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Anno Numero 1993 11 - Studi Filosofici

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INFORMAZIONE<br />

FILOSOFICA<br />

Rivista<br />

bimestrale<br />

a cura di:<br />

Edizione<br />

Edinform. Informazione e Cultura<br />

Società Cooperativa a r.l.<br />

Viale Monte Nero, 68<br />

20135 Milano<br />

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DIRETTORE EDITORIALE<br />

Riccardo Ruschi<br />

Istituto<br />

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per gli<br />

<strong>Studi</strong><br />

<strong>Filosofici</strong><br />

Via Monte di Dio 14,<br />

80132 Napoli<br />

Reg. n. 634 del 12/10/90<br />

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Sped. abb. post. gruppo IV/70.<br />

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Copie arretrate L. 15.000<br />

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(5 numeri): L. 45000<br />

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COMITATO DI REDAZIONE<br />

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<strong>Filosofici</strong><br />

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SEGRETERIA DI REDAZIONE<br />

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Per l'invio di articoli e materiale<br />

informativo indirizzare a:<br />

Informazione Filosofica<br />

Viale Monte Nero, 68<br />

20135 Milano<br />

In copertina:<br />

Mathias Grünewald<br />

Crocefissione (particolare)<br />

(1510-1512 circa)<br />

Basilea, Kunstmuseum<br />

* Nel numero 10 è stato<br />

inavvertitamente omesso<br />

tra i collaboratori il nome<br />

di Manuela Viezzer<br />

<strong>11</strong>


Gentili lettori,<br />

Le pagine di apertura di questo numero sono dedicate<br />

al ricordo di Italo Mancini, recentemente scomparso.<br />

A rievocarne lo spirito di lavoro filosofico, la<br />

fede religiosa, l’impegno sociale del cristiano e la<br />

speranza del progressista nel futuro dell’uomo, sono<br />

in primo luogo gli allievi, i colleghi di Università, i<br />

compagni di fede; ma al di là di questi non è difficile<br />

percepire la presenza di un pubblico più ampio,<br />

innumerevole, di uditori, di testimoni della sua parola:<br />

tra questi gli studenti, innanzitutto; e poi i<br />

fedeli del Duomo di Urbino, fino a molti degli<br />

abitanti di questa sua città, testimoni occasionali,<br />

ma non per questo meno consapevoli, dell’esempio<br />

che egli incarnava di cultura e vita cristiana.<br />

Il confronto del Cristianesimo con le “culture”, con<br />

i grandi movimenti e le lotte dei popoli che si<br />

pongono ai confini della teologia, era il fulcro del<br />

suo lavoro storico-filosofico, che trovava nella teologia<br />

protestante del ‘900 e nelle grandi ideologie<br />

laiche della liberazione due congeniali direzioni di<br />

ricerca. A ciò faceva riscontro una “passione religiosa”<br />

che individuava il suo oggetto “sacro” in un<br />

“apriori kerygmatico”, quale essenza e destino di<br />

ogni uomo nel mondo, e con questo si spingeva oltre<br />

la necessità di distinguere tra metodo storico-critico<br />

e dottrina dell’ispirazione, come anche si sottraeva<br />

al principio di secolarizzazione. Da qui prendeva<br />

corpo il confronto di Mancini con il marxismo, o<br />

meglio con quanto la concezione marxiana, che egli<br />

definiva «una sfida per il credente», presentava di<br />

«alternativo, concorrenziale e sostanziale ereditato<br />

dalla religione stessa». Anche se certo non si trattava<br />

di identificare la soluzione marxista con quella<br />

cristiana, pure occorreva riconoscere che «i problemi<br />

della religione sono i problemi reali della dialettica<br />

umana» e che in entrambi casi si tratta di<br />

«liberare l’uomo da una caduta [...] attraverso una<br />

forma di riconciliazione», con la mediazione di<br />

Cristo, in un caso, del proletariato nell’altro.<br />

A questo punto, il rivolgersi della propria meditazione<br />

filosofica dell’ultimo decennio ai problemi<br />

concreti della cultura e della società era per Mancini<br />

la naturale risposta alla sua passione per la<br />

prassi, per il mondo terreno, per la “città dell’uomo”».<br />

Se teologico rimaneva il senso di questa<br />

nuova proiezione della «dimora umana, sociale e<br />

giuridica» sul «mondo dell’ “alto”», il campo di<br />

pensiero in cui veniva ora esprimendosi questa<br />

«doppia fedeltà» a Dio e al mondo era la filosofia del<br />

diritto, in cui l’oggetto, «le enormi masse di vita<br />

giuridica», è offerto dalla storia e il metodo, quale<br />

«bisogno della ragione», è quello ermeneutico. Con<br />

questo, si trattava innanzitutto per Mancini di sfuggire<br />

alla «logica della disgregazione» del negativismo<br />

giuridico, recuperando al mondo del diritto il<br />

mondo della vita morale, che solo poteva «dare al<br />

futuro una organizzazione politica concreta».<br />

In questo ottimistico richiamo al futuro, umano e<br />

cristiano, si concentra, potremmo dire, il “lascito<br />

spirituale” di Italo Mancini, che vorremmo qui<br />

raccogliere, in forma di ultimo saluto, attraverso le<br />

sue stesse parole, riportando due brani tratti da<br />

Cristianesimo e culture (Lecce, 1984):<br />

«[…] il mio travaglio filosofico e culturale ha cercato<br />

in ogni modo di comporre le irriducibili opposizioni.<br />

In maniera molto sintetica, direi che questa<br />

dualità si è imperniata soprattutto in una insonne,<br />

doppia fedeltà: fedeltà al mondo, alla terra, ai suoi<br />

valori, alla sua cultura; e fedeltà alla teologia, al<br />

mondo e alla signoria di Dio, ai valori e alle forme<br />

teologiche, a un fare di Dio, insomma, che si accompagni<br />

al fare dell’uomo.»<br />

«[…] Quanto a me, se potranno essere vissuti, gli<br />

anni Ottanta vorrebbero accentuare l’aspetto politico,<br />

giuridico e sociale di quanto finora ho pensato.<br />

L’animo è quello della spedizione verso le terre del<br />

non-ancora, utopia, speranza, futuro. Anzi proprio<br />

ora, in vista del nuovo slancio, appare come tutta la<br />

ricerca era e possa venir concentrata nel tema che<br />

potrebbe essere detto organizzazione del futuro (enfatizzo<br />

pertanto l’attenzione a Bloch, già lungamente<br />

studiato), chiarendo che questa attenzione al futuro,<br />

umano e cristiano, deve avere due articolazioni:<br />

una più propriamente speculatativa come futuro del<br />

senso e discernimento di gesti coerenti con la impostazione<br />

aperta e progressista della mia vita (sono<br />

stato chiamato, con amore o con disprezzo, prete<br />

rosso), e la cosa non è né ovvia né facile. Oggi ogni<br />

segno e ogni schieramento sembra essere ambiguo,<br />

avere due valenze, di progresso e di regresso; oggi<br />

che è scomparso il concetto di epoca nuova, e l’orizzonte<br />

sembra spento, sì che non è facile organizzare<br />

fronti di lotta e battaglie per i significati. Ma al<br />

pessimismo della ragione voglio che corrisponda un<br />

ottimismo della volontà. Eredità kantiana nello iato<br />

delle due Critiche, ma che permette ugualmente un<br />

potente ethos. Quel valore della qualità che Bonhoeffer<br />

opponeva alla “stupidità” del seriale e del<br />

generico e del “sì”.»


PROFILO<br />

5 Ricordo di Italo Mancini<br />

CONFERENZA<br />

16 Il problema di una macroetica universalistica<br />

della co-responsabilità<br />

AUTORI E IDEE<br />

25 Habermas: fatticità e validità del diritto<br />

25 Hans Jonas: gnosi, nichilismo e libertà<br />

26 Etica integrativa: tra arte del vivere e filosofia<br />

27 Realtà e democrazia del sapere<br />

28 Gioco e giochi<br />

29 La natura del linguaggio<br />

30 Coscienza e linguaggio<br />

30 Storia del paradiso: Jean Delumeau<br />

30 Biologia: scienza e immaginario<br />

31 Il rompicapo del tempo<br />

31 La memoria, l’oblio e l’immagine cinematografica<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

33 Oltre l’Europa, oltre la tolleranza<br />

34 Morali in saldo nella crisi dei valori<br />

35 Il materialismo dei Lumi<br />

35 Enciclopedia delle opere filosofiche<br />

38 I filosofi e gli animali<br />

39 Filosofia dell’arte ed esperienza estetica<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

41 Scritti kantiani di Jacobi<br />

41 Il vangelo kantiano<br />

42 La logica di Leibniz<br />

42 Baruch Spinoza: un’attualità perenne<br />

SOMMARIO<br />

43 Arte oratoria<br />

43 Petrarca e la medicina<br />

44 Gassendi fra epicureismo e cristianesimo<br />

44 Carteggio Freud-Binswanger<br />

46 Althusser: diario di prigionia<br />

46 Heidegger e il sofista<br />

47 NOTIZIARIO<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

49 Filosofie contemporanee<br />

51 L’epoca classica della scienza greca<br />

52 La persona e le sue immagini<br />

52 Scienza e metafisica moderna<br />

54 Attualità di Ugo Spirito<br />

54 Collegio di sociologia<br />

55 Seminario filosofico permanente<br />

56 Omaggio a Jean-Pierre Vernant<br />

56 Il filosofo e la schiavitù<br />

58 Il diritto e i suoi luoghi<br />

58 Deleuze e la differenza<br />

61 Wilhelm von Humboldt e le lingue d’America<br />

62 CALENDARIO<br />

64 DIDATTICA<br />

64 Insegnare filosofia per unità didattiche<br />

66 Convegni<br />

67 RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />

70 NOVITA’ IN LIBRERIA


PROFILO<br />

Italo Mancini (foto di Ennia Temellini)<br />

4


Don Italo, un mae- Non avrei mai creduto, anzi<br />

stro dalla parte non avrei mai potuto imma-<br />

degli studenti ginare, che io vecchio, così<br />

vecchio, un giorno avrei do-<br />

di Carlo Bo<br />

vuto salutare e ricordare don<br />

Italo, il professor Mancini,<br />

Testo deregistrato del discorso<br />

in questo Duomo che lo ha<br />

di saluto di Carlo Bo a Italo Mancini,<br />

pronunziato nel Duomo di Urbino visto per tanti anni anima-<br />

il giorno della celebrazione dei funerali,<br />

il 10 gennaio <strong>1993</strong>.<br />

tore e suggeritore e comu-<br />

Il testo non è stato rivisto dall’autore. nicatore di ragioni spirituali.<br />

Il mio saluto è un semplice ringraziamento, un ringraziamento<br />

per tre ragioni. La prima è il ringraziamento del<br />

rettore che lo ha visto arrivare nel lontano 1960, portato<br />

alla cattedra dalla voce di un grande amico e suo mestro,<br />

Gustavo Bontadini. Ma don Italo non era soltanto un<br />

professore; non lesinava le sue ore, non si limitava a fare<br />

il suo dovere: in tanti anni di amicizia e di colleganza, da<br />

lui ho imparato che per essere<br />

un vero maestro e un<br />

vero professore bisogna<br />

fare un discorso quotidiano<br />

con i propri allievi. E quan-<br />

ti lo hanno conosciuto sanno<br />

benissimo che don Italo<br />

è stato da questo punto di<br />

vista un mestro ammirevole<br />

e, aldilà delle ore di lezione,<br />

esattamente come faceva<br />

Bontadini, passeggiando<br />

nel Caffè, nell’Istituto,<br />

prolungava il suo insegnamento<br />

e lo faceva in<br />

modo così diretto, persuasivo;<br />

qualche cosa di questo<br />

insegnamento si poteva<br />

ricavare anche dalle prediche<br />

di mezzogiorno, alla<br />

Messa, e anche qui don Italo<br />

aveva fatto di un rito<br />

qualche cosa di più vicino<br />

al cuore, una testimonianza: le sue prediche, a volte così<br />

rigonfie di cultura, alla fine avevano sempre una soluzione<br />

che si avvicinava a quella del Vangelo.<br />

Lo ricordo poi come vice-presidente dell’Ersu (Ente<br />

Regionale per il Diritto allo <strong>Studi</strong>o Universitario), dove<br />

per anni don Italo è stato il motore principale; è stato la<br />

guida. Su una cosa, però, egli non era disposto a transigere,<br />

a venire a patti nella difesa degli studenti. Anche nei<br />

momenti più ardui della contestazione, don Italo si schierava<br />

immediatamente dalla parte degli studenti e rendeva<br />

la cosa difficile a chi invece si limitava a seguire le<br />

disposizioni di legge. Ma poi, ripensando a questo suo<br />

atteggiamento, a questa sua guerra, a questa sua guerra<br />

dichiarata, senza lenocini, senza distorte pietà, si capiva<br />

che lui stava da una parte che era la parte più alta del<br />

Vangelo, vale a dire cercava di capire, di comprendere,<br />

prima ancora che perdonare.<br />

E infine il terzo ringraziamento è il ringraziamento di un<br />

semplice lettore, di uno che ne ha seguito per tanti anni il<br />

lavoro, tutta una serie di grandi pubblicazioni; e qui la<br />

PROFILO<br />

Ricordo<br />

di<br />

Italo Mancini<br />

Intervengono:<br />

Carlo Bo, Piergiorgio Grassi,<br />

Tommaso La Rocca,<br />

Mario Miegge, Giovanni Moretto,<br />

Graziano Ripanti,<br />

Francesco Saverio Festa.<br />

a cura di<br />

Tommaso La Rocca e Riccardo Ruschi<br />

5<br />

riconoscenza va soprattutto per quello che don Italo ci ha<br />

fatto conoscere di autori che noi ignoravamo; e penso a<br />

Bonhoeffer, penso a tutti gli studi che ha fatto sul protestantesimo,<br />

sulla teologia protestante, dimostrando in<br />

questo una fedeltà allo spirito del Concilio Vaticano.<br />

Poi naturalmente c’è un ringraziamento che comprende<br />

tutto questo, è il ringraziamento di un cattolico impari al<br />

suo dovere personale.<br />

Uomini come don Italo sono un monito, sono un esempio;<br />

sono uomini che portano qualche cosa che ci aiuta nei<br />

disagi, nei dolori della vita quotidiana. Si poteva essere<br />

sicuri che nei momenti di bisogno don Italo fosse accanto<br />

a noi. E ora, che sta dall’altra parte, ora che gode del<br />

grande miracolo, secondo padre Pouget, vale a dire la<br />

grazia che il morto ha di conoscere la verità...Ora tu che<br />

sei molto più vicino di noi alla verità, non abbandonarci,<br />

non dimenticarci, aiuta la tua chiesa, il tuo Duomo, aiuta<br />

l’Università, la tua Università che si onorava del tuo<br />

insegnamento; e aiuta tutti<br />

i giovani, e anche quelli<br />

che giovani non sono più.<br />

Addio!<br />

Don Italo Mancini<br />

e la teologia<br />

del Novecento<br />

di Mario Miegge<br />

Dieci anni or sono, nel corso<br />

di un lungo colloquio<br />

pubblicato sotto il titolo:<br />

Cristianesimo e culture<br />

(Lecce 1984), Leo Lestingi<br />

domandava a Italo Mancini:<br />

«Qual è il tratto specifico<br />

della tua ricerca storica e speculativa perseguita in<br />

questo trentennio?». «Senza dubbio - risponde Mancini -<br />

il confronto del Cristianesimo con le culture e con le zone<br />

di frontiera che stanno intorno ai territori della salvezza<br />

teologica» (ibid., p. 17). Il filosofo che crede nell’annunzio<br />

di salvezza (kerygma) ha il compito di «chiedersi non<br />

solo quale e quanta filosofia sopporta, ma quale grado di<br />

efficacia esso possiede nei confronti delle grandi lotte<br />

che le comunità nel mondo portano avanti, ossia che<br />

rapporti istituisce non solo con la ragione, ma anche con<br />

la storia, non solo con l’essere ma anche con gli sviluppi<br />

politici e sociali» (ibid., p. 29).<br />

Questa intervista, e un’altra più breve, ma altrettanto<br />

limpida, condotta tre anni dopo da Pier Giorgio Grassi<br />

(Intervista a Italo Mancini sulla teologia contemporanea<br />

in “il nuovo Leopardi”, n. 35, 1992), offrono una traccia<br />

essenziale per la comprensione del lavoro ingente che,<br />

nel corso del tempo, si è sviluppato su livelli diversi, a<br />

partire dai temi ontologici degli anni ’50 all’Università<br />

Cattolica di Milano fino ai libri più recenti, collegati


all’insegnamento della filosofia del diritto nell’Università<br />

di Urbino.<br />

La forma stessa dell’intervista dà rilievo ai principi che<br />

hanno costantemente orientato la scrittura e l’agire personale<br />

di Italo Mancini. Infatti, un pensiero che si muove<br />

sulle “frontiere” è necessariamente fatto di dialoghi. Il<br />

dialogo, inoltre, non è impersonale: coinvolge gli attori e<br />

spinge al chiarimento autobiografico. Ma, per Mancini,<br />

ripercorrere i tempi della propria vicenda intellettuale<br />

non è affatto un ripiegamento sull’ego. E’ invece l’attestazione<br />

di legami e impegni dentro comunità reali: una<br />

terra urbinate, dove egli è cresciuto e presto ritorna,<br />

solcata dal lavoro contadino e dalle lotte per la giustizia<br />

e per la libertà; un Chiesa che, negli anni ’60, attraversa<br />

gli eventi cruciali del Concilio; una Università in cui gli<br />

studenti, negli anni ’70, si ribellano ai ruoli imposti e<br />

divengono soggetti politici e interlocutori impegnativi.<br />

In questo contesto, ecclesiale e civile, si producono i due<br />

movimenti di apertura: ad intra, verso la teologia protestante<br />

del nostro secolo; ad extra, verso le grandi ideologie<br />

laiche della liberazione (Cristianesimo e culture, cit.,<br />

p. 31). In un caso come nell’altro Mancini non opera<br />

soltanto un “confronto”: dà pieno spazio agli interlocutori,<br />

li interroga e si lascia da loro interrogare.<br />

Riguardo alla prima apertura (ad intra, cioè sul terreno<br />

ecumenico della teologia), va detto innanzitutto che, tra<br />

il 1969 e il 1977, Mancini ha dato un contributo decisivo<br />

alla diffusione e conoscenza degli autori e delle opere.<br />

Negli anni del Concilio il pubblico italiano aveva a<br />

disposizione soltanto il fondamentale Commento di Karl<br />

Barth alla Epistola ai Romani (tradotto e presentato da<br />

Giovanni Miegge e pubblicato da un editore laico, Feltrinelli,<br />

nel 1962). Nel 1969 vengono edite (presso Bompiani)<br />

le traduzioni di Resistenza e resa e dell’Etica di<br />

Dietrich Bonhoeffer e una antologia della Dogmatica<br />

ecclesiale di Barth (Il Mulino), tutte precedute dalle<br />

introduzioni di Mancini. Nello stesso anno egli pubblica<br />

(presso Vallecchi) la monografia su Bonhoeffer, che è, a<br />

parere di molti, il suo capolavoro. Nel 1970 scrive il<br />

saggio introduttivo a Nuovo Testamento e mitologia<br />

(Queriniana), che raccoglie alcuni testi della controversia<br />

aperta da Rudolf Bultmann e sviluppata nei volumi di<br />

Kerygma und Mythos, negli anni ’40; nel 1972 presenta<br />

la traduzione italiana del Gesù (1926) dello stesso Bultmann<br />

e di Communio Sanctorum di Bonhoeffer (Morcelliana)<br />

e infine, nel 1977, scriverà un’ampia introduzione<br />

a La teologia protestante nel secolo XIX di Karl Barth<br />

(Jaka Book, 1979). Tutti questi lavori convergono nella<br />

grande sintesi di Novecento teologico (Vallecchi, 1977).<br />

Come si spiega il fatto che Italo Mancini, sacerdote<br />

cattolico, ancorato alla tradizione patristica (Agostino) e<br />

scolastica (Tommaso d’Aquino) e spesso vicino allo<br />

spirito del giansenista Pascal, abbia identificato il “Novecento<br />

teologico” in una sequenza di attori principali<br />

(Barth, Bultmann e Bonhoeffer) e secondari (i “socialisti<br />

cristiani” svizzeri, Hermann Kutter e Leonhard Ragaz, e<br />

il filosofo Paul Tillich), che sono tutti protestanti?<br />

Nell’intervista del 1986, alla domanda di Pier Giorgio<br />

Grassi, «Qual è il carattere del ‘900 dal punto di vista<br />

PROFILO<br />

6<br />

teologico?», Mancini risponde: «[...] di fronte agli sfinimenti<br />

della teologia dell’Ottocento, o ghettizzata in forme<br />

di ortodossia chiusa e ripetitiva, o ridotta ai valori<br />

morali, psicologici e umanitari, come nel caso della<br />

cosiddetta teologia liberale, il cui esponente più rappresentativo<br />

è Adolf von Harnack; di fronte a questi sfinimenti,<br />

dicevo, il Novecento ha prodotto un’ansia e una<br />

discussione teologica straordinarie» (Intervista a Italo<br />

Mancini sulla teologia contemporanea, cit., p. 5). Subito<br />

dopo, Mancini indica alcune tappe di questa vicenda. La<br />

prima è «quella che fu impropriamente chiamata teologia<br />

dialettica, il cui vertice è rappresentato dall’opera di Karl<br />

Barth». In pieno contrasto con il “cristianesimo borghese”,<br />

viene restituita alla teologia la sua autonomia: essa<br />

non dipende dalla morale, ma dalla dirompente Parola di<br />

Dio (il kerygma). Qui dunque la “fede” si contrappone<br />

alla “religione”.<br />

Dopo la seconda guerra mondiale, «come reazione a<br />

un’eccessiva concentrazione teologica, si è sentito il<br />

bisogno di mettere in risalto i valori politici della teologia,<br />

i possibili riferimenti alla società civile, il contributo<br />

all’alleggerimento della terra, com’ebbe a scrivere Ernst<br />

Bloch». In questa seconda tappa i confini confessionali e<br />

geografico-culturali vengono oltrepassati, sia nella “teologia<br />

politica” elaborata dal cattolico J. B. Metz e dai<br />

protestanti Pannenberg e Moltmann, sia, ancor più, nelle<br />

teologie sudamericane e africane della liberazione. La<br />

terza tappa è rappresentata dal Concilio Vaticano II<br />

(ibid., p. 32 sgg.). La quarta concerne gli interrogativi<br />

degli anni ’80, in una nuova e minacciosa crisi della<br />

cultura occidentale, nella quale risorge anche il rischio<br />

dell’integralismo religioso (su questo si veda: Cristianesimo<br />

e culture, cit., p. 42 sgg.; Con quale cristianesimo,<br />

Roma 1978).<br />

Il dialogo di Mancini con la teologia protestante non si<br />

limita alla acquisizione della “prima tappa”, della polemica<br />

barthiana con il cristianesimo borghese. Quel dialogo<br />

segna tutto l’insieme di un quadro, che non ha per<br />

oggetto una semplice periodizzazione, ma configura una<br />

serie di problemi, tuttora aperti. Infatti Novecento teologico<br />

termina intenzionalmente con il capitolo sul “socialismo<br />

religioso svizzero”. Dal punto di vista cronologico<br />

questa parte dovrebbe precedere la presentazione dei tre<br />

teologi maggiori. Ma l’ordine dell’esposizione corrisponde<br />

alla ricerca dei nessi tra teoria e prassi. Karl Barth<br />

è, e rimane, il protagonista della svolta teologica del ‘900.<br />

Ma questa, per essere pienamente compresa e proiettata<br />

nei compiti odierni, va ricollocata nel suo ambiente<br />

iniziale, nel quale sono già poste le questioni della pólis.<br />

Va altresì sottolineato il fatto che, tra il 1900 e il 1920,<br />

questi pastori riformati svizzeri (Kutter e Ragaz, il giovane<br />

Barth nel borgo operaio di Safenwil, e il suo amico<br />

Thurneysen) si muovono con piena laicità; collaborano<br />

con le organizzazioni sindacali e politiche di sinistra e si<br />

oppongono con intransigenza a coloro che (come il<br />

tedesco Friedrich Naumann) vogliono invece costituire<br />

raggruppamenti e partiti di ispirazione cristiana in concorrenza<br />

con il socialismo (Novecento teologico, cit., p.<br />

416 sgg.).<br />

Sicuramente il Commento alla Lettera ai Romani (che,


nella seconda edizione del 1922, dà l’avvio alla “teologia<br />

della crisi”) registra il fallimento della socialdemocrazia<br />

europea di fronte alla guerra mondiale, ed elabora l’autocritica<br />

del “socialista cristiano” Barth, la rinunzia a dar<br />

nuovamente legittimazione religiosa a valori umani,<br />

siano essi borghesi o anti-borghesi. Il problema che si<br />

apre nella svolta barthiana è allora quello della distanza<br />

incolmabile tra fede e “mondo”, tra teologia e cultura.<br />

E’ vero che Barth (come Mancini sottolinea continuamente)<br />

non si è mai sottratto all’impegno politico. Proprio<br />

nel momento in cui appare pienamente inserito<br />

nell’accademia teologica tedesca e inizia a comporre la<br />

sua Dogmatica, egli diventa uno dei principali oppositori<br />

del nazismo e, dopo il ritorno in Svizzera, un organizzatore<br />

della resistenza. E nel secondo dopoguerra continua<br />

a prendere posizione, nel conflitto tra Occidente e<br />

Oriente, in forma del tutto anti-conformista.<br />

Ma se, nella vita di Barth, la concentrazione sulla teologia<br />

“kerygmatica” si associa alla testimonianza politica, per<br />

un altro verso essa lascia al margine il confronto con la<br />

cultura contemporanea. E qui entra in campo «l’altro<br />

grande della teologia del Novecento», Rudolf Bultmann.<br />

Nell’itinerario personale di Mancini il rapporto con Bultmann<br />

non ha quel carattere di diretta ispirazione e intensa<br />

affinità, che anima e rende continuo il colloquio con<br />

Barth e Bonhoeffer. Egli sottolinea tuttavia che «la caratteristica<br />

fondamentale della teologia di Bultmann è la<br />

decisione per il Cristo». Da questo punto di vista la<br />

proposta bultmanniana della demitizzazione «non significa<br />

toglimento del mito, ma interpretazione autentica del<br />

mito» (Sulla teologia contemporanea, cit., p. 20-21). Ma<br />

è anche vero che, nel suo tentativo di riesprimere il<br />

kerygma nel linguaggio, non più mitologico, dell’uomo<br />

moderno, Bultmann restringe poi quel linguaggio nei<br />

termini dell’analitica esistenziale di Heidegger. In tal<br />

modo il paradosso dell’annunzio tende a risolversi in una<br />

forma di «comprensione di noi stessi» (Selbstverständnis),<br />

sulla quale «incombe la solitudine dell’antropocentrismo<br />

esistenziale» (Novecento teologico, cit., p. 309).<br />

In tal modo Bultmann non riesce a far convivere l’autonomia<br />

della fede e della teologia con quella di un «mondo<br />

divenuto adulto», che è invece il problema e il tema<br />

centrale di Bonhoeffer.<br />

Bonhoeffer è dunque ancora il compagno nell’ultima<br />

tappa teologica di un secolo al tramonto. La caduta delle<br />

grandi ideologie laiche della liberazione apre il campo<br />

alla «insignificanza dei valori fondamentali» e persino<br />

alla perdita di significato delle “rotture”. Ma qui non ci si<br />

può illudere di ricostruire, a guisa di sostituzione, le<br />

«cittadelle dell’ortodossia, ma anche dell’incomunicabilità<br />

umana». La via che rimane aperta è invece quella<br />

di una «teologia dei doppi pensieri», che trova appoggio<br />

anche nei testi di Dostoevskji. Dal momento che «non<br />

possediamo trasparenza di pensiero al punto da non<br />

essere dominati da pensieri antagonisti», allora, «in<br />

campo teologico, dobbiamo realizzare una ricerca del<br />

senso attraverso frammenti, attraverso tracce e oscurità,<br />

attraverso balenamenti» (Sulla teologia contemporanea,<br />

cit., p. 39 sgg.).<br />

PROFILO<br />

7<br />

Ho parlato di Italo Mancini come se fosse qui con noi:<br />

così lo sento. Ma sarà duro riprendere la strada di Urbino,<br />

sapendo che non ci verrà incontro la sua figura alta e<br />

robusta, il suo sguardo diretto e amichevole ma, nello<br />

Omaggio<br />

a Italo Mancini,<br />

filosofo<br />

della religione<br />

stesso tempo, rivolto, di<br />

là da noi, a un orizzonte<br />

immenso.<br />

«...sei stato veramente<br />

magnanimo nelle cortesie<br />

di Giovanni Moretto<br />

che mi hai usato. Se non<br />

mi sono mosso in questa<br />

occasione, l’ho fatto soprattutto<br />

perché ero sicuro<br />

che un filosofo attento<br />

e rigoroso come te avrebbe<br />

apprezzato la mia fatica, al di là dei risultati e dei tanti<br />

limiti che simili lavori comportano. Ho cercato di far luce<br />

sul mio essere credente con gli strumenti più congeniali<br />

della mia ricerca di studioso. La paura che fosse solo<br />

biografia, anche se per la mia sicurezza poteva bastare,<br />

mi viene ora fugata dal tuo messaggio, che, al di là<br />

dell’importante prova, tocca la realtà e la cosa del discorso<br />

stesso. Dopo la passione per queste cose, di cui hai dato<br />

una prova memorabile or fa un anno a l’Aquila, e che<br />

rivelava una capacità di espressione e di ascolto di natura<br />

fecondamente profetica, pur nel rigore di contesti lucidi,<br />

ai quali - come quello kantiano - mi vado avvicinando io<br />

pure, tu puoi essere ritenuto il nostro punto di riferimento<br />

come filosofo della religione, anche quando il modo di<br />

procedere segue ascendenze culturali non sempre identiche.<br />

Tutto questo ti può dire quanto mi conforta il tuo<br />

consenso, non solo per l’impegno, ma anche per il risultato.<br />

Penso che la ricerca ulteriore, Persona Dei, che lo<br />

stato attuale delle mie ricerche esige, mi avvicineranno<br />

ancor di più non solo al tuo mondo, ma anche alle tue<br />

convinzioni teoretiche. Il profondo, onestamente gestito,<br />

può mettere a contatto anche quanto apparentemente<br />

diverge.<br />

Sono stato in questi ultimi mesi quasi costretto ad uno<br />

svuotamento di fronte alla fascinatio nugacitatis per una<br />

lunga malattia di mia madre, conclusasi con la sua morte,<br />

mentre la vita era ancora in fiore. Allo stordimento<br />

iniziale per la perdita di colei cui debbo tanta parte della<br />

mia serenità di studioso e della freschezza ancora intatta<br />

della mia vita sacerdotale, è subentrato ora un sentimento,<br />

più sottile e doloroso, che fa di questo fatto un’interrogazione<br />

cruciale ed essenzializzante. Come vedi, il tuo<br />

consenso mi è giunto in un momento particolarmente<br />

adatto alla integrazione e al riconoscermi negli altri...».<br />

Così Italo Mancini scriveva il 17 aprile 1974 ad Alberto<br />

Caracciolo per ringraziarlo del giudizio che, in qualità di<br />

presidente della commissione di ordinariato, aveva formulato<br />

nei confronti della sua attività di studioso. E’ da<br />

queste parole che qui, nell’intento di rendere omaggio<br />

alla persona e all’opera di Italo Mancini, vorrei prendere<br />

l’avvio non senza un segreto rimorso per non essermi<br />

rivolto a lui con altrettanta gratitudine e nobiltà di sentimenti,<br />

allorché un decennio più tardi lo ebbi, a mia volta,<br />

giudice del mio ordinariato. Esse ci offrono infatti un<br />

felice autoritratto spirituale soffuso della Stimmung in-


confondibile che ha caratterizzato l’esistenza e l’opera<br />

scientifica del filosofo di Urbino. In esse inoltre viene<br />

abbozzata una Selbstinterpretation al limite della confessione,<br />

accennante a quello che la filosofia della religione<br />

di Mancini riconosce, con riconoscimento scaturente ex<br />

rebus ipsis, come il proprio ineludibile termine di confronto<br />

critico, cioè l’opera del filosofo genovese scomparso<br />

due anni fa. Entrambi severi assertori della filosoficità<br />

della filosofia della religione, disciplina che come<br />

nessun altro, proprio dalla diversità della loro posizione<br />

e ispirazione, hanno contribuito ad illustrare e ad elevare<br />

a dignità scientifica, Caracciolo e Mancini si sono trovati<br />

a lavorare, per scelta non<br />

solo scientifica, ma anche<br />

esistenziale (non a caso<br />

nella lettera citata Mancini<br />

parla di “biografia”), su<br />

fronti decisamente opposti.<br />

Mentre il primo, non aderente<br />

a una particolare confessione<br />

religiosa, si collocava<br />

nella tradizione di pensiero<br />

che ha in Schleiermacher<br />

il suo rappresentante<br />

ideale e fissava la sostanza<br />

del proprio discorso filosofico-religioso<br />

in espressioni<br />

come «la religione come<br />

struttura e come modo autonomo<br />

della coscienza»,<br />

«spazio di Dio», «a priori,<br />

trascendentale religioso»,<br />

«conscientia hominis ut locus<br />

revelationis», «Liberalität<br />

ed ecumenismo»,<br />

«Nulla religioso e imperativo<br />

dell’eterno», il secondo,<br />

dichiaratamente credente<br />

e sacerdote cattolico, mai<br />

dimentico della lezione di<br />

Karl Barth - l’antipode di<br />

Schleiermacher - cui ha<br />

pagato il proprio tributo<br />

«con la gioia di una rinno-<br />

vata scoperta», per avere<br />

da lui appreso a «ridurre la<br />

religione a kerygma, inteso<br />

in senso sovrano, eteronomo e aprioristicamente divino»,<br />

non si stancava mai di fissare i cardini del proprio<br />

progetto, per il quale non disdegnava neppure la qualifica<br />

di “neoapologetico”, nelle espressioni «Oggetto immenso»,<br />

«Divinità di Dio», «a priori divino», «essenza storicamente<br />

kerygmatica della religione», «grandi masse di<br />

vita religiosa». Anche se sarebbe indice di rozzezza<br />

mentale voler continuare - come pure si vuole, non si sa<br />

se più per ignoranza o per mala fede - a definire le due<br />

impostazioni filosofico-religiose con le etichette di antropocentrismo<br />

e teocentrismo, immanenza e trascendenza,<br />

soggettivismo e oggettivismo, resta il fatto che è<br />

difficile immaginare una contrapposizione più radicale,<br />

tanto che, per riprendere un mot d’esprit barthiano,<br />

PROFILO<br />

8<br />

verrebbe da pensare che, appena arrivato nell’aldilà,<br />

Mancini sia andato alla ricerca dello schivo, umbratile<br />

Caracciolo per discutere chi dei due avesse ragione.<br />

Alla critica non evasiva spetta il compito di mettere a<br />

confronto e discutere le due prospettive. A me qui invece<br />

è riservato il compito di rendere omaggio a Italo Mancini,<br />

filosofo della religione, compito che non saprei assolvere<br />

meglio che tentando per accenni o, forse meglio, prospettando<br />

la possibilità di una lettura della sua opera alla luce<br />

della Liberatität, che è il nome religioso dell’universalità<br />

filosofica e che lo stesso Barth, nell’atto di rivendicarla a<br />

sé («Io stesso sono un liberale e forse persino più liberale<br />

di quanti in questo campo<br />

(teologico-religioso) si professano<br />

liberali»), ha definito<br />

come «un parlare e<br />

pensare in responsabilità e<br />

apertura verso il futuro». In<br />

effetti, a rievocarla in una<br />

simile ottica, la passione<br />

religiosa, dai tratti a volte<br />

profetico-oracolari, che caratterizza<br />

il discorso filosofico-religiosomanciniano<br />

- e che, in fondo, finisce<br />

per rendere precaria la sua<br />

stessa distinzione tra filosofia<br />

religiosa e filosofia<br />

della religione - si rivela<br />

portatrice di una parola, di<br />

un messaggio talmente universale<br />

che nulla teme più<br />

dell’abbraccio soffocante<br />

del confessionalismo e del<br />

fideismo. L’Oggetto immenso<br />

di cui essa parla, e<br />

che a ragione discrimina eticamente<br />

dal Sacro, non è<br />

realtà con cui hanno a che<br />

fare soltanto le religioni<br />

depositarie di una rivelazione<br />

storica, poiché esso è<br />

presente nella coscienza di<br />

ogni uomo che venga in<br />

Dietrich Bonhoeffer (a sinistra) con un ufficiale questo mondo e che non a<br />

italiano<br />

caso le stesse teologie confessionali,<br />

quando si preoccupino<br />

più della “salvezza universale” che dell’assolutezza<br />

del proprio Credo, sono costrette a definire “uditore<br />

della parola”. Proprio perché ogni uomo è costituito da un<br />

apriori kerygmatico, che ne caratterizza l’essenza e il<br />

destino, la filosofia della religione liberale, la cui ermeneutica<br />

non è costretta a scegliere tra metodo storicocritico<br />

e dottrina dell’ispirazione, né a votarsi a razionalistici<br />

esercizi di demitizzazione e secolarizzazione, può<br />

alla fine rendere giustizia all’intenzionalità più vera del<br />

pensare di Italo Mancini, riaffermando un proprio qualificante<br />

convincimento: le “parole eterne “ del cristianesimo<br />

- ma anche quelle di ogni altra religione, non meno<br />

di quelle dei poeti - sopportano il massimo di filosofia.<br />

Certamente dalla parola accolta nel libero ascolto religio-


so l’uomo attinge luce e forza per l’agire etico - resta però<br />

giustificato anche il moto inverso: al limite dell’etico,<br />

dopo che abbia esperite tutte le vie di liberazione umanamente<br />

possibili, all’uomo, di fronte al male che intacca le<br />

stesse strutture dell’essere, non rimane che l’invocazione<br />

religiosa nella pluralità delle sue figure. E’ comunque<br />

dell’invocazione in Kant - il filosofo decisivo per entrambi<br />

- che Caracciolo e Mancini si sono trovati a discutere<br />

nel 1967, a uno dei celebri Colloqui romani sulla demitizzazione,<br />

in quello che pare sia stato il loro primo<br />

incontro. Sull’invocazione religiosa Italo Mancini doveva<br />

tornare a meditare in uno dei suoi ultimi saggi, che<br />

qualcuno ha già collocato tra le sue pagine più intense e<br />

belle. Quel saggio è apparso originariamente nel volume<br />

collettaneo Preghiera e filosofia - dedicato alla memoria<br />

di Alberto Caracciolo - e a me, cui resta il vanto di averlo<br />

provocato, pare che esso debba essere considerato, per<br />

ragioni più ideali che cronologiche, il testamento più vero<br />

Marxismo<br />

e religione:<br />

dal giovane Marx<br />

a Ernst Bloch<br />

di Italo Mancini, filosofo<br />

della religione.<br />

Non è facile fare una sintesi<br />

della mia posizione sui<br />

problemi che il marxismo<br />

di Italo Mancini.<br />

mi ha presentato, quali li<br />

potrei subito indicare: il<br />

problema della continuità<br />

o di certe scissure, di certe<br />

deviazioni, lungo l’arco<br />

ormai ultracentenario del<br />

suo sviluppo, e il problema della sua posizione sostanziale<br />

di fronte alla religione. Non tanto la sua critica<br />

religiosa, quanto quello che esso presenta di alternativo,<br />

concorrenziale e sostanziale ereditato dalla religione<br />

stessa.<br />

[…]<br />

Facendo uso di una formula da me usata per la teologia<br />

politica, direi che in Marx c’è una soteriologia senza<br />

cristologia, cioè, come voleva Bonhoeffer, una redenzione<br />

senza escatologismo, ossia come liberazione<br />

storica e, a differenza di Bonhoeffer, sperata autonomamente<br />

dal soggetto umano, perché, come è scritto<br />

nei Manoscritti, «la radice per l’uomo è l’uomo stesso».<br />

A differenza delle culture giacobine, quella marxista<br />

è, dal punto di vista religioso, una cultura “forte”. Essa<br />

riconosce nella religione, in prima istanza, la validità<br />

o la verità in rapporto alla dialettica umana di perdizione<br />

e di riconciliazione, ma, in seconda istanza, non<br />

le riconosce efficacia, essendo in definitiva solo “oppio”,<br />

che dà apparenza e inganno alla salute e alla<br />

speranza. Da questo punto di vista, Marx è una sfida<br />

per il credente, una sfida che si misura su un impegno<br />

comune.<br />

Facendo uso di una espressione marxiana, si può dire<br />

di lui quello che egli dice sulla religione, di essere una<br />

soluzione capovolta dell’identica cosa. In entrambi i<br />

casi si tratta di riconciliare l’uomo con se stesso, con<br />

la natura, con l’oggetto, operare il suo radicale riscatto.<br />

Per questo non mi sentirei di escluderlo, magari<br />

come abitatore eretico, dall’area ebreico-cristiana. Ha<br />

PROFILO<br />

9<br />

pensato, ha voluto le stesse cose, anche se ne ha dato<br />

una soluzione diversa e capovolta, facendo perno,<br />

cioè, solo sull’uomo e radicalmente ripudiando anche<br />

la mediazione dello stato, perché non si riproducesse<br />

la figura del mediatore.<br />

Se Karl Löwith ha potuto ipotizzare una suggestione<br />

cristologica per il superuomo di Nietzsche, si può<br />

proprio dire fuori strada chi pensa all’uomo di Marx<br />

non in termini prometeici e neppure titanici, ma come<br />

portatore della stessa logica del servo di Jahvé? E<br />

come leggere, allora, il brano finale della Introduzione<br />

alla hegeliana Filosofia del Diritto, dove si parla<br />

del propletariato come di un ceto che, per i suoi<br />

patimenti universali, possiede un carattere universale,<br />

quindi capace, nell’emancipare se stesso, di emancipare<br />

tutte le sfere della società? Non è molto di più<br />

di un proletariato così concepito, di un coefficente<br />

della lotta di classe, visto che la sua missione non è<br />

quella di essere parte, ma di liberare il tutto?<br />

Di questo Marx ci si può liberare solo come ha fatto<br />

Althusser, che ha posto nel 1845 una svolta epistemologica,<br />

e ha consegnato ad leones tutta la parte precedente.<br />

Eppure, il 1843 è Marx come è Marx il 1845.<br />

Non è buona lettura dei testi quella che li sopprime,<br />

come non è buona avvocatura quella che, come osserva<br />

Marx nella tesi di dottorato, per difendere il cliente,<br />

lo annienta, lo sopprime. Meglio raccogliere l’invito<br />

di Bloch a tener conto dei contesti, che sono più seri e<br />

ricchi di quanto le singole espressioni non lascino<br />

intendere.<br />

[…]<br />

Questa è la mia tesi, la quale non identifica la soluzione<br />

marxista con la soluzione cristiana, anche se, a<br />

livello di singole dottrine, vedo degli spazi inediti su<br />

cui operare delle interpretazioni convergenti; ma<br />

identifica il problema nel senso che, tanto per la<br />

religione cristiana come per il principio di Marx, la<br />

questione che si tratta di risolvere è quella di liberare<br />

l’uomo da una caduta diversamente identificata, liberarlo<br />

attraverso una forma di riconciliazione, che nel<br />

cristianesimo si attua attraverso la mediazione di Cristo<br />

e nel marxismo si attua attraverso la mediazione<br />

del proletariato. Proletariato che, come indicano le<br />

ultime righe della Introduzione alla Filosofia del<br />

diritto pubblico di Hegel, ha i caratteri della messianicità,<br />

di un messianismo laico, in quanto la somma<br />

dei suoi dolori, la totale alienazione nei confronti di<br />

tutti i contesti della società civile, lo pongono come<br />

l’artefice della liberazione e sua e dell’intera società<br />

civile ad un tempo.<br />

Era questo il motivo che mi portava a dire che la<br />

cultura marxista, anche nei confronti della religione,<br />

è una cultura “forte”, perché in fondo, si tratta di dire:<br />

riconosco, in prima battuta, che i problemi della religione<br />

sono i problemi reali della dialetytica umana:<br />

alienazione, caduta, distretta e liberazione, redenzione,<br />

riconciliazione; solo che, mentre la soluzione<br />

cristiana (e questo è il discorso in seconda battuta) è di<br />

natura mistica, teologica, trascendente o soprattutto<br />

un oppio, inefficace, vediamo se lo possiamo, questo<br />

traguardo, raggiungere unicamente attraverso le forze


Italo Mancini:<br />

un pensiero<br />

per la convivenza<br />

umana<br />

di Graziano Ripanti<br />

storiche dell’uomo, condensate<br />

intorno alla realizzazione<br />

del comunismo.<br />

Ad una religione dell’ ”al<br />

di là” succede, come dice<br />

Korsch, una religione “dell’al<br />

di qua”. Ma sempre<br />

religione è, e sempre religione<br />

resta.<br />

(da Cristianesimo e Culture, Lecce 1984)<br />

Per chi è nato con lui nella<br />

ricerca, appassionata e severa<br />

come voleva, e con lui<br />

ha condiviso quotidianamente<br />

uno stile di vita non<br />

solo accademico, resta<br />

estremamente difficile se<br />

non addirittura angoscioso<br />

parlare della sua persona e<br />

della sua opera, quando<br />

ancora si è soggiogati dalla<br />

sua assenza prematura. Ma<br />

c’è un obbligo di riconoscimento,<br />

mai permessoci in<br />

vita di manifestare pubblicamente,<br />

cui non ci si può<br />

sottrarre ora che non c’è.<br />

Non si tratta di soppesare<br />

una generosità inestimabile,<br />

né di indicare - il breve<br />

tempo non lo consente -<br />

quale sarà l’eredità più autentica<br />

e duratura del suo<br />

pensiero: si tratta solo di un<br />

atto dovuto per tutto ciò<br />

che ha profuso, ed è incalcolabile,<br />

sul piano del rapporto<br />

umano e su quello del<br />

pensiero.<br />

Se c’è una tensione costante<br />

nella sua ricerca insonne<br />

- “insonne” era il suo aggettivo<br />

privilegiato - è proprio<br />

questa positività, questa<br />

volontà di vita, di costruzione,<br />

di futuro, che, soprattutto dagli anni ’80 in poi,<br />

ha sempre tentato di esprimere contro le forze disgregatrici<br />

e irrazionali e contro le varie categorie della distruzione.<br />

Questo lavoro, fatto con la solita e mirabile capacità<br />

di scrittura e di invenzione linguistica, lo ha realizzato<br />

soprattutto nell’ambito della filosofia del diritto, che<br />

caratterizza il terzo momento della sua ricerca, dopo<br />

quello dell’ontologia e della filosofia della religione,<br />

dove, crediamo, il suo Filosofia della religione (Roma<br />

1968) resta tuttora fondamentale. Nel distinguere questi<br />

momenti si vuol solo indicare l’interesse primario, gli<br />

altri, quelli più spiccatamente teoretici, non sono abbandonati,<br />

come dimostrano i due volumi della Guida alla<br />

Critica della ragion pura (Urbino 1982 e 1988) e altri<br />

PROFILO<br />

10<br />

scritti.<br />

Il dedicarsi alla filosofia del diritto non traduceva tanto<br />

un bisogno di sistematicità, quanto una passione per la<br />

prassi, per il mondo della vita e della “città dell’uomo”,<br />

che, già nata dai suoi studi sul marxismo, in specie su E.<br />

Bloch, faceva del suo pensiero una meditazione concreta<br />

e attenta ai problemi vivi della cultura e della società.<br />

Questo legame con la società emerge prepotentemente<br />

nel saggio mondadoriano del 1983: Il pensiero negativo<br />

e la nuova destra, che affronta il tema della violenza e<br />

della non violenza. In risposta alle profonde tensioni, che<br />

anche allora apparivano come crudo “scialo di morte”,<br />

proponeva la “violenza ermeneutica”<br />

come violenza<br />

dei significati di contro a<br />

quella delle armi: una violenza<br />

non violenta eppure<br />

efficace, agganciata alla<br />

kantiana ragione comune,<br />

vicina alla gente e al pensiero.<br />

Queste ricerche sulla prassi,<br />

che poi assumeranno i<br />

contorni di una vera filosofia<br />

del diritto, rientrano ben<br />

dentro la sua impostazione<br />

generale, che egli stesso<br />

esprime così: «Ho lavorato<br />

un ventennio per la parola<br />

di Dio e per la teoria del<br />

cielo. Vorrei dedicare ora<br />

un po’ del mio tempo e della<br />

appassionata fatica alla<br />

città dell’uomo e alla teoria<br />

della terra. Il lettore<br />

attento si accorgerà, peraltro,<br />

che la proiezione che<br />

radica il senso rimane quella<br />

teologica. Ma c’è una<br />

differenza, e non è da poco:<br />

prima era il mondo dell’<br />

“alto” (“totalmente altro”)<br />

che veniva proiettato su<br />

“questo mondo”, ora è vi-<br />

ceversa: la cosa, a ben guar-<br />

Karl Barth<br />

dare, è davvero sconvolgente,<br />

per questo venire in<br />

primo piano della dimora umana, giuridica e sociale;<br />

sconvolgente, se non nei risultati, almeno nella premura»<br />

(Prefazione a Negativismo giuridico, Urbino 1981 e<br />

ripresa tale e quale nella Prefazione a Filosofia della<br />

prassi, Brescia 1987). Pur avvertita come svolta, la<br />

filosofia del diritto rappresentava l’altra polarità del suo<br />

pensiero, che ne esprimeva la fedeltà al mondo. Considerando<br />

tutto il suo lungo itinerario di ricerca, spesse volte<br />

ne affermava il senso nella “duplice fedeltà”, appunto a<br />

Dio e al mondo, o anche pascalianamente nel «far professione<br />

dei due contrari», senza possibilità di una qualsiasi<br />

mediazione dialettica. Il punto di contatto, se doveva<br />

esserci, non poteva essere se non la presenza agonica di<br />

Dio nel mondo.


Di qui nasceva quella “spregiudicatezza” ermeneutica,<br />

con cui affrontava i temi della filosofia del diritto, per<br />

restituire al diritto un nuovo senso di dignità. Nella<br />

Filosofia della prassi, contro le tesi distruttive del negativismo<br />

giuridico, la rigenerazione di un senso viene<br />

perseguita nel recupero di idee-guida quali il principio<br />

femminile, preso nel suo senso categoriale, radicato nel<br />

mito di Antigone, di contro al maschilismo del diritto<br />

romano e cristiano, il concetto di natura e di diritto<br />

naturale, l’idea lockiana del diritto di resistenza e, infine,<br />

il nesso di diritto e rivoluzione.<br />

Tutte queste ricerche, e non solo queste, confluiscono nel<br />

volume L’ethos dell’Occidente (Genova 1991), dove<br />

emerge in tutte le sue drammatiche aporie il concetto di<br />

giustizia. Opera sinfonica, L’ethos dell’Occidente andrebbe<br />

letto come percorsi di pensiero (ce ne sono almeno<br />

tre) che si intersecano l’uno nell’altro e che descrivono<br />

il lungo travaglio dell’Occidente nel costruire la sua<br />

«civiltà del diritto». Qui non si può che tentare una<br />

presentazione schematica.<br />

Il primo itinerario è quello che ripercorre il dibattito sul<br />

binomio diritto e moralità, il secondo quello del concetto<br />

di giustizia quale problema centrale del diritto, il terzo del<br />

vir iustus per una possibilità di un ethos del futuro. Il<br />

primo si snoda attraverso tre momenti: la via antiqua, che<br />

elabora una visione del diritto sul concetto di natura, la<br />

seconda è la via modernorum, che lega il diritto alla<br />

volontà, al positum dell’uomo e, infine, la via perennis,<br />

pensata come orientamento, dove il fondamento del<br />

diritto è costituito dall’idea di giustizia. Su questa idea<br />

s’incentra il discorso e si compie la svolta: «La giustizia<br />

è la gloria del diritto. Questo va ascoltato come il detto<br />

dell’Occidente, il suo portento, l’anima del suo ethos»<br />

(L’ethos dell’Occidente, cit., p. 23). Ma qui è anche la<br />

vera Crux del pensiero: giustizia in che senso?<br />

Con questa domanda parte il secondo itinerario, dal<br />

pensiero pre-platonico, dove la giustizia in senso mitologico<br />

si muta nel senso ontologico, a quello di Platone e<br />

Aristotele, privilegiando questi che sa vedere la giustizia<br />

nella prassi e nel movimento piuttosto che nella stasi o<br />

nella memoria dell’origine, per giungere a quello che va<br />

dagli stoici ai nostri giorni e che è chiamato la “cultura<br />

delle tracce”.<br />

A questo punto avviene il passaggio centrale: il concetto<br />

di giustizia s’incaglia, soprattutto quando deve determinare<br />

il suum; esso mette in evidenza la precarietà del<br />

concetto, per cui occorre passare alla realtà storica: dalla<br />

giustizia all’uomo giusto: «al posto dei traballamenti<br />

dell’idea di giustizia alla vivente realtà dell’uomo giusto»<br />

(ibid., p. 444). Ma senza cadere nell’irrazionale e<br />

con una nuova domanda che acquista uno spessore più<br />

profondo: quale ethos è maxime pro nobis, capace di<br />

vincere le categorie della distruzione, l’ «impossibilità<br />

collettiva di amore», e capace di un futuro dal volto<br />

umano? E di nuovo anche qui un itinerario, che va dal<br />

nomos greco alla torah ebraica e alla iustitia cristiana. Il<br />

vir iustus, capace di aprire un futuro, prima viene tratteggiato<br />

attraverso l’analisi del libro XIX del De civitate Dei<br />

e infine precisato con Levinas nella tematica dell’altro e<br />

del volto.<br />

Non sta a noi decidere del valore di quest’opera; possia-<br />

PROFILO<br />

mo solo affermarne il significato, almeno a livello intenzionale,<br />

in due contributi importanti. Il primo consiste<br />

nella coscienza di dare nuova dignità scientifica e accademica<br />

alla filosofia del diritto, che fin dagli anni ’80 gli<br />

appariva alquanto decaduta per gli attacchi del negativismo<br />

giuridico, che inseriva nel contesto più vasto del<br />

nichilismo. Questa scientificità viene fissata nello statuto,<br />

aristotelicamente inteso, di filosofia seconda, dove<br />

l’oggetto non è pensato, ma offerto e dato dalla storia, «le<br />

enormi masse di vita giuridica», per cui va solo riconosciuto.<br />

Se l’oggetto sta nell’articolazione dei temi forti<br />

del diritto, quelli stessi affrontati nelle opere, il suo<br />

metodo non può essere che quello ermeneutico. La filosofia<br />

del diritto ha formalmente lo stesso statuto della<br />

filosofia della religione. Questo intento epistemologico è<br />

presente fin dall’inizio di queste ricerche. Il saggio: La<br />

filosofia del diritto come ermeneutica (in “Hermeneutica”,<br />

1, 1981, pp. 9-45), prende avvio dall’analisi di quella<br />

«malattia mortale» che non permette alla filosofia del<br />

diritto di «raggiungere la sua essenza» e presenta l’ermeneutica<br />

come la sua vera struttura metodologica. Non era<br />

il primo ad applicare l’ermeneutica al diritto: lo aveva già<br />

fatto, in Italia, E. Betti; ma a differenza di questi ancora<br />

legato allo storicismo diltheyano, riprendeva i momenti<br />

strutturali dell’ermeneutica elaborati da Heidegger, Gadamer<br />

e Ricoeur, quali la<br />

Sulla Filosofia linguisticità del dato, la<br />

del diritto<br />

precomprensione dottri-<br />

di Italo Mancini nale, la decisione per il<br />

significato, applicandoli al<br />

di Francesco<br />

mondo del diritto.<br />

Saverio Festa<br />

Il secondo contributo va<br />

solo indicato, non spiegato:<br />

la coscienza della necessità<br />

e urgenza di queste<br />

ricerche come personale<br />

apporto di pensiero<br />

per una reale convivenza umana pacifica, cioè per una<br />

«fraternità senza terrore» da costruire con gli uomini.<br />

<strong>11</strong><br />

«Quanto a me, se potranno essere vissuti gli anni ’80,<br />

vorrei accentuare l’aspetto politico, giuridico e sociale di<br />

quanto sinora ho pensato». Questo annunciava, in un’intervista<br />

del 1983, Italo Mancini quasi a riprova che per lui<br />

non è data una «fedeltà al cielo», al senso paradossale di<br />

Dio, senza una «fedeltà alla terra». Tale “doppia fedeltà”<br />

acquista significato sin dalla tesi fondamentale del suo<br />

Filosofia della religione (Roma 1968): il punto di partenza<br />

è la Rivelazione, non la ragione, a pena di votarsi allo<br />

scacco del deismo, o di decadere in una mera “compromissione”<br />

della religione coi bisogni quotidiani dell’uomo,<br />

ossia in quelle «forme antropocentriche che giocano<br />

esclusivamente sul far dell’uomo, escludendo la radicale<br />

perturbazione di un originario Gedanke an Gott».<br />

Pensatore senza dogmi, ma rigoroso interprete del metodo<br />

ermeneutico quale indilazionabile «bisogno della<br />

ragione», Mancini, nell’evolversi del suo pensare dall’attenzione<br />

al “totalmente altro” alle infinite valenze del<br />

concreto, tenta di operare, nella prospettiva a lui cara dei<br />

“doppi pensieri”, una sorta di «strategia dei due tempi».<br />

Dapprima, barthianamente, ri-definiva l’impossibilità di


ogni corrispondenza tra piano del divino e piano dell’umano,<br />

sì da spezzare alla radice ogni residuo conato di<br />

“teodicea”; poi ha tentato di sciogliere l’aporia barthiana:<br />

come può mai agire nel mondo un cristiano, gettando<br />

semi della iustitia Dei (Paolo) senza incappare nel Kurzschluss<br />

del voler, a tutti i costi, far valere l’identità di<br />

valori teologici e valori terreni, l’idolatria di voler, quasi,<br />

misurare Dio? Come rifuggire l’inautentico «inginocchiarsi<br />

davanti a tutti gli idoli», alla ricerca di un «Dio<br />

tappabuchi», come aveva scritto Bonhoeffer?<br />

Se mi è permesso dir così, Mancini ha tentato di coniugare<br />

Barth con Bonhoeffer; e dopo aver gettato le basi di una<br />

“epistemologia kerygmatica”,<br />

ha deciso, quasi a non<br />

voler restare nel vago, di<br />

“passare al setaccio” in volumi<br />

di «dimensioni jaspersiane»<br />

(Martini) tutto quello<br />

che l’Occidente ha prodotto,<br />

nel corso della storia,<br />

in forme politico-giuridiche<br />

istituzionali. Ma prima<br />

di dar vita a tal “epistemologia<br />

giuridica”, ha pensato<br />

bene di delineare le<br />

linee delle due maggiori<br />

ideologie “pratiche” del<br />

Novecento, commisurandole<br />

col suo “Novecento<br />

teologico” d’ispirazione<br />

evangelica: quella marxista<br />

da una lato, e quella del<br />

“pensiero negativo” della<br />

destra, dall’altro. Ha scritto<br />

in Filosofia della prassi<br />

(Brescia 1986): «Marx risolve<br />

non religiosamente i<br />

problemi che sono propri<br />

della religione...direi che in<br />

Marx c’è una soteriologia<br />

senza cristologia...per questo,<br />

non mi sentirei di escluderlo,<br />

magari come abitatore<br />

eretico, dell’area ebrai-<br />

co-cristiana...». Ma mentre<br />

il marxismo sembra porsi<br />

quasi come una «religione<br />

dell’al di qua» (Korsch), ripiena di «senso del futuro»,<br />

esiste, invece, una concretizzazione novecentesca dell’«immane<br />

potenza del negativo», quasi una negazione<br />

vivente di ogni «giustizia per il creato»: è quella linea di<br />

pensiero che Mancini non esita a definire «masochismo<br />

logico o posizione masochistica da parte della logica<br />

stessa», identificante «il fine con la fine, col tramonto<br />

definitivo di quello che fu l’Occidente». Movendosi da<br />

questo volgersi da Spengler sino alla legge di una politica<br />

intesa da Carl Schmitt «come nesso essenziale ed inestinguibile<br />

di amico-nemico», Mancini ha, quindi, avviato<br />

un’analitica riflessione delle forme del “negativismo<br />

giuridico”, attraverso cui «s’incanala verso il vivere<br />

concreto l’intero ciclo del pensiero negativo». All’analisi<br />

PROFILO<br />

12<br />

delle quattro forme tipiche di tale «negazione dell’essenza<br />

giuridica», identificate dall’espressione classica dell’asse<br />

Hobbes-Carl Schmitt: Auctoritas, non veritas,<br />

facit legem, Mancini contrappone «quattro forme del<br />

contromovimento alternativo»: dal «principio femminile»,<br />

quale categoria alternativa nel diritto, al «diritto di<br />

resistenza» ed al «diritto alla rivoluzione», forme entrambe<br />

legate «alle ragioni, alle lotte ed ai progressi»<br />

della “società civile”, che, da Hegel in poi, sola può ridar<br />

senso ad un diritto non-altro dall’ethos delle genti. Dopo<br />

un’articolazione propriamente “speculativa” come «futuro<br />

del senso», confortata dai referenti teologico-linguistico-sociologici<br />

di Teologia,<br />

Ideologia, Utopia (Brescia<br />

1974), ora è necessario<br />

studiare come far coesistere<br />

nel mondo vita giuridica<br />

e vita morale, per sfuggire<br />

alla «logica della disgregazione»<br />

del “pensiero negativo”,<br />

con tanto scialo di<br />

morte causato dalle categorie<br />

della distruzione, partorite<br />

dall’Occidente». Solo<br />

dal recupero della radice<br />

morale del diritto si potrà<br />

tentar di «dare al futuro una<br />

organizzazione politica<br />

concreta»: un «senso del<br />

futuro»!<br />

E’ il percorso de L’ethos<br />

dell’Occidente (Genova<br />

1991), un grande affresco<br />

delle forme della cultura<br />

occidentale, ove è viva<br />

l’esigenza della fondazione<br />

della norma e del significato<br />

dell’agire dell’uomo.<br />

Se la via antiqua era contrassegnatadall’inscindibile<br />

nesso di verità e legge,<br />

che proprio l’età moderna<br />

dilapida sul sentiero del dominio<br />

dell’Io («ha fatto del-<br />

l’Io il centro di tutto»), è<br />

Ernst Bloch<br />

Carl Schmitt a leggere il<br />

classico nomos basileus<br />

non più nel senso del primato della norma, del diritto, ma<br />

in quello del primato del sovrano, cui solo spetta la<br />

decisione: il re è nomos. Pur se contro Hobbes si era<br />

venuto sviluppando un sapere quale «riserva critica che<br />

deve contrastare ed aver diffidenza di fronte al potere»,<br />

nelle forme del “diritto di resistenza”, da Althusius e<br />

Locke fino a Bonhoeffer, o delle “libertà di penna”<br />

(Kant), Carl Schmitt riesce a riproporre, a coronamento<br />

del “pensiero negativo”, il primato dell’ Auctoritas in<br />

quanto il nomos non avrà più l’ampiezza dell’ethos, al cui<br />

interno «si è aperta, alla maniera d’Antigone, una voragine»<br />

fra ciò che è giusto secondo natura e ciò che è giusto<br />

secondo la legge; e intanto «le catene di Hobbes sono rese<br />

più ferree da Heidegger»: «torna la frustrazione di ogni


meta che trasformi il mondo».<br />

«Se il nomos, imbarbarendosi, ha finito per impersonarsi<br />

nel rex, pure la torah attendeva di incarnarsi in un<br />

Messia», e qui Mancini, perché avvenga «un capovolgimento<br />

dei termini essere ed io in quelli dell’altro, del tu,<br />

del volto» (Tornino i volti, Genova 1989), ritiene possibile<br />

uno spazio per la iustitia Dei (Paolo) solo a patto che<br />

«l’evento fondatore di comunità» vada oltre il nesso<br />

greco di nomos-polis e quello ebraico di torah-popolo<br />

eletto: «organizzare un fronte di lotta per il significato»<br />

di un ideale “cosmo-polita” del prossimo. Occorre superare<br />

il limite veterotestamentario di una comunità di soli<br />

osservanti della torah, come pure l’ambigua, odierna<br />

“prossimità” all’essere e a Dio, che impedisce, pur dopo<br />

l’irrompere nella storia del Verbo giovanneo, osserva<br />

Mancini, di amare l’uomo «per il suo essere semplicemente<br />

uomo». Dopo i cicli di dominio dell’essere e<br />

dell’io, per evitare ogni riduzionismo del diritto a mero<br />

“sistema di regole”, occorre ripristinare un’idea di giustizia<br />

quale ethos del futuro. Per superare la “sterilità<br />

assiologica” dell’etico-politico (un mero Ideenkleid, vestito<br />

di idee), si deve insistere «sulla differenza, sull’altro,<br />

sul diverso», «se si vuole che la logica dell’esserecon<br />

(mit-sein) prenda il sopravvento su quella dell’essere-presso».<br />

E’ una forma alta di “Cristianesimo aperto”<br />

quella manciniana, che, pur con esplicito debito lévinasiano,<br />

intende, attraverso un personalissimo «venerdì<br />

santo speculativo», ripristinare il valore fondamentale<br />

della Ri-conciliazione, e della Pace, esaltando, però, le<br />

differenze contro ogni sorta di “titanismo di sintesi”. Al<br />

di là dei cattolicismi della presenza e della mediazione,<br />

l’ethos del futuro è il paradosso del Cristo quale amore<br />

dis-interessato per il prossimo. Qui, scrive nelle pagine<br />

conclusive, gli par che possano «confluire la lunga stagione<br />

si studi di filosofia della religione ed una altrettanto<br />

lunga, e con questo studio la vorrei concludere, stagione<br />

di studi di filosofia del dirit-<br />

Il neoclassicismo to; la fedeltà a Dio e la fedel-<br />

etico di Italo tà alla terra». Ne emerge<br />

Mancini<br />

l’incancellabile ricordo di<br />

un uomo teso, barthiana-<br />

di Piergiorgio mente, «nello sforzo di vi-<br />

Grassi<br />

vere con in una mano la<br />

Bibbia e nell’altra il giornale»,<br />

avendo egli ben compreso<br />

che il sogno di una<br />

cosa è realizzabile solo nel<br />

«dismettere i panni accademici»<br />

e nel «vestire il mantello del profeta, che in certe<br />

epoche - soleva dire - fu anche il vestito dei filosofi...per<br />

tentare d’alleggerire la terra».<br />

Come filosofo del diritto, per tutti gli anni Ottanta,<br />

Mancini si è confrontato con il negativismo giuridico,<br />

con il rifiuto vastamente diffuso, anche se diversamente<br />

motivato, di conferire valore fondativo agli strumenti del<br />

mondo del diritto. Lo ha fatto in primo luogo con Filosofia<br />

della prassi (Brescia 1986), dove ha cercato di creare<br />

un contromovimento capace di dare un senso alla civiltà<br />

del diritto, di «rimettere in piedi e in ordine uno strumento<br />

antico come la civiltà», dando voce e attualizzando falde<br />

PROFILO<br />

13<br />

del pensiero giuridico e morale messe ai margini e<br />

ghettizzate dalla cultura ufficiale, «crocefisse dalle ragioni<br />

dell’imperialismo culturale». Ha così recuperato il<br />

“principio femminile” come categoria alternativa del<br />

diritto, ritenuta idonea a introdurre un’ispirazione che dia<br />

spazio all’equità, alla logica del corpo e della terra, in<br />

contrapposizione a «perfettismi astratti» e «a blocchi<br />

normativi che scendono implacabili dall’alto». Un analogo<br />

recupero lo ha fatto nei confronti del diritto di natura,<br />

nella pluralità dei sensi che l’espressione ha acquisito<br />

nella riflessione di Aristotele, nella tradizione cristiana,<br />

nel moderno razionalismo, condividendo la tesi di Bloch<br />

che ha legato il diritto di natura con l’affermazione della<br />

dignità dell’uomo.<br />

Il diritto di resistenza e la dichiarazione del nesso tra<br />

diritto e rivoluzione sono, per Mancini, due altre grandi<br />

idee capaci di rigenerare il diritto. Con la prima, a partire<br />

da Locke, si è sempre sottolineata la necessità della<br />

ripresa dell’autonomia individuale e di gruppo di fronte<br />

a ordinamenti civili dispotici e totalitari. Con la seconda<br />

idea si è inteso fare i conti con le ragioni, le lotte e i<br />

progressi della società civile. L’aporia che sorge inevitabilmente<br />

quando si vuole dare senso a qualcosa che possa<br />

essere detto diritto di rivoluzione - il concetto di legalità<br />

che intende conservare l’esistente si oppone al concetto<br />

di rivoluzione che intende sovvertire per instaurarne uno<br />

nuovo - è affrontata guardando il fenomeno giuridico<br />

nella sua sostanzialità (non più dunque alla ricerca del<br />

nesso puramente formale dell’eventuale rapporto normativo<br />

fra diritto e rivoluzione) e individuando lo spazio<br />

naturale del diritto nella società civile e non più nello<br />

Stato. Il diritto raggiunge così il massimo della sua<br />

positività, assumendo in maniera spregiudicata le lotte<br />

inevitabilmente presenti nella società civile.<br />

E sempre nell’ambito del confronto con il pensiero negativo,<br />

con L’ethos dell’Occidente (Genova 1990), Mancini<br />

ha affrontato la questione della possibilità di un effettivo<br />

coesistere di vita morale e vita giuridica, contestando<br />

la dichiarazione, proveniente da più parti, che lo stesso<br />

porre la questione sia illegittimo, data l’insignificanza di<br />

rotture, come quelle che contrappongono bene e male,<br />

natura e contro-natura, bello e brutto; rotture che sono<br />

state per secoli l’anima della cultura occidentale. Nell’indagare<br />

quale e quanta moralità comporti e permetta il<br />

diritto, Mancini non si è rifatto ad un metadiritto astratto,<br />

ad un diritto naturale come forma di legge a parte o di<br />

sistema a sé, paventando il rischio di rendere non significative<br />

le masse di vita giuridica presenti nella storia.<br />

Oggetto di indagine è stato invece il diritto storico, lo jus<br />

positum che circola nei tribunali, nelle aule universitarie,<br />

nelle sedi legislative e che dà origine alle istituzioni<br />

attuali, il cui fondamento sta nell’idea di giustizia «vero<br />

portento e anima dell’ethos dell’Occidente», che non va<br />

considerata in maniera puramente formale (giustizia come<br />

produzione di eguaglianza, con il dare a ciascuno in parti<br />

eguali), ma nella sua ipotiposi, nell’agire cioè dell’uomo<br />

giusto o nella «giustizia vivente», per usare un’azzeccata<br />

definizione di Aristotele.<br />

Le pagine del libro XIX del De Civitate Dei sono esemplari,<br />

per Mancini, in quanto indicative delle linee solutive<br />

che riguardano «la giustizia dell’uomo giusto», sen-


za seguire la strada delle definizioni astratte e dei programmi<br />

normativi. Le cose dell’uomo sono trattate da<br />

Agostino come misura della prassi e della liberazione<br />

storica, non come «irrelati aspetti della teoria, ma come<br />

vitali aspetti della sotería». Il senso forte della fedeltà a<br />

Dio e della fedeltà alla terra si manifesta in Agostino con<br />

la premurosa attenzione ai bisogni elementari e universali<br />

dell’uomo, con una concezione della virtù e del bene<br />

che si allarga dalla casa, alla città, al mondo. E forte è la<br />

rivendicazione della pace come struttura della realtà tutta<br />

(non solo umana), come potenza latente e per questo<br />

posta come legge di natura e come dovere emergente<br />

dalla natura stessa.<br />

Questa linea interpretativa comporta il sorgere di un’altra<br />

questione, giacché il soggetto uomo che si muove e opera<br />

non può non avere la preoccupazione del «se è e se va nel<br />

senso giusto», se «ogni sua azione possa essere ricondotta<br />

criticamente al suo intendimento globale». E’ la questione<br />

dell’ethos del futuro che sconfigga le categorie<br />

della distruzione e superi i limiti della politica praticata e<br />

definita (da Carl Schmitt) come lotta tra amico e nemico,<br />

categoria essenziale e perenne della guerra, riscrittura<br />

della politica con altre lettere. La delineazione di questo<br />

orizzonte avviene riesaminando tre parole del passato,<br />

«espressione di grandi mondi di cultura, di fede e di<br />

ordinamenti», viste in connessione tra loro e nella prospettiva,<br />

che agisce anche criticamente su di essi, di un<br />

futuro inteso come novità assoluta, una patria sempre<br />

intravista e mai ancora posseduta, per dirla con Bloch. Le<br />

tre parole sono l’ideale greco del nomos, la torah ebraica,<br />

Italo Mancini: condizioni per<br />

biografia<br />

il sorgere di un<br />

intellettuale ethos del futuroprodutto-<br />

di<br />

re di riconci-<br />

Tommaso La Rocca<br />

liazione. La<br />

riconciliazione<br />

è, per Mancini,<br />

«la formula<br />

della pace». La prospettiva solo<br />

apparentemente si allontana dai territori<br />

dei precedenti studi e risultati di<br />

filosofia della religione: la proiezione<br />

che radica il senso è sempre quella<br />

teologica, anche se - come Mancini<br />

amava ripetere - la differenza non è di<br />

poco conto: «prima era il mondo<br />

dell’alto (“totalmente altro”) che veniva<br />

proiettato su questo mondo, ora<br />

è viceversa». In primo piano è ora la<br />

città dell’uomo nella sua dimensione<br />

giuridica e sociale.<br />

Italo Mancini è scomparso il 7 gennaio<br />

<strong>1993</strong>. Era nato a Urbino il 4 marzo 1925 da<br />

padre minatore e madre contadina. Egli<br />

stesso, una volta divenuto prete e docente<br />

universitario, ci teneva a rivendicare questa<br />

umile origine: «debbo a questi due<br />

onesti e umili genitori la scelta di campo,<br />

quella del sangue plebeo e contadino, il<br />

campo della gente che lavora, crea e così<br />

muove la storia» (da Cristianesimo e cultu-<br />

PROFILO<br />

ra, una lunga intervista autobiografica in<br />

cui Mancini ripercorre le tappe fondamentali<br />

della propria vicenda intellettuale. A<br />

questo testo si riferiranno anche le successive<br />

citazioni).<br />

Si forma all’Università Cattolica di Milano,<br />

alla scuola di Gustavo Bontadini ed a<br />

contatto diretto con Amato Masnovo, Francesco<br />

Olgiati, Agostino Gemelli, Mario<br />

Casotti e Giorgio Zunini; al tempo in cui<br />

nell’amica e rivale Università Statale operavano<br />

altri pensatori di prestigio: Antonio<br />

Banfi, Mario Dal Pra, Enzo Paci, Remo<br />

Cantoni.<br />

Alla Cattolica trascorre anche il suo primo<br />

decennio di impegno accademico come<br />

assistente e docente di Filosofia della Religione.<br />

Dalla seconda metà degli anni Sessanta<br />

viene chiamato da Carlo Bo all’Università<br />

di Urbino, dove insegna, prima,<br />

Filosofia della Religione e Storia del Cristianesimo,<br />

poi Filosofia Teoretica presso<br />

la Facoltà di Magistero e, negli ultimi anni<br />

Filosofia del Diritto presso la Facoltà di<br />

Giurisprudenza.<br />

❏ Al centro delle ricerche del periodo<br />

milanese ci sono due questioni principali:<br />

quella “ontologica” e quella del “linguaggio”,<br />

che troveranno sbocco nei volumi:<br />

Ontologia fondamentale. Linguaggio e salvezza<br />

e Filosofi esistenzialisti. <strong>Studi</strong> puramente<br />

teoretici e legati alla dinamica delle<br />

filosofie e culture universitarie, maturate<br />

quindi in un contesto prevalentemente accademico.<br />

Tuttavia rimarranno elementi<br />

14<br />

la justitia Dei alla quale il kerygma cristiano affida la<br />

salvezza. Ebbene, questi tre segni sono fatti agire da<br />

Mancini in una nuova contestualizzazione.<br />

Se infatti nella storia dell’Occidente sono stati vissuti<br />

dapprima in relazione con l’ontologia, dominata dalla<br />

preoccupazione per l’universo e le sue impassibili leggi,<br />

e successivamente con l’ontologia, che pone l’enfasi sul<br />

conoscere e sulla sua pretesa di sottomettere tutto all’Io,<br />

non si può dire che i due cicli siano riusciti a sconfiggere<br />

la guerra e la logica del dominio. La nuova contestualizzazione<br />

dei grandi segni esige il primato dell’etica, dell’accoglienza<br />

della responsabilità di fronte al volto degli<br />

altri. Questo tema, che Mancini esprime sottolineando<br />

con forza l’urgenza della sostituzione dell’essere-presso<br />

con quella dell’essere-con, alimentato dall’incessante<br />

ricerca delle condizioni che rendono effettiva la comunità<br />

degli uomini, richiama esplicitamente la riflessione di<br />

Emanuel Lévinas in Totalità e infinito, che Mancini ha<br />

assunto come indicatore di una strada possibile, capace<br />

di fondare una cultura della pace dopo i cicli, come già si<br />

è detto, dell’essere e dell’Io, che sono stati all’insegna<br />

del detto eracliteo che polemos è padre di tutte le cose e<br />

che la vita della polis è definita dal contrasto di amiconemico.<br />

Considerato nella sua globalità, il discorso di Mancini<br />

come filosofo del diritto si configura come una forma<br />

particolare di neoclassicismo etico che vuole rimotivare<br />

persuasioni antiche, a cominciare da quella che nega<br />

possa darsi diritto senza radici morali. Una linea di<br />

pensiero rincorsa dalla speranza che si possano creare le<br />

importanti di precomprensione di tutto lo<br />

sviluppo ermeneutico ulteriore dei periodi<br />

successivi, contrassegnati, invece, da un<br />

forte impegno per la “questione pubblica”,<br />

religiosa e politica.<br />

❏ Le grandi vicende degli anni Sessanta,<br />

soprattutto il Concilio Vaticano II e le lotte<br />

studentesche, incidono infatti profondamente<br />

sullo sviluppo anche del suo pensiero<br />

filosofico. Il nuovo contesto religioso e<br />

politico culturale operò in lui, come in<br />

molti altri intellettuali dell’epoca, una sorta<br />

di humiano “risveglio” dal sonno dogmatico.<br />

Lo si avverte subito nell’elaborazione<br />

della sua filosofia della religione, esibita<br />

come ermeneutica del kerygma, cioè del<br />

dato della rivelazione, preso nella sua «quadruplice<br />

forma biblica di parola, evento<br />

fondatore, comunità e comandamento»:<br />

come ermeneutica di quel dato storico che<br />

Mancini soleva indicare con la nota espressione<br />

mutuata da Dilthey: «le enormi masse<br />

di vita religiosa». Filosofia della religione<br />

intesa come «interpretazione nuova della<br />

trascendenza con una precisa caratterizzazione<br />

politica», come ermeneutica del<br />

fatto religioso, inteso non solo come una<br />

“teoria”, ma anche e soprattutto come una<br />

“soteria”, dottrina di salvezza. E se ne ha<br />

conferma immediatamente dopo nel tentativo,<br />

nuovo e coraggioso per quei tempi, di<br />

allargare l’area culturale ermeneutica in<br />

campo teologico, andando al confronto con<br />

la teologia protestante di Barth, Bultmann<br />

e Bonhoeffer, e con quella contemporanea


del secondo dopoguerra (Metz, Pannenberg,<br />

Moltmann), pur senza dimenticare le<br />

teologie contrapposte di Lutero e Muntzer.<br />

La predilezione per Barth si accompagna,<br />

in lui, ad una non celata identificazione con<br />

la figura e il pensiero di Bonhoeffer. A<br />

documentazione di quest’orientamento di<br />

pensiero restano le opere: Filosofia della<br />

religione, Bonhoeffer, Kerygma, Teologia<br />

controversa, Barth, Bultmann, Bonhoeffer,<br />

a cui più tardi si aggiungerà Novecento<br />

teologico.<br />

❏ Gli anni Settanta sono contrassegnati<br />

soprattutto dalla stagione di studi sul confronto<br />

del cristianesimo con le forme attuali<br />

del pensiero: radicalismo, pensiero negativo,<br />

ecologia, cibernetica e, soprattutto,<br />

marxismo, pur senza trascurare il confronto<br />

con le forme classiche, in particolare la<br />

filosofia di Kant, Leibniz, Locke ed altri (si<br />

veda: Grandi ipotesi, I, II, III; Guida alla<br />

critica della ragion pura, I, II; Kant e la<br />

teologia). L’interesse maggiore era concentrato<br />

sulla posizione “sostanziale” del<br />

marxismo di fronte alla religione. In un<br />

momento in cui molti dibattevano di questo<br />

tema in maniera piuttosto banale e superficiale,<br />

preoccupati principalmente della ricaduta<br />

politica della discussione, Mancini<br />

tentò di andare all’origine e ai fondamenti<br />

della critica di Marx e di altri pensatori<br />

classici riguardo alla religione, privilegiando<br />

quella “corrente calda” del pensiero<br />

marxista indicata da Ernst Bloch, a partire<br />

dall’umanesimo del giovane Marx. E da<br />

Bloch stesso Italo Mancini assume la chiave<br />

di lettura dell’intero sviluppo della critica<br />

marxista della religione: il concetto<br />

dialettico di religione, sospeso tra i due poli<br />

dell’ideologia e dell’utopia rivoluzionaria,<br />

di cui è simbolo eminente Thomas Muntzer.<br />

In merito, egli forse ha scritto e pubbli-<br />

potevano incontrarlo indifferentemente<br />

nello studio dell’Università o a casa, fermarlo<br />

per strada o al bar e conversare<br />

liberamente. Aveva aperto la sua biblioteca<br />

privata agli studenti che numerosi, giornalmente,<br />

vi andavano, trovandovi non solo i<br />

libri, ma anche la persona disposta a suggerire<br />

un indirizzo e a dare un consiglio. I suoi<br />

rapporti con i propri collaboratori erano<br />

quelli del “maestro” che sapeva ad un tempo<br />

guidare, spronare, incoraggiare ed insieme<br />

comunicare affetto ed amicizia. Di<br />

questi ed altri tratti della personalità umana<br />

di Italo Mancini si potranno avere maggiori<br />

e migliori conoscenze quando saranno pubblicate<br />

le pagine di un diario che egli stesso<br />

ha rivelato di aver tenuto, scrivendo «nelle<br />

ore perdute, nei ritagli di tempo, magari in<br />

viaggio su un treno».<br />

La bibliografia di Italo Mancini, dal primo<br />

scritto del 1950 all’ultima opera rimasta<br />

incompiuta ed inedita, a cui egli avrebbe<br />

voluto dare il titolo Frammento su Dio,<br />

comprende circa 400 titoli.<br />

Qui si riportano solo i titoli dei volumi<br />

pubblicati nell’arco del quarantennio della<br />

sua attività scientifica.<br />

PROFILO<br />

cato molto meno di quanto avesse letto e<br />

studiato. Ma quanto ci ha lasciato resterà<br />

sicuramente un punto di riferimento o comunque<br />

di passaggio obbligato per i futuri<br />

studiosi di questa problematica nel pensiero<br />

filosofico del secondo dopoguerra. Le<br />

opere più rappresentative di questo periodo<br />

sono: Teologia, Ideologia, Utopia; Futuro<br />

dell’uomo e spazio per l’invocazione; Con<br />

quale comunismo; Con quale Cristianesmo;<br />

Fede e cultura; Come continuare a<br />

credere.<br />

❏ Nell’ultimo decennio, gli anni Ottanta,<br />

Mancini è approdato a un discorso filosofico<br />

che coniuga sempre più decisamente il<br />

proprio interesse filosofico e teologico con<br />

le tematiche dell’etica e della prassi, del<br />

diritto e della società civile e politica. Uno<br />

sbocco naturale della sua ricerca che, fin<br />

dagli inizi, s’era prefisso di combinare lo<br />

«studio del mondo di Dio» con lo «studio<br />

del mondo dell’uomo». Mancini dava testimonianza<br />

così di quella che egli, a proposito<br />

del proprio atteggiamento nei confronti<br />

della cultura e della vita, soleva chiamare<br />

la “doppia fedeltà”: a Dio e alla laicità<br />

del mondo. Un nuovo allargamento del<br />

campo di indagine che impegna Mancini<br />

non solo nello studio delle forme e dei temi<br />

centrali della storia del diritto occidentale,<br />

ma anche nella ricerca delle loro possibilità<br />

di sviluppo per il futuro dell’uomo, in tentativi<br />

di nuove «spedizioni verso le terre<br />

del non-ancora, utopia, speranza». Appartengono<br />

a quest’ultima stagione: Negativismo<br />

giuridico; Filosofia della prassi;<br />

L’ethos dell’Occidente; Diritto e società.<br />

❏ Segno tangibile dell’opera di Italo Mancini<br />

- oltre alla specializzatissima biblioteca<br />

personale, ricca di circa dodicimila titoli<br />

catalogati - è rimasto anche e soprattutto<br />

l’Istituto Superiore di Scienze Religiose<br />

Bibliografia delle opere in volume<br />

Ontologia fondamentale, La Scuola, Brescia 1958.<br />

Il giovane Rosmini. La metafisica inedita,<br />

Argalia, Urbino 1963.<br />

Filosofi esistenzialisti (Heidegger, Marcel,<br />

Whal, Gilson, Lotz), Argalia, Urbino 1964.<br />

Linguaggio e salvezza,<br />

Vita e Pensiero, Milano 1964.<br />

Filosofia della religione,<br />

Abete, Roma 1968<br />

(2.a ediz. 1978; 3a ediz. Marietti, Genova 1983).<br />

Bonhoeffer, Vallecchi, Firenze 1969.<br />

Kerygma, Argalia, Urbino 1970.<br />

Teologia controversa,<br />

Vita e Pensiero, Milano 1970.<br />

Barth, Bultmann, Bonhoeffer:<br />

novecento teologico, Celuc, Milano 1971.<br />

Teologia, Ideologia, Utopia,<br />

Queriniana, Brescia 1974.<br />

Grandi ipotesi. I: Figure teoretiche<br />

15<br />

dell’Università di Urbino, voluto da lui e<br />

condiviso da Carlo Bo, progettato nel periodo<br />

a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta<br />

ed operante, dalla metà degli anni Settanta,<br />

con la duplice finalità scientifica di<br />

centro di ricerca, documentazione, analisi<br />

e riflessione, e formativa di scuola di preparazione<br />

dei professori di religione. In<br />

realtà il significato della fondazione di quest’Istituto<br />

andava oltre. Fu un fatto di portata<br />

storica. Significò il primo tentativo di<br />

introdurre la teologia nell’Università italiana,<br />

rimastavi interdetta per più di un<br />

secolo e mezzo - a differenza di altri paesi<br />

europei - in parte, a motivo della insensibilità,<br />

del disinteresse o, addirittura, dell’opposizione<br />

miope della cultura laica e forse,<br />

in parte, per l’eccessiva preoccupazione<br />

dell’episcopato italiano di tenere sotto il<br />

proprio controllo e gestione la ricerca e il<br />

dibattito in campo teologico.<br />

Accanto a questo insonne impegno di studioso,<br />

Italo Mancini ha vissuto sino in<br />

fondo anche la propria vocazione di prete,<br />

a servizio della propria comunità. Le omelie<br />

della domenica, che Carlo Bo - suo<br />

assiduo uditore - ha definito, per serietà di<br />

impegno e ricchezza di contenuti, una continuazione,<br />

nel Duomo di Urbino, delle<br />

lezioni universitarie, erano diventate un<br />

appuntamento importante per molti credenti;<br />

come pure le conversazioni radiofoniche<br />

mattutine su argomenti spirituali (ora<br />

disponibili anche nel volume Le tre follie)<br />

che egli tenne quotidianamente per un certo<br />

periodo alla RAI.<br />

Oltre alla competenza e alla serietà scientifica,<br />

chi accostava Italo Mancini poteva,<br />

inoltre, apprezzare di lui anche una forte<br />

carica di umanità e la disponibilità a servizio<br />

degli altri, gli studenti in prima fila, che<br />

della filosofia greca e medioevale.<br />

Guida storiografica. II: Introduzione<br />

alla filosofia di Leibniz; John Locke<br />

(in collaborazione con G. Ripanti),<br />

Vita e Pensiero, Milano 1974, 1975, 1976.<br />

Kant e la teologia, Cittadella, Assisi 1975.<br />

Futuro dell’uomo e spazio per l’invocazione,<br />

Astrogallo, Ancona 1975.<br />

Con quale comunismo, La Locusta, Vicenza<br />

1976.<br />

Novecento teologico, Vallecchi, Firenze 1977.<br />

Con quale cristianesimo, Coines, Roma 1978.<br />

Fede e cultura (con R. Ruggeri),<br />

Marietti, Torino 1979.<br />

Come continuare a credere, Rusconi, Milano<br />

1980.<br />

Negativismo giuridico, Quattro Venti, Urbino<br />

1981.<br />

Guida alla critica della ragion pura,<br />

vol. I. Quattro Venti, Urbino 1982.<br />

Il pensiero negativo e la nuova destra,


Credo che il fulcro della proposta filosofica<br />

di Karl-Otto Apel consista in quella etica<br />

della comunicazione che è al tempo stesso<br />

una grande proposta di civiltà e di democrazia,<br />

non soltanto una proposta di filosofia.<br />

Le radici e le basi del suo pensiero<br />

fanno riferimento a tanti autori, ma direi<br />

principalmente a Kant e all’americano<br />

Charles Sanders Peirce. Questa unione di<br />

pensiero trascendentale e di pensiero semiotico<br />

ha in Apel uno sviluppo molto<br />

originale, molto acuto e profondo; ma soprattutto<br />

molto importante in quanto individua<br />

nell’elemento trascendentale e nell’elemento<br />

del linguaggio della comunicazione<br />

e del segno i due capisaldi per una<br />

etica interplanetaria, nella quale possa riconoscersi<br />

ogni uomo di buona volontà.<br />

Quello di Apel, quindi, non è il tentativo di<br />

Nella mia<br />

lezione<br />

voglio trattare (in<br />

successione) i seguenti<br />

tre aspetti del problema<br />

indicato nel titolo.<br />

1. In primo luogo voglio<br />

mostrare il bisogno urgente<br />

di una macroetica che<br />

ritengo sia il nuovo prominente<br />

compito dell’etica filosofica<br />

del nostro tempo.<br />

2. Secondariamente evidenzierò<br />

e spiegherò le apparenti<br />

difficoltà che nelle<br />

ultime decadi, a livello di<br />

filosofia professionale (accademica),<br />

hanno suggerito<br />

che il problema di una<br />

fondazione razionale di una<br />

macroetica universalistica<br />

del genere umano non possa<br />

essere risolto o che sia<br />

addirittura un problema<br />

senza senso.<br />

3. In terzo luogo proverò a suggerire una possibile soluzione<br />

del problema dal punto di vista di una pragmatica<br />

trascendentale della comunicazione umana, o, più precisamente,<br />

del discorso argomentativo come forma riflessiva<br />

della comunicazione umana.<br />

In primo luogo dovrei spiegare che cosa intendo con<br />

macroetica del genere umano e perché, o a che riguardo,<br />

possa essere considerata una nuova caratteristica nello<br />

sviluppo storico dell’etica che dovrebbe corrispondere o<br />

rispondere a un nuovo stadio nell’evoluzione culturale<br />

dell’uomo.<br />

Penso ci siano pochi aspetti della civiltà contemporanea<br />

nei quali la strutturale non-contemporaneità (o il nonsincronismo)<br />

dei diversi settori dello sviluppo socioculturale<br />

sia più sorprendente che nella sfera della morale<br />

convenzionale, se ciò è comparato o confrontato con le<br />

attuali richieste di una comune e congiunta responsabilità<br />

per le conseguenze planetarie delle attività umane. La<br />

morale convenzionale in tutti i popoli o culture è ancora<br />

essenzialmente ristretta alle relazioni umane all’interno<br />

CONFERENZA<br />

contrapporre alla logica della scienza, alla<br />

logica della logica, un pensiero che si affidi<br />

a valori di tipo irrazionale, di tipo emotivo,<br />

di tipo sostanzialmente psicologico e individualistico;<br />

anzi, il suo tentativo è quello<br />

di gettare le basi di una trascendentalità<br />

dell’etica dell’uomo della scienza, dell’etica<br />

dell’uomo della tecnica, dell’etica di<br />

quell’uomo planetario che si sta realizzando<br />

tumultuosamente sotto i nostri occhi. Il<br />

tentativo di Apel è di individuare un fondamento<br />

indubitabile, logicamente consistente;<br />

in un’epoca in cui si ama prevalentemente<br />

sottolineare il non-fondamento, l’assenza<br />

di fondamento, Apel propone coraggiosamente<br />

e consapevolmente una filosofia<br />

del fondamento. Filosofia del fondamento<br />

etico - si badi bene - non filosofia del<br />

fondamento ontologico, del fondamento<br />

in collaborazione con<br />

il Goethe-Institut di Milano<br />

e l’Università degli <strong>Studi</strong> di Milano<br />

Il problema<br />

di una macroetica<br />

universalistica<br />

della co-responsabilità<br />

di Karl-Otto Apel<br />

con una nota introduttiva<br />

di Carlo Sini<br />

traduzione di Massimiliano Pagani<br />

16<br />

trascendentale nel senso kantiano, rinnovato<br />

attraverso le categorie della semiotica<br />

di Peirce. Questa proposta di Apel è stata<br />

discussa in tutto il mondo; ha avuto i suoi<br />

oppositori: sono note le affinità, ma anche<br />

le differenze, tra la posizione di Apel e per<br />

esempio quella di Habermas.<br />

Grazie all’opera organizzativa del Goethe<br />

Institut e dell’Università degli <strong>Studi</strong> di<br />

Milano, in questa sua conferenza, di cui<br />

presentiamo qui di seguito il testo di riferimento,<br />

elaborato per la pubblicazione, Apel<br />

ci presenterà la sua posizione. Una posizione<br />

che esige una presa di coscienza, una<br />

riflessione; certamente essa è uno dei più<br />

segni significativi della filosofia attuale,<br />

sia per la ricchezza dei suoi riferimenti, sia<br />

per l’importanza intrinseca delle tematiche<br />

che propone alla nostra riflessione.<br />

di piccoli gruppi o, al meglio,<br />

è ancora confinata all’adempimento<br />

di funzioni<br />

e doveri professionali all’interno<br />

di un sistema sociale<br />

di norme, p.e. all’interno<br />

di uno stato nazionale.<br />

Questi due livelli di<br />

moralità convenzionale<br />

possono essere chiamati rispettivamente<br />

una microetica<br />

e una mesoetica. E io<br />

vorrei mettere in evidenza<br />

che anche le usuali tensioni<br />

e i conflitti fra esigenze<br />

morali sono tuttora avvertiti<br />

e articolati come quelle<br />

di un antagonismo tra i livelli<br />

di micro- e mesoetica.<br />

Quindi, per esempio, le richieste<br />

dei ruoli e delle norme<br />

che sono definite da un<br />

sistema sociale (di legge e<br />

di ordine) impongono loro<br />

stesse e danno forma alle intime relazioni di simpatia,<br />

interesse e lealtà che costituiscono il legame sociale di<br />

piccoli gruppi, come sono le famiglie e i clan; e fino ad<br />

oggi hanno agito con il miglior esito nel caso di una<br />

mobilitazione di sentimenti nazionali o religiosi o quasireligiosi,<br />

per esempio in connessione con guerre o rivoluzioni.<br />

Come forme meno spettacolari, ma di solito<br />

sufficientemente efficaci, possiamo menzionare le norme<br />

di un sistema sociale sostenute dal pubblico consenso<br />

e da sanzioni legali. Ma accade anche di continuo in molti<br />

paesi che lo stato della legge e le norme morali del sistema<br />

sociale perdano la loro autorità ed efficacia. Allora le loro<br />

funzioni possono ritornare alle famiglie e ai clan quale<br />

conseguenza della corruzione generale, come nel caso<br />

del dominio della mafia.<br />

Ora, nel mezzo di queste persistenti caratteristiche delle<br />

morali convenzionali, cioè, tra tensioni e conflitti nelle<br />

esigenze della micro e della mesoetica, nuovi aspetti<br />

delle richieste morali sono emersi e si sono sviluppati<br />

nella società industriale del nostro secolo. Questi aspetti


non possono più essere compresi nei termini di categorie<br />

morali convenzionali, cioè né in quelli della lealtà microetica<br />

all’interno di piccoli gruppi, né in quelli delle norme<br />

meso-etiche di legge e ordine del sistema sociale.<br />

Questo può essere spiegato tramite il riferimento alle due<br />

direzioni dell’evoluzione culturale che possono essere<br />

delineate a partire dagli albori della civiltà umana, per<br />

esempio la rottura delle barriere dell’istinto animale che<br />

deve aver dato avvio al progressivo sviluppo delle istituzioni<br />

sociali e delle norme morali 1 . La direzione iniziale<br />

dell’evoluzione culturale dal punto zero, per così dire,<br />

può essere caratterizzata come la rottura , da parte dell’homo<br />

faber, dell’equilibrio naturale tra il mondo degli<br />

effetti causali delle azioni e il mondo dei gesti percettibili<br />

che potrebbero provocare quelle azioni all’interno del<br />

circolo retroattivo del comportamento animale 2 . Qualcuno<br />

potrebbe supporre che l’invenzione di arnesi e specialmente<br />

di armi, dovuta all’homo faber, cancelli definitivamente<br />

questo equilibrio aprendo una gamma di possibili<br />

conseguenze di azione che non erano possibili nella sfera<br />

del comportamento istintivo 3 .<br />

Perciò l’assassinio di Abele da parte di Caino o, in altre<br />

parole, il fenomeno della guerra, come opposto ai ristretti<br />

conflitti di animali, potrebbe essere spiegato dal crescere<br />

della causale efficacia delle azioni umane al di là degli<br />

scopi originali di quei gesti che precedentemente si<br />

appellavano a istinti inibiti. E questo sviluppo ultimamente<br />

ha portato all’invenzione di missili nucleari, i<br />

possibili effetti dei quali non possono neanche essere<br />

immaginati nei termini dell’originario mondo dell’uomo<br />

dei gesti percettibili che innescano i nostri sentimenti<br />

quasi-istintivi.<br />

Ora la necessità di controlli morali sulle azioni umane<br />

non più regolate dagli istinti poteva finora essere soddisfatta<br />

dallo sviluppo delle istituzioni sociali che costituiscono<br />

l’altra dimensione dello sviluppo culturale. Ciò<br />

significa che lo sviluppo di quei due campi d’azione delle<br />

morali convenzionali dei clan familiari e dello stato (di<br />

diritto) che ho chiamato gli stadi micro- e mesoetici ha<br />

tenuto testa fino ad ora alla sfida del costante sviluppo<br />

della gamma di efficacia delle azioni umane dell’homo<br />

faber. Alcuni antropologi o filosofi antropologici hanno<br />

suggerito anche che il tipo di istituzioni e di morali<br />

convenzionali che ho delineato possano essere considerate<br />

come l’analogo definitivo ed equivalente degli istinti<br />

animali a livello di civiltà umana; e da questa premessa<br />

essi hanno talvolta tratto la conclusione che tutte le<br />

indagini sulle istituzioni e le convenzioni contingenti,<br />

proprie dello spirito di una ricerca razionale, debbano<br />

essere intese come tendenze pericolose e patologiche<br />

dello sviluppo culturale. 4 Perciò anche la guerra può<br />

essere considerata un’istituzione atta a risolvere i conflitti<br />

e a ridistribuire lo spazio abitabile (Lebensraum) e le<br />

risorse a livello di mesoetica degli stati nazionali.<br />

Ma penso che questo modo di guardare alla situazione<br />

planetaria dell’umanità sia giunto al termine in questo<br />

secolo per almeno due ragioni:<br />

1. Lo stesso sviluppo delle istituzioni sociali ha superato<br />

lo stadio nel quale la regolazione delle interazioni umane<br />

può trovare la sua forma più integrativa e la sua più alta<br />

autorità morale nello Stato (nazionale), come è stato<br />

CONFERENZA<br />

17<br />

suggerito da Hegel. Non solo la religione e la filosofia<br />

hanno messo in dubbio questa soluzione, come già fecero<br />

all’epoca di Hegel, ma anche le stesse istituzioni sociali<br />

si sono differenziate in sotto–sistemi che più o meno<br />

determinano o condizionano il comportamento umano<br />

molto al di là del potere legale o dell’autorità morale dello<br />

stato. L’esempio più illuminante di questo sviluppo è<br />

fornito dal sotto-sistema sociale dell’economia internazionale<br />

5 ; e questo esempio mostra come una sfida nuova,<br />

e insieme per lungo tempo non raccolta, sia stata sottoposta<br />

alla responsabilità morale dell’uomo. Poiché il tipo di<br />

interazione umana che accade nel mercato mondiale è<br />

regolata da fattori come i prezzi e realizzata attraverso la<br />

mediazione del denaro; essa è quindi un’interazione a<br />

lunga distanza per mezzo di relazioni anonime che non<br />

lascia quasi opportunità per un incontro faccia a faccia tra<br />

esseri umani con sentimenti morali. E poiché gli effetti<br />

delle nostre quotidiane azioni economiche possono ripercuotersi<br />

su persone di diversi paesi o continenti, per<br />

esempio del terzo mondo, allora esse sono come minimo<br />

tanto inimmaginabili quanto i possibili effetti delle nostre<br />

armi atomiche.<br />

2. Questo confronto degli effetti delle azioni umane porta<br />

al secondo motivo per cui le morali convenzionali nel<br />

senso di micro- e mesoetica non possono più far fronte a<br />

lungo alla nuova sfida sottoposta alla nostra responsabilità<br />

per le conseguenze delle nostre azioni a lunga distanza.<br />

La seconda ragione è in molti modi correlata con la<br />

prima - specialmente con lo sviluppo del sotto sistema<br />

sociale dell’economia - ed ha a che fare con le nuove<br />

relazioni tra uomo e natura o piuttosto tra noi e quella<br />

parte di natura che costituisce l’umana ecosfera. La<br />

novità di questa relazione, come ora sappiamo bene,<br />

consiste nel fatto che la natura, poiché costituisce l’umana<br />

biosfera e la sfera delle risorse economiche dell’uomo,<br />

non è più indistruttibile né inesauribile, come è apparsa in<br />

tutta la storia passata.<br />

Appare chiaro che questo stato di cose è stato causato<br />

dalla stessa abilità tecnologica ad accrescere ed espandere<br />

gli effetti delle azioni umane che abbiamo rintracciato<br />

nella rottura delle barriere degli istinti animali da parte<br />

dell’homo faber. Da allora - si potrebbe dire - l’homo<br />

faber con le sue conquiste tecnologiche ha sempre sopraffatto<br />

l’homo sapiens con la sua responsabilità morale,<br />

ma nel nostro secolo noi siamo stati confrontati con<br />

questo fatto in un modo del tutto nuovo. Per la prima volta<br />

è diventato gradualmente chiaro che - almeno a riguardo<br />

della nostra ecosfera naturale - noi in qualche modo<br />

dobbiamo organizzare un qualcosa di simile a una responsabilità<br />

collettiva per le conseguenze primarie e<br />

secondarie derivanti dalle nostre attività collettive in<br />

campo scientifico e tecnologico.<br />

Ma sembra anche chiaro che noi qui siamo di fronte a<br />

richieste morali, di nuovo tipo e quasi eccessive, come<br />

quelle poste dalla interazione economica a lunga distanza<br />

tra persone . Si attende da ciascuno di noi che egli assuma<br />

una qualche parte di co-responsabilità per l’emissione di<br />

prodotti industriali di scarto nell’aria e in acqua, o per la<br />

salvaguardia delle foreste su scala planetaria, e quindi del<br />

clima e dell’atmosfera della Terra, e allo stesso tempo si<br />

suppone che ciascuno si senta co-responsabile come


cittadino - per esempio come lettore di giornali o elettore<br />

- per la politica del proprio paese e quindi anche per la<br />

politica economica, per dire, della Banca Mondiale nei<br />

riguardi dei paesi indebitati del Terzo Mondo. Perciò<br />

sembra che in entrambe le dimensioni dell’evoluzione<br />

culturale - quella degli interventi tecnologici sulla natura<br />

e quella delle interazioni sociali - la nostra epoca abbia<br />

assistito allo sviluppo di una situazione planetaria che<br />

esige una nuova etica della co-responsabilità , vale a dire<br />

un tipo di etica che possiamo chiamare, per contrapporla<br />

alle forme tradizionali o convenzionali di etica, una<br />

macroetica (planetaria).<br />

La novità problematica delle richieste di questa nuova<br />

forma di etica può essere illustrata da alcuni commenti<br />

caratteristici avanzati da persone che si dimostrano piuttosto<br />

scettiche, o persino disturbate dalla possibilità di<br />

una simile ‘iperetica’, così come la si è voluta chiamare. 6<br />

Così in una recensione al libro di Hans Jonas Il principio<br />

responsabilità, 7 opera precorritrice nel suggerire energicamente<br />

la necessità di un nuovo tipo di etica, il critico,<br />

richiamandosi alla filosofia delle istituzioni di Arnold<br />

Gehlen, ricordava ai suoi lettori che nessuno può essere<br />

responsabile di ciò che accade al di fuori del suo ruolo o<br />

della sua funzione all’interno del sistema sociale. 8 Qui, o<br />

negandola o fraintendendola, almeno una caratteristica<br />

della nuova macroetica è stata indirettamente evidenziata:<br />

l’esigenza di una co-responsabilità per i risultati delle<br />

attività collettive.<br />

Un’altra caratteristica che la nuova etica deve soddisfare<br />

è stata messa indirettamente in luce dall’opuscolo: Gli<br />

otto peccati capitali, del famoso etologo e premio nobel<br />

Konrad Lorenz. Dalla prospettiva delle sue ben note tesi<br />

per cui le morali umane sono essenzialmente basate su<br />

disposizioni quasi-istintive o su residui istintuali corrispondenti<br />

al comportamento quasi-morale degli animali,<br />

Lorenz osserva e deplora come nella moderna società di<br />

massa, con le sue complesse ma anonime relazioni umane,<br />

si abusi irrimediabilmente delle disposizioni morali<br />

degli esseri umani - come quelle rappresentate dai sentimenti<br />

di simpatia e dalle disposizione all’aiuto. Con ciò<br />

Konrad Lorenz può riporre le sue speranze solo nel<br />

possibile verificarsi di una mutazione nell’interrotto processo<br />

di evoluzione biologica dell’uomo, tale che gli<br />

esseri umani acquistino una nuova disposizione quasiistintiva<br />

alla moralità. 9 Questa conclusione dell’etologo<br />

chiarisce indirettamente il fatto che la nuova etica della<br />

co-responsabilità, in base alle stesse esigenze cui deve<br />

corrispondere, non può essere fornita ai giorni nostri da<br />

disposizioni quasi-istintive dell’uomo, ma conseguita<br />

dalla ragione umana quale compensazione alla mancanza<br />

di disposizioni quasi-istintive.<br />

A tal riguardo la valutazione della situazione avanzata da<br />

Lorenz è stata confermata, in un certo senso, da un altro<br />

premio Nobel, l’economista Friedrich August von Hayek.<br />

Anche Hayek è convinto che i sentimenti e le disposizioni<br />

morali nel senso dell’etica tradizionale, compresa l’etica<br />

cristiana, debbano essere riservate al livello arcaico delle<br />

relazioni umane all’interno di piccoli gruppi. Oltre detto<br />

livello le esigenze di un etica della solidarietà umana -<br />

per non parlare della co-responsabilità su scala planetaria<br />

- diventano ideologiche e quindi dannose, poiché la<br />

CONFERENZA<br />

18<br />

libertà umana può solo essere garantita dall’operare<br />

indisturbato del sistema dell’economia di mercato con le<br />

sue relazioni anonime di interazione a lunga distanza.<br />

Perciò a giudizio di Hayek la diffusa richiesta di ‘giustizia<br />

sociale’ è sia ideologica che dannosa, e la sola<br />

caratteristica dell’etica tradizionale della giustizia che<br />

può e deve essere preservata e persino coltivata nella<br />

situazione attuale dell’umanità è l’obbligo all’onestà<br />

nella stipulazione e nel rispetto dei contratti. Quindi<br />

Hayek fa ricorso alla morale minima di un addomesticamento<br />

istituzionale dell’interazione strategica del commercio,<br />

escludendo contemporaneamente qualunque richiesta<br />

ulteriore di una morale della solidarietà e della coresponsabilità.<br />

10<br />

Penso che il chiarimento indiretto del nostro problema di<br />

una macroetica umana che possiamo trarre dalle osservazioni<br />

di Hayek tanto quanto da quelle di Konrad Lorenz<br />

e Arnold Gehlen risieda nel riconoscimento del fatto che<br />

la nuova etica, semmai essa si dia, richiede una giustificazione<br />

razionale, che trascenda ogni tradizione. Le<br />

osservazioni scettiche sopra ricordate mostrano chiaramente<br />

che non ci si può affidare alle morali convenzionali,<br />

rappresentate dalle attuali istituzioni sociali, incluso lo<br />

spirito del presente Stato di diritto.<br />

Ma che cosa hanno da dire gli esponenti dell’etica professionale,<br />

nel senso della filosofia (morale), sul nostro<br />

problema di una fondazione razionale per una macroetica<br />

umana universalmente valida? Con questo quesito introduco<br />

la seconda parte del mio lavoro.<br />

Una prima parte della risposta che ha sede in questo<br />

secolo può essere caratterizzata richiamando la concezione,<br />

sviluppata da Max Weber, di una scienza avalutativa<br />

in quanto opposta alla dimensione complementare<br />

delle decisioni in ultima istanza irrazionali ma autentiche,<br />

rappresentate dalle scelte private prese da ogni<br />

singolo e riguardo agli assiomi ultimi di valore <strong>11</strong> . Questa<br />

idea di una sorta di divisione del lavoro, per così dire, tra<br />

razionalità scientifica e moralità irrazionale che ha dominato<br />

a lungo l’ideologia occidentale, si è rivelata come un<br />

sistema di complementarità tra positivismo e esistenzialismo,<br />

entro cui l’etica, in modo simile alla religione,<br />

poteva solo essere immaginata come una questione di<br />

emozioni e decisioni private, incapaci di reclamare una<br />

qualche validità pubblica e universale. 12<br />

Questo sistema di complementarità proprio dell’ideologia<br />

occidentale ha prodotto una sorprendente e persino<br />

paradossale risposta alla sfida lanciata dal XX secolo alla<br />

ragione morale. Infatti, nel sistema di complementarità<br />

la parte della razionalità veniva definita in modo decisivo<br />

dalla razionalità, neutrale rispetto al valore, della<br />

scienza (cioè delle scienze della natura di rilevanza<br />

tecnologica). D’altronde, però, sono state proprio le<br />

conseguenze tecnologiche provocate dalla scienza nel<br />

mondo della vita dei giorni nostri a richiedere una nuova<br />

fondazione razionale di un’etica planetaria della coresponsabilità.<br />

Sembrava così che la scienza richiedesse<br />

una nuova etica razionale e al contempo - a causa del<br />

monopolio da essa esercitato sulla definizione delle<br />

razionalità 13 - bloccasse una giustificazione razionale<br />

dell’etica, dimostrandone l’impossibilità.<br />

Temo che questo meccanismo di blocco si mostri ancora


all’opera in molti pensatori tra i più intransigenti, sebbene<br />

si abbia a disposizione un controargomento per smontare<br />

l’intero meccanismo. Lo otteniamo, allorché ci si<br />

rende conto del fatto che la ricerca scientifica, insieme al<br />

compito di accertarne la validità intersoggettiva, non si<br />

situa al livello delle relazioni cognitive soggetto-oggetto,<br />

ma anche a quello della relazione soggetto-co-soggetto,<br />

proprio della comunicazione e dell’interazione fra i membri<br />

di una comunità scientifica. Allora diventa chiaro<br />

come anche, o precisamente, la scienza esente da valutazioni<br />

- cioè una oggettivazione della natura, neutrale<br />

rispetto ai valori, operata nella dimensione della relazione-soggetto-oggetto<br />

- debba<br />

presupporre l’etica di<br />

una comunità ideale della<br />

comunicazione nella dimensione<br />

della relazionesoggetto-co-soggetto,complementare<br />

alla relazionesoggetto-oggetto.<br />

E diventa<br />

immediatamente chiaro<br />

come l’etica di una comunità<br />

ideale della comunicazione,<br />

presupposta dalla<br />

scienza, non può essere<br />

un’etica irrazionale, costituita<br />

da mere emozioni e da<br />

decisioni private e soggettive.<br />

Infatti, è precisamente<br />

l’intento di giungere a decidere<br />

delle pretese di validità<br />

intersoggettiva tramite<br />

argomenti razionali che<br />

presuppone di principio<br />

un’etica della comunità,<br />

implicante uguali diritti e<br />

uguali responsabilità a livello<br />

argomentativo. 14<br />

Perciò a questo punto della<br />

discussione possiamo già<br />

concludere come segue. Il<br />

fatto che la razionalità della<br />

scienza sia neutrale-rispetto-al-valore<br />

- per quanto<br />

attiene ai suoi oggetti -<br />

non può essere inteso nel<br />

senso che sia impossibile<br />

una razionalità non neutrale-rispetto-al-valore, ovvero<br />

che sia impossibile una razionalità etica. Infatti, l’esistenza<br />

della scienza neutrale-rispetto-al-valore, in quanto<br />

impresa di una comunità umana, necessariamente presuppone<br />

la validità normativa di un’etica razionale,<br />

almeno per la comunità degli scienziati.<br />

Con il nostro ultimo argomento non abbiamo ancora<br />

mostrato che sia possibile una giustificazione razionale<br />

di un’etica della co-responsabilità valida universalmente<br />

per gli esseri umani, poiché la comunità scientifica<br />

non è identica alla comunità umana. E gli interessi della<br />

prima non sono gli stessi della seconda. Le differenze<br />

eticamente rilevanti tra i due tipi di comunità sono state,<br />

a mio avviso, correttamente indicate da Charles Peirce,<br />

CONFERENZA<br />

Karl Otto Apel<br />

19<br />

il quale postulò che i membri della comunità ideale dei<br />

ricercatori dovessero sottomettere tutti gli interessi personali<br />

all’interesse della comunità nella ricerca della<br />

verità. 15 Una simile sottomissione non può essere generalizzata<br />

in un obbligo morale valido per tutti i membri<br />

della comunità umana, poiché questi ultimi potrebbero<br />

anche mettere in questione il diritto della scienza ad<br />

esistere. Ma anche a questi interrogativi si deve poter<br />

rispondere all’interno di un’etica della co-responsabilità<br />

universalmente valida per l’umanità.<br />

Si potrebbe già chiedere a questo punto: che cosa possiamo<br />

ragionevolmente indicare come un obbligo per tutti i<br />

membri di una comunità<br />

umana ideale? Non potrebbe<br />

essere un principio di<br />

auto-superamento nel senso<br />

che noi riconosciamo un<br />

principio di trans-oggettività<br />

nel risolvere tutti i conflitti<br />

solo tramite argomenti<br />

accettabili intersoggettivamente?<br />

Tornerò su questo punto.<br />

Ma prima devo continuare<br />

il mio resoconto della posizione<br />

presa dalla filosofia<br />

accademica sul nostro problema<br />

di una nuova macroetica<br />

dell’umanità. Sebbene<br />

la risposta elaborata in<br />

un primo stadio - rappresentata<br />

dal sistema di complementarità<br />

tra positivismo<br />

ed esistenzialismo - sia<br />

ancora molto influente, non<br />

si è potuto impedire nell’ultimo<br />

decennio, in Europa<br />

e negli Stati Uniti di assistere<br />

ad una ‘riabilitazione<br />

della filosofia pratica’,<br />

per meglio dire ad un vero<br />

e proprio rifiorire dell’etica.<br />

Sembra però una caratteristica<br />

di questo secondo<br />

stadio della risposta filosofica<br />

ai nostri problemi che<br />

la maggior parte delle posizioni<br />

non provino neppure a confutare il verdetto positivistico<br />

contro la possibilità di una fondazione razionale<br />

di un’etica universalmente valida, ma lo accettino in<br />

modo tacito, per far ricorso ad un certo tipo di neoaristotelica<br />

(o neo-hegeliana) riabilitazione dell’ethos<br />

tradizionale di una specifica forma socio-culturale di<br />

vita.<br />

Perciò si può seguire la linea della distinzione aristotelica<br />

tra epistémé o theoria da una parte e phronesis dall’altra<br />

e richiedere - fino ad un certo grado insieme con l’Etica<br />

Nicomachea di Aristotele - che la facoltà della ragione<br />

pratica non possa conferire validità rigorosamente universale<br />

ai principi, ma proporre solo consuetudini ed<br />

atteggiamenti alla riflessione morale e ad una prudente


presa di decisioni nel contesto di situazioni concrete, in<br />

accordo con le norme autoevidenti dell’eticità sostanziale<br />

di una specifica tradizione o forma socio-culturale di<br />

vita. (Questa prospettiva di un neo-aristotelismo pragmatico,<br />

liberatosi dello sfondo tradizionale della metafisica<br />

teleologica dell'universo 16 e quindi dell’idea di una legge<br />

naturale come legge universale, ha trovato una potente<br />

uniforme e sostegno negli ultimi decenni nel relativismo<br />

post-wittgensteiniano delle differenti o anche incommensurabili<br />

forme di vita e nell’ermeneutica e nel superstoricismo,<br />

post-heideggeriani, delle aperture epocali di<br />

verità o, al meno, del senso dell’essere entro la tradizione<br />

del pensiero occidentale.) 17<br />

Così, nella prospettiva della tendenza storicistica e relativistica<br />

del neo-aristotelismo, unita ad una critica più o<br />

meno forte dell’universalismo deontologico post-kantiano<br />

ed in accordo con la riflessione sulle tradizioni locali,<br />

si è venuta formando, nel mondo occidentale, la corrente<br />

dominante dell’etica della vita buona. Laddove autori<br />

anglo-sassoni, come Williams, MacIntyre o i ‘Communitarians’<br />

americani, enfatizzano principalmente il bisogno<br />

di valori sostanziali o norme materiali, in opposizione<br />

al formalismo kantiano 18 ; in Germania la tendenza<br />

storicistico-ermeneutica del neo-aristotelismo è piuttosto<br />

neo-conservativa e persino scettica, in aggressiva<br />

opposizione al cosiddetto utopismo terroristico rappresentato<br />

dalla filosofia emancipatrice neo-marxista (come<br />

ad esempio la Scuola di Francoforte). 19<br />

Il movimento neo-Aristotelico qui adotta un atteggiamento<br />

apparentemente tranquillizzante, come nelle rapide<br />

descrizioni gadameriane, più volte ripetute, di quanto<br />

sia richiesto da un’etica della vita buona in una buona<br />

polis: wJß dei' più frovnhsiß (che tradurrei: ciò<br />

che è consuetudine o uso comune in una buona società<br />

civile più una prudente applicazione delle norme implicite<br />

di una tradizione locale). 20 Una buona illustrazione di<br />

questo atteggiamento è stata fornita ad un recente congresso<br />

su Hegel, sfruttando polemicamente l’immagine<br />

kantiana dell’ “imperativo categorico” come di una “bussola”<br />

per la vita morale. Si osservò, infatti, che in una<br />

buona polis - cioè in una città - noi non abbiamo bisogno<br />

di una bussola, perché già esiste la segnaletica stradale. 21<br />

Ora penso che queste tendenze neo-conservative, risultanti<br />

dalla cosiddetta ‘riabilitazione della ragione pratica’,<br />

non portino ad alcuna soluzione tutti i problemi<br />

propri di una macroetica della co-responsabilità umana<br />

che ho precedentemente esposti. Piuttosto essi rappresentano<br />

un atteggiamento di rifiuto o di fuga dai problemi<br />

con cui ci troviamo oggi confrontati. E in ogni caso gli<br />

slogan usati dai rappresentanti tedeschi del neo-aristotelismo<br />

sono a mio parere quasi tanto paradossali ed<br />

anacronistici quanto le opposizioni positivistiche all’elaborazione<br />

di una etica razionale della responsabilità per<br />

le conseguenze derivanti dalle tecnologie scientifiche.<br />

Questo è ben illustrato dall’accoglienza ricevuta dal libro<br />

di Hans Jonas, che è egli stesso un neo-aristotelico di<br />

rilievo. Ma Jonas, richiamandosi al teleologismo metafisico<br />

del cosmo aristotelico, giunge a risultati diametralmente<br />

opposti a quelli neo-conservatori dei neo-Aristotelici.<br />

Jonas, infatti, muovendo da una prospettiva di<br />

conservazione di alcuni valori, volta cioè ad assicurare la<br />

CONFERENZA<br />

20<br />

sopravvivenza del genere umano e la salvaguardia della<br />

dignità umana, giunge a richiedere un’etica cosmopolita,<br />

di tipo alquanto nuovo, ovvero un’etica della responsabilità<br />

collettiva per le conseguenze delle attività collettive<br />

delle società industriali.<br />

Ora non penso che Jonas sia riuscito a fornire una<br />

giustificazione razionale per quest’etica di tipo nuovo<br />

partendo dalle sue premesse metafisiche. 22 Ma come<br />

minimo questa visione del problema può essere facilmente<br />

integrata in un programma delle esigenze cui<br />

un’etica ha da corrispondere oggi, da contrapporre al<br />

ripiegarsi neo-aristotelico sulle tradizioni locali. Con<br />

parole mie, lo sintetizzerei nel modo seguente.<br />

Noi non viviamo oggi in società quasi-autarchiche o<br />

poleis, come nell’epoca classica della civiltà greca (che,<br />

non dimentichiamolo, fu rovesciata da Alessandro mentre<br />

Aristotele era ancora in vita). Per la prima volta nella<br />

storia noi stiamo vivendo oggi in una civiltà planetaria<br />

che al meno per quanto attiene alcuni ambiti vitali della<br />

cultura - come ad esempio la scienza, la tecnologia e<br />

l’economia - ha subito un’unificazione tale da renderci<br />

membri di una reale comunità della comunicazione - o, se<br />

si preferisce, componenti dell’equipaggio di una stessa<br />

nave, per esempio riguardo ai problemi della crisi ecologica.<br />

Tra parentesi, desidero esprimere qui il mio netto<br />

dissenso dalle diagnosi di Jean-François Lyotard, il quale<br />

conclude che ai nostri giorni noi dovremmo abbandonare<br />

la stessa idea di una storia umana comune e persino l’idea<br />

di un ‘noi’ come di un possibile soggetto della solidarietà<br />

umana. 23 Suggerirei al contrario che le vaghe idee dei<br />

filosofi del XVIII secolo circa l’unità della storia umana<br />

si siano in un qualche senso realizzate oggi. Senza dubbio,<br />

non si sono realizzate nel senso della concezione<br />

marxista di un’unità della prassi e della teoria scientifica<br />

in forza della conoscenza e del controllo del ‘corso<br />

necessario della storia’, ma si sono realizzate nel senso di<br />

un’unità della cooperazione, eticamente sollecitata e in<br />

parte esistente, a riguardo della correzione, salvaguardia<br />

e rimodellamento o trasformazione delle condizioni attuali<br />

della civiltà del pianeta.<br />

Riassumendo: ciò di cui abbiamo bisogno oggi è in effetti<br />

un’etica universalmente valida per l’intera umanità; ma<br />

questo non significa che ci sia la necessità di un’etica che<br />

prescriva uno stile comune di vita buona per tutti gli<br />

individui o per tutte le differenti forme socio-culturali di<br />

vita. Al contrario, noi possiamo accettare il pluralismo di<br />

forme individuali di vita e persino difenderlo, purché vi<br />

sia la garanzia che un’etica universalmente valida di<br />

uguali diritti e uguale co-responsabilità per la soluzione<br />

dei problemi comuni dell’umanità sia rispettata in ogni<br />

singola forma di vita. (Ho l’impressione che un errore<br />

fatale del pensiero filosofico dei nostri giorni consista<br />

nell’assunzione di un antagonismo fondamentale o anche<br />

di una contraddizione tra il richiesto universalismo di<br />

un’etica post-kantiana e il pluralismo di un’etica quasi-<br />

Aristotelica della vita buona, o del souci de soi, per citare<br />

M. Foucault. In ogni caso l’intera storia dei diritti dell’uomo<br />

smentisce questa supposizione, come Foucault fu<br />

costretto ad ammettere negli ultimi anni della sua vita.) 24<br />

Procederò ora con l’ultima parte del mio lavoro. Fino ad<br />

ora mi sono limitato ad indicare l’esigenza di una macro-


etica dell’umanità, criticando le concezioni insufficienti<br />

delle etiche professionali dei nostri giorni. Ma che cosa<br />

dire sulla possibilità reale di fornire una base razionale al<br />

tipo di etica di cui abbiamo messo in luce l’indispensabilità?<br />

Ci sono approcci promettenti a questo riguardo?<br />

Per introdurre le concezioni dell’etica del discorso, così<br />

come proposta da J. Habermas e da me stesso, mi sia<br />

concesso, una volta ancora, di partire da un’analisi critica.<br />

Proverò a ricavare la mia tesi di partenza facendo<br />

alcuni commenti critici al pensiero più recente di un<br />

grande filosofo che, rimanendo nella tradizione kantiana,<br />

ha dato forse il più importante contributo all’attuale etica<br />

della giustizia. Mi riferisco naturalmente a John Rawls.<br />

Menzionerò qui solamente i suoi due principi di giustizia,<br />

25 e specialmente il famoso “principio di differenza”,<br />

che, ritengo, funziona ai nostri giorni come il perenne<br />

contro-argomento etico nei riguardi della più suggestiva<br />

fra le attuali tentazioni della democrazia occidentale, e<br />

cioè la tentazione della politica della cosiddetta “società<br />

dei due terzi”, ossia, la tentazione di una politica sociale<br />

che sfrutti il meccanismo maggioritario della democrazia<br />

parlamentare per soddisfare i due terzi della popolazione<br />

a scapito del terzo restante. Sembra chiaro come il “principio<br />

di differenza” di Rawls sia diretto precisamente<br />

contro una simile politica che, come ben sappiamo,<br />

potrebbe ottenere un buon successo per un certo lasso di<br />

tempo.<br />

Ora nei suoi più recenti giudizi - nel suo saggio Giustizia<br />

come equità: politica non metafisica 26 - sembra che<br />

Rawls neghi o revochi la richiesta di universalità propria<br />

della sua precedente giustificazione di un’etica della<br />

giustizia come equità, per far ricorso in chiave neoaristotelica<br />

o storicistica alla tradizione specificamente<br />

americana del “senso di giustizia”. R. Rorty ha illustrato<br />

questa posizione, accettandola come una forma estrema<br />

di storicismo etnocentrico. A suo dire, egli, come americano,<br />

dovrebbe mettere l’accento sulla priorità della<br />

costituzione politica del suo paese sopra e contro ogni<br />

richiesta di una critica filosofica o di una legittimazione<br />

di questa tradizione locale. Se gli capitasse di discutere<br />

con persone del calibro di Ignazio di Loyola o Nietzsche,<br />

cioè persone che in linea di principio negarono la tradizione<br />

democratica, non potrebbe - egli ci dice - provare<br />

a difendere questa tradizione con l’uso di argomentazioni<br />

filosofiche, il che significa, col ricorso a principi o criteri<br />

universalmente validi, ma dovrebbe alla fin fine considerare<br />

l’altra parte come “folle”. 27 Sembra chiaro che questa<br />

dovrebbe anche essere la sua strategia in una discussione<br />

con i rappresentanti del comunismo orientale o con<br />

fondamentalisti islamici, che difendessero posizioni teocratiche.<br />

Ora, rispondendo a Rorty, io non negherei la<br />

possibilità di una totale interruzione della discussione,<br />

cioè del discorso argomentativo, ma credo che una simile<br />

interruzione non sarebbe mai dovuta alle differenti tradizioni,<br />

bensì - nel caso peggiore - potrebbe essere imposta<br />

dal rifiuto delle argomentazioni filosofiche da parte di<br />

uno dei partecipanti al dibattito, sia esso Rorty o Nietzsche<br />

o Lenin, o Khomeini o Deng Xiao Ping.<br />

Ma nel nostro presente contesto mi sembra più importante<br />

chiederci perché John Rawls stesso faccia ricorso alla<br />

tradizione locale come a una base storica contingente del<br />

CONFERENZA<br />

21<br />

“senso di giustizia come equità”. Ritengo che la ragione<br />

di questo giudizio sia curiosamente legata al fatto che<br />

Rawls effettivamente aveva buone ragioni per non essere<br />

soddisfatto della giustificazione razionale nel suo approccio<br />

originale. Questo approccio implicava la concezione<br />

della “posizione originaria”, cioè della scelta razionale<br />

del miglior ordine di giustizia compiuta dalle<br />

parti, seguendo, in tale processo decisionale, la razionalità<br />

strategica sotto le condizioni restrittive che Rawls<br />

aveva imposto alla situazione originaria di scelta - condizioni<br />

quali “il velo di ignoranza” sulla posizione che ogni<br />

singolo occuperà nell’ordine sociale che verrà scelto.<br />

Più tardi Rawls si dovette render conto del fatto che in<br />

primo luogo era fortemente ingannevole suggerire che, a<br />

motivo del tipo di razionalità che avrebbe dovuto guidare<br />

la scelta, la sua teoria della giustizia fosse parte della<br />

teoria della scelta razionale (cioè la teoria della decisione<br />

strategica). In un verso, la oggettiva giustificazione<br />

della sua teoria era fornita piuttosto dalla stessa concezione<br />

di Rawls della “giustizia come equità” che gli fece<br />

imporre le condizioni restrittive sulla posizione originaria.<br />

Nell’altro verso, Rawls fu persino costretto, già nel<br />

suo primo lavoro, a supporre uno speciale “senso di<br />

giustizia” come equità, quale caratteristica di cui la parti<br />

sarebbero provviste in quanto razionali ed ideali; 28 poiché<br />

altrimenti questi elettori avrebbero potuto seguire la<br />

razionalità puramente strategica dei lupi hobbesiani firmando<br />

il contratto iniziale con la riserva criminale di<br />

romperlo alla prima opportunità, allo scopo di godere dei<br />

vantaggi strategici criminali supplementari risultanti dall’osservanza<br />

del contratto da parte degli altri contraenti. 29<br />

Ora, rendendosi conto di queste ambiguità nella sua<br />

“teoria della giustizia”, Rawls in seguito fu costretto a<br />

fare una scelta chiara tra la concezione hobbesiana e<br />

quella kantiana della ragione pratica o della razionalità;<br />

ed egli scelse la concezione kantiana. 30 Ma nel fare ciò,<br />

egli non aveva ancora risolto il problema della giustificazione<br />

razionale della sua stessa scelta in favore della<br />

concezione non-strategica della ragione come senso di<br />

equità, che egli presupponeva già nelle parti della situazione<br />

originaria. Egli intese così la soluzione kantiana<br />

come una specie di costruttivismo morale sostenuto dalle<br />

intuizioni del senso comune (come, per esempio, nella<br />

sua teoria dell’ “equilibrio riflessivo” tra le costruzioni<br />

filosofiche e il senso comune della gente). 31<br />

Ora, a questo punto tutto dipende dalla nozione di senso<br />

comune che potrebbe essere presupposta da una riflessione<br />

filosofica su intuizioni morali. Se si intende lo sfondo<br />

contingente della competenza personale del singolo o,<br />

nel nostro caso, del filosofo, allora quasi inevitabilmente<br />

la pretesa di validità universale deve essere accantonata.<br />

In tal caso infatti, entra in gioco imponentemente il<br />

riconoscimento, impostosi nel nostro secolo, della contingenza<br />

relativa alla “prestruttura” o al “segno di sfondo”<br />

del “mondo della vita”: dalle intuizioni di Collingwood<br />

sulla struttura storica delle “presupposizioni metafisiche”<br />

e dall’analisi di Heidegger e Gadamer della “precomprensione”<br />

del mondo della vita fino alla concezione<br />

di Wittgenstein delle presupposizioni paradigmatiche<br />

dei giochi linguistici come parti di differenti forme di vita<br />

e all’analisi di J. Searle sul sapere di “sfondo” implicito


nelle nostre intenzioni di significato. 32 E tutte queste<br />

prospettive sembrano suggerire che - come Rorty ha<br />

mostrato - noi possiamo solo presupporre una “base<br />

contingente per un consenso possibile” come una base di<br />

senso comune anche per l’etica, 33 dal momento che una<br />

singola persona non può evitare di essere dipendente,<br />

nelle sue preconcezioni del bene, dallo sfondo storico<br />

della sua tradizione culturale.<br />

Ma perché è impossibile negare la presupposizione di<br />

norme valide universalmente - come quella della parità<br />

dei diritti - in una discussione su questi problemi, anche<br />

in un dibattito con rappresentanti di forme di vita socioculturali<br />

molto differenti? O più esattamente: perché i<br />

molti filosofi, che a livello dei loro enunciati negano la<br />

necessità di presupporre qualunque norma valida universalmente,<br />

in effetti contraddicono l’enunciazione (performance)<br />

delle loro asserzioni dal momento che riescono<br />

a portare avanti argomentazioni dotate di senso, cioè,<br />

intellegibili? (Non ho mai visto, per esempio, che R.<br />

Rorty in una delle sue lunghe argomentazioni contro la<br />

possibilità di presupporre forme universali si sia mai<br />

comportato come se egli non sapesse che tutti i partner<br />

delle discussioni devono certamente seguire norme di<br />

comunicazione universalmente valide.)<br />

Qualcuno potrebbe forse dire che le norme procedurali<br />

che devono essere seguite in un discorso argomentativo<br />

su un qualsiasi problema non hanno nulla a che vedere<br />

con la ricerca di norme morali valide per la vita quotidiana,<br />

dal momento che esse sono semplicemente strumenti<br />

in relazione al comune, ma nondimeno contingente scopo<br />

della discussione in atto?<br />

Prima di tutto risponderei a quest’ultima argomentazione<br />

nel modo seguente. Il fatto che noi dobbiamo discutere<br />

qualunque argomento controverso in un discorso argomentativo<br />

non è contingente o incidentale, dal momento<br />

che non c’è ragionevole alternativa a quel metodo se non<br />

desideriamo combattere o negoziare, ma vogliamo riuscire<br />

a capire tramite ragionamenti chi ha ragione sull’argomento<br />

in questione. Ma questo - che si desideri sapere<br />

chi ha ragione - è il presupposto di ogni discussione<br />

filosofica. Da ciò segue che il metodo del discorso<br />

argomentativo, comprese le sue presupposizioni normative<br />

moralmente rilevanti, non può essere evitato in<br />

filosofia. E’, vorrei affermare, l’a priori di ogni filosofia<br />

trascendetal-pragmatico, o in altre parole: appartiene al<br />

non-contingente “fatto della ragione” in senso kantiano.<br />

E, come ho già suggerito, questo fatto non-contingente<br />

della ragione non può essere esterno o incidentale rispetto<br />

alle reali controversie morali del mondo della vita,<br />

poiché è la sola istituzione umana che può fornire una<br />

possibile, ragionevole soluzione a queste controversie.<br />

Ciò è riconfermato dal fatto che in tutte le controversie<br />

umane, espresse a quel livello della comunicazione che<br />

pur non attinge ancora il piano del discorso argomentativo,<br />

le parti in conflitto avanzano spontaneamente pretese<br />

di validità universale finché non interrompono la comunicazione.<br />

34<br />

Come potrebbero allora questi fatti della comunicazione<br />

essere riconciliati con il riconoscimento del carattere<br />

contingente, proprio di ogni sapere di sfondo storicamente<br />

dato, di tutte le nostre nozioni circa il bene in differenti<br />

CONFERENZA<br />

22<br />

forme di vita socio-culturali?<br />

Ritengo che si faccia un errore, allorché, nel quadro della<br />

presente discussione, si contrapponga la contingenza<br />

storica alla universalità delle norme - un errore simile a<br />

quello fatto nell’opporre l’etica particolare della vita<br />

buona all’etica formale-deontologica della giustizia o del<br />

diritto. In entrambi i casi si trascura il fatto che coloro -<br />

cioè i filosofi - che discutono della contingenza storica<br />

delle condizioni di sfondo di tutte le forme di vita si sono<br />

già sempre, in modo riflessivo, portati al di là di queste<br />

condizioni contingenti. E lo hanno fatto, accettando la<br />

nuova istituzione post-illuminista del discorso argomentativo<br />

che, a partire dalle sue origini ad oggi, fornisce le<br />

condizioni procedurali per la possibilità della filosofia e<br />

di tutte le scienze. Ora, facendo assegnamento su queste<br />

precondizioni dell’argomentazione - che nessun filosofo<br />

può evitare 35 - essi hanno anche riconosciuto alcune<br />

precondizioni normative valide per ogni argomentazione<br />

comunicativa, le quali non possono venire annoverate tra<br />

le condizioni di sfondo, storicamente contingenti, delle<br />

diverse tradizioni culturali della morale.<br />

Ovviamente, le non-contingenti presupposizioni normative<br />

del discorso argomentativo devono essere formali e<br />

procedurali. Perciò non possono prescrivere norme materiali<br />

o i valori di una vita buona per culture specifiche,<br />

ma solo condizioni restrittive che rendano possibile alle<br />

diverse forme di vita la coesistenza e la cooperazione.<br />

Ora questa differenza e questa complementarità, di cui ho<br />

già parlato, possono, anche nel caso di Rawls, chiarire la<br />

relazione tra le norme universali della giustizia come<br />

equità e una particolare tradizione americana di moralità.<br />

Si potrebbe facilmente ammettere che Rawls avrebbe<br />

potuto sviluppare ed esplicitare dettagliatamente i suoi<br />

due principi di giustizia, se non affidandosi e ricollegandosi<br />

alla specifica tradizione morale e alla costituzione<br />

politica americana. In questo senso il suo libro fornisce<br />

semplicemente delle proposte da sottoporre ai discorsi<br />

pratici degli uomini, allo stesso modo dell’opera di ogni<br />

altro filosofo, il quale ovviamente deve lasciarsi ispirare<br />

dalla sua particolare tradizione culturale.<br />

Ma questa ammissione non implica una resa dell’universalismo<br />

etico al relativismo-storico. Poiché i principi<br />

della giustizia come equità devono essere anche basati su<br />

quelle intuizioni morali che ci sono fornite dalle presupposizioni<br />

non-contingenti dell’istituzione - o della filosofica<br />

meta-istituzione - del discorso argomentativo, cui<br />

ogni filosofo deve partecipare, allo scopo di argomentare.<br />

(Vorrei anche dire: allo scopo di pensare con una<br />

qualche pretesa di validità intersoggettiva per i suoi<br />

pensieri.) E qui abbiamo trovato il punto archimedico di<br />

una fondazione pragmatico-trascendentale dell’universalità<br />

della morale, senza la quale una macroetica planetaria<br />

umana sarebbe di fatto impossibile.<br />

Comunque, in conclusione del mio lavoro, voglio ancora<br />

mettere in evidenza che una morale del tipo “giustizia<br />

come equità “ non è sufficiente dal punto di vista delle<br />

esigenze poste dalla macroetica, sebbene molto sarebbe<br />

già stato ottenuto se realizzassimo qualcosa di simile al<br />

programma di Rawls, per esempio riguardo ai rapporti tra<br />

il Primo, il Secondo e il Terzo Mondo. Ma - come ho<br />

tentato di proporre in ciò che precede - è necessaria anche


un’etica della co-responsabilità per le conseguenze derivanti<br />

dalle nostre attività collettive specialmente in<br />

vista della crisi ecologica. Ritengo che anche da questo<br />

punto di vista sia possibile trovare il punto archimedeo di<br />

una giustificazione pragmatico-trascendentale, riflettendo<br />

fino in fondo su ciò che dobbiamo aver riconosciuto<br />

allorché partecipiamo ad un serio discorso argomentativo<br />

su questi problemi.<br />

Perciò, a mio avviso, ogni seria domanda posta in quel<br />

contesto mostra che, ponendo le domande, implicitamen-<br />

nicazione. Ma questo problema, ovviamente,<br />

va ben oltre la giustificazione<br />

pragmatico-trascendentale del<br />

principio universalmente valido della<br />

co-responsabilità. 36<br />

1 A. Gehlen, Der Mensch, Bonn, Frankfurt a/<br />

M. 1978.<br />

2 J. von Uexküll, Theoretische Biologie,<br />

Frankfurt a/M. 1973.<br />

3 K. Lorentz, Über tierische und menschliches,<br />

2 voll., München 1965.<br />

4 per esempio in A. Gehlen, Urmensch und<br />

Spätkultur, Wiesbaden 1977.<br />

5 N. Luhmann, Die Wirtschaft der Gesellschaft,<br />

Frankfurt a/M. 1988; e F. A. von Hayek,<br />

New <strong>Studi</strong>es in Philosophy, Politics and Economics,<br />

Londra 1978; e idem, “The Fatal Conceit,<br />

Part One: Ethics: The Taming of the Savage”,<br />

in Collected Works of F. A. von Hayek,<br />

Londra 1987.<br />

6 A. Gehlen (si veda nota 4).<br />

7 H. Jonas, Das Prinzip Verantwortung. Versuch<br />

einer Ethik für die technologische Zivilisation,<br />

Frankfurt a/M. 1979.<br />

8 G. Maschke, in Frankfurter Allgemeine Zeitung,<br />

7. 10. 1980<br />

9 K. Lorenz, Die acht Totsünden der zivilisierten<br />

Menschheit, Monaco 1973 e idem, Das<br />

sogenannte Böse. Zur Naturgeschichte der Aggression,<br />

Vienna 1963, p. 413.<br />

10 (Si veda nota 5); anche G. Radnitzky, “An<br />

Economic Theory of the Rise of Civilazation<br />

and its Policy Implications: Hayek’s Account<br />

Generalized”, in Jahrbuch für die Ordnung von<br />

Wirtschaft und Gesellschaft, n. 38 (1987), pp.<br />

47-85.<br />

<strong>11</strong> M. Weber, Politik als Beruf, in Gesammelte<br />

politische Schriften, Tübingen 1958, pp. 493-<br />

548; e idem, Der Sinn der Wertfreiheit e Wissenschaft<br />

als Beruf.<br />

12 Riguardo al “sistema di complementarità”<br />

dell’ideologia liberale occidentale: K.-O. Apel,<br />

Das Apriori der Kommunikationsgemeinschaft<br />

und die Grundlagen der Ethik, in idem, Transformation<br />

der Philosophie, ,,vol. II, Frankfurt<br />

a/M. 1973.<br />

13 K.-O. Apel, The Common Presupposition of<br />

Hermeneutics and Ethics: Types of Rationality<br />

beyond Science e Technology, in J. Sallis (a<br />

cura di), Phenomenology and the Human Sciences,<br />

1979, pp. 35-53; e idem, Types of Rationality<br />

Today: The Continuum of Reason between<br />

Science and Ethics, in Th. Geraets (a cura di),<br />

CONFERENZA<br />

Note<br />

Rationality Today, Ottawa 1979, pp. 307-40.<br />

14 (si veda le mie opere citate alle note 12 e 13).<br />

15 C. Peirce, Collected Papers, a cura di Ch.<br />

Hartshorne e P. Weiss, Cambridge, Mass. 1931-<br />

35, vol. V, 354 ff. Anche K.-O. Apel, Charles<br />

S. Peirce, From Pragmatism to Pragmaticism,<br />

Amherst 1981, pp. 52 ff.<br />

16 H. Schnädelbach, Was ist Neoaristotelismus?,<br />

in W. Kuhlmann (a cura di), Moralität<br />

und Sittlichkeit, Frankfurt a/M. 1986, pp. 38-63;<br />

e K.-O. Apel, Diskurs und Verantwortung,<br />

Frankfurt a/M. 1988, indice analitico.<br />

17 K.-O. Apel, Wittgenstein und Heidegger:<br />

kritische Wiederholung und Ergänzung eines<br />

Vergleichs, di imminente pubblicazione in Der<br />

Löwe spricht und wir verstehen ihn nicht (raccolta<br />

di interventi al Simposio “Wittgenstein”<br />

di Francoforte del 1989); e idem, Sinnkonstitution<br />

und Geltungsrechtfertigung, Heidegger<br />

und das Problem der Transzendentalphilosophie,<br />

in Forum für Philosophie Bad Homburg<br />

(a cura di), Martin Heidegger: Inner- und<br />

Außenansichten, Frankfurt a/M. 1989, pp. 131-<br />

175.<br />

18 B. Williams, Ethics and Limits of Philosophy,<br />

Cambridge, Mass. 1985; e A. MacIntyre,<br />

After Virtue, a Study in Moral Theory,<br />

Londra 1981; e idem, Whose Justice? Which<br />

Rationality?, Londra 1988.<br />

19 p.e. O. Marquad, Das Über-Wir. Bemerkungen<br />

zur Diskursethik, in K. Stierle & R. Warning<br />

(a cura di), Das Gespräch (Poetik und<br />

Hermeneutik, XI) München 1984.<br />

20 H.-G. Gadamer, Über die Möglichkeit einer<br />

philosophischen Ethik, in idem, Kleine Schriften,<br />

I, Tübingen 1967, pp. 179 ff.<br />

21 K.-O. Apel, G. Bien & R. Bubner, “Podiumsdiskussion<br />

unter Leitung von W. Ch. Zimmerli”,<br />

in Hegel-Jahrbuch 1987, pp. 13-48.<br />

22 K.-O. Apel, “The problem of a Macroethics<br />

of Responsability to the Future in the Crisis of<br />

Technological Civilazation: An Attempt to<br />

come to terms with Hans Jonas’ Principle of<br />

Responsability, in Man and World, n. 20 (1987),<br />

pp. 3-40. (Versione tedesca in K.-O. Apel,<br />

Diskurs und Veratwortung, cit.).<br />

23 J.-F. Lyotard, “Histoire universelle et différences<br />

culturelles”, in Critiques, n. 456<br />

(1985), pp. 559-568.<br />

24 L. Ferry & A. Renaut, La Pensée 68, Parigi<br />

1985, p. 45.<br />

25 J.Rawls, A Theory of Justice, Cambridge,<br />

Mass. 1971, <strong>11</strong>.<br />

23<br />

te e in linea di principio noi assumiamo una co-responsabilità<br />

per la soluzione progressiva di tutti i problemi del<br />

mondo-della-vita che possono essere posti e possibilmente<br />

risolti tramite quella cooperazione che ha luogo al<br />

livello del discorso pratico.<br />

Devo concludere con la seguente osservazione sintetica<br />

ed insufficiente su ciò che penso sia il più grosso problema<br />

per un’etica del discorso oggigiorno: il problema di<br />

organizzare in qualche modo la co-responsabilità collettiva<br />

di tutti i membri della comunità umana della comu-<br />

26 J. Rawls, “Justice as Fairness: Political not<br />

Metaphysical”, in Philosophy and Public Affairs,<br />

vol. 14, n. 3 (1985), pp. 223-251.<br />

27 R. Rorty, The Priority of Democracy to<br />

Philosophy, in M. Peterson & R.Vaughan (a<br />

cura di), The virginia Statute of Religious Freedom,<br />

Cambridge, Mass. 1988; si veda anche la<br />

mia analisi critica di questo lavoro in Diskurs<br />

und Verantwortung, pp. 397 ff.<br />

28 J. Rawls, A Theory of Justice, 25.<br />

29 K.-O. Apel, “Normative Ethics and Strategical<br />

Rationality: the Philosophical Problem of a<br />

Political Ethics”, in Graduate Faculty Philosophy<br />

Journal, 9/1 (1982), pp. 81-108; ripubblicato<br />

in R. Schumann (a cura di), The Public<br />

Realm. Essays on Discursive Types in Political<br />

Philosophy, New York 1989, pp. 107-131.<br />

30 in J. Rawls, “Justice as Fairness...”, cit.,<br />

specialmente p. 237, n. 20.<br />

31 J. Rawls, “Kantian Constructivism in Moral<br />

Theory”, in Journal of Philosophy, 1980, p.<br />

519.<br />

32 la mia opera citata alla nota 17.<br />

33 R. Rorty, op. cit. (si veda nota 27).<br />

34 In questo senso le negoziazioni (cioè le contrattazioni)<br />

potrebbero equivalere a una restrizione<br />

della comunicazione, poiché esse sostituiscono<br />

le pretese di validità moralmente rilevanti<br />

e la loro discussione con proposte di<br />

vantaggi e minacce (cioé: la razionalità discorsiva<br />

con la razionalità strategica); un altro tipo<br />

di comunicazione ridotta è la persuasione retorica<br />

nel senso della Überredung (cioé: della<br />

razionalità segretamente strategica). Un nuovo<br />

inizio - ma, penso, solo un inizio - nell’analisi<br />

di questi intricati problemi è stato attuato da J.<br />

Habermas in Theorie des Kommunikativen<br />

Handelns, Frankfurt a/M. 1981. Si veda anche<br />

A. Honneth & J. Joas (a cura di), Kommunikatives<br />

Handeln, Frankfurt a/M. 1986; K.-O. Apel,<br />

“Läßt sich ethische Vernunft von strategischer<br />

Rationalität unterscheiden?”, in Archivio di<br />

Filosofia, n. 51 (1983), pp. 373-434; e idem,<br />

“Sprachliche Bedeutung, Wahrheit und normative<br />

Gültigkeit. Die soziale Bindekraft der<br />

Rede in Lichte einer transzendentalen Sprachpragmatik”,<br />

in Archivio di Filosofia, n. 55<br />

(1987), pp. 51-88.5.<br />

35 K.-O. Apel, The Problem of Philosophical<br />

Foundation in Light of a Transcendental Pragmatics<br />

of Language, in K. Barnes, J. Bohman &<br />

Th. McCarthy (a cura di), Philosophy: End or<br />

Transformation?, Cambridge, Mass. 1987, pp.<br />

250-290; e idem, Fallibilismus, Konsenstheorie<br />

der Wahrheit und Letztbegründung, in Forum für<br />

Philosophie Bad Homburg (a cura di), Philosophie<br />

und Begründung, Frankfurt a/M. 1987,<br />

pp. <strong>11</strong>6-2<strong>11</strong>.<br />

36 in particolare, c’è il problema morale di come


AUTORI E IDEE<br />

Hans Jonas e Jürgen Habermas<br />

24


Habermas:<br />

fatticità e validità del diritto<br />

In FAKTIZITÄT UND GELTUNG. BEITRÄGE ZUR<br />

DISKURSTHEORIE DES RECHTS UND DES DE-<br />

MOKRATISCHEN RECHTSSTAATS (Fatticità e<br />

validità. Contributi alla teoria del discorso<br />

del diritto e dello stato democratico<br />

di diritto, Suhrkamp, Frankfurt<br />

a. M. 1992) Jürgen Habermas intende<br />

sviluppare un nuovo programma di<br />

ricerca, in cui temi della tradizionale<br />

“filosofia del diritto” vengono collegati<br />

da una parte a una teoria dello<br />

stato, del diritto e della costituzione,<br />

dall’altra a una filosofia della società.<br />

Con questa nuova, imponente opera, che in<br />

Italia ha fatto parlare frettolosi commentatori<br />

di una sua svolta “a destra”, Jürgen<br />

Habermas sembra voler sottoporre alla<br />

prova della teoria e della prassi politica e<br />

giuridica i principi generali da lui sviluppati<br />

nella precedente summa del suo pensiero,<br />

la Teoria dell’agire comunicativo, e nei<br />

successivi contributi per un’ “etica del discorso”<br />

fondata razionalmente (cioè attraverso<br />

procedure della discussione intersoggettiva).<br />

Il programma di ricerca presentato<br />

da Habermas in quest’opera sembra<br />

avere infatti come suoi principali interlocutori<br />

coloro che sono attivi nel sistema<br />

giuridico e politico. Per quanto riguarda i<br />

primi, Habermas mette in guardia dal pericolo<br />

di una “crescente scepsi giuridica”. Il<br />

mondo della politica dovrebbe invece riconoscere<br />

che lo stato di diritto non può<br />

esistere e non può conservarsi senza una<br />

“democrazia radicale”.<br />

Tutta l’opera è attraversata da un confronto,<br />

ora esplicito, ora implicito, con le tesi di<br />

Niklas Luhmann che nega ed esclude in<br />

linea di principio ciò che più importa ad<br />

Habermas: lo sviluppo di una fondazione<br />

razionale in vista della costruzione di una<br />

teoria normativa. E Habermas, che considera<br />

stato di diritto e morale universalistica<br />

come componenti imprescindibili della coscienza<br />

moderna e del progetto (da compiersi)<br />

della modernità e dell’Aufklärung,<br />

ricambia vedendo nella teoria dei sistemi<br />

luhmanniana una forma di scientismo obiettivistico.<br />

Per quanto riguarda l’ambito del diritto,<br />

AUTORI E IDEE<br />

AUTORI E IDEE<br />

Luhmann e Habermas si trovano d’accordo<br />

circa il fatto che nelle proposizioni giuridiche<br />

si esprima l’aspettativa che i destinatari<br />

di tali proposizioni si comportino in un<br />

determinato modo. Ma l’accordo finisce<br />

qui. Habermas fonda infatti il carattere<br />

obbligante delle proposizioni giuridiche<br />

attraverso la sua teoria degli atti linguistici,<br />

e mette così l’accento sul momento del<br />

riconoscimento delle norme attraverso<br />

un’intesa razionale. Per la comprensione<br />

dell’attesa di un comportamento implicita<br />

nella proposizione giuridica, Luhmann utilizza<br />

invece gli strumenti di una teoria<br />

psicologica dell’apprendimento da lui sviluppata<br />

in senso sociologico. Diversa, nei<br />

due pensatori, è anche la concezione del<br />

sistema giuridico e della sua legittimità. I<br />

sistemi giuridici sono per entrambi un sistema<br />

funzionale specializzato, sviluppatosi<br />

in seguito ad un processo di differenziazione.<br />

Ma, mentre per Luhmann il sistema giuridico<br />

si riproduce autonomamente, collocandosi<br />

accanto ad altri sistemi, tra cui<br />

quello politico, per Habermas il diritto positivo<br />

è un sistema conoscitivo e pratico<br />

legato al “mondo della vita”, in cui cultura,<br />

individui e società si presuppongono reciprocamente.<br />

In quanto sistema di conoscenze<br />

il diritto è legato alla morale in un<br />

“rapporto di integrazione”. In quanto sistema<br />

pratico ha un carattere di obbligazione<br />

istituzionale ed è legato alla politica. Così,<br />

mentre per Luhmann la questione della<br />

legittimazione è risolta in partenza (in quanto<br />

ogni sistema legittima se stesso), per<br />

Habermas, come risulta dal titolo stesso<br />

della sua recente opera, la validità del diritto<br />

positivo, la legittimità del sistema giuridico,<br />

il rapporto tra idea e realtà dello stato<br />

di diritto diventano un problema centrale.<br />

Nonostante questa contrapposizione, che<br />

potrebbe essere sintetizzata come contrapposizione<br />

tra “teoria della società” e “tecnologia<br />

sociale”, Habermas sembra fare<br />

propri alcuni risultati dell’analisi luhmanniana<br />

e parla di una “doppia prospettiva”,<br />

secondo la quale l’approccio sociologico,<br />

utile ai fini della comprensione del fenomeno<br />

del diritto (contro sue troppo frettolose<br />

riduzioni a “epifenomeno”), andrebbe<br />

integrato attraverso una ricostruzione del<br />

contenuto morale degli ordinamenti giuri-<br />

25<br />

dici moderni. Questa prospettiva di indagine<br />

viene messa alla prova ed esemplificata<br />

soprattutto nell’analisi della cittadinanza,<br />

un problema rispetto al quale Habermas<br />

avanza l’esigenza di un’accentuazione dell’autonomia<br />

del cittadino. Il carattere politico<br />

della concezione habermasiana del diritto<br />

emerge però soprattutto laddove egli<br />

pone il problema di “come può essere sviluppato<br />

lo stato democratico di diritto nelle<br />

società complesse”, confrontandosi con le<br />

discussioni svoltesi su questo tema tra i<br />

filosofi della politica e i teorici della società<br />

negli Stati Uniti (Walzer, Rawls). Le difficoltà<br />

nella realizzazione dei principi dello<br />

stato di diritto sono per Habermas da attribuirsi<br />

a un’ “insufficiente istituzionalizzazione”<br />

di tali principi.<br />

Habermas ammette di non avere a disposizione<br />

ricette per un rafforzamento dello<br />

stato democratico, anche se suggerisce una<br />

“democratizzazione dell’amministrazione”,<br />

vedendo in ciò un problema di «cooperazione<br />

tra fantasia istituzionale e cauta<br />

messa alla prova». «La custodia di una<br />

sfera pubblica autonoma, una partecipazione<br />

più ampia dei cittadini, l’addomesticamento<br />

del potere dei media e la funzione<br />

di mediazione di partiti politici non statalizzati”:<br />

questi alcuni degli obiettivi pratico-politici<br />

indicati da Habermas in vista di<br />

un rafforzamento dello stato di diritto inteso<br />

come espressione di una “democrazia<br />

radicale”. M.M.<br />

Hans Jonas:<br />

gnosi, nichilismo e libertà<br />

Il 5 febbraio è scomparso a New<br />

York, all’età di novant’anni, Hans<br />

Jonas. La sua fama in Italia è piuttosto<br />

recente e risale alla traduzione<br />

de IL PRINCIPIO RESPONSABILITÀ. UN’ETI-<br />

CA PER LA CIVILTÀ TECNOLOGICA (Einaudi,<br />

Torino 1990). Lo ricordiamo anche<br />

in occasione della recente pubblicazione<br />

di una raccolta di saggi,<br />

TRA IL NULLA E L’ETERNITÀ (a cura di<br />

Giancarlo R. Rilke, Gallio, Ferrara<br />

1992), che offre uno sguardo d’insieme<br />

su aspetti diversi della riflessio-


ne jonasiana. Di Hans Jonas è stato<br />

spesso sottolineato l’interesse per<br />

gli aspetti più concreti del dibattito<br />

etico. Anche questa raccolta di saggi<br />

non smentisce il rilievo.<br />

Stando a quanto egli stesso ha affermato,<br />

la vita intellettuale di Hans Jonas può<br />

essere divisa in due parti, quella relativa<br />

alla sua interpretazione della gnosi e quella<br />

che lo vede voce autorevole nel dibattito<br />

etico contemporaneo. La svolta intellettuale<br />

di Jonas, da studioso di un lontano<br />

fenomeno culturale a interlocutore importante<br />

nella discussione di specifici problemi<br />

etici, sullo sfondo di argomentazioni<br />

provenienti dalla biologia, se da un lato è<br />

certo riconducibile a motivazioni di carattere<br />

biografico - l’emigrazione dalla Germania<br />

dopo il 1933, l’esperienza familiare<br />

dell’olocausto, l’impegno nel movimento<br />

sionista - dal punto di vista teoretico è<br />

meno profonda e inaspettata di quanto<br />

possa a prima vista apparire, qualora si<br />

considerino i presupposti e le ripercussioni<br />

della sua indagine sullo gnosticismo.<br />

Essa trova riscontro nella formazione di<br />

Jonas, dove confluiscono l’impostazione<br />

teologica di Rudolf Bultmann e un’idea<br />

dell’esistenzialismo riconducibile alla prima<br />

fase della riflessione di Martin<br />

Heidegger. Respingendo la tradizionale<br />

riconduzione del fenomeno gnostico a una<br />

sorta di contaminazione ellenizzante dei<br />

dogmi del Cristianesimo, che tende a riconoscerne<br />

il fondamento nell’aspetto conoscitivo,<br />

piuttosto che in quello morale o in<br />

quello religioso, Jonas legge nello gnosticismo<br />

una reazione all’armonicismo implicito<br />

nelle ontologie, cosmologie ed etiche<br />

di origine greca. Attraverso la lente<br />

“esistenzialista” di Jonas, lo gnosticismo,<br />

le cui ascendenze vanno cercate nel mondo<br />

orientale, appare come un fenomeno<br />

originale rispetto alla cultura ellenica.<br />

Come ricorda Giancarlo R. Rilke nella<br />

nota introduttiva alla recente edizione italiana<br />

di Tra il nulla e l’eternità, in quest’opera<br />

l’orizzonte ermeneutico si fonda<br />

sull’ipotesi che lo gnosticismo rappresenti<br />

la risposta a una determinata disposizione<br />

esistenziale dell’uomo occidentale nel periodo<br />

tardo-antico. Tale ipotesi aveva però<br />

il carattere della precomprensione, perché<br />

la scelta del materiale che doveva costituire<br />

il fenomeno gnostico era guidata da questa<br />

stessa ipotesi, e non poteva che verificarla.<br />

Con questo Jonas contraeva un debito nei<br />

confronti della riflessione di Heidegger da<br />

un duplice punto di vista, metodologico (il<br />

procedimento definitorio dell’oggetto dell’indagine<br />

ripercorre, con evidenza, la strada<br />

indicata dalla nozione di “circolo ermeneutico”)<br />

e contenutistico (determinante<br />

per la comprensione di un fenomeno culturale<br />

è la “tonalità emotiva” in cui esso<br />

accade). E’ su questo secondo versante che<br />

può essere rintracciato un elemento di continuità<br />

nella parabola intellettuale di Jonas,<br />

rispetto alla quale la ricerca sullo gnostici-<br />

AUTORI E IDEE<br />

smo, che ne costituisce la prima parte, offre<br />

un significativo riscontro, dal punto di vista<br />

teoretico, degli effetti di un tale atteggiamento<br />

interpretativo. Il nichilismo, di<br />

cui lo gnosticismo tardo-antico rappresenterebbe,<br />

a parere di Jonas, un epifenomeno,<br />

mutua, infatti, le proprie caratteristiche dal<br />

nichilismo contemporaneo post-nietzscheano,<br />

e le soluzioni che quella lontana esperienza<br />

storica ha prodotto possono valere<br />

per illuminare la situazione presente.<br />

Su questi argomenti, il primo dei saggi<br />

raccolti in Tra il nulla e l’eternità, che porta<br />

il titolo: “Gnosi, esistenzialismo e nichilismo”,<br />

la cui prima redazione risale al 1952,<br />

fornisce indicazioni esplicite, nonché una<br />

radicalizzazione delle posizioni, rispetto<br />

alla precedente e maggiore opera sullo gnosticismo.<br />

La stessa posizione heideggeriana<br />

rientra infatti qui, a pieno titolo, nel<br />

nichilismo contemporaneo, la cui connessione<br />

con lo gnosticismo viene da Jonas<br />

stabilita sulla base del soggettivismo soggiacente<br />

a quest’ultimo, per il quale «era in<br />

gioco un interesse metafisico positivo: l’affermazione<br />

dell’autentica libertà del sé».<br />

Poiché tale libertà viene attribuita non alla<br />

psiche umana, ma solo al suo spirito, sul<br />

dualismo che così viene a crearsi fra uomo<br />

e natura, fra l’uomo da una parte e l’essere<br />

nella sua totalità dall’altra, sorge l’edificio<br />

del nichilismo. Il compito della filosofia,<br />

secondo Jonas, consiste allora nel porre<br />

rimedio agli effetti di tale frattura - l’estraniamento<br />

dell’uomo - senza rinunciare a<br />

essa; senza rinunciare, cioè, a ciò che rappresenta<br />

la differenza costitutiva dell’uomo.<br />

La nozione di “organismo” è la via che,<br />

sulla strada della costruzione di una “filosofia<br />

della vita”, porta Jonas a elaborare<br />

una nozione di libertà connessa a quello<br />

che egli definisce “principio responsabilità”.<br />

La libertà è, biologicamente e storicamente,<br />

situazionata, essendo radicata nella<br />

responsabilità che la lega a ciò nei cui<br />

confronti essa viene esercita. In questo<br />

senso, nel terzo dei saggi contenuti nel<br />

volume Tra il nulla e l’eternità, intitolato<br />

“Immortalità ed esistenza odierna”, Jonas<br />

recupera il concetto di immortalità, inteso<br />

come “immortalità delle azioni”. Scartata<br />

come problematica l’idea dell’immortalità<br />

della persona, una volta che si assume il<br />

carattere finito dell’esistenza umana, il legame<br />

dell’uomo con l’eternità può costituirsi<br />

solo sulla base dell’iscrizione in essa<br />

delle sue azioni; fatto, questo, che non<br />

comporta per l’individuo alcun motivo di<br />

vanitoso orgoglio, osserva Jonas, bensì il<br />

definirsi della sua libertà a partire dalla sua<br />

responsabilità.<br />

La traduzione, risalente al 1990, de Il principio<br />

responsabilità ha segnato la notorietà<br />

del filosofo tedesco in Italia, nonché l’inizio<br />

della traduzione di altre sue opere: Lo<br />

gnosticismo (SEI, Torino 1991), Dalla<br />

fede antica all’uomo tecnologico (Il Mulino,<br />

Bologna 1991), Il diritto di morire (Il<br />

Melangolo, Genova 1991), Il concetto di<br />

26<br />

Dio dopo Auschwitz (Il Melangolo, Genova<br />

1991). Il “principio responsabilità”, propugnato<br />

da Jonas, comporta un evidente<br />

riferimento polemico al “principio speranza”<br />

di Ernst Bloch, nel cui ottimismo Jonas<br />

legge una sottovalutazione delle potenzialità<br />

distruttive delle tecnica. Oltre a ciò,<br />

Jonas rimprovera all’impostazione blochiana<br />

di prescindere dalle condizioni reali in<br />

cui è collocato l’agire umano, e di dar luogo<br />

in tal modo a un prometeismo che, proprio<br />

sulla base della scienza e della tecnica,<br />

dovrebbe aprire alla speranza di riappropriazione,<br />

da parte dell’uomo, della propria<br />

essenza, alienata nella società capitalista.<br />

Il “principio responsabilità” jonasiano<br />

costituisce, d’altra parte, anche una<br />

presa di distanza dal catastrofismo, nella<br />

convinzione (di matrice heideggeriana) che<br />

la tecnica costituisca il destino dell’uomo,<br />

e nell’accettazione, in questa prospettiva,<br />

di un’etica della responsabilità, concepita<br />

come valutazione del legame tra azione e<br />

sue conseguenze concretamente prevedibili.<br />

F.C.<br />

Etica integrativa<br />

tra arte del vivere e filosofia<br />

Con il volume INTEGRATIVE ETHIK (Etica<br />

integrativa, Suhrkamp, Frankfurt a. M.<br />

1992) Hans Krämer, docente all’Università<br />

di Tubinga e già autore di uno<br />

studio sul concetto di virtù in Platone<br />

e Aristotele, presenta un denso bilancio<br />

di una riflessione trentennale sui<br />

problemi dell’etica e della filosofia<br />

pratica.<br />

L’idea di un’etica “integrativa”, come viene<br />

sviluppata da Hans Krämer, si presenta<br />

come una teoria del retto vivere e al tempo<br />

stesso come una forma della “filosofia pratica”,<br />

intendendo con questo conciliare una<br />

descrizione asistematica dell’esistenza<br />

umana, e delle modalità attraverso cui essa<br />

cerca di realizzare la felicità, con il rigore e<br />

la “scientificità” della dimensione concettuale<br />

e filosofica. Krämer si trova così<br />

immediatamente di fronte a una domanda<br />

di fondo: qual è il rapporto tra le obbligazioni<br />

morali di un individuo e la sua tendenza<br />

alla realizzazione di se stesso? A<br />

questa domanda egli intende rispondere<br />

superando il contrasto, tipico di diverse<br />

forme di filosofia pratica, secondo cui tutto<br />

ciò che non è suscettibile di una trattazione<br />

nell’ambito di questioni di carattere fondativo<br />

e di principio deve cadere nel contenitore<br />

ampio e privo di differenziazioni dell’<br />

“arte del vivere”.<br />

Krämer esprime il contrasto tra obbligazione<br />

morale e realizzazione individuale anche<br />

attraverso i concetti di “dovere” (Sollen)<br />

e di “volere” (Wollen). «Il dovere<br />

dotato di validità è un volere qualificato»,<br />

suona la tesi fondamentale dell’opera. Per


definire cosa sia un volere qualificato, Krämer<br />

utilizza il concetto di orizzonte d’attesa<br />

che fonda una norma (dalla morale particolare<br />

di una coppia fino all’etica di una<br />

cultura o di un’epoca). Un volere “qualificato”<br />

è per Krämer un volere che, in un<br />

ordinamento di valori di tipo gerarchico,<br />

può riferirsi ad esigenze relative all’orizzonte<br />

di attesa più elevato. Il consenso<br />

svolge in questo contesto il ruolo di istanza<br />

di controllo e di rettifica.<br />

Nella storia della filosofia si potrebbero<br />

trovare numerosi esempi del tentativo di<br />

stabilire criteri comunicativi e razionali<br />

della validità delle norme morali, dall’imperativo<br />

categorico kantiano fino alla fondazione<br />

ultima di Apel. Krämer sposta la<br />

ricerca di un principio fondativo sul terreno<br />

della molteplicità dei mondi della vita: «Si<br />

danno nella costituzione morale solo opzioni<br />

estensive, che si sono affermate nella<br />

competizione con altre, ma non si dà nessuna<br />

forma aprioristica di ragione». Al volere<br />

e alle emozioni spetta così, nella costituzione<br />

delle norme e dei rispettivi rapporti<br />

gerarchici, altrettanta importanza che alle<br />

motivazioni razionali. Ma per rendere efficaci<br />

e concrete queste due istanze, Krämer<br />

introduce un terzo concetto fondamentale,<br />

una vecchia conoscenza della riflessione<br />

sull’etica: il “potere” (Können), cioè la<br />

“capacità” umana di realizzare o di fare<br />

qualche cosa.<br />

L’etica integrativa krämeriana ruota così<br />

attorno ai tre perni del volere, potere e<br />

dovere. Nonostante l’affermazione dell’esigenza<br />

di un’etica pluridimensionale, che<br />

corrisponda alla molteplicità dell’esperienza<br />

umana, Krämer sembra però conferire<br />

maggior peso al potere e al volere, affermando<br />

con ciò un relativo primato di quella<br />

che egli chiama Strebensethik (“etica dell’aspirazione”<br />

o della “tensione” dell’individuo<br />

alla propria realizzazione nel mondo)<br />

rispetto all’etica del dovere. Per questo<br />

aspetto l’autore parla del dovere e dello<br />

Streben come di due diversi “rami” dell’etica,<br />

che si situano in un rapporto di<br />

complementarità. Entrambi dovrebbero<br />

conferire all’individuo quel bisogno di<br />

orientamento che secondo Krämer rappresenta<br />

un fattore decisivo della coscienza<br />

nel momento attuale. M.M.<br />

Realtà e democrazia del sapere<br />

La recente uscita di due nuovi libri di<br />

Hans Jörg Sandkühler, DIE WIRKLICHKEIT<br />

DES WISSENS (Suhrkamp, Frankfurt a.M.<br />

1991) e DEMOKRATIE DES WISSENS (VSA,<br />

Hamburg 1991) offre l’occasione per<br />

occuparci dell’intensa attività di una<br />

delle più significative personalità del<br />

panorama filosofico odierno in Germania.<br />

Ha anche diretto la EUROPÄISCHE<br />

ENZYKLOPÄDIE ZU PHILOSOPHIE UND WIS-<br />

SENSCHAFTEN (4 voll., Meiner, Hamburg<br />

AUTORI E IDEE<br />

1990), cui hanno partecipato oltre 380<br />

studiosi di ogni parte del mondo, e va<br />

pubblicando dal 1991 la rivista “Dialektik”:<br />

due imprese in collaborazione<br />

con l’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong><br />

di Napoli.<br />

Hans Jörg Sandkühler è autore estremamente<br />

attento al problema del quadro del<br />

sapere (e quindi dell’ “enciclopedia”) in<br />

un’epoca in cui esso cresce ad un ritmo<br />

vertiginoso, soprattutto in campo scientifico,<br />

ma rischia anche di alimentare un senso<br />

di dispersione, frammentazione, smarrimento<br />

e di perdere ogni concreta fruibilità<br />

culturale e sociale. Questa preoccupazione<br />

è sullo sfondo anche del suo recente lavoro,<br />

Demokratie des Wissens. E’ chiaro che un<br />

nuovo quadro d’insieme, una nuova immagine<br />

del mondo e dell’uomo, avrà senso se<br />

cercheremo anzitutto di adeguare le nostre<br />

concezioni, in tutti i campi, ai livelli più<br />

avanzati del sapere. Ed è indiscutibile che<br />

nel sapere contemporaneo la maggior rivoluzione<br />

si è avuta in campo scientifico.<br />

Nelle scienze della natura, attraverso teorie<br />

come la meccanica quantistica, si è prodotta<br />

un’immagine del mondo non più caratterizzata<br />

dal rigido determinismo di un tempo.<br />

Non si può pensare che il mondo abbia<br />

un ordine assoluto precostituito. Non esiste<br />

un punto di vista divino da cui cogliere la<br />

connessione necessaria del Tutto.<br />

La presunzione di un ordine unico della<br />

realtà va ormai definitivamente rimossa<br />

anche dalle teorie sull’uomo e sulla società.<br />

In questo quadro dev’essere rettificata<br />

anche la visione marxista, afferma ancora<br />

Sandkühler, che del marxismo è uno dei<br />

maggiori studiosi attuali. Tale visione è<br />

andata soggetta in passato ad un notevole<br />

irrigidimento, per uscire dal quale il marxismo<br />

stesso deve tra l’altro superare l’ostilità<br />

che ha spesso dimostrata verso l’empirismo,<br />

da molti considerato erroneamente<br />

sinonimo di riferimento immediato all’esperienza.<br />

In realtà, sostiene Sandkühler in<br />

Die Wirklichkeit des Wissens, si possono<br />

rilevare in Marx effettivi elementi empiristici:<br />

«Se l’empirismo, correttamente inteso,<br />

nella tradizione che parte da Bacone e<br />

da Locke significa quella filosofia dell’esperienza<br />

che non si esaurisce in una<br />

pura duplicazione delle percezioni sensibili,<br />

ma implica una costruzione razionale di<br />

dati empirici in modo da pervenire a leggi<br />

e regolarità, allora il tipo di teoria “Marx”<br />

era concepito empiristicamente. Così non<br />

può meravigliare che Marx, pur trasferendo<br />

di rado per analogiam nozioni delle<br />

scienze naturali nella teoria della società,<br />

abbia trovato il paradigma di quest’empiria<br />

nel procedimento conoscitivo delle<br />

scienze naturali».<br />

Sintomatico dell’irrigidimento della visione<br />

marxista, secondo Sandkühler, è proprio<br />

anche il fatto che solo di recente si sia<br />

rilevato il significato e la portata dell’attenzione<br />

dimostrata da Marx verso molteplici<br />

tematiche scientifico-naturali, e proprio nel<br />

senso di sottolineare il carattere costruttivo<br />

27<br />

e non puramente descrittivo o induttivistico<br />

dei loro procedimenti, che in certa misura<br />

diventano un modello anche per la scienza<br />

dell’uomo. Può apparire sorprendente<br />

che, sulla scorta di un certo storicismo, si<br />

consideri riduttivo e reificante ogni accostamento<br />

delle scienze dell’uomo a quelle<br />

della natura; qui però non si tratta di un<br />

appiattimento, di prospettive e metodi, bensì<br />

di un utile confronto con atteggiamenti<br />

epistemologici emersi in modelli di sapere<br />

elaborati nelle scienze esatte e naturali,<br />

ormai lontane da un totalizzante programma<br />

meccanicistico.<br />

L’empirismo genuino - continua Sandkühler<br />

- va dissociato da un “positivismo”<br />

inteso come ideale di una conoscenza basata<br />

su una riproduzione di “fatti” già in sé<br />

compiuti. La nuova immagine del mondo è<br />

legata alla capacità costruttiva della nostra<br />

conoscenza. La nostra realtà è quindi la<br />

realtà del nostro sapere. Di qui la proposta<br />

di un “realismo epistemologico” contrapposto<br />

a quello metafisico o del cosiddetto<br />

senso comune, mirante ad una riproduzione<br />

della realtà, ad una “ontologia della<br />

rappresentazione”. Il realismo epistemologico<br />

- leggiamo in Demokratie des Wissens<br />

- «può rapportarsi alla rivoluzione copernicana<br />

di Kant; ciò naturalmente solo se Kant<br />

viene inteso non come fondatore dell’idealismo,<br />

ma come complemento critico dell’empirismo<br />

razionale, avviato con Galilei<br />

e Bacone e portato avanti da Locke e<br />

Hume». Questo realismo, che vuole poggiare<br />

equilibratamente sui “due pilastri”<br />

della conoscenza, sfocia infine nella concezione<br />

dell’esperienza come “carica di<br />

teoria” (ma anche della teoria come carica<br />

di fattualità, come ha precisato Goodman).<br />

Un ruolo rilevante, nella nuova prospettiva,<br />

va assegnato al “materialismo razionale”<br />

di Bachelard, che accentua la discontinuità<br />

tra la conoscenza comune e quella<br />

scientifica, che in certo qual modo si crea<br />

nuovi oggetti. Nella discussione poi degli<br />

autori più recenti Sandkühler si avvicina<br />

alquanto al realismo interno di Hilary Putnam,<br />

il quale contesta da una parte la concezione<br />

“positivistica” e non storicizzata<br />

del mondo della scienza come insieme di<br />

“dati sensoriali”, ma dall’altra critica anche<br />

il costruttivismo estremo (per cui sembra<br />

che lo spirito crei il mondo) o il “piatto<br />

relativismo” di Feyerabend. Rifiutato<br />

l’esternalismo del “realismo metafisico”,<br />

Putnam sostiene che i nostri oggetti di<br />

conoscenza sono individuati, definiti e accettati<br />

in base ai nostri concetti: abbiamo<br />

un’ “obiettività per noi” al posto di quella<br />

dell’ “occhio divino”.<br />

In Die Wirklichkeit des Wissens - ricca<br />

introduzione storica alla teoria della conoscenza<br />

e all’epistemologia - la discussione<br />

delle concezioni recenti si estende a Richard<br />

Rorty, a J. Searle, agli esponenti del<br />

scientific materialism, dell’epistemologia<br />

evoluzionistica e del costruttivismo radicale,<br />

nonché a studiosi marxisti, a proposito<br />

dei quali leggiamo: «La teoria della


conoscenza materialistico-dialettica oggi<br />

va sempre maggiormente trasformandosi e<br />

si avvicina visibilmente ai principi del realismo<br />

interno […]. Ciò che veniva chiamato<br />

“rispecchiamento” si rivela ora come<br />

costruzione della realtà del sapere». L’approdo<br />

della ricerca di Sandkühler appare<br />

rappresentato da un’ontoepistemologia intesa<br />

dialetticamente come «teoria ontologica,<br />

in quanto interpreta le forme del sapere<br />

come forme d’essere» ed insieme «epistemologia,<br />

in quanto interpreta i “dati della<br />

realtà” come risultati di una costruzione<br />

epistemica, cioè mediante il sapere».<br />

Se il sapere non è scoperta di una struttura<br />

assoluta e precostituita, ma perenne<br />

(ri)costruzione da parte dei soggetti umani,<br />

si apre a questo punto un «passaggio dall’epistemologia<br />

all’etica epistemica» e il<br />

«realismo epistemologico fonda il diritto<br />

degli uomini al sapere». Quest’originale<br />

tentativo di allargamento della carta dei<br />

diritti dell’uomo prende consistenza dal<br />

rilevamento di una contraddizione tra il<br />

carattere attivo del conoscere, esaltato in<br />

particolare dall’attuale crescita complessiva<br />

della scienza, e gli aspetti di alienazione<br />

e restringimento del sapere individuale,<br />

che emergono dalla disgregazione della<br />

cultura ridotta ad elementi frammentari di<br />

consumo passivo, staccata dalla vita dei<br />

cittadini, sottratta a una loro vera partecipazione.<br />

«La contraddizione tra allargamento<br />

obiettivo e limitazione soggettiva<br />

AUTORI E IDEE<br />

del sapere è oggi - in società a “infrastruttura<br />

basata sul sapere” - uno dei problemi<br />

globali, poiché porta alla crisi non di questo<br />

o quel sapere, bensì alla crisi di ciò che<br />

costituisce un adeguato concetto di sapere:<br />

minaccia di distruggere l’universo di significati,<br />

la semantica dell’immagine del mondo,<br />

della quale dobbiamo disporre per poter<br />

concepire noi stessi come costruttori di<br />

un possibile mondo razionale». Non resta<br />

che riprendere un incessante sforzo di intercomunicazione<br />

dei saperi, di ristrutturazione<br />

dei complessi categoriali, di dialogo<br />

e confronto, per ritrovare, in uno spirito<br />

democratico, i fili di un possibile precorso<br />

attraverso la difficile, complessa realtà contemporanea.<br />

F.V.<br />

Gioco e giochi<br />

La riscoperta di un portato ontologico<br />

della categoria di gioco, che possa<br />

concorrere a definire i confini genealogici<br />

della ragione umana, in una prospettiva<br />

che connetta il “gioco del<br />

mondo”, come “gioco di Dio”, al gioco<br />

dell’uomo; è questo l’itinerario di pensiero<br />

del saggio di Francesca Brezzi, A<br />

PARTIRE DAL GIOCO. PER I SENTIERI DI UN<br />

PENSIERO LUDICO (prefazione di Paul Ricoeur,<br />

Marietti, Genova 1992). Dal “gio-<br />

Pieter Bruegel, Combattimento fra Quaresima e Martedì Grasso (1559),<br />

28<br />

co” ai giochi linguistici: il volume di<br />

Michele Francipane, LUDOGRAMMI. LE<br />

PAROLE GIOCOSE. PRATICA DEI GIOCHI LINGUI-<br />

STICI (prefazione di Bruno Munari, Mursia,<br />

Milano 1992) ne evidenzia il carattere<br />

profondamente umano, a tal punto<br />

profondo da trascendere l’identità<br />

individuale dell’homo ludens e fare<br />

del gioco linguistico da un lato il patrimonio<br />

di una tradizione culturale, dall’altro<br />

una pratica cognitiva.<br />

L’impostazione che guida le riflessioni di<br />

A partire dal gioco viene dichiarata da<br />

Francesca Brezzi fin dalle battute d’apertura<br />

dell’opera: ripercorrere le fasi della<br />

partita filosofica che il gioco ha condotto,<br />

contro i tentativi di emarginarlo da parte<br />

della ragione logica e sistematica, in vista<br />

dell’elaborazione di una filosofia del gioco<br />

che possa essere espressione della condizione<br />

umana, cioè del rapporto fra coscienza<br />

e destino. Su questa strada, nota Paul<br />

Ricoeur nella sua Prefazione al volume, si<br />

può incontrare l’obiezione dei moralisti,<br />

che vedono nel gioco una fuga dal principio<br />

di responsabilità etica individuale (e non<br />

colgono il carattere creativo e liberatorio<br />

dell’attività ludica nei confronti delle sistematizzazioni<br />

della ragione strumentale);<br />

ma si può incontrare anche l’opposizione<br />

di quegli epistemologi che non colgono il<br />

valore dell’affermazione del carattere di<br />

irriducibilità dell’istanza polisemica. Tuttavia<br />

il piano sul quale si colloca l’indagine<br />

di Brezzi è, dichiaratamente, quello ontologico;<br />

lungi da una posizione estetizzante,<br />

come dall’apologia di una generica ludicità,<br />

il concetto di gioco si connette per<br />

l’autrice al logos umano e al legame dell’uomo<br />

con la totalità dell’essere tramite<br />

l’identificazione di gioco e sacro, dove il<br />

motivo dell’homo ludens si congiunge a<br />

quello del Deus ludens. Le due tappe della<br />

ricerca riguardano in primo luogo la “fenomenologia<br />

del gioco”, dove quest’ultimo si<br />

manifesta nelle attività dell’uomo, e in<br />

secondo luogo la dimensione sacra del gioco<br />

medesimo, come spazio dell’irruzione<br />

della trascendenza nella finitezza umana. Il<br />

gioco come atto libero appare dunque costitutivo<br />

del pensiero, come già mostrava<br />

Kant con la sua dottrina del giudizio estetico,<br />

che è «libero gioco delle facoltà rappresentative»;<br />

laddove si verifica non una<br />

situazione di anarchismo gnoseologico, ma<br />

il predominio della facoltà immaginativa,<br />

che comporta un particolare tipo di accordo<br />

delle altre facoltà. Il gioco si qualifica,<br />

d’altra parte, anche come prassi critica: nel<br />

suo manifestarsi nel fenomeno del comico,<br />

esso diventa la leva per il rovesciamento<br />

della metafisica della presenza. In questa<br />

accezione il gioco si presenta come fondamento<br />

di una logica alternativa ai valori<br />

costituiti, il sintomo di una crepa che attraversa<br />

il dato esistente.<br />

E’ però nella seconda parte di A partire dal<br />

gioco, dedicata al rapporto fra gioco e<br />

religione, che emerge la finalità della ricer-


ca di Brezzi, che costeggia quelle riflessioni<br />

configuranti una “teologia ludica”. Il<br />

passaggio dall’homo faber all’homo ludens<br />

rappresenta infatti, nelle intenzioni<br />

dell’autrice, la scoperta dell’elemento ludico<br />

come costitutivo dello statuto ontologico<br />

dell’esistenza umana, nell’intento di<br />

delineare un “umanesimo alternativo”, dove<br />

il gioco, in quanto cifra dell’umana esistenza,<br />

diviene categoria (si rammenti la tematica<br />

pascaliana della scommessa) propria<br />

della finitezza umana nella sua tensione<br />

alla trascendenza. L’homo ludens, tramite<br />

il carattere di gratuità del suo atto, diviene<br />

così partecipe di un tratto caratteristico del<br />

divino; diviene, anzi, partecipe del medesimo<br />

gioco in quell’incontro, ludico in quanto<br />

libero, che è l’ascensione a Dio, quale si<br />

realizza nella preghiera e nella liturgia<br />

sacra.<br />

Gli elementi di creatività e libertà presenti<br />

nell’atto ludico, inseriti questa volta in una<br />

dichiarata prospettiva pedagogica, sono<br />

anche il criterio ispiratore della raccolta di<br />

giochi linguistici di Michele Francipane;<br />

Ludogrammi non è un’antologia, ma una<br />

classificazione ragionata di giochi linguistici<br />

che presuppongono, come sostiene<br />

Bruno Munari nella sua Prefazione, l’uso<br />

dei sensi, oltre a quello della ragione. Il<br />

concetto di “ludogramma”, coniato dall’autore,<br />

sta a indicare proprio i giochi<br />

linguistici verbali ed extraverbali, realizzabili,<br />

cioè, tanto con grafemi, quanto con<br />

AUTORI E IDEE<br />

Hieronymus Bosch, La nave dei folli (1490-1500), particolare<br />

segni di altro genere. La nozione di ludogramma<br />

sottolinea anzitutto il carattere<br />

euristico del gioco, tale per cui l’elemento<br />

di libertà dell’attività ludica si coniuga con<br />

quello dell’utilità. In altri termini, alla gratuità<br />

del gioco la prospettiva ludogrammatica<br />

connette la finalizzazione, dal momento<br />

che il carattere euristico dell’attività<br />

ludica, implicito nella classificazione di<br />

“ludogramma”, si realizza in un apprendimento<br />

orientato all’acquisizione di una strumentalità<br />

creativo-formativa e di una inventivo-risolutiva.<br />

La nozione di ludogramma, proprio per il<br />

carattere semiotico che viene conferito<br />

all’attività ludica, comporta in secondo<br />

luogo la considerazione della dimensione<br />

sovraindividuale a essa pertinente. L’analisi<br />

ludogrammatica, dunque, anche solo<br />

per ciò che riguarda l’uso ricreativo-evasivo<br />

del gioco, implica una relazione fra<br />

gioco e tradizione culturale che, a parere di<br />

Francipane, si determina in senso biunivoco<br />

come identificazione: non solo il gioco<br />

come cultura, ma la tradizione culturale<br />

stessa come gioco, anzi come ludogramma:<br />

gioco di segni, cioè gioco di rimandi,<br />

semiosi aperta. Il criterio di classificazione<br />

dei ludogrammi, di cui quelli presentati<br />

in questo libro costituiscono il primo volume<br />

del piano complessivo dell’opera, è<br />

disciplinare e pone capo a una prima partizione<br />

fra ludogrammi verbali, extraverbali<br />

e integrati, e a un’ulteriore suddivisio-<br />

29<br />

ne dei ludogrammi extraverbali in analogici,<br />

antropologici, scientifici, e non verbali.<br />

La prospettiva umanistica dell’opera<br />

porta con sé una forte motivazione pedagogica,<br />

sulla base del presupposto che il<br />

gioco, come sostiene l’autore, già di per sé<br />

parli sempre un suo linguaggio cognitivo,<br />

relazionale, sociale, creativo e ricreativo.<br />

F . C .<br />

La natura del linguaggio<br />

Con la sua opera DIE NATUR DER SPRA-<br />

CHE. DIE DYNAMIK DER PROZESSE DES SPRE-<br />

CHENS UND VERSTEHENS (La natura del<br />

linguaggio. La dinamica dei processi<br />

del parlare e del comprendere, De<br />

Gruyter, Berlin 1991) Helmulth Schnelle<br />

si propone di conferire un nuovo<br />

orientamento alla ricerca linguistica,<br />

da lui intesa come scienza, ispirata al<br />

metodo delle scienze naturali, dei processi<br />

dinamici del parlare e del comprendere.<br />

Diverse sono le concezioni del linguaggio<br />

che stanno alla base dei diversi orientamenti<br />

della linguistica contemporanea. Per<br />

citare solo quelle fondamentali, la lingua<br />

può essere intesa come sistema di segni o<br />

mezzi espressivi, come un insieme di attività<br />

e comportamenti, come un aspetto<br />

della costituzione psichica e neuro-biologica<br />

dell’essere umano e come l’insieme<br />

degli effetti dei processi complessi del par-


lare e del comprendere sull’organismo<br />

umano. In relazione alla concezione del<br />

proprio oggetto, e del metodo adeguato a<br />

coglierlo, le teorie del linguaggio possono<br />

venire dunque di volta in volta a trovarsi in<br />

compagnia di scienze come la matematica<br />

e la logica, di dottrine filosofiche o sociologiche<br />

del comportamento umano, della<br />

psicologia e della biologia. A favore di una<br />

concezione dello studio della lingua come<br />

scienza di carattere “naturalistico” si schiera<br />

nettamente uno dei linguisti di primo<br />

piano dell’area culturale tedesca, Helmuth<br />

Schnelle. Nella sua recente opera, Die Natur<br />

der Sprache, con la quale egli si propone di<br />

sviluppare un nuovo orientamento nella<br />

ricerca in questo campo, egli intende la<br />

linguistica come una scienza (ispirata ai<br />

criteri di scientificità delle scienze della<br />

natura) dei processi dinamici del parlare e<br />

del comprendere. Se la linguistica del XX<br />

secolo si è riferita prevalentemente alla<br />

lezione di Ferdinand de Saussure, i geni<br />

ispiratori di Schnelle sono Newton e Leibniz.<br />

Sul piano storico Schnelle rintraccia<br />

nel passato della linguistica, accanto ai<br />

paradigmi che intendono la lingua come<br />

sistema di segni e a quelli di tipo strutturalistico,<br />

una tradizione di carattere descrittivo,<br />

che considera la lingua dal punto di<br />

vista dinamico e genetico. E’ rifacendosi a<br />

questa linea che, secondo Schnelle, i fenomeni<br />

della lingua possono essere accessibili<br />

a un’impostazione di tipo naturalistico,<br />

attraverso indagini epistemologiche, concettuali<br />

e di critica della lingua. Se le analisi<br />

particolari di tale linguistica (ad esempio<br />

nel campo dei fondamenti della “linguistica<br />

delle reti”: Netzlinguistik) risultano interessanti<br />

(e comprensibili) solo per gli specialisti<br />

di settori della linguistica, delle<br />

scienze neurologiche e della computerscience,<br />

la concezione di fondo della lingua<br />

che emerge dall’opera di Schnelle può<br />

forse sollevare interesse e discussioni in<br />

ambiti più ampi. M.M.<br />

Coscienza e linguaggio<br />

Nel volume DER BEGRIFF DES BEWUSST-<br />

SEINS. EINE BEDEUTUNGSANALYSE (Il concetto<br />

di coscienza. Un’analisi del significato,<br />

Klostermann, Frankfurt a.<br />

M. 1992) Hubert Schleichert intende<br />

presentare non una teoria della coscienza<br />

o una critica delle teorie esistenti,<br />

ma un’analisi dei diversi concetti<br />

di coscienza reperibili nella storia<br />

della riflessione filosofica.<br />

L’opera di Hubert Schleichert si ispira<br />

alla tesi, tipica delle filosofie di matrice<br />

analitica (e sostenuta tra l’altro anche da<br />

Wittgenstein), secondo la quale molti problemi<br />

filosofici nascono da un’utilizzazione<br />

impropria del linguaggio. Propedeutica<br />

a ogni costruzione di teorie è dunque, in<br />

AUTORI E IDEE<br />

questa prospettiva, un’analisi del linguaggio<br />

che stabilisca i limiti entro i quali un<br />

determinato termine può essere utilizzato<br />

in modo sensato. Sostenuto dalla convinzione<br />

che molte teorie della coscienza facciano<br />

un uso errato o inesatto del termine in<br />

questione, Schleichert propone nella sua<br />

opera, Der Begriff des Bewußtseins, un’analisi<br />

dei diversi significati che storicamente<br />

sono stati conferiti al termine “coscienza”,<br />

intendendo così sviluppare non una descrizione<br />

del fenomeno della coscienza, ma un<br />

chiarimento del significato della parola.<br />

Condizione di tale chiarimento, che per<br />

Schleichert non dovrebbe avere carattere<br />

obbligante rispetto alla scelta di una determinata<br />

concezione filosofica o psicologica<br />

del fenomeno della coscienza, è l’analisi<br />

della “fraseologia canonica” attraverso la<br />

quale i filosofi di provenienza più disparata<br />

hanno tentato di circoscrivere, comprendere<br />

e definire il fenomeno in questione. Due<br />

capitoli dell’opera sono così dedicati a una<br />

chiara esposizione delle concezioni del rapporto<br />

corpo-anima in Cartesio e Leibniz. In<br />

seguito l’autore discute, con riferimento a<br />

Wittgenstein e ad Alan Turing, la questione<br />

se le macchine possano “avere uno spirito”,<br />

per poi concentrarsi sulla concezione<br />

della coscienza in autori come Locke, Kleist,<br />

Nietzsche, Marx, Wolff, Thomasius, Mauthner,<br />

William James. Schleichert giunge<br />

così alla conclusione che «tutto ciò che<br />

secondo l’opinione generale deve venire<br />

attribuito alla coscienza (riflessività, intenzionalità,<br />

comunicabilità, non-spazialità<br />

ecc.), può altrettanto bene essere considerato<br />

come una proprietà del linguaggio».<br />

Su questa base egli formula la tesi principale<br />

dell’opera, quella dell’identità tra coscienza<br />

e linguaggio: «Coscienza non è<br />

altro che il parlare, ora “interiore”, ora a<br />

voce alta; le parole “coscienza” e “parlare”<br />

hanno lo stesso significato». Essere coscienti<br />

di qualche cosa non è altro che il<br />

processo in cui questo “qualcosa” viene<br />

verbalizzato. La coscienza «non è qualcosa<br />

di misterioso dietro o al di là del parlare, ma<br />

il parlare stesso» - una tesi che non viene<br />

tuttavia sostenuta da un’articolata argomentazione,<br />

ma che viene affermata categoricamente,<br />

in modo da apparire, nonostante<br />

ogni preoccupazione di critica del<br />

linguaggio, come un presupposto indiscusso<br />

della ricerca di Schleichert. M.M.<br />

Storia del paradiso:<br />

Jean Delumeau<br />

Uno dei saggi storico-antropologici<br />

di maggior successo in Francia della<br />

stagione filosofica invernale è il primo<br />

volume del trittico HISTOIRE DU PA-<br />

RADIS (Storia del paradiso) di Jean Delumeau,<br />

che appare con il titolo: LE<br />

JARDIN DES DÉLICES (Il giardino delle<br />

delizie, Fayard, Paris 1992), ovvero<br />

30<br />

come per cinque secoli (XIV-XVIII) gli<br />

uomini hanno sognato, cercato, temuto<br />

l’Eden perduto.<br />

Il primo volume della Histoire du paradis<br />

di Jean Delumeau è dedicato al “mito” e<br />

al sentimento cristiano dell’Eden perduto.<br />

E’ un lavoro di uno storico e di un antropologo,<br />

in quanto si occupa di rintracciare e<br />

di comprendere gli affetti, le speranze e le<br />

paure con cui l’uomo cristiano si è misurato<br />

dal XIV al XVIII secolo. In questo senso<br />

è un libro che pone molti interrogativi<br />

filosofici sul modo vissuto in cui il peccato,<br />

la colpa, il perdono e la speranza hanno<br />

contribuito all’immaginario storico, in particolare<br />

per quanto riguarda il mito dell’Eden.<br />

La nostalgia del paradiso di Adamo<br />

e Eva è stata a lungo più che una<br />

emozione: la sua esistenza reale non fu<br />

messa facilmente in dubbio. Origene certo<br />

pensava fosse una stupida credenza; ma<br />

Agostino e Tommaso interpretano in termini<br />

realistici e non allegorici la presenza<br />

dell’Eden e la loro opinione da allora farà<br />

fede. Stupefacente, per Delumeau, è lo<br />

sforzo che gli uomini del Medio Evo fecero<br />

per localizzare tale giardino di delizie<br />

con la produzione di tutta una cartografia<br />

fantastica, indifferente ai reali progressi<br />

della geografia: se un tale giardino non lo<br />

si trova, non è perché non esiste, ma perché<br />

è inaccessibile.<br />

L’inquietudine e la speranza verso questo<br />

giardino perduto sono importanti, perché<br />

ci permettono di cogliere i nodi stretti fra<br />

peccato e castigo e i molteplici aspetti in<br />

cui l’anima cristiana ha immaginato di<br />

“sopravvivere” a questa drammatica caduta<br />

teologica. Così il Rinascimento con<br />

una certa ostinazione cerca di rendere<br />

l’Eden un oggetto storico e spiega la sua<br />

irreperibilità con la sua sparizione. Prende<br />

piede l’utopia, le ricostruzioni a ritroso di<br />

tale giardino: quali leggi vigevano, quali<br />

gerarchie s’imponevano ecc. Anche l’Illuminismo,<br />

incompatibile con questa credenza,<br />

ne conserva alcune tracce nei suoi<br />

sogni di emancipazione. L’immagine dell’uomo<br />

e dei suoi complessi rapporti con<br />

Dio saranno analizzati nei due prossimi<br />

volumi: il primo riguarderà l’attesa della<br />

felicità sulla terra, il secondo la speranza<br />

della gioia nell’aldilà. F.M.Z.<br />

Biologia:<br />

scienza e immaginario<br />

A monte del dibattito sulla conseguenze<br />

sociali e giuridiche delle conquiste<br />

scientifiche nel campo della<br />

biologia - ciò che prende il nome di<br />

bioetica - il libro di Michel Tibon-<br />

Cornillot, LES CORPS TRANSFIGURÉS; MÉ-<br />

CANISATION DU VIVANT ET IMAGINAIRE DE LA<br />

BIOLOGIE (I corpi trasfigurati. Meccanizzazione<br />

del vivente e immaginario


della biologia, Seuil, Paris 1992) argomenta<br />

la tesi che la scienza moderna<br />

troverebbe la sua legittimazione metafisica<br />

nell’«attivismo temporale e<br />

creazionista giudeo-cristiano».<br />

Se vale la considerazione che la biologia<br />

più che scienza del vivente è diventata la<br />

tecnica capace di procedere alle sue metamorfosi,<br />

questo si deve al rapporto di<br />

immanenza reciproca tra scienza e tecnica.<br />

Una medesima intenzione riduzionista<br />

ispira i primi tentativi di dissezione e<br />

di catalogazione degli anatomisti del XIV<br />

secolo come il progetto sul genoma umano<br />

degli scienziati di oggi: isolare e conservare,<br />

catalogare, riprodurre e dimostare<br />

sono le operazioni attraverso le<br />

quali la biologia organizza e interpreta il<br />

corpo vivente. In tale prospettiva, i recenti<br />

sviluppi della biologia molecolare<br />

costituiscono il risultato dell’applicazione<br />

di nuove tecniche di ricerca piuttosto<br />

che dell’elaborazione di quadri concettuali<br />

originali, o quanto meno la tecnologia<br />

della sperimentazione, intesa come<br />

meccanizzazione del vivente, è un fondamentale<br />

fattore di sviluppo della teoria.<br />

Più precisamente Michel Tibon-Cornillot<br />

vuole risalire alle origini da cui scaturiscono<br />

questi «due versanti della ragione»<br />

moderna. Da una parte la ragione<br />

osservante, contemplativa, che intende<br />

procedere alla matematizzazione del reale<br />

e che ha la sua forma già compiuta<br />

nell’ontologia platonica; dall’altra un<br />

modello di razionalità “militante”, che<br />

si esprime nell’esercizio sperimentale e<br />

che ha le sue radici nell’”attivismo cristiano”.<br />

L’immagine dell’uomo quale<br />

creatura che partecipa all’organizzazione<br />

e all’evoluzione della creazione divina,<br />

l’idea di una temporalità che si risolve<br />

in storia della Salvezza, sono le strutture<br />

ideali che continuano ad alimentare<br />

l’immaginario, sociale e scientifico, del<br />

giorno d’oggi. Ancorando la ragione<br />

scientifica ad una originaria concezione<br />

religiosa - quella giudaico-cristiana - la<br />

tesi di Tibon-Cornillot non mancherà di<br />

far discutere gli apologeti e i critici della<br />

scienza, uniti nel sostenere che è proprio<br />

quest’ultima ad aver espulso il divino dall’universo<br />

e dall’uomo. E.N.<br />

Il rompicapo del tempo<br />

Per parlare del tempo, oggetto “imbarazzante”<br />

a causa di una quotidianità<br />

che lo rende intimo eppure quasi impossibile<br />

da cogliere, Jean-Toussaint<br />

Desanti sceglie il dialogo platonico. Le<br />

RÉFLEXIONS SUR LE TEMPS (Riflessioni sul<br />

tempo, Grasset, Paris 1992) raccolgono<br />

infatti le conversazioni che egli ha<br />

avuto con Dominique-Antoine Griso-<br />

AUTORI E IDEE<br />

ni, che parla di Desanti come di un<br />

“moderno Socrate” per la sua riluttanza<br />

a mettere per iscritto un pensiero<br />

ellittico che alla scrittura preferisce<br />

la parola meditativa. Il dialogo tuttavia<br />

richiede all’interlocutore e al lettore<br />

un’attenzione metodica, e si apre<br />

mostrando come il tempo sia un oggetto<br />

che sembra sottrarsi alla filosofia<br />

proprio perché il linguaggio, che<br />

nel tempo è interamente inscritto, «è<br />

messo in scacco di fronte all’esigenza<br />

di doverne parlare».<br />

Il paradosso del tempo è quello di un essere<br />

che consiste della sua propria alienazione,<br />

di una presenza che si dà annullandosi, così<br />

che del passato si possa altrettanto bene<br />

dire che nulla più sussiste e che tutto è<br />

ancora là. Inoltre Jean-Toussaint Desanti<br />

concepisce il tempo come “intuizione del<br />

divenire” e quindi, riducendo il tempo stesso<br />

alla coscienza, si scontra con la difficoltà<br />

di prenderne sufficiente distanza per<br />

parlarne oggettivamente. Ogni discorso sul<br />

tempo tuttavia sembra sterrarne una «radice<br />

intemporale». Si pone allora la domanda<br />

su come sia possibile per l’uomo, totalmente<br />

inserito nel flusso del tempo, concepire<br />

qualcosa che sia fuori dal tempo. La<br />

risposta viene da Plotino: «non comprenderemmo<br />

l’eternità se non avessimo alcun<br />

contatto con essa». E’ quindi necessario<br />

tentare di cogliere l’articolazione del tempo<br />

e del non-tempo e insieme porre il fatto<br />

che il cominciamento del tempo è in una<br />

sorta di silenzio assoluto, di momento originario<br />

che non si può descrivere proprio<br />

perché «mancano le parole». Eppure in<br />

qualche modo “è dato”: in quel «prendere<br />

distanza da se stesso dello spirito - che<br />

pensa, si ricorda, immagina e parla - in seno<br />

all’atto riunificante del logos». Entrando<br />

nel processo del linguaggio e della simbolizzazione<br />

ci ritroviamo necessariamente<br />

in uno scarto rispetto a noi stessi, cioè «la<br />

coscienza intima del tempo è abitata dallo<br />

spazio dei segni».<br />

Il percorso di Desanti parte dalle riflessioni<br />

di Plotino e di Sant’Agostino, gli autori<br />

che a suo parere hanno costituito il tempo<br />

in problematica filosofica. Soprattutto è<br />

nel libro XI delle Confessioni che è possibile<br />

individuare «quasi tutte le dimensioni<br />

speculative aperte dal problema del tempo»,<br />

riassumibili in tre categorie: cosmologica,<br />

ontologica, fenomenologica. Prima<br />

di Agostino, attraverso le definizioni di<br />

Platone e di Aristotele, era accessibile una<br />

concezione del tempo come ordine misurabile<br />

del movimento. Tuttavia già la formula<br />

platonica, «immagine mobile dell’eternità»,<br />

sembra suggerire che la condizione<br />

di un discorso sul tempo sia il riferimento<br />

al suo opposto, stabile per eccellenza<br />

e dunque in pricipio conoscibile. Aristotele<br />

aggiungerà: conoscibile soltanto<br />

per l’anima. Secondo Desanti però ciò che<br />

avviene con Agostino è una sorta di “rivoluzione<br />

copernicana” che, per mezzo di<br />

31<br />

una riduzione fenomenologica «analoga a<br />

quella di Husserl», gli permette di cogliere<br />

il tempo in quella che è «la sua propria<br />

origine, non soltanto la sua origine per<br />

l’anima». Si approfondisce così quella che<br />

era stata l’iniziale posizione di coincidenza<br />

del tempo con la coscienza, in quanto la<br />

nostra coscienza del tempo si fonda su di<br />

un momento originario che non può essere<br />

costituito dalla coscienza stessa. In questo<br />

senso deve essere interpretata la definizione<br />

di Agostino: il tempo è distensio animi,<br />

spaziatura, messa in distanza, disgiunzione<br />

dell’anima, e sfugge al pensiero perché<br />

la sua radice intemporale sfugge al linguaggio<br />

nella misura in cui il linguaggio è<br />

sempre e necessariamente “nel tempo”.<br />

M.V.<br />

La memoria, l’oblio<br />

e l’immagine cinematografica<br />

Nella sua più recente opera, DIE EIN-<br />

STELLUNG IST DIE EINSTELLUNG. VISUELLE<br />

KONSTRUKTIONEN DES JUDENTUMS (L’atteggiamento<br />

è l’atteggiamento. Costruzioni<br />

visive dell’ebraismo,<br />

Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1992) Gertrud<br />

Koch, studiosa di problemi di storia<br />

e teoria del cinema e docente all’Università<br />

di Bochum, analizza le<br />

conseguenze sulla teoria estetica del<br />

divieto ebraico di farsi un’immagine<br />

della divinità.<br />

Fondamentale, nello studio di Gertrud<br />

Koch, è il problema della possibilità e delle<br />

modalità in cui si costituisce, attraverso le<br />

immagini del cinema e nella finzione estetica,<br />

la memoria dei campi di concentramento<br />

e della tragedia ebraica negli anni<br />

del nazismo. Punto di partenza per la discussione<br />

di questo problema è il celebre<br />

film di Claude Lanzmann Shoah, che<br />

secondo Koch è un tentativo di inoltrarsi,<br />

attraverso l’immaginario, in territori avvolti<br />

al tempo stesso nel ricordo e nell’oblio,<br />

di avvicinarsi alla realtà storica dei<br />

campi di sterminio non con mezzi documentaristici,<br />

ma attraverso la “fatticità della<br />

finzione”. Il film di Lanzmann sarebbe<br />

così un esempio paradigmatico di una modalità<br />

mimetica della costituzione della<br />

memoria, che rompe con la proibizione di<br />

farsi un’immagine della tragedia dello sterminio<br />

di massa, una proibizione originata<br />

dal timore di risvegliare quella sorta di<br />

piacere che può sempre essere contenuto<br />

nella rappresentazione estetica dell’orrore.<br />

L’opera della Koch è così, in modo più o<br />

meno esplicito, uno studio sui processi di<br />

apprendimento attraverso l’esperienza storica<br />

e sulla loro riproducibilità, tra memoria<br />

e oblio. Il problema fondamentale qui<br />

trattato è però quello delle conseguenze<br />

della proibizione delle immagini, tipica<br />

della cultura ebraica, sulla teoria estetica e<br />

sulla rappresentazione dello sterminio di<br />

massa attraverso mezzi cinematografici e<br />

artistici. E’ la ricerca delle radici di tale<br />

proibizione che fa da filo conduttore dei<br />

diversi capitoli e dei temi affrontati nel<br />

volume: dalla teoria critica della Scuola di


TENDENZE E DIBATTITI<br />

Francisco Goya, Il tre maggio 1808 (1814), particolare<br />

32


Oltre l’Europa,<br />

oltre la tolleranza<br />

Pensare filosoficamente, attraverso e<br />

oltre lo spirito europeo, «una dimensione<br />

spirituale fondativa della comunità<br />

degli uomini sino ai loro strati più<br />

profondi» è ciò che si propone lo studio<br />

di Elio Franzini, OLTRE L’EUROPA (Edizioni<br />

dell’Arco, Milano 1992). In questo<br />

occorre però guardarsi dal richiamo<br />

di una facile “tolleranza”, che è<br />

modello di convivenza insufficiente,<br />

se non pericoloso: è invece nell’orizzonte<br />

di una coesistenza dialogica che<br />

le differenze possono trovare un piano<br />

ordinativo e paritetico. A questa<br />

preoccupazione fa riscontro l’analisi<br />

dell’idea di tolleranza condotta da Ermanno<br />

Bencivenga nel suo OLTRE LA<br />

TOLLERANZA (Feltrinelli, Milano 1992).<br />

Lo spirito europeo è un “oggetto culturale<br />

complesso” di cui la descrizione fenomenologica<br />

può evidenziare i molteplici piani<br />

di unità e di esperienza, su cui poggia un<br />

comune progetto di coesistenza. Esercitarsi<br />

in una “fenomenologia dell’Europa”,<br />

sostiene Elio Franzini, significa descrivere<br />

i percorsi caratterizzanti che ne hanno<br />

segnato il passo, privilegiando gli incroci<br />

fra sapere scientifico e pratica artistica, fra<br />

sapere e saper fare, al fine di elaborare «un<br />

progetto costruttivo a partire dai nessi evidenziati<br />

che costituiscono la trama della<br />

nostra esperienza». Il filosofo, come sosteneva<br />

Edmund Husserl, può con modesta<br />

lucidità, “farsi funzionario dell’umanità”,<br />

esibire le costanti e le differenze che hanno<br />

costituito l’esperienza del vivere comune<br />

europeo, e attraverso la descrizione, rinnovarne<br />

lo “spirito” in una direzione progettuale.<br />

Bisogna dunque uscire dalla ricerca<br />

di modelli di speranza o d’elaborazione del<br />

lutto per pensare «la scelta di un modello di<br />

sviluppo, come via dell’uomo» verso un<br />

progetto di coesistenza “futura”, consapevole<br />

della complessità contemporanea.<br />

La riflessione filosofica ha per Franzini un<br />

compito molto preciso, quello di: «instaurare<br />

una trama descrittiva che possa comprendere,<br />

nel suo occasionale presentarsi,<br />

quel senso che la connessione dei fatti<br />

manifesta». In primo luogo occorre pensa-<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

re le differenze culturali sullo sfondo di un<br />

“comune sentire” del mondo a partire da<br />

valori e tradizioni differenti, ma che per<br />

tutte le civiltà presuppongono una radice<br />

antropologica comune, l’appartenenza cioè<br />

a una cultura quale piano costitutivo delle<br />

comunità. Tale piano non si costituisce<br />

solamente secondo condizioni e meccanismi<br />

socio-culturali, bensì si radica in un<br />

terreno simbolico, sensibile, che è precategoriale<br />

e come tale suscettibile d’essere<br />

universalmente comunicato. E’ universale,<br />

sostiene Franzini, ciò che esprime un<br />

rapporto comunicativo con l’altro: non è<br />

estraneo né semplicemente analogo a noi,<br />

bensì «espressione similare dell’universale,<br />

di una simbolicità radicale».<br />

Cercare nell’altro le ragioni della propria<br />

cultura su una comune base precategoriale<br />

non significa perseguire un fondamento<br />

unitario, bensì cercare di comprendere le<br />

ragioni e i processi che hanno condotto a<br />

costruire certi e non altri valori sulla base di<br />

un comune sentimento del mondo. Nel<br />

riconoscere le reciproche differenze di valori,<br />

ma su un piano paritetico, si pone la<br />

possibilità del dialogo costruttivo dove le<br />

differenze possano essere rese produttive<br />

di valori coesistenti e condivisibili. Scrive<br />

Franzini: «Quando l’altro permette di riconoscere<br />

se stessi si ha già la possibilità del<br />

dialogo perché questo altro viene percepito<br />

non come referente da tollerare, ma come<br />

altro uomo che può e deve, comunicando,<br />

insegnare. Le sue differenze sono le nostre<br />

mancanze, o il segno del nostro dimenticare».<br />

La “malattia mortale” dell’Europa sembra<br />

essere dunque la tolleranza. Si tratta di un<br />

accordo generico che tende a sintetizzare in<br />

“visioni conciliatrici” identità e differenza<br />

in un atteggiamento filosofico sospeso “fra<br />

ansia e giustificazionismo”. Tollerare le<br />

verità parziali degli altri è già un atto che<br />

confina con possibili prese di posizioni<br />

“tiranniche”. Attraverso la figura emblematica<br />

di Denis Diderot, Franzini prospetta<br />

un’altra forma di tolleranza, quella che<br />

lega l’uomo alla natura, permettendo l’interpretazione<br />

della natura attraverso la creazione<br />

culturale, secondo le linee di un<br />

movimento dove identità e differenza non<br />

si “tollerano” più, bensì “dialogano”. La<br />

tolleranza è sorpassata costruttivamente dal<br />

33<br />

dialogo, il quale non è sopportazione illuminata<br />

e benevola delle differenze, bensì<br />

interpretazione delle medesime in quanto<br />

esperienze complesse, ma paritetiche (sul<br />

piano del valore), poste sullo sfondo “di un<br />

comune orizzonte veritativo”. Tale fondamento<br />

veritativo non è nulla di trascendente<br />

bensì è condizione a priori di ogni esperienza<br />

“condivisibile”.<br />

Il dialogo è dunque una dimensione fondativa<br />

dell’esperienza con e in mezzo agli<br />

altri, un modello d’interpretazione che non<br />

edulcora le differenze, ma le rende produttive.<br />

Se Franzini si richiama al modello interpretativo<br />

del dialogo, è anche nel quadro di<br />

una precisa tradizione europea. Richiamandosi<br />

alla situazione attuale di crisi europea,<br />

di cui già parlavano Husserl e Valéry, Franzini<br />

ne individua il nucleo originario nella<br />

“perdita di memoria” da parte dello spirito<br />

europeo della sua “tradizione”, cioè del suo<br />

spirito “geometrico”, come capacità di organizzare<br />

e di interpretare in direzione costruttiva<br />

le differenti qualità del mondo<br />

circostante.<br />

L’idea che riassume l’origine e lo spirito di<br />

questa “tradizione” è quella di interpretatio<br />

naturae, per cui l’interpretazione della<br />

natura, cioè del mondo circostante intuitivo,<br />

non è disgiunta da un intento costruttivo.<br />

Imitando per così dire la natura, lo<br />

scienziato, che è anche artista (perché artefice),<br />

costruisce e desidera costruire una<br />

natura “altra” che colga della prima i volti<br />

espressivi, i nessi sensibili di coerenza, il<br />

senso delle operazioni soggettive nella costituzione<br />

della stessa esperienza oggettiva.<br />

L’interpretazione della natura non coglie<br />

nella natura un mondo chiuso, quantitavamente<br />

classificabile, ma solo e sempre<br />

un orizzonte di senso simbolico e comunicativo,<br />

la cui espressività non è affatto<br />

anodina, bensì «diviene capacità di manifestare<br />

e di far sentire un mondo di senso, in<br />

cui la presenza è espressiva e comunicativa<br />

nel suo stesso essere presenza».<br />

L’interpretatio naturae, che ha radici rinascimentali,<br />

ma che si sviluppa nei rami dei<br />

secoli (in Vico, in Diderot per esempio), è<br />

una possibile “risorsa” culturale e antropologica<br />

dello spirito europeo: coniuga l’esigenza<br />

d’interpretare la realtà circostante<br />

con il desiderio di comprendere, costruen-


do. Mette in opera un sapere grazie a un<br />

poter fare, un conoscere consapevole, “abile”,<br />

nella misura in cui tale sapere è un<br />

saper fare. In questo senso, lo spirito europeo<br />

può ed ha costituito un polo d’attrazione<br />

per gli altri Paesi non per una qualche<br />

imprecisata “superiorità”, ma perché si è<br />

potuto presentare come “modello” esportabile<br />

di un piano effettivo di dialogo, di<br />

unità fra sapere e fare da un lato, e dall’altro,<br />

fra imitazione e invenzione della natura<br />

(in quanto orizzonte di cose da interpretare<br />

per poter agire): fra mito e logos, arte<br />

e scienza - come suggerisce Franzini.<br />

La verità di questo “dialogo” fra più piani<br />

di significato (tecnico, artistico, espressivo,<br />

costruttivo) non si nasconde dietro le<br />

quinte del teatro europeo: è una verità<br />

espressiva, una forma concreta di “certezza”<br />

la cui legittimità è l’appartenenza a un<br />

“comune sentire”. Al di là delle differenti<br />

civiltà il modello dialogico europeo è condivisibile<br />

sulla base di un terreno precategoriale<br />

dell’esperienza, di un “sentire comune”<br />

radicato nel corpo proprio, nella<br />

panoplia espressivo-simbolica dei vissuti.<br />

Per Ermanno Bencivenga il problema di<br />

uno spirito comune europeo richiede in<br />

primo luogo di liberarsi da una concezione<br />

atomistica, egotietica dell’individuo. Il soggetto<br />

non è consistente, al contrario è qualcosa<br />

che non è (definitivamente) luogo e<br />

scena di una rappresentazione teatrale (per<br />

riprendere alcune suggestioni di Hume) in<br />

cui ruoli, capovolgimenti, intrighi si succedono<br />

rapidamente, impedendo al soggetto<br />

di dire: io sono qui e non mi muovo.<br />

Questo non-essere è, per Bencivenga, “differenza”,<br />

alterità che ha una funzione positiva:<br />

rompere la compattezza del mondo,<br />

scardinare la presunta necessità del reale e<br />

promuovere invece valori alternativi, far<br />

presagire altri mondi possibili, trasgredire<br />

gli assetti dati.<br />

La tolleranza è il modello complementare<br />

di questa visione dell’io atomico: metà<br />

disprezzo, metà sussiego indica un atteggiamento<br />

di benevole condiscendenza più<br />

che di partecipe sollecitudine. E’ una forma<br />

fittizia e sostitutiva di un accordo in cui<br />

il patto si stringe attorno a una solida<br />

diseguaglianza.<br />

La teoria del soggetto che Bencivenga<br />

espone invita a ripensarne anche l’atteggiamento<br />

etico. L’io è “diviso”, ricopre<br />

diversi personaggi e non è affatto un coacervo<br />

di forze adattive. Prioritaria è la<br />

differenza di cui siamo portatori e la relazione<br />

di scompaginamento, turbamento<br />

che la differenza dell’altro ci suscita. Cresciamo<br />

come combinazione di ideali, valori,<br />

atteggiamenti che abbiamo raccolto<br />

sul cammino dell’esistenza, poiché ciò che<br />

caratterizza di più il soggetto è «una disponibilità<br />

infinita a raccogliere frammenti e<br />

spezzoni di comportamento, una sorprendente<br />

capacità di copiare dettagli in apparenza<br />

inoffensivi, irrilevanti».<br />

Questa molteplicità di toni porta a concludere<br />

perentoriamente che «il soggetto non<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

è un individuo ma piuttosto una comunità».<br />

La pluralità, in ogni caso, è “esterna”,<br />

deriva dalla coesistenza con gli altri così<br />

che il «soggetto è precisamente il carattere<br />

plurale della comunità, la comunità in quanto<br />

plurale».<br />

Detto questo, la tolleranza non opera se<br />

non la riduzione del “diverso” all’assimilabile,<br />

al modello ideale della normalità.<br />

Invece, il diverso va «difeso nella sua<br />

diversità», riconoscendolo portatore di una<br />

pluralità, di una disarmonia che è la nostra.<br />

La tolleranza come strategia di “omologazione”<br />

elimina concettualmente e moralmente<br />

il diverso. In tale contesto l’intellettuale<br />

può, secondo Bencivenga, prodigarsi<br />

per «difendere un ideale, un progetto di<br />

mondo, stabilire priorità fondamentali,<br />

criteri di legittimità. Il primo ideale da<br />

salvaguardare è la ragione stessa da non<br />

ridurre a operazione strumentale: al contrario,<br />

essa è un’istanza finale».<br />

Un’antinomia pare disegnarsi nel libro di<br />

Bencivenga: infantilismo versus maturità,<br />

ragione monologica versus plurivocità del<br />

dialogo (con se stesso, con gli altri). Di<br />

conseguenza, contro l’omologazione della<br />

tolleranza e la politica ottusa dell’urgente,<br />

occorre “un qualcosa” che faccia crescere<br />

tutti. Occorre «fare dell’educazione<br />

un progetto di durata indefinita». L’educazione<br />

può e deve divenire una parola d’ordine<br />

della politica internazionale, proporsi<br />

come «terza via oltre a quella tradizionale<br />

dello scontro e quella più recente dell’assorbimento,<br />

della riduzione al minimo<br />

comun denominatore». L’educazione permanente<br />

ha come scopo quello di incoraggiare<br />

e articolare comportamenti possibili<br />

sempre più complessi, duttili alle situazioni<br />

contingenti. Mira a costruire reti di<br />

possibilità reali ed esistenziali. La nostra<br />

società deve mobilitarsi per trasformarsi<br />

in una scuola, dove scuola va qui intesa<br />

non come strumento di controllo sociale o<br />

di formazione delle competenze, bensì<br />

come dispositivo atto a allargare il dialogo,<br />

a promuovere la discussione sulla vivibilità<br />

in base alla qualità del vivere e non<br />

alla sola quantità di beni da spartire. Un<br />

autentico progetto di “paideia” quello che<br />

Bencivenga pare chiamare in causa, rivendicando<br />

non a caso la oliticità intrinseca<br />

del soggetto.<br />

Il progetto educativo-politico riannoda con<br />

energia aspirazioni generose e impegnative<br />

che i filosofi, spesso, fra entusiasmo e<br />

delusione hanno avuto il coraggio di proporre.<br />

L’educazione è stata ed è una delle<br />

parole chiave di questo impegno: Platone<br />

certo; ma anche come scordare il progetto<br />

illuministico della Popularphilosophie?<br />

F.M.Z.<br />

Morali in saldo<br />

nella crisi dei valori<br />

34<br />

Nonostante la povertà morale dei tempi,<br />

non appassisce in Francia la tradizione<br />

moralistica, il ricordo e la tentazione<br />

di farsi critico intelligente e aspro<br />

dei costumi e delle ipocrisie del senso<br />

comune secondo lo stile di un Voltaire<br />

o di un Diderot. Molti studiosi, tacciando<br />

di infantilismo della ragione (o<br />

anche peggio) la morale degli altri,<br />

avanzano pretese di visione “illuminata”.<br />

A volte la polemica non vale se<br />

non quale astiosa discussione pubblica<br />

(e molte vendite); altre volte si tratta<br />

di un lavoro serio, storicamente<br />

documentato. Di questa “svendita” di<br />

morale e di morali, presentiamo tre<br />

casi, che hanno fatto discutere la stampa<br />

e l’opinione pubblica francese in<br />

questo inverno: LE CRÉPUSCULE DU DE-<br />

VOIR (Gallimard, Paris 1992), di Gilles<br />

Lipovetsky; LE NOUVEL ORDRE ÉCOLOGI-<br />

QUE (Grasset, Paris 1992), di Luc Ferry;<br />

LE SACRÉ DU CITOYEN. HISTOIRE DU SUFFRA-<br />

GE UNIVERSEL EN FRANCE (Gallimard, Paris<br />

1992), di Pierre Rosanvallon.<br />

Celebre per le sue analisi della società<br />

contemporanea in quanto “vuota” ed “effimera”,<br />

Gilles Lipovetsky rilancia il suo<br />

ottimismo minimo (minimalista?): non è<br />

vero che la nostra sia un’epoca egoista e<br />

spietata; siamo in realtà in un’epoca di<br />

piena realizzazione dell’individualismo,<br />

un’epoca che tuttavia non ha certo provocato<br />

le catastrofi predette da Nietzsche e<br />

Freud. Altro che malessere della civiltà,<br />

altro che volontà di potenza: occorre invece<br />

accogliere sollevati «il crepuscolo dell’idea<br />

di dovere». Detto altrimenti: l’idea<br />

di sacrificio è socialmente deligittimata, la<br />

morale non brancola più nel buio di ideali<br />

utopici, il benessere e il vivere meglio<br />

diventano la guida del comportamento<br />

morale. Tutto ciò equivale a una reale<br />

“emancipazione” da dogmi e doveri assoluti:<br />

la libera scelta, la costruzione narcisistica<br />

di sé vanno di pari passo con l’individuo<br />

responsabile dell’epoca “neo-individualista”.<br />

Ciò che contraddistingue l’analisi di Lipovetsky<br />

è la particolare visione della nostra<br />

epoca. In un momento in cui gelidi venti di<br />

razzismo, intolleranza, caccia alle streghe<br />

percorrono la vecchia Europa liberale, egli<br />

sostiene che questa morale neo-individualista<br />

è allergica non solo ai dettami morali,<br />

ma anche a ogni trasgressione e eccesso. In<br />

tutti gli aspetti della vita quotidiana (famiglia,<br />

morale sessuale, lavoro, sport) la ricerca<br />

del proprio interesse implica uno<br />

spirito di tolleranza, mediazione, negoziazione.<br />

Non siamo molto lontani dalla cinica<br />

indifferenza e da uno stile di vita del<br />

tutto borghese, pacificato e pacificatore,<br />

capace di scambiare la mala fede con la<br />

disponibilità per l’altro. Da più parti è stato<br />

così sottolineato che tale ottimismo non<br />

rende affatto ragione della complessa situazione<br />

di crisi economica e politica: per<br />

tutti coloro che sono minacciati da disoccu-


pazione, razzismo, marginalizzazione, “il<br />

caos organizzatore” di cui parla l’autore,<br />

come hanno osservato alcuni critici, è «un<br />

po' troppo caotico per alcuni, e un po'<br />

troppo organizzato per altri».<br />

Luc Ferry, in Le nouvel ordre écologique,<br />

smantella invece il pensiero “verde”, in<br />

particolare la deep ecology, di cui mette in<br />

luce le componenti conservatrici, reazionarie,<br />

antiumaniste. L’idea di fondo è semplice:<br />

l’uomo si definisce per Ferry in quanto<br />

sforzo libero e cosciente di sottrarsi alla<br />

natura di cui fa parte, di emanciparsi da<br />

essa, di trasformarla. Costruire una piramide<br />

di valori, la cui cima è costituita dalla<br />

biosfera può indurre un antiumanismo viscerale.<br />

Ferry cerca di dimostrare i legami<br />

storici e culturali fra l’ecologia contemporanea<br />

e una tradizione che va da Spinoza<br />

fino al romanticismo tedesco e che sfocia<br />

nel vitalismo nietzscheano. Hitler impose<br />

nuove leggi sulla difesa degli animali e<br />

sulla protezione della natura in nome, sostiene<br />

Ferry, di un odio profondo contro il<br />

mondo moderno, il capitalismo, il liberalismo:<br />

la difesa della natura può anche suscitare<br />

una pericolosa nostalgia del passato.<br />

Esiste tuttavia un’ecologia “riformista” che<br />

agisce strettamente connessa al mondo liberale<br />

e che non vuole affatto contrapporre<br />

natura e civiltà, diritti dell’uomo e diritti<br />

della natura.<br />

Pierre Rosanvallon, nel suo libro: Le sacré<br />

du citoyen, analizza le particolari vicende<br />

del suffragio universale in Francia,<br />

senza perderne di vista la portata europea,<br />

il valore di esempio che esso può ricoprire<br />

nel quadro di un’autentica «educazione<br />

della e alla democrazia». Non che in questo<br />

la Francia sia esemplare: «Se i francesi<br />

hanno inventato l’uguaglianza nel 1789 -<br />

osserva Rosanvallon -, in seguito hanno<br />

saputo meglio stabilire il catalogo delle<br />

patologie e dei problemi della democrazia<br />

moderna che non le sue soluzioni». Solo<br />

nell’ultimo quarto del XIX secolo, infatti,<br />

la Francia ha potuto stabilire un regime<br />

liberale e democratico, sebbene l’ ”annunciazione”<br />

di tale regime risalga alla Rivoluzione.<br />

E bisognerà aspettare un altro<br />

secolo perché il suffragio sia davvero universale.<br />

Il fatto è che in Francia la democrazia<br />

è stata intesa più come un ideale o<br />

un vincolo, che non come una forma reale<br />

dell’organizzazione politica. Per gli eredi<br />

dell’Illuminismo solo la ragione è garante<br />

del vincolo sociale-politico ed è incompatibile<br />

con il numero, “la vile moltitudine”,<br />

incapace di governare. Si deve aspettare la<br />

Terza Repubblica perché vengano tolte le<br />

barriere alla “moltitudine”, considerata<br />

meno vile da quando l’istruzione è diventata<br />

obbligatoria.<br />

Al di là dell’interessante studio storico,<br />

Rosanvallon inserisce la sua ricostruzione<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

del suffragio universale in un quadro antropologico.<br />

Nella storia intellettuale del politico<br />

del XX secolo il suffragio universale è<br />

per l’autore l’autentica rottura dei tempi<br />

moderni, molto più innovativa di tante “rivoluzioni”<br />

sociali. Indica infatti un tipo di<br />

rapporto inedito fra gli uomini basato sull’equivalenza:<br />

una voce-un diritto. Il suffragio<br />

realizzato fa passare da un regime<br />

democratico per “integrazione” e assorbimento<br />

a uno “governante”, costitutivo di<br />

società e latore di dignità sociale. F.M.Z.<br />

Il materialismo dei Lumi<br />

In controtendenza rispetto a un diffuso<br />

costume critico che considera il<br />

materialismo alla stregua di un reperto<br />

archeologico della storia della filosofia,<br />

la rivista “Dix-huitième siècle”<br />

(n. 24, PUF, Paris 1992) dedica, con il<br />

titolo: LE MATÉRIALISME DES LUMIÈRES,<br />

un’ampia monografia ai quei pensatori<br />

illuministi come La Mettrie, d’Holbach,<br />

Helvetius, Lamy, Toland, Maupertuis,<br />

che storicamente hanno aperto il<br />

cammino a un’interpretazione materialistica<br />

della storia, della morale e<br />

delle scienze naturali. La funzione del<br />

materialismo illuminista, nel quadro<br />

della prospettiva storico-filosofica hegeliana,<br />

è anche al centro dell’analisi<br />

di Jean-Claude Bourdin, HEGEL ET LES<br />

MATÉRIALISTES FRANCAIS DU XVIII SIÈCLE<br />

(Hegel e i materialisti francesoi del<br />

XVIII secolo, Klincksieck, Paris 1992).<br />

Dalla ampia ricognizione nel pensiero illuminista,<br />

offerta dagli articoli raccolti nella<br />

rivista “Dix-huitième siècle”, si evidenziano<br />

due principali linee evolutive della concezione<br />

materialista: la prima, di impronta<br />

più evidentemente scientifica, prende le<br />

mosse dal meccanicismo cartesiano; la seconda,<br />

che trova la sua ispirazione in Locke<br />

e Newton, tende a privilegiare i contenuti<br />

morali e politici delle concezioni materialistiche,<br />

piuttosto che la coerenza filosofica<br />

del sistema. Nei ranghi intellettuali che<br />

si apprestano alla battaglia illuminista contro<br />

le tradizioni culturali e sociali, è questa<br />

seconda linea, più marcatamente “politica”,<br />

che fornisce gli strumenti per la crociata<br />

filosofica contro il vecchio regime. Il<br />

risvolto ateistico del materialismo integrale<br />

di Helvetius consente di disegnare una<br />

nuova immagine del cittadino e dell’uomo,<br />

dove «l’educazione e null’altro segna la<br />

differenza tra individui più o meno ben<br />

organizzati»; mentre d’Holbach utilizza<br />

l’ateismo come impalcatura antropologica<br />

per costruire una morale nel segno dell’utile<br />

sociale.<br />

La vocazione polemica del materialismo<br />

dei Lumi, il suo potere di critica e di negazione<br />

di istituzioni storicamente superate<br />

saranno oggetto dell’apprezzamento di<br />

Hegel, che consacrerà un capitolo delle sue<br />

Lezioni di storia della filosofia ai filosofi<br />

illuministi. Come mostra Jean-Claude<br />

Bourdin nel suo studio dedicato al filoso-<br />

35<br />

fo, non è il valore in sé della concezione<br />

materialista che Hegel si degna di discutere,<br />

e neppure la fondatezza dell’ateismo,<br />

quanto piuttosto il significato di quest’ultimo<br />

come attore della vicenda dello Spirito<br />

Assoluto. L’ateismo adempie alla sua funzione<br />

di critica del Cattolicesimo, ormai<br />

sclerotizzato in una forma istituzionale che<br />

tradisce la religione: «non quella che fu<br />

purificata da Lutero - ma la più miserabile<br />

superstizione, il clericalismo, l’ignoranza,<br />

la depravazione dello spirito; e soprattutto<br />

la dissipazione delle ricchezze». Momento<br />

indispensabile di autocritica dello Spirito,<br />

soddisfatto il proprio ruolo di negazione e<br />

non avendo alcuna positività speculativa<br />

da difendere, il materialismo viene archiviato<br />

da Hegel alla stregua di un capitolo<br />

della storia dell’Assoluto. E.N.<br />

Enciclopedia<br />

delle opere filosofiche<br />

Il terzo volume dell’ENCYCLOPEDIE PHILO-<br />

SOPHIQUE UNIVERSELLE, diretta da André<br />

Jacob, è costituito da un dizionario<br />

delle opere filosofiche, (OEUVRES PHILO-<br />

SOPHIQUES, a cura di Jean Francois<br />

Maffei, PUF, Paris 1992), che abbraccia<br />

- nella misura del possibile - tutte le<br />

epoche che hanno lasciato una testimonianza,<br />

sotto tutte le latitudini,<br />

geografiche o culturali. Manca così<br />

soltanto l’ultimo pilastro del grande<br />

edificio enciclopedico iniziato nel 1989<br />

da Jacob con la pubblicazione dell’UNIVERS<br />

PHILOSOPHIQUE, seguito dai due<br />

volumi del dizionario delle NOTIONS<br />

PHILOSOPHIQUES (a cura di Sylvain Auroux,<br />

1990); è annunciata per il 1994 la<br />

raccolta dei TEXTES PHILOSOPHIQUES a<br />

cura di Roger Arnaldez.<br />

Monumentali, al limite dello scoramento,<br />

le dimensioni dell’impresa enciclopedica<br />

curata da Jean Francois Maffei con questo<br />

Dizionario delle opere filosofiche: 4.656<br />

pagine firmate da 1.400 studiosi, 5.400<br />

autori e più di 9.000 opere raccolte e catalogate<br />

in un volume che sarà sicuramente<br />

un’opera di riferimento anche per gli specialisti.<br />

Come sottolineava André Jacob<br />

sulle pagine di questa rivista (n. 2, pp. <strong>11</strong><br />

sgg.), l’unità strutturale e ideativa di un<br />

progetto di queste dimensioni non poteva<br />

non tener conto della pluralità culturale e<br />

disciplinare che caratterizza l’accezione<br />

moderna di filosofia. Unità plurale che si<br />

misura con la complessità e la diversità dei<br />

saperi che nascondono o richiamano una<br />

riflessione filosofica: con questo criterio<br />

sono catalogati i testi filosofici, scientifici,<br />

antropologici, “letterari”, occidentali e<br />

orientali, come pure i racconti mitici e le<br />

testimonianze delle culture “orali” europee,<br />

africane, asiatiche e amerinde. Se uno<br />

dei significati dell’opera è dunque costitu-


ito dalla ricerca di una nuova definizione<br />

dell’universalità filosofica, questo avviene<br />

attraverso il rapporto critico e la valorizzazione<br />

dei saperi extrafilosofici come delle<br />

culture “minori” o occultate, lontano da<br />

pretese eurocentriche o da un malinteso<br />

platonismo che vorrebbe autofondare la<br />

riflessione filosofica e chiuderla in un mondo<br />

proprio. Jacob propone invece una suggestiva<br />

accezione di progetto enciclopedico<br />

come un «’fare il giro’ delle interpretazioni<br />

piuttosto che delle conoscenze, occasione<br />

di incroci, di nuovi sviluppi e di<br />

nuove aperture, piuttosto che di un accerchiamento<br />

del pensiero.»<br />

La ricognizione delle opere filosofiche dell’umanità<br />

è ordinata secondo tre grandi<br />

blocchi: Filosofia occidentale, Pensieri<br />

asiatici, Concettualizzazioni delle società<br />

tradizionali. La sezione che concerne la<br />

filosofia occidentale è a sua volta suddivisa<br />

in sei grandi capitoli: Antichità, dal III<br />

millennio a.C. fino al VI secolo d.C.; Medioevo/Rinascimento;<br />

Età classica, dal<br />

1600 alla Rivoluzione francese; Modernità,<br />

1789-1889; Nascita delle scienze umane,<br />

1889-1939; Pensiero contemporaneo,<br />

1939-1990. Ad ogni voce corrisponde un<br />

breve profilo biografico dell’autore, il riassunto<br />

delle opere principali, per i grandi<br />

autori, o l’indicazione delle opere per i<br />

minori, corredati da una bibliografia aggiornata.<br />

Una serie di indici, ordinati per<br />

discipline, scuole, correnti di pensiero,<br />

nonché di intelligenti rimandi, consente di<br />

muoversi agevolmente nella selva delle<br />

opere e degli autori. Anche in virtù dell’attenzione<br />

per questi elementi tecnico-formali<br />

dell’opera, attraverso i quali si realizzano<br />

percorsi culturali e si aprono nuove<br />

soglie interpretative, possiamo dire vinta<br />

la scommessa culturale sottesa a questo<br />

grande progetto enciclopedico: inventariare<br />

la complessità delle conoscenze umane<br />

secondo un’interrogazione e un ordine<br />

filosofici, nel tentativo di passare dal sapere<br />

al senso. E.N.<br />

Stati Uniti: analisi di una crisi<br />

Uscito nel settembre del ’92 , CRONA-<br />

CHE DAL CENTRO DELL’IMPERO. STATI UNITI:<br />

CRISI, CONFLITTI SOCIALI, “NUOVO ORDINE”<br />

MONDIALE NELLE ANALISI DI MARXISTI E RADI-<br />

CAL AMERICANI apre la serie di numeri<br />

speciali che la rivista “Marx centouno”<br />

intende dedicare ogni anno a temi<br />

di particolare rilevanza politica, culturale,<br />

teorica. Una silloge di studi apparsi<br />

per lo più nell’ultimo triennio su<br />

periodici anglo-americani che, riflettendo<br />

sulla crisi dei tradizionali modelli<br />

produttivi, sulla variegata geografia<br />

del conflitto sociale, sul “nuovo<br />

non-ordine del mondo”, consente<br />

un’analisi unitaria della realtà statunitense,<br />

intrecciandone complessità e<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

contraddizioni con i fragili equilibri<br />

mondiali del post-guerra fredda.<br />

«I bei giorni della prosperità americana<br />

sono ormai dietro di noi. L’impalcatura è<br />

smantellata, i pilastri crollano. Gli Stati<br />

Uniti, come ogni colosso nella storia umana,<br />

si accorgono di avere i piedi di argilla<br />

[…] Entriamo ormai nell’avvenire dell’America,<br />

che può’ suscitare in noi grandi<br />

inquietudini così come grandi speranze». Il<br />

giudizio di Immanuel Wallerstein nel saggio<br />

di apertura, L’America e il mondo: ieri,<br />

oggi, domani (in origine una conferenza<br />

tenuta all’Università del Vermont nell’ottobre<br />

del ’90) esprime la tesi di fondo che<br />

percorre i numerosi saggi raccolti nel volume.<br />

Le analisi degli autori, articolate in tre<br />

sezioni - “La crisi”, “Il conflitto sociale”,<br />

“L’impero” - sono complessivamente orientate<br />

a rintracciare le ragioni di un declino<br />

che appare tanto profondo e irreversibile da<br />

segnare un passaggio d’epoca. Declino di<br />

una leadership economica e geopolitica<br />

che si configura, ad un tempo, come causa<br />

e conseguenza dei mutati assetti dell’intero<br />

sistema-mondo; ma anche, parallelamente,<br />

declino di un modello di “prosperità”. I<br />

suoi capisaldi, una efficiente organizzazione<br />

produttiva costruita sul “compromesso”<br />

fordista del dopoguerra, garanzia di ordine<br />

sociale e fonte di un benessere materiale<br />

generalizzato, e un forte collante ideologico,<br />

fondato sulla contrapposizione “Mondo<br />

libero-Comunismo”, indispensabili premesse<br />

all’esercizio del ruolo di potenza<br />

mondiale, sono infatti ormai entrati irrimediabilmente<br />

in crisi.<br />

Tramontato il “sub-imperialismo” sovietico,<br />

funzionale, secondo Wallerstein, al<br />

consolidamento della “Grande Pace Americana”<br />

e quindi all’espandersi dell’economia-mondo<br />

capitalistica che fioriva sotto<br />

quell’egemonia, i conclamati vincitori nella<br />

“lotta tra i due mondi” mostrano i segni<br />

di grandi contraddizioni, maturate negli<br />

anni della “rivoluzione conservatrice” e<br />

oggi aggravate dalle sempre più instabili<br />

relazioni internazionali. Noam Chomsky,<br />

nell’intervista Sul capitalismo raccolta da<br />

“Against the Current Magazine” nel settembre<br />

del ’91, ne rintraccia le cause nel<br />

permanere di una società «a due ordini, con<br />

ricchezza e privilegio enormi in mezzo a<br />

povertà e sofferenza», segnata dai tagli alla<br />

spesa sociale, dall’inazione di uno stato<br />

trasformato in «welfare per i ricchi», assente<br />

nell’educazione come nella tutela dei<br />

diritti civili.<br />

La sempre più evidente destabilizzazione<br />

sociale, legata a una pesante stagnazione<br />

politica, si spiega inoltre, osserva Chomsky,<br />

con le trasformazioni imposte dal “reaganismo”,<br />

espressione politica di «frange non<br />

fordiste del capitale», ai tradizionali processi<br />

di regolazione e alla stessa struttura<br />

dell’economia nazionale. La questione del<br />

carattere e delle prospettive della cosiddetta<br />

“fuoriuscita dal fordismo” è ancora un<br />

problema aperto, oggi tra i più dibattuti e<br />

36<br />

studiati anche in Europa. Evidenziandone<br />

le implicazioni sociali e le possibili ripercussioni<br />

sulla forma futura dell’economia<br />

mondiale, Mike Davis, nel suo Economia<br />

politica dell’America tardo-imperiale<br />

(“New Left Review”, 1984), sottolinea la<br />

dimensione “epocale” del passaggio, iniziato<br />

negli anni Settanta, a una dinamica di<br />

“sovraconsumismo”, legata sia alla crescita<br />

e all’arricchimento di uno strato “subborghese”<br />

manageriale e professionale, sia<br />

alla «crisi del ciclo fordista di accordi negoziati<br />

tra salari e produttività». Rotta l’originaria<br />

coesione dei tre fondamenti strutturali<br />

dell’egemonia americana - generalizzazione<br />

della produzione e del consumo di<br />

massa, posti di lavoro ad alto salario, industrializzazione<br />

dell’hinterland - si impone,<br />

continua Davis, un modello di dequalificazione<br />

del lavoro, conseguenza della creazione<br />

di “nuovi” impieghi a basso salario e<br />

di una disoccupazione mai così alta dal<br />

dopoguerra.<br />

Nel quadro di una crisi di così ampie dimensioni<br />

da chiudere un’epoca della storia<br />

americana, con l’approfondirsi del solco<br />

tra gruppi integrati ed emarginati, si riaprono<br />

vecchie e nuove conflittualità in cui<br />

razza ed origine etnica, classe sociale e<br />

sesso continuano a giocare un ruolo di<br />

primo piano. Che questi fattori costituiscano<br />

i criteri discriminanti o anche i parametri<br />

su cui si basa la distribuzione inegualitaria<br />

delle ricchezze negli Stati Uniti, non è<br />

certo un fatto nuovo; interessante nella fase<br />

attuale è invece il modo in cui essi si<br />

intrecciano nella sfida che le fasce deboli<br />

rivolgono all’ordine economico e politico<br />

esistente. La variegata geografia del conflitto<br />

sociale rispecchia infatti quel “rimescolamento”<br />

del materiale umano che M.<br />

Grazia Rossilli, in Americanismo senza<br />

fordismo e deindustrializzazione. Le lavoratrici<br />

dal margine al centro dell’economia<br />

e della povertà, legge come effetto del<br />

declino dell’apparato produttivo industriale<br />

americano, facendo convergere su obiettivi<br />

a volte comuni le rivendicazioni dei<br />

nuovi movimenti femminili, delle minoranze<br />

etniche, delle comunità nere, di quei<br />

gruppi che localmente agiscono per un<br />

miglioramento delle aree più svantaggiate<br />

delle metropoli.<br />

Dalle molte riflessioni dedicate a questo<br />

argomento emerge, ad esempio, come dato<br />

significativo, la richiesta sempre più generalizzata<br />

di un’autodeterminazione dell’economia.<br />

Lo sottolinea Mike Davis nei<br />

commenti ai fatti di Los Angeles, scritti per<br />

“The Nation” (L. A. Il rogo delle illusioni),<br />

evidenziando il fatto, comunemente trascurato,<br />

che l’unico leader nazionale tenuto<br />

in seria considerazione dalla maggior<br />

parte dei “Crips” e dei “Bloods”, le due più<br />

grandi gangs di giovani neri della città, al<br />

centro dei tumulti, sia Louis Farrakhan,<br />

promotore di quel progetto, condiviso da<br />

una larga parte della gente di colore. Un<br />

progetto politico, dunque, a riprova del<br />

fatto che, come spiega Michael Hardt,


TENDENZE E DIBATTITI<br />

Elijah Muhammad mentre sta parlando in un tempio mussulmano<br />

37


docente all’Università di California, «ogni<br />

discorso di razzismo è un discorso di classe»,<br />

oggi ancora più complesso per il venir<br />

meno di un conflitto etnico esclusivamente<br />

bipolarizzato tra bianchi e neri.<br />

Un altro contesto problematico, descritto<br />

da Patrick Bond in Potere finanziario<br />

contro populismo di base. La nuova lotta<br />

di classe (“Capital and Class”, 1990), in<br />

cui la ristrutturazione democratica dell’economia<br />

appare un obiettivo fondamentale,<br />

è quello delle lotte condotte dalle<br />

“Coalizioni urbane per il reinvestimento”,<br />

un movimento di base a carattere populista<br />

che si oppone al potere economico-politico<br />

delle grandi banche e, più in generale,<br />

del settore finanziario. Il “controllo del<br />

capitale” da parte della comunità, come la<br />

convinzione che un “approccio collettivo<br />

alla produzione e al consumo” possa essere<br />

la via per costruire una società libera<br />

dalla speculazione, diviene qui la parola<br />

d’ordine di un vasto schieramento che va<br />

dai comitati anti-apartheid alle organizzazioni<br />

dei quartieri degradati. Estraneo a<br />

questi obiettivi, infine, non è neppure il<br />

movimento femminile, se si pensa che la<br />

parte più vulnerabile della forza lavoro, di<br />

cui le donne fanno parte, viene usata per<br />

aprire la strada alla “flessibilizzazione” e<br />

alla rottura del rapporto produttività-salari.<br />

Il nesso classe-razza-genere, in quanto momento<br />

cruciale nella determinazione di<br />

svantaggi e privilegi socialmente rilevanti,<br />

viene oggi riportato al centro dell’attenzione<br />

nazionale dal dibattito sulla “political<br />

correctness” e sul “multiculturalismo”,<br />

divenuti da circa due anni oggetto delle più<br />

vive discussioni sui mass-media e nelle<br />

università americane. In un saggio dal titolo:<br />

Che cos’è il multiculturalismo (“Against<br />

the Current”, 1991) scritto dal gruppo di<br />

lavoro dell’Università del Texas per spiegarne<br />

prospettive e obiettivi in risposta<br />

alle accuse dei colleghi conservatori, il<br />

multiculturalismo viene definito come un<br />

tentativo di capire l’origine delle culture,<br />

il loro sviluppo e utilizzo, un modo di<br />

«interrogare categorie e confini», pensati<br />

e stabiliti nel corso della storia. Suo presupposto<br />

è quello che Paul Berman, nella<br />

“Introduzione” a Debating P.C. (Discussioni<br />

sulla “political correctness”, Laurel,<br />

New York 1992), chiama, non senza<br />

ironia, “razza-classe-generismo”, variazione<br />

americana della filosofia europea di<br />

matrice post-strutturalista della fine degli<br />

anni Sessanta. In una prospettiva tesa a<br />

scalfire il predominio dei “maschi bianchi”<br />

nordeuropei, razza, classe e genere<br />

vengono rivendicati come le strutture imprescindibili<br />

a partire dalle quali soltanto è<br />

possibile la costruzione e la comprensione<br />

di culture diverse, non riducibili al modello<br />

universalistico e pervasivo di quella<br />

occidentale. Sono le nozioni stesse di “tradizione”,<br />

di “Occidente”, opposte dagli<br />

accademici conservatori ad un presunto<br />

relativismo culturale, ad essere messe in<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

discussione, così come il «privilegio di<br />

guardare e comprendere», considerato inattuale<br />

in un mondo «molto, molto mescolato».<br />

In disaccordo con Berman, esponente<br />

liberal del multiculturalismo, per il quale<br />

esso non rappresenta che una possibilità di<br />

espansione della democrazia e della tolleranza<br />

liberali, o un buon modo di organizzare<br />

corsi interdisciplinari, i docenti texani<br />

ribadiscono il significato dirompente di<br />

un “progetto intellettuale e pratico” che,<br />

fuori dal mito del “paradiso perduto accademico”,<br />

libero dalle ideologie e dalla<br />

politica, concepisce l’università e il sapere<br />

che vi si produce come i luoghi dove, più<br />

che altrove, si costruiscono le relazioni di<br />

potere che strutturano la società. C.R.<br />

I filosofi e gli animali<br />

All’approfondimento della questione<br />

del rapporto tra filosofia e animalità è<br />

dedicato il primo numero di “Clinamen”,<br />

il nuovo annuario del Dipartimento<br />

di Ricerche Filosofiche dell’Università<br />

di Roma “Tor Vergata”, diretto<br />

da Mario Perniola. Il volume, dal titolo:<br />

FILOSOFIE DELL’ANIMALITÀ’. CONTRIBUTI AD<br />

UNA FILOSOFIA DELLA CONDIZIONE ANIMALE<br />

(Mimesis, Milano 1992), è curato da<br />

Emilio Baccarini, Tonia Cancrini e Mario<br />

Perniola e intende esplorare la complessa<br />

e variegata problematica emergente<br />

dalla nozione di animalità a partire<br />

da una prospettiva prettamente<br />

filosofica, individuando i principali nodi<br />

speculativi e le strategie culturali fondamentali<br />

che caratterizzano l’attuale<br />

dibattito sull’argomento, sviluppatosi<br />

in seguito ad un grande ritorno di<br />

interesse nei confronti del concetto di<br />

animalità.<br />

Al problema animale il discorso filosofico<br />

occidentale ha fin dalle sue origini greche<br />

dedicato una costante attenzione, un’attenzione<br />

mantenuta viva lungo tutto il corso<br />

moderno e contemporaneo della filosofia e<br />

che viene ancora oggi testimoniata da un<br />

gran numero di nuove pubblicazioni, vive<br />

discussioni e ampi convegni, che mettono<br />

in evidenza i vari aspetti del problema,<br />

sociali, etici, psicologici, storici, letterari,<br />

simbolici, religiosi. Nel suo saggio introduttivo,<br />

Mario Perniola insiste sulla necessità<br />

di porre la questione animalista in<br />

intima relazione con la questione antropologica,<br />

analizzando tale rapporto nel pensiero<br />

dello stoicismo antico, che poneva la<br />

questione della condizione animale come<br />

inseparabile da quella della condizione<br />

umana, mostrando inoltre come ad una<br />

certa superiorità ideale dell’uomo sull’animale<br />

spesso corrispondesse una sua inferiorità<br />

sul piano della realtà e dell’esperienza,<br />

per arrivare, attraverso l’individuazione<br />

di figure di “animali quasi saggi” e<br />

“animali quasi pazzi”, desunti anche dalle<br />

riflessioni di Erasmo da Rotterdam e Giordano<br />

Bruno, ad affermare che proprio l’inseparabilità<br />

tra discorso sugli animali e<br />

38<br />

discorso sull’uomo deve servire a farci<br />

comprendere che «la contraddizione più<br />

grande sta all’interno dell’umanità» e nei<br />

suoi irrisolti conflitti tra dimensione sensitiva<br />

e affettiva e dimensione logico-razionale,<br />

tra natura e cultura.<br />

La sommaria contrapposizione tra sfera<br />

naturale e sfera culturale è anche alla base<br />

dell’intervento di Marcello Massenzio, il<br />

quale affronta il concetto di animalità da<br />

una prospettiva antropologica, rilevando il<br />

diverso ruolo assegnato all’animale nei diversi<br />

contesti etnologici, ruolo che oscilla<br />

tra i due poli opposti di una completa alterità<br />

rispetto all’uomo e di una peculiare<br />

identità con esso a seconda dei differenti<br />

regimi economici di caccia o allevamento,<br />

raccoglitori o allevatori. Dell’animale per<br />

eccellenza della tradizione biblico-ebraica,<br />

l’agnello, si occupa il saggio di Emulio<br />

Baccarini, che nell’ambito del testo biblico<br />

veterotestamentario ricostruisce il rituale<br />

simbolico dell’agnello pasquale, sottolineando<br />

come esso rappresenti il segno forse<br />

più elevato dell’elezione del popolo di<br />

Israele e «segno significante della “signoria<br />

di Dio”». Tonia Cancrini, dapprima<br />

insieme a Paola Linguiti, si sofferma invece<br />

sul ruolo e la funzione dei cavalli nell’Iliade<br />

omerica, Xanto e Balio in particolare,<br />

i meravigliosi e immortali cavalli di<br />

Achille; in un altro saggio, insieme a Simona<br />

Argentieri, viene esaminato da Linguiti<br />

il valore e il significato dell’essere<br />

animale in generale dal punto di vista della<br />

psicoanalisi, con particolare riferimento a<br />

Freud, sostenendo che fare davvero esperienza<br />

dell’animale significa fondamentalmente<br />

conoscere l’alterità e accettarla<br />

come tale.<br />

Se è vero che la riflessione sulla condizione<br />

animale è da considerare in strettissima<br />

connessione con la condizione umana, occorre<br />

allora ricordare che Aristotele è forse<br />

stato il primo nella storia del pensiero occidentale<br />

a insistere sull’intima relazione delle<br />

due condizioni, affermando che non è possibile<br />

parlare dell’uomo senza fare riferimento<br />

all’animale, anzi che la stessa umanità<br />

dell’uomo è pensabile e si caratterizza<br />

proprio in rapporto/differenza all’animale.<br />

Le celebre definizione aristotelica dell’uomo<br />

come zoon logon ekhon testimonia infatti<br />

questa correlazione, che Riccardo<br />

Dottori, nel suo contributo, cerca di esplicitare<br />

a partire dai concetti di lógos e linguaggio,<br />

e del lógos inteso come dialogos,<br />

ossia manifestazione e comunicazione per<br />

mezzo della parola, ciò che distingue propriamente<br />

l’uomo dagli animali e dallo loro<br />

semplice phone. Dottori tuttavia presenta<br />

in questo volume una sua traduzione del III<br />

libro del De abstinentia carnibus di Porfirio,<br />

in cui si parla anche di un lógos degli<br />

animali e di conseguenza del dovere di<br />

giustizia che l’uomo ha nei loro confronti,<br />

mettendo in evidenza i motivi di ordine<br />

soprattutto religioso, metafisico e morale<br />

di questo trattato in cui il divieto di uccidere<br />

gli animali e di mangiarne le carni nasce


dal principio etico del rispetto per l’altro.<br />

Venendo ad alcuni momenti del pensiero<br />

filosofico moderno e contemporaneo, Marcella<br />

D’Abbiero analizza il concetto di<br />

animalità così come emerge dalla Enciclopedia<br />

di Hegel in cui l’approfondimento<br />

della figura dell’animale, situata tra natura<br />

e spirito, serve anche a gettare nuova luce<br />

per la comprensione proprio della nozione<br />

hegeliana di spirito in quanto dotata di<br />

storicità e dinamismo. Soffermandosi soprattutto<br />

sui Grundbegriffe der Metaphysik,<br />

Maria Teresa Ricci evidenzia la differenza<br />

fondamentale tra l’uomo e l’animale.<br />

Contrariamente all’uomo, l’animale non<br />

esiste, ma vive soltanto: se l’essenza dell’uomo<br />

è l’esistenza, l’animale come semplice<br />

vivente è - scrive Heidegger - povero<br />

di mondo (Weltarm); e se la morte, il morire,<br />

è ciò che caratterizza più essenzialmente<br />

l’esserci, la morte dell’animale non è uno<br />

Sterben, un morire, ma un Verenden, ciò un<br />

semplice cessare di vivere. Ora, scrive Ricci,<br />

«se l’uomo pone la sua distinzione in<br />

virtù della parola e attraverso questa, l’animale<br />

impone la sua differenza proprio non<br />

parlando, e cioè tramite il silenzio; ma se la<br />

parola può essere misteriosa, il silenzio è il<br />

mistero stesso». Proprio questo fondo di<br />

inaccessibilità che permane nell’essere<br />

animale è forse ciò che continua a spingere<br />

l’essere umano ad interrogarsi sull’animale<br />

e sul suo insondabile mistero.<br />

<strong>Numero</strong>si altri saggi compongono il volume<br />

e cercano di evidenziare alcuni aspetti<br />

particolari del concetto di animalità: Marta<br />

Cristiani si sofferma sulla simbologia<br />

animale in Ildegarda di Bingen; Carlo Ferrucci<br />

sull’immagine della serpe nel pensiero<br />

di Maria Zambrano, figura di spicco<br />

del pensiero spagnolo contemporaneo;<br />

Annamaria Laserra indaga sul bestiario<br />

linguistico di Prosper Mérimée; Fabrizio<br />

Scrivano, sugli studi ornitologici ed entomologici<br />

di Ulisse Aldovrandi, scienziato<br />

bolognese della seconda metà del XVI secolo.<br />

Chiude infine il volume una estesa e<br />

interessante analisi dell’animale nella prospettiva<br />

della bioetica di Maurizio Mori, il<br />

quale affronta la questione del ruolo e dei<br />

“diritti” degli animali alla luce della riflessione<br />

etica e giuridica contemporanea.<br />

G.P.<br />

Filosofia dell’arte<br />

ed esperienza estetica<br />

Dalla categoria di poesia al confronto<br />

con le poesie: così potrebbe essere<br />

definito il programma filosofico che<br />

sottende alle riflessioni elaborate da<br />

Fulvio Papi in LA PAROLA INCANTATA E<br />

ALTRI SAGGI DI FILOSOFIA DELL’ARTE (Guerini<br />

e Associati, Milano 1992). A questo<br />

volume può essere accostata, per affinità<br />

di temi e di obiettivi polemici, la<br />

raccolta di saggi di Rüdiger Bubner,<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

ESPERIENZA ESTETICA (traduzione italiana<br />

di Monica Ferrando, presentazione<br />

di Gianni Carchia, Rosenberg e Sellier,<br />

Torino 1992), che si presenta come<br />

una difesa della specificità dell’esperienza<br />

estetica sulla base del suo carattere<br />

aconcettuale. L’incontro, o<br />

scontro, tra la filosofia e l’arte deve<br />

configurarsi, a parere di entrambi gli<br />

autori, come riflessione sulle concrete<br />

pratiche artistiche e sui loro prodotti,<br />

anziché come applicazione di categorie<br />

estrinseche da parte della filosofia<br />

a un ambito ad essa estraneo.<br />

La notazione di Friedrich Schlegel, secondo<br />

cui «in ciò che si chiama filosofia dell’arte<br />

manca solitamente una delle due: o la<br />

filosofia, o l’arte», segnala, secondo Fulvio<br />

Papi, un problema reale, quello della<br />

difficoltà di svolgere un «discorso filosofico<br />

immanente alla dimensione artistica»,<br />

rimanendo al livello di una sovrapposizione<br />

estrinseca al fenomeno artistico di schemi<br />

concettuali, che in quanto tali restano<br />

necessariamente astratti. La filosofia dell’arte<br />

deve invece configurarsi come prassi,<br />

e prassi filosofica che si svolge nella<br />

concretezza del campo artistico. Il “prodotto”<br />

di tale pratica è, in primo luogo,<br />

filosofico; dal punto di vista storico, tuttavia,<br />

l’elaborazione filosofica di poetiche,<br />

quando sia generata, come pratica filosofica,<br />

dall’ordito della concreta prassi artistica,<br />

ha notoriamente sempre dato nuovo<br />

impulso alla trama di quest’ultima, in un<br />

rapporto dialettico fra le pratiche, che nel<br />

loro incrociarsi producono un surplus di<br />

senso, un “sovrappiù di mondo”. Il concetto<br />

di “pratica” è dunque la chiave di volta<br />

della riflessione di Papi, ed esso va accompagnato<br />

dall’aggettivo “determinata”; una<br />

sorta di endiadi, perché la riflessione, in<br />

quanto pratica, è sempre situazionata, ha<br />

sempre alle proprie spalle la trama e l’ordito<br />

delle pratiche da cui risulta. Non in una<br />

concettualizzazione, ma in un’analisi “genetica”,<br />

quella relativa al prodursi dell’opera<br />

d’arte, consiste dunque per Papi la filosofia<br />

dell’arte.<br />

E’ questo l’atteggiamento concettuale che<br />

porta a un essenzialismo speculativo di<br />

stampo hegeliano, rifiutato da Rüdiger<br />

Bubner, contro il quale questi fa valere il<br />

carattere aconcettuale, riconosciuto da<br />

Kant, del giudizio di gusto. Nella sua polemica<br />

antiessenzialistica e anticoncettualista,<br />

Bubner mira a sottolineare come il<br />

giudizio di gusto sospenda la questione<br />

veritativa; per questo vengono rifiutate<br />

impostazioni, come quella heideggeriana,<br />

che continuando a mantenere la questione<br />

della verità, e attribuendo un valore veritativo<br />

alla conoscenza estetica, finiscono<br />

anch’esse per tradire la dimensione effettiva<br />

sulla quale si pone l’esperienza estetica,<br />

quello dello Schein, dell’apparire. Come<br />

sottolinea Gianni Carchia, la difesa bubneriana<br />

dello Schein va oltre le posizioni di<br />

Kant, che certo non dissolve il concetto<br />

39<br />

intellettivo nel giudizio di gusto, e non<br />

propone una fondazione sensistica dell’estetica.<br />

A una posizione di questo tipo si<br />

accosta invece Bubner, quando pone come<br />

garante della propria impostazione antimetafisica<br />

il richiamo al dato empirico, che si<br />

qualifica anzitutto come “storico”. Carchia<br />

avanza dei dubbi sulla congruenza di un<br />

così marcato richiamo al livello dell'empiria,<br />

e per di più storicamente determinata,<br />

nei confronti di un’impostazione che si<br />

vorrebbe trascendentale; al di là di ciò,<br />

importa comunque sottolineare come il richiamo<br />

alla concretezza della poiesis e<br />

delle fruizioni artistiche inserisca il soggetto<br />

estetico bubneriano in un ben diverso<br />

orizzonte rispetto a quello prefigurato da<br />

Kant, collocandolo nel luogo dell’intersecarsi<br />

delle pratiche storiche, cui fa riferimento<br />

anche Papi. Pur muovendo da una<br />

problematica e da categorie prettamente<br />

gnoseologiche, nel contesto della trattazione<br />

relativa al giudizio di gusto, Kant le<br />

rielabora radicalmente, osserva Bubner, ma<br />

tiene fermo a due fondamentali acquisizioni:<br />

l’identificazione dell’esperienza estetica<br />

con la «tensione fra contatto sensibile e<br />

operare creativo», e l’affermazione dell’eccedere<br />

dell’arte rispetto a ogni oggetto<br />

artistico, e dunque rispetto a ogni contenuto,<br />

a ogni significato particolare.<br />

A partire da queste stesse premesse, Papi<br />

mira a delineare una caratterizzazione del<br />

rapporto fra il lettore e il testo, in cui è<br />

escluso quel «lettore senza residui», che è<br />

tale in quanto possessore di un sapere della<br />

poesia. Questo modello di lettore è quello<br />

prefigurato da una concezione mimetica<br />

del linguaggio, dove l’elemento del significato<br />

acquisisce un rilievo specifico. In<br />

questa prospettiva, la lettura di un testo, di<br />

qualsiasi tipo esso sia, prevede da parte del<br />

lettore una decodificazione come prassi<br />

trasformativa, creatrice di significatività;<br />

qui «il lettore è alla fine un operatore epistemologico<br />

connesso con una comunità<br />

scientifica»: un accidente, se non un ostacolo,<br />

di fronte all’oggettività del significato.<br />

Sulla scorta della concezione di Hans<br />

Robert Jauss, il lettore “ricettivo” viene<br />

da Papi definito a partire dallo “scarto<br />

estetico”, cioè dalla distanza fra l’opera<br />

nuova e l’orizzonte di attesa preesistente.<br />

Tale scarto non è tematizzabile, non è cioè<br />

organizzabile nella forma di un sapere; è il<br />

luogo del “fraintendimento” (spogliando il<br />

termine da qualsivoglia caratterizzazione<br />

valutativa), il luogo dove viene meno ogni<br />

situazione comunicativa, dove non si dà<br />

conoscenza, poiché il significato, che non<br />

si oggettiva, non è ripetibile.<br />

La poesia, come sostiene Vittorio Sereni,<br />

al quale Papi dedica una parte consistente<br />

del proprio libro, non è però esauribile<br />

nella dimensione della comunicazione sociale<br />

e del significato: proprio perciò essa è<br />

“pratica immaginaria”. Le condizioni di<br />

verità della poesia non consistono nella<br />

fedeltà a un denotato, ma in quella al testo<br />

medesimo. La prossimità al testo poetico<br />

avviene dunque per Papi non nella “traduzione”,<br />

che prevede l’esistenza di un signi-


PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

Friedrich Heinrich Jacobi, Immanuel Kant,<br />

l’antica Università di Jena,<br />

Karl Leonhard Reinhold, Johann Gottlieb Fichte<br />

40


Scritti kantiani di Jacobi<br />

Tre importanti scritti di Friedrich Heinrich<br />

Jacobi su Immanuel Kant sono<br />

oggi disponibili in traduzione italiana<br />

nel volume SCRITTI KANTIANI (a cura di G.<br />

Sansonetti, Morcelliana, Brescia 1992).<br />

Il primo, SULL’IDEALISMO TRASCENDENTA-<br />

LE, è in effetti la famosa appendice<br />

all’opera DAVID HUME E LA FEDE del 1787;<br />

il secondo è il noto trattato del 1801<br />

SULL’IMPRESA DEL CRITICISMO DI RICONDUR-<br />

RE LA RAGIONE ALL’INTELLETTO; il terzo, il<br />

più breve ma non meno significativo,<br />

SULL’INSCINDIBILITÀ DEL CONCETTO DI LIBER-<br />

TÀ E DI PROVVIDENZA DAL CONCETTO DI RA-<br />

GIONE del 1799.<br />

I testi, per la prima volta disponibili in<br />

lingua italiana, sono tradotti ed ampiamente<br />

introdotti da Giuliano Sansonetti, che,<br />

dopo aver premesso alcuni brevi cenni di<br />

biografia intellettuale, inquadrato la figura<br />

ed evidenziato l’importanza del pensiero di<br />

Friedrich Heinrich Jacobi nel suo tempo<br />

e nella sua storiografia filosofica dell’Ottocento<br />

e Novecento, fino agli studi più recenti,<br />

si sofferma a delineare e puntualizzare<br />

i motivi del serrato e lungo confronto di<br />

Jacobi con il pensiero di Spinoza e Kant.<br />

Tra i motivi specifici degli scritti jacobiani<br />

sulla filosofia di Kant, Sansonetti ricorda<br />

soprattutto la critica di Jacobi alla concenzione<br />

kantiana della conoscenza nel suo<br />

complesso, il rapporto tra “oggetto empirico”<br />

ed “oggetto trascendentale”, tra “fonomeno”<br />

e “cosa in sé”, ed infine - senza<br />

ritenere con questo esaurito il contenzioso<br />

tra Kant e Jacobi - la critica alla kantiana<br />

idealità del tempo e dello spazio.<br />

Giustamente Sansonetti mette in guardia il<br />

lettore dalla difficoltà di distinguere nella<br />

lettura dei testi proposti ciò che appartiene<br />

a Jacobi filosofo e critico. Altrettanto opportunamente<br />

fa notare anche come, di<br />

fronte alle tesi interpretative originali e alle<br />

proposte personali di sviluppo, svolte e<br />

presentate per di più con atteggiamenti<br />

fortemente critici, polemici e a volte sarcastici,<br />

sia difficile sfuggire all’impressione<br />

che Jacobi forzi il testo kantiano. Tuttavia,<br />

conclude Sansonetti, non si può altrettanto<br />

dire che egli non colga «il vero senso dell’opera<br />

kantiana». T.L.R.<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

Il vangelo kantiano<br />

Dal 6 al 29 gennaio <strong>1993</strong>, nella bella<br />

sala, appena restaurata, del Senato<br />

accademico della Friedrich-Schiller-<br />

Universität di Jena, si è tenuta una<br />

mostra straordinariamente interessante<br />

dal titolo: DAS KANTISCHE EVANGELIUM.<br />

DER FRÜHKANTIANISMUS AN DER UNIVERSI-<br />

TÄT JENA VON 1785 BIS 1800 UND SEINE<br />

VORGESCHICHTE, che documentava il<br />

primo impatto del kantismo a Jena.<br />

Tra le scoperte più interessanti risulta<br />

che una lezione sulla CRITICA DELLA RA-<br />

GION PURA era stata annunciata da<br />

Johann August Ubrich nel 1784 e da<br />

Erhard Schmid nel 1785.<br />

Che molte biblioteche e archivi nel territorio<br />

della ex Germania orientale e nelle<br />

nazioni dell’Europa orientale contengano<br />

libri e documenti utili a chiarire diversi<br />

momenti cruciali della storia dell’illuminismo<br />

tedesco è cosa risaputa, vista, in particolare,<br />

la notevole velocità con cui ebbe<br />

luogo, allora, sia attraverso i libri, sia attraverso<br />

la peregrinatio academica, la circolazione<br />

delle idee. Per avere un’idea delle<br />

dimensioni dell’area di cultura tedesca alla<br />

fine del Settecento basta uno sguardo all’utile<br />

volumetto di Konrad Schröder, Vorläufiges<br />

Verzeichnis der in Bibliotheken<br />

und Archiven vorhandenen Vorlesungsverzeichnisse<br />

deutschsprachiger Universitäten<br />

aus der Zeit vor 1945 (Saarbrücken 1964),<br />

un repertorio che raccoglie informazioni<br />

sulla collocazione attuale, nelle più diverse<br />

biblioteche europee, dei catalogi praelectionum<br />

di tutte le università di lingua tedesca<br />

prima del 1945. Nel caso particolare<br />

della diffusione della filosofia critica, si è<br />

trattato di un movimento da Est a Ovest,<br />

che dalla periferica Königsberg, capoluogo<br />

della più orientale delle provincie prussiane,<br />

ha portato le idee di Kant fin nel<br />

centro della Germania, prima tappa di un<br />

processo che avrebbe dato a Kant diffusione<br />

europea.<br />

Ora, che il kantismo avesse dapprima preso<br />

piede all’Università di Jena, l’Alma Salana,<br />

era ben noto, in particolare per via delle<br />

estreme conseguenze che dalle premesse<br />

kantiane avevano tratto una schiera di giovani<br />

pensatori allora attivi a Jena e i cui<br />

41<br />

nomi sono celebri: Karl Leonhard Reinhold,<br />

Friedrich Schiller, Johann Gottlieb Fichte,<br />

Wilhelm von Humboldt, Alexander von<br />

Humboldt, Friedrich Wilhelm Georg Hegel<br />

(citati secondo l’ordine del loro arrivo<br />

a Jena). Meno noto, ovvero del tutto ignoto,<br />

era che il supposto iniziatore del kantismo<br />

jenese, il viennese Reinhold, giunto a Jena<br />

nell’ottobre del 1787, che con i suoi Briefe<br />

über die Kantische Philosophie (del 1786 -<br />

documenti 51-53) aveva aperto gli occhi<br />

del grande pubblico sulla profondità e l’importanza<br />

della filosofia kantiana, si trovò<br />

davanti dei colleghi che non solo avevano<br />

compreso perfettamente la portata dei risultati<br />

raggiunti da Kant, ma addirittura li<br />

avevano già sperimentati con successo nelle<br />

loro lezioni. Ed è stato proprio muovendo<br />

dalla corrispondenza tra il filosofo Christian<br />

Gottfried Schütz (1747-1832 - allievo<br />

di Georg Friedrich Meier a Halle e direttore<br />

della celebre Allgemeine Literatur-Zeitung)<br />

e Kant - in particolare da un passo della<br />

lettera di Schütz a Kant del 20.9.1785, in<br />

cui si faceva menzione di una guida agli<br />

studi preparata da Schütz, a nome della<br />

facoltà filosofica della Salana, seguendo il<br />

«Suo [di Kant] progetto», ovvero riprendendo<br />

testualmente le pagine dell’Architettonica<br />

della ragion pura dedicate alla<br />

partizione della metafisica (KrV A 845 s.)<br />

- che è riuscito a Norbert Hinske e ai suoi<br />

colleghi jenesi, Erhard Lange e Horst<br />

Schröpfer, di rintracciare l’originale, stampato<br />

a Jena in mille copie nell’aprile 1785,<br />

con il titolo di Anweisung auf die zur philosophischen<br />

Facultät gehörigen Wissenschaften<br />

und deren Endzweck, Wichtigkeit<br />

und <strong>Studi</strong>um betreffend (documenti 5a-5b),<br />

e di cui né i curatori del corrispondente<br />

volume dell’epistolario kantiano, né Max<br />

Wundt, l’autore di un’ampia ricostruzione<br />

storica dedicata alla filosofia insegnata a<br />

Jena, nemmeno sospettavano l’esistenza.<br />

La ricerca sui documenti conservati presso<br />

l’Universitätsarchiv e la Thüringer Universitäts-und<br />

Landesbibliothek di Jena ha<br />

permesso ai curatori della mostra e del<br />

puntuale catalogo che l’accompagna, Das<br />

Kantische Evangelium. Der Frühkantianismus<br />

an der Universität Jena von 1785-<br />

1800 und seine Vorgeschichte. Ein Begleitkatalog<br />

(a cura di Norbert Hinske, Erhard<br />

Lange und Horst Schröpfer, Frommann-


Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt <strong>1993</strong>)<br />

di provare che i filosofi e i teologi jenesi<br />

non solo conobbero a fondo Kant e la sua<br />

filosofia, ma furono tra i primi in Germania<br />

(almeno due anni prima di Reinhold) a<br />

schierarsi - pur dopo accese discussioni - a<br />

fianco di Kant. Cosa che procurò loro lo<br />

scherno dei letterati di Weimar, Goethe,<br />

Herder e Schiller, cui la tradizione attribuisce<br />

la ripresa in senso ironico dell’espressione<br />

(introdotta da Reinhold) di “Vangelo<br />

kantiano” per indicare, appunto, la solida<br />

devozione kantiana degli jenesi.<br />

L’obiettivo principale della mostra consiste,<br />

dunque, nella precisa ricostruzione<br />

delle ripercussioni della rivoluzione kantiana<br />

sulla didattica e sullo sviluppo intellettuale<br />

dei dotti jenesi, ad esempio negli<br />

scritti di Johann August Ulrich (1746-<br />

1813), che fu (in assoluto) il primo ad<br />

occuparsi della logica trascendentale all’interno<br />

di un manuale di logica e metafisica,<br />

e dei teologi Ernst Jakob Danovius<br />

(1741-1782), Johann Jacob Griesbach<br />

(1745-1812) e Johann Christoph Doederlein<br />

(1746-1792), che decisero di applicare<br />

la kantiana dottrina del metodo alla<br />

teologia; come pure, senza dimenticare il<br />

coetaneo Johann Gottlieb Fichte (1761-<br />

1814), negli scritti del filosofo Carl Christian<br />

Erhard Schmidt (1761-1812), che<br />

con una nutrita serie di manuali e glossari<br />

si impegnò efficacemente nella diffusione<br />

della filosofia critica; e inoltre, cambiando<br />

facoltà, nel kantismo professato dal professore<br />

di medicina Christoph Wilhelm<br />

Hufeland (1762-1836) e dai giuristi Paul<br />

Johann Anselm Feuerbach (1775-1833),<br />

Gottlieb Hufeland (1760-1817) e Anton<br />

Friedrich Justus Thibaut (1772-1840).<br />

La mostra vuole essere un chiaro segno<br />

della vitalità della ricerca storico-filosofica<br />

che si svolge oggi a Jena: per le ricerche<br />

sulla storia della filosofia nell’aetas-kantiana<br />

- specialmente dopo la perdita dei<br />

documenti conservati a Königsberg - Jena<br />

risulta essere uno dei luoghi di maggiore<br />

rilievo nazionale e internazionale. R.P.<br />

La logica di Leibniz<br />

Anche se non si tratta, nella loro totalità,<br />

di prime traduzioni, appare opportuno<br />

segnalare la nuova edizione<br />

di due raccolte di scritti di Gottfried<br />

Wilhelm Leibniz: la seconda edizione<br />

riveduta, aggiornata e ampliata dell’antologia<br />

di SCRITTI DI LOGICA (a cura di<br />

Francesco Barone, Laterza, Roma-Bari<br />

1992) e la ‘CONFESSIO PHILOSOPHI’ E ALTRI<br />

SCRITTI (a cura di Francesco Piro, Cronopio,<br />

Napoli 1992).<br />

Non è inopportuno l’accostamento degli<br />

Scritti di logica di Gottfried Wilhelm<br />

Leibniz alla nuova traduzione di un testo<br />

giovanile del filosofo tedesco, la Confessio<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

philosophi, accompagnata da tre scritti che<br />

appaiono a essa contigui dal punto di vista<br />

di uno sviluppo delle tematiche teologiche<br />

e metafisiche in essa contenute. Come sostiene<br />

Francesco Barone nella nuova premessa<br />

e nel saggio introduttivo agli scritti<br />

logici, è da rivedere, e forse da rovesciare,<br />

la celebre tesi di Louis Couturat, che per<br />

primo ha rivalutato, agli inizi del Novecento,<br />

l’opera logica di Leibniz, attribuendo<br />

proprio ad essa la determinazione della<br />

prospettiva metafisica del filosofo. Al contrario,<br />

sostiene Barone, è la concezione<br />

metafisica a condizionare non solo la trattazione<br />

leibniziana della sillogistica, ma<br />

anche le ricerche logico-matematiche relative<br />

al calcolo infinitesimale: «la formalità<br />

degli schemi logici è concepita in funzione<br />

di una dottrina ontologica». Non il principio<br />

logico del carattere analitico della verità,<br />

ma quello metafisico della costituzione<br />

delle “caratteristiche”, e di un “calcolo”,<br />

come chiave di penetrazione all’articolazione<br />

ontologica del reale rappresentano,<br />

secondo Barone, il movente determinante<br />

della riflessione leibniziana. Ciò accade,<br />

osserva ancora Barone, perché con Leibniz,<br />

che appartiene al periodo in cui si<br />

afferma la distinzione fra filosofia e scienza,<br />

la distinzione medesima non si è consumata<br />

come frattura. Proprio questo aspetto<br />

è quello che ha probabilmente nuociuto<br />

alla diffusione degli scritti logici, la cui<br />

riscoperta teoretica appartiene agli inizi del<br />

nostro secolo. Così nella questione della<br />

teodicea, intesa come tentativo di conciliare<br />

bontà di Dio, libertà dell’uomo e origine<br />

del male, ovvero nella questione della giustizia<br />

di Dio, centrale nella Confessio philosophi,<br />

più che di commistione di elementi<br />

logici e elementi metafisici, occorre<br />

parlare di un percorso filosofico che, con<br />

la guida di un metodo definitorio che ha la<br />

sua più propria applicazione nelle ricerche<br />

logico-matematiche, si snoda qui a dipanare<br />

le matasse che avvolgono tematiche<br />

tradizionalmente ascritte a teologia e metafisica.<br />

Relativamente alle questioni del peccato e<br />

del libero arbitrio, come nota Francesco<br />

Piro nella postfazione alla Confessio philosophi,<br />

la velata accusa mossa alle formulazioni<br />

tradizionali di questi problemi consiste,<br />

da parte di Leibniz, nella loro ambiguità.<br />

In questo testo, un dialogo tra un<br />

filosofo e un teologo, per risolvere le questioni<br />

poste dal secondo il primo procede,<br />

infatti, secondo il metodo definitorio, a<br />

partire dal principio di ragion sufficiente,<br />

secondo il quale nihil est sine ratione. Data<br />

per accertata l’esistenza del male nel mondo,<br />

essa comporterebbe allora l’esistenza<br />

del male in Dio come sua causa; ma Leibniz<br />

sfugge a tale conclusione, riesumando<br />

la distinzione, già altomedioevale, tra esistenza<br />

necessaria ed esistenza contingente<br />

come coincidenza nella prima, in quanto<br />

causa sui, di essentia ed existentia. Dal<br />

punto di vista logico, l’esistenza necessaria<br />

indica quella il cui contrario deve essere<br />

42<br />

pensato come contraddittorio, a differenza<br />

di quanto accade per l’esistenza contingente.<br />

Dal punto di vista ontologico, il male<br />

viene deprivato della sua sostanzialità; dal<br />

punto di vista etico, la tendenza a esso si<br />

presenta come errore; come deficienza, cioè,<br />

della volontà, dovuta alla debolezza dell’individuo<br />

e della sua libertà.<br />

L’intersecarsi dei vari piani dell’indagine<br />

filosofica, che si riscontra nella prospettiva<br />

leibniziana, così ben evidente nella Confessio<br />

philosophi, appare anche nella raccolta<br />

di scritti logici curata da Barone:<br />

“scritti logici” che, come nota il curatore<br />

stesso, secondo l’accezione del termine<br />

“logico” valida agli inizi del nostro secolo,<br />

avrebbe potuto comprendere quasi tutta la<br />

produzione “filosofica” di Leibniz. Con<br />

Husserl, Russell e Couturat, l’idea di una<br />

mathesis universalis come perno della riflessione<br />

leibniziana, e quindi la tesi di un<br />

carattere pervasivo dell’interesse logico nel<br />

filosofo, prende il sopravvento sull’interpretazione<br />

“metafisica” del suo pensiero,<br />

che si era imposta nel corso di Settecento e<br />

Ottocento. Nel Novecento, l’evoluzione<br />

formalistica della logica da un lato, e la<br />

rivalutazione di ascendenze mistico-religiose<br />

(nonché platonico-cabalistiche) del<br />

pensiero di Leibniz dall’altro, hanno mutato<br />

i termini della questione per come essa si<br />

poneva agli inizi del secolo, comportando<br />

il divaricarsi del settore disciplinare che è<br />

oggi di pertinenza della logica da molta<br />

parte della riflessione leibniziana, respinta<br />

nel settore della metafisica. In questa situazione,<br />

d’altra parte, “ciò che è vivo” dell’esplicita<br />

commistione leibniziana tra logica<br />

e metafisica consiste, a parere di Barone,<br />

nell’ «esigenza propriamente filosofica»;<br />

l’esigenza, cioè, di prendere in seria<br />

considerazione il portato ontologico di<br />

un’impostazione della logica che troppo<br />

spesso, pretendendo di trincerarsi nello<br />

specialismo tecnico-formale, rischia, a differenza<br />

di quanto accade in Leibniz, di<br />

rappresentare una convalida a posteriori di<br />

presupposizioni ontologiche, non chiaramente<br />

esplicitate né discusse. F.C.<br />

Baruch Spinoza:<br />

un’attualità perenne<br />

Pierre Macherey, allievo di Althusser e<br />

professore alla Sorbona, ha recentemente<br />

dato alle stampe un volume dal<br />

titolo: AVEC SPINOZA (Dalla parte di Spinoza,<br />

PUF, Parigi 1992), che raccoglie<br />

una dozzina di studi su Baruch Spinoza,<br />

già comparsi, a diverso titolo, in<br />

riviste specializzate. Introduce l’opera<br />

un saggio inedito di Macherey, che fa<br />

il punto sullo “stato” della letteratura<br />

critica sul filosofo e sulle attuali tendenze<br />

dello spinozismo.<br />

Considerando sintomatico l’isolamento


di cui gode la filosofia di Spinoza all’interno<br />

della Fenomenologia dello Spirito<br />

hegeliana, la più compiuta sistematizzazione<br />

del sapere filosofico, Pierre Macherey<br />

ne fa un titolo di merito. Dal<br />

momento che non si risolvono in un<br />

sistema chiuso e coerente, le “idee” di<br />

Spinoza invitano ad una lettura aperta,<br />

sollecitano ad una comprensione dinamica<br />

che ne evidenzi le potenzialità autonome<br />

di sviluppo. Il corpus dell’opera<br />

diventa pertanto indissociabile dal commentario<br />

critico che l’accompagna; assieme<br />

costituiscono gli anelli di una catena<br />

che a ben vedere è già contenuta “in<br />

potenza” nello svolgimento del testo, in<br />

ragione del fatto che non è dato il contenuto<br />

del pensiero di Spinoza. Più propriamente<br />

Macherey parla di un vuoto,<br />

di «una potenza infinita che non può<br />

essere altro che la potenza dell’intelletto<br />

in sé. E’ per questo che Spinoza può dire<br />

che la propria filosofia è onnipotente,<br />

perché è la vera filosofia». Filosofia dunque<br />

che non pone contenuti, ma che<br />

insegna una pratica del pensiero, orientata<br />

verso la ricerca indefinita della comprensione<br />

del reale. Questa caratterizzazione<br />

“metodologica” in divenire garantisce<br />

l’attualità filosofica di Spinoza, le<br />

cui tracce sono ricercate nelle filosofie<br />

di pensatori ormai classici, quali Hobbes,<br />

Pascal, Condillac, come pure nei<br />

percorsi di pensiero dei contemporanei:<br />

Russel, Foucault, Adorno fino a Deleuze<br />

e Negri. Conclude l’autore di Avec Spinoza,<br />

che «ciò che è certamente al centro<br />

dell’impegno spinoziano è la sua inesauribile<br />

fecondità, la sua attitudine a generare<br />

continuamente nuove forme di pensiero».<br />

Per rispondere alla domanda circa le<br />

fondamenta culturali e filosofiche su cui<br />

riposa la “permanente attualità” del pensiero<br />

spinoziano, Macherey evidenzia la<br />

presenza di due tradizioni, che si incontrano<br />

e si scontrano senza assorbirsi: da<br />

una parte una spiritualità «arcaica», che<br />

viene al filosofo di Amsterdam dalle sue<br />

origini ebraiche, e dall’altra la filosofia<br />

cartesiana; due polarità inconciliabili,<br />

che Spinoza si rifiutò sempre di sintetizzare<br />

in un sistema di pensiero unificato.<br />

«Ciò che nella sua epoca ha caratterizzato<br />

Spinoza - afferma Macherey - fu appunto<br />

questa “anomalia”: la combinazione<br />

di arcaismo e avanguardia, che<br />

egli realizzò facendo reagire questi elementi<br />

l’uno sull’altro e conferendo al<br />

suo pensiero un carattere eccezionale,<br />

spostato, o addirittura, con una formula<br />

di Hegel, “declassato”». E.N.<br />

Arte oratoria<br />

Da alcuni anni si assiste al recupero e<br />

alla rivalutazione della retorica non<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

solo - o non tanto - come “arte” finalizzata<br />

alla persuasione, ma anche - e<br />

soprattutto - come scienza del discorso<br />

in senso metalinguistico e metaletterario.<br />

Non mi riferisco soltanto<br />

alla ripresa (ormai “storica”) degli studi<br />

retorici a opera di Lausberg, di Florescu,<br />

di Perelman e Olbrechts-Tyteca,<br />

del “Gruppo µ” ecc.; né alludo<br />

solamente alla vasta letteratura concernente<br />

la metafora. Penso piuttosto<br />

all’interesse per la retorica sia da<br />

parte di quel ramo della linguistica<br />

che va sotto il nome di “linguistica del<br />

testo” o “discourse analysis”, sia da<br />

parte di alcuni studiosi che - specialmente<br />

in Spagna - si occupano di<br />

teoria della letteratura o di poetica,<br />

come ad esempio A. Garcia Berrio, T.<br />

Albaladejo Mayordomo, ecc.. All’interno<br />

di questa attuale rivalutazione<br />

della retorica si colloca anche l’edizione<br />

italiana dell’opera di John Ward,<br />

SISTEMA DI ARTE ORATORIA 1759 (introduzione,<br />

traduzione, note ed excursus<br />

di Roberto Salvucci, Edizioni QuattroVenti,<br />

Urbino 1992).<br />

Figura eclettica, quella di John Ward.<br />

Nato a Londra nel 1679, ricoprì la cattedra<br />

di retorica al Gresham College di Londra e<br />

fu membro di varie associazioni, fra cui la<br />

“Royal Society”); fu inoltre curatore del<br />

British Museum. La curiosità culturale di<br />

Ward fu ampia: si interessò di letteratura,<br />

storia, giurisprudenza, religione, economia,<br />

filosofia, musica, ecc. Morì nel 1758. La<br />

sua opera fondamentale, A System of Oratory<br />

(Sistema di arte oratoria), apparve<br />

postuma, in due volumi, nel 1759. Come<br />

precisa Roberto Salvucci nella sua dettagliata<br />

“Introduzione”, in cui viene ricostruita<br />

la complessa personalità di Ward e la<br />

sua concezione della retorica, il System of<br />

Oratory è suddiviso in 54 lezioni e la sua<br />

idea-guida «è che l’arte oratoria teorizzata<br />

dai classici può essere ancora utilmente<br />

frequentata dagli uomini intraprendenti ed<br />

attivi della società contemporanea».<br />

Opponendosi alla “letteraturizzazione”<br />

della retorica, Ward studia e assimila i<br />

modelli classici attraverso la lezione umanistico-rinascimentale.<br />

La posizione assunta<br />

da Ward nei confronti della retorica lo<br />

portava a considerare questa scienza in<br />

relazione con la società: in un periodo<br />

storico in cui i valori di onore, giustizia e<br />

onestà «si vengono sempre più oscurando a<br />

scapito del profit of interest, Ward invita il<br />

suo uditorio - osserva Salvucci - ad esercitare<br />

l’eloquenza, nelle assemblee, affinché<br />

le deliberazioni concernano sempre ciò che<br />

sia both good and profitable, ossia buono e<br />

utile». Una concezione della retorica e dell’oratoria,<br />

questa, che si potrebbe definire<br />

etico-pragmatica e che derivava anche dal<br />

profondo interesse di Ward per la storia,<br />

soprattutto per la “storia civile”: la storia<br />

(civile) «è una narrazione di quegli eventi<br />

che sono adatti ad essere trasmessi ai poste-<br />

43<br />

ri per l’utilità degli uomini e per una migliore<br />

condotta della vita umana». Del resto,<br />

Ward si dimostra pienamente razionalista<br />

quando afferma che «il fondamento di<br />

un buon stile risiede principalmente nel<br />

buon senso» e che lo stile si fa «più corretto<br />

e vigoroso» se fra le idee si realizza una<br />

stretta connessione: «Quando le idee si<br />

distendono con linearità [...] nella mente,<br />

le esprimiamo con facilità e nella loro<br />

giusta connessione e dipendenza; ma, quando<br />

sono avviluppate e tortuose, le esprimiamo<br />

con pena e difficoltà, come pure in<br />

modo disordinato».<br />

Sul problema della chiarezza espressiva<br />

Ward ritorna più volte. Ora, se alla base di<br />

tutto ciò - come sottolinea Salvucci - stanno<br />

Cicerone e Quintiliano, è possibile anche<br />

vedere in Ward certe anticipazioni delle<br />

famose “massime” di Grice (soprattutto<br />

quella che riguarda il “modo”). Questo<br />

riferimento a Grice ci riporta a quanto detto<br />

all’inizio sul rapporto fra retorica e discourse<br />

analysis. Infatti, al pari di Grice,<br />

anche Ward pone l’accento sulla conversazione,<br />

sul dialogo e sul rapporto fra questi<br />

e la scrittura. Afferma Ward: «Poiché il<br />

fine del parlare è la conversazione, nessun<br />

genere di scrittura può essere più naturale<br />

del dialogo in cui si esprime la conversazione.<br />

[...] La materia del dialogo è estremamente<br />

ampia, dal momento che tutto ciò<br />

che è argomento appropriato di un discorso,<br />

pubblico o privato, serio o scherzoso;<br />

tutto ciò su cui uomini saggi e prudenti<br />

possono parlare per realizzare un progetto<br />

o per divertimento, è adeguato ad un dialogo».<br />

A parte, ancora una volta, il naturale<br />

taglio etico (ma qui anche edonistico) di<br />

questo brano, come non vedervi quasi anticipati<br />

il concetto di Textsorten e l’importanza<br />

dell’impromptu speech? Corredata, a<br />

cura di Salvucci, di tre ampi excursus su<br />

Sofistica e Oratoria, sull’analisi delle forme<br />

argomentative condotta da Ward e,<br />

infine, sulla grandezza e corruzione dell’ars<br />

oratoria, quest’opera si dimostra una<br />

miniera di osservazioni, spunti, suggerimenti,<br />

provocazioni ed esempi, utili al lettore<br />

moderno non solo per costruire discorsi<br />

corretti ed efficaci, ma anche per istituire<br />

un rapporto razionale e costruttivo con la<br />

società in cui vive. L.V.<br />

Petrarca e la medicina<br />

Lo studio di Klaus Bergdolt: ARZT,<br />

KRANKHEIT UND THERAPIE BEI PETRARCA. DIE<br />

KRITIK AN MEDIZIN UND NATURWISSENSCHAF-<br />

TEN IM ITALIENISCHEN FRÜHHUMANISMUS<br />

(Medico, malattia e terapia in Petrarca.<br />

La critica della medicina e delle<br />

scienze della natura nel primo umanesimo<br />

italiano, VGH, Acta humaniora,<br />

Weinheim 1992) presenta un aspetto<br />

poco noto della figura di Petrarca: la<br />

sua critica alla medicina dell’età della


scolastica.<br />

In uno studio dettagliato ed erudito, corredato<br />

da un fitto apparato di note, Klaus<br />

Bergdolt analizza passaggi fondamentali<br />

dei trattati e delle lettere di Petrarca in<br />

relazione al problema del suo rapporto con<br />

la medicina scolastica dell’epoca. In alcuni<br />

capitoli dell’opera si trovano materiali e<br />

osservazioni su ambiti eccentrici rispetto al<br />

tema del libro, come ad esempio un excursus<br />

sulla teoria dell’arte sviluppatasi nell’ambiente<br />

dell’Università di Padova o<br />

un’altro sull’Università di Montpellier.<br />

Alcuni aneddoti sulla vita di Petrarca e sul<br />

suo rapporto personale con la malattia costituiscono<br />

momenti di intrattenimento, in<br />

un’opera altrimenti ispirata ai criteri dello<br />

studio accademico e filologico. E’ il caso di<br />

una lettera inviata nell’inverno 1370 dal<br />

poeta al suo medico Giovanni Dondi; al di<br />

là dell’aneddoto la lettera è indice di un<br />

atteggiamento introspettivo di Petrarca e<br />

del suo tentativo di stabilire un rapporto<br />

con la propria malattia. Il poeta, febbricitante,<br />

scrive al proprio medico per non<br />

sentire la febbre, per indirizzare la propria<br />

attenzione, attraverso l’attività della scrittura,<br />

in un’altra direzione. L’atteggiamento<br />

scettico di Petrarca rispetto alla medicina<br />

dell’epoca si mostra qui attraverso il<br />

filtro della sua esperienza personale: al<br />

medico che lo aveva messo in guardia<br />

rispetto a presunti effetti dannosi, per un<br />

febbricitante, dell’acqua di fonte, della frutta<br />

fresca e del digiuno, egli risponde smontando<br />

inesorabilmente le sue argomentazioni.<br />

Petrarca aveva del resto altre ragioni<br />

per dubitare della medicina scolastica. La<br />

peste del 1348 gli aveva portato via numerosi<br />

amici, ma soprattutto gli aveva tolto<br />

Laura, donna da lui amata e musa ispiratrice<br />

della sua poesia. Dopo la morte di Laura<br />

la smisurata delusione di Petrarca si sfoga<br />

nelle Invectivae, con cui il poeta si scaglia<br />

contro il medico personale del papa Clemente<br />

VI e ridicolizza i medici formatisi<br />

tra le sottigliezze della retorica e della<br />

logica scolastiche. Si può così comprendere<br />

come all’arroganza di tali medici Petrarca<br />

contrapponesse quel senso della finitezza<br />

umana che si esprime anche nella<br />

sua lirica. M.M.<br />

Gassendi fra epicureismo<br />

e cristianesimo<br />

Dopo un’assenza di quasi trecento anni<br />

ricompaiono nelle librerie francesi i<br />

sette volumi dell’ABRÉGÉ DE LA PHILO-<br />

SOPHIE DE GASSENDI (Compendio della<br />

filosofia di Gassendi, Fayard, Paris<br />

1992) di François Bernier in una edizione<br />

curata da Sylvia Murr e Geneviève<br />

Stefani. L’opera è il risultato visibile<br />

dell’impulso alla ricerca prodotto dal<br />

riaccendersi dell’interesse per la figura<br />

e il pensiero di Gassendi, di cui è<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

un’ulteriore conferma la recente fondazione<br />

della Société internationale<br />

d’études gassendiennes e dall’inaugurazione<br />

del Centre d’études gassendiennes<br />

a Digne dove, nel 1592,<br />

nasceva Pierre Gassendi.<br />

François Bernier, medico, viaggiatore,<br />

uomo di lettere amico di Racine, La<br />

Fontaine e Boileau, a vent’anni dalla<br />

morte di Gassendi (1655), si propose di<br />

diffonderne il pensiero attraverso<br />

un’opera di volgarizzazione. Il Compendio<br />

si presenta quindi come un’esposizione<br />

in lingua francese e in forma “alleggerita”<br />

della filosofia di Gassendi,<br />

classicamente tripartita in Logica, Fisica<br />

e Morale. Il materiale è per lo più<br />

attinto dal Syntagma philosophicum, nel<br />

quale Gassendi aveva esposto la sua rielaborazione<br />

della concezione epicurea,<br />

nella ricerca di un accordo con la rivelazione<br />

cristiana. L’opera, rimasta incompiuta<br />

e pubblicata postuma, di fatto testimonia<br />

soltanto l’ultima fase del pensiero<br />

del suo autore; è inevitabile allora<br />

domandarsi fino a che punto la versione<br />

di Bernier offra una autentica visione<br />

d’insieme della posizione di Gassendi,<br />

anche se indubbiamente risveglia la curiosità<br />

nei confronti di un pensiero dagli<br />

aspetti così difficilmente conciliabili.<br />

Un uomo di chiesa che si occupa di<br />

astronomia e si dice grande ammiratore<br />

di Galileo proprio quando il Sant’Uffizio<br />

condanna la teoria copernicana come<br />

eretica può sembrare contraddittorio; ma<br />

può anche darsi che Gassendi fosse un<br />

prete dalla mentalità eccezionalmente<br />

aperta. Non meno arduo fu armonizzare<br />

religione cristiana ed epicureismo, dove<br />

l’equivocità del compromesso è comprovata<br />

dalla simpatia che per Gassendi<br />

ebbero i libertini e gli illuministi. L’influenza<br />

di Montaigne, e soprattutto quella<br />

di Charron, orientarono Gassendi verso<br />

una posizione empirico-scettica che ne<br />

fece un polemico oppositore tanto dell’aristotelismo<br />

e del cartesianesimo<br />

quanto dell’indirizzo magico-occultista.<br />

Contro l’atteggiamento dogmatico dei<br />

primi e quello irrazionalistico dei secondi,<br />

il dubbio scettico e il successivo richiamo<br />

all’esperienza furono comunque<br />

finalizzati al tentativo di salvare dallo<br />

scetticismo la conoscenza scientifica,<br />

anche se il prezzo da pagare fu l’incrinarsi<br />

di qualsiasi pretesa fondazionistica<br />

del sapere scientifico da parte della<br />

metafisica. Allo stesso modo fu il valore<br />

epistemologico riconosciuto alle allora<br />

recenti esperienze della fisica nascente,<br />

unito ad un’esigenza di rigore e di plausibilità,<br />

che portò Gassendi ad abbrac-<br />

44<br />

ciare le tesi dell’atomismo di Epicuro.<br />

Così il dogma della rivelazione, accettato<br />

senza riserve, lungi dal costituire un<br />

ostacolo, permetteva di rinunciare ad<br />

ogni giustificazione razionalistica, delimitando<br />

contemporaneamente la sfera<br />

del conoscibile alla quale l’uomo poteva<br />

accedere con la “nuova scienza”. M.V.<br />

Carteggio Freud-Binswanger<br />

Stima e affetto profondi e reciproci<br />

legavano Sigmund Freud e Ludwig<br />

Binswanger in un rapporto non privo<br />

di tratti “edipici”. Sul piano teorico<br />

Freud fu però diffidente rispetto alla<br />

possibilità di fondare filosoficamente<br />

la prassi analitica, come invece intendeva<br />

fare Binswanger, riferendosi<br />

soprattutto a Heidegger. La recente<br />

pubblicazione, con il titolo di BRIEFWE-<br />

CHSEL 1908-1938 (a cura di Gerhard<br />

Fichtern, Fischer, Frankfurt a. M. 1992),<br />

del carteggio tra il padre della psicoanalisi<br />

e il fondatore della “Daseinsanalyse”<br />

può aiutare a chiarire e comprendere<br />

aspetti umani e controversie<br />

scientifiche di tale rapporto.<br />

Il primo incontro tra Sigmund Freud e<br />

Ludwig Binswanger avviene nel 1907,<br />

quando Binswanger, allora giovane medico,<br />

accompagna a Vienna Carl Gustav Jung<br />

e sua moglie. Le caratteristiche emotive di<br />

tale incontro appaiono subito ben delineate.<br />

All’epoca, il rapporto del giovane Binswanger<br />

con il padre si poneva sotto il<br />

segno del principio di realtà; il padre rappresentava<br />

la “legge” e l’esempio da seguire<br />

nell’obbedienza: prima intraprendendo<br />

la carriera di medico, poi l’attività di psichiatra<br />

e in seguito quella di direttore del<br />

celebre sanatorio Bellevue di Kreuzlinger.<br />

Al contrario, Freud appare come una sorta<br />

di “padre ideale”, capace di guidare intellettualmente<br />

il figlio e al tempo stesso di<br />

assistere, senza interferire, all’individuazione<br />

da parte di questi di una propria<br />

strada nella vita e nella scienza. Che si<br />

trattasse di un’idealizzazione, fu poi confermato<br />

dallo sviluppo di tale rapporto, e<br />

dallo scetticismo (per non dire dalla disapprovazione)<br />

di Freud rispetto al tentativo di<br />

Binswanger di trasformare la psicoanalisi<br />

in Daseinsanalyse, analisi esistenziale,<br />

basandosi sulla filosofia dell’”esserci” elaborata<br />

da Heidegger in Essere e tempo.<br />

Il carteggio offre la testimonianza di una<br />

tendenza all’autoillusione da parte di Binswanger<br />

circa la disponibilità di Freud ad<br />

accettare tale inversione di rotta verso la<br />

filosofia: così, annunciando in una lettera a<br />

Freud del 1922 la pubblicazione della sua<br />

Allgemeine Psychologie (Psicologia generale),<br />

Binswanger si dichiara persuaso «di<br />

tendere, attraverso una via concettuale, allo<br />

stesso scopo a cui [Freud] si [era] tanto<br />

avvicinato attraverso una via empirica,<br />

quella cioè di creare una base per la conoscenza<br />

psicologica dell’uomo». Freud, di


formazione mediconaturalistica (e filosoficamente<br />

simpatizzante per Schopenhauer),<br />

era però in parte diffidente, in<br />

parte estraneo alle sistematizzazioni filosofiche<br />

e ai tentativi di fissare in concetti la<br />

ricerca empirica e il concreto lavoro analitico<br />

e interpretativo. Così, dopo la lettura di<br />

alcuni capitoli della Allgemeine Psychologie,<br />

Freud risponde a Binswanger, esprimendo<br />

il dubbio che egli possa riuscire nel<br />

suo tentativo, facendo a meno dell’inconscio,<br />

e chiedendosi se il più giovane collega<br />

non sia stato preso dagli artigli del “diavolo<br />

filosofico”. In questo contesto si potrebbe<br />

domandarci se anche il termine “inconscio”<br />

non rinvii a una dimensione di concettualizzazione<br />

filosofica, o quantomeno<br />

a una fissazione concettuale dei risultati di<br />

quell’esperienza sui generis che è la prassi<br />

analitica. Una tale domanda circa il senso<br />

dell’inconscio è stata posta, in un ambito,<br />

quello fenomenologico, non distante dalle<br />

preoccupazioni della Daseinsanalyse, da<br />

Eugen Fink. Non si conosce la risposta di<br />

Binswanger alla lettera in questione di<br />

Freud. In questo caso il curatore del carteggio<br />

rinvia, in una nota, all’anno 1956, quando,<br />

nelle sue Erinnerungen an Sigmund<br />

Freud (Ricordi di Sigmund Freud), Binswanger<br />

rifiuta la critica di aver rinunciato<br />

al concetto di inconscio, affermando di<br />

avere invece «trasformato, ampliato e approfondito»<br />

tale problema: attraverso il<br />

metodo della Daseinsanalyse la secca contrapposizione<br />

tra conscio e inconscio passa<br />

infatti a suo parere in secondo piano, a<br />

vantaggio di una descrizione delle modalità<br />

concrete dell’”essere-nel-mondo”.<br />

Nel carteggio gli aspetti scientifici del rapporto<br />

Freud-Binswanger si intrecciano a<br />

quelli privati. Qui emergono, in particolare,<br />

alcuni aspetti “profondi” della personalità<br />

di Binswanger. Si vedano, ad esempio,<br />

alcuni passi delle lettere del periodo successivo<br />

alla morte del figlio maggiore<br />

(1929), nel quale Binswanger vedeva un<br />

predestinato ed eletto prosecutore della<br />

propria attività scientifica e terapeutica. In<br />

occasione del suo cinquantesimo compleanno,<br />

Binswanger annota nelle pagine del<br />

suo diario: «Gli amici mi augurano una<br />

buona seconda metà di secolo. Per me<br />

questo augurio è ovvio, tanto mi sento<br />

giovane e pieno di progetti, come se stessi<br />

per iniziare una seconda vita con Bobi in<br />

me. Il dolore appartiene al pieno vivere».<br />

Interessanti sono anche quelle parti del<br />

carteggio che illuminano aspetti della nevrosi<br />

delle classi agiate che frequentavano<br />

lo studio di Freud e la casa di cura diretta da<br />

Binswanger, mettendo al tempo stesso in<br />

luce quello che all’epoca appariva uno dei<br />

tratti più “scandalosi” della psicoanalisi: il<br />

porre la famiglia all’origine dei disturbi<br />

nevrotici. Gli individui appartenenti a questo<br />

“pubblico” borghese che, più che del<br />

lettino di Freud avevano bisogno di assistenza<br />

e di osservazione, vengono sottoposti,<br />

nella lussuosa casa di cura binswangeriana<br />

sul lago di Costanza, a trattamenti che<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

Terzo congresso pisocoanalitico internazionale,<br />

al centro Sigmund Freud, secondo da sinistra Ludwig Binswanger;<br />

nella foto sotto, Sigmund Freud nel 1931<br />

45


appartengono oggi alla preistoria della psicoterapia<br />

e della psicoanalisi: bagni, somministrazione<br />

di bromuro, lavoro manuale<br />

e movimento. Tutto ciò con il consenso<br />

critico di Freud, che sovrintendeva da lontano<br />

alla formazione del giovane allievo,<br />

ben diversa, in anni pionieristici della psicoanalisi,<br />

da quella attuale fondata sull’analisi<br />

didattica. M.M.<br />

Althusser: diario di prigionia<br />

La recente traduzione del primo volume<br />

della biografia di Louis Althusser<br />

(L’AVVENIRE DURA A LUNGO, Guanda, Milano<br />

1992) ha riproposto all’attenzione<br />

del pubblico italiano la figura contrastata<br />

di uno dei più problematici<br />

“maître à penser” degli anni ’70. Per<br />

la preparazione di quest’opera, Yeann<br />

Moulier Boutang, il suo biografo,<br />

è andato a cercare nei cospicui fondi<br />

dell’IMEC (Institut des Memoires de<br />

l’Edition Française) il diario di prigionia<br />

di Althusser, che copre il periodo<br />

in cui il filosofo era recluso nei lager<br />

nazisti, offrendolo alle stampe con il<br />

titolo: JOURNAL DE CAPTIVITÉ. STALAG XA,<br />

1940-1945 (Diario di prigionia. Stalag<br />

XA, 1940-45, a cura di Olivier Corpet e<br />

Yeann Moulier Boutang, IMEC/Stock,<br />

Paris 1992).<br />

Esperienza incancellabile, vissuta nel “tempo<br />

immobile” del campo di concentramento,<br />

che Louis Althusser ventenne registra<br />

con dolorosa disciplina in questi quaderni,<br />

riprodotti nel manoscritto dai curatori. La<br />

funzione di cronista dello Stalag di Schleswig<br />

gli era stata affidata dalla benevolenza<br />

degli altri reclusi a causa delle sue cattive<br />

condizioni di salute; è dunque nell’agio,<br />

del tutto relativo, di questo compito che<br />

Althusser ha il tempo di scrivere e di studiare:<br />

Pascal, Goethe, Hölderlin, Rilke, La<br />

Bruyère sono i compagni d’elezione, la cui<br />

frequentazione si lascia percepire nei brevi<br />

saggi, nelle poesie e negli aforismi presenti<br />

in questi fogli diaristici. Per chi intenda<br />

ripercorrere la biografia intellettuale del<br />

filosofo, questi diari rappresentano un<br />

momento fondamentale del percorso di<br />

Althusser, rafforzando la tesi di Boutang<br />

che afferma l’esistenza di una linea di continuità<br />

tra le posizioni cattoliche conservatrici<br />

di Althusser da giovane e le posizioni<br />

marxiste radicali dei suoi anni maturi. Una<br />

continuità intellettuale e morale che il biografo<br />

accredita in sede storica, evidenziando<br />

un percorso che va dal cristianesimo<br />

cattolico al comunismo.<br />

Più modestamente l’interesse biografico di<br />

questi scritti è quello di contribuire alla<br />

messa a fuoco della personalità complessa<br />

di Alhusser: il movimento pendolare tra<br />

disperazione e lucidità intellettuale, il tentativo<br />

di dare argini razionali al senso di<br />

negazione della sua esperienza di recluso.<br />

Tutto ciò si raccoglie nell’intento d’inven-<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

tare una scrittura per resistere al presente<br />

immobile del campo di concentramento, di<br />

trasformare un’esperienza di negazione in<br />

un’occasione di formazione, sapendo che<br />

rimarrà ineliminabile «il lento oscuramento<br />

interiore che sento scendere su di me».<br />

Vale leggere queste pagine anche come<br />

testimonianza aperta di un’esistenza contesa<br />

tra volontà di cercare una disciplina<br />

filosofica e il buio della follia. E.N.<br />

Heidegger e il sofista<br />

Prosegue la pubblicazione, nella GE-<br />

SAMTAUSGABE heideggeriana, dei testi<br />

delle lezioni universitarie del filosofo:<br />

è ora la volta del corso sul “Sofista”<br />

platonico, PLATON: SOPHISTES (Gesamtausgabe.<br />

II Abteilung: Vorlesungen<br />

1919-1944, vol. XIX, Klostermann,<br />

Frankfurt a. M. 1992), tenuto da Heidegger<br />

nel semestre invernale 1924-<br />

25 all’università di Marburgo.<br />

«E’ chiaro infatti che voi da tempo siete<br />

familiari con ciò che intendete quando<br />

usate l’espressione essente; anche noi credemmo<br />

un giorno di comprenderlo senz’altro,<br />

ma ora siamo caduti nella perplessità».<br />

Commentando queste parole tratte dal Sofista<br />

platonico Martin Heidegger introduceva,<br />

all’inizio di Essere e tempo (1927),<br />

quella che sarebbe stata la questione fondamentale<br />

del suo itinerario filosofico: la<br />

necessità di una riproposizione del problema<br />

del senso dell’essere in generale. La<br />

lettura delle lezioni dedicate da Heidegger<br />

nel 1924-25 (in un periodo immediatamente<br />

precedente la stesura di Essere e<br />

tempo) al Sofista di Platone può dunque<br />

costituire motivo di interesse per chi cerca<br />

di dipanare i molteplici fili storico-teoretici<br />

che si intrecciano nel tessuto della filosofia<br />

heideggeriana.<br />

Nel dialogo platonico un seguace di Parmenide<br />

di Elea, il filosofo che aveva separato<br />

nettamente la via della verità, o dell’essere,<br />

dalla via dell’opinione o del nonessere,<br />

si interroga sullo statuto della verità<br />

filosofica. La via di accesso a questo<br />

problema è costituita dalla distinzione tra<br />

il sofista e il filosofo. Attivi nell’Atene del<br />

V secolo a.C., i sofisti, almeno secondo<br />

l’immagine che di essi viene data nel dialogo<br />

platonico, negavano la possibilità di<br />

distinguere in linea di principio il vero dal<br />

falso e scambiavano l’essere con il nonessere.<br />

Questa posizione può certo essere<br />

intesa come uno stratagemma critico-pedagogico,<br />

rivolto contro coloro che fanno<br />

mostra di sapere ciò che in realtà non<br />

sanno, ma sembra anche precludere all’essere<br />

umano, «misura delle cose che sono e<br />

che non sono», come voleva il sofista<br />

Protagora, l’accesso a una verità metafisica.<br />

Tuttavia anche Socrate, non sofista ma<br />

“filosofo”, faceva ampio uso di tali stratagemmi<br />

critico-ironico-pedagogici e identificava<br />

la saggezza con il sapere di non<br />

sapere. Su questa base ci si può legittimamente<br />

domandare quale sia la differenza<br />

46<br />

tra il sofista e il filosofo, tra l’opinione<br />

(soggetta ad errore) e l’amore della verità.<br />

Sono queste alcune delle domande che<br />

fanno da filo conduttore del corso heideggeriano<br />

sul Sofista, pubblicato ora nel vol.<br />

XIX della Gesamtausgabe a cura di Ingrid<br />

Schüßler e ricostruito accuratamente<br />

sulla base di appunti e dei manoscritti del<br />

testo delle lezioni. La filosofia antica, e in<br />

particolare Platone e Aristotele, costituisce<br />

una delle fonti principali di cui si nutre<br />

il pensiero heideggeriano ai suoi inizi,<br />

mentre l’ultimo Heidegger si rivolgerà ai<br />

filosofi presocratici. Già a Friburgo, nel<br />

1923, Heidegger aveva studiato la filosofia<br />

di Aristotele, dedicando la propria attenzione<br />

soprattutto all’Etica nicomachea.<br />

Nel corso sulla logica del semestre invernale<br />

1925-26 (apparso nel 1976) alcune<br />

osservazioni sul problema della verità vengono<br />

sviluppate nel contesto dell’interpretazione<br />

di alcune parti della metafisica<br />

aristotelica. Nel 1922, poco prima della<br />

chiamata all’Università di Marburgo,<br />

Heidegger aveva scritto, per sottoporla al<br />

giudizio di Paul Natorp, la cosiddetta Aristoteles-Einleitung,<br />

pubblicata nel 1989<br />

nel “Dilthey-Jahrbuch” a cura di Hans-<br />

Ulrich Lessing. Per diversi motivi le lezioni<br />

heideggeriane del periodo di Marburgo<br />

sono state sinora interpretate come una<br />

preparazione a Essere e tempo, un’opera<br />

che introdurrebbe nella filosofia heideggeriana<br />

una rottura e un nuovo punto di partenza,<br />

quello del problema del senso dell’essere.<br />

Nelle lezioni del periodo di Marburgo<br />

sarebbe invece prevalente un’impostazione<br />

condizionata da tematiche di carattere esistenziale,<br />

“pragmatistico” e da motivi della<br />

“filosofia della vita” di matrice diltheyana,<br />

orientate contro la filosofia dei valori e il<br />

trascendentalismo del neokantismo.<br />

Questa immagine del pensiero heideggeriano<br />

del periodo marburghese può essere<br />

forse parzialmente corretta dalle lezioni<br />

sul Sofista, che mostrano l’esistenza di una<br />

certa continuità con alcune tematiche di<br />

Essere e tempo e addirittura, secondo alcuni<br />

commentatori, con l’opera di Heidegger<br />

posteriore alla cosiddetta Kehre, “svolta”.<br />

Tema di queste lezioni è da una parte il<br />

senso della filosofia (e dell’esistenza filosofica,<br />

o autentica) e dall’altra, ad esso<br />

legato, quello dell’essere. Più di un terzo<br />

del testo delle lezioni è dedicato non al<br />

Sofista, ma all’analisi della distinzione tra<br />

phronesis e sophia, sviluppata da Aristotele<br />

nell’Etica nicomachea, ed è su questa<br />

base che viene considerata la distinzione<br />

tra esistenza quotidiana e filosofica. Quest’ultima<br />

è caratterizzata per Heidegger dal<br />

fatto di essere dedicata, in modo disinteressato,<br />

all’essere dell’ente: in questo senso la<br />

vita teoretica (sophia) è, aristotelicamente,<br />

la modalità più elevata dell’esistenza.<br />

Ma che cosa distingue il sofista dal filosofo?<br />

Come si può parlare del non-essere?<br />

Come è possibile distinguere l’errore dalla<br />

verità? Heidegger sembra qui riprendere,<br />

nel diverso contesto del proprio pensiero,<br />

la risposta platonica: è la dialettica, in<br />

quanto riflessione sul discorso, che per-


L’Associazione degli Amici di<br />

Spinoza, costituitasi nel 1989, ha<br />

proceduto al rinnovo del Direttivo<br />

nell’Assemblea generale tenutasi<br />

a Urbino il 12 novembre 1992, in<br />

occasione della commemorazione<br />

di Emilia Giancotti, presidente nel<br />

triennio 1989-1992. Il nuovo Direttivo,<br />

eletto per il triennio 1992-<br />

1995, è così costituito: Mino Chamla<br />

(Univ. di Milano), Paolo Cristofolini<br />

(Scuola Normale Superiore<br />

di Pisa), Piero di Vona (Univ. di<br />

Napoli), Filippo Mignini (Univ. di<br />

Macerata), Giuseppa Saccaro Battisti<br />

(Univ. di Roma “La Sapienza”),<br />

Cristina Santinelli (Univ. di<br />

Urbino), Emanuela Scribano (Univ.<br />

di Venezia). Il nuovo Presidente è<br />

Filippo Mignini.<br />

La Presidenza ha sede presso il<br />

Dipartimento di Filosofia e Scienze<br />

umane dell’Università di Macerata,<br />

via Garibaldi 20, cap. 62100,<br />

tel. 0733/258323, Fax o733/<br />

258329. La Segreteria e la redazione<br />

del Bollettino presso l’Istituto<br />

di Filosofia dell’Università di Urbino,<br />

via Saffi 9, cap. 61029, tel.<br />

0722/320525.<br />

Quanti siano interessati alla ricerca<br />

su Spinoza e allo spinozismo,<br />

possono dare la propria adesione<br />

chiedendo di essere iscritti all’Associazione.<br />

La quota annuale di<br />

iscrizione - che dovrà essere versata<br />

dopo l’accoglimento della domanda<br />

inviata alla Presidenza - è di<br />

L. 25.000 e può essere pagata con<br />

vaglia postale indirizzato a Daniela<br />

Bostrenghi, Segreteria dell’Associazione<br />

Italiana degli Amici di<br />

Spinoza, Istituto di Filosofia dell’Università,<br />

via Saffi 9, 61029 Urbino.<br />

Sono state pubblicate nella rivista<br />

tedesca Die Zeit (n. 30, 17 luglio<br />

1992, a cura e con un commento di<br />

Klaus Garber) tre lettere tra lo studioso<br />

di mistica ebraica Gerschom<br />

Scholem e Dora Pollak, moglie di<br />

WALTER BENJAMIN. Scholem,<br />

amico di Benjamim, conobbe Dora<br />

Pollak nel 1916 e, dalla primavera<br />

1918 all’estate 1919, frequentò<br />

quotidianemente la casa della famiglia<br />

Benjamin in Svizzera, godendo<br />

della più stretta intimità di<br />

Walter, Dora e del figlio Stefan. Le<br />

lettere pubblicate dalla Zeit (provenienti<br />

dal fondo dei manoscritti<br />

della biblioteca nazionale e universitaria<br />

di Gerusalemme) risalgono<br />

al 1941-42 (agli anni, dunque,<br />

immediatamente successivi<br />

alla morte di Benjamin), e rispecchiano<br />

il bisogno dei due personaggi<br />

di mantenere vivo il ricordo<br />

non solo dell’amico e dell’ex-marito,<br />

ma anche - in anni tragici per<br />

l’Europa - di un’epoca e di un ambiente<br />

della cultura ebraica e tedesca.<br />

Dora Pollak cerca, attraverso<br />

Scholem, di recuperare alcune tracce<br />

di Benjamin (dal quale era separata<br />

legalmente): libri, oggetti, fotografie,<br />

ricordi personali; Scholem,<br />

che già dal 1923 viveva in<br />

Palestina, e che dopo la morte del-<br />

l’amico si era dedicato alla raccolta<br />

dei suoi scritti e di tutto ciò che<br />

potesse essere utile per ricostruirne<br />

la vita, si rivolge a Dora Pollok<br />

come a colei che più era stata vicina<br />

a Benjamin, pregandola di trascrivere<br />

i ricordi del marito in vista<br />

della stesura di una biografia. Dora<br />

Pollak risponde a Scholem proponendosi<br />

di inviargli tali ricordi in<br />

forma di lettere; una promessa che,<br />

per quanto si può evincere dai materiali<br />

disponibili nell’archivio<br />

benjaminiano di Gerusalemme, non<br />

sarebbe poi stata mantenuta.<br />

Ma la vicenda esistenziale di Benjamin<br />

è destinata a suscitare anche<br />

altre polemiche, in particolare per<br />

quanto riguarda la sua morte, ancora<br />

avvolta dal mistero. Alla luce<br />

di una serie di nuovi documenti,<br />

Ingrid Scheurmann (“Frankfurter<br />

Rundschau”, 15. XII. 92) mette in<br />

dubbio sia la versione dei funzionari<br />

spagnoli, secondo la quale<br />

Benjamin fu vittima di una morte<br />

per apoplessia cerebrale, sia anche<br />

la versione ufficiosa di Henny Gurland,<br />

che conferma l’ipotesi del<br />

suicidio. Nonostante tutti i dubbi<br />

da lei addotti, anche Scheurmann<br />

ammette che la tesi del suicidio<br />

non possa essere definitivamente<br />

abolita. Tuttavia potrebbe pur sempre<br />

essere possibile che il gruppo,<br />

insieme al quale Benjamin attra-<br />

TESTATINA<br />

NOTIZIARIO<br />

ERRATA CORRIGE<br />

47<br />

versò il confine spagnolo, e di cui<br />

faceva parte anche Henny Gurland,<br />

sia riuscito a celare alla Guardia<br />

Civil le vere cause della sua morte<br />

per risparmiare a tutti i componenti<br />

del gruppo noiose indagini. All’ipotesi<br />

di Scheurmann ha reagito,<br />

sullo stesso giornale, Hans Puttnies,<br />

che insieme a Gary Smith ha<br />

pubblicato nel 1991 un volume dal<br />

titolo: Benjaminiana. Puttnies è<br />

convinto di poter correggre ogni<br />

dettaglio dei documenti addotti da<br />

Scheurmann. Nell’insieme egli respinge<br />

la grave calunnia di Scheurmann<br />

nei confronti di Henny Gurland,<br />

quella fotografa che a Berlino<br />

ha lavorato per una rivista di<br />

sinistra, il cui marito ha combattuto<br />

nella guerra civile spagnola, e<br />

che, nella sua fuga in America,<br />

aveva conosciuto Benjamin a Marsiglia.<br />

«Non vi è niente nella vita<br />

dolorosa di questa donna - afferma<br />

Puttnies - che dia adito di dubitare<br />

della sua sincerità».<br />

Con il volume di Fabio Bazzani e<br />

Alessandro Guidi, Il rischio e la<br />

chiacchiera. Il luogo del discorso<br />

etico tra filosofia e psicoanalisi,<br />

prende il via, presso l’Editore Borla<br />

di Roma, la collana TALKING<br />

CURE del Centro di Ascolto e<br />

Orientamento Psicoanalitico di Pi-<br />

Nell’articolo: Diritto e Stato in Hegel (“Informazione Filosofica”,<br />

n. 8/9, settembre 1992), con la denominazione errata di “Societas der<br />

Freunde der dialektischen Philosophie” si deve intendere la “Internationale<br />

Gesellschaft für dialektische Philosophie - Societas Hegeliana”.<br />

Essa non ha il suo “baricentro” nella Germania orientale, presso<br />

la “Deutsche Akademie der Wissenschaften”, bensì è stata fondata a<br />

Francoforte con lo scopo di intensificare il dialogo filosofico tra tutte<br />

le filosofie razionali e conta tra i suoi oltre 300 membri filosofi<br />

provenienti da tutti i continenti. Organo ufficiale della suddetta società<br />

non è la rivista “Dialektik” di Amburgo, ma gli “Annalen der Internationalen<br />

Gesellschaft für dialektische Philosophie”, diretti da Domenico<br />

Losurdo, presidente della società stessa. Infine l’indicazione di<br />

una particolare vicinanza dei membri di questa società con il progetto<br />

della Europäische Enzyklopädie zu Philosophie und Wissenschaften,<br />

edita dall’editore Meiner di Amburgo, deve essere ridimensionata in<br />

una collaborazione occasionale di alcuni membri a tale progetto.<br />

stoia, diretta da Alessandro Guidi.<br />

Il volume, frutto della collaborazione<br />

e del confronto tra un filosofo<br />

e uno psicoanalista, mette in<br />

rilievo, verificandole appunto sui<br />

temi del rischio e della chiacchiera,<br />

due stili differenti di approccio<br />

al problema dell’etica ed un comune<br />

riferimento: il luogo dell’esperienza<br />

e dell’esistenza. La collana<br />

“Talking Cure” intende rappresentare<br />

uno spazio di dibattito tra studiosi<br />

di diversa provenienza disciplinare,<br />

tuttavia interessati ai temi<br />

della psicoanalisi, dell’etica, della<br />

filosofia, dell’antropologia. In questo<br />

quadro di intervento pluridisciplinare<br />

ed intersettivo è in preparazione<br />

il volume, che vede il contributo<br />

di vari autori, su La funzione<br />

del padre nella clinica e teoria<br />

psicoanalitica.<br />

Nell’ambito di un ACCORDO DI<br />

COOPERAZIONE stipulato tra la<br />

Facoltà di Lettere e la Facoltà di<br />

Scienze Sociali e Politiche dell’Università<br />

di Losanna (docenti:<br />

Marie-Jeanne Borel, Claude Calame,<br />

Mondher Kilani), il Collège<br />

International de Philosophie di<br />

Parigi (decente: Francis Affergan)<br />

e il Dipartimento di Filosofia dell’Università<br />

di Pavia (docenti: Silvana<br />

Borutti, Ugo Fabietti) si sono<br />

svolti e sono in corso di svolgimento<br />

colloqui e seminari su temi<br />

di epistemologia, epistemologia<br />

delle scienze umane, epistemologia<br />

dell’antropologia. Per il <strong>1993</strong> è<br />

prevista l’organizzazione di giornate<br />

di studio sul tema: “Modellizzazione<br />

dell’oggetto antropologico:<br />

vedere, sapere, scrivere l’antropologia”,<br />

che dà avvio ad una<br />

ricerca comune su “La trascendenza<br />

culturale: costruzione e distruzione<br />

dell’oggetto antropologico”,<br />

che si articolerà su più punti, tra loro<br />

collegati e complementari, e finalizzati<br />

a un ripensamento critico della<br />

questione dei fondamenti epistemologici<br />

dell’antropologia: 1. Esistono<br />

degli oggetti antropologici? Analisi<br />

delle condizioni di possibilità e della<br />

storicità dell’oggetto antropologico.<br />

2. L’oggetto antropologico come presentazione/rappresentazione:<br />

analisi<br />

delle procedure di modellizzazione e<br />

schematizzazione; realtà e finzione<br />

dell’oggetto antropologico. 3. Le forme<br />

delle categorie, dei concetti, delle<br />

nozioni antropologiche: analisi dei<br />

procedimenti di formulazione, descrizione,<br />

traduzione-alterazione; la questione<br />

delle metafore e del trasferimento<br />

simbolico in generale; “métissage”<br />

et “rapatriement” dei concetti;<br />

le differenti logiche pratiche. 4. Traduzione<br />

e formulazione nel discorso<br />

antropologico: il residuo nella traduzione,<br />

la questione dell’esistenza di<br />

una logica naturale, la questione universalismo/relativismo.<br />

5. Procedure<br />

e oggetti ritrovati: reciproca critica<br />

della questione dei fondamenti dell’antropologia;<br />

discussione dei modelli<br />

di fondazione (ermeneutica,<br />

cognitivismo, dialogismo, testualismo,<br />

ecc.); l’antropologia “rimpatriata”.<br />

Tale accordo di cooperazione<br />

prevede scambi di insegnamenti<br />

per durate limitate, scambi


CONVEGNI E SEMINARI<br />

Ludwig Wittgenstein, Martin Heidegger,<br />

Michel Foucault,<br />

Jacques Derrida, Jean-Paul Sartre<br />

48


Filosofie contemporanee<br />

Se la filosofia contemporanea è essenzialmente<br />

apertura – apertura problematica<br />

del pensiero verso un orizzonte<br />

possibile di senso – , una significativa<br />

conferma di ciò si è avuta dal<br />

ciclo di conferenze dal titolo: LA FILOSO-<br />

FIA CONTEMPORANEA. CIÒ’ CHE É VIVO, CIÒ’<br />

CHE É MORTO, dedicato a figure della<br />

scena filosofica contemporanea, svoltosi<br />

presso la Casa della Cultura di<br />

Milano fra ottobre e dicembre 1992. Il<br />

ciclo, ideato e organizzato da Fulvio<br />

Papi (se ne veda la presentazione sul<br />

numero 10 di questa rivista), ha visto<br />

interventi di Pier Aldo Rovatti, Salvatore<br />

Natoli, Carlo Sini, Silvana Borutti,<br />

Maurizio Ferraris e Mario Vegetti.<br />

A partire da una rilettura dell’opera, soprattutto<br />

postuma, di Jean Paul Sartre,<br />

Pier Aldo Rovatti ha proposto due questioni<br />

fondamentali, in base alle quali il<br />

dibattito filosofico contemporaneo può utilmente<br />

rivolgersi al pensiero di questo filosofo.<br />

La prima riguarda la possibilità di<br />

trovare in Sartre elementi per l’elaborazione<br />

della nozione di alterità, così come essa<br />

viene oggi proposta da Levinas, Ricoeur e<br />

Derrida, e giungere a una “morale della<br />

distanza”. Essa consiste nella rivalutazione<br />

del ruolo dell’alterità come momento costitutivo<br />

dell’ipseità, ovvero della soggettività<br />

di quell’essere che non coincide con sé<br />

stesso, in quanto si “tiene a distanza” da sé<br />

medesimo. In questo modo la prospettiva<br />

di lettura di Sartre riceve una correzione<br />

rispetto alle accuse di umanismo metafisico,<br />

spesso rivolte, da Heidegger in poi, al<br />

filosofo francese. L’elaborazione di una<br />

nuova nozione di soggettività, in connessione<br />

con quella di alterità, rimanderebbe<br />

dunque all’idea di un possibile superamento,<br />

inteso come “distorsione” (Verwindung)<br />

della metafisica e dei suoi concetti.<br />

Al rilievo di Fulvio Papi, secondo cui la<br />

riflessione sartreana, pur a prescindere dalle<br />

sue stesse autointerpretazioni, si presenta<br />

effettivamente come una forma di radicale<br />

coscienzialismo, imperniata sulla nozione<br />

del “per sé”, Rovatti ha risposto sostenendo<br />

che una prospettiva storico-filosofica<br />

deve senza dubbio tener conto del<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

coscienzialismo come di una caratteristica<br />

essenziale del pensiero di Sartre, ma non<br />

può escludere un’impostazione teoretica,<br />

tesa alla ricerca di elementi divergenti,<br />

“più contemporanei”. La seconda questione<br />

emersa durante la conferenza concerne<br />

il problema della parola filosofica. Secondo<br />

Rovatti occorre sottolineare che le molteplici<br />

forme della scrittura, in cui Sartre si<br />

è cimentato, non riguardano il tentativo di<br />

esprimere un medesimo contenuto attraverso<br />

linguaggi diversi, bensì quello di<br />

trovare, tramite forzature della scrittura,<br />

una nuova pratica filosofica; emerge dunque<br />

qui la questione del carattere “narrativo”<br />

della ricerca filosofica e della sua scrittura<br />

e, proprio per questo, della sua incommensurabilità<br />

con quella scientifica. Il tentativo<br />

sartreano rimarrebbe dunque ben<br />

distante da quell’ideale di oggettività<br />

“scientifica” proposto da Edmund Husserl,<br />

in virtù del quale Enzo Paci, come ha<br />

ricordato Rovatti, rimproverava alla riflessione<br />

sartreana proprio il suo carattere di<br />

descrittività, e un minor grado di concettualizzazione.<br />

I testi postumi di Sartre configurano un<br />

progetto di sistema della morale. La tesi<br />

della finitezza umana, ha notato Rovatti,<br />

non può che portare al trascendimento del<br />

piano gnoseologico, e sfociare in quello<br />

etico: la verità diventa una questione pratica.<br />

Su questa base Rovatti ha accostato la<br />

posizione di Sartre a quella di Martin<br />

Heidegger, con una coincidenza delle determinazioni<br />

di libertà, esistenza, verità;<br />

l’etica sartreana pare in questo animata<br />

dalla volontà di perdersi, nella sua rinuncia<br />

ai comodi (pragmaticamente) occhiali dell’universalità<br />

scientifica per i più ardui<br />

strumenti dell’etica interpretativa, laddove<br />

la libertà si definisce come un progettare a<br />

partire dalla passività, come un “agire la<br />

fatticità”.<br />

Anche nella ricerca di Michel Foucault,<br />

ha rilevato Salvatore Natoli, emerge come<br />

centrale la questione del soggetto. Costituendosi<br />

a partire dalla ricerca della verità,<br />

esso descrive, nella riflessione di Foucault,<br />

un percorso che va dalla “morte dell’uomo”<br />

alle tecnologie del sé. Ripercorrendo<br />

l’analisi foucaultiana, Natoli ha sottolineato<br />

come il concetto di uomo, che entra in<br />

crisi con la fine dell’Ottocento, abbia un’esi-<br />

49<br />

stenza relativamente breve, poiché la sua<br />

data di nascita va collocata verso l’inizio<br />

del XX secolo, con l’avvento delle “scienze<br />

umane”. L’io, come soggetto della filosofia<br />

moderna, come soggetto cartesiano,<br />

non è ancora “uomo”, ma solo un principio<br />

d’ordine, l’unità vuota della rappresentazione,<br />

riempita dal sistema di ordinamenti.<br />

Le scienze umane creano invece il luogo in<br />

cui l’uomo, ridotto a oggetto naturale, nasce<br />

come quell’essere naturale la cui specificità,<br />

d’après Kant, dopo Kant, consiste<br />

nell’essere fine a sé stesso. Proprio qui<br />

inizia però la sua dissoluzione: dal punto di<br />

vista dell’oggettivabilità esso perde infatti<br />

la propria unità, in quanto diventa l’oggetto<br />

di diversi “punti di vista”.<br />

Nell’articolarsi della riflessione foucaultiana,<br />

Natoli ha individuato tre momenti: il<br />

costruirsi della verità nella parola, gli effetti<br />

della verità, il costituirsi del sé. La verità<br />

si colloca nella storia, nella ricostruzione<br />

genealogica, che non consiste nella ricerca<br />

di un’origine naturale, ma nell’acquisizione<br />

di un sé, e rappresenta, come tale, un atto<br />

ermeneutico. L’ ”origine” si manifesta qui<br />

sotto le spoglie dell’antecedenza, e i documenti<br />

non valgono come elementi di una<br />

ricostruzione cronologica, ma come “monumenti”,<br />

vestigia di un’indagine di tipo<br />

“archeologico”. A causa delle “rotture epistemologiche”,<br />

quello che si presenta alla<br />

ricerca della nostra origine è un paesaggio<br />

di rovine, senza la possibilità di ripercorrere<br />

gli stadi naturali della nostra evoluzione,<br />

che ci appaiono come positività frantumate.<br />

La verità, che appartiene al discorso,<br />

non può dunque riguardare un singolo oggetto<br />

nella sua staticità, nella quale esso<br />

non può che rappresentare un frammento.<br />

La verità pertiene solo alla ricerca genealogica,<br />

che ricostruisce il discorso nella sua<br />

effettualità, nel suo essere dotato di un’efficacia,<br />

e perciò di un potere.<br />

Proprio la questione della verità è stata al<br />

centro della rilettura del pensiero di Martin<br />

Heidegger, proposta da Carlo Sini, che<br />

ha preso le mosse dal confronto del filosofo<br />

tedesco con Aristotele e Husserl nel corso<br />

di lezioni marburghese pubblicato con il<br />

titolo: Logica. La questione della verità.<br />

Quella della verità si manifesta come questione<br />

del logos fin da Aristotele; il discorso<br />

è “apofantico”, cioè “fa vedere” (idein)


e si manifesta come “gesto del corpo”, che<br />

si articola nella voce. Nella sua dimensione<br />

“originaria”, quella che “conserva la cosa”,<br />

il logos si determina secondo tre momenti:<br />

come indicazione, come predicazione e<br />

come comunicazione, dove il significato<br />

che fonda gli altri è il primo. Il logos si<br />

determina dunque, in una prospettiva fondativa,<br />

come relazione segnica; la proposizione<br />

espressa, di cui si occupa la tradizione<br />

logica, e la dimensione del suo uso a fini<br />

comunicativi, costituiscono due fenomeni<br />

di ricaduta, due manifestazioni derivative.<br />

Come sostiene Heidegger, che assume qui<br />

uno dei caposaldi della fenomenologia, il<br />

logos, come relazione segnica che costituisce<br />

“il mondo”, si colloca nella verità,<br />

poiché è quest’ultima a rendere possibile la<br />

proposizione, e non viceversa. D’altra parte,<br />

ha osservato Sini, in questo modo anche<br />

Heidegger, come la tradizione filosofica<br />

alle sue spalle, muoverebbe dalla Auslegung,<br />

cioè dalla proposizione espressa, dalla<br />

lingua. Egli dà così a quest’ultima un ingiustificato<br />

primato, basato sul presupposto<br />

che l’”indicazione”, cioè la relazione segnica,<br />

debba necessariamente articolarsi<br />

come espressione. Con ciò Heidegger ricadrebbe,<br />

secondo Sini, nell’antropologismo,<br />

senza uscire dal “cerchio magico” del logos,<br />

quello determinato dalla “volontà di<br />

verità” del logos stesso, confondendo la<br />

verità con la sua espressione: la lingua, che,<br />

come ogni pratica, ha la sua verità, ma<br />

come “cosa” non può esaurire la verità,<br />

perché essa medesima costituisce il caso<br />

particolare di un altro sistema di segni.<br />

Occorre dunque un’analisi delle pratiche,<br />

degli “usi”.<br />

Richiamandosi a Maurice Merleau-Ponty,<br />

Sini ha ribadito che la pratica rappresenta<br />

l’”originario”, il “precategoriale”. Per<br />

questo l’essere dell’uomo non è mai nel<br />

presente, ma sempre un po’ avanti, nel<br />

progetto, o un po’ indietro, nell’origine:<br />

l’essere dell’uomo è nel rimando; esso si<br />

determina a partire dalla relazione segnica.<br />

Quest’ultima dà quindi la struttura dell’essere,<br />

nonché l’articolarsi della temporalità,<br />

la cui questione, ha ribadito Sini, va dunque<br />

posta a partire dall’essere delle pratiche,<br />

e non viceversa. La “danza delle pratiche”<br />

non è temporale, è semmai ritmo;<br />

poiché nessuna pratica può parlare di sé<br />

stessa, l’analisi delle pratiche va compiuta<br />

nel loro gioco, che si qualifica come “etico”,<br />

intendendo con ciò il collocarsi e l’essere<br />

definito del soggetto da quelle pratiche,<br />

alle quali esso è, letteralmente, “soggetto”.<br />

Origine delle pratiche è l’assemblaggio<br />

delle stesse; a differenza di Husserl,<br />

ha sostenuto Sini, è proprio la questione<br />

di questa origine, quella del “da dove” si<br />

parla, del “da dove” si pongono le domande,<br />

che Heidegger non è riuscito a porre.<br />

Nel suo intervento dedicato a Ludwig<br />

Wittgenstein, Silvana Borutti ha proposto<br />

un percorso di lettura dei testi del filosofo<br />

guidato dal concetto di forma, prendendo<br />

le distanze dall’interpretazione cor-<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

rente che contrappone rigidamente un primo<br />

Wittgenstein - quello del Tractatus - da<br />

un secondo - quello delle Ricerche filosofiche.<br />

L’origine di queste divergenze interpretative<br />

è individuabile nella concezione<br />

del linguaggio, che Wittgenstein fa emergere<br />

nel Tractatus. Secondo Borutti, questa<br />

concezione non è riconducibile a quella<br />

neopositivistica, che vede il linguaggio<br />

come rappresentazione (Vorstellung), trascrizione<br />

raffigurativa di oggetti dati secondo<br />

un modello logico, rigorosamente<br />

formalizzato. Wittgenstein, al contrario,<br />

inaugura una riflessione sulle condizioni di<br />

possibilità del linguaggio, ne evidenzia il<br />

carattere trascendentale. Funzione del linguaggio<br />

diventa non la rappresentazione<br />

mimetica, bensì la presentazione (Darstellung),<br />

l’esibizione ostensiva della forma,<br />

cioè della struttura della realtà: il linguaggio<br />

è forma in quanto strumento di una<br />

possibile configurazione dell’oggetto. La<br />

pregnanza del termine Bild, usato comunemente<br />

da Wittgenstein per alludere a ciò<br />

che produce il linguaggio e che è generalmente<br />

tradotto con immagine, la si coglie<br />

in pieno se intendiamo questo termine come<br />

quadro, ovvero come insieme compositivo<br />

di una forma realizzata. In quanto produttore<br />

del nesso strutturale di un insieme,<br />

l’unità linguistica significante non è il nome,<br />

ma la proposizione. L’orizzonte del linguaggio<br />

esibisce una forma e nel contempo<br />

ne costituisce il limite, così come per il<br />

paesaggio naturale l’orizzonte determina<br />

la forma e insieme il contorno invalicabile<br />

di un colpo d’occhio umano.<br />

L’idea del linguaggio espressa nel Tractatus<br />

non si fonda su una semantica di tipo<br />

referenziale, ma sull’autonomia significante<br />

del linguaggio. Questa idea ritorna nella<br />

Ricerche filosofiche, ma si configura in<br />

modo differente. Wittgenstein rinuncia qui<br />

ad una immagine monocorde del linguaggio<br />

come forma unica ed inaugura l’idea di<br />

un sistema differenziale di forme. In questa<br />

visione pluralistica del linguaggio consiste,<br />

secondo Borutti, la cosiddetta “svolta”<br />

rispetto al Tractatus, e non semplicemente<br />

in una presa d’atto della complessità delle<br />

funzioni pratiche del linguaggio - asserzioni,<br />

preghiere, comandi ecc.-, come è stato<br />

sostenuto e sviluppato dalla filosofia analitica.<br />

Non si tratta, dunque, di fare un semplice<br />

catalogo degli usi e dei contesti linguistici,<br />

ma di esplorare le possibilità ostensive<br />

e costruttive del linguaggio. E’ questa<br />

la segreta efficacia di ciò che Wittgenstein<br />

definisce il gioco linguistico: nella fitta e<br />

complessa trama di una famiglia di somiglianze<br />

e di differenze di cui è intessuto,<br />

esso permette di evidenziare una forma<br />

all’interno di esempi di applicazione. Parlando,<br />

affermiamo la nostra appartenenza<br />

ad un gioco linguistico che, tuttavia, pratichiamo<br />

come sfondo costitutivo senza poterlo<br />

rappresentare tematicamente. Non si<br />

tratta della negazione del fondamento, ma<br />

della sua indicibilità, o, per dirla altrimenti,<br />

della sua ineffabilità. Se l’apertura del lin-<br />

50<br />

guaggio è condizione etico-estetico del dire<br />

umano, l’esperienza del linguaggio si connota<br />

di una imprevista coloritura poetica,<br />

estranea ad ogni tentazione di reificazione<br />

del mondo attraverso una sua fondazione<br />

filosofica.<br />

Se il decostruzionismo di Jacques Derrida<br />

consiste nell’investigare con radicalità<br />

le tracce di un pensiero, nel suo intervento<br />

Maurizio Ferraris ha adottato questo atteggiamento<br />

nei confronti di Derrida stesso,<br />

alla ricerca delle radici teoretiche del<br />

suo itinerario filosofico. Egli ha individuato<br />

nella fenomenologia di Edmund Husserl<br />

una matrice fondamentale nella genesi e<br />

nello svolgimento del pensiero di Derrida,<br />

analizzando alcuni scritti che testimoniano<br />

questa processualità riflessiva. Il primo di<br />

questi scritti è la sua tesi complementare di<br />

laurea del 1954, Il problema della genesi<br />

nella fenomenologia di Husserl, in cui si<br />

evidenzia la stretta connessione tra l’immediatezza<br />

intenzionale e la mediazione<br />

formale in Husserl, per cui il telos verso le<br />

cose stesse non è istantaneo, ma è il frutto<br />

di un lungo processo di mediazioni (epoché,<br />

riduzione dell’atteggiamento naturale,<br />

costituzione dell’oggetto). Ecco venire<br />

alla luce una significativa radice teorica del<br />

pensiero di Derrida: il tema della traccia e<br />

della ripetizione, in quanto frutto di una<br />

implicazione reciproca tra l’assoluta immediatezza<br />

e la totale mediazione.<br />

Seconda tappa di questo itinerario di pensiero<br />

è uno scritto del 1962, una lunga<br />

“Introduzione” all’Origine della geometria<br />

di Husserl, nel quale Derrida affronta il<br />

tema della scrittura, che si configura come<br />

“il luogo delle obiettività ideali assolutamente<br />

permanenti”. Tre sono momenti che<br />

conducono a questa definizione: in primo<br />

luogo la verità si presenta come intermittente<br />

nella nostra coscienza, per cui deve<br />

fissarsi con la permanenza della memoria;<br />

in secondo luogo la verità deve superare i<br />

confini dell’individuo, quindi deve essere<br />

comunicata nella forma del dialogo; in<br />

terzo luogo la possibilità della verità universale<br />

ed eterna è legata alla possibilità di<br />

ripetizione infinita attraverso un’idealizzazione,<br />

che è l’essenza della scrittura. La<br />

scrittura può quindi preservare la verità in<br />

assenza del soggetto, e questa notazione ha<br />

uno sfondo insieme gnoseologico ed esistenziale,<br />

perché lega la costituzione dell’idealità<br />

alla presenza della morte nel destino<br />

del soggetto. Tuttavia Derrida sviluppa<br />

in seguito una critica serrata della scrittura<br />

e del logocentrismo, facendo riferimento<br />

al Fedro di Platone, laddove Socrate<br />

denuncia l’esteriorità della scrittura e sostiene<br />

che il vero discorso non è quello<br />

delle parole scritte, ma quello interiorizzato<br />

nell’animo di colui che sa.<br />

Prendendo spunto da quest’ultimo passaggio,<br />

Ferraris ha indicato un testo del 1967,<br />

La voce e il fenomeno, in cui ritorna il<br />

confronto con Husserl (in riferimento alla<br />

Prima ricerca logica), che opera una distinzione<br />

tra segno ed espressione. Il segno


ha una funzione indicativa; è il derivato<br />

della realtà non-presente, e questo comporta<br />

un’aporia irriducibile della scrittura. La<br />

scrittura in quanto rappresentazione ed esteriorità<br />

è finzione di una realtà non-presente.<br />

L’effetto teorico è che verità e finzione<br />

si avviluppano inestricabilmente tra loro, e<br />

questo conferma come l’esito ricorrente<br />

del pensiero di Derrida sia la scoperta di<br />

una serie di figure aporetiche nella filosofia<br />

contemporanea.<br />

In un ciclo dedicato ai filosofi contemporanei,<br />

l’unica apparente eccezione è stata la<br />

relazione di Mario Vegetti, che invece di<br />

prendere in esame un autore contemporaneo<br />

ha voluto saggiare la possibile contemporaneità<br />

del pensiero di Platone. Vegetti<br />

ha imperniato il suo intervento sul carattere<br />

originale e aperto dello stile filosofico di<br />

Platone, più portato ad aprire dei vuoti, cioè<br />

degli spazi riflessivi di interrogazione e di<br />

dialogo, che non a produrre un sistema<br />

compatto di enunciati e quindi una visione<br />

piena del mondo. Nel Libro VI della Repubblica<br />

Platone afferma che il lavoro filosofico<br />

è potenza della dialettica, cioè capacità<br />

critica e confutatoria nei confronti dei<br />

sistemi di credenza, installati nei luoghi del<br />

mondo, e dei suoi latori di verità (i sacerdoti,<br />

i generali, i politici ecc.) al fine di far<br />

emergere un punto di vista di verità come<br />

una sorta di fuoco di convergenza. Questo<br />

punto di vista, però, non si configura come<br />

un insieme di enunciati, ma - rileva Alain<br />

Badiou - come categoria operazionale.<br />

L’interrogazione critica non si propone di<br />

giungere ad una saturazione del vuoto, ma<br />

di indicare un punto prospettico ideale, per<br />

cui la potenza della filosofia non si costituisce<br />

come verità aggiuntiva accanto alle<br />

altre, ma come dialogo, in quanto processualità<br />

circolare di ascolto e di domanda,<br />

nel quale il riferimento sia quel punto di<br />

vista negletto nei regimi plurali di verità<br />

insediati nel mondo e divenuti consuetudinari.<br />

Secondo Vegetti questa immagine<br />

dialogica e aperta della verità platonica è<br />

molto più rilevante di quella affermativa e<br />

definitoria che una certa storiografia - si<br />

pensi alla scuola di Tubinga - si è sforzata<br />

di individuare e che ha ricondotto ai principi<br />

dell’Uno e della Diade.<br />

Ora, si chiede Vegetti, come si riflette<br />

questa dialogicità di Platone su temi quali<br />

l’idea del Bene e la questione della politica<br />

e dell’utopia? Il Bene è per Platone il fuoco<br />

virtuale dei valori e della verità, il punto di<br />

riferimento delle cose buone e desiderabili,<br />

ma non può essere dominio di enunciati<br />

teorici. Esso non si pone sul piano delle<br />

altre idee, ma si costituisce come un apriori<br />

generatore di esse, quindi trascendente<br />

anche il piano degli enti. In quanto<br />

tale, il Bene non è descrivibile come oggetto<br />

epistemologico. Ne segue un ineluttabile<br />

paradosso: il Bene è un potente principio<br />

generatore di verità, senza poter essere<br />

controllato da un dispositivo conoscitivo di<br />

verità, ma solo verificato nei suoi effetti.<br />

Con il discorso sul Bene s’intrecciano im-<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

mediatamente i temi della politica e della<br />

utopia. Infatti: la conoscenza del Bene dà<br />

senso al potere e lo legittima, ma, non<br />

essendo un ente e non potendo essere definito<br />

concettualmente, rimane esperienza di<br />

una parte assai ristretta della comunità e<br />

non è democraticamente controllabile e<br />

verificabile. Platone, ha osservato Vegetti,<br />

trae da questo conseguenze provocatorie<br />

per la nostra cultura liberal-democratica -<br />

ciò che Gadamer ha definito “una sfida<br />

provocatoria”. Innanzitutto nel campo della<br />

gestione del potere: se gli uomini sono<br />

negati al Bene, essi devono diventare sudditi<br />

della piccola minoranza che, detenendo<br />

il Bene, ha il dovere di imporlo con il<br />

dominio, per realizzare un’uguaglianza in<br />

prospettiva. In secondo luogo, nel campo<br />

dell’utopia: se la negazione della comunità<br />

politica dipende dalla famiglia - il luogo<br />

della privatizzazione degli affetti - e dalla<br />

proprietà individuale - la base strutturale<br />

della privatizzazione -, la polis deve eliminare<br />

famiglia e proprietà per una totale<br />

socializzazione degli affetti e dei beni. Lo<br />

stile filosofico dialettico ci restituisce dunque<br />

un Platone scandaloso nei confronti<br />

della democrazia e della libertà: anche in<br />

questo si misura la sua contemporaneità.<br />

F.C./F.S.<br />

L’epoca classica<br />

della scienza greca<br />

In una serie di lezioni dal titolo: FILOSO-<br />

FIA E SCIENZA GRECA NELL’EPOCA CLASSICA,<br />

tenute dal 12 al 16 ottobre 1992 all’Istituto<br />

Italiano per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong>,<br />

Arpád Szabó ha inteso dimostrare con<br />

rigore filologico come la vicinanza strumentale<br />

e metodica di geometria ed<br />

astronomia, trascurata dalla scienza<br />

moderna, sia stata oltremodo feconda<br />

nella storia della scienza greca.<br />

Secondo Arpád Szabó, il primo importante<br />

contributo alla preistoria della scienza<br />

viene da Eleati e Pitagorici. Quando si<br />

consideri che in un noto frammento Parmenide<br />

contrappone alla fallace percezione la<br />

ricerca razionale, all’abitudine di avvalersi<br />

dei sensi, frutto dell’esperienza, la via della<br />

verità, sembrerebbe intuitivamente difficile<br />

avvicinare tale antiempirismo alla pratica<br />

osservativa, mentre possiamo trovare<br />

tale legame nel pitagorismo, alle cui dottrine<br />

spesso la tradizione filosofica non ha<br />

riconosciuto spessore teorico. I pitagorici<br />

sono stati i primi pensatori ad aver tentato<br />

di dare consapevolmente alla conoscenza<br />

della natura una base quantitativa, matematica,<br />

operando il passaggio da una geometria<br />

ancorata alla materia ad una geometria<br />

i cui oggetti sono enti geometrici idealizzati.<br />

Nell’ambito di questa geometria<br />

organizzata matematicamente i pitagorici<br />

giungono alla dimostrazione dell’incom-<br />

51<br />

mensurabilità del lato e della diagonale del<br />

quadrato, attraverso l’enumerazione degli<br />

infiniti casi nei quali ciò si verifica, ma il<br />

metodo eleatico, confutando, secondo l’insegnamento<br />

di Zenone, le conclusioni e<br />

non le premesse delle argometazioni antitetiche,<br />

con la loro riduzione all’assurdo.<br />

Dopo aver rilevato come Eleati e Pitagorici,<br />

per i comuni procedimenti logico-dimostrativi,<br />

siano tra loro più vicini di quanto la<br />

tradizione storiografica non dica, Szabó ha<br />

sottolineato ripetutamente lo stretto rapporto<br />

tra astronomia e geometria nella scienza<br />

greca. Anassimandro introduce per primo<br />

in Grecia lo gnomone, già babilonese,<br />

determinando solstizi ed equinozi e costruendo<br />

sulle misurazioni effettuate con<br />

tale strumento un vero modello astronomico,<br />

in cui sono già contenuti gli elementibase<br />

del futuro geocentrismo tolemaico. A<br />

questo proposito, ha osservato Szabó, mentre<br />

l’astronomia orientale si fonda sull’aritmetica,<br />

ovvero sulla visione della volte<br />

celeste come insieme di punti, non è possibile,<br />

secondo i Greci, un’astronomia senza<br />

geometria. In età ellenistica, un doppio filo<br />

lega l’astronomia alla geometria negli Elementi<br />

di Euclide: proprio la terminologia<br />

puramente geometrica di Euclide doveva<br />

risultare estremamente funzionale all’astronomia;<br />

come la geometria euclidea non<br />

usa, a proposito dei gradi dell’angolo,<br />

espressioni numeriche ma geometriche, così<br />

nella letteratura astronomica i gradi sono<br />

“misurati” come parti della circonferenza.<br />

Anzi, il neoplatonico Proclo (V secolo d.C.,<br />

autore, fra l’altro, di uno scritto Sul Libro I<br />

degli Elementi di Euclide) è così convinto<br />

dell’evidenza di tutto questo, che suggerisce<br />

di leggere la geometria euclidea come<br />

una propedeutica all’astronomia.<br />

La fondazione di una geografia matematica<br />

viene attribuita generalmente ad Eratostene<br />

di Cirene (III secolo a.C.); secondo<br />

Szabó, è invece Ipparco di Nicea (II secolo<br />

a.C.) ad avere questo merito. Coniugando<br />

molto più strettamente astronomia e geometria<br />

di quanto non avesse fatto Eratostene,<br />

Ipparco non solo conobbe i diversi<br />

rapporti dell’ombra meridiana a mezzogiorno<br />

in località diverse della terra, ma li<br />

usò per determinare la latitudine geografica<br />

della regione considerata, vale a dire la<br />

distanza di quella regione dalla linea equatoriale.<br />

La stessa grande sintesi di Claudio<br />

Tolomeo (II secolo d.C.), deve la sua coerenza<br />

al lungo lavoro di Ipparco, il primo a<br />

scrivere un trattato sulle corde comprese in<br />

un cerchio, e quindi a fondare la trigonometria,<br />

indispensabile per l’astronomia e la<br />

geografia matematica. A.I.


La persona e le sue immagini<br />

Il tema della persona è stato al centro<br />

dell’annuale convegno, dal titolo: LA<br />

PERSONA E LE SUE IMMAGINI, organizzato<br />

dalla Cattedra di Filosofia Morale in<br />

collaborazione con il Dipartimento di<br />

Ricerche Filosofiche dell’Università di<br />

Roma “Tor Vergata”, svoltosi nei giorni<br />

22, 23 e 24 ottobre 1992.<br />

Il quadro speculativo entro il quale oggi si<br />

colloca il concetto di persona è divenuto<br />

quanto mai complesso e problematico, sollecitando<br />

una rinnovata consapevolezza<br />

critica e la possibilità di verificarne oggi i<br />

possibili fondamenti, ridefinendone lo statuto<br />

ontologico. Ciò soprattutto in seguito,<br />

da un lato, al tramonto delle ideologie, che<br />

sembra conferire nuova attualità alla nozione<br />

di persona, e dall’altro al declino dei<br />

sistemi metafisici tradizionali, da cui risulta<br />

al contrario una critica radicale non solo<br />

alla nozione di soggetto, di soggettività, ma<br />

anche alla stessa nozione di persona.<br />

Tenendo conto della mutata condizione<br />

speculativa, dei nuovi linguaggi e delle<br />

nuove prospettive di senso che muovono la<br />

riflessione filosofica contemporanea, il convegno<br />

si è articolato in maniera tale da<br />

affrontare direttamente, attraverso le relazioni<br />

principali, i problemi connessi allo<br />

statuto ontologico della persona. Giovanni<br />

Santinello ha evidenziato soprattutto a livello<br />

gnoseologico il nucleo speculativo<br />

essenziale della persona, dando ampio spazio<br />

alla sua rilevanza sul piano etico-giuridico.<br />

Le ambiguità insite nel concetto di<br />

persona, dal punto di vista ontologico, sono<br />

state invece dibattute dalla relazione di<br />

Franco Chiereghin, che senza trascurare<br />

le difficoltà del tema ha tuttavia insistito<br />

sulla connessione del concetto di persona<br />

con il motivo della libertà.<br />

La critica radicale nei confronti della nozione<br />

di persona sollevata dalle forme della<br />

decostruzione in atto nel panorama filosofico<br />

contemporaneo è stata al centro<br />

della relazione di Antonio Pieretti, che ha<br />

però cercato di superare tale critica, trattando<br />

della persona in riferimento al modello<br />

rappresentato dal rapporto presenzaulteriorità.<br />

Livio Sichirollo ha contribuito ad ampliare<br />

il discorso sulla persona, soffermandosi<br />

soprattutto su alcune delle sue figure principali,<br />

come l’io, la personalità, l’azione;<br />

figure che nella consistenza del volto, dell’icona<br />

e del simulacro avrebbero dovuto<br />

inoltre essere approfondite da Carlo Sini,<br />

improvvisamente assente. Giuseppe<br />

Riconda ha poi riflettuto su un’ontologia<br />

della persona che nel rapporto esistenzatrascendenza<br />

trova il suo momento principale.<br />

La relazione di Armando Rigobello<br />

ha invece evidenziato la relazione reciproca<br />

della questione della fondazione dell’altro<br />

con il programma etico-politico del<br />

personalismo, non trascurando affatto le<br />

difficoltà che incontrerebbe oggi il proget-<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

to personalistico-comunitario di Emanuel<br />

Mounier.<br />

La problematica complessità della persona,<br />

tanto nel suo aspetto teoretico che storico<br />

e storiografico, è infine stata discussa<br />

nell’ambito di una tavola rotonda che si è<br />

arricchita degli interventi di Xavier Tillette,<br />

Pietro De Vitiis, Mario Signore, Luigi<br />

Alici, che hanno poi aperto un ampio dibattito<br />

col pubblico intervenuto. Il convegno è<br />

stato pure occasione per un bilancio storiografico<br />

sul fenomeno del “personalismo”,<br />

così come si è sviluppato tra gli anni Trenta<br />

e Cinquanta.<br />

Nel suo complesso il convegno ha mostrato<br />

come, filosoficamente orientata, l’analisi<br />

dell’esperienza interiore della persona possa<br />

essere posta in primo piano e divenire il<br />

centro fondante di un’ulteriore prospettiva<br />

teoretica, o sfumare in una visione estesa al<br />

contesto cosmologico e metafisico. Il discorso<br />

sulla persona rimane comunque aperto<br />

e suscettibile di un ulteriore approfondimento,<br />

che potrebbe venire anche dalla<br />

riflessione sul tema ad esso opposto e complementare<br />

dell’ ”impersonale”, su cui dovrebbe<br />

riflettere il convegno programmato<br />

per il prossimo anno. G.Pa.<br />

Scienza e metafisica moderna<br />

La rivoluzione scientifica compiuta<br />

dalla metafisica moderna, con l’affermazione<br />

che l’uomo è colui che progetta<br />

e comprende il mondo intero, è<br />

stato il tema del ciclo di lezioni dal<br />

titolo: METAPHYSICAL FOUNDATIONS OF THE<br />

17TH CENTURY SCIENCE, tenute da Dmitry<br />

Nikulin dal 28 settembre al 1 ottobre<br />

1992, presso l’Istituto Italiano per<br />

gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> di Napoli. L’indagine<br />

di Nikulin ha inteso mettere in risalto<br />

l’evoluzione che hanno subito i principali<br />

concetti scientifici dall’antichità<br />

all’età moderna, con il relativo passaggio<br />

da una visione qualitativa ad<br />

una quantitativa del mondo fisico.<br />

Nella modernità il principio della costruzione<br />

attiva della verità implica che l’ascolto<br />

della natura, la sua contemplazione, si trasformi<br />

in una vera e propria manipolazione,<br />

dal momento che la natura non è più<br />

concepita come la seconda rivelazione di<br />

Dio, ma semplicemente come res extensa<br />

inanimata, destituita da qualunque dignità<br />

interiore e soggetta a trasformazioni secondo<br />

il modello della soggettività umana.<br />

Secondo Dmitry Nikulin le conseguenze<br />

immediate di tale concezione sono l’eliminazione<br />

della distinzione classica tra naturale<br />

e artificiale e l’identificazione della<br />

meccanica con la fisica, con la rivalutazione<br />

di alcuni concetti della scienza, come<br />

quelli di materia e infinito.<br />

Distinguendo due differenti sostanze, quella<br />

pensante e quella estesa, Cartesio riduce<br />

52<br />

la materia a spazio e considera sostanza lo<br />

spazio e l’estensione. Con questo, osserva<br />

Nikulin, la materia non viene più considerata<br />

come pura alterità o come nulla, bensì<br />

come energia, come soggetto dotato di<br />

attributi quali estensione, durezza, mobilità,<br />

impenetrabilità. Ritenendo poi che vi<br />

sia un’unica materia per tutte le cose e le<br />

entità, Cartesio identifica la materia fisica<br />

con quella geometrica. Ciò significa che la<br />

fisica è fondamentalmente equiparata alla<br />

matematica, come anche alla meccanica,<br />

che diventa la prima tra le scienze, una<br />

scienza rigorosa che studia il mondo come<br />

se fosse una macchina. Tutto l’universo è,<br />

così, matematico e i corpi geometrici sono<br />

costruiti e concepiti nella loro materialità,<br />

cioè spazialità ed estensione in un singolo<br />

spazio.<br />

Con Cartesio, ha inoltre rilevato Nikulin,<br />

anche il problema dell’infinito cambia il<br />

suo ruolo e diventa un segno di perfezione.<br />

L’infinito è la prima cosa conosciuta che<br />

non trae origine da una semplice negazione<br />

del limite, ma significa una conoscenza<br />

reale e positiva. Esso è posto come concetto<br />

precedente, dal quale il finito risulta per<br />

restrizione. Una tale concezione di infinito<br />

genera ora una nuova immagine e nozione<br />

di movimento. Mentre nell’antichità il<br />

movimento circolare era considerato perfetto<br />

e uniforme, con la nuova concezione<br />

dell’infinito il movimento perfetto e uniforme<br />

è quello rettilineo. La linea retta<br />

infinita diviene dunque espressione del<br />

perfetto attributo del mondo, mentre il<br />

cerchio è solo indice di errore, un’immagine<br />

falsa dell’illimitato e smisurato infinito.<br />

Anche il concetto di tempo subisce delle<br />

notevoli modificazioni. Nell’antichità il<br />

concetto di tempo ha la sua prima formulazione<br />

nel Timeo di Platone, che lo considera<br />

“un’immagine dell’eternità” secondo<br />

il numero. Il tempo è considerato creato,<br />

esistente solo in quanto l’eternità esiste, e<br />

comprendente in sé non solo l’identità, ma<br />

anche l’alterità. L’eternità caratterizza il<br />

mondo ideale divino: il sempiterno è peculiare<br />

delle entità create, ma immortali; il<br />

tempo invece appartiene alle cose mortali,<br />

che hanno una “durata”, e sono destinate a<br />

morire. In questa concezione della temporalità<br />

si dispiega con chiarezza l’intuizione<br />

greca della superiorità dell’essere sul<br />

divenire, del limite sull’illimitato, della<br />

perdurante stabilità del fluire che dissipa.<br />

La nuova metafisica europea, ha rilevato<br />

Nikulin, si propone di mettere in relazione<br />

tempo e movimento in una visione dove<br />

coincidono la quantificazione geometrica<br />

e l’onnipotenza divina. Il tempo non indica<br />

alcuna esistenza reale, ma piuttosto una<br />

capacità o una possibilità di esistenza costante<br />

o di essere: esso non misura la<br />

durata dell’esistenza divina, ma la rappresenta<br />

nella maniera più adeguata, per cui<br />

Dio non è concepito come essere eterno in<br />

nunc stans, bensì come essere immortale e<br />

duraturo, cioè come essere senza fine.


Poiché l’esistenza divina è immutabile, il<br />

tempo è del tutto uniforme, cioè è una<br />

quantità indipendente e assoluta, continua<br />

e costantemente fluente. Ma la durata del<br />

tempo esiste e può essere misurata soltanto<br />

dalle capacità sensoriali dell’uomo e da<br />

strumenti umani artificiali. Ciò significa,<br />

ha osservato Nikulin, che la verità o la<br />

rappresentazione della realtà suprema deve<br />

essere costruita e non semplicemente scoperta<br />

e contemplata. A ciò si deve la nascita<br />

di una scienza esatta che misura i suoi<br />

oggetti e che trova i suoi principi nel tempo<br />

e nello spazio, radicati nell’immutabilità e<br />

nella onnipotenza divina, e in questo modo<br />

garantisce l’esattezza e l’attendibilità della<br />

conoscenza umana.<br />

Un’altra grande rivoluzione compiuta dalla<br />

metafisica moderna è l’identificazione<br />

di numero e quantità. Nella filosofia classica<br />

ciò che è esprimibile con il numero<br />

sono le grandezze discontinue, mentre<br />

questo non è possibile per le grandezze<br />

continue. Ciò comportava la distinzione<br />

tra l’essere, esprimibile numericamente<br />

come discontinuo, e il non essere (materia)<br />

continuo, non esprimibile numericamente.<br />

Il pensiero moderno, introducendo l’identificazione<br />

di numero e materia, modifica<br />

radicalmente, secondo Nikulin, il metodo<br />

di conoscenza del mondo. Poiché l’unità<br />

non è più concepita come indivisibile, ma<br />

come un intervallo di lunghezza unitaria,<br />

diventa possibile tentare di costruire una<br />

quantità continua o un continuum dai numeri<br />

o dalle parti numeriche, come appunto<br />

fecero Newton e Leibniz col calcolo<br />

infinitesimale. Esaminando il problema del<br />

continuo, Newton giunge alla conclusione<br />

che il numero e la quantità continua hanno<br />

la stessa struttura. La questione della “materia<br />

prima”, egli la fa poi coincidere con<br />

gli atomi, che sono un continuum puramente<br />

spaziale, misurabile con il nuovo<br />

strumento del calcolo infinitesimale. Nella<br />

considerazione del continuum, Leibniz<br />

approda invece a una serie di ambiguità e di<br />

contraddizioni insolubili nel rapporto esistente<br />

tra le monadi e i corpi. Le monadi,<br />

infatti, pur essendo dei punti metafisici,<br />

privi di corporeità e perciò indivisibili,<br />

danno vita alla materia, alla corporeità, che<br />

è invece una grandezza continua. Per spiegare<br />

la materialità delle monadi Leibniz<br />

sostiene tuttavia che esse non debbono<br />

essere viste soltanto come attività, ma anche<br />

come passività, ed è proprio quest’ultima<br />

che costituisce la materialità della monade.<br />

I corpi sono “aggregazione di monadi”,<br />

ma non hanno una consistenza ontologica,<br />

solo valore ideale. La quantità continua,<br />

per Leibniz, è perciò ideale, perché<br />

comprende potenzialmente parti indefinite<br />

al di sopra e prima di qualsiasi divisione.<br />

Tuttavia, nel momento in cui ci si mette alla<br />

ricerca del reale o di parti realmente esistenti,<br />

anziché di parti indefinite, Leibniz<br />

sembra entrare in un labirinto di contraddizioni<br />

insolubili. Nel continuum il tutto esi-<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

René Descartes;<br />

nell’immagine inferiore, presunto ritratto di Euclide, da un codice<br />

53


ste prima delle parti, l’assoluto prima del<br />

limitato: ecco perché l’indefinito viene prima<br />

del definito. Nello stesso tempo però<br />

Leibniz afferma che nel continuum le parti<br />

esistono realmente e sono realmente infinite,<br />

dal momento che l’indefinito non esiste<br />

nelle cose ma nel pensiero. G.Pe.<br />

Attualità di Ugo Spirito<br />

Il Convegno che l’Istituto Italiano per<br />

gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> e la Fondazione Ugo<br />

Spirito hanno dedicato a L’ATTUALITÀ DI<br />

UGO SPIRITO A CINQUANT’ANNI DA ‘LA VITA<br />

COME ARTE’ (Napoli, 1-2 ottobre 1992),<br />

coerentemente con l’atteggiamento<br />

filosofico del pensatore, ha dato luogo<br />

a una stimolante interazione di elementi,<br />

fluttuanti tra estetica e politica,<br />

teoresi ed economia, come emerge<br />

dai densissimi carteggi e dalle attuali<br />

prospettive di ricerca.<br />

Un pensiero vivo, ricco di suggestioni e<br />

implicazioni che si diramano lungo direttive<br />

molteplici, al di là tanto di un dogmatismo<br />

assertorio, quanto di atteggiamenti<br />

nichilistici: è quanto ci rimane di Ugo Spirito<br />

oggi, a più di un decennio dalla sua<br />

scomparsa. A suggerirci queste considerazioni<br />

è Mario Agrimi che ha inquadrato gli<br />

interessi estetici di Spirito all’interno di un<br />

pensiero “nemico” delle distinzioni: in una<br />

spirale di assoluta teoreticità, l’aspirazione<br />

alla politica ed alla libertà trova il suo<br />

“medium” nella figura dell’artista. Preda<br />

continua di un “infinito-dubbio”, il pensiero<br />

di Spirito, ha ricordato Agrimi, non ha<br />

avuto la possibilità di «acquietarsi in una<br />

conclusione», quasi in forza di un’intrinseca<br />

necessità. Il ricorso al dubbio come<br />

metodo, ha proseguito Aldo Trione, porta<br />

Spirito dall’attualismo gentiliano al problematicismo,<br />

culminante nella dialettica<br />

del “Non-so”: un essere ignaro di tutto che<br />

permette, ad ogni acquisizione, di rilanciare<br />

la conoscenza come una sfida. Trione ha<br />

sottolineato anche l’emergere, dalla concezione<br />

della “vita come ricerca”, di un sottofondo<br />

politico che sconfina nel terreno<br />

dell’utopia.<br />

Armando Rigobello ha invece osservato<br />

come il trascendentale estetico di Spirito<br />

indichi le condizioni a-priori della dimensione<br />

artistica. Al di là del mero tecnicismo,<br />

la formalità è attività fantastica e<br />

creatrice, che permette alla theoresis di<br />

passare attraverso la sensualità e di trascenderla,<br />

diffondendo quella «feconda misteriosità<br />

dell’arte», di cui parlò Gentile.<br />

L’estetica spiritiana, come pure ha sottolineato<br />

Clementina Gily Reda, è essa stessa<br />

filosofia: essa tocca l’assoluto in maniera<br />

diretta e totale. In questo l’arte può riaprire<br />

la strada della contemplazione dell’oggetto<br />

e la strada del fare da quando, dopo<br />

l’annichilimento dei valori, l’esperienza<br />

della vita si è fatta ormai inattingibile. La<br />

Vita come Arte si mostra, in tal senso,<br />

opera avventurosa, perché “tenta” di spingersi<br />

oltre la coscienza di un non-raggiun-<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

gimento.<br />

Che la vera natura del pensiero estetico di<br />

Spirito sia nell’attenzione alla totalità è<br />

stato ribadito anche da Antimo Negri, che<br />

ha ricondotto le radici teoriche del pensatore<br />

a Kant. Tuttavia, limitare il compito<br />

dell’estetica al giudizio significa per Spirito<br />

asservirsi alla «logica del pensiero dividente»,<br />

dimenticando il valore assoluto<br />

dell’opera d’arte. Come ha rilevato Maria<br />

Lizzio, in Spirito arte è parola che sboccia<br />

da una coscienza che non ha coscienza di<br />

sé: quasi in uno stato onirico, l’arte non può<br />

svegliarsi alla filosofia. Arte e filosofia<br />

rimangono inconciliabili, e il mondo del<br />

sogno rimane il mondo della problematicità.<br />

A questo proposito, ha osservato Renato<br />

Testa, sulla scia del contributo di Vittorio<br />

Stella, che ha rimarcato la matrice<br />

romantica di questa impostazione, una<br />

strutturale contraddizione condanna qui<br />

la ricerca ad estraniarsi dalla vita, ad un<br />

destino in cui la metafisica è sempre più<br />

difficile da proporre.<br />

Spostando l’asse della discussione, G. Parlato<br />

ha illustrato le tre direttive lungo le<br />

quali, dal 1981, la “Fondazione Ugo Spirito”<br />

provvede alla conservazione dei documenti,<br />

alla ricerca scientifica e alla complicazione<br />

problematica del pensiero del filosofo.<br />

Preziosa testimonianza politica e filosofica,<br />

i carteggi che Spirito intrattenne,<br />

tra gli altri, con Abbagnano, Banfi, Croce,<br />

Battaglia, Carabellese, Pareyson, Del Noce,<br />

Bottai e Valitutti, ci permettono di leggere<br />

meglio il dibattito che portò alla definizione<br />

di temi concernenti neo-idealismo, antiidealismo<br />

e corporativismo, nel periodo a<br />

cavallo tra il fascismo e la Resistenza.<br />

Massimo Finoia è intervenuto invece sulla<br />

teoria economica di Ugo Spirito, sottolineandone<br />

l’approccio anti-marginalista e keynesiano.<br />

Se l’economia è scienza sociale,<br />

l’attenzione di Spirito si focalizza sulla<br />

centralità strutturale che lo stato assume,<br />

all’interno degli equilibri politicofinanziari.<br />

Introdotto da Fulvio Tessitore, che ha<br />

sottolineato la cifra politica del pensiero<br />

di Ugo Spirito, Vittorio Mathieu ha<br />

affrontato il tema dello Stato etico. Questa<br />

“figura dell’assoluto”, spesso dolorosamente<br />

confusa con lo Stato nazionale,<br />

è un altro momento dell’utopia filosofica<br />

spiritiana. Lo Stato di Ugo Spirito<br />

si richiama al modello dell’Urbs che,<br />

uscendo dall’eterogeneità di costumi<br />

delle poleis greche, continuava ad essere<br />

una città, anche quando estendeva i suoi<br />

confini. In virtù dell’universalità di un<br />

ordinamento giuridico, l’Impero romano<br />

poteva dirsi Stato etico, in cui la<br />

diversità era rispettata e, al contempo,<br />

assimilata. E’ questo, per Mathieu, l’ideale<br />

“metafisico” della politica di Spirito:<br />

il tentativo di conciliare l’individualità<br />

con il tutto coinvolge ogni aspetto del<br />

reale, al di là di ogni accusa di intellettualismo.<br />

Così, la rivoluzione, controcanto dello<br />

54<br />

sfondo politico e utopico della Vita come<br />

Arte, si configura non come funzione<br />

dell’agire dei singoli, bensì come momento,<br />

o meglio, luogo metafisico, in<br />

cui il tutto rovescia se stesso. S.I./<br />

M.R.<br />

Collegio di sociologia<br />

Si è tenuto il 23 e 24 ottobre 1992 nella<br />

sede dell’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong><br />

<strong>Filosofici</strong> di Napoli un convegno sul<br />

tema: L’OCCIDENTE, IL POTERE, IL SACRO,<br />

coordinato da R. Esposito, U. Olivieri e<br />

C. Ossola. <strong>Studi</strong>osi di vari paesi hanno<br />

ripreso in esame l’avventura intellettuale<br />

del “Collège de sociologie” di<br />

Bataille nell’intento, oltre che di farne<br />

un bilancio, di riattivarne lo stile di<br />

lavoro.<br />

L’attività del “Collège de sociologie” -<br />

fondato a Parigi da Georges Bataille, Roger<br />

Caillois, Michel Leiris e Pierre Klossowski,<br />

i cui lavori tuttavia ebbero luogo<br />

soltanto dal 1937 al 1939, e ad essi presero<br />

parte intellettuali come Alexandre Kojève,<br />

Marcel Mauss, Walter Benjamin, Jean<br />

Wahl e Jacques Lacan - è ancora poco<br />

nota in Italia (anche se l’editore Bollati<br />

Boringhieri ne ha pubblicato i testi lo scorso<br />

anno, con il titolo: Il Collegio di sociologia),<br />

ma di estrema importanza per almeno<br />

due motivi: l’impresa di quel gruppo di<br />

intellettuali “irregolari” degli anni Trenta<br />

ha avviato una problematica, e uno stile di<br />

lavoro, che costituiscono un precedente<br />

essenziale per gran parte della successiva<br />

cultura francese, sempre in tensione tra<br />

filosofia e scienze umane. Senza un’adeguata<br />

conoscenza di quel precedente risulta<br />

difficile infatti comprendere appieno il<br />

programma di ricerca di un Levi-Strauss o<br />

di un Foucault, di un Benveniste o di un<br />

Lacan, e anche di Derrida. In secondo luogo<br />

la ricerca avviata dal Collège, debitrice<br />

da un lato del lavoro di Durkheim e Mauss<br />

e dell’insegnamento di KOJÈVE, e dall’altro<br />

legata all’esperienza del surrealismo, traeva<br />

il suo carattere radicalmente innovativo<br />

dall’essere imperniata su di una tematica<br />

del sacro non più circoscritta agli ambiti<br />

religiosi, o comunque trascendenti, ma volta<br />

a investire l’intero insieme delle concezioni<br />

sociopolitiche ed economiche; nella visione<br />

del Collège in altri termini una concezione<br />

del sacro stava a fondamento di ogni<br />

teoria sociale, che andava così considerata<br />

sempre una forma di superstizione volta a<br />

risolvere il problema del tragico, della costitutiva<br />

mancanza di senso dell’essere sociale,<br />

una visione resa oggi attuale dalla<br />

crisi di ogni idea di secolarizzazione.<br />

I lavori del convegno hanno naturalmente<br />

spostato i termini della questione, dalle<br />

problematiche degli anni Trenta a quelle<br />

odierne, incentrate comunque sul rapporto<br />

estetica-politica. Così Giacomo Marra-


mao, individuando nel rito il fattore genetico<br />

del mito, ha avanzato l’idea di una<br />

pratica rituale che sia desacralizzante e,<br />

ponendo a confronto la cultura greca e<br />

quella romana, ha individuato tale pratica<br />

nel diritto. Giorgio Agamben, a sua volta,<br />

ha rilevato la necessità di passare dall’idea<br />

di sovranità come fondamento comunitario,<br />

centrale in Bataille, a un’idea di comunità<br />

fondata su di una non-sovranità, avendo<br />

di mira, mediata dalla tematica del<br />

messianismo, una forma originaria della<br />

Legge come “vigenza senza significato”,<br />

luogo di pure lettere, anteriore a ogni articolazione<br />

e ordinamento, che ha poi la sua<br />

espressione concreta in quella singolarità<br />

come differenza indifferente, in cui consiste<br />

una comunità.<br />

Il rapporto Occidente-Oriente, trascurato<br />

dal Collège di Bataille, è stato esaminato<br />

da Roberto Esposito, che ha individuato<br />

nell’Oriente il rimosso, il senso di colpa<br />

dell’Occidente, l’espressione di una cultura<br />

senza diritto, di una non-civiltà; nella<br />

stessa direzione Giovanni Filoramo ha<br />

invece segnalato il ritorno di questo rimosso<br />

nelle diverse forme occidentali di estetizzazione<br />

del sacro. Jacqueline Risset ha<br />

ripreso l’eredità del Collège, proponendo<br />

il passaggio da un’ermeneutica del senso a<br />

un’ermeneutica del dono, con l’intento di<br />

giungere non a una sacralizzazione del<br />

potere, opposta e speculare ai poteri vigenti,<br />

come negli anni Trenta, ma a una desostanzializzazione<br />

del potere. Dal canto suo<br />

Remo Bodei ha tracciato un rapporto tra il<br />

pensiero di Bataille e quello di Giovanni<br />

Gentile, sulla base di una medesima consacrazione<br />

della comunità come luogo più<br />

proprio dell’individuo, fattore interiore e<br />

fondativo dell’io di ogni soggetto, fino a<br />

giungere ai paradossi di una tale sovranità<br />

etica della comunità sul singolo.<br />

Il convegno aveva tra l’altro uno scopo<br />

pratico: quello di costituire in Italia - sulla<br />

scorta di singolari esperienze storiche come<br />

il Collège de sociologie francese e l’Institut<br />

fur Sozialforschung di Francoforte - un<br />

Collegio Internazionale di Filosofia Sociale,<br />

per iniziativa di Esposito, Marramao,<br />

Risset e Carlo Ossola, in grado di<br />

affrontare la ricerca teorica al di fuori di<br />

steccati ideologici e gnoseologici che ne<br />

inaridiscono le capacità di analisi e comprensione.<br />

Punto di partenza è il tempo<br />

presente con i suoi grandi mutamenti e<br />

rivolgimenti sociali, a cui il pensiero risponde<br />

con impianti teorici vecchi e interpretazioni<br />

obsolete, o col minimalismo<br />

teorico della cultura anglosassone. Si tratta<br />

allora di riprendere uno stile di lavoro<br />

adeguato alle dimensioni del problema,<br />

ossia al di fuori dei saperi consolidati,<br />

come ebbero a fare in altre epoche di crisi<br />

gruppi di intellettuali, forse di poca carriera,<br />

ma certo di grandi idee. L’iniziativa<br />

muove da un esigenza reale e ha quindi una<br />

forte giustificazione storica. L’unica perplessità<br />

riguarda forse il fatto che mentre i<br />

gruppi, che nel recente passato diedero<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

vita a poderose esperienze di lavoro intellettuale<br />

“extraistituzionale”, erano per lo<br />

più composti da ricercatori non a caso<br />

estranei o comunque marginali rispetto al<br />

mondo accademico, l’iniziativa odierna è<br />

invece presa in maniera esclusiva da intellettuali<br />

appartenenti al mondo accademico.<br />

La perplessità riguarda insomma le<br />

reali motivazioni di un lavoro extra-istituzionale,<br />

che prende di mira gli stessi “totem<br />

e tabù” della cultura universitaria.<br />

Non si può negare d’altronde che questa<br />

sia l’eredità dei Bataille e dei Benjamin.<br />

F.E.<br />

Seminario filosofico<br />

permanente<br />

Con la sigla di “Seminario filosofico<br />

permanente” si è svolta alla Fondazione<br />

Corrente di Milano, a partire dal<br />

gennaio 1992, una prima serie di incontri<br />

dal titolo programmatico: OG-<br />

GETTI E FORME DEL PENSIERO, a cui hanno<br />

partecipato Lorenzo Magnani, Luisa<br />

Bonesio, Monica Luchi, Michele Prandi,<br />

Giovanni Scibilia, Silvana Borutti,<br />

Ugo Fabietti, oltre a Fulvio Papi, ideatore<br />

e promotore del ciclo.<br />

La Fondazione Corrente è nata quindici<br />

anni fa, per iniziativa di Ernesto Treccani,<br />

come centro di documentazione e studio<br />

della rivista “Corrente” (1938-40) e luogo<br />

di elaborazione culturale degli ambiti di cui<br />

la rivista si interessava: arte, letteratura,<br />

critica, estetica, filosofia. Fulvio Papi, che<br />

da anni collabora a “Corrente”, ha pensato<br />

di inaugurare, a partire da quest’anno, una<br />

formula che identificasse meglio le attività<br />

filosofiche già in atto da molto tempo alla<br />

Fondazione Corrente, e le riconducesse a<br />

un lavoro di progettazione unitario, pur<br />

mantenendosi duttile e aperta a situazioni<br />

anche molto differenziate. L’aggettivo “permanente”<br />

alludeva di fatto alla stabilità di<br />

una struttura che doveva però ricerca continuamente<br />

la propria forma, ridiscutendola<br />

e rinnovandola. La prima e la seconda<br />

annata della serie di iniziative, che potremmo<br />

definire sperimentali, hanno cercato (e<br />

cercheranno) di mettere a fuoco un’immagine<br />

di gruppo filosofico. Papi e collaboratori<br />

intendono andar oltre l’idea della scuola,<br />

che rimanda inevitabilmente a identità<br />

presupposte, all’unità del metodo e all’omogeneità<br />

degli oggetti; vorrebbero invece<br />

interrogarsi sul senso del riconoscersi come<br />

un’unità. Un seminario di filosofia, che<br />

abbia in vista l’unità che è data dall’occasione<br />

di un discorso filosofico possibile,<br />

non dovrebbe presupporre schemi unitari<br />

già dati - se non il luogo fisico in cui il<br />

seminario si svolge.<br />

Di fatto, questa è anche la storia dei partecipanti<br />

che hanno inaugurato il seminario:<br />

Lorenzo Magnani, Luisa Bonesio,<br />

Monica Luchi, Michele Prandi, Giovanni<br />

Scibilia, Silvana Borutti, Ugo Fabietti,<br />

oltre naturalmente a Fulvio Papi. Tutti<br />

vengono dall’Università di Pavia e hanno<br />

55<br />

fatto dell’insegnamento di Papi un riferimento<br />

fondamentale. Tutti però hanno lambito<br />

e si sono insediati in territori eterogenei,<br />

come le cosiddette scienze umane,<br />

dalla psicoanalisi (Luchi), all’antropologia<br />

(Fabietti), alla linguistica (Prandi). Chi è<br />

rimasto legato al discorso più classicamente<br />

filosofico si è ritagliato spazi di riconfigurazione<br />

della filosofia: l’epistemologia<br />

costruttiva e interpretativa, con riferimento<br />

alle scienze umane (Borutti), l’estetica del<br />

sublime (Bonesio), la filosofia della matematica<br />

(Magnani), la decostruzione (Scibilia).<br />

Il gruppo quindi non presuppone identità,<br />

ma delimita un tessuto discorsivo molto<br />

ampio.<br />

Al primo ciclo di incontri, aperti al pubblico<br />

e gratuiti, è stato dato un titolo generale:<br />

Oggetti e forme del pensiero, che segnala<br />

nella sua genericità un modo di intendere<br />

un gruppo di lavoro che non vuol partire da<br />

metodi e oggetti presupposti. Se il plurale<br />

rimanda alla varietà delle voci coinvolte, i<br />

termini di oggetto, forma e pensiero intendono<br />

programmaticamente richiamare un<br />

impianto classico della riflessione filosofica;<br />

non necessariamente per sottoscriverlo,<br />

piuttosto per ritornare a interrogarsi su temi<br />

di cui, forse troppo facilmente, si è decretato<br />

il tramonto o la fine. Da qui l’insistenza<br />

su un canone filosoficamente tradizionale,<br />

come si può rilevare sin dai titoli degli<br />

interventi: si parla di soggetto (“Il soggetto<br />

nel disagio della civiltà”), di metafore architettoniche<br />

della costruzione (“Decostruzione<br />

e costruzione”), di intenzionalità comunicativa<br />

(“Volontà di comprendere”),<br />

di rappresentazione (“Rappresentazione,<br />

forma, oggetto”), di tempo (“Antropologia<br />

del tempo e tempo dell’antropologia”) e<br />

soprattutto di filosofia (“Prove per una<br />

filosofia”), ovvero ciò che per tutti i partecipanti<br />

bisognerebbe riprendere a fare.<br />

Per quanto riguarda le attività di quest’anno<br />

(<strong>1993</strong>), possiamo anticipare che preludono<br />

ad una organizzazione del seminario<br />

completamente differente (da realizzare<br />

nella terza annualità). Si pensa naturalmente<br />

di allargare il giro delle voci, coinvolgendo<br />

studiosi che condividono la necessità<br />

di un confronto filosofico in un luogo in<br />

cui scorrono e si intersecano flussi discorsivi<br />

eterogenei, più che una sede celebrativa<br />

di una qualsiasi proprietà o serie di<br />

proprietà attraverso la loro ripetizione. Si è<br />

inoltre fissato un tema: Orizzonti di senso<br />

della memoria, su cui far convergere l’attenzione<br />

dei partecipanti. Nella primavera<br />

del ’93 si avranno i primi due incontri con<br />

Lorenzo Magnani e Fulvio Papi, che forniranno<br />

le coordinate teoriche, su cui saranno<br />

impostati gli interventi del prossimo anno.<br />

Si cercherà inoltre di sperimentare una


nuova formula di discussione di un testo<br />

filosofico: Silvana Borutti e Giovanni Scibilia<br />

discuteranno in tal senso del libro di<br />

Deleuze e Guattari, Qu’est-ce que la philosophie?<br />

Tutte le attività del seminario filosofico<br />

permanente sembrano complessivamente<br />

mostrare nella loro eterogeneità come la<br />

filosofia non provenga da ontologie date,<br />

da regioni di oggetti già ritagliati, ma cerchi<br />

di produrre discorsivamente e dialogicamente<br />

oggetti e forme di riflessione.<br />

G.S.<br />

Omaggio<br />

a Jean-Pierre Vernant<br />

Si è tenuto il 23 gennaio 93 un incontro<br />

alla Sorbona in omaggio alla figura e<br />

alle opere di Jean-Pierre Vernant, presente<br />

egli stesso. Organizzato da Vidal-Naquet<br />

(assente per malattia), si è<br />

trattato di un colloquio pubblico molto<br />

famigliare: antichi studenti, celebri<br />

studiosi oggi si sono ritrovati a “festeggiare”<br />

un autentico maestro. In<br />

questo senso la giornata è stata dedicata<br />

alla ricostruzione del cammino<br />

intellettuale e politico di JPV.<br />

Unanime è stato il riconoscimento da parte<br />

degli antichi allievi del valore di rottura delle<br />

opere di JP.Vernant a partire dalla pubblicazione<br />

di “Mito e pensiero” nel 65. Nicole<br />

Loraux col brio che la contraddistingue ha<br />

voluto ricordare il carattere polveroso e stantio<br />

degli studi classici alla sua epoca e il<br />

desiderio urgente per tutta una generazione<br />

di “ritornare ai Greci” con strumenti e attitudini<br />

nuovi. Contro all’ideologia dell’<br />

“uomo eterno” immutabile nei tempi, Vernant<br />

ha sottolineato la necessità di segnare<br />

la distanza e l’alterità radicale dei Greci<br />

rispetto a noi. Si trattava di comprendere non<br />

la società greca ma l’uomo greco o meglio<br />

gli uomini greci, all’interno della propria<br />

civiltà. Ancora di più, il desiderio antropologico<br />

dello studioso di cogliere qualcosa<br />

dell’altro, lo ha spinto a interrogare cosa<br />

fosse per i Greci stessi il loro Altro. Pierre<br />

Leveque ha voluto ricordare il particolare<br />

stile con cui JPV ha saputo tessere le implicazioni<br />

fra società, mito e pensiero operando<br />

su una scena concreta senza accontentarsi<br />

di astratti schemi “strutturalisti”. François<br />

Hartog ha riconosciuto i suoi debiti e ha<br />

sottolineare anche come fosse possibile oggi<br />

andare oltre lo stesso Vernant (in particolare<br />

per quanto riguarda i suoi studi sulla<br />

divinazione). Roberto di Donato ha invece<br />

messo a fuoco i rapporti fra Vernant e Dumezil.<br />

F.M.Z.<br />

Il filosofo e la schiavitù<br />

Organizzato dall’Istituto Italiano per<br />

gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong>, si è svolto a Na-<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

poli dal 21 al 25 settembre 1992 un<br />

seminario condotto da Domenico<br />

Losurdo sul tema: IL FILOSOFO E LA<br />

SCHIAVITÙ. LAVORO SALARIATO E LAVORO<br />

SERVILE NEL PENSIERO MODERNO. Filo<br />

conduttore delle lezioni è stato quello<br />

di mettere in evidenza come, contrariamente<br />

a quanto sostiene la storiografia<br />

ufficiale, il liberalismo non<br />

coincida con la storia della libertà, e<br />

le conquiste fatte in suo nome siano<br />

il frutto di gigantesche lotte sociali<br />

condotte dalle classi sociali più umili,<br />

e non il risultato della politica<br />

liberale.<br />

Se nell’elaborazione dei filosofi moderni e<br />

contemporanei il tema della schiavitù è<br />

stato oggetto di poca attenzione, se non<br />

addirittura di una rimozione dalla cultura<br />

ufficiale, ciò è dovuto, sostiene Domenico<br />

Losurdo, alla convinzione che l’avvento<br />

del Cristianesimo comportasse di per sé la<br />

fine della schiavitù, e che quest’ultima fosse<br />

d’altra parte in contraddizione con la<br />

tradizione liberale. La forte carica antischivistica<br />

del Cristianesimo primitivo è stata<br />

tuttavia smussata e neutralizzata, fin dall’inizio,<br />

da un’interpretazione meramente<br />

intimistica della libertà del cristiano, mentre<br />

il ricorso al tema del peccato originale<br />

giustificava in pieno l’istituto della schiavitù.<br />

Da questo punto di vista, la tradizione<br />

cristiana si associa a quella greco-classica,<br />

stando alla tesi aristotelica secondo cui vi<br />

sarebbero uomini per natura incapaci di<br />

autogovernarsi e quindi bisognosi di un<br />

padrone.<br />

Svolgendo un’analisi parallela tra pensatori<br />

liberali e teorici dell’assolutismo, Losurdo<br />

ha mostrato come un pensatore, Grozio,<br />

che può essere considerato il padre spirituale<br />

del liberalismo, sente il dovere, sulla<br />

scorta dell’espansione coloniale olandese,<br />

di dare una giustificazione teorica all’istituto<br />

della schiavitù, sostenendo che la schiavitù<br />

non è altro che il risultato di un contratto<br />

di scambio tra la forza lavoro dello<br />

schiavo, e gli alimenti per il suo sostentamento,<br />

messi a disposizione dal padrone;<br />

oppure è il risultato del cosiddetto diritto di<br />

guerra, per cui il vincitore fa dono della<br />

vita allo sconfitto in cambio del suo assoggettamento.<br />

Infine la schiavitù può nascere<br />

dalla trasformazione di una condanna penale<br />

in asservimento. In ogni modo la schiavitù<br />

sarebbe sempre frutto di una libera<br />

scelta contrattuale tra due parti che scambiano<br />

paritariamente le loro merci.<br />

Locke, sulla scia di Grozio, giustifica la<br />

schiavitù nelle colonie, sostenendo che essa<br />

è la conseguenza di una guerra legittima<br />

che si realizza tra i popoli cristiani europei<br />

e le popolazioni coloniali che devono essere<br />

civilizzate. Nello stesso tempo, però,<br />

mitigando la teoria di Grozio, rifiuta la<br />

giustificazione contrattualistica della schiavitù,<br />

che significherebbe per lo schiavo,<br />

contrariamente alla tradizione cattolica, il<br />

dover cedere al padrone il potere assoluto<br />

56<br />

di vita o di morte sulla propria persona, con<br />

il rischio di avallare l’istituto della schiavitù<br />

anche nella stessa madrepatria.<br />

In ambito liberale l’unica voce antischiavista<br />

del ‘700 viene da Smith, ma le sue<br />

argomentazioni sono solo di carattere economicistico.<br />

Il rapporto di lavoro servile è<br />

un rapporto fondamentalmente improduttivo,<br />

poiché lo schiavo deve essere mantenuto<br />

per tutta la vita e produce poco a causa<br />

della mancanza di incentivi. Una condanna<br />

esplicita della schiavitù, attraverso l’abolizione<br />

delle giustificazioni contrattualistiche<br />

dei liberali, ci giunge paradossalmente<br />

da un teorico dell’assolutismo monarchico<br />

come Bodin. In Hobbes, il punto di partenza<br />

è simile a quello di Grozio e Locke, ma<br />

a differenza di quest’ultimi, che si richiamano<br />

alla tradizione gerco-classica per<br />

sostenere che vi sono schiavi per natura,<br />

Hobbes ritiene che tutti gli uomini sono<br />

uguali per natura, per cui la causa della<br />

disuguaglianza e della stessa schiavitù deve<br />

essere ricercata non nella natura, ma nella<br />

società e nella storia. L’istituto della schiavitù<br />

è dunque un rapporto basato semplicemente<br />

ed esclusivamente sulla diversa forza<br />

del padrone da una parte e dello schiavo<br />

dall’altra, e come tale non è altro che la<br />

continuazione dello stato di guerra.<br />

Nell’Illuminismo le considerazioni sulla<br />

schiavitù sono orientate dalle diverse realtà<br />

politiche presenti in Europa. In Inghilterra,<br />

dopo la “Gloriosa Rivoluzione”, si assiste<br />

al monopolio della tratta dei negri per quanto<br />

riguarda la politica internazionale, e alla<br />

presenza di posizioni del tutto conservatrici<br />

nella gestione interna. Del tutto diversa è<br />

la situazione politica francese, che da una<br />

parte si richiama al modello inglese della<br />

restrizione censitaria dei diritti politici,<br />

dall’altra la critica aspramente, considerandola<br />

una riedizione moderna della schiavitù<br />

classica. Montesquieu, esponente di<br />

una posizione moderata, da una parte sembra<br />

condannare la schiavitù, dall’altra sostiene<br />

che in certi paesi, dove il clima è<br />

molto caldo, la disciplina nel lavoro può<br />

essere mantenuta solo grazie all’assoggettamento<br />

servile. Così, dal punto di vista<br />

della ragione, la schiavitù è un istituto da<br />

condannare e da abolire, ma dal punto di<br />

vista della ragione naturale bisogna accettarne<br />

l’esistenza. In questo Montesquieu<br />

non si distanzia molto dagli illuministi inglesi,<br />

sebbene in lui, a differenza della<br />

cultura anglo-americana, si manifesti una<br />

sorta di autocritica dell’Europa, considerata<br />

responsabile dello sterminio degli indios<br />

e dei negri. In Rosseau, invece, incontriamo<br />

la condanna esplicita della schiavitù,<br />

imcompatibile con l’essere dell’uomo. La<br />

tesi secondo cui il colonialismo è indispensabile<br />

per la civilizzazione di certi popoli e<br />

per la loro felicità, è una ipocrisia che<br />

nasconde un interesse di carattere meramente<br />

economico, così come è un’ipocrisia<br />

teorizzare che le classi povere francesi sono<br />

abituate a vivere nella povertà al punto di<br />

esserne felici.


CONVEGNI E SEMINARI<br />

Charles Louis de Montesquieu;<br />

B. de Las Casas, Illustrazioni per l’edizione latina della Brevissima relazione della distruzione delle Indie<br />

(1598);<br />

Jean-Jacques Rousseau<br />

57


Da ultimo Losurdo ha messo a confronto<br />

due filosofi dell’ ‘800, Marx e Nietzsche,<br />

dal punto di vista dell’accostamento<br />

tra schiavitù nera e lavoro salariato.<br />

Per Marx tale avvicinamento è lo<br />

spunto per lanciare un appello affinché<br />

le classi lavoratrici si ribellino; per Nietzsche,<br />

la continuità tra queste due forme<br />

di assoggettamento dimostra come l’istituto<br />

della schiavitù sia inseparabile dallo<br />

sviluppo della civiltà. In effetti, Nietzsche<br />

rappresenta un “liberale estremista”,<br />

che legge in maniera più spregiudicata<br />

e cruda l’importazione massiccia in<br />

Europa delle popolazioni cinesi e africane,<br />

al di là di ogni trasfigurazione ideologica.<br />

Egli diverge però dalla tradizione<br />

liberale, ritenendo il Cristianesimo la<br />

religione del risentimento, dell’odio,<br />

della vendetta dei mal riusciti contro le<br />

classi ricche e questo rancore presente<br />

nel Cristianesimo viene perpetuato dagli<br />

intellettuali plebei. G.P.<br />

Il diritto e i suoi luoghi<br />

Qual è il rapporto tra l’esigenza di<br />

un’eguaglianza universale dei diritti<br />

e la molteplicità delle culture, delle<br />

etnie, delle religioni e delle ideologie?<br />

Non devono tener conto le teorie<br />

universalistiche e contrattualistiche<br />

del diritto e della società della<br />

specificità irriducibile delle diverse<br />

individualità storiche e sociali? E<br />

come possono coesistere, convivere<br />

e compenetrarsi tali diversità?<br />

Queste e altre domande sono state<br />

riproposte da un convegno organizzato<br />

nel settembre 1992 a Arden<br />

Homestead, presso New York, nel<br />

contesto dello “Urban Forum” della<br />

Fondazione Rockefeller, sul tema:<br />

PLACE AND RIGHT (Luogo e Diritto).<br />

Alle origini del convegno si trova una suggestione<br />

del filosofo della politica Michael<br />

Walzer, che ha paragonato a un “hotel”<br />

l’ideale di ogni teoria universalistica della<br />

società. Gli hotel, soprattutto i grandi hotel<br />

internazionali, non fanno differenze tra i<br />

loro ospiti e presentano un ambiente omogeneo<br />

e anonimo, che non conosce diversità<br />

culturali, religiose, ideologiche, etniche.<br />

La tesi di Walzer è che nessuno, al di fuori<br />

delle necessità del viaggio, accetterebbe di<br />

buon grado di risiedere nell’atmosfera anonima<br />

di tali ambienti. Il cittadino non è<br />

cliente di un hotel, ma appartiene a una<br />

determinata società, caratterizzata da particolarità<br />

locali e da diritti, costumi e ideali di<br />

giustizia non universalizzabili. Di tali particolarità<br />

le teorie della società e della giustizia<br />

devono tenere conto, se non vogliono<br />

cadere nell’astrazione.<br />

Importante, in questa prospettiva, è la questione<br />

del rapporto tra il diritto e gli spazi in<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

cui esso si realizza (o viene negato), al cui<br />

chiarimento hanno contribuito al convegno<br />

sia interventi di carattere storico, sia<br />

analisi di situazioni di città contemporanee,<br />

condotte in una prospettiva interdisciplinare.<br />

Primo intervento quello di Richard<br />

Sennet, dedicato alla storia del ghetto ebraico<br />

di Venezia. In questo caso la genesi della<br />

“modernità” della città va di pari passo con<br />

l’esclusione spaziale di una parte considerevole<br />

dei suoi abitanti. I confini spaziali<br />

coincidono qui con i confini della legge.<br />

L’uguaglianza di cui godevano gli ebrei<br />

veneziani era unicamente di tipo economico:<br />

al difuori dei confini del ghetto (che<br />

durante la notte non potevano essere superati)<br />

gli ebrei veneziani perdevano il diritto<br />

di essere protetti dalle persecuzioni. Si configura<br />

quindi una duplicità dei diritti, divisi<br />

tra quelli legati ad un luogo preciso e quelli<br />

slegati da tale luogo. Il fatto che il diritto<br />

alla protezione e alla sicurezza sia legato<br />

allo spazio del ghetto sembra in questo<br />

caso essere una modalità della costituzione<br />

di un’identità: l’esclusione dalla società<br />

cittadina rende l’essere ebreo un’esperienza<br />

legata allo spazio, e conduce gli ebrei<br />

veneziani a un’idealizzazione del ghetto<br />

come istanza produttrice di identità.<br />

In altri interventi il legame tra unità spaziali<br />

e ambito dei diritti è stato preso in considerazione<br />

in rapporto a situazioni di carattere<br />

“pre-moderno” che ancora continuano<br />

a sussistere nel presente. Il politologo Paulo<br />

Sergio Pinheiro e il geografo Milton<br />

Santos (entrambi di San Paolo del Brasile)<br />

hanno messo in luce come nella contrapposizione<br />

tra centro e periferia delle grandi<br />

metropoli si riproduca l’antica contrapposizione<br />

tra città e campagna. La segregazione<br />

spaziale divide ad esempio una città<br />

come San Paolo in zone di indifferenza<br />

rispetto ai diritti e alla legge e in un centro<br />

che tenta in ogni modo di delimitarsi rispetto<br />

alle periferie, ma con il solo risultato di<br />

riprodurre tale indifferenza. Alla estrema<br />

densità di popolazione e alla grande povertà,<br />

che fanno della violenza una norma<br />

nelle favelas brasiliane, si aggiunge così il<br />

fatto che anche il rapporto tra il centro della<br />

città e le periferie è determinato da interventi<br />

polizieschi incontrollati e da una sorta<br />

di giustizia “privata”.<br />

Sempre all’interno di un’analisi delle agglomerazioni<br />

urbane, l’influsso della guerra<br />

civile e di un diritto “d’emergenza” sulle<br />

strutture spaziali di Beirut sono stati al<br />

centro degli interventi del sociologo Samir<br />

Kahlaf (Princeton) e dell’architetto Hassim<br />

Sarkis (Harvard). In una guerra condotta<br />

attraverso azioni partigiane non esistono<br />

fronti chiaramente definiti: lo spazio<br />

urbano diventa un campo di possibili attacchi<br />

e si omogeneizza. In una guerra che ha<br />

come suo metodo principale l’attentato e<br />

come figura centrale il franco tiratore, non<br />

si danno più contatti diretti tra aggressore e<br />

vittima, e questo conduce a uno sconfinamento<br />

della violenza, a una non-delimitazione<br />

dei luoghi in cui essa si esercita e,<br />

58<br />

infine, a un’impossibilità di identificare<br />

spazio e diritto. In questa situazione, ha<br />

osservato Sarkis, i progetti di ricostruire<br />

Beirut secondo i criteri di un’architettura<br />

da capitale appaiono come il vano tentativo<br />

di sostituire l’architettura alla politica. Il<br />

caso di Berlino è stato invece analizzato<br />

dallo studioso delle migrazioni Jochen<br />

Blaschke e dall progettista Peter Marcuse<br />

(Columbia). Più che alla coincidenza di<br />

confini giuridici e spaziali, determinata per<br />

lungo tempo dall’esistenza del muro, l’attenzione<br />

dei due studiosi è stata dedicata<br />

alla situazione della comunità dei cittadini<br />

turchi nella città e in particolare nel quartiere<br />

di Kreuzberg.<br />

Il convegno si è concluso con una discussione<br />

tra Elaine Scarry (Harvard) e Arthur<br />

Danto (Columbia) sul problema, di<br />

carattere generale, del rapporto tra le categorie<br />

“fisiche” e quelle del diritto. Al centro<br />

di tale rapporto si trova la questione,<br />

posta dalla tradizione giuridica anglosassone,<br />

se il corpo umano non costituisca il<br />

luogo decisivo in cui in ultima analisi si<br />

localizzano tutti i diritti. Nella discussione<br />

sono state messe in luce le caratteristiche di<br />

tale “diritto naturale dal basso”, che cerca<br />

di derivare le norme non dal cielo delle<br />

idee, ma dal corpo dei soggetti giuridici. Da<br />

questo punto di vista, la distinzione tra<br />

luoghi prodotti artificialmente o storicamente<br />

(quartieri, città, regioni) e luoghi<br />

“naturali” appare più importante della loro<br />

coincidenza.<br />

Se le suggestioni walzeriane con cui si è<br />

aperto il convegno sembravano indicare<br />

che solo le unità locali costituiscono<br />

concetti morali e giuridici originali (e<br />

che perciò sia necessario cercare un sostrato<br />

spaziale e concreto per la società<br />

civile che si intende realizzare), nello<br />

svolgimento dei diversi interventi è sembrato<br />

delinearsi un rovesciamento di tale<br />

prospettiva: è il diritto stesso a determinare<br />

i confini fisici a cui si riferisce,<br />

siano essi luoghi o corpi. M.M.<br />

Deleuze e la differenza<br />

Organizzato da Ubaldo Fadini e Adelino<br />

Zanini, si è svolto presso l’Istituto<br />

filosofico ‘Aloisianum’ di Gallarate nei<br />

giorni 6-7 novembre 1992, un seminario<br />

dal titolo: GILLES DELEUZE: UN PENSIE-<br />

RO FORTE DELLA DIFFERENZA ONTOLOGICA.<br />

Più che dalle opere “teoretiche” di<br />

Deleuze, il seminario si è articolato a<br />

partire dalle “monografie” del filosofo<br />

francese, dove egli tematizza il proprio<br />

rapporto con Leibniz, Spinoza,<br />

Hume, Nietzsche.<br />

Secondo Maurizio Merlo, nel contesto del<br />

rapporto che Gilles Deleuze instaura con<br />

Leibniz, da lui inscritto nella prospettiva<br />

del Barocco, la questione centrale consiste


da un lato nel render conto della specificità<br />

del Barocco - la crisi di ogni essenzialismo<br />

-, estendendola oltre i suoi limiti storici,<br />

dall’altro nel dare esistenza al Barocco<br />

medesimo, producendone il concetto, per<br />

ritrovarlo come metodo o paradigma. Per<br />

questo, a parere di Deleuze, «non possiamo<br />

non dirci barocchi, o leibniziani», dove è<br />

Leibniz stesso a farsi portavoce del programma<br />

deleuzeano di una mathesis descrittiva,<br />

garantita da un orizzonte metafisico.<br />

Il Leibniz deleuzeano ridefinisce dunque,<br />

a parere di Merlo, i termini di un<br />

programma costruttivista: creare concetti<br />

in grado di pensare l’evento come attività<br />

immanente su uno sfondo di totalità; una<br />

creazione di un novum nell’interiorità del<br />

continuum. All’oggetto che si presenta<br />

come evento si accompagna la costituzione<br />

del soggetto come figura comunicante dell’interiorità,<br />

che in una prospettiva “uniplanare”<br />

diviene eguale al mondo, rispetto<br />

al quale esiste come espressione di un “punto<br />

di vista”. Deleuze legge così il prospettivismo<br />

leibniziano non come affermazione di<br />

una variazione della verità a partire dal<br />

soggetto, bensì come la condizione per cui<br />

appare al soggetto la verità di una variazione.<br />

Il soggetto è dunque punto di vista da<br />

cui una verità è; esso cioè è funtore di<br />

verità, non il costituente di essa. Pertanto,<br />

non si dà teoria del soggetto, ma inscrizione<br />

nel punto di vista in cui il soggetto si<br />

risolve.<br />

Proseguendo nell’indagine sulla questione<br />

del soggetto, l’intervento di Adelino Zanini<br />

si è sviluppato come tentativo di decostruzione<br />

del pensiero di Deleuze sulla<br />

soggettività come evento, a partire dalla<br />

monografia dedicata a Hume. Intendendo<br />

l’evento come ciò che singolarizza la continuità<br />

in ciascuna delle sue pieghe locali,<br />

come ciò che rende individuale l’universalità<br />

del continuum dell’uniplanarità ontologica,<br />

Deleuze individua un rapporto<br />

d’identità fra mente, immaginazione e idea.<br />

L’idea è il dato in quanto esperienza, laddove<br />

la mente è data come collezione di<br />

idee: immaginazione. In altri termini, la<br />

mente è immaginazione come “luogo”.<br />

Niente si rappresenta con l’immaginazione,<br />

ma tutto si rappresenta nell’immaginazione:<br />

nessuna volontà è propria dell’ego;<br />

e non potendosi separare il “luogo” da “ciò<br />

che in esso” avviene, la rappresentazione<br />

non è in un soggetto. L’idea di soggettività,<br />

pertanto, è solo una regola; superando la<br />

parzialità del soggetto, di cui è idea, essa<br />

include in ciascuna collezione di idee il<br />

principio e la regola di un accordo possibile<br />

fra soggetti.<br />

Il problema dell’io si risolve dunque a<br />

livello morale e politico. La ragione pratica<br />

è instaurazione di un tutto della cultura e<br />

della moralità, è l’immaginazione divenuta<br />

natura; l’abitudine è la radice della ragione,<br />

principio di cui questa è l’effetto. In questi<br />

termini, ha sottolineato Zanini, l’essenza<br />

dell’empirismo diventa per Deleuze il problema<br />

della soggettività. Il soggetto si de-<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

finisce come, e mediante, un movimento di<br />

autosviluppo; sua attività è credere e inventare.<br />

Dal dato si inferisce più di quanto si<br />

sappia: nel momento in cui si crede, con ciò<br />

si giudica, e ci si pone come soggetti. Il<br />

problema della verità si presenta allora<br />

come il problema critico della soggettività,<br />

che non cessa d’altra parte di qualificarsi,<br />

nel proprio oltrepassamento, come passiva,<br />

e che proprio per questo resta sempre<br />

distinta da un io. Nel determinarsi di quest’ultimo<br />

come sistema della pratica, si<br />

segnala, ha concluso Zanini, la vocazione<br />

spinoziana dell’interpretazione deleuzeana<br />

di Hume.<br />

A proposito della lettura che Deleuze conduce<br />

nei confronti del testo di Spinoza,<br />

Simona Ferlini ha ricordato come i suoi<br />

cardini siano costituiti anzitutto dall’anticartesianesimo,<br />

che per Deleuze accomuna<br />

Spinoza e Leibniz nella polemica antirappresentazionalista,<br />

dove all’impostazione<br />

cartesiana viene rimproverata l’incapacità<br />

di spiegare la natura da un punto di vista<br />

genetico; in secondo luogo, l’interpretazione<br />

deleuzeana di Spinoza si basa sulla<br />

tesi dell’univocità e dell’immanenza dell’essere,<br />

dove quest’ultimo è concepito<br />

come totalità produttiva. Anche in questo<br />

caso contro Descartes, viene rifiutato un<br />

qualsiasi principio trascendente, e il richiamo<br />

al neoplatonismo, dove l’Uno “contiene”<br />

i molti, è parziale: nello Spinoza deleuzeano<br />

l’Uno è i molti, e il rapporto<br />

neoplatonico fra complicatio ed explicatio<br />

viene chiarito attraverso il concetto<br />

di espressione.<br />

In questo modo, ha osservato Ubaldo<br />

Fadini, Spinoza assume un ruolo primario<br />

nel costituirsi dell’autonomo pensiero di<br />

Deleuze, in un rapporto affatto particolare<br />

con Nietzsche. Nella prospettiva deleuzeana,<br />

ha sostenuto Fadini, Spinoza precede<br />

Nietzsche, ma anche, in certo senso, lo<br />

segue, in quanto ne approfondisce alcuni<br />

spunti teoretici: la tesi spinoziana dell’incremento<br />

di potenza come criterio di verità<br />

può infatti costituire, da un punto di vista<br />

teoretico, il presupposto e la spiegazione<br />

della tesi genealogica nietzscheana, che<br />

nella volontà di potenza legge il fondamento<br />

che trascende l’alternativa tra vero e<br />

falso. L’opposizione di Nietzsche al coscienzialismo<br />

lascia emergere un’eredità<br />

spinoziana: l’elemento comune ai due pensatori<br />

è costituito dal rifiuto di subordinare<br />

la corporeità a un principio superiore, anch’esso<br />

trascendente, quale sarebbe appunto<br />

la coscienza. A questo proposito, ha<br />

anzi sostenuto Marco Senaldi, l’identificazione<br />

dell’essere con il corpo in Deleuze<br />

preclude il fatto che si possa parlare in lui<br />

di una vera e propria istanza ontologica.<br />

Proprio sul concetto di corpo, ha ribadito<br />

Fadini, insiste Deleuze, interpretando in tal<br />

senso sia Spinoza, sia Nietzsche. L’intrattenibilità<br />

del corpo da parte della coscienza<br />

è infatti ciò che emerge nel parallelismo fra<br />

corpo e idea, che Spinoza utilizza in vista<br />

dell’affermazione della loro corrisponden-<br />

59<br />

za. D’altro canto, la lettura deleuzeana dell’eterno<br />

ritorno ripropone anch’essa, come<br />

osserva Fadini, un attacco alla determinazione<br />

della coscienza, a partire, questa volta,<br />

da un’accentuazione dell’irriducibilità<br />

alla coscienza della molteplicità differenziale.<br />

La volontà di potenza, che nella lettura<br />

deleuzeana costituisce la matrice della<br />

dottrina dell’eterno ritorno, rimanda proprio<br />

all’affermazione dell’irriducibilità del<br />

singolo, e qui, cioè nel rifiuto della mediazione<br />

dialettica e della radicale accettazione<br />

del divenire, risiede la dimensione tragica<br />

dell’opera nietzscheana.<br />

Più rilevante di quanto non appaia esplicitamente<br />

è il rapporto conflittuale che Deleuze<br />

instaura con l’opera di Martin Heidegger.<br />

A questo proposito, ha rilevato<br />

Giambattista Vaccaro, la posizione di<br />

Deleuze nei confronti di Heidegger contiene<br />

elementi di ambiguità: da un lato il<br />

pensiero di Heidegger viene considerato<br />

come un pensiero della differenza, dove la<br />

determinazione heideggeriana della “differenza<br />

ontologica” sembra apparire come<br />

espressione di quella deleuzeana di piega;<br />

dall’altro la critica di Deleuze all’ontologia<br />

heideggeriana si presenta più radicale di<br />

quanto non sia esplicita. Secondo Deleuze,<br />

il concetto heideggeriano di differenza ontologica<br />

non salvaguarda la differenza dell’essente,<br />

in quanto la fa ricadere sotto<br />

l’identità, non arrivando a coglierne la “singolarità<br />

intensiva”. Ciò avviene a causa<br />

della trascendenza dell’essere, postulata da<br />

Heidegger, laddove occorre invece insistere,<br />

a parere di Deleuze, sul carattere di<br />

immanenza dell’essere all’ente.<br />

La rivendicazione dell’immanenza appare<br />

in Deleuze come garanzia di pluralismo nei<br />

confronti dell’ente fenomenico, e rimanda<br />

alla sua peculiare interpretazione dell’empirismo.<br />

In Deleuze, ha continuato Vaccaro,<br />

il concetto di caos si pone come radicalizzazione<br />

di quello heideggeriano di Abgrund,<br />

sprofondamento, e la stessa nozione<br />

di simulacro, connessa a quella di ripetizione,<br />

viene rivolta, in questa prospettiva,<br />

contro Heidegger: il risultato è la salvaguardia<br />

della molteplicità, del pluralismo,<br />

del quale l’essere si presenta come “superficie”.<br />

La distanza di Deleuze nei confronti<br />

di Heidegger deriva dunque anzitutto dal<br />

legame che nel pensatore francese si instaura<br />

fra l’istanza ontologica e il concetto<br />

di simulacro: il simulacro rappresenta la<br />

forma di ciò che è, cioè l’essente, e coincide<br />

con la differenza degli essenti. A questo


CONVEGNI E SEMINARI<br />

Maschera in legno del dio dei venti degli indiani Haida<br />

60


proposito, ha sottolineato Vaccaro, mentre<br />

per Heidegger l’essere è la differenza ontologica,<br />

in Deleuze, in un certo senso, la<br />

questione dell’istanza ontologica apre alla<br />

molteplicità. La differenza per Deleuze non<br />

è, bensì si fa, è costitutiva dell’esistenza: la<br />

differenza non distingue un ente da un<br />

altro, ma differenzia; e questo è tutto. “Fare<br />

la differenza” significa d’altra parte per<br />

Deleuze lasciare apparire l’essere come<br />

univoco, come ciò che si dice di tutti gli<br />

enti, i quali non differiscono fra di loro ma,<br />

essendo la differenza propria degli enti, si<br />

limitano a differire. F.C.<br />

Wilhelm von Humboldt<br />

e le lingue d’America<br />

In un convegno internazionale tenutosi<br />

a Berlino nell’ottobre del 1992 e<br />

organizzato dall’Istituto ispano-americano<br />

della Stiftung Preußischer Kulturbesitz<br />

è stato discusso un aspetto<br />

poco noto della figura di Wilhelm von<br />

Humboldt: la sua attività pionieristica<br />

nel campo dello studio delle lingue del<br />

continente americano.<br />

Amico di Goethe e Schiller e tra i principali<br />

esponenti del movimento classicista tedesco,<br />

attivo nell’ambito della politica dello<br />

stato prussiano, nel campo dell’educazione<br />

e padre fondatore della moderna filosofia<br />

del linguaggio, Wilhelm von Humboldt<br />

fu tra i primi a dedicarsi allo studio delle<br />

numerose lingue del continente americano<br />

e a una loro embrionale analisi comparata.<br />

A questo aspetto della sua attività di studioso<br />

è stato dedicato il convegno berlinese,<br />

che ha anche costituito l’occasione per la<br />

presentazione di un progetto dell’editore<br />

Schöning: la pubblicazione, a cura di Kurt<br />

Müller-Vollmer (Stanford) e Jürgen Trabant<br />

(Berlino), degli scritti di argomento<br />

linguistico, facenti parte del lascito humboldtiano.<br />

A disposizione degli studiosi è<br />

per ora il primo volume.<br />

Funzionario dello stato prussiano dal 1802,<br />

Wilhelm von Humboldt fu attivo in diversi<br />

ambiti culturali prima di trovare la propria<br />

vocazione nel campo dello studio dei fenomeni<br />

linguistici, un’attività per la quale<br />

egli è oggi da più parti considerato alle<br />

origini della linguistica moderna. Dopo la<br />

pubblicazione di un trattato sui Limiti dell’attività<br />

dello stato, annoverato in seguito<br />

tra i manifesti del liberalismo, Humboldt<br />

pubblica alcuni saggi dedicati a Goethe e<br />

Schiller. E’ in una lettera a Schiller del<br />

1802 che egli formula quello che sarebbe<br />

stato il tema principale dei suoi studi: la<br />

lingua, considerata, come già avevano fatto<br />

Hamann e Herder, come strumento ed<br />

espressione della ragione e delle culture<br />

umane e come condizione di possibilità del<br />

pensiero; la lingua dunque in una prospettiva<br />

filosofica. In contrapposizione a una<br />

concezione astratta della lingua, Humboldt<br />

considera il fenomeno linguistico sulla base<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

di un’analisi storico-empirica della molteplicità<br />

delle lingue, nell’individualità delle<br />

quali si manifestano il pensiero e l’ ”interna<br />

attività spirituale” dei diversi popoli e delle<br />

diverse culture. Sulla base di tale concezione<br />

Humboldt intende la confusione babelica<br />

delle lingue come una prova dell’illimitata<br />

capacità umana di riconoscere e pensare<br />

il mondo in modo sempre nuovo, come<br />

una manifestazione di creatività dello spirito<br />

e delle culture. Da tale concezione<br />

deriva anche l’idea humboldtiana, nuova<br />

nella cultura settecentesca, della pari dignità<br />

delle lingue e dunque dell’importanza<br />

di uno studio scientifico delle lingue<br />

anche apparentemente più rozze e “primitive”.<br />

I contributi presentati nel convegno berlinese<br />

hanno ricostruito i percorsi che hanno<br />

condotto Humboldt allo studio delle lingue<br />

del continente americano, mettendo al tempo<br />

stesso in luce i motivi di interesse dei<br />

contributi humboldtiani per la ricerca contemporanea<br />

nell’ambito della linguistica.<br />

Importante, per la genesi dell’idea di tali<br />

studi, sembra essere la figura del fratello,<br />

Alexander: è poco dopo la partenza di<br />

Alexander per l’America del Sud, nel 1799,<br />

che Wilhelm inizia a raccogliere materiali<br />

sulle lingue d’America, senza però allontanarsi<br />

dal suolo europeo. Stimolato da<br />

Alexander, che stava lavorando alla stesura<br />

del suo Voyage de Humboldt et Bompland<br />

aux régions équinoxial du nouveau<br />

continent (Viaggio di Humboldt e Bompland<br />

alle regioni equinoziali del nuovo<br />

continente, 1805-1834), ad una descrizione<br />

delle lingue americane, Wilhelm sviluppa<br />

un progetto di ricerca tanto ambizioso<br />

quanto irrealizzabile, che prevede di ricostruire<br />

lo stato delle lingue americane nel<br />

periodo precedente la colonizzazione spagnola<br />

e portoghese, riconducendo la loro<br />

varietà a strutture comuni e indicandone la<br />

grammatica attraverso elenchi di parole.<br />

Se questo progetto accomuna ancora in<br />

parte Humboldt all’enciclopedismo settecentesco,<br />

ciò che costituisce la novità della<br />

sua ricerca è l’insoddisfazione rispetto ai<br />

metodi e ai risultati del confronto tra le<br />

lingue sviluppato da poliglotti ed eruditi<br />

dell’epoca come Peter Simon Pallas e<br />

Johann Christoph Adelung, che mettevano<br />

in evidenza non strutture grammaticali ma<br />

analogie tra le parole con lo scopo di stabilire<br />

relazioni di parentela tra le diverse<br />

lingue.<br />

Kurt Müller-Vollmer ha ricostruito l’inizio<br />

della ricerca di Humboldt in questo<br />

campo, che si situa negli anni tra 1802 e<br />

1808, quando egli era ambasciatore prussiano<br />

a Roma. La città costituiva un terreno<br />

di studio ideale per gli americanisti, in<br />

quanto qui trascorrevano gli anni della pensione<br />

(dopo lo scioglimento, nel 1773, del<br />

loro ordine) numerosi missionari gesuiti<br />

reduci dal Sudamerica, scrivendo memorie<br />

riguardanti le lingue dei loro paesi di provenienza.<br />

A Roma Humboldt prosegue<br />

anche la ricerca e la raccolta di vecchie<br />

61<br />

grammatiche utilizzate dai missionari, già<br />

iniziata dal gesuita Lorenzo Hervàs. Nonostante<br />

i limiti di tali grammatiche (redatte<br />

per lo scopo missionario) e la base empirica<br />

delle sue ricerche, Humboldt riesce a compilare<br />

le grammatiche di quattordici lingue<br />

americane, dalla brasiliana Tupì-Guaranì<br />

alla lingua dello Yucatan, come ha mostrato<br />

Ramòn Arzàpalo (Città del Messico),<br />

al Nahuatl dell’America centrale, cui ha<br />

fatto riferimento Manfred Ringmacher<br />

(Berlino). Questo frammento del progetto<br />

complessivo (che prevedeva lo studio di<br />

cinquanta-sessanta lingue al fine di individuarne<br />

le analogie strutturali) metteva comunque<br />

in luce un denominatore comune<br />

alle lingue americane: la scarsa distinzione<br />

tra nomi e verbi, interpretata da Humboldt<br />

come l’espressione di un “pensiero non<br />

chiaro”. Così, ad esempio, nel caso del<br />

brasiliano Tupì-Guaranì, Wolf Dietrich<br />

(Münster) ha mostrato come Humboldt<br />

concludesse, partendo dalla “grande indeterminazione”<br />

di questa lingua, a una “carenza<br />

del pensiero”.<br />

Presupposto di tale valutazione sono due<br />

aspetti che fanno di Humboldt uno studioso<br />

del tutto settecentesco: la sua venerazione<br />

del greco antico, rispetto al quale egli misurava<br />

le categorie grammaticali delle lingue<br />

delle popolazioni americane, e l’idea di un<br />

progresso nella storia dell’umanità e delle<br />

lingue. Tuttavia, come ha sostenuto Jürgen<br />

Trabant, Humboldt si è anche proiettato<br />

oltre il suo secolo: la classificazione<br />

genetica delle lingue americane, che egli,<br />

rifacendosi ad alcune posizioni della biologia<br />

dell’epoca, riteneva ancora possibile<br />

all’inizio delle sue ricerche, si avvicina in<br />

modo via via crescente ad una moderna<br />

categorizzazione secondo strutture grammaticali<br />

condotta su un’ampia base empirica.<br />

Questo avviene, ad esempio, nel caso<br />

dello studio della lingua messicana Otomi<br />

come ha rilevato Klaus Zimmermann<br />

(Berlino). In quanto “scopritore” dello studio<br />

comparativo e generale della grammatica<br />

Humboldt ha poi preso congedo, secondo<br />

Frans Plank (Costanza), dal procedimento<br />

usuale del diciottesimo secolo,<br />

che anteponeva la classificazione astratta<br />

all’empiria.<br />

Alla discussione moderna nell’ambito della<br />

linguistica hanno fatto riferimento gli<br />

interventi di Maurizio Gnerre (Roma) e<br />

Helmut Gipper (Monaco): il primo ha<br />

sottolineato come Humboldt non si sia limitato<br />

alla costruzione di “scheletri” grammaticali,<br />

ma abbia messo in luce, attraverso<br />

il concetto di “carattere linguistico”,<br />

l’importanza del contesto culturale di ogni<br />

espressione linguistica, anticipando così<br />

una delle prospettive principali della linguistica<br />

antropologica. Per il secondo alcune<br />

posizioni di Humboldt potrebbero costituire<br />

un efficace antidoto contro l’avversione<br />

rispetto alla dimensione del significato<br />

che domina ampi settori delle linguistica<br />

americana. M.M.


Il Goethe Institut di Milano, in collaborazione<br />

con il Teatro alla Scala e la<br />

Provincia di Milano, ha organizzato<br />

per il giorno <strong>11</strong> gennaio un Convegno<br />

su Italia-Germania oggi. I partecipanti<br />

sono stati: Maurizio Chierici:<br />

“La cultura giornalistica”; Raffaele<br />

Durante: “La cultura economica”;<br />

Vittorio Fagone: “La cultura artistica”;<br />

Giulio Giorello: “La cultura<br />

scientifica”; Aldo Grasso: “La cultura<br />

televisiva”; Johannes Hösle: “La<br />

cultura letteraria”; Morando Morandini:<br />

“La cultura cinematografica”;<br />

Quirino Principe: “La cultura musicale”;<br />

Carlo Sini: “La cultura filosofica”;<br />

Franco Tatò: “La cultura manageriale”.<br />

● Informazioni: Amici della Scala,<br />

corso Venezia 36, 20100 Milano, tel.<br />

02/783479.<br />

Il 12 gennaio, presso la Sala Conferenze<br />

della Biblioteca Civica di Cologno<br />

Monzese, si è inaugurato un ciclo<br />

di Letture Filosofiche con la presentazione<br />

e la discussione del libro di<br />

Vittorio Hösle, Filosofia della crisi<br />

ecologica, da poco pubblicato dall’editore<br />

Einaudi. Presente l’autore e<br />

Domenico Losurdo.<br />

● Informazioni: Biblioteca Civica,<br />

via Milano 3, 20093 Cologno Monzese,<br />

tel. 02/25308201.<br />

Nel ciclo delle attività culturali della<br />

Fondazione San Carlo di Modena,<br />

sono da ricordare gli importanti Cicli<br />

e Seminari di studio iniziati nel mese<br />

di gennaio. Per il ciclo di lezioni:<br />

Questioni del tradurre, sono intervenuti:<br />

22 gennaio, Diego Marconi:<br />

“Problemi filosofici della traduzione<br />

radicale”; 19 febbraio, Goffredo Bartocci:<br />

“L’inconscio dell’altro”; 5 febbraio,<br />

Alessandro Pizzorno: “La spiegazione<br />

sociale come traduzione”; 5<br />

marzo, Alessandro Simonicca: “Forme<br />

di vita e culture”.<br />

Nell’ambito del ciclo di lezioni:<br />

I paesaggi del sacro, hanno partecipato:<br />

21 gennaio, Pierangelo Sequeri:<br />

“L’inferno e il paradiso”; 4 febbraio,<br />

Filippo Gentiloni: “L’Europa della<br />

nuova evangelizzazione”; 18 febbraio,<br />

Aldo Natale Terrin: “Tra vecchi<br />

e nuovi paradisi”; 25 febbraio,<br />

Franco La Cecla: “La sacralità del<br />

guard-rail”; <strong>11</strong> marzo, Paolo Ricca:<br />

“Né sul garizim né a Gerusalemme”.<br />

Per il 19 marzo è stato organizzato un<br />

CALENDARIO<br />

CALENDARIO<br />

Seminario dal titolo: Marcel Mauss.<br />

Il “fatto sociale totale”, durante il<br />

quale Steven Lukes ha parlato di “Razionalità<br />

e relativismo. Riflessioni<br />

ulteriori”; presenti inoltre: Riccardo<br />

Di Donato, Stefano Martelli, Alfredo<br />

Salsano, Paola Bora, Marcel Fournier.<br />

Infine ricordiamo che nell’ambito del<br />

Seminario di <strong>Studi</strong>o: Trinità e<br />

Storia, il 1 marzo ha parlato Lorenzo<br />

Paolini su “La Trinità fra Gioacchino<br />

Da Fiore e la Scolastica”; 15 marzo,<br />

Giampiero Bof su “La Trinità in Hegel”;<br />

16 aprile, Giuseppe Ruggieri su<br />

“Trinità e storia nella teologia contemporanea”.<br />

● Informazioni: Fondazione San<br />

Carlo, via San Carlo 5, 4<strong>11</strong>00 Modena,<br />

tel. 059/222315.<br />

Organizzate dalla rivista Aut-Aut e<br />

dall’Istituto Italiano per il diritto allo<br />

<strong>Studi</strong>o Universitario dell’Università<br />

degli <strong>Studi</strong> di Milano, dal 27 gennaio<br />

al 31 marzo <strong>1993</strong> si è svolto un ciclo<br />

di dieci lezioni sui generi in filosofia<br />

dal titolo: Scritture del pensiero.<br />

Questo il calendario degli incontri:<br />

27 gennaio, Pier Aldo Rovatti: “Lacan:<br />

scrivere l’inconscio?”; 3 febbraio,<br />

Rosella Prezzo: “La narrazione<br />

del femminile nel discorso filosofico”;<br />

10 febbraio, Fabio Polidori: “Il<br />

testo di Nietzsche”; 17 febbraio, Alessandro<br />

Dal Lago: “La scrittura etnografica”;<br />

24 febbraio, Riccardo De<br />

Benedetti: “I ‘Quaderni’ (Simone<br />

Weil); 3 marzo, Maurizio Ferraris:<br />

“Autobiografia. Agostino e Heidegger”;<br />

10 marzo, Edoardo Greblo:<br />

“Benjamin, immagine e scrittura”;<br />

17 marzo, Rocco De Biasi: “Il metalogo<br />

(G. Bateson); 24 marzo, Gianfranco<br />

Gabetta: “La lettera e la scena<br />

della scrittura in Montaigne”; 31<br />

marzo, Giampiero Comolli: “Figura<br />

e scrittura in Oriente”.<br />

● Informazioni: I.S.U., corso di Porta<br />

Romana 19, 20100 Milano, tel. 02/<br />

809431.<br />

Il Goethe-Institut di Roma e il Dipartimento<br />

di Filosofia e Teoria delle<br />

Scienze Umane della III Università<br />

degli <strong>Studi</strong> di Roma hanno organizzato<br />

due incontri aventi come tema<br />

centrale la filosofia di Heidegger. Il<br />

28 gennaio si è tenuto un Convegno<br />

in occasione della presentazione del<br />

libro: Heidegger in discussione<br />

(Franco Angeli, Milano 1992, conte-<br />

62<br />

nente gli Atti del Convegno: “L’eredità<br />

di Heidegger”, maggio 1989);<br />

alla presentazione sono intervenuti:<br />

Franco Bianco, Domenico Losurdo,<br />

Otto Pöggeler, Carlo Sini, Valerio<br />

Verra.<br />

Il 29 gennaio ha avuto luogo una<br />

conferenza di Otto Pöggeler sul tema:<br />

Heidegger und Hannah Arendt.<br />

● Informazioni: Prof. Franco Bianco,<br />

Dipartimento di Filosofia e Teoria<br />

delle Scienze Umane, Università<br />

“La Sapienza”, via Magenta 5, 00185<br />

Roma, tel. 06/491629.<br />

Curato dal Dipartimento di Ricerche<br />

Filosofiche dell’Università di Roma<br />

“Tor Vergata” e dall’Accademia Spagnola<br />

di Roma, il 29 e 30 gennaio si è<br />

tenuto un Convegno Internazionale<br />

dal titolo: Il neoantico. Tecnica &<br />

possessione nella cultura, nella<br />

poesia e nelle arti. La Presidenza e<br />

il Coordinamento scientifico è stato<br />

affidato a Mario Perniola e Jorge Lozano,<br />

mentre gli interventi hanno seguito<br />

il seguente ordine: Cristoph<br />

Wulff: “Ethique de l’esthétique”;<br />

Francesco Pellizzi: “Periferie del corpo<br />

estetico”; Michel Maffesoli: “La<br />

culture des sentiments. Pour une étique<br />

de l’esthétique”; Roberto Motta:<br />

“La sacrifice, la transe, la mort”; Giuliano<br />

Compagno: “Il sacrificio, la comunicazione,<br />

la tecnica”.<br />

● Informazioni: Federico De Donato,<br />

Università di Roma “Tor Vergata”,<br />

via B. Alimena 6, 00173 Roma,<br />

tel. 06/7232624.<br />

Presso l’Aula Magna dell’Università<br />

di Firenze, il 2 febbraio ha avuto<br />

luogo una tavola rotonda sul tema:<br />

Mario Dal Pra. Filosofia e Politica.<br />

L’incontro è stato organizzato dal<br />

Dipartimento di Filosofia dell’Università<br />

di Firenze, dalla Società Filosofica<br />

d’Italia e dalla Nuova Italia<br />

Editrice, e vi hanno preso parte Eugenio<br />

Garin, Enrico J. Rambaldi e Fabio<br />

Minazzi.<br />

● Informazioni: La Nuova Italia<br />

editrice, Via Bonifacio Lupi 1, 50129<br />

Firenze, tel. 055/46<strong>11</strong>74.<br />

Le attività della Casa della Cultura<br />

proseguono con un fitto calendario<br />

che comprende Seminari, Cicli di lezioni,<br />

Convegni e Corsi. Questo il<br />

programma di febbraio: 15 febbraio,<br />

in occasione della pubblicazione di I<br />

bolschevichi: alle origini del socialismo<br />

reale (Franco Angeli, Milano<br />

<strong>1993</strong>), un incontro con Enrica Collotti<br />

Pischel, Antonio de Lillo, Bruno<br />

Grancelli, Mario Spinella su: Dimenticare<br />

Lenin?; 19 febbraio, una conferenza<br />

di Massimo Bonfantini su:<br />

Ecologismo, Federalismo, Socialismo:<br />

Tre ismi da coniugare?<br />

Questo il programma di marzo: 1<br />

marzo, in occasione dell’uscita del<br />

libro di Aldo Giorgio Gargani, Stili di<br />

analisi. L’unità perduta del metodo<br />

filosofico (Feltrinelli, Milano <strong>1993</strong>),<br />

si è tenuto un incontro su I linguaggi<br />

della vita contingente: ne hanno<br />

parlato con l’autore Mauro Ceruti,<br />

Maurizio Ferraris, Giulio Giorello; 2<br />

marzo, in occasione dell’uscita del<br />

libro: La parola incantata, di F. Papi<br />

(Guerini e Associati, Milano <strong>1993</strong>),<br />

ha avuto luogo un incontro con Gilberto<br />

Finzi, Elio Franzini, Fulvio Papi<br />

e Stefano Zecchi sul tema: Dire poetico<br />

e dire filosofico; 9 marzo, si è<br />

tenuta una conversazione di Lucio<br />

Villari: Per una critica del capitalismo<br />

italiano; 15 marzo, in occasione<br />

dell’uscita del libro: Amo te, di<br />

Luce Irigaray (Bollati Boringhieri,<br />

Torino <strong>1993</strong>), ha avuto luogo un incontro<br />

con l’autrice e Renzo Imbeni<br />

su: Reinventare l’amore, con interventi<br />

di Laura Boella, Lidia Campagnano<br />

e Paolo Mieli; 19 marzo, per il<br />

ciclo: “L’invenzione ultramoderna”,<br />

Massimo Bonfantini, Mauro Ferraresi,<br />

Arturo Martone e Gian Paolo Proni<br />

sono intervenuti su: Peirce come<br />

pragmaticismo nel nostro futuro;<br />

22 marzo, si è tenuto un incontro<br />

commemorativo dal titolo: Per<br />

Mario Dal Pra, con la partecipazione<br />

di Vittorio Spinazzola, Fulvio Papi,<br />

Maria Teresa Fumagalli Beonio Brocchieri,<br />

Giorgio Lanaro, Enrico Rambaldi;<br />

29 marzo, in collaborazione<br />

con il Goethe Institut, si è svolto un<br />

Convegno su Walter Benjamin: lo<br />

spazio della modernità, con interventi<br />

di Michele Ranchetti, Gianfranco<br />

Bonola, Ugo Perrone, Elena Agazzi,<br />

Ubaldo Fadini.<br />

● Informazioni: Casa della Cultura,<br />

via Borgogna 2 , 20122 Milano, tel.<br />

02/795567.<br />

La Consulta di Bioetica e l’editore<br />

Franco Angeli hanno indetto una<br />

Conferenza stampa per il 25 febbraio<br />

presso il Circolo della Stampa di Mi-


lano, in occasione della presentazione<br />

della nuova rivista semestrale<br />

Bioetica, diretta da Maurizio Mori.<br />

Durante la Conferenza è stato presentato<br />

anche il Documento sull’Eutanasia,<br />

recentemente approvato dalla<br />

Consulta di Bioetica, e presentato da<br />

Renato Boeri, presidente della Consulta.<br />

● Informazioni: R. Traversa, Ufficio<br />

Stampa, Franco Angeli, Viale Monza<br />

Milano.<br />

Il 10 marzo, presso la sede della casa<br />

editrice Laterza a Roma, ha avuto<br />

luogo la presentazione della nuova<br />

collana: Fare l’Europa, diretta da<br />

Jacques Le Goff e pubblicata in contemporanea<br />

da Verlag C. H. Beck,<br />

Blackwell Publishers, Editorial Critica,<br />

Editions du Seuil.<br />

Organizzata dagli Editori Laterza, il<br />

5 aprile, presso la Società Scientifica<br />

SOCREA di Milano, si tiene la presentazione<br />

del libro di Luciano<br />

Mecacci: Storia della psicologia<br />

del Novecento. Oltre l’autore, intervengono<br />

Marcello Cesa-Bianchi,<br />

Giorgio Cosmacini, Assunto Quadrio,<br />

Giuseppe Vallar.<br />

● Informazioni: Editori Laterza, via<br />

di Villa Sacchetti 17, 00197 Roma,<br />

tel. 06/3218393.<br />

Organizzata dalla Biblioteca Comunale<br />

di Cattolica in collaborazione<br />

con l’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong><br />

<strong>Filosofici</strong> e la Rivista “Nuova Civiltà<br />

delle Macchine”, il 12 marzo si è<br />

aperta l’edizione <strong>1993</strong> di “Cosa fanno<br />

oggi i filosofi?”. Il tema/titolo di<br />

questa tredicesima edizione è: Idoli.<br />

Conversazioni di antropologia. Ci<br />

si propone di offrire al pubblico tracce<br />

di percorso nel vasto panorama<br />

dell’antropologia contemporanea intesa<br />

nella più ampia accezione di studio<br />

dei comportamenti umani nel loro<br />

rapporto con le idee, le rappresentazioni<br />

e le superstizioni. L’itinerario<br />

dei lavori si svolgerà a cadenza settimanale,<br />

seguendo un percorso che<br />

reca titoli espressi in un latino spesso<br />

fantasioso e che prevede il seguente<br />

calendario: 12 marzo, Francesco Remotti:<br />

“Homo antropologicus”; 19<br />

marzo, Beniamino Placido: “Homo<br />

televisivus”; 26 marzo, Giuseppe<br />

Pucci: “Imago imperii/Imperium imaginis”;<br />

2 aprile, Maria Teresa Fumagalli<br />

Beonio Brocchieri: “Homo ludens”;<br />

16 aprile, Romano Madera:<br />

“Homo religiosus et paganus”; 23<br />

aprile, Paolo Fabbri: “Animal loquens”;<br />

26 aprile, Giacomo Marramao:<br />

“Homo oeconomicus”; 7 maggio,<br />

Adriana Cavarero: “De homine<br />

et foemina”; 14 maggio, Umberto<br />

Galimberti: “Homo idolum maximum”;<br />

21 maggio, Danilo Mainardi:<br />

“Homo sapiens sapiens”; 28 maggio,<br />

Ersilio Tonini: “Genus Homo”.<br />

● Informazioni: Centro Culturale<br />

Polivalente, Piazza della Repubblica<br />

31, 47033 Cattolica, tel. 0541/967802.<br />

Il 16 marzo presso la Libreria Utopia<br />

di Milano, in occasione della presentazione<br />

del libro di Enrico Ferri, L’an-<br />

tigiuridismo di Max Stirner (Giuffrè,<br />

Milano 1992), l’autore ha tenuto una<br />

conferenza sul tema: Max Stirner<br />

critico del politico.<br />

● Informazioni: Libreria Utopia,<br />

Via Moscova 52, 20100 Milano, tel.<br />

02/29003324.<br />

Dal 18 al 20 marzo <strong>1993</strong> si è tenuta a<br />

Müster una giornata sull’estetica dal<br />

titolo: Immagine e riflessione.<br />

Paradigmi e prospettive dell’estetica<br />

attuale. Hanno partecipato fra<br />

gli altri Hans Ulbrich Gumbrecht<br />

(Stanford), Gottfried Boehm (Basilea),<br />

Wolfgang Welsch (Bamberg),<br />

Jens Kulenkampff (Duisburg) e Ferdinand<br />

Fellmann (Müster). In questa<br />

occasione è stata anche fondata una<br />

“Società tedesca di estetica”.<br />

Organizzato dall’Accademia delle<br />

Scienze di Torino, dall’Istituo Italiano<br />

per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong>, dal Dipartimento<br />

di Filosofia dell’Università<br />

di Torino si è tenuto il 22 marzo,<br />

presso l’Accademia delle Scienze di<br />

Torino, un convegno dal titolo: Piero<br />

Martinetti nel cinquantenario della<br />

morte. Tra gli interventi: Norberto<br />

Bobbio: “Introduzione”; Girolamo<br />

De Liguori: “La cultura filosofica<br />

nella Torino di fine secolo”; Stefano<br />

Poggi: “Martinetti e i suoi ‘autori’<br />

tedeschi”; Massimo Ferrari: “L’interpretazione<br />

di Kant e di Hegel”;<br />

Dino Pastine: “Martinetti e la filosofia<br />

indiana”; Mario Miegge: “Martinetti<br />

e la teologia protestante”; Amedeo<br />

Vigorelli: “Mito, storia e simbolo<br />

nell’interpretazione del Cristianesimo”;<br />

Franco Alessio: “Martinetti filosofo<br />

popolare”.<br />

● Informazioni: Accademia delle<br />

Scienze, Via Accademia delle Scienze<br />

6, Torino, tel. 0<strong>11</strong>/5620047.<br />

Presso la Biblioteca Nazionale Braidense<br />

di Milano e con il contributo<br />

dell’Istituto Lombardo per gli <strong>Studi</strong><br />

<strong>Filosofici</strong> e Giuridici di Milano, la<br />

rivista “Informazione Filosofica” ha<br />

presentato la Enciclopedia Multimediale<br />

delle Scienze Filosofiche,<br />

prodotta dalla RAI-Dipartimento<br />

Scuola Educazione, in collaborazione<br />

con l’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong><br />

<strong>Filosofici</strong> e l’Istituto della Enciclopedia<br />

Italiana.<br />

Sono Intervenuti: Gerardo Marotta ,<br />

Mario Giacomini, Renato Parascandolo,<br />

Vittorio Fiorito, Remo Bodei,<br />

Carlo Sini; ha coordinato la manifestazione<br />

Riccardo Ruschi.<br />

● Informazioni: Redazione di “Informazione<br />

Filosofica”, Viale Monte<br />

Nero 68, Milano, tel 02/55190714.<br />

Nell’aprile <strong>1993</strong> a San Sebastian (Spagna)<br />

il dipartimento di filosofia dell’università<br />

basca indice il congresso<br />

internazionale: Categorie e intelligibilità<br />

della totalità. Il progetto<br />

ontologico e la riflessione attuale.<br />

Sono previste le seguenti sezioni:<br />

“Ontologia e storia dell’ontologia”;<br />

“Linguistica e storia della linguistica”;<br />

“Matematica e fisica teorica”;<br />

CALENDARIO<br />

63<br />

“Antropologia”. Sono previste inoltre<br />

sessioni speciali sull’ontologia del<br />

continuo, sul lavoro teoretico di René<br />

Thom e Pierre Boulez e una tavola<br />

rotonda su “L’arte e lo spazio”. Fra<br />

gli altri relatori: Ackrill (Oxford),<br />

Aubenque (Parigi), Berti (Padova),<br />

Küppers (Heidelberg), Thom (Parigi),<br />

Totok (Hannover), Tugendhat<br />

(Berlino), Vollmer (Braunschweig).<br />

● Informazioni: Victor Gomez Pin,<br />

Director Departamento de Filosofia,<br />

Universidad del Pais Vasco, APT-<br />

DO. 1249, E-20080 San Sebastian<br />

(Spagna).<br />

Il Centro Internazionale <strong>Studi</strong> di Estetica<br />

di Palermo ha organizzato per il 2<br />

aprile <strong>1993</strong> una Giornata di <strong>Studi</strong>o<br />

sul tema: L’estetica di Cesare Brandi.<br />

Sono previsti interventi introduttivi<br />

di Luigi Russo, Emilio Garroni, Paolo<br />

D’Angelo e Massimo Carboni.<br />

● Informazioni: Centro Internazionale<br />

<strong>Studi</strong> di Estetica, Università degli<br />

<strong>Studi</strong>, Viale delle Scienze, 90128<br />

Palermo.<br />

Dal 23 al 26 aprile <strong>1993</strong> si riunisce a<br />

Aix-en-Provence il Congresso<br />

europeo di filosofia analitica, organizzato<br />

dalla “European Society<br />

for Analytic Philosophy”. Vi saranno<br />

sezioni sui temi: “Etica”, “Filosofia<br />

della mente” e “Filosofia del linguaggio”.<br />

● Informazioni: J.-L. Azra, CREA,<br />

1, rue Descartes, F-75005 Paris.<br />

Nei giorni 28-30 aprile <strong>1993</strong>, presso<br />

la Facoltà di Lettere dell’Università<br />

di Chieti, si svolge un Convegno Internazionale<br />

su Christoph Clavius e<br />

l’attività scientifica dei Gesuiti nell’età<br />

galileiana. La parte centrale<br />

delle relazioni è dedicata ad aspetti<br />

specifici dell’opera di Clavius e della<br />

sua scuola nell’ambito della matematica,<br />

dell’astronomia, della meccanica;<br />

altre relazioni hanno invece<br />

per oggetto i nessi della scienza gesuitica<br />

con i problemi generali del pensiero<br />

dell’epoca e con la nascente<br />

scienza sperimentale.<br />

● Informazioni: Segreteria Convegno,<br />

Facoltà di Lettere, via N. Nicolini<br />

10, 66100 Chieti, tel. 0871/<br />

355561.<br />

L’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong>,<br />

l’Istituto nazionale di <strong>Studi</strong> sul<br />

Rinascimento e l’Istituto e Museo di<br />

Storia della Scienza hanno organizzato,<br />

dal 3 al 26 maggio <strong>1993</strong>, una<br />

serie di Seminari dal titolo: L’Umanesimo<br />

e il Rinascimento. Italiani<br />

in Europa. L’introduzione sarà di<br />

Eugenio Garin e il calendario avrà il<br />

seguente svolgimento: 3-5 maggio,<br />

Kurt Flasch: “Cusano e l’umanesimo<br />

italiano”; 4-5 maggio, Eugenio Garin:<br />

“La fortuna europea di Giovanni<br />

e Giovan Francesco Pico della Mirandola”;<br />

6-8 maggio, Giovanni Aquilecchia:<br />

“Giordano Bruno in Inghilterra”;<br />

6-8 maggio, Christian Bec:<br />

“Macchiavelli in Francia”; 17-19<br />

maggio, Pierre Jodogne: “L’Umane-<br />

simo italiano in Francia”; 24-26 maggio,<br />

Franco Bacchelli: “La diffusione<br />

europea dello Zodiacus Vitae di Palingenio<br />

Stellato; 24-26 maggio, Michel<br />

Lerner: “Tommaso Campanella<br />

in Francia”.<br />

● Informazioni: Istituto Italiano per<br />

gli studi <strong>Filosofici</strong>, via Monte di Dio<br />

14, 80132 Napoli.<br />

Dal 4 all’8 maggio a Donosta/San<br />

Sebastian (Spagna) si riunisce il Terzo<br />

Convegno Internazionale di<br />

Scienza Cognitiva. Si terranno sezioni<br />

su: “Rappresentazione e dinamiche<br />

in semantica e pragmatica”;<br />

“Formalizzazioni di modelli e complessità<br />

cognitive”; “Trattamento dell’informazione<br />

e comunicazione nei<br />

sistemi naturali”; “Convinzione, intenzione<br />

e azione”. Parleranno fra gli<br />

altri J. van Benthem, N. Block, P.<br />

Churchland, R. Cummins, F. Dretske,<br />

J. D. Fodor.<br />

● Informazioni: Dr. J. M. Larrazabal,<br />

Dept. of Logic and Philosophy of<br />

Science, Univ. Del Pais Basco. Apdo<br />

1249, E-20080 San Sebastian, Spagna.<br />

Dal 13 al 15 maggio <strong>1993</strong> si riunisce<br />

a Dijon il I Congresso della Società di<br />

studi kantiani di lingua francese, con<br />

il tema: L’anno 1793.<br />

● Informazioni: Société Bourguignonne<br />

de philosophie, Monsieur Jean<br />

Ferrari, Centre Municipal des Associations,<br />

Boîte H4, F-21068 Dijon<br />

Cedex.<br />

Per i giorni 20-23 maggio il Dipartimento<br />

di Filosofia dell’Università di<br />

Loyola (Chicago) ha organizzato una<br />

Conferenza Internazionale su: Etica<br />

come Filosofia Originaria? Il significato<br />

di Emanuele Levinas per<br />

la filosofia, la letteratura e la religione.<br />

I relatori sono: Babette Babich,<br />

Robert Bernasconi, Theo de Boer,<br />

Jack Caputo, Cathérina Chalier, Fabio<br />

Ciaramelli, Richard Cohen, Rebecca<br />

Comay, Simon Critchley, Arnold<br />

Davidson, Paul Davies, Robert<br />

Gibbs, Alphonso Lingis, John<br />

Llewelyn. Adriaan Peperzak, William<br />

Richardson, Jill Robbins, Charles<br />

Scott, Andrew Tallon, David Tracy,<br />

Hent de Vries, Bernard Waldenfels,<br />

Elisabeth Weber, Patricia Werhane,<br />

Merold Westphal, Edith Wyschogrod.<br />

● Informazioni: Beth Spina, Secretary<br />

of the Conference, Department<br />

of Philosophy, Crown Center for the<br />

Humanities, 344 Loyola University<br />

Chicago, 6525 N, Sheridan Road,<br />

Chicago IL.<br />

Dal 26 al 29 maggio si riunisce a<br />

Genova il secondo convegno della<br />

Società Montesquieu dal titolo:<br />

L’Europa di Montesquieu.<br />

● Informazioni: G. Benrekassa, 43<br />

rue Bezout, F-75014 Parigi.


Insegnare filosofia per unità<br />

didattiche<br />

Proseguendo un’iniziativa di ricerca<br />

già avviata da tempo, Vega Scalera ha<br />

pubblicato un nuovo quaderno della<br />

collana “Laboratorio didattico” della<br />

Nuova Italia, dedicato al tema: INSE-<br />

GNARE FILOSOFIA PER UNITÀ DIDATTICHE. UN<br />

MODELLO OPERATIVO (La Nuova Italia, Firenze<br />

1992). Il volume trae origine dall’esperienza<br />

acquisita presso il Dipartimento<br />

di Scienze dell’educazione<br />

dell’Università “La Sapienza” di Roma<br />

con la progettazione e l’attuazione di<br />

corsi di perfezionamento a distanza<br />

per insegnanti delle scuole secondarie<br />

superiori. Sulla proposta di un insegnamento<br />

della filosofia fondato sulla<br />

programmazione per “unità didattiche”<br />

si soffermano anche Laura Bolognini<br />

e Lucia Marchetti in un recente<br />

articolo, INSEGNARE FILOSOFIA. LA FI-<br />

LOSOFIA NEL CURRICOLO, apparso sulla<br />

rivista “Sensate esperienze” (n. 14,<br />

febbraio 1992).<br />

Il nuovo lavoro di Vega Scalera si presenta<br />

come l’esito, sul piano della proposta concreta,<br />

di una ricerca già avviata e finora<br />

orientata prevalentemente alla ricostruzione<br />

storica - potremmo anche dire: all’anamnesi<br />

- delle vicende, non sempre lineari,<br />

dell’insegnamento della filosofia in Italia.<br />

Ci riferiamo ai due precedenti volumi della<br />

stessa autrice, apparsi nella collana “Laboratorio<br />

didattico”: L’insegnamento della<br />

filosofia dall’Unità alla riforma Gentile<br />

(La Nuova Italia, Firenze 1990; vd. la nostra<br />

recensione sul n. 1 di questa rivista,<br />

dicembre 1990) e L’insegnamento della<br />

filosofia dalla riforma Gentile agli anni<br />

‘80 (ivi 1990). In questo secondo lavoro, in<br />

particolare, l’autrice aveva messo a fuoco<br />

le premesse storiche di una tradizione pedagogica<br />

che continua a plasmare il comportamento<br />

dei docenti di filosofia, favorendo<br />

«l’esercizio di una pratica didattica<br />

rigida, fortemente subalterna allo schematismo<br />

dei programmi e dei manuali, aristocraticamente<br />

chiusa alle sollecitazioni della<br />

più recente ricerca in campo psicopedagogico,<br />

didattico e delle tecnologie educative».<br />

DIDATTICA<br />

DIDATTICA<br />

a cura di Riccardo Lazzari<br />

La fuoriuscita da questa situazione di ritardo,<br />

provocata in definitiva dal retaggio<br />

della concezione educativa gentiliana, viene<br />

individuata dall’autrice, in questo suo<br />

nuovo lavoro, Insegnare filosofia per unità<br />

didattiche, nella proposta di una «gestione<br />

razionale dell’insegnamento della filosofia»,<br />

che consenta al tempo stesso ai docenti<br />

di «compiere esperienze significative di<br />

ricerca (nella) didattica». Ciò comporta in<br />

primo luogo l’abbandono, da parte dei docenti<br />

di filosofia, del tradizionale scetticismo<br />

nei confronti di una metodologia basata<br />

sulla costruzione di unità didattiche -<br />

scetticismo che nasce in definitiva dalla<br />

convinzione relativa alla eccezionalità della<br />

filosofia, alla sua intrinseca vocazione<br />

dialogica, la quale non consentirebbe di<br />

essere “ingabbiata” negli “schemi” della<br />

programmazione didattica. Di fatto questa<br />

convinzione convive per lo più con una<br />

certa passività del docente verso la tirannia<br />

dei programmi ministeriali, oppure con una<br />

indeterminatezza di fondo nel definire obiettivi<br />

e contenuti della disciplina. Diversamente<br />

la pianificazione di sequenze didattiche<br />

autosufficienti - in quanto conduce<br />

l’insegnante a precisare traguardi, a predisporre<br />

attività, a ideare procedure e forme<br />

di comunicazione, a verificarle nell’iter<br />

dell’apprendimento degli allievi - non solo<br />

consente di gestire in modo responsabile<br />

un insegnamento estremamente complesso,<br />

ma comporta la rinuncia a quella genericità<br />

di obiettivi (del tipo «sviluppo di<br />

capacità di astrazione», «di abilità espositive»),<br />

con cui viene per lo più surrogata,<br />

nei piani di lavoro approntati dai docenti,<br />

l’esigenza (in sé genuina) di un controllo<br />

sulla pratica dell’insegnamento filosofico.<br />

L’organizzazione sequenziale del processo<br />

didattico non costituisce un fatto puramente<br />

tecnico, ma conduce a una continua<br />

mediazione tra contenuti culturali e processi<br />

cognitivi, fra la specificità delle conoscenze<br />

disciplinari, via via selezionate in<br />

base al loro valore culturale e alle potenzialità<br />

cognitive implicite, e gli obiettivi comportamentali<br />

e cognitivi comuni all’intero<br />

curricolo durante il triennio, definiti in sede<br />

di programmazione collegiale. L’autrice<br />

insiste particolarmente sul fatto che la proposta<br />

di «operare per unità didattiche» si<br />

traduce in una continua attività di ricerca,<br />

64<br />

volta a valorizzare l’impegno costruttivo e<br />

la capacità di progettazione degli insegnanti,<br />

nella direzione di scoprire i livelli di congruenza<br />

tra contenuti culturali, processi<br />

d’ordine didattico e acquisizioni di conoscenze<br />

da parte degli allievi. Ed è soltanto<br />

in questa prospettiva che l’insegnante si<br />

pone consapevolmente in grado di superare<br />

quelle semplificazioni che troppo spesso<br />

accompagnano il suo iter didattico e che<br />

sono sovente sollecitate dalla stessa domanda<br />

degli studenti. Scalera non allude<br />

qui tanto ai rischi presenti in quella miniaturizzazione<br />

del sapere cui dà vita talvolta<br />

l’insegnante nello sforzo di mediazione tra<br />

contenuti culturali e capacità di apprendimento<br />

degli studenti, quanto invece alla<br />

stessa propensione di questi ultimi a una<br />

visione lineare di fenomeni culturali ben<br />

altrimenti complessi. Chiunque insegni<br />

conosce bene come nei giovani prevalga<br />

spesso un bisogno di procedere secondo<br />

una logica del «bianco o nero», evitando<br />

ambiguità e contraddizioni, secondo quella<br />

«intransigenza cognitiva» che nasce dalla<br />

«difficoltà a padroneggiare la multidimensionalità<br />

dell’esperienza» e che è propria<br />

della particolare fase di sviluppo nella formazione<br />

dell’identità personale degli adolescenti.<br />

Ma il lavoro per unità didattiche<br />

costituisce anche per gli studenti una situazione<br />

didattica nuova, lontana dalla “astrattezza”<br />

dell’insegnamento tradizionale, perché<br />

li impegna in una “sfida”, ovvero in<br />

un’esperienza di apprendimento fondata<br />

su livelli di operatività e concretezza (quali<br />

il lavoro di montaggio e smontaggio dei<br />

testi, il confronto tra linguaggi diversi, la<br />

ricerca di soluzione dei diversi problemi<br />

prospettati, la discussione in gruppo). Insomma,<br />

il lavoro sui testi, se inserito in una<br />

progettazione organica di unità didattiche,<br />

viene a costituire il nucleo centrale di quello<br />

che si potrebbe definire un “laboratorio<br />

di filosofia”, capace oltretutto di favorire<br />

una profonda modificazione dell’atteggiamento<br />

tradizionale dei giovani nei confronti<br />

dello studio.<br />

Il lavoro di Scalera offre infine un modello<br />

operativo di come si costruisce un’unità<br />

didattica, sviluppando il tema della filosofia<br />

cartesiana. Si tratta del risultato di una<br />

riflessione maturata all’interno di una precisa<br />

situazione educativa, partendo dal ten


tativo di ripensare la valenza formativa<br />

della filosofia in relazione ad una pluralità<br />

di dimensione conoscitiva, e lontana dalla<br />

pretesa di costituire qualcosa di definitivo,<br />

buono per tutti gli usi. E’ peraltro convinzione<br />

dell’autrice che «la costruzione di<br />

unità didattiche non può essere assunta in<br />

senso prescrittivo in relazione all’adeguamento<br />

ad un modello prestabilito, quanto<br />

come una procedura che consente agli insegnanti<br />

di controllare e regolare il processo<br />

formativo e di ipotizzare, verificandole,<br />

nuove e diverse soluzioni ai problemi in<br />

una prospettiva adattativa e individualizzante».<br />

Il volume presenta numerosi esercizi che<br />

devono condurre l’insegnante a familiarizzarsi<br />

con il lavoro per unità didattiche. Ma<br />

la parte più ricca del libro di Scalera è<br />

quella riservata alla documentazione di testi,<br />

di proposte e di riflessioni maturate<br />

soprattutto negli ultimi decenni. Sono per<br />

esempio ripubblicate alcune sezioni di unità<br />

didattiche elaborate, rispettivamente, da<br />

L. Bolognini e L. Marchetti (Insegnare<br />

filosofia, in “Sensate esperienze”, n. 1,<br />

1990), da D. Di Cesare (La filosofia: un<br />

approccio ermeneutico, in AA.VV., La<br />

Secondaria al lavoro, Giunti & Lisciani,<br />

Teramo 1989), da S. Tagliacozzo (Un’unità<br />

didattica di filosofia per il primo anno di<br />

corso, in “Nuova Secondaria”, n. 4, 1989).<br />

Compaiono anche articoli di A. Visalberghi<br />

(Problemi di formazione degli inse-<br />

DIDATTICA<br />

gnanti di filosofia, in “Bollettino della Società<br />

Filosofica italiana”, n. 106, 1979), di<br />

E. Becchi (<strong>Studi</strong>ar filosofia, in AA.VV.,<br />

Storia della filosofia come sapere critico.<br />

Scritti in onore di M. Dal Pra, Angeli,<br />

Milano 1984), di M. Dal Pra (La funzione<br />

dell’insegnamento della filosofia, in “Bollettino<br />

della Società Filosofica italiana”, n.<br />

106, 1979), di M. Laeng (La specificità<br />

dell’insegnamento filosofico, in ibidem),<br />

di M. Santi (Philosophy for Children: una<br />

proposta per “pensare” a scuola, in “Scuola<br />

e città”, n. 9, 1990) e numerose altre riflessioni,<br />

fra cui le testimonianze dirette di<br />

alcuni studenti.<br />

Da segnalare infine, tra questi articoli e<br />

prese di posizione riportati nel libro di<br />

Scalera, l’intervento del presidente dell’Associazione<br />

francese dei Professori di<br />

Filosofia J. Lefranc (La Formation des<br />

Professeurs de Philosophie en France,<br />

apparso originariamente nel volume a c. di<br />

V. Telmon, Filosofia e Formazione. Un<br />

colloquio europeo sui compiti del docente<br />

di filosofia nelle scuole secondarie e sulla<br />

formazione dei professori, Centro Stampa<br />

«Lo Scarabeo», Bologna 1985), il quale si<br />

sofferma sui principi e sulla metodologia<br />

formativa degli insegnanti di filosofia in<br />

Francia. L’autore mostra di nutrire alcuni<br />

dubbi sui recenti progetti tesi a creare in<br />

Francia dei centri specializzati di formazione<br />

per i futuri insegnanti di filosofia nei<br />

licei. «Abbiamo timore - scrive - dell’im-<br />

Giorgio De Chirico, Il filosofo e il poeta, particolare<br />

65<br />

perialismo di una certa pedagogia che si<br />

ritiene scientifica e che spesso nasconde<br />

un’ideologia che è tanto più pericolosa in<br />

quanto rimane implicita e avanza anche la<br />

pretesa di subordinare a sé la critica filosofica».<br />

A suo avviso «è la filosofia stessa, e<br />

non una scienza che le rimarrebbe esterna,<br />

che deve riflettere sulla sua pedagogia ed<br />

elaborarne la teoria», se è vero che il compito<br />

di insegnare la filosofia non consiste<br />

nella semplice trasmissione dei saperi mediante<br />

procedure didattiche più o meno<br />

efficaci, ma «nel riflettere filosoficamente<br />

di fronte agli allievi e insieme agli allievi».<br />

Si tratta di un compito al quale l’insegnante<br />

in Francia è chiamato sin dall’inizio, da<br />

quando cioè, appena nominato in ruolo,<br />

deve egli stesso costruire il suo corso,<br />

senza utilizzare alcun manuale nella sua<br />

classe, trovandosi nella condizione, così<br />

continua Lefranc, di «poter filosofare liberamente<br />

con delle giovani menti»: un lavoro<br />

difficile e lungo, ma anche di grande<br />

soddisfazione.<br />

E’ opportuno rilevare, in questo contesto,<br />

che con l’articolo: Insegnare filosofia. La<br />

filosofia nel curricolo (“Sensate Esperienze”,<br />

n. 14, 1992), Laura Bolognini e Lucia<br />

Marchetti hanno voluto riprendere il tema<br />

della loro precedente riflessione (si veda:<br />

Insegnare filosofia, in “Sensate Esperienze”,<br />

n. 8, 1990), nell’ottica di precisarne<br />

meglio i contorni teorici e i termini complessivi<br />

del discorso. Il nuovo articolo tie-


ne peraltro conto delle numerose prese di<br />

posizione e obiezioni di colleghi pubblicate<br />

sulla stessa rivista (si vedano gli articoli<br />

di M. Da Ponte Orvieto, in “Sensate esperienze”,<br />

n. 10, 1990; di P. Biancardi e M.<br />

Pinotti, ibidem, n. <strong>11</strong>, 1991; di P. Palmeri,<br />

ibidem, n. 13, 1991), nonché di altri recenti<br />

interventi (come gli articoli di F. Bianco,<br />

di J. Rohbeck e di V. Telmon, pubblicati<br />

su “Paradigmi”, VIII, n. 23, 1990; di M. De<br />

Pasquale e P. Porcelli, ibidem, VIII, n. 24,<br />

1990; di S. Belvedere e G. Magistrale,<br />

ibidem, IX, n. 25, 1991; e di B Coppola,<br />

ibidem, IX, n. 26, 1991). Ma questo nuovo<br />

contributo vuole essere anzitutto una riflessione<br />

“sul campo”, vale a dire una<br />

svolta da parte di chi è quotidianamente<br />

impegnato nei problemi dell’insegnamento<br />

della filosofia e si interroga concretamente<br />

sulla funzione della filosofia nel<br />

curricolo di studi. Non a caso l’articolo è<br />

arricchito da uno “strumentario” che riporta<br />

progetti e piani di lavoro elaborati da<br />

consigli di classe.<br />

Il presupposto teorico di fondo della riflessione<br />

di Bolognini e Marchetti è che «la<br />

ricomposizione della tradizione culturale<br />

richieda di trasmettere conoscenze intorno<br />

a snodi forti collocati in un tempo, per<br />

comodità o per sicurezza, lineare». Progettare<br />

un’insegnamento della filosofia che<br />

sappia coniugare il metodo storico con<br />

quello problematico significa individuare,<br />

all’interno della tradizione culturale europea,<br />

quei momenti salienti, paradigmatici e<br />

ad ampio spettro, che hanno lasciato tracce<br />

persistenti. Tale progettazione richiede di<br />

condurre un lavoro sui testi, la cui scelta<br />

«deve consentire di tracciare un reticolo<br />

consistente di problemi, permanenze, novità,<br />

silenzi o cesure, preparatorio al dialogo<br />

fra testi e fra autori, entro lo snodo e fra<br />

gli snodi».<br />

Convegni<br />

Dal 2 al 4 novembre 1992 si è svolta a<br />

S. Margherita Ligure (Genova) la seconda<br />

parte del seminario di aggiornamento<br />

sull’insegnamento della filosofia<br />

istituito con D.M. 30/<strong>11</strong>/91. Il<br />

programma dei lavori, assai intenso,<br />

era anche questa volta finalizzato all’approfondimento<br />

e al confronto tra<br />

docenti della scuola media superiore<br />

sulla proposta didattica relativa al<br />

“progetto Brocca” di riforma dei programmi.<br />

A differenza del primo (si veda il resoconto<br />

sul n. 7 di questa rivista, maggio 1992),<br />

questo secondo modulo si è concentrato su<br />

proposte concrete provenienti da Istituti<br />

Sperimentali. I partecipanti sono quindi<br />

entrati nel merito dei nuovi criteri metodologici<br />

che emergono da una lettura più<br />

attenta del progetto Brocca. Organizzato<br />

DIDATTICA<br />

ancora una volta dal Preside Rembado del<br />

liceo “De Vigo” di Rapallo e coordinato<br />

dall’Ispettrice ministeriale A. Costantini<br />

Sgherri, il seminario si è confermato come<br />

laboratorio di ricerca didattica. Più volte<br />

infatti è emerso che l’Università, proiettata<br />

verso ricerche specialistiche, appare per lo<br />

più estranea ai problemi dell’insegnamento,<br />

salvo l’apporto di alcuni docenti interessati<br />

alla didattica della filosofia, sicché<br />

spetta all’iniziativa e all’inventiva dei docenti<br />

della scuola media superiore trovare<br />

luoghi e modi opportuni per rinnovarsi. E a<br />

proposito dell’aggiornamento, che è anche<br />

informazione oltre che riqualificazione,<br />

Sgherri ha invitato i presenti ad entrare<br />

nell’ottica della scuola-laboratorio, superando<br />

la dimensione individualistica del<br />

lavoro e sperimentando itinerari diversi<br />

che possano però essere leggibili all’esterno<br />

e costituire quindi materiale di ricerca.<br />

L’esperienza sul campo e l’utilizzo delle<br />

tecnologie più avanzate (computer e telematica)<br />

vengono così a costituire le basi<br />

del rinnovamento professionale dell’insegnante.<br />

Particolarmente stimolante è stata l’ampia<br />

relazione di Evandro Agazzi sui temi centrali<br />

della ricerca filosofica, affrontati anche<br />

in riferimento ai paesi del Terzo Mondo<br />

e del mondo islamico. Significativa,<br />

data anche la sua esperienza internazionale,<br />

è stato il richiamo di Agazzi a ricercare<br />

e adottare un approccio e un linguaggio<br />

filosofici specifici, che ancora oggi devono<br />

qualificare l’insegnamento della filosofia<br />

nella scuola secondaria superiore italiana.<br />

Si sono quindi aperti i lavori di gruppo,<br />

riproposti nella suddivisione adottata nel<br />

precedente convegno, che ha permesso<br />

un’accelerazione nello scambio di esperienze<br />

e nella produzione di materiali di<br />

lavoro. Sulla base di precise e interessanti<br />

proposte di unità didattiche elaborate sul<br />

“progetto Brocca” da parte di insegnanti<br />

del liceo “Ariosto” di Ferrara, del “Copernico”<br />

di Bologna e del “Majorana” di Rho,<br />

si è discusso a lungo al fine di individuare<br />

criteri didattici, strategie metodologiche e<br />

di verifica atte a realizzare un rinnovamento<br />

dell’insegnamento. I gruppi hanno quindi<br />

elaborato materiali senz’altro utili per un<br />

primo, ampio approccio ai diversi problemi.<br />

La pubblicazione degli Atti favorirà il<br />

diffondersi di tutte queste esperienze. Ancora<br />

una volta l’aspetto più interessante del<br />

seminario si è rivelata la possibilità di un<br />

confronto aperto e problematico tra realtà<br />

diverse ed istanze differenti; si è quindi<br />

confermata l’opportunità di procedere sul<br />

piano locale, favorendo forme di coordinamento<br />

sia a livello regionale, sia comunale,<br />

sia fra singole scuole, nell’ottica di un<br />

continuo scambio di esperienze. Entro il<br />

prossimo anno molte scuole infatti saranno<br />

dotate di una avanzata rete computerizzata<br />

di comunicazione. Si confida pertanto negli<br />

insegnanti e nell’uso intelligente delle<br />

macchine. S.C.V.<br />

66<br />

TOLLERANZA E LIBERTÀ: STORIA E ATTUALITÀ<br />

DI UN’IDEA è stato l’argomento di una<br />

tavola rotonda svoltasi il 29 ottobre<br />

1992 presso l’Università degli <strong>Studi</strong> di<br />

Milano con una duplice finalità: aggiornare<br />

gli insegnanti della scuola<br />

media superiore intorno alla ricerca<br />

universitaria e al contempo indicare<br />

possibili percorsi didattici, con sperimentate<br />

esemplificazioni di lettura dei<br />

testi in relazione ad uno specifico tema<br />

di attualità.<br />

L’idea è nuova, il progetto è appena nato e<br />

si spera che questa prima realizzazione sia<br />

la tappa iniziale di un percorso a lunga<br />

scadenza. Del resto la nuova sperimentazione<br />

di filosofia che il Ministero sta proponendo<br />

in diverse scuole italiane, sulla<br />

base dei programmi elaborati dalla “commissione<br />

Brocca” della scorsa legislatura,<br />

prospetta l’individuazione di percorsi didattici<br />

da approfondire con la lettura diretta<br />

dei testi filosofici. Risulta pertanto opportuno<br />

collocarsi nella prospettiva di un autoaggiornamento,<br />

per il quale tuttavia è necessario<br />

l’apporto scientifico della ricerca<br />

universitaria, da un lato, e l’esperienza<br />

didattica, già verificata sul campo, dall’altro.<br />

L’iniziativa in questione è nata su proposta<br />

di L. Pozzi d’Amico (Liceo “Einstein” di<br />

Milano) in sede di Direttivo della Sezione<br />

Lombarda della Società Filosofica Italiana,<br />

presieduto da E. Rambaldi, presidente<br />

neo-eletto. D’Amico invitava i docenti<br />

universitari ad un approccio nuovo al problema<br />

dell’aggiornamento, tale da garantire<br />

scientificità e al tempo stesso da sollecitare<br />

i docenti liceali all’elaborazione di<br />

modelli metodologici e di contenuto, capaci<br />

di riproporre sul piano dell’insegnamento<br />

liceale i moduli propri, ma non esclusivi,<br />

della ricerca universitaria. L’idea veniva<br />

accolta con interesse da M. Del Torre,<br />

coordinatrice di un gruppo di studio di<br />

ricerca didattica della SFI lombarda, che da<br />

lungo tempo auspica un’integrazione tra<br />

Università e Scuola secondaria superiore<br />

su tematiche di attualità, pur collocate nella<br />

loro dimensione storica. La proposta dunque<br />

poteva realizzare un collegamento fra<br />

la tradizione e l’attualità in una prospettiva<br />

unitaria di forte rilievo metodologico. A<br />

seguito di queste considerazioni si costituiva<br />

quindi un comitato ristretto che elaborava<br />

modi e tempi di realizzazione del<br />

progetto.<br />

Nella prima iniziativa pubblica tenutasi<br />

presso l’Università degli <strong>Studi</strong> di Milano<br />

F. De Michelis (Università di Pavia) ha<br />

presentato con chiarezza e rigore la prospettiva<br />

storica del problema della tolleranza,<br />

definendone le radici storiche nel<br />

XV secolo. Hanno fatto seguito due esemplificazioni<br />

didattiche di lettura di testi,<br />

l’una di S. Creperio (Liceo Parini) sull’Epistola<br />

de tolerantia di J. Locke, l’altra<br />

di Pozzi d’Amico su La passeggiata dello<br />

scettico di Diderot. L’intervento conclusivo<br />

di S. Veca ha sottolineato il carattere


REVUE PHILOSPHIQUE DE LOUVAIN<br />

Vol. 90, agosto 1992<br />

Istitut Supérieur de Philosophie<br />

Louvain La Neuve<br />

Sophistique et ontologie, di S. Breton: ogni<br />

seria riflessione sull’ontologia deve passare,<br />

ancor oggi, attraverso il Libro ‘Gamma’<br />

della Metafisica di Aristotele; in quest’ottica<br />

si colloca il libro di B. Cassin e M.<br />

Narcy: La décision du sens (Vrin, Paris<br />

1989).<br />

Aristote et la séparation, di M. Bastit: la<br />

nozione aristotelica di separazione può essere<br />

trasposta, dalla sua origine fisica, in<br />

psicologia e filosofia prima, determinando<br />

il trionfo dell’atto e della forma. Essa consente<br />

quindi di tracciare una gerarchia che<br />

si eleva dal meno separabile al totalmente<br />

separabile attraverso la realtà mista.<br />

De Baumgarten à Kant: sur la beauté, di H.<br />

Perret: l’estetica sistematica di Baumgarten<br />

ricostruisce le condizioni generali della<br />

creatività estetica e determina le caratteristiche<br />

generali dell’oggetto bello. Nella<br />

Critica del Giudizio Kant riprenderà proprio<br />

da Baumgarten l’idea che l’esperienza<br />

estetica sia un giudizio e che il giudizio<br />

estetico presupponga una sensibilità per<br />

l’individuale.<br />

REVUE PHILOSOPHIQUE<br />

DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER<br />

n. 2, aprile-giugno 1992<br />

PUF, Paris<br />

Tema della rivista: “Hume”<br />

La fonction du droit et la question du lien social<br />

chez Hume et Montesquieu, di P.L.<br />

Autin.<br />

Le système chez Hume. Une écriture stratégique<br />

et théâtrale, di M. Biziou: l’articolo<br />

analizza il sistema in Hume a partire da due<br />

questioni centrali: perchè la filosofia si deve<br />

costruire come sistema per pensare se stessa<br />

ed il suo oggetto? Rinunciando alla scrittura<br />

sistematica, la filosofia può restare tale? Il<br />

problema viene affrontato prendendo le<br />

mosse da due metafore humeane, la strategia<br />

RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />

RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />

a cura di Silvia Cecchi<br />

ed il teatro, e in un confronto tra il Trattato e<br />

i Saggi.<br />

Sympathie et individualité dans la philosophie<br />

politique de David Hume, di F.<br />

Brahami: la filosofia politica di Hume si<br />

costruisce a partire da due principi che<br />

sembrano diversi e quasi contraddittori:<br />

l’interesse e la simpatia. L’articolo chiarifica<br />

il rapporto tra questi due principi, evidenziando<br />

come il dualismo sia solo apparente,<br />

perchè la coerenza della teoria si<br />

basa sul concetto di individualità.<br />

“Fiat lux”: une philosophie du sublime, di<br />

B. Saint-Girons: presentazione della discussione<br />

di dottorato presso l’Università<br />

di Parigi.<br />

REVUE PHILOSOPHIQUE<br />

DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER<br />

n. 3, luglio-settembre 1992<br />

PUF, Paris<br />

Tema della rivista: “Realismo e idealismo<br />

nelle scienze”.<br />

Emile Meyerson, philosophe oublié di J.<br />

Largeault: sulla figura e l’opera di Emile<br />

Meyerson (1859-1933).<br />

Les quatre causes de Bunge à Aristote, di<br />

M. Espinoza: un confronto tra la concezione<br />

aristotelica delle quattro cause e quella<br />

della causalità nella scienza moderna e<br />

contemporanea, con riferimento particolare<br />

a Mario Bunge, rappresentante del realismo<br />

scientifico.<br />

Brève note sur l’intuitionnisne de Brouwer,<br />

di J. Largeault.<br />

ARCHIVES DE PHILOSOPHIE<br />

Vol. 55, ottobre-dicembre 1992<br />

Beauchesne, Paris<br />

Tema della rivista: “Hobbes e Locke”.<br />

Contexte des rapports intellectuels entre<br />

Hobbes et Locke, di J. Rogers: nonostante<br />

67<br />

i numerosi studi comparati tra i due filosofi,<br />

con particolare attenzione alle rispettive<br />

teorie politiche, non tutti gli aspetti dei<br />

possibili legami tra Locke e Hobbes sono<br />

stati esaurientemente analizzati. Da questo<br />

punto di vista l’articolo intende esaminare<br />

il rapporto di entrambi con Boyle e la sua<br />

concezione del metodo scientifico; la disputa<br />

Boyle-Hobbes sulla possibilità del<br />

vuoto può costituire un punto chiave per<br />

chiarire alcuni aspetti del rapporto Hobbes-Locke.<br />

Le discours mental selon Hobbes, di M.<br />

Pécharman.<br />

Le mythe de l’intériorité chez Locke, di G.<br />

Brykman: a partire dal libro di J. Bouveresse,<br />

Le muthe de l’intériorité (Paris, Minuit,<br />

1976), l’articolo analizza la concezione<br />

lockeana del linguaggio in rapporto alla<br />

nozione di Wittgenstein di linguaggio privato.<br />

La propriété chez Hobbes, di Y.C. Zarka:<br />

alla luce del rapporto tra Hobbes e Grozio<br />

è possibile analizzare la concezione hobbesiana<br />

della proprietà da tre punti di vista: la<br />

riduzione politica del problema della proprietà,<br />

il dominio privato e politico, pensato<br />

in termini di proprietà, la teoria della<br />

sovranità. L’articolo si sviluppa pertanto<br />

tenendo presenti tre coppie di concetti:<br />

dominium/proprietas, dominium/potestas,<br />

dominium/auctoritas.<br />

La propriété dans la philosophie de Locke,<br />

di S. Goyard Fabre: il concetto di communio<br />

fundi originari, corollario della legge<br />

divina, avente valore di postulato, rappresenta<br />

un aspetto cruciale per comprendere<br />

la questione della proprietà in Locke, al di<br />

là dell’analisi della proprietà reale.<br />

Le roman philosophique de l ‘humanité<br />

chez Hobbes et chez Locke, di F. Tricaud:<br />

un confronto tra Hobbes e Locke sulla<br />

teoria dello Stato; se per Hobbes l’esistenza<br />

dello Stato garantisce i diritti limitati ed<br />

inviolabili di ciascuno, per Locke è inutile<br />

il ricorso al contratto, ma è sufficiente la<br />

legge di nartura a definire le regole fondamentali<br />

della condotta giusta.<br />

Filmer, Hobbes, Locke: les cassures dans


l’espace de la théorie politique, di F. Lessay:<br />

l’analisi della famiglia presente nei tre<br />

autori.<br />

Locke et l’intentionnalité: le problème de<br />

Molyneux, di J. M. Vienne.<br />

Intuition et intuitionisme, di J. Largeault:<br />

l’intuizione nella filosofia, nella psicologia,<br />

nella metafisica e nella concezione<br />

matematica di Brouwer.<br />

REVUE INTERNATIONALE<br />

DE PHILOSOPHIE<br />

Vol. 46, n. 3, 1992<br />

Universa, Wetteren<br />

Tema della rivista: “Pierre Duhem”.<br />

To save the phenomena: Duhem on Galileo,<br />

di M. A. Finocchiaro: l’articolo rivaluta<br />

l’interpretazione di Galileo data da<br />

Duhem, che con la sua definizione dell’ideale<br />

di unità della fisica appare molto<br />

vicino al realismo di Galileo.<br />

Physique de croyant? Duhem et l’autonomie<br />

de la science, di A. Boyer: il legame<br />

problematico in Duhem tra scienza e metafisica.<br />

Duhem and continuity in the history of the<br />

science, di R. Ariew e P. Barker.<br />

A reappraisal of Duhem’s conception of<br />

scientific progress, di B. S. Baigrie.<br />

Measurement and principles: the structure<br />

of physical theories, di A. Kremer-Marietti:<br />

a partire dagli scritti di Duhem sulla<br />

teoria della relatività e dei quanta, l’articolo<br />

mostra come il suo metodo rimanga<br />

pertinente nonostante gli sconvolgimenti<br />

operati sulla fisica contemporanea da queste<br />

teorie.<br />

Duhem et l’atomisme, di R. Majocchi: la<br />

critica di Duhem all’atomismo.<br />

Duhem face au post-positivisme, di A. Brenner:<br />

la riflessione di Duhem e quella postpositivista<br />

hanno in comume l’analisi del<br />

ruolo della storia della scienza nell’epistemologia.<br />

ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHISCHE<br />

FORSCHUNG<br />

Vol. 46, n. 2, aprile-giugno 1992<br />

Klostermann, Frankfurt a/M.<br />

“Was darf ich hoffen?”, di E. Förster: il<br />

problema kantiano della conciliazione di<br />

ragion pratica e teoretica.<br />

Kants Wahrnehmungsurteile als Erbe Humes?,<br />

di D. Lohmar.<br />

RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />

Zähmung des Bösen?, di G. Schönrich: le<br />

riflessioni di Kant sui problemi della teodicea<br />

leibniziana.<br />

Symbolische Erkenntnis bei Leibniz, di S.<br />

Krämer: la distinzione tra forma intuitiva e<br />

forma simbolica della conoscenza proposta<br />

da Leibniz nelle Meditazioni del 1684.<br />

Theodizee oder Kulturgeschichte des Bösen?<br />

Anmerkungen zum gegenwärtigen<br />

Diskurs, di C. F. Geyer.<br />

Wissen, Glauben, Nicht-Wissen, di A. Stephan:<br />

Freud e la logica epistemica.<br />

ARCHIV FÜR GESCHICHTE<br />

DER PHILOSOPHIE<br />

Vol. 72, n. 2, 1992<br />

Walter de Gruyter, Berlin, New York<br />

Latin Averroes on the divisibility and selfmotion<br />

of the elements, di R. F. Hassing e E.<br />

M. Macierowski: il problema della causalità<br />

e del moto naturale degli elementi è<br />

stato al centro del dibattito filosofico-scientifico<br />

fino a Galileo; l’articolo prende in<br />

esame la posizione di Averroè nel suo<br />

‘Commentario’ alla Fisica di Aristotele,<br />

con particolare attenzione ai paragrafi II 1,<br />

VII 1, VIII 4, VIII 5.<br />

Rabbi Lewi ben Gerschom (Gersonides)<br />

und die Bedingungen wissenschaftlichen<br />

Fortschritts im Mittelalter: Astronomie,<br />

Physik, erkenntnistheoretischer Realismus<br />

und Heilslehere, di G. Freudenthal.<br />

Immortalitas oder Immaterialitas, di T.<br />

Ebert: un’analisi dei sottotitoli apposti da<br />

Cartesio alle due edizioni, quella di Parigi<br />

del 1641 e quella di Amsterdam del 1642,<br />

delle Meditationes.<br />

JOURNAL OF THE HISTORY<br />

OF PHILOSOPHY<br />

Vol. XXX, n. 3, Luglio 1992<br />

Washington University, St. Louis<br />

Degrees of finality and the highest good in<br />

Aristotle, di H. R. Richardson: una certa<br />

ambiguità da parte di Aristotele nella formulazione<br />

della nozione di Bene supremo<br />

ha dato origine ad una serie di interpretazioni<br />

spesso in contrasto tra di loro. L’articolo<br />

intende mettere in luce come una<br />

corretta analisi di questa nozione non possa<br />

prescindere da quella di fine ultimo.<br />

Augustine and Aquinas on original sin and<br />

the function of political authority, di P. J.<br />

Weithman: la riscoperta delle Etiche, ma<br />

soprattutto della Politica di Aristotele ha<br />

determinato una svolta cruciale nelle elaborazioni<br />

delle teorie politiche del Medioevo.<br />

E’ sotto questa luce che può essere<br />

68<br />

letta la differenza tra la teoria politica di<br />

Agostino e quella di Tommaso. In particolarte,<br />

se per Tommaso appare centrale il<br />

forte legame che il cittadino sente con il<br />

bene comune della società politica, legame<br />

che costituisce la base di una vera e<br />

propria virtù etica, Agostino nega che si<br />

possa parlare di virtù. Il cambiamento di<br />

prospettiva sulla nozione di virtù civile e<br />

bene comune dipende proprio dalla rilevanza<br />

della lezione aristotelica.<br />

Descartes and dream skepticism revisited,<br />

di R. Hanna: la riflessione antiscettica cartesiana<br />

nelle Meditationes.<br />

The Molyneux Problem, di M. Lievers: la<br />

questione posta da Molyneux circa la relazione<br />

tra le idee acquisite attraverso il tatto<br />

e quelle acquisite attraverso la vista sono al<br />

centro delle analisi lockeane nel Saggio.<br />

L’articolo prende in esame il problema di<br />

Molyneux in relazione alle teorie cartesiane,<br />

discutendo poi come esso venga affrontato<br />

da Locke e da Berkeley.<br />

Lichtenberg and Kant on the subject of<br />

thinking, di G. Zoeller: contro una certa<br />

tradizione storiografica che vorrebbe porre<br />

Lichtenberg (1742-1799) ed il suo aforisma<br />

Es denkt sulla scia humeana e quindi in<br />

opposizione a Cartesio, l’articolo vuole piuttosto<br />

dimostrare che egli è molto vicino alle<br />

posizioni di Kant, pur non riuscendo a cogliere<br />

fino in fondo la complessità della<br />

teoria kantiana dell’autocoscienza. Alla luce<br />

di queste considerazioni l’articolo mostra<br />

comunque anche la differenza tra la posizione<br />

di Lichtenberg e l’Io penso kantiano,<br />

comcludendo con una valutazione critica dei<br />

due pensatori.<br />

PARADIGMI<br />

Vol. X, n. 30, settembre-dicembre 1992<br />

Schena Editore, Brindisi<br />

Appaiono in questo fascicolo monografico<br />

alcuni interventi al Convegno Internazionale<br />

su: “Dialogo interculturale ed eurocentrismo”,<br />

tenutosi a Roma dal 27 al 29<br />

maggio 1991 ed organizzato dal Dipartimento<br />

di Filosofia e Teoria della Scienza<br />

dell’Università “La Sapienza” di Roma, in<br />

collaborazione con il Goethe Institut. Ad<br />

esse è stato aggiunto il testo della conferenza<br />

pronunciata nell’Università di Bari da P.<br />

Matvejevic il 12 marzo 1992.<br />

Come si sottolinea nella presentazione, la<br />

pubblicazione di questo fascicolo è, da un<br />

lato, motivata dalla persuasione che il dialogo<br />

tra le culture, che sono forme, autointerpretazioni<br />

e cifre della vita dei popoli, è<br />

urgente e ineludibile necessità dell’odierna<br />

situazione mondiale, dall’altro è sorretta<br />

dalla speranza che le culture riescano<br />

effettivamente a dialogare, ossia a riconoscersi<br />

e a rispettarsi nelle differenze delle<br />

rispettive identità e a non avere preconcette<br />

diffidenze ed ostilità per le nuove iden-


tità e per le nuove combinazioni e sintesi<br />

che dalla continuità del dialogare possono<br />

sortire. Anche attraverso il dialogo fra le<br />

culture passa e si consolida la pace tra i<br />

popoli e l’umanità si difende dai sempre<br />

possibili ricorsi della barbarie”.<br />

Visioni del mondo e rapporti tra le culture,<br />

di F. Bianco.<br />

La fenomenologia come “medium” di ricerca<br />

interculturale dal punto di vista orientale,<br />

di Kah Kyung Cho.<br />

L’importanza culturale dell’Islam, di R.<br />

Garaudy.<br />

La tonalità emotiva fondamentale dell’Europa<br />

e la comunicazione interculturale, di<br />

K. Held.<br />

Il problema dell’altro nell’universalismo<br />

occidentale, di A. M. Iacono.<br />

La tecnologia e la vendetta della cultura, di<br />

D. Ihde.<br />

Sulle nozioni di cultura nazionale, di P.<br />

Matvejevic.<br />

La filosofia indiana e quella occidentale<br />

sono radicalmente differenti?, di J. Mohanty.<br />

Eurocentrismo, eurocentricità e dis-europeizzazione,<br />

di T. Ogawa.<br />

Cultura europea e religiosità giapponese,<br />

di R. Venturini.<br />

Cultura propria e cultura estranea; Il paradosso<br />

di una scienza dell’estraneo, di B.<br />

Waldenfels.<br />

Transculturalità. Forme di vita dopo la<br />

dissoluzione delle culture, di W. Welsch.<br />

AUT-AUT<br />

n. 251, settembre-ottobre 1992<br />

La Nuova Italia, Firenze<br />

La prima parte della rivista si occupa del<br />

libro di G. Bateson, Dove gli angeli esistano<br />

(Adelphi, Milano 1987) e comprende<br />

alcune note dello stesso Bateson (La creatura<br />

e la sua creazione), un intervento di<br />

Mary Catherine Bateson sulla genesi del<br />

testo (Come é nato ‘Angel Fear’), e quattro<br />

contributi che prendono spunto da questo<br />

libro: Il meta-libro di Bateson, di A. Dal<br />

Lago; Il fine non perseguibile. Su Bateson<br />

e la “non-comunicazione”, di R. De Biasi;<br />

La regola di Bateson, di G. Gabetta; Un<br />

occhio appeso al collo, di P. A. Rovatti.<br />

Il sacro, di S. Givone: partendo dalla questione<br />

del senso in cui si possa parlare oggi<br />

di Dio, l’articolo, attraverso una rilettura<br />

RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />

della “morte di Dio” nietzscheana e la<br />

proposta di lettura heideggeriana, ci riporta<br />

all’esperienza del sacro.<br />

Spirito e malinconia, di G. Carchia: la<br />

malinconia tra medicina e filosofia nell’analisi<br />

antica, moderna e contemporanea.<br />

L’utopia del visibile. Note sull’ermeneutica<br />

dell’immagine a partire dalla Romantik,<br />

di F. Vercellone.<br />

Una visione pragmatista della razionalità<br />

e della differenza culturale, di R. Rorty.<br />

RIVISTA DI FILOSOFIA<br />

NEOSCOLASTICA<br />

Vol. LXXXIV, n. 1, gennaio-marzo 1992<br />

Vita e Pensiero, Milano<br />

L’Epinomide o della religione entro i limiti<br />

della ragione, di D. Pesce: benchè questo<br />

dialogo si collochi all’interno del platonismo,<br />

sia per i rimandi alle Leggi, sia per i<br />

contenuti dottrinari, l’autore non condivide<br />

l’ipotesi da più parti accreditata che il<br />

dialogo sia effettivamente da attribuire a<br />

Platone e preferisce assegnarne la paternità<br />

a Filippo di Opunte che, pur muovendosi<br />

nell’ambito del platonismo, avrebbe qui<br />

voluto esporre una sua dottrina, utilizzando<br />

quindi liberamente i testi di Platone.<br />

Il rinnovamento della filosofia nella Dialectica<br />

di Lorenzo Valla, di M. Laffranchi:<br />

in quest’opera di Valla sono presenti alcuni<br />

nodi tematici che rappresentano il fulcro<br />

del pensiero logico e filosofico dell’autore;<br />

l’articolo compie una disamina dei concetti<br />

retorici, logici e filosofici di questo testo.<br />

La “dialectique” de Schleiermacher et l’absolu<br />

schellingien, di E. Brito: dopo aver<br />

delineato l’evoluzione dei rapporti tra<br />

Schelling e Schleiermacher, sottolineando<br />

poi in che senso la filosofia di Schelling<br />

possa aver influito sugli sviluppi a livello<br />

logico, epistemologico e ontologico della<br />

Dialektik di Schleiermacher, l’articolo si<br />

incentra sul confronto tra la concezione del<br />

rapporto tra Dio e mondo nella Dialektik e<br />

la teoria dell’Assoluto nel sistema schellinghiano<br />

dell’identità.<br />

Autocoscienza e conoscenza nel “primo<br />

Rosmini”, di P. De Lucia: l’articolo prende<br />

in esame un libro del giovane Rosmini, La<br />

coscienza pura, che ha come oggetto l’autocoscienza,<br />

per interpretarlo in rapporto al<br />

problema della conoscenza. Si fa anche il<br />

punto sulla scarsa attenzione che la critica<br />

ha sempre prestato a questo scritto.<br />

Analogia storica ed esperienza trascendentale.<br />

La “metaistorica” di Max Müller,<br />

69<br />

di P. Volonté.<br />

La metafisica segreta di Kant. Su un recente<br />

saggio di Virgilio Melchiorre, di S.<br />

Mancini: recensione di V. Melchiorre: Analogia<br />

e analisi trascendentale. Linee per<br />

una nuova lettura di Kant (Mursia. Milano,<br />

1991).<br />

FILOSOFIA OGGI<br />

Vol. XV, n. 60, ottobre-dicembre 1992<br />

Edizioni dell’arcipelago, Genova<br />

L’être, épreuve de la pensée (II), di P.<br />

Rostenne: una riflessione ontoteologica sul<br />

rapporto tra Essere e Dio.<br />

Ein berühmtes Beispiel künstlicher Intelligenz<br />

in der Natur: der Zellenbau der Honigbienen,<br />

di M. Casula: attraverso una ricostruzione<br />

storica che parte da Pappo (IV<br />

sec. a. C. ) fino ai giorni nostri, l’articolo<br />

intende delineare in termini matematici il<br />

miracolo naturale della costruzione di un’alveare.<br />

La natura fornisce esempi di altissime<br />

operazioni di intelligenza paragonabili<br />

alle operazioni dei computers.<br />

L’analogia fra competenza trascendentale<br />

e fondamento trascendente nella dialettica<br />

di Schleiermacher, di M. G. Lombardo.<br />

Lineamenti per una filosofia dell’intersoggettività,<br />

di R. Rossi: la relazione tra fondamento<br />

della conoscenza, limite e relazione;<br />

una rilettura storica.<br />

“Humanisme de la liberté dans la perspective<br />

de l’humanisme legazien, di J. M. Trigeaud:<br />

il sistema di Legaz y Lacambre può<br />

essere visto in termini di un umanesimo<br />

della libertà, che pone al centro della speculazione<br />

etica la persona.<br />

AQUINAS (Vol. XXXV, maggio-agosto<br />

1992, Università Lateranense) presenta un<br />

intervento di M. Bunge dal titolo Sette<br />

paradigmi cosmologici: l’animale, la scala<br />

,il fiume, la nuvola, la macchina, il libro<br />

e il sistema dei sistemi in cui vengono<br />

analizzati i paradigmi cosmologico dell’olismo,<br />

secondo cui il mondo è un animale;<br />

della visione gerarchica, che considera<br />

il mondo come un insieme stratificato, dell’atomismo,<br />

la cui metafora è la nuvola; del<br />

punto di vista dinamico, per il quale il<br />

mondo è un fiume senza sponde; del meccanicismo,<br />

per cui il mondo è un orologio;<br />

del testualismo, per il quale il mondo è una<br />

sorta di libro. Di questi paradigmi vengono<br />

indicate le caratteristiche ed il loro valore<br />

alla luce della scienza contemporanea. Troviamo<br />

inoltre: L’immagine della donna<br />

secondo Ortega y Gasset, di A. Savignano;<br />

Dialettica di fantasia e logos nella nozione<br />

di mito secondo Aristotele, di D. Prisco;<br />

San Tommaso e Hegel per una teodicea


RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />

cristologica, di M. Mangiagalli.<br />

AESTHETICA (n. 35, agosto 1992, Centro<br />

internazionale <strong>Studi</strong> di Estetica, Palermo)<br />

pubblica gli interventi al Seminario dal<br />

titolo: Laocoonte 2000, promosso dal Centro<br />

internazionale <strong>Studi</strong> di Estetica (Palermo<br />

1-2 novembre 1992).<br />

ANNALI UGO SPIRITO 1991 (Vol. III,<br />

Fondazione Ugo Spirito, Roma 1992). Presenta,<br />

accanto a saggi su Ugo Spirito (L’idea<br />

di Roma nel pensiero di Giovanni Gentile<br />

e Ugo Spirito, di H. A. Cavallera; 1991:<br />

cinquant’anni dalla Vita come Arte di Ugo<br />

Spirito, di C. Gily Reda) alcuni interventi<br />

sul pensiero di Augusto Del Noce (Le origini<br />

della critica al razionalismo in Augusto<br />

Del Noce, di G. Dessì), sulla critica a<br />

Vico (In margine ad alcuni studi italiani su<br />

Vico, di A. Russo), sul pensiero di Carlo<br />

Diano (Il pensiero filosofico di Carlo Diano,<br />

di R. Chierichini) e su Heidegger (Le<br />

scienze ontiche nel primo Heidegger. Ipotesi<br />

a partire da Phänomenologie und Theologie,<br />

di G. Salmeri).<br />

ESTETICA 1992 (Il Mulino, Bologna,<br />

1992), a cura di Stefano Zecchi, è intitolato<br />

“Forme del simbolo”. Se il simbolo, come<br />

spiega Zecchi nell’introduzione, è un tipo di<br />

linguaggio che rifiuta l’univocità del segno<br />

ed il suo rapporto lineare con la realtà per<br />

aprirsi ad una dimensione cosmica dell’uomo<br />

e del suo linguaggio, dimensione cosmica<br />

che emblematicamente si dà nella religione<br />

e nell’arte, la nostra modernità, con il suo<br />

culto della tecnica, ha perduto completamente<br />

il senso di questa appartenenza cosmica<br />

testimoniata dalla dimensione simbolica<br />

che appare sempre più propria di una<br />

realtà culturale ormai sorpassata. Ma è proprio<br />

alla luce di questo confronto con la tradizione<br />

che può essere pensato un processo<br />

di risimbolizzazione della realtà. Ed è questa<br />

la proposta della raccolta di saggi qui<br />

contenuta. Accanto agli interventi di carattere<br />

storico e teoretico, troviamo anche una<br />

sezione riservata a Richard Wagner, la cui<br />

riflessione estetica rappresenta un emblema<br />

della complessità delle forme del simbolo,<br />

a cui si affianca la pubblicazione del carteggio<br />

tra Wagner e Schuré; appare inoltre un<br />

testo pubblicato per la prima volta dell’architetto<br />

Adholphe Appia sulle questioni<br />

legate alla messa in scena delle opere di<br />

Wagner ed un saggio poco noto di D’Annunzio<br />

su Wagner. Simbolo ed allegoria nel<br />

primo romanticismo tedesco, di E. Behler;<br />

L’arte del XX secolo e il simbolo, di J.C.<br />

Pinson; Emozione, immagine, simbolo, di J.<br />

Hillman; Il pensiero e il simbolo, di C. Sini;<br />

Il simbolo nell’ontologia fondamentale di<br />

Heidegger, di J. Taminiaux; Il rischio dell’immagine,<br />

di J. Jiménez; La polemica sul<br />

simbolo nella logica dell’arte di B. Schmidt;<br />

Udire l’oscurita, di A. Trione; Richard<br />

Wagner-Edouard Schuré: frammenti di un<br />

epistolario inedito; La musica di Wagner e<br />

la genesi del Parsifal, di G. D’Annunzio;<br />

Esperienmze di teatro e ricerche personali<br />

1922-24, di A. Appia; Il simbolo e la musi-<br />

RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />

70


NOVITA’ IN LIBRERIA<br />

70<br />

NOVITA’ IN LIBRERIA<br />

AA.VV<br />

L’utopia nella storia:<br />

la rivoluzione inglese<br />

a cura di A. Colombo e G. Schiavone<br />

Edizioni Dedalo, settembre 1992<br />

pp.294<br />

Una raccolta di saggi sulla Rivoluzione<br />

inglese centrati sulla valenza utopica<br />

di questo evento e tendenti a<br />

mostrarne l’importanza storica ed ideale,<br />

al di là dell’oblio in cui spesso è<br />

caduta rispetto alla Rivoluzione francese.<br />

AA.VV.<br />

L’ Athenaion Politeia<br />

di Aristotele<br />

a cura di R. Cresci<br />

e L. Piccirilli<br />

Il Melangolo, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.176, L. 20.000<br />

Nel 1991 ricorreva il centenario della<br />

pubblicazione dell’Atenaion Politeia<br />

di Aristotele. Oggetti di vivace discussione,<br />

i saggi riuniti in questo<br />

volume costituiscono un ulteriore<br />

momento di riflessione sulle sempre<br />

nuove problematiche poste da quest’opera.<br />

AA.VV.<br />

Annuario filosofico 1992<br />

Mursia, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.432, L. 70.000<br />

Saggi di: Pareyson, Mathieu, Holzhey,<br />

Lauth, Moiso, Ravera, Sorrentino,<br />

Poma, Magris, Ugazio, Ferretti,<br />

Baptist, Blagova, Salizzoni.<br />

AA.VV.<br />

Porphyre, La Vie de Plotin<br />

1: Travaux préliminaires<br />

et index grec complet<br />

2: Etudes d’introduction,<br />

texte grec et traduction<br />

française, commentaire, notes<br />

complémentaires, bibliographie<br />

Vrin, dicembre 1992<br />

2 voll., pp.436, F 360<br />

Partendo dal testo revisionato, una<br />

squadra di ricercatori ci propone una<br />

lettura più accessibile di questo libro<br />

non conformista. Altro motivo di grande<br />

interesse, la pubblicazione di documenti<br />

filosofici finora sconosciuti,<br />

testimonianze dirette della scena intellettuale<br />

dell’epoca.<br />

AA.VV.<br />

Penser la recontre de deux mondes<br />

PUF, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp. 135<br />

Le riflessioni, di carattere antropologico<br />

e cosmologico, che la cultura<br />

europea si pose all’indomani della<br />

scoperta dell’America, riflessioni rilevanti<br />

soprattutto nel campo religioso,<br />

etico e politico, appaiono ancor<br />

oggi al centro della speculazione contemporanea.<br />

AA.VV.<br />

Omaggio a Ludovico Geymonat<br />

Franco Muzzio, novembre 1992<br />

pp.194<br />

AA.VV.<br />

Le provocazioni di Giobbe.<br />

Una figura biblica<br />

nell’orizzonte letterario<br />

Marietti, giugno 1992<br />

pp. 120<br />

Il testo ricostruisce le reinterpretazioni,<br />

le trasfigurazioni e le risonanze<br />

letterarie della figura biblica di Giobbe,<br />

simbolo ora della pazienza, ora<br />

della sofferenza del giusto, ora del<br />

peccato.<br />

AA.VV.<br />

Tra scienza e storia. Percorsi<br />

del neostoricismo italiano:<br />

Eugenio Garin, Paolo Rossi<br />

Sergio Moravia<br />

a cura di Franco Cambiano<br />

Edizioni Unicopli, dicembre 1992<br />

L. 27.000.<br />

In Italia, a partire dagli anni ’50, il<br />

neostoricismo di Garin e poi della sua<br />

scuola (da Rossi a Vasoli, a Moravia)<br />

ha messo a punto un’immagine della<br />

filosofia come intersezione critica,<br />

aperta, problematica tra saperi e società,<br />

tra ragione e storia, che risulta<br />

ancora oggi una lezione assai significativa.<br />

Il volume vuole ripensare questa<br />

“avventura” dello storicismo, soffermamdosisull’evoluzione/trasformazione<br />

che il neostoricismo compie<br />

da Garin a Moravia e sul dialogo con<br />

la scienza, in cui la criticità (e la<br />

ricchezza teorica) di questo modello<br />

di filosofia viene a dispiegarsi, mostrando<br />

con forza anche la pregnanza<br />

che esso mantiene nel dibattito filosofico<br />

contemporaneo.


Abelardo, Pietro<br />

Dialogo tra un filosofo, un giudeo<br />

e un cristiano<br />

Rizzoli, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp. 314, L. 12.000<br />

Nella sua ultima opera, il logico medioevale<br />

esprime l’idea di un cristianesimo<br />

naturale e tollerante, l’utopia<br />

di una convivenza e forse una convergenza<br />

con le altre fedi nate dalla Bibbia<br />

nel nome di un Bene Sommo di<br />

origini platoniche e stoiche, raggiungibile<br />

con la virtù e la ricerca intellettuale.<br />

Adler, Max<br />

Filosofia della religione<br />

Cadmo, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.251, L. 40.000<br />

Tutti gli scritti sulla religione, compresi<br />

due inediti, del pensatore marxista<br />

viennese.<br />

Agamben, Giorgio<br />

Stanzas: The word and the<br />

phantasm in western culture<br />

Univ. of Minnesota Press,<br />

dicembre 1992<br />

pp.224, £ 12,95<br />

In quest’opera Agamben, rifacendosi<br />

alla filologia, alla psicoanalisi dei giochi,<br />

alla fisica e alla psicologia medievale,<br />

alla linguistica e alla filosofia<br />

contemporanea, tentando di riconfigurare<br />

i fondamenti epistemologici<br />

della cultura occidentale, screditando<br />

la possibilità di un metalinguaggio.<br />

Agostino<br />

De Magistro - Il Maestro<br />

ed. integrale bilingue<br />

a cura di Adele Canilli<br />

Mursia, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.160, L. 9.000<br />

Una proposta di lettura del testo di<br />

Agostino in chiave teoretica e di filosofia<br />

del linguaggio, e non in chiave<br />

pedagogica come viene generalmente<br />

interpretato. Il dialogo esamina i<br />

rapporti tra linguaggio e pensiero nella<br />

prospettiva della Verità.<br />

Aizpun de Bobadilla, Teresa<br />

Kierkegaards Begriff der Ausnahme.<br />

Der Geist als Liebe<br />

Akad. Vlg, dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.198, DM 56<br />

Albert, Karl<br />

Philosophie der Sozialität<br />

Academia, dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.349, DM 68<br />

Albert sostiene la tesi che le diverse<br />

forme e aspetti della socialità dell’uomo<br />

sono tutte in fin dei conti riportabili<br />

all’esperienza della comunità dell’essere.<br />

La comunità dell’essere si<br />

riferisce non solo ai propri simili, ma<br />

anche alla natura.<br />

Alt, Jürgen August<br />

Karl R. Popper<br />

Campus, novembre 1992<br />

pp.150, DM 17,80<br />

Malgrado la molteplicità di temi che<br />

la sua opera conosce, Jürgen August<br />

Alt insegue quel filo rosso che appare<br />

in tutta la filosofia popperiana, e cioè<br />

l’idea di una critica libera da fondamenti.<br />

Arantes, Urias<br />

Charles Fourier<br />

ou l’Art des passages<br />

L’Harmattan, novembre 1992<br />

pp. 208, F 120<br />

Una lettura di Fourier che prende<br />

deliberatamente le distanze tanto dal<br />

socialismo tradizionale quanto dai<br />

surrealisti per operare un ritorno alle<br />

parole e al mondo dell’utopista. La<br />

forza critica della sua opera ne esce<br />

restaurata grazie alla traduzione della<br />

logica numerica dellae serie nella logica<br />

dei “passaggi”.<br />

Azouzi, François (a cura di)<br />

L’Institution de la raison:<br />

la révolution culturelle<br />

des idéologues<br />

Vrin, dicembre 1992<br />

pp.262, F 198<br />

Su quale filosofia, su quali principi si<br />

opera la rivoluzione culturale degli<br />

ideologhi? Quali limiti, teorici e pratici,<br />

essi incontrano? A che tipo di<br />

opposizione, in Francia e all’estero,<br />

essa dà luogo?<br />

Badiou, Alain<br />

Conditions<br />

Seuil, novembre 1992<br />

pp.372, F 170<br />

Partendo dalla filosofia stessa e da<br />

una critica esplicita del tema della sua<br />

fine, l’autore ne propone una definizione<br />

allo stesso tempo nuova e sottomessa<br />

alla prova delle sue origini<br />

(Platone). Seguono quattro saggi che<br />

vertono sui rapporti della filosofia<br />

conla poesia, la matematica, la politica<br />

e l’amore. Dall’autore di L’Etre et<br />

l’événement.<br />

Baertschi, Bernard<br />

Les Rapports de l’âme et du corps:<br />

Descartes, Diderot<br />

et Maine de Biran<br />

Vrin, dicembre 1992<br />

pp.434, F 300<br />

Il libro esamina la dualità, anima e<br />

corpo, così come la si è affrontata dal<br />

XVII al XIX secolo nella filosofia<br />

francese. Le tre concezioni qui studiate<br />

formano la spina dorsale delle<br />

dottrine filosofiche che si elevano a<br />

partire dalle rotture scientifiche create<br />

dall’emergere di una nuova scienza.<br />

Bahti, Timothy<br />

Allegories of history.<br />

Literary historiography after Hegel<br />

John Hopkins UP, novembre 1992<br />

pp.384, £ 35<br />

Bahti dimostra che il moderno senso<br />

di una scuola storica sorge da una<br />

posizione idealista tedesca che dà per<br />

scontato il significato degli eventi<br />

storici soltanto in quanto aspetti della<br />

verità filosofica. Dopo di che esplora<br />

il modo in cui personaggi del XX<br />

secolo quali Erich Auerbach, Georg<br />

Lukács e Walter Benjamin abbiano<br />

cercato di estendere, rivitalizzare o<br />

criticare l’eredità di Hegel nell’assegnare<br />

un senso definitivo o “vero”<br />

alla storia.<br />

NOVITA’ IN LIBRERIA<br />

71<br />

Baptist, Gabriella<br />

Il problema della modalità<br />

nelle logiche di Hegel.<br />

Un itinerario tra il possibile<br />

e il necessario<br />

Pantograf, dicembre 1992<br />

pp. 315<br />

Barcan Marcus, Ruth<br />

Modalities: Philosophical essays<br />

Oxford UP, dicembre 1992<br />

pp.288, £ 30<br />

Una raccolta degli scritti più significativi<br />

di questa filosofa e logica americana,<br />

fra cui gli importanti primi<br />

saggi di logica modale e la sua opera<br />

più recente di filosofia morale e razionalità.<br />

Behrens, R. - Galle, R.<br />

(a cura di)<br />

Leib-Zeichen, Körperbilder,<br />

Rhetorik und Anthropologie<br />

im 18. Jahrhundert<br />

Königsh. & Neumann<br />

novembre 1992<br />

pp.280, DM 58<br />

I saggi indagano se e fino a che punto<br />

la trattazione discorsiva del corpo<br />

umano nei testi pragmatici e finzionali<br />

dell’antropologia storica e delle<br />

sue più recenti differenziazioni metodiche<br />

(retorica/psicoanalisi/teoria<br />

culturale postmoderna) arrivi a nuova<br />

interpretazione storica e vada letta<br />

in modo ermeneutico.<br />

Bell-Scholefield, Arthur<br />

Universal noetics<br />

Images Booksellers<br />

and Distributors, dicembre 1992<br />

pp.544, £ 14,95<br />

L’opera presenta un sistema di pensiero<br />

basato su uno studio complessivo<br />

dei suoi elementi costitutivi, che si<br />

possono classificare sotto tre categorie:<br />

l’universale, il singolare e il generale,<br />

che permeano tutte le cose.<br />

Bell. D. - Vossenkuhl, W.<br />

(a cura di)<br />

Wissenschaft und Subjektivität.<br />

Der Wiener Kreis<br />

und die Philosophie des 20. Jhdts<br />

Akademie, novembre 1992<br />

pp.160, DM 98<br />

Béresniak, Daniel<br />

Marx<br />

Grancher, novembre 1992<br />

pp.200, F 69<br />

E’ strano che il pensiero di Marx,<br />

sempre aperto all’esperienza, abbia<br />

potuto essere presentato come un<br />

dogma. Questa è la tesi dell’autore di<br />

La Franc-maçonnerie en Europe de<br />

l’Est, che propone una rilettura del<br />

marxismo.<br />

Berg, J. - Morscher, E.<br />

Bolzano-Forschung 1989-1991<br />

Academia, dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.132, DM 29,50<br />

Serie di pubblicazioni che informa<br />

regolarmente sulle nuove edizioni (e<br />

in particolare anche sugli ultimi volumi<br />

usciti delle opere complete di Bolzano),<br />

sui progetti in corso e sui convegni.<br />

Seguirà la bibliografia di Bolzano.<br />

Nel primo di questi volumi si<br />

offre una visione generale dell’edi-<br />

zione completa delle opere di Bolzano<br />

secondo il nuovo stato della sua<br />

articolazione.<br />

Berg, Jan<br />

Ontology without ultrafilters<br />

and possible worlds.<br />

An examination<br />

of Bolzano’s ontology<br />

Academia Vlg dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.100, DM 24<br />

Jan Berg, l’indiscusso e più significativo<br />

ricercatore su Bolzano, presenta<br />

con questo lavoro uno studio completo<br />

sull’ontologia di Bolzano in cui,<br />

sotto la forma di un’esauriente esposizione<br />

sistematica, ne tratta anche la<br />

logica e la teoria della conoscenza.<br />

Berg, Melanie<br />

Philosophische Praxen<br />

im deutschsprachlichigen Raum.<br />

Eine kritische Bestandsaufnahme<br />

Die Blaue Eule, novembre 1992<br />

pp.184, DM 48<br />

Berlinger, Rudolph<br />

Philosophisches Denken.<br />

Einübungen<br />

A cura di Fr. Träger<br />

Editions Rodopi, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.252, Dfl 50<br />

L’uomo è da sempre, per quanto in<br />

primo luogo camuffato, tuttavia filosofo<br />

del proprio ancora statico spirito,<br />

un filosofo del passaggio all’azione<br />

del comportamento morfopoietico<br />

in filosofia e in arte. Il senso di questi<br />

saggi filosofici è di rendere chiaro<br />

ciò.<br />

Bernier, François (a cura di)<br />

Abrégé de la philosophie<br />

de Gassendi: 1684<br />

Fayard, novembre 1992<br />

pp.7 voll., F 1500<br />

Come indica il titolo, si tratta di una<br />

traduzione compendiata del Syntagma<br />

philosophicum, ma è anche più di<br />

una traduzione: è l’espressione stessa<br />

della filosofia di Gassendi presa globalmente<br />

e nel suo spirito.<br />

Berning, V. - Maier, H.<br />

(a cura di)<br />

Alois Dempf, 1891-1982.<br />

Philosoph, Kulturtheoretiker,<br />

Prophet gegen<br />

den Nationalsozialismus<br />

Konrad Vlg., dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.320, DM 39,80<br />

Bhaskar, Roy<br />

Dialectic<br />

Verso, novembre 1992<br />

pp.300, £ 39,95<br />

L’autore attacca le modalità puramente<br />

analitiche di pensiero. Bhaskar<br />

sviluppa una filosofia critica realista,<br />

che individua la definizione di essere<br />

in termini di conoscenza come l’incrinatura<br />

tipica della filosofia tradizionale.<br />

Egli sostiene che il realismo<br />

critico è la base di una nuova metodologia<br />

delle scienze umane.


Bianco, F. (a cura di)<br />

Beiträge zur Hermeneutik<br />

aus Italien<br />

Karl Alber, dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.280, DM 70<br />

I saggi, per la maggior parte raccolti<br />

appositamente per questo volume,<br />

riassumono tutte le posizioni teoretiche<br />

di rilievo del dibattito ermeneutico<br />

in Italia a partire dagli anni ’60.<br />

Bingham, June<br />

Courage to change:<br />

An introduction to the life<br />

and thought of Reinhold Niebuhr<br />

UP of America, dicembre 1992<br />

pp.426, £ 19,50<br />

La presente biografia di Reinhold<br />

Neibuhr cerca di svelare l’uomo in<br />

tutta la sua umanità, il suo calore e il<br />

suo fascino, ma anche nella sua forza<br />

intellettuale di gigante della teologia.<br />

L’autore, che ha conosciuto bene Niebuhr,<br />

fa una cronaca della sua carriera<br />

e dei contributi al pensiero etico, teologico<br />

e religioso.<br />

Bloch, Ernst<br />

Spirito dell’utopia<br />

a cura di Francesco Coppellotti<br />

La Nuova Italia, 1992<br />

L. 48.000<br />

Viene ripubblicata, in nuova veste editoriale,<br />

la traduzione italiana della terza<br />

edizione (1964) del libro di Bloch<br />

che fu originariamente scritto tra il<br />

1915 e il 1918. Il testo è preceduto da<br />

un’intervista a Bloch del 1974 e da una<br />

nuova introduzione del Curatore. Seguono<br />

una nota critica di V. Bertolino<br />

e F. Coppellotti, una nota bibliografica<br />

e una nota biografica, entrambe di N. F.<br />

Pomponio.<br />

Böcher, Wolfgang<br />

Natur, Wissenschaft und Ganzheit.<br />

Über die Welterfahrung<br />

des Menschen<br />

Westdt. Vlg., novembre 1992<br />

pp.351, DM 49<br />

Si tende un grande arco fra il mondo<br />

della coscienza e le società umane. In<br />

tal modo vengono anche superati i<br />

rigidi confini fra scienze della natura<br />

e scienze dello spirito, ponendo un<br />

collegamento fra discipline diverse.<br />

Bonnefoy, Yves<br />

Racconti in sogno<br />

EGEA, <strong>1993</strong><br />

pp. 181<br />

Una serie di racconti “in sogno”; il<br />

volto del mondo ed i momenti della<br />

vita intravisti attraverso l’attività di<br />

deformazione, condensazione, simbolizzazione,<br />

dell’attività onirica.<br />

Borsche, T. - Stegmaier, W.<br />

(a cura di)<br />

Zur Philosophie des Zeichens<br />

De Gruyter, dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.231, DM 98<br />

Saggi sulla “Filosofia del segno” di<br />

Josef Simon in occasione di un convegno<br />

a Bonn nel novembre 1990.<br />

Bort, Klaus<br />

Freiheit und Bezug.<br />

Ansätze zu einer<br />

phänomenologischen Ethik<br />

Attempto-Vlg., novembre 1992<br />

pp.56, DM 12,80<br />

Bouveresse, Renée<br />

Spinoza et Leibniz:<br />

l’idée d’animisme universel<br />

Vrin, dicembre 1992<br />

pp.335, F 225<br />

Con la traduzione inedita di un testo<br />

di Leibniz sull’etica di Spinoza e un<br />

testo di Louis Meyer. In Spinoza come<br />

in Leibniz l’animismo universale è<br />

legato al superamento del meccanismo<br />

cartesiano. Ma, laddove Spinoza<br />

pone il pensiero e l’estensione su un<br />

piano di parità, Leibniz ne deriva una<br />

spiritualizzazione della materia, anche<br />

se l’anima, principio di vita, secondo<br />

lui non agisce sul corpo.<br />

Brandner, Rudolf<br />

Warum Heidegger<br />

keine Ethik geschrieben hat<br />

Passagen, dic-gennaio ’92-’93<br />

pp.160, DM 35 - ÖS 245<br />

Brandner, Rudolf<br />

Was ist und wozu überhaupt -<br />

Philosophie? Vorübungen sich<br />

verändernden Denkens<br />

Passagen, dic.-gennaio ’92-’93<br />

pp.200, DM 39,80<br />

Brés, Yvon<br />

La Souffrance et le tragique:<br />

essai sur le judéo-christianisme,<br />

les tragiques, Platon et Freud<br />

PUF, novembre 1992<br />

pp.288, F 148<br />

La psicoanalisi ha scoperto nell’uomo<br />

una sorta di colpevolezza fondamentale.<br />

In questa colpevolezza Y.<br />

Brés cerca di distinguere il peccato<br />

giudaico-cristiano, che la tradizione<br />

confonde illecitamente con la colpa<br />

sessuale e di cui è il caso di ristabilire<br />

il significato trascendentale.<br />

Brocker, Manfred<br />

Arbeit und Eigentum.<br />

Der Paradigmenwechsel<br />

in der neuzeitlichen<br />

Eigentumstheorie<br />

Wissenschftl. Buch, novembre 1992<br />

pp.680, DM 86<br />

Il libro tratta il problema di come si<br />

possa legittimare la proprietà privata.<br />

L’autore, insieme a una panoramica<br />

sulla storia delle teorie filosofiche<br />

sulla proprietà negli ambienti di lingua<br />

tedesca, propone anche un’analisi<br />

storica i cui risultati possono rendere<br />

fruttuosa una discussione sul diritto<br />

di proprietà.<br />

Brun, Jean<br />

Le Rêve et la machine<br />

Table Ronde, novembre 1992<br />

pp.366, F 125<br />

Le macchine nacquero dai sogni dell’uomo<br />

che chiedeva loro di fargli<br />

superare le barriere dello spazio e del<br />

tempo. Ormai le si ritiene capaci di<br />

oltrepassare i limiti della condizione<br />

umana e della realtà. Secondo Jean<br />

Brun, le macchine potrebbero anche<br />

aprirci le porte dell’inferno.<br />

Brunschwig, J. - Nussbaum, M.<br />

(a cura di)<br />

Passions and perceptions.<br />

<strong>Studi</strong>es in Hellenistic philosophy<br />

NOVITA’ IN LIBRERIA<br />

72<br />

of mind<br />

Cambridge UP, dic.gennaio 92-93<br />

pp.300, £ 30<br />

Il volume racchiude lo svolgimento<br />

del Quinto Simposio Ellenistico, descrive<br />

le analisi dei partecipanti su<br />

questioni quali: la natura della percezione,<br />

dell’immaginazione e della<br />

credenza; la natura delle passioni e il<br />

loro ruolo nell’azione; i rapporti fra<br />

anima e corpo; libertà e determinismo;<br />

il ruolo del piacere come obiettivo;<br />

l’effetto della poesia sulla fede e<br />

le passioni.<br />

Busch, Th. W. - Gallagher, Sh.<br />

(a cura di)<br />

Merleau-Ponty, hermeneutics<br />

and postmodernism<br />

State Univ. of New York<br />

dicembre-gennaio 1992-’93<br />

pp.256, $ 17<br />

Il libro apre nuove prospettive nel<br />

pensiero filosofico di Merleau-Ponty<br />

e si rivolge a problemi contemporanei<br />

sulla teoria dell’interpretazione e<br />

la postmodernità.<br />

Campbell, Richard<br />

Truth and historicity<br />

Cambridge UP, dic.-gennaio ’92-’93<br />

pp.472, £ 47,50<br />

Il lavoro illustra chiaramente il concetto<br />

di verità, seguendone la storia<br />

dagli antichi Greci, fino all’esistenzialismo,<br />

al marxismo e alla moderna<br />

filosofia analitica.<br />

Caporali, Riccardo<br />

Heroes Gentium<br />

Il Mulino, novembre 1992<br />

pp. 290<br />

Rompendo con una tradizione storiografica<br />

tendente ad un’analisi settoriale<br />

degli aspetti particolari della filosofia<br />

di Vico, questo libro tenta una<br />

ricostruzione globalizzante del suo<br />

pensiero, sottolineandone la tensione<br />

civile che pare animarlo: la riflessione<br />

vichiana sembra infatti tendere ad<br />

evidenziare la natura inquietante del<br />

potere come squilibrio e frattura ed a<br />

fare dell’era dell’ ”umanità dispiegata”<br />

il centro di tensioni costitutive ed<br />

aperte.<br />

Carruthers, Peter (a cura di)<br />

The animal issue:<br />

Moral theory in practice<br />

Cambridge UP, dicembre 1992<br />

pp.220, £ 8,95<br />

Il libro analizza la teoria morale e le<br />

implicazioni pratiche del modo in cui<br />

trattiamo gli animali, chiedendosi:<br />

“Gli animali hanno diritti morali?”<br />

L’autore conclude che non ne hanno,<br />

ma che tale conclusione non significa<br />

che il nostro comportamento verso di<br />

loro sia libero da vincoli morali.<br />

Casper, B. - Sparn, W.<br />

(a cura di)<br />

Alltag und Transzendenz.<br />

<strong>Studi</strong>en zur religiösen<br />

Erfahrung in der gegenwärtigen<br />

Gesellschaft<br />

Karl Alber, novembre 1992<br />

pp.430, DM <strong>11</strong>8<br />

Partendo dall’esperienza quotidiana,<br />

gruppi di ricerca diversi, ma allo stesso<br />

tempo interdisciplinari, cercano<br />

attraverso la riflessione filosofica e<br />

teologica di evincere il senso compiuto<br />

dell’esperienza trascendentale<br />

oggi.<br />

Cassirer, Ernst<br />

Mito e concetto<br />

a cura di Riccardo Lazzari<br />

La Nuova Italia, settembre 1992<br />

Il volume raccoglie due studi (La<br />

forma del concetto nel pensiero mitico<br />

e Il concetto di forma simbolica<br />

nella costruzione delle scienze dello<br />

spirito) che furono composti da Cassirer<br />

tra il 1921 e il 1922, all’inizio<br />

della sua collaborazione con la «Biblioteca<br />

Warburg» di Amburgo e del<br />

suo incontro intellettuale con gli studiosi<br />

raccolti intorno ad essa (fra cui<br />

Saxl e Panofsky). Il secondo studio<br />

precorre, anche nel titolo, il concetto<br />

di una Filosofia delle forme simboliche,<br />

che troverà di lì a poco svolgimento<br />

nell’opera maggiore di Cassirer.<br />

Chance, Thomas H.<br />

Plato’s Euthydemus. Analysis<br />

of what is and is not philosophy<br />

Univ. of California, nov. 1992<br />

pp.325, $ 48<br />

L’autore propone un’unica tesi: che<br />

Platone presenti di proposito l’euristica<br />

(la discussione contenziosa)<br />

come antitesi al proprio metodo filosofico.<br />

Chiurazzi, Gaetano<br />

Scrittura e tecnica.<br />

Derrida e la metafisica<br />

Rosenb. & Sellier, dicembre 1992<br />

pp. 196<br />

Il libro ripercorre i momenti cruciali<br />

del pensiero decostruzionistico di<br />

Derrida, tentando un’ipotesi interpretativa<br />

che vede nella scrittura il segno<br />

stesso della storicità del pensiero.<br />

Cohen, L. Jonathan<br />

An essay on belief and acceptance<br />

Clarendon, dic-gennaio ’92-’93<br />

pp.192, £ 20<br />

In questa monografia, Cohen, considerato<br />

uno dei più eminenti filosofi<br />

britannici, sostiene che quanti analizzano<br />

il concetto di conoscenza non<br />

distinguono adeguatamente la credenza<br />

involontaria dall’accettazione volontaria.<br />

Colliot-Thélène, Catherine<br />

Le Désenchantement de l’Etat:<br />

de Hegel à Max Weber<br />

Minuit, novembre 1992<br />

F 145<br />

Ci sono delle similitudini fra le descrizioni<br />

dello stato moderno proposte<br />

da G.W.F. Hegel e da M. Weber.<br />

La storia della formazione dello stato<br />

tedesco spiega in parte queste convergenze.<br />

Due tipi di discorso sulla<br />

politica vengono messi a confronto:<br />

la Filosofia del diritto di Hegel da una<br />

parte, e “la sociologia del dominio” di<br />

Weber dall’altra.<br />

Collmer, Thomas<br />

Aktuelle Perspektiven<br />

einer immanenten Hegel-Kritik.<br />

Negative Totalisierung<br />

als Prinzip offener Dialektik<br />

Focus, novembre 1992


pp.520, DM 60<br />

Conway, D. W. (a cura di)<br />

Nietzsche<br />

und die antike Philosophie<br />

Wiss. Vlg. Trier<br />

dicembre-gennaio 1992-’93<br />

pp.264, DM 72<br />

Cooper, David<br />

A companion to aesthetics<br />

Blackwell, dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.354, £ 60<br />

Questa opera di consultazione mira a<br />

includere l’intero campo degli argomenti<br />

estetici. Il volume effettua una<br />

ricognizione sui concetti significativi,<br />

sui problemi, i movimenti e gli<br />

autori della filosofia dell’arte.<br />

Coppolino, Santo<br />

Temi e problemi<br />

della cultura filosofica del ‘900<br />

Antonio Perna Ed., novembre 1992<br />

pp. 254<br />

Il libro raccoglie una serie di saggi<br />

degli ultimi dieci anni su alcuni problemi<br />

che la cultura italiana della<br />

prima metà del secolo ha affrontato in<br />

relazione ai rapporti tra filosofia e<br />

scienza.<br />

Corvi, Roberta<br />

Invito al pensiero di Popper<br />

Mursia, Milano febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.384, L. 15.000<br />

Il testo è così strutturato: cronologie<br />

parallele, profilo della vita, opere,<br />

temi, orientamenti della critica, bibliografia<br />

e indice dei nomi.<br />

Cottingham, John<br />

A Descartes Dictionary<br />

Blackwell Publishing,<br />

dicembre 1992<br />

pp.200, £ 14,95 - $ 37,50<br />

In questo “Dizionario”, Cottingham<br />

presenta una guida alfabetica a Descartes,<br />

uno dei filosofi che incutono<br />

maggior soggezione. Concetti e idee<br />

chiave nel pensiero cartesiano vengono<br />

rintracciati negli scritti di Descartes,<br />

inseriti nel contesto del clima<br />

intellettuale del XVII secolo e interpretati<br />

di conseguenza.<br />

Cottingham, John (a cura di)<br />

The Cambridge companion<br />

to Descartes<br />

Cambridge, dic.-gennaio ’92-’93<br />

pp.464, £ 13<br />

I presenti scritti su Descartes trattano<br />

della sua vita, dello sviluppo del suo<br />

pensiero e del retroterra intellettuale,<br />

nonché dell’accoglienza, della sua<br />

opera.<br />

Daecke, S.M. (a cura di)<br />

Naturwissenschaft und Religion.<br />

Weltbildliche und ethische Aspekte<br />

des interdisziplinären Gesprachs<br />

Wissenschaftsvlg., novembre 1992<br />

pp.200, DM 29,80<br />

Interventi a una tavola rotonda all’RWTH<br />

di Aachen.<br />

Dagognet, François<br />

Philosophie de la propriété:<br />

l’avoir<br />

PUF, novembre 1992<br />

pp.240, F 148<br />

L’”oggetto” viene visto qui al secondo<br />

grado, non per se stesso, ma attraverso<br />

operazioni che lo elevano, come<br />

quella della proprietà (uno stato di<br />

diritto), ben diversa dal semplice possesso<br />

(uno stato di fatto).<br />

Danielson, Peter<br />

Artificial morality.<br />

Virtuous robots for virtual games<br />

Routledge, dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.256, £ 35<br />

La tesi centrale di questa opera è che<br />

la moralità sia un fatto personale e<br />

razionale. Con l’aiuto di robot appaiati<br />

in giochi astratti, che ricompensano<br />

il collaboratore ma anche semplicemente<br />

coloro che beneficiano dalle<br />

costrizioni altrui dimostra che robot<br />

virtuosi, non perversi, riescono meglio.<br />

Delogu, Antonio<br />

Filosofia e società in Sardegna.<br />

Giovanni Battista Tuveri<br />

(1815-1887)<br />

Franco Angeli, 1992<br />

pp.356<br />

Il libro delinea le coordinate della<br />

riflessione di Tuveri, uno degli esponenti<br />

più prestigiosi della cultura sarda<br />

del secolo scorso.<br />

Derrida, Jacques<br />

L’Ethique du don<br />

A cura di J.-M. Rabaté e M. Wetzel<br />

A.-M- Métailié, novembre 1992<br />

pp.285, F 130<br />

La dimensione etica, che percorre<br />

tutta l’opera di Derrida, in questi ultimi<br />

anni si è consolidata attraverso un<br />

lavoro rigoroso su problemi come il<br />

nazionalismo, la tradizione ebraica,<br />

la possibilità dell’insegnamento di<br />

filosofia, la questione dell’Europa rinnovata<br />

o i fondamenti del diritto.<br />

Derrida, Jacques<br />

Points de suspension: entretiens<br />

Galilée, dicembre 1992<br />

F 195<br />

L’autore ha scelto, presentandoli,<br />

venti degli incontri a cui Jacques<br />

Derrida ha partecipato negli ultimi<br />

vent’anni circa. Per questo si è dato<br />

un certo numero di criteri, prima di<br />

tutto quello della diversità.<br />

Desanti, Jean-Toussaint<br />

Grisoni, Dominique-Antoine<br />

Réflexions sur le temps:<br />

variations philosophique 1,<br />

conversation avec Dominique<br />

Antoine Grisoni<br />

Grasset, dicembre 1992<br />

pp.220, F 100<br />

Libro di incontri sulla questione del<br />

tempo. Nella prima parte, Desanti<br />

ritorna sulle tesi difese dai pensatori<br />

della tradizione antica e sviluppa i<br />

quesiti posti da sant’Agostino. La<br />

seconda parte è un ampio sviluppo<br />

fenomenologico sul problema.<br />

Didi-Huberman, Georges<br />

Ce que nous voyons,<br />

ce que nous regarde<br />

Minuit, novembre 1992<br />

pp.208, F 120<br />

Quanto vediamo non vale (non vive)<br />

che in virtù del nostro sguardo. Se ciò<br />

NOVITA’ IN LIBRERIA<br />

73<br />

è vero, come pensare le condizioni<br />

estetiche, epistemiche, ossia etica, di<br />

una simile affermazione? Una favola<br />

filosofica dell’esperienza visuale.<br />

Dietz, Walter<br />

Sören Kierkegaard.<br />

Existenz und Freiheit<br />

Anton Hain, novembre 1992<br />

pp.400, DM 78<br />

Dietz intraprende una ricostruzione<br />

della tematica della libertà in Sören<br />

Kierkegaard, in cui la libertà viene<br />

messa in relazione alla paura e all’onnipotenza.<br />

Dilthey, Wilhelm<br />

Oeuvres<br />

1: Critique de la raison historique<br />

Introduction aux sciences<br />

de l’esprit et autres textes<br />

A cura di S. Mesure e H. Wismann<br />

Cerf, dicembre 1992<br />

pp.373, F 199<br />

Nella sua Introduzione alle scienze<br />

dello spirito (1883), Dilthey offre una<br />

prima esposizione di ciò che egli definisce<br />

come una “critica della ragione<br />

storica”: si tratta di rompere con la<br />

riduzione positivista delle scienze<br />

umane nascenti al modello delle scienze<br />

naturali, senza per questo rinunciare<br />

all’obiettività.<br />

Dölken, Clemens<br />

Katholische Sozialtheorie<br />

und liberale Ökonomik.<br />

Das Verhältnis von katholischer<br />

Soziallehre<br />

und Neoliberalismus im Lichte<br />

der modernen Institutionökonomik<br />

J.C.B. Mohr, novembre 1992<br />

pp.312, DM 98<br />

Nuova rielaborazione della vecchia<br />

controversia fra teoria sociale cattolica<br />

e neoliberalismo.<br />

Döring, Eberhard<br />

Karl R. Popper.<br />

Einführung in Leben und Werk<br />

Parerga Vlg. f. Wiss. u. Politik<br />

dicembre-gennaio 1992-’93<br />

pp.231, DM 34<br />

Il lettore, competente o meno, viene<br />

messo a contatto con l’opera e l’attività<br />

di Popper.<br />

Dreyfus, Hubert - Rabinow, Paul<br />

Michel Foucault.<br />

Un parcours philosophique:<br />

au-delà de l’objectivité<br />

et de la subjectivité<br />

Gallimard, novembre 1992<br />

pp.364, F 34<br />

Il testo presenta il progetto fondamentale<br />

di Foucault di costituire un<br />

metodo di analisi dell’essere umano<br />

nella società contemporanea.<br />

Durkheim, Emile<br />

L’Education morale<br />

PUF, novembre 1992<br />

pp.256, F 62<br />

«Innanzitutto, che un’educazione<br />

morale interamente razionale sia possibile<br />

è implicito nel postulato stesso<br />

che sta alla base della scienza; sto<br />

parlando del postulato razionalista:<br />

non c’è niente nel reale che si possa<br />

legittimamente considerare radicalmente<br />

refrattario alla ragione uma-<br />

na.» (E. Durkheim.)<br />

Earman, J. (a cura di)<br />

Inference, explanation,<br />

and other frustrations.<br />

Essays in the philosophy<br />

of science<br />

Univ. of California, novembre 1992<br />

pp.416, $ 19<br />

Questi saggi provocatori opera di importanti<br />

filosofi della scienza esemplificano<br />

e illuminano l’incertezza e<br />

l’entusiasmo contemporanei in questo<br />

campo in trasformazione.<br />

Ebingshaus, H.-B.,<br />

Vollmer, G. (a cura di)<br />

Denken unterwegs. Fünfzehn<br />

metawissenschaftliche Exkursionen<br />

Hirzel Wiss.-Vlgsges.<br />

dicembre-gennaio 1992-’93<br />

pp.236, DM 29<br />

Eckhart, Meister<br />

Una mistica della religione<br />

Edizioni Messaggero Padova<br />

novembre 1992<br />

pp. 345<br />

Una raccolta antologica curata da G.<br />

Penzo.<br />

Feinberg, Joel<br />

Freedom and fulfillment.<br />

Philosophical essays<br />

Princeton UP, novembre 1992<br />

pp.376, $ 44<br />

Affrontando diversi gruppi di problemi<br />

di etica teoretica e pratica, questi<br />

quattordici saggi riconfermano la<br />

posizione guida di Joel Feinberg nel<br />

campo della filosofia legale.<br />

Fichte, Johann Gottlieb<br />

Discours à la nation allemande<br />

A cura di A. Renaut<br />

Impr. nationale, dicembre 1992<br />

pp.316, F 250<br />

A. Renaut ci fa riscoprire questo complicato<br />

testo di Fichte, il più adatto ad<br />

alimentare il dibattito sulla nuova idea<br />

di nazione. Un testo fondante, che<br />

supera le due concezioni abituali, del<br />

diritto territoriale e di quello di sangue.<br />

Filoramo, Giovanni- Roda, Sergio<br />

Cristianesimo e società antica<br />

Laterza, settembre 1992<br />

pp. 294<br />

Attraverso una serie di saggi relativi<br />

a questioni molto concrete della vita<br />

quotidiana ( i cristiani di fronte alla<br />

ricchezza, alla città, al matrimonio<br />

etc), questo libro cerca di ricostruire i<br />

complessi rapporti tra mentalità, costume<br />

e cultura antichi, ben radicati<br />

nell’immaginario collettivo, e la forza<br />

dirompente rappresentata dalla<br />

comparsa del Cristianesimo.<br />

Fisichella. Domenico<br />

Dilemmi della modernità<br />

nel pensiero sociale<br />

Il Mulino, dicembre 1992<br />

pp. <strong>11</strong>3<br />

Il volume affronta attraverso lo strumento<br />

della scienza sociale problemi<br />

e tendenze della modernità.<br />

Forst, Brian<br />

The socio-economics


of crime and justice<br />

M. E. Sharpe, dicembre 1992<br />

£ 39,95<br />

Questo studio del crimine e della giustizia<br />

ha alle spalle principalmente<br />

l’idea che il comportamento individuale<br />

è influenzato sia dall’interesse<br />

personale che dalla coscienza, o da un<br />

senso di responsabilità comunitaria.<br />

French, Peter<br />

Responsability Matters<br />

UP of Kansas, dicembre 1992<br />

pp.248, £ 19,95 - $ 25<br />

Il volume indaga su una serie di questioni<br />

relative alla responsabilità, dagli<br />

aspetti teorici e dalle idee sul concetto<br />

di responsabilità alle aree specifiche<br />

di applicazione e a questioni<br />

generali della teoria morale, servendosi<br />

di esempi tratti dalla letteratura<br />

(Dickens sullo spazio e sul tempo),<br />

film e avvenimenti di attualità.<br />

Freudenthal, G. (a cura di)<br />

<strong>Studi</strong>es on Gersonides.<br />

A fourteenth-century Jewish<br />

philosopher scientist<br />

Brill, dicembre-gennaio 1992-’93<br />

Dfl 150<br />

Freuler, Léo<br />

Kant et la métaphysique spéculative<br />

Vrin, dicembre 1992<br />

pp.384, F 300<br />

La critica kantiana della metafisica<br />

costituisce una svolta decisiva; lungi<br />

dal distruggerla, essa comincia col<br />

definirla e col chiarire lo statuto della<br />

sua riflessione. Per Kant la ricerca<br />

metafisica è altrettanto indispensabile<br />

allo spirito della respirazione al<br />

corpo.<br />

Gahlings, Ute<br />

Sinn und Ursprung.<br />

Untersuchungen<br />

zum philosophischen Weg<br />

Hermann Graf Keyserlings<br />

Academia Verlag<br />

dicembre.-gennaio 1992-’93<br />

pp.289, DM 58<br />

Il testo segue il disvelamento filosofico<br />

dai suoi inizi nei primi lavori<br />

improntati alla critica della conoscenza<br />

sulla prima applicazione della<br />

metafisica del senso nel Diario di<br />

viaggio di un filosofo alla fondazione<br />

di una scuola della saggezza e alla<br />

seconda opera importante Meditazioni<br />

sudamericane, fino alla filosofia<br />

tarda del Libro delle origini.<br />

Gander, H.-H. (a cura di)<br />

Europa und die Philosophie<br />

Klostermann, novembre 1992<br />

pp.200, DM 48<br />

Il pensiero di Heidegger dà impulso e<br />

controparte per l’autonoma corrente<br />

di pensiero da lui ispirata. La domanda<br />

attorno a cui si ruota è: quali compiti<br />

affida oggi l’Europa alla filosofia<br />

e come li si può pensare in un rapporto<br />

reciproco produttivo con l’approccio<br />

di Heidegger?<br />

Gargani, Aldo Giorgio<br />

Stili di analisi<br />

L’unità perduta del metodo filosofico<br />

Feltrinelli, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.176, L. 28.000<br />

Questo volume delinea la fine di un<br />

metodo filosofico e scientifico unico,<br />

quale è stato trasmesso dalla tradizione<br />

occidentale, e apre un orizzonte<br />

fecondo di approcci alternativi attraverso<br />

i quali gli uomini possono interpretare<br />

gli enigmi filosofici, le questioni<br />

scientifiche, i problemi matematici,<br />

le grammatiche musicali, i<br />

fenomeni psicologici così come i dati<br />

della loro esperienza vissuta e infine<br />

il loro rapporto basico con le cose, la<br />

natura e la società. Una approfondita<br />

interpretazione del bisogno dell’uomo<br />

contemporaneo di praticare linguaggi<br />

nuovi, alternativi e differenti.<br />

Gartler, Walter<br />

Feindesliebe - Szientismus<br />

und Paranoia in Fichtes<br />

Wissenschaftslehre<br />

Turia & Kant, novembre 1992<br />

pp.174, DM 29<br />

Gauchotte, Pierre<br />

Le Pragmatisme<br />

PUF, novembre 1992<br />

pp.127, F 38<br />

Movimento apparso negli Stati Uniti<br />

verso il 1870, il pragmatismo può<br />

essere definito approssimativamente<br />

come una teoria empirica della conoscenza<br />

nella quale l’azione e le conseguenze<br />

pratiche giocano un ruolo<br />

fondamentale.<br />

Gearhart, Suzanne<br />

The interrupted dialectic<br />

John Hopkins UP, novembre 1992<br />

pp.288, $ 39<br />

Suzanne Gearhart sostiene che la filosofia<br />

speculativa hegeliana e la psiconalisi<br />

freudiana e infine anche le<br />

importanti correnti dell’attuale teoria<br />

della letteratura trovano la propria<br />

origine e la giustificazione di sé nella<br />

particolare interpretazione che ciascuna<br />

di esse dà della tragedia.<br />

Gebauer, G. - Wulf, Chr.<br />

(a cura di)<br />

Praxis und Ästhetik.<br />

Neue Perspektiven im Denken<br />

Pierre Bourdieus<br />

Suhrkamp, dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.360, DM 28<br />

Gebert, Sigbert<br />

Negative Politik.<br />

Zur Grundlegung der politischen<br />

Philosophie aus der Daseinsanalytik<br />

und ihrer Bewährung<br />

in den politischen Schriften<br />

Martin Heideggers von 1933/34<br />

Duncker & Humblot<br />

dicembre-gennaio 1992-’93<br />

pp.204, DM 98<br />

Geister, Ralf<br />

Kants moralischer Gottesbeweis<br />

im protestantischen Positivismus<br />

Vandenhoeck & Ruprecht, nov. 1992<br />

pp.279, DM 68<br />

Georg-Lauer, J. (a cura di)<br />

Postmoderne und Politik<br />

Ed. Diskord, novembre 1992<br />

pp.200, DM 28<br />

Gerhardt, V. - Herold, N.<br />

(a cura di)<br />

NOVITA’ IN LIBRERIA<br />

74<br />

Perspektiven des Perspektivismus.<br />

Festschrift zum 80. Geburtstag<br />

von Friedrich Kaulbach<br />

Königsh. & Neumann<br />

novembre 1992<br />

pp.400, DM 98<br />

La raccolta di saggi propone il dibattito<br />

sistematico sul concetto di Kaulbach<br />

di “prospettivismo”. Eminenti<br />

sostenitori della filosofia attuale insieme<br />

a più giovani esponenti del<br />

settore indagano da differenti punti di<br />

vista la produttività di queste premesse.<br />

Gethmann-Siefert, A.<br />

(a cura di)<br />

Phänomen versus System.<br />

Zum Verhältnis von philosophischer<br />

Systematik und Kunsturteil<br />

in Hegels Berliner Vorlesungen<br />

über Ästhetik oder Philosophie<br />

der Kunst<br />

Bouvier, dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.238, DM 85<br />

Geyer, Carl-Fr.<br />

Die Theodizee. Diskurs,<br />

Dokumentation, Transformation<br />

Steiner, novembre 1992<br />

pp.332, DM 124<br />

Giacomoni, Paola<br />

Le forme e il vivente.<br />

Morfologia e filosofia<br />

della natura in J.W. Goethe<br />

Guida, gennaio <strong>1993</strong><br />

pp. 281<br />

Gibellini, Rosino<br />

La teologia del XX secolo<br />

Queriniana, 1992<br />

pp.658<br />

Gigante, Marcello<br />

Nomos Basileus<br />

Bibliopolis, Napoli marzo <strong>1993</strong><br />

pp. 357, L. 60.000<br />

E’ il libro della legge sovrana, la<br />

storia del motivo della legge divina,<br />

che regna sui mortali e sugli immortali,<br />

attraverso la poesia greca. L’autore<br />

ripropone il significato del celebre<br />

frammento 169 di Pindaro, nel<br />

quale la legge è definita signora e<br />

dominatrice del mondo degli uomini<br />

e degli déi, e dove l’interpretazione<br />

del concetto di legge segue il percorso<br />

del mondo spirituale della Grecia<br />

nel suo divenire storico.<br />

Gigante, Marcello<br />

Cinismo e epicureismo<br />

Bibliopolis, Napoli febbraio <strong>1993</strong><br />

pp. 128, L. 20.000<br />

Il volume fa parte della collana “Memorie<br />

dell’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong><br />

<strong>Filosofici</strong>” (n.23), e in particolare<br />

l’occasione di questa memoria fu il<br />

Congresso sul Cinismo antico (Parigi,<br />

luglio 1991). Una messa a punto<br />

tra storiografia antica e moderna.<br />

Democrito e i cinici; i Cirenaici fra<br />

cinici e epicurei; Epicuro e il cinismo;<br />

Epicuro, Antistene e Diogene.<br />

Gillett, Grant<br />

Representation,<br />

meaning and thought<br />

Clarendon Press, novembre 1992<br />

pp.232, £ 25<br />

Il libro esamina il rapporto fra pensiero<br />

e linguaggio considerando le idee<br />

di Kant e di Wittgenstein insieme a<br />

molte branche del dibattito contemporaneo<br />

nell’area del contenuto mentale.<br />

Gilson, Bernard<br />

La Révision bergsonienne<br />

de la philosophie de l’esprit<br />

Vrin, dicembre 1992<br />

pp.216, F 135<br />

Bergson imposta un nuovo dialogo<br />

fra la metafisica e la scienza, vedendo<br />

la sostanza unica di Spinoza come la<br />

prefigurazione statica dei sistemi postkantiani.<br />

Gipper, Helmut<br />

Theorie und Praxis inhaltbezogener<br />

Sprachforschung. Aufsätze<br />

und Vorträge 1953-1990.<br />

Band 2: Sprache und Denken<br />

in sprachwissenschaftlicher<br />

und sprachphilosophischer Sicht<br />

Nodus-Publ., dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.300, DM 69<br />

Goldman, Laurence<br />

The culture of coincidence<br />

Clarendon Press, dicembre 1992<br />

pp.440, £ 47,50<br />

Il saggio esamina il terreno fra legge,<br />

linguistica e antropologia e fornisce<br />

un’etnografia sulla grammatica e la<br />

pragmatica dell’argomento, raramente<br />

indagato, dell’accidente.<br />

Goldschmidt, W. (a cura di)<br />

Zur Kritik<br />

der politischen Ökonomie.<br />

125 Jahre Das Kapital<br />

Meiner, novembre 1992<br />

pp.167, DM 30<br />

Goller, Hans<br />

Emotionspsychologie<br />

und Leib-Seele-Problem<br />

Kohlhammer, novembre 1992<br />

pp.324, DM 69<br />

Goulin, Jean-Luc<br />

La Rationalité vivante:<br />

essai sur la pensée hégélienne<br />

Griffon d’argile, dicembre 1992<br />

pp.160, $ 14,50<br />

L’autore si sforza di rendere la fertilità<br />

dell’opera di Hegel, esplorando<br />

in particolare i concetti di ragione,<br />

soggetto, stato, spirito e libertà.<br />

Govinda, Lama Anangarika<br />

Die Dynamik des Geistes.<br />

Die psychologische Haltung<br />

der frühbuddistischen Philosophie<br />

Scherz, dicembre-gennaio 1992-’93<br />

pp.280, DM 39,80<br />

In questo libro il dotto lama buddista<br />

di lingua tedesca Anagarika Govinda<br />

espone in modo chiaro e comprensibile<br />

ai profani occidentali il sistema<br />

filosofico-psicologico, presentando<br />

alcune delle strutture di idee di tutto il<br />

pensiero buddista. Un’opera adatta a<br />

tutti coloro che vogliono capire il<br />

buddismo.<br />

Green, Ronald M.<br />

Kierkegaard and Kant.<br />

The hidden debt<br />

State Univ. of New York,


dicembre-gennaio 1992-’93<br />

pp.256, $ 17<br />

L’ipotesi di lavoro è che l’interpretazione<br />

di Kiekegaard di Kant e in relazione<br />

a questi e alla filosofia kantiana<br />

sia molto più precisa e più positiva di<br />

quanto in genere si ritiene.<br />

Greisch, Jean (a cura di)<br />

De la nature: de la physique<br />

classique au souci écologique<br />

Beauchesne, novembre 1992<br />

pp.376, F 150<br />

Le trasformazioni attuali del dibattito<br />

sulla natura e gli approcci filosofici e<br />

scientifici dell’idea di natura messi a<br />

confronto.<br />

Grondin, Jean<br />

Hermeneutische Wahrheit?<br />

Zum Wahrheitsbegriff<br />

Hans-Georg Gadamers<br />

Anton Hain, dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.210, DM 34<br />

La grande opera di Gadamer Verità e<br />

metodo viene interpretata come una<br />

riorganizzazione biografica della differenza<br />

ontologica elaborata da Heidegger<br />

fra essere ed esistente.<br />

Gulick, Ernest - Van Lepore,<br />

Robert (a cura di)<br />

John Searle and his critics<br />

Blackwell Publishing,<br />

dicembre 1992<br />

pp.420, £ 15,95<br />

Partendo da un’analisi dell’importanza<br />

e dell’influenza delle due opere<br />

maggiori: “Speech Acts” e “Intentionality”,<br />

il presente libro vuole anche<br />

fornire una valutazione del suo impatto<br />

sulla filosofia del linguaggio,<br />

della mente, della spiegazione sociale<br />

e della referenza e intenzionalità.<br />

Hadot, Pierre<br />

La Citadelle intérieure:<br />

introduction aux Pensées<br />

de Marc Aurèle<br />

Fayard, dicembre 1992<br />

pp.386, F 150<br />

I Pensieri sono il libro di un uomo<br />

d’azione che cerca la serenità, in quanto<br />

condizione indispensabile all’efficacia.<br />

Per Marco Aurelio l’azione<br />

umana non ha valore profondo se non<br />

si inserisce nella prospettiva del tutto,<br />

dell’universo e della comunità degli<br />

uomini. Un’introduzione allo stoicismo<br />

antico.<br />

Hadot, Pierre<br />

Spiritual exercises and<br />

ancient philosophy<br />

Blackwell Publishing,<br />

dicembre 1992<br />

pp.260, £ 12,95<br />

Il volume presenta una storia degli<br />

esercizi spirituali da Socrate alle prima<br />

Cristianità, un resoconto del loro<br />

declino nella filosofia moderna e delle<br />

differenti concezioni della filosofia<br />

che hanno accompagnato la traiettoria<br />

e il destino della teoria e della<br />

prassi degli esercizi spirituali.<br />

Hagner, M. - Wahrig-Schmidt, B.<br />

(a cura di)<br />

Johannes Müller und die Philosophie<br />

Akademie, novembre 1992<br />

pp.336, DM 98<br />

Haslett, David<br />

Ethics and economic systems<br />

Clarendon Press, dicembre 1992<br />

pp.224, £ 30<br />

Confrontando i sistemi economici da<br />

un punto di vista filosofico, lo studio<br />

indaga le argomentazioni etiche dei<br />

differenti tipi di sistemi economici.<br />

L’autore considera vantaggi e svantaggi<br />

dei sistemi analizzati e discute i<br />

possibili compromessi accettabili.<br />

Heidegger, Martin<br />

Le Concepts fondamentaux<br />

de la métaphysique:<br />

monde, finitude, solitude<br />

A cura di F.W. von Hermann<br />

Gallimard, dicembre 1992<br />

pp.552, F 280<br />

In questo corso tenuto fra il 1929 e il<br />

1930 Heidegger sviluppa in modo<br />

esauriente due concetti comparsi fulmineamente<br />

nel 1927, quello di vita e<br />

di vivente in generale e, nel 1929, la<br />

nozione di tonalità fondamentale della<br />

noia.<br />

Heinzmann, Richard<br />

Philosophie des Mittelalters<br />

Kohlhammer, novembre 1992<br />

pp.200, DM 28<br />

Heller, Agnes<br />

A philosophy of history<br />

in fragments<br />

Blackwell, novembre 1992<br />

pp.304, £ 40<br />

Il libro riflette sulle limitazioni della<br />

nostra comprensione di noi stessi e<br />

della nostra comprensione del mondo,<br />

sull’immaginazione postmoderna;<br />

ma al contempo mobilita energie<br />

filosofiche per contrastarle.<br />

Hoche, Hans-U.<br />

Elemente einer Anatomie<br />

der Verpflichtung.<br />

Pragmatisch-wollenslogische<br />

Grundlegung einer Theorie<br />

des moralischen Argumentierens<br />

Karl Alber, novembre 1992<br />

pp.390, DM 94<br />

Questo metodo consente per la prima<br />

volta un esame dettagliato dell’infrastruttura<br />

del concetto di obbligo, la<br />

lettura delle proposizioni di obbligo<br />

morale come legame fra i principi di<br />

volontà soggettivi verificabili e le<br />

proposizioni di fatto e la dimostrazione<br />

che determinate versioni della “regola<br />

aurea” sono analiticamente vere.<br />

Hocholzer, Andreas<br />

Evasionen - Wege der Kunst.<br />

Kunst und Leben bei Wl. Solowjew<br />

und J. Beuys.<br />

Eine <strong>Studi</strong>e zum erweiterten<br />

Kustbegriff in der Moderne<br />

Königshausen & Neumann, nov. 1992<br />

pp.200, DM 39,80<br />

Hoenen, Maarten J.F.M.<br />

Crossroads of late medieval<br />

thinking (1250-1400).<br />

Marsilius of Inghen<br />

on divine knowledge<br />

E.J. Brill, dic.-gennaio 1992-’93<br />

Dfl 120<br />

NOVITA’ IN LIBRERIA<br />

75<br />

Il problema della conoscenza divina,<br />

centrato su questioni di necessità e<br />

libertà, si trova al punto di intersezione<br />

di vecchie discussioni di logica,<br />

metafisica ed etica. Il saggio si concentra<br />

sulle idee in merito di Marsilio<br />

di Inghen (m.1396).<br />

Holzhey, H. - Leyvraz, J.-P.<br />

(a cura di)<br />

Vernunftnähe, Vernunftferne.<br />

La raison, proche et lontaine<br />

Haupt, dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.300, DM 76<br />

Honnefelder, L. (a cura di)<br />

Natur als Gegenstand<br />

der Wissenschaften<br />

Karl Alber, novembre 1992<br />

pp.300, DM 78<br />

Il libro si occupa principalmente della<br />

questione della natura come istanza<br />

orientata. Gli argomenti: la natura<br />

interpretata in chiave matematica; La<br />

natura come oggetto della tecnica; La<br />

natura negli uomini; L’importanza<br />

della natura per l’etica; La natura<br />

nella prospettiva teologica; Metafisica<br />

della natura.<br />

Honnefelder, L. (a cura di)<br />

Sittliche Lebensform<br />

und praktische Vernunft<br />

Schöningh, novembre 1992<br />

pp.223, DM 28<br />

Honnefelder, L. - Schüssler, W.<br />

(a cura di)<br />

Transzendenz. Zu einem Grundwort<br />

der klassischen Metaphysik<br />

Schöningh, dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.317, DM 98<br />

Howells, Christine (a cura di)<br />

The Cambridge companion<br />

to Sartre<br />

Cambridge UP, dic.-gennaio ’92-’93<br />

pp.448, £ 13<br />

Il saggio offre una visione dettagliata<br />

dell’opera di Sartre, che comprende i<br />

suoi scritti sull’ontologia, sulla fenomenologia,<br />

sulla psicologia, sull’etica<br />

e sull’estetica, ma anche le sue<br />

convinzioni sulla storia, sull’impegno<br />

e sul progresso.<br />

Hügli, A. - Lübcke, P.<br />

(a cura di)<br />

Philosophie in 20 Jahrhundert.<br />

Band 1: Existenzphilosophie,<br />

Phänomenologie, Hermeneutik<br />

und Kritische Theorie<br />

Rowohlt Vlg., dic-gennaio 92-93<br />

DM 32,90<br />

Al centro di questo primo volume si<br />

trovano gli sforzi dei filosofi francesi<br />

e tedeschi di porsi criticamente verso<br />

la metafisica tradizionale e l’immagine<br />

dell’uomo tramandataci, così da<br />

porre la filosofia su un nuovo fondamento.<br />

Huisman, Denis - Malfray,<br />

Marie-Agnès (a cura di)<br />

Les Plus grands textes<br />

de la philosophie orientale<br />

Albin Michel, dicembre 1992<br />

F 150<br />

Un’antologia che mette alla portata<br />

delgrande pubblico un pensiero spesso<br />

enigmatico e talvolta mal conosciuto<br />

dal lettore occidentale. I testi, pre-<br />

sentati a seconda dell’origine geografica,<br />

sono preceduti da biografie dei<br />

pensatori e da una sintesi della loro<br />

dottrina.<br />

Hüllinghorst, Andreas<br />

Kants spekulatives Experiment<br />

Dinter, novembre 1992<br />

pp.128, DM 29,80<br />

Ide, Pascal<br />

L’Art de penser<br />

Médialogue, novembre 1992<br />

pp.266, F 99<br />

Una presentazione chiara e talvolta<br />

umoristica dei concetti fondamentali<br />

per ogni riflessione: definizione di un<br />

termine, dimostrazione, ragionamento,<br />

lettura o redazione di un testo.<br />

Corredato di esempi ed esercizi.<br />

Ignatow, Assen<br />

Anthropologische<br />

Geschichtsphilosophie.<br />

Für eine Philosophie der Geschichte<br />

in der Zeit der Postmoderne<br />

Academia, novembre 1992<br />

pp.221, DM 58<br />

Itzkoff, Seymour W.<br />

The road to equality<br />

Greenwood Press,<br />

dicembre 1992<br />

pp.240, £ 19,95 - $ 24,95<br />

Il presente trattato suggerisce una<br />

nuova strada per una società senza<br />

classi. Il dottor Itzkoff, basandosi sui<br />

fatti e non su fantasie o su un’ideologia,<br />

affronta uno dei principali problemi<br />

internazionali del XXI secolo,<br />

quello delle differenze e dell’inuguaglianza<br />

umana.<br />

Ivaldo, Marco<br />

Libertà e ragione.<br />

L’etica di Fichte<br />

Mursia, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.344, L. 40.000<br />

L’etica trascendentale di Fichte è<br />

un’etica razionale della libertà perché<br />

nella libertà - come principio e<br />

come atto - riconosce il fattore che<br />

apre e qualifica la realizzazione morale<br />

della ragione. La ragione si presenta<br />

perciò come un compito che è<br />

manifestato come legge morale, e che<br />

è ultimamente visualizzato nella “comunità<br />

completa degli esseri razionali”.<br />

Diviso in quattro parti, questo<br />

volume si propone una esposizione<br />

completa del significato di “etica” nel<br />

pensiero di Fichte.<br />

Jacob, André (a cura di)<br />

Encyclopédie philosophique<br />

universelle. 3: Les Oeuvres<br />

philosophiques: dictionnaire<br />

PUF, dicembre 1992<br />

2 voll., pp.4656, F 4500<br />

Dizionario ragionato delle opere fondamentali<br />

di tutti i tempi e di tutti i<br />

paesi. 1400 specialisti internazionali<br />

hanno recensito 9100 opere di 5400<br />

autori in tutte le discipline, dalla metafisica<br />

alle scienze esatte.<br />

Jaeschke, W. (a cura di)<br />

Transzendentalphilosophie<br />

und Spekulation. Quellen.<br />

Der Streit um di Gestalt<br />

einer Ersten Philosophie


(1799-1807)<br />

Felix Meiner, ottobre 1992<br />

pp.436, DM 136<br />

Il volume si articola in quattro gruppi<br />

tematici: Realismo contro idealismo<br />

trascendentale, idealismo trascendentale<br />

contro idealismo trascendentale<br />

e assoluto, realismo contro idealismo<br />

trascendentale e assoluto, scetticismo<br />

contro idealismo assoluto.<br />

Jenkis, Helmut W.<br />

Sozialutopien - barbarische<br />

Glücksverheißungen?<br />

Zur Geistesgeschichte der Idee<br />

von der vollkommenen Gesellschaft<br />

Duncker & Humblot<br />

dicembre-gennaio 1992-’93<br />

pp.535, DM 198<br />

Jesi, Furio<br />

Cultura di destra<br />

Garzanti, Milano gennaio <strong>1993</strong><br />

pp.176, L. 22.000<br />

Sacrificio, Razza, Patria, Prova<br />

d’Amore, Mistero: la tradizione della<br />

destra - che in Europa riemerge periodicamente<br />

e con effetti a volte devastanti<br />

- ha sempre amato le maiuscole.<br />

Jesi ne ha frugato le matrici, snidando<br />

testi inediti o smarriti tra pagine<br />

che pochi leggono fino a svelare in<br />

maniera divertita, minuziosa e inquietante<br />

il rapporto tra il mito e l’ideologia.<br />

Kann, Christoph<br />

Die Eigenschaften<br />

der Termini. Eine Untersuchung<br />

zur Perutilis logica<br />

Alberts von Sachsen<br />

Brill, dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.100, Dfl 85<br />

Kasulis, Th. P. (a cura di)<br />

Self as body in Asian theory<br />

and practice<br />

State Univ. of New York<br />

dicembre-gennaio 1992-’93<br />

pp.352, $ 20<br />

Gli autori riescono tramite le tradizioni<br />

asiatiche a gettare nuova luce su<br />

alcune delle tradizionali questione<br />

anima-corpo discusse in occidente.<br />

Kaufmann, Felix<br />

Wiener Lieder zu Philosophie<br />

und Ökonomie<br />

A cura di G. von Haberler et al.<br />

G. Fischer, dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.32, DM 38<br />

I Wiener Lieder zu Philosophie un<br />

Ökonomie, qui pubblicati per la prima<br />

volta nella loro completezza, nascono<br />

dal 1922 al 1934. Uno sguardo<br />

ironico delle posizioni filosofiche fenomenologiche,<br />

sulla cavillosità dei<br />

metodologi e sulle lezioni economiche<br />

della scuola di Vienna.<br />

Kaulbach, Ernest N.<br />

Imaginative prophecy in the<br />

B-text if Piers Plowman<br />

D. S. Brewer, dicembre 1992<br />

pp.192, £ 29,50 - $ 59<br />

Un’esplorazione della teoria psicologica<br />

araba (soprattutto avicenniana)<br />

che sta dietro il “Piers Plowman”, che<br />

mette in luce i rapporti fra attanti e<br />

altre figure apparentemente non psi-<br />

cologiche. Il libro descrive anche i<br />

contesti in cui la psicologia araba<br />

raggiunse un poeta inglese del XIV<br />

secolo.<br />

Kennedy, Rodney<br />

The creative power of metaphor:<br />

A rhetorical homiletics<br />

UP of America, dicembre 1992<br />

pp.142, £ 12,95 $ 16,50<br />

Il libro analizza il rapporto simbiotico<br />

fra retorica e omiletica proponendo<br />

un’interfaccia metaforica fra le<br />

due discipline. La ricerca contemporanea<br />

sulla metafora in filosofia, la<br />

retorica, la sociologia e la teologia<br />

vengono impiegate per produrre<br />

un’omiletica retorica/metaforica.<br />

Kenny, Anthony<br />

Aquinas on mind<br />

Routledge, dicembre 1992<br />

pp.192, £ 30<br />

Nel libro vengono discusse parti della<br />

teoria dell’Aquinate che continuano<br />

ad avere valore. Il volume si concentra<br />

su un’attenta lettura delle sezioni<br />

della “Summa Theologiae” dedicate<br />

all’intelletto e alla volontà umana e al<br />

rapporto fra anima e corpo.<br />

Klein, Izchak<br />

Liberté dialectique<br />

P. Lang, novembre 1992<br />

pp.126, F 28<br />

Per esistere e avere un senso, la libertà<br />

deve innanzitutto realizzarsi. Non<br />

si potrebbe concepire questa libertà<br />

che dopo la sua realizzazione e in<br />

rapporto a questa. I. Klein propone<br />

una concezione dialettica della libertà<br />

che è un processo i cui tre momenti<br />

sono la libertà negativa, la realtà e la<br />

coscienza della libertà.<br />

Kniebe, G. (a cura di)<br />

Was ist Zeit?<br />

Wesen und Erscheinungsformen<br />

Freies Geistesleben, novembre 1992<br />

pp.340, DM 58<br />

Knigge, Adolph von<br />

Hébert, Brigitte (a cura di)<br />

Du commerce avec les hommes<br />

ou l’Art de vivre en société<br />

Press. Univ. Mirail-Toulouse<br />

novembre 1992<br />

pp.170, F 150<br />

Pubblicato nel 1788, questo saggio<br />

che dà un’immagine molto vivace<br />

della vita quotidiana in Germania alla<br />

fine del XVIII secolo interesserà i<br />

germanisti e gli specialisti del secolo<br />

dei lumi.<br />

Knoppe, Thomas<br />

Die theoretische Philosophie<br />

Ernst Cassirers. Zu den Grundlagen<br />

transzendentaler Wissenschaftsund<br />

Kulturtheorie<br />

Felix Meiner Verlag, Hamburg 1992<br />

Kofman, Sarah<br />

Explosion<br />

1: De Ecce Homo de Nietzsche<br />

Galilée, novembre 1992<br />

pp.200, F 210<br />

Ecce Homo è il testo più spersonalizzato<br />

che ci sia: un’autobiografia personale<br />

il cui eroe ha in sé più d’una<br />

NOVITA’ IN LIBRERIA<br />

76<br />

persona e non è nessuno, nient’altro<br />

che un accumulo prodigioso di forze<br />

che esplodono.<br />

Koslowski, Peter<br />

Politik und Ökonomie<br />

bei Aristoteles<br />

J.C.B. Mohr, novembre 1992<br />

pp.100, DM 69<br />

Koslowski ci mostra quale peso attribuisce<br />

Aristotele all’economia politica<br />

e e al fondamento dell’etica economica<br />

da un punto di vista sistematico<br />

e storico.<br />

Kosso, Peter<br />

An introduction<br />

to the philosophy of science.<br />

Reading the book of nature<br />

Cambridge UP, novembre 1992<br />

pp.224, £ 8<br />

Uno sguardo introduttivo alla filosofia<br />

della scienza adatto a principianti<br />

e non specialisti. Il suo punto di partenza<br />

è la domanda: perché dovremmo<br />

credere a quanto la scienza ci dice<br />

sul mondo?<br />

Krewani, Wolfgang N.<br />

Emmanuel Lévinas.<br />

Denker des Anderen<br />

Karl Alber, novembre 1992<br />

pp.270, DM 38<br />

Lo scopo centrale e lo sviluppo del<br />

pensiero di Lévinas vengono esposti<br />

sul filo conduttore dei concetti centrali<br />

di tempo, altro e soggetto.<br />

Kristeller, Paul Oskar -<br />

Wiener, Philip P. (a cura di)<br />

Renaissance essays: I<br />

Univ. of Rochester Press,<br />

dicembre 1992<br />

pp.384, £ 14,95 - $ 29<br />

Selezione di 15 saggi dal “Journal of<br />

the History of Ideas”, che tratta di<br />

un’ampia parte della storia intellettuale<br />

del Rinascimento. Vengono discussi<br />

fra gli altri argomenti del pensiero<br />

sociale, morale e religioso, umanesimo,<br />

filosofia e scienze, letteratura,<br />

arti visive e musica.<br />

Kuhlmann, Wolfgang<br />

Sprachphilosophie,<br />

Hermeneutik, Ethik. <strong>Studi</strong>en<br />

zur Transzendentalpragmatik<br />

Königshausen & Neumann<br />

dicembre-gennaio 1992-’93<br />

pp.220, DM 48<br />

La pragmatica trascendentale è visibile<br />

nonostante le fondamentali trasformazioni<br />

dei concetti sistematici<br />

nella tradizione della filosofia trascendentale<br />

kantiana. Concentrandosi<br />

su alcuni dei punti attualmente forti<br />

del dibattito filosofico Kuhlmann riesce<br />

a presentare in modo chiaro e<br />

comprensibile i nuovi approcci sistematici<br />

alla pragmatica trascendentale.<br />

Kühn, Rolf<br />

Sinn - Sein - Sollen.<br />

Beiträge zu einer<br />

Phänomenologischen<br />

Existenzanalyse<br />

in Auseinandersetzung<br />

mit dem Denken Voktor E. Frankls<br />

Junghans, novembre 1992<br />

pp.222, DM 35<br />

Lang, Helen S.<br />

Nature in Aristotle’s “Physics”<br />

and its medieval varieties<br />

State Univ. of New York<br />

dicembre-gennaio 1992-’93<br />

pp.224, $ 15<br />

La prima parte espone le idee aristoteliche<br />

e la seconda l’interpretazione<br />

di queste idee da parte di Filopono,<br />

Alberto Magno, Tommaso d’Aquino,<br />

Giovanni Buridano e Duns Scoto.<br />

Laurent, Jérôme<br />

Les Fondements de la nature<br />

selon Plotin:<br />

procession et partecipation<br />

Vrin, dicembre 1992<br />

pp.253, F 189<br />

Per Plotino, tutte le forme di vita<br />

procedono dall’attività spirituale resa<br />

possibile dall’ineffabile perfezione<br />

dell’Uno. Ma allora come spiegare la<br />

cattiveria e la corruzione? Come pensare<br />

lo statuto del corpo, spesso presentato<br />

dalla tradizione platonica<br />

come una prigione dell’anima?<br />

Lee, Jin-Woo<br />

Politische Philosophie<br />

des Nihilismus.<br />

Nietzsches Neubestimmung<br />

des Verhältnisses von Politik<br />

und Metaphysik<br />

de Gruyter, novembre 1992<br />

pp.441, DM 216<br />

Fondamenti di una filosofia politica<br />

per la società d’oggi priva di principi.<br />

Dall’analisi critico temporale di Nietzsche<br />

del nichilismo viene elaborata<br />

una filosofia della politica.<br />

Lehmann, Roswitha<br />

Ethik ohne Geländer.<br />

Moralisches Sollen im Kontext<br />

von Prozeßoffenheit.<br />

Eine überschreitung<br />

des normenorientierten<br />

Denkmusters unter Einbeziehung<br />

von Buber und Kohlberg sowie<br />

einem Rückgriff auf Nietzsche<br />

und Kant<br />

Die Blaue Eule, novembre 1992<br />

pp.355, DM 78<br />

Lenk, H. - Vollmer, G.<br />

Hastedt, H. - Riedl, R.<br />

Fenk, A. - Heisenberg, M.<br />

Flohr, H. - Mainzer, Kl.<br />

Forum für Interdisziplinäre<br />

Forschung 1992/1.<br />

Thema:Vernunft als mentaler Prozeß<br />

Verlag J.H. Röll<br />

dicembre-gennaio 1992-’93<br />

pp.72, DM 12,50<br />

I saggi interdisciplinari discutono la<br />

questione dei rapporti empirici all’interno<br />

della ragione e cercano di proporre<br />

una nuova via di uscita al di là<br />

del materialismo e dell’idealismo.<br />

Liebsch, Burkhard<br />

Spuren einer anderen Natur.<br />

Piaget, Merleau-Ponty<br />

und die ontogenetischen Prozesse<br />

W. Fink, novembre 1992<br />

pp.430, DM 98<br />

La concezione di Piaget e di Merleau-<br />

Ponty nel saggio di Liebsch vengono<br />

contestualizzate in modo tale che la<br />

questione viene posta dal punto di


vista dello sviluppo in modo completamente<br />

nuovo e insolito. L’autore,<br />

rilavato in acque filosofiche, storicoscientifiche<br />

e psicologiche, ci conduce<br />

così sulle “tracce di un’altra natura”.<br />

Loewer, Barry - Rey, George<br />

(a cura di)<br />

Meaning in mind:<br />

Fodor and his critics<br />

Blackwell Publishing,<br />

dicembre 1992<br />

pp.384, £ 15,95<br />

Il volume contiene 14 contributi di<br />

filosofi ed esperti della conoscenza<br />

critici nei confronti della teoria computazionale<br />

di Fodor della causa intenzionale,<br />

centrale per l’emergere<br />

delle scienze cognitive. I saggi sono<br />

seguiti da risposte di Fodor a ognuno<br />

di essi.<br />

Loewith, Karl<br />

My life in Germany<br />

before and after 1933. A report<br />

The Athlone, dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.192, £ 40<br />

L’autobiografia di un filosofo focalizzata<br />

sugli anni 1914-’39, periodo<br />

che vede la nascita della Germania di<br />

Hitler. Il libro tratta della gioventù di<br />

Lowith in Germania, della sua emigrazione<br />

in Italia e quindi in Giappone<br />

e del suo incontro con Martin Heidegger.<br />

Lombardi, Paolo<br />

La Bibbia contesa.<br />

Tra umanesimo e razionalismo<br />

La Nuova Italia, Firenze 1992<br />

L. 35.000<br />

A cavallo tra Quattrocento e Seicento,<br />

la Bibbia fu al centro di tutte le<br />

grandi dispute intellettuali, dall’umanistica<br />

riforma della ratio studiorum,<br />

alla battaglia combattuta da Galileo a<br />

sostegno di una nuova scienza della<br />

natura. Ripercorrendo le tappe dello<br />

sviluppo del dibattito sulla Scrittura,<br />

questo libro cerca di mettere in luce la<br />

straordinaria densità teorica di quelle<br />

discussioni sul testo biblico.<br />

Löther, Rolf<br />

Der unvollkommene Mensch.<br />

Philosophische Anthropologie<br />

und biologische Evolutionstheorie<br />

Dietz Vlg. Berlin<br />

dicembre-gennaio 1992-’93<br />

pp.330, DM 42<br />

Löwith, Karl<br />

Heidegger - Denker<br />

in dürftiger Zeit<br />

Prefazione di B. Lutz<br />

J.B. Metzler, novembre 1992<br />

pp.160, DM 32<br />

Maffesoli, Michel<br />

Nel vuoto delle apparenze<br />

Verso un’etica dell’esistenza<br />

Garzanti, Milano febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.320, L. 38.000<br />

Il volume prende le mosse da un interrogativo<br />

centrale nel dibattito odierno:<br />

che senso dare alla nostra esperienza<br />

nell’attuale epoca “postmoderna”?<br />

L’unica eredità che ci ha lasciato<br />

la caduta delle grandi ideologie<br />

sembra essere un pulviscolare sog-<br />

gettivismo e l’unica forza trainante<br />

della vita sociale sembra essere l’edonismo<br />

della quotidianità. Per dare una<br />

coerenza ed una finalità a questo quadro,<br />

Maffesoli propone un’etica fondata<br />

sulla rivalutazione della sensibilità<br />

rispetto alla razionalità e sulla<br />

necessità che ciascuna azione sia in<br />

sé compiuta e quindi esteticamente<br />

accettabile.<br />

Mangione, Corrado<br />

Bozzi, Silvio<br />

Storia della logica<br />

Garzanti, Milano gennaio <strong>1993</strong><br />

pp. 976, L. 90.000<br />

Dall’Ottocento a oggi, la logica formale<br />

è stata protagonista di un’evoluzione<br />

di straordinaria ricchezza e complessità.<br />

Ponendosi alla confluenza<br />

tra filosofia e matematica, informatica<br />

e linguistica, ha indubbiamente<br />

condizionato il loro sviluppo; d’altro<br />

canto queste diverse discipline hanno<br />

spesso cercato nella logica una adeguata<br />

formalizzazione, arricchendola<br />

con le loro problematiche. L’ampia<br />

panoramica del volume offre una<br />

puntuale introduzione storica alla logica<br />

formale.<br />

Marie, Jean-Paul (a cura di)<br />

Le Pessimisme<br />

Presses univ. de Nancy, nov. 1992<br />

F 180<br />

Il pessimismo rivendica l’etichetta<br />

esclusiva di lucidità, la coscienza precisa<br />

dell’assurdità dell’esistenza. Da<br />

Schopenhauer a Nietzsche, orgogliosi<br />

e disperati, il pessimismo ha invaso<br />

a poco a poco la filosofia e la letteratura.<br />

Dall’antichità ai giorni nostri, si<br />

trova al centro di creazione e distruzione.<br />

Marsonet, Michele<br />

Logica e linguaggio<br />

Pantograf, gennaio <strong>1993</strong><br />

Vol. II, pp. 142<br />

Il libro si propone come parte propedeutica<br />

di una più ampia trattazione<br />

della questione, posta programmativamente<br />

da Quine, di una fondazione<br />

rigorosa logico-formale dell’ontologia.<br />

May, Keith M.<br />

Nietzsche on the struggle<br />

between knowledge and wisdom<br />

Macmillan Press, dicembre 1992<br />

pp.192, £ 35<br />

Il volume prende in considerazione il<br />

significato e le implicazioni della<br />

convinzione di Nietzsche nel rapporto<br />

della filosofia fino al tempo di<br />

Aristotele e il suo influsso sui moderni<br />

atteggiamenti (prevalentemente<br />

nichilisti), per i quali esso costituisce<br />

una sorta di antidoto. Dello stesso<br />

autore di “Aldous Huxley” e di “Nietzsche<br />

and the Spirit of Tragedy”.<br />

Meggle, G. - Rippe, Kl.P.<br />

Wessels, U. (a cura di)<br />

Almanach der Praktischen Ethik.<br />

Forscher. Institutionen. Themen.<br />

Eine Bestandsaufnahme<br />

Westdt. Vlg., novembre 1992<br />

pp.326, DM 56<br />

Il libro informa sui punti cruciali del<br />

lavoro pratico-etico, sulle sue linee di<br />

NOVITA’ IN LIBRERIA<br />

77<br />

ricerca e sulle pubblicazioni di scienziati<br />

e istituzioni in ambiti di lingua<br />

tedesca, soprattutto nel campo della<br />

filosofia, ma anche in quello della<br />

teologia, della medicina, della tecnica,<br />

delle scienze naturali, dell’ambiente<br />

e dell’economia.<br />

Modica, Giuseppe<br />

Fede, libertà, peccato<br />

Palumbo,ottobre 1992<br />

pp. 166<br />

Il libro ripercorre uno dei nodi più<br />

difficili, paradossali, del pensiero di<br />

Kierkegaard, il rapporto tra fede, libertà<br />

e peccato, traendone le implicazioni<br />

relative alle questioni poste dalla<br />

teodicea.<br />

Moneti Codignola, Maria<br />

Il paese che non c’è<br />

e i suoi abitanti<br />

La Nuova Italia, 1992<br />

L 45.000<br />

Una disamina del significato e della<br />

funzione delle utopie nell’antichità<br />

(lo stato educatore in Platone) e soprattutto<br />

nell’era moderna (da More<br />

agli illuministi), fino alle soglie dell’età<br />

contemporanea (Fourier).<br />

Mooney, Michael<br />

Vico e la tradizione della retorica<br />

Il Mulino, luglio 1992<br />

pp.362<br />

Il libro mette in luce l’atteggiamento<br />

classico che Vico ha nei confronti<br />

della retorica come discorso sociale,<br />

comunicazione e strumento di cambiamento<br />

della società. In questo si<br />

mostra come geniale precursore dello<br />

storicismo che va da Hegel a Croce.<br />

Morali, Claude<br />

Le Juste ton de la vie<br />

Laboratoires Delagrange:<br />

Synthélabo, dicembre 1992<br />

pp.350, F 94<br />

Il clima della vita, il clima dell’essere,<br />

descritto in primo luogo da ciò che<br />

vive, e poi da temi ed esperienze in<br />

letteratura e in filosofia, conduce forse<br />

all’”onto-biografia” di un Dio vivente,<br />

di una vita divina, o a una<br />

meteorologia trascendentale?<br />

Moravcsik, Julius<br />

Plato and Platonism.<br />

Plato’s conception of appearance<br />

and reality in ontology,<br />

epistemology and ethics<br />

and its modern echoes<br />

Blackwell, dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.352, £ 40<br />

Morewedge, P. (a cura di)<br />

Neoplatonism and islamic thought<br />

State Univ. of New York<br />

dicembre-gennaio 1992-’93<br />

pp.267, $ 17<br />

Il libro esplora attraverso il loro neoplatonismo<br />

le filosofie di quattro culture:<br />

Nordafrica, Spagna moresca,<br />

Grecia e Islam.<br />

Morin, Edgar<br />

Introduzione al pensiero complesso<br />

Sperling & Kupfer, febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.128, L. 26.500<br />

”Complessità” è una parola-problema<br />

e non una parola-soluzione. Essa<br />

esprime il nostro disagio, la nostra<br />

confusione, la nostra incapacità di<br />

definire in modo semplice e di fare<br />

chiarezza nelle nostre idee. Se la complessità<br />

è la sfida da affrontare, il<br />

pensiero complesso è lo strumento<br />

che aiuta a raccoglierla e spesso addirittura<br />

a vincerla.<br />

Morris, Michael<br />

The good and the true<br />

Clarendon, dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.352, £ 37,50<br />

Il libro mette a confronto la concezione<br />

scientifica della natura della realtà<br />

e suggerisce che per noi il concetto di<br />

possesso, fede e verità hanno senso<br />

solo all’interno di una prospettiva in<br />

cui i valori in generale contino e in<br />

particolare il bene morale, in quanto<br />

parte del mondo.<br />

Müller, Denis<br />

Les Lieux de l’action:<br />

éthique et religion dans<br />

une société pluraliste<br />

Labor et Fides, novembre 1992<br />

pp.200, F 129<br />

Il libro affronta problemi contemporanei,<br />

quali l’AIDS, il segreto medico<br />

e i diritti dei malati. Un’ultima parte<br />

dedicata all’Europa pone i fondamenti<br />

per un’etica europea.<br />

Mura, Alberto<br />

La sfida scettica.<br />

Saggio sul problema<br />

logico dell’induzione<br />

ETS Editrice, ottobre 1992<br />

pp.200<br />

Il libro discute il problema logico<br />

dell’induzione da un punto di vista<br />

epistemologico (qual’è il ruolo dell’induzione<br />

nella conoscenza in generale<br />

e nella scienza in particolare?)<br />

e logico (che cos’è l’inferenza induttiva?<br />

Com’ è possibile inferire direttamente<br />

al di là delle premesse?). Il<br />

testo affronta queste questioni da un<br />

punto di vista probabilistico.<br />

Nadler, Steven M.<br />

Malebranche and Ideas<br />

Oxford UP, dicembre 1992<br />

pp.192, £ 30<br />

Questo trattato prende in considerazione<br />

il ruolo di Malebranche come<br />

seguace di Descartes e descrive il<br />

modo in cui questi rimase uno strenuo<br />

difensore della posizione cartesiana,<br />

pur modificandone al contempo<br />

la filosofia sotto diversi aspetti<br />

importanti.<br />

Nagl-Docekal, H. - Wimmer, F.M.<br />

(a cura di)<br />

Postkoloniales Philosophieren:<br />

Afrika<br />

Oldenbourg, novembre 1992<br />

pp.255, DM 38<br />

Negri, Antimo<br />

Giovanni Gentile<br />

Edizioni dell’Arcipelago<br />

gennaio 1992<br />

pp. 95<br />

Negt, Oskar - Kluge, Alexander<br />

Maßverhältnisse des Politischen.<br />

15 Vorschläge<br />

zum Unterscheidungsvermögen


S. Fischer Verlag<br />

dicembre-gennaio 1992-’93<br />

Dietro il concetto di proporzionalità<br />

non c’è Aristotele, ma Hegel, che con<br />

il suo Punti nodali della proporzionalità<br />

aveva in mente in raccolta che<br />

condensasse gli avvenimenti e li mettesse<br />

in movimento. Il politico può<br />

anche lavorare senza produrre una<br />

“giusta misura”. In tal caso esso si<br />

costituisce però esclusivamente come<br />

campo di oggetto professionalizzato.<br />

La “materia prima” politica, interessi<br />

e sentimento, per Negt e Kluge riceve<br />

una trattazione efficace solo quando<br />

da questa risultano autodeterminazione,<br />

una comunità fondata sulla<br />

durata, possibilità di scelta e di espressione.<br />

Su questi quattro criteri viene<br />

misurata la politica. “Il politico” si<br />

cela in ogni rapporto vitale come<br />

“materia prima” o “elemento naturale”.<br />

A ciò si aggiunge sempre che il<br />

sentimento quotidiano del loro “grado<br />

di intensità” muta diventando politico.<br />

Ma per diventare autenticamente<br />

politici, questi sentimenti devono<br />

trovare un’espressione pubblica,<br />

così da portare a un’associazione<br />

di uomini e quindi affermarsi come<br />

durata.<br />

Nicolini, Fausto<br />

La giovinezza di Vico.<br />

Saggio biografico<br />

Il Mulino, luglio 1992<br />

pp.198<br />

Nietzsche, Friedrich<br />

Le Service divine des Grecs:<br />

Antiquités du culte religieux<br />

des Grecs, cours de trois heures<br />

hebdomadaires, hiver 1875-76<br />

A cura di E. Cattin<br />

Herne, novembre 1992<br />

pp.213, F 140<br />

Affrontando ancora una volta i greci<br />

su un terreno (il culto) vicino alle<br />

questioni che quattro anni prima avevano<br />

ispirato la Nascita della tragedia,<br />

Nietzsche inventa e mette alla<br />

prova i concetti e il metodo di Umano,<br />

troppo umano. La presente traduzione<br />

di un testo introvabile in tedesco<br />

dagli anni ’20 rischiara un importante<br />

momento nella costituzione del<br />

pensiero nietzscheano.<br />

Nietzsche, Friedrich<br />

Considérations inactuelles<br />

III et IV<br />

A cura di G. Colli<br />

Montinari Mazzino ed., nov. 1992<br />

pp.204, F 29,50<br />

Testi su Schopenhauer e Wagner.<br />

Ockham, Guglielmo<br />

Logica dei termini<br />

a cura di Paola Müller<br />

Rusconi, ottobre 1992<br />

pp. 343<br />

Opilik, Klaus<br />

Transzendenz und Vereinzelung.<br />

Zur Fragwürdigkeit<br />

des transzendentalen Ansatzes<br />

im Umkreis von Heideggers<br />

Sein und Zeit<br />

Karl Alber, novembre 1992<br />

pp.230, DM 70<br />

La fondamentale esperienza del riti-<br />

ro, nel periodo di Essere e tempo<br />

ancora interpretabile come rapporto<br />

di tensione fra trascendenza e isolamento,<br />

porta alla fine Heidegger alla<br />

necessità di un cambiamento del concetto<br />

di filosofia. Qui si propone una<br />

prospettiva ricca di sviluppi per il<br />

pensiero heideggeriano successivo.<br />

Pascal, Blaise<br />

Discours sur la religion<br />

et sur quelques autres sujets<br />

qui ont été trouvés après<br />

sa mort parmi ses papiers<br />

A cura di E. Martineau<br />

Fayard, novembre 1992<br />

F 280<br />

Nel corso dell’estate 1660, Pascal<br />

ripartì in ventisette rubriche circa<br />

quattrocento frammenti autografi di<br />

quella che sarebbe diventata<br />

l’”Apologia della religione cristiana”.<br />

_ questa classificazione in “fascicoli”<br />

che è stata usata in questa<br />

edizione di un’opera tradizionalmente<br />

pubblicata con il titolo di Pensieri<br />

Pellerey, Roberto<br />

Le Lingue perfette<br />

nel secolo dell’utopia<br />

Laterza, settembre 1992<br />

pp.304<br />

Un’analisi delle teorie linguistiche<br />

nel secolo dell’illuminismo.<br />

Pénisson, Pierre<br />

J.G. Herder:<br />

la raison dans les peuples<br />

Cerf, dicembre 1992<br />

pp.350, F 180<br />

Tutta l’opera di Herder (1744-1803)<br />

consiste nel raccogliere “la voce del<br />

popolo, dell’umanità sparsa”. Raffrontando<br />

incessantemente epoche e<br />

lingue le une alle altre, Herder, del<br />

quale ci si è spesso serviti per rivendicare<br />

il particolarismo contro l’universale,<br />

sviluppa in realtà una “filosofia<br />

della traduzione”, dice P. Pénisson.<br />

Perler, Dominik<br />

Der propositionale<br />

Wahrheitsbegriff im 14. Jahrhundert<br />

de Gruyter, novembre 1992<br />

pp.387, DM 188<br />

Aspetti semantici, di teoria della conoscenza<br />

e ontologici delle teoria della<br />

verità del tardo medio evo.<br />

Perrella, Ettore<br />

Il tempo etico<br />

Edizioni Biblioteca dell’Immagine<br />

ottobre 1992<br />

pp.670<br />

Il libro si pone l’ambizioso progetto<br />

di costruire una “scienza nuova” che,<br />

al di là del pregiudizio “decadente”<br />

posto dalla psicanalisi classica, secondo<br />

cui soggettivo è sinonimo di<br />

patologico, costruisca una teoria complessiva<br />

della soggettività conoscitiva<br />

ed etica, fondandosi sul principio<br />

trascendentale del cogito e sui presupposti<br />

della teoria kantiana della<br />

temporalità.<br />

Peterman, James<br />

Philosophy as therapy.<br />

An interpretation and defense<br />

of Wittgenstein’s later<br />

philosophical project<br />

NOVITA’ IN LIBRERIA<br />

78<br />

State Univ. of New York<br />

dicembre-gennaio 1992-’93<br />

pp.178, $ 13<br />

Pettit, Philip<br />

The common mind: An essay<br />

on psychology, society<br />

and politics<br />

Oxford UP Inc USA<br />

dicembre 1992<br />

pp.256, £ 27,50<br />

Il presente trattato sostiene un modo<br />

originale di separare gli esseri senzienti,<br />

in particolare gli umani, da<br />

altri sistemi intenzionali, sia naturali<br />

che artificiali, appoggiando un’immagine<br />

dell’individualismo olistico<br />

e delineando una nuova cornice per<br />

una teoria sociale e politica.<br />

Pierobon, Franck<br />

Système et représentation<br />

dans la déduction transcendentale<br />

de la Critique de la raison pure<br />

J. Millon, dicembre 1992<br />

pp.416, F 198<br />

Non c’è niente di più incomprensibile<br />

di risposte di cui non si capisce a<br />

quale domanda si riferiscano. La Critica<br />

della ragion pura ha così anticipato<br />

alcune questioni, suscitando<br />

malgrado il suo autore, alcuni malintesi<br />

altrettanto fecondi, in senso filosofico,<br />

del movimento vero e proprio<br />

che la orienta.<br />

Platon<br />

Le Politique; Philèbe; Timée<br />

A cura di A. Diès e A. Rivaud<br />

Gallimard, dicembre 1992<br />

pp.280, F 89<br />

Raggruppa testi che la tradizione ha<br />

sempre associato, che vertono sull’origine<br />

dell’universo, dell’uomo e<br />

della città.<br />

Platone<br />

Parménide; Théétète; Le Sophiste<br />

Trad. di Auguste Diès<br />

Gallimard, novembre 1992<br />

pp.238, F 80<br />

In questi tre dialoghi Platone affronta<br />

i problemi fondamentali della conoscenza,<br />

dell’essere e della verità.<br />

Plumpe, Gerhard<br />

Ästhetische Kommunikation<br />

der Moderne.<br />

Band 1: Von Kant bis Hegel<br />

Westdeutscher, dic.-gennaio ’92-’93<br />

pp.320, DM 59<br />

Questa ricostruzione si svolge nella<br />

prospettiva di una teoria della “comunicazione<br />

estetica” che osserva e riflette<br />

lo sviluppo dell’arte a partire<br />

dalla sua differenziazione nel XVIII<br />

secolo. Da questo approccio di tipo<br />

sistematico-teoretico emerge una nuova<br />

periodizzazione della storia dell’estetica.<br />

Poincaré, Henry<br />

La Science et l’hypothèse:<br />

essai de philosophie des sciences<br />

Ed. de la Bohème, dicembre 1992<br />

pp.316, F 88<br />

L’autore si interroga sui rapporti fra<br />

la scienza, la perfezione della cono-<br />

scenza e la parte dell’uomo, le convenzioni<br />

del suo linguaggio, dei suoi<br />

ragionamenti e delle sue intuizioni.<br />

Poirié, François<br />

Emmanuel Levinas<br />

Manufacture, novembre 1992<br />

pp.157, F 82<br />

Al crocevia di ambiti dello spirito<br />

assai diversi fra loro: la religione giudaica,<br />

la letteratura russa, la fenomenologia<br />

tedesca, la filosofia e la critica<br />

contemporanee, E. Levinas è riuscito<br />

a formulare una filosofia decisamente<br />

nuova.<br />

Poli, Roberto<br />

Ontologia formale<br />

Marietti, luglio 1992<br />

pp. 542<br />

Il libro prende in esame la complementarietà<br />

teoretica di filosofia analitica<br />

e fenomenologia attraverso lo<br />

studio degli aspetti della tematica<br />

ontologica comuni alle due posizioni.<br />

Poppi, Antonio<br />

Cremonini e Galilei inquisiti<br />

a Padova nel 1604.<br />

Nuovi documenti d’archivio<br />

Editrice Antenore, ottobre 1992<br />

pp. 106<br />

Possenti, Vittorio<br />

Oltre l’illuminismo. Il messaggio<br />

sociale del Cristianesimo<br />

Edizioni Paoline, 1992<br />

pp. 270<br />

Con la crisi dell’illuminismo ed il<br />

crollo del comunismo la dottrina sociale<br />

della Chiesa viene ad assumere<br />

un ruolo centrale per chiarire i temi<br />

principali della sfera pubblica, dall’economia<br />

ai diritti dell’uomo, dalla<br />

democrazia alla nuova Europa. Il volume<br />

si chiude con un’intervista concessa<br />

sui temi della dottrina sociale<br />

della Chiesa dall’allora cardinale<br />

Karol Wojtyla nel 1978.<br />

Poulain, Jacques (a cura di)<br />

Rue Descartes, nº5-6;<br />

De la vérité: pragmatisme,<br />

historicisme et relativisme<br />

Albin Michel, dicembre 1992<br />

F 150<br />

Riducendo la verità teorica a una convinzione<br />

di ordine pratico, abituandosi<br />

a inchinarsi davanti alle istanze<br />

del consenso come lo scientifico fa<br />

davanti al mondo visibile, non si arriva<br />

forse a neutralizzare ogni giudizio<br />

critico?<br />

Rescher, Nicholas<br />

A system of pragmatic idealism.<br />

Volume II: The validity of values.<br />

A normative theory<br />

of evaluative rationality<br />

Princeton UP, dic.-gennaio 92-93<br />

pp.296, $ 44<br />

Secondo dei tre volumi Un sistema<br />

dell’idealismo pragmatico, una collana<br />

che riassume l’opera di tutta una<br />

vita del filosofo Nicholas Rescher.<br />

Ricoeur, P. - Chrétien, J.-L.<br />

Marion, J.-L. - Henry, M.<br />

Phénoménologie et théologie<br />

Critérion, dicembre 1992


F 99<br />

Si tratta di quattro interventi che hanno<br />

concluso i lavori del seminario del<br />

Centro di ricerche fenomenologiche<br />

ed ermeneutiche nel corso dei due<br />

anni accademici 1990-91 e 1991-92.<br />

L’argomento di questo seminario era,<br />

più precisamente, “fenomenologia ed<br />

ermeneutica della religione”.<br />

Ricoeur, Paul<br />

Lectures<br />

2: La Contrée des philosophes<br />

Seuil, dicembre 1992<br />

pp.497, F 170<br />

Viaggio attraverso diverse “contrade”<br />

dell’universo filosofico contemporaneo:<br />

figure dell’esistenzialismo<br />

(da Kierkegaard a Camus) al cui cospetto<br />

P. Ricoeur manifesta la sua<br />

distanza o la sua prossimità; confronto<br />

con autori che hanno esercitato una<br />

profonda influenza sulla sua opera<br />

(E. Mounier, J. Wahl, G. Marcel);<br />

discussione con i rappresentanti della<br />

corrente strutturalista...<br />

Rigal, Elisabeth (a cura di)<br />

La Notion d’analyse<br />

Presses univ. du Mirail-Toulouse<br />

novembre 1992<br />

pp.400, F 180<br />

La nozione di analisi in filosofia, in<br />

psicoanalisi o anche a partire da prospettive<br />

trasversali. Con testi di J.<br />

Deridda, J. Toussaint-Dessanti e<br />

Gérard Granel.<br />

Rivelaygue, Jacques<br />

Leçons de métaphysique allemand<br />

2: Kant, Heidegger, Habermas<br />

Grasset, novembre 1992<br />

pp.504, F 165<br />

Il corso di Rivelaygue consente di<br />

leggere o di rileggere Kant cogliendone<br />

il senso e la sua vera portata,<br />

mostrandoci anche tutto ciò che separa<br />

quel grande critico del mondo<br />

moderno che fu Heidegger da coloro<br />

che, come Habermas, intendono restare<br />

fedeli al progetto della modernità.<br />

Rizzi, Lino<br />

Eticità e stato in Hegel<br />

Mursia, Milano febbraio <strong>1993</strong><br />

pp.368, L. 40.000<br />

La teoria hegeliana dell’Eticità appare<br />

un grande sforzo di comprendere<br />

come le sfere dell’economia, del diritto<br />

e della politica costituiscano sistemi<br />

tra loro distinti solo operativamente,<br />

ma come eticamente siano<br />

funzioni dirette alla realizzazione degli<br />

individui. Che lo stato sia etico,<br />

detta le condizioni di principio per<br />

l’autorealizzazione dei suoi membri.<br />

Röd, Wolfgang (a cura di)<br />

Geschichte der Philosophie.<br />

Band 2: Die Philosophie der Antike<br />

Teil 2: Sophistik und Sokratik<br />

Plato und Aristoteles<br />

Beck, novembre 1992<br />

pp.390, DM 48<br />

Roser, A. - Mohrs, Th.<br />

Börncke, Frank R. (a cura di)<br />

Kant-Konkordanz<br />

Olms, dic.-gennaio 1992-’93<br />

10 voll., pp.7000, DM 198 (1 vol.)<br />

Nelle concordanze sull’opera di Kant<br />

(voll.I-IX nell’edizione dell’Accademia<br />

prussiana delle scienze) per la<br />

prima volta tutti i più importanti concetti<br />

dell’opera kantiana vengono inclusi<br />

in un’applicazione delle moderne<br />

tecnologie dei computer.<br />

Roth, Robert J.<br />

British empiricism and<br />

american pragmatism: New<br />

directions and neglected<br />

arguments<br />

Fordham UP, dicembre 1992<br />

pp.200, £ 15,95 - $ 19,95<br />

Il libro vuole contribuire alla rinascita<br />

dell’interesse per il pragmatismo<br />

americano e i suoi propositori, William<br />

James, C. S. Peirce e John Dewey,<br />

concentrandosi sulle influenze dell’empirismo<br />

britannico, in particolar<br />

modo sulle filosofie di Locke e di<br />

Hume, e sulle forti differenze fra le<br />

due tradizioni.<br />

Rothschild, Kurt W.<br />

Ethics and economic theory:<br />

Ideas, models and dilemmas<br />

Edward Elgar, dicembre 1992<br />

pp.176, £ 35<br />

Una valutazione critica dei rapporti<br />

fra teoria economica, oggettività<br />

scientifica ed etica che si serve di<br />

esempi tratti dalla vita reale e propone<br />

una nuova prospettiva sulle dimensioni<br />

etiche dell’analisi economica.<br />

Ryle, Gilbert<br />

Gilbert Ryle and the<br />

philosophy of mind<br />

A cura di Rene Meyer<br />

Blackwell Publishing,<br />

dicembre 1992<br />

pp.256, £ 40<br />

Raccolta di scritti di Gilbert Ryle,<br />

professore di filosofia a Oxford dal<br />

1945 al 1967. Il libro comprende anche<br />

due omaggi a Ryle: uno di John<br />

Mabbot, amico intimo di Ryle, sull’uomo;<br />

l’altro di David Gallop, ex<br />

studente di Ryle, sul filosofo.<br />

Sachs-Hombach, Klaus<br />

Philosophische Psychologie<br />

im 19. Jahrhundert.<br />

Entstehung und Problemgeschichte<br />

Karl Alber, dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.380, DM 94<br />

Il problema della conoscenza unisce i<br />

fondamenti della validità del sapere<br />

alla questione delle origini della conoscenza.<br />

La filosofia è tradizionalmente<br />

il primo campo trattato, mentre<br />

il secondo si rivolge alla psicologia<br />

empirica. La “psicologia filosofica”<br />

compie un tentativo di mediazione:<br />

si interroga sulle dipendenze reciproche<br />

di validità e genesi.<br />

Salamun, K. (a cura di)<br />

Was ist Philosophie? Neuere Texte<br />

zu ihren Selbstverständnis<br />

J.C.B. Mohr, novembre 1992<br />

pp.365, DM 24,80<br />

Una scelta di testi nella quale noti<br />

filosofi del XX secolo espongono le<br />

proprie idee sui compiti e gli scopi<br />

della filosofia.<br />

Sanguineti, Juan José<br />

NOVITA’ IN LIBRERIA<br />

79<br />

Scienza aristotelica<br />

e scienza moderna<br />

Armando Editore, settembre 1992<br />

pp. 240<br />

Il libro analizza alcuni aspetti epistemologici<br />

rilevanti della scienza della<br />

natura aristotelica e la concezione<br />

kantiana della scienza della natura<br />

allo scopo di valutare il passaggio<br />

dalla scienza aristotelica a quella<br />

moderna.<br />

Schaefer, Alfred<br />

Die Idee in Person.<br />

Hobbes’ Leviathan in seiner<br />

und unserer Zeit<br />

Berlin-Vlg. Spitz, novembre 1992<br />

pp.158, DM 25<br />

Schalow, Frank<br />

The renewal<br />

of the Heidegger-Kant dialogue.<br />

Action- thought and responsibility<br />

State Univ. of New York<br />

dicembre-gennaio 1992-’93<br />

pp.416, $ 20<br />

Il saggio fornisce una visione completa<br />

di tutto il corpus heideggeriano<br />

ed è costruito attorno a un tema centrale,<br />

su cui si sofferma brevemente.<br />

L’autore rintraccia l’inizio del dialogo<br />

continuo di Heidegger con Kant<br />

non dalla sua prima apparizione, ma<br />

dal suo fertile terreno.<br />

Schlosser, Gerhard<br />

Einheit der Welt<br />

und Einheitswissenschaft.<br />

Grundlegung einer<br />

Allgemeinen Systemtheorie<br />

Vieweg, dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.250, DM 85<br />

Come si può sostenere il calcolo dell’unità<br />

del mondo quando una molteplicità<br />

di discipline si accostano l’una<br />

all’altra senza alcun rapporto? Nella<br />

seconda parte si cerca di rispondere a<br />

questa domanda con il fondamento di<br />

una teoria del sistema generale.<br />

Schnädelbach, Herbert<br />

Vorträge und Abhandlungen.<br />

Band 2: Zur Rehabilitation<br />

des animal rationale<br />

Suhrkamp, novembre 1992<br />

pp.454, DM 28<br />

Schoeck, R. J.<br />

Erasmus of Europe: The<br />

making of a humanist<br />

Edinburgh UP, dicembre 1992<br />

pp.432, £ 16,95<br />

Una biografia dell’umanista rinascimentale<br />

Erasmo da Rotterdam. Un<br />

resoconto dei viaggi del filosofo a<br />

Parigi, in Inghilterra, nei Paesi Bassi<br />

e in Svizzera, con uno sguardo alla<br />

storia delle idee in cui Erasmo svolse<br />

un ruolo.<br />

Schönherr-Mann, Hans-Martin<br />

Politik der Technik.<br />

Heidegger und die Frage<br />

der Gerechtigkeit<br />

Passagen-Vlg., novembre 1992<br />

pp.120, DM 26<br />

Schröder, Jürgen<br />

Das Computermodell des Geistes<br />

in der analytischen Philosophie<br />

und in der kognitiven Psychologie<br />

des Sprachverstehens<br />

Königsh. & Neumann, novembre<br />

1992<br />

pp.232, DM 48<br />

Schule, J. - Sundholm, G.<br />

(a cura di)<br />

Criss-crossing<br />

a philosophical landscape.<br />

Essays on wittgensteinian themes.<br />

Dedicated to Brian McGuiness<br />

Edit. Rodopi, dic.-gennaio ’92-’93<br />

pp.264, Dfl 80<br />

Schulz, Gudrun<br />

Veritas est adaequatio<br />

intellectus et rei.<br />

Untersuchungen zur Wahrheitslehre<br />

des Thomas von Aquin<br />

und zur Kritik Kants an einer<br />

überlieferten Wahrheitsbegriff<br />

E.J. Brill, dic.-gennaio 1992-’93<br />

Dfl 120<br />

Schuppan, M.-S. (a cura di)<br />

Möglichkeiten menschlichen Seins.<br />

Festschrift für Walter Heistermann<br />

zum 80. Geburtstag<br />

Schäuble, dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.230, DM 128<br />

Schweppenhäuser, Hermann<br />

Ein Physiognom der Dinge.<br />

Aspekte des Benjaminschen Denkens<br />

zu Klampen, novembre 1992<br />

pp.172, DM 28<br />

Per il 100º anniversario della nascita<br />

di Walter Benjamin Schweppenhäuser,<br />

curatore delle opere complete di<br />

Benjamin, presenta una prima parte<br />

dei saggi su Benjamin.<br />

Scrivano, Fabrizio<br />

Le parole degli occhi.<br />

Conoscenza linguistica e visiva<br />

nel Rinascimento<br />

Pacini, dicembre 1992<br />

pp. 135, L. 18.000<br />

Il libro indaga il suggestivo rapporto<br />

tra parole e immagini, sistema linguistico<br />

e sistema visivo così come emerge<br />

dalle variegate manifestazioni culturali<br />

del Rinascimento mettendone<br />

in evidenza problematiche e peculiarità.<br />

Seebass, Gottfried<br />

Wollen<br />

Klostermann, novembre 1992<br />

pp.320, DM 84<br />

Il libro costituisce la prima parte di un<br />

più ampio progetto di ricerca filosofica<br />

sul concetto di responsabilità giuridica,<br />

concepita in modo metaetico,<br />

così che fornisca un’unità di misura<br />

di giudizio per determinate rappresentazioni<br />

di “responsabilità” morale<br />

o giuridica.<br />

Seifert, J. (a cura di)<br />

Danken und Dankbarkeit.<br />

Eine universale Dimension<br />

des Menschenseins<br />

C. Winter, dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.235, DM 80<br />

Sènéque le Père<br />

Sentences, divisions et couleurs<br />

des orateurs et des rhéteurs<br />

A cura di H. Bornecque<br />

Aubier, novembre 1992


pp.560, F 180<br />

Un’opera che testimonia dell’arte<br />

della declamazione a Roma (base<br />

dell’apprendimento del mestiere politico),<br />

in due parti: da un lato delle<br />

controversie (cause fittizie sostenute<br />

in base a testi di legge fittizi), dall’altro<br />

le suasorie (esercizi che consistevano<br />

nel persuadere un personaggio<br />

fittizio).<br />

Sharma, A. (a cura di)<br />

God, truth and reality.<br />

Essays in honour of John Hick<br />

Macmillan, dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.288, £ 40<br />

Ultimamente tutte le arti e le scienze<br />

cercano una presa sulla realtà. Ciò<br />

che contraddistingue filosofia, teologia<br />

e religione da tutte loro è che<br />

queste si attaccano alla realtà ultima.<br />

Qui studiosi di tutto il mondo espongono<br />

in questo campo le loro più<br />

recenti riflessioni.<br />

Smolensky, Paul<br />

Il connessionismo<br />

tra simboli e neuroni<br />

Marietti, ottobre 1992<br />

pp.280<br />

Il saggio approfondisce il tema dei<br />

rapporti tra Intelligenza Artificiale e<br />

Connessionismo, un paradigma computazionale<br />

per lo studio della mente<br />

che si è imposto a partire dagli anni<br />

Ottanta e di cui il libro analizza i<br />

fondamenti teorici.<br />

Spierling, Volker<br />

Kleine Geschichte<br />

der Philosophie. 50 Portraits<br />

von der Antike bis zur Gegenwart<br />

Piper, dic.-gennaio 1992-’93<br />

DM 18,90<br />

Stalker, Douglas (a cura di)<br />

Grue! The new riddle<br />

of induction<br />

Open Court Publishing<br />

Company, dicembre 1992<br />

pp.320, £ 19,95<br />

Il volume contiene 14 saggi sul paradosso<br />

grue, sette dei quali precedentemente<br />

pubblicati e sette scritti appositamente<br />

per questo libro. L’opera<br />

include un’esposizione e una storia<br />

dettagliata, una bibliografia ragionata<br />

praticamente di tutta la letteratura<br />

sul problema.<br />

Stambaugh, Joan<br />

The finitude of being<br />

State Univ. of New York<br />

dicembre-gennaio 1992-’93<br />

pp.192, $ 15<br />

La finitezza è evidentemente un concetto<br />

centrale nel pensiero di Heidegger,<br />

ma il suo significato non è mai<br />

stato chiarito nel contesto della globalità<br />

della sua opera. Stambaugh affronta<br />

questo difficile tema con acume<br />

ed eleganza.<br />

Stevens, Bernard<br />

L’Apprenstissage des signes:<br />

lecture de Paul Ricoeur -<br />

Etats-Unis<br />

Kluwer, dicembre 1992<br />

pp.VIII/310, F 650<br />

Una lettura esauriente dell’opera di<br />

Paul Ricoeur, fino a Soi-même com-<br />

me un autre (1990). Su questa lettura<br />

si articola un’interpretazione critica<br />

il cui asse di ricerca è lo statuto del<br />

soggetto. La concezione ricoeuriana<br />

del soggetto presuppone un’ontologia<br />

che si trova a uguale distanza dal<br />

positivismo logico e da un’ermeneutica<br />

di tipo heideggeriano.<br />

Stüber, Carsten<br />

Donald Davidson Theorie<br />

sprachlichen Verstehens<br />

Anton Hain, dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.264, DM 78<br />

Davidson è uno dei più influenti pensatori<br />

della tradizione della filosofia<br />

analitica degli ultimi vent’anni. Tale<br />

approccio è debitore a Davidson soprattutto<br />

per quanto riguarda la sua<br />

tesi che il problema filosofico del<br />

significato possa essere portato a una<br />

soluzione sistematica solo con l’aiuto<br />

della teoria della verità di Tarski.<br />

Stucki, Pierre-André<br />

L’Existentialism chrétien<br />

a-t-il une logique?<br />

Cerf, dicembre 1992<br />

pp.229, F 95<br />

Un confronto dell’esistenzialismo<br />

cristiano, inaugurato da Kierkegaard,<br />

con la logica, ovvero l’arte di condurre<br />

bene le proprie ragioni nella conoscenza<br />

delle cose.<br />

Suhr, Martin<br />

Platon<br />

Campus, novembre 1992<br />

pp.150, DM 17,80<br />

Questa introduzione si propone come<br />

avviamento sistematico ai principi<br />

platonici. Al centro si trova il rapporto<br />

della teoria del bene con il paradigma<br />

techne platonico della conoscenza.<br />

Tagliacozzo, Giorgio<br />

The “arbor scientiae”<br />

reconceived: A modern<br />

vichian tree of knowledge<br />

and the history of Vico’s<br />

resurrection<br />

Humanities Press International<br />

dicembre 1992<br />

pp.192, £ 31,95 - $39,95<br />

Questo saggio sulla storia dell’insegnamento<br />

di Giambattista Vico e sulla<br />

sua opera dovrebbe interessare tutti<br />

coloro che lavorano sul pensiero di<br />

Giambattista Vico (1668-1744), compresi<br />

i filosofi, gli italianisti e gli<br />

specialisti di storia intellettuale e di<br />

letteratura comparativa.<br />

Taminiaux, Jacques<br />

La Fille de Thrace<br />

et le penseur professionnel:<br />

Arendt et Heidegger<br />

Payot, dicembre 1992<br />

pp.248, F 180<br />

Professore al Centro di studi fenomenologici<br />

(Louvain) e traduttore di<br />

Hegel, l’autore esamina, al di là degli<br />

aneddoti e delle voci, il rapporto di<br />

Hannah Arendt con Heidegger come<br />

una relazione intellettuale decisiva<br />

per le scelte filosofiche del nostro<br />

tempo.<br />

Teichert, Dieter<br />

Immanuel Kant:<br />

NOVITA’ IN LIBRERIA<br />

80<br />

Kritik der Urteilskraft.<br />

Ein einführender Kommentar<br />

Schöningh, novembre 1992<br />

pp.125, DM 17,80<br />

Teixidor, Javier<br />

Bardesane d’Edesse:<br />

la première philosophie syriaque<br />

Cerf, dicembre 1992<br />

pp.158, F 150<br />

Nato nel 154 a Edesse (crocevia di<br />

correnti culturali dove si incontreranno<br />

romani e parti), cristiano di lingua<br />

siriaca, poeta esperto della filosofia<br />

del suo tempo, Bardesane è una figura<br />

originale. La sua opera filosofica è<br />

pervenuta fino a noi solo attraverso i<br />

suoi discepoli e i suoi avversari, come<br />

sant’Efrem nel IV secolo.<br />

Tilliette, Xavier<br />

La settimana santa dei filosofi<br />

Morcelliana, novembre 1992<br />

pp.156<br />

Una riflessione in chiave cristologica<br />

sulle pagine di Hegel, Kierkegaard,<br />

Pascal, Rosmini,Pareyson, etc.<br />

Treml, Alfred K.<br />

Überlebensethik. Stichworte<br />

zur praktischen Vernunft<br />

im Schatten der ökologischen Krise<br />

Schöppe und Schwarzenbart<br />

dicembre-gennaio 1992-’93<br />

pp.232, DM 38<br />

Tripodi, Anna Maria<br />

Fondamenti della gnoseologia<br />

critica contemporanea<br />

Japadre Editore, dicembre 1992<br />

pp.125<br />

Van Steenberghen, Fernand<br />

La philosophie au XIII siècle<br />

Institut supérieur de philosophie<br />

dicembre 1992<br />

pp.551, F 500<br />

Il libro cerca di disegnare un’immagine<br />

fedele del pensiero medievale<br />

attraverso lo studio del XIII secolo<br />

che rappresenta le grandi sintesi dottrinali<br />

dell’ampio movimento di pensiero<br />

noto sotto il nome di scolastica.<br />

Veauthier, W. Fr. (a cura di)<br />

Martin Heidegger.<br />

Denker der Post-Metaphysik.<br />

Symposium aus Anlaß<br />

seines 100. Geburtstages<br />

C. Winter, dic.-gennaio 1992-’93<br />

pp.136, DM 29<br />

Vico, Giambattista<br />

Autobiografia<br />

a cura di F. Nicolini<br />

Il Mulino, giugno 1992<br />

pp.358<br />

Virgoulay, René<br />

L’Action, de Maurice Blondel,<br />

1883: relcture pour un centenaire<br />

Beauchesne, novembre 1992<br />

pp.152, F 160<br />

Una rilettura della tesi di Maurice<br />

Blondel invita a tornare al testo stesso,<br />

senza tuttavia dimenticare la storia<br />

del pensiero da un secolo a questa<br />

parte.<br />

Vischer, Wolfgang<br />

Probleme der Umweltethik.<br />

Individuum versus Institution.<br />

Zwei Ansatzpunkte der Moral<br />

Campus-Vlg., dic.-gennaio ’92-’93<br />

pp.102, DM 28<br />

Vollmann, Fritz H.<br />

Verweigerte Wahrnehmung.<br />

Die frühe Prägung des Menschen,<br />

die Astrologie<br />

und die Abstinenz der Philosophie<br />

Lit, dicembre-gennaio 1992-’93<br />

pp.100, DM 29,80<br />

Vollmer, Gerhard<br />

Gelöste, ungelöste<br />

und unlösbare Probleme.<br />

Zu den Bedingungen<br />

wissenschaftlichen Fortschritts<br />

Vandenhoeck & Ruprecht<br />

dicembre-gennaio 1992-’93<br />

pp.32, DM 12<br />

Von Ivanka, Endre<br />

Platonismo cristiano.<br />

Recezione e trasformazione<br />

del Platonismo nella Patristica<br />

Vita e Pensiero, luglio 1992<br />

pp. 403<br />

All’interno di un più ampio discorso<br />

sui rapporti tra metafisica greca e<br />

teologia cristiana, il volume sviluppa,<br />

attraverso una serie di studi, il<br />

tema della recezione e della trasformazione<br />

del Platonismo nella teologia<br />

cristiana.<br />

Wailer, Hagen<br />

Fragen zur Ethik<br />

des “logischen Sozialismus”<br />

Krämer, novembre 1992<br />

pp.36, DM 18,80<br />

Wallner, Fritz<br />

Wissenschaft in Reflexion<br />

Braumüller, novembre 1992<br />

pp.100, DM 26<br />

Wieland, Renate<br />

Schein, Kritik, Utopie.<br />

Zu Goethe und Hegel<br />

Edition Text + Kritik, nov. 1992<br />

pp.264, DM 54<br />

Il saggio mette a confronto un’opera<br />

di poesia, Faust II, con una della<br />

filosofia hegeliana, La fenomenologia<br />

dello spirito. Il confronto si avvale<br />

di rari commenti filosofici alle opere<br />

poetiche.<br />

Wolf, Jean-Claude<br />

John Stuart Mills Utilitarismus.<br />

Ein kritischer Kommentar<br />

Karl Alber, novembre 1992<br />

pp.270, DM 67<br />

Il libro, chiaro e per niente pretenzioso<br />

nella forma e trasparente nell’esposizione<br />

del pensiero, propone un’immagine<br />

differente delle pretese, della<br />

metodologia e della portata dell’utilitarismo<br />

in generale e dell’approccio<br />

di J.S. Mill in particolare.<br />

Young, Michael J. (a cura di)<br />

Immanuel Kant:<br />

Lectures on logic<br />

Cambridge UP, dicembre 1992<br />

pp.720, £ 55 - $ 85<br />

Il volume contiene tre lezioni trascritte<br />

di Kant sulla logica precedentemente<br />

non tradotte; include anche<br />

una recente traduzione della “Jasche<br />

Logic” (1800). Questi testi insieme<br />

dimostrano l’evoluzione kantiana

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