”, a<br />

cura di Arrigo Colombo, che ha già visto la<br />

pubblicazione di altri contributi sul problema<br />

del carattere storico-progettuale<br />

dell’utopia, e nasce da un convegno organizzato<br />

nel 1990 dal Gruppo di ricerca<br />

sull’utopia dell’Università di Lecce. In<br />

quell’occasione, ricorda Colombo, era stato<br />

ribadito, in senso programmatico, che l’utopia,<br />

come fatto storico e politico, costituisce<br />

«il progetto della società giusta e fraterna»,<br />

il quale può esprimersi sotto forme<br />

molteplici: dal discorso filosofico al racconto<br />

letterario, dall’annunzio religioso al<br />

programma politico.<br />

Nella sua introduzione al volume Colombo<br />

distingue quattro fasi dell’utopia, che è<br />

al contempo progetto della storia e processo<br />

in cui il progetto si va realizzando.<br />

La prima fase è quella sotterranea del<br />

progetto popolare implicito, che vive nella<br />

coscienza popolare oppressa dalla società<br />

ingiusta; la seconda è la fase del mito, in<br />

cui il progetto popolare tende a proiettarsi<br />

in determinate figurazioni simboliche; la<br />

terza è quella dei movimenti di salvezza,<br />

in cui il progetto assume la forma di attesa<br />

e di annunzio, fatto proprio da comunità<br />

religiose; la quarta infine è l’età delle rivoluzioni,<br />

in cui «il progetto viene assunto<br />

nella storia umana in senso universale (...),<br />

definitivo, progressuale, attraverso momenti<br />

esplosivo-eversivi di forte intensità,<br />

forte luce, capacità comprensiva, capacità<br />

creativa e innovativa, forte decisione e<br />

azione sovvertitrice della società ingiusta».<br />

Una volta restituita all’utopia il suo<br />

carattere storico-progettuale, A orientare<br />

questo filone di ricerca sull’utopia come<br />

fatto storico e processuale è peraltro l’idea<br />

che proprio nell’attuale età, segnata dal<br />

crollo del comunismo, «l’utopia riemerge


TENDENZE E DIBATTITI<br />

Georg Wilhelm Friedrich Hegel, l’Università di Berlino<br />

La Porta di Brandenburgo, Thomas Hobbes<br />

28


La politica di Hegel<br />

Del mai sopìto interesse per le valenze<br />

politiche della riflessione hegeliana<br />

è una riprova la serie di studi critici<br />

recentemente apparsi: il saggio di Geminello<br />

Preterossi, I LUOGHI DELLA POLI-<br />

TICA. FIGURE ISTITUZIONALI DELLA FILOSOFIA<br />

DEL DIRITTO HEGELIANA (Guerini e Associati,<br />

Milano 1992), e l’opera di Fiorinda<br />

Li Vigni, LA DIALETTICA DELL’ETICO.<br />

LESSICO RAGIONATO DELLA FILOSOFIA ETICO-<br />

POLITICA HEGELIANA NEL PERIODO DI JENA<br />

(Guerini e Associati, Milano 1992), entrambi<br />

pubblicati nella collana “Hegeliana”<br />

dell’Istituto Italiano per gli<br />

<strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong>; lo studio di Cristiana<br />

Senigaglia, IL GIOCO DELLE ASSONANZE<br />

(La Nuova Italia, Firenze 1992), dedicato<br />

all’individuazione delle ascendenze<br />

hobbesiane della filosofia politica<br />

di Hegel; l’antologia IL PENSIERO<br />

POLITICO DI HEGEL (a cura di Giuseppe<br />

Bedeschi, Laterza, Roma-Bari <strong>1993</strong>),<br />

introdotta da un ampio profilo critico,<br />

che offre uno sguardo sintetico complessivo<br />

sul pensiero politico del filosofo<br />

di Stoccarda. Da segnalare anche,<br />

in questo contesto, sebbene con<br />

una impostazione più generale, la recente<br />

introduzione al pensiero hegeliano<br />

curata da Pietro Rossi, HEGEL.<br />

GUIDA STORICA E CRITICA (Laterza, Roma-<br />

Bari 1992), nonché la corposa biografia<br />

in lingua tedesca che al pensatore<br />

di Stoccarda ha dedicato Horst Althaus,<br />

HEGEL UND DIE AEROISCHEN JAHRE<br />

DER PHILOSOPHIE. EINE BIOGRAPHIE (Hegel<br />

e l’età eroica della filosofia. Una biografia,<br />

Hanser Verlag, München 1992).<br />

Lo studio di Geminello Preterossi, I luoghi<br />

della politica, dedicato ad alcune «figure<br />

istituzionali della filosofia del diritto<br />

hegeliana», tematizza la connotazione “conciliativa”<br />

di questa filosofia, di cui mostra<br />

la valenza positiva, il «grande valore e<br />

dignità», tanto sul piano della riflessione<br />

filosofica, quanto su quello più immediatamente<br />

politico. La riflessione hegeliana fa<br />

combaciare elementi e istanze che nel pensiero<br />

filosofico-politico successivo si contrappongono<br />

e si frammentano in linee di<br />

fuga divergenti: libertà individuale e unita-<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

rietà della persona statale, interesse dei<br />

singoli e principio di sovranità dello Stato,<br />

legittimazione sociale della volontà politica<br />

ed espressione formale del diritto. Per<br />

raggiungere il suo scopo, quello di uno<br />

sguardo unitario che tenga insieme le varie<br />

istanze, Hegel punta verso un “profilo alto”<br />

della statalità, come tentativo di realizzare<br />

il connubio, sostiene l’autore, fra l’unitarismo<br />

del principio di sovranità e il pluralismo<br />

delle istanze sociali; scartando cioè<br />

tanto la concezione liberale lato sensu, che<br />

vede lo stato come momento funzionale<br />

alla società, quanto il decisionismo, radicalmente<br />

arazionale, sostenuto per esempio<br />

da Carl Schmitt.<br />

Il “lessico ragionato” della filosofia hegeliana<br />

nel periodo di Jena che Fiorinda Li<br />

Vigni presenta con il volume La dialettica<br />

dell’etico individua 52 voci, raggruppandole<br />

in 6 “famiglie concettuali” (linguaggio,<br />

lavoro, famiglia, diritto, eticità, singolarità-universalità),<br />

e facendo precedere<br />

ciascuna di esse da un’”introduzione” alla<br />

parte lessicale vera e propria, in un rapporto<br />

che è comunque di reciproca autonomia.<br />

Più che una tavola di occorrenze, nelle<br />

intenzioni dell’autrice questo lessico, ponderoso<br />

e tuttavia estremamente maneggevole<br />

nella consultazione, si configura come<br />

un tentativo di ripercorrere lo sviluppo di<br />

ciascuno dei concetti individuati nelle opere<br />

prese in esame, e all’interno di ciascuna<br />

di esse; il metodo di scomposizione analitico<br />

dei testi è quindi finalizzato a una<br />

ricostruzione della genesi dei concetti.<br />

“A proposito degli influssi hobbesiani sul<br />

pensiero filosofico-politico di Hegel” è<br />

l’esplicito sottotitolo che accompagna<br />

l’opera di Cristiana Senigaglia, Il gioco<br />

delle assonanze. Muovendo dall’apparente<br />

dissonanza fra l’esplicito riconoscimento<br />

hegeliano di Hobbes come iniziatore<br />

della “scienza politica”, e la brevità delle<br />

analisi che a questi vengono dedicate dal<br />

pensatore tedesco, Senigaglia enuclea alcuni<br />

nodi tematici del confronto tra i due<br />

filosofi. In primo luogo, la precisazione del<br />

senso in cui Hobbes è per Hegel l’iniziatore<br />

della “scienza politica”. Non si tratta certo<br />

di ciò che nel filosofo inglese si presenta<br />

come presupposto, vale a dire l’ipotesi giusnaturalista,<br />

rifiutata da Hegel senza incertezze.<br />

Piuttosto, passando oltre il dualismo<br />

29<br />

tra stato di natura e Stato, che per Hobbes<br />

permane come orizzonte fondativo, il reale<br />

terreno di confronto tra i due pensatori<br />

consiste nella questione relativa alla legittimazione<br />

dello Stato medesimo, nonché<br />

nelle esigenze di carattere politico riconducibili<br />

a interessi individuali, espressi a livello<br />

della società civile. In altri termini, il<br />

terreno di incontro fra i due pensatori non<br />

può essere individuato, a parere di Senigaglia,<br />

in rapporto alla questione dell’origine<br />

del diritto dallo stato di natura - a partire<br />

dalla quale Hegel, tutt’al più, può apprezzare<br />

in modo generico il ruolo riconosciuto<br />

da Hobbes al principio di conflittualità fra<br />

gli individui - bensì sul piano della questione<br />

istituzionale, cioè della struttura organica<br />

dello Stato.<br />

Come è noto, lo Stato interviene in Hegel<br />

per sanare gli squilibri della società civile.<br />

Come ricorda Giuseppe Bedeschi nel suo<br />

ampio saggio introduttivo all’antologia<br />

dedicata a Il pensiero politico di Hegel, il<br />

filosofo di Stoccarda fu sempre pessimista<br />

nei confronti del funzionamento della sfera<br />

socio-economica moderna, la cui descrizione<br />

realistica è in lui desunta dall’economia<br />

classica. D’altra parte, Bedeschi sottolinea<br />

il ruolo centrale che, nella visione<br />

hegeliana della società civile, riveste la<br />

nozione di corporazione, di cui il filosofo<br />

lamenta la soppressione nell’età moderna.<br />

Contro chi sostiene il carattere moderno<br />

del concetto hegeliano di corporazione,<br />

evidenziando come esso non sia identificabile<br />

con la mera descrizione (alla stregua di<br />

un anacronistico tentativo di rimessa in<br />

auge) della realtà storica delle corporazioni<br />

medioevali, Bedeschi ritiene che, in ultima<br />

analisi, sia giustificata l’impressione che<br />

Hegel «sia ricorso a strumenti tutto sommato<br />

arcaici per porre rimedio ai problemi<br />

moderni della concorrenza e dell’atomismo».<br />

Proprio per questo, conclude Bedeschi,<br />

su questo specifico punto «lo sguardo<br />

di Hegel sembra rivolto più al passato che<br />

al futuro».<br />

Il volume Hegel. Guida storica e critica,<br />

curato da Pietro Rossi, intende collocare la<br />

filosofia hegeliana nel quadro del suo contesto<br />

storico-culturale. L’approccio è<br />

multilaterale; vengono messi a fuoco vari<br />

aspetti del “sistema” hegeliano e della sua<br />

evoluzione storica: Hegel fra Romantici-


smo e Idealismo (Luigi Marino); la genesi<br />

della logica hegeliana (Franco Chiereghin);<br />

la Fenomenologia dello spirito (Sergio<br />

Landucci); la Filosofia del diritto come<br />

sistema dello spirito oggettivo (Giuliano<br />

Marini); il rapporto di Hegel con l’estetica<br />

(Paolo D’Angelo); Hegel tra religione e<br />

filosofia (Claudio Cesa); il rapporto tra la<br />

storia universale e il suo quadro geografico<br />

(Pietro Rossi), la questione della storia<br />

della filosofia (Remo Bodei); e infine la<br />

ricezione di Hegel nei manuali scolastici di<br />

filosofia (Giovanni Bonacina).<br />

E’ da segnalare, infine, una voluminosa<br />

biografia di Hegel recentemente pubblicata<br />

in Germania da Horst Althaus. Testimonianza<br />

corposa, più che filosoficamente<br />

rilevante, dell’attuale interesse per Hegel,<br />

estremamente particolare e informata riguardo<br />

all’aneddotica, cede fin troppo spesso<br />

alla tentazione di ironizzare, dal punto di<br />

vista del “comune buon senso”, ovvero<br />

della vita ordinaria, sugli aspetti speculativamente<br />

rilevanti della riflessione hegeliana,<br />

la dialettica in primo luogo. F.C.<br />

Tendenze provinciali<br />

Con il suo ottavo numero la rivista<br />

TELLUS. QUADRIMESTRALE DI CRITICA DELLA<br />

CULTURA delinea il proprio manifesto,<br />

indagando intorno alla possibilità e al<br />

significato di un “pensiero provinciale”.<br />

Ne risulta una caratterizzazione<br />

della “provincia” non come ritorno a<br />

mitiche radici, ma come luogo a partire<br />

dal quale sembra ancora possibile<br />

esercitare la problematizzazione, continuata<br />

e perseverante, del senso comune.<br />

Questa prospettiva viene tematizzata<br />

a partire dal testo di Martin<br />

Heidegger, PERCHÉ RESTIAMO IN PROVIN-<br />

CIA?, e da scritti di Marco Baldino, Luisa<br />

Bonesio, Aldo Bonomi, Giorgio<br />

Frank, Caterina Resta, Saverio Xeres.<br />

Marco Baldino, direttore di Tellus, sottolinea<br />

come la nozione di provincia rinvii a<br />

una dimensione minore dell’esistenza, che<br />

ha i caratteri della domesticità e della privatezza:<br />

domus e idios. La nozione di provincia<br />

è stata tematizzata da Martin Heidegger,<br />

da lui eretta a fondamento di un nuovo<br />

compito planetario del pensiero. Contro<br />

l’interpretazione di Theodor Wiesengrund<br />

Adorno, che vi legge solo una nostalgia<br />

premacchinistica, Baldino sottolinea il nesso<br />

di questo concetto con la questione della<br />

tecnica, e più in generale con quella della<br />

rifondazione dell’esserci storico europeo,<br />

a fronte del progetto mondializzante della<br />

tecnica, culmine della prospettiva metafisica.<br />

La nozione di provincia appare, per<br />

Baldino, non solo come luogo di partenza<br />

per una maggiore penetrazione nella Seinsfrage,<br />

ma anche per chiarire il senso dello<br />

heideggeriano “nuovo inizio”, che si di-<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

spiega, come autentica necessità teoretica,<br />

dinanzi al declino della vecchia complicità,<br />

e complementarietà, di polis ed episteme.<br />

L’obiettivo di Heidegger, molto evidente<br />

nel discorso di rettorato del 1983, è quello<br />

di rovesciare il rapporto esistente tra ragione,<br />

università e scienza. Se il progetto moderno<br />

dissolve la scienza in una serie di<br />

saperi specialistici, organizzati socialmente<br />

dal sistema dell’industria universale, a<br />

esso Heidegger oppone la pratica di un<br />

pensiero del “rovescio”, la cui radicalità,<br />

anche secondo Caterina Resta, non fu<br />

compresa da Adorno. Quest’ultimo interpretò<br />

il tentativo di esporre la scienza all’idio-maticità<br />

della ripetizione ontologica<br />

come una nefasta concessione alla cultura<br />

Blut und Boden. Ciò che per Adorno è la<br />

tara dello heideggerismo, cioè il “gergo<br />

dell’autenticità”, costituisce invece la lingua<br />

dell’idios, di ciò che sta a parte, ed è<br />

perciò intraducibile; così come non traducibile,<br />

non urbanizzabile, è la “provincia”<br />

heideggeriana, quell’Ort che, come punto<br />

di convergenza e raccoglimento, diventa<br />

per Heidegger il centro unitario di ogni<br />

esperienza, dell’apertura del mondo dell’esserci.<br />

Ciò a cui Heidegger si riferisce con il<br />

concetto di provincia, osserva Resta, non è<br />

un nostalgico ritorno a un radicamento<br />

ormai impossibile, per esempio su base<br />

etnica, ma un nuovo criterio di appartenenza,<br />

la cui base è “etica”; laddove ethos vale<br />

come “soggiorno”, luogo dove si abita, il<br />

punto di convergenza e di raccolta delle<br />

coordinate dell’abitare.<br />

Accanto alla nozione heideggeriana di provincia,<br />

l’intervento di Luisa Bonesio mette<br />

in gioco autori come Oswald Spengler,<br />

Robert Pogue Harrison, Walter Benjamin,<br />

Ernst Jünger. La provincia è per<br />

Spengler il paesaggio materno dell’intero<br />

Occidente, succube del discorso della città,<br />

cioè della monumentalizzazione; l’imperialismo<br />

livellatorio della lingua crea la<br />

provincia come sottoprodotto della metropoli.<br />

Citando Harrison, Bonesio ricorda<br />

che la pietra della città non è quella della<br />

campagna, di cui esiste un’”altra faccia”,<br />

un lato nascosto; questa pietra, quando<br />

viene estratta dal terreno rivela il brulichìo<br />

silenzioso della vita di “terra, radici e vermi”,<br />

che si svolgeva sotto il sasso quando<br />

esso, prima di essere smosso dalla sua<br />

terra, era ancora parte di un oscuro paesaggio<br />

naturale. Ernst Jünger rende obsoleta<br />

l’opposizione di città e provincia nella considerazione<br />

che la tecnica macina tutte le<br />

pietre, sia naturali che monumentali, trasformando<br />

tutto il paesaggio umano in un<br />

immenso deserto di rovine. La “provincia”<br />

diventa dunque «quel limite costitutivo di<br />

ambiente naturale, di selva, sparendo il<br />

quale sparirebbe l’oikos umano». A questo<br />

punto, secondo Bonesio, si incontra Benjamin,<br />

che con la sua archeologia pare dar<br />

vita all’unico sapere possibile nell’epoca<br />

in cui tutto, compresa la natura, è anticipa-<br />

30<br />

tamente prodotto come rovina. Qui, osserva<br />

Bonesio, il limite dell’”officina mondiale”,<br />

della prospettiva totalizzante del<br />

progetto planetario della tecnica, diventa<br />

non più la “provincia”, ma la natura medesima.<br />

Il tema della provincia si connette a quello<br />

del silenzio nella riflessione di Saverio<br />

Xeres, che prende le mosse dalla celebre<br />

lirica montaliana I limoni. Xeres teorizza il<br />

fatto che l’ascolto del palpito che pulsa<br />

sotto la crosta del quotidiano, cioè sotto<br />

l’ambito della pura chiacchiera, o il vuoto<br />

di parole che si crea intorno a un evento<br />

limite, come può essere la morte, possano<br />

restituire al mondo il suo incanto; in ciò<br />

risiedono l’essenza e il ruolo della provincia.<br />

All’opposto, Aldo Bonomi, che pure<br />

coglie nel silenzio il tratto caratteristico<br />

della grande periferia, vi scorge non la base<br />

per un reincantamento del mondo, bensì il<br />

silenzio del sociale, l’incapacità di comunicazione<br />

di una società stanca e disanimata.<br />

Soluzione di ciò è il modello dell’esodo,<br />

nel riconoscimento di sé come esseri senza<br />

radici che si realizzano nell’ “andare”, unico<br />

fondamento per una qualche forma di<br />

pratica sociale, una qualche prassi datrice<br />

di senso.<br />

La “teologia del paradosso” di Giorgio<br />

Frank riconduce più esplicitamente il discorso<br />

sul piano della riflessione filosofica.<br />

Frank sostiene che la gratuità dell’esistenza<br />

non è solo l’esito più estremo del nichilismo,<br />

ma anche lo stigma dell’essere nell’epoca<br />

della morte di Dio. L’uomo sperimenta<br />

tale “gratuità”, quotidianamente,<br />

nell’esperienza del silenzio di Dio; a partire<br />

da questo silenzio nasce l’indicazione<br />

relativa a un pensare che non potrà essere<br />

se non un pensiero del Dio silenzioso e<br />

gratuito, cioè infondato, perché un Dio che<br />

non fonda l’esistenza umana non fonda<br />

nemmeno se stesso. In altri termini, se da<br />

un lato l’esercizio del pensiero comporta<br />

oggi la consapevolezza del disincanto del<br />

mondo, dall’altro esso ricerca la possibilità<br />

di rapportarsi non più al Dio della metafisica,<br />

quello che un tempo parlava e ora tace,<br />

ma al volto di un Dio che parla attraverso il<br />

suo tacere. F.C.<br />

Sociologia della conoscenza<br />

e civiltà moderna<br />

Due opere recentemente pubblicate<br />

in Germania propongono una riflessione<br />

su alcuni momenti della storia<br />

della sociologia della conoscenza,<br />

che rinnova la tendenza di un possibile<br />

contributo di tale disciplina alla<br />

comprensione della società attuale.<br />

Si tratta dello studio di Wolfgang<br />

Engler, SELBSTBILDER. DAS REFLEXIVE<br />

PROJEKT DER WISSENSSOZIOLOGIE (Immagini<br />

di sé. Il progetto riflessivo della<br />

sociologia della conoscenza, Aka-


demie Verlag, Berlin 1992) e di quello<br />

di Stefan Breuer, DIE GESELLSCHAFT<br />

DES VERSCHWINDENS. VON DER SELBST-<br />

ZERSTÖRUNG DER TECHNISCHEN ZIVILISA-<br />

TION (La società dell’eclissarsi. L’autodistruzione<br />

della civilizzazione<br />

della tecnica, Junius Verlag, Hamburg<br />

1992).<br />

La precedente opera di Wolfgang Engler,<br />

Die zivilisatorische Lücke (La lacuna civilizzatrice,<br />

Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1992)<br />

era dedicata al tentativo di comprendere lo<br />

sviluppo di quelle che erano le società del<br />

socialismo di stato alla luce della teoria<br />

della civilizzazione di Norbert Elias. Diversamente<br />

dall’Europa dell’Ovest, con il<br />

suo principio di una “civilizzazione riflessiva”,<br />

l’Europa dell’Est sarebbe caratterizzata<br />

da una “civilizzazione autodistruttiva”,<br />

in cui l’autogoverno degli individui<br />

veniva ottenuto solo con proibizioni e al<br />

prezzo dell’inefficienza. Tale caratteristica<br />

avrebbe reso queste società più fragili e<br />

suscettibili di un ritorno a forme di barbarie,<br />

nello sviluppo di un modello di organizzazione<br />

sociale che per Elias era già<br />

operante nello stato autoritario guglielmino.<br />

Il nuovo libro di Engler, Selbstbilder,<br />

torna in diversi punti su questo problema:<br />

non nel senso di un approfondimento, ma<br />

piuttosto nel tentativo di precisare il concetto<br />

di “civilizzazione riflessiva” all’interno<br />

di una discussione di questioni e<br />

momenti di quel ramo della sociologia detto<br />

“sociologia della conoscenza”.<br />

Engler presenta anzitutto la fondazione della<br />

sociologia della conoscenza da parte di<br />

Karl Mannheim, caratterizzando la prospettiva<br />

della sua ricerca come “sguardo<br />

della ragione sulla propria struttura”. Segue<br />

un saggio dedicato a Elias, di gran<br />

lunga l’allievo più celebre di Mannheim.<br />

Qui Engler osserva che le tendenze alla<br />

razionalizzazione, contenute nel concetto<br />

di civilizzazione di Elias, implicano sul<br />

piano pubblico il rischio di una catastrofe<br />

ecologica e sul piano privato quello del<br />

venir meno della capacità di imparare da<br />

parte del soggetto: «Un essere completamente<br />

civilizzato intrattiene un rapporto<br />

parassitario con l’ecosistema e un rapporto<br />

repressivo con se stesso».<br />

Altri tre studi sono dedicati da Engler alla<br />

microsociologia (in particolare all’interazionismo<br />

simbolico) e all’opera di Pierre<br />

Bourdieu e di Michel Foucault. Il concetto<br />

foucaultiano della società disciplinare viene<br />

qui indicato come utile e fecondo per<br />

l’analisi dello stato-partito e dello stato di<br />

polizia delle società dell’Europa orientale.<br />

Alcuni dei pensatori presenti nel libro di<br />

Engler si ritrovano anche in Die Gesellschaft<br />

des Verschwindens di Stefan Breuer,<br />

una raccolta di saggi per lo più già apparsi<br />

in riviste. Elias, Foucault, Adorno, Luhmann,<br />

F.G. Jünger e Virilio vengono presi<br />

in considerazione in quanto teorici e studiosi<br />

della società, in una prospettiva ispirata<br />

fondamentalmente alle posizioni della<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

Scuola di Francoforte. Importante è anche<br />

il riferimento all’antropologo francese<br />

Claude Lévi-Strauss. Sulla base di questi<br />

riferimenti teorici Breuer analizza la società<br />

moderna come società della tecnica. Tesi<br />

di fondo della sua opera è che la tecnica<br />

moderna rappresenta il motore di uno sviluppo<br />

che si sostituisce alle antiche concezioni<br />

dell’assoluto: «L’assoluto c’è, deve<br />

solo essere pensato diversamente: non come<br />

grande soggetto o come spirito, non come<br />

ordine che riposa su se stesso e nemmeno<br />

come struttura di norme e istituzioni, ma<br />

piuttosto come processo autopoietico con<br />

conclusione catastrofica (...). Il sistema<br />

sociale non è, come volentieri si presenta,<br />

superamento del caos, ma è solo il metodo<br />

di produrre il caos più velocemente di quanto<br />

sarebbe possibile secondo le leggi dello<br />

sviluppo spontaneo». M.M.<br />

La morale ineffabile<br />

In corrispondenza dell’uscita in librerie<br />

delle loro rispettive opere, LE CRÉPU-<br />

SCULE DU DEVOIR, (Il crepuscolo del dovere,<br />

Gallimard, Parigi 1992) e UNE MO-<br />

RALE SANS MORALISME (Una morale senza<br />

moralismo, Flammarion, Parigi<br />

1992), le opinioni sulla morale contemporanea<br />

di due filosofi agli antipodi<br />

per concezione e tradizione di pensiero:<br />

Gilles Lipovetsky, teorico dell’individualismo<br />

e di una società postmorale,<br />

e Jean-Marie Domenach, un<br />

vecchio discepolo di Emmanuel Mounier,<br />

hanno trovato spazio sulle pagine<br />

del settimanale di cultura “L’Evenement<br />

du Jeudi” (3-9 dicembre 1992).<br />

Il proposito del libro di Gilles Lipovetsky<br />

è quello di stabilire le condizioni di funzionamento<br />

di un’etica nelle società democratiche,<br />

dove i valori individuali e il diritto al<br />

benessere danno le direttrici ai comportamenti<br />

e forniscono legittimità alla macchina<br />

politica; la società post-morale e quella<br />

propria di un’ «epoca dove il dovere è<br />

edulcorato, reso anemico, dove l’idea del<br />

sacrificio del sé risulta socialmente delegittimato,<br />

dove la morale non esige più di<br />

devolversi ad un fine superiore, dove le<br />

lezioni di morale sono coperte dagli spots<br />

del viver meglio, dal sole delle vacanze, dal<br />

divertimento mediatico». D’altra parte è<br />

proprio sulla base di questa cultura individualista<br />

ed edonista che si aprono le contraddizioni<br />

maggiori negli ambiti in cui si<br />

incontrano l’interesse collettivo e quello<br />

privato: l’ecologia, l’utilizzo delle tecnologie.<br />

Dove insomma si pone l’esigenza di<br />

stabilire delle norme, la risposta sembra<br />

andare nel senso della riproposizione di<br />

comportamenti manichei e fondamentalisti.<br />

Operando una ricognizione che è più storica<br />

che filosofica, Lipovetsky si interessa<br />

31<br />

soprattutto alla messa in scena della moralità<br />

nella società mediatica: gli spettacoli a<br />

favore di iniziative umanitarie, la tele-solidarietà;<br />

atteggiamenti che rivelano la spettacolarizzazione<br />

dell’impegno e la sua trasformazione<br />

in una morale minimalista,<br />

“indolore”.<br />

Per quanto convinto che una certa cultura<br />

sacrificale della morale sia finita, Jean-<br />

Marie Domenach sostiene che l’apprezzamento<br />

del grado di moralità di una democrazia<br />

non si misura con i dati sociologici,<br />

né con gli strumenti della statistica, ribadendo<br />

che parlare di morale indolore significa<br />

rinunciare al concetto di responsabilità<br />

che è implicito in qualsiasi atto morale.<br />

Dell’attuale impasse sarebbe responsabile<br />

l’individualismo contemporaneo: non si dà<br />

morale se non nel legame che si vuole<br />

stabilire con l’altro, ma - per evitare che<br />

essa si trasformi in moralismo, che imponga<br />

dei comportamenti e non delle scelte - si<br />

deve essere consapevoli che la morale è un<br />

prodotto e una realizzazione storica e vive,<br />

oltre che negli atteggiamenti degli individui,<br />

nelle loro forme politiche, nel diritto,<br />

nella deontologia delle professioni. I valori<br />

sono dunque depositati nelle istituzioni storiche<br />

dei popoli e hanno sempre il significato<br />

di un compromesso con un’epoca e<br />

una società determinata.<br />

In un’unica conclusione sembrano ritrovarsi<br />

i due autori: la politica delle responsabilità<br />

è il nome laico che assume l’impegno<br />

morale nei confronti dei fanatismi. E.N.<br />

Il paradosso<br />

del pensiero occidentale<br />

Il volume collettivo a cura di Paul Geyer<br />

e Roland Hagen Büchle, DAS PARADOX.<br />

EINE HERAUSFORDERUNG DES ABENDLÄNDI-<br />

SCHEN DENKENS (Il paradosso. Una sfida<br />

del pensiero occidentale, Stauffenburg<br />

Verlag, Tübingen 1992) presenta<br />

un’analisi di carattere interdisciplinare<br />

di un fenomeno che da tempo incluso<br />

tra le chiavi di lettura della modernità<br />

mostra di non essere più solo<br />

oggetto esclusivo di ricerca retorica,<br />

logica e filosofica.<br />

Cosa sono i paradossi? Come hanno origine?<br />

In cosa si distinguono da fenomeni<br />

analoghi? Qual è il rapporto tra il concetto<br />

di paradosso usato dalla logica in senso<br />

“tecnico” (l’antinomia) e l’uso più ampio<br />

che di questo concetto o figura retorica<br />

viene fatto da altre discipline, come la<br />

letteratura e l’arte? Il volume collettivo<br />

Das Paradox, che raccoglie gli interventi<br />

presentati ad un recente convegno sul tema:<br />

“Fenomenologia dei paradossi. Sullo sviluppo<br />

storico di una forma dello stile e del<br />

pensiero”, tenutosi presso l’università cattolica<br />

di Eichstätt, cerca di dare una risposta<br />

a questa e ad altre domande, sia presen-


tando analisi di carattere sistematico e teoretico,<br />

sia attraverso ricostruzioni della storia<br />

del concetto, della parola e del problema.<br />

La parte sistematica del volume raccoglie<br />

contributi di carattere filosofico, teologico,<br />

psicologico, retorico, logico, biologico e di<br />

filosofia del linguaggio, preceduti da due<br />

interventi dedicati a questioni più generali,<br />

che possono servire da introduzione agli<br />

studi su temi più specifici: quello di Gerhard<br />

Vollmer, sul rapporto tra paradossi<br />

e antinomie, e quello di Henrich Plett, che<br />

ricostruisce la tradizione retorica del concetto<br />

di paradosso. Mentre gli interventi<br />

raccolti nella parte storica coprono un arco<br />

di tempo che va dall’antichità greca e romana<br />

ai “testi post-moderni” e alla “letteratura<br />

post-mimetica”. Preminenti sono qui<br />

studi dedicati a temi come il “paradosso<br />

mistico” e l’“esistenza religiosa”.<br />

La ricchezza e l’ampiezza dei materiali<br />

presentati nel volume danno un’idea della<br />

complessità e problematicità della discussione<br />

sul paradosso. Una complessità che<br />

sembra smentire una certa tendenza alla<br />

stilizzazione e alla semplificazione presente<br />

nell’introduzione al volume, in cui,<br />

sotto il poco modesto titolo di “Fondazione<br />

storico-sistematica”, si legge tra<br />

l’altro: «Il paradosso è una figura della<br />

resistenza contro la presa del potere di<br />

un sistema di pensiero chiuso. La storia<br />

di questa resistenza è anche una storia<br />

del pensiero occidentale, una storia per<br />

così dire dal basso». M.M.<br />

Filosofia della mente<br />

«Qual è la relazione tra la vita mentale<br />

di un uomo e gli eventi del suo cervello?»<br />

Questa domanda, tanto semplice<br />

nella sua formulazione, quanto complessa<br />

per il groviglio di problemi a cui<br />

direttamente ci introduce, è il risultato<br />

emblematico, potremmo dire, dell’incontro<br />

di tradizionali questioni filosofiche<br />

con i risultati ottenuti in varie<br />

discipline scientifiche, tra cui la neurofisiologia,<br />

la psicologia, la cibernetica<br />

e la linguistica. In questo ambito di<br />

riflessione, comunemente caratterizzato<br />

come filosofia della mente, rientrano<br />

alcuni recenti studi, oggi disponibili<br />

in traduzione italiana: CONTENUTO<br />

E COSCIENZA (trad. di G. Mugnaio, Il<br />

Mulino, Bologna 1992) di Daniel C.<br />

Dennet; LA NATURA DELLA MENTE E LA<br />

STRUTTURA DELLA SCIENZA - UNA PROSPETTI-<br />

VA NEUROCOMPUTAZIONALE (trad. di G.<br />

Farabegoli, introd. di R. Luccio, Il Mulino,<br />

Bologna 1992) di Paul M. Churchland;<br />

FILOSOFIA DELLA MENTE (trad. di M.<br />

Salucci, Il Mulino, Bologna 1992) di<br />

William Bechtel; LA MENTE DELL’UOMO<br />

(trad. di M. Ricucci, Il Mulino, Bologna<br />

1992) di Anthony J. Sanford.<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

In questo suo nuovo volume Daniel C.<br />

Dennett, noto studioso, che da tempo si<br />

occupa di I. A. (Intelligenza Artificiale),<br />

propone la “tesi centralista” come tentativo<br />

di mediare un approccio intenzionale allo<br />

studio della mente con l’esigenza ineliminabile<br />

della costruzione di teorie estensionali<br />

e modelli matematici in grado di descrivere<br />

gli eventi mentali più diversi con<br />

un linguaggio “scientifico” e non solo “personalistico”.<br />

Come osserva Riccardo Luccio nell’Introduzione<br />

al testo, Paul M. Churchland,<br />

filosofo americano, «incarna in modo quasi<br />

eccessivo l’anima del materialismo eliminativista»,<br />

presentando con entusiasmo<br />

e ottimismo in questo suo nuovo lavoro una<br />

forte teoria connettivista che vede il pensiero<br />

come proprietà emergente dall’autorganizzazione<br />

di una mente concepita come<br />

rete di unità profondamente interconnesse.<br />

Churchland costruisce un paradigma cognitivo,<br />

da sostituire a quello enunciativo<br />

della psicologia del senso comune, fondato<br />

sulle neuroscienze: la mente viene interpretata<br />

in termini di reti neurali e le virtù<br />

sovraempiriche della teoria, come la semplicità,<br />

la chiarezza, la coerenza e il potere<br />

esplicativo sono di fatto caratteristiche di<br />

funzionamento delle reti neurali.<br />

Il materialismo eliminativista di Churchland<br />

è tutt’altro che un rozzo meccanicismo<br />

e si avvicina molto a quello che nel<br />

panorama della filosofia della mente , soprattutto<br />

americana, prende il nome di<br />

“emergentismo”; con quest’ultimo si sostiene<br />

l’impossibilità di parlare di mente<br />

se la complessità strutturale del sistema<br />

nervoso che si considera si pone al di sotto<br />

di un certo livello critico. Il punto di partenza<br />

è il modello di sistema nervoso preconizzato<br />

da Hebb nel 1949, modello che<br />

prevede la capacità dei neuroni di unirsi in<br />

gruppi chiamati “assembramenti cellulari”;<br />

il funzionamento del sistema si collega<br />

non ai singoli neuroni, ma ad interi assembramenti,<br />

o a più assembramenti in “sequenza<br />

di fase”.<br />

Sia Churchland che Dennett contribuiscono,<br />

più o meno consapevolmente, a far<br />

luce sull’evoluzione del problema mente/<br />

corpo, a partire dagli anni ’60 in poi, come<br />

lotta tra una forma radicale di materialismo<br />

monistico eliminazionista (teoria dell’identità),<br />

una riaffermazione del dualismo<br />

(con alla testa personaggi come Popper<br />

ed Eccles), l’emergentismo (che forse<br />

è solo una sottospecie della teoria dell’identità)<br />

e infine le posizioni funzionalistiche<br />

di Putnam e Johnson-Laird, popolari<br />

tra gli psicologi cognitivisti e che trovano<br />

oggi in Jerry Fodor il loro più lucido e<br />

provocatorio fautore.<br />

Intento, e conseguentemente impostazione<br />

totalmente diversa, hanno i lavori di William<br />

Bechtel e Anthony J. Sanford. Bechtel,<br />

filosofo americano, sceglie di scrivere<br />

in questo suo nuovo studio per i “non<br />

addetti ai lavori” e tenta un semplice e<br />

32<br />

introduttivo approccio storico al problema<br />

della mente, passando attraverso la filosofia<br />

antica di Platone e Aristotele, la tradizione<br />

scolastica di Ockham, i classici della<br />

filosofia moderna come Descartes, Locke,<br />

Leibniz, Kant, per arrivare alla problematica<br />

contemporanea, ampliatasi notevolmente<br />

grazie ai risultati raggiunti dalle varie discipline<br />

scientifiche e grazie a filosofi come<br />

Wittgenstein, Dennett, Davidson, Putnam<br />

ecc. Anche in Bechtel, come in Dennett, si<br />

sente l’esigenza di guardare in una prospettiva<br />

unificante gli esiti della logica, della<br />

filosofia del linguaggio, della psicologia e<br />

delle neuroscienze, senza trascurare l’importanza<br />

che il metodo e le teorie filosofiche<br />

rivestono per la scienza cognitiva.<br />

Il lavoro di Sanford ha invece il carattere di<br />

una introduzione alla psicologia cognitiva<br />

più che alla filosofia della mente in generale;<br />

punto di partenza è il tema ormai classico<br />

del “comprendere la comprensione umana”,<br />

tema che l’autore tratta attraverso vari<br />

approcci sperimentali e introspettivi, esplorando<br />

le aree dell’attenzione, del ragionamento,<br />

dell’apprendimento e della memoria.<br />

La mente viene trattata come sistema di<br />

elaborazione delle informazioni e Sanford<br />

si preoccupa di illustrarne i meccanismi di<br />

comprensione del linguaggio e del pensiero<br />

attraverso strumenti come l’analogia, le<br />

rappresentazioni mentali e varie procedure<br />

di semplificazione.<br />

Sanford ci invita a mettere in dubbio le<br />

nostre certezze conoscitive, a renderci consapevoli<br />

della fallibilità della ragione umana<br />

attraverso una più profonda conoscenza<br />

dei nostri modelli di comprensione del<br />

mondo; in sostanza non dobbiamo confondere<br />

la sensazione intuitiva della certezza<br />

con la “verità”, perché questo rischia di<br />

limitare le nostre stesse capacità conoscitive.<br />

In ultima analisi Sanford illustra l’utilità<br />

pratica della conoscenza della mente:<br />

i vantaggi concreti nella vita quotidiana<br />

dell’uomo comune e contemporaneamente<br />

il maggior rigore metodologico dello<br />

scienziato. S.B./S.L.<br />

Coerenza di Nietzsche<br />

Davanti alla molteplicità, al carattere<br />

spesso contraddittorio dell’opera di<br />

Friedrich Nietzsche, la critica ha cercato<br />

di dare un ordine, classificando<br />

sotto diverse “stagioni” il pensiero di<br />

un filosofo che arrivava a sostenere:<br />

«Io non sono un uomo, sono della<br />

dinamite». A rivendicare l’unità e la<br />

fondamentale coerenza dei suoi testi<br />

sono due saggi di recente pubblicazione<br />

in Francia: EXPLOSION I. DE L’ECCE<br />

HOMO DI NIETZSCHE di Sarah Kofman<br />

(Esplosione, I vol. l’Ecce Homo di<br />

Nietzsche, Galilée, Paris <strong>1993</strong>) e NIETZ-<br />

SCHE ET LE DÉPASSEMENT DE LA MÉTHAPHISI-<br />

QUE (Nietzsche e il superamento della


metafisica, Gallimard, Paris <strong>1993</strong>), di<br />

Michel Haar.<br />

Torino 1888. Quando si accinge a scrivere<br />

l’Ecce Homo Friedrich Nietzsche ha già<br />

portato a termine l’opera di demolizione<br />

della categoria di soggetto; abbandonata<br />

l’illusione di un sé, un luogo puntuale dove<br />

le diversità si organizzano in un identico, sa<br />

che il molteplice e il contraddittorio dell’esistenza<br />

individuale può essere tenuto<br />

assieme soltanto dall’impianto della scrittura.<br />

A questo artificio d’ordine Nietzsche<br />

sembra rinunciare, col rischio di restare<br />

inaudito. Così, anche nella forma, Ecce<br />

Homo è qualcosa di diverso da una autobiografia:<br />

nessuna linearità; un testo “esploso”,<br />

come lo presenta Sarah Kofman, che<br />

«mette in pericolo il mondo», secondo quanto<br />

afferma Nietzsche stesso in questa sua<br />

ultima riflessione sul sé, prima di perdersi,<br />

di errare per i territori della follia.<br />

Di fronte alla “coerenza senza unità”<br />

dell’opera nietzscheana, all’esegesi non<br />

è rimasta che la risorsa di dare valore<br />

fondativo, di innalzare a principi alcune<br />

finzioni: la volontà di potenza, il Superuomo,<br />

l’Eterno ritorno; senza considerare<br />

il fatto che nessuna di queste vuole,<br />

né può generare un orizzonte che possa<br />

valere come normativo o legittimante.<br />

Come rileva Michel Haar nel suo recente<br />

studio: Nietzsche et le dépassement de<br />

la métaphisique, la stessa lettura di<br />

Heidegger, che fa di Nietzsche il compimento<br />

della metafisica nel momento in<br />

cui ne rovescia le categorie e denuncia il<br />

platonismo fondamentale di ogni costrutto<br />

metafisico, mantiene il pensiero nietzscheano<br />

all’interno dello stesso orizzonte<br />

che tale pensiero voleva sovvertire.<br />

Haar è invece convinto che la posizione<br />

di Nietzsche «non si riduce ad un controplatonismo»,<br />

dal momento che il corpo<br />

(la grande ragione, come dice Zarathustra)<br />

e le sue energie pulsionali, nel momento<br />

in cui producono i valori, nascondono<br />

la loro origine e il loro cominciamento<br />

assoluto. Il “mondo dietro il mondo”<br />

rimane definitivamente insondabile,<br />

mentre l’esistenza vive nel gioco delle<br />

apparenze. Il “sì alla vita” nietzscheano,<br />

conclude Haar nella sua prefazione, è<br />

la forza di assumere la necessità dell’imperfezione,<br />

del negativo e infine del dolore,<br />

con quel sentimento di “tragica gioia”<br />

che, del tutto, vuole l’eternità. E.N.<br />

Marxismo ed ecologia<br />

Tra i tentativi di rivisitare il pensiero<br />

marxiano alla luce delle problematiche<br />

contemporanee, uno dei più interessanti<br />

è certo quello “ecomarxista”.<br />

A partire dalla pubblicazione<br />

del saggio di James O’ Connor su<br />

CAPITALISME, NATURE, SOCIALISM (1988;<br />

trad. it. L’ecomarxismo. Introduzio-<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

ne ad una teoria, Roma 1989), gli<br />

studi sull’argomento si sono moltiplicati.<br />

Tra i più recenti segnaliamo<br />

quelli contenuti nel “Dossier” del n.<br />

<strong>12</strong> di “Actuel Marx” (II semestre<br />

1992), dedicato a L’ÉCOLOGIE, CE MA-<br />

TÉRIALISME HISTORIQUE, e nei nn. 6 e 7<br />

della rivista “Capitalismo Natura<br />

Socialismo” (ed. it. di “Capitalism,<br />

Nature, Socialism”, fondata nel 1988<br />

dallo stesso O’ Connor).<br />

La questione fondamentale attorno alla<br />

quale ruotano molti dei saggi qui esaminati<br />

è la seguente: la responsabilità del dissidio<br />

storicamente verificatosi tra marxismo ed<br />

ecologia è da imputare al fondatore del<br />

materialismo storico o ai suoi prosecutori,<br />

che non avrebbero sviluppato gli spunti<br />

“ecologisti” contenuti nella sua critica al<br />

capitalismo? Gli intervenuti propendono<br />

generalmente per la seconda ipotesi, tendendo<br />

ad assolvere Karl Marx dall’accusa<br />

di aver portato alle estreme conseguenze il<br />

mito prometeico del produttivismo e riconoscendo<br />

la capacità del marxismo, previo<br />

l’innesto sul suo tronco di altri filoni del<br />

pensiero contemporaneo (Weber, Polany,<br />

Habermas, Elias, Hayek, Durkheim, Levi-<br />

Strauss) e la rimozione degli aspetti più<br />

caduchi della dottrina, a fondare una critica<br />

ecologica della società, i cui prodromi si<br />

ritroverebbero già nei marxiani Manoscritti<br />

economico-filosofici del ‘44.<br />

In particolare, in “Actuel Marx”, Ted Benton<br />

(“Marxisme et limites naturalles: critique<br />

et reconstrution écologiques”) ritiene<br />

che Marx ed Engels, nonostante il loro<br />

“naturalismo” e “materialismo”, abbiano<br />

trascurato il fatto che il lavoro non è solo<br />

“trasformazione”, ma anche “appropriazione”<br />

delle risorse naturali: anch’esse dunque<br />

andrebbero riprodotte, e non solo sfruttate;<br />

tuttavia il programma marxiano di<br />

“ecologia della specie umana” contiene in<br />

sé gli elementi per una critica ecologica e<br />

sociale del capitalismo. Dello stesso avviso<br />

è anche Jacques Bidet (“Y a-t-il une<br />

écologie marxiste?”), il quale attribuisce le<br />

“carenze ecologiche” del marxismo alla<br />

sottovalutazione del mercato e all’utopia di<br />

una sua sostituzione integrale da parte della<br />

pianificazione, riassumendo le argomentazioni<br />

contenute nella sua recente Théorie<br />

de la modernité (trad. it. Teoria della modernità,<br />

Editori Riuniti, Roma 1992).<br />

James O’ Connor (“La seconde contradiction<br />

du capitalisme: cause et consequences”)<br />

analizza invece lo sfruttamento indiscriminato<br />

dell’ambiente come elemento<br />

decisivo per sostenere gli alti tassi di sviluppo<br />

attuali, ma nello stesso tempo anche<br />

causa del sorgere di una serie di movimenti<br />

di opposizione al sistema in tutto il mondo.<br />

La contraddizione tra produzione e natura,<br />

alla quale O’ Connor attribuisce le ricorrenti<br />

“crisi da domanda” e “crisi da aumento<br />

dei costi” del sistema economico contemporaneo,<br />

è stata al centro del dibattito<br />

anche nel n. 6 di “Capitalismo Natura So-<br />

33<br />

cialismo”, con interventi tra gli altri di<br />

Amin, Altvater, Lebowitz; alcuni ritengono<br />

non più praticabile la proposta di<br />

soluzione al problema presentata dallo stesso<br />

O’ Connor, consistente nell’attribuire<br />

allo Stato un ruolo sempre maggiore nella<br />

programmazione economica, dopo le esperienze<br />

negative di questo secolo. Del resto<br />

è naturale che proprio nel passaggio dall’analisi<br />

teorica al piano pratico i contrasti<br />

si manifestino più acuti; così in “Actuel<br />

Marx”, André Gorz (“L’ecologie politique<br />

entre expertocratie et autolimitation”)<br />

vede il movimento ecologico diviso tra<br />

un’ala tecnocratica (raccolta intorno al “club<br />

di Roma”), che intende imporre dall’alto<br />

comportamenti ecocompatibili in nome di<br />

principi sedicenti scientifici (erede in questo<br />

del peggiore “diamat”), ed un’ala democratica<br />

che vuole lottare contro lo sfruttamento<br />

capitalista di natura ed individui,<br />

con l’obiettivo di una società autogestita<br />

sulla base dell’autolimitazione di bisogni e<br />

consumi, secondo un “principio di sufficienza”<br />

che garantisca a tutti maggiore<br />

libertà, sicurezza e tempo libero. Analogamente,<br />

in “Capitalismo Natura Socialismo”,<br />

Fabio Giovannini (“La democrazia fa bene<br />

all’ambiente”) intende opporsi a quella parte<br />

del movimento ecologico che ritiene irrilevante<br />

la scelta tra democrazia ed autoritarismo<br />

quali mezzi per salvare il pianeta; la<br />

seconda opzione può richiamarsi da un<br />

punto di vista teorico alle tesi di Hans<br />

Jonas (Il principio responsabilità, Torino<br />

1979) e Vittorio Hösle (Filosofia della<br />

crisi ecologica, Torino 1992), che giunge<br />

perfino ad ipotizzare l’avvento di un “ecodittatore”.<br />

Sullo stesso numero di “Capitalismo Natura<br />

Socialismo” viene inoltre presentato e<br />

commentato il testo inedito di una conferenza<br />

tenuta da Herbert Marcuse all’Università<br />

di Berkeley nel ’79 (l’anno della sua<br />

morte), in cui, per spiegare gli opposti<br />

istinti umani alla difesa e alla distruzione<br />

della natura, il filosofo tedesco faceva ricorso,<br />

oltre all’economia, ai concetti freudiani<br />

di Eros e Thanatos, giungendo alla<br />

conclusione che quello ecologico è «un<br />

movimento politico e psicologico di liberazione».<br />

L’aspetto psicologico della questione<br />

è esaminato anche da Denis Duclos<br />

in “Actuel Marx” (“La nature: principale<br />

contradiction culturelle du capitalisme?”),<br />

che vede nella scomparsa della frontiera tra<br />

natura e cultura la conseguenza principale<br />

dello sforzo di conciliazione tra capitalismo<br />

ed ecologia, simboleggiato dal mitomostro<br />

del riciclaggio, moderno corrispondente<br />

di incesto e cannibalismo.<br />

Prosegue infine su “Capitalismo Natura<br />

Socialismo” la discussione intorno alla proposta<br />

di Giorgio Nebbia, presentata sul n.<br />

4 della stessa rivista, di un “manifesto per<br />

un’ecologia socialista”. Lo stesso Nebbia,<br />

insieme a Tiziano Bagarolo, Giuseppe<br />

Prestipino, Laura Conti, recentemente<br />

scomparsa, e altri, interviene su “Marxismo<br />

ed ecologia” anche nel n. 10 di “Giano”,<br />

un’altra rivista da sempre attenta a<br />

queste tematiche, che sono state anche al


Diritto di replica:<br />

Sulla “Volontà di potenza”<br />

di Nietzsche<br />

La recente riedizione italiana a cura di<br />

Maurizio Ferraris e di Pietro Kobau, su<br />

suggerimento di Pier Aldo Rovatti, di<br />

un’opera postuma di Friedrich Nietzsche,<br />

LA VOLONTÀ DI POTENZA. SAGGIO DI<br />

UNA TRASVALUTAZIONE DI TUTTI I VALORI<br />

(Bompiani, Milano 1992), che riprende,<br />

rivedendola, la traduzione del 1927<br />

di Angelo Treves per l’editore Monanni<br />

di Milano, ha sollevato tra gli studiosi<br />

e gli interpreti dell’opera nietzscheana<br />

un’ampia polemica, dai toni<br />

talvolta aspri e intransigenti, che ha<br />

trovato spazio, a più riprese, sulle pagine<br />

di molti tra i maggiori giornali<br />

quotidiani italiani. Poiché crediamo che<br />

anche le polemiche, una volta composte,<br />

giovino alla comprensione di<br />

un’opera, di un pensiero, abbiamo raccolto<br />

e articolato qui di seguito in<br />

forma documentativa le obiezioni e<br />

considerazioni critiche intervenute in<br />

questa polemica, lasciando poi ad uno<br />

degli autori chiamati in causa, Maurizio<br />

Ferraris, la possibilità di un’ultima<br />

replica.<br />

Alla base della polemica vi è la vicenda<br />

editoriale tormentata, e per certi aspetti<br />

ancora oscura, che determinò e segnò<br />

profondamente, nel contesto del programma<br />

di edizione del Nachlass<br />

nietzscheano promosso dal “Nietzsche-Archiv”,<br />

la pubblicazione originaria<br />

di quest’opera in 1067 pseudoaforismi,<br />

apparsa per la prima volta nel<br />

1906, presso l’editore Naumann di Lipsia,<br />

con il titolo: Der Wille zur<br />

Macht. Versuch einer Umwerthung<br />

aller Werthe (“Taschenausgabe”,<br />

voll. IX e X), a cura di Elisabeth<br />

Förster Nietzsche, sorella del filosofo,<br />

e Peter Gast (pseudonimo di Heinrich<br />

Köselitz), discepolo e devoto amico di<br />

Nietzsche. Nel 1911 essa venne ristampata<br />

in edizione canonica, inalterata<br />

nel testo, ma ampliata negli apparati,<br />

presso l’editore Kröner di Stoccarda<br />

(“Gross-Oktav-Ausgabe”, voll. XV e<br />

XVI), a cura di Otto Weiss, già editore<br />

di Schelling.<br />

La controversia editoriale che condizionò<br />

quest’edizione fu determinata<br />

dal fatto che di quest’opera Nietzsche<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

aveva solo redatto, a partire dal 1885,<br />

una serie di dichiarazioni d’intenti,<br />

abbozzi programmatici e annunci di<br />

pubblicazione, predisponendo inizialmente<br />

a tale scopo una raccolta di 372<br />

frammenti, numerati e organizzati secondo<br />

una Rubrik. Su questo nucleo<br />

originario di materiali sono intervenuti<br />

i vari curatori, che interpretando l’intento<br />

di Nietzsche secondo presupposti<br />

e prospettive tra loro diversi, contingenti,<br />

se non talvolta vagamente<br />

difformi rispetto all’intenzione originaria<br />

del filosofo, hanno portato l’opera<br />

alla pubblicazione, adottando innanzitutto,<br />

come criterio strutturale,<br />

l’ordinamento tematico dei frammenti,<br />

e non quello cronologico-sistematico,<br />

e ampliando di conseguenza, sia in<br />

avanti, che indietro, il periodo di pertinenza<br />

del materiale. Così, nel 1901, si<br />

arriva alla pubblicazione, già con il<br />

titolo di Der Wille zur Macht, di una<br />

prima raccolta di 483 pseudoaforismi<br />

(dove peraltro non tutti i 372 frammenti<br />

ordinati da Nietzsche sono contenuti),<br />

curata da Peter Gast e da Ernst ed<br />

August Horneffer (“Gross-Oktav-Ausgabe”,<br />

vol. XV), a cui succede l’edizione<br />

definitiva, in 1067 pseudoaforismi<br />

(dove in misura ancora minore<br />

sono presenti i 372 frammenti originari),<br />

del 1906 e del 1911.<br />

Le controversie sull’autorità e validità<br />

dell’opera, e dunque sulle responsabilità<br />

dei curatori, che tali esiti editoriali<br />

già allora sollevarono, sono di fatto<br />

anche all’origine della polemica che<br />

oggi investe la recente riedizione italiana<br />

de La volontà di potenza,<br />

tanto più se si considera che l’edizione<br />

storico-critica dell’opera omnia di<br />

Nietzsche, avviata negli anni ’30 dalla<br />

stessa Elisabeth Förster Nietzsche presso<br />

l’editore Beck di Monaco di Baviera<br />

e ripresa negli anni ’60 da Giorgio Colli<br />

e Mazzino Montinari per l’editore Adelphi<br />

in Italia, Gallimard in Francia e de<br />

Gruyter in Germania, ha necessariamente<br />

assorbito nell’ordine cronologico<br />

dei Frammenti postumi<br />

(Nietzsche-Werke / Nietzsche, Opere)<br />

la compilazione degli stessi confluita<br />

in origine nelle varie edizioni<br />

di Der Wille zur Macht, sgretolando<br />

l’identità di quest’opera.<br />

Proprio in relazione a quest’ordine di<br />

considerazioni si è sviluppata una delle<br />

principali obiezioni che hanno caratterizzato<br />

la polemica intorno alla<br />

riedizione de La volontà di potenza,<br />

proposta da Maurizio Ferraris e<br />

Pietro Kobau.<br />

L’ “operazione editoriale”, come è stata<br />

definita questa riedizione, è apparsa<br />

di fatto, pur se storicamente lecita, non<br />

sufficientemente caratterizzata in senso<br />

storico-documentario, dopo che<br />

l’edizione storico-critica di Colli e Montinari<br />

(quest’ultimo, peraltro, non ave-<br />

34<br />

va tuttavia escluso l’ipotesi di una pubblicazione<br />

separata, come documento<br />

storico, de La volontà di potenza)<br />

aveva sancito, in forma filologicamente<br />

rigorosa, il testo, la cronologia e<br />

l’ambito tematico di pertinenza di ciascun<br />

frammento all’interno della produzione<br />

di pensiero di Nietzsche confluita<br />

nei cosiddetti Frammenti postumi,<br />

e indirettamente nell’Anticristo<br />

e nel Crepuscolo degli idoli.<br />

Tra gli argomenti a sostegno di questa<br />

obiezione domina innanzitutto la ripresa<br />

dell’accusa di arbitrio, faziosità e<br />

falsificazione, che in più modi fu rivolta<br />

a Elisabeth Förster Nietzsche in rapporto<br />

alla scelta, compilazione e distribuzione<br />

dei frammenti per l’edizione<br />

di Der Wille zur Macht del 1906, in<br />

cui, tra i vari piani dell’opera abbozzati<br />

da Nietzsche, veniva fatto riferimento<br />

esclusivamente a quello di Nizza del 17<br />

marzo 1887, e in cui, oltre all’occultamento<br />

e smembramento di testi, venivano<br />

mescolati sistematicamente<br />

frammenti di periodi diversi.<br />

L’insieme di queste accuse rendono la<br />

Volontà di potenza un puro documento<br />

storico di fronte all’impresa storico-critica,<br />

realizzata da Colli e Montinari,<br />

di presentare i testi nella forma e<br />

nella successione, filologicamente corrette,<br />

in cui sono tramandati dai manoscritti.<br />

E proprio sulla validità storicodocumentaria<br />

dell’apparato di commento<br />

e note, a cui pure fa seguito una<br />

“tavola di concordanza” tra le varie<br />

edizioni dei frammenti, si concentrano<br />

di fatto la maggior parte delle critiche<br />

alla riedizione italiana de La volontà<br />

di potenza. Alla lunga postfazione di<br />

Maurizio Ferraris, Storia della volontà<br />

di potenza, che accompagna<br />

questa pubblicazione, viene in particolare<br />

rimproverato di non fornire un<br />

orientamento sufficientemente documentato<br />

nella diversità del materiale<br />

di cui si compone la Volontà di<br />

potenza, costituito da frammenti di<br />

rilevante contenuto filosofico, abbozzi,<br />

varianti, materiale preparatorio di<br />

opere pubblicate da Nietzsche stesso,<br />

riflessioni e appunti a margine di letture,<br />

trascrizioni di brani di altri autori,<br />

che in misura ovviamente diversa hanno<br />

subito poi l’intervento dei curatori<br />

dell’opera originale.<br />

Tuttavia il taglio biografico-ermeneutico<br />

adottato da Ferraris nella sua postfazione,<br />

in cui un certo tipo di “cronologia”<br />

viene elevato al rango di genere<br />

letterario attraverso l’uso dei<br />

materiali e il modo della scrittura, si<br />

mostra più incline, come è stato osservato,<br />

a dar conto della storia degli<br />

effetti suscitati dalla ricezione di quest’opera,<br />

la cui contraddittorietà filosofica,<br />

la rischiosa inquietudine, il gioco<br />

di aperture e chiusure costituiscono<br />

non tanto il limite, quanto il carattere


di attualità proprio della proposta di<br />

pensiero nietzscheana. Da questo punto<br />

di vista la Volontà di potenza si<br />

presenterebbe come opera in sé - e<br />

come tale, secondo alcuni, dovrebbe<br />

innanzitutto essere giudicata - per l’intima<br />

connessione che la lega ai suoi<br />

effetti: da un lato, il peso di quest’opera<br />

sulla grande cultura filosofica del<br />

nostro secolo, a cominciare dall’interpretazione<br />

di Nietzsche elaborata da<br />

Heidegger alla fine degli anni ’30; dall’altro<br />

il ruolo stesso della concezione<br />

che sta alla base di quest’opera come<br />

progetto fondamentale all’interno dell’ultima<br />

produzione di pensiero di Nietzsche,<br />

che testimonia del preciso intento<br />

del filosofo di concentrare in un’opera<br />

sulla “trasvalutazione di tutti i valori”<br />

quanto era stato annunciato con lo<br />

Zarathustra. Tuttavia, troppo semplificante,<br />

se non addirittura deviante,<br />

è apparsa ad alcuni critici la linea interpretativa<br />

proposta da Ferraris, che secondo<br />

una prospettiva teleologica collegherebbe<br />

il giovanile studio di Nietzsche<br />

su Teognide al Wille zur Macht,<br />

per cui la centralità dell’idea di<br />

volontà di potenza verrebbe a identificarsi<br />

con una sorta di “radicalismo<br />

aristocratico”, con il rischio di consegnare<br />

di nuovo il pensiero nietzscheano<br />

alla lunga e insistita strumentalizzazione<br />

nazista di cui già fu vittima.<br />

All’ipotesi di un Nietzsche potenziale<br />

precursore del nazismo, che la proposta<br />

interpretativa di Ferraris, come è<br />

stato obiettato, parrebbe pericolosamente<br />

avallare, è necessario opporre,<br />

secondo alcuni, le responsabilità personali<br />

della sorella del filosofo, Elisabeth<br />

Förster Nietzsche, che nell’opera<br />

di manipolazione e compilazione dei<br />

frammenti per l’edizione del 1906 di<br />

Der Wille zur Macht sarebbe intervenuta<br />

arbitrariamente con scelte,<br />

smembramenti, inclusioni e occultamenti<br />

di testi, tali da contribuire al<br />

consolidarsi tra gli interpreti dell’idea<br />

di un fondo antisemitico del pensiero<br />

nietzscheano, direttamente conseguente<br />

dall’aristocraticismo iperbolico<br />

di Nietzsche, dalle sue requisitorie<br />

contro i deboli e gli oppressi, a favore<br />

dei signori. Se anche, come è stato<br />

osservato, il sottolineare l’irriducibilità<br />

degli elementi di durezza aristocratica<br />

della concezione nietzscheana non<br />

significa consegnarla, in modo semplicistico,<br />

all’ideologia nazionalsocialista,<br />

pure una tale operazione recupera<br />

e attualizza un Nietzsche “mitico”,<br />

lontano dal confrontarsi con il contesto<br />

culturale della sua epoca, con le<br />

posizioni antidemocratiche di pensatori<br />

a lui contemporanei; un confronto<br />

che solo potrebbe mettere in chiaro il<br />

potenziale critico del suo pensiero. Da<br />

un tale punto di vista la Volontà di<br />

potenza rappresenterebbe nient’altro<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

che lo specchio della sua epoca, della<br />

crisi di valori dell’Europa, a cui Nietzsche<br />

reagisce auspicando il trionfo dei<br />

forti, portatori di valori, degli aristocratici,<br />

contro i deboli, fautori della<br />

cultura di massa, del democraticismo,<br />

del socialismo. E se anche, come è<br />

stato osservato, da questa comprensione<br />

del mondo in quanto lotta e interazione<br />

di individuali volontà di potenza<br />

si volesse dedurre una sostanza<br />

metafisica, che “celebri” la volontà di<br />

potenza come “fondamento del reale”,<br />

questo non spiegherebbe ancora<br />

il fatto che in Nietzsche l’entrata nel<br />

“male del pensiero” implichi l’uscita<br />

nel “Terzo Reich”.<br />

In risposta a questa serie di obiezioni si<br />

è osservato che considerare l’antisemitismo<br />

nietzscheano come fatto secondario,<br />

o comunque relativo, secondo<br />

quell’atteggiamento diffuso che distingue<br />

nelle grandi figure della cultura<br />

occidentale tra ciò che è essenziale<br />

della loro opera e ciò che è caduco,<br />

significa non distinguere tra patologia<br />

e ideologia; una distinzione, che nello<br />

specifico del significato attuale di<br />

un’opera controversa come la Volontà<br />

di potenza non solo ne giustificherebbe<br />

la pubblicazione sul piano<br />

della storia della ricezione di Nietzsche,<br />

ma ne convaliderebbe ulteriormente<br />

il carattere di documento storico.<br />

Di fatto, così è stato osservato,<br />

l’inquadramento del pensiero nietzscheano<br />

all’interno di una prospettiva<br />

che in definitiva si sarebbe rivelata di<br />

stampo nazista è un atto ideologico di<br />

strumentalizzazione, sia pur giustificato<br />

da un processo patologico di corruzione<br />

del pensiero, che sebbene abbia<br />

dato adito ad una tale distorsione, ha<br />

notevolmente arricchito il significato<br />

di quel pensiero sul piano speculativo.<br />

In tal senso, è stato notato, non si può<br />

non riconoscere che nella concezione<br />

della volontà di potenza, come in quella<br />

dell’eterno ritorno, che insieme caratterizzano<br />

nel segno della trasvalutazione<br />

l’epoca dello Zarathustra, è<br />

all’opera la ricerca di Nietzsche della<br />

“redenzione dalla redenzione”, della<br />

“fine della promessa”. Il non rendersi<br />

conto che con questo ci si trova di<br />

fronte ad un pensiero che vuole essere<br />

“al di là del bene e del male”, al di là di<br />

qualsiasi concezione etica, significa rinchiudere<br />

la volontà di potenza all’interno<br />

di uno psicologismo che s’illude<br />

di vedere ancora nell’uomo il soggetto<br />

delle proprie scelte, l’artefice del proprio<br />

destino. L’impossibilità di una tale<br />

chiusura, che è anche quella, come è<br />

stato osservato, del significato nella<br />

forma, ovvero della forma su se stessa,<br />

che dà luogo al sorgere del senso,<br />

è appunto l’esperienza fondamentale<br />

che emerge dalla Volontà di potenza,<br />

l’esperienza del nichilismo come<br />

35<br />

risposta alla crisi dell’idea di cultura.<br />

Ma la perdita di cogenza della forma<br />

ne implica l’imposizione autoritaria a<br />

un universo che non si lascia<br />

più rinchiudere in un orizzonte<br />

fisso: da qui appunto l’aristocraticismo<br />

e l’antidemocraticismo<br />

di Nietzsche. R.R.<br />

La vicenda editoriale della Volontà di<br />

potenza è tormentata per quello che è<br />

successo dopo, ci fosse o no quella compilazione,<br />

fuori o dentro l’Archivio, con<br />

o senza Elisabeth - e in una storia che è<br />

anche nostra; ma non è affatto oscura, né<br />

lo è stata sin dal 1906, quando, in vivacissime<br />

polemiche, si seppe tutto l’essenziale;<br />

un essenziale che, per motivi<br />

che mi risultano parzialmente inspiegabili,<br />

sembra risorgere periodicamente<br />

come una rivelazione assoluta. August<br />

ed Ernst Horneffer polemizzano all’inizio<br />

del secolo, Podach negli anni Trenta,<br />

Schlechta negli anni Cinquanta, Colli e<br />

Montinari negli anni Sessanta; tutti dicono<br />

le stesse cose, e cioè che la Volontà<br />

di potenza, come del resto risulta chiarissimamente<br />

dall’apparato della edizione<br />

Weiss nella Gross-Oktav (1911) non<br />

segue un ordine cronologico e compie<br />

accorpamenti arbitrari. E’ quello che,<br />

ovviamente, dico anch’io.<br />

Per non iterare un discorso già troppe<br />

volte ripetuto, mi limito a citare quanto<br />

scrivo (tra molte altre cose, anche relative<br />

alla vicenda editoriale) nella mia cronologia:<br />

«Ecco allora che cosa hanno<br />

sempre saputo in molti, i redattori dell’Archivio<br />

e i loro nemici, e che parve<br />

invece riemergere di tempo in tempo<br />

come una apocalisse. 1. Elisabeth e Gast<br />

nel 1906, estendendo la compilazione di<br />

Gast e Ernst e August Horneffer del<br />

1901, hanno ordinato in modo tematico,<br />

appoggiandosi al piano abbozzato da<br />

Nietzsche nel marzo ’87, ai 372 frammenti<br />

numerati dell’autunno di quell’anno<br />

e alla rubrica relativa, ma spaziando<br />

dal 1883 al 1888, ciò che in buona regola<br />

filologica avrebbe dovuto essere disposto<br />

cronologicamente. Non si trattò di<br />

una decisione incontrastata, e sin dall’inizio<br />

ci furono discussioni nell’Archivio<br />

e fuori, baruffe pubbliche e universalmente<br />

note. Fu inoltre un patto più<br />

o meno scellerato stretto tra due, Gast e<br />

Elisabeth, che non si amavano, gelosi<br />

dell’amico e fratello, rivali sul lascito,<br />

dalla cui gestione il musicista era stato<br />

allontanato in malo modo per sei anni; si<br />

può ragionevolmente pensare che dei<br />

falsi ideologici si potessero orchestrare<br />

in una circostanza del genere? Tornando<br />

al Wille zur Macht, si noti però che la<br />

classificazione arbitraria non escludeva<br />

l’edizione di altri frammenti nei voll.<br />

XIII e XIV (1903 e 1904, dunque prima<br />

di Wille zur Macht2) della Gross-Oktav<br />

relativi al “periodo della trasvalutazione”<br />

(1882/3-1888); che in ogni edizione


del Wille zur Macht, con punte in Weiss<br />

e in Würzbach, vennero pubblicati altri<br />

piani; e che nel 1901, nella pagina a<br />

destra del frontespizio, si poteva leggere:<br />

Nachgelassene Werke / Der Wille zur<br />

Macht / Versuch einer Umwerthung aller<br />

Werthe / (<strong>Studi</strong>en und Fragmente) /<br />

von / Friedrich Nietzsche. <strong>Studi</strong> e frammenti,<br />

dunque, non opere definitive. Questa<br />

è stata la scelta decisiva, dettata dai<br />

motivi più diversi, fossero l’interesse<br />

venale, l’esigenza di rispondere alle attese<br />

del pubblico, il (presunto) pregiudizio<br />

del sistema o altro. Tutto il resto,<br />

come nella settima proposizione della<br />

‘legge contro il cristianesimo’, ‘segue<br />

da ciò’. Ossia: 2. La decisione di accorpare<br />

frammenti di epoche diverse. Il terminus<br />

a quo, l’anno 1883, non è del resto<br />

privo di motivi, visto che il progetto di<br />

un’opera teoretica accompagna e segue<br />

la stesura dello Zarathustra. 3. Quella di<br />

comporre con frammenti diversi (e in<br />

rari casi con materiale allotrio ma comunque<br />

di Nietzsche, come brani di lettere<br />

o avantesti di altre opere) uno pseudoaforisma<br />

o, inversamente, di frammentare<br />

un testo continuo per cavarne<br />

più ‘aforismi’. 4. Quella di sostenere (in<br />

un complicato rapporto con il pregiudizio<br />

del sistema) che il Wille zur Macht,<br />

capo d’opera sistematico, sarebbe stato<br />

però composto non di testi continui di<br />

cui ci restano abbozzi preparatori, ma<br />

Friedrich Nietzsche, 1882<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

per l’appunto di aforismi, secondo il<br />

modello rifiutato o superato già nella<br />

Genealogia della morale, e che riappare<br />

parzialmente nelle opere del 1888. 5. La<br />

scelta di cassare dei frammenti, per esempio<br />

dalla lista dei 372, che risultassero<br />

incompleti, o ripetitivi, o ‘poco filosofici’,<br />

ossia contrastanti con l’autoconclusività<br />

dell’aforisma o con la pretesa di<br />

un piano organico.» (pp. 611-<strong>12</strong>).<br />

Una volta appurato, come è risaputo da<br />

quasi novant’anni, ossia appunto dall’apparire<br />

della Volontà di potenza, che<br />

non si tratta di un’opera voluta da Nietzsche,<br />

né soprattutto voluta in quel modo,<br />

mi sembra inutile passare dalla storia<br />

alla psicologia e chiedersi se la compilazione<br />

rispecchiasse o meno le sue intenzioni.<br />

Ovviamente non le rispecchia, nel<br />

senso che Elisabeth e Gast non le conoscevano<br />

così come non le conosciamo<br />

noi. Ma proprio per questo non possiamo<br />

nemmeno semplicemente dire che le<br />

falsifica. I testi presenti sono tutti di<br />

pugno di Nietzsche, mentre una diffusa<br />

leggenda voleva che ci fossero delle aggiunte<br />

antisemite o protonaziste (termine<br />

che mi resta sostanzialmente oscuro:<br />

se si vuol dire che il Wille zur Macht esce<br />

25 anni prima dell’ascesa al potere di<br />

Hitler, dovremmo concluderne che allora<br />

una qualunque opera apparsa nel 1970,<br />

ossia 25 anni dopo la capitolazione, è<br />

tardonazista). Poi, Nietzsche non era an-<br />

36<br />

tisemita, ma platealmente filosemita, e<br />

questo è largamente attestato nel Wille<br />

zur Macht confezionato da Elisabeth e<br />

da Gast. Come la poesia, così la filologia<br />

e la filosofia non si fanno con le<br />

buone o cattive intenzioni. Se assurdo è<br />

concludere che Nietzsche avrebbe fatto<br />

il Wille zur Macht nel modo in cui lo<br />

hanno combinato Elisabeth e Gast, tanto<br />

più assurdo - già sul piano meramente<br />

algebrico - è escludere che non lo avrebbe<br />

fatto in qualunque altro modo. La<br />

verità è che non ne sappiamo nulla.<br />

Su altre questioni sappiamo invece moltissimo.<br />

Conosciamo la tragedia di Nietzsche<br />

e soprattutto la catastrofe della Germania<br />

e dell’Europa (non lo si scordi,<br />

per non attribuire a un solo popolo un<br />

male che ci riguarda tutti). Conosciamo<br />

il tentativo (sostanzialmente fallito) di<br />

arruolare Nietzsche (tutto Nietzsche, non<br />

solo quest’opera) nel Terzo Reich; conosciamo<br />

il tentativo postbellico o di<br />

proscriverlo, oppure di addossare le responsabilità<br />

del male che è in lui alla<br />

sorella. Conosciamo, ed è un esperimento<br />

alla portata di chiunque abbia la pazienza<br />

di farlo, la coerenza di pensiero<br />

tra i frammenti postumi ordinati cronologicamente,<br />

la compilazione tematica<br />

di Elisabeth e di Gast, e le opere pubblicate<br />

da Nietzsche. Mentre sulle intenzioni<br />

di Nietzsche ragionare non ha senso,<br />

ragionare su quest’ultima circostanza<br />

di senso ne ha alquanto. Nietzsche ha<br />

scritto cose tremende. Possiamo dirlo,<br />

senza con questo sposare il partito di<br />

Bäumler, né quello di Lukács (che restano<br />

differenti, e nella scelta, che fortunatamente<br />

non si porrà mai, sarei per<br />

Lukács); dobbiamo dirlo, per non cadere<br />

nell’equivoco di ammansire Nietzsche<br />

sino a renderlo irriconoscibile.<br />

In quel male (e qui si passa al contesto,<br />

alla storia e alla filosofia, visto che grazie<br />

a Dio non siamo in un tribunale: per<br />

questo preferisco la democrazia e il giornalismo<br />

che d’altra parte, e per motivi<br />

non futili, Nietzsche biasimava), non è<br />

stato il solo: si pensi a Baudelaire e a<br />

Dostoevskij. E’ il segno di una crisi<br />

europea da cui dubito che si sia usciti, e<br />

da cui dubito specialmente che se ne<br />

esca dicendo che Nietzsche non ha mai<br />

scritto certe cose, oppure sostenendo che<br />

Auschwitz è un caso, oppure (o peggio)<br />

che è il semplice segno di una fatalità<br />

faustiana del popolo tedesco. Il modo<br />

migliore per capire è, credo, non bendarsi<br />

gli occhi.<br />

E’ quello che cerco di fare nella mia<br />

cronologia. E’ così semplice da intendersi.<br />

Si dà un testo di cui non si nasconde,<br />

e sin dalla copertina (“Frammenti<br />

postumi ordinati da Peter Gast e Elisabeth<br />

Förster-Nietzsche”), il carattere<br />

compilativo; si danno le concordanze<br />

con i postumi, in modo che ogni uomo di<br />

buona volontà possa ragguagliarsi sul<br />

genere di interventi dei curatori del 1906;


TENDENZE E DIBATTITI<br />

Abbozzo per il Wille Zur Macht, Sils Maria 1888; Elisabeth Förster Nietzsche, 1916<br />

si racconta la gestazione del concetto in<br />

Nietzsche, la storia dell’Archivio, le vicende<br />

e le interpretazioni prebelliche e<br />

postbelliche. Soprattutto, si dà un testo<br />

che è stato letto da Heidegger e non da<br />

Hitler. Ma se anche lo avesse letto, invece<br />

di leggere Schopenhauer, crediamo<br />

davvero che sarebbe cambiato qualcosa?<br />

E siamo davvero tanto speranzosi<br />

(“animali speranzosi”, così Nietzsche<br />

chiamò una volta i filologi) da pensare<br />

che una edizione storico-critica avrebbe<br />

inibito l’abuso? Questo è tanto poco vero<br />

che una edizione storico-critica, non<br />

meno esigente e rigorosa della Colli-<br />

Montinari, fu avviata da Elisabeth e proseguì<br />

nella Germania di Hitler, e fu interrotta<br />

non da Goebbels, ma dalla disfatta<br />

tedesca.<br />

Ora, resta per me moralmente inesplicabile<br />

che non si riesca a intendere qualcosa<br />

che, razionalmente e intellettualmente,<br />

è tanto semplice: il fatto, cioè, che la<br />

voglia di non bendarsi gli occhi rispetto<br />

alle durezze e agli abissi di un autore,<br />

Nietzsche, che per altri versi si ama, non<br />

significa in nessun modo approvare quelle<br />

durezze. Del resto non c’è scelta, le<br />

alternative essendo la credula cecità o la<br />

condanna non meno cieca. Si rifletta, per<br />

analogia, sul caso di Machiavelli. Il suo<br />

nome è stato associato a tutti i machiavelli<br />

e alle basse storie di cui si è nutrita<br />

la crisi europea, e specialmente italiana.<br />

Ovvio che lui non ne è il responsabile.<br />

Ma proprio perché non ne è il responsabile,<br />

non c’è assolutamente bisogno di<br />

angelicarlo; Machiavelli resta colui che<br />

non ha esitato a sputar fiele sul morto<br />

Pier Soderini. Così Nietzsche. Ovvio che<br />

non ha mai fabbricato un Lager; ma proprio<br />

per questo, non c’è affatto bisogno<br />

di negare che il male che compare con<br />

tanta violenza in tante sue pagine è il<br />

frutto di una falsificazione dell’eredità o<br />

di un equivoco ermeneutico. «Lo “sfruttamento”<br />

non compete a una società guasta<br />

oppure imperfetta e primitiva: esso<br />

concerne l’essenza del vivente, in quanto<br />

funzione organica, è una conseguenza<br />

di quella caratteristica volontà di potenza,<br />

che è appunto la volontà della vita. -<br />

Ammesso che questa, come teoria, sia<br />

una novità - come realtà è il fatto originario<br />

di tutta la storia: si sia fino a questo<br />

punto sinceri con se stessi» (Al di là del<br />

bene e del male). Questo, Nietzsche l’ha<br />

scritto nel pieno possesso delle sue facoltà.<br />

Possiamo far finta che non l’abbia<br />

scritto; possiamo dire che la volontà di<br />

potenza è un concetto essoterico e pubblicitario<br />

(bella pubblicità!). Oppure possiamo<br />

dire che lo ha scritto, e chiederci<br />

che cosa volesse dire. Non espressamente,<br />

visto che il significato letterale di<br />

questa frase è davvero troppo chiaro. Ma<br />

chiederci perché lo scrivesse, e che morale<br />

dobbiamo trarne noialtri. Ecco il<br />

37<br />

contesto, storico e non solo storico. E’<br />

chiaro che Nietzsche non scriveva queste<br />

cose per semplice cattiveria o per<br />

cruda bestialità; ma se questo è vero,<br />

allora il male è nello spirito più grande,<br />

e non potremo consolarci pensando che<br />

sia appannaggio dei bruti. Chi non ama<br />

Baudelaire? Eppure lui (e non Nietzsche)<br />

era davvero antisemita, e fantasticava<br />

di una congiura per sterminare gli<br />

ebrei, “bibliotecari e testimoni della<br />

Redenzione”. Il curatore delle opere nella<br />

Pléiade commenta quel passo dicendo<br />

che è di difficile interpretazione, e che<br />

ogni antisemitismo è da escludersi. Bell’affare!<br />

Lo stesso che risuona in chi<br />

pretende che il male di Nietzsche non è<br />

affar suo, ma di sua sorella.<br />

E’ quanto scrivo nella quarta di copertina:<br />

«E se anche la lode del terrore e dello<br />

sfruttamento - uguale in questi frammenti<br />

1883-1888 ordinati dalla sorella e<br />

dal discepolo e copista Peter Gast così<br />

come in opere che Nietzsche pubblicò<br />

nel pieno dei suoi spiriti - sembra precorrere<br />

Auschwitz, non è un buon motivo<br />

per accusare la sorella-parafulmine, e<br />

per dire che Nietzsche non avrebbe mai<br />

voluto o pensato La volontà di potenza.<br />

Esiste insomma un male dello spirito, e<br />

si avrebbe torto addossandolo ai poveri<br />

di spirito soltanto, pena sottoscrivere<br />

proprio quel male che traspare sotto il<br />

nome di Volontà di potenza.» Se non<br />

facciamo i conti anche con questo, ci<br />

ritroveremo sempre a stupirci del male


PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

Pagina con iniziale miniata di un manoscritto del XIV sec.<br />

38


La logica di Ockham<br />

E’ rilevante, per accuratezza e ampiezza<br />

dell’apparato critico, la prima<br />

edizione italiana della SUMMA LOGICAE<br />

di Guglielmo di Ockham, che compare<br />

col titolo: LOGICA DEI TERMINI (traduzione,<br />

introduzione, note e indici di<br />

Paola Müller, Rusconi, Milano 1992).<br />

L’opera segna una svolta all’interno,<br />

più che della logica, della filosofia<br />

medievale, marcando in essa, in modo<br />

nuovo, la differenza tra logica antiqua<br />

e logica modernorum, e aprendo la<br />

strada alla considerazione semantica.<br />

Vexata quaestio all’interno della bibliografia<br />

critica dedicata a Guglielmo di<br />

Ockham, è il tentativo di stabilire il legame<br />

fra la sua impostazione logica e quella<br />

ontologica da una parte, e le prese di posizione<br />

politiche dall’altra. Come è noto, da<br />

un punto di vista biografico si può riscontrare<br />

una cesura fra gli studi di carattere<br />

più esplicitamente filosofico e teologico e<br />

quelli invece di carattere politico ed ecclesiologico,<br />

in coincidenza con la fuga di<br />

Ockham da Avignone, a seguito del contrasto<br />

con Giovanni XXII, e il successivo<br />

asilo presso l’imperatore Ludovico il Bavaro.<br />

Da quel momento Guglielmo, francescano,<br />

sostenitore della povertà della Chiesa,<br />

si dedica soprattutto a trarre da questo<br />

precetto evangelico l’estrema conseguenza<br />

relativa alla negazione della legittimità<br />

del potere temporale della Chiesa, finalizzando<br />

questa tesi a quella dell’indipendenza<br />

del potere civile da quello ecclesiastico.<br />

Dal punto di vista gnoseologico, il fondamento<br />

di queste posizioni risiede nella distinzione<br />

tra conoscenza razionale e fede;<br />

la prima, che può essere intuitiva o astrattiva,<br />

pone capo a verità che non possono<br />

essere confutate dalla fede. E’ proprio nell’articolazione<br />

della conoscenza che il terminismo<br />

ockhamiano trova le proprie radici.<br />

Guglielmo sostiene infatti il primato<br />

della conoscenza intuitiva nei confronti di<br />

quella astrattiva sulla base del fatto che la<br />

prima, per ciò che concerne gli enti naturali<br />

(escludendo, dunque, quelli la cui esistenza<br />

è materia di fede), presuppone l’esistenza<br />

dell’oggetto intenzionato. La notitia in-<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

tuitiva, cioè questo tipo di conoscenza, è<br />

sempre singolare, poiché nessuno degli enti<br />

naturali è un universale. Ma se questo è il<br />

percorso teorico che dall’affermazione<br />

ontologica della singolarità degli enti risale,<br />

dal punto di vista logico, al nominalismo,<br />

dal punto di vista storiografico il<br />

cammino compiuto da Ockham segue la<br />

direzione opposta, prendendo avvio dalle<br />

posizioni del nominalismo logico, a cui<br />

conferisce un significato esplicitamente<br />

ontologico. Qui risiede la “svolta ockhamiana”,<br />

la sua novità, che in prima istanza<br />

non riguarda tanto la logica, quanto la riflessione<br />

filosofica nel suo complesso.<br />

Il nominalismo logico di Ockham non presenta,<br />

in quanto tale, motivi di novità sostanziale<br />

nei confronti delle posizioni nominaliste<br />

del Duecento e, in ultima analisi,<br />

non consiste altro che nella definizione<br />

della logica come scienza “formale”. Ma<br />

quando, con Guglielmo, il nominalismo<br />

diventa una posizione filosofica, ponendo<br />

capo alla tesi del carattere singolare degli<br />

oggetti di natura, vanno in crisi proprio i<br />

modelli metafisici precedenti, tanto gli<br />

essenzialismi platonico-agostiniani, quanto<br />

il modello concordista del tomismo. Per<br />

questo la logica modernorum, di cui Ockham<br />

è iniziatore, prima che capitolo di<br />

storia della logica, è momento di svolta<br />

all’interno della metafisica. Il “rasoio di<br />

Ockham”, o principio di economia, secondo<br />

il quale occorre non introdurre più enti<br />

di quanto non sia necessario alla spiegazione<br />

di fenomeni, porta così il filosofo a<br />

precorrere la critica humeana al concetto<br />

di sostanza; analogamente, grazie al suo<br />

“rasoio”, anche il “volontarismo teologico”,<br />

cioè la tesi relativa all’assoluta libertà<br />

di Dio, discende dalla critica di Ockham<br />

alla causalità teleologica.<br />

D’altra parte, come mostra Paola Müller<br />

in modo estremamente puntuale nella<br />

sua Introduzione, rilevanti e decisive<br />

sono le innovazioni che con Ockham si<br />

aprono allo strumento logico formale<br />

medesimo, quasi come ricaduta dell’impostazione<br />

metafisica. Così la sua teoria<br />

della significazione, inserita all’interno<br />

della discussione sulla natura (“significativa”)<br />

dei termini, e quella della supposizione,<br />

che per Ockham consiste nella<br />

«proprietà di un termine in un contesto<br />

proposizionale», costituiscono spunti<br />

teorici rilevanti anche 39 per la semiotica<br />

contemporanea. F.C<br />

Emil Lask:<br />

la logica della filosofia<br />

Nello studio EMIL LASKS GRUNDLEHRE (La<br />

dottrina fondamentale di Emil Lask,<br />

J. C. B. Mohr, Tübingen 1992) Stephan<br />

Nachtsheim ricostruisce, nella<br />

prospettiva di un confronto critico e<br />

problematico, il pensiero di Emil Lask,<br />

filosofo di orientamento neo-kantiano,<br />

definito da Heidegger nel 1919<br />

«una delle più forti personalità filosofiche<br />

del presente».<br />

Emil Lask fu docente all’Università di<br />

Heidelberg, dove fu allievo di Heinrich<br />

Rickert. Morto nel corso della prima guerra<br />

mondiale nel 1915, all’età di trentanove<br />

anni, egli lasciò una serie di scritti di teoria<br />

della conoscenza, di logica e di filosofia<br />

del diritto che risentono dell’atmosfera del<br />

neo-kantismo badense e che al tempo stesso<br />

sviluppano alcuni motivi originali, che<br />

avrebbero avuto un certo influsso sui contemporanei<br />

(tra cui, ad esempio, Martin<br />

Heidegger, che in diverse occasioni ne ha<br />

riconosciuto l’importanza per la propria<br />

filosofia).<br />

Come Rickert, Lask si rifà a Kant. Ma,<br />

invece di partire dalle funzioni soggettive<br />

dell’intelletto, riprende, riferendosi al maestro<br />

e a Lotze, la distinzione tra essere e<br />

valore. Concetto centrale nella sua teoria<br />

della conoscenza è quello delle forme della<br />

conoscenza che valgono in modo transsoggettivo.<br />

La distinzione tra essere e valore<br />

è per lui l’ultima distinzione fondamentale<br />

nel «tutto del pensabile in generale».<br />

Centrale nella sua dottrina è così -<br />

come mette in luce Stephan Nachtsheim<br />

- l’idea di una “logica della filosofia”.<br />

Questa logica è però in Lask qualcosa di<br />

formale, riguardante le categorie, ma i<br />

contenuti a cui tali categorie si applicano<br />

possono essere alogici o irrazionali. Lask<br />

intende così reagire a una riduzione “panlogistica”<br />

della vita spirituale alla logica, o<br />

dei contenuti del pensiero alle forme razionali.<br />

Nel suo studio Nachtsheim si riferisce<br />

soprattutto agli scritti fondamentali di Lask:


Die Logik der Philosophie und die Kategorienlehre<br />

(La logica della filosofia e la<br />

dottrina delle categorie, 1911) e Die Lehre<br />

vom Urteil (La dottrina del giudizio, 19<strong>12</strong>).<br />

A differenza dei precedenti studi su Lask<br />

di Konrad Hobe e di Hans-Peter Sommerhäuser,<br />

risalenti agli anni ’60, egli utilizza<br />

anche i testi appartenenti al lascito laskiano<br />

e contenuti nel III volume delle Gesammelte<br />

Schriften, un corso su Platone e<br />

alcuni scritti e appunti dedicati al problema<br />

di una dottrina della conoscenza e della<br />

verità. Secondo Nachtsheim non il “pensiero<br />

puro” ma il “soggetto vivente” (das<br />

erlebende Subjekt) è in questione in questi<br />

testi, e da ciò risulterebbe la prossimità di<br />

Lask ad alcuni motivi della Lebensphilosophie.<br />

Lo studio di Nachtsheim non si presenta<br />

come una ricostruzione storica, ma vuole<br />

essere una discussione critica della filosofia<br />

di Lask, della quale intende in particolare<br />

«sviluppare ulteriormente il programma<br />

della dottrina delle categorie» alla luce<br />

del problema di una Letztbegründung della<br />

filosofia, cioè di una sua funzione fondante<br />

e autonoma di fronte alle scienze<br />

positive. E’ dalla soluzione di tale questione<br />

che dipende, per Lask, la possibilità<br />

della filosofia di adempiere la funzione di<br />

scienza originaria (Urwissenschaft) dell’ambito<br />

teoretico. Egli delinea così l’idea<br />

di una logica filosofica nella quale i contenuti<br />

della riflessione gnoseologica diventano,<br />

a loro volta, oggetto dell’analisi. Si<br />

apre così l’ambito di una dottrina delle<br />

categorie, o di una teoria della logica che si<br />

distingue dalle teorie delle diverse “regioni<br />

categoriali” (filosofie dell’arte, della<br />

religione, della natura ecc.), a loro volta<br />

distinte dai contenuti (arte, religione ecc.),<br />

e che si pone così come una metateoria<br />

dell’ambito teoretico e logico. M.M.<br />

Il viaggio in Italia dei Goethe<br />

Nella ITALIENISCHE REISE, Johann Wolfgang<br />

Goethe nota che suo padre, nella<br />

sua vita, non fu mai del tutto infelice<br />

perché poteva pur sempre ricordarsi<br />

di essere stato a Napoli, una<br />

volta. GOETHES VATER REIST NACH ITALIEN (<br />

Il padre di Goethe in viaggio per l’<br />

Italia) è il titolo di una bella mostra<br />

che ha chiuso i battenti il 14 marzo<br />

<strong>1993</strong> al Freies Deutsches Hochstift -<br />

Frankfurter Goethe Museum di Francoforte<br />

sul Meno. L’esposizione, curata<br />

da Doris Hopp, presenta - evidenziandone<br />

le tre tappe fondamentali,<br />

Venezia, Roma e Napoli - le fasi e le<br />

modalità del viaggio in Italia di Johann<br />

Caspar Goethe.<br />

La storia ha celebrato in Johann Wolfgang<br />

Goethe un grande della cultura di<br />

tutti i tempi; suo padre Johann Caspar,<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

invece, viene ricordato come un tranquillo,<br />

solido borghese che ha dato i natali ad<br />

un genio dell’umanità. Eppure, l’amore<br />

per il viaggio, ed in particolare per l’Italia,<br />

fu trasmesso al giovane Goethe proprio<br />

dal padre che, nel 1740, aveva compiuto<br />

un viaggio in Italia di circa otto mesi.<br />

Appena trentenne, conclusi gli studi giuridici<br />

a Gießen con un dottorato, Johann<br />

Caspar Goethe affrontò il Grand Tour<br />

verso il Sud inaugurando, si può ben dire,<br />

una tradizione che, proprio a partire da<br />

quegli anni, vedrà i giovani della buona<br />

borghesia compiere viaggi di formazione<br />

all’estero, in precedenza privilegio esclusivo<br />

dei nobili. L’Italia del tempo era,<br />

come è noto, meta prediletta per quanti<br />

volessero allargare le proprie conoscenze<br />

riguardo all’arte e alla storia. Tuttavia la<br />

presenza di così differenti forme di governo<br />

in un territorio relativamente ristretto<br />

come la nostra penisola, forniva un notevole<br />

oggetto di studio ad un giurista quale<br />

J. C. Goethe - molto dotato nel parlare<br />

l’italiano - che poteva in tal modo coronare<br />

degnamente la sua brillante carriera universitaria.<br />

Ma per il viaggio italiano di Goethe padre<br />

non mancarono stimoli di natura puramente<br />

edonistica. Il carnevale di Venezia fu<br />

per lui, ad esempio, un’attrattiva eccezionale,<br />

potendo nella città lagunare vedere<br />

per la prima volta il mare. Il giovane,<br />

entusiasta viaggiatore trascorse le prime<br />

due settimane di aprile a Napoli, le cui<br />

bellezze naturali vengono considerate -<br />

come in seguito dal figlio Johann Wolfgang<br />

- “paradisiache”. Johann Caspar fu,<br />

inoltre, uno dei primi tedeschi a visitare<br />

Ercolano, i cui scavi erano iniziati appena<br />

due anni prima. Risalendo a nord Goethe<br />

padre si fermò solo due settimane a Roma,<br />

città troppo cattolica per un convinto protestante<br />

come lui. Ancora a Venezia, poi,<br />

attirò la sua attenzione per un intero mese;<br />

stupisce, invece, che egli abbia trascorso<br />

cinque settimane nella calura estiva di<br />

Milano. Ma con buone probabilità il lungo<br />

soggiorno lombardo era dovuto ad una<br />

vicenda sentimentale con Maria Giuseppa<br />

Merati. L’ultima tappa italiana di Johann<br />

Caspar è Genova dal cui porto sul finire<br />

dell’agosto del 1740, salpò alla volta di<br />

Marsiglia.<br />

In una riuscita fusione tra documentazione<br />

scientifica e trattamento scenografico-teatrale<br />

del materiale a disposizione la mostra<br />

ricostruisce un episodio fondamentale della<br />

vita di Goethe padre. Questi avrebbe ripercorso<br />

idealmente la sua discesa al Sud<br />

cimentandosi, a partire dal 1760, nella<br />

stesura del diario Viaggio per l’Italia. Si<br />

tratta di una descrizione del viaggio compiuto<br />

vent’anni prima, redatta nella forma,<br />

classica per il Settecento, di lettere inviate<br />

ad un destinatario fittizio.<br />

L’opera risente certamente delle convinzione<br />

del tempo e delle scarse capacità<br />

letterarie di Johnann Caspar Goethe; eppure,<br />

essa è unica nel suo genere poiché<br />

40<br />

redatta in lingua italiana da un ormai anziano<br />

pedante, un soddisfatto pater familias<br />

che scrive solo per se stesso.<br />

Il Viaggio per l’Italia uscì per la prima<br />

volta nel nostra paese a cura di Arturo<br />

Farinelli; correva l’anno 1932 e, per ironia<br />

della sorte, tutto il mondo celebrava i cento<br />

anni della morte di Johann Wolfgang<br />

Goethe. Una traduzione in tedesco del<br />

curioso diario di viaggio di Johann Caspar<br />

Goethe è apparsa nel 1986 a cura della<br />

Deutsche-Italienische Vereinigung di Francoforte<br />

sul Meno. N.B.<br />

‘Il Candelaio’ di Bruno<br />

E’ stato di recente pubblicato in traduzione<br />

francese IL CANDELAIO (trad. di<br />

Y. Hersant, introd. di G. Aquilecchia,<br />

prefaz. di G. Barberi Squarotti, Belles<br />

lettres, Paris <strong>1993</strong>), primo volume dell’opera<br />

omnia di Giordano Bruno in 20<br />

volumi, di cui l’ultimo uscirà simbolicamente<br />

il 17 febbraio 2000, quarto<br />

centenario del rogo del filosofo a Campo<br />

dei Fiori. Il progetto e la realizzazione<br />

di questo lavoro sono diretti da<br />

Yves Hersant, dell’Ecole Hautes Etudes<br />

di Parigi e da Nuccio Ordine, dell’Università<br />

di Arcavacata, con il patrocinio<br />

dell’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong>.<br />

Che si tratti di un evento culturale importante,<br />

lo sottolineano sia i giornali italiani<br />

che francesi, le librerie del centro di Parigi<br />

e una presentazione del progetto-Bruno al<br />

Gran Salon de la Sorbonne sotto il patronato<br />

della rettrice, Michèle Gendreau-<br />

Massaloux, presenti Gerardo Marotta,<br />

Presidente dell’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong><br />

<strong>Filosofici</strong> di Napoli, Michel Desgranges,<br />

direttore delle edizioni Belles Lettres, Yves<br />

Hersant e Nuccio Ordine, e Marc Fumaroli,<br />

del Collège de France, che ha<br />

tenuto una conferenza sull’ironia bruniana.<br />

Al di là del battage pubblicitario, questo<br />

progetto è un autentico unicum, come<br />

ha sottolineato Nuccio Ordine in una intervista:<br />

«In Spagna hanno tradotto quasi<br />

tutte le opere italiane di Bruno; in Germania<br />

stanno traducendo le latine; in Inghilterra,<br />

in Giappone, in Russia altre traduzioni<br />

parziali sono in corso. Ma da nessuna<br />

parte, neanche in Italia, esiste un’edizione<br />

integrale e critica come quella che stiamo<br />

preparando in Francia».<br />

La novità di questa edizione è dunque la<br />

completezza e la critica filologica delle<br />

opere italiane e latine di un filosofo come<br />

Bruno spesso citato e poco studiato a fondo.<br />

Il gruppo di traduttori, filosofi, letterati,<br />

filologi è di livello europeo e questo<br />

incrocio savant di italiani, spagnoli, francesi,<br />

inglesi ecc... sarebbe piaciuto al girovago<br />

Bruno, tre volte scomunicato (da<br />

cattolici, protestanti, calvinisti), braccato<br />

ovunque, sempre in fuga. Per le opere<br />

italiane l’edizione critica è stata stabilita<br />

da Giovanni Aquilecchia, quella latina da<br />

Rita Sturlese. Due criteri essenziali ac-


compagnano questo progetto: per ogni<br />

opera la traduzione e la introduzione sono<br />

affidate a studiosi diversi, inoltre il testo<br />

originale è sempre a fronte.<br />

Il candelaio è nella scrittura di Bruno un<br />

caso particolare: è l’unica commedia che<br />

abbia mai scritto e denota una “pirotecnica<br />

linguistica” assai sconvolgente. La storia è<br />

metà-oscena, metà-edificante. Bruno è ben<br />

lontano dall’essere un presuntuoso moralista;<br />

dalla sua ha l’arma più temibile e<br />

sofisticata che ci sia: l’ironia, il riso, la<br />

satira, unica panoplia per un uomo libero<br />

in un mondo di “pedanti”. Anche le pagine<br />

buffe, oscene, divertentissime del Candelaio<br />

vanno lette come il rifiuto assoluto di<br />

ogni dogmatismo attraverso il riso, il tentativo<br />

filosofico di pensare insieme, anche<br />

attraverso il comico, l’uno e il molteplice,<br />

il centro e la periferia, il dettaglio e l’insieme.<br />

La commedia è il laboratorio comico<br />

di una visione cosmologica concepita come<br />

ossimoro in atto.<br />

Di questo tenere insieme gli opposti, giocando<br />

con gli estremi, è cifra la figura<br />

dell’asino che nella sua proverbiale cocciutaggine<br />

e ottusità nasconde una scintilla<br />

di divinità. A questa figura Nuccio Ordine<br />

ha dedicato un libro, ora tradotto in<br />

francese per le Belles Lettres, dal titolo Le<br />

mystère de l’ane. F.M.Z.<br />

Herder: la filosofia e il linguaggio<br />

Un giovane ricercatore, Pierre Pénisson,<br />

già noto in Francia e in Germania<br />

per l’edizione critica del TRATTATO SUL-<br />

L’ORIGINE DELLA LINGUA (1772) di Johann<br />

Gottfried Herder, ha organizzato a<br />

Parigi il colloquio: HERDER ET LA PHILO-<br />

SOPHIE DE L’HISTOIRE, e ha presentato in<br />

questa primavera (in particolare nel<br />

quadro d’incontri franco-tedeschi) alcuni<br />

motivi fondamentali del pensiero<br />

di Herder, a cui ha dedicato recentemente<br />

un saggio dal titolo: J. H.<br />

GERDER, LA RAISON DANS LES PEUPLES (Cerf,<br />

Paris, 1992).<br />

Scopo del lavoro di Pierre Pénisson è<br />

riabilitare lo stile originale e polimorfo di<br />

Herder contro, da un lato, le oziose semplificazioni,<br />

che vedono in lui solo l’odioso<br />

precursore di certi “demoni” moderni (nazionalismo,<br />

irrazionalismo, relativismo,<br />

storicismo), dall’altro, le interpretazioni<br />

selettive e interessate, che ne hanno segnato<br />

la storia della ricezione.<br />

Eroe dell’idea di nazione e del monde<br />

storico, Johann Gottfried Herder fu per<br />

Edgar Quinet, che l’introdusse in Francia,<br />

«l’Erodoto della filosofia della storia», e<br />

una delle referenze privilegiate di Michelet<br />

e di Renan: in questo contesto, fu soprattutto<br />

conosciuto e stimato per la sua<br />

riscoperta del folklore e per le sue idee<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

sulla storia. E’ noto come l’ideologia nazista<br />

abbia elaborato un’immagine durevole<br />

e deformata di Herder, in grado di giustificare<br />

ideologicamente una politica di potenza,<br />

sebbene l’antica Germania “democratica”<br />

e la critica sovietica (differenziandosi<br />

da Lukács) abbiano proposto un<br />

Herder un po' meno fosco, vicino al popolo<br />

e ai popoli, sottolineandone l’empirismo<br />

quale rimedio alle speculazioni sistematiche<br />

e idealiste rifiutate dal marxismo.<br />

Questa attuale pertinenza di Herder nel<br />

quadro filosofico contemporaneo (un colloquio<br />

internazionale riuniva nel novembre<br />

1987 i partecipanti sotto il tema: “Herder<br />

today”, a Stanford) è stata, ancora una<br />

volta, confermata nelle discussioni del congresso<br />

parigino del <strong>1993</strong> (presenti: G. Arnold,<br />

E. Behler, M. Bollacher, P. Caussat,<br />

D. Modigliani, T. Namowicz, R. Otto, W.<br />

Malsch, E. A. Menze, E. Fauquet, M. Crespon,<br />

K. Menges, L. Sala Molin, B. Binoche),<br />

che si è sviluppato nella prospettiva<br />

di una riflessione sulle nozioni di cultura,<br />

di lingua, di nazione, di storia certo, in cui<br />

Herder figurava al centro di una rinnovata<br />

interpretazione.<br />

Pénisson non gioca il popolo contro i popoli,<br />

anche se indica la prossimità di Herder<br />

con molti temi della “Popularphilosophie”;<br />

il “popolo” herderiano, nozione<br />

centrale della sua antropologia, designa<br />

ogni “comunità d’individui”, o la “storia<br />

comune”, la “cultura”, la “credenza”, e<br />

non è al di fuori dei popoli particolari.<br />

Pénisson insiste sulla profusione delle particolarità<br />

in contrasto con l’idea di “umanità”<br />

in sé, cercando di dimostrare come<br />

questo movimento di dispersione venga<br />

compensato in Herder da un costante lavoro<br />

di passaggio, di trasposizione, di traduzione,<br />

di “transizione”. <strong>Numero</strong>si testi<br />

herderiani testimoniano la preoccupazione<br />

del filosofo tedesco di ritrovare “la<br />

ragione nei popoli”. La ricerca di una tale<br />

unità nella diversità, al di fuori comunque<br />

di ogni dialettica totalizzante, è sempre<br />

ardua, come si vede nella ricerca di una<br />

norma interna alla storia, e nel caso del<br />

linguaggio, nel tentativo di comprendere il<br />

passaggio al linguaggio propriamente<br />

umano. Non ci si stupisca dunque che lo<br />

stile stesso di Herder sia estremamente<br />

particolare, contrassegnato da un gioco<br />

costante di déplacement, interno alla scrittura.<br />

A questo stile non è forse estranea la pratica<br />

e la riflessione sulla traduzione che in<br />

Herder, osserva Pénisson, è un nodo teorico<br />

cruciale e una chiave di interpretazione<br />

non trascurabile. L’idea che, traducendo,<br />

non si possa uscire dalla propria lingua<br />

materna (per cui si crea un Shakespeare<br />

tedesco) e che, tuttavia, la traduzione sia<br />

una “trans-plantation” reciproca fra le lingue<br />

e che un vero originale non esista, è<br />

riflessione certo portatrice di contraddizioni,<br />

ma anche di interrogativi fecondi.<br />

Alla riflessione di Pénisson non sono mancate<br />

le critiche, fra cui la più argomentata<br />

41<br />

è relativa al metodo stesso con cui il ricercatore<br />

francese affronta il pensiero herderiano.<br />

Nel saggio di Pénisson il pensiero di<br />

Herder non è infatti tanto ricostruito o<br />

riabilitato, quanto percorso e evocato lungo<br />

il filo delle tappe della vita e delle opere<br />

del filosofo. La prima parte del saggio è<br />

una specie di biografia intellettuale, in cui<br />

il percorso herderiano viene ritracciato<br />

come un viaggio segnato da “transizioni”<br />

(anche geograficamente: dalla Prussia<br />

orientale alla Francia, a Buckeburg, a<br />

Weimar). La seconda parte tratta del rapporto<br />

fra traduzione e canti popolari e<br />

oralità, riprendendo la polemica di Herder<br />

con Nicolai. Herder difende, a questo proposito,<br />

il procedimento “anti-critico” che<br />

supporrebbe un’“altra filosofia del linguaggio”<br />

per cui la lingua è origine e si caratterizza<br />

come flusso espressivo eccedente le<br />

determinazioni fisse dei significanti. Da<br />

qui, si apre la via per un’ermeneutica del<br />

profondo. La terza parte s’interessa rapidamente<br />

di certi aspetti della “diffusione”<br />

dell’opera herderiana nell’Europa centrale,<br />

fra i popoli slavi (Vuk, Radichtchev) e<br />

nei paesi anglofoni (Coleridge, De Quincey)<br />

e in Francia. L’ultima parte riporta<br />

due testi di Quinet. D.T.<br />

Max Weber negli Stati Uniti<br />

Nello studio MAX WEBER IN AMERIKA.<br />

WIRKUNGSGESCHICHTE UND REZEPTIONSGE-<br />

SCHICHTE WEBERS IN DER ANGLO-AMERIKA-<br />

NISCHEN PHILOSOPHIE UND SOZIALWISSEN-<br />

SCHAFT (Max Weber in America. Storia<br />

degli effetti e della ricezione di Weber<br />

nella filosofia e nella scienza sociale<br />

anglo-americana, trad. ted. di Klara<br />

Bodnar, Passagen Verlag, Vienna<br />

1992) Agnes Erdelyi analizza le trasformazioni<br />

terminologiche e concettuali<br />

subite dalla sociologia weberiana<br />

nella sua ricezione, soprattutto da<br />

parte di Talcott Parsons, negli Stati<br />

Uniti.<br />

Finito il dominio dell’ortodossia dei “classici<br />

del socialismo” le scienze sociali e<br />

umane sono alla ricerca, nei paesi una<br />

volta detti del “socialismo reale”, di nuovi<br />

punti di riferimento di carattere epistemologico.<br />

Sembra essere questo il caso dello<br />

studio in lingua ungherese di Agnes Erdelyi,<br />

recentemente tradotto in tedesco, in<br />

cui si intende ricostruire la Wirkungsgeschichte<br />

(storia degli effetti) dell’opera di<br />

Max Weber negli Stati Uniti. Un problema<br />

che implica un’analisi e una valutazione<br />

del confronto e del passaggio tra due diversi<br />

ambienti culturali: la Germania di<br />

Weber, con la sua tradizione di storiografia<br />

e di Geisteswissenschaften, e gli Stati<br />

Uniti di un Tallcott Parsons, in cui la<br />

dottrina e il metodo weberiano si innestano<br />

su un terreno positivistico, naturalistico<br />

e pragmatistico. Secondo Erdelyi, Parsons<br />

discioglie la specificità della prospettiva


Sono stati pubblicati nel fascicolo<br />

n. 41 degli Hohenheimer Protokolle<br />

gli atti di un convegno dedicato<br />

al tema: FILOSOFIA RELIGIOSA<br />

RUSSA. L’eredità riguadagnata -<br />

Distanza e appropriazione, a cura<br />

di Eberhard Müller e Franz Joseph<br />

Klehr (il volume può essere richiesto<br />

all’Akademie der Diözese Rottenburg-Stuttgart,<br />

Im Schellenkönig<br />

61, Stuttgart). Centrale nei diversi<br />

interventi di studiosi tedeschi,<br />

russi e francesi è la questione<br />

della qualità e del senso della ricezione<br />

dell’eredità della filosofia religiosa<br />

russa della fine del secolo<br />

XIX e dell’inizio del XX negli ambienti<br />

intellettuali, filosofici e letterari<br />

della Russia odierna. Questa<br />

ricezione si muove oggi tra due<br />

poli: da una parte la filosofia di<br />

pensatori quali Vladimir Soloviev<br />

e Nikolaj Berdjajev viene esaltata<br />

come premessa di una trasformazione<br />

morale e spirituale della società<br />

russa; dall’altra si fa valere<br />

l’esigenza di una rottura con la<br />

tradizione come condizione di un<br />

rinnovamento della cultura. Resta<br />

in ogni caso problematico il rapporto<br />

con tale tradizione, e da più<br />

parti ci si chiede se dietro l’esaltazione<br />

delle tradizioni filosoficoreligiose<br />

della cultura russa non si<br />

celino un nuovo dogmatismo e<br />

un’avversione per il pluralismo<br />

delle idee non meno rischiosi e<br />

deleteri dell’ortodossia culturale<br />

imposta negli anni del “socialismo<br />

reale”.<br />

Il 25 febbraio <strong>1993</strong>, presso la Deutsche<br />

Bibliothek di Francoforte sul<br />

Meno, è stata inaugurata la mostra<br />

DEUTSCHE INTELLEKTUELLE<br />

IM EXIL. Ihre Akademie und die<br />

“American Guild for German Cultural<br />

Freedom”. L’esposizione è<br />

stata realizzata dal Deutsches Exilarchiv<br />

1933-1945 della Deutsche<br />

Bibliothek di Francoforte. L’Exilarchiv<br />

costituisce il fiore all’occhiello<br />

della biblioteca nazionale<br />

francofortese, grazie alla preziosa<br />

documentazione che esso raccoglie<br />

sulla ricca vicenda della cultura<br />

tedesca in esilio nel “dodicennio<br />

nero” nazista. La mostra presenta e<br />

illustra un capitolo sinora poco noto<br />

della storia degli scrittori, scienziati<br />

e artisti di lingua tedesca, costretti<br />

ad emigrare durante il regime<br />

di Hitler. Tema principale dell’esposizione<br />

è il tentativo intrapreso<br />

dal principe Hubertus di<br />

Löwenstein per creare un’Accademia<br />

tedesca delle arti e delle scienze<br />

in esilio e di fondare un’organizzazione<br />

a suo sostegno: “The<br />

American Guild for German Cultural<br />

Freedom”. Compito dell’Accademia<br />

doveva essere quello di<br />

riunire gli intellettuali tedeschi<br />

sparsi in tutto il mondo in una organizzazione<br />

apartitica, una sorta<br />

di terra franca per lo spirito tedesco.<br />

Nello stesso tempo si trattava<br />

di aiutare con tutti i mezzi possibili<br />

gli intellettuali a proseguire il loro<br />

lavoro nelle difficili condizioni dell’esilio.<br />

Il principe di Löwenstein, infaticabile<br />

figura di studioso ed organizzatore,<br />

coinvolse importanti uomini<br />

di cultura nella nobile causa - tra<br />

gli altri, Thomas Mann e Sigmund<br />

Freud presiedettero, rispettivamente,<br />

le sezioni arti e scienze dell’Accademia.<br />

Tra il 1938 e il 1940 furono<br />

elargite a più di 160 scrittori,<br />

scienziati ed artisti, borse di studio<br />

o contributi per costi di stampa.<br />

Gli intellettuali che poterono godere<br />

di questo provvidenziale appoggio<br />

economico variarono dai<br />

conservatori Uriel Birnbaum e Joseph<br />

Roth ai socialisti Ernst Bloch,<br />

Bertold Brecht e Anne Seghers.<br />

Con il diffondersi del nazismo in<br />

Europa, poi, l’American Guild nel<br />

1939-40 si occupò anche di salvare<br />

molti intellettuali da situazioni<br />

estremamente pericolose. Soprattutto<br />

in Cecoslovacchia ed in Francia<br />

furono fatti pervenire visti, af-<br />

NOTIZIARIO<br />

NOTIZIARIO<br />

42<br />

fidavit e biglietti per la tanto agognata<br />

traversata verso gli U.S.A.<br />

La mostra, quindi, fa luce sul problema<br />

della sopravvivenza materiale<br />

di tanti intellettuali che, senza<br />

le iniziative lanciate da Hubertus<br />

di Löwenstein, probabilmente non<br />

avrebbero retto alle fatiche dell’esilio.<br />

L’esposizione è accompagnata da<br />

un esaustivo catalogo dal titolo:<br />

Deutsche Intellektuelle im Exil:<br />

ihre Akademie und die “american<br />

Guild for German Cultural Freedom”;<br />

eine Ausstellung des Deutschen<br />

Exilarchivs 1933-1945 der<br />

deutschen Bibliothek, Frankfurt am<br />

Main, a cura di Werner Berthold,<br />

Brita Eckert e Frank Wende (Saur,<br />

München, London, New York, Paris<br />

<strong>1993</strong>), che ricostruisce, in generale,<br />

la storia dell’organizzazione<br />

e, in particolare, fornisce con 30<br />

casi esemplari - tra cui quelli di<br />

Renato Mondo, Sigfried Kracauer,<br />

Robert Musil, Julius Bab, Ernst<br />

Weiß, Kurt Hiller - un quadro, a<br />

volte toccante, delle difficili con-<br />

Hubertus Prinz zu Löwenstein (1930), Thomas Mann<br />

(1938)<br />

dizioni di lavoro degli intellettuali<br />

in esilio. La mostra sarà aperta fino<br />

al 5 giugno <strong>1993</strong> (dal lunedì al giovedì<br />

ore 9-20, venerdì ore 9-18, sabato<br />

ore 9-17), presso la Deutsche Bibliotek<br />

(Zeppelinalee 4-8, 6000 Frankfurt<br />

a.M. 1).<br />

E’ annunciata presso l’editore Rubbettino,<br />

Soveria Mannelli, (CZ e<br />

Messina), una nuova collana SAG-<br />

GI BREVI DI ESTETICA COMPA-<br />

RATA, diretta da Grazia Marchianò.<br />

Si tratta di piccoli volumi di<br />

cento pagine, di prezzo modesto,<br />

ma di ampia apertura tematica, utili<br />

a chiunque voglia documentarsi<br />

su figure e problemi dell’estetica<br />

contemporanea di Oriente e Occidente.<br />

I primi titoli in uscita quest’anno:<br />

Nuovi autori di estetica in<br />

Cina (testi di Zhou Laixiang, Fei<br />

Xingbei e Zhou Ping), Scritti italiani<br />

su N. K. Roerich (testi di Bazzarelli,<br />

Lopez, Spendel, Zolla),<br />

Sugli orienti del pensiero, di Grazia<br />

Marchianò.<br />

L’ISTITUTO ITALIANO PER GLI<br />

STUDI STORICI bandisce un concorso<br />

a dodici borse di studio per<br />

l’anno accademico <strong>1993</strong>-1994, per<br />

giovani laureati in Università italiane.<br />

L’importo di ciascuna borsa<br />

sarà di L. <strong>12</strong>.000.000, qualora i<br />

vincitori non risiedano nella provincia<br />

di Napoli; di L. 8.000.000,<br />

se residenti nella provincia di Napoli.<br />

Al concorso possono partecipare<br />

tutti coloro che siano laureati<br />

in Lettere o in Filosofia, e i laureati<br />

in Giurisprudenza o in Scienze<br />

politiche o in Economia e Commercio<br />

o in Architettura, che abbiano<br />

svolto la tesi in discipline<br />

storiche o filosofiche, che non abbiano<br />

superato il trentacinquesimo<br />

anno di età alla data del 1˚ ottobre<br />

<strong>1993</strong> e che non abbiano ancora<br />

usufruito di borse di studio presso<br />

l’Istituto; sono inoltre esclusi dalla<br />

partecipazione al concorso gli<br />

ammessi ai dottorati di ricerca e<br />

coloro che abbiano conseguito il<br />

titolo di dottore di ricerca, così<br />

come coloro che percepiscano altre<br />

borse di studio o che svolgano<br />

altre attività retribuite.<br />

I concorrenti ritenuti idonei in base<br />

ai titoli presentati potranno essere,<br />

ove se ne ravvisi l’opportunità, invitati<br />

ad un Colloquio con la Commissione<br />

giudicatrice. Le spese del<br />

viaggio per il colloquio saranno<br />

rimborsate. L’importo della borsa<br />

verrà corrisposto ai vincitori in 8<br />

rate mensili, a partire dal novembre<br />

<strong>1993</strong>. I concorrenti dovranno<br />

presentare alla Direzione dell’Istituto<br />

entro il 1˚ ottobre <strong>1993</strong>, domanda<br />

in carta semplice, corredandola<br />

con i seguenti documenti: certificato<br />

anagrafico, certificato di<br />

laurea, copia della tesi di laurea,<br />

curriculum studiorum del candidato,<br />

lettera e attestati di professori<br />

sotto la cui guida il candidato lavora<br />

o ha lavorato, elenco delle altre<br />

eventuali istituzioni cui il candidato<br />

abbia presentato o intenda presentare<br />

analoga domanda entro il<br />

1˚ novembre <strong>1993</strong>. Informazioni:<br />

Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong> Storici,<br />

80100 Napoli, tel. 081/5517159.


Neoantico contro neoetnico<br />

Fornire un primo significativo contributo<br />

all’individuazione e all’approfondimento<br />

dell’orizzonte concettuale del<br />

neoantico, rilevare la crescente influenza<br />

che le culture e le civiltà premoderne<br />

esercitano sul mondo contemporaneo<br />

e, quindi, suggerire nuove possibili<br />

strategie per la riappropriazione<br />

dell’antico e dell’arcaico: sono stati<br />

questi gli scopi del Convegno internazionale:<br />

IL NEOANTICO. TECNICA E POSSES-<br />

SIONE NELLA CULTURA, NELLA POESIA E NELLE<br />

ARTI, svoltosi nei giorni 29 e 30 gennaio<br />

<strong>1993</strong> presso l’Accademia Spagnola di<br />

Storia Archeologica e Belle Arti di<br />

Roma, organizzato dalla cattedra di<br />

Estetica del Dipartimento di Ricerche<br />

Filosofiche dell’Università di Roma<br />

“Tor Vergata”, cui hanno partecipato<br />

studiosi di diverse discipline, orientamenti<br />

e nazionalità.<br />

A partire dal momento in cui viene a cadere<br />

ogni pretesa metafisica e totalizzante di<br />

considerare il pensiero occidentale, nella<br />

cultura contemporanea sembra affacciarsi<br />

la possibilità di ripensare i propri principi,<br />

origini e fondamenti in una prospettiva che<br />

possa prendere in considerazione l’intero<br />

patrimonio culturale dell’Occidente secondo<br />

una metodologia etno-logica ed etnofilosofica,<br />

che potremmo definire “neoantica”,<br />

in grado cioè di ancorare il pensiero<br />

occidentale ad un retroterra antropologico,<br />

poetico e mitologico in vista della costituzione<br />

di un sapere positivo e trasmissibile.<br />

Diversamente da un modello di tipo neoclassico,<br />

che vede nel passato un paradigma<br />

vitalistico ed esemplare cui riferirsi, il<br />

neoantico rifugge tuttavia da ogni intento<br />

prescrittivo e dal riferimento ad ideali normativi<br />

dell’arte e della cultura, realizzati<br />

nel passato, riaffermando piuttosto la necessità<br />

del giudizio critico, pur negando<br />

qualsivoglia volontà di stabilire gerarchie<br />

di civiltà e di culture.<br />

Alla diffusione di questo orientamento fanno<br />

tuttavia da ostacolo, osserva Mario<br />

Perniola, promotore ed organizzatore del<br />

Convegno, due tendenze opposte e speculari:<br />

da un lato il movimento postmoderno,<br />

che promuovendo un libero spostarsi e<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

differenziarsi del senso, uno scambio incessante<br />

di stili, finisce col considerare<br />

tutte le culture come omogenee e intercambiabili,<br />

col dissolvere ogni identità o abolire<br />

qualsiasi dimensione storica; dall’altro,<br />

la tendenza neoetnica che, richiamandosi<br />

all’originario, all’arcaico, al puro, recupera<br />

sí l’identità culturale di singole comunità,<br />

ma finisce per riaffermarne solo gli<br />

aspetti grotteschi, paradossali e, non di<br />

rado, violenti.<br />

Aprendo i lavori del Convegno, il direttore<br />

dell’Accademia spagnola, Jorge Lozano,<br />

ha tenuto anzitutto a ribadire che se si vuole<br />

seriamente riflettere sulle attuali condizioni<br />

della poesia e delle arti a partire da un<br />

orientamento di tipo neoantico è necessario<br />

prendere le distanze da termini come<br />

“postmoderno” o “transavanguardia”. Di<br />

fatto, nella formulazione di Perniola, il<br />

neoantico intende essere una diversa sensibilità,<br />

che cerca nell’antico non i principi<br />

fondamentali del mondo moderno, o le<br />

pure origini della cultura occidentale, ma<br />

ciò che è rimasto estraneo, differente, altro,<br />

rimosso, giungendo in tal modo a scorgere<br />

nella fase iniziale della cultura occidentale<br />

i momenti di confluenza tra le sue varie<br />

componenti etniche e i diversi punti di<br />

incontro con le culture extra-europee. Interrogandosi<br />

sulle proprie radici antiche,<br />

animata da questo orientamento neoantico,<br />

la riflessione estetica contemporanea scopre<br />

infatti che due dimensioni dell’esperienza,<br />

apparentemente antitetiche, hanno<br />

determinato il sorgere e lo sviluppo del<br />

proprio oggetto di ricerca: l’aspetto pratico-razionale<br />

del produrre (la tecnica) e<br />

l’aspetto poetico-emozionale del creare (la<br />

possessione), entrambi necessari per la riuscita<br />

del fare artistico.<br />

Riflettendo sullo statuto dell’estetica moderna<br />

e contemporanea, Cristoph Wulff<br />

(Frei Universität di Berlino) ha rilevato<br />

come l’estetica in quanto “forma” e formazione<br />

di senso abbia in sé la possibilità di<br />

chiamare all’esperienza dell’agire e del<br />

senso morale. Vi è tuttavia un’ambivalenza<br />

dell’estetica e del sentire, per cui si<br />

assiste oggi ad una estetizzazione diffusa<br />

delle forme del sapere e della vita quotidiana,<br />

ad un sentire generalizzato nella forma<br />

del “già sentito” - un trionfo della “sensologia”,<br />

direbbe Perniola - che non acuisce<br />

43<br />

affatto le nostre facoltà percettive, ma produce<br />

una sorta di anestesia, un torpore dei<br />

sensi. Di fronte a questa situazione, sostiene<br />

Wulff, occorre dare nuovo significato<br />

alla nozione di mimesis, di “assimilazione<br />

mimetica” come facoltà creativa che consente<br />

un rapporto di consonanza tra l’uomo<br />

e il mondo circostante e apre nuove prospettive<br />

di senso. In questa accezione la<br />

nozione di mimesis introduce una dimensione<br />

storica e antropologica del neoantico<br />

che ha costituito lo sfondo problematico<br />

dell’intervento di Francesco Pellizzi (Università<br />

di New York), il quale, da un punto<br />

di vista spiccatamente storico-religioso, si<br />

è interrogato sulla portata simbolica di alcune<br />

esperienze artistiche contemporanee,<br />

in particolare di una suggestiva performance<br />

americana di Joseph Beuys dal titolo:<br />

“Incontro col coyote”, in cui l’artista/l’uomo<br />

si trova a coabitare con l’animale per<br />

diversi giorni all’interno di una galleria<br />

d’arte newyorkese, instaurando con esso<br />

un rapporto di identità/alterità, della cui<br />

esperienza Pellizzi ha sottolineato soprattutto<br />

la forte componente estatico-sciamanica,<br />

la possessione artistica che apre ad<br />

una connotazione del neoantico come neoprimitivo,<br />

come assimilazione dell’altro,<br />

dell’estraneo, del selvaggio che è fuori di<br />

noi, ma che forse anche più intimamente ci<br />

appartiene.<br />

Della componente antropologica della possessione<br />

si è occupato nel suo intervento<br />

anche Roberto Motta (Università di Recife),<br />

che analizzando i culti religiosi afrobrasiliani<br />

ha evidenziato l’intimo rapporto<br />

tra sacrificio e possessione in relazione alla<br />

morte. Sulla nozione di sacrificio, sulla sua<br />

importanza per la comprensione del pensiero<br />

e dell’opera di Georges Bataille si è<br />

poi soffermato Giuliano Compagno, il<br />

quale ha insistito sulla irriducibilità di tale<br />

nozione ai principi dell’ordine, della conservazione<br />

e del risparmio tipici dell’economia<br />

tradizionale, secondo i quali sarebbero<br />

del tutto incomprensibili la forte attitudine<br />

dissipatrice, il dispendio, il più di<br />

energie che caratterizzano invece il sacrificio<br />

secondo Bataille definito come espressione<br />

di intimo accordo tra la vita e la<br />

morte, prossimo quindi alla trasgressione,<br />

allo scandalo, all’irruenza della morte.<br />

Se il Convegno cercava anche di verificare


la sfida lanciata dal neoantico all’ambito<br />

della creazione poetica e letteraria, occorre<br />

dire che essa è stata positivamente raccolta<br />

da alcune voci della cultura militante contemporanea,<br />

poeti e critici in primo luogo.<br />

Michel Deguy, uno tra i più grandi poeti<br />

francesi contemporanei, attuale presidente<br />

del Collège Internationale de Philosophie,<br />

ha infatti riflettuto su l’inspiration in poesia,<br />

non potendo fare a meno di richiamarsi<br />

proprio a quell’aspetto poetico-emozionale<br />

del fare poesia che è la possessione,<br />

intendendo quindi l’ispirazione della poesia<br />

come peculiare forma di possessione e<br />

affermando del resto la superiorità, il primato<br />

del linguaggio poetico. Giulio Ferroni<br />

ha invece misurato il significato dell’antico<br />

nell’opera di Pier Paolo Pasolini,<br />

parlando tuttavia, più significativamente,<br />

di un essere “postumo” di Pasolini e della<br />

sua opera complessiva, i cui caratteri distintivi<br />

di incompiutezza, posteriorità, ultimità<br />

ne fanno un’opera costitutivamente<br />

aperta ed attuale, come ad esempio nel caso<br />

dell’ultimo Petrolio.<br />

Ancora sul versante poetico, la riflessione<br />

di Giuseppe Conte ha voluto sottolineare<br />

le possibilità infinite dell’antico sotto forma<br />

di mito. Facendo del mito l’elemento<br />

centrale della sua opera poetica, Conte intende<br />

infatti dare vita ad una poesia mitica<br />

le cui condizioni si troverebbero in quella<br />

che egli definisce la capacità della poesia di<br />

«personificare» e «dialogare con le ombre»,<br />

in cui il mito stesso è energia vitale,<br />

irruzione dell’arcaico, del simbolico, dell’originario.<br />

Ancora su un terreno poetico, lo statuto del<br />

neoantico in rapporto ai movimenti dell’avanguardia,<br />

da un lato, e del postmoderno,<br />

dall’altro, è stato al centro della relazione<br />

di Isabella Vincentini, che ha evidenziato<br />

come dopo lo “smembramento di<br />

Orfeo” (Hassan), vale a dire dopo l’evanescenza<br />

della forma poetica postmoderna,<br />

occorra ripensare l’antico anche sotto<br />

l’aspetto aspro e crudele dell’arcaico in una<br />

lirica senza elegia, avvicinando per qualche<br />

verso la poetica neoantica alla poesia<br />

neo-orfica contemporanea. Da una diversa<br />

prospettiva, Tomaso Kemeny (Università<br />

di Pavia), in una suggestiva lettura dei<br />

Cantos di Ezra Pound, la cui poesia, tutta<br />

segnata dall’antico, costituisce forse il<br />

momento catastrofico e abissale del moderno,<br />

ha suggerito la possibilità di una<br />

civiltà del simbolo, contro una civiltà del<br />

segno, in cui vi sia un certo spazio per le<br />

Muse.<br />

Il tema della possessione, nella forma della<br />

possessione del nome, è poi tornato nell’intervento<br />

di Roberto Salizzoni, il cui intento<br />

è stato quello di riflettere su una filosofia<br />

del linguaggio intesa come “filosofia del<br />

nome”, in cui il mondo si apre nel nome ed<br />

il nome che propriamente (ci) possiede è il<br />

nome di Dio. Tutte tematiche che emergono<br />

dall’interpretazione che da qualche tempo<br />

suggestivamente Salizzoni compie di<br />

certa filosofia russa dei primi anni venti<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

(Florensky, Bulgakov e soprattutto il quasi<br />

sconosciuto Losiev). La riflessione sul<br />

mondo primitivo di Benjamin Fondane,<br />

pensatore rumeno ebreo dei primi anni<br />

Trenta, ha invece costituito l’oggetto di<br />

discussione di Ann Van Sevenant che ha<br />

mostrato come tale riflessione sia centrata<br />

soprattutto sulla nozione di “partecipazione”,<br />

che interpreta la relazione dell’uomo<br />

primitivo con il mondo intesa sia come<br />

“fare parte di” che un “prendere parte a”.<br />

Sul neoantico sotto l’aspetto pratico-razionale<br />

del produrre, nella dimensione della<br />

tecnica come in quella della possessione, si<br />

è soffermata Claudia Castellucci che ha<br />

parlato della tecnica, in modo personale,<br />

come «ciò che un altro fa fare», ciò che<br />

chiama ad un rapporto di ubbidienza assoluta,<br />

nella cui modalità di relazione si fonderebbe<br />

la sola possibilità di affrancamento<br />

da essa. E’ qui evidente come la tecnica<br />

non sia solo pratica del fare ma relazione<br />

con una alterità eventualmente esperita<br />

anche nella forma della possessione. Antonio<br />

Caronia ha concluso i lavori del Convegno<br />

scoprendo, quasi paradossalmente,<br />

sorprendenti motivi neoantichi nell’universo<br />

tecnologico cyberpunk, vale a dire in<br />

quel fenomeno underground degli anni<br />

Ottanta che riesce a coniugare le tecnologie<br />

informatiche e telematiche con il fenomeno<br />

di costume punk, mostrando un atteggiamento<br />

apertamente positivo nei confronti<br />

della tecnica che, come estensione<br />

delle potenzialità umane, consentirebbe un<br />

certo recupero della dimensione unitaria<br />

dell’esperienza umana. Con quest’ultima<br />

prospettiva in particolare, il neoantico si<br />

rivela una cultura della contaminazione,<br />

dell’incontro, dello scambio, una crossculture<br />

che va in direzione opposta rispetto<br />

a certo neotribalismo e neo-oscurantismo<br />

risorgenti. G.P.<br />

Schlegel e la filosofia<br />

della storia<br />

Ernst Behler, dell’Università di Seattle,<br />

curatore della edizione critica delle<br />

opere complete dei fratelli Schlegel,<br />

ha tenuto nel marzo <strong>1993</strong> un ciclo di<br />

conferenze all’Ecole Normal Supérieur<br />

di Parigi, dal titolo: SCHLEGEL ET LA PHILO-<br />

SOPHIE DE L’HISTOIRE. In tale occasione<br />

Behler ha voluto fare il punto del suo<br />

progetto critico-filologico, che ha visto<br />

la luce nel 1988, sottolineando in<br />

particolare l’originalità della concezione<br />

storica di Friedrich Schlegel.<br />

Nelle sue conferenze Ernst Behler ha in<br />

particolare incentrato le sue analisi sull’originalità<br />

della concezione della storia<br />

di Friedrich Schlegel, a partire dalla cornice<br />

propria della Querelle des Anciens et des<br />

Modernes, letta da Schlegel alla luce del<br />

concetto di “interazione”. Inspirandosi in<br />

44<br />

origine alla filosofia di Fichte e arrischiando<br />

una filosofia della storia, Schlegel, secondo<br />

Behler, passa progressivamente,<br />

sotto l’influenza di Condorcet, a una riflessione<br />

sulla coscienza storica. La comprensione<br />

del poetico moderno come universale<br />

e progressivo non sarebbe infatti estraneo<br />

all’interpretazione personale di Condorcet:<br />

per quanto schematico, Schlegel<br />

trova nel filosofo francese il modello di<br />

una perfettibilità lineare, potenzialmente<br />

infinita. Ciò non toglie che Schlegel sia<br />

ben lungi dal condividerne l’ottimismo e<br />

l’astrazione.<br />

Questa linearità progressiva, infinita, in<br />

qualche modo asintotica, consente al filosofo<br />

tedesco di sottrarsi agli schemi della<br />

riflessione storica tradizionale di un Lessing,<br />

di un Herder, di uno Schiller, centrata<br />

sull’idea dell’educazione del genere umano<br />

e sulla concezione delle epoche dell’umanità.<br />

Da un lato, Schlegel pensa all’idea<br />

di perfettibilità infinita nei termini di<br />

un telos, se non di una totalità; dall’altro,<br />

l’accento cade prioritariamente sul carattere<br />

infinito, indeterminato di questa progressività<br />

potenziale. Anche quando la terminologia<br />

di Condorcet sparisce dalla scrittura<br />

schlegeliana, il filosofo tedesco se ne<br />

ispira sempre, sottolineando l’inaccessibilità<br />

di un rapporto diretto con il tempo,<br />

concepito invece sotto le categorie del “non<br />

ancora”, del “intanto che”. A questa concezione<br />

del tempo è strettamente connesso il<br />

lavoro stesso dell’interpretazione, per cui<br />

gli autori antichi, come Platone, non vanno<br />

letti come una totalità organica e genetica,<br />

bensì come un insieme di frammenti spezzati<br />

di una ligna virtualmente infinita.<br />

Altri temi più specificatamente ermeneutici<br />

sono stati ingaggiati da Behler nelle sue<br />

conferenze, quali la riflessione schlegeliana<br />

sull’ironia in rapporto a Hegel e la<br />

cruciale questione dell’Unverständlichkeit,<br />

segno dell’impossibilità di comprendere e<br />

di farsi comprendere. La discussione ha<br />

portato in particolare sull’opposizione noncomprensione/incomprensione<br />

nella filosofia<br />

di Schlegel. F.M.Z.<br />

Orfeo e orfismo<br />

Il 20 marzo <strong>1993</strong> si è tenuta all’Università<br />

Ch. De Gaulle-Lille III, una giornata<br />

di studi sull’orfismo, in particolare sulla<br />

pratica del commento filologico e sull’interpretazione<br />

della teologia orfica.<br />

Filologia e filosofia si sono intrecciate<br />

strettamente in questa giornata, che<br />

ha visto tra gli animatori della giornata<br />

Jean Bollack e Pierre Judet de la<br />

Combe.<br />

Uno dei temi più discussi è stato il rapporto<br />

intricato fra teogonia esiodea e teogonia<br />

orfica; quest’ultima risulterebbe particolarmente<br />

intelligibile se letta come conte-


stazione e subversion (aristocratica) del<br />

modello esiodeo: alla doppia origine esiodea<br />

si opporrebbe una figura centrale che<br />

pare sottrarsi a un quadro genealogico.<br />

Questa in sintesi l’opinione esposta da<br />

Philippe Borgeaud (Ginevra).<br />

Luc Brisson (Parigi) ha esposto i problemi<br />

filologici e interpretativi connessi ai papiri<br />

di Derveni, insistendo in particolare sull’esigenza<br />

ermeneutica di sviluppare la dimensione<br />

critica della teogonia orfica. Su<br />

questa linea, Jean Bollack, figura chiave<br />

del Centre Philologique de Lille, ha sottolineato<br />

come la scrittura allegorica e ermetica<br />

segni il desiderio di uno scarto, di una<br />

dé- narrativation, che pur richiedendo necessariamente<br />

un lettore, si sottrae alla seduzione<br />

retorica. Questa chiusura ermetica<br />

sarebbe strettamente connessa con la ricerca<br />

di un fondo costitutivo separato da ogni<br />

manifestazione. Mentre E. Rhode tendeva<br />

a interpretare i poemi orfici nel seno di una<br />

tradizione popolare, Bollack riprende l’ipotesi<br />

di una scrittura legata a una reazione<br />

aristocratica.<br />

Pierre Ellinger (Reims) ha centrato l’intervento<br />

sull’antropogonia orfica, in particolare<br />

sul motivo della suie della fumée dei<br />

Titani. La sovversione del modello esiodeo<br />

della Mekoné sarebbe visibile proprio in<br />

questo punto: contro Detienne, Ellinger<br />

sostiene che non esiste la cenere dei Titani,<br />

ma solamente la suie della folgore; di conseguenza<br />

tutti i momenti del rito sacrificale<br />

vengono sovvertiti. Sulla stessa linea, R.<br />

Schlesier (Berlino) ha sottolineato invece<br />

la scomparsa della figura attiva di Prometeo<br />

per quella, passiva, di Dioniso divorato.<br />

Infine Jean Bollack ha concluso con un<br />

intervento sulla pluralità d’interpretazioni<br />

del mito d’Orfeo, tanto da tracciarne una<br />

cartografia. Da parte sua, Bollack ha fatto<br />

l’ipotesi di un nesso fra la scelta convenzionale<br />

di un nome comune e leggendario e la<br />

nascita di particolari gruppi sociali. La riflessione<br />

proseguirà nell’aprile <strong>1993</strong> a Princeton.<br />

F.M.Z<br />

Continuità e mutamenti<br />

nella scienza<br />

Con il titolo: CONTINUITÀ E MUTAMENTI<br />

NELLA RICERCA SCIENTIFICA E NELLA RIFLES-<br />

SIONE EPISTEMOLOGICA, Francesco Barone<br />

ha tenuto dal 7 all’11 dicembre<br />

1992, presso l’Istituto Italiano per gli<br />

<strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> di Napoli, un seminario<br />

il cui scopo è stato quello di ricostruire<br />

alcune tappe fondamentali dell’evoluzione<br />

del concetto di “scienza”<br />

in rapporto al problema dell’immutabilità<br />

o mutabilità storica del significato<br />

del termine.<br />

Secondo la prospettiva “linguistico-essenzialistica”<br />

dell’epistemologia, il termine<br />

“scienza” denoterebbe un ambito di attività<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

culturale, immutabile storicamente, che<br />

mira a conoscenze obiettive, coordinate fra<br />

di loro, rigorose, valide in senso intersoggettivo<br />

e tali da permettere all’uomo di<br />

operare sulla realtà. Una tale concezione<br />

essenzialistica, affermatasi a partire dall’inizio<br />

dell’Ottocento (con Kant) fino a<br />

arrivare alla metà del nostro secolo (col<br />

neopositivismo), è però entrata in crisi, ha<br />

fatto notare Francesco Barone, allorché ci<br />

si è accorti dell’ambiguità e della plurisignificatività<br />

dei termini adoperati, nella<br />

misura in cui il significato di un termine<br />

risiede nell’uso che se ne fa, che dipende a<br />

sua volta dal contesto temporale in cui il<br />

termine compare: la parola “scienza” indicherebbe<br />

in tal senso non un’essenza che<br />

permane immutata, ma piuttosto un fenomeno<br />

storico iscritto nell’ordine del tempo.<br />

Secondo un epistemologo contemporaneo<br />

come Paul Feyerabend, la scienza, ha<br />

notato Barone, è invece frutto di una particolare<br />

ideologia, di una certa maniera di<br />

pensare, e piuttosto che essere una disciplina<br />

rigorosa ed intersoggettiva, dipende da<br />

preferenze ed interessi; in tal modo la scienza,<br />

privata del metodo, non si distingue più<br />

dall’arte.<br />

Ora, ha osservato Barone, se la concezione<br />

essenzialistica del linguaggio impedisce di<br />

cogliere la storicità del fenomeno culturale<br />

della ricerca scientifica, è vero altresì che,<br />

considerando il significato delle parole in<br />

base all’uso che se ne fa, in base ai vari<br />

contesti, si corre il rischio di cadere in un<br />

relativismo estremo, in cui non solo la<br />

scienza non ha un’essenza, ma diviene<br />

“scienza” tutto ciò che si decide di chiamare<br />

con questo termine. Ci troviamo dunque<br />

a oscillare tra due poli contrapposti: da una<br />

parte le epistemologie normative (da Kant<br />

al neopositivismo), in cui si parla di scienza<br />

indipendentemente dal divenire storico;<br />

dall’altra una concezione come quella di<br />

Feyerabend, per il quale la scienza ha la<br />

stessa consistenza di un mito, è un’ideologia:<br />

muta a seconda dei contesti e delle<br />

società in cui operano gli scienziati.<br />

Tuttavia, ha rilevato Barone, si continua a<br />

definire “scienza” fenomeni del tutto diversi;<br />

si tratta allora di andare alla ricerca di<br />

qualcosa che ci permetta di definire “scienza”<br />

tutti questi diversi momenti culturali.<br />

La continuità del fenomeno culturale “scienza”,<br />

secondo Barone, è da ricercarsi nelle<br />

radici biologico-esistenziali della nostra<br />

specie; l’homo sapiens sapiens ha infatti<br />

una caratteristica costante, quella di divenire<br />

consapevole delle cose che lo circondano.<br />

Questa radice biologica che accomuna<br />

l’homo sapiens sapiens agli altri animali,<br />

e che determina le variazioni storicoculturali<br />

del fenomeno-scienza, è indispensabile<br />

per la sopravvivenza degli individui<br />

della specie homo, così come lo è per gli<br />

individui di altre specie animali.<br />

Uno dei maggiori epistemologi contemporanei,<br />

Karl Reimund Popper, ha osservato<br />

che l’unica differenza spiccata che c’è<br />

45<br />

tra Einstein e un’ameba, entrambi “animali”<br />

che cercano di sopravvivere adattandosi<br />

all’ambiente, è che mentre l’ameba applica<br />

la sua “teoria”, la sua interpretazione dell’ambiente<br />

a cui deve adattarsi, direttamente<br />

sulla sua esistenza, Einstein mette alla<br />

prova tra loro teorie, interpretazioni della<br />

realtà a cui deve adattarsi. E’ in virtù di<br />

questo condizionamento della cultura da<br />

parte della natura che le varie accezioni di<br />

“scienza” costituiscono una “famiglia”, in<br />

senso wittgensteiano, e, per quanto profonde<br />

possano essere le differenze tra le varie<br />

forme culturali, il passaggio dall’una all’altra<br />

non è mai un passaggio a cose completamente<br />

diverse. Se la scienza, come<br />

suggerisce l’epistemologia evoluzionistica<br />

da cui muove Barone, è radicata in<br />

questo bisogno dell’uomo di orientarsi nel<br />

mondo, di adattarsi a un mondo, un ambiente,<br />

allora gli sviluppi storici della scienza<br />

altro non rappresentano che tentativi che<br />

mutano col mutare delle situazioni cui l’uomo<br />

deve adattarsi. L.M.<br />

Linguaggi della mente<br />

Nel quadro della necessità attuale della<br />

psichiatria, Italiana e non, di ridefinirsi<br />

concettualmente e terapeuticamente<br />

anche attraverso l’apertura verso<br />

temi e discipline solitamente considerati<br />

lontani dal proprio ambito disciplinare,<br />

si è svolto a Umbertide (PG),<br />

dal 15 al 17 ottobre 1992, il convegno:<br />

I LINGUAGGI DELLA MENTE, coordinato dal<br />

dipartimento di psichiatria della USSL<br />

di Città di Castello. La natura intrinsecamente<br />

interdisciplinare del convegno<br />

è stata confermata dalla partecipazione<br />

ai lavori di psichiatri come<br />

Salomon Resnick e Sergio Piro, neuropsichiatri<br />

come Oliver Sacks, filosofi<br />

come Paolo Rossi e Remo Bodei.<br />

Il filosofo Paolo Rossi, seguendo quelle<br />

stesse linee di interesse da lui percorse<br />

negli ultimi anni, ha concentrato la sua<br />

attenzione sui mezzi con i quali comunichiamo,<br />

presentando quella che egli chiama<br />

la “Legge di Ong”: la comparsa di un<br />

nuovo mezzo di comunicazione di massa<br />

non distrugge il vecchio mezzo, anzi lo<br />

trasforma profondamente, e il nuovo e il<br />

vecchio si rafforzano reciprocamente. Da<br />

un tale punto di vista il primo nodo cruciale<br />

che si presenta è senz’altro il passaggio dal<br />

linguaggio gestuale (che, secondo Vico,<br />

veniva utilizzato dai primi uomini) a quello<br />

verbale. Ma i gesti, sia quelli innati e universalmente<br />

compresi, sia quelli definiti<br />

contestualmente ad una cultura, continuano<br />

ad accompagnare l’espressione orale. Il<br />

problema della “teatralità” in un pubblico<br />

discorso era ampiamente discusso nei manuali<br />

di retorica, come anche quello della<br />

“topica” e della “promptuaria”: come rac-


CONVEGNI E SEMINARI<br />

Salomon Resnik, Paolo Rossi (foto di G. Barbaro)<br />

cogliere un gran numero di argomenti da<br />

poter utilizzare all’occorrenza in una orazione.<br />

In altri termini, osserva Rossi, è il<br />

problema della memoria il tema fondamentale<br />

in ogni cultura orale.<br />

La comparsa della scrittura segna un passaggio<br />

più radicale: dall’udibile e temporale<br />

della parola orale, si passa al visibile e<br />

spaziale della scrittura. Tramite la scrittura,<br />

la parola si stacca da noi, si fissa nella<br />

materia, si conserva e può essere richiamata<br />

all’occorrenza: non c’è più bisogno di<br />

ricordare; il pensiero è più libero. L’invenzione<br />

della stampa amplia e muta ulteriormente<br />

quella della scrittura. Ma l’ultimo<br />

passo, in questa storia nella storia dell’uomo,<br />

è segnato dall’avvento dei computer<br />

con il loro velocissimo progredire e diffondersi.<br />

A questo riguardo Rossi tenta l’ipotesi<br />

di una analogia fra il moderno e il postmoderno:<br />

così come Francis Bacon<br />

scandalosamente indicava come novità<br />

radicali non le filosofie, ma le invenzioni<br />

dei “meccanici”, potremmo noi far lo<br />

stesso per la nostra epoca, guardando le<br />

esplorazioni cosmiche come egli guardava<br />

i viaggi transoceanici, l’energia<br />

nucleare come la polvere da sparo, i<br />

calcolatori come la stampa? Quelle tre<br />

grandi invenzioni modificarono l’uomo,<br />

le sue conoscenze e suscitarono in lui<br />

paure e speranze, esattamente come le<br />

suscitano le tre “invenzioni” della nostra<br />

epoca.<br />

Secondo lo psicoanalista e psichiatra Salomon<br />

Resnik, il linguaggio della mente, pur<br />

non essendo unico, è pittografico. Il dialogo<br />

è spaziale, ma asimmetrico, in quanto<br />

contempla la diversità. Il modo per capire<br />

ciò che si pensa è esser capaci di comunicare<br />

la propria esperienza; da qui i tentativi<br />

dell’uomo si evolvono dai graffiti su pietra<br />

alla scrittura alfabetica. Resnik ha paragonato<br />

in tal senso l’uomo a una tavoletta di<br />

cera coperta da un foglio: la cera è come<br />

l’inconscio; il foglio come una protezione<br />

contro gli stimoli esterni; vi si può scrivere<br />

sopra e poi cancellare, ma qualche traccia<br />

resta comunque impressa nella cera.<br />

Il neuropsichiatra Oliver Sacks è partito<br />

dai suoi studi sull’emicrania per presentare<br />

una ipotesi affascinante. Nei tentativi di<br />

rappresentare, tramite disegno, le distorsioni<br />

che si producono nel campo visivo<br />

durante attacchi emicranici, si può notare<br />

la costante apparizione di strutture organizzate,<br />

reticolari o spiraliformi. La stessa<br />

organizzazione a patterns emerge in individui<br />

sotto l’effetto di droghe come l’hascisc<br />

o la mescalina. L’ipotesi di Sacks è<br />

che la corteccia visiva sia essa stessa autoorganizzata<br />

in strutture precise, con modelli<br />

geometrici ricorrenti, e che sia proprio<br />

questa stessa struttura che si rivela in momenti<br />

particolari, come anche nell’immaginazione<br />

e nell’arte.<br />

Lo svizzero Pierre Bovet, psichiatra di<br />

46<br />

Losanna, ha parlato dei disturbi del linguaggio<br />

in soggetti schizofrenici. Partendo<br />

da una concezione “dialettica” della schizofrenia,<br />

secondo la quale bisogna tener<br />

conto sia di componenti organiche, come<br />

predisposizioni genetiche o malattie virali<br />

pre o post-natali, sia dei processi psicodinamici<br />

nell’individuo, Bovet riprende le<br />

concezioni dello psicologo russo Vygotsky.<br />

Se per l’approccio cognitivista vi è identità<br />

tra linguaggio e pensiero, ovvero anomalie<br />

nella parola implicano anomalie nel pensiero,<br />

e se è il cervello che produce il<br />

linguaggio, come una catena di montaggio<br />

priva di interazioni dinamiche con l’esterno,<br />

Bovet propende per una distinzione dei<br />

due fattori, interno-esterno, e tenta di inquadrare<br />

l’eziopatologia della schizofrenia<br />

in una dialettica incompiuta tra formazioni<br />

preconcettuali nel bambino e interazioni<br />

con le altre persone. Sulla stessa scia<br />

anti-cognitivista si pone l’americano G. S.<br />

Rousseau, secondo il quale l’analogia cervello-computer<br />

serve a dare solo uno dei<br />

modelli possibili per il cervello, ma non ne<br />

esaurisce le caratteristiche. Essere umani è,<br />

sì, possedere un cervello, ma non in senso<br />

riduzionista, bensì come un sistema globalmente<br />

inteso, che abbia la capacità di<br />

raccontare e comprendere “storie”: un cervello<br />

biografo e narratore.<br />

Lo psichiatra napoletano Sergio Piro ha<br />

proposto nel suo intervento la costituzione<br />

di una antropologia trasformazionale, che<br />

ricongiunga le diverse scienze umane. Pur<br />

mantenendo le necessarie diversità degli<br />

strumenti linguistici propri delle discipline<br />

umanistiche, un avvicinamento potrebbe<br />

avvenire grazie a linguaggi operazionali<br />

intermedi, cioè inerenti ad operazioni empiriche,<br />

così come ce li offrono sociologia<br />

e psicologia. Di interesse schiettamente<br />

psicoanalitico è stata invece la relazione di<br />

Eugenio Gaburri, il quale ha esposto alcuni<br />

dei problemi di comunicazione tra<br />

analista e paziente descrivendo come il<br />

graduale unisono che si instaura tra i due<br />

porti alla produzione di una interpretazione<br />

dello stato effettivo del paziente.<br />

Un’analisi del disegno infantile è stata proposta<br />

da Ruggero Pierantoni; mentre il<br />

problema del polilinguismo, ovvero la conoscenza<br />

di più lingue fin dall’infanzia, è<br />

stato oggetto di trattazione da parte della<br />

psicoanalista Simona Argentieri, che si è<br />

interrogata sui sistemi di libera associazione<br />

linguistica e di come questi possono e<br />

vengono modificati dall’uso di una lingua<br />

o più lingue diverse.<br />

L’epistemologo Alessandro Pagnini ha<br />

trattato dei “paradossi della razionalità”,<br />

come recita anche il titolo di un libro del<br />

filosofo americano Davidson. Come si può<br />

spiegare l’intrinseca paradossalità delle<br />

azioni acratiche, ovvero di quelle azioni<br />

che vanno contro l’interesse del soggetto<br />

agente, o che comunque non hanno spiegazioni<br />

razionali? Nell’ambito del panorama<br />

cognitivista attuale, una spiegazione è fornita<br />

dalla teoria omuncolare presentata, sia


pur in modi diversi, sia da Daniel Dennett<br />

che da Davidson. Secondo quest’ultimo il<br />

crollo delle relazioni di ragione è dovuta<br />

alla partizione della mente in omuncoli,<br />

appunto, ognuno dei quali possiede poteri<br />

di causazione delle azioni, ma, ovviamente,<br />

non di spiegazioni razionali. Confortante,<br />

comunque, l’apporto di Pagnini, nel<br />

quadro del convegno, a favore dell’ipotesi<br />

cognitivista, sottolineando la capacità euristica<br />

del computer come metafora del cervello<br />

e ricordando come le macchine, nel<br />

corso storico della riflessione umana, abbiano<br />

spesso ricoperto un ruolo metaforico<br />

ricco di indicazioni fertili.<br />

La poesia come linguaggio delle passioni è<br />

l’argomento a cui il filosofo Remo Bodei<br />

ha dedicato il proprio intervento. Al di là<br />

dell’alternativa tra mimesi del mondo reale<br />

e prodotto di immaginazione arbitraria, alla<br />

poesia spetta, secondo Bodei, un terzo regno,<br />

sia pubblico che privato, ma intrinsecamente<br />

atopico. Inizialmente occorrerebbe<br />

indebolire l’idea di un mondo reale,<br />

oggettivo e razionale, che abbia potere sulla<br />

mente, abolendo così l’antagonismo tra<br />

“verità” artistica e “verità” oggettiva. La<br />

poesia si situa ai margini dell’ovvio verso<br />

possibilità all’interno delle quali ricrea densità<br />

di senso. Inoltre dovremmo liberarci<br />

dell’idea di arte come rappresentazione: gli<br />

oggetti artistici sono irrapresentabili essi<br />

stessi, sono un altrove virtuale, ma che è già<br />

qui, presente e inclassificabile. Così la poesia<br />

è anche utopia: coglie un mondo vero,<br />

quello delle passioni umane, e gli conferisce<br />

una natura diversa da quella oggettiva.<br />

Non bisogna tuttavia cadere nell’opposto<br />

inverso, ha osservato Bodei, nel quale<br />

la poesia abbia tagliato i ponti con la<br />

realtà: l’arte non è solo ispirazione, ma<br />

anche capacità di deformare l’immediatezza,<br />

di staccarsi dalle esperienze private.<br />

La poesia è nello stesso tempo<br />

cognitiva ed emotiva ed esprime quelle<br />

possibilità che altrimenti troverebbero<br />

manifestazione come passioni non ancora<br />

elaborate e oggettivate. G.B.<br />

Introduzione<br />

alle scienze cognitive<br />

Spiegare fenomeni universali, comuni<br />

a tutta la specie umana, apparentemente<br />

incomprensibili o fonte di illusioni,<br />

è lo scopo principale delle cosiddette<br />

scienze cognitive. A questo contesto<br />

problematico ha fatto riferimento<br />

Massimo Piattelli Palmarini in un<br />

seminario dal titolo: INTRODUZIONE ALLE<br />

SCIENZE COGNITIVE, tenuto dal 15 al 18<br />

dicembre 1992 presso l’Istituto Italiano<br />

per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> di Napoli.<br />

Secondo il fisico francese Jean Petain «è<br />

compito della scienza sostituire a dei visi-<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

bili complicati degli invisibili semplici»;<br />

proprio questo, ha esordito Massimo Piattelli<br />

Palmarini, è ciò che programmaticamente<br />

si propongono le scienze cognitive<br />

volte allo studio dell’intelligenza e della<br />

mente umana. I “visibili complicati”, che<br />

interessano le scienze cognitive sono costituiti<br />

da quelle numerose acquisizioni e conoscenze<br />

che tutti noi abbiamo, ma che<br />

nessuno ci ha mai insegnato, che non abbiamo<br />

ricavato dall’esperienza, e che non<br />

ci rendiamo nemmeno conto di possedere.<br />

Noi uomini, ha osservato Piattelli Palmarini,<br />

siamo governati cognitivamente<br />

da dei principi di razionalità, alcuni dei<br />

quali scoperti già da Aristotele e dalla<br />

logica classica e senza i quali ci sarebbe<br />

impossibile comprendere i nostri simili e<br />

convivere con essi; tuttavia spesso, nostro<br />

malgrado, non rispettiamo le regole della<br />

razionalità: partendo da premesse vere, siamo<br />

talvolta incapaci di arrivare ad una<br />

conclusione vera, che pure si dà necessariamente.<br />

Un caso ben studiato fin dai tempi<br />

di Aristotele è quello del ragionamento<br />

sillogistico; date ad esempio le premesse:<br />

«tutti i ministri sono ladri» e «nessuno<br />

dei benzinai è ministro», qual’è la deduzione<br />

logica da trarre? La conclusione<br />

corretta è: «alcuni tra i ladri non sono<br />

benzinai»: purtuttavia persone colte, intelligenti,<br />

non vedono questa conclusione.<br />

Si tratta in effetti di un’illusione<br />

cognitiva di tipo deduttivo: ci sono pre-<br />

47<br />

messe certe introdotte dai quantificatori<br />

“tutti” e “nessuno”, e una conclusione,<br />

essa pure certa, introdotta però né da<br />

“tutti”, né da “nessuno”, ma dal quantificatore<br />

“alcuni”, che per la maggior<br />

parte non riusciamo a “vedere”.<br />

Un altro caso interessante, ha aggiunto<br />

Piattelli Palmarini, riguarda la confusione<br />

che c’è nella nostra mente tra probabilità e<br />

causalità. Se si chiede ai soggetti, «sapendo<br />

che una madre ha gli occhi celesti, quant’è<br />

probabile che sua figlia abbia gli occhi<br />

celesti», si ottiene una certa stima; se invece<br />

si chiede, «sapendo che una figlia ha gli<br />

occhi celesti, quant’è probabile che sua<br />

madre abbia gli occhi celesti», si ottiene<br />

una stima minore della precedente. E’ chiaro<br />

che il colore degli occhi della madre è<br />

una concausa del colore degli occhi della<br />

figlia, ma non viceversa. Tuttavia, ciò è del<br />

tutto irrilevante ai fini della ricerca di una<br />

correlazione probabilistica; il fatto che la<br />

causalità ci sia in un senso, ma non all’inverso,<br />

condiziona però talmente il giudizio<br />

probabilistico da farlo slittare in senso causalistico.<br />

L’importanza dello studio delle illusioni<br />

cognitive, secondo Piattelli Palmarini, risiede<br />

nel fatto che errori di questo tipo<br />

possono avere spesso conseguenze disastrose,<br />

come dimostra l’esame del seguente<br />

test realistico, effettuato su un gruppo di<br />

medici e studenti di medicina di Harvard.<br />

Si disse loro che un test clinico, atto a<br />

Remo Bodei, Oliver Sacks (foto di G. Barbaro)


ilevare la presenza di un certo tumore, era<br />

stato effettuato su un certo individuo; il test<br />

era risultato positivo. Sapendo che quella<br />

forma di tumore colpisce in media un individuo<br />

su mille, e che il test ha un’affidabilità<br />

del 95% (cioè dà un 5% di falsi positivi),<br />

e senza sapere nient’altro sullo stato di<br />

salute di quella persona, si chiese quant’era<br />

probabile che avesse effettivamente il tumore.<br />

Ebbene, qui è piuttosto impressionante<br />

notare il divario fra ciò che le illusioni<br />

cognitive suggeriscono e il risultato a cui<br />

portò il calcolo esatto: mentre infatti il 56%<br />

dei soggetti rispose che era probabile nel<br />

95% dei casi, e la grande maggioranza di<br />

essi (75%) stimò comunque la probabilità<br />

superiore al 50%, la risposta corretta, calcolata<br />

in base alla legge statistica di Bayes,<br />

diede una percentuale inferiore al 2% dei<br />

casi. La spiegazione di tale divario nella<br />

valutazione è che se anche l’intuizione<br />

suggerisce di combinare la probabilità che<br />

il test clinico abbia fallito (5%) e quella che<br />

l’individuo abbia contratto la malattia indipendentemente<br />

dal risultato del test (1%),<br />

si tende spontaneamente a dimenticare o<br />

comunque a sottostimare la probabilità<br />

che qualcosa avvenga indipendentemente<br />

da qualsiasi condizione esterna (fenomeno<br />

della “trascuratezza delle frequenze di<br />

base”).<br />

Il problema qui non sta tanto nella mancanza<br />

di strumenti analitici istintivi adeguati al<br />

calcolo esatto delle probabilità, quanto nella<br />

fiducia e nella sicurezza malamente riposte<br />

nelle nostre istituzioni. In questo si<br />

esprime la forza delle illusioni cognitive,<br />

pari o addirittura superiore a quella della<br />

ragione, e a cui siamo disposti a dare credito<br />

più che alla ragione; ciò implica la necessità<br />

di rivedere la classica partizione fra<br />

percezione e giudizio, che se in molti casi<br />

si presentano come due fenomeni distinti,<br />

talvolta riesce difficile separare, ciò che<br />

riguarda l’occhio da ciò che riguarda la<br />

mente.<br />

Si tratta allora, ha concluso Piattelli Palmarini,<br />

di allargare il concetto di epistemic<br />

boundedness (delimitazione epistemica)<br />

anche alla nostra specie; si tratta cioè di<br />

capire che anche noi uomini, al pari dei topi<br />

o degli scimpanzé, siamo degli organismi<br />

biologici di natura contingente e finita, che<br />

interagiamo col mondo attraverso i mezzi<br />

che la natura ci ha fornito, e che tutto ciò<br />

che possiamo pensare o scoprire è limitato<br />

dalle nostre capacità cognitive. L.M.<br />

Fonosimbolismo<br />

e linguaggio poetico.<br />

Col titolo: FONOSIMBOLISMO E LINGUAGGIO<br />

POETICO si è tenuta dal 20 al 21 ottobre,<br />

presso il Centro Internazionale di <strong>Studi</strong><br />

Semiotici e Cognitivi di San Marino,<br />

una serie di conferenze di semiotica e<br />

linguistica, incentrate sul rapporto tra<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

capacità rappresentativa dei simboli e<br />

composizione poetica. Tra i partecipanti<br />

al convegno: Linda Waugh, Masako<br />

K. Hiraga, Haj Ross, Ivan Fonagy.<br />

Gli interventi si sono sviluppati per la maggior<br />

parte in aperta opposizione alla concezione<br />

strutturalista, che considera la relazione<br />

tra significato e significante una relazione<br />

convenzionale, dovuta cioè alla scelta<br />

arbitraria che una società primitiva attua<br />

nel momento in cui decide quali suoni<br />

assegnare a determinati oggetti e come<br />

legare tra loro i segni che denotano e designano<br />

rispettivamente oggetti e concetti. Il<br />

carattere iconico del lessico delle lingue<br />

rivelerebbe piuttosto un legame stretto tra<br />

simbolo e significato. In particolare, Linda<br />

Waugh (“Degrees of Iconicity in the Lexicon”)<br />

ha indicato come uno dei risultati più<br />

sorprendenti del genio precoce ginevrino<br />

di de Saussure considerare l’attribuzione di<br />

un valore “convenzionale” alla relazione<br />

tra significante e significato come un’azione<br />

valida prevalentemente a livello sociale,<br />

poiché imposta alla società dalla natura<br />

delle cose. Il significato è rappresentato in<br />

gradi differenti dal significante grazie a<br />

caratteristiche proprie della lingua, quasi<br />

che l’associazione sia avvenuta, in principio,<br />

per affinità tra la forma e la struttura<br />

del significante - giacché è dell’immagine<br />

e del diagramma che tratta Waugh - e il<br />

concetto significato, per poi evolversi separatamente.<br />

Masako K. Hiraga (“Iconicity as Principle<br />

of Composition and Interpretation: A<br />

Case Study in Japanese Short Poems”) ha<br />

presentato uno studio sull’incidenza dell’iconicità<br />

del linguaggio sulla composizione<br />

poetica, schierandosi a favore dell’interpretazione<br />

che vuole legate indissolubilmente<br />

immagine e segno, concetto e<br />

significante, e che vede in Jakobson e Peirce<br />

i suoi più autentici promotori. Jakobson<br />

sostiene infatti come il linguaggio abbia<br />

proprietà non-arbitrarie di iconicità; i termini<br />

linguistici non sono dipendenti unicamente<br />

dalla nostra capacità di scelta arbitraria,<br />

ma ci vengono, per così dire, imposti<br />

dalla loro stessa forza rappresentativa. Per<br />

quanto riguarda invece la definizione di<br />

icona data da Peirce, Hiraga si è soffermato<br />

su due dei suoi tre sottotipi: immagine,<br />

diagramma e metafora. L’immagine, cioè<br />

la “somiglianza semplice, sensoriale e mimetica”<br />

con l’oggetto, non è stata trattata<br />

da Hiraga, che invece ha approfondito l’importanza<br />

del diagramma, o analogia strutturale<br />

con il concetto, e della metafora, o<br />

“parallelismo triadico rappresentativo”.<br />

Nella composizione poetica, ha osservato<br />

Hiraga, affiora l’importanza primaria della<br />

capacità iconica del linguaggio, come dimostrano<br />

gli haiku e i tanka di alcuni poeti<br />

giapponesi: emerge qui come l’artista, consciamente<br />

e, talvolta, inconsciamente, si<br />

sia lasciato guidare nella scelta dei termini<br />

dal maggiore grado di iconicità dei medesimi<br />

e di come la stessa capacità espressiva<br />

48<br />

insita nei termini usati ci aiuti a trovare una<br />

nuova e più valida interpretazione dell’opera<br />

poetica.<br />

Nel suo intervento Háj Ross (“The Taoing<br />

of a Sound: Phonetic Drama in William<br />

Blake’s The Tyger”) ha proceduto a un’analisi<br />

molto approfondita della struttura globale,<br />

della metrica, della forma delle singole<br />

parole, della posizione delle interrogazioni<br />

e dell’effetto fonetico emergente dalla<br />

poesia di Blake, che permette di scoprire<br />

in essa la rappresentazione simbolica della<br />

forza vitale taoista, il teh. In particolare, ha<br />

fatto notare Ross, nella struttura centrale<br />

del poema The Tyger si evidenzia un’alternanza<br />

di combinazioni sonore AB - BA,<br />

che indica un’opposizione di fonemi e di<br />

simboli del tipo della contrapposizione di<br />

yin e yang, e nell’equilibrio finale raggiunto<br />

da questi due concetti compenetrantesi,<br />

emerge la simbolizzazione tao. M.P.<br />

Il sistema filosofico<br />

In occasione della pubblicazione dell’edizione<br />

italiana del volume di Nicholas<br />

Rescher, LA LOTTA DEI SISTEMI.<br />

FONDAMENTI E IMPLICAZIONI DELLA PLURA-<br />

LITÀ FILOSOFICA (traduzione di Nicola<br />

Vassallo, introduzione di Andrea<br />

Bottani, Marietti, Genova <strong>1993</strong>) si è<br />

tenuta a Milano il 20 gennaio 1991,<br />

presso la Sala Incontri dell’ISU, la<br />

conferenza dell’autore sul tema: L’interconnessione<br />

sistemica dei temi<br />

filosofici, alla quale hanno partecipato<br />

Carlo Sini, Carlo Penco, Michele<br />

Marsonet e Andrea Bottani.<br />

Autore tra i più prolifici della filosofia<br />

americana contemporanea (ha scritto più di<br />

60 libri) Nicholas Rescher è soprattutto<br />

conosciuto per la sua teoria coerentista<br />

della verità e per i suoi lavori sulla contraddizione<br />

e la coerenza in logica. La visione<br />

che Rescher ha della filosofia fa parte della<br />

“sua” filosofia: la sua metafilosofia è prescrittiva<br />

nel senso indicato da Robert Nozick,<br />

anche se le conclusioni che Rescher trae<br />

da questo punto di vista sono diverse da<br />

quelle di Nozick. La storia della filosofia è<br />

vista come una serie di tentativi di riorganizzare<br />

il sistema di conoscenze del proprio<br />

tempo in modo da eliminare contraddizioni.<br />

I filosofi, osserva Rescher, si trovano<br />

in ogni momento della storia ad affrontare<br />

un insieme di tesi proposte per<br />

spiegare l’esperienza, ma queste tesi non<br />

riescono a formare un sistema coerente.<br />

Solo scartando alcune di queste tesi e scegliendone<br />

altre si può rispondere al profondo<br />

bisogno di coerenza che pervade ogni<br />

essere umano. Questa scelta porta inevitabilmente<br />

al contrasto tra diversi sistemi<br />

filosofici.<br />

Attraverso un’analisi dei diversi sistemi di<br />

tesi in contrasto tra loro, Rescher propone,


in questa sua opera, una storia della filosofia<br />

del tutto originale, che mostra il sorgere<br />

del contrasto filosofico dai tentativi di trovare<br />

una coerenza all’interno di gruppi di<br />

idee tra loro non tutte compatibili. Ma il<br />

valore di quest’opera sta anche nella riflessione<br />

sul senso di questo lavoro, che aiuta<br />

a chiarire il ruolo e lo statuto particolare<br />

della filosofia rispetto alle altre dimensioni<br />

del sapere. Nasce un affresco originale del<br />

lavoro filosofico, che può venire classificato<br />

come “pluralismo degli orientamenti”,<br />

un atteggiamento che è del tutto all’opposto<br />

dei settarismi correnti anche in filosofia.<br />

Rescher difende con forza la sua posizione<br />

contro le tentazioni del relativismo e dello<br />

scetticismo; in particolare dedica una ampia<br />

parte del lavoro a una critica delle<br />

posizioni di Richard Rorty, che rappresenta<br />

forse il suo antagonista più naturale,<br />

per la sua visione della filosofia come impresa<br />

“edificante” più che come impresa<br />

“cognitiva”. Rorty propone una filosofia<br />

liberatoria come liberazione dalla filosofia;<br />

questa deve essere esiliata dalla sfera<br />

della ragione, e in particolare dai problemi<br />

della filosofia specialistica che sono solo<br />

problemi e questioni dei filosofi. La reazione<br />

di Rescher si può riassumere con le sue<br />

stesse parole: «La fondamentale divisione<br />

del lavoro è già stata fissata da Platone, che<br />

oppone il filosofo al poeta. Anche il secondo<br />

può descrivere possibilità e progettare<br />

idee, ma è solo il primo ad occuparsi della<br />

loro valutazione razionale - introducendo e<br />

sviluppando argomentazioni pro e contro<br />

la loro adozione. (...) Ritirandoci dalla lotta<br />

delle dottrine e dal contrasto delle questioni,<br />

abbandoniamo il filosofare come impresa<br />

razionale».<br />

Ma perché Rorty e tanti altri filosofi sono<br />

portati verso scelte scettiche, irrazionaliste<br />

o quanto meno non cognitiviste, tali cioè da<br />

negare ogni valore cognitivo all’impresa<br />

filosofica? Probabilmente, suggerisce Rescher,<br />

perché cercano di rendere coerente<br />

l’insieme di idee comuni nel nostro tempo,<br />

che non sono però compatibili tra loro: 1. la<br />

filosofia è un’impresa di valore; 2. le imprese<br />

intellettuali di valore stabiliscono<br />

tesi; 3. la filosofia non può stabilire tesi. La<br />

negazione di 1. porta allo scetticismo; la<br />

negazione di 2. porta al non cognitivismo;<br />

solo la negazione di 3. permette di salvare<br />

la filosofia come impresa cognitiva; ma<br />

questo non vuole dire che le tesi filosofiche<br />

siano assolute: esse si danno sempre nel<br />

contesto di certi valori, presuppongono<br />

scelte di valore cognitivo. Questa la conclusione<br />

del lavoro di Rescher: «sarebbe<br />

bizzarro pensare che la filosofia non ha<br />

valore perché le posizioni filosofiche sono<br />

costrette a riflettere i particolari valori che<br />

sosteniamo».<br />

Nella conferenza in occasione della presentazione<br />

a Milano della sua opera: Il<br />

conflitto dei sistemi, Nicholas Rescher ha<br />

esordito ricordando come la filosofia anglo-americana<br />

abbia sempre più concen-<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

trato i propri sforzi su ricerche particolari e<br />

su temi estremamente delimitati. Si è<br />

conseguentemente sviluppata una divisione<br />

del lavoro e una specializzazione impensabili<br />

per i filosofi di epoche precedenti.<br />

Problemi filosofici che emergono in aree<br />

a prima vista molto distanti fra loro sono,<br />

spesso, tanto strettamente correlati, che<br />

una posizione assunta riguardo a uno di<br />

essi ha implicazioni profonde rispetto alle<br />

posizioni assumibili in un altro. «Per questo<br />

loro intrinseco carattere di interrelazione<br />

- ha affermato Rescher - le posizioni<br />

filosofiche in generale formano parti di<br />

insiemi aporetici, e non possiamo risolvere<br />

queste aporìe senza la dovuta attenzione<br />

per gli aspetti sistematici della discussione<br />

filosofica».<br />

Rescher ha paragonato la prassi filosofica a<br />

quella di un ingegnere, che deve ottemperare,<br />

bilanciandole, a esigenze molteplici,<br />

spesso in conflitto fra loro: efficienza, sicurezza,<br />

economicità. In questa situazione,<br />

non ci servirebbe una vettura particolarmente<br />

sicura, ma una in grado di procedere<br />

a non oltre tre chilometri all’ora. La medesima<br />

situazione vale anche per la riflessione<br />

filosofica: «l’ambito dei nostri interessi<br />

filosofici è una rete, in cui ogni cosa è<br />

interconnessa con ogni altra. Non abbiamo<br />

alcuna alternativa sensata se non procedere<br />

olisticamente. L’interconnessione sistematica<br />

dei problemi filosofici è un fatto inevitabile:<br />

in filosofia dobbiamo o sistematizzare,<br />

o lavorare invano».<br />

La riflessione di Rescher prende dunque le<br />

mosse dal rilievo del dissenso tra le varie<br />

posizioni filosofiche, il cui non accordo<br />

può valere come motivo di scetticismo nei<br />

confronti non solo e non tanto dei contenuti<br />

delle teorie, quanto soprattutto della pretesa<br />

di verità a cui le teorie, in quanto tali,<br />

ambiscono. L’epoché scettica verte insomma<br />

direttamente sullo statuto veritativo delle<br />

teorie filosofiche, aprendo così una serie di<br />

questioni relative anzitutto al valore conoscitivo,<br />

in filosofia, del dissenso, e in secondo<br />

luogo al tipo di oggettività a cui<br />

possono pervenire le conoscenze filosofiche.<br />

In merito al primo punto, Rescher<br />

propone alla filosofia il ruolo di prassi<br />

discorsiva, risolutiva, con un approccio<br />

olistico, delle aporìe fra le singole conoscenze<br />

che ci sono consegnate dal nostro<br />

patrimonio conoscitivo. Nei confronti della<br />

diversità delle teorie, Rescher rifiuta<br />

l’incommensurabilismo, sulla base della<br />

tesi dell’unicità del linguaggio, strumento<br />

di attività semantica che, peraltro, non scioglie<br />

mai definitivamente le contraddizioni,<br />

ma le porta a livelli di espressione sempre<br />

più avanzati. La rinuncia all’oggettività<br />

delle conoscenze che vengono in questo<br />

modo via via acquisite, non comporta perciò,<br />

come ha sottolineato Andrea Bottani,<br />

la rinuncia alla dignità gnoseologica dell’impresa.<br />

Si pone a questo punto la seconda questione,<br />

relativa al carattere delle conoscenze<br />

acquisite da questa prassi. A tale proposito,<br />

49<br />

Carlo Sini ha ritenuto importante il richiamo<br />

al pragmatismo di William James, sottolineando<br />

come esso avvicini la posizione<br />

di Rescher a quella di Richard Rorty, e dia<br />

nel contempo conto da un lato di un fenomeno<br />

di mediazione culturale tipico dell’evoluzione<br />

della filosofia analitica anglosassone,<br />

e dall’altro dell’approccio “olistico”<br />

e sistemico di Rescher alla questione<br />

della verità. Su questo punto Michele<br />

Marsonet ha posto la questione del rapporto<br />

fra pragmatismo e idealismo, tenendo<br />

conto degli esordi idealistici di John Dewey,<br />

un altro autore che costituisce un punto di<br />

riferimento per la riflessione rescheriana, e<br />

ha altresì sollevato il problema, a partire<br />

dall’approccio olistico, di una possibile<br />

rivalutazione della metafisica. A questo<br />

proposito Carlo Penco ha obiettato che la<br />

tendenza olistica pare debba essere posta in<br />

secondo piano nel momento in cui si realizza<br />

in concreto la ricerca, che ha un carattere<br />

essenzialmente specialistico. In realtà, ha<br />

risposto Rescher, la “logica della scoperta<br />

scientifica” è spesso sistemica, e prevede<br />

l’interconnessione di tutti i tipi di conoscenze<br />

umane, ivi comprese quelle metafisiche.<br />

D’altra parte, la stessa “questione<br />

olistica” riveste un carattere metafisico,<br />

come pure le tesi fondamentali dei neopositivisti,<br />

che pure vorrebbero rifiutare la<br />

metafisica. Se si dà contrapposizione fra<br />

pragmatismo e metafisica, ha continuato<br />

Rescher, essa può essere definita proprio a<br />

partire dalle indicazioni di Dewey, e non<br />

consiste in un’alternativa; poiché la metafisica<br />

rappresenta effettivamente, nella sua<br />

versione idealistica, una deformazione della<br />

realtà, ciò non esclude comunque che<br />

anche attraverso conoscenze metafisiche si<br />

possa pervenire a un controllo della realtà<br />

medesima, che è il tratto caratteristico del<br />

pragmatismo. F.C./ C.P.<br />

Ri-pensare l’Antropologia.<br />

La lettura incrociata di due recenti<br />

studi sul pensiero antropologico, il<br />

primo di Hans Peter Duerr, TEMPO DI<br />

SOGNO (trad. it. di F. Cassinari, Guerini<br />

e Associati, Milano 1992), il secondo di<br />

Silvana Borutti, PER UN’ETICA DEL DISCOR-<br />

SO ANTROPOLOGICO (Guerini e Associati,<br />

Milano <strong>1993</strong>), consente un ripensamento<br />

critico delle pratiche di ricerca<br />

e dei riferimenti teorici comuni all’etnologia<br />

e all’antropologia ed apre interessanti<br />

orizzonti di ricollocamento<br />

filosofico dei loro rispettivi assetti disciplinari.<br />

Un momento di approfondimento<br />

delle tematiche proposte in<br />

TEMPO DI SOGNO di Hans Duerr è stata la<br />

presentazione dell’opera alla Libreria<br />

Feltrinelli di Milano (6 maggio <strong>1993</strong>),<br />

con la partecipazione di Flavio Cassinari,<br />

Alfredo Civita, Ugo Fabietti e Carlo<br />

Sini.


L’immersione in un’atmosfera di pozioni<br />

stregonesche, profili di lupi mannari e sciamani<br />

volanti da impervi crepacci corrisponde<br />

ad una precisa strategia comunicativa<br />

di Hans Peter Duerr in Tempo di<br />

sogno: arredare la scena narrativa per accogliere<br />

un personaggio, che si delinea solo<br />

allusivamente nel susseguirsi dei vari capitoli<br />

e la cui piena identità viene esibita solo<br />

al termine della trattazione. L’intenzione di<br />

Duer è di tratteggiare la difficile e scomoda<br />

figura del ricercatore sul campo, che vive<br />

una situazione di doppio isolamento: dal<br />

mondo della natura selvaggia, che il ricercatore<br />

indaga senza appartenere ad esso, e<br />

dal mondo scientifico della civiltà moderna,<br />

da cui l’esperienza sul campo tende ad<br />

allontanarlo. Questa solitudine, vissuta in<br />

prima persona, è secondo Duerr la condizione<br />

inaugurale per una radicale critica<br />

della etnologia, come disciplina scientifica,<br />

e delle sue metodologie di ricerca.<br />

Un concetto-chiave di questa disciplina,<br />

attorno al quale, come giustamente osserva<br />

Flavio Cassinari, ruota tutto il ragionamento<br />

di Duerr, è quello di “limite” (Grenze),<br />

inteso come “delimitazione ed insieme<br />

apertura” dall’interno, piuttosto che come<br />

“confine”, barriera rigida (Schranke), che<br />

separa due regioni estranee l’una all’altra.<br />

La critica radicale di Duerr nasce proprio<br />

da questo snaturamento del concetto di<br />

limite compiuto dagli studiosi nei confronti<br />

della Wildnis, la dimensione della natura<br />

selvaggia. L’effetto è il fraintendimento,<br />

l’alterazione del messaggio nel rapporto<br />

dialogico con l’interlocutore indigeno.<br />

L’erezione della barriera della Zivilisation,<br />

il processo di civilizzazione, di fronte alla<br />

natura selvaggia è un fenomeno che risale<br />

agli albori dell’evo moderno, con il generalizzarsi<br />

della persecuzione delle streghe.<br />

Lo stesso atteggiamento mentale che ha<br />

informato la logica dei processi alle streghe,<br />

osserva Duerr, è stato assunto dai<br />

moderni studiosi della mentalità dei popoli<br />

non ancora assorbiti dalla nostra civiltà: un<br />

meccanismo difensivo di rifiuto erige una<br />

barriera di presunta superiorità razionale e<br />

impedisce di accogliere le “ragioni degli<br />

altri”, se non filtrandole e accomodandole<br />

alla nostra.<br />

Questo atteggiamento è comune ad entrambi<br />

gli schieramenti operanti nel campo<br />

dell’etno-antropologia, i dogmatici e i relativisti:<br />

i primi rinserrati nelle categorie<br />

coltivate all’interno della barriera; i secondi<br />

disponibili a sorpassare lo steccato per<br />

incontrare “gli altri”, ma pronti a rientrarvi,<br />

senza mai mettere in discussione né i presupposti,<br />

né i confini del loro territorio. Il<br />

passo decisivo diventa per Duerr quello di<br />

riconsiderare la dimensione selvaggia come<br />

qualcosa di originariamente costitutivo<br />

della nostra civiltà e di condividere l’esperienza<br />

degli indigeni incontrati al di fuori<br />

dei propri confini come qualcosa di non<br />

totalmente altro. In una certa misura, il<br />

ricercatore sul campo deve perdere il limite<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

per allargare la conoscenza dell’altro e di<br />

sé, del luogo dove è transitato e di quello di<br />

provenienza. Le pratiche dell’etnologo e le<br />

corrispondenti riflessioni antropologiche<br />

devono implicare un allargamento del noi<br />

che pratichiamo e che vediamo allo specchio<br />

della nostra autocoscienza riflessiva;<br />

gli spazi della nostra realtà effettuale<br />

(Wirklichkeit) devono poter abbracciare una<br />

possibile realtà in costituzione (Realität),<br />

attingibile mediante un Erlebnis, un vissuto<br />

di esperienza.<br />

Un movimento teorico insieme inverso ma,<br />

per diversi tratti, convergente con quello di<br />

Duerr è quello che ritroviamo nell’ultimo<br />

lavoro di Silvana Borutti, Per un’etica del<br />

discorso antropologico. Inverso, in quanto<br />

l’approccio è costituito da premesse di tipo<br />

filosofico ed epistemologico; convergente,<br />

in quanto si arriva a riflessioni sullo statuto<br />

delle pratiche e degli assetti disciplinari<br />

dell’antropologia che si rivelano in opposizione<br />

a entrambi gli schieramenti denunciati<br />

da Duerr, i dogmatici dell’oggettivismo<br />

scientista ed i relativisti della convenzione<br />

radicale. Inoltre, anche Borutti assume<br />

il tema del limite come elemento portante<br />

della sua analisi, ma lo caratterizza<br />

secondo una diversa intenzionalità filosofica,<br />

di ascendenza wittgensteiniana: il limite<br />

non è barriera, ma sfondo, contorno,<br />

delimitazione e insieme apertura di un contesto.<br />

Il limite-orizzonte (Hintergrund) apre<br />

lo spazio del gioco linguistico che presiede<br />

una forma di vita; se per un verso traccia lo<br />

spazio entro un contorno, per un altro apre<br />

un ventaglio di possibilità, più precisamente<br />

si configura come trascendendale linguistico<br />

della vita comunitaria, mostrando<br />

lo spiraglio attraverso cui accedervi.<br />

Il linguaggio presenta caratteri di plasticità,<br />

si offre a continue rimodellazioni e<br />

presenta una varietà straordinaria di pieghe<br />

e sfumature, ma non può tutto, né a livello<br />

semantico, né a livello dialogico: apre all’Altro,<br />

ma con oscurità, vuoti, lacerazioni.<br />

Come passare il Zwischen, il “tra”, che<br />

separa il Sé e l’Altro, la forma di vita<br />

familiare e quella estranea e ignota? Su<br />

questo punto le proposte di Duerr e della<br />

Borutti divaricano: per Duerr il tramite è il<br />

soggetto, ovvero lo stesso ricercatore, che<br />

grazie ad un Erlebnis coglie la dimensione<br />

selvaggia - con il rischio di subire la fascinazione<br />

di quella dimensione e non tornare<br />

più dal suo viaggio; per Borutti, il tramite è<br />

il medium linguistico ed una sua specifica<br />

attitudine, la traduzione, che fa da ponte tra<br />

i due universi.<br />

La traduzione rappresenta inevitabilmente<br />

un compromesso agito sulla contraddizione<br />

altrimenti insuperabile per cui «non si<br />

può non tradurre» e, d’altro canto, «non si<br />

può tradurre» in senso pieno e totale, da cui<br />

ne segue la tensione mai pacificata nell’antropologo<br />

tra il vincolo del conservare la<br />

differenza dell’Altro e la volontà di sapere<br />

del Sé; condizioni entrambe ineliminabili<br />

per rispettare il dialogo di alterità che solo<br />

può evitare i due rischi contrapposti: o<br />

50<br />

l’annullamento dell’Altro entro il dominio<br />

del Sé, o il dissolvimento del Sé con l’immedesimazione<br />

senza residui nell’Altro.<br />

Nel dibattito che è seguito alla presentazione<br />

dell’opera di Duerr, Tempo di sogno,<br />

alla Libreria Feltrinelli di Milano, Flavio<br />

Cassinari, traduttore dell’opera, ha respinto<br />

con forza il giudizio secondo il quale l’impostazione<br />

di Duerr debba considerarsi “ingenuamente<br />

esotica”. Al contrario, ha osservato<br />

Cassinari, Duerr ha messo a fuoco<br />

le radici teoriche che accomunano sia l’etnologo<br />

sia il girovago hippy nei loro<br />

rapporti con popoli non civilizzati: entrambi<br />

credono che la loro realtà sia<br />

unica e monocentrica; solo che i primi<br />

credono che la realtà di queste popolazioni<br />

sia sussumibile alla propria, i secondi<br />

invece che sia componibile con la<br />

propria. Il merito di Duerr è di aver<br />

indicato, sia attraverso una descrizione<br />

storica, sia con il ricorso ad una analisi<br />

teorica, che la realtà della Wildnis non è<br />

una realtà altra, ma è il “buco nero”,<br />

l’orlo rimosso e misterioso della civilizzazione.<br />

E’ questo il terreno di incontro<br />

tra l’etnologo e il nativo, e la scrittura<br />

etnografica deve avviare una sorta di<br />

ricucitura tra i due mondi, o meglio,<br />

deve evidenziare nella sua trama i segni<br />

di uno strappo, di una lacerazione epocale,<br />

storicamente consumatasi.<br />

A Duerr, eventualmente, si può imputare,<br />

come ha fatto Alfredo Civita, il mancato<br />

chiarimento circa i caratteri di questo fondo<br />

oscuro della Wildnis, costitutivo della<br />

nostra civiltà e da questa esorcizzato: si<br />

tratta di qualcosa di radicalmente altro e<br />

inaccessibile, oppure di regolamentabile<br />

ed esperibile attraverso appropriati rituali?<br />

Sulla base di questa alternativa irrisolta si<br />

sviluppa la riflessione proposta dall’autore,<br />

che si articola su tre piani distinti, ma nel<br />

contempo collegati: un piano descrittivo di<br />

tipo etnografico (un racconto delle esperienze-limite<br />

dalla Grecia del mito ai giorni<br />

nostri); un piano teorico-epistemologico<br />

(un’analisi del valore di verità degli<br />

enunciati dei nativi); infine un piano<br />

filosofico-morale (sui connotati della<br />

civiltà occidentale).<br />

Riprendendo questa impostazione, Ugo<br />

Fabietti ha sintetizzato nel suo intervento<br />

quello che è diventato il problema antropologico<br />

per eccellenza: quale è la corretta<br />

impostazione che permette al ricercatore<br />

l’approccio all’alterità culturale? Secondo<br />

Fabietti, la proposta di Duerr ci offre una<br />

prospettiva interessante, quando sostiene<br />

che il ricercatore deve rimanere a cavallo<br />

tra i due mondi, quello a cui appartiene e<br />

quello che è l’oggetto del suo studio. In tal<br />

senso viene esclusa qualsiasi impostazione<br />

di tipo scientista, che pretenda di fissare<br />

con rigidità tassonomica e formalizzante la<br />

conoscenza delle altre culture; come, d’altro<br />

canto, l’approccio ai significati di queste<br />

culture non è garantito da un processo di<br />

immedesimazione nei soggetti che ad esse<br />

appartengono.


Per quanto riguarda la questione delle categorie<br />

interpretative da applicare nella conoscenza<br />

di queste culture, Fabietti ha proposto<br />

la distinzione tra comunicazione sul<br />

campo e comunicazione al pubblico (la<br />

comunità scientifica, gli studenti, i lettori<br />

delle opere di divulgazione). Nel primo<br />

caso, il ricercatore procede per gradi, e<br />

comincia da una vera e propria simulazione<br />

di un’altra forma di vita, che con il passar<br />

del tempo egli perfeziona, accelerando,<br />

quasi inconsciamente, questo processo<br />

di interazione con l’altro. Nel secondo<br />

caso, il grado di comprensione acquisita<br />

sul campo si evidenzia nel tasso di plausibilità<br />

che assumono le descrizioni etnologiche<br />

quando sono presentate al<br />

pubblico; in questa situazione comunicativa,<br />

è opportuno un assiduo e meditato<br />

rinvio tra le categorie analitiche dell’antropologo<br />

e quelle del nativo, al fine<br />

di far intendere al pubblico ciò che il<br />

ricercatore crede di aver capito sul campo.<br />

Carlo Sini, infine, ha analizzato alcune<br />

implicazioni delle posizioni di Duerr sul<br />

versante filosofico, ricordando l’osservazione<br />

di Foucault contenuta ne Les<br />

mots et le choses secondo la quale vi<br />

sono due scienze di confine, destinate ad<br />

esplodere in quanto tali ed a diventare<br />

luoghi di interrogazione filosofica, ovvero<br />

la psicoanalisi e l’antropologia. Esse<br />

mettono in scacco la nostra ambizione<br />

epistemologica di dominio intellettuale<br />

sull’Altro, che è una sorta di esorcismo<br />

nei confronti della differenza, interna ed<br />

esterna a noi.<br />

In questo contesto riflessivo occupa un<br />

ruolo centrale il problema della comprensione.<br />

Duerr prende significativamente<br />

le distanze dalla posizione di Habermas,<br />

che sostiene l’idea di una illimitata<br />

trasparenza comunicativa dei linguaggi<br />

naturali. Tuttavia, la posizione di<br />

Duerr rimane a questo proposito non<br />

sufficientemente approfondita: la comprensione<br />

non è solo evento, non coincide<br />

con la pratica della traduzione, in<br />

quanto trasferimento di significati da un<br />

universo discorsivo a un altro. L’interazione<br />

con il “gioco linguistico” di una<br />

differente forma di vita, riprendendo Wittgenstein,<br />

impone uno sguardo capace di<br />

scrutare, sotto la superficie comunicativa,<br />

la fisionomia, opaca e inquietante,<br />

dell’Altro che c’è in noi, oltre che nell’interlocutore<br />

di fronte a noi. F.S.<br />

Il dibattito sorto in occasione della presentazione<br />

dell’opera di Duerr ha messo<br />

in evidenza alcuni motivi di riflessione,<br />

che abbiamo proposto a Silvana Borutti,<br />

non presente all’incontro. L’intervista<br />

che segue è di Franco Sarcinelli.<br />

Un punto forte del discorso di Duerr è<br />

l’idea che l’etnologo scientifico non sia<br />

cosciente della Wildnis da cui si è originata<br />

la nostra modernità. Che cosa ne<br />

pensa di questo vizio di fondo della etnoantropologia<br />

contemporanea?<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

Ciò che mi sembra assolutamente vero è<br />

che l’oblio dell’origine, del proprio carattere<br />

storico e quindi della differenza<br />

in rapporto ad altre forme di civiltà, sia<br />

tipico della forma moderna occidentale<br />

di civilizzazione. La razionalità scientifica<br />

è di per sé monologica. Per chi vive<br />

in essa, la forma di vita scientifico-razionale,<br />

dominata dai modi tecnologici<br />

del rapporto col mondo e dai modi logico-calcolistici<br />

del pensiero, appare come<br />

una necessità e un assoluto: sembra di<br />

poter pensare solo in essa. E’ vero anche<br />

che l’etno-antropologia ha ripetuto questa<br />

rimozione e ha praticato inconsapevolmente<br />

una vera e propria volontà di<br />

sapere, che è diventata un’oggettivazione<br />

dell’altro. Ma osserverei anche due<br />

cose: da un parte il dibattito epistemologico<br />

nell’antropologia contemporanea,<br />

che è molto vivo (pensiamo ad esempio<br />

alla discussione tra la prospettiva interpretativa<br />

e quella oggettivistica), ci dice<br />

che l’etno-antropologia riflette ormai<br />

sulla propria volontà di oggettivazione e<br />

si pone il problema della differenza (il<br />

libro di Duerr, del 1978, appartiene agli<br />

anni iniziali del dibattito); dall’altra parte,<br />

l’asimmetria sottolineata da Duerr tra<br />

lo stregone e l’antropologo è riconducibile<br />

anche alla differenza tra una forte<br />

esperienza di appartenenza comunitaria,<br />

tra il limite come vissuto di identità per<br />

lo stregone, e il sentimento occidentale,<br />

molto più labile e incerto, dell’appartenenza<br />

e dell’identità: il viaggio dell’antropologo<br />

non è solo volontà di sapere,<br />

ma anche confessione e détour alla ricerca<br />

di sé.<br />

Duerr sostiene che tradurre non è comprendere,<br />

perché esclude quel trasferimento<br />

vitale nel mondo del nativo - ad<br />

esempio vivere l’esperienza dell’ululare<br />

coi lupi - che sola costituisce la base<br />

di una genuina comprensione. Ma allora<br />

comprensione e traduzione si contrappongono<br />

o, in ogni caso, sono nettamente<br />

distinguibili?<br />

In sintesi: Duerr pensa che comprendere<br />

l’altro sia il trasferimento vitale nel suo<br />

mondo, l’empatia, il diventare l’altro; io<br />

penso invece che comprendere sia tradurre,<br />

sia un tornare presso di sé dopo<br />

essere stato presso l’altro. Perché la traduzione<br />

è, a mio parere, esemplare del<br />

comprendere antropologico? La comprensione<br />

antropologica, come l’apprendimento<br />

di una lingua, richiede certamente<br />

l’immersione in una forma di vita,<br />

in un addestramento, una formazione<br />

che sia insieme linguistica e sociale, e<br />

che metta l’antropologo nella condizione<br />

di poter partecipare a giochi linguistici<br />

regolati. Ma, così come una traduzione<br />

è il trasferimento nel proprio corpo<br />

linguistico dei significati dell’altro testo,<br />

la comprensione antropologica è un<br />

apprendimento finalizzato a dire l’altro<br />

nella nostra lingua, non a diventare l’altro:<br />

è una pratica della differenza, non<br />

51<br />

dell’identità.<br />

L’assunzione del punto di vista dei nativi<br />

deve cioè rimanere uno sforzo cosciente<br />

e riflesso di simulazione e di<br />

traduzione - un processo, come dice Papi,<br />

di «simulazione ontologica necessaria».<br />

Comprendere non è diventare l’altro, ma<br />

simulare l’altro a partire da sé.<br />

Si può ritenere che la comunicazione sul<br />

campo dello studioso con il nativo si<br />

fondi su categorie implicite e su atti<br />

enunciativi complessi mentre, di fatto,<br />

la necessità di tassonomie e formalizzazioni<br />

s’imponga nel momento della comunicazione<br />

dello studioso al suo pubblico?<br />

Credo che l’opposizione tra un’esperienza<br />

sul campo, che avviene attraverso le<br />

strutture del dialogo in atto (mosse enunciative<br />

complesse, negoziazione dei ruoli,<br />

riferimento alla relazione in atto, fraintendimenti,<br />

compromessi, ecc.) e la comunicazione<br />

scientifica, che avviene attraverso<br />

categorizzazioni teoriche proprie<br />

di una comunità di sapere, corrisponda<br />

perfettamente all’esperienza dell’antropologo.<br />

Forse è corretto aggiungere<br />

che sul campo l’antropologo deve<br />

fare in modo che la sua intenzione scientifica,<br />

che è una condizione inevitabile,<br />

non gli impedisca di mettersi in dialogo.<br />

Molti antropologi (Favret-Saada, Guidieri,<br />

Sperber) raccontano esperienze sul<br />

campo in cui, per superare l’impasse di<br />

un dialogo impossibile, hanno dovuto<br />

ristrutturare in parte il proprio “comportamento<br />

scientifico” e il proprio modo di<br />

far ricerca.<br />

Ponendo la scrittura antropologica come<br />

scrittura filosofica, si potrebbe sostenere<br />

che il problema della comprensione dell’Altro<br />

in antropologia si risolve nella questione<br />

della descrivibilità dell’esperienza<br />

propria, ovvero nel suo essere altra?<br />

Direi di sì, e risponderei che la scrittura<br />

antropologica è scrittura filosofica proprio<br />

perché è esemplare del percorso non<br />

narcisistico (uscita da sé, via lunga che<br />

passa attraverso l’alterità, come dice Ricoeur)<br />

che deve essere la conoscenza di<br />

sé. Potremmo pensare l’antropologia<br />

come lavoro di comparazione che non<br />

mira all’universalizzazione ( a trovare<br />

l’umano in generale), ma piuttosto al<br />

riconoscimento contrastivo e asimmetrico<br />

di sé: noi, primitivi - come dice il<br />

titolo di un libro di Francesco Remotti;<br />

noi che possiamo attraversare la distanza<br />

dell’altro solo dopo aver preso distanza<br />

da noi - come diceva Lévi-Strauss,<br />

leggendo nelle Confessioni di Rousseau<br />

la fondazione delle scienze dell’uomo.<br />

Più in generale, quali contributi specifici<br />

la filosofia potrebbe offrire all’antropologia,<br />

contributi spesso richiesti esplicitamente<br />

dagli antropologi militanti?<br />

Oggi nessuno pensa più che ci siano tipi<br />

di conoscenza che richiedano l’assoluta<br />

spontaneità dell’approccio, né, all’opposto,<br />

che le metodologie siano strutture


CONVEGNI E SEMINARI<br />

Cranio umano ricoperto di argilla dipinta, Nuova Guinea, Sepik<br />

52


indiscutibili ed elaborate una volta per<br />

tutte. La messa in chiaro dei livelli della<br />

comprensione e della costruzione della<br />

conoscenza antropologica (dialogo sul<br />

campo, costruzione delle descrizioni etnografiche,<br />

scrittura finale del testo antropologico)<br />

è un compito che ha aspetti<br />

filosofici e epistemologici, che emergono<br />

sia nelle riflessioni degli antropologi,<br />

sia nei loro scambi coi filosofi - come ha<br />

dimostrato il dibattito, ancora in corso,<br />

sul modello interpretativo in antropologia.<br />

Il che mette in luce, d’altro canto, che la<br />

filosofia, se è un discorso socialmente<br />

raro, cioè non immediatamente volgarizzabile,<br />

non è tuttavia un discorso separato,<br />

ma immesso nella comunicazione<br />

scientifica e sociale.<br />

Fondamenti della geometria<br />

Dal 21 al 25 settembre 1992 Imre Toth<br />

ha tenuto, all’Istituto Italiano per gli<br />

<strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong>, un seminario sul tema:<br />

LA CRITICA DELLA RAGION PURA E LA RICERCA<br />

DEI FONDAMENTI DELLA GEOMETRIA NEL XVIII<br />

SECOLO. Scopo delle riflessioni di Toth<br />

è stato di dimostrare l’importanza<br />

della concezione kantiana della matematica<br />

nell’evoluzione storica che ha<br />

portato a fondare una geometria non<br />

e u c l i d e a .<br />

Come per molti filosofi prima di lui (Euclide,<br />

Platone, Descartes, Leibniz, per citarne<br />

solo alcuni) anche per Immanuel Kant la<br />

matematica riveste un ruolo notevole nel<br />

suo sistema filosofico. Prendendo spunto<br />

dal postulato euclideo delle parallele, Kant<br />

si pone la questione se le verità indubitabili<br />

(i postulati) possono essere dimostrate, dove<br />

per dimostrazione si intenda ciò che una<br />

certa collettività umana, in un dato momento<br />

storico, accetta come dimostrazione.<br />

La questione tuttavia non è tanto quella<br />

di accertare la verità delle proposizioni (per<br />

esempio, che da due punti passa una retta e<br />

una sola), ma se da un certo numero di<br />

proposizioni dipende la formulazione di<br />

altre proposizioni. Di fatto, solo dopo la<br />

scoperta della geometria non-euclidea il<br />

pensiero filosofico diverrà cosciente della<br />

diversità delle due questioni, dando vita, ad<br />

una “meta-matematica” e ad una “metageometria”,<br />

in quanto ricerche scientifiche<br />

con metodi loro propri.<br />

L’intuizione kantiana di una geometria non<br />

euclidea risale al 1746; è, infatti, a quest’epoca<br />

che risalgono i suoi pensieri sulla<br />

possibilità di una creazione divina di mondi<br />

paralleli. Kant afferma che dal punto di<br />

vista metafisico è possibile che Dio abbia<br />

creato milioni di mondi, anche di quarta<br />

dimensione. Essi tuttavia non possono essere<br />

conosciuti dagli uomini, ai quali è<br />

precluso ogni contatto con questi mondi:<br />

per gli esseri umani l’esistenza o la non<br />

esistenza di questi mondi è “indecidibile”<br />

con mezzi logici; tali mondi, infatti, devono<br />

avere una giustificazione assolutamente<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

differente, per cui le nostre verità geometriche<br />

non sono valide.<br />

La novità di queste deduzioni, ha osservato<br />

Imre Toth, è la presenza chiara in Kant del<br />

problema della pluralità dei mondi, un problema<br />

che egli imposta sul piano prettamente<br />

geometrico, dato che essi si distinguono<br />

per la loro “quadrimensionalità”.<br />

Una geometria di quarta dimensione è già<br />

una geometria non euclidea in senso generale.<br />

Interessante, secondo Toth, è anche la<br />

consapevolezza kantiana dell’esistenza di<br />

attributi geometrici che sono in relazione<br />

sintetica con le altre proprietà geometriche.<br />

Nella Critica, invece, anche a seguito<br />

dell’influenza fondamentale di Klügel su<br />

Kant, vi è un cambiamento radicale del<br />

repertorio geometrico: la quarta dimensione<br />

scompare totalmente. Il problema della<br />

quarta dimensione, secondo Klügel, era<br />

infatti enigma dello Spirito umano e non un<br />

problema di geometria. Questa consapevolezza<br />

era presente anche in Kant, già nel<br />

1770. Inoltre, ha rilevato Toth, nell’affermare<br />

che la somma degli angoli di un<br />

triangolo può essere maggiore di un angolo<br />

piatto, Kant mostra di essere a conoscenza<br />

dell’opera di Saccheri, che ne aveva dato<br />

dimostrazione.<br />

Nei decenni a partire dal 1760 Kant arriva,<br />

dunque, alla convinzione che le proposizioni<br />

della geometria sono in realtà sintetiche.<br />

A tale riguardo, nella Critica Kant<br />

afferma che dal concetto del triangolo (euclideo<br />

o meno) non è possibile desumere se<br />

la somma degli angoli sia o meno uguale ad<br />

un angolo piatto; in altri termini, la seconda<br />

proposizione ha il carattere della sintesi, è<br />

sintetica e non analitica. Con questo, ha<br />

concluso Toth, Kant ha fatto una vera e<br />

propria “rivoluzione copernicana”, decisiva<br />

per lo sviluppo ulteriore della matematica<br />

e della geometria. Il principale merito<br />

di Kant è soprattutto quello di aver distinto<br />

la “verità” delle proposizioni dalla “derivabilità”<br />

o “non derivabilità” di una proposizione<br />

da un’altra. Se però due proposizioni<br />

sono inderivabili e non contraddittorie e se<br />

la sorgente della verità è il soggetto (umano)<br />

libero, con quali mezzi si può fondare<br />

il sentimento della certezza della verità<br />

euclidea? A questo riguardo Toth ha evidenziato<br />

come Kant faccia una scelta che<br />

lui stesso considera “arbitraria”, affermando<br />

che ciò che deve essere motivato non è<br />

la congiunzione del predicato con il soggetto<br />

(il triangolo è euclideo), ma la necessità<br />

apodittica della congiunzione a priori.<br />

E tale necessità deriva dal fatto che esistono<br />

verità pure a priori nel soggetto (e tra<br />

queste vi è la geometria euclidea) che impongono<br />

questa soluzione.<br />

Toth ha richiamato in tal senso C. F. Gauss,<br />

più o meno contemporaneo di Kant, il quale<br />

è il vero e proprio fondatore della geometria<br />

non euclidea. Come risulta dalle sue<br />

lettere all’amico Wolfgang Bolyai, egli<br />

visse in grande tormento interiore perché,<br />

pur essendo un kantiano convinto, si trovava<br />

ad aver scoperto una geometria total-<br />

53<br />

mente sconvolgente. Soltanto dopo<br />

trent’anni (dal 1804 circa) Gauss riesce<br />

finalmente a raggiungere una serenità interna,<br />

evidenziata anche dal fatto che egli<br />

stesso battezza le sue scoperte come “geometria<br />

non euclidea”. Quasi contemporaneamente<br />

anche un altro studioso, Lobacevskij,<br />

raggiunge gli stessi risultati di Gauss,<br />

a più di 4000 Km. di distanza e senza che vi<br />

sia stato alcun contatto con il matematico<br />

tedesco. Gauss arriverà poi alla conclusione<br />

che entrambe le geometrie (quella euclidea<br />

e quella non euclidea) hanno uguale<br />

«diritto alla cittadinanza».<br />

Secondo Toth, questa metafora ha grande<br />

importanza. In primo luogo, per un motivo<br />

storico-politico: infatti Gauss è un accanito<br />

sostenitore della monarchia costituzionale,<br />

nella quale tutti devono essere posti sullo<br />

stesso piano. Egli inoltre ha mostrato che la<br />

verità del soggetto, l’etica, è sovrapposta<br />

alla geometria e non viceversa. Allora se<br />

una delle due geometrie è vera, è vera<br />

anche l’altra: il diritto di esistere appartiene<br />

ad entrambe, senza alcuna discriminazione.<br />

La scelta dell’una o dell’altra è comunque<br />

“arbitraria”. E questa è la differenza<br />

rispetto a Kant, che considerava “arbitraria”<br />

solo la scelta della geometria non euclidea.<br />

L’esistenza delle due geometrie è,<br />

dunque, la dimostrazione di un’unica verità:<br />

che la scelta dell’una o dell’altra è<br />

assolutamente libera.<br />

La nuova verità della geometria non euclidea<br />

lascia intatta la verità di quella euclidea:<br />

se la seconda parte dell’affermazione<br />

che la somma degli angoli di un triangolo è<br />

uguale ad un angolo piatto, la prima, viceversa,<br />

parte dall’affermazione che la somma<br />

degli angoli non è necessariamente<br />

uguale a un angolo piatto. S.Ba.<br />

Aspetti filosofici<br />

della letteratura russa<br />

Inoltrandosi nella storia della letteratura<br />

russa da Pusckin a Dostoevskij e<br />

Tolstoj, Georg Friedländer, dell’Istituto<br />

Puskin di Mosca, ha condotto<br />

presso l’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong><br />

<strong>Filosofici</strong> di Napoli, dal 19 al 22 ottobre<br />

1992, un seminario dal titolo: ASPET-<br />

TI FILOSOFICI DELLA LETTERATURA RUSSA,<br />

mettendo in rilievo momenti significativi<br />

nella tradizione letteraria russa<br />

che hanno dato sviluppo al pensiero<br />

filosofico.<br />

Lo sviluppo del pensiero filosofico in Russia<br />

non segue inizialmente una linea autonoma<br />

ma, fino al XVII secolo, è legato alla<br />

religione orientale e quindi a Bisanzio. La<br />

nascita di movimenti eretici e di una scienza<br />

laica, libera dall’influsso della Chiesa,<br />

avviene solo nel Settecento, in seguito alla<br />

penetrazione del Cattolicesimo e del Protestantesimo<br />

attraverso la Polonia e la Ger-


mania. Ed è proprio con Pietro il Grande,<br />

che nel 1713 spostò la capitale a Pietroburgo,<br />

che la letteratura russa comincia ad<br />

accogliere influenze e suggestioni tipiche<br />

della cultura europea. Pietro il Grande incrementò<br />

la vita culturale russa dando inizio<br />

all’accademia delle Scienze e all’Università<br />

di Pietroburgo. Inoltre, essendo del<br />

tutto assenti nel grande paese figure di<br />

spessore filosofico, si rivolse a Leibniz e la<br />

suo allievo Wolf per istituire una linea di<br />

pensiero autonoma.<br />

Diversamente da quanto avviene in Germania,<br />

ha osservato Georg Friedländer,<br />

lo sviluppo della filosofia in Russia non è<br />

generato dall’Accademia o altre istituzioni;<br />

è legato prevalentemente alla letteratura<br />

e si concentra, in primo luogo, su riflessioni<br />

concernenti la grandezza di Dio e il ruolo<br />

dell’uomo nell’universo assieme a tematiche<br />

di sfondo sociale, quali il rapporto<br />

nobiltà-servitù della gleba. L’Ottocento si<br />

apre in Russia con le Favole di Krylov,<br />

ricche di folklore e leggende, ma nel contempo<br />

protese verso la realtà contemporanea<br />

e le suggestioni straniere. Il Romanticismo<br />

trova qui un terreno culturale e<br />

psicologico particolarmente sensibile, tipico<br />

del processo di trasformazione in atto<br />

in ogni ambito del sapere. Quando in Occidente<br />

Byron ha pubblicato i primi due<br />

capitoli del Don Juan, Manzoni Il Conte di<br />

Carmagnola e Goethe il Wihlelm Meister,<br />

trionfa l’opera di Aleksandr Puskin, che<br />

regala alla letteratura del grande Paese<br />

risonanza mondiale. Il tratto caratterizzante<br />

della sua produzione letteraria, ha<br />

osservato Friedländer, sta nell’ampio arco<br />

di tematiche e personaggi da lui analizzati<br />

con acume e chiarezza.<br />

Figura difficilmente inquadrabile in una<br />

sola corrente o definizione, Puskin è stato<br />

accostato al genio universale di Goethe o a<br />

Leonardo da Vinci, ma egli è prevalentemente<br />

un poeta-artista, pronto a rielaborare<br />

creativamente tutto ciò che lo circonda. Sin<br />

dagli anni del liceo, pur non potendo seguire<br />

delle regolari lezioni di filosofia, Puskin<br />

compone delle poesie giovanili di squisito<br />

contenuto filosofico dove è ben presente<br />

l’introspezione e uno schietto entusiasmo<br />

nei confronti della vita e dei suoi valori.<br />

Egli non si pone, come i suoi predecessori,<br />

il problema sul registro linguistico più appropriato<br />

da usare; l’opera riflette il fluire<br />

della vita ed è pertanto musicale e spontanea<br />

e le trame dei suoi romanzi, pur essendo<br />

estremamente lineari, ricoprono un disegno<br />

complesso. E’ tipico del talento di<br />

Puskin, ha notato Friedländer, riuscire, attraverso<br />

semplici soggetti, ad analizzare i<br />

problemi basilari dell’esistenza umana.<br />

L’adozione di un realismo lirico nella descrizione<br />

dei vari aspetti della vita russa lo<br />

porterà nei Racconti di Belkin ad una purezza<br />

estetica raggiunta nonostante la scarna<br />

semplicità dei personaggi.<br />

Se con Puskin si dà inizio alla letteratura<br />

russa moderna, Fedor Dostoevskij, ha osservato<br />

Friedländer, delinea un filone ben<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

determinato e consistente nella narrativa.<br />

Impressionato dalla miseria del sottoproletariato<br />

urbano, scrive il suo primo romanzo,<br />

Povera gente, incentrandolo sulla pietà<br />

per l’uomo socialmente subalterno ed emarginato,<br />

sulla simpatia per i puri di cuori e<br />

sulla vocazione umanitaria, temi che farà<br />

suoi e che ritorneranno in Umiliati e offesi<br />

e nei Fratelli Karamazov. Benché Dostoevskij<br />

non avesse una particolare formazione<br />

filosofica, fu convinto assertore dell’interrelazione<br />

esistente tra filosofia e letteratura.<br />

Successivamente pubblica Il sosia,<br />

narrazione che ribadisce il profondo interesse<br />

dell’autore per la problematica psicomorale<br />

legata allo sdoppiamento della personalità,<br />

in cui l’alter ego compare come<br />

una persecuzione. In Dostoevskij, diversamente<br />

da Freud, l’inconscio non ha una<br />

dimensione astorica, ma è legato alla civiltà<br />

e precisamente a quei tre stadi della vita<br />

dell’uomo che dalla mitica età dell’oro<br />

approdano, col futuro, al sogno di una<br />

nuova armonia, passando per lo stadio<br />

intermedio del presente come epoca di<br />

malattia e passaggio, dimidiata tra il bene<br />

e il male.<br />

Tra il primo e il secondo periodo si colloca<br />

l’esperienza della condanna a morte in<br />

Siberia, che segnerà la sua produzione al<br />

punto tale da fargli scoprire al suo ritorno<br />

il “positivo” sul piano spirituale anche<br />

nella rappresentazione del mondo degli<br />

emarginati. Tale analisi psicologico-introspettiva,<br />

e la capacità di illuminare la<br />

condizione di “condannato”, troverà con<br />

Memorie del sottosuolo, la sua migliore<br />

realizzazione. L.R.<br />

Fenomenologia del politico<br />

Nella sede dell’Istituto Italiano per gli<br />

<strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> di Napoli, dal 2 al 6<br />

novembre 1992, Klaus Held, dell’Università<br />

di Wuppertal, ha tenuto un<br />

seminario sul tema: LA FENOMENOLOGIA<br />

DI HUSSERL E DI HEIDEGGER E I GRECI, sottolineando<br />

l’esigenza filosofica di un<br />

rinnovamento dell’apertura umana al<br />

mondo.<br />

La fenomenologia può fornire, secondo<br />

Klaus Held, un importante contributo nel<br />

delineare l’attuale orizzonte della filosofia.<br />

E’ però necessario riconsiderare il pensiero<br />

di Edmund Husserl che, pretendendo cartesianamente<br />

di dare nuovo inizio al filosofare,<br />

ripropone in effetti la distinzione greca<br />

tra epistéme e doxa. Se la prima rimanda<br />

alla “percezione dell’unità”, propria della<br />

scienza rigorosa, la seconda esprime i “mondi<br />

particolari”, cioè la settorialità dell’esperienza<br />

soggettiva. Husserl, come i Greci, si<br />

risolve fondamentalmente a tagliare i ponti<br />

con l’esperienza naturale a favore dell’atteggiamento<br />

filosofico. Tuttavia, ha osservato<br />

Held, il senso teoretico e storico della<br />

54<br />

fenomenologia presenta tratti del tutto nuovi,<br />

in quanto essa esige la tematizzazione<br />

del mondo. Il logos del fenomenon, infatti,<br />

è la teoria dell’apparenza, e in quanto tale<br />

è l’analisi della correlazione tra diverse<br />

esperienze soggettive, che vengono perciò<br />

non negate, ma coordinate fra loro per il<br />

fine della conoscenza.<br />

Martin Heidegger, ha proseguito Held,<br />

sviluppa ulteriormente il tema del mondo<br />

quale elemento centrale della fenomenologia,<br />

ponendo la distinzione tra vita autentica<br />

e inautentica, in cui si esprime l’apertura<br />

al mondo all’interno della polarità svelamento-nascondimento.<br />

L’uscita della latenza<br />

è possibile laddove entra in gioco la<br />

tonalità emotiva, quello «stupore ammirato<br />

per il fatto di esserci», che i Greci indicavano<br />

con il termine taumazein. Uscire<br />

dall’agire strumentale della quotidianità,<br />

significa “sostare” presso le cose, scoprendo<br />

i rimandi di senso che caratterizzano<br />

l’ordine del kosmos. Nel momento in cui<br />

l’uomo deve deliberare e sosta presso le<br />

sue possibilità d’azione si svela invece il<br />

mondo politico, con i problemi politici<br />

legati alla convivenza sociale. La scienza<br />

del kosmos e la democratizzazione della<br />

polis sono i modi in cui i Greci avevano<br />

scoperto il mondo.<br />

Eraclito paragona l’ordine del kosmos (logos)<br />

con quello della polis (nomos) e critica<br />

la doxa in quanto contrapposta all’epistéme.<br />

Ciò può sembrare in contraddizione<br />

con il concetto di democrazia fondato sul<br />

confronto tra le opinioni. Invero bisogna<br />

distinguere la doxa come atteggiamento<br />

naturale, per cui ognuno resta nel proprio<br />

mondo particolare, dal logon didonai, di<br />

cui parla lo stesso filosofo di Efeso, che è<br />

invece un rendiconto a viva voce motivato<br />

da ragioni. In tal modo l’opinione resta<br />

soggettiva ma punta, come il giudizio riflettente<br />

di Kant, a trascendere l’interesse<br />

particolare per trovare unità nel comune<br />

mondo politico: la democrazia.<br />

Anche la cosmologia, come studio delle<br />

leggi connesse all’ordine di mondo, non<br />

esula, pur nella sua unità di riferimento,<br />

dalla prospettiva individuale. Si origina<br />

infatti da quello stupore che permette di<br />

sostare presso le cose e che è esperito come<br />

tonalità emotiva. Il rapporto dei Greci con<br />

la totalità passava per la famiglia, la pratica<br />

quotidiana, il ciclo del raccolto: il kosmos<br />

era l’oikos, il luogo della conservazione<br />

della vita, l’ambito domestico che si sottrae<br />

alla dimensione pubblica della polis. Tale<br />

intimità con il cosmo è oggi scomparsa<br />

nella tendenza alla specializzazione dei<br />

saperi, anche se ancora non si può fare a<br />

meno di quella nozione di “familiarità”,<br />

adoperata da Husserl, necessaria per comprenderne,<br />

ad esempio, gli attuali problemi<br />

di ordine ecologico. Per superare l’oggettivismo<br />

moderno occorre far riferimento,<br />

come nella Crisi delle scienze europee,<br />

all’ambito precategoriale e intuitivo della<br />

Lebenswelt. Tornare all’evidenza originaria<br />

significa per Husserl riscoprire la di-


mensione intuitiva del mondo della vita,<br />

ma anche rapportarla all’orizzonte universale<br />

attraverso il principio di correlazione.<br />

La crisi del moderno, ha osservato Held,<br />

implica un’anamnesi che scopre nell’oblio<br />

la sigla dell’epoca presente: perde infatti<br />

ogni importanza il mondo com’è per noi e<br />

si guarda soltanto alla sua inseità. L’orizzonte<br />

individuale relativo, attraverso il quale<br />

si poteva scorgere quello universale, è sostituito<br />

dalla categoria di totalità. Questo<br />

rifiuto della soggettività implica la perdita<br />

l’originaria libertà d’interesse della teoria;<br />

la filosofia e la scienza si lasciano assorbire<br />

in modo assoluto dall’aspetto professionale,<br />

riducendo il sapere a mera tecne, cioè<br />

ingegnosità finalizzata ad uno scopo. Senza<br />

il limite husserliano del suo dissolvimento<br />

nell’infinito, la finitezza assume un<br />

carattere del tutto nuovo in Heidegger, laddove<br />

la dimensione dell’apertura si schiude<br />

a partire dalla latenza, dal sottrarsi dell’uomo<br />

alla comprensione.<br />

L’oggettivismo moderno si rafforza nel<br />

passaggio dal fuoco all’energia come elemento<br />

vitale della scienza. Quest’ultima<br />

infatti non ha qualità, è puro quantum di<br />

forze: l’universo è dunque una sorta di<br />

deposito di cui l’uomo può disporre. Tutto<br />

sembra a disposizione e viene utilizzato in<br />

chiave meramente tecnica e funzionale,<br />

venendo meno il senso degli infiniti rimandi,<br />

del riserbo per cui ogni cosa connette<br />

ad altro da sé. Con ciò si esaurisce<br />

anche la possibilità dell’esistenza autentica<br />

e si spiega quella politicizzazione da cui<br />

nasce il totalitarismo.<br />

La fenomenologia, ha osservato Held, deve<br />

allora mettere al centro del suo interesse<br />

l’ambito politico in una connessione di<br />

ethos e kairos, di libertà e situazione favorevole,<br />

riscoprendo l’aspetto soggettivo<br />

dell’interiorizzazione che passa per la coscienza<br />

del limite: il totalitarismo è infatti<br />

un tentativo di negare l’individualità e di<br />

fornire all’ethos un carattere vincolante.<br />

Recuperare lo stupore, quindi il riserbo che<br />

lo sostiene, è possibile attraverso una tonalità<br />

emotiva che Heidegger chiama angoscia<br />

e che è disponibilità di fronte al ritrarsi.<br />

Ma anche la felicità può essere adatta a<br />

scoprire il sorprendente ripetersi della vita<br />

umana nell’altro. G.V.<br />

L’eresia gnostica<br />

Nel corso di un ciclo di lezioni su CRI-<br />

STIANESIMO, GNOSTICISMO E FILOSOFIA NEL-<br />

L’ELENCHOS DI IPPOLITO DI ROMA, tenute<br />

all’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong><br />

dal 16 al 19 novembre, Jaap Mansfeld,<br />

dell’Università di Utrecht, ha ripercorso<br />

i principali nodi dottrinali<br />

della prima patristica nella refutazione<br />

dell’eresia gnostica, dando ampie<br />

informazioni sulle tradizioni del pitagorismo,<br />

del platonismo, dell’aristo-<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

telismo e dello stoicismo nei primi due<br />

secoli dopo Cristo.<br />

Innanzitutto Jaap Mansfeld ha voluto chiarire<br />

struttura e fonti, scopi e metodi di un<br />

testo singolare come la Confutazione di<br />

tutte le eresie, nota altrimenti come Philosophoumena<br />

di Ippolito di Roma (235<br />

d.C.). Nel primo libro, Ippolito ci offre una<br />

storia dettagliata della filosofia greca; nei<br />

successivi - sono dieci libri- sviluppa il<br />

confronto fra hairesis nel senso originario<br />

del termine: scelta di un modo di pensare e,<br />

per estensione, scuola filosofica, e hairesis<br />

nel senso derivato e cristiano: scelta<br />

illecita, quindi deviazione dottrinale, con<br />

l’intento di dimostrare che i sistemi gnostici<br />

sono in verità travestimenti della<br />

tradizione filosofica greca. Per far questo<br />

Ippolito ordina in un certo modo i<br />

frammenti, insiste sulla linea Pitagora-<br />

Platone, e nella refutazione degli gnostici<br />

definisce la loro diadioché illegittima<br />

di fronte a quella cristiana: i cristiani<br />

sono gli eredi degli apostoli ispirati dallo<br />

Spirito Santo, gli gnostici, invece,<br />

non sono parte integrante dell’unica diadoché<br />

valida, che rimanda allo Spirito<br />

Santo e agli Ebrei, in questo sono debitori<br />

intellettuali dei greci.<br />

Il primo sistema gnostico considerato da<br />

Ippolito è quello di Basilide, di cui viene in<br />

particolare sottolineata la derivazione dalla<br />

filosofia aristotelica; la dottrina di Basilide,<br />

secondo la quale nella pleròma vi<br />

sarebbe tutto l’essere, il mondo stesso, la<br />

specie, gli individui, è infatti assimilata alla<br />

divisione aristotelica del genere in specie e<br />

individui: un Aristotele, questo, di chiara<br />

provenienza platonica.<br />

Ciò che è implicito nell’Elenchos di Ippolito,<br />

ha osservato Mansfeld, è che l’unica<br />

tradizione filosofica valida è quella pitagorico-platonica:<br />

Ippolito parla indifferentemente<br />

di Pitagora e Platone; Aristotele è<br />

soprattutto un allievo di Platone, Empedocle<br />

ed Eraclito sono essenzialmente dei<br />

pitagorici. E così, in Valentino, la serie<br />

degli eoni che si genera dal Padre, richiama<br />

l’aritmo-geometria pitagorica, dove l’Unità<br />

produce gli altri numeri e la linea, la<br />

superficie, il solido si generano dal punto.<br />

Infine, Empedocle ed Eraclito, pitagorici<br />

secondo Ippolito, sono le fonti degli eresiarchi,<br />

Marcione, Noèto e Callisto. Dei<br />

sistemi di Empedocle ed Eraclito abbiamo<br />

una brevissima descrizione, ma già deformata<br />

ed adattata al suo scopo: costruire un<br />

legame stretto fra Pitagora, Empedocle ed<br />

Eraclito, attribuendo indifferentemente all’uno<br />

dottrine dell’altro. Secondo Ippolito,<br />

l’eretico Marcione riprenderebbe anche<br />

troppo palesemente la “teologia” empedoclea:<br />

da una parte Amore, il cui scopo<br />

è l’omogeneo, l’unità; dall’altra Odiom il<br />

demiurgo cattivo del mondo, che introducendo<br />

la diversità crea gli esseri di questo<br />

mondo. Inoltre, Ippolito interpreta la Musa,<br />

cui Empedocle in un frammento si rivolge<br />

per attingere la Verità, come la potenza<br />

55<br />

mediatrice fra le due forze opposte del<br />

bene e del male.<br />

Come nei capitoli su Empedocle, i frammenti<br />

sono combinati in modo da creare la<br />

somiglianza con Marcione, così, in quelli<br />

su Eraclito è evidente, secondo Mansfeld,<br />

una riorganizzazione delle “oscure” sentenze<br />

eraclitee che produca una somiglianza<br />

col sistema di Noèto. Ippolito trova in<br />

Eraclito dottrine proto-cristiane quando<br />

questi parla dei cicli dell’universo come il<br />

risultato di successive conflagrazione e rinascite,<br />

che richiamano la resurrezione<br />

dell’anima e del corpo.<br />

Mansfeld tuttavia non ha mancato di sottolineare<br />

il valore che per lo storico della<br />

filosofia può avere un testo come i philosophoumena<br />

di Ippolito. Pur piegando ai<br />

suoi scopi le dottrine “elencate” - e anzi<br />

proprio per questo - Ippolito è un testimone<br />

prezioso del clima intellettuale del proprio<br />

tempo. Nei Philosophoumena ritroviamo<br />

citazioni di testi gnostici che altrimenti non<br />

conosceremmo, l’eco di problemi interpretativi<br />

contemporanei, tracce che ci informano<br />

del modo in cui una tradizione interpretativa<br />

poteva costruirsi nei primi due<br />

secoli dopo Cristo, sospesa tra fedeltà letterale<br />

ai testi dei maestri, Pitagora e Platone,<br />

e “necessaria” libertà d’interpretazione.<br />

A.I.<br />

Omaggio a Pareyson<br />

La scomparsa di Luigi Pareyson nel<br />

settembre del 1991 è all’origine di<br />

due recenti commemorazioni dell’opera<br />

e del pensiero di uno dei maggiori<br />

pensatori di questo secolo. Organizzata<br />

da Armando Rigobello dell’Università<br />

di Roma “Tor Vergata”, in collaborazione<br />

con l’Accademia Spagnola<br />

di Storia, Archeologia e Belle Arti<br />

di Roma, si è tenuta una giornata di<br />

studi dedicata a L’ESTETICA DI LUIGI<br />

PAREYSON. Di tono maggiormente celebrativo,<br />

la commemorazione organizzata<br />

al Piccolo Regio di Torino<br />

il 25 marzo <strong>1993</strong>, ha raccolto innanzitutto<br />

la folta schiera degli allievi,<br />

da Gianni Vattimo e Giuseppe Riconda<br />

agli allievi più lontani, come<br />

Massimo Cacciari, che hanno affiancato<br />

l’intervento di due filosofi insigni,<br />

con i quali Pareyson intrattenne<br />

sempre rapporti di amicizia e collaborazione,<br />

Hans-Georg Gadamer e<br />

Xavier Tilliette.<br />

Valerio Verra ha aperto i lavori della<br />

giornata di studi su L’estetica di Luigi<br />

Pareyson ricordando la figura del maestro<br />

e soprattutto la fertile riflessione estetica<br />

da lui inaugurata, che in forme quanto mai<br />

ampie e variegate continua ad occupare<br />

ancora oggi buona parte della discussione<br />

estetico-filosofica italiana e internazionale.<br />

L’estetica di Pareyson è stata affrontata<br />

soprattutto dalla prospettiva della ben nota<br />

“teoria della formatività”, su cui i vari<br />

relatori si sono intrattenuti, ma non ha


potuto fare a meno di essere messa in<br />

relazione ai numerosi aspetti del pensiero<br />

pareysoniano: dall’ontologia al personalismo,<br />

dal pensiero tragico all’ermeneutica,<br />

dal primo esistenzialismo all’ultima sua<br />

riflessione su tematiche inerenti al sacro e<br />

al tragico, condotta essenzialmente sui vari<br />

numeri dell’ “Annuario di Filosofia”, da<br />

lui mirabilmente creato e diretto.<br />

Xavier Tilliette ha esplicitato alcune tra le<br />

numerose aperture tematiche dell’estetica<br />

pareysoniana mettendone in evidenza le<br />

connessioni con una riflessione sulle cifre<br />

della trascendenza, mentre Franco Fanizza<br />

e Maurizio Ferraris hanno sottolineato<br />

i rapporti spesso conflittuali emergenti<br />

dal confronto tra l’orizzonte estetico idealistico<br />

e crociano e quello pareysoniano.<br />

Guido Morpurgo-Tagliabue ha inoltre<br />

interrogato l’estetica di Pareyson muovendo<br />

da alcune problematiche interne<br />

alla riflessione poetica aristotelica, mentre<br />

Francesco Piselli ne ha evidenziato le<br />

prolifiche ambiguità. Claudio Vicentini,<br />

ancora, ha mostrato le grandi possibilità<br />

dell’estetica pareysoniana letta a partire<br />

da una prospettiva di teoria teatrale e Roberto<br />

Salizzoni l’ha suggestivamente<br />

messa a confronto col pensiero esteticofilosofico<br />

russo. Gianni Carchia si è soffermato<br />

sul rapporto tra estetica ed ermeneutica<br />

in Pareyson alla luce di alcune<br />

suggestioni provenienti dalla riflessione<br />

filosofica francese contemporanea e Ser-<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

Gianni Vattimo, Umberto Eco, Luigi Pareyson, Hans Georg Gadamer<br />

gio Givone ha riflettuto sulla connessione<br />

di arte, mito e religione nel pensiero pareysoniano,<br />

sottolineando l’emergenza di un<br />

pensiero tragico e della differenza. Infine,<br />

Mario Perniola ha concluso i lavori della<br />

giornata di studi da lui stesso coordinata,<br />

mostrando come anche nella riflessione<br />

filosofica dell’ “ultimo” (per così dire)<br />

Pareyson, caratterizzata dalla frequente<br />

presenza di problematiche di carattere teologico-religioso,<br />

si nasconde in realtà<br />

un’autentica esigenza riflessiva di tipo estetico<br />

significativamente con i temi del male,<br />

del mito e del simbolo.<br />

Il pomeriggio torinese in ricordo di Luigi<br />

Pareyson nasceva da una precisa occasione<br />

editoriale: l’uscita da Einaudi degli<br />

scritti di Pareyson su Dostoevskij, che a<br />

due anni dalla morte dell’autore appare un<br />

po’ come il battesimo extra-accademico di<br />

un pensiero rigoroso e schivo, mai sedotto<br />

dalle sirene dell’attualità e dai richiami<br />

della pubblicistica alla moda. Stranamente,<br />

è proprio quel nucleo severo, il lungo e<br />

doloroso confronto col problema del male<br />

e la costante apertura “metafisica” (testimoniate<br />

“in compensio” dalla lezione di<br />

congedo accademico del 27 ottobre 1988),<br />

a richiamare oggi l’attenzione di chi riscopre<br />

il pensiero di Pareyson a distanza. Ma<br />

anche, oltre a questo, la possibilità di intendere<br />

l’ermeneutica in una forma, se<br />

vogliamo, meno “postmoderna”: ossia<br />

meno legata al declino degli orizzonti “for-<br />

56<br />

ti” e più vicina all’esperienza diretta dell’opera<br />

d’arte intesa come luogo ontologicamente<br />

denso, come luogo di verità.<br />

I brevi interventi di Italo Lana e del direttore<br />

Dianzani, in rappresentanza dell’Ateneo<br />

torinese, hanno aperto la strada agli<br />

ospiti Hans-Georg Gadamer, Xavier Tilliette<br />

e Massimo Cacciari: tre interventi,<br />

tre culture, tre “stili” di commemorazione<br />

così diversi da risultare complementari, in<br />

una sorta di curiosa armonia prestabilita.<br />

Quello di Hans-Georg Gadamer si è presentato<br />

come un omaggio al collega scomparso<br />

nella forma della lezione accademica,<br />

e precisamente di una lezione sul tema<br />

“arte e verità”. Un Gadamer poco “gadameriano”,<br />

perché la prospettiva dello storicismo,<br />

e dell’ermeneutica come erede<br />

dello storicismo, è rimasta decisamente in<br />

ombra a favore di un’insistita riflessione<br />

sul tema della presenza: la “presenza intemporale”<br />

dell’opera d’arte, prima e al di<br />

là della sua vita storica e del suo costituirsi<br />

come orizzonte mobile di significato. Quella<br />

che è venuta a profilarsi è insomma<br />

l’idea di un fondo “religioso” e “metafisico”<br />

dell’opera d’arte, da intendere in un<br />

senso vicino al kantiano “sapere senza<br />

concetto”: nel senso che il bello risponde<br />

di se stesso, non ammette canoni oggettivi,<br />

e assorbe chi ne fruisce in un istante non<br />

dialettizzabile.<br />

Questo sacrificio integrale della dimensione<br />

storico-dialogica potrebbe apparire


molto strano da parte di Gadamer - quasi<br />

una conversione in extremis a un credo<br />

antiermeneutico - se non nascesse appunto<br />

come un omaggio alla memoria di Pareyson<br />

e come un dialogo a distanza. Un<br />

dialogo così discreto da non chiamare mai<br />

in causa il suo interlocutore, e tuttavia così<br />

radicale da “sposarne” la prospettiva estetica<br />

in una sorta di delicato e affettuoso<br />

mimetismo. Il principio gadameriano della<br />

Horizontverschemelzung (fusione<br />

d’orizzonte), messo da parte e quasi rinnegato<br />

nei contenuti teorici del discorso torinese,<br />

ha continuato a funzionare come<br />

forma trascendentale del discorso stesso in<br />

un sottile esercizio di ermeneutica in atto o<br />

anche, romanticamente, di filosofia a due<br />

voci.<br />

Con l’intervento di Xavier Tilliette, si è<br />

assistito a una fitta pagina da journal intime:<br />

un profilo di Luigi Pareyson al tempo<br />

stesso affettuoso, elegante e non privo di<br />

tratti di ironica malizia. A ricordare il<br />

collega scomparso è stato questa volta l’<br />

“amico francese”, tutto preso dal ricordo<br />

della «figura magra e china», dalla «sembianza<br />

grave e meditativa» che la malattia<br />

avrebbe reso col passare degli anni ancora<br />

più austera. E’ toccato poi allo stesso Tilliette<br />

rievocare le tappe salienti della ricerca<br />

e dell’opera pareysoniana: dai giovanili<br />

e pioneristici studi sull’esistenzialismo,<br />

all’Estetica, a Verità e interpretazione,<br />

dove il problema della libertà si coniuga a<br />

un’ontologia dell’ “inesauribile”, fino alla<br />

“strana bellezza” e allo “splendore notturno”<br />

degli ultimi scritti, dove i temi dell’ermeneutica<br />

e della libertà si aprono sull’orizzonte<br />

del pensiero tragico. Lo spiritus<br />

rector, l’angelo-guida di quest’ultima<br />

fase è naturalmente Schelling, “felice scoperta”<br />

dell’età matura e crocevia di tutti i<br />

principali temi pareysoniani. Quello stesso<br />

Schelling a cui Pareyson dedicava, da filologo<br />

appassionato, l’ “impareggiabile monumento”<br />

degli Schellinghiana rariora. E<br />

il baricentro teorico dell’intervento di Tilliette<br />

va cercato proprio in quel “discorso<br />

temerario” di schellinghiana provenienza<br />

che riconosce in Dio non già l’autore del<br />

male, ma comunque il suo “inventore”, nel<br />

senso che la scelta divina implica il male<br />

come sfondo, come ombra o residuo non<br />

attualizzato. per quanto Pareyson rifiutasse<br />

l’accusa di “demonizzare” Dio, di riproporre<br />

l’eresia gnostica, marcionita, del dio<br />

malvagio, resterebbe qui secondo Tilliette<br />

qualcosa di irrisolto, una difficoltà estrema<br />

con cui il cammino di Pareyson si chiude,<br />

quasi rassegnandosi, da credente, di fronte<br />

al mistero doloroso del Crocefisso. Divinum<br />

est pati.<br />

Dagli ultimi scritti di Pareyson - gli scritti<br />

dell’ultimo decennio - ha preso le mosse<br />

anche l’intervento di Massimo Cacciari,<br />

“allievo lontano” per sua stessa definizione,<br />

ma non per questo meno devoto e<br />

impegnato qui in una sorta di appassionato<br />

dialogo a distanza. La domanda dell’ultimo<br />

Pareyson è, secondo Cacciari, la do-<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

manda fondamentale della metafisica:<br />

«Perché l’essente piuttosto che il nulla».<br />

E’ la domanda di Dio nei due sensi del<br />

genitivo (la domanda “su” Dio, ma anche<br />

la domanda che Dio, l’ente sommo, pone a<br />

se stesso); ed è insieme la domanda che<br />

denuncia i limiti del linguaggio rappresentativo,<br />

suggerendo una forma di scrittura<br />

diversa dalla forma filosofico-metafisica,<br />

una forma che non pretenda di «raggiungere<br />

l’inoggettivabile mediante il concetto».<br />

Se lo Heidegger della Introduzione<br />

alla metafisica rispondeva a quella domanda<br />

ponendo l’ambiguità di un Essere<br />

che è «quasi come il nulla», Pareyson<br />

radicalizza la posizione heideggeriana interrogandosi<br />

sull’origine di quella ambiguità.<br />

E l’origine dell’ambiguità è la libertà,<br />

intesa non già come semplice disposizione<br />

umana, ma come l’essere stesso,<br />

come il “nome” dell’essere. Qui “va a<br />

fondo”, dice Cacciari, ogni filosofia del<br />

fondamento, perché la libertà così intesa<br />

non fonda, ma è il puro inizio abissale,<br />

l’Ungrund. E questa radicalizzazione del<br />

problema heideggeriano è nello stesso tempo<br />

un “tradimento”, perché la libertà come<br />

inizio non è pensabile come puro Ereignis,<br />

come l’av-venire dell’essere, ma va pensata<br />

insieme come inizio e come scelta: la<br />

scelta di Dio che, mentre avviene, de-cide,<br />

ossia ritaglia nella possibilità lo spazio del<br />

bene. Se però la scelta del bene è il rifiuto<br />

del negativo come non-essere, occorrerà<br />

57<br />

che il non-essere sia tuttavia presente in<br />

Dio; e si apre qui, osserva Cacciari, il<br />

grande agon del pensiero pareysoniano: il<br />

tentativo di mostrare come il male sia<br />

realmente sconfitto in Dio pur restando in<br />

qualche modo presente, come «traccia sbiadita»,<br />

come «impronta», «voce inquietante,<br />

ma zittita». Tanto più che la possibilità,<br />

da parte dell’uomo, di ridestare il male<br />

sembra implicare una revoca della stessa<br />

scelta originaria, e quindi un fallimento<br />

effettivo e après coup della libertà divina.<br />

Conclusione drammatica e aporetica, questa,<br />

per Cacciari come per Tilliette, dove il<br />

linguaggio della filosofia sembra sfociare<br />

irreversibilmente nel tema religioso della<br />

Redenzione. G.P./F.Cu.<br />

Jean Paul: per una estetica<br />

della conoscenza<br />

Una precisa ricostruzione del significato<br />

dell’opera di Jean Paul, figura<br />

originale e controversa nel panorama<br />

filosofico-letterario della Germania di<br />

fine ‘700, è stato lo scopo del seminario<br />

dal titolo: IL PENSIERO DI JEAN PAUL.<br />

INTRODUZIONE A UNA DOTTRINA ESTETICA<br />

DELLA CONOSCENZA, tenuto da Gerd Held<br />

nei giorni <strong>12</strong>-16 ottobre 1992 presso la<br />

sede dell’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong><br />

Jean Paul (disegno di Vogel von Vogelstein)


<strong>Filosofici</strong> di Napoli.<br />

Etichettato variamente e sospeso tra la teoria<br />

stürmeriana del genio e un certo atteggiamento<br />

romantico, Johann Paul Friedrich<br />

Richter, meglio noto con lo pseudonimo<br />

di Jean Paul, è una figura insolita<br />

all’interno della letteratura tedesca, poco<br />

nota in Italia e superficialmente indagata in<br />

Germania. Elaborò lungo tutto l’arco della<br />

sua opera una lingua originale, bizzarra e<br />

pullulante di allegorie tratte dal pensiero<br />

comune come dall’arte. Dare una definizione<br />

della sua opera, ha osservato Gerd<br />

Held, risulta un’impresa vana: gli elementi<br />

di cui si compone il suo articolato linguaggio<br />

sono disclocati e insituabili e non hanno<br />

senso né valore se non in una assoluta<br />

atipicità. Di Jean Paul è proprio lo sforzo,<br />

comune anche a Novalis, Schiller e Lichtenberg,<br />

di superare la soglia tra letteratura<br />

e poesia. Certo è azzardato definirlo<br />

anche filosofo: Jean Paul non ha scritto né<br />

creato un sistema di pensiero; tuttavia all’interno<br />

della sua produzione esistono interessanti<br />

frammenti filosofici.<br />

Uno degli aspetti più innovativi ed immediati<br />

della sua opera è, secondo Held, il<br />

permanente dissidio tra l’io e il mondo, tra<br />

la fede e la pura verità scientifica. D’altro<br />

canto nella Clavis Fichtiana seu Leibgeberiana<br />

l’equazione problematica dell’io-non<br />

io viene parodiata; il carattere autocritico è<br />

molto interessante ed è simile ad un’autoliberazione<br />

dalla febbre dell’io. La Clavis,<br />

nel cui titolo c’è una chiara allusione alla<br />

chiave, simbolo per inoltrarsi nei meandri<br />

del sistema di Fichte, è al tempo stesso una<br />

critica filosofica del linguaggio e del pensiero.<br />

Qui Jean Paul, attraverso il Leibgeber,<br />

cioè datore di corpo, figura che compare<br />

anche nel Titan, supera il concetto idealistico<br />

del soggetto nel divenire infinito dell’io<br />

puro. Jean Paul, ha notato Held, vuole<br />

scagliarsi soprattutto contro il primo Fichte,<br />

quello della Dottrina della scienza, e<br />

la morte del Leibgeber rappresenta una<br />

liberazione dalla separazione interna del<br />

non-io e la realizzazione dell’Uno-Tutto.<br />

Tra il tono serio e quello satirico, ha osservato<br />

Held, la Clavis dimostra, secondo<br />

l’intento del suo autore, che si può scherzare<br />

e filosofare contemporaneamente;<br />

l’umorista non è soltanto un’alternativa al<br />

filosofo idealista, ma è parte di lui. E’ un<br />

espediente per difendersi dalla filosofia<br />

contro la filosofia; è il trionfo della metafora<br />

e dell’allegoria in quanto forme aperte,<br />

plasmabili a piacere e non conchiuse e<br />

unilaterali come una dottrina filosofica.<br />

Anche l’umorismo di Jean Paul si concreta<br />

nelle subitanee oscillazioni polari tra la<br />

Phantasiebildenkraft e il realismo magico:<br />

di qui l’appello sempre più frequente a<br />

quella “metafisica dell’occhio” che è la<br />

sola a poter produrre legami multilineari<br />

tra oggetti-oggetto e soggetti-soggetto. La<br />

critica che egli muove a Kant, invece, non<br />

può essere propriamente definita tale; più<br />

che una critica, ha affermato Held, è un<br />

richiamo dovuto alla sua sommaria cono-<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

scenza del filosofo, che non andava oltre la<br />

prima edizione della Critica della ragion<br />

pura. Ma pur essendo la sua polemica<br />

indirizzata per lo più agli imitatori kantiani,<br />

non si può non sottolineare secondo<br />

Held il diverso modo di concepire l’unità<br />

che in Jean Paul ha le stesse proprietà di un<br />

frammento ed è pertanto provvisoria, limitata<br />

e parziale.<br />

Il filosofare estetico di Jean Paul, la riabilitazione<br />

della metafora e della sua capacità<br />

di ridurre le immagini in concetti e<br />

viceversa, unito all’appello alla forza combinatoria<br />

del Witz, arguzia, non possono<br />

non riconoscersi attuali. In tal senso, ha<br />

concluso Held, non è rischioso accostare<br />

Jean Paul a Wittgenstein, anche lui pensatore<br />

per immagini, e ai surrealisti, autori in<br />

cui la perdita del centro, e la conseguente<br />

predilezione per la molteplicità prospettica<br />

dell’ellisse, è segno tangibile di una<br />

realtà plastica. L.R.<br />

Ermeneutica del dolore<br />

Nella sede dell’Istituto Italiano per gli<br />

<strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong>, dal 19 al 23 ottobre<br />

1992, Salvatore Natoli ha tenuto un<br />

seminario dal titolo: FORME DI VITA E<br />

STILI DI PENSIERO. INDAGINI DI GENEALOGIA<br />

DELLA MORALE. In esso è stato affrontato<br />

il “fenomeno” del dolore a partire<br />

dall’interrogazione originaria sul suo<br />

“senso” e all’interno dei principali<br />

modelli di significazione che l’Occidente<br />

ha elaborato nel corso della<br />

sua storia e che costituiscono l’inquietante<br />

scenario che ospita e complica<br />

le nostre personali “esperienze”<br />

del dolore.<br />

Salvatore Natoli ha rinvenuto due scene,<br />

due tradizioni che hanno “detto” e “vissuto”<br />

il dolore in Occidente: quella greca e<br />

quella ebraico-cristiana. La flessione mista<br />

delle due tradizioni nella vicenda della<br />

modernità lascia intatta la loro differenza<br />

come origini storiche di esperienze peculiari,<br />

di “stili di vita” individuali e collettivi,<br />

cui il pensiero ha dato “forma”.<br />

Il greco parte dalla visione della natura<br />

come mescolanza di generazione e corruzione,<br />

di felicità e crudeltà: la perenne -<br />

ciclica - trasformazione della physis costituisce<br />

lo sfondo su cui si alternano nei<br />

viventi piacere e dolore, in un rapporto di<br />

esaltazione reciproca. Ciò impedisce che<br />

l’uomo si ponga come esistente per-sé,<br />

slegato da ciclo; tuttavia, il tragico lo inchioda<br />

al dolore della sua individuazione,<br />

alla lotta eroica contro la propria singola<br />

morte che la natura prescrive. L’individualità<br />

tragica, prima di Parmenide e di Platone,<br />

è l’ebbrezza di uno stato contradditorio<br />

e lacerante. Il greco non può immaginare<br />

un mondo senza dolore: il dolore, non avendo<br />

ragione, non ha origine. L’unico atteg-<br />

58<br />

giamento possibile di fronte ad esso è agonico:<br />

resistere fino in fondo senza soccombere<br />

- senza perdere la propria forma umana...<br />

La Grecia antica non rifiuta come<br />

scandalo la sofferenza; il suo ethos è una<br />

sfida al dolore stesso, attraverso cui viene<br />

selezionato il più forte, colui che vivendo<br />

fa esperienza personale della bellezza e<br />

della crudeltà nella forma del doversi dominare.<br />

L’uomo greco è natura consapevole<br />

di sé: nella coscienza della lotta contro il<br />

dolore egli testimonia così, col contegno e<br />

finanche col grido, che chi soffre è vivo,<br />

benché aggredito dalla “malattia”.<br />

La visione giudaico-cristiana entra nell’Occidente<br />

come rifiuto originario del dolore,<br />

eskanton di un mondo senza sofferenza e<br />

senza morte, il cui avvento - sulla terra o nei<br />

cieli - appare garantito dall’esperienza che<br />

il popolo ebraico ha fatto di un dio di<br />

speranza, allontanamento e amore. Jahvé è<br />

il Dio che mette l’uomo alla prova; attraverso<br />

il Suo intervento e il dono della<br />

Legge il popolo ebraico ha un destino, e<br />

una storia che conduce alla salvezza.<br />

L’ebreo comunica con un Dio che, se da<br />

una parte gli promette salvezza, dall’altra<br />

si fa incomprensibile e lontano nella sua<br />

giustizia (libro di Giobbe): la fede ebraica<br />

vacilla di fronte alla sofferenza innocente.<br />

Nella Bibbia l’insopportabilità del dolore<br />

proibisce la rassegnazione di fronte ad esso,<br />

e postula una vita oltremondana che costituisca<br />

il compimento (la redenzione) del<br />

giusto al di là della sua assurda, incomprensibile<br />

sofferenza terrena.<br />

Prima il Cristo e poi la religione cristiana,<br />

ha osservato Natoli, prendono su di sé il<br />

bisogno di salvezza - di cancellazione del<br />

dolore - dell’ebraismo. L’elemento dominante<br />

dell’esperienza ebraico-cristiana del<br />

dolore è la presenza di un “Tu”-Dio; se<br />

questo Tu scompare, se la sofferenza rimane<br />

senza Dio, senza la sua giustizia o addirittura<br />

in virtù della sua necrosi (il Dio<br />

morto di Nietzsche), il mondo appare infernale,<br />

privo sia di bellezza che di felicità.<br />

Natoli ha poi delineato lo scenario complesso<br />

della modernità, mostrando l’intreccio<br />

che l’Occidente, come luogo dell’ethos,<br />

costituisce rispetto ai due modelli. Cartesio<br />

e Hobbes ne sono gli emblemi; infatti nel<br />

Seicento ci si avvia ad un progressivo distacco<br />

da Dio, da quel “senso” del mondo<br />

compreso a partire da Lui; la Chiesa si<br />

trasforma, da comunità in attesa della salvezza<br />

e del giudizio divino, in una istituzione<br />

mondana che non custodisce più la<br />

verità assoluta e unica del dogma. L’esigenza<br />

di assolutezza del fondamento trapassa<br />

nel soggetto, e la politica è il<br />

terreno su cui si misura l’azione, col<br />

criterio della felicità e dell’uguaglianza:<br />

la Rivoluzione francese delinea due vie<br />

possibili, quella razional-utopistica del<br />

giacobinismo, e quella storico-rivoluzionaria<br />

del marxismo, che l’umanità<br />

percorre nella sua terrena perfettibilità...<br />

Liquidata la trascendenza come “morte”<br />

di Dio, scienza e tecnica moderne lasciano<br />

intravedere la possibilità estrema di<br />

abolire il dolore: il mondo è reso più


Il 16 aprile presso il Centro Culturale<br />

Polivalente, Romano Màdera, docente<br />

di antropologia filosofica all’Università<br />

di Venezia, ha tenuto una conversazione<br />

intitolata: Homo religiosus<br />

et paganus, che si inserisce nel ciclo<br />

“Idoli”, ossia l’edizione <strong>1993</strong> della<br />

rassegna “Cosa fanno oggi i filosofi?”,<br />

dedicata quest’anno all’antropologia<br />

vastamente intesa. Il ciclo<br />

comprende altri incontri fino al 4 giugno:<br />

23 aprile, Paolo Fabbri: “Animal<br />

loquens”; 26 aprile, Giacomo<br />

Marramao: “Homo oeconomicus”; 7<br />

maggio, Adriana Cavarero: “De homine<br />

et foemina”; 14 maggio, Umberto<br />

Galimberti: “Homo idolum<br />

maximum”; 21 maggio, Danilo Mainardi:<br />

“Homo sapiens sapiens”; 28<br />

maggio, Ersilio Tonini: “Genus<br />

Homo”; 4 giugno, Renato Barilli:<br />

“Homo ornatus”. Da ricordare che<br />

l’iniziativa è organizzata dalla Biblioteca<br />

Comunale di cattolica in collaborazione<br />

con l’Istituto Italiano per<br />

gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> di Napoli e la<br />

Rivista “Nuova Civiltà delle Macchine”.<br />

● Informazioni: Centro Culturale<br />

Polivalente, Piazza della Repubblica<br />

31, 47033 Cattolica, tel. 0541/967802.<br />

Il corso di perfezionamento in estetica,<br />

presso l’Istituto Suor Orsola Benincasa,<br />

diretto da Aldo Trione, con<br />

la partecipazione di specialisti italiani<br />

e francesi, si svolge dal 26 aprile<br />

alla fine di giugno sul tema: Il trucco<br />

e l’anima.<br />

● Informazioni: Istituto Suor Orsola<br />

Benincasa, via Suor Orsola, 80110<br />

Napoli, tel. 081/411101.<br />

Nel mese di maggio <strong>1993</strong> si sono<br />

svolti due incontri alla Libreria Feltrinelli:<br />

il 6 maggio, Flavio Cassinari,<br />

Alfredo Civita, Ugo Fabietti, Carlo<br />

Sini hanno presentato il libro: Tempo<br />

di sogno, di Hans Peter Duerr<br />

(Guerini e Associati, Milano1992); il<br />

27 maggio, Fulvio Carmagnola, Carlo<br />

Formenti, Federica Olivares, Fulvio<br />

Scaparro e Umberta Telfener sono<br />

intervenuti in occasione della presentazione<br />

del libro di Gianluca Bocchi e<br />

Mauro Ceruti, Origini di storie (Feltrinelli,<br />

Milano <strong>1993</strong>).<br />

● Informazioni: Libreria Feltrinelli,<br />

via Manzoni <strong>12</strong>, 20100 Milano.<br />

Il Politecnico di Milano, Facoltà di<br />

Architettura, ha organizzato, dal 4 al<br />

25 maggio, un seminario, dal titolo:<br />

Natura, tecnica, immaginario.<br />

Questo il calendario dei lavori: 4 maggio,<br />

Piero Derossi, Franco Trabucco,<br />

Federico Vercellone: “Tecnologia e/<br />

o decorazione”; 11 maggio, Emilio<br />

Battisti, Maria Bottero e Elio Franzini:<br />

“Progetto di architettura e materialità<br />

dei processi”; 18 maggio, Giulio<br />

Giorello, Ezio Manzini e Pierluigi<br />

Nicolin: “Scienza, tecnica, architettura:<br />

immagini del mondo”; 25 maggio,<br />

Bianca Bottero, Valerio Di Battista<br />

e Maurizio Ferraris: “Decostruzione<br />

e tradizione”.<br />

● Informazioni: Politecnico di Mi-<br />

CALENDARIO<br />

CALENDARIO<br />

lano, Dipartimento di Programmazione,<br />

Progettazione e Produzione<br />

Edilizia, via D’Ovidio 3, 20100 Milano,<br />

tel. 02/23995133.<br />

Il Goethe Institut di Milano, in collaborazione<br />

con l’Istituto per il diritto<br />

allo <strong>Studi</strong>o Universitario dell’Università<br />

degli studi di Milano, ha organizzato,<br />

l’11 maggio, per la serie “Filosofia<br />

in Germania oggi II”, una<br />

conferenza di Oskar Negt (Hannover)<br />

su La Scuola di Francoforte.<br />

Ha introdotto Francesco Moiso.<br />

● Informazioni: ISU, via Festa del<br />

Perdono 7, 20100 Milano, tel. 02/<br />

809431.<br />

Nel ciclo delle attività culturali della<br />

Fondazione San Carlo, il <strong>12</strong> maggio<br />

ha avuto luogo una conferenza di<br />

Marcel Fournier (Università di Montréal)<br />

su: Marcel Mauss o il dono di<br />

sé; il 21 maggio, per il ciclo di lezioni<br />

“Questioni del tradurre”, Clifford<br />

Geertz (Princeton) ha tenuto una conferenza<br />

dal titolo: Riflessioni sullo<br />

studio della cultura; il 27 maggio,<br />

in occasione della presentazione del<br />

volume delle Edizioni Paoline, La<br />

figura di Cristo nella filosofia contemporanea,<br />

sono intervenuti Franco<br />

Ardusso e Silvano Zucal.<br />

● Informazioni: Fondazione San<br />

Carlo, via San Carlo 5, 41100 Modena,<br />

tel. 059/222315.<br />

Il 22 maggio, in occasione della pubblicazione<br />

del volume La tentazione<br />

dell’oblio. Razzismo, antisemitismo,<br />

neonazismo di Franco<br />

Ferrarotti, si è tenuto un dibattito * *<br />

* * , organizzato da Editori Laterza, a<br />

cui hanno partecipato oltre all’autore<br />

Massimo Firpo, Nicola Tranfaglia,<br />

Gianni Vattimo.<br />

● Informazioni: Ed. Laterza,<br />

P.zza Umberto I 54, Bari, tel. 080-<br />

5216713<br />

Il 27 maggio, presso la Biblioteca<br />

Nazionale Braidense, ha avuto luogo<br />

la presentazione dei primi volumi<br />

della Nuova Collana Testi a fronte,<br />

edita da Rusconi Libri. Giulio Giorello<br />

e Giovanni Reale hanno introdotto<br />

ai temi: “Aristotele, Etica nicomachea”<br />

a cura di Claudio Mazzarelli;<br />

59<br />

“Immanuel Kant, Critica della Ragion<br />

pratica” a cura di Vittorio Mathieu;<br />

“Blaise Pascal, Pensieri” a cura<br />

di Adriano Bausola; “Platone, Fedro”<br />

a cura di Giovanni Reale; “Platone,<br />

Simposio” a cura di Giovanni<br />

Reale.<br />

● Informazioni: Biblioteca Nazionale<br />

Braidense, via Brera 28, 20100<br />

Milano.<br />

Il Centro Internazionale di <strong>Studi</strong> Semiotici<br />

e Cognitivi dell’Università<br />

degli <strong>Studi</strong> della Repubblica di San<br />

Marino, ha organizzato il 10-11 giugno<br />

<strong>1993</strong> un seminario dal titolo:<br />

Mind and Consciousness, con la<br />

partecipazione di Daniel C. Dennet e<br />

Richard Rorty, che sono intervenuti<br />

rispettivamente su: “Consciousness<br />

is not a Medium” e “Holism, Intrinsicality;<br />

and the Ambition of Trascendence”;<br />

l’11 giugno si è tenuta una<br />

tavola rotonda con la partecipazione<br />

di Samuel Guttenplan (Londra), Ernest<br />

LePore (Rutgers University) e<br />

Marco Santambrogio (Università di<br />

Bologna).<br />

Il 29-30 giugno e 1 luglio <strong>1993</strong> avrà<br />

luogo un seminario di Alessandro<br />

Duranti e Elinor Ochs su: The Culture<br />

of Discourse: How to Study<br />

Communication as a Cultural<br />

Practice. Questo il calendario degli<br />

interventi: 29 giugno, “Constructing<br />

Culture Through Discourse” e<br />

“Methodology”; 30 giugno: “Constituing<br />

Language Activities” e “Methodology”;<br />

1 luglio: “Constructing Social<br />

Identity” e “Methodology”. I lavori<br />

si svolgeranno in italiano ed inglese.<br />

● Informazioni: Università di San<br />

Marino, Contrada Omerelli 77, 47031<br />

San Marino, tel. 0549/882516.<br />

Dal 10 al 13 giugno <strong>1993</strong> avrà luogo<br />

a Stoccarda, al Centro culturale e dei<br />

Congressi, il Congresso della Internationale<br />

Hegel-Vereinigung sul<br />

tema: Vernunftbegriffe in der Moderne.<br />

Sono in programma interventi<br />

su (fra parentesi i relatori): 1. “La<br />

ragione nel razionalismo e nell’empirismo<br />

precritico” (A. Bühler, L. C.<br />

Madonna, J. Ecole, J.-L. Marion); 2.<br />

“Razionalità teoretica e pratica nelle<br />

persone” (R. Bittner, H. G. Frankfurt,<br />

T. Spitzley); 3. “Conoscenza della<br />

ragione in Kant e nei suoi allievi” (M.<br />

Baum, P. Guyer, P. Rohs); 4. “Razionalità<br />

e irrazionalità come tema dell’antropologia<br />

medica” (D. Baron,<br />

Erich Wulff); 5. “Ragione e ragionevole<br />

nel pensiero di Hegel” (A. Doz,<br />

K. Düsing, A. Nuzzo); 6. “Razionalità<br />

nel confronto culturale” (R. A.<br />

Mall, R. Ohashi, M. Savadogo); 7.<br />

“Critica o distruzione della ragione<br />

nella filosofia dopo Hegel?” (R. B.<br />

Pippin, H. J. Sandkühler); 8. “Il posto<br />

della ragione nella moralità” (A. Höffe,<br />

O. O’Neill, A. Peperzak); 9. Postmoderni<br />

al di là della ragione?” (M.<br />

C. Nussbaum, M. Seel, W. Welsch);<br />

10. “Ragione all’interno e all’esterno<br />

della scienza” (L. Laudan, J. Nida-<br />

Rümelin, E. Ullmann-Margalit); 11.<br />

“Modelli di critica della ragione nel<br />

XX secolo” (A. Kemmerling, S. A.<br />

Kripke, H.-P. Schütt, G. Vattimo);<br />

<strong>12</strong>. “Razionalità e irrazionalità del<br />

sistema sociale” (S. Benhabib. L.<br />

Ferry, W. Kersting). Nelle manifestazioni<br />

pubbliche serali sono intervenuti:<br />

M. Theunissen, E.-J. Mestmäcker<br />

e E. Scheibe.<br />

● Informazioni:Internationale Hegel-Vereinigung,<br />

Philosophisches Seminar,<br />

Universität, Marsiliusplatz 1,<br />

D-6900 Heidelberg, Tel. 062 21<br />

542482-542283.<br />

Dal 6 al 10 luglio <strong>1993</strong> la Hume-<br />

Society organizza a Ottawa (Canada)<br />

la XX. Hume Conference, dal tema:<br />

Hume and His Scottish Setting.<br />

Interventi su: “Hume and His Critic”;<br />

“Hume and the Practice of History in<br />

the Enlightenment”; “Hume’s Critique<br />

of Religion”.<br />

● Informazioni: Prof. Dorothy Coleman,<br />

Secretary of the Hume-Society,<br />

Department of Philosophy,<br />

College of William and Mary, P.O.<br />

Box 8795, Williamsburg, VA 23187-<br />

8795.<br />

Dal 18 al 30 luglio a Leuven si terrà la<br />

III. Conferenza Internazionale di<br />

Linguistica Cognitiva.<br />

● Informazioni: Dirk Heeraerts,<br />

ICLA93, Department of Linguistic,<br />

Katholieke Universiteit Leuven, Bliijde<br />

Inkomststraat 21, B-3000 Leuven<br />

Dal 15 al 21 agosto si terrà a Kirchberg<br />

il XVI. Simposio Internazionale<br />

Wittgenstein sul tema: Philosophy<br />

and the Cognitive Science. Sono<br />

previste le seguenti sezioni: “Linguaggio<br />

e conoscenza”; “La psicologia e<br />

la filosofia della mente”; “Metodologie<br />

della scienza cognitiva”; “Psicologia<br />

popolare e fisica naïf”; “Teorie<br />

della percezione”; “Intelligenza artificiale”;<br />

“Wittgenstein e la psicologia<br />

filosofica”. Organizzatori del simposio<br />

sono Barry Smith e Roberto<br />

Casati.<br />

● Informazioni: Prof. Dr. B. Smith,<br />

Internationale Akademie für Philosophie,<br />

Obergasse 75, FL-9494<br />

Schaan, Liechtenstein.<br />

La quinta scuola europea estiva


CALENDARIO CALENDARIO OPINIONI A CONFRONTO<br />

di logica, linguaggio e informazione<br />

si terrà all’università di Lisbona,<br />

dal 16 al 27 Agosto <strong>1993</strong>. La<br />

scuola è organizzata sotto l’auspicio<br />

del FOLLI (European Foundation for<br />

Logic, Language and Information).<br />

Supporti finanziari alla scuola giungono<br />

da più parti, compresa la Commissione<br />

della Comunità Europea attraverso<br />

il progetto Erasmus, i National<br />

Research Councils e alcune industrie<br />

sponsors. Il principale obbiettivo<br />

del programma è la realizzazione<br />

di un collegamento fra linguistica,<br />

logica e computazione che interessi<br />

la modellizzazione di abilità umane<br />

linguistiche e cognitive. Il corso quest’anno<br />

coprirà una varietà di argomenti<br />

attraverso sei aree di interesse:<br />

Logica, Computazione, Linguaggio,<br />

Logica e Computazione, Computazione<br />

e linguaggio, Linguaggio e<br />

Logica.<br />

Le iscrizioni sono aperte dai primi di<br />

Marzo.<br />

● Informazioni: FOLLI Office,<br />

Plantage Muidergracht 24, 1018 TV<br />

Amsterdam, The Netherlands<br />

Dal 22 al 28 agosto si terrà a Mosca il<br />

XIX. Congresso Mondiale di Filosofia,<br />

il cui tema sarà: Mankind at a<br />

turning point: philosophical perspectives.<br />

Direttore del comitato organizzatore<br />

sarà il peruviano F. Miro<br />

Quesada, affiancato anche da F. Jacques<br />

(Francia), W. Kluxen (Germania),<br />

K. Satchidanomda Murti (India),<br />

T. Ntumba (Zaire), E. Sosa<br />

(USA), I. T. Frolow (GUS), V. A.<br />

Lektorsky (GUS), M. K. Mamardashvili<br />

(GUS), N. V. Motroshilova<br />

(GUS) e V. S. Stiopin (GUS). In<br />

sezioni plenarie, simposi, dibattiti e<br />

34 sezioni speciali verrà trattato l’intero<br />

ambito della filosofia.<br />

● Informazioni: International Organizing<br />

Secretariat, studia ega, viale<br />

Tiziano 19, I-00196 Roma.<br />

L’Istituto Banfi ha organizzato per il<br />

4-5-6- novembre <strong>1993</strong> un Convegno<br />

dal titolo: Banfi tra le due guerre:<br />

modernità e crisi. Il programma,<br />

per ora provvisorio, è il seguente: 4<br />

novembre, Fulvio Papi: “La terza immagine<br />

di Banfi”; Guido Davide Neri:<br />

“Il tema della crisi”; Luisa Bonesio:<br />

“Le figure dominanti di Nietzsche e<br />

Klanges”; Mauro Mocchi: “Banfi e<br />

Husserl negli anni Venti”; 5 novembre,<br />

Paolo Rossi: “La scienza nella<br />

filosofia banfiana”; Gabriele Scaramuzza:<br />

“Arte e avanguardia”; Lucio<br />

Perucchi: “Il rapporto con Simmel”;<br />

Amedeo Vigorelli: “L’interpretazione<br />

di Kierkegaard e dei teologi protestanti”;<br />

Jean Petitot: “Il rapporto con<br />

il razionalismo francese”; Livio Sichirollo:<br />

“Il comunismo di Banfi”;<br />

Luisa Bertolini: “Il rapporto con i<br />

neokantiani tedeschi”; Roberto Diodato:<br />

“Banfi e la filosofia cattolica”;<br />

Lorenzo Magnani: Banfi e Poincaré”.<br />

● Informazioni: Istituto Banfi, via<br />

Pasteur 11, 42100 Reggio Emilia, tel.<br />

0522/554360.<br />

Nella “scheda”: I luoghi della<br />

filosofia. L’Università di Ginevra<br />

(“Informazione Filosofica”,<br />

n. 7, pagg. 15-16), di Leonardo<br />

Distaso, viene presentato un quadro del<br />

Dipartimento di Filosofia dell’Università<br />

ginevrina, che pur essendo veridico nelle<br />

sue linee generali, pecca di varie unilateralità<br />

e di giudizi un po’ corrivi e “tendenziosi”.<br />

In particolare, il quadro che viene tracciato<br />

dell’attività filosofica di Kevin Mulligan<br />

rischia di appiattirlo su posizioni, per<br />

così dire, “vetero-analitiche”, combinate<br />

con una presunta forma rinnovata di materialismo<br />

illuministico che, a detta dell’autore<br />

dell’articolo, darebbe adito a “esiti<br />

riduzionistici”: ora, è vero che nell’attività<br />

filosofica e storiografica di Mulligan<br />

viene valorizzata quella tendenza al “filosofare<br />

esatto”, le cui radici sono rintracciabili<br />

nella filosofia austro-tedesca tra<br />

‘800 e ‘900 e che ha poi innervato sia il<br />

neopositivismo del Wiener Kreis, sia le<br />

pratiche filosofiche consuete nelle scuole<br />

analitiche anglosassoni. Ma nel resoconto<br />

di Distaso sembra quasi che si attribuisca<br />

a Mulligan tutta l’eredità negativa di tale<br />

tradizione - sintetizzabile in una pretesa<br />

avversione ad ogni metafisica che non sia<br />

quella connessa ad una visione scientifica<br />

del mondo, che l’autore dell’articolo bolla<br />

sprezzantemente come “scientista”. Ma qui<br />

occorre piuttosto intendersi sul significato<br />

dei termini: mi domando se la “metafisica<br />

descrittiva” di Strawson, o le varie forme<br />

di “ontologia formale”, non siano anch’esse<br />

forme di “metafisica” con piena cittadinanza<br />

nella costellazione analitica e se ad<br />

esse possa disinvoltamente assegnarsi l’etichetta<br />

di “scientiste”. Ne uscirebbe fuori,<br />

pertanto, una figura di filosofo analitico<br />

irriducibilmente chiuso ad ogni apporto<br />

proveniente da filosofie “altre” e pronto<br />

alla polemica contro ogni tendenza non<br />

assimilabile, dall’ermeneutica al decostruzionismo,<br />

in nome di una concezione “forte”<br />

della verità. Si tratta di una immagine<br />

caricaturale e deformante, che non rende<br />

affatto giustizia né alla filosofia analitica,<br />

né al filosofo in questione e non intende<br />

che la ricerca di argomentazioni rigorose e<br />

formalmente corrette è il miglior servizio<br />

che si possa rendere all’antagonista filosofico,<br />

affinché anche lui si senta stimolato a<br />

chiarire il proprio pensiero, traducendolo<br />

in un “linguaggio” eterogeneo rispetto a<br />

quello usualmente adottato. Infine, mi sembra<br />

generico o addirittura poco sensato<br />

ritenere che Mulligan riduca la volontà<br />

alla nozione di “io volitivo” e questo (sono<br />

parole dell’autore) sulla scorta di filosofie<br />

«del primo Brentano, del primo Husserl,<br />

del primo Wittgenstein e del primo Carnap»:<br />

non capisco da dove Distaso abbia<br />

desunto tale stravagante tesi che, al di là<br />

della figura retorica costituita dall’iterazione<br />

anaforica della parola “primo”, non<br />

ha alcun fondamento testuale. Sia l’approccio<br />

di Mulligan che, più in generale,<br />

della filosofia analitica al problema della<br />

volontà non è riducibile a ciò che pensa<br />

Distaso e, in ogni caso, il pensiero degli<br />

autori citati, e in particolar modo quello di<br />

Brentano e di Wittgestein, viene da Mulligan<br />

o da altri filosofi analitici (pensiamo<br />

ad esempio a Bernard Williams) considerato<br />

nella sua globalità e non soltanto in<br />

60<br />

una non meglio precisata prima<br />

fase.<br />

Teodosio Orlando<br />

Ho avuto modo di studiare con Kevin Mulligan<br />

durante la mia specializzazione all’Università<br />

di Ginevra. Non solo. Ho avuto<br />

modo di apprezzare Kevin Mulligan, oltre<br />

che per la qualità del lavoro, anche per il suo<br />

humor e la sua gentilezza, che rendevano<br />

interessanti ed al contempo simpatici gli<br />

incontri quasi quotidiani. Ho immediatamente<br />

riconosciuto stimolante la sua linea di<br />

ricerca anche se, devo dire, non sempre<br />

trovavo convincenti le conclusioni cui arrivava<br />

seguendo linee di pensiero evidentemente<br />

diverse dalle mie. Bontà mia, non mi<br />

permetto di discutere questo punto, non pretendo<br />

di dare distesa spiegazione a questioni<br />

che vanno sì sotto il campo della rigorosa<br />

argomentazione, ma molto ricadono volentieri<br />

nel dominio della persuasione! Dico<br />

questo perché penso che una doverosa quanto<br />

serena replica alle obiezioni portatemi dal<br />

mio amico fiorentino necessiti di un rendiconto<br />

non solo di contenuti argomentativi<br />

filosofici - contenuti che andrebbero discussi<br />

lungo l’arco intero di una carriera filosofica<br />

e non nelle poche righe di una pagina- ma<br />

anche di quell’insieme di insegnamenti minimali<br />

che l’agiografia quotidiana consente<br />

di cogliere, discernere, ritenere. In altre parole,<br />

io, con Kevin Mulligan, durante l’anno<br />

accademico in cui sono stato a Ginevra, ho<br />

avuto molti colloqui che mi sono serviti a<br />

chiarire i contenuti delle sue lezioni, di alcuni<br />

suoi scritti, di molte sue posizioni filosofiche.<br />

E non nascondo - perché dovrei, non<br />

sono un “tendenzioso malizioso o velato”,<br />

piuttosto un “tendenzioso perché di un’altra<br />

tendenza” - che spesso non ero d’accordo<br />

con quanto sosteneva il mio anglosassone<br />

interlocutore.<br />

La questione potrebbe anche chiudersi qui, in<br />

un certo senso; ma posso altresì, in altro<br />

senso, chiarire ulteriormente alcune tesi non<br />

per persuasione, ma per doverosa considerazione<br />

di ogni mio contraddicente.<br />

1. Che Mulligan sia materialista non sono io<br />

che lo penso ma lui direttamente; di quale tipo<br />

di materialismo si tratti certo lui ne avrà<br />

un’idea: sta poi ai critici capire e valutare<br />

l’intera questione (che lascio senz’altro fare,<br />

meglio di quanto possa fare io).<br />

2. Non bollo sprezzantemente Mulligan di<br />

scientismo: dico che è scientista. Con questo<br />

non penso che “essere scientista” equivalga<br />

ad essere portatore di qualche malattia! “Scientismo”<br />

è un preciso e legittimo concetto,<br />

come “illuminismo”, “umanismo”, “radicalismo”,<br />

“razzismo” ed “erotismo”. Stop.<br />

3. (Qui debbo dar ragione al mio amico fiorentino:<br />

bisogna intendersi sui significati dei<br />

termini, al di là dell’adesione o meno al loro<br />

portato).<br />

4. So bene che Mulligan persegue un dialogo<br />

tra tendenze filosofiche diverse tra loro: è suo<br />

l’impegno al confronto tra quella che viene<br />

chiamata “filosofia anglo-americana” e “filosofia<br />

continentale”; so anche che Mulligan,<br />

per essere anglosassone, è anche molto continentale<br />

e questo va tutto a favore della<br />

completezza della ricerca.<br />

5. Sono del tutto d’accordo con l’obiezione


OPINIONI A CONFRONTO<br />

che sarebbe ora di finirla con la banale contrapposizione<br />

tra una filosofia analitica, portatrice<br />

di cio che è “forte”, “vero”, “stabile”,<br />

“significativo”, e una svolazzante filosofia<br />

estetico-ermeneutica che vaneggia immagini<br />

metaforiche di miti e leggende insensate,<br />

insegue poeti per i boschi, si strugge tra il<br />

tragico e il niente, interpreta e non sa cosa<br />

dice. Sono d’accordo: sarebbe ora di finirla.<br />

Ma non l’ho mica inventata io la filosofia<br />

analitica! E non capisco perché non si possa,<br />

finalmente e di nuovo, parlare di filosofia tout<br />

court: che bisogno c’è di aggettivarla? Per<br />

quel poco che ne ho capito, insisto nell’essere<br />

idealmente sintonizzato con tutto lo sforzo<br />

fatto dal “secondo Wittgenstein” per smantellare<br />

l’impianto metafisico della filosofia<br />

(analitica anglosassone).<br />

6. Questo mi dà agio di poter rispondere<br />

anche alla questione del “primo” o “secondo”<br />

pensiero di qualcuno. A volte dovremmo<br />

essere un po’ più concilianti con gli storiografi<br />

e gli storici: se ci capiamo meglio dicendo<br />

brevemente che dallo Husserl delle Ricerche<br />

a quello delle Idee, o che tra lo Heidegger di<br />

Essere e tempo e quello di Cosa significa<br />

pensare? ci sono delle differenze, che c’è di<br />

male? D’obbligo è la riflessione su quelle<br />

differenze, che non possono e non devono<br />

ridursi ad abituali tratti convenzionali che<br />

interrompono il dovere di capire. Ma se siamo<br />

d’accordo su questo allora diventa innocente<br />

la semplificazione storiografica: semplificazione<br />

problematica, dunque.<br />

7. Ciò mi consente anche di spiegare meglio la<br />

posizione di Mulligan sull’io volitivo. Non ho<br />

detto che la nozione di “io volitivo” Mulligan<br />

la deduce dal “primo” Brentano, dal “primo”<br />

Husserl, dal “primo” Wittgenstein e dal “primo”<br />

Carnap. Piuttosto è esatto dire che Mulligan<br />

ritiene corretta la tesi filosofica che la<br />

nozione di “io” abbia senso solo in quanto<br />

quest’io è un “io volitivo”, sganciato dalla<br />

designazione. E’ questa la tesi che Mulligan<br />

ritiene e mette a confronto con le filosofie del<br />

Brentano della Psicologia dal punto di vista<br />

empirico, dello Husserl delle Ricerche logiche,<br />

del Wittgenstein del Tractatus, del Carnap<br />

della Costruzione e della Sintassi. Ma, ripeto,<br />

la nozione di “io volitivo” Mulligan non la<br />

deduce da questi autori, poiché si appoggia per<br />

questo su alcune tesi di B. O’Shaugnessy,<br />

capitalizzate nel monumentale libro The Will.<br />

Dove io abbia desunto la tesi stravagante che<br />

Mulligan “flirta” con i pensieri giovanili dei<br />

filosofi in questione è presto detto. L’ho desunto<br />

dalle sue considerazioni fatte durante le<br />

lezioni, in cui egli stesso confessava tali stravaganze:<br />

«l’unico Husserl è quello delle Ricerche»;<br />

oppure: «il “primo” Brentano è quello<br />

che vale, poi egli si perde strada facendo»;<br />

ancora: «l’unica cosa che valga la pena di<br />

leggere di Wittgenstein - e neanche tanto - è<br />

il Tractatus», tant’è vero che a Ginevra circolava<br />

la battuta che, stando a Mulligan, per fare<br />

una buona filosofia si sarebbe dovuto fare un<br />

patto con Mefistofele per non invecchiare.<br />

Anche di Kant, del quale Mulligan si professa<br />

fiero oppositore, l’unico testo che avesse dignità<br />

di lettura è la Prima Critica. Quando gli<br />

ho ricordato che Kant aveva anche scritto<br />

altre due Critiche (in particolare una Critica<br />

del Giudizio che compie il percorso critico<br />

lasciato solo interrotto nella Prima), rispondeva<br />

che non rientravano nei suoi interessi<br />

(evidentemente legati ad una concezione troppo<br />

marburghese del criticismo kantiano). Per<br />

non parlare di Heidegger (che Mulligan vede<br />

come il fumo agli occhi), del quale si è degnato,<br />

con tutta evidenza, di commentare solo<br />

alcune parti di Essere e tempo (quelle sull’an-<br />

CALENDARIO<br />

61


DIDATTICA<br />

Uovi manuali di filosofia<br />

Le recenti pubblicazioni di manuali di<br />

filosofia per i licei valorizzano soprattutto<br />

l’approccio diretto ai testi filosofici,<br />

purché questi siano inseriti nel<br />

contesto delle tradizioni e sostenuti<br />

da adeguati strumenti interpretativi.<br />

E’ il caso dell’opera di F. Cioffi, F.<br />

Gallo, G. Luppi, A. Vigorelli, E. Zanette,<br />

IL TESTO FILOSOFICO (Bruno Mondadori,<br />

Milano <strong>1993</strong>), che con la recente<br />

pubblicazione del terzo ed ultimo volume,<br />

in due tomi, giunge al suo completamento;<br />

della STORIA E ANTOLOGIA<br />

DELLA FILOSOFIA (3 voll., Laterza, Roma-<br />

Bari <strong>1993</strong>) di G. Cambiano e M. Mori;<br />

e del CORSO DI FILOSOFIA (4 voll., Bompiani,<br />

Milano <strong>1993</strong>), diretto da S. Veca<br />

e realizzato da G. Mancini, S. Marzocchi,<br />

G. Picinali.<br />

Con l’apparizione dei due tomi del terzo ed<br />

ultimo volume del Testo filosofico, dedicati<br />

al pensiero dell’Ottocento e del Novecento,<br />

si conclude l’ampia impresa, avviata<br />

da Fabio Cioffi, Giorgio Luppi, Amedeo<br />

Vigorelli, Emilio Zanette, di costruire un<br />

complesso itinerario nel pensiero filosofico,<br />

scandito attraverso un’analisi di autori,<br />

opere e problemi (si vedano le recensioni<br />

dei due primi volumi nei fascicoli 5 e 6 di<br />

questa rivista). Franco Gallo ha contribuito<br />

alla realizzazione editoriale di questo<br />

terzo volume e alla stesura di numerosi<br />

capitoli. Diversi altri studiosi di filosofia<br />

hanno poi dato il loro contributo specifico<br />

alla costruzione di singoli capitoli dell’opera.<br />

Quest’ultima nasce pertanto dalla collaborazione<br />

e dall’incontro di più studiosi,<br />

senza tuttavia smarrire un’impronta unitaria,<br />

ma anzi mettendo a frutto le specifiche<br />

competenze disciplinari.<br />

Anche nel terzo volume compare un’articolazione<br />

della materia attraverso apparati<br />

d’introduzione ai temi e agli autori, schede<br />

di approfondimento e ampie selezioni di<br />

testi (non solo di quelli più ricorrenti nelle<br />

antologie scolastiche, ma anche di testi<br />

spesso trascurati o esclusi dall’approccio<br />

dell’insegnamento liceale); le singole unità<br />

didattiche sono inoltre suddivise per<br />

“temi e problemi”, per “opere” di particolare<br />

rilevanza storico-filosofica, per “auto-<br />

61<br />

DIDATTICA<br />

a cura di Riccardo Lazzari<br />

ri”, e infine per “biografie” ed “intersezioni”.<br />

Sotto il primo titolo, per esempio, sono<br />

costruiti i capitoli iniziali sulla genesi dell’idealismo<br />

tedesco, sull’estetica e sulla<br />

filosofia della natura del Romanticismo; il<br />

pensiero di Hegel viene non solo ampiamente<br />

presentato sotto la rubrica “autori”,<br />

ma una specifica unità “opere” è dedicata<br />

all’analisi della Fenomenologia dello spirito,<br />

di cui si riportano distesamente alcune<br />

scelte testuali. Sotto il titolo “biografie”<br />

troviamo un capitolo su Kierkegaard. Fra<br />

le “intersezioni”, infine, ricordiamo l’ampio<br />

capitolo «Dalla crisi del meccanicismo<br />

alla meccanica quantistica».<br />

Il secondo tomo vede poi un’articolazione<br />

diversa della materia rispetto a quella dei<br />

precedenti volumi. Una prima parte di esso<br />

è costruita secondo le rubriche sopra indicate<br />

e comprende non soltanto unità didattiche<br />

incentrate sui momenti divenuti ormai<br />

“classici” del pensiero del Novecento<br />

(per fare dei nomi o per citare dei titoli<br />

generali, ricorrenti ormai anche nei programmi<br />

scolastici dell’ultimo anno: Croce,<br />

Husserl, Heidegger, Wittgenstein, l’esistenzialismo,<br />

l’empirismo logico), che vengono<br />

qui presentati con rinnovato rigore<br />

interpretativo, ma comprende anche capitoli<br />

incentrati su temi ed autori che solo<br />

una certa pigrizia intellettuale esclude dalle<br />

possibili scelte che l’insegnante può<br />

effettuare in sede di programmazione di<br />

un iter relativo al pensiero dell’ultimo<br />

secolo. Troviamo così, in posizione di<br />

rilievo, capitoli dedicati a «Io e mondo»<br />

nelle analisi fenomenologiche, alla Filosofia<br />

delle forme simboliche di Cassirer,<br />

alla Difesa del senso comune di Moore.<br />

Una particolare cura, inoltre, è dedicata<br />

alla filosofia italiana del Novecento, di cui<br />

si ricostruisce non solo la linea ideale<br />

Croce-Gentile-Gramsci, ma si focalizzano<br />

anche temi quali l’idealismo critico di<br />

Piero Martinetti, la ragione problematica<br />

di Banfi, lo scetticismo di Rensi e Levi, in<br />

modo da ottenere un’immagine per lo meno<br />

più variegata della nostra tradizione recente.<br />

Una seconda parte del volume, poi, è dedicata<br />

a ricostruire «orientamenti e tradizioni»<br />

della ricerca filosofica contemporanea<br />

ed è architettata mediante schede informative<br />

(corredate ciascuna da un lessico di


parole chiave) sui principali indirizzi, scuole<br />

e tradizioni (riconducibili, per es., alle voci<br />

“ermeneutica”, “falsificazionismo”, “strutturalismo”),<br />

che sono ormai consolidate<br />

nell’odierno dibattito teorico. Una sezione<br />

dal titolo «Problemi e discussioni» è poi<br />

dedicata ad un ampio ventaglio di nodi<br />

della ricerca contemporanea, relativi sia a<br />

questioni interne allo sviluppo del pensiero<br />

filosofico, che al rapporto tra riflessione<br />

filosofica e scienze naturali e umane. Ciascuna<br />

unità mette a confronto testi rappresentativi<br />

di diversi autori. Fra i titoli: “Che<br />

cos’è il linguaggio”, “Le macchine possono<br />

pensare?”, “Quando una teoria scientifica<br />

è vera?”. Un dizionario bio-bibliografico<br />

sui principali filosofi contemporanei<br />

completa questa sezione.<br />

L’apparizione del terzo volume del Testo<br />

filosofico è stata anche occasione per alcuni<br />

incontri non solo di presentazione dell’opera<br />

da parte degli autori a un pubblico<br />

di insegnanti, ma anche di confronto e di<br />

bilancio sul senso dell’insegnare filosofia<br />

oggi.<br />

Da incontri svoltisi presso i licei di diverse<br />

città, fra cui Vicenza (Liceo Classico “Zanella”),<br />

Caserta (Liceo Scientifico “A.<br />

Diaz”), Milano (Liceo Scientifico “Allende”)<br />

è uscito un orientamento dei docenti<br />

complessivamente favorevole all’architettura<br />

del manuale, sia per l’ampiezza che<br />

per l’articolazione degli apparati predisposti<br />

per agevolare la lettura dei testi (note,<br />

schede di lettura, dizionario). Si è riconosciuto<br />

come tale impianto favorisca una<br />

didattica che intende superare la lezione<br />

frontale e stimolare negli studenti particolari<br />

attività di ricerca, sorrette dall’aiuto<br />

competente dell’insegnante. Non sono<br />

mancate alcune critiche relative a specifiche<br />

carenze (per es. la mancanza di un’adeguato<br />

approfondimento della logica simbolica,<br />

l’assenza di testi di tipo storiografico,<br />

una certa complessità nell’introdurre<br />

taluni argomenti), ma, significativamente,<br />

tali critiche non hanno quasi mai investito<br />

l’aspetto della “ponderosità” dell’opera. E’<br />

emersa invece (come dagli incontri svoltisi<br />

il 4 marzo presso la Facoltà di Magistero di<br />

Bologna e il 19 marzo presso la Facoltà di<br />

Lettere a Cagliari) la richiesta agli autori,<br />

da parte di insegnanti, di indicare percorsi<br />

didattici attraverso i quali poter selezionare<br />

i materiali, collegando fra loro le unità o<br />

parti di esse.<br />

Il Testo filosofico è stato anche presentato<br />

all’Università di Padova, nell’ambito di<br />

una tavola rotonda tenutasi il 19 novembre<br />

dello scorso anno, cui hanno partecipato,<br />

oltre a Giorgio Luppi, Enrico Berti, Sergio<br />

Moravia, Ugo Perone, sul tema: “Nuovi<br />

impegni e nuove tendenze nei manuali<br />

per l’insegnamento della filosofia nella<br />

scuola secondaria superiore”. Questo dibattito<br />

veniva proposto nell’ambito di un<br />

Corso di perfezionamento dell’Istituto di<br />

Storia della Filosofia, rivolto alla formazione<br />

metodologica e didattica degli insegnanti<br />

di filosofia e diretto da Giovanni<br />

DIDATTICA<br />

Sentinello. Al centro del dibattito il tema<br />

del rapporto tra uso del manuale e lettura<br />

dei testi, discusso anche in relazione al<br />

nesso, non solo didattico ma squisitamente<br />

teorico, tra testualità e storia del pensiero.<br />

Il 15 aprile dell’anno in corso si è tenuta,<br />

presso il Dipartimento di Scienze Filosofiche<br />

dell’Università di Bari, una presentazione<br />

pubblica del Testo filosofico, cui<br />

hanno partecipato, oltre a Franco Gallo e<br />

Amedeo Vigorelli, Davide Bigalli e Francesco<br />

Fistetti. Presentando l’opera ad un<br />

pubblico prevalentemente di insegnanti<br />

della scuola secondaria, Francesco Fistetti<br />

ha sottolineato come essa venga incontro<br />

al crescente “bisogno di filosofia”, successivo<br />

al fallimento delle ipotesi di assorbimento<br />

dell’insegnamento secondario della<br />

filosofia in quello delle scienze umane.<br />

Proprio l’attuale crisi di identità delle scienze<br />

umane, e la conseguente esigenza di<br />

autoriflessione circa il loro statuto e i loro<br />

metodi, rende tale “bisogno di filosofia”<br />

più stringente. Fistetti ha poi particolarmente<br />

apprezzato la scelta degli autori di<br />

restituire al “testo” la sua indispensabile<br />

centralità nell’apprendimento della filosofia<br />

e ha osservato come tale opera (una vera<br />

e propria “enciclopedia filosofica”), nella<br />

ricchezza della proposta didattica e nel<br />

rigore filologico dell’approfondimento,<br />

esalti la funzione “mediatrice” del docente.<br />

Fistetti ha sottolineato inoltre come il Testo<br />

filosofico si presti ad essere utilizzato anche<br />

nelle Università per la preparazione<br />

della parte istituzionale dell’esame di storia<br />

della filosofia e si rivolga ad una utenza<br />

qualificata e non limitata solo alla scuola<br />

secondaria.<br />

Davide Bigalli è partito dalla constatazione<br />

di una difficoltà ad individuare con<br />

sicurezza l’oggetto “storia della filosofia”<br />

di fronte alla pluralizzazione delle pratiche<br />

scientifiche e filosofiche. Egli ha ritenuto<br />

in questa prospettiva felice la scelta degli<br />

autori del Testo filosofico di identificare la<br />

pratica filosofica, nelle diverse epoche della<br />

storia, con una pratica testuale, non sempre<br />

ristretta agli ambiti scolasticamente<br />

tradizionali della storia della filosofia, e da<br />

rivisitare con finezza di approccio filologico<br />

ed ermeneutico.<br />

Gli interventi degli insegnanti presenti hanno<br />

in generale sottolineato la positività di<br />

una proposta didattica che, affidando al<br />

docente un essenziale e qualificato ruolo di<br />

mediazione culturale, sembra finalmente<br />

farlo uscire da quella posizione di “minorità”<br />

intellettuale cui una pratica burocratica<br />

della scuola lo ha sempre più relegato.<br />

La proposta di Giuseppe Cambiano e di<br />

Massimo Mori che presentano con la loro<br />

Storia e antologia della filosofia, è quella<br />

di un approccio allo studio della filosofia,<br />

dove l’inevitabile uso del manuale si coniughi<br />

con una intensa frequentazione dei<br />

testi degli autori. Tale obbiettivo non è però<br />

conseguito dagli autori mediante la semplice<br />

aggiunta di una appendice antologica<br />

all’esposizione storica, ma attraverso la<br />

62<br />

congiunzione paritetica (come sottolinea<br />

lo stesso titolo dell’opera) dell’elemento<br />

storico e di quello antologico.<br />

Ciascun capitolo presenta così una divisione<br />

in due parti. La prima consiste in un’esposizione<br />

storica esauriente, mai semplicemente<br />

nozionistica, attenta ad inserire gli<br />

autori nel più ampio contesto in cui sono<br />

nate le loro filosofie, a valorizzare dunque<br />

i riferimenti al quadro storico-politico, alle<br />

forme istituzionali di produzione e di trasmissione<br />

del sapere, al rapporto tra la<br />

filosofia e gli altri ambiti culturali. Gli<br />

autori cosiddetti “minori” non sono mai<br />

citati in modo puramente elencativo, ma<br />

inseriti nei capitoli su interi periodi o indirizzi<br />

filosofici ed esaminati nella misura in<br />

cui lo consente lo sviluppo di un discorso<br />

concettualmente organico.<br />

La seconda parte di ciascun capitolo è<br />

articolata attraverso un percorso testuale,<br />

costruito intorno ai fulcri tematici più rilevanti.<br />

La parte antologica è corredata inoltre<br />

da un ricco apparato esplicativo: ciascun<br />

brano infatti è preceduto da una presentazione<br />

relativa alla sua collocazione<br />

nell’opera da cui è tratto oppure all’inquadramento<br />

di quest’ultima nella produzione<br />

complessiva dell’autore; talora la presentazione<br />

verte sulle connessioni del tema<br />

con altri aspetti del pensiero del filosofo<br />

trattato ovvero tende alla ricostruzione della<br />

storia del problema. Ogni testo è poi<br />

accompagnato da numerose note esplicative<br />

a pie’ di pagina.<br />

Le due parti si presentano organicamente<br />

collegate mediante frequenti richiami.<br />

Sottolineano gli autori, nella loro<br />

Prefazione, come questa connessione fra<br />

le due parti abbia altresì la funzione di<br />

evitare il pericolo, cui è soggetto ogni<br />

manuale, di «stendere una patina di uniformità<br />

su tutti gli autori e periodi storici»:<br />

in questo senso, «la scelta antologica,<br />

cedendo direttamente la parola agli<br />

autori stessi su punti cruciali delle loro<br />

costruzioni filosofiche, mira anche a<br />

documentare la diversità delle forme letterarie,<br />

dei modi di scrivere e di argomentare,<br />

impiegati nel corso della storia<br />

della filosofia».<br />

Corso di filosofia è il titolo di una nuova<br />

proposta di manuale, realizzata da Giorgio<br />

Mancini, Stefano Marzocchi, Giambattista<br />

Picinali e coordinata da Salvatore<br />

Veca. Il Corso di filosofia si articola in un<br />

unico volume, Storia, di carattere storicointroduttivo<br />

alle idee e agli snodi della<br />

ricerca filosofica, e in tre volumi, Materiali,<br />

che contengono materiale antologico,<br />

selezionato intorno ad alcune grandi questioni<br />

ricorrenti del dibattito filosofico. Il<br />

manuale di Storia, rivolto in particolare<br />

all’approfondimento di una serie di pensatori,<br />

considerati fondamentali dagli autori,<br />

anche alla luce dei progetti didattici di<br />

riforma più recenti, segue il percorso storico<br />

della filosofia occidentale dalle origini<br />

fino al pensiero contemporaneo. Da una<br />

civiltà ancora dominata dal mito, in cui


l’uomo cerca di rispondere all’interrogativo<br />

circa l’origine delle cose e del mondo, si<br />

passa ad una civiltà rivolta alla ricerca<br />

“insonne” del “conosci te stesso” mediante<br />

l’uso del dialogo. La filosofia come “amore<br />

per il sapere” recupera il nesso tra verità<br />

e linguaggio ormai dissolto dalla sofistica;<br />

un nesso che, come viene illustrato chiaramente<br />

nel manuale attraverso le principali<br />

tappe storiche, rappresenta una delle questioni<br />

centrali nel dibattito filosofico del<br />

Novecento sul senso dell’essere. Così, alla<br />

fine del lungo cammino, simbolicamente<br />

tracciato nel manuale, si apre l’illimitato<br />

orizzonte ermeneutico di una filosofia che<br />

ritrova nel linguaggio una delle parole chiave<br />

di questa fine secolo.<br />

Come specifica Veca nella presentazione<br />

dell’opera, la parte storica è stata realizzata<br />

non sulla base del «criterio della esaustività<br />

e della completezza dell’informazione su<br />

singole scuole, tradizioni ed autori», bensì<br />

di una selezione ragionata, in modo da<br />

consentire un uso effettivo del volume (unico<br />

per tutto il triennio, e dunque utilizzabile<br />

anche secondo criteri diversi da quelli di<br />

una rigida compartimentazione dei programmi).<br />

Fedele alla forma dialogica con cui è impostato<br />

questo Corso di filosofia, il volume<br />

sulla Storia è affiancato da tre volumi di<br />

Materiali, che permettono all’insegnante<br />

di organizzare le lezioni in libertà, suffragando<br />

la propria esposizione con il rimando<br />

alle grandi questioni come verità ed<br />

etica, bellezza e storia politica e tempo,<br />

immagine del mondo, vita e morte, linguaggio,<br />

che ricorrono nel tempo all’interno<br />

delle problematiche filosofiche.<br />

I tre volumi che costituiscono i Materiali<br />

non vogliono fornire una semplice<br />

silloge di testi. I testi filosofici, avverte<br />

Veca, sono introdotti invece come «una<br />

sequenza di risposte a un ristretto nucleo<br />

di grandi domande, a quella manciata di<br />

problemi ricorrenti (questioni di verità e<br />

di etica, di bellezza e di storia, di politica<br />

e di tempo, di immagine del mondo, di<br />

vita e di morte), in cui da un lato sembra<br />

consistere quella che è stata chiamata la<br />

“conversazione umana” nel tempo e a<br />

cui, dall’altro, sembrano poter essere<br />

personalmente interessati i giovani che<br />

si avvicinano allo studio della storia delle<br />

idee e delle teorie filosofiche».<br />

In occasione della presentazione del Corso<br />

di filosofia presso la sede dell’Istituto Italiano<br />

per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> di Napoli, si è<br />

tenuta una tavola rotonda, cui hanno partecipato<br />

Giuseppe Galasso, Fulvio Tessitore<br />

e Salvatore Veca.<br />

L’incontro si è aperto con l’intervento di<br />

Salvatore Veca, che ha richiamato i due<br />

approcci oggi prevalenti in tema di insegnamento<br />

della filosofia. Il primo, storicistico,<br />

considera unica via di accesso al<br />

sapere filosofico l’apprendimento della sua<br />

storia, riscontrandola sui testi antologici;<br />

da questo punto di vista, la filosofia si<br />

presenta come la serie dei tentativi di cia-<br />

DIDATTICA<br />

scuna epoca di autorappresentarsi, o meglio,<br />

di fare da sé il proprio ritratto. Il<br />

secondo approccio, analitico, ritiene al contrario<br />

indispensabile concentrarsi sui problemi,<br />

indipendentemente dai contesti storici;<br />

di qui una filosofia che si muove<br />

unicamente per interrogativi, ai quali cerca<br />

di dare una risposta. Due paradigmi, questi,<br />

che risultano distinti, secondo Veca, ma<br />

non indipendenti l’uno dall’altro; infatti,<br />

essi interagiscono in vista di un unico fine:<br />

“l’insegnamento della filosofia”. Insegnamento<br />

che, ben altro dall’essere una “dieta<br />

monotona”, si esemplifica nella forma di<br />

«conversazione umana nella catena delle<br />

problematiche del tempo storico», in cui<br />

ogni persona convive con una varietà essenziale<br />

di fini e di ragioni, spesso conflittuali,<br />

attraverso le quali articola il rapporto<br />

con se stessa e con il mondo. La precisazione<br />

è fondamentale, perché caratterizza uno<br />

spazio politico specifico, quello dell’organizzazione<br />

della polis. Apprendere filosofia<br />

significa dunque, per Veca, intraprendere<br />

un viaggio verso nuove mete, nuovi<br />

orizzonti, che ravvivando sempre più il<br />

desiderio incessante del conoscere, contribuisce<br />

in modo originale ad espandere «il<br />

cerchio della solidarietà umana». In tal<br />

senso, l’insegnamento della filosofia abilita<br />

a partecipare, ad essere in compagnia<br />

dell’altro: rinnovamento e tradizione si presentano,<br />

metaforicamente, come due “squadre”<br />

di una stessa partita, la cui sola interazione<br />

porta alla vittoria.<br />

L’intervento di Giuseppe Galasso ha inteso<br />

segnare un goal a favore dell’insegnamento<br />

storico (e non storicistico) della filosofia,<br />

che a suo avviso rappresenta l’unica<br />

forma in grado di conferire rigore e direzione<br />

a un pensiero che procede ripercorrendo<br />

il sapere filosofico del passato e confidando<br />

nell’attività creativa ed individuale della<br />

mente umana. Riferendosi al pensiero di<br />

Gadamer, e in particolare alla sua filosofia<br />

ermeneutica come espressione dell’aprirsi<br />

dell’uomo al mondo, Galasso legge il nesso<br />

individuo-società in termini dialettici.<br />

Da qui la necessità non solo di diffondere la<br />

filosofia all’interno del suo stesso mondo,<br />

ma di considerarla come sapere privilegiato<br />

di fronte al progressivo vuoto ideologico<br />

che affligge il mondo contemporaneo. Apprendere<br />

filosofia significa dunque non<br />

solo acquisire specifiche abilità relative<br />

alla conoscenza del pensiero e allo stile<br />

speculativo dei filosofi, ma vivere insieme<br />

con gli altri.<br />

L’importante ruolo svolto dalla filosofia<br />

nel sollecitare la riflessione, e non nel trasmettere<br />

passivamente nozioni in sé compiute,<br />

ha rappresentato il centro dell’intervento<br />

conclusivo di Fulvio Tessitore. Allo<br />

scopo di proporre un punto di equilibrio<br />

nella dimensione storica, in cui sia possibile<br />

cogliere la poliedricità profonda che<br />

affiora nei sistemi filosofici, ogni volta<br />

diversi, Tessitore predilige una filosofia<br />

che sia «trascendenza senza metafisica»,<br />

una trascendenza basata sulla ricerca empi-<br />

63<br />

rica e non ancorata nelle strettoie del “trascendentalismo<br />

logico”. Questo sarebbe<br />

appunto il rimedio contro quel grande difetto<br />

della cultura che considera la filosofia<br />

esclusivamente scientia scientiarum; il<br />

pensiero umano vive della tensione tra l’ambizione<br />

alla verità - nel tentativo di cogliere<br />

in un sistema tutto il reale - e la storicità<br />

che, invece, ridimensiona queste pretese.<br />

L’uomo, infatti, si realizza sempre e ogni<br />

volta in maniera originale, nell’immediatezza<br />

dell’esperienza vissuta. La temporalità<br />

della vita di ogni essere, come essere<br />

storico, rappresenta la caratteristica principale<br />

dell’uomo. Di qui la sua costitutiva<br />

storicità in quanto essere parlante, perché<br />

solo il movimento dialogico del discorso<br />

della filosofia, ha osservato Tessitore, può<br />

abbandonare la ricerca dell’essere, per potersi<br />

concentrare su quella del senso della<br />

vita che, sulle orme di Humboldt, trova nel<br />

linguaggio il fondamento e l’esito della<br />

propria riflessione. (R.I. per il resoconto<br />

della presentazione a Napoli del Corso di<br />

filosofia)<br />

Convegni<br />

Organizzato dall’ARIFS ( Associazione<br />

per la Ricerca e l’Insegnamento<br />

di Filosofia e Storia) si è tenuto a<br />

Brescia dal 19 al 21 Marzo il XVII<br />

Convegno nazionale per l’aggiornamento<br />

degli insegnanti sul tema: LA<br />

FILOSOFIA ITALIANA TRA UMANESIMO E RI-<br />

NASCIMENTO, con il coordinamento<br />

scientifico di Claudio Cesa e con la<br />

partecipazione di noti studiosi quali<br />

Cesare Vasoli, Gianfranco Fioravanti,<br />

Alfonso Ingegno, Paola Zambelli,<br />

Germana Ernst, Michele Ciliberto,<br />

Davide Bigalli, Paolo Galluzzi.<br />

L’obiettivo fondamentale del convegno<br />

è stato quello di rivisitare le tradizionali<br />

categorie interpretative dell’Umanesimo<br />

e del Rinascimento alla luce dello specifico<br />

ruolo giocato in quella fase storica<br />

dal pensiero filosofico italiano. Nella<br />

sua introduzione, Cesare Vasoli ha esordito<br />

ricollegandosi al giudizio espresso<br />

da Delio Cantimori alcuni decenni fa<br />

circa lo scarso valore scientifico delle<br />

tradizionali etichettature della cultura<br />

dei secoli XV e XVI elaborate in base a<br />

discutibili criteri storico-ideologici, a<br />

partire dai notissimi studi sul Rinascimento<br />

di Burkhardt. Dopo aver ricostruito<br />

la genesi e l’evoluzione delle differenti<br />

interpretazioni di questo concetto,<br />

Vasoli ha insistito sulla complessità di<br />

quella stagione culturale e sull’avvio di<br />

profonde trasformazioni che essa determinò<br />

in ogni campo. In questa prospettiva,<br />

la filosofia italiana dell’epoca, ha<br />

osservato Vasoli, assunse in modo non<br />

subalterno, ma critico il rapporto con la


cultura classica, intrecciando tradizioni<br />

diverse nella prospettiva di un radicale<br />

rinnovamento del pensiero.<br />

Gli interventi successivi hanno approfondito<br />

in modo convergente la varietà e<br />

la complessità di questo quadro di insieme.<br />

Gianfranco Fioravanti ha analizzato<br />

con molta attenzione sia la forza<br />

teorica e istituzionale della filosofia delle<br />

Università, eredi e mediatrici della<br />

tradizione aristotelica, dotata di una poderosa<br />

macchina dialettica e di un sistema<br />

di sapere complessivo capace di abbracciare<br />

tutte le scienze. L’impatto della<br />

nuova cultura umanistica, che nacque<br />

al di fuori e contro quella tradizione, fu<br />

tale da incidere sulla fortificata cittadella<br />

degli studi universitari, determinando<br />

nel secolo XVI un rinnovamento interno<br />

dello stesso aristotelismo, a cui si potrebbe<br />

non senza ragione attribuire la<br />

definizione di “aristotelismo umanistico”.<br />

Sulla filosofia umanistica è intervenuto<br />

Alfonso Ingegno, che ha messo in rilievo<br />

la crisi della scolastica ad opera dei<br />

filosofi più rappresentativi della nuova<br />

cultura. L’interesse filologico portò Valla<br />

ed Erasmo ad una rilettura su basi morali<br />

e non metafisiche delle Sacre Scritture.<br />

Anche Marsilio Ficino tentò una apologia<br />

della religione cristiana attraverso il<br />

suo inserimento in una tradizione millenaria,<br />

precedente lo stesso Platone, di<br />

tipo spiritualistico, che egli definì come<br />

una sorta di philosophia perennis. Non<br />

dissimile fu l’intenzione di Pico della<br />

Mirandola di ricercare alle radici delle<br />

differenti tradizioni filosofiche un’unica<br />

verità attraverso una operazione di<br />

sincretismo teorico atto a ricomporre su<br />

un unico piano convergente linee di pensiero<br />

assai distanti tra loro. In questo<br />

contesto, ha notato Paola Zambelli, va<br />

inserito nella sua originalità e specificità<br />

la figura di Pietro Pomponazzi. Anche in<br />

Pomponazzi c’è una attenzione filologica<br />

per i testi della tradizione filosofica, a<br />

partire dai quali egli sviluppò audaci tesi<br />

naturalistiche - non solo la negazione<br />

della immortalità dell’anima, ma anche<br />

l’idea della “magia come arte fattiva” e<br />

delle forze naturali come le autentiche<br />

forze che muovono le sfere celesti -,<br />

teorie affidate a manoscritti non pubblicati<br />

ma di circolazione clandestina, per<br />

timore della censura ecclesiastica, che<br />

furono di riferimento per la posteriore<br />

tradizione libertina del sec. XVII.<br />

Un altro terreno fondamentale di innovazione<br />

teorica fu quello della riflessione<br />

politica, come ha evidenziato Davide<br />

Bigalli nella sua relazione sul pensiero<br />

politico del 1500. La grande novità di<br />

Machiavelli, ha fatto notare Bigalli, consiste<br />

nella sua concezione dello Stato,<br />

non più definito sulla base della dottrina<br />

tradizionale delle differenti forme istituzionali<br />

- aristocrazia, monarchia, democrazia<br />

-, ma sul presupposto della sua<br />

DIDATTICA<br />

natura di costruzione artificiale atta a<br />

dominare le passioni e a regolamentare i<br />

rapporti collettivi. In sintesi, Bigalli ha<br />

proposto un approccio al pensiero di<br />

Machiavelli non in quanto visione antropomorfica<br />

del potere identificato nella<br />

persona del Principe ma come fenomenologia<br />

del potere.<br />

Michele Ciliberto ha messo in rilievo le<br />

ragioni della attuale renaissance del pensiero<br />

di Bruno e del suo spessore prettamente<br />

filosofico. Centrale è il suo concetto<br />

di vita-materia infinita che toglie<br />

all’uomo qualsiasi primato ontologico e<br />

lo colloca in una situazione di ineluttabile<br />

finitezza, quale accidente finito tra<br />

innumerevoli accidenti finiti entro un<br />

universo infinito. Al sapiente tocca il<br />

compito di comunicare alle masse le<br />

mutazioni “vicissitudinali” della realtà<br />

umana e fisica, in aperta e frontale opposizione<br />

alle tenebre con le quali - a giudizio<br />

di Bruno -la religione cristiana<br />

ottenebra le menti degli uomini. Analoga<br />

missione profetica permea il pensiero<br />

di Tommaso Campanella, di cui Germana<br />

Aisler ha messo in rilievo la ricchezza,<br />

la complessità e - anche - le ambiguità.<br />

Nonostante limiti e contraddizioni<br />

evidenti, filtra nel suo pensiero una costante<br />

apertura per le novità in campo<br />

filosofico e scientifico, come attesta il<br />

suo assiduo confronto con le posizioni di<br />

Machiavelli da un lato e di Galileo dall’altro.<br />

Il suo riferimento alla religione -<br />

ambiguamente intesa ora come pura religione<br />

naturale, ora identificata con il<br />

Cristianesimo - si tinge di utopia, in<br />

quanto egli la immagina come cardine di<br />

un nuovo ordine sociale armonioso e<br />

felice in un momento storico tragico e<br />

contrassegnato dalla oppressione e dalla<br />

violenza.<br />

Paolo Galluzzi nel suo intervento ha<br />

fatto il punto sulle differenti interpretazioni<br />

del metodo di Galileo, prendendo<br />

le distanze sia da coloro che ne enfatizzano<br />

- come fa nei suoi recenti studi il<br />

canadese S. Drake - il momento praticosperimentale,<br />

sia da coloro che sottolineano<br />

i suoi legami con l’aristotelismo.<br />

Al contrario, Galluzzi ha riaffermato con<br />

forza la validità dell’interpretazione di<br />

Koyré, tesa a evidenziare il primato della<br />

elaborazione teorica in Galilei rispetto<br />

alla evidenza osservativa, carattere<br />

che conferisce grande arditezza alla sua<br />

avventura intellettuale. Prendendo in<br />

esame le leggi del movimento fisico,<br />

emerge con chiarezza la sostanziale novità<br />

della rete concettuale di Galileo rispetto<br />

a quella tradizionale.<br />

E’ toccato a Cesare Vasoli il compito di<br />

tirare le fila dei differenti contributi nella<br />

sintesi conclusiva e di evidenziarne<br />

una serie di interessanti convergenze interpretative.<br />

In primo luogo, è emersa la<br />

necessità di una revisione delle tradizionali<br />

interpretazioni del Rinascimento,<br />

inadeguate rispetto alla complessità dei<br />

64<br />

fenomeni culturali che lo hanno caratterizzato.<br />

Un secondo aspetto ha messo in<br />

rilievo la varietà degli apporti che si<br />

intrecciano nella ricerca e nel dibattito<br />

filosofico: non c’è solo platonismo, ma<br />

anche la continuazione e , in qualche<br />

caso, la rivitalizzazione dell’aristotelismo.Anche<br />

lo spiritualismo di<br />

ascendenza platonica non deve essere<br />

letto come una pura e semplice riaffermazione<br />

del Cristianesimo, ma come il<br />

tentativo di affrontare una situazione di<br />

crescente lacerazione tra religione istituzionalizzata<br />

e suggestioni spirituali di<br />

antica origine e tradizione.<br />

In tutte le relazioni si è sottolineata la<br />

grande varietà di spunti della filosofia<br />

rinascimentale ed insieme la fortissima<br />

spinta innovativa. Giunto a piena maturazione,<br />

il Rinascimento ha messo in<br />

luce anticipazioni e precorrimenti del<br />

pensiero moderno, ed in questo la filosofia<br />

italiana del tempo ha ricoperto un<br />

ruolo fondamentale. Per dirla con Weber,<br />

il moderno cominciava a prendere<br />

corpo come il mondo del politeismo ed<br />

in questo senso il Rinascimento aveva<br />

già iniziato ad indirizzare le sue ricerche.<br />

Alla fine del convegno, Giancarlo Conti,<br />

presidente dell’ARIFS, ha presentato<br />

il programma del prossimo convegno di<br />

filosofia che riguarderà Platone e avrà<br />

come sede il Centro dei Congressi di<br />

Firenze (Piazza Adua) nei giorni 19 e 20<br />

novembre <strong>1993</strong>. Gli interventi saranno i<br />

seguenti: venerdì 19 Novembre, ore 9.00,<br />

Francesco Adorno: “Socrate e Platone”;<br />

Giuseppe Cambiano: “Platone, i<br />

sofisti e la letteratura socratico-platonica”;<br />

Carlo Augusto Viano: “Idee e mito<br />

in Platone”; Mario Vegetti: “Platone e<br />

la scienza”; Margherita Isnardi<br />

Parente:”Oralità dialettica e politica”.<br />

Sabato 20 novembre, ore 9.00, Bruno<br />

Gentili: “Poesia e mito in Platone”; Luc<br />

Brisson: “Recenti orientamenti della storiografia<br />

platonica”; Bruno Centrone:<br />

“L’immagine di Platone nei manuali scolastici”.<br />

Sabato 20 novembre, ore 15:<br />

tavola rotonda conclusiva, coordinata da<br />

Carlo Augusto Viano.<br />

Termine delle iscrizioni: 30 settembre<br />

<strong>1993</strong>. Inviare richiesta di iscrizione, unitamente<br />

alla ricevuta di £.75.000 sul c/c<br />

postale n. <strong>12</strong>808259 intestato a:<br />

A.R.I.F.S. - casella postale 103 - 25100<br />

Brescia (Causale del versamento: “per<br />

quota associativa”). Per ulteriori informazioni:<br />

tel/fax 030.3757341, dalle 15<br />

alle 16, esclusi festivi, prefestivi. F.S.


TEORIA<br />

Vol. XII, n. 2, 1992<br />

ETS, Pisa<br />

Il romanzo dell’identità. Metafisica ed ermeneutica,<br />

di V. Sainati: il tema dell’identità<br />

da Parmenide ad Heidegger.<br />

Universalismo e particolarismo nell’etica<br />

contemporanea, di O. Guariglia.<br />

L’ermeneutica e il problema della fine, di<br />

A. Fabris: recensione di M. Ruggenini, I<br />

fenomeni e le parole. La verità finita dell’ermeneutica<br />

(Marietti, Genova, 1992), e<br />

di V. Vitiello, Topologia del moderno (Marietti,<br />

Genova, 1992).<br />

Recenti studi fichtiani, di G. Rotta: recensione<br />

di P. Baumanns, J. G. Fichte. Kritische<br />

Gasamtdarstellung seiner Philosophie<br />

(Alber, Freiburg/München, 1990), e di P.<br />

Rohs, J. G. Fichte (C. H. Beck, München,<br />

1991).<br />

Poesia e verità, a cura di M. Corsi: le lettere<br />

di Luigi Scaravelli a Clotilde Marghieri.<br />

AUT AUT<br />

n. 252, novembre-dicembre 1992<br />

La Nuova Italia, Firenze<br />

Tema della rivista: “Retoriche dell’alterità”.<br />

Retoriche dell’alterità, di P. A. Rovatti:<br />

l’articolo analizza la questione dell’alterità<br />

dal punto di vista della retorica, cioè degli<br />

atteggiamenti teorici e pratici, attraverso<br />

cui essa si dà nel linguaggio.<br />

Il nemico, categoria dell’alterità, di A. Del<br />

Lago: l’alterità come sintomo della spoliticizzazione<br />

del pensiero a seguito della crisi<br />

della metafisica, con particolare attenzione<br />

alla sfera dell’ostilità.<br />

Alterità cosmiche, di G. P. Comolli:<br />

pur essendosi così allontanato dalla natura,<br />

l’uomo ha avuto modo, più di ogni<br />

altro essere, di contemplare da vicino le<br />

RASSEGNA RIVISTE<br />

RASSEGNA RIVISTE<br />

a cura di Silvia Cecchi<br />

forme del cosmo; la protolingua del cosmo<br />

ed il rapporto con la lingua dell’uomo.<br />

Riserva di alterità, di R. Prezzo: la donna<br />

come simbolo dell’alterità e la proiezione<br />

su di essa delle caratteristiche dell’estraneo.<br />

Verso un’etica della necessità, di F. Polidori:<br />

il vincolo che lega il Medesimo e<br />

l’Altro.<br />

Estranea familiarità, di G. Berto: la nozione<br />

di Umheimliche a partire da un saggio di<br />

Freud del 1919-1920.<br />

Molteplicità e alterità, di R. Cristin.<br />

L’innesto impossibile: l’alterità imperfetta<br />

del confronto ebraico-cristiano, di R. De<br />

Benedetti.<br />

L’altro io, di E. Greblo: la riflessione etica<br />

di R. Hare.<br />

L’essere “altrove” dell’etnografia, di R.<br />

De Biasi.<br />

Invito a pranzo da Kant, di A. Heller: la<br />

filosofia della cultura in Kant.<br />

Tra ermeneutica e semiotica, di P. Ricoeur.<br />

ELENCHOS<br />

Vol. XIII, 1992, n. 1-2<br />

Bibliopolis, Napoli<br />

Tema della rivista: “Sesto Empirico e il<br />

pensiero antico”.<br />

Appaiono in questo numero doppio, unico<br />

dell’annata, le relazioni presentate al convegno<br />

internazioinale di studi dal titolo:<br />

“Sesto Empirico e il pensiero antico”, organizzato<br />

dal Centro di studio del pensiero<br />

antico del CNR (Sestri Levante 28/5-1/6<br />

1991). Il convegno ha messo in luce non<br />

solo la posizione di Sesto in relazione alle<br />

più importanti correnti filosofiche dell’antichità,<br />

ma anche lo stato degli studi relativi<br />

allo scetticismo ed alla figura di Sesto.<br />

65<br />

Sextus Empiricus and the atomist criteria<br />

of truth, di D. Sedley: sulla base dei riferimenti<br />

agli atomisti in M VII 46-262, l’intervento<br />

analizza la classificazione data<br />

degli atomisti da Sesto che riprende da<br />

Enesidemo e da Antioco di Ascalona il<br />

materiale della sua trattazione.<br />

L’esposizione dei sofisti e della sofistica<br />

in Sesto Empirico, di C. J. Classen: la<br />

posizione di Sesto in relazione a Protagora,<br />

Gorgia, Prodico, Seniade, Eutidemo,<br />

Dionisodoro.<br />

Die sogenannten kleinen Sokratiker und<br />

ihre Schulen bei Sextus Empiricus, di K.<br />

Döring: i riferimenti di Sesto a Socrate e ai<br />

Socratici.<br />

Sesto, Platone l’Accademia antica e i Pitagorici,<br />

di M. Isnardi Parente: il riferimento<br />

di Sesto a Platone, ai Platonici e ai Pitagorici<br />

riguarda soprattutto questioni di esegesi<br />

di alcuni passi di difficile interpretazione.<br />

Sesto Empirici e l’Accademia scettica, di<br />

A. M. Ioppolo: Sesto tende a distinguere la<br />

posizione dello scetticismo da quella dell’Accademia<br />

scettica.<br />

Sextus Empiricus and the Peripatetics, di J.<br />

Annas: secondo una tesi storiografica accreditata<br />

le citazioni di Aristotele e degli<br />

Aristotelici da parte di Sesto sembrano<br />

derivare più da una manualistica che da una<br />

conoscenza diretta e sono usate per lo più in<br />

chiave antistoica.<br />

Sextus Empiricus und die Stoiker, di K.<br />

Hülser: gli Stoici sono per Sesto i dogmatici<br />

per eccellenza; lo scontro tra le due<br />

posizioni assume significati interessanti<br />

anche alla luce della riflessione moderna.<br />

Sesto e gli Scettici, di F. Caizzi Decleva:<br />

riflettendo sulla figura di Sesto non come<br />

fonte, ma come autore, vengono messi in<br />

luce i rapporti tra Sesto Empirico, Eneside


mo e l’Accademia scettica.<br />

IL CANNOCCHIALE<br />

n. 2, maggio-agosto 1992<br />

EDS, Napoli<br />

Teoresi del fondamento (II), di P. Miccoli.<br />

La verità e l’annuncio. Il significato religioso<br />

del pensiero di Heidegger, di G.<br />

Sadun Bordoni: la presenza di un tema<br />

religioso sullo sfondo del pensiero heideggeriano<br />

emerge significativamente attraverso<br />

il problema della verità. In un’ottica<br />

di questo tipo troverebbero soluzione anche<br />

tutte le difficoltà interpretative relative<br />

alla “svolta”.<br />

La geometria caotica della mente. Complessità<br />

e creatività del sistema cerebrale,<br />

di F. Ianneo: un approccio interdisciplinare<br />

che, partendo dalle più recenti acquisizioni<br />

della neurofisiologia, coglie la complessità<br />

strutturale di una personalità mentale.<br />

“Il nome della rosa” e la semiotica di Eco,<br />

di J. Kèlemen.<br />

FENOMENOLOGIA E SOCIETA’<br />

Vol. XV, n. 2, 1992<br />

Edizioni Piemme, Alessandria<br />

Introduzione a “cultura e comunicazione”,<br />

di K. Eder: attraverso una rapidissima<br />

disamina della “svolta culturalistica” che è<br />

stata operata all’interno della sociologia, il<br />

breve articolo rileva il nesso tra cultura e<br />

discorso, consentendo di inquadrare meglio<br />

il ruolo della cultura all’interno delle<br />

varie condizioni sociali.<br />

Il paradosso della “cultura”. Oltre una<br />

teoria della cultura come fattore consensuale,<br />

di K. Eder: contrariamente a quanto<br />

sostiene la teoria tradizionale della sociologia,<br />

tanto di Weber, quanto di Parsons,<br />

secondo cui la cultura è un fattore che lega<br />

la società, viene dimostrato come in realtà<br />

la cultura sia un elemento di dissociazione.<br />

Le teorie contemporanee della giustizia:<br />

vicolo cieco o necessità?, di P. Van<br />

Parijs: versione in parte modificata dell’ultimo<br />

capitolo di un opera, Che cos’è<br />

una società giusta?, che l’autore sta approntando<br />

per la casa editrice Seuil di<br />

Parigi, l’articolo analizza le teorie contemporanee<br />

della giustizia, sottolineando<br />

al tempo stesso quali aporie comportano<br />

le soluzioni proposte.<br />

Aristotele e i rapporti di dominio, di F.<br />

Ingravalle: breve nota sull’XI Symposium<br />

aristotelicum del 25/8-3/9 1987.<br />

Senso tragico della storia ed “Heureuses<br />

RASSEGNA RIVISTE<br />

révolutions” nel pensiero di Condorcet, di<br />

G. Piazza: una lettura di Esquisse d’un<br />

tableau historique des progrès de l’esprit<br />

humain di Condorcet, a partire dall’interpretazione<br />

di G. G. Granger (La mathématique<br />

sociale du marquis de Condorcet,<br />

PUF, Paris, 1953).<br />

La crisi euripidea del mito e il post-moderno,<br />

di G. M. Cordero: se la Sofistica mette<br />

in luce la contraddizione che esiste a livello<br />

etico tra normatività e desiderio, volere e<br />

comportamento ispirato alla norme dell’ethos,<br />

Euripide, il tragediografo che più<br />

da vicino si ispira al pensiero sofistico,<br />

appare certamente inattuale rispetto all’ambiente<br />

in cui vive, in quanto avverte lo iato<br />

tra disposizione razionale e volontà, realizzando<br />

una sorta di fallimento del razionalismo<br />

che aporeticamente può essere proposto<br />

al pensatore post-moderno.<br />

L’etica del discorso e i suoi nemici, di F.<br />

Giani: recensione della raccolta di saggi<br />

dal titolo: Etiche in dialogo, curata da M. T.<br />

Vasconcelos e M. Calloni (Marietti, Genova,<br />

1990), da cui emerge la rilevanza e<br />

l’attualità intellettuale della filosofia pratica,<br />

introdotta da due interventi programmatici<br />

di Apel ed Habermas.<br />

Eticità e modernità. Sul filo della riflessione<br />

weberiana, di G. Balistreri: l’articolo<br />

propone una riflessione sulle conclusioni<br />

di Weber sul significato etico della Modernità;<br />

se da un lato il mondo moderno si<br />

configura come una rottura dell’unitarietà<br />

della vita e come una parcellizzazione dell’anima<br />

che non è più in grado di conformarsi<br />

ad un cosmo ordinato, oggettivo ed<br />

unitario di valori, dall’altro proprio questa<br />

situazione rende possibile per il soggetto<br />

una scelta soggettiva, ma responsabile, delle<br />

proprie decisioni, scelta che si pone come<br />

vero e proprio destino a cui il soggetto<br />

liberamente si vota.<br />

ACTA PHILOSOPHICA<br />

Vol. I, n. 2, 1992<br />

Armando editore, Roma<br />

Edmund Husserl ed Edith Stein. La questione<br />

del metodo fenomenologico, di A.<br />

Ales Bello: la ricostruzione della formazione<br />

fenomenologica e della ricezione<br />

della dottrina di Husserl da parte di Edith<br />

Stein.<br />

Per una metafisica problematica e dialettica,<br />

di E. Berti: il problema della<br />

metafisica in rapporto ai recenti interventi<br />

di Habermas, con il suo attuale<br />

attacco al ritorno metafisico di origine<br />

gadameriana, e alle posizioni di W. Pannenberg,<br />

che pone la necessità di un<br />

rinnovamento della metafisica.<br />

66<br />

Rethinking the christian philosophy debate:<br />

an old puzzle and some new points of<br />

orientation , di T. D’Andrea: esame dei<br />

principali interventi nel dibattito sulla “filosofia<br />

cristiana”.<br />

Descubrimiento de América: derecho natural<br />

y pensamiento utopico, di M. Fazio:<br />

sul dibattito e sui problemi teorici sollevati<br />

dalla scoperta dell’America: la dignità<br />

umana degli indigeni, la giustificazione<br />

delle guerre di conquista, la nascita del<br />

pensiero politico utopistico.<br />

Perché una filosofia politica? Elementi<br />

storici per una risposta, di M. Rhonheimer.<br />

L’umanesimo del lavoro nel Beato Josemariaà<br />

Escrivà: Riflessioni filosofiche, di<br />

J. J. Sanguineti.<br />

L’antropologia tomista e il body-mind problem<br />

(alla ricerca di un contributo mancante),<br />

di L. Borghi: la relazione mentecorpo<br />

nell’antropologia tomista.<br />

Unidad del conocimiento y fundamentacion<br />

de la metafisica en la Critica de la<br />

razon pura, di P. Giralt.<br />

La mimesi e la metafora nella poetica di<br />

Aristotele, di A. Malo.<br />

Ethical theology and its dissolution in Kant,<br />

di A. Ramos.<br />

FILOSOFIA<br />

Vol. XLIII, n. 3, settembre-dicembre 1992<br />

Mursia, Milano<br />

L’attualismo di Gentile e la morte dell’arte,<br />

di V. Mathieu.<br />

La forma e il limite, di G. Gallino: l’esperienza<br />

del Bildungsroman inaugurato da<br />

Goethe e l’idea di una normatività dell’ironia<br />

come limite per la forza dirompente<br />

della soggettività romantica.<br />

L’inno della perla: una risposta al problema<br />

gnostico, di S. Nosari: all’interno della<br />

prospettiva gnostica di una ricerca della<br />

coscienza come processo di perfezionamento<br />

del proprio stato ontologico e liberazione<br />

dalla schiavitu mondana, l’articolo<br />

esamina L’inno della perla, versione poetica<br />

del mito soteriologico gnostico.<br />

La posizione storiografica del pensiero di<br />

Carlo Mazzantini, di A. Rizza.<br />

L’”Antibancor” e la filosofia del danaro,<br />

di M. Pinottini: presentazione del volume<br />

dell’autore: L’Antibancor (Padova, Ed. di


Ar, settembre 1992).<br />

RIVISTA DI FILOSOFIA<br />

NEOSCOLASTICA<br />

Vol. LXXXIV, n. 2-3, aprile-settembre<br />

1992<br />

Vita e Pensiero, Milano.<br />

L’interpretazione di Platone della scuola<br />

di Tubinga e della scuola di Milano, di H.<br />

Krämer: l’ autore interviene a proposito<br />

della decima edizione dell’opera di Giovanni<br />

Reale, Per una nuova interpretazione<br />

di Platone: rilettura della metafisica dei<br />

grandi dialoghi alla luce delle dottrine non<br />

scritte (Vita e Pensiero, 1986).<br />

Precisazioni metodologiche sulle implicanze<br />

e sulle dimensioni storiche del nuovo<br />

paradigma ermeneutico nell’interpretazione<br />

di Platone, di G. Reale: critica di alcuni<br />

pregiudizi di natura teoreticistica, storica,<br />

ideologica circa il nuovo paradigma interpretativo<br />

di Platone offerto dalla Scuola di<br />

Tubinga e, in Italia, da quella di Reale.<br />

Una nuova edizione italiana di Platone, di<br />

A. Bausola: presentazione dell’edizione<br />

dell’opera di Platone a cura di G. Reale:<br />

Tutti gli Scritti (Rusconi, Milano, 1991).<br />

Inmportanza storica e teoretica del pensiero<br />

neoplatonico nel pensare l’Uno di Werner<br />

Beierwaltes, di M. L. Gatti.<br />

Plotino e Ficino: autorelazione del pensiero,<br />

di W. Beierwaltes: Ficino rappresenta<br />

senz’altro uno degli interpreti più significativi<br />

del pensiero plotiniano, sia per la sua<br />

acutezza interpretativa, che per la sua profonda<br />

conoscenza della lingua greca che gli<br />

permise di entrare in sintonia con il grande<br />

pensatore tardo-antico. In particolare, la<br />

questione relativa all’autorelazione del<br />

pensiero, sia rispetto al pensiero divino e<br />

assoluto, sia rispetto a quello umano e<br />

finito, viene sviluppata da Ficino in rapporto<br />

a Plotino e alla luce della mediazione<br />

agostiniana.<br />

L’interpretazione di Plotino della teoria<br />

platonica dell’anima, di T. A. Szlezak:<br />

all’interno dei concetti della tradizione platonica<br />

l’articolo sviluppa l’analisi della teoria<br />

dell’anima plotiniana.<br />

Interpretazione e critica di Plotino della<br />

concezione del tempo dei suoi predecessori,<br />

di A. Trotta: in Enneade III, 7 Plotino<br />

elabora il proprio concetto di tempo come<br />

vita dell’anima in rapporto al mondo attraverso<br />

una lunga preparazione, che passa<br />

anche da un’analisi delle dottrine postplatoniche<br />

del tempo, allo scopo di sottolineare<br />

la relazione problematica tra tempo<br />

e movimento e mettere in luce il primato<br />

ontologico della successione temporale nei<br />

confronti del movimento stesso. L’essere<br />

del tempo è fondato per Plotino nell’anima<br />

del mondo come atto che svolge l’unità<br />

RASSEGNA RIVISTE<br />

dell’eterno nella successione; creando il<br />

tempo l’anima crea il mondo sensibile e il<br />

movimento.<br />

Teologia cosmica e metacosmica nella filosofia<br />

greca e nello gnosticismo di A. P.<br />

Bos: se lo gnosticismo ellenistico è pervaso<br />

dal desiderio di conoscere l’Origine e il<br />

Fondamento dell’uomo e di tutte le cose,<br />

appare evidente come il fondamento della<br />

comprensione piena del fenomeno della<br />

Gnosi sia il richiamo alla tradizione della<br />

filosofia greca.<br />

La funzione e la portata della critica alle<br />

idee nel Parmenide di Platone, di M. Pezzolato.<br />

I metaxù nella Repubblica: loro significato<br />

e loro funzione, di C. Marcellino.<br />

La struttura del mondo soprasensibile nella<br />

filosofia di Giamblico, di G. Cocco: la<br />

moltiplicazione delle ipostasi soprasensibili,<br />

caratteristica peculiare del neoplatonismo<br />

di Giamblico, rappresenta il tentativo<br />

di rifondare ontologicamente e concettualmente<br />

il politeismo pagano; più che sulla<br />

filosofia, la metafisica di Giamblico appare<br />

perciò fondata su problematiche religiose.<br />

Gli influssi del platonismo sul neostoicismo<br />

senecano di M. Natali: benché la formazione<br />

di Seneca sia decisamente stoica,<br />

nel suo pensiero sono presenti spunti spiritualistici<br />

di origine platonica, che incrinano,<br />

sul piano storico-filosofico, il trionfante<br />

materialismo, preparando la successiva<br />

ripresa della tradizione spiritualista.<br />

Originalità filosofica dei Pensieri di Marco<br />

Aurelio, di L. Crovi.<br />

John Niemeyer Findlay, un platonico fra i<br />

neopositivisti: ritratto biografico, di M.<br />

Marchetto.<br />

PER LA FILOSOFIA<br />

<strong>Anno</strong> IX, n. 26, settembre-dicembre 1992<br />

Massimo, Milano<br />

Tema della rivista: “Le vie della metafisica”.<br />

Per una metafisica problematica e dialettica,<br />

di E. Berti: nel nostro secolo le dichiarazioni<br />

di “morte” della metafisica di tipo<br />

nietzcheano e heideggeriano hanno avuto<br />

una valida alternativa nelle proposte di una<br />

razionalità dialogica ed argomentativa offerte<br />

dalla seconda generazione della Scuola<br />

di Francoforte, in particolare da Habermas<br />

ed Apel. L’articolo discute perciò la<br />

recente presa di posizione di Habermas<br />

contro il “ritorno alla metafisica” rappresentato<br />

dal “neoaristotelismo ermeneu-<br />

67<br />

tico” di Gadamer, dalla “teleologia oggettivistica”<br />

di Spaemann e di Jonas e dal<br />

“rinnovamento della metafisica” di Henrich.<br />

Nello stesso tempo, proprio dal fronte<br />

antimetafisico di stampo heideggeriano<br />

emerge la necessità di un “rinnovamento<br />

della metafisica”, quale viene proposto da<br />

un teologo della speranza come Pannenb<br />

e r g .<br />

Il concetto di metafisica, di P. Faggiotto:<br />

l’articolo tenta di formulare una definizione<br />

di metafisica legato alla struttura dell’esperienza<br />

umana.<br />

Interpretazione esistenziale della metafisica,<br />

di G. Penzo.<br />

L’inevitabilità della metafisica del postmoderno,<br />

di A. Poppi.<br />

Sull’ingresso della metafisica, di V. Possenti:<br />

la conoscenza dell’essere e l’esperienza<br />

del Sé in M. Heidegger.<br />

Metafisica: pensiero forte o pensiero debole?,<br />

di U. Regina: l’uso del termine metafisica<br />

in Heidegger.<br />

Una via d’accesso alla metafisica: l’ulteriorità<br />

come dialettica, di A. Rigobello:<br />

l’articolo ritrova uno spazio per la metafisica<br />

in un pensiero che sia ulteriore rispetto<br />

al dominio analitico dei vari settori dell’esperienza,<br />

propri della riflessione contemporanea.<br />

Critica del neoparmenidismo e semantizzazione<br />

dell’essere di C. Vigna: un confronto<br />

con il pensiero di E. Severino.<br />

Tomismo e democrazia, di J. F. Nothomb:<br />

il senso della democrazia in Maritain.<br />

Appunti per un profilo storico-filosofico<br />

del pensiero di Hegel, di M. Roncoroni.<br />

L’educazione alla verità: il valore del “senso<br />

comune” in Vico e in Pareyson, di F.<br />

Russo.<br />

Il filosofo scienziato Ludovico Geymonat,<br />

di D. Coviello.<br />

CON-TRATTO<br />

<strong>Anno</strong> I, n. 1, dicembre 1992<br />

Il Poligrafo, Padova<br />

La parte tomista della rivista è dedicata al<br />

tema: “Nichilismo e Gnosi”; la parte contemporanea<br />

è dedicata al tema: “Ermeneutiche<br />

leopardiane”.<br />

Le radici del pensiero debole: nihilismo e<br />

fondamenti della matematica, di G. Basti e<br />

A. Perrone.<br />

Nichilismo. Genesi filosofica e rifles-


si sulla cultura contemporanea, di E.<br />

Corradi: l’articolo si sviluppa attorno<br />

a tre nodi tematici: il rapporto tra nichilismo<br />

e carattere complesso del nostro<br />

tempo; la genesi filosofica del nichilismo<br />

e i suoi principali sviluppi; i riflessi<br />

del nichilismo sulla mentalità post-moderna.<br />

Dominio dell’istante, dominio della morte<br />

alla ricerca di uno schema gnostico, di E.<br />

Samek Lodovici: la concezione gnostica<br />

del tempo e dell’istante appare connessa al<br />

pensiero rivoluzionario marxista; per i<br />

compagni e per la società del rivoluzionario,<br />

dominio della morte significa un nuovo<br />

modo di pensare l’istante, cioè di percepire<br />

il tempo.<br />

Gnosi antica e “sapientia” tomista. Elementi<br />

per un confronto speculativo, di A.<br />

Porcarelli.<br />

Scrittura e poesia. Conversazioni con Edmond<br />

Jabès, a cura di E. Manfredotti.<br />

Cammino di un lettore. Conversazione con<br />

Cesare Galimberti di A. Folin.<br />

Leopardi platonicus?, di M. Cacciari.<br />

Indifferenza e natura. Una presenza gnostica<br />

in Giacomo Leopardi, di R. Panattoni:<br />

l’accostamento, comunque problematico,<br />

tra Leopardi e la gnosi antica viene qui<br />

proposto attraverso il riferimento alla libertà<br />

umana in rapporto alla natura.<br />

“Quasi una finta imago”, di A. Folin: la<br />

meditazione leopardiana sul concetto di<br />

immagine.<br />

Il segno e il velo della differenza. Sull’Indice<br />

dello Zibaldone, di A. Calzolari e M. R.<br />

Torlasco.<br />

Notturno, di A. Prete: il tema del notturno<br />

nei Canti leopardiani.<br />

Etimologie della Ginestra, di G. Scalia.<br />

IRIDE<br />

n. 9, maggio-agosto 1992<br />

Ponte alle Grazie, Firenze<br />

Epistemologia e verità, di D. Davison: l’articolo<br />

vuole mettere in discussione il concetto<br />

di verità che emerge dalle teorie intuitive<br />

e dalle contrapposte teorie relativistiche<br />

della verità.<br />

Le strutture del mondo del senso comune,<br />

di B. Smith: l’articolo dimostra che il mondo<br />

del senso comune può essere trattato,<br />

dal punto di vista ontologico, come oggetto<br />

di un’indagine autonoma che può a sua<br />

volta aiutare a capire le strutture della realtà<br />

RASSEGNA RIVISTE<br />

fisica e della conoscenza.<br />

Trotsky e le orchidee selvatiche, di R. Rorty:<br />

un articolo autobiografico sulla genesi<br />

delle proprie idee.<br />

Il presente respira attraverso la storia, di<br />

M. Cruz.<br />

Narrazione e futuro. A proposito di Temps<br />

et Récit e dell’unità della storia, di G. Mari.<br />

Il soggetto come identità e l’identità del<br />

soggetto di S. Moravia.<br />

Narrazione e “fragilità”. Su alcune variazioni<br />

in Paul Ricoeur, di P. A. Rovatti.<br />

Narrazione e tradizione, di C. Sini: la serie<br />

dei cinque interventi è dedicata alla figura<br />

di Paul Ricoeur ed al tema “narrazione,<br />

tempo, soggetto”.<br />

Elogio di Epimeteo. di U. Curi.<br />

Soggetto (l’io e l’altro), di S. Givone.<br />

Individuo. persona, diritti: quale base razionale<br />

per l’etica?, di E. Lecaldano: i due<br />

ultimi articoli affrontano il tema della dimensione<br />

della soggettività sulla scorta dei<br />

risultati emersi in un seminario organizzato<br />

da IRIDE.<br />

Variazioni barocche, di F. Jarauta: sulla<br />

base della trattazione di Benjanin, il breve<br />

intervento sottolinea l’importanza del barocco<br />

nella genesi della modernità.<br />

Reale relativismo, di E. LePore: il realismo<br />

di Putnam.<br />

A proposito di de Finetti, di M. G. Sandrini.<br />

Lecaldano e la legge di Hume, di M. Vacatello:<br />

recensione di E. Lecaldano: Hume e<br />

la nascita dell’etica contemporanea (Laterza,<br />

Bari, 1991).<br />

ITINERARI FILOSOFICI<br />

<strong>Anno</strong> II, n. 3,<br />

maggio-agosto 1992<br />

Università degli <strong>Studi</strong>, Milano<br />

Figure del Fondo. La filosofia e il soggetto<br />

nella Montagna Incantata di Thomas Mann,<br />

di M. Fortunato.<br />

Spiegazione dell’agire, agire dell’esplicazione,<br />

di D. Sparti: un’indagine relativa<br />

alla nozione di spiegazione, la cui analisi,<br />

presentata nel quadro pragmatico dello spiegare<br />

come pratica teorico-comunicativa,<br />

viene spostata da un piano epistemologico<br />

ad uno pratico. L’articolo interpreta lo spiegare<br />

come attività tipicamante comunicativa<br />

che comporta la ridescrizione di una<br />

68<br />

determinata azione compiuta da chi spiega<br />

e rivolta a chi ascolta, entrambi “attori<br />

sociali”. Le due funzioni della spiegazione,<br />

quella “normativa” e quella di “identificazione”,<br />

hanno in comune il fatto di produrre<br />

(o riprodurre) una forma di organizzazione<br />

dell’ordine sociale.<br />

Tracce della differenza ontologica: Kant,<br />

Hegel, Heidegger, di F. Cassinari: il saggio<br />

sostiene un’analogia di struttura e di motivi<br />

nell’atteggiamento ermeneutico di Heidegger<br />

nei confronti di Kant ed Hegel. Attraverso<br />

l’esame dei testi di questi filosofi in<br />

rapporto alla lettura datane da Heidegger,<br />

l’autore chiarisce come sia possibile trovare<br />

decisive chiavi di accesso per la comprensione<br />

del pensiero heideggeriano nella<br />

sua originalità, nonché per cogliere in esso<br />

alcune aporie, soprattutto quella relativa<br />

alla nozione di “superamento” della metafisica.<br />

Heidegger a Zollikon, di C. La Rocca.<br />

Lettura sintomale ed ermeneutica psicoanalitica,<br />

a cura di I. Domanin: resoconto<br />

del convegno su Louis Althusser, tenutosi<br />

a Milano presso l’Università degli <strong>Studi</strong> (5-<br />

6 Febbraio 1992).<br />

REVUE PHILOSOPHIQUE DE LOUVAIN<br />

Vol. 90, novembre 1992<br />

Editions de l’institut supérieur de philosophie<br />

Tema della rivista: “Metafisica e ontologia”.<br />

Le concept de philosophie première dans<br />

la Métaphysique d’Aristote, di J. Follon:<br />

una lettura ontoteologica della filosofia<br />

prima di Aristotele, quale scienza delle<br />

cause prime e perciò delle sostanze divine;<br />

secondo l’interpretazione tradizionale essa<br />

è perciò eziologia e teologia, ma anche<br />

ontologia, dato che le cause prime si riferiscono<br />

all’essere.<br />

“Physique” et “métaphysique”chez Aristote,<br />

di P. Destrée.<br />

De l’ontologie à la théologie; lecture du<br />

livre Z de la Métaphysique d’Aristote, di G.<br />

Gérard: il libro Z della Metafisica rappresenta<br />

una chiave di volta nell’economia<br />

della filosofia aristotelica, poiché qui Aristotele<br />

individua nella teologia il senso<br />

profondo della tematica ontologica.<br />

La stylométrie et la question de Métaphysique<br />

K, di C. Rutten.<br />

Le statut de l’Un dans la Métaphysique, di<br />

L. Couloubaritsis: nonostante la generale<br />

convinzione che Essere ed Uno siano concetti<br />

e termini convertibili reciprocamente,


l’autore sostiene che, al di là di pochi casi<br />

limite, il rapporto tra Essere ed Uno sia<br />

regolato dalla complementarietà.<br />

Une nouvelle approche de la philosophie<br />

d’Ernst Cassirer, di S. Loft: recensione di<br />

J. M. Krois: Cassirer: symbolic forms and<br />

history (Yale University Press, New Haven,<br />

London 1991).<br />

Coup d’oeil sur la philosophie italienne<br />

contemporaine: le “trascendentalismo della<br />

prassi” et la philosophie critique de M.<br />

Dal Pra, di L. Rizzerio.<br />

REVUE PHILOSOPHIQUE<br />

DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER<br />

n. 4, ottobre-dicembre 1992<br />

PUF, Paris<br />

Tema della rivista: “Cartesio e la tradizione<br />

umanista”.<br />

L’image de l’homme chez Descartes et<br />

chez le cardinal de Bérulle, di J. L. Vieillard-Baron:<br />

la differenza tra la posizione di<br />

Cartesio e quella di Bérulle sulla concezione<br />

dell’uomo appare emblematica di un<br />

cambiamento avvenuto nella cultura e nella<br />

mentalità nel corso di quegli anni. Se per<br />

Bérulle l’uomo, pur rivestendo un ruolo<br />

centrale nell’universo, come per Cartesio,<br />

si colloca all’interno di una visione rinascimentale<br />

della cosmologia, per Cartesio esso<br />

partecipa del meccanicismo dell’universo.<br />

Anche per quanto riguarda l’analisi della<br />

volontà umana e delle passioni la visione di<br />

Bérulle è in un certo senso antiumanista,<br />

perché si riconnette alla tradizione agostiniana,<br />

mentre per Cartesio il libero arbitrio<br />

è la più nobile delle funzioni umane.<br />

Descartes philosophe et écrivain, di J. Lafond:<br />

l’articolo ricostruisce con precisione<br />

l’interesse mostrato da Cartesio nei confronti<br />

del dibattito coevo relativo al ruolo e<br />

alle forme della letteratura.<br />

Doute pratique et doute spéculatif chez<br />

Montaigne et Descartes, di G. Rodis-Lewis.<br />

L’homme et le langage chez Montaigne et<br />

Descartes, di F. de Buzon: il rapporto che<br />

lega Cartesio a Montaigne è piuttosto complesso:<br />

più che accettare completamente o<br />

completamente rigettare alcuni aspetti della<br />

filosofia di Montaigne, Cartesio utilizza<br />

alcuni suoi argomenti, ad esempio scettici,<br />

in una direzione opposta allo scetticismo.<br />

L’unica tematica in cui Cartesio evoca esplicitamente<br />

Montaigne è la questione del<br />

linguaggio e della differenza tra l’uomo e<br />

l’animale.<br />

RASSEGNA RIVISTE<br />

René Descartes et Pierre Charron, di M.<br />

Adam: l’articolo analizza in che senso il<br />

pensiero di Charron (1541-1603), accanto<br />

a quello di Montaigne, possa essere considerato<br />

una fonte di quello cartesiano.<br />

LES ETUDES PHILOSOPHIQUES<br />

ottobre-dicembre 1992<br />

PUF, Paris<br />

Tema della rivista: “Poesia e filosofia nell’idealismo<br />

tedesco”.<br />

Sensibilité et dualisme dans les Lettres sue<br />

l’éducation esthétique de l’homme, di M.<br />

Castillo: il superamento del dualismo kantiano<br />

tra ragione e sensibilità è ottenuto da<br />

Schiller attraverso la scoperta della dimensione<br />

estetica che apre anche una curvatura<br />

politica nella sua riflessione.<br />

Poésie, philosophie et science chez Friedrich<br />

von Hardenberg (Novalis), di D.<br />

Lancerau.<br />

Enthousiasme et ironie. La dialectique artistique<br />

selon K. W. F. Solger, di J. Colette:<br />

le considerazioni sull’arte e sull’artista di<br />

Solger nel dialogo Erwin (1815) e nelle<br />

Lezioni d’estetica (1829).<br />

Hölderlin: fragment d’une esthétique spéculative,<br />

di J. L. Vieillard-Baron: la sintesi<br />

tra l’atto del poetare e quello del filosofare<br />

vengono esaminati a partire dalla Dichterberuf<br />

(1801) e dalle esplicazioni teoriche<br />

redatte ai tempi dell’Empedocle (1798-<br />

1800).<br />

Poésie et mysticisme dans la dernière philosophie<br />

de Schelling, di M. C. Challiol.<br />

Empédocle et Zarathustra: sept versions<br />

de la morte libre, di M. Kerkhoff.<br />

PHENOMENOLOGICAL INQUIRY<br />

Vol. XVI, ottobre 1992<br />

The World Institute<br />

of Advanced Phenomenological Research<br />

and Learning<br />

Belmont<br />

A phenomenological interpretation of John<br />

Locke’s distinction between sensible and<br />

intellegible ideas, di Y. Tomida: l’interpretazione<br />

della teoria lockeane delle idee alla<br />

luce della teoria husserliane del significato.<br />

Husserl and his analytic interpreters: some<br />

revealing questions, di R. Cobb-Stevens:<br />

scopo dell’articolo è cogliere il senso ed<br />

esaminare criticamente le recenti interpretazioni<br />

date dalla scuola analitica ad alcuni<br />

69<br />

aspetti del pensiero di Husserl, con particolare<br />

attenzione al concetto di noema.<br />

Conceptions of freedom: Hegel, Sartre and<br />

confucianism, di Y. Chen.<br />

Sartre conception of freedom, di W. L. Mc<br />

Bride.<br />

Innocence, guilt and totalitarianism, di M.<br />

L. Pfeiffer: una breve riflessione su Humanisme<br />

et Terreur (1947) di M. Merleau-<br />

Ponty.<br />

Heidegger and the fundamental ontology<br />

of language, di R. Raj Singh.<br />

The world of language: Merleau-Ponty<br />

and Mead, di P. L. Bourgeois e S. B.<br />

Rosenthal: il pensiero di Merleau-Ponty e<br />

Mead affonda le proprie radici in una concezione<br />

olistica, che rifiuta un approccio<br />

semplicemente riduzionista alla questione<br />

del linguaggio.<br />

Communication in the context of cultural<br />

diversity, di C. O. Schrag: la questione del<br />

rapporto tra comunicazione e comunità a<br />

partire da Ragione ed Esistenza di Jaspers.<br />

Allegory and maxim: power and faith, passions<br />

and virtues. Queen Christina of Sweden,<br />

a citizen of the world: from Stockholm<br />

to Paris to baroque Rome, di M. Kronegger.<br />

Is philosophy as a rigorous science still<br />

topical today?, di A. Ales Bello.<br />

JOURNAL OF THE HISTORY<br />

OF PHILOSOPHY<br />

Vol. XXX, n. 4, ottobre 1992<br />

Washington University, St. Louis<br />

Plotinus’ account of participation in Ennead<br />

VI 4-5, di S. K. Strange: un aspetto<br />

non sufficientemente analizzato dalla critica<br />

plotiniana, eppure di grande importanzaper<br />

una corretta e completa comprensione<br />

della metafisica plotiniana, è il problema<br />

della partecipazione del sensibile alle<br />

idee, questione al centro anche del commento<br />

di Proclo al Parmenide platonico. Si<br />

tratta di un’analisi .<br />

Mathematical construction, symbolic cognition<br />

and the infinite intellect: reflections<br />

on Maimon and Maimonides, di D. R.<br />

Lachterman.<br />

Leibniz’s adamic language of thought di<br />

M. Losonsky: prendendo spunto dalla diversità<br />

di posizione tra Locke e Leibniz sul<br />

problema del linguaggio, l’articolo vuole<br />

ricostruire ed evidenziare l’importanza<br />

dell’adesione di Leibniz alle linee di fondo<br />

della teoria adamica del linguaggio; attra-


verso un breve excursus sulla storia di<br />

questa posizione, l’articolo mostra come<br />

essa non si proponga soltanto come teoria<br />

del linguaggio, ma anche come teoria del<br />

pensiero<br />

Hume on the duties of humanity, di R.<br />

Shaver: il dibattito tra doveri della giustizia<br />

e doveri dell’umanità nel XVIII sec.<br />

Fichte, Lask and Lukács’s hegelian marxism,<br />

di T. Rockmore: nella formazione di<br />

Lukács l’approdo al marxismo non avviene<br />

soltanto sulla base dei presupposti hegeliani,<br />

ma risulta fondamentale anche la<br />

meditazione sulla filosofia classica tedesca.<br />

Più in particolare la soluzione marxiana<br />

del problema kantiano della cosa in sé<br />

appare come il frutto della riflessione sul<br />

pensiero di Fichte, attraverso la mediazione<br />

di Lask.<br />

Bergson’s concept of order, di R. Lorand:<br />

il concetto di ordine è fondamentale in tutta<br />

la filosofia occidentale e soprattutto nel<br />

pensiero di Bergson. L’articolo prende in<br />

esame appunto la posizione del filosofo<br />

francese, tenendo presenti i due presupposti<br />

bergsoniani: ci sono due tipi di ordine; il<br />

disordine non esiste.<br />

ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHISCHE<br />

FORSCHUNG<br />

Vol, 46, n. 3, luglio-settembre 1992<br />

Vittorio Klostermann Verlag, Frankfurt<br />

a/M<br />

Sind Tiere Bewussthaber?, di H. Schmitz.<br />

Fichte und die Metaphysik des Unendlichen,<br />

di W. Pannenberg: l’articolo segue le<br />

tappe dello sviluppo della filosofia della<br />

religione di Fichte.<br />

Kein Platz für phänomenale Qualitäten<br />

und Leib- Umwelt-Interaktion?, di G. Pohlenz:<br />

l’analisi trascendentale e le tendenze<br />

della scienza empirica.<br />

Hegels Idee von Europa, di D. Innerarity.<br />

Aesthetica und Anaesthetica, di B. Recki:<br />

recensione di O. Marquard: Aesthetica und<br />

Anaesthetica. Philosophische Überlegungen<br />

(Paderborn 1989)<br />

Das Verschwinden des Originals, di H. J.<br />

Gawoll: dopo aver ricostruito le vicende<br />

relative alla attribuzione dello älteste Systemprogramm<br />

des deutschen Idealismus,<br />

RASSEGNA RIVISTE<br />

frammento scoperto nel 1913 e la cui redazione<br />

é stata generalmente attribuita a Hegel,<br />

l’articolo prende in considerazione i<br />

più recenti interventi critici attorno al frammento,<br />

con particolare attenzione allo studio<br />

di F. P. Hansen “Das älteste Systemprogramm<br />

des deutschen Idealismus”.<br />

Receptions Geschichte und Interpretation<br />

(Berlin, New York 1989).<br />

ARCHIV FÜR GESCHICHTE DER<br />

PHILOSOPHIE<br />

n. 3, 1992<br />

Walter de Gruyter, Berlin, New York<br />

Anmerkungen zur schottischen Aufklärung<br />

(in Aberdeen). Neue Briefe von Baxter,<br />

Beattie, Fordyce, Reid und Stewart, di H.<br />

F. Klemme.<br />

Markt, Motive, moralische Institutionen.<br />

Zur Philosophie Adam Smiths, di G. Streminger.<br />

Go-carts of judgement: exemplars in kantian<br />

moral education, di R. B. Louden: gli<br />

esempi morali individuali occupano nella<br />

riflessione morale di Kant un ruolo superiore<br />

a quello generalmente riconosciuto<br />

ad essi, benché non possano essere considerarti<br />

sufficienti per un’educazione morale.<br />

DAIMON<br />

n. 5, 1992<br />

Universidad de Murcia<br />

Tema della rivista: “Filosofia e letteratura”.<br />

Elegy and identity, di S. Campbell: l’articolo<br />

sviluppa, a partire dal Rinascimento,<br />

l’analisi di esempi storici circa la rottura<br />

dell’identità dovuta alla morte .<br />

El autor, la ficcion, la verdad, di A. Campillo:<br />

a partire dalle considerazioni di Derrida<br />

e Foucault sul rapporto tra autore, vita<br />

ed opera, l’articolo propone un’analisi storica<br />

della categoria di autore, allo scopo di<br />

ripensare la relazione tra filosofia e letteratura<br />

occidentale.<br />

“Back from Moscow, in the URSS”, di J.<br />

Derrida.<br />

Idylle und Müssiggang in der Literatur des<br />

18. Jahrhunderts, di R. Münster.<br />

La letencia o la ficcion de verdad. Sobre el<br />

método del discurso de M. Blanchot, di A.<br />

Poca: attraverso l’esperienza di Blanchot<br />

della scrittura, l’articolo analizza il rapporto<br />

tra soggetto e linguaggio; importantii<br />

riferimenti a Bataille, Klossowski, Deleuze,<br />

Foucault, Derrida.<br />

70<br />

Borges y la filosofia del tiempo, di M.<br />

Schultz.<br />

Cinco curisidades desde la novela gotica,<br />

di J. Seoane.<br />

De la filosofia a la literatura: el caso de<br />

Richard Rorty, di C. Thiebaut: il neopragmatismo<br />

di Rorty occupa un posto centrale<br />

all’interno delle discussioni relative al rapporto<br />

tra filosofia analitica e tradizione<br />

continentale. Attraverso questa sintesi egli<br />

realizza un legame forte tra filosofia e<br />

letteratura.<br />

La construccion del texto, di M. E. Vasquez:<br />

l’articolo si propone di chiarire il<br />

senso del rapporto tra letteratura e filosofia.<br />

LES ETUDES PHILOSOPHIQUES (lugliosettembre<br />

1992, PUF, Paris). Tema della<br />

rivista: “La teoria computazionale dello<br />

spirito; filosofia e scinze cognitive”. Segnaliano,<br />

tra gli altri articoli, un intervento<br />

di H. Putnam: La nature des états mentaux.<br />

FILOSOFIA E TEOLOGIA (Vol. VI, n. 3,<br />

settembre - dicembre 1992) affronta il tema:<br />

“Religione e Sacro tra moderno e postmoderno”,<br />

con interventi su Hegel (Religione<br />

e filosofia in Hegel, di S. Rostagno), su<br />

Lukács (Menschwerdung e Gottesreich nel<br />

giovane Lukács, di L. La Porta), su Adorno<br />

(Filosofia e modernità in Th. Adorno, di I.<br />

Poma), su Habermas (Religione e teoria<br />

critica. Il potenziale critico della religione<br />

di fronte al progetto di Habermas, di J. M.<br />

Mardones).<br />

AESTHETICA (n. 36, dicembre 1992, Centro<br />

Internazionale <strong>Studi</strong> di Estetica, Palermo)<br />

presenta un volume monografico curato<br />

da A. Van Sevenant dal titolo: La<br />

decostruzione e Derrida.<br />

IDEE (<strong>Anno</strong> VII, n. 21, settembre-dicembre<br />

1992, Milella, Lecce) presenta, tra gli<br />

altri, un intervento di R. Convertini su<br />

L’idea di tempo tra filosofia e psichiatria.<br />

REVUE DE METAPHYSIQUE ET DE<br />

MORALE (A. Colin, Paris) ha presentato,<br />

nell’annata 1992, i seguenti numeri monografici:<br />

“Gli Universali” (1/1992); “Neuroscienze<br />

e filosofia; il problema della coscienza”<br />

(2/1992); “Dossografia antica”<br />

(3/1992); “Cassirer” (4/1992).<br />

NUOVA CIVILTA DELLE MACCHINE<br />

(<strong>Anno</strong> XI, n. 1, <strong>1993</strong>, Nuova Eri, Roma)<br />

presenta le riflessione di alcuni autori sul<br />

tema: “La felicità”. L’ambiguità del concetto<br />

di felicità è tale da stimolare fortemente<br />

la riflessione filosofica, ma anche<br />

quella psicologica, scientifica e storica.<br />

Ecco perché, accanto ad interventi più strettamente<br />

filosofici, troviamo alcuni articoli


AA.VV.<br />

Medieval philosophy<br />

and theology: vol. 2<br />

University of Notre Dame Press,<br />

gennaio <strong>1993</strong><br />

pp. 208, £ 13,50<br />

Secondo volume di una rivista annuale<br />

dedicata a studi originali della filosofia<br />

e della teologia medievale. Incoraggiando<br />

un ampio raggio di argomenti<br />

e approcci, essa cerca di stimolare<br />

la conversazione e lo scambio<br />

attraverso i moderni confini delle discipline<br />

e fra metodologie di ricerca e<br />

tradizioni opposte.<br />

AA.VV.<br />

Physikalisierung des Lebens.<br />

Interpretationen und Quellen<br />

zur wissenschaftskritischen<br />

Rekonstruktion<br />

del “Lebens” - Begriff<br />

Vlg.f. Interkult. Komm.<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp. 255, DM 32<br />

AA.VV<br />

Immaginari a confronto<br />

a cura di Carlo Chiarenza<br />

e William L. Vance<br />

Marsilio, aprile <strong>1993</strong><br />

pp.2<strong>12</strong>, L. 32.000<br />

I saggi di questo volume, scritti da<br />

studiosi americani e italiani, si propongono<br />

di far luce sui meccanismi,<br />

più o meno nascosti, che controllano<br />

l’immaginario individuale<br />

e collettivo.<br />

AA.VV.<br />

Die Europaidee<br />

im deutschen Idealismus<br />

und in der deutschen Romantik<br />

Bad Homburg febbraio <strong>1993</strong><br />

pp. 138, DM 28<br />

AA.VV.<br />

<strong>Studi</strong> di filosofia trascendentale<br />

a cura di V. Melchiorre<br />

Vita e Pensiero, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.348, L. 52.000<br />

Il testo analizza il tema dell’identità e<br />

della differenza, che è tra i più sollecitanti<br />

del pensiero contemporaneo e<br />

che per molti aspetti costituisce un<br />

ritorno all’antico problema dell’analogia.<br />

Il volume raccoglie contributi<br />

discussi all’interno di un seminario<br />

promosso dal Dipartimento di Filosofia<br />

e dal Centro di Metafisica dell’Università<br />

Cattolica.<br />

NOVITÀ IN LIBRERIA<br />

NOVITÀ IN LIBRERIA<br />

AA.VV.<br />

La figura di Cristo<br />

nella filosofia contemporanea<br />

Ed. Paoline, marzo <strong>1993</strong><br />

pp. 598, L. 35.000<br />

Prefazione di B. Forte. In una sorta di<br />

colloquio con Cristo vengono rivisitati<br />

i grandi filosofi degli ultimi due<br />

secoli: Kant, Schleiermacher, Hegel,<br />

Kierkgaard, Feuerbach, Marx, Engels<br />

ecc...<br />

Agazzi, Evandro (a cura di)<br />

Bioetica e persona<br />

Franco Angeli, aprile <strong>1993</strong><br />

pp.5<strong>12</strong>, L. 50.000<br />

Nel volume viene messa alla prova<br />

l’ipotesi che l’impasse della discussione<br />

bioetica risalga essenzialmente<br />

alla forte disparità delle teorie etiche,<br />

che stanno alla base delle prese di<br />

posizione bio-etiche, e che sembrano<br />

inconciliabili in forza della forte divaricazione<br />

dei rispettivi principi. I<br />

saggi qui raccolti lumeggiano la complessità<br />

di questa tematica e indicano<br />

di quali ulteriori chiarimenti ci sarebbe<br />

bisogno per riuscire a utilizzare<br />

fecondamente questo concetto.<br />

Albert. H. et al. (a cura di)<br />

Mensch und Gesellschaft<br />

aus der Sicht<br />

des kritischen Rationalismus<br />

Editions Rodopi, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.260, Dfl 40<br />

Esposizione delle posizioni di base<br />

della teoria critica della società della<br />

Scuola di Francoforte. Il problema<br />

anima-corpo e la concezione della<br />

società aperta. Dalla società totalitaria<br />

a quella aperta negli ex paesi socialisti.<br />

Metodo. Problemi della scienza<br />

della società.<br />

Allouch, Jean<br />

Louis Althusser, récit divan:<br />

lettre ouvert à Clément Rosset<br />

à propos de ses notes<br />

sur Louis Althusser<br />

EPEL, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.58, F 65<br />

Una risposta all’interpretazione del<br />

caso Althusser proposta dal filosofo<br />

Clément Rosset. Come collocare Althusser<br />

senza lasciarsi prendere dalla<br />

sua impostura? L’assassionio di sua<br />

moglie ne fa parte? Secondo l’autore<br />

il dibattito attuale prolunga il non<br />

luogo a procedere pronunciato in seguito<br />

alla perizia psichiatrica.<br />

71<br />

Ankersmith, F. R.<br />

Mooij, J.J. A. (a cura di)<br />

Knowledge and language:<br />

Vol. III. Metaphor and knowledge<br />

Kluwer Academic Publishers<br />

gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.216, £ 64<br />

Terzo volume di un’opera in tre volumi,<br />

il testo sostiene che è essenziale<br />

considerare la metafora quando si<br />

indaga su come si arrivi alla verità<br />

nella scienza e nel rapporto quotidiano<br />

con la realtà. Il ruolo della metafora<br />

viene esaminato in campi che vanno<br />

dalla poesia e l’arte alla medicina<br />

e alla teoria politica.<br />

Annas, Julia (a cura di)<br />

Oxford <strong>Studi</strong>es<br />

in Ancient Philosophy<br />

Volume 10: 1992<br />

Clarendon Press, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.304, £ 35<br />

Decima pubblicazione annuale<br />

(1992) della serie di saggi sulla filosofia<br />

antica, questo volume tratta<br />

un’ampia scelta di argomenti di filosofia<br />

antica passando in rassegna i<br />

testi principali.<br />

Antonio Rosmini<br />

Introduction à la philosophie<br />

A cura di J.-M. Trigeaud<br />

Bière, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.340, F 145<br />

Antonio Rosmini (1797-1855) nell’Origine<br />

del pensiero, pubblicata nel<br />

1830, pone i fondamenti della sua<br />

filosofia: unire l’atto metafisico di<br />

pensare all’atto corporeo di sentire.<br />

Aschheim, Steven E.<br />

The Nietzsche legacy<br />

in Germany, 1890-1990<br />

University of California<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.368, $ 48<br />

Aschheim propone una cronaca magistrale<br />

della presenza del filosofo<br />

nella vita e nella politica tedesche,<br />

dalla fine del secolo scorso fino alla<br />

recente riunificazione.<br />

Ayer, A. J. et al. (a cura di)<br />

A dictionary<br />

of philosophical quotations<br />

Blackwell Publ.,febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.352, £ 25<br />

Nel corso della storia, i filosofi sono<br />

venuti a contatto con la questione di<br />

come si debba vivere e perché, con<br />

problemi politici, scientifici, lingui-<br />

stici. Il presente dizionario esamina<br />

da vicino la tradizione filosofica mostrando<br />

i pensieri, i paradossi, gli errori<br />

e le falle che accompagnano la<br />

speculazione umana.<br />

Azzaro, Salvatore<br />

Politica e storia in Fichte<br />

Jaca Book, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.168, L. 28.000<br />

Il pensiero politico in Fichte è inscindibilmente<br />

legato alla sua interpretazione<br />

della Rivoluzione francese. La<br />

storia della ricezione critica del pensiero<br />

politico fichtiano parte proprio<br />

dalla Francia ed esamina la critica<br />

tedesca e quella italiana.<br />

Baranoff-Chestov, Nathalie<br />

Vie de Léon Chestov<br />

2: Les dernières années<br />

La Différence, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.288, F <strong>12</strong>0<br />

In questa seconda parte in cui si raccontano<br />

gli ultimi anni di Chestov<br />

(1930-1938) ritroviamo i momenti<br />

più fecondi (e anche quelli più dolorosi)<br />

della vita del pensatore.<br />

Barr, James<br />

Biblical faith<br />

and natural theology:<br />

The Gifford lectures for 1991<br />

Clarendon, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.256, £ 30<br />

Il libro esamina la questione se si<br />

conosca Dio solo in quanto esseri<br />

umani o se sia necessaria l’assistenza<br />

della Bibbia o di Dio. La<br />

presente raccolta di saggi esamina<br />

quanto dice in proposito la stessa<br />

Bibbia e ne considera l’impatto<br />

sulle idee religiose.<br />

Barry, Robert<br />

A theory of almost everything:<br />

A religious and scientific quest<br />

for ultimate answers<br />

Oneworld Publ., febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.224, £ 9,95<br />

In cerca di una “teoria del tutto”<br />

questo libro esplora cose complesse<br />

quali la teoria psicologica, la<br />

fisica quantistica e la teoria della<br />

relatività di Einstein, proponendo<br />

una teoria olistica dell’io che mette<br />

in collegamente idee di realtà<br />

scientifiche e religiose.


Baumgartner, H. M.<br />

Jacobs, W. G. (a cura di)<br />

Philosophie der Subjektivität?<br />

Zur Bestimmungdes<br />

neuzeitlichen Philosophierens.<br />

Akten des Kongresses<br />

der Internationalen Schelling-<br />

Gesellschaft 1989<br />

Frommann-Holzboog<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.606, DM 99<br />

Benso, Silvia<br />

Pensare dopo Auschwitz<br />

Ed. Scientifiche, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.262, L. 34.000<br />

L’opera, strutturata in due parti - filosofica<br />

la prima, teologica la seconda<br />

- muove dall’affermazione di Adorno<br />

secondo cui «è necessario pensare in<br />

modo che Auschwitz non si ripeta».<br />

Memore di tale imperativo, l’autore<br />

va dunque alla ricerca di categorie di<br />

pensiero atte a tener conto dell’interruzione<br />

irriconciliabile e irredimibile<br />

che Auschwitz presenta nell’orizzonte<br />

storico.<br />

Berkeley, George<br />

Oeuvres<br />

3:Alciphron ou le Petit philosophe<br />

A cura di G. Brykman<br />

PUF, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.424, F 280<br />

Nel 1732 il filosofo irlandese proponeva<br />

un’apologia diretta della religione<br />

cristiana, appoggiata dalla critica<br />

del libero pensiero: sette dialoghi<br />

in cui l’immaterialismo non viene<br />

trattato affatto e in cui il celebre principio<br />

“Esistere, cioè essere percepiti”<br />

e l’inesistenza della materia non rappresentano<br />

che dei mezzi obliqui per<br />

la difesa del cristianesimo.<br />

Berlinger, R. - Schrader, W.<br />

(a cura di)<br />

Gnosis und Philosophie.<br />

Miscellanea<br />

Prefazione di A. Böhlig<br />

Editions Rodopi, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.200, Dfl 75<br />

Berry, Phillipa<br />

Wernick, Andrew (a cura di)<br />

Shadow or spirit:<br />

Post-modernism and religion<br />

Routledge, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.288, £ <strong>12</strong>,99<br />

Il volume affronta il moderno miscuglio<br />

di teoria, cultura e politica, che<br />

ha portato al nuovo incontro fra umanesimo<br />

e dibattiti sulla religione. Gli<br />

autori sfidano la premessa invalsa<br />

che il pensiero contemporaneo occidentale<br />

sia legato al nichilismo.<br />

Beyer, Uwe<br />

Christus und Dyonysos.<br />

Ihre widerstreidende Bedeutung<br />

im Denken Hölderlins<br />

und Nietzsches<br />

Lit, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.500, DM 78<br />

Bezzola, Tobia<br />

Die Rhetorik bei Kant,<br />

Fichte und Hegel. Ein Beitrag<br />

zur Philosophiegeschichte<br />

der Rhetorik<br />

Niemeyer, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.172, DM 68<br />

Bienenstock, Myriam<br />

Politique du jeune Hegel:<br />

Iéna, 1801-1806<br />

PUF, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.288, F 196<br />

In contrapposizione alle tre linee interpretative<br />

tradizionali dell’hegelismo<br />

(linguaggio, lavoro, comunicazione)<br />

questo saggio cerca di riappropriarsi<br />

del senso del progetto filosofico<br />

totale di Hegel, esaminando il modo<br />

in cui si sviluppa il suo sistema in un<br />

momento cruciale della sua formazione.<br />

Bigré, Gérard<br />

Métier philosophe<br />

Hésiode, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.320, F 95<br />

Ecco un libello in forma dialogica<br />

sulla crisi delle idee e sulla crisi del<br />

pensiero attuale che cerca al contempo<br />

di dimostrare la necessita di una<br />

riabilitazione della filosofia.<br />

Blackburn, Pierre<br />

Connaissance et argumentation<br />

Renouveau pédagogique<br />

gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.488, F 149<br />

Il testo espone le nozioni fondamentali<br />

delle più recenti teorie filosofiche<br />

sulla natura della conoscenza. Per gli<br />

studiosi di scienze umane o per le<br />

classi preparatorie alle scuole commerciali.<br />

Bloch, Olivier<br />

Spinoza au XXe siècle<br />

PUF, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.608, F 400<br />

Se lo Spinoza del XVIII secolo era il<br />

prototipo del razionalista ateo, se quello<br />

del XIX si presentava sotto l’immagine<br />

dominante di un filosofo mistico,<br />

nel XX abbiamo visto apparire<br />

quella di uno Spinoza rivoluzionario,<br />

padrone della sua vita, mediatore e<br />

agente di trasmutazioni per tutti i sistemi<br />

di pensiero.<br />

Blosser, Philip<br />

Schimomisse, Eiichi<br />

Embree,Lester - Kojima, Hiroshi<br />

(a cura di)<br />

Japanese<br />

and western phenomenology<br />

Kluwer Academic Publishers<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.468, £ 89,50<br />

Sviluppato dal primo grande incontro<br />

di fenomenologi giapponesi<br />

e occidentali, tenutosi a Sanda<br />

City. Prevalentemente filosofico,<br />

tratta il pensiero di Husserl, ma<br />

mostra anche i collegamenti con le<br />

scienze umane e figure come Dilthey<br />

e Fink, nonché con lo Zen e<br />

con la tradizione giapponese.<br />

NOVITÀ IN LIBRERIA<br />

72<br />

Bocchi, Gianluca<br />

Ceruti, Mario<br />

Origini di storie<br />

Feltrinelli, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.240, L. 32.000<br />

Il volume è un’introduzione ai nuovi<br />

saperi (scientifici, filosofici, spirituali)<br />

che si stanno elaborando per affrontare<br />

le sfide che caratterizzano<br />

questa fine di secolo: Origini di storie<br />

inaugura, infatti, una scrittura inconsueta<br />

per la filosofia e la divulgazione<br />

scientifica: uno stile accessibile a un<br />

pubblico più ampio degli addetti ai<br />

lavori, che però non semplifica i problemi<br />

affrontati.<br />

Böhler, D. - Neuberth, R.<br />

(a cura di)<br />

Herausforderung<br />

und Zukunftverantwortung.<br />

Hans Jonas zu Ehren<br />

Lit Verlag, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.142, DM 24,80<br />

Boituzat, François<br />

Un droit de mentir?<br />

Constant ou Kant?<br />

PUF, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.<strong>12</strong>8, F 48<br />

E’lecito mentire per salvare la vita di<br />

un amico? Lo studio di questo problema<br />

casuistico consente a B. Constant<br />

di denunciare quanto vi è di arbitrario,<br />

in morale, nella proibizione incondizionata<br />

della menzogna. Kant<br />

ritorna sulla questione mettendo in<br />

luce l’inutilità della polemica avviata<br />

dal suo contraddittore.<br />

Bottiroli, Giovanni<br />

Retorica.<br />

L’intelligenza figurale nell’arte<br />

e nella filosofia<br />

Bollati Boringhieri, aprile <strong>1993</strong><br />

pp.320, L. 35.000<br />

Il libro muove dalla situazione della<br />

retorica nel mondo attuale caratterizzato<br />

da una retoricità diffusa. In un<br />

confronto serrato con i maestri della<br />

linguistica e della semiotica, da Jakobson<br />

a Greimas, e con le correnti di<br />

pensiero che oggi riflettono sul linguaggio,<br />

Bottiroli rimette in questione<br />

la natura della retorica, le assegna<br />

una nuova identità e un compito non<br />

settoriale.<br />

Botto, Evandro<br />

Etica sociale e filosofia<br />

della politica in Rosmini<br />

Vita e Pensiero, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.296, L. 44.000<br />

Più che un territorio a sé stante, la<br />

filosofia della società e della politica<br />

si presenta in Rosmini come uno dei<br />

crocevia dell’intera filosofia della<br />

pratica, come il punto in cui si incontrano<br />

filosofia della morale e filosofia<br />

del diritto, filosofia della storia e filosofia<br />

della religione, in forza del loro<br />

comune riferimento ad una ben definita<br />

“ontologia della persona”.<br />

Brandl, J. et al. (a cura di)<br />

Metamind, knowledge,<br />

and coherence.<br />

Essays on the philosophy<br />

of Keith Lehrer<br />

Editions Rodopi, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.232, Dfl 35<br />

Brentano, Franz - David, Pascal<br />

(a cura di)<br />

De la diversité des acceptions<br />

de l’être d’après Aristote<br />

Vrin, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.208, F 183<br />

Questa leggendaria dissertazione di<br />

Franz Brentano, pubblicata a Friburgo<br />

nel 1862, prende come filo conduttore<br />

della propria interpretazione<br />

della metafisica il seguente leit-motiv:<br />

“l’essere è plurale”.<br />

Bröckling, Ulrich<br />

Katholische Intellektuelle<br />

inder Wiemarer Republik.<br />

Zeitkritik und Gesellschaftstheorie<br />

bei W. Dirks, R. Guardini, C.<br />

Schmitt, E. Michel und H. Mertens<br />

W. Fink, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.144, DM 38<br />

Questi intellettuali cercano di sfuggire<br />

alle aporie delle salde credenze<br />

sulla rivelazione e del pensiero secolare<br />

dei moderni, attualizzando diversi<br />

frammenti del cosmo cattolico<br />

in frantumi.<br />

Brun, Jean<br />

La Philosophie de Pascal<br />

PUF, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.<strong>12</strong>8, F 38<br />

Assai poco amato dai filosofi francesi,<br />

Pascal ebbe l’audacia, secondo<br />

loro, di chiedere il conto alla ragione.<br />

Critico demistificatore, in realtà Pascal<br />

denunciò le pretese assolutistiche<br />

dei relativismi, le fughe nei sogni<br />

e la ricerca di un rifugio nel consenso,<br />

tanto acclamato al giorno d’oggi.<br />

Brzezinski, J. - Nowak, L.<br />

(a cura di)<br />

Idealization III:<br />

Approximation and truth<br />

Editions Rodopi, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.288, Dfl 135<br />

Indice: Introduzione, approssimazione<br />

e verità.<br />

Cambi, Paolo (a cura di)<br />

Tra scienza e storia.<br />

Percorsi del neostoricismo:<br />

Eugenio Garin, Paolo Rossi<br />

Sergio Moravia<br />

Unicopli, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.167, L. 27.000<br />

L’avventura del neostoricismo a partire<br />

dagli anni Cinquanta, analizzando<br />

il contributo di Garin e della sua<br />

“scuola” alla definizione dell’immagine<br />

della filosofia come intersezione<br />

critica, aperta, problematica tra sapere<br />

e società, ragione e storia.<br />

Canguilhem, Georges<br />

La connaissance de la vie<br />

Vrin, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.198, F 60<br />

G. Canguilhem si interroga sullo straordinario<br />

opportunismo del rapporto<br />

degli esseri viventi con il proprio<br />

ambiente, sull’originalità di questa<br />

presenza in quel mondo che chiamiamo<br />

vita.<br />

Caporali, Riccardo<br />

Heroes Gentium.<br />

Sapere e politica in Vico<br />

Il Mulino, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.304, L. 34.000


Carruthers, Peter<br />

The animals issue.<br />

Moral theory in practice<br />

Cambridge UP, febbraio <strong>1993</strong><br />

£ 9<br />

Carruthers esplora diverse teorie<br />

morali e conclude che il contrattualismo<br />

(nella tradizione di Kant e di<br />

Rawls) è quello che offre la cornice<br />

più accettabile. In una prospettiva di<br />

questo tipo gli animali restano privi<br />

di un diretto significato morale. Ciò<br />

tuttavia non vuol dire che non vi siano<br />

costrizioni morali nel trattare con essi.<br />

Cicéron<br />

Tusculanes- 3: Le Bonheur:<br />

IVe et Ve Tusculanes<br />

Ariéa, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.157, F 95<br />

I presenti libri ricapitolano in un certo<br />

senso il suo insegnamento, disegnando<br />

l’immagine di un uomo che trova<br />

nel compimento dei suoi doveri la<br />

tranquillità interiore.<br />

Clark, Austen<br />

Sensory qualities<br />

Clarendon, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.264, £ 27,50<br />

Parecchi filosofi dubitano che si possa<br />

fornire una spiegazione convincente<br />

delle capacità sensoriali, del<br />

modo in cui le cose appaiono, impressionano<br />

o sembrano a un soggetto<br />

percipiente. Clark affronta questo<br />

problema apparentemente intrattabile<br />

e suggerisce che una soluzione in<br />

effetti sia possibile.<br />

Clergue, André<br />

Mon père je m’arcuse<br />

Lacour, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.379, F 145<br />

Herbert Marcuse (1898-1979), filosofo<br />

americano d’origine tedesca, è<br />

uno dei rappresentanti del freudmarxismo.<br />

A. Clergue dedica un esame<br />

approfondito a Eros e civilizzazione.<br />

Cometti, Jean-Pierre<br />

Lire Rorty: Le pragmatisme<br />

et ses conséquences<br />

Eclat, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.304, F 150<br />

Dopo i primi saggi dedicati al pragmatismo,<br />

all’inizio degli anni ’60<br />

Richard Rorty è diventato uno dei<br />

principali attori di un’evoluzione che<br />

conduce al giorno d’oggi un certo<br />

numero di filosofi analitici a riesaminare<br />

i presupposti della tradizione da<br />

loro rappresentata.<br />

Corey, M. A.<br />

God and the new cosmology:<br />

The anthropic design argument<br />

Rowman & Littlefield,<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.352, £ 19,95<br />

Basato sui fatti naturali fisici e cosmologici<br />

recentemente scoperti, il<br />

libro si propone di rivoluzionare la<br />

nostra concezione dei rapporti fra<br />

scienza e religione, usando prove<br />

scientifiche per dimostrare l’esistenza<br />

di Dio al di là di ogni ragionevole<br />

dubbio.<br />

Corvi, Roberta<br />

Invito al pensiero di Popper<br />

Mursia, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.384, L. 15.000<br />

Un’invito all’esame critico del pensiero<br />

di Popper. Una cronologia parallela<br />

tra la biografia del pensatore e<br />

i fatti della storia politica, filosofica e<br />

culturale; il profilo di Popper e la sua<br />

personalità intellettuale. Analisi delle<br />

opere, dei temi trattati e gli orientamenti<br />

della critica.<br />

Couloubaritsis, Lambros<br />

Aux origins de la philosophie<br />

européenne: de la pensée<br />

archaïque au neoplatonisme<br />

De Boeck-Wesmael<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.673, F 230<br />

Il saggio studia le principali correnti<br />

filosofiche che sono all’origine<br />

della filosofia occidentale, dal<br />

VII secolo prima della nostra era<br />

all’anno 529, data simbolica della<br />

chiusura della scuola neoplatonica<br />

di Atene a opera dell’imperatore<br />

bizantino Giustiniano.<br />

Cresci L.R. - Piccirilli, L.<br />

L’Athenaion Politeia di Aristotele<br />

Il Melangolo, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.176, L. 20.000<br />

Cronin, Kieran<br />

Rights and christian ethics<br />

Cambridge University Press,<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.346, £ 37,50<br />

Kieran Cronin in questo libro si propone<br />

di dimostrare come una prospettiva<br />

cristiana possa rivelarsi un contributo<br />

fecondo per il linguaggio dei<br />

diritti. A tale scopo egli esamina alcune<br />

delle difficoltà insite nell’uso di<br />

questo linguaggio, attingendo da<br />

esempi tratti dalla letteratura di filosofia<br />

morale e dalla giurisprudenza.<br />

Cropsey, Joseph - Strauss, Leo<br />

Storia della filosofia politica<br />

Vol. I<br />

Il Melangolo, aprile <strong>1993</strong><br />

pp.300, L. 35.000<br />

Il volume, giunto negli Stati Uniti alla<br />

quinta edizione nel giro di poco più di<br />

vent’anni, è fra le più ampie e dettagliate<br />

rassegne del pensiero politico<br />

occidentale. Questo primo volume<br />

comprende, oltre i classici, anche storici<br />

come Tucidide, pensatori arabi<br />

come Alfarabi, ebrei come Mosè<br />

Maimonide, offrendo in questo modo<br />

un panorama articolato, originale e<br />

esaustivo del operiodo preso in considerazione.<br />

Czerwinsky, Peter<br />

Gegenwärtigkeit.<br />

Simultane Räume und zyklische<br />

Zeiten im Mittelalter<br />

W. Fink, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.524, DM 180<br />

Quando le forme di pensiero mutano<br />

storicamente in maniera così<br />

decisiva che le testimonianze delle<br />

altre culture ci sono accessibili solo<br />

limitatamente, ogni ricerca su di<br />

esse dovrebbe prima di tutto e costantemente<br />

riflettere la loro logi-<br />

NOVITÀ IN LIBRERIA<br />

73<br />

ca “straniera”. Il saggio abbozza<br />

una storia della percezione che può<br />

servire come strumento.<br />

Dagognet, François<br />

Etienne-Jules Marey:<br />

A passion for the trace<br />

Zone Books, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.208, £ 24,25<br />

Etienne-Jules Marey elaborò tecniche<br />

fotografiche per lo studio della<br />

locomozione animale che influenzarono<br />

l’invenzione della cinematografia.<br />

In questo resoconto, focalizzato<br />

sul significato del suo lavoro, e cioè<br />

di riuscire a catturare la traccia di ciò<br />

che normalmente è il mondo invisibile<br />

del movimento, emerge la storia di<br />

Marey.<br />

Daly, Herman E.<br />

Townsend, Kenneth N.<br />

Valuing the earth:<br />

Economics, ecology, ethics<br />

The MIT Press, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.400, £ 16,95<br />

Raccolta di saggi che si propone di<br />

ampliare il pensiero economico inserendo<br />

l’economia nel suo proprio<br />

contesto ecologico ed etico. Vi si<br />

dimostra che, contrariamente alle attuali<br />

preoccupazioni macro-economiche,<br />

non si può sostenere la crescita<br />

continua su un pianeta dalle risorse<br />

limitate e che ciò è moralmente sbagliato.<br />

Dascal, M. - Gerhardus, D.<br />

et al. (a cura di)<br />

Sprachphilosophie /<br />

Philosophy of language /<br />

La philosophie du langage.<br />

Ein internationales Handbuch<br />

zeitgenössischer Forschung<br />

vol. I<br />

de Gruyter, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.872, DM 680<br />

Rassegna sullo stato della ricerca in<br />

<strong>12</strong>0 articoli, divisa in due volumi. I<br />

volume: Ricognizione spazio-temporale,<br />

persone, posizioni. (II volume:<br />

Controversie, concetti, aspetti filosofico-linguistici<br />

in altri campi)<br />

Davies, Brian<br />

An introduction<br />

to the philosophy of religion<br />

Oxford University Press<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.270, £ 30<br />

Questa edizione riveduta mette particolarmente<br />

in rilievo questioni che di<br />

recente sono diventate filosoficamente<br />

controverse. Il libro fornisce un<br />

esame critico delle questioni fondamentali<br />

della religione e dei modi in<br />

cui sono state trattate dai grandi pensatori.<br />

Davies, Brian<br />

The thought of Thomas Aquinas<br />

Clarendon, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.408, £ 14,95<br />

Introduzione a tutto il pensiero dell’Aquinate,<br />

che non fa alcuna divisione<br />

arbitraria fra le proprie idee filosofiche<br />

e quelle teologiche. Il testo mette<br />

in relazione il pensiero dell’Aquinate<br />

con autori successivi e precedenti allo<br />

stesso Tommaso.<br />

Del Noce, Augusto<br />

Filosofi dell’esistenza<br />

e della libertà<br />

Giuffrè, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.676, L. 75.000<br />

Saggi su Spir, Chestov, Lequier, Renouvier,<br />

Benda, Weil, Vidari, Faggi,<br />

Martinetti, Rensi, Juvalta, Mazzantini,<br />

Castelli, Capograssi.<br />

Della Porta, Giovan Battista<br />

Della celeste fisionomia<br />

a cura di L. Caruso<br />

Belforte, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.164, L. 60.000<br />

Edizione anastatica del testo in volgare<br />

del 1616. L’opera tenta di spezzare<br />

le basi stesse dell’astrologia, esaltando<br />

la “potenza visiva” dell’uomo.<br />

Pur essendo venata da influenze e<br />

tradizioni alchemiche, rivela una curiosità<br />

alle condizioni materiali e operative,<br />

preparandosi al barocco napoletano.<br />

Derrida, Jacques<br />

Dissemination<br />

The Athlone, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.400, £ 14,95<br />

Il libro propone le opere più importanti<br />

e feconde: “La pharmacie de<br />

Platon”, “La double seance” e “La<br />

dissemination”, originali letture di<br />

Mallarmé: “La dissemination” costituisce<br />

anche una rivalutazione della<br />

logica del senso e della funzione della<br />

scrittura nel dibattito occidentale.<br />

Derrida, Jacques<br />

Otobiographies<br />

L’insegnamento di Nietzsche<br />

e la politica del nome proprio<br />

Il Poligrafo, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.96, L. 22.000<br />

Questa conferenza fu tenuta da Derrida<br />

nel 1976 a Charlottesville, presso<br />

l’Università della Virginia. L’occasione<br />

era data dal bicentenario della<br />

Dichiarazione d’Indipendenza, ma da<br />

questa procedeva con un commento<br />

sull’incipit di Ecce Homo fino alle<br />

conferenze nietzscheane Sull’avvenire<br />

delle nostre scuole, per chiudersi<br />

sul problema della libertà accademica.<br />

Un testo dunque che può apparire<br />

stravagante nella sua eterogeneità, ma<br />

che è reso coerente da un filo conduttore:<br />

il rapporto tra nome e istituzione,<br />

che Derrida sintetizza nel problema<br />

della firma.<br />

Descamps, Christian<br />

Philosophie et anthropologie<br />

Ed. du Centre Pompidou<br />

gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.192, F <strong>12</strong>0<br />

Una riflessione sulla nostra estraneità<br />

e su quella altrui attraverso la filosofia<br />

e l’antropologia.<br />

Descamps, Christian<br />

Surréalisme et philosophie<br />

Ed. du Centre Pompidou,<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.160, F <strong>12</strong>0<br />

Gli autori affrontano qui i rapporti dei<br />

surrealisti con l’ambito filosofico.


Descartes, René<br />

La morale: textes choisi<br />

A cura di N. Grimaldi<br />

Vrin, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.186, F 45<br />

Il volume raccoglie, in ordine tematico,<br />

tutti i testi in cui Descartes espone<br />

la propria morale.<br />

Destutt de Tracy, Antoine<br />

Mémoire sur la faculté<br />

de penser: 1798-1802<br />

Fayard, febbraio <strong>1993</strong><br />

F 200<br />

Alla fine della Rivoluzione, Destutt<br />

de Tracy, aristrocratico che ha rinunciato<br />

ai suoi titoli, vecchio costituente,<br />

legislatore, presenta all’istituto<br />

nazionale diverse memorie di filosofia,<br />

ripubblicate qui per la prima volta,<br />

che espongono una storia critica<br />

della conoscenza umana del linguaggio<br />

e una logica.<br />

Dewey, John<br />

Logique:<br />

la théorie de l’enquête<br />

PUF, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.696, F 320<br />

Apparsa nel 1938, la Logica di Dewey<br />

è letteralmente una logica dell’inchiesta<br />

e della ricerca, di qualsiasi ricerca,<br />

di quella formale come di quella epistemologica,<br />

di quella teorica e di<br />

quella pratica. La logica di Dewey è<br />

un’esperienza e una ricostruzione<br />

continua dell’esperienza.<br />

Dilworth, Cr. (a cura di)<br />

Idealization IX:<br />

Intelligibility in science<br />

Editions Rodopi, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.411, Dfl 180<br />

Donnelly, Margaret E.<br />

Reinterpreting the legacy<br />

of William James<br />

American Psychological Ass.<br />

gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.400, 22,50<br />

Il testo esamina il modo in cui i “Principi<br />

di psicologia” potrebbero essere<br />

stati rivisti alla luce dell’ultimo approccio<br />

di James pluralistico, pragmatico<br />

alla filosofia e alla psicologia.<br />

Psicologi, filosofi e storici mettono<br />

alla prova questo e altri punti, concentrandosi<br />

sull’importanza attuale<br />

dell’opera di James.<br />

Dörrie, H. - Baltes, M.<br />

Der Platonismus im 2. und 3.<br />

Jahrhundert nach Christus.<br />

Bausteine 73-100: Text,<br />

Übersetzung, Kommentar<br />

Frommann-Holzboog<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.440, DM 567<br />

Doyé, S. et al. (a cura di)<br />

J. G. Fichte-Bibliographie<br />

(1969-1991)<br />

Editions Rodopi, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.200, Dfl 70<br />

Il volume porta avanti la prima bibliografia<br />

di Fichte, pubblicata da H.<br />

M. Baumgartner e W. Jacobs (1968),<br />

fino all’attuale stato della ricerca.<br />

Ecole Française de Rome<br />

(a cura di)<br />

La Langue latine,<br />

langue de philosophie:<br />

actes/colloque organisé<br />

par l’Ecole française de Rome,<br />

Rome, 17-19 mai, 1990<br />

Ecole française de Rome,<br />

gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.346, F 360<br />

Il latino è diventata la lingua del pensiero<br />

filosofico al termine di un’evoluzione<br />

spirituale continua, dopo la<br />

messa a punto di una riflessione morale<br />

spontanea che si diversificherà e<br />

si rafforzerà grazie al teatro. Un vocabolario<br />

latino si crea per esprimere i<br />

concetti elaborati dagli autori di<br />

espressione greca.<br />

Ellwood, Robert S.<br />

Introducing religion:<br />

From inside and outside<br />

Prentice Hall US, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.256, £ 23,55<br />

Questa panoramica introduttiva ai<br />

saggi religiosi parte dai problemi, i<br />

quesiti e le esperienze religiose quotidiane.<br />

Sottolineando il concetto di<br />

religione come “scenario per il vero<br />

io”, il libro fornisce una trattazione<br />

equilibrata dell’espressione religiosa,<br />

attingendo esempi da molte religioni<br />

mondiali.<br />

Elster, Jon<br />

Ulisse e le sirene.<br />

Indagine sulla razionalità<br />

e l’irrazionalità<br />

Il Mulino, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.294, L. 34.000<br />

I temi affrontati nel volume sono: La<br />

razionalità perfetta: vedere la vetta;<br />

La razionalità imperfetta: Ulisse e le<br />

Sirene; La razionalità difficile: alcuni<br />

problemi irrisolti nella teoria del comportamento<br />

razionale; L’irrazionalità:<br />

contraddizioni della mente.<br />

Fenves, Peter (a cura di)<br />

Raising the tone<br />

of the philosophy:<br />

Late essays by Immanuel Kant<br />

transformative critique<br />

by Jacques Derrida<br />

The John Hopkins University<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp. 208, £ 24<br />

Il libro raccoglie importanti saggi di<br />

Kant, disponibili per la prima volta in<br />

inglese, e presenta una traduzione<br />

revisionata dell’opera di Derrida su<br />

Kant, che esplora le connessioni fra<br />

decostruzione e filosofia.<br />

Ferguson, Frances<br />

Solitude and the sublime.<br />

Romanticism and the aesthetics<br />

of individuation<br />

Routledge, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.256, £ 35<br />

Ferguson delinea lo sviluppo di due<br />

resoconti del sublime, l’empirismo di<br />

Burke e il formalismo di Kant, sostenendo<br />

che essi sono stati definitivi<br />

per i dibattiti successivi sul significato<br />

dell’estetica, compreso il criticismo<br />

decostruttivo.<br />

NOVITÀ IN LIBRERIA<br />

74<br />

Fiorato, Pierfrancesco<br />

Geschichtliche Ewigkeit.<br />

Ursprung und Zeitlichkeit<br />

in der Philosophie Hermann Cohens<br />

Königshausen & Neumann,<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.200, DM 48<br />

Fleischer, Margot<br />

Der “Sinn der Erde”<br />

und die Entzauberung<br />

des Übermenschen.<br />

Eine Auseinandersetzung<br />

mit Nietzsche<br />

Wissenschaftl. Buchges.,<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.370, DM 74<br />

Che cosa può avere oggi Nietzsche da<br />

dire a una filosofia che si occupa<br />

dell’esistenziale? Soltanto nella contrapposizione<br />

critica si può trovare<br />

una risposta e pervenire a una nuova<br />

esperienza di pensiero dalla filosofia<br />

di Nietzsche.<br />

Floistad, Guttform (a cura di)<br />

Contemporary philosophy:<br />

A new survey:<br />

Vol.7. Asian Philosophy<br />

Kluwer Acedemic Publishers,<br />

gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.416, £ 89<br />

Settimo volume di una collana che<br />

ripercorre la ricerca filosofica negli<br />

ultimi decenni in vari paesi. Centrato<br />

sulla filosofia asiatica, comprende<br />

contributi di studiosi indiani, giapponesi<br />

e coreani e discute argomenti<br />

chiave dell’induismo, del taoismo,<br />

del buddismo, del confucianesimo e<br />

dello sciamanesimo.<br />

Flueler, Christoph<br />

Rezeption und Interpretation<br />

der Aristotelischen<br />

”Politica” im späten Mittelalter<br />

John Benjamins, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.551, Dfl 200<br />

Foucault, Michel et al.<br />

Techologien des Selbst<br />

S. Fischer, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.192, DM 34<br />

«Nel lavoro come nella vita, la cosa<br />

più importante è diventare qualcosa<br />

che non si era all’inizio». (Michel<br />

Foucault)<br />

Frenken, Martin<br />

Transzendentale Theorie<br />

der Einheit. <strong>Studi</strong>en<br />

zur Kategorienlehre Kants<br />

und Fichtes<br />

Editions Rodopi, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.200, Dfl 60<br />

Secondo il motto dell’epoca moderna,<br />

per il quale bisogna confrontare le<br />

sicurezze con la verità, si può fare<br />

ricorso solo all’Io in quanto fondamento<br />

di tutte le cose. Soltanto Fichte<br />

riesce a svelare l’Io come originaria e<br />

completa unità del tutto. Ciò consente<br />

in primo luogo la deduzione di<br />

categorie universali con rigore sistematico.<br />

Frye, Northrop<br />

La duplice visione.<br />

Linguaggio e significato<br />

della religione<br />

Marsilio, aprile <strong>1993</strong><br />

pp.104, L. 22.000<br />

In un continuo gioco di rimandi, Frye<br />

affronta, da un lato, i grandi temi<br />

della contemporaneità: guerra, capitalismo<br />

e comunismo, chiesa e Stato,<br />

Hitler e Stalin, religione islamica e<br />

fondamentalismo, spiritualità e corpo;<br />

e dall’altro lato, la fitta tessitura<br />

mitica e metaforica della Bibbia soprattutto,<br />

ma anche di altre grandi<br />

creazioni letterarie da Blake a Dante,<br />

a Shakespeare, a Eliot.<br />

Galgan, Gerlad J.<br />

Interpreting the present:<br />

Six philosophical essays<br />

University Press of America,<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.268, £ 21,50<br />

I presenti saggi esplorano il rapporto<br />

fra linguaggio metafisico ed epistemologico<br />

e la transizione fra il medievale<br />

Libro Cristiano della Natura<br />

alla concezione moderna della soggettività.<br />

Galgan si propone di costruire<br />

un passato filosofico e di ricavarne<br />

il mondo moderno di “dèi senza<br />

dèi”.<br />

Gallie, W. B.<br />

Filosofie di pace e di guerra.<br />

Kant, Clausewitz, Marx,<br />

Engels, Tolstoj<br />

Il Mulino, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.216, L. 20.000<br />

La visione moderna della pace e della<br />

guerra deriva da autori impegnati in<br />

campi del sapere del tutto diversi, che<br />

hanno però in comune il rifiuto dell’idea<br />

settecentesca di guerra come<br />

meccanismo intrinseco alla società<br />

occidentale.<br />

Gamm. Hans J.<br />

Standhalten im Dasein.<br />

Friedrich Nietzsches<br />

Botschaft für die Gewgenwart<br />

List, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.360, DM 48<br />

Abbozzo di un’etica “per l’epoca dopo<br />

Marx e Cristo”.<br />

Gebauer, Richard<br />

Letzte Begründung.<br />

Eine Kritik der Diskursethik<br />

von J. Habermas<br />

W. Fink, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.224, DM 58<br />

Gethmann, C. F. - Kloepfer, M.<br />

Handeln unter Risiko<br />

im Umweltstaat<br />

Springer, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.115, DM 38<br />

Il saggio si incentra sulla questione<br />

di quali mutamenti istituzionali<br />

e di altro genere si debbano intraprendere<br />

perché lo stato possa occuparsi<br />

dei problemi di recente riconosciuti<br />

delle attività a rischio.<br />

Il libro tratta l’argomento sul versante<br />

filosofico e giuridico.


Gigante, M.<br />

Cinismo e epicureismo<br />

Bibliopolis, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.<strong>12</strong>8, L. 20.000<br />

Gil, Thomas<br />

Kritik der Geschichtsphilosophie.<br />

L. von Rankes, J. Burkhardts<br />

und H. Freyers Problematisierung<br />

der klassischen<br />

Geschichtsphilosophie<br />

M und P, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.273, DM 39,80<br />

Goldberg, S. L.<br />

Agents and lives:<br />

Moral thinking in literature<br />

Cambridge University,<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.349, £ 40<br />

Il libro propone un ripensamento della<br />

tradizionale idea “umanista” della<br />

letteratura, esaminando il modo in<br />

cui la letteratura è stata valutata per il<br />

suo cosiddetto “apporto morale”.<br />

L’autore spazia nella letteratura dal<br />

Rinascimento, arrivando a includere<br />

scrittori come George Eliot e Pope.<br />

Goldman, Laurence<br />

The culture of coincidence<br />

Clarendon Press, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.460, £ 45<br />

Il presente saggio analizza il terreno<br />

fra legge, linguistica e antropologia<br />

proponendo un’etnografia<br />

sulla grammatica e la pragmatica<br />

dell’incidente, argomento raramente<br />

preso in esame.<br />

Graham, George<br />

Philosophy of mind:<br />

An introduction<br />

Blackwell Publishing, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.224, £ 10,99<br />

Introduzione alla filosofia della mente,<br />

che si occupa di argomenti quali<br />

mente/corpo, identità personale, coscienza,<br />

intenzionalità e libera volontà.<br />

Il libro tratta anche questioni come<br />

“l’esperienza dopo la morte”, la mente<br />

degli animali e di Dio, malattia<br />

mentale e felicità.<br />

Gran, Pierre<br />

La culture par le grands<br />

textes et leur commentaires<br />

P. Grand, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.109, F 85<br />

L’autore cita e commenta alcuni<br />

estratti di opere filosofiche classiche,<br />

divise per temi: il caso e la vita, la<br />

materia e lo spirito, la libertà, la morale.<br />

Per tutti i lettori.<br />

Grice, Paul<br />

Logica e conversione.<br />

Saggi su intenzione, significato<br />

e comunicazione<br />

Il Mulino, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.384, L. 48.000<br />

Alcuni fra i temi del pensiero griceano<br />

che si sono rivelati fondamentali<br />

per la filosofia analitica: la<br />

distinzione tra significato naturale<br />

e non naturale e quella tra significato<br />

convenzionale e non convenzionale<br />

di parole e frasi; la definizione<br />

del significato secondo le<br />

“intenzioni” del parlante, ecc.<br />

Grimaldi, Nicolas<br />

Ontologie du temps:<br />

l’attente et la rupture<br />

PUF, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.224, F 198<br />

Dimostrando che la coscienza pura è<br />

pura attesa, questo saggio descrive<br />

come l’attesa strutturi trascendentalmente<br />

ogni rappresentazione che noi<br />

possiamo avere del tempo.<br />

Haar, Michel<br />

Nietzsche et la métaphysique<br />

Gallimard, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.294, F 72<br />

Il volume riunisce più saggi su Nietzsche.<br />

L’autore, professore di filosofia,<br />

ha già pubblicato parecchi studi<br />

su Heidegger.<br />

Halder, H. - Müller, M.<br />

Philosophisches Wörterbuch.<br />

Erweiterte Neuesausagbe<br />

Herder, febbraio <strong>1993</strong><br />

DM 24,80<br />

Haller, Rudolf<br />

(e altri)<br />

Il circolo di Vienna<br />

Pratiche, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.140, L. 16.000<br />

Quattro filosofi di generazioni diverse<br />

scrivono brevi riflessioni intorno<br />

al circolo di Vienna, uno dei momenti<br />

più significativi dell’elaborazione filosofica<br />

del Novecento.<br />

Hammacher, Kl. - Schottky, R.<br />

Schrader, W. H. (a cura di)<br />

Transzendentalphilosophie<br />

und Evolutionstheorie<br />

Editions Rodopi, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.270. Dfl 80<br />

Hare, R. M.<br />

Essays in ethical theory<br />

Clarendon, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.270, £ 11,95<br />

Questa raccolta di saggi costituisce il<br />

retroterra teoretico all’opera dell’autore<br />

sulla filosofia morale. Il suo tema<br />

centrale è il paradosso per cui se i<br />

giudizi morali fossero semplicemente<br />

affermazioni di fatto, non si potrebbe<br />

evitare il relativismo.<br />

Haslett, David<br />

Ethics and economic systems<br />

Clarendon Press, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.224, £ 30<br />

Confrontando i sistemi economici da<br />

un punto di vista filosofico, questo<br />

saggio indaga gli argomenti etici per<br />

i differenti tipi di sistemi economici.<br />

L’autore soppesa vantaggi e svantaggi<br />

dei sistemi presi in esame e discute<br />

i possibili compromessi accettabili.<br />

Heil, John et al. (a cura di)<br />

Mental causation<br />

Clarendon, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.352, £ 35<br />

Raccolta di saggi scritti da insigni<br />

filosofi che affrontano il problema<br />

della causalità mentale partendo da<br />

punti di vista ampiamente diversi.<br />

NOVITÀ IN LIBRERIA<br />

75<br />

Hodgson, David<br />

The mind matters:<br />

Consciousness and choice<br />

in a quantum world<br />

Clarendon, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.496, <strong>12</strong>,95<br />

Questa monografia argomenta contro<br />

l’attuale visione meccanicistica<br />

ortodossa del cervello e sviluppa l’idea<br />

che “la mente conta”. L’autore spazia<br />

fra argomenti quali la coscienza, il<br />

ragionamento informale, i computer,<br />

l’evoluzione, l’indeterminatezza<br />

quantistica e la non località.<br />

Hoff, Benjamin<br />

Il Tao di Winnie Pooh<br />

Guanda, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.160, L. 26.000<br />

Winnie Pooh e i suoi compagni colti<br />

nel loro lato filosofico; un certo modo<br />

di fare, un certo modo di essere affine<br />

agli antichi principi cinesi del Tao.<br />

Hopkins, Burt C.<br />

Intentionality in Husserl<br />

and Heidegger:<br />

The problem of the original method<br />

and phenomen of phenomenology<br />

Kluwer Academic Publishers<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.320, £ 66<br />

Una riconsiderazione della “controversia”<br />

fenomenologica fra Husserl e<br />

Heidegger sullo status proprio del<br />

fenomeno di intenzionalità Lo scopo<br />

è di determinare se la critica ermeneutica<br />

di quest’ultimo sull’intenzionalità<br />

sia sensibile al resoconto riflessivo<br />

di Husserl del proprio “sachen<br />

selbst”.<br />

Hügli, A. - Lübcke, P.<br />

(a cura di)<br />

Philosophie im 20. Jahrhundert.<br />

Band 2: Wissenschaftstheorie<br />

und Analytische Philosophie<br />

Rowohlt, febbraio <strong>1993</strong><br />

DM 39,90<br />

Nel libro vengono esposti i filoni principali<br />

della filosofia contemporanea<br />

in Europa e negli USA e i filosofi più<br />

autorevoli.<br />

Husserl, Edmund<br />

Méditations cartésiennes:<br />

introduction à la phénomenologie<br />

Vrin, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.256, F 59<br />

Pubblicato nel 1931, a seguito di una<br />

serie di conferenze tenute alla Sorbona<br />

di Parigi, nel 1929 l’opera riprende<br />

dal punto di partenza il “cogito ergo<br />

sum” cartesiano e sviluppa il tema<br />

della fenomenologia trascendentale.<br />

Husserl, Edmund<br />

Lezioni sulla sintesi passiva<br />

Guerini, aprile <strong>1993</strong><br />

pp.329, L. 50.000<br />

Husserl delinea una fenomenologia<br />

della percezione che affronta la<br />

struttura dell’esperienza visiva,<br />

soffermandosi sulle forme del dubbio,<br />

della negazione, della riacquisizione<br />

della certezza: la certezza<br />

del mondo esterno.<br />

Isoldi Jacobelli, Angela M.<br />

Kant<br />

Giunti, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.<strong>12</strong>8, L. 10.000<br />

Il complesso itinerario delle riflessioni<br />

kantiane attraverso l’esame delle<br />

opere, le matrici culturali e l’influenza<br />

esercitata sulla ricerca filosofica<br />

dell’800 e del ‘900 nei paesi europei<br />

e d’oltreoceano.<br />

Ivaldo, Marco<br />

Libertà e ragione.<br />

L’etica di Fichte<br />

Mursia, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.344, L. 40.000<br />

Alcuni elementi di contesto, in particolare<br />

la maturazione dei primi concetti<br />

etici negli scritti religiosi e politici<br />

giovanili: l’idea di filosofia trascendentale<br />

e i concetti fondamentali<br />

che fungono da orizzonte metaetico<br />

della dottrina morale; l’etica trascendentale<br />

elaborata da Fichte; la prospettiva<br />

dell’etica trascendentale superiore.<br />

Jaspers, Karl<br />

Volontà e destino<br />

Il Melangolo, aprile <strong>1993</strong><br />

pp.228, L. 25.000<br />

L’opera ripercorre in quattro tappe (I.<br />

Famiglia e infanzia, II. Anamnesi,<br />

III. Diario 1939-1942, IV. Da Heidelberg<br />

a Basilea) le vicende pubbliche<br />

e private di Jaspers uomo e studioso,<br />

vicende che sono strettamente intrecciate<br />

agli avvenimenti della storia dei<br />

primi settant’anni del nostro secolo.<br />

Jordan, William<br />

Ancient concepts of philosophy<br />

Routledge, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.224, £ 10,99<br />

Nel corso del libro l’opera degli antichi<br />

viene inserita nel contesto del<br />

pensiero più recente sulla natura e il<br />

valore della filosofia. Il saggio dimostra<br />

che abbiamo molto da imparare<br />

dalle idee dei filosofi antichi sulla<br />

vita di un filosofo.<br />

Kamlah, A. et al. (a cura di)<br />

Hans Reichenbach<br />

und die Berliner Gruppe<br />

Vieweg, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.350, DM 90<br />

Per il 100º anniversario della nascita<br />

di Hans Reichenbach nel 1991 si è<br />

tenuto ad Amburgo un Convegno internazionale,<br />

il cui tema centrale era<br />

la filosofia dell’empirismo logico.<br />

Kanitscheider, Bernulf<br />

Von der mechanistischen Welt<br />

zum kreativen Universum.<br />

Zu einem neuen philosophischen<br />

Verständnis der Natur<br />

Wissenschaftl. Buchges.<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.272, DM 49<br />

Il libro si propone di promuovere<br />

presso una cerchia allargata di lettori,<br />

grazie alla mediazione di una conoscenza<br />

scientifico-naturale e di una<br />

riflessione filosofico-naturale, la comprensione<br />

di un mondo che diventa<br />

sempre più complesso.


Kaulbach, Ernest N.<br />

Imaginative prophecy<br />

in the B-text of Piers Plowman<br />

D. S. Brewer, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.192, £ 29,50<br />

Un’esplorazione della teoria psicologica<br />

araba (in particolare di Avicenna)<br />

sottesa al “Piers Plowman” che<br />

illumina i rapporti fra agenti e altre<br />

figure apparentemente non psicologiche.<br />

Il libro descrive anche il contesto<br />

in cui la psicologia araba raggiunse<br />

un poeta inglese del XIV secolo.<br />

Keal, Paul (a cura di)<br />

Ethics and foreign policy<br />

Allen & Unwin (UCL Press),<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.260, £ 11,95<br />

Pensato per mettere in relazione le<br />

questioni etiche con gli affari internazionali,<br />

il libro si concentra sulle<br />

questioni morali sollevate dalla conduzione<br />

della politica estera australiana.<br />

Kenny, Anthony<br />

Aquinas on mind<br />

Routledge, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.192, £ 30<br />

Il testo discute parti della teoria dell’Aquinate<br />

valide ancora oggi. Il libro<br />

si concentra su una attenta lettura<br />

della sezioni della “Summa Theologiae”<br />

dedicate all’intelletto e alla<br />

volontà umana e ai rapporti fra anima<br />

e corpo.<br />

Kervégan, Jean-François<br />

Hegel, Carl Schmitt:<br />

le politique entre spéculation<br />

et positivité<br />

PUF, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.35, F 272<br />

Il testo propone un confronto fra il<br />

sistema hegeliano e il pensiero di<br />

Carl Schmitt (1888-1985), facendo<br />

come se Schmitt avesse tentato di<br />

ricostruire un hegelismo senza dialettica<br />

e senza ragione speculativa.<br />

Ketelhodt, Friederike von<br />

Verantwortung für Natur<br />

und Nachkommen<br />

Centaurus-Vlg.-Ges.<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.214, DM 48<br />

Knuuttila, Simo<br />

Modalities in medieval philosophy<br />

Routledge, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.256, £ 35<br />

I saggi sulle nozioni modali hanno<br />

sempre avuto un ruolo importante<br />

nell’analisi filosofica. La storia di<br />

questi concetti è la storia di una varietà<br />

di premesse che hanno dato forma<br />

a una parte del discorso razionale.<br />

Kraut, Richard (a cura di)<br />

The Cambridge companion to Plato<br />

Cambridge University gennaio <strong>1993</strong><br />

pp. 596, $ <strong>12</strong>,95<br />

Il presente volume contiene dodici<br />

nuovi saggi che trattano delle idee<br />

di Platone sul sapere, sulla realtà,<br />

la matematica, la politica, l’etica,<br />

l’amore, la poesia e la religione. Vi<br />

sono inoltre analisi dello sfondo<br />

intellettuale e sociale del suo pen-<br />

siero, dello sviluppo della sua filosofia<br />

e del suo stile.<br />

Kremer-Marietti, Angèle<br />

Nietzsche et la rhétorique<br />

PUF, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.272, F 210<br />

Il libro offre una visione sistematica<br />

del rapporto fra Nietzsche e la retorica,<br />

mentre la sua filosofia emerge<br />

come una grande impresa ermeneutica,<br />

nella quale si annegano il gioco e<br />

il simbolo, il segno e l’immagine.<br />

Krieger, Martin<br />

Geist, Welt und Gott<br />

bei Christian August Crusius.<br />

Erkenntnistheoretischpsychologische,<br />

kosmologische<br />

und religionsphilosophische<br />

Perspektiven im Kontrast<br />

zum Wolffschen System<br />

Königshausen & Neumann,<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.548, DM 98<br />

Il saggio esamina a fondo l’originalità<br />

delle teorie sul mondo di Crusius<br />

elaborate a delimitazione della metafisica<br />

di Wolff, e la conoscenza divina,<br />

mettendone in luce il significato<br />

per lo sviluppo della filosofia di Kant.<br />

Kristeller, Paul<br />

Greek philosophers<br />

of the hellenic age<br />

Columbia University<br />

gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.<strong>12</strong>8, £ 14,95<br />

Centrato sulla storia della filosofia<br />

antica fra il III e il I secolo a.C., il<br />

saggio si basa su scritti primari greci<br />

e latini dei filosofi in questione e su<br />

frammenti, parafrasi e testimonianze<br />

delle loro opere perdute.<br />

Kuksewicz, Zd (a cura di)<br />

Aegidius Aurelianiensis:<br />

Quaestiones super De<br />

generatione et corruptione<br />

Grüner, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.237, DM 130<br />

Labarrière, Pierre-Jean<br />

L’utopie logique<br />

L’Harmattan, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.143, F 80<br />

Vivace nei periodi di mutamento culturale,<br />

la tradizione utopica si arricchisce<br />

oggi di aspetti complementari<br />

che mettono in opera una logica dialettica,<br />

logica che sviluppa anche un<br />

rapporto all’origine liberato dalla fissità<br />

delle rappresentazioni.<br />

Lacey, J. Michael<br />

Haakonssen, Knud (a cura di)<br />

A culture of rights:<br />

The Bill of Rights in philosophy,<br />

politics and law<br />

1791 and 1991<br />

Cambridge University<br />

gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.496, £ 14,95<br />

Questi saggi, di autorevoli studiosi di<br />

storia, filosofia, giurisprudenza e teorie<br />

politica, si propongono di fornire<br />

nuove prospettive sui mutevoli e<br />

mutati contenuti del pensiero e della<br />

consapevolezza sui diritti che stanno<br />

al centro della cultura politica ameri-<br />

NOVITÀ IN LIBRERIA<br />

76<br />

cana e improntano le sue istituzioni<br />

politiche centrali.<br />

Lachelier, Jules<br />

Du fondement de l’induction:<br />

et autres textes<br />

Fayard, febbraio <strong>1993</strong><br />

F 160<br />

Lachelier, della Scuola Normale Superiore,<br />

attraverso i suoi corsi alla<br />

Normale, con il modo con cui ha<br />

svolto i propri compiti di ispettore<br />

generale delle lettere e della filosofia,<br />

con le sue pubblicazioni, ha contribuito<br />

a restaurare gli studi di filosofia<br />

nell’università francese nel primo terzo<br />

del XIX secolo.<br />

Lamport, F. J.<br />

Justice and difference<br />

in the works of Rousseau:<br />

”Bienfaisance” and “Pudeur”<br />

Cambridge University Press,<br />

gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.276, £ 35<br />

Secondo Rousseau, il miglior rapporto<br />

fra disuguali è quello di “beneficenza”,<br />

del dare, ricevere e ricambiare<br />

benefici. Il ibro affronta il problema,<br />

insito nei suoi scritti, se sia effettivamente<br />

possibile l’esistenza di un<br />

rapporto giusto e generoso fra ineguali.<br />

Landsberg, Paul-Louis<br />

Essai sur l’expérience de la mort:<br />

Le problème moral du suicide<br />

Seuil, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.155, F 28<br />

Meditazioni di questo filosofo personalista,<br />

allievo di E. Mounier, nato<br />

nel 1901 e morto nel 1944, a proposito<br />

di questa prova e di questa tentazione<br />

umana.<br />

Laurent, Alain<br />

Histoire de l’individualisme<br />

PUF, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.<strong>12</strong>8, F 38<br />

L’individualismo riposa sulla convinzione<br />

che l’umanità sia composta<br />

non da insiemi sociali (nazioni, classi...),<br />

ma da individui, da esseri viventi<br />

indivisibili e irriducibili gli uni<br />

agli altri, gli unici che sentano, pensino<br />

e agiscano veramente.<br />

Lawson, Thomas E<br />

McCauley, Robert N.<br />

Rethinking religion:<br />

Connecting cognition<br />

and culture<br />

Cambridge University<br />

gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.240, £ <strong>12</strong>,95<br />

In questo libro gli autori cercano di<br />

elaborare un approccio cognitivo alla<br />

religione, fornendo una panoramica<br />

critica di approcci già affermati allo<br />

studio della religione e fanno una<br />

perentoria dichiarazione in favore<br />

della combinazione di interpretazioni<br />

e spiegazioni.<br />

Le Blanc, Charles<br />

Mathieu, Rémy<br />

Mythe et philosophie à l’aube<br />

de la Chine Impériale:<br />

études sur le Hauinan Zi<br />

Université de Montreal<br />

De Boccard, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.240, F 165<br />

Testimonianza privilegiata della rinascita<br />

delle arti, delle lettere e delle<br />

scienze che segna l’avvento della dinastia<br />

Han, lo Hauinan Zi (Libro del<br />

maestro di Huainan) riflette le concezione<br />

sintetica dell’uomo, della società<br />

e della natura nel II secolo a.C.<br />

a partire dai principi posti dai pensatori<br />

taoisti.<br />

Le Diraison, Serge<br />

Zernik, Eric<br />

Le corps des philosophes<br />

PUF, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.272, F 144<br />

Il testo si accosta al corpo attraverso<br />

quattro problematiche che costituiscono<br />

altrettanti momenti importanti<br />

della filosofia occidentale: Platone o<br />

il Rieducatore del corpo; Descartes o<br />

il corpo senz’ombra; Nietzsche o il<br />

corpo a corpo; Merleau-Ponty o le<br />

pieghe della carne, del corpo soggetto<br />

alla carne del mondo.<br />

Lecourt, Dominique<br />

Duroux, Françoise<br />

Canguilhem, philosophe<br />

et historien des sciences<br />

Albin Michel, febbraio <strong>1993</strong><br />

F 140<br />

In questo volume sono raccolte le<br />

comunicazioni del congresso organizzato<br />

a Parigi nel 1990 dal Collège<br />

international de philosophie; l’opera<br />

cerca di dare conto della complessità<br />

del pensiero di Canguilhem passando<br />

per tutte le sue dimensioni, scientifica,<br />

filosofica, etica e politica.<br />

Leibniz, Gottfried W.<br />

Saggi di teodicea<br />

Rizzoli, aprile <strong>1993</strong><br />

pp.520, L. 16.000<br />

La Teodicea si presenta come l’opera<br />

di una vita, il tentativo compiuto da<br />

Leibniz di esporre in modo sistematico<br />

la parte più rilevante del suo pensiero,<br />

di mettere ordine in meditazioni<br />

la cui traccia risale agli anni della<br />

gioventù.<br />

Lenk, Hans<br />

Philosophie und Interpretation.<br />

Vorlesungen zur Entwicklung<br />

konstruktionistischer<br />

Interpretationsansätze<br />

Suhrkamp, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.288, DM 20<br />

Lesch, W. - Schwind, G.<br />

(a cura di)<br />

Das Ende der alten<br />

Gewißheiten. Theologische<br />

Auseinandersetzung<br />

mit der Postmoderne<br />

Matthias-Grünewald-Vlg.,<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.168, DM 36<br />

Lesher, J. H. (a cura di)<br />

Xenophanes of Colophon:<br />

Fragments.<br />

Univ. of Toronto, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.380, $ 45<br />

Senofane di Colofone fu un poeta<br />

filosofo che visse in varie città del-


l’antico mondo greco tra la fine del<br />

VI e l’inizio del V secolo a.C.<br />

Lévy, Carlos<br />

Cicero academicus: recherche<br />

sur les Académiques<br />

et sur la philosophie cicéronienne<br />

Ecole française de Rome<br />

gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.697, F 590<br />

Troppo spesso considerato un trattato<br />

dedicato esclusivamente ai problemi<br />

della conoscenza, le Accademiche<br />

vengono da C. Lévy nuovamente poste<br />

nella doppia prospettiva della filosofia<br />

ellenistica e dell’itinerario personale<br />

di Cicerone, nello stesso tempo<br />

filosofo e uomo politico.<br />

Lütterfelds, W. (a cura di)<br />

Evolutionäre Ethik zwischen<br />

Naturalismus und Idealismus.<br />

Eine moderne Theorie<br />

der Moral<br />

Wissenschaftl. Buchges.<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.252, DM 45<br />

Il volume mostra come l’etica evoluzionistica,<br />

nell’ampio arco tensivo<br />

delle posizioni filosofiche contrapposte,<br />

venga discussa in modo estremamente<br />

controverso. Il saggio vuole<br />

portare un contributo al dibattito<br />

per rendere fruttuosa un’etica evoluzionistica<br />

e tenta una mediazione fra<br />

le concezioni etiche idealistiche e<br />

quelle naturalistiche.<br />

Macherey, Pierre<br />

Avec Spinoza:<br />

études sur la doctrine<br />

et l’histoire du spinozisme<br />

PUF, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.272, F 172<br />

Una lettura di Spinoza “al presente”<br />

che consente di riformulare problemi<br />

attuali che noi ci poniamo qui e oggi,<br />

attraverso il riesame di alcuni punti<br />

dottrinali, dai paradossi della conoscenza<br />

immediata alla questione della<br />

fine della storia.<br />

Mahajan, Gurpreet<br />

Explanation and understanding<br />

in the human sciences<br />

OUP India, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.136, £ 8,95<br />

Il saggio affronta diverse questioni<br />

importanti che hanno dominato il dibattito<br />

nella filosofia delle scienze<br />

sociali e costituisce una trattazione<br />

lucida delle faccende legate all’adeguatezza<br />

delle diverse forme di spiegazione.<br />

Mahon, Michael<br />

Houcault’s Nietzschean<br />

genealogy. Truth, power<br />

and the subject<br />

State Univ. of New York<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.288, $ 19<br />

Il primo studio di ampio respiro sull’impatto<br />

degli scritti di Friedrich<br />

Nietzsche sul pensiero di Michel Foucault.<br />

Malebranche, Nicholas<br />

Treatise on ethics (1684)<br />

Kluwer Academic Publishers,<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.240, £ 59<br />

Nel suo “Trattato sull’etica” Malebranche<br />

elabora una scienza dettagliata,<br />

“sperimentale” dell’etica in<br />

due parti: l’etica della virtù e l’etica<br />

del dovere. Vengono distinte sei<br />

fonti di motivazione (dalla percezione<br />

alla passione) ed esplorati i<br />

nostri doveri verso noi stessi, verso<br />

gli altri e verso Dio.<br />

Marin, Louis<br />

De pouvoirs de l’image: gloses<br />

Seuil, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.255, F 150<br />

Testi che per la maggior parte appartengono<br />

all’età della rappresentazione,<br />

vengono qui letti e riscritti secondo<br />

il genere della glossa: letture, riscritture<br />

che li spostano altrove e li<br />

aprono su un oggetto che va a ruba e<br />

di cui tuttavia non cessano di parlare<br />

e di scrivere: l’immagine.<br />

Matteï, Jean-François<br />

Pythagore et les pythagoriciens<br />

PUF, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.<strong>12</strong>8, F 38<br />

Il libro costituisce più un’esposizione<br />

di un sistema coerente con una prospettiva<br />

illumminante che parte da<br />

alcuni testi di Platone, che non una<br />

semplice intuizione delle dottrine pitagoriche.<br />

McBride, Joseph<br />

Albert Camus:<br />

Philosopher and litterateur<br />

Macmillan Press, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.288, £ 19,99<br />

Il libro segna una riaffermazione della<br />

scrittura di Camus che indaga la<br />

natura e le origini filosofiche del pensiero<br />

di Camus sull’”autenticità” e<br />

“l’assurdo”, concetti espressi in “Il<br />

mito di Sisifo” e “l’Outsider”, dimostrando<br />

che egli non fu solo una figura<br />

letteraria, ma anche un filosofo.<br />

Mele, Alfred R.<br />

Irrationality:<br />

An essay on “Akrasia”,<br />

self-deception, and self-control<br />

Oxford University<br />

gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.194, £ <strong>12</strong>,95<br />

L’autore dimostra che certe forme di<br />

irrazionalità (azione incontinente e<br />

inganno di sé) rifiutate da molti filosofi<br />

perché logicamente o psicologicamente<br />

impossibili, sono in effetti<br />

possibili.<br />

Merleau-Ponty, Maurice<br />

Il visibile e l’invisibile<br />

Bompiani, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.320, L. 34.000<br />

La discussione delle impostazioni filosofiche<br />

di Kant, di Husserl e di<br />

Sartre problematizza la contrapposizione<br />

fra il “visibile e l’invisibile” su<br />

cui è fondata la metafisica occidentale:<br />

si profila una nuova considerazione<br />

dell’Essere, un diverso stile di<br />

pensiero e di scrittura filosofica.<br />

Milkov, Nikolay<br />

Kaleidoscopic mind.<br />

An essay in post-Wittgensteinian<br />

philosophy<br />

Editions Rodopi, febbraio <strong>1993</strong><br />

NOVITÀ IN LIBRERIA<br />

77<br />

pp.4<strong>12</strong>, Dfl 160<br />

Il libro sostiene che a dispetto delle<br />

tendenze antifunzionalistiche di Wittgenstein,<br />

espresse chiaramente nell’idea<br />

di filosofia come attività di<br />

analisi linguistica, in realtà la sua<br />

filosofia è costruita su un particolare<br />

schema concettuale (oscillante).<br />

Montaigne, Michel de<br />

The complete essays<br />

Penguin Books, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.1344, £ 9,99<br />

Nessuno nella civiltà occidentale ha<br />

mai tentato di fare ciò che intraprese<br />

Montaigne. Questi si muove di pensiero<br />

in pensiero, spesso allontanandosi<br />

da un’idea solo per ritornarvi<br />

dopo esservisi imbattuto altrove. In<br />

questi saggi, Montaigne espone il suo<br />

progetto per una vita e una morte<br />

saggia dell’uomo.<br />

Montaleone C., Sini C.<br />

Remo Cantoni<br />

filosofia a misura della vita<br />

Guerini, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.224, L. 32.000<br />

La figura di Remo Cantoni (1914-<br />

1978), allievo di Antonio Banfi e<br />

esponente di spicco della “scuola banfiana”,<br />

docente di Filosofia morale,<br />

ricordato attraverso i contributi di alcuni<br />

intellettuali.<br />

Moro, Tommaso<br />

L’utopia<br />

o la migliore forma di Repubblica<br />

Laterza, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.200, L. 8.000<br />

La prima costruzione immaginaria<br />

di uno Stato ideale. Nell’Inghilterra<br />

del primo Cinquecento si delinea<br />

la struttura economica, sociale<br />

e religiosa di uno Stato ideale, quello<br />

appunto esistente nella immaginaria<br />

isola di Utopia.<br />

Morris, Charles W.<br />

Symbolism and reality:<br />

A study in the nature of mind<br />

John Benjamins Publishing<br />

Company, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.<strong>12</strong>8, £ 32<br />

Il libro si propone di dimostrare che il<br />

pensiero e la mente non sono entità,<br />

né processi che comportano una sostanza<br />

psichica distinta dal resto della<br />

realtà, ma li si può spiegare come il<br />

funzionamento di parti dell’esperienza<br />

in quanto simboli di un organismo<br />

di altre parti dell’esperienza.<br />

Mourelatos, Alexander P. D.<br />

(a cura di)<br />

The pre-socratics:<br />

A collection of critical essays<br />

Princeton University,<br />

gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.580, £ 13,95<br />

La presente raccolta vuole introdurre<br />

il lettore ad alcune delle scuole presocratiche<br />

più rispettate nel XX secolo.<br />

Vi sono traduzioni di opere importanti<br />

di studiosi europei fino a questo<br />

momento non disponibili in inglese,<br />

oltre agli argomenti principali e agli<br />

approcci attuali.<br />

Munk, Linda<br />

The trivial sublime:<br />

Theology and american poetics<br />

Macmillan, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.208, £ 35<br />

Il saggio colloca il sublime americano<br />

in ciò che apparentemente è triviale:<br />

nei piccoli oggetti comuni, nelle<br />

persone umili e di bassa estrazione,<br />

insomma in ciò che il filosofo Stanley<br />

Cavell chiamava l’”ordinarietà” del<br />

linguaggio americano. Letture radicali<br />

di opere di Ralph Waldo Emerson<br />

e di Herman Melville.<br />

Musgrave, Alan<br />

Common sense, science<br />

and scepticism: An historical<br />

introduction to the theory<br />

of knowledge<br />

Cambridge University<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.324, £ <strong>12</strong>,95<br />

Questa opera epistemologica costituisce<br />

una ricognizione introduttiva, di<br />

base storica, del dibattito fra dogmatismo<br />

e scetticismo, schierandosi quasi<br />

sempre per lo scetticismo per dimostrare<br />

che il desiderio di sgominarlo<br />

spesso a portato a dottrine idealistiche<br />

o antirealistiche.<br />

Neumann, Walter G.<br />

Kritishe Theorie der Kultur heute.<br />

Der Mensch zwischen revolutionärer<br />

Selbsterhaltung und evolutionärer<br />

Selbstverwicklichung<br />

Die Blaue Eule, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.140, DM 34<br />

Newman, Andrew (a cura di)<br />

The physical basis of predication<br />

Cambridge UP, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.256, £ 30<br />

Il testo difende un’immagine realistica<br />

degli universali metafisici, dove<br />

l’idea di universale viene caratterizzata<br />

prendendo in considerazione il<br />

linguaggio e la logica, l’idea di possibilità,<br />

le gerarchie di universali e causalità.<br />

La tesi è che né il linguaggio né<br />

la logica siano buone guide alla natura<br />

della realtà.<br />

Nuttall, Jon<br />

Moral questions:<br />

An introduction to ethics<br />

Polity Press, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.240, £ 11,95<br />

Il testo discute valori e giudizi ed<br />

esamina l’educazione morale e religiosa<br />

e la punizione. Nuttall osserva<br />

la moralità sessuale con capitoli dedicati<br />

alla pornografia, all’aborto, alla<br />

ricerca fetale e ai bambini, e analizza<br />

le questioni morali concernenti la<br />

morte, i diritti degli animali e le teorie<br />

morali.<br />

O’Meara, Dominic J.<br />

Plotinus: An introduction<br />

to the “Enneads”<br />

Clarendon, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.152, £ 22,50<br />

Introduzione all’opera di Plotino,<br />

autore del III secolo a.C. Punti importanti<br />

della sua filosofia vengono discussi<br />

in relazione a testi scelti, si<br />

tratteggia la sua grande influenza sulla<br />

tradizione intellettuale occidenta-


le. Informazioni bibliografiche per<br />

ulteriori letture.<br />

O’Meara, John J.<br />

<strong>Studi</strong>es in Augustine<br />

and Eriugena<br />

Catholic University of America<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.375, £ 53,95<br />

Il libro si propone di rendere disponibile<br />

a studiosi e studenti lo sviluppo<br />

del pensiero di uno dei maggiori studiosi<br />

di Agostino, John J. O’Meara. I<br />

23 saggi puntano principalmente agli<br />

interessi filosofici che contribuirono<br />

alla conversione di Agostino al cristianesimo<br />

e all’uso di Agostino fatto<br />

da John Scotus Eriugena.<br />

Oliner, Pearl M.<br />

Oliner, Samuel P.<br />

Baron, Lawrence<br />

Blum, Lawrence A.<br />

Krebs, Dennis L.<br />

Smolenske, M. Zuzanna (a cura di)<br />

Embracing the other:<br />

Philosophical, psychological,<br />

and historical perspectives<br />

on altruism<br />

New York University<br />

gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.456, £ 44,95<br />

Il presente testo è nato primariamente<br />

come risposta alla recente ricerca sulla<br />

manifestazione di un altruismo della<br />

vita reale, e cioè ai saggi sui salvatori<br />

non ebrei di ebrei durante la Seconda<br />

Guerra Mondiale. Il libro affronta questioni<br />

in diverse discipline, pur restando<br />

centrato su argomenti comuni.<br />

Pagano, Maurizio<br />

Hegel. La religione<br />

e l’ermeneutica del concetto<br />

Ed. Scientifiche, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.246, L 32.000<br />

Si individua nel nesso tra i due momenti,<br />

logico e ermeneutico, il punto<br />

focale del pensiero di Hegel; una ricostruzione<br />

del primo confronto della<br />

teologia cattolica con Hegel, condotta<br />

da un contemporaneo del filosofo,<br />

Franz Anton Staudenmaier.<br />

Pallavidini, Renato<br />

Hegel critico dell’autoritarismo<br />

Arnaud, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.160, L. 25.000<br />

Il confronto critico con la Rivoluzione<br />

francese alle origini dei modelli<br />

teorici del giovane Hegel.<br />

Panaccio, Claude<br />

Le mots, le concepts<br />

et les choses: la sémantique<br />

de Guillaume d’Occam<br />

et le nominalisme d’aujourd’hui<br />

Vrin, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.288 F 172<br />

La vecchia questione del nominalismo<br />

si ritrova al cuore della filosofia<br />

analitica contemporanea: come possono<br />

il discorso e il pensiero articolarsi<br />

in un mondo esterno popolato di<br />

cose singole? L’autore mette in parallelo<br />

le idee di Occam, francescano<br />

inglese, con quelle di Fodor, Goodman<br />

e Quine.<br />

Paty, Michel<br />

Einstein philosophe: la physique<br />

comme pratique philosophique<br />

PUF, febbraio <strong>1993</strong><br />

Philp, Mark - Fitzpatrick,<br />

Martin - St Clair, William<br />

(a cura di)<br />

The political and philosophical<br />

writings of William Godwin<br />

Pickering & Chatto<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

£ 395<br />

L’opera contiene tutti i maggiori scritti<br />

politici, filosofici ed educazionali di<br />

William Godwin, uno dei più grandi<br />

filosofi della sua epoca. Il suo lavoro<br />

sul governo e sulla libertà individuale,<br />

“Political justice”, ne fece l’esponente<br />

di spicco del radicalismo inglese<br />

nell’ultima metà del XVIII secolo.<br />

Platon<br />

Le Souci du bien<br />

Arléa, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.<strong>12</strong>5, F 85<br />

A cura di M. Gondicas<br />

Due dei dialoghi socratici più noti,<br />

Liside e Carmide, volti a definire il<br />

bene, aspirazione primordiale dell’uomo,<br />

in piena luminosità di coscienza.<br />

Platone<br />

Apologia di Socrate<br />

a cura di Elisa Avezzù<br />

Marsilio, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.136, L. <strong>12</strong>.000<br />

Pöltner, Günther<br />

Evolutionäre Vernunft.<br />

Eine Auseinandersetzung<br />

mit der evolutionären<br />

Erkenntnistheorie<br />

Kohlhammer, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.240<br />

Quéran, Odile<br />

Trarieux, Denis (a cura di)<br />

Les discours du corps:<br />

une anthologie<br />

Presse Pocket, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.50<br />

Una raccolta di testi sulla rappresentazione<br />

del corpo, il suo ruolo nella<br />

costituzione dell’identità e il problema<br />

della sua conoscenza.<br />

Quine, Willard Van Orman<br />

La poursuite de la verité<br />

Seuil, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.153, F 99<br />

Il saggio condensa, con approfondimenti,<br />

l’insieme delle idee di questo<br />

filosofo americano sulla significazione<br />

cognitiva, la referenza oggettiva e<br />

le basi della conoscenza.<br />

Raulet, Gérard<br />

Herbert Marcuse:<br />

Philosophie de l’émancipation<br />

PUF, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.256, F 80<br />

Il pensiero di Marcuse viene confrontato<br />

oggi alla capacità del capitalismo<br />

di generare “miscugli” che mettano<br />

in scacco ogni critica. La congiunzione<br />

di un individualismo sfrenato e del<br />

dominio planetario della tecnica sembra<br />

realizzare al di là di ogni “speran-<br />

NOVITÀ IN LIBRERIA<br />

78<br />

za” la civiltà unidimensionale denunciata<br />

dalla filosofia.<br />

Reboul, Olivier<br />

Garcia, Jean-François<br />

Rhétorique de...<br />

Université de Strasbourg<br />

gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.116, F 90<br />

Una raccolta di testi che mettono in<br />

evidenza il ruolo dell’argomentazione<br />

nel campo della comunicazione.<br />

Redeker, Hans<br />

Helmut Plessner<br />

oder die verkörperte Philosophie<br />

Duncker und Humblot<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.241, DM 84<br />

Reimmann, Jacob Fr.<br />

Historia universalis atheismi<br />

et atheorum falso<br />

et merito suspectorum<br />

Introduzione di W. Schröder<br />

Frommann-Holzboog<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.722, DM 490<br />

Rescher, Nicholas<br />

Rationalität.<br />

Eine philosophische Untersuchung<br />

über das Wesen<br />

und die Rechtfertigung<br />

von Vernunft<br />

Königshausen & Neumann<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.300, DM 48<br />

Il testo di questo libro comprende<br />

tutto il materiale dell’edizione inglese.<br />

In più qui sono state aggiunte una<br />

trentina di pagine di nuovi materiali,<br />

che chiariscono e spiegano i rapporti<br />

fra diversi ambiti di problemi.<br />

Reuland, Eric - Abraham, Werner<br />

(a cura di)<br />

Knowledge and language:<br />

Vol. I. From Orwell’s problem<br />

to Plato’s problem<br />

Kluwer Academic Publishers<br />

gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.264, £ 77<br />

Primo volume di un’opera in tre volumi,<br />

indaga il ruolo della struttura concettuale<br />

nei processi cognitivi, esplorandolo<br />

da diversi punti di vista, fra<br />

cui la filosofia del linguaggio, la linguistica,<br />

la psicologia e l’estetica.<br />

Reuland, Eric - Abraham, Werner<br />

(a cura di)<br />

Knowledge and language:<br />

Vol. II. Lexical and conceptual<br />

structure<br />

Kluwer Academic Publishers,<br />

gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.264, £ 67<br />

Secondo volume di un’opera in tre<br />

volumi, il testo affronta la natura dell’interfaccia<br />

fra struttura concettuale<br />

e linguistica, sforzandosi di fornire<br />

una cornice teoretica del rapporto fra<br />

senso come entità linguistiche ed entità<br />

del mondo reale.<br />

Rizzi, Lino<br />

Eticità e stato in Hegel<br />

Mursia, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.368, L. 40.000<br />

La teoria hegeliana dell’Eticità appa-<br />

re come un grande sforzo di comprendere<br />

il modo in cui le sfere dell’economia,<br />

del diritto e della politica<br />

costituiscono sistemi tra loro distinti<br />

solo “operativamente”, ma come “eticamente”<br />

siano funzioni dirette alla<br />

realizzazione degli individui.<br />

Rocca, Ettore<br />

L’essere e il giallo.<br />

Saggio su Merleau-Ponty<br />

Pratiche, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.150, L. 18.000<br />

Come e dove sorge la domanda filosofica<br />

e perché la domanda sull’esperienza<br />

o sull’essere è al tempo filosofia<br />

che si interroga sulla sua stessa<br />

possibilità sono gli interrogativi, centrali<br />

per la filosofia del Novecento,<br />

filo conduttore per accostarsi al percorso<br />

di pensiero di Merleau-Ponty.<br />

Rousseau, Jean-Jacques<br />

Il contratto sociale<br />

Rizzoli, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.222, L. 9.000<br />

Il ritratto di una società etica e politica<br />

insieme, in cui l’individuo non<br />

obbedisca ad alcuna volontà estranea<br />

o superiore, ma a una volontà generale<br />

che egli stesso sceglie e che quindi<br />

viene a coincidere che la sua.<br />

Rousseau, Jean-Jacques<br />

Le fantasticherie<br />

del passeggiatore solitario<br />

Einaudi, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.151, L.18.000<br />

Meditazioni sui temi della religione,<br />

dell’educazione, del diritto sociale; argomenti<br />

tutti che gli avevano causato<br />

inimicizie ed amarezze. Rousseau si<br />

interroga, e cerca di spiegare a se stesso<br />

l’origine di tali delusioni, ma lo<br />

supera con lo slancio entusiasta che<br />

egli porta ai suoi ideali umani e religiosi.<br />

Rovatti, Pier Aldo<br />

Trasformazioni del soggetto<br />

Il Poligrafo, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.144, L. 26.000<br />

I saggi che compongono il volume<br />

hanno al loro centro la discussa proposta<br />

di una “pensiero debole”. Questa<br />

proposta, formulata nel 1983, si<br />

articolava intorno al nome di Friedrich<br />

Nietzsche, ma anche a quello di<br />

Husserl, Lacan, Serres; si trattava del<br />

problema di un luogo diverso da dare<br />

alla soggettività, dinanzi a una modificata<br />

descrizione del potere. La lettura<br />

di questo lavoro permette di ricostruire<br />

qualcosa come un corpo omogeneo<br />

di domande: bisogno, soggettività,<br />

potere e pratica del pensiero.<br />

Runzo, Joseph (a cura di)<br />

Is god real?<br />

Macmillan, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.288, £ 40<br />

Raccolta di saggi dedicata al dibattito<br />

attuale sul realismo teologico. C’è<br />

una realtà divina, trascendente indipendente<br />

dal pensiero umano? Negli


scritti di importanti esponenti di entrambe<br />

le parti, il libro presenta un<br />

dialogo fra realisti e non realisti.<br />

Rupp, G. (a cura di)<br />

Was leisten<br />

die Geisteswissenschaften<br />

für die Zukunft? Beiträge<br />

zum Modellversuch<br />

“Geisteswissenschaftliches<br />

<strong>Studi</strong>um Fundamentale”<br />

an der Universität Bochum<br />

Brockmeyer, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.168, DM 16,80<br />

Ryle, Gilbert<br />

Gilbert Ryle<br />

and the philosophy of mind<br />

Blackwell Publishing<br />

gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.256, £ 45<br />

Raccolta di scritti di Gilbert Ryle,<br />

professore di filosofia a Oxford dal<br />

1945 al 1967. Il libro comprende anche<br />

due omaggi a Ryle: uno di John<br />

Mabbot, suo intimo amico, sull’uomo<br />

Ryle; l’altro è di David Gallop,<br />

suo ex studente, sul Ryle filosofo.<br />

Sarvepalli Radhakrishnan<br />

Indian philosophy: Vol. 1<br />

OUP India, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.738, £ <strong>12</strong>,95<br />

L’opera si propone di fornire un resoconto<br />

chiaro dei più elevati concetti<br />

dell’induismo. In essa vi si trovano<br />

mescolati concetti orientali e terminologia<br />

occidentale, così da rendere<br />

accessibile e istruttivo il testo anche a<br />

chi si dovesse accostare all’argomento<br />

per la prima volta.<br />

Sarvepalli Radhakrishnan<br />

Indian philosophy: Vol.2<br />

OUP India, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.808, £ <strong>12</strong>,95<br />

Scheffer, Thomas<br />

Kants Kriterium der Wahrheit.<br />

Eine systematische Interpretation<br />

der Argumentation<br />

für die Anschauungsformen<br />

und Kategorien a priori<br />

in der “Kritik der reinen Vernunft”<br />

de Gruyter, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.311, DM 136<br />

Schmidt, Amos<br />

Materialismus zwischen<br />

Metaphysik und Positivismus.<br />

Max Horkheimer Frühwerk.<br />

Darstellung und Kritik<br />

Westdeutscher Vlg.<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.384, DM 62<br />

Schmidt, Hermann J.<br />

Das Ereignis Nietzsche -<br />

ausgehend von Röcken.<br />

Gedenkvortrag<br />

auf der Gedenkveranstaltung<br />

zum 90. Todestag von Friedrich<br />

Wilhelm Nietzsche<br />

am 25.8.1990 in der Pfarrkirche<br />

zu Röcken<br />

Dortmund, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.35, DM 4<br />

Le note e un “Supplemento 25.8.1992:<br />

Due anni dopo o Ricordi di una singolare<br />

esperienza fra la caduta del muro<br />

e la riconquista” aggiornano lo scritto.<br />

Schoeman, Ferdinand David<br />

Privacy and social freedom<br />

Cambridge UP, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.240, £ 30<br />

Il libro attacca la premessa, comune a<br />

molte filosofie morali, che il controllo<br />

sociale in quanto tale sia una forza<br />

intellettualmente e moralmente distruttiva.<br />

Schomberg, Rene von<br />

Science, politics and morality<br />

Kluwer Academic Publishers<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.180, £ 46<br />

Insigni autori di diversi paesi europei<br />

e americani forniscono una prospettiva<br />

incrociata sui problemi decisionali<br />

politici in condizioni di incertezza<br />

scientifica. Si discutono esempi tratti<br />

dalla biotecnologia e dalle scienze<br />

ambientali.<br />

Schulte, Joachim<br />

Experience and expression.<br />

Wittgenstein’s philosophy<br />

of psychology<br />

Clarendon Press, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.192, £ 25<br />

Il saggio usa i dibattiti sui concetti<br />

psicologici degli ultimi manoscritti<br />

di Wittgenstein come base per la ricostruzione<br />

degli argomenti e delle elucidazioni<br />

concettuali di Wittgenstein.<br />

Il testo fornisce prospettive sulla filosofia<br />

della psicologia, sull’estetica e<br />

sulla teoria del significato.<br />

Sen, Amartya<br />

Libertà e benessere<br />

Marsilio, aprile <strong>1993</strong><br />

pp.140, L. 15.000<br />

Una proposta di radicale ridefinizione<br />

dei criteri utilizzati per identificare<br />

il tenore di vita viene qui avanzata da<br />

Sen, che ci invita a non separare gli<br />

strumenti oggettivi da quelli soggettivi<br />

e filosofici che appartengono al<br />

bagaglio ideale di ciscun individuo.<br />

✂<br />

NOVITÀ IN LIBRERIA<br />

79<br />

Shields, Philip R.<br />

Logic and sin in the writings<br />

of Ludwig Wittgenstein<br />

Univ. of Chicago febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.176, $ 31<br />

Shields dimostra come una matrice<br />

etica e religiosa pervada anche gli<br />

scritti più tecnici sulla logica e il<br />

linguaggio e che per Wittgenstein il<br />

bisogno di stabilire limiti chiari è<br />

un’esigenza allo stesso tempo logica<br />

ed etica.<br />

Shin, Sang-Hie<br />

Wahrheitsfrage und Kehre<br />

bei Martin Heidegger.<br />

Die Frage nach der Wahrheit<br />

in der Fundamentalontologie<br />

und im Ereignis-Denken<br />

Königshausen & Neumann<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.224, DM 48<br />

Smith Ferguson, Martin<br />

Diogene di Enoanda.<br />

L’iscrizione epicurea<br />

Bibliopolis, aprile <strong>1993</strong><br />

pp.660, L. 200.000<br />

L’edizione di Smith, che consta di<br />

introduzione, testo critico, traduzione,<br />

commento e indici, è l’unica a<br />

presentare tutti i frammenti noti dell’opera<br />

di Diogene, filosofo e filantropo<br />

che la fece incidere sul muro di<br />

una stoa a Enoanda nella Licia settentrionale.<br />

Fondata sul controllo di tutti<br />

i blocchi di pietra scopeti e riscoperti<br />

dagli inglesi, questa edizione presenta<br />

centinaia di letture e supplementi<br />

inediti.<br />

Sorel, Georges<br />

Le illusioni del progresso<br />

Bollati Boringhieri, aprile <strong>1993</strong><br />

pp.240, L. 24.000<br />

Pubblicato nel 1908, poco dopo le<br />

Considerazioni sulla violenza, questo<br />

libro affronta con più ampio respiro<br />

storico e filosofico gli aspetti ide-<br />

ologici di quella che Sorel considerava<br />

la subalternità del socialismo riformista<br />

al progetto illuministico della<br />

borghesia.<br />

Sorell, Tom<br />

The rise of modern philosophy.<br />

The new and traditional<br />

philosophies from Machiavelli<br />

to Leibniz<br />

Oxford UP, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.360, £ 40<br />

Il saggio esamina il pensiero di tredici<br />

autori in ogni campo della filosofia<br />

e delle scienze e cerca di dimostrare<br />

che la frattura fra le “nuove” filosofie<br />

e quelle tradizionali classiche non è<br />

così totale come si pensa in genere.<br />

Soulez, Philippe<br />

La guerre et les philosophes:<br />

de la fin des années<br />

20 aux années 50<br />

Universitaire de Vincennes<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.320, F 140<br />

Scritti di J. Barnes, J. A. Barash, J.-<br />

M. Besnier e altri.Come il precedente<br />

(Les philosophes et la guerre de 14) il<br />

presente volume riunisce analisi sugli<br />

atteggiamenti individuali o collettivi<br />

dei filosofi, da Aron a Wittgenstein,<br />

di fronte alla problematica dell’orrore<br />

che il nazismo, ancora oggi,<br />

ci costringe a pensare.<br />

Southgate, Beverley C.<br />

”Covetous of truth”: The life<br />

and work of Thomas White,<br />

1593-1676<br />

Kluwer Academic Publishers<br />

gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.196, $ 60<br />

Il lavoro è dedicato alla vita e all’opera<br />

di Thomas White, importante ed<br />

eclettico pensatore del XVII secolo.<br />

Ci viene presentato come il capo di<br />

un’influente fazione dei cattolici inglesi,<br />

come un accanito oppositore<br />

dello scetticismo e come la possibile<br />

sintesi del pensiero scolastico con la<br />

“nuova filosofia”.<br />

Sparles, Harvey B.<br />

Osservazioni ……………………………………………………………………<br />

…………………………………………………………………………………<br />

…………………………………………………………………………………<br />

…………………………………………………………………………………<br />

Suggerimenti ………………………………………………………………<br />

…………………………………………………………………………………<br />

…………………………………………………………………………………<br />

…………………………………………………………………………………


✂<br />

Teaching as dialogue:<br />

A teacher’s study<br />

University of America<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.216, £ 21,95<br />

Il testo osserva il significato e il contesto<br />

della conoscenza e afferma che la<br />

natura dell’apprendimento induce speranza<br />

e ispirazione per il futuro; sostiene<br />

anche che il dialogo permette agli<br />

studiosi di perseguire il sapere sviluppando<br />

forza e ingenerando un senso<br />

della finalità.<br />

Spat, Werner<br />

Philosophie und Grundprobleme<br />

der modernen Astrologie.<br />

Neues zu einem “alten” Thema<br />

Die Blaue Eule febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.173, DM 39<br />

Stalder, Henry J.<br />

Rational realism.<br />

About relative ration<br />

and relative reality<br />

Haag & Herchen, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.116, DM 19,80<br />

Sterling, Marvin C.<br />

Philosophy of religion:<br />

A universalist perspective<br />

University Press of America,<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.234, £ 21,95<br />

Il libro tenta di chiarire e valutare i<br />

concetti chiave della religione come<br />

anche quelli che sono caratteristica<br />

esclusiva di particolari tradizioni religiose.<br />

L’autore vede un’armonia di<br />

fondo fra le differenti religioni mondiali<br />

e ne sottolinea i punti di contatto.<br />

Thanbichler, Christian<br />

Die Abstraktion<br />

und die Unglaublichkeit<br />

des Irrtums menschlichen Denkens<br />

Die Blaue Eule febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.91, DM 23<br />

Tiedemann, Paul<br />

Über den Sinn des Lebens.<br />

Die perspektivische Lebensform<br />

Wissenschaftl. Buchges.<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.352, DM 39<br />

Come può l’uomo di oggi ancora trovare<br />

la pienezza del senso? Il libro<br />

presenta una fenomenologia dei diversi<br />

concetti di senso che sono stati<br />

elaborati nel corso della storia umana.<br />

L’autore li confronta con il concetto di<br />

senso prospettivo, che a suo parere<br />

potrebbe essere portante per l’epoca<br />

moderna.<br />

Torrance, J. (a cura di)<br />

The concept of nature<br />

Clarendon, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.208, £ <strong>12</strong>,50<br />

Una serie di saggi di filosofi della<br />

scienza che trattano le principali fasi<br />

dello sviluppo storico della concezione<br />

scientifica della natura.<br />

Uebel, Thomas E.<br />

Overcoming logical<br />

positivism from within.<br />

The emergence of Neurath’s<br />

naturalism in the Vienna Circle’s<br />

protocol sentence debate<br />

Editions Rodopi, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.377, Dfl 140<br />

Unger, Peter<br />

Identity, consciousness and value<br />

Oxford University gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.358, £ 15<br />

Il tema dell’identità personale ha dato<br />

l’avvio recentemente a vivaci dibattiti<br />

filosofici. In un contributo alla discussione,<br />

l’autore di questo trattato<br />

presenta un resoconto psicologicamente<br />

orientato, ma con una base<br />

fisica, della nostra identità nel corso<br />

del tempo.<br />

Vacca, Roberto<br />

La via della ragione<br />

Bompiani, marzo <strong>1993</strong><br />

pp.256, L. 30.000<br />

Che cos’è la “nuova morale”? A<br />

questa e ad altre domande si cerca di<br />

rispondere ripercorrendo la storia del<br />

pensiero e analizzando l’assurdità<br />

insita nelle “regole fisse”, o il cammino<br />

della “ragione” dalla Bibbia al<br />

Talmud, o l’autonomia del diritto, o<br />

cercando di saldare il pensiero di<br />

NOVITÀ IN LIBRERIA<br />

Tommaso d’Aquino e Ignazio di<br />

Loyola.<br />

Vadée, Michel<br />

Marx, penseur du possible<br />

Méridiens-Klincksieck,<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.568, F 180<br />

Il libro dimostra che nella sua critica<br />

dell’economia politica, nella sua concezione<br />

della storia e nel suo materialismo<br />

filosofico, Marx ammette diverse<br />

forme di possibilità: astratte o teoriche,<br />

concrete o storiche e soprattutto<br />

una possibilità reale, quella di un “regno<br />

della libertà”.<br />

oss, Stephen (a cura di)<br />

Essays on the philosophy<br />

and science of Rene Descartes<br />

Oxford UP, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.336, £ 16<br />

Questi saggi di importanti studiosi di<br />

Descartes, mai pubblicati prima in<br />

inglese, costituiscono una rassegna<br />

della ricerca contemporanea sulla filosofia<br />

e la scienza cartesiana.<br />

Warnock, G. J.<br />

Berkeley<br />

Gregg Revivals, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.240, $ 35<br />

In questa nuova edizione riveduta della<br />

sua introduzione a Berkeley, l’autore<br />

esamina tutte le maggiori opere e<br />

idee filosofiche di Berkeley e discute i<br />

suoi contributi a questioni ancora dibattute<br />

oggi. Il libro vuole essere un<br />

aiuto per il lettore a imparare qualcosa<br />

sulla filosofia grazie a questo saggio<br />

su Berkeley.<br />

Westphal, Merold<br />

Hegel, freedom, and modernity<br />

State Univ. of New York Pr.,<br />

febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.288, $ 19<br />

Westphal è uno dei più insigni commentatori<br />

contemporanei di Hegel. La<br />

sua opera propone numerose prospettive<br />

stimolanti e riesce straordinariamente<br />

bene a presentare la rilevanza di<br />

Hegel per tutta una serie di questioni e<br />

pensatori contemporanei, e dunque l’agi-<br />

ome e cognome ………………………………………………………………<br />

ndirizzo ………………………………………………………………………<br />

………………………………………………………………………<br />

elefono ………………………………………………………………………<br />

omputer usato ❏ IBM-Compatibile ❏ Macintosh<br />

❏ Ms-Dos ❏ Windows ❏ System 6.x ❏ System 7.x<br />

❏ Cd-Rom ❏ Monitor a colori ❏ Floppy 3.5” HD<br />

uono di prenotazione<br />

❏ Desidero prenotare fin d’ora n°… copie su floppy disk da 3,5” per Ms-Dos/<br />

Windows<br />

❏ Desidero prenotare fin d’ora n°… copie su floppy disk da 3,5” per Macintosh<br />

al prezzo scontato di £ <strong>12</strong>0.000 (iva esclusa)*<br />

*le modalità di pagamento 80 verranno indicate in seguito<br />

tazione di Hegel come moderno pensatore.<br />

Wittgenstein, Ludwig<br />

Le cours de Cambridge,<br />

1932-1935: etablis par Alice<br />

Ambrose à partir des notes<br />

d’Alice Ambrose<br />

et de Margaret Macdonald<br />

TER, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.267, F 169<br />

Oltre agli appunti presi alle lezioni<br />

fra il 1932 e il 1935 in questo volume<br />

si troverà il Quaderno giallo in cui<br />

sono annotate le lezioni e le discussioni<br />

informali che precedono le differenti<br />

sedute di dettatura del Quaderno<br />

blu. Vi si trovano trattate ampiamente<br />

le questioni sollevate da<br />

quest’ultimo, precisate in alcuni punti<br />

centrali.<br />

Wöhrle, G. (a cura di)<br />

Anaximenes aus Milet.<br />

Die Fragmente zu seiner Lehre<br />

Steiner, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.88, DM 48<br />

Wolandt, G. - Breil, R.<br />

(a cura di)<br />

Ostdeutsche Denker.<br />

Vier Jahrhunderte philosophischer<br />

Tradition von Jakob Böhme<br />

bis Moritz Löwi<br />

Vertrieb., febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.262, DM 36<br />

Wollgast, Siegfried<br />

Vergessene und Verkannte.<br />

Zur Philosophie<br />

und Geistesentwicklung<br />

in Deutschland zwischen<br />

1526 und 1700<br />

Akademie, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.342, DM 130<br />

Wright, Crispin<br />

Truth and objectivity<br />

Harvard University gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.262, £ 19,95<br />

Basandosi sulle lezioni Waynflete<br />

tenute a Oxford nel 1991, Wright<br />

propone una prospettiva originale sul<br />

luogo del “realismo” nella ricerca filosofica.<br />

Egli propone una nuova cornice<br />

per il dibattito sulle affermazioni<br />

dei realisti, che pensano la verità come<br />

assolutamente oggettiva, e gli anti<br />

realisti, per i quali non è così.<br />

Wuketits, Franz M.<br />

Verdammt zur Unmoral?<br />

Zur Naturgeschichte<br />

von Gut und Böse<br />

Piper, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.240, DM 39,80<br />

L’autore presenta l’abbozzo di<br />

un’”etica evoluzionistica”, libera dagli<br />

astratti principi della filosofia<br />

morale. Egli propugna l’applicazione<br />

dell’etica all’interno di precisi confini<br />

biologici e il distacco da ogni rappresentazione<br />

idealistica.<br />

Zoglauer, Thomas<br />

Das Problem der theoretischen<br />

Terme. Eine Kritik<br />

an der strukturalistischen<br />

Wissenschaftstheorie<br />

Vieweg, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.250, DM 80<br />

La tradizionali proposte risolutive (per<br />

esempio di Sneed e di Stegmüller)

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