Anno Numero 1993 11 - Studi Filosofici
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Anno Numero 1993 11 - Studi Filosofici
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INFORMAZIONE<br />
FILOSOFICA<br />
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In copertina:<br />
Mathias Grünewald<br />
Crocefissione (particolare)<br />
(1510-1512 circa)<br />
Basilea, Kunstmuseum<br />
* Nel numero 10 è stato<br />
inavvertitamente omesso<br />
tra i collaboratori il nome<br />
di Manuela Viezzer<br />
<strong>11</strong>
Gentili lettori,<br />
Le pagine di apertura di questo numero sono dedicate<br />
al ricordo di Italo Mancini, recentemente scomparso.<br />
A rievocarne lo spirito di lavoro filosofico, la<br />
fede religiosa, l’impegno sociale del cristiano e la<br />
speranza del progressista nel futuro dell’uomo, sono<br />
in primo luogo gli allievi, i colleghi di Università, i<br />
compagni di fede; ma al di là di questi non è difficile<br />
percepire la presenza di un pubblico più ampio,<br />
innumerevole, di uditori, di testimoni della sua parola:<br />
tra questi gli studenti, innanzitutto; e poi i<br />
fedeli del Duomo di Urbino, fino a molti degli<br />
abitanti di questa sua città, testimoni occasionali,<br />
ma non per questo meno consapevoli, dell’esempio<br />
che egli incarnava di cultura e vita cristiana.<br />
Il confronto del Cristianesimo con le “culture”, con<br />
i grandi movimenti e le lotte dei popoli che si<br />
pongono ai confini della teologia, era il fulcro del<br />
suo lavoro storico-filosofico, che trovava nella teologia<br />
protestante del ‘900 e nelle grandi ideologie<br />
laiche della liberazione due congeniali direzioni di<br />
ricerca. A ciò faceva riscontro una “passione religiosa”<br />
che individuava il suo oggetto “sacro” in un<br />
“apriori kerygmatico”, quale essenza e destino di<br />
ogni uomo nel mondo, e con questo si spingeva oltre<br />
la necessità di distinguere tra metodo storico-critico<br />
e dottrina dell’ispirazione, come anche si sottraeva<br />
al principio di secolarizzazione. Da qui prendeva<br />
corpo il confronto di Mancini con il marxismo, o<br />
meglio con quanto la concezione marxiana, che egli<br />
definiva «una sfida per il credente», presentava di<br />
«alternativo, concorrenziale e sostanziale ereditato<br />
dalla religione stessa». Anche se certo non si trattava<br />
di identificare la soluzione marxista con quella<br />
cristiana, pure occorreva riconoscere che «i problemi<br />
della religione sono i problemi reali della dialettica<br />
umana» e che in entrambi casi si tratta di<br />
«liberare l’uomo da una caduta [...] attraverso una<br />
forma di riconciliazione», con la mediazione di<br />
Cristo, in un caso, del proletariato nell’altro.<br />
A questo punto, il rivolgersi della propria meditazione<br />
filosofica dell’ultimo decennio ai problemi<br />
concreti della cultura e della società era per Mancini<br />
la naturale risposta alla sua passione per la<br />
prassi, per il mondo terreno, per la “città dell’uomo”».<br />
Se teologico rimaneva il senso di questa<br />
nuova proiezione della «dimora umana, sociale e<br />
giuridica» sul «mondo dell’ “alto”», il campo di<br />
pensiero in cui veniva ora esprimendosi questa<br />
«doppia fedeltà» a Dio e al mondo era la filosofia del<br />
diritto, in cui l’oggetto, «le enormi masse di vita<br />
giuridica», è offerto dalla storia e il metodo, quale<br />
«bisogno della ragione», è quello ermeneutico. Con<br />
questo, si trattava innanzitutto per Mancini di sfuggire<br />
alla «logica della disgregazione» del negativismo<br />
giuridico, recuperando al mondo del diritto il<br />
mondo della vita morale, che solo poteva «dare al<br />
futuro una organizzazione politica concreta».<br />
In questo ottimistico richiamo al futuro, umano e<br />
cristiano, si concentra, potremmo dire, il “lascito<br />
spirituale” di Italo Mancini, che vorremmo qui<br />
raccogliere, in forma di ultimo saluto, attraverso le<br />
sue stesse parole, riportando due brani tratti da<br />
Cristianesimo e culture (Lecce, 1984):<br />
«[…] il mio travaglio filosofico e culturale ha cercato<br />
in ogni modo di comporre le irriducibili opposizioni.<br />
In maniera molto sintetica, direi che questa<br />
dualità si è imperniata soprattutto in una insonne,<br />
doppia fedeltà: fedeltà al mondo, alla terra, ai suoi<br />
valori, alla sua cultura; e fedeltà alla teologia, al<br />
mondo e alla signoria di Dio, ai valori e alle forme<br />
teologiche, a un fare di Dio, insomma, che si accompagni<br />
al fare dell’uomo.»<br />
«[…] Quanto a me, se potranno essere vissuti, gli<br />
anni Ottanta vorrebbero accentuare l’aspetto politico,<br />
giuridico e sociale di quanto finora ho pensato.<br />
L’animo è quello della spedizione verso le terre del<br />
non-ancora, utopia, speranza, futuro. Anzi proprio<br />
ora, in vista del nuovo slancio, appare come tutta la<br />
ricerca era e possa venir concentrata nel tema che<br />
potrebbe essere detto organizzazione del futuro (enfatizzo<br />
pertanto l’attenzione a Bloch, già lungamente<br />
studiato), chiarendo che questa attenzione al futuro,<br />
umano e cristiano, deve avere due articolazioni:<br />
una più propriamente speculatativa come futuro del<br />
senso e discernimento di gesti coerenti con la impostazione<br />
aperta e progressista della mia vita (sono<br />
stato chiamato, con amore o con disprezzo, prete<br />
rosso), e la cosa non è né ovvia né facile. Oggi ogni<br />
segno e ogni schieramento sembra essere ambiguo,<br />
avere due valenze, di progresso e di regresso; oggi<br />
che è scomparso il concetto di epoca nuova, e l’orizzonte<br />
sembra spento, sì che non è facile organizzare<br />
fronti di lotta e battaglie per i significati. Ma al<br />
pessimismo della ragione voglio che corrisponda un<br />
ottimismo della volontà. Eredità kantiana nello iato<br />
delle due Critiche, ma che permette ugualmente un<br />
potente ethos. Quel valore della qualità che Bonhoeffer<br />
opponeva alla “stupidità” del seriale e del<br />
generico e del “sì”.»
PROFILO<br />
5 Ricordo di Italo Mancini<br />
CONFERENZA<br />
16 Il problema di una macroetica universalistica<br />
della co-responsabilità<br />
AUTORI E IDEE<br />
25 Habermas: fatticità e validità del diritto<br />
25 Hans Jonas: gnosi, nichilismo e libertà<br />
26 Etica integrativa: tra arte del vivere e filosofia<br />
27 Realtà e democrazia del sapere<br />
28 Gioco e giochi<br />
29 La natura del linguaggio<br />
30 Coscienza e linguaggio<br />
30 Storia del paradiso: Jean Delumeau<br />
30 Biologia: scienza e immaginario<br />
31 Il rompicapo del tempo<br />
31 La memoria, l’oblio e l’immagine cinematografica<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
33 Oltre l’Europa, oltre la tolleranza<br />
34 Morali in saldo nella crisi dei valori<br />
35 Il materialismo dei Lumi<br />
35 Enciclopedia delle opere filosofiche<br />
38 I filosofi e gli animali<br />
39 Filosofia dell’arte ed esperienza estetica<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
41 Scritti kantiani di Jacobi<br />
41 Il vangelo kantiano<br />
42 La logica di Leibniz<br />
42 Baruch Spinoza: un’attualità perenne<br />
SOMMARIO<br />
43 Arte oratoria<br />
43 Petrarca e la medicina<br />
44 Gassendi fra epicureismo e cristianesimo<br />
44 Carteggio Freud-Binswanger<br />
46 Althusser: diario di prigionia<br />
46 Heidegger e il sofista<br />
47 NOTIZIARIO<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
49 Filosofie contemporanee<br />
51 L’epoca classica della scienza greca<br />
52 La persona e le sue immagini<br />
52 Scienza e metafisica moderna<br />
54 Attualità di Ugo Spirito<br />
54 Collegio di sociologia<br />
55 Seminario filosofico permanente<br />
56 Omaggio a Jean-Pierre Vernant<br />
56 Il filosofo e la schiavitù<br />
58 Il diritto e i suoi luoghi<br />
58 Deleuze e la differenza<br />
61 Wilhelm von Humboldt e le lingue d’America<br />
62 CALENDARIO<br />
64 DIDATTICA<br />
64 Insegnare filosofia per unità didattiche<br />
66 Convegni<br />
67 RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />
70 NOVITA’ IN LIBRERIA
PROFILO<br />
Italo Mancini (foto di Ennia Temellini)<br />
4
Don Italo, un mae- Non avrei mai creduto, anzi<br />
stro dalla parte non avrei mai potuto imma-<br />
degli studenti ginare, che io vecchio, così<br />
vecchio, un giorno avrei do-<br />
di Carlo Bo<br />
vuto salutare e ricordare don<br />
Italo, il professor Mancini,<br />
Testo deregistrato del discorso<br />
in questo Duomo che lo ha<br />
di saluto di Carlo Bo a Italo Mancini,<br />
pronunziato nel Duomo di Urbino visto per tanti anni anima-<br />
il giorno della celebrazione dei funerali,<br />
il 10 gennaio <strong>1993</strong>.<br />
tore e suggeritore e comu-<br />
Il testo non è stato rivisto dall’autore. nicatore di ragioni spirituali.<br />
Il mio saluto è un semplice ringraziamento, un ringraziamento<br />
per tre ragioni. La prima è il ringraziamento del<br />
rettore che lo ha visto arrivare nel lontano 1960, portato<br />
alla cattedra dalla voce di un grande amico e suo mestro,<br />
Gustavo Bontadini. Ma don Italo non era soltanto un<br />
professore; non lesinava le sue ore, non si limitava a fare<br />
il suo dovere: in tanti anni di amicizia e di colleganza, da<br />
lui ho imparato che per essere<br />
un vero maestro e un<br />
vero professore bisogna<br />
fare un discorso quotidiano<br />
con i propri allievi. E quan-<br />
ti lo hanno conosciuto sanno<br />
benissimo che don Italo<br />
è stato da questo punto di<br />
vista un mestro ammirevole<br />
e, aldilà delle ore di lezione,<br />
esattamente come faceva<br />
Bontadini, passeggiando<br />
nel Caffè, nell’Istituto,<br />
prolungava il suo insegnamento<br />
e lo faceva in<br />
modo così diretto, persuasivo;<br />
qualche cosa di questo<br />
insegnamento si poteva<br />
ricavare anche dalle prediche<br />
di mezzogiorno, alla<br />
Messa, e anche qui don Italo<br />
aveva fatto di un rito<br />
qualche cosa di più vicino<br />
al cuore, una testimonianza: le sue prediche, a volte così<br />
rigonfie di cultura, alla fine avevano sempre una soluzione<br />
che si avvicinava a quella del Vangelo.<br />
Lo ricordo poi come vice-presidente dell’Ersu (Ente<br />
Regionale per il Diritto allo <strong>Studi</strong>o Universitario), dove<br />
per anni don Italo è stato il motore principale; è stato la<br />
guida. Su una cosa, però, egli non era disposto a transigere,<br />
a venire a patti nella difesa degli studenti. Anche nei<br />
momenti più ardui della contestazione, don Italo si schierava<br />
immediatamente dalla parte degli studenti e rendeva<br />
la cosa difficile a chi invece si limitava a seguire le<br />
disposizioni di legge. Ma poi, ripensando a questo suo<br />
atteggiamento, a questa sua guerra, a questa sua guerra<br />
dichiarata, senza lenocini, senza distorte pietà, si capiva<br />
che lui stava da una parte che era la parte più alta del<br />
Vangelo, vale a dire cercava di capire, di comprendere,<br />
prima ancora che perdonare.<br />
E infine il terzo ringraziamento è il ringraziamento di un<br />
semplice lettore, di uno che ne ha seguito per tanti anni il<br />
lavoro, tutta una serie di grandi pubblicazioni; e qui la<br />
PROFILO<br />
Ricordo<br />
di<br />
Italo Mancini<br />
Intervengono:<br />
Carlo Bo, Piergiorgio Grassi,<br />
Tommaso La Rocca,<br />
Mario Miegge, Giovanni Moretto,<br />
Graziano Ripanti,<br />
Francesco Saverio Festa.<br />
a cura di<br />
Tommaso La Rocca e Riccardo Ruschi<br />
5<br />
riconoscenza va soprattutto per quello che don Italo ci ha<br />
fatto conoscere di autori che noi ignoravamo; e penso a<br />
Bonhoeffer, penso a tutti gli studi che ha fatto sul protestantesimo,<br />
sulla teologia protestante, dimostrando in<br />
questo una fedeltà allo spirito del Concilio Vaticano.<br />
Poi naturalmente c’è un ringraziamento che comprende<br />
tutto questo, è il ringraziamento di un cattolico impari al<br />
suo dovere personale.<br />
Uomini come don Italo sono un monito, sono un esempio;<br />
sono uomini che portano qualche cosa che ci aiuta nei<br />
disagi, nei dolori della vita quotidiana. Si poteva essere<br />
sicuri che nei momenti di bisogno don Italo fosse accanto<br />
a noi. E ora, che sta dall’altra parte, ora che gode del<br />
grande miracolo, secondo padre Pouget, vale a dire la<br />
grazia che il morto ha di conoscere la verità...Ora tu che<br />
sei molto più vicino di noi alla verità, non abbandonarci,<br />
non dimenticarci, aiuta la tua chiesa, il tuo Duomo, aiuta<br />
l’Università, la tua Università che si onorava del tuo<br />
insegnamento; e aiuta tutti<br />
i giovani, e anche quelli<br />
che giovani non sono più.<br />
Addio!<br />
Don Italo Mancini<br />
e la teologia<br />
del Novecento<br />
di Mario Miegge<br />
Dieci anni or sono, nel corso<br />
di un lungo colloquio<br />
pubblicato sotto il titolo:<br />
Cristianesimo e culture<br />
(Lecce 1984), Leo Lestingi<br />
domandava a Italo Mancini:<br />
«Qual è il tratto specifico<br />
della tua ricerca storica e speculativa perseguita in<br />
questo trentennio?». «Senza dubbio - risponde Mancini -<br />
il confronto del Cristianesimo con le culture e con le zone<br />
di frontiera che stanno intorno ai territori della salvezza<br />
teologica» (ibid., p. 17). Il filosofo che crede nell’annunzio<br />
di salvezza (kerygma) ha il compito di «chiedersi non<br />
solo quale e quanta filosofia sopporta, ma quale grado di<br />
efficacia esso possiede nei confronti delle grandi lotte<br />
che le comunità nel mondo portano avanti, ossia che<br />
rapporti istituisce non solo con la ragione, ma anche con<br />
la storia, non solo con l’essere ma anche con gli sviluppi<br />
politici e sociali» (ibid., p. 29).<br />
Questa intervista, e un’altra più breve, ma altrettanto<br />
limpida, condotta tre anni dopo da Pier Giorgio Grassi<br />
(Intervista a Italo Mancini sulla teologia contemporanea<br />
in “il nuovo Leopardi”, n. 35, 1992), offrono una traccia<br />
essenziale per la comprensione del lavoro ingente che,<br />
nel corso del tempo, si è sviluppato su livelli diversi, a<br />
partire dai temi ontologici degli anni ’50 all’Università<br />
Cattolica di Milano fino ai libri più recenti, collegati
all’insegnamento della filosofia del diritto nell’Università<br />
di Urbino.<br />
La forma stessa dell’intervista dà rilievo ai principi che<br />
hanno costantemente orientato la scrittura e l’agire personale<br />
di Italo Mancini. Infatti, un pensiero che si muove<br />
sulle “frontiere” è necessariamente fatto di dialoghi. Il<br />
dialogo, inoltre, non è impersonale: coinvolge gli attori e<br />
spinge al chiarimento autobiografico. Ma, per Mancini,<br />
ripercorrere i tempi della propria vicenda intellettuale<br />
non è affatto un ripiegamento sull’ego. E’ invece l’attestazione<br />
di legami e impegni dentro comunità reali: una<br />
terra urbinate, dove egli è cresciuto e presto ritorna,<br />
solcata dal lavoro contadino e dalle lotte per la giustizia<br />
e per la libertà; un Chiesa che, negli anni ’60, attraversa<br />
gli eventi cruciali del Concilio; una Università in cui gli<br />
studenti, negli anni ’70, si ribellano ai ruoli imposti e<br />
divengono soggetti politici e interlocutori impegnativi.<br />
In questo contesto, ecclesiale e civile, si producono i due<br />
movimenti di apertura: ad intra, verso la teologia protestante<br />
del nostro secolo; ad extra, verso le grandi ideologie<br />
laiche della liberazione (Cristianesimo e culture, cit.,<br />
p. 31). In un caso come nell’altro Mancini non opera<br />
soltanto un “confronto”: dà pieno spazio agli interlocutori,<br />
li interroga e si lascia da loro interrogare.<br />
Riguardo alla prima apertura (ad intra, cioè sul terreno<br />
ecumenico della teologia), va detto innanzitutto che, tra<br />
il 1969 e il 1977, Mancini ha dato un contributo decisivo<br />
alla diffusione e conoscenza degli autori e delle opere.<br />
Negli anni del Concilio il pubblico italiano aveva a<br />
disposizione soltanto il fondamentale Commento di Karl<br />
Barth alla Epistola ai Romani (tradotto e presentato da<br />
Giovanni Miegge e pubblicato da un editore laico, Feltrinelli,<br />
nel 1962). Nel 1969 vengono edite (presso Bompiani)<br />
le traduzioni di Resistenza e resa e dell’Etica di<br />
Dietrich Bonhoeffer e una antologia della Dogmatica<br />
ecclesiale di Barth (Il Mulino), tutte precedute dalle<br />
introduzioni di Mancini. Nello stesso anno egli pubblica<br />
(presso Vallecchi) la monografia su Bonhoeffer, che è, a<br />
parere di molti, il suo capolavoro. Nel 1970 scrive il<br />
saggio introduttivo a Nuovo Testamento e mitologia<br />
(Queriniana), che raccoglie alcuni testi della controversia<br />
aperta da Rudolf Bultmann e sviluppata nei volumi di<br />
Kerygma und Mythos, negli anni ’40; nel 1972 presenta<br />
la traduzione italiana del Gesù (1926) dello stesso Bultmann<br />
e di Communio Sanctorum di Bonhoeffer (Morcelliana)<br />
e infine, nel 1977, scriverà un’ampia introduzione<br />
a La teologia protestante nel secolo XIX di Karl Barth<br />
(Jaka Book, 1979). Tutti questi lavori convergono nella<br />
grande sintesi di Novecento teologico (Vallecchi, 1977).<br />
Come si spiega il fatto che Italo Mancini, sacerdote<br />
cattolico, ancorato alla tradizione patristica (Agostino) e<br />
scolastica (Tommaso d’Aquino) e spesso vicino allo<br />
spirito del giansenista Pascal, abbia identificato il “Novecento<br />
teologico” in una sequenza di attori principali<br />
(Barth, Bultmann e Bonhoeffer) e secondari (i “socialisti<br />
cristiani” svizzeri, Hermann Kutter e Leonhard Ragaz, e<br />
il filosofo Paul Tillich), che sono tutti protestanti?<br />
Nell’intervista del 1986, alla domanda di Pier Giorgio<br />
Grassi, «Qual è il carattere del ‘900 dal punto di vista<br />
PROFILO<br />
6<br />
teologico?», Mancini risponde: «[...] di fronte agli sfinimenti<br />
della teologia dell’Ottocento, o ghettizzata in forme<br />
di ortodossia chiusa e ripetitiva, o ridotta ai valori<br />
morali, psicologici e umanitari, come nel caso della<br />
cosiddetta teologia liberale, il cui esponente più rappresentativo<br />
è Adolf von Harnack; di fronte a questi sfinimenti,<br />
dicevo, il Novecento ha prodotto un’ansia e una<br />
discussione teologica straordinarie» (Intervista a Italo<br />
Mancini sulla teologia contemporanea, cit., p. 5). Subito<br />
dopo, Mancini indica alcune tappe di questa vicenda. La<br />
prima è «quella che fu impropriamente chiamata teologia<br />
dialettica, il cui vertice è rappresentato dall’opera di Karl<br />
Barth». In pieno contrasto con il “cristianesimo borghese”,<br />
viene restituita alla teologia la sua autonomia: essa<br />
non dipende dalla morale, ma dalla dirompente Parola di<br />
Dio (il kerygma). Qui dunque la “fede” si contrappone<br />
alla “religione”.<br />
Dopo la seconda guerra mondiale, «come reazione a<br />
un’eccessiva concentrazione teologica, si è sentito il<br />
bisogno di mettere in risalto i valori politici della teologia,<br />
i possibili riferimenti alla società civile, il contributo<br />
all’alleggerimento della terra, com’ebbe a scrivere Ernst<br />
Bloch». In questa seconda tappa i confini confessionali e<br />
geografico-culturali vengono oltrepassati, sia nella “teologia<br />
politica” elaborata dal cattolico J. B. Metz e dai<br />
protestanti Pannenberg e Moltmann, sia, ancor più, nelle<br />
teologie sudamericane e africane della liberazione. La<br />
terza tappa è rappresentata dal Concilio Vaticano II<br />
(ibid., p. 32 sgg.). La quarta concerne gli interrogativi<br />
degli anni ’80, in una nuova e minacciosa crisi della<br />
cultura occidentale, nella quale risorge anche il rischio<br />
dell’integralismo religioso (su questo si veda: Cristianesimo<br />
e culture, cit., p. 42 sgg.; Con quale cristianesimo,<br />
Roma 1978).<br />
Il dialogo di Mancini con la teologia protestante non si<br />
limita alla acquisizione della “prima tappa”, della polemica<br />
barthiana con il cristianesimo borghese. Quel dialogo<br />
segna tutto l’insieme di un quadro, che non ha per<br />
oggetto una semplice periodizzazione, ma configura una<br />
serie di problemi, tuttora aperti. Infatti Novecento teologico<br />
termina intenzionalmente con il capitolo sul “socialismo<br />
religioso svizzero”. Dal punto di vista cronologico<br />
questa parte dovrebbe precedere la presentazione dei tre<br />
teologi maggiori. Ma l’ordine dell’esposizione corrisponde<br />
alla ricerca dei nessi tra teoria e prassi. Karl Barth<br />
è, e rimane, il protagonista della svolta teologica del ‘900.<br />
Ma questa, per essere pienamente compresa e proiettata<br />
nei compiti odierni, va ricollocata nel suo ambiente<br />
iniziale, nel quale sono già poste le questioni della pólis.<br />
Va altresì sottolineato il fatto che, tra il 1900 e il 1920,<br />
questi pastori riformati svizzeri (Kutter e Ragaz, il giovane<br />
Barth nel borgo operaio di Safenwil, e il suo amico<br />
Thurneysen) si muovono con piena laicità; collaborano<br />
con le organizzazioni sindacali e politiche di sinistra e si<br />
oppongono con intransigenza a coloro che (come il<br />
tedesco Friedrich Naumann) vogliono invece costituire<br />
raggruppamenti e partiti di ispirazione cristiana in concorrenza<br />
con il socialismo (Novecento teologico, cit., p.<br />
416 sgg.).<br />
Sicuramente il Commento alla Lettera ai Romani (che,
nella seconda edizione del 1922, dà l’avvio alla “teologia<br />
della crisi”) registra il fallimento della socialdemocrazia<br />
europea di fronte alla guerra mondiale, ed elabora l’autocritica<br />
del “socialista cristiano” Barth, la rinunzia a dar<br />
nuovamente legittimazione religiosa a valori umani,<br />
siano essi borghesi o anti-borghesi. Il problema che si<br />
apre nella svolta barthiana è allora quello della distanza<br />
incolmabile tra fede e “mondo”, tra teologia e cultura.<br />
E’ vero che Barth (come Mancini sottolinea continuamente)<br />
non si è mai sottratto all’impegno politico. Proprio<br />
nel momento in cui appare pienamente inserito<br />
nell’accademia teologica tedesca e inizia a comporre la<br />
sua Dogmatica, egli diventa uno dei principali oppositori<br />
del nazismo e, dopo il ritorno in Svizzera, un organizzatore<br />
della resistenza. E nel secondo dopoguerra continua<br />
a prendere posizione, nel conflitto tra Occidente e<br />
Oriente, in forma del tutto anti-conformista.<br />
Ma se, nella vita di Barth, la concentrazione sulla teologia<br />
“kerygmatica” si associa alla testimonianza politica, per<br />
un altro verso essa lascia al margine il confronto con la<br />
cultura contemporanea. E qui entra in campo «l’altro<br />
grande della teologia del Novecento», Rudolf Bultmann.<br />
Nell’itinerario personale di Mancini il rapporto con Bultmann<br />
non ha quel carattere di diretta ispirazione e intensa<br />
affinità, che anima e rende continuo il colloquio con<br />
Barth e Bonhoeffer. Egli sottolinea tuttavia che «la caratteristica<br />
fondamentale della teologia di Bultmann è la<br />
decisione per il Cristo». Da questo punto di vista la<br />
proposta bultmanniana della demitizzazione «non significa<br />
toglimento del mito, ma interpretazione autentica del<br />
mito» (Sulla teologia contemporanea, cit., p. 20-21). Ma<br />
è anche vero che, nel suo tentativo di riesprimere il<br />
kerygma nel linguaggio, non più mitologico, dell’uomo<br />
moderno, Bultmann restringe poi quel linguaggio nei<br />
termini dell’analitica esistenziale di Heidegger. In tal<br />
modo il paradosso dell’annunzio tende a risolversi in una<br />
forma di «comprensione di noi stessi» (Selbstverständnis),<br />
sulla quale «incombe la solitudine dell’antropocentrismo<br />
esistenziale» (Novecento teologico, cit., p. 309).<br />
In tal modo Bultmann non riesce a far convivere l’autonomia<br />
della fede e della teologia con quella di un «mondo<br />
divenuto adulto», che è invece il problema e il tema<br />
centrale di Bonhoeffer.<br />
Bonhoeffer è dunque ancora il compagno nell’ultima<br />
tappa teologica di un secolo al tramonto. La caduta delle<br />
grandi ideologie laiche della liberazione apre il campo<br />
alla «insignificanza dei valori fondamentali» e persino<br />
alla perdita di significato delle “rotture”. Ma qui non ci si<br />
può illudere di ricostruire, a guisa di sostituzione, le<br />
«cittadelle dell’ortodossia, ma anche dell’incomunicabilità<br />
umana». La via che rimane aperta è invece quella<br />
di una «teologia dei doppi pensieri», che trova appoggio<br />
anche nei testi di Dostoevskji. Dal momento che «non<br />
possediamo trasparenza di pensiero al punto da non<br />
essere dominati da pensieri antagonisti», allora, «in<br />
campo teologico, dobbiamo realizzare una ricerca del<br />
senso attraverso frammenti, attraverso tracce e oscurità,<br />
attraverso balenamenti» (Sulla teologia contemporanea,<br />
cit., p. 39 sgg.).<br />
PROFILO<br />
7<br />
Ho parlato di Italo Mancini come se fosse qui con noi:<br />
così lo sento. Ma sarà duro riprendere la strada di Urbino,<br />
sapendo che non ci verrà incontro la sua figura alta e<br />
robusta, il suo sguardo diretto e amichevole ma, nello<br />
Omaggio<br />
a Italo Mancini,<br />
filosofo<br />
della religione<br />
stesso tempo, rivolto, di<br />
là da noi, a un orizzonte<br />
immenso.<br />
«...sei stato veramente<br />
magnanimo nelle cortesie<br />
di Giovanni Moretto<br />
che mi hai usato. Se non<br />
mi sono mosso in questa<br />
occasione, l’ho fatto soprattutto<br />
perché ero sicuro<br />
che un filosofo attento<br />
e rigoroso come te avrebbe<br />
apprezzato la mia fatica, al di là dei risultati e dei tanti<br />
limiti che simili lavori comportano. Ho cercato di far luce<br />
sul mio essere credente con gli strumenti più congeniali<br />
della mia ricerca di studioso. La paura che fosse solo<br />
biografia, anche se per la mia sicurezza poteva bastare,<br />
mi viene ora fugata dal tuo messaggio, che, al di là<br />
dell’importante prova, tocca la realtà e la cosa del discorso<br />
stesso. Dopo la passione per queste cose, di cui hai dato<br />
una prova memorabile or fa un anno a l’Aquila, e che<br />
rivelava una capacità di espressione e di ascolto di natura<br />
fecondamente profetica, pur nel rigore di contesti lucidi,<br />
ai quali - come quello kantiano - mi vado avvicinando io<br />
pure, tu puoi essere ritenuto il nostro punto di riferimento<br />
come filosofo della religione, anche quando il modo di<br />
procedere segue ascendenze culturali non sempre identiche.<br />
Tutto questo ti può dire quanto mi conforta il tuo<br />
consenso, non solo per l’impegno, ma anche per il risultato.<br />
Penso che la ricerca ulteriore, Persona Dei, che lo<br />
stato attuale delle mie ricerche esige, mi avvicineranno<br />
ancor di più non solo al tuo mondo, ma anche alle tue<br />
convinzioni teoretiche. Il profondo, onestamente gestito,<br />
può mettere a contatto anche quanto apparentemente<br />
diverge.<br />
Sono stato in questi ultimi mesi quasi costretto ad uno<br />
svuotamento di fronte alla fascinatio nugacitatis per una<br />
lunga malattia di mia madre, conclusasi con la sua morte,<br />
mentre la vita era ancora in fiore. Allo stordimento<br />
iniziale per la perdita di colei cui debbo tanta parte della<br />
mia serenità di studioso e della freschezza ancora intatta<br />
della mia vita sacerdotale, è subentrato ora un sentimento,<br />
più sottile e doloroso, che fa di questo fatto un’interrogazione<br />
cruciale ed essenzializzante. Come vedi, il tuo<br />
consenso mi è giunto in un momento particolarmente<br />
adatto alla integrazione e al riconoscermi negli altri...».<br />
Così Italo Mancini scriveva il 17 aprile 1974 ad Alberto<br />
Caracciolo per ringraziarlo del giudizio che, in qualità di<br />
presidente della commissione di ordinariato, aveva formulato<br />
nei confronti della sua attività di studioso. E’ da<br />
queste parole che qui, nell’intento di rendere omaggio<br />
alla persona e all’opera di Italo Mancini, vorrei prendere<br />
l’avvio non senza un segreto rimorso per non essermi<br />
rivolto a lui con altrettanta gratitudine e nobiltà di sentimenti,<br />
allorché un decennio più tardi lo ebbi, a mia volta,<br />
giudice del mio ordinariato. Esse ci offrono infatti un<br />
felice autoritratto spirituale soffuso della Stimmung in-
confondibile che ha caratterizzato l’esistenza e l’opera<br />
scientifica del filosofo di Urbino. In esse inoltre viene<br />
abbozzata una Selbstinterpretation al limite della confessione,<br />
accennante a quello che la filosofia della religione<br />
di Mancini riconosce, con riconoscimento scaturente ex<br />
rebus ipsis, come il proprio ineludibile termine di confronto<br />
critico, cioè l’opera del filosofo genovese scomparso<br />
due anni fa. Entrambi severi assertori della filosoficità<br />
della filosofia della religione, disciplina che come<br />
nessun altro, proprio dalla diversità della loro posizione<br />
e ispirazione, hanno contribuito ad illustrare e ad elevare<br />
a dignità scientifica, Caracciolo e Mancini si sono trovati<br />
a lavorare, per scelta non<br />
solo scientifica, ma anche<br />
esistenziale (non a caso<br />
nella lettera citata Mancini<br />
parla di “biografia”), su<br />
fronti decisamente opposti.<br />
Mentre il primo, non aderente<br />
a una particolare confessione<br />
religiosa, si collocava<br />
nella tradizione di pensiero<br />
che ha in Schleiermacher<br />
il suo rappresentante<br />
ideale e fissava la sostanza<br />
del proprio discorso filosofico-religioso<br />
in espressioni<br />
come «la religione come<br />
struttura e come modo autonomo<br />
della coscienza»,<br />
«spazio di Dio», «a priori,<br />
trascendentale religioso»,<br />
«conscientia hominis ut locus<br />
revelationis», «Liberalität<br />
ed ecumenismo»,<br />
«Nulla religioso e imperativo<br />
dell’eterno», il secondo,<br />
dichiaratamente credente<br />
e sacerdote cattolico, mai<br />
dimentico della lezione di<br />
Karl Barth - l’antipode di<br />
Schleiermacher - cui ha<br />
pagato il proprio tributo<br />
«con la gioia di una rinno-<br />
vata scoperta», per avere<br />
da lui appreso a «ridurre la<br />
religione a kerygma, inteso<br />
in senso sovrano, eteronomo e aprioristicamente divino»,<br />
non si stancava mai di fissare i cardini del proprio<br />
progetto, per il quale non disdegnava neppure la qualifica<br />
di “neoapologetico”, nelle espressioni «Oggetto immenso»,<br />
«Divinità di Dio», «a priori divino», «essenza storicamente<br />
kerygmatica della religione», «grandi masse di<br />
vita religiosa». Anche se sarebbe indice di rozzezza<br />
mentale voler continuare - come pure si vuole, non si sa<br />
se più per ignoranza o per mala fede - a definire le due<br />
impostazioni filosofico-religiose con le etichette di antropocentrismo<br />
e teocentrismo, immanenza e trascendenza,<br />
soggettivismo e oggettivismo, resta il fatto che è<br />
difficile immaginare una contrapposizione più radicale,<br />
tanto che, per riprendere un mot d’esprit barthiano,<br />
PROFILO<br />
8<br />
verrebbe da pensare che, appena arrivato nell’aldilà,<br />
Mancini sia andato alla ricerca dello schivo, umbratile<br />
Caracciolo per discutere chi dei due avesse ragione.<br />
Alla critica non evasiva spetta il compito di mettere a<br />
confronto e discutere le due prospettive. A me qui invece<br />
è riservato il compito di rendere omaggio a Italo Mancini,<br />
filosofo della religione, compito che non saprei assolvere<br />
meglio che tentando per accenni o, forse meglio, prospettando<br />
la possibilità di una lettura della sua opera alla luce<br />
della Liberatität, che è il nome religioso dell’universalità<br />
filosofica e che lo stesso Barth, nell’atto di rivendicarla a<br />
sé («Io stesso sono un liberale e forse persino più liberale<br />
di quanti in questo campo<br />
(teologico-religioso) si professano<br />
liberali»), ha definito<br />
come «un parlare e<br />
pensare in responsabilità e<br />
apertura verso il futuro». In<br />
effetti, a rievocarla in una<br />
simile ottica, la passione<br />
religiosa, dai tratti a volte<br />
profetico-oracolari, che caratterizza<br />
il discorso filosofico-religiosomanciniano<br />
- e che, in fondo, finisce<br />
per rendere precaria la sua<br />
stessa distinzione tra filosofia<br />
religiosa e filosofia<br />
della religione - si rivela<br />
portatrice di una parola, di<br />
un messaggio talmente universale<br />
che nulla teme più<br />
dell’abbraccio soffocante<br />
del confessionalismo e del<br />
fideismo. L’Oggetto immenso<br />
di cui essa parla, e<br />
che a ragione discrimina eticamente<br />
dal Sacro, non è<br />
realtà con cui hanno a che<br />
fare soltanto le religioni<br />
depositarie di una rivelazione<br />
storica, poiché esso è<br />
presente nella coscienza di<br />
ogni uomo che venga in<br />
Dietrich Bonhoeffer (a sinistra) con un ufficiale questo mondo e che non a<br />
italiano<br />
caso le stesse teologie confessionali,<br />
quando si preoccupino<br />
più della “salvezza universale” che dell’assolutezza<br />
del proprio Credo, sono costrette a definire “uditore<br />
della parola”. Proprio perché ogni uomo è costituito da un<br />
apriori kerygmatico, che ne caratterizza l’essenza e il<br />
destino, la filosofia della religione liberale, la cui ermeneutica<br />
non è costretta a scegliere tra metodo storicocritico<br />
e dottrina dell’ispirazione, né a votarsi a razionalistici<br />
esercizi di demitizzazione e secolarizzazione, può<br />
alla fine rendere giustizia all’intenzionalità più vera del<br />
pensare di Italo Mancini, riaffermando un proprio qualificante<br />
convincimento: le “parole eterne “ del cristianesimo<br />
- ma anche quelle di ogni altra religione, non meno<br />
di quelle dei poeti - sopportano il massimo di filosofia.<br />
Certamente dalla parola accolta nel libero ascolto religio-
so l’uomo attinge luce e forza per l’agire etico - resta però<br />
giustificato anche il moto inverso: al limite dell’etico,<br />
dopo che abbia esperite tutte le vie di liberazione umanamente<br />
possibili, all’uomo, di fronte al male che intacca le<br />
stesse strutture dell’essere, non rimane che l’invocazione<br />
religiosa nella pluralità delle sue figure. E’ comunque<br />
dell’invocazione in Kant - il filosofo decisivo per entrambi<br />
- che Caracciolo e Mancini si sono trovati a discutere<br />
nel 1967, a uno dei celebri Colloqui romani sulla demitizzazione,<br />
in quello che pare sia stato il loro primo<br />
incontro. Sull’invocazione religiosa Italo Mancini doveva<br />
tornare a meditare in uno dei suoi ultimi saggi, che<br />
qualcuno ha già collocato tra le sue pagine più intense e<br />
belle. Quel saggio è apparso originariamente nel volume<br />
collettaneo Preghiera e filosofia - dedicato alla memoria<br />
di Alberto Caracciolo - e a me, cui resta il vanto di averlo<br />
provocato, pare che esso debba essere considerato, per<br />
ragioni più ideali che cronologiche, il testamento più vero<br />
Marxismo<br />
e religione:<br />
dal giovane Marx<br />
a Ernst Bloch<br />
di Italo Mancini, filosofo<br />
della religione.<br />
Non è facile fare una sintesi<br />
della mia posizione sui<br />
problemi che il marxismo<br />
di Italo Mancini.<br />
mi ha presentato, quali li<br />
potrei subito indicare: il<br />
problema della continuità<br />
o di certe scissure, di certe<br />
deviazioni, lungo l’arco<br />
ormai ultracentenario del<br />
suo sviluppo, e il problema della sua posizione sostanziale<br />
di fronte alla religione. Non tanto la sua critica<br />
religiosa, quanto quello che esso presenta di alternativo,<br />
concorrenziale e sostanziale ereditato dalla religione<br />
stessa.<br />
[…]<br />
Facendo uso di una formula da me usata per la teologia<br />
politica, direi che in Marx c’è una soteriologia senza<br />
cristologia, cioè, come voleva Bonhoeffer, una redenzione<br />
senza escatologismo, ossia come liberazione<br />
storica e, a differenza di Bonhoeffer, sperata autonomamente<br />
dal soggetto umano, perché, come è scritto<br />
nei Manoscritti, «la radice per l’uomo è l’uomo stesso».<br />
A differenza delle culture giacobine, quella marxista<br />
è, dal punto di vista religioso, una cultura “forte”. Essa<br />
riconosce nella religione, in prima istanza, la validità<br />
o la verità in rapporto alla dialettica umana di perdizione<br />
e di riconciliazione, ma, in seconda istanza, non<br />
le riconosce efficacia, essendo in definitiva solo “oppio”,<br />
che dà apparenza e inganno alla salute e alla<br />
speranza. Da questo punto di vista, Marx è una sfida<br />
per il credente, una sfida che si misura su un impegno<br />
comune.<br />
Facendo uso di una espressione marxiana, si può dire<br />
di lui quello che egli dice sulla religione, di essere una<br />
soluzione capovolta dell’identica cosa. In entrambi i<br />
casi si tratta di riconciliare l’uomo con se stesso, con<br />
la natura, con l’oggetto, operare il suo radicale riscatto.<br />
Per questo non mi sentirei di escluderlo, magari<br />
come abitatore eretico, dall’area ebreico-cristiana. Ha<br />
PROFILO<br />
9<br />
pensato, ha voluto le stesse cose, anche se ne ha dato<br />
una soluzione diversa e capovolta, facendo perno,<br />
cioè, solo sull’uomo e radicalmente ripudiando anche<br />
la mediazione dello stato, perché non si riproducesse<br />
la figura del mediatore.<br />
Se Karl Löwith ha potuto ipotizzare una suggestione<br />
cristologica per il superuomo di Nietzsche, si può<br />
proprio dire fuori strada chi pensa all’uomo di Marx<br />
non in termini prometeici e neppure titanici, ma come<br />
portatore della stessa logica del servo di Jahvé? E<br />
come leggere, allora, il brano finale della Introduzione<br />
alla hegeliana Filosofia del Diritto, dove si parla<br />
del propletariato come di un ceto che, per i suoi<br />
patimenti universali, possiede un carattere universale,<br />
quindi capace, nell’emancipare se stesso, di emancipare<br />
tutte le sfere della società? Non è molto di più<br />
di un proletariato così concepito, di un coefficente<br />
della lotta di classe, visto che la sua missione non è<br />
quella di essere parte, ma di liberare il tutto?<br />
Di questo Marx ci si può liberare solo come ha fatto<br />
Althusser, che ha posto nel 1845 una svolta epistemologica,<br />
e ha consegnato ad leones tutta la parte precedente.<br />
Eppure, il 1843 è Marx come è Marx il 1845.<br />
Non è buona lettura dei testi quella che li sopprime,<br />
come non è buona avvocatura quella che, come osserva<br />
Marx nella tesi di dottorato, per difendere il cliente,<br />
lo annienta, lo sopprime. Meglio raccogliere l’invito<br />
di Bloch a tener conto dei contesti, che sono più seri e<br />
ricchi di quanto le singole espressioni non lascino<br />
intendere.<br />
[…]<br />
Questa è la mia tesi, la quale non identifica la soluzione<br />
marxista con la soluzione cristiana, anche se, a<br />
livello di singole dottrine, vedo degli spazi inediti su<br />
cui operare delle interpretazioni convergenti; ma<br />
identifica il problema nel senso che, tanto per la<br />
religione cristiana come per il principio di Marx, la<br />
questione che si tratta di risolvere è quella di liberare<br />
l’uomo da una caduta diversamente identificata, liberarlo<br />
attraverso una forma di riconciliazione, che nel<br />
cristianesimo si attua attraverso la mediazione di Cristo<br />
e nel marxismo si attua attraverso la mediazione<br />
del proletariato. Proletariato che, come indicano le<br />
ultime righe della Introduzione alla Filosofia del<br />
diritto pubblico di Hegel, ha i caratteri della messianicità,<br />
di un messianismo laico, in quanto la somma<br />
dei suoi dolori, la totale alienazione nei confronti di<br />
tutti i contesti della società civile, lo pongono come<br />
l’artefice della liberazione e sua e dell’intera società<br />
civile ad un tempo.<br />
Era questo il motivo che mi portava a dire che la<br />
cultura marxista, anche nei confronti della religione,<br />
è una cultura “forte”, perché in fondo, si tratta di dire:<br />
riconosco, in prima battuta, che i problemi della religione<br />
sono i problemi reali della dialetytica umana:<br />
alienazione, caduta, distretta e liberazione, redenzione,<br />
riconciliazione; solo che, mentre la soluzione<br />
cristiana (e questo è il discorso in seconda battuta) è di<br />
natura mistica, teologica, trascendente o soprattutto<br />
un oppio, inefficace, vediamo se lo possiamo, questo<br />
traguardo, raggiungere unicamente attraverso le forze
Italo Mancini:<br />
un pensiero<br />
per la convivenza<br />
umana<br />
di Graziano Ripanti<br />
storiche dell’uomo, condensate<br />
intorno alla realizzazione<br />
del comunismo.<br />
Ad una religione dell’ ”al<br />
di là” succede, come dice<br />
Korsch, una religione “dell’al<br />
di qua”. Ma sempre<br />
religione è, e sempre religione<br />
resta.<br />
(da Cristianesimo e Culture, Lecce 1984)<br />
Per chi è nato con lui nella<br />
ricerca, appassionata e severa<br />
come voleva, e con lui<br />
ha condiviso quotidianamente<br />
uno stile di vita non<br />
solo accademico, resta<br />
estremamente difficile se<br />
non addirittura angoscioso<br />
parlare della sua persona e<br />
della sua opera, quando<br />
ancora si è soggiogati dalla<br />
sua assenza prematura. Ma<br />
c’è un obbligo di riconoscimento,<br />
mai permessoci in<br />
vita di manifestare pubblicamente,<br />
cui non ci si può<br />
sottrarre ora che non c’è.<br />
Non si tratta di soppesare<br />
una generosità inestimabile,<br />
né di indicare - il breve<br />
tempo non lo consente -<br />
quale sarà l’eredità più autentica<br />
e duratura del suo<br />
pensiero: si tratta solo di un<br />
atto dovuto per tutto ciò<br />
che ha profuso, ed è incalcolabile,<br />
sul piano del rapporto<br />
umano e su quello del<br />
pensiero.<br />
Se c’è una tensione costante<br />
nella sua ricerca insonne<br />
- “insonne” era il suo aggettivo<br />
privilegiato - è proprio<br />
questa positività, questa<br />
volontà di vita, di costruzione,<br />
di futuro, che, soprattutto dagli anni ’80 in poi,<br />
ha sempre tentato di esprimere contro le forze disgregatrici<br />
e irrazionali e contro le varie categorie della distruzione.<br />
Questo lavoro, fatto con la solita e mirabile capacità<br />
di scrittura e di invenzione linguistica, lo ha realizzato<br />
soprattutto nell’ambito della filosofia del diritto, che<br />
caratterizza il terzo momento della sua ricerca, dopo<br />
quello dell’ontologia e della filosofia della religione,<br />
dove, crediamo, il suo Filosofia della religione (Roma<br />
1968) resta tuttora fondamentale. Nel distinguere questi<br />
momenti si vuol solo indicare l’interesse primario, gli<br />
altri, quelli più spiccatamente teoretici, non sono abbandonati,<br />
come dimostrano i due volumi della Guida alla<br />
Critica della ragion pura (Urbino 1982 e 1988) e altri<br />
PROFILO<br />
10<br />
scritti.<br />
Il dedicarsi alla filosofia del diritto non traduceva tanto<br />
un bisogno di sistematicità, quanto una passione per la<br />
prassi, per il mondo della vita e della “città dell’uomo”,<br />
che, già nata dai suoi studi sul marxismo, in specie su E.<br />
Bloch, faceva del suo pensiero una meditazione concreta<br />
e attenta ai problemi vivi della cultura e della società.<br />
Questo legame con la società emerge prepotentemente<br />
nel saggio mondadoriano del 1983: Il pensiero negativo<br />
e la nuova destra, che affronta il tema della violenza e<br />
della non violenza. In risposta alle profonde tensioni, che<br />
anche allora apparivano come crudo “scialo di morte”,<br />
proponeva la “violenza ermeneutica”<br />
come violenza<br />
dei significati di contro a<br />
quella delle armi: una violenza<br />
non violenta eppure<br />
efficace, agganciata alla<br />
kantiana ragione comune,<br />
vicina alla gente e al pensiero.<br />
Queste ricerche sulla prassi,<br />
che poi assumeranno i<br />
contorni di una vera filosofia<br />
del diritto, rientrano ben<br />
dentro la sua impostazione<br />
generale, che egli stesso<br />
esprime così: «Ho lavorato<br />
un ventennio per la parola<br />
di Dio e per la teoria del<br />
cielo. Vorrei dedicare ora<br />
un po’ del mio tempo e della<br />
appassionata fatica alla<br />
città dell’uomo e alla teoria<br />
della terra. Il lettore<br />
attento si accorgerà, peraltro,<br />
che la proiezione che<br />
radica il senso rimane quella<br />
teologica. Ma c’è una<br />
differenza, e non è da poco:<br />
prima era il mondo dell’<br />
“alto” (“totalmente altro”)<br />
che veniva proiettato su<br />
“questo mondo”, ora è vi-<br />
ceversa: la cosa, a ben guar-<br />
Karl Barth<br />
dare, è davvero sconvolgente,<br />
per questo venire in<br />
primo piano della dimora umana, giuridica e sociale;<br />
sconvolgente, se non nei risultati, almeno nella premura»<br />
(Prefazione a Negativismo giuridico, Urbino 1981 e<br />
ripresa tale e quale nella Prefazione a Filosofia della<br />
prassi, Brescia 1987). Pur avvertita come svolta, la<br />
filosofia del diritto rappresentava l’altra polarità del suo<br />
pensiero, che ne esprimeva la fedeltà al mondo. Considerando<br />
tutto il suo lungo itinerario di ricerca, spesse volte<br />
ne affermava il senso nella “duplice fedeltà”, appunto a<br />
Dio e al mondo, o anche pascalianamente nel «far professione<br />
dei due contrari», senza possibilità di una qualsiasi<br />
mediazione dialettica. Il punto di contatto, se doveva<br />
esserci, non poteva essere se non la presenza agonica di<br />
Dio nel mondo.
Di qui nasceva quella “spregiudicatezza” ermeneutica,<br />
con cui affrontava i temi della filosofia del diritto, per<br />
restituire al diritto un nuovo senso di dignità. Nella<br />
Filosofia della prassi, contro le tesi distruttive del negativismo<br />
giuridico, la rigenerazione di un senso viene<br />
perseguita nel recupero di idee-guida quali il principio<br />
femminile, preso nel suo senso categoriale, radicato nel<br />
mito di Antigone, di contro al maschilismo del diritto<br />
romano e cristiano, il concetto di natura e di diritto<br />
naturale, l’idea lockiana del diritto di resistenza e, infine,<br />
il nesso di diritto e rivoluzione.<br />
Tutte queste ricerche, e non solo queste, confluiscono nel<br />
volume L’ethos dell’Occidente (Genova 1991), dove<br />
emerge in tutte le sue drammatiche aporie il concetto di<br />
giustizia. Opera sinfonica, L’ethos dell’Occidente andrebbe<br />
letto come percorsi di pensiero (ce ne sono almeno<br />
tre) che si intersecano l’uno nell’altro e che descrivono<br />
il lungo travaglio dell’Occidente nel costruire la sua<br />
«civiltà del diritto». Qui non si può che tentare una<br />
presentazione schematica.<br />
Il primo itinerario è quello che ripercorre il dibattito sul<br />
binomio diritto e moralità, il secondo quello del concetto<br />
di giustizia quale problema centrale del diritto, il terzo del<br />
vir iustus per una possibilità di un ethos del futuro. Il<br />
primo si snoda attraverso tre momenti: la via antiqua, che<br />
elabora una visione del diritto sul concetto di natura, la<br />
seconda è la via modernorum, che lega il diritto alla<br />
volontà, al positum dell’uomo e, infine, la via perennis,<br />
pensata come orientamento, dove il fondamento del<br />
diritto è costituito dall’idea di giustizia. Su questa idea<br />
s’incentra il discorso e si compie la svolta: «La giustizia<br />
è la gloria del diritto. Questo va ascoltato come il detto<br />
dell’Occidente, il suo portento, l’anima del suo ethos»<br />
(L’ethos dell’Occidente, cit., p. 23). Ma qui è anche la<br />
vera Crux del pensiero: giustizia in che senso?<br />
Con questa domanda parte il secondo itinerario, dal<br />
pensiero pre-platonico, dove la giustizia in senso mitologico<br />
si muta nel senso ontologico, a quello di Platone e<br />
Aristotele, privilegiando questi che sa vedere la giustizia<br />
nella prassi e nel movimento piuttosto che nella stasi o<br />
nella memoria dell’origine, per giungere a quello che va<br />
dagli stoici ai nostri giorni e che è chiamato la “cultura<br />
delle tracce”.<br />
A questo punto avviene il passaggio centrale: il concetto<br />
di giustizia s’incaglia, soprattutto quando deve determinare<br />
il suum; esso mette in evidenza la precarietà del<br />
concetto, per cui occorre passare alla realtà storica: dalla<br />
giustizia all’uomo giusto: «al posto dei traballamenti<br />
dell’idea di giustizia alla vivente realtà dell’uomo giusto»<br />
(ibid., p. 444). Ma senza cadere nell’irrazionale e<br />
con una nuova domanda che acquista uno spessore più<br />
profondo: quale ethos è maxime pro nobis, capace di<br />
vincere le categorie della distruzione, l’ «impossibilità<br />
collettiva di amore», e capace di un futuro dal volto<br />
umano? E di nuovo anche qui un itinerario, che va dal<br />
nomos greco alla torah ebraica e alla iustitia cristiana. Il<br />
vir iustus, capace di aprire un futuro, prima viene tratteggiato<br />
attraverso l’analisi del libro XIX del De civitate Dei<br />
e infine precisato con Levinas nella tematica dell’altro e<br />
del volto.<br />
Non sta a noi decidere del valore di quest’opera; possia-<br />
PROFILO<br />
mo solo affermarne il significato, almeno a livello intenzionale,<br />
in due contributi importanti. Il primo consiste<br />
nella coscienza di dare nuova dignità scientifica e accademica<br />
alla filosofia del diritto, che fin dagli anni ’80 gli<br />
appariva alquanto decaduta per gli attacchi del negativismo<br />
giuridico, che inseriva nel contesto più vasto del<br />
nichilismo. Questa scientificità viene fissata nello statuto,<br />
aristotelicamente inteso, di filosofia seconda, dove<br />
l’oggetto non è pensato, ma offerto e dato dalla storia, «le<br />
enormi masse di vita giuridica», per cui va solo riconosciuto.<br />
Se l’oggetto sta nell’articolazione dei temi forti<br />
del diritto, quelli stessi affrontati nelle opere, il suo<br />
metodo non può essere che quello ermeneutico. La filosofia<br />
del diritto ha formalmente lo stesso statuto della<br />
filosofia della religione. Questo intento epistemologico è<br />
presente fin dall’inizio di queste ricerche. Il saggio: La<br />
filosofia del diritto come ermeneutica (in “Hermeneutica”,<br />
1, 1981, pp. 9-45), prende avvio dall’analisi di quella<br />
«malattia mortale» che non permette alla filosofia del<br />
diritto di «raggiungere la sua essenza» e presenta l’ermeneutica<br />
come la sua vera struttura metodologica. Non era<br />
il primo ad applicare l’ermeneutica al diritto: lo aveva già<br />
fatto, in Italia, E. Betti; ma a differenza di questi ancora<br />
legato allo storicismo diltheyano, riprendeva i momenti<br />
strutturali dell’ermeneutica elaborati da Heidegger, Gadamer<br />
e Ricoeur, quali la<br />
Sulla Filosofia linguisticità del dato, la<br />
del diritto<br />
precomprensione dottri-<br />
di Italo Mancini nale, la decisione per il<br />
significato, applicandoli al<br />
di Francesco<br />
mondo del diritto.<br />
Saverio Festa<br />
Il secondo contributo va<br />
solo indicato, non spiegato:<br />
la coscienza della necessità<br />
e urgenza di queste<br />
ricerche come personale<br />
apporto di pensiero<br />
per una reale convivenza umana pacifica, cioè per una<br />
«fraternità senza terrore» da costruire con gli uomini.<br />
<strong>11</strong><br />
«Quanto a me, se potranno essere vissuti gli anni ’80,<br />
vorrei accentuare l’aspetto politico, giuridico e sociale di<br />
quanto sinora ho pensato». Questo annunciava, in un’intervista<br />
del 1983, Italo Mancini quasi a riprova che per lui<br />
non è data una «fedeltà al cielo», al senso paradossale di<br />
Dio, senza una «fedeltà alla terra». Tale “doppia fedeltà”<br />
acquista significato sin dalla tesi fondamentale del suo<br />
Filosofia della religione (Roma 1968): il punto di partenza<br />
è la Rivelazione, non la ragione, a pena di votarsi allo<br />
scacco del deismo, o di decadere in una mera “compromissione”<br />
della religione coi bisogni quotidiani dell’uomo,<br />
ossia in quelle «forme antropocentriche che giocano<br />
esclusivamente sul far dell’uomo, escludendo la radicale<br />
perturbazione di un originario Gedanke an Gott».<br />
Pensatore senza dogmi, ma rigoroso interprete del metodo<br />
ermeneutico quale indilazionabile «bisogno della<br />
ragione», Mancini, nell’evolversi del suo pensare dall’attenzione<br />
al “totalmente altro” alle infinite valenze del<br />
concreto, tenta di operare, nella prospettiva a lui cara dei<br />
“doppi pensieri”, una sorta di «strategia dei due tempi».<br />
Dapprima, barthianamente, ri-definiva l’impossibilità di
ogni corrispondenza tra piano del divino e piano dell’umano,<br />
sì da spezzare alla radice ogni residuo conato di<br />
“teodicea”; poi ha tentato di sciogliere l’aporia barthiana:<br />
come può mai agire nel mondo un cristiano, gettando<br />
semi della iustitia Dei (Paolo) senza incappare nel Kurzschluss<br />
del voler, a tutti i costi, far valere l’identità di<br />
valori teologici e valori terreni, l’idolatria di voler, quasi,<br />
misurare Dio? Come rifuggire l’inautentico «inginocchiarsi<br />
davanti a tutti gli idoli», alla ricerca di un «Dio<br />
tappabuchi», come aveva scritto Bonhoeffer?<br />
Se mi è permesso dir così, Mancini ha tentato di coniugare<br />
Barth con Bonhoeffer; e dopo aver gettato le basi di una<br />
“epistemologia kerygmatica”,<br />
ha deciso, quasi a non<br />
voler restare nel vago, di<br />
“passare al setaccio” in volumi<br />
di «dimensioni jaspersiane»<br />
(Martini) tutto quello<br />
che l’Occidente ha prodotto,<br />
nel corso della storia,<br />
in forme politico-giuridiche<br />
istituzionali. Ma prima<br />
di dar vita a tal “epistemologia<br />
giuridica”, ha pensato<br />
bene di delineare le<br />
linee delle due maggiori<br />
ideologie “pratiche” del<br />
Novecento, commisurandole<br />
col suo “Novecento<br />
teologico” d’ispirazione<br />
evangelica: quella marxista<br />
da una lato, e quella del<br />
“pensiero negativo” della<br />
destra, dall’altro. Ha scritto<br />
in Filosofia della prassi<br />
(Brescia 1986): «Marx risolve<br />
non religiosamente i<br />
problemi che sono propri<br />
della religione...direi che in<br />
Marx c’è una soteriologia<br />
senza cristologia...per questo,<br />
non mi sentirei di escluderlo,<br />
magari come abitatore<br />
eretico, dell’area ebrai-<br />
co-cristiana...». Ma mentre<br />
il marxismo sembra porsi<br />
quasi come una «religione<br />
dell’al di qua» (Korsch), ripiena di «senso del futuro»,<br />
esiste, invece, una concretizzazione novecentesca dell’«immane<br />
potenza del negativo», quasi una negazione<br />
vivente di ogni «giustizia per il creato»: è quella linea di<br />
pensiero che Mancini non esita a definire «masochismo<br />
logico o posizione masochistica da parte della logica<br />
stessa», identificante «il fine con la fine, col tramonto<br />
definitivo di quello che fu l’Occidente». Movendosi da<br />
questo volgersi da Spengler sino alla legge di una politica<br />
intesa da Carl Schmitt «come nesso essenziale ed inestinguibile<br />
di amico-nemico», Mancini ha, quindi, avviato<br />
un’analitica riflessione delle forme del “negativismo<br />
giuridico”, attraverso cui «s’incanala verso il vivere<br />
concreto l’intero ciclo del pensiero negativo». All’analisi<br />
PROFILO<br />
12<br />
delle quattro forme tipiche di tale «negazione dell’essenza<br />
giuridica», identificate dall’espressione classica dell’asse<br />
Hobbes-Carl Schmitt: Auctoritas, non veritas,<br />
facit legem, Mancini contrappone «quattro forme del<br />
contromovimento alternativo»: dal «principio femminile»,<br />
quale categoria alternativa nel diritto, al «diritto di<br />
resistenza» ed al «diritto alla rivoluzione», forme entrambe<br />
legate «alle ragioni, alle lotte ed ai progressi»<br />
della “società civile”, che, da Hegel in poi, sola può ridar<br />
senso ad un diritto non-altro dall’ethos delle genti. Dopo<br />
un’articolazione propriamente “speculativa” come «futuro<br />
del senso», confortata dai referenti teologico-linguistico-sociologici<br />
di Teologia,<br />
Ideologia, Utopia (Brescia<br />
1974), ora è necessario<br />
studiare come far coesistere<br />
nel mondo vita giuridica<br />
e vita morale, per sfuggire<br />
alla «logica della disgregazione»<br />
del “pensiero negativo”,<br />
con tanto scialo di<br />
morte causato dalle categorie<br />
della distruzione, partorite<br />
dall’Occidente». Solo<br />
dal recupero della radice<br />
morale del diritto si potrà<br />
tentar di «dare al futuro una<br />
organizzazione politica<br />
concreta»: un «senso del<br />
futuro»!<br />
E’ il percorso de L’ethos<br />
dell’Occidente (Genova<br />
1991), un grande affresco<br />
delle forme della cultura<br />
occidentale, ove è viva<br />
l’esigenza della fondazione<br />
della norma e del significato<br />
dell’agire dell’uomo.<br />
Se la via antiqua era contrassegnatadall’inscindibile<br />
nesso di verità e legge,<br />
che proprio l’età moderna<br />
dilapida sul sentiero del dominio<br />
dell’Io («ha fatto del-<br />
l’Io il centro di tutto»), è<br />
Ernst Bloch<br />
Carl Schmitt a leggere il<br />
classico nomos basileus<br />
non più nel senso del primato della norma, del diritto, ma<br />
in quello del primato del sovrano, cui solo spetta la<br />
decisione: il re è nomos. Pur se contro Hobbes si era<br />
venuto sviluppando un sapere quale «riserva critica che<br />
deve contrastare ed aver diffidenza di fronte al potere»,<br />
nelle forme del “diritto di resistenza”, da Althusius e<br />
Locke fino a Bonhoeffer, o delle “libertà di penna”<br />
(Kant), Carl Schmitt riesce a riproporre, a coronamento<br />
del “pensiero negativo”, il primato dell’ Auctoritas in<br />
quanto il nomos non avrà più l’ampiezza dell’ethos, al cui<br />
interno «si è aperta, alla maniera d’Antigone, una voragine»<br />
fra ciò che è giusto secondo natura e ciò che è giusto<br />
secondo la legge; e intanto «le catene di Hobbes sono rese<br />
più ferree da Heidegger»: «torna la frustrazione di ogni
meta che trasformi il mondo».<br />
«Se il nomos, imbarbarendosi, ha finito per impersonarsi<br />
nel rex, pure la torah attendeva di incarnarsi in un<br />
Messia», e qui Mancini, perché avvenga «un capovolgimento<br />
dei termini essere ed io in quelli dell’altro, del tu,<br />
del volto» (Tornino i volti, Genova 1989), ritiene possibile<br />
uno spazio per la iustitia Dei (Paolo) solo a patto che<br />
«l’evento fondatore di comunità» vada oltre il nesso<br />
greco di nomos-polis e quello ebraico di torah-popolo<br />
eletto: «organizzare un fronte di lotta per il significato»<br />
di un ideale “cosmo-polita” del prossimo. Occorre superare<br />
il limite veterotestamentario di una comunità di soli<br />
osservanti della torah, come pure l’ambigua, odierna<br />
“prossimità” all’essere e a Dio, che impedisce, pur dopo<br />
l’irrompere nella storia del Verbo giovanneo, osserva<br />
Mancini, di amare l’uomo «per il suo essere semplicemente<br />
uomo». Dopo i cicli di dominio dell’essere e<br />
dell’io, per evitare ogni riduzionismo del diritto a mero<br />
“sistema di regole”, occorre ripristinare un’idea di giustizia<br />
quale ethos del futuro. Per superare la “sterilità<br />
assiologica” dell’etico-politico (un mero Ideenkleid, vestito<br />
di idee), si deve insistere «sulla differenza, sull’altro,<br />
sul diverso», «se si vuole che la logica dell’esserecon<br />
(mit-sein) prenda il sopravvento su quella dell’essere-presso».<br />
E’ una forma alta di “Cristianesimo aperto”<br />
quella manciniana, che, pur con esplicito debito lévinasiano,<br />
intende, attraverso un personalissimo «venerdì<br />
santo speculativo», ripristinare il valore fondamentale<br />
della Ri-conciliazione, e della Pace, esaltando, però, le<br />
differenze contro ogni sorta di “titanismo di sintesi”. Al<br />
di là dei cattolicismi della presenza e della mediazione,<br />
l’ethos del futuro è il paradosso del Cristo quale amore<br />
dis-interessato per il prossimo. Qui, scrive nelle pagine<br />
conclusive, gli par che possano «confluire la lunga stagione<br />
si studi di filosofia della religione ed una altrettanto<br />
lunga, e con questo studio la vorrei concludere, stagione<br />
di studi di filosofia del dirit-<br />
Il neoclassicismo to; la fedeltà a Dio e la fedel-<br />
etico di Italo tà alla terra». Ne emerge<br />
Mancini<br />
l’incancellabile ricordo di<br />
un uomo teso, barthiana-<br />
di Piergiorgio mente, «nello sforzo di vi-<br />
Grassi<br />
vere con in una mano la<br />
Bibbia e nell’altra il giornale»,<br />
avendo egli ben compreso<br />
che il sogno di una<br />
cosa è realizzabile solo nel<br />
«dismettere i panni accademici»<br />
e nel «vestire il mantello del profeta, che in certe<br />
epoche - soleva dire - fu anche il vestito dei filosofi...per<br />
tentare d’alleggerire la terra».<br />
Come filosofo del diritto, per tutti gli anni Ottanta,<br />
Mancini si è confrontato con il negativismo giuridico,<br />
con il rifiuto vastamente diffuso, anche se diversamente<br />
motivato, di conferire valore fondativo agli strumenti del<br />
mondo del diritto. Lo ha fatto in primo luogo con Filosofia<br />
della prassi (Brescia 1986), dove ha cercato di creare<br />
un contromovimento capace di dare un senso alla civiltà<br />
del diritto, di «rimettere in piedi e in ordine uno strumento<br />
antico come la civiltà», dando voce e attualizzando falde<br />
PROFILO<br />
13<br />
del pensiero giuridico e morale messe ai margini e<br />
ghettizzate dalla cultura ufficiale, «crocefisse dalle ragioni<br />
dell’imperialismo culturale». Ha così recuperato il<br />
“principio femminile” come categoria alternativa del<br />
diritto, ritenuta idonea a introdurre un’ispirazione che dia<br />
spazio all’equità, alla logica del corpo e della terra, in<br />
contrapposizione a «perfettismi astratti» e «a blocchi<br />
normativi che scendono implacabili dall’alto». Un analogo<br />
recupero lo ha fatto nei confronti del diritto di natura,<br />
nella pluralità dei sensi che l’espressione ha acquisito<br />
nella riflessione di Aristotele, nella tradizione cristiana,<br />
nel moderno razionalismo, condividendo la tesi di Bloch<br />
che ha legato il diritto di natura con l’affermazione della<br />
dignità dell’uomo.<br />
Il diritto di resistenza e la dichiarazione del nesso tra<br />
diritto e rivoluzione sono, per Mancini, due altre grandi<br />
idee capaci di rigenerare il diritto. Con la prima, a partire<br />
da Locke, si è sempre sottolineata la necessità della<br />
ripresa dell’autonomia individuale e di gruppo di fronte<br />
a ordinamenti civili dispotici e totalitari. Con la seconda<br />
idea si è inteso fare i conti con le ragioni, le lotte e i<br />
progressi della società civile. L’aporia che sorge inevitabilmente<br />
quando si vuole dare senso a qualcosa che possa<br />
essere detto diritto di rivoluzione - il concetto di legalità<br />
che intende conservare l’esistente si oppone al concetto<br />
di rivoluzione che intende sovvertire per instaurarne uno<br />
nuovo - è affrontata guardando il fenomeno giuridico<br />
nella sua sostanzialità (non più dunque alla ricerca del<br />
nesso puramente formale dell’eventuale rapporto normativo<br />
fra diritto e rivoluzione) e individuando lo spazio<br />
naturale del diritto nella società civile e non più nello<br />
Stato. Il diritto raggiunge così il massimo della sua<br />
positività, assumendo in maniera spregiudicata le lotte<br />
inevitabilmente presenti nella società civile.<br />
E sempre nell’ambito del confronto con il pensiero negativo,<br />
con L’ethos dell’Occidente (Genova 1990), Mancini<br />
ha affrontato la questione della possibilità di un effettivo<br />
coesistere di vita morale e vita giuridica, contestando<br />
la dichiarazione, proveniente da più parti, che lo stesso<br />
porre la questione sia illegittimo, data l’insignificanza di<br />
rotture, come quelle che contrappongono bene e male,<br />
natura e contro-natura, bello e brutto; rotture che sono<br />
state per secoli l’anima della cultura occidentale. Nell’indagare<br />
quale e quanta moralità comporti e permetta il<br />
diritto, Mancini non si è rifatto ad un metadiritto astratto,<br />
ad un diritto naturale come forma di legge a parte o di<br />
sistema a sé, paventando il rischio di rendere non significative<br />
le masse di vita giuridica presenti nella storia.<br />
Oggetto di indagine è stato invece il diritto storico, lo jus<br />
positum che circola nei tribunali, nelle aule universitarie,<br />
nelle sedi legislative e che dà origine alle istituzioni<br />
attuali, il cui fondamento sta nell’idea di giustizia «vero<br />
portento e anima dell’ethos dell’Occidente», che non va<br />
considerata in maniera puramente formale (giustizia come<br />
produzione di eguaglianza, con il dare a ciascuno in parti<br />
eguali), ma nella sua ipotiposi, nell’agire cioè dell’uomo<br />
giusto o nella «giustizia vivente», per usare un’azzeccata<br />
definizione di Aristotele.<br />
Le pagine del libro XIX del De Civitate Dei sono esemplari,<br />
per Mancini, in quanto indicative delle linee solutive<br />
che riguardano «la giustizia dell’uomo giusto», sen-
za seguire la strada delle definizioni astratte e dei programmi<br />
normativi. Le cose dell’uomo sono trattate da<br />
Agostino come misura della prassi e della liberazione<br />
storica, non come «irrelati aspetti della teoria, ma come<br />
vitali aspetti della sotería». Il senso forte della fedeltà a<br />
Dio e della fedeltà alla terra si manifesta in Agostino con<br />
la premurosa attenzione ai bisogni elementari e universali<br />
dell’uomo, con una concezione della virtù e del bene<br />
che si allarga dalla casa, alla città, al mondo. E forte è la<br />
rivendicazione della pace come struttura della realtà tutta<br />
(non solo umana), come potenza latente e per questo<br />
posta come legge di natura e come dovere emergente<br />
dalla natura stessa.<br />
Questa linea interpretativa comporta il sorgere di un’altra<br />
questione, giacché il soggetto uomo che si muove e opera<br />
non può non avere la preoccupazione del «se è e se va nel<br />
senso giusto», se «ogni sua azione possa essere ricondotta<br />
criticamente al suo intendimento globale». E’ la questione<br />
dell’ethos del futuro che sconfigga le categorie<br />
della distruzione e superi i limiti della politica praticata e<br />
definita (da Carl Schmitt) come lotta tra amico e nemico,<br />
categoria essenziale e perenne della guerra, riscrittura<br />
della politica con altre lettere. La delineazione di questo<br />
orizzonte avviene riesaminando tre parole del passato,<br />
«espressione di grandi mondi di cultura, di fede e di<br />
ordinamenti», viste in connessione tra loro e nella prospettiva,<br />
che agisce anche criticamente su di essi, di un<br />
futuro inteso come novità assoluta, una patria sempre<br />
intravista e mai ancora posseduta, per dirla con Bloch. Le<br />
tre parole sono l’ideale greco del nomos, la torah ebraica,<br />
Italo Mancini: condizioni per<br />
biografia<br />
il sorgere di un<br />
intellettuale ethos del futuroprodutto-<br />
di<br />
re di riconci-<br />
Tommaso La Rocca<br />
liazione. La<br />
riconciliazione<br />
è, per Mancini,<br />
«la formula<br />
della pace». La prospettiva solo<br />
apparentemente si allontana dai territori<br />
dei precedenti studi e risultati di<br />
filosofia della religione: la proiezione<br />
che radica il senso è sempre quella<br />
teologica, anche se - come Mancini<br />
amava ripetere - la differenza non è di<br />
poco conto: «prima era il mondo<br />
dell’alto (“totalmente altro”) che veniva<br />
proiettato su questo mondo, ora<br />
è viceversa». In primo piano è ora la<br />
città dell’uomo nella sua dimensione<br />
giuridica e sociale.<br />
Italo Mancini è scomparso il 7 gennaio<br />
<strong>1993</strong>. Era nato a Urbino il 4 marzo 1925 da<br />
padre minatore e madre contadina. Egli<br />
stesso, una volta divenuto prete e docente<br />
universitario, ci teneva a rivendicare questa<br />
umile origine: «debbo a questi due<br />
onesti e umili genitori la scelta di campo,<br />
quella del sangue plebeo e contadino, il<br />
campo della gente che lavora, crea e così<br />
muove la storia» (da Cristianesimo e cultu-<br />
PROFILO<br />
ra, una lunga intervista autobiografica in<br />
cui Mancini ripercorre le tappe fondamentali<br />
della propria vicenda intellettuale. A<br />
questo testo si riferiranno anche le successive<br />
citazioni).<br />
Si forma all’Università Cattolica di Milano,<br />
alla scuola di Gustavo Bontadini ed a<br />
contatto diretto con Amato Masnovo, Francesco<br />
Olgiati, Agostino Gemelli, Mario<br />
Casotti e Giorgio Zunini; al tempo in cui<br />
nell’amica e rivale Università Statale operavano<br />
altri pensatori di prestigio: Antonio<br />
Banfi, Mario Dal Pra, Enzo Paci, Remo<br />
Cantoni.<br />
Alla Cattolica trascorre anche il suo primo<br />
decennio di impegno accademico come<br />
assistente e docente di Filosofia della Religione.<br />
Dalla seconda metà degli anni Sessanta<br />
viene chiamato da Carlo Bo all’Università<br />
di Urbino, dove insegna, prima,<br />
Filosofia della Religione e Storia del Cristianesimo,<br />
poi Filosofia Teoretica presso<br />
la Facoltà di Magistero e, negli ultimi anni<br />
Filosofia del Diritto presso la Facoltà di<br />
Giurisprudenza.<br />
❏ Al centro delle ricerche del periodo<br />
milanese ci sono due questioni principali:<br />
quella “ontologica” e quella del “linguaggio”,<br />
che troveranno sbocco nei volumi:<br />
Ontologia fondamentale. Linguaggio e salvezza<br />
e Filosofi esistenzialisti. <strong>Studi</strong> puramente<br />
teoretici e legati alla dinamica delle<br />
filosofie e culture universitarie, maturate<br />
quindi in un contesto prevalentemente accademico.<br />
Tuttavia rimarranno elementi<br />
14<br />
la justitia Dei alla quale il kerygma cristiano affida la<br />
salvezza. Ebbene, questi tre segni sono fatti agire da<br />
Mancini in una nuova contestualizzazione.<br />
Se infatti nella storia dell’Occidente sono stati vissuti<br />
dapprima in relazione con l’ontologia, dominata dalla<br />
preoccupazione per l’universo e le sue impassibili leggi,<br />
e successivamente con l’ontologia, che pone l’enfasi sul<br />
conoscere e sulla sua pretesa di sottomettere tutto all’Io,<br />
non si può dire che i due cicli siano riusciti a sconfiggere<br />
la guerra e la logica del dominio. La nuova contestualizzazione<br />
dei grandi segni esige il primato dell’etica, dell’accoglienza<br />
della responsabilità di fronte al volto degli<br />
altri. Questo tema, che Mancini esprime sottolineando<br />
con forza l’urgenza della sostituzione dell’essere-presso<br />
con quella dell’essere-con, alimentato dall’incessante<br />
ricerca delle condizioni che rendono effettiva la comunità<br />
degli uomini, richiama esplicitamente la riflessione di<br />
Emanuel Lévinas in Totalità e infinito, che Mancini ha<br />
assunto come indicatore di una strada possibile, capace<br />
di fondare una cultura della pace dopo i cicli, come già si<br />
è detto, dell’essere e dell’Io, che sono stati all’insegna<br />
del detto eracliteo che polemos è padre di tutte le cose e<br />
che la vita della polis è definita dal contrasto di amiconemico.<br />
Considerato nella sua globalità, il discorso di Mancini<br />
come filosofo del diritto si configura come una forma<br />
particolare di neoclassicismo etico che vuole rimotivare<br />
persuasioni antiche, a cominciare da quella che nega<br />
possa darsi diritto senza radici morali. Una linea di<br />
pensiero rincorsa dalla speranza che si possano creare le<br />
importanti di precomprensione di tutto lo<br />
sviluppo ermeneutico ulteriore dei periodi<br />
successivi, contrassegnati, invece, da un<br />
forte impegno per la “questione pubblica”,<br />
religiosa e politica.<br />
❏ Le grandi vicende degli anni Sessanta,<br />
soprattutto il Concilio Vaticano II e le lotte<br />
studentesche, incidono infatti profondamente<br />
sullo sviluppo anche del suo pensiero<br />
filosofico. Il nuovo contesto religioso e<br />
politico culturale operò in lui, come in<br />
molti altri intellettuali dell’epoca, una sorta<br />
di humiano “risveglio” dal sonno dogmatico.<br />
Lo si avverte subito nell’elaborazione<br />
della sua filosofia della religione, esibita<br />
come ermeneutica del kerygma, cioè del<br />
dato della rivelazione, preso nella sua «quadruplice<br />
forma biblica di parola, evento<br />
fondatore, comunità e comandamento»:<br />
come ermeneutica di quel dato storico che<br />
Mancini soleva indicare con la nota espressione<br />
mutuata da Dilthey: «le enormi masse<br />
di vita religiosa». Filosofia della religione<br />
intesa come «interpretazione nuova della<br />
trascendenza con una precisa caratterizzazione<br />
politica», come ermeneutica del<br />
fatto religioso, inteso non solo come una<br />
“teoria”, ma anche e soprattutto come una<br />
“soteria”, dottrina di salvezza. E se ne ha<br />
conferma immediatamente dopo nel tentativo,<br />
nuovo e coraggioso per quei tempi, di<br />
allargare l’area culturale ermeneutica in<br />
campo teologico, andando al confronto con<br />
la teologia protestante di Barth, Bultmann<br />
e Bonhoeffer, e con quella contemporanea
del secondo dopoguerra (Metz, Pannenberg,<br />
Moltmann), pur senza dimenticare le<br />
teologie contrapposte di Lutero e Muntzer.<br />
La predilezione per Barth si accompagna,<br />
in lui, ad una non celata identificazione con<br />
la figura e il pensiero di Bonhoeffer. A<br />
documentazione di quest’orientamento di<br />
pensiero restano le opere: Filosofia della<br />
religione, Bonhoeffer, Kerygma, Teologia<br />
controversa, Barth, Bultmann, Bonhoeffer,<br />
a cui più tardi si aggiungerà Novecento<br />
teologico.<br />
❏ Gli anni Settanta sono contrassegnati<br />
soprattutto dalla stagione di studi sul confronto<br />
del cristianesimo con le forme attuali<br />
del pensiero: radicalismo, pensiero negativo,<br />
ecologia, cibernetica e, soprattutto,<br />
marxismo, pur senza trascurare il confronto<br />
con le forme classiche, in particolare la<br />
filosofia di Kant, Leibniz, Locke ed altri (si<br />
veda: Grandi ipotesi, I, II, III; Guida alla<br />
critica della ragion pura, I, II; Kant e la<br />
teologia). L’interesse maggiore era concentrato<br />
sulla posizione “sostanziale” del<br />
marxismo di fronte alla religione. In un<br />
momento in cui molti dibattevano di questo<br />
tema in maniera piuttosto banale e superficiale,<br />
preoccupati principalmente della ricaduta<br />
politica della discussione, Mancini<br />
tentò di andare all’origine e ai fondamenti<br />
della critica di Marx e di altri pensatori<br />
classici riguardo alla religione, privilegiando<br />
quella “corrente calda” del pensiero<br />
marxista indicata da Ernst Bloch, a partire<br />
dall’umanesimo del giovane Marx. E da<br />
Bloch stesso Italo Mancini assume la chiave<br />
di lettura dell’intero sviluppo della critica<br />
marxista della religione: il concetto<br />
dialettico di religione, sospeso tra i due poli<br />
dell’ideologia e dell’utopia rivoluzionaria,<br />
di cui è simbolo eminente Thomas Muntzer.<br />
In merito, egli forse ha scritto e pubbli-<br />
potevano incontrarlo indifferentemente<br />
nello studio dell’Università o a casa, fermarlo<br />
per strada o al bar e conversare<br />
liberamente. Aveva aperto la sua biblioteca<br />
privata agli studenti che numerosi, giornalmente,<br />
vi andavano, trovandovi non solo i<br />
libri, ma anche la persona disposta a suggerire<br />
un indirizzo e a dare un consiglio. I suoi<br />
rapporti con i propri collaboratori erano<br />
quelli del “maestro” che sapeva ad un tempo<br />
guidare, spronare, incoraggiare ed insieme<br />
comunicare affetto ed amicizia. Di<br />
questi ed altri tratti della personalità umana<br />
di Italo Mancini si potranno avere maggiori<br />
e migliori conoscenze quando saranno pubblicate<br />
le pagine di un diario che egli stesso<br />
ha rivelato di aver tenuto, scrivendo «nelle<br />
ore perdute, nei ritagli di tempo, magari in<br />
viaggio su un treno».<br />
La bibliografia di Italo Mancini, dal primo<br />
scritto del 1950 all’ultima opera rimasta<br />
incompiuta ed inedita, a cui egli avrebbe<br />
voluto dare il titolo Frammento su Dio,<br />
comprende circa 400 titoli.<br />
Qui si riportano solo i titoli dei volumi<br />
pubblicati nell’arco del quarantennio della<br />
sua attività scientifica.<br />
PROFILO<br />
cato molto meno di quanto avesse letto e<br />
studiato. Ma quanto ci ha lasciato resterà<br />
sicuramente un punto di riferimento o comunque<br />
di passaggio obbligato per i futuri<br />
studiosi di questa problematica nel pensiero<br />
filosofico del secondo dopoguerra. Le<br />
opere più rappresentative di questo periodo<br />
sono: Teologia, Ideologia, Utopia; Futuro<br />
dell’uomo e spazio per l’invocazione; Con<br />
quale comunismo; Con quale Cristianesmo;<br />
Fede e cultura; Come continuare a<br />
credere.<br />
❏ Nell’ultimo decennio, gli anni Ottanta,<br />
Mancini è approdato a un discorso filosofico<br />
che coniuga sempre più decisamente il<br />
proprio interesse filosofico e teologico con<br />
le tematiche dell’etica e della prassi, del<br />
diritto e della società civile e politica. Uno<br />
sbocco naturale della sua ricerca che, fin<br />
dagli inizi, s’era prefisso di combinare lo<br />
«studio del mondo di Dio» con lo «studio<br />
del mondo dell’uomo». Mancini dava testimonianza<br />
così di quella che egli, a proposito<br />
del proprio atteggiamento nei confronti<br />
della cultura e della vita, soleva chiamare<br />
la “doppia fedeltà”: a Dio e alla laicità<br />
del mondo. Un nuovo allargamento del<br />
campo di indagine che impegna Mancini<br />
non solo nello studio delle forme e dei temi<br />
centrali della storia del diritto occidentale,<br />
ma anche nella ricerca delle loro possibilità<br />
di sviluppo per il futuro dell’uomo, in tentativi<br />
di nuove «spedizioni verso le terre<br />
del non-ancora, utopia, speranza». Appartengono<br />
a quest’ultima stagione: Negativismo<br />
giuridico; Filosofia della prassi;<br />
L’ethos dell’Occidente; Diritto e società.<br />
❏ Segno tangibile dell’opera di Italo Mancini<br />
- oltre alla specializzatissima biblioteca<br />
personale, ricca di circa dodicimila titoli<br />
catalogati - è rimasto anche e soprattutto<br />
l’Istituto Superiore di Scienze Religiose<br />
Bibliografia delle opere in volume<br />
Ontologia fondamentale, La Scuola, Brescia 1958.<br />
Il giovane Rosmini. La metafisica inedita,<br />
Argalia, Urbino 1963.<br />
Filosofi esistenzialisti (Heidegger, Marcel,<br />
Whal, Gilson, Lotz), Argalia, Urbino 1964.<br />
Linguaggio e salvezza,<br />
Vita e Pensiero, Milano 1964.<br />
Filosofia della religione,<br />
Abete, Roma 1968<br />
(2.a ediz. 1978; 3a ediz. Marietti, Genova 1983).<br />
Bonhoeffer, Vallecchi, Firenze 1969.<br />
Kerygma, Argalia, Urbino 1970.<br />
Teologia controversa,<br />
Vita e Pensiero, Milano 1970.<br />
Barth, Bultmann, Bonhoeffer:<br />
novecento teologico, Celuc, Milano 1971.<br />
Teologia, Ideologia, Utopia,<br />
Queriniana, Brescia 1974.<br />
Grandi ipotesi. I: Figure teoretiche<br />
15<br />
dell’Università di Urbino, voluto da lui e<br />
condiviso da Carlo Bo, progettato nel periodo<br />
a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta<br />
ed operante, dalla metà degli anni Settanta,<br />
con la duplice finalità scientifica di<br />
centro di ricerca, documentazione, analisi<br />
e riflessione, e formativa di scuola di preparazione<br />
dei professori di religione. In<br />
realtà il significato della fondazione di quest’Istituto<br />
andava oltre. Fu un fatto di portata<br />
storica. Significò il primo tentativo di<br />
introdurre la teologia nell’Università italiana,<br />
rimastavi interdetta per più di un<br />
secolo e mezzo - a differenza di altri paesi<br />
europei - in parte, a motivo della insensibilità,<br />
del disinteresse o, addirittura, dell’opposizione<br />
miope della cultura laica e forse,<br />
in parte, per l’eccessiva preoccupazione<br />
dell’episcopato italiano di tenere sotto il<br />
proprio controllo e gestione la ricerca e il<br />
dibattito in campo teologico.<br />
Accanto a questo insonne impegno di studioso,<br />
Italo Mancini ha vissuto sino in<br />
fondo anche la propria vocazione di prete,<br />
a servizio della propria comunità. Le omelie<br />
della domenica, che Carlo Bo - suo<br />
assiduo uditore - ha definito, per serietà di<br />
impegno e ricchezza di contenuti, una continuazione,<br />
nel Duomo di Urbino, delle<br />
lezioni universitarie, erano diventate un<br />
appuntamento importante per molti credenti;<br />
come pure le conversazioni radiofoniche<br />
mattutine su argomenti spirituali (ora<br />
disponibili anche nel volume Le tre follie)<br />
che egli tenne quotidianamente per un certo<br />
periodo alla RAI.<br />
Oltre alla competenza e alla serietà scientifica,<br />
chi accostava Italo Mancini poteva,<br />
inoltre, apprezzare di lui anche una forte<br />
carica di umanità e la disponibilità a servizio<br />
degli altri, gli studenti in prima fila, che<br />
della filosofia greca e medioevale.<br />
Guida storiografica. II: Introduzione<br />
alla filosofia di Leibniz; John Locke<br />
(in collaborazione con G. Ripanti),<br />
Vita e Pensiero, Milano 1974, 1975, 1976.<br />
Kant e la teologia, Cittadella, Assisi 1975.<br />
Futuro dell’uomo e spazio per l’invocazione,<br />
Astrogallo, Ancona 1975.<br />
Con quale comunismo, La Locusta, Vicenza<br />
1976.<br />
Novecento teologico, Vallecchi, Firenze 1977.<br />
Con quale cristianesimo, Coines, Roma 1978.<br />
Fede e cultura (con R. Ruggeri),<br />
Marietti, Torino 1979.<br />
Come continuare a credere, Rusconi, Milano<br />
1980.<br />
Negativismo giuridico, Quattro Venti, Urbino<br />
1981.<br />
Guida alla critica della ragion pura,<br />
vol. I. Quattro Venti, Urbino 1982.<br />
Il pensiero negativo e la nuova destra,
Credo che il fulcro della proposta filosofica<br />
di Karl-Otto Apel consista in quella etica<br />
della comunicazione che è al tempo stesso<br />
una grande proposta di civiltà e di democrazia,<br />
non soltanto una proposta di filosofia.<br />
Le radici e le basi del suo pensiero<br />
fanno riferimento a tanti autori, ma direi<br />
principalmente a Kant e all’americano<br />
Charles Sanders Peirce. Questa unione di<br />
pensiero trascendentale e di pensiero semiotico<br />
ha in Apel uno sviluppo molto<br />
originale, molto acuto e profondo; ma soprattutto<br />
molto importante in quanto individua<br />
nell’elemento trascendentale e nell’elemento<br />
del linguaggio della comunicazione<br />
e del segno i due capisaldi per una<br />
etica interplanetaria, nella quale possa riconoscersi<br />
ogni uomo di buona volontà.<br />
Quello di Apel, quindi, non è il tentativo di<br />
Nella mia<br />
lezione<br />
voglio trattare (in<br />
successione) i seguenti<br />
tre aspetti del problema<br />
indicato nel titolo.<br />
1. In primo luogo voglio<br />
mostrare il bisogno urgente<br />
di una macroetica che<br />
ritengo sia il nuovo prominente<br />
compito dell’etica filosofica<br />
del nostro tempo.<br />
2. Secondariamente evidenzierò<br />
e spiegherò le apparenti<br />
difficoltà che nelle<br />
ultime decadi, a livello di<br />
filosofia professionale (accademica),<br />
hanno suggerito<br />
che il problema di una<br />
fondazione razionale di una<br />
macroetica universalistica<br />
del genere umano non possa<br />
essere risolto o che sia<br />
addirittura un problema<br />
senza senso.<br />
3. In terzo luogo proverò a suggerire una possibile soluzione<br />
del problema dal punto di vista di una pragmatica<br />
trascendentale della comunicazione umana, o, più precisamente,<br />
del discorso argomentativo come forma riflessiva<br />
della comunicazione umana.<br />
In primo luogo dovrei spiegare che cosa intendo con<br />
macroetica del genere umano e perché, o a che riguardo,<br />
possa essere considerata una nuova caratteristica nello<br />
sviluppo storico dell’etica che dovrebbe corrispondere o<br />
rispondere a un nuovo stadio nell’evoluzione culturale<br />
dell’uomo.<br />
Penso ci siano pochi aspetti della civiltà contemporanea<br />
nei quali la strutturale non-contemporaneità (o il nonsincronismo)<br />
dei diversi settori dello sviluppo socioculturale<br />
sia più sorprendente che nella sfera della morale<br />
convenzionale, se ciò è comparato o confrontato con le<br />
attuali richieste di una comune e congiunta responsabilità<br />
per le conseguenze planetarie delle attività umane. La<br />
morale convenzionale in tutti i popoli o culture è ancora<br />
essenzialmente ristretta alle relazioni umane all’interno<br />
CONFERENZA<br />
contrapporre alla logica della scienza, alla<br />
logica della logica, un pensiero che si affidi<br />
a valori di tipo irrazionale, di tipo emotivo,<br />
di tipo sostanzialmente psicologico e individualistico;<br />
anzi, il suo tentativo è quello<br />
di gettare le basi di una trascendentalità<br />
dell’etica dell’uomo della scienza, dell’etica<br />
dell’uomo della tecnica, dell’etica di<br />
quell’uomo planetario che si sta realizzando<br />
tumultuosamente sotto i nostri occhi. Il<br />
tentativo di Apel è di individuare un fondamento<br />
indubitabile, logicamente consistente;<br />
in un’epoca in cui si ama prevalentemente<br />
sottolineare il non-fondamento, l’assenza<br />
di fondamento, Apel propone coraggiosamente<br />
e consapevolmente una filosofia<br />
del fondamento. Filosofia del fondamento<br />
etico - si badi bene - non filosofia del<br />
fondamento ontologico, del fondamento<br />
in collaborazione con<br />
il Goethe-Institut di Milano<br />
e l’Università degli <strong>Studi</strong> di Milano<br />
Il problema<br />
di una macroetica<br />
universalistica<br />
della co-responsabilità<br />
di Karl-Otto Apel<br />
con una nota introduttiva<br />
di Carlo Sini<br />
traduzione di Massimiliano Pagani<br />
16<br />
trascendentale nel senso kantiano, rinnovato<br />
attraverso le categorie della semiotica<br />
di Peirce. Questa proposta di Apel è stata<br />
discussa in tutto il mondo; ha avuto i suoi<br />
oppositori: sono note le affinità, ma anche<br />
le differenze, tra la posizione di Apel e per<br />
esempio quella di Habermas.<br />
Grazie all’opera organizzativa del Goethe<br />
Institut e dell’Università degli <strong>Studi</strong> di<br />
Milano, in questa sua conferenza, di cui<br />
presentiamo qui di seguito il testo di riferimento,<br />
elaborato per la pubblicazione, Apel<br />
ci presenterà la sua posizione. Una posizione<br />
che esige una presa di coscienza, una<br />
riflessione; certamente essa è uno dei più<br />
segni significativi della filosofia attuale,<br />
sia per la ricchezza dei suoi riferimenti, sia<br />
per l’importanza intrinseca delle tematiche<br />
che propone alla nostra riflessione.<br />
di piccoli gruppi o, al meglio,<br />
è ancora confinata all’adempimento<br />
di funzioni<br />
e doveri professionali all’interno<br />
di un sistema sociale<br />
di norme, p.e. all’interno<br />
di uno stato nazionale.<br />
Questi due livelli di<br />
moralità convenzionale<br />
possono essere chiamati rispettivamente<br />
una microetica<br />
e una mesoetica. E io<br />
vorrei mettere in evidenza<br />
che anche le usuali tensioni<br />
e i conflitti fra esigenze<br />
morali sono tuttora avvertiti<br />
e articolati come quelle<br />
di un antagonismo tra i livelli<br />
di micro- e mesoetica.<br />
Quindi, per esempio, le richieste<br />
dei ruoli e delle norme<br />
che sono definite da un<br />
sistema sociale (di legge e<br />
di ordine) impongono loro<br />
stesse e danno forma alle intime relazioni di simpatia,<br />
interesse e lealtà che costituiscono il legame sociale di<br />
piccoli gruppi, come sono le famiglie e i clan; e fino ad<br />
oggi hanno agito con il miglior esito nel caso di una<br />
mobilitazione di sentimenti nazionali o religiosi o quasireligiosi,<br />
per esempio in connessione con guerre o rivoluzioni.<br />
Come forme meno spettacolari, ma di solito<br />
sufficientemente efficaci, possiamo menzionare le norme<br />
di un sistema sociale sostenute dal pubblico consenso<br />
e da sanzioni legali. Ma accade anche di continuo in molti<br />
paesi che lo stato della legge e le norme morali del sistema<br />
sociale perdano la loro autorità ed efficacia. Allora le loro<br />
funzioni possono ritornare alle famiglie e ai clan quale<br />
conseguenza della corruzione generale, come nel caso<br />
del dominio della mafia.<br />
Ora, nel mezzo di queste persistenti caratteristiche delle<br />
morali convenzionali, cioè, tra tensioni e conflitti nelle<br />
esigenze della micro e della mesoetica, nuovi aspetti<br />
delle richieste morali sono emersi e si sono sviluppati<br />
nella società industriale del nostro secolo. Questi aspetti
non possono più essere compresi nei termini di categorie<br />
morali convenzionali, cioè né in quelli della lealtà microetica<br />
all’interno di piccoli gruppi, né in quelli delle norme<br />
meso-etiche di legge e ordine del sistema sociale.<br />
Questo può essere spiegato tramite il riferimento alle due<br />
direzioni dell’evoluzione culturale che possono essere<br />
delineate a partire dagli albori della civiltà umana, per<br />
esempio la rottura delle barriere dell’istinto animale che<br />
deve aver dato avvio al progressivo sviluppo delle istituzioni<br />
sociali e delle norme morali 1 . La direzione iniziale<br />
dell’evoluzione culturale dal punto zero, per così dire,<br />
può essere caratterizzata come la rottura , da parte dell’homo<br />
faber, dell’equilibrio naturale tra il mondo degli<br />
effetti causali delle azioni e il mondo dei gesti percettibili<br />
che potrebbero provocare quelle azioni all’interno del<br />
circolo retroattivo del comportamento animale 2 . Qualcuno<br />
potrebbe supporre che l’invenzione di arnesi e specialmente<br />
di armi, dovuta all’homo faber, cancelli definitivamente<br />
questo equilibrio aprendo una gamma di possibili<br />
conseguenze di azione che non erano possibili nella sfera<br />
del comportamento istintivo 3 .<br />
Perciò l’assassinio di Abele da parte di Caino o, in altre<br />
parole, il fenomeno della guerra, come opposto ai ristretti<br />
conflitti di animali, potrebbe essere spiegato dal crescere<br />
della causale efficacia delle azioni umane al di là degli<br />
scopi originali di quei gesti che precedentemente si<br />
appellavano a istinti inibiti. E questo sviluppo ultimamente<br />
ha portato all’invenzione di missili nucleari, i<br />
possibili effetti dei quali non possono neanche essere<br />
immaginati nei termini dell’originario mondo dell’uomo<br />
dei gesti percettibili che innescano i nostri sentimenti<br />
quasi-istintivi.<br />
Ora la necessità di controlli morali sulle azioni umane<br />
non più regolate dagli istinti poteva finora essere soddisfatta<br />
dallo sviluppo delle istituzioni sociali che costituiscono<br />
l’altra dimensione dello sviluppo culturale. Ciò<br />
significa che lo sviluppo di quei due campi d’azione delle<br />
morali convenzionali dei clan familiari e dello stato (di<br />
diritto) che ho chiamato gli stadi micro- e mesoetici ha<br />
tenuto testa fino ad ora alla sfida del costante sviluppo<br />
della gamma di efficacia delle azioni umane dell’homo<br />
faber. Alcuni antropologi o filosofi antropologici hanno<br />
suggerito anche che il tipo di istituzioni e di morali<br />
convenzionali che ho delineato possano essere considerate<br />
come l’analogo definitivo ed equivalente degli istinti<br />
animali a livello di civiltà umana; e da questa premessa<br />
essi hanno talvolta tratto la conclusione che tutte le<br />
indagini sulle istituzioni e le convenzioni contingenti,<br />
proprie dello spirito di una ricerca razionale, debbano<br />
essere intese come tendenze pericolose e patologiche<br />
dello sviluppo culturale. 4 Perciò anche la guerra può<br />
essere considerata un’istituzione atta a risolvere i conflitti<br />
e a ridistribuire lo spazio abitabile (Lebensraum) e le<br />
risorse a livello di mesoetica degli stati nazionali.<br />
Ma penso che questo modo di guardare alla situazione<br />
planetaria dell’umanità sia giunto al termine in questo<br />
secolo per almeno due ragioni:<br />
1. Lo stesso sviluppo delle istituzioni sociali ha superato<br />
lo stadio nel quale la regolazione delle interazioni umane<br />
può trovare la sua forma più integrativa e la sua più alta<br />
autorità morale nello Stato (nazionale), come è stato<br />
CONFERENZA<br />
17<br />
suggerito da Hegel. Non solo la religione e la filosofia<br />
hanno messo in dubbio questa soluzione, come già fecero<br />
all’epoca di Hegel, ma anche le stesse istituzioni sociali<br />
si sono differenziate in sotto–sistemi che più o meno<br />
determinano o condizionano il comportamento umano<br />
molto al di là del potere legale o dell’autorità morale dello<br />
stato. L’esempio più illuminante di questo sviluppo è<br />
fornito dal sotto-sistema sociale dell’economia internazionale<br />
5 ; e questo esempio mostra come una sfida nuova,<br />
e insieme per lungo tempo non raccolta, sia stata sottoposta<br />
alla responsabilità morale dell’uomo. Poiché il tipo di<br />
interazione umana che accade nel mercato mondiale è<br />
regolata da fattori come i prezzi e realizzata attraverso la<br />
mediazione del denaro; essa è quindi un’interazione a<br />
lunga distanza per mezzo di relazioni anonime che non<br />
lascia quasi opportunità per un incontro faccia a faccia tra<br />
esseri umani con sentimenti morali. E poiché gli effetti<br />
delle nostre quotidiane azioni economiche possono ripercuotersi<br />
su persone di diversi paesi o continenti, per<br />
esempio del terzo mondo, allora esse sono come minimo<br />
tanto inimmaginabili quanto i possibili effetti delle nostre<br />
armi atomiche.<br />
2. Questo confronto degli effetti delle azioni umane porta<br />
al secondo motivo per cui le morali convenzionali nel<br />
senso di micro- e mesoetica non possono più far fronte a<br />
lungo alla nuova sfida sottoposta alla nostra responsabilità<br />
per le conseguenze delle nostre azioni a lunga distanza.<br />
La seconda ragione è in molti modi correlata con la<br />
prima - specialmente con lo sviluppo del sotto sistema<br />
sociale dell’economia - ed ha a che fare con le nuove<br />
relazioni tra uomo e natura o piuttosto tra noi e quella<br />
parte di natura che costituisce l’umana ecosfera. La<br />
novità di questa relazione, come ora sappiamo bene,<br />
consiste nel fatto che la natura, poiché costituisce l’umana<br />
biosfera e la sfera delle risorse economiche dell’uomo,<br />
non è più indistruttibile né inesauribile, come è apparsa in<br />
tutta la storia passata.<br />
Appare chiaro che questo stato di cose è stato causato<br />
dalla stessa abilità tecnologica ad accrescere ed espandere<br />
gli effetti delle azioni umane che abbiamo rintracciato<br />
nella rottura delle barriere degli istinti animali da parte<br />
dell’homo faber. Da allora - si potrebbe dire - l’homo<br />
faber con le sue conquiste tecnologiche ha sempre sopraffatto<br />
l’homo sapiens con la sua responsabilità morale,<br />
ma nel nostro secolo noi siamo stati confrontati con<br />
questo fatto in un modo del tutto nuovo. Per la prima volta<br />
è diventato gradualmente chiaro che - almeno a riguardo<br />
della nostra ecosfera naturale - noi in qualche modo<br />
dobbiamo organizzare un qualcosa di simile a una responsabilità<br />
collettiva per le conseguenze primarie e<br />
secondarie derivanti dalle nostre attività collettive in<br />
campo scientifico e tecnologico.<br />
Ma sembra anche chiaro che noi qui siamo di fronte a<br />
richieste morali, di nuovo tipo e quasi eccessive, come<br />
quelle poste dalla interazione economica a lunga distanza<br />
tra persone . Si attende da ciascuno di noi che egli assuma<br />
una qualche parte di co-responsabilità per l’emissione di<br />
prodotti industriali di scarto nell’aria e in acqua, o per la<br />
salvaguardia delle foreste su scala planetaria, e quindi del<br />
clima e dell’atmosfera della Terra, e allo stesso tempo si<br />
suppone che ciascuno si senta co-responsabile come
cittadino - per esempio come lettore di giornali o elettore<br />
- per la politica del proprio paese e quindi anche per la<br />
politica economica, per dire, della Banca Mondiale nei<br />
riguardi dei paesi indebitati del Terzo Mondo. Perciò<br />
sembra che in entrambe le dimensioni dell’evoluzione<br />
culturale - quella degli interventi tecnologici sulla natura<br />
e quella delle interazioni sociali - la nostra epoca abbia<br />
assistito allo sviluppo di una situazione planetaria che<br />
esige una nuova etica della co-responsabilità , vale a dire<br />
un tipo di etica che possiamo chiamare, per contrapporla<br />
alle forme tradizionali o convenzionali di etica, una<br />
macroetica (planetaria).<br />
La novità problematica delle richieste di questa nuova<br />
forma di etica può essere illustrata da alcuni commenti<br />
caratteristici avanzati da persone che si dimostrano piuttosto<br />
scettiche, o persino disturbate dalla possibilità di<br />
una simile ‘iperetica’, così come la si è voluta chiamare. 6<br />
Così in una recensione al libro di Hans Jonas Il principio<br />
responsabilità, 7 opera precorritrice nel suggerire energicamente<br />
la necessità di un nuovo tipo di etica, il critico,<br />
richiamandosi alla filosofia delle istituzioni di Arnold<br />
Gehlen, ricordava ai suoi lettori che nessuno può essere<br />
responsabile di ciò che accade al di fuori del suo ruolo o<br />
della sua funzione all’interno del sistema sociale. 8 Qui, o<br />
negandola o fraintendendola, almeno una caratteristica<br />
della nuova macroetica è stata indirettamente evidenziata:<br />
l’esigenza di una co-responsabilità per i risultati delle<br />
attività collettive.<br />
Un’altra caratteristica che la nuova etica deve soddisfare<br />
è stata messa indirettamente in luce dall’opuscolo: Gli<br />
otto peccati capitali, del famoso etologo e premio nobel<br />
Konrad Lorenz. Dalla prospettiva delle sue ben note tesi<br />
per cui le morali umane sono essenzialmente basate su<br />
disposizioni quasi-istintive o su residui istintuali corrispondenti<br />
al comportamento quasi-morale degli animali,<br />
Lorenz osserva e deplora come nella moderna società di<br />
massa, con le sue complesse ma anonime relazioni umane,<br />
si abusi irrimediabilmente delle disposizioni morali<br />
degli esseri umani - come quelle rappresentate dai sentimenti<br />
di simpatia e dalle disposizione all’aiuto. Con ciò<br />
Konrad Lorenz può riporre le sue speranze solo nel<br />
possibile verificarsi di una mutazione nell’interrotto processo<br />
di evoluzione biologica dell’uomo, tale che gli<br />
esseri umani acquistino una nuova disposizione quasiistintiva<br />
alla moralità. 9 Questa conclusione dell’etologo<br />
chiarisce indirettamente il fatto che la nuova etica della<br />
co-responsabilità, in base alle stesse esigenze cui deve<br />
corrispondere, non può essere fornita ai giorni nostri da<br />
disposizioni quasi-istintive dell’uomo, ma conseguita<br />
dalla ragione umana quale compensazione alla mancanza<br />
di disposizioni quasi-istintive.<br />
A tal riguardo la valutazione della situazione avanzata da<br />
Lorenz è stata confermata, in un certo senso, da un altro<br />
premio Nobel, l’economista Friedrich August von Hayek.<br />
Anche Hayek è convinto che i sentimenti e le disposizioni<br />
morali nel senso dell’etica tradizionale, compresa l’etica<br />
cristiana, debbano essere riservate al livello arcaico delle<br />
relazioni umane all’interno di piccoli gruppi. Oltre detto<br />
livello le esigenze di un etica della solidarietà umana -<br />
per non parlare della co-responsabilità su scala planetaria<br />
- diventano ideologiche e quindi dannose, poiché la<br />
CONFERENZA<br />
18<br />
libertà umana può solo essere garantita dall’operare<br />
indisturbato del sistema dell’economia di mercato con le<br />
sue relazioni anonime di interazione a lunga distanza.<br />
Perciò a giudizio di Hayek la diffusa richiesta di ‘giustizia<br />
sociale’ è sia ideologica che dannosa, e la sola<br />
caratteristica dell’etica tradizionale della giustizia che<br />
può e deve essere preservata e persino coltivata nella<br />
situazione attuale dell’umanità è l’obbligo all’onestà<br />
nella stipulazione e nel rispetto dei contratti. Quindi<br />
Hayek fa ricorso alla morale minima di un addomesticamento<br />
istituzionale dell’interazione strategica del commercio,<br />
escludendo contemporaneamente qualunque richiesta<br />
ulteriore di una morale della solidarietà e della coresponsabilità.<br />
10<br />
Penso che il chiarimento indiretto del nostro problema di<br />
una macroetica umana che possiamo trarre dalle osservazioni<br />
di Hayek tanto quanto da quelle di Konrad Lorenz<br />
e Arnold Gehlen risieda nel riconoscimento del fatto che<br />
la nuova etica, semmai essa si dia, richiede una giustificazione<br />
razionale, che trascenda ogni tradizione. Le<br />
osservazioni scettiche sopra ricordate mostrano chiaramente<br />
che non ci si può affidare alle morali convenzionali,<br />
rappresentate dalle attuali istituzioni sociali, incluso lo<br />
spirito del presente Stato di diritto.<br />
Ma che cosa hanno da dire gli esponenti dell’etica professionale,<br />
nel senso della filosofia (morale), sul nostro<br />
problema di una fondazione razionale per una macroetica<br />
umana universalmente valida? Con questo quesito introduco<br />
la seconda parte del mio lavoro.<br />
Una prima parte della risposta che ha sede in questo<br />
secolo può essere caratterizzata richiamando la concezione,<br />
sviluppata da Max Weber, di una scienza avalutativa<br />
in quanto opposta alla dimensione complementare<br />
delle decisioni in ultima istanza irrazionali ma autentiche,<br />
rappresentate dalle scelte private prese da ogni<br />
singolo e riguardo agli assiomi ultimi di valore <strong>11</strong> . Questa<br />
idea di una sorta di divisione del lavoro, per così dire, tra<br />
razionalità scientifica e moralità irrazionale che ha dominato<br />
a lungo l’ideologia occidentale, si è rivelata come un<br />
sistema di complementarità tra positivismo e esistenzialismo,<br />
entro cui l’etica, in modo simile alla religione,<br />
poteva solo essere immaginata come una questione di<br />
emozioni e decisioni private, incapaci di reclamare una<br />
qualche validità pubblica e universale. 12<br />
Questo sistema di complementarità proprio dell’ideologia<br />
occidentale ha prodotto una sorprendente e persino<br />
paradossale risposta alla sfida lanciata dal XX secolo alla<br />
ragione morale. Infatti, nel sistema di complementarità<br />
la parte della razionalità veniva definita in modo decisivo<br />
dalla razionalità, neutrale rispetto al valore, della<br />
scienza (cioè delle scienze della natura di rilevanza<br />
tecnologica). D’altronde, però, sono state proprio le<br />
conseguenze tecnologiche provocate dalla scienza nel<br />
mondo della vita dei giorni nostri a richiedere una nuova<br />
fondazione razionale di un’etica planetaria della coresponsabilità.<br />
Sembrava così che la scienza richiedesse<br />
una nuova etica razionale e al contempo - a causa del<br />
monopolio da essa esercitato sulla definizione delle<br />
razionalità 13 - bloccasse una giustificazione razionale<br />
dell’etica, dimostrandone l’impossibilità.<br />
Temo che questo meccanismo di blocco si mostri ancora
all’opera in molti pensatori tra i più intransigenti, sebbene<br />
si abbia a disposizione un controargomento per smontare<br />
l’intero meccanismo. Lo otteniamo, allorché ci si<br />
rende conto del fatto che la ricerca scientifica, insieme al<br />
compito di accertarne la validità intersoggettiva, non si<br />
situa al livello delle relazioni cognitive soggetto-oggetto,<br />
ma anche a quello della relazione soggetto-co-soggetto,<br />
proprio della comunicazione e dell’interazione fra i membri<br />
di una comunità scientifica. Allora diventa chiaro<br />
come anche, o precisamente, la scienza esente da valutazioni<br />
- cioè una oggettivazione della natura, neutrale<br />
rispetto ai valori, operata nella dimensione della relazione-soggetto-oggetto<br />
- debba<br />
presupporre l’etica di<br />
una comunità ideale della<br />
comunicazione nella dimensione<br />
della relazionesoggetto-co-soggetto,complementare<br />
alla relazionesoggetto-oggetto.<br />
E diventa<br />
immediatamente chiaro<br />
come l’etica di una comunità<br />
ideale della comunicazione,<br />
presupposta dalla<br />
scienza, non può essere<br />
un’etica irrazionale, costituita<br />
da mere emozioni e da<br />
decisioni private e soggettive.<br />
Infatti, è precisamente<br />
l’intento di giungere a decidere<br />
delle pretese di validità<br />
intersoggettiva tramite<br />
argomenti razionali che<br />
presuppone di principio<br />
un’etica della comunità,<br />
implicante uguali diritti e<br />
uguali responsabilità a livello<br />
argomentativo. 14<br />
Perciò a questo punto della<br />
discussione possiamo già<br />
concludere come segue. Il<br />
fatto che la razionalità della<br />
scienza sia neutrale-rispetto-al-valore<br />
- per quanto<br />
attiene ai suoi oggetti -<br />
non può essere inteso nel<br />
senso che sia impossibile<br />
una razionalità non neutrale-rispetto-al-valore, ovvero<br />
che sia impossibile una razionalità etica. Infatti, l’esistenza<br />
della scienza neutrale-rispetto-al-valore, in quanto<br />
impresa di una comunità umana, necessariamente presuppone<br />
la validità normativa di un’etica razionale,<br />
almeno per la comunità degli scienziati.<br />
Con il nostro ultimo argomento non abbiamo ancora<br />
mostrato che sia possibile una giustificazione razionale<br />
di un’etica della co-responsabilità valida universalmente<br />
per gli esseri umani, poiché la comunità scientifica<br />
non è identica alla comunità umana. E gli interessi della<br />
prima non sono gli stessi della seconda. Le differenze<br />
eticamente rilevanti tra i due tipi di comunità sono state,<br />
a mio avviso, correttamente indicate da Charles Peirce,<br />
CONFERENZA<br />
Karl Otto Apel<br />
19<br />
il quale postulò che i membri della comunità ideale dei<br />
ricercatori dovessero sottomettere tutti gli interessi personali<br />
all’interesse della comunità nella ricerca della<br />
verità. 15 Una simile sottomissione non può essere generalizzata<br />
in un obbligo morale valido per tutti i membri<br />
della comunità umana, poiché questi ultimi potrebbero<br />
anche mettere in questione il diritto della scienza ad<br />
esistere. Ma anche a questi interrogativi si deve poter<br />
rispondere all’interno di un’etica della co-responsabilità<br />
universalmente valida per l’umanità.<br />
Si potrebbe già chiedere a questo punto: che cosa possiamo<br />
ragionevolmente indicare come un obbligo per tutti i<br />
membri di una comunità<br />
umana ideale? Non potrebbe<br />
essere un principio di<br />
auto-superamento nel senso<br />
che noi riconosciamo un<br />
principio di trans-oggettività<br />
nel risolvere tutti i conflitti<br />
solo tramite argomenti<br />
accettabili intersoggettivamente?<br />
Tornerò su questo punto.<br />
Ma prima devo continuare<br />
il mio resoconto della posizione<br />
presa dalla filosofia<br />
accademica sul nostro problema<br />
di una nuova macroetica<br />
dell’umanità. Sebbene<br />
la risposta elaborata in<br />
un primo stadio - rappresentata<br />
dal sistema di complementarità<br />
tra positivismo<br />
ed esistenzialismo - sia<br />
ancora molto influente, non<br />
si è potuto impedire nell’ultimo<br />
decennio, in Europa<br />
e negli Stati Uniti di assistere<br />
ad una ‘riabilitazione<br />
della filosofia pratica’,<br />
per meglio dire ad un vero<br />
e proprio rifiorire dell’etica.<br />
Sembra però una caratteristica<br />
di questo secondo<br />
stadio della risposta filosofica<br />
ai nostri problemi che<br />
la maggior parte delle posizioni<br />
non provino neppure a confutare il verdetto positivistico<br />
contro la possibilità di una fondazione razionale<br />
di un’etica universalmente valida, ma lo accettino in<br />
modo tacito, per far ricorso ad un certo tipo di neoaristotelica<br />
(o neo-hegeliana) riabilitazione dell’ethos<br />
tradizionale di una specifica forma socio-culturale di<br />
vita.<br />
Perciò si può seguire la linea della distinzione aristotelica<br />
tra epistémé o theoria da una parte e phronesis dall’altra<br />
e richiedere - fino ad un certo grado insieme con l’Etica<br />
Nicomachea di Aristotele - che la facoltà della ragione<br />
pratica non possa conferire validità rigorosamente universale<br />
ai principi, ma proporre solo consuetudini ed<br />
atteggiamenti alla riflessione morale e ad una prudente
presa di decisioni nel contesto di situazioni concrete, in<br />
accordo con le norme autoevidenti dell’eticità sostanziale<br />
di una specifica tradizione o forma socio-culturale di<br />
vita. (Questa prospettiva di un neo-aristotelismo pragmatico,<br />
liberatosi dello sfondo tradizionale della metafisica<br />
teleologica dell'universo 16 e quindi dell’idea di una legge<br />
naturale come legge universale, ha trovato una potente<br />
uniforme e sostegno negli ultimi decenni nel relativismo<br />
post-wittgensteiniano delle differenti o anche incommensurabili<br />
forme di vita e nell’ermeneutica e nel superstoricismo,<br />
post-heideggeriani, delle aperture epocali di<br />
verità o, al meno, del senso dell’essere entro la tradizione<br />
del pensiero occidentale.) 17<br />
Così, nella prospettiva della tendenza storicistica e relativistica<br />
del neo-aristotelismo, unita ad una critica più o<br />
meno forte dell’universalismo deontologico post-kantiano<br />
ed in accordo con la riflessione sulle tradizioni locali,<br />
si è venuta formando, nel mondo occidentale, la corrente<br />
dominante dell’etica della vita buona. Laddove autori<br />
anglo-sassoni, come Williams, MacIntyre o i ‘Communitarians’<br />
americani, enfatizzano principalmente il bisogno<br />
di valori sostanziali o norme materiali, in opposizione<br />
al formalismo kantiano 18 ; in Germania la tendenza<br />
storicistico-ermeneutica del neo-aristotelismo è piuttosto<br />
neo-conservativa e persino scettica, in aggressiva<br />
opposizione al cosiddetto utopismo terroristico rappresentato<br />
dalla filosofia emancipatrice neo-marxista (come<br />
ad esempio la Scuola di Francoforte). 19<br />
Il movimento neo-Aristotelico qui adotta un atteggiamento<br />
apparentemente tranquillizzante, come nelle rapide<br />
descrizioni gadameriane, più volte ripetute, di quanto<br />
sia richiesto da un’etica della vita buona in una buona<br />
polis: wJß dei' più frovnhsiß (che tradurrei: ciò<br />
che è consuetudine o uso comune in una buona società<br />
civile più una prudente applicazione delle norme implicite<br />
di una tradizione locale). 20 Una buona illustrazione di<br />
questo atteggiamento è stata fornita ad un recente congresso<br />
su Hegel, sfruttando polemicamente l’immagine<br />
kantiana dell’ “imperativo categorico” come di una “bussola”<br />
per la vita morale. Si osservò, infatti, che in una<br />
buona polis - cioè in una città - noi non abbiamo bisogno<br />
di una bussola, perché già esiste la segnaletica stradale. 21<br />
Ora penso che queste tendenze neo-conservative, risultanti<br />
dalla cosiddetta ‘riabilitazione della ragione pratica’,<br />
non portino ad alcuna soluzione tutti i problemi<br />
propri di una macroetica della co-responsabilità umana<br />
che ho precedentemente esposti. Piuttosto essi rappresentano<br />
un atteggiamento di rifiuto o di fuga dai problemi<br />
con cui ci troviamo oggi confrontati. E in ogni caso gli<br />
slogan usati dai rappresentanti tedeschi del neo-aristotelismo<br />
sono a mio parere quasi tanto paradossali ed<br />
anacronistici quanto le opposizioni positivistiche all’elaborazione<br />
di una etica razionale della responsabilità per<br />
le conseguenze derivanti dalle tecnologie scientifiche.<br />
Questo è ben illustrato dall’accoglienza ricevuta dal libro<br />
di Hans Jonas, che è egli stesso un neo-aristotelico di<br />
rilievo. Ma Jonas, richiamandosi al teleologismo metafisico<br />
del cosmo aristotelico, giunge a risultati diametralmente<br />
opposti a quelli neo-conservatori dei neo-Aristotelici.<br />
Jonas, infatti, muovendo da una prospettiva di<br />
conservazione di alcuni valori, volta cioè ad assicurare la<br />
CONFERENZA<br />
20<br />
sopravvivenza del genere umano e la salvaguardia della<br />
dignità umana, giunge a richiedere un’etica cosmopolita,<br />
di tipo alquanto nuovo, ovvero un’etica della responsabilità<br />
collettiva per le conseguenze delle attività collettive<br />
delle società industriali.<br />
Ora non penso che Jonas sia riuscito a fornire una<br />
giustificazione razionale per quest’etica di tipo nuovo<br />
partendo dalle sue premesse metafisiche. 22 Ma come<br />
minimo questa visione del problema può essere facilmente<br />
integrata in un programma delle esigenze cui<br />
un’etica ha da corrispondere oggi, da contrapporre al<br />
ripiegarsi neo-aristotelico sulle tradizioni locali. Con<br />
parole mie, lo sintetizzerei nel modo seguente.<br />
Noi non viviamo oggi in società quasi-autarchiche o<br />
poleis, come nell’epoca classica della civiltà greca (che,<br />
non dimentichiamolo, fu rovesciata da Alessandro mentre<br />
Aristotele era ancora in vita). Per la prima volta nella<br />
storia noi stiamo vivendo oggi in una civiltà planetaria<br />
che al meno per quanto attiene alcuni ambiti vitali della<br />
cultura - come ad esempio la scienza, la tecnologia e<br />
l’economia - ha subito un’unificazione tale da renderci<br />
membri di una reale comunità della comunicazione - o, se<br />
si preferisce, componenti dell’equipaggio di una stessa<br />
nave, per esempio riguardo ai problemi della crisi ecologica.<br />
Tra parentesi, desidero esprimere qui il mio netto<br />
dissenso dalle diagnosi di Jean-François Lyotard, il quale<br />
conclude che ai nostri giorni noi dovremmo abbandonare<br />
la stessa idea di una storia umana comune e persino l’idea<br />
di un ‘noi’ come di un possibile soggetto della solidarietà<br />
umana. 23 Suggerirei al contrario che le vaghe idee dei<br />
filosofi del XVIII secolo circa l’unità della storia umana<br />
si siano in un qualche senso realizzate oggi. Senza dubbio,<br />
non si sono realizzate nel senso della concezione<br />
marxista di un’unità della prassi e della teoria scientifica<br />
in forza della conoscenza e del controllo del ‘corso<br />
necessario della storia’, ma si sono realizzate nel senso di<br />
un’unità della cooperazione, eticamente sollecitata e in<br />
parte esistente, a riguardo della correzione, salvaguardia<br />
e rimodellamento o trasformazione delle condizioni attuali<br />
della civiltà del pianeta.<br />
Riassumendo: ciò di cui abbiamo bisogno oggi è in effetti<br />
un’etica universalmente valida per l’intera umanità; ma<br />
questo non significa che ci sia la necessità di un’etica che<br />
prescriva uno stile comune di vita buona per tutti gli<br />
individui o per tutte le differenti forme socio-culturali di<br />
vita. Al contrario, noi possiamo accettare il pluralismo di<br />
forme individuali di vita e persino difenderlo, purché vi<br />
sia la garanzia che un’etica universalmente valida di<br />
uguali diritti e uguale co-responsabilità per la soluzione<br />
dei problemi comuni dell’umanità sia rispettata in ogni<br />
singola forma di vita. (Ho l’impressione che un errore<br />
fatale del pensiero filosofico dei nostri giorni consista<br />
nell’assunzione di un antagonismo fondamentale o anche<br />
di una contraddizione tra il richiesto universalismo di<br />
un’etica post-kantiana e il pluralismo di un’etica quasi-<br />
Aristotelica della vita buona, o del souci de soi, per citare<br />
M. Foucault. In ogni caso l’intera storia dei diritti dell’uomo<br />
smentisce questa supposizione, come Foucault fu<br />
costretto ad ammettere negli ultimi anni della sua vita.) 24<br />
Procederò ora con l’ultima parte del mio lavoro. Fino ad<br />
ora mi sono limitato ad indicare l’esigenza di una macro-
etica dell’umanità, criticando le concezioni insufficienti<br />
delle etiche professionali dei nostri giorni. Ma che cosa<br />
dire sulla possibilità reale di fornire una base razionale al<br />
tipo di etica di cui abbiamo messo in luce l’indispensabilità?<br />
Ci sono approcci promettenti a questo riguardo?<br />
Per introdurre le concezioni dell’etica del discorso, così<br />
come proposta da J. Habermas e da me stesso, mi sia<br />
concesso, una volta ancora, di partire da un’analisi critica.<br />
Proverò a ricavare la mia tesi di partenza facendo<br />
alcuni commenti critici al pensiero più recente di un<br />
grande filosofo che, rimanendo nella tradizione kantiana,<br />
ha dato forse il più importante contributo all’attuale etica<br />
della giustizia. Mi riferisco naturalmente a John Rawls.<br />
Menzionerò qui solamente i suoi due principi di giustizia,<br />
25 e specialmente il famoso “principio di differenza”,<br />
che, ritengo, funziona ai nostri giorni come il perenne<br />
contro-argomento etico nei riguardi della più suggestiva<br />
fra le attuali tentazioni della democrazia occidentale, e<br />
cioè la tentazione della politica della cosiddetta “società<br />
dei due terzi”, ossia, la tentazione di una politica sociale<br />
che sfrutti il meccanismo maggioritario della democrazia<br />
parlamentare per soddisfare i due terzi della popolazione<br />
a scapito del terzo restante. Sembra chiaro come il “principio<br />
di differenza” di Rawls sia diretto precisamente<br />
contro una simile politica che, come ben sappiamo,<br />
potrebbe ottenere un buon successo per un certo lasso di<br />
tempo.<br />
Ora nei suoi più recenti giudizi - nel suo saggio Giustizia<br />
come equità: politica non metafisica 26 - sembra che<br />
Rawls neghi o revochi la richiesta di universalità propria<br />
della sua precedente giustificazione di un’etica della<br />
giustizia come equità, per far ricorso in chiave neoaristotelica<br />
o storicistica alla tradizione specificamente<br />
americana del “senso di giustizia”. R. Rorty ha illustrato<br />
questa posizione, accettandola come una forma estrema<br />
di storicismo etnocentrico. A suo dire, egli, come americano,<br />
dovrebbe mettere l’accento sulla priorità della<br />
costituzione politica del suo paese sopra e contro ogni<br />
richiesta di una critica filosofica o di una legittimazione<br />
di questa tradizione locale. Se gli capitasse di discutere<br />
con persone del calibro di Ignazio di Loyola o Nietzsche,<br />
cioè persone che in linea di principio negarono la tradizione<br />
democratica, non potrebbe - egli ci dice - provare<br />
a difendere questa tradizione con l’uso di argomentazioni<br />
filosofiche, il che significa, col ricorso a principi o criteri<br />
universalmente validi, ma dovrebbe alla fin fine considerare<br />
l’altra parte come “folle”. 27 Sembra chiaro che questa<br />
dovrebbe anche essere la sua strategia in una discussione<br />
con i rappresentanti del comunismo orientale o con<br />
fondamentalisti islamici, che difendessero posizioni teocratiche.<br />
Ora, rispondendo a Rorty, io non negherei la<br />
possibilità di una totale interruzione della discussione,<br />
cioè del discorso argomentativo, ma credo che una simile<br />
interruzione non sarebbe mai dovuta alle differenti tradizioni,<br />
bensì - nel caso peggiore - potrebbe essere imposta<br />
dal rifiuto delle argomentazioni filosofiche da parte di<br />
uno dei partecipanti al dibattito, sia esso Rorty o Nietzsche<br />
o Lenin, o Khomeini o Deng Xiao Ping.<br />
Ma nel nostro presente contesto mi sembra più importante<br />
chiederci perché John Rawls stesso faccia ricorso alla<br />
tradizione locale come a una base storica contingente del<br />
CONFERENZA<br />
21<br />
“senso di giustizia come equità”. Ritengo che la ragione<br />
di questo giudizio sia curiosamente legata al fatto che<br />
Rawls effettivamente aveva buone ragioni per non essere<br />
soddisfatto della giustificazione razionale nel suo approccio<br />
originale. Questo approccio implicava la concezione<br />
della “posizione originaria”, cioè della scelta razionale<br />
del miglior ordine di giustizia compiuta dalle<br />
parti, seguendo, in tale processo decisionale, la razionalità<br />
strategica sotto le condizioni restrittive che Rawls<br />
aveva imposto alla situazione originaria di scelta - condizioni<br />
quali “il velo di ignoranza” sulla posizione che ogni<br />
singolo occuperà nell’ordine sociale che verrà scelto.<br />
Più tardi Rawls si dovette render conto del fatto che in<br />
primo luogo era fortemente ingannevole suggerire che, a<br />
motivo del tipo di razionalità che avrebbe dovuto guidare<br />
la scelta, la sua teoria della giustizia fosse parte della<br />
teoria della scelta razionale (cioè la teoria della decisione<br />
strategica). In un verso, la oggettiva giustificazione<br />
della sua teoria era fornita piuttosto dalla stessa concezione<br />
di Rawls della “giustizia come equità” che gli fece<br />
imporre le condizioni restrittive sulla posizione originaria.<br />
Nell’altro verso, Rawls fu persino costretto, già nel<br />
suo primo lavoro, a supporre uno speciale “senso di<br />
giustizia” come equità, quale caratteristica di cui la parti<br />
sarebbero provviste in quanto razionali ed ideali; 28 poiché<br />
altrimenti questi elettori avrebbero potuto seguire la<br />
razionalità puramente strategica dei lupi hobbesiani firmando<br />
il contratto iniziale con la riserva criminale di<br />
romperlo alla prima opportunità, allo scopo di godere dei<br />
vantaggi strategici criminali supplementari risultanti dall’osservanza<br />
del contratto da parte degli altri contraenti. 29<br />
Ora, rendendosi conto di queste ambiguità nella sua<br />
“teoria della giustizia”, Rawls in seguito fu costretto a<br />
fare una scelta chiara tra la concezione hobbesiana e<br />
quella kantiana della ragione pratica o della razionalità;<br />
ed egli scelse la concezione kantiana. 30 Ma nel fare ciò,<br />
egli non aveva ancora risolto il problema della giustificazione<br />
razionale della sua stessa scelta in favore della<br />
concezione non-strategica della ragione come senso di<br />
equità, che egli presupponeva già nelle parti della situazione<br />
originaria. Egli intese così la soluzione kantiana<br />
come una specie di costruttivismo morale sostenuto dalle<br />
intuizioni del senso comune (come, per esempio, nella<br />
sua teoria dell’ “equilibrio riflessivo” tra le costruzioni<br />
filosofiche e il senso comune della gente). 31<br />
Ora, a questo punto tutto dipende dalla nozione di senso<br />
comune che potrebbe essere presupposta da una riflessione<br />
filosofica su intuizioni morali. Se si intende lo sfondo<br />
contingente della competenza personale del singolo o,<br />
nel nostro caso, del filosofo, allora quasi inevitabilmente<br />
la pretesa di validità universale deve essere accantonata.<br />
In tal caso infatti, entra in gioco imponentemente il<br />
riconoscimento, impostosi nel nostro secolo, della contingenza<br />
relativa alla “prestruttura” o al “segno di sfondo”<br />
del “mondo della vita”: dalle intuizioni di Collingwood<br />
sulla struttura storica delle “presupposizioni metafisiche”<br />
e dall’analisi di Heidegger e Gadamer della “precomprensione”<br />
del mondo della vita fino alla concezione<br />
di Wittgenstein delle presupposizioni paradigmatiche<br />
dei giochi linguistici come parti di differenti forme di vita<br />
e all’analisi di J. Searle sul sapere di “sfondo” implicito
nelle nostre intenzioni di significato. 32 E tutte queste<br />
prospettive sembrano suggerire che - come Rorty ha<br />
mostrato - noi possiamo solo presupporre una “base<br />
contingente per un consenso possibile” come una base di<br />
senso comune anche per l’etica, 33 dal momento che una<br />
singola persona non può evitare di essere dipendente,<br />
nelle sue preconcezioni del bene, dallo sfondo storico<br />
della sua tradizione culturale.<br />
Ma perché è impossibile negare la presupposizione di<br />
norme valide universalmente - come quella della parità<br />
dei diritti - in una discussione su questi problemi, anche<br />
in un dibattito con rappresentanti di forme di vita socioculturali<br />
molto differenti? O più esattamente: perché i<br />
molti filosofi, che a livello dei loro enunciati negano la<br />
necessità di presupporre qualunque norma valida universalmente,<br />
in effetti contraddicono l’enunciazione (performance)<br />
delle loro asserzioni dal momento che riescono<br />
a portare avanti argomentazioni dotate di senso, cioè,<br />
intellegibili? (Non ho mai visto, per esempio, che R.<br />
Rorty in una delle sue lunghe argomentazioni contro la<br />
possibilità di presupporre forme universali si sia mai<br />
comportato come se egli non sapesse che tutti i partner<br />
delle discussioni devono certamente seguire norme di<br />
comunicazione universalmente valide.)<br />
Qualcuno potrebbe forse dire che le norme procedurali<br />
che devono essere seguite in un discorso argomentativo<br />
su un qualsiasi problema non hanno nulla a che vedere<br />
con la ricerca di norme morali valide per la vita quotidiana,<br />
dal momento che esse sono semplicemente strumenti<br />
in relazione al comune, ma nondimeno contingente scopo<br />
della discussione in atto?<br />
Prima di tutto risponderei a quest’ultima argomentazione<br />
nel modo seguente. Il fatto che noi dobbiamo discutere<br />
qualunque argomento controverso in un discorso argomentativo<br />
non è contingente o incidentale, dal momento<br />
che non c’è ragionevole alternativa a quel metodo se non<br />
desideriamo combattere o negoziare, ma vogliamo riuscire<br />
a capire tramite ragionamenti chi ha ragione sull’argomento<br />
in questione. Ma questo - che si desideri sapere<br />
chi ha ragione - è il presupposto di ogni discussione<br />
filosofica. Da ciò segue che il metodo del discorso<br />
argomentativo, comprese le sue presupposizioni normative<br />
moralmente rilevanti, non può essere evitato in<br />
filosofia. E’, vorrei affermare, l’a priori di ogni filosofia<br />
trascendetal-pragmatico, o in altre parole: appartiene al<br />
non-contingente “fatto della ragione” in senso kantiano.<br />
E, come ho già suggerito, questo fatto non-contingente<br />
della ragione non può essere esterno o incidentale rispetto<br />
alle reali controversie morali del mondo della vita,<br />
poiché è la sola istituzione umana che può fornire una<br />
possibile, ragionevole soluzione a queste controversie.<br />
Ciò è riconfermato dal fatto che in tutte le controversie<br />
umane, espresse a quel livello della comunicazione che<br />
pur non attinge ancora il piano del discorso argomentativo,<br />
le parti in conflitto avanzano spontaneamente pretese<br />
di validità universale finché non interrompono la comunicazione.<br />
34<br />
Come potrebbero allora questi fatti della comunicazione<br />
essere riconciliati con il riconoscimento del carattere<br />
contingente, proprio di ogni sapere di sfondo storicamente<br />
dato, di tutte le nostre nozioni circa il bene in differenti<br />
CONFERENZA<br />
22<br />
forme di vita socio-culturali?<br />
Ritengo che si faccia un errore, allorché, nel quadro della<br />
presente discussione, si contrapponga la contingenza<br />
storica alla universalità delle norme - un errore simile a<br />
quello fatto nell’opporre l’etica particolare della vita<br />
buona all’etica formale-deontologica della giustizia o del<br />
diritto. In entrambi i casi si trascura il fatto che coloro -<br />
cioè i filosofi - che discutono della contingenza storica<br />
delle condizioni di sfondo di tutte le forme di vita si sono<br />
già sempre, in modo riflessivo, portati al di là di queste<br />
condizioni contingenti. E lo hanno fatto, accettando la<br />
nuova istituzione post-illuminista del discorso argomentativo<br />
che, a partire dalle sue origini ad oggi, fornisce le<br />
condizioni procedurali per la possibilità della filosofia e<br />
di tutte le scienze. Ora, facendo assegnamento su queste<br />
precondizioni dell’argomentazione - che nessun filosofo<br />
può evitare 35 - essi hanno anche riconosciuto alcune<br />
precondizioni normative valide per ogni argomentazione<br />
comunicativa, le quali non possono venire annoverate tra<br />
le condizioni di sfondo, storicamente contingenti, delle<br />
diverse tradizioni culturali della morale.<br />
Ovviamente, le non-contingenti presupposizioni normative<br />
del discorso argomentativo devono essere formali e<br />
procedurali. Perciò non possono prescrivere norme materiali<br />
o i valori di una vita buona per culture specifiche,<br />
ma solo condizioni restrittive che rendano possibile alle<br />
diverse forme di vita la coesistenza e la cooperazione.<br />
Ora questa differenza e questa complementarità, di cui ho<br />
già parlato, possono, anche nel caso di Rawls, chiarire la<br />
relazione tra le norme universali della giustizia come<br />
equità e una particolare tradizione americana di moralità.<br />
Si potrebbe facilmente ammettere che Rawls avrebbe<br />
potuto sviluppare ed esplicitare dettagliatamente i suoi<br />
due principi di giustizia, se non affidandosi e ricollegandosi<br />
alla specifica tradizione morale e alla costituzione<br />
politica americana. In questo senso il suo libro fornisce<br />
semplicemente delle proposte da sottoporre ai discorsi<br />
pratici degli uomini, allo stesso modo dell’opera di ogni<br />
altro filosofo, il quale ovviamente deve lasciarsi ispirare<br />
dalla sua particolare tradizione culturale.<br />
Ma questa ammissione non implica una resa dell’universalismo<br />
etico al relativismo-storico. Poiché i principi<br />
della giustizia come equità devono essere anche basati su<br />
quelle intuizioni morali che ci sono fornite dalle presupposizioni<br />
non-contingenti dell’istituzione - o della filosofica<br />
meta-istituzione - del discorso argomentativo, cui<br />
ogni filosofo deve partecipare, allo scopo di argomentare.<br />
(Vorrei anche dire: allo scopo di pensare con una<br />
qualche pretesa di validità intersoggettiva per i suoi<br />
pensieri.) E qui abbiamo trovato il punto archimedico di<br />
una fondazione pragmatico-trascendentale dell’universalità<br />
della morale, senza la quale una macroetica planetaria<br />
umana sarebbe di fatto impossibile.<br />
Comunque, in conclusione del mio lavoro, voglio ancora<br />
mettere in evidenza che una morale del tipo “giustizia<br />
come equità “ non è sufficiente dal punto di vista delle<br />
esigenze poste dalla macroetica, sebbene molto sarebbe<br />
già stato ottenuto se realizzassimo qualcosa di simile al<br />
programma di Rawls, per esempio riguardo ai rapporti tra<br />
il Primo, il Secondo e il Terzo Mondo. Ma - come ho<br />
tentato di proporre in ciò che precede - è necessaria anche
un’etica della co-responsabilità per le conseguenze derivanti<br />
dalle nostre attività collettive specialmente in<br />
vista della crisi ecologica. Ritengo che anche da questo<br />
punto di vista sia possibile trovare il punto archimedeo di<br />
una giustificazione pragmatico-trascendentale, riflettendo<br />
fino in fondo su ciò che dobbiamo aver riconosciuto<br />
allorché partecipiamo ad un serio discorso argomentativo<br />
su questi problemi.<br />
Perciò, a mio avviso, ogni seria domanda posta in quel<br />
contesto mostra che, ponendo le domande, implicitamen-<br />
nicazione. Ma questo problema, ovviamente,<br />
va ben oltre la giustificazione<br />
pragmatico-trascendentale del<br />
principio universalmente valido della<br />
co-responsabilità. 36<br />
1 A. Gehlen, Der Mensch, Bonn, Frankfurt a/<br />
M. 1978.<br />
2 J. von Uexküll, Theoretische Biologie,<br />
Frankfurt a/M. 1973.<br />
3 K. Lorentz, Über tierische und menschliches,<br />
2 voll., München 1965.<br />
4 per esempio in A. Gehlen, Urmensch und<br />
Spätkultur, Wiesbaden 1977.<br />
5 N. Luhmann, Die Wirtschaft der Gesellschaft,<br />
Frankfurt a/M. 1988; e F. A. von Hayek,<br />
New <strong>Studi</strong>es in Philosophy, Politics and Economics,<br />
Londra 1978; e idem, “The Fatal Conceit,<br />
Part One: Ethics: The Taming of the Savage”,<br />
in Collected Works of F. A. von Hayek,<br />
Londra 1987.<br />
6 A. Gehlen (si veda nota 4).<br />
7 H. Jonas, Das Prinzip Verantwortung. Versuch<br />
einer Ethik für die technologische Zivilisation,<br />
Frankfurt a/M. 1979.<br />
8 G. Maschke, in Frankfurter Allgemeine Zeitung,<br />
7. 10. 1980<br />
9 K. Lorenz, Die acht Totsünden der zivilisierten<br />
Menschheit, Monaco 1973 e idem, Das<br />
sogenannte Böse. Zur Naturgeschichte der Aggression,<br />
Vienna 1963, p. 413.<br />
10 (Si veda nota 5); anche G. Radnitzky, “An<br />
Economic Theory of the Rise of Civilazation<br />
and its Policy Implications: Hayek’s Account<br />
Generalized”, in Jahrbuch für die Ordnung von<br />
Wirtschaft und Gesellschaft, n. 38 (1987), pp.<br />
47-85.<br />
<strong>11</strong> M. Weber, Politik als Beruf, in Gesammelte<br />
politische Schriften, Tübingen 1958, pp. 493-<br />
548; e idem, Der Sinn der Wertfreiheit e Wissenschaft<br />
als Beruf.<br />
12 Riguardo al “sistema di complementarità”<br />
dell’ideologia liberale occidentale: K.-O. Apel,<br />
Das Apriori der Kommunikationsgemeinschaft<br />
und die Grundlagen der Ethik, in idem, Transformation<br />
der Philosophie, ,,vol. II, Frankfurt<br />
a/M. 1973.<br />
13 K.-O. Apel, The Common Presupposition of<br />
Hermeneutics and Ethics: Types of Rationality<br />
beyond Science e Technology, in J. Sallis (a<br />
cura di), Phenomenology and the Human Sciences,<br />
1979, pp. 35-53; e idem, Types of Rationality<br />
Today: The Continuum of Reason between<br />
Science and Ethics, in Th. Geraets (a cura di),<br />
CONFERENZA<br />
Note<br />
Rationality Today, Ottawa 1979, pp. 307-40.<br />
14 (si veda le mie opere citate alle note 12 e 13).<br />
15 C. Peirce, Collected Papers, a cura di Ch.<br />
Hartshorne e P. Weiss, Cambridge, Mass. 1931-<br />
35, vol. V, 354 ff. Anche K.-O. Apel, Charles<br />
S. Peirce, From Pragmatism to Pragmaticism,<br />
Amherst 1981, pp. 52 ff.<br />
16 H. Schnädelbach, Was ist Neoaristotelismus?,<br />
in W. Kuhlmann (a cura di), Moralität<br />
und Sittlichkeit, Frankfurt a/M. 1986, pp. 38-63;<br />
e K.-O. Apel, Diskurs und Verantwortung,<br />
Frankfurt a/M. 1988, indice analitico.<br />
17 K.-O. Apel, Wittgenstein und Heidegger:<br />
kritische Wiederholung und Ergänzung eines<br />
Vergleichs, di imminente pubblicazione in Der<br />
Löwe spricht und wir verstehen ihn nicht (raccolta<br />
di interventi al Simposio “Wittgenstein”<br />
di Francoforte del 1989); e idem, Sinnkonstitution<br />
und Geltungsrechtfertigung, Heidegger<br />
und das Problem der Transzendentalphilosophie,<br />
in Forum für Philosophie Bad Homburg<br />
(a cura di), Martin Heidegger: Inner- und<br />
Außenansichten, Frankfurt a/M. 1989, pp. 131-<br />
175.<br />
18 B. Williams, Ethics and Limits of Philosophy,<br />
Cambridge, Mass. 1985; e A. MacIntyre,<br />
After Virtue, a Study in Moral Theory,<br />
Londra 1981; e idem, Whose Justice? Which<br />
Rationality?, Londra 1988.<br />
19 p.e. O. Marquad, Das Über-Wir. Bemerkungen<br />
zur Diskursethik, in K. Stierle & R. Warning<br />
(a cura di), Das Gespräch (Poetik und<br />
Hermeneutik, XI) München 1984.<br />
20 H.-G. Gadamer, Über die Möglichkeit einer<br />
philosophischen Ethik, in idem, Kleine Schriften,<br />
I, Tübingen 1967, pp. 179 ff.<br />
21 K.-O. Apel, G. Bien & R. Bubner, “Podiumsdiskussion<br />
unter Leitung von W. Ch. Zimmerli”,<br />
in Hegel-Jahrbuch 1987, pp. 13-48.<br />
22 K.-O. Apel, “The problem of a Macroethics<br />
of Responsability to the Future in the Crisis of<br />
Technological Civilazation: An Attempt to<br />
come to terms with Hans Jonas’ Principle of<br />
Responsability, in Man and World, n. 20 (1987),<br />
pp. 3-40. (Versione tedesca in K.-O. Apel,<br />
Diskurs und Veratwortung, cit.).<br />
23 J.-F. Lyotard, “Histoire universelle et différences<br />
culturelles”, in Critiques, n. 456<br />
(1985), pp. 559-568.<br />
24 L. Ferry & A. Renaut, La Pensée 68, Parigi<br />
1985, p. 45.<br />
25 J.Rawls, A Theory of Justice, Cambridge,<br />
Mass. 1971, <strong>11</strong>.<br />
23<br />
te e in linea di principio noi assumiamo una co-responsabilità<br />
per la soluzione progressiva di tutti i problemi del<br />
mondo-della-vita che possono essere posti e possibilmente<br />
risolti tramite quella cooperazione che ha luogo al<br />
livello del discorso pratico.<br />
Devo concludere con la seguente osservazione sintetica<br />
ed insufficiente su ciò che penso sia il più grosso problema<br />
per un’etica del discorso oggigiorno: il problema di<br />
organizzare in qualche modo la co-responsabilità collettiva<br />
di tutti i membri della comunità umana della comu-<br />
26 J. Rawls, “Justice as Fairness: Political not<br />
Metaphysical”, in Philosophy and Public Affairs,<br />
vol. 14, n. 3 (1985), pp. 223-251.<br />
27 R. Rorty, The Priority of Democracy to<br />
Philosophy, in M. Peterson & R.Vaughan (a<br />
cura di), The virginia Statute of Religious Freedom,<br />
Cambridge, Mass. 1988; si veda anche la<br />
mia analisi critica di questo lavoro in Diskurs<br />
und Verantwortung, pp. 397 ff.<br />
28 J. Rawls, A Theory of Justice, 25.<br />
29 K.-O. Apel, “Normative Ethics and Strategical<br />
Rationality: the Philosophical Problem of a<br />
Political Ethics”, in Graduate Faculty Philosophy<br />
Journal, 9/1 (1982), pp. 81-108; ripubblicato<br />
in R. Schumann (a cura di), The Public<br />
Realm. Essays on Discursive Types in Political<br />
Philosophy, New York 1989, pp. 107-131.<br />
30 in J. Rawls, “Justice as Fairness...”, cit.,<br />
specialmente p. 237, n. 20.<br />
31 J. Rawls, “Kantian Constructivism in Moral<br />
Theory”, in Journal of Philosophy, 1980, p.<br />
519.<br />
32 la mia opera citata alla nota 17.<br />
33 R. Rorty, op. cit. (si veda nota 27).<br />
34 In questo senso le negoziazioni (cioè le contrattazioni)<br />
potrebbero equivalere a una restrizione<br />
della comunicazione, poiché esse sostituiscono<br />
le pretese di validità moralmente rilevanti<br />
e la loro discussione con proposte di<br />
vantaggi e minacce (cioé: la razionalità discorsiva<br />
con la razionalità strategica); un altro tipo<br />
di comunicazione ridotta è la persuasione retorica<br />
nel senso della Überredung (cioé: della<br />
razionalità segretamente strategica). Un nuovo<br />
inizio - ma, penso, solo un inizio - nell’analisi<br />
di questi intricati problemi è stato attuato da J.<br />
Habermas in Theorie des Kommunikativen<br />
Handelns, Frankfurt a/M. 1981. Si veda anche<br />
A. Honneth & J. Joas (a cura di), Kommunikatives<br />
Handeln, Frankfurt a/M. 1986; K.-O. Apel,<br />
“Läßt sich ethische Vernunft von strategischer<br />
Rationalität unterscheiden?”, in Archivio di<br />
Filosofia, n. 51 (1983), pp. 373-434; e idem,<br />
“Sprachliche Bedeutung, Wahrheit und normative<br />
Gültigkeit. Die soziale Bindekraft der<br />
Rede in Lichte einer transzendentalen Sprachpragmatik”,<br />
in Archivio di Filosofia, n. 55<br />
(1987), pp. 51-88.5.<br />
35 K.-O. Apel, The Problem of Philosophical<br />
Foundation in Light of a Transcendental Pragmatics<br />
of Language, in K. Barnes, J. Bohman &<br />
Th. McCarthy (a cura di), Philosophy: End or<br />
Transformation?, Cambridge, Mass. 1987, pp.<br />
250-290; e idem, Fallibilismus, Konsenstheorie<br />
der Wahrheit und Letztbegründung, in Forum für<br />
Philosophie Bad Homburg (a cura di), Philosophie<br />
und Begründung, Frankfurt a/M. 1987,<br />
pp. <strong>11</strong>6-2<strong>11</strong>.<br />
36 in particolare, c’è il problema morale di come
AUTORI E IDEE<br />
Hans Jonas e Jürgen Habermas<br />
24
Habermas:<br />
fatticità e validità del diritto<br />
In FAKTIZITÄT UND GELTUNG. BEITRÄGE ZUR<br />
DISKURSTHEORIE DES RECHTS UND DES DE-<br />
MOKRATISCHEN RECHTSSTAATS (Fatticità e<br />
validità. Contributi alla teoria del discorso<br />
del diritto e dello stato democratico<br />
di diritto, Suhrkamp, Frankfurt<br />
a. M. 1992) Jürgen Habermas intende<br />
sviluppare un nuovo programma di<br />
ricerca, in cui temi della tradizionale<br />
“filosofia del diritto” vengono collegati<br />
da una parte a una teoria dello<br />
stato, del diritto e della costituzione,<br />
dall’altra a una filosofia della società.<br />
Con questa nuova, imponente opera, che in<br />
Italia ha fatto parlare frettolosi commentatori<br />
di una sua svolta “a destra”, Jürgen<br />
Habermas sembra voler sottoporre alla<br />
prova della teoria e della prassi politica e<br />
giuridica i principi generali da lui sviluppati<br />
nella precedente summa del suo pensiero,<br />
la Teoria dell’agire comunicativo, e nei<br />
successivi contributi per un’ “etica del discorso”<br />
fondata razionalmente (cioè attraverso<br />
procedure della discussione intersoggettiva).<br />
Il programma di ricerca presentato<br />
da Habermas in quest’opera sembra<br />
avere infatti come suoi principali interlocutori<br />
coloro che sono attivi nel sistema<br />
giuridico e politico. Per quanto riguarda i<br />
primi, Habermas mette in guardia dal pericolo<br />
di una “crescente scepsi giuridica”. Il<br />
mondo della politica dovrebbe invece riconoscere<br />
che lo stato di diritto non può<br />
esistere e non può conservarsi senza una<br />
“democrazia radicale”.<br />
Tutta l’opera è attraversata da un confronto,<br />
ora esplicito, ora implicito, con le tesi di<br />
Niklas Luhmann che nega ed esclude in<br />
linea di principio ciò che più importa ad<br />
Habermas: lo sviluppo di una fondazione<br />
razionale in vista della costruzione di una<br />
teoria normativa. E Habermas, che considera<br />
stato di diritto e morale universalistica<br />
come componenti imprescindibili della coscienza<br />
moderna e del progetto (da compiersi)<br />
della modernità e dell’Aufklärung,<br />
ricambia vedendo nella teoria dei sistemi<br />
luhmanniana una forma di scientismo obiettivistico.<br />
Per quanto riguarda l’ambito del diritto,<br />
AUTORI E IDEE<br />
AUTORI E IDEE<br />
Luhmann e Habermas si trovano d’accordo<br />
circa il fatto che nelle proposizioni giuridiche<br />
si esprima l’aspettativa che i destinatari<br />
di tali proposizioni si comportino in un<br />
determinato modo. Ma l’accordo finisce<br />
qui. Habermas fonda infatti il carattere<br />
obbligante delle proposizioni giuridiche<br />
attraverso la sua teoria degli atti linguistici,<br />
e mette così l’accento sul momento del<br />
riconoscimento delle norme attraverso<br />
un’intesa razionale. Per la comprensione<br />
dell’attesa di un comportamento implicita<br />
nella proposizione giuridica, Luhmann utilizza<br />
invece gli strumenti di una teoria<br />
psicologica dell’apprendimento da lui sviluppata<br />
in senso sociologico. Diversa, nei<br />
due pensatori, è anche la concezione del<br />
sistema giuridico e della sua legittimità. I<br />
sistemi giuridici sono per entrambi un sistema<br />
funzionale specializzato, sviluppatosi<br />
in seguito ad un processo di differenziazione.<br />
Ma, mentre per Luhmann il sistema giuridico<br />
si riproduce autonomamente, collocandosi<br />
accanto ad altri sistemi, tra cui<br />
quello politico, per Habermas il diritto positivo<br />
è un sistema conoscitivo e pratico<br />
legato al “mondo della vita”, in cui cultura,<br />
individui e società si presuppongono reciprocamente.<br />
In quanto sistema di conoscenze<br />
il diritto è legato alla morale in un<br />
“rapporto di integrazione”. In quanto sistema<br />
pratico ha un carattere di obbligazione<br />
istituzionale ed è legato alla politica. Così,<br />
mentre per Luhmann la questione della<br />
legittimazione è risolta in partenza (in quanto<br />
ogni sistema legittima se stesso), per<br />
Habermas, come risulta dal titolo stesso<br />
della sua recente opera, la validità del diritto<br />
positivo, la legittimità del sistema giuridico,<br />
il rapporto tra idea e realtà dello stato<br />
di diritto diventano un problema centrale.<br />
Nonostante questa contrapposizione, che<br />
potrebbe essere sintetizzata come contrapposizione<br />
tra “teoria della società” e “tecnologia<br />
sociale”, Habermas sembra fare<br />
propri alcuni risultati dell’analisi luhmanniana<br />
e parla di una “doppia prospettiva”,<br />
secondo la quale l’approccio sociologico,<br />
utile ai fini della comprensione del fenomeno<br />
del diritto (contro sue troppo frettolose<br />
riduzioni a “epifenomeno”), andrebbe<br />
integrato attraverso una ricostruzione del<br />
contenuto morale degli ordinamenti giuri-<br />
25<br />
dici moderni. Questa prospettiva di indagine<br />
viene messa alla prova ed esemplificata<br />
soprattutto nell’analisi della cittadinanza,<br />
un problema rispetto al quale Habermas<br />
avanza l’esigenza di un’accentuazione dell’autonomia<br />
del cittadino. Il carattere politico<br />
della concezione habermasiana del diritto<br />
emerge però soprattutto laddove egli<br />
pone il problema di “come può essere sviluppato<br />
lo stato democratico di diritto nelle<br />
società complesse”, confrontandosi con le<br />
discussioni svoltesi su questo tema tra i<br />
filosofi della politica e i teorici della società<br />
negli Stati Uniti (Walzer, Rawls). Le difficoltà<br />
nella realizzazione dei principi dello<br />
stato di diritto sono per Habermas da attribuirsi<br />
a un’ “insufficiente istituzionalizzazione”<br />
di tali principi.<br />
Habermas ammette di non avere a disposizione<br />
ricette per un rafforzamento dello<br />
stato democratico, anche se suggerisce una<br />
“democratizzazione dell’amministrazione”,<br />
vedendo in ciò un problema di «cooperazione<br />
tra fantasia istituzionale e cauta<br />
messa alla prova». «La custodia di una<br />
sfera pubblica autonoma, una partecipazione<br />
più ampia dei cittadini, l’addomesticamento<br />
del potere dei media e la funzione<br />
di mediazione di partiti politici non statalizzati”:<br />
questi alcuni degli obiettivi pratico-politici<br />
indicati da Habermas in vista di<br />
un rafforzamento dello stato di diritto inteso<br />
come espressione di una “democrazia<br />
radicale”. M.M.<br />
Hans Jonas:<br />
gnosi, nichilismo e libertà<br />
Il 5 febbraio è scomparso a New<br />
York, all’età di novant’anni, Hans<br />
Jonas. La sua fama in Italia è piuttosto<br />
recente e risale alla traduzione<br />
de IL PRINCIPIO RESPONSABILITÀ. UN’ETI-<br />
CA PER LA CIVILTÀ TECNOLOGICA (Einaudi,<br />
Torino 1990). Lo ricordiamo anche<br />
in occasione della recente pubblicazione<br />
di una raccolta di saggi,<br />
TRA IL NULLA E L’ETERNITÀ (a cura di<br />
Giancarlo R. Rilke, Gallio, Ferrara<br />
1992), che offre uno sguardo d’insieme<br />
su aspetti diversi della riflessio-
ne jonasiana. Di Hans Jonas è stato<br />
spesso sottolineato l’interesse per<br />
gli aspetti più concreti del dibattito<br />
etico. Anche questa raccolta di saggi<br />
non smentisce il rilievo.<br />
Stando a quanto egli stesso ha affermato,<br />
la vita intellettuale di Hans Jonas può<br />
essere divisa in due parti, quella relativa<br />
alla sua interpretazione della gnosi e quella<br />
che lo vede voce autorevole nel dibattito<br />
etico contemporaneo. La svolta intellettuale<br />
di Jonas, da studioso di un lontano<br />
fenomeno culturale a interlocutore importante<br />
nella discussione di specifici problemi<br />
etici, sullo sfondo di argomentazioni<br />
provenienti dalla biologia, se da un lato è<br />
certo riconducibile a motivazioni di carattere<br />
biografico - l’emigrazione dalla Germania<br />
dopo il 1933, l’esperienza familiare<br />
dell’olocausto, l’impegno nel movimento<br />
sionista - dal punto di vista teoretico è<br />
meno profonda e inaspettata di quanto<br />
possa a prima vista apparire, qualora si<br />
considerino i presupposti e le ripercussioni<br />
della sua indagine sullo gnosticismo.<br />
Essa trova riscontro nella formazione di<br />
Jonas, dove confluiscono l’impostazione<br />
teologica di Rudolf Bultmann e un’idea<br />
dell’esistenzialismo riconducibile alla prima<br />
fase della riflessione di Martin<br />
Heidegger. Respingendo la tradizionale<br />
riconduzione del fenomeno gnostico a una<br />
sorta di contaminazione ellenizzante dei<br />
dogmi del Cristianesimo, che tende a riconoscerne<br />
il fondamento nell’aspetto conoscitivo,<br />
piuttosto che in quello morale o in<br />
quello religioso, Jonas legge nello gnosticismo<br />
una reazione all’armonicismo implicito<br />
nelle ontologie, cosmologie ed etiche<br />
di origine greca. Attraverso la lente<br />
“esistenzialista” di Jonas, lo gnosticismo,<br />
le cui ascendenze vanno cercate nel mondo<br />
orientale, appare come un fenomeno<br />
originale rispetto alla cultura ellenica.<br />
Come ricorda Giancarlo R. Rilke nella<br />
nota introduttiva alla recente edizione italiana<br />
di Tra il nulla e l’eternità, in quest’opera<br />
l’orizzonte ermeneutico si fonda<br />
sull’ipotesi che lo gnosticismo rappresenti<br />
la risposta a una determinata disposizione<br />
esistenziale dell’uomo occidentale nel periodo<br />
tardo-antico. Tale ipotesi aveva però<br />
il carattere della precomprensione, perché<br />
la scelta del materiale che doveva costituire<br />
il fenomeno gnostico era guidata da questa<br />
stessa ipotesi, e non poteva che verificarla.<br />
Con questo Jonas contraeva un debito nei<br />
confronti della riflessione di Heidegger da<br />
un duplice punto di vista, metodologico (il<br />
procedimento definitorio dell’oggetto dell’indagine<br />
ripercorre, con evidenza, la strada<br />
indicata dalla nozione di “circolo ermeneutico”)<br />
e contenutistico (determinante<br />
per la comprensione di un fenomeno culturale<br />
è la “tonalità emotiva” in cui esso<br />
accade). E’ su questo secondo versante che<br />
può essere rintracciato un elemento di continuità<br />
nella parabola intellettuale di Jonas,<br />
rispetto alla quale la ricerca sullo gnostici-<br />
AUTORI E IDEE<br />
smo, che ne costituisce la prima parte, offre<br />
un significativo riscontro, dal punto di vista<br />
teoretico, degli effetti di un tale atteggiamento<br />
interpretativo. Il nichilismo, di<br />
cui lo gnosticismo tardo-antico rappresenterebbe,<br />
a parere di Jonas, un epifenomeno,<br />
mutua, infatti, le proprie caratteristiche dal<br />
nichilismo contemporaneo post-nietzscheano,<br />
e le soluzioni che quella lontana esperienza<br />
storica ha prodotto possono valere<br />
per illuminare la situazione presente.<br />
Su questi argomenti, il primo dei saggi<br />
raccolti in Tra il nulla e l’eternità, che porta<br />
il titolo: “Gnosi, esistenzialismo e nichilismo”,<br />
la cui prima redazione risale al 1952,<br />
fornisce indicazioni esplicite, nonché una<br />
radicalizzazione delle posizioni, rispetto<br />
alla precedente e maggiore opera sullo gnosticismo.<br />
La stessa posizione heideggeriana<br />
rientra infatti qui, a pieno titolo, nel<br />
nichilismo contemporaneo, la cui connessione<br />
con lo gnosticismo viene da Jonas<br />
stabilita sulla base del soggettivismo soggiacente<br />
a quest’ultimo, per il quale «era in<br />
gioco un interesse metafisico positivo: l’affermazione<br />
dell’autentica libertà del sé».<br />
Poiché tale libertà viene attribuita non alla<br />
psiche umana, ma solo al suo spirito, sul<br />
dualismo che così viene a crearsi fra uomo<br />
e natura, fra l’uomo da una parte e l’essere<br />
nella sua totalità dall’altra, sorge l’edificio<br />
del nichilismo. Il compito della filosofia,<br />
secondo Jonas, consiste allora nel porre<br />
rimedio agli effetti di tale frattura - l’estraniamento<br />
dell’uomo - senza rinunciare a<br />
essa; senza rinunciare, cioè, a ciò che rappresenta<br />
la differenza costitutiva dell’uomo.<br />
La nozione di “organismo” è la via che,<br />
sulla strada della costruzione di una “filosofia<br />
della vita”, porta Jonas a elaborare<br />
una nozione di libertà connessa a quello<br />
che egli definisce “principio responsabilità”.<br />
La libertà è, biologicamente e storicamente,<br />
situazionata, essendo radicata nella<br />
responsabilità che la lega a ciò nei cui<br />
confronti essa viene esercita. In questo<br />
senso, nel terzo dei saggi contenuti nel<br />
volume Tra il nulla e l’eternità, intitolato<br />
“Immortalità ed esistenza odierna”, Jonas<br />
recupera il concetto di immortalità, inteso<br />
come “immortalità delle azioni”. Scartata<br />
come problematica l’idea dell’immortalità<br />
della persona, una volta che si assume il<br />
carattere finito dell’esistenza umana, il legame<br />
dell’uomo con l’eternità può costituirsi<br />
solo sulla base dell’iscrizione in essa<br />
delle sue azioni; fatto, questo, che non<br />
comporta per l’individuo alcun motivo di<br />
vanitoso orgoglio, osserva Jonas, bensì il<br />
definirsi della sua libertà a partire dalla sua<br />
responsabilità.<br />
La traduzione, risalente al 1990, de Il principio<br />
responsabilità ha segnato la notorietà<br />
del filosofo tedesco in Italia, nonché l’inizio<br />
della traduzione di altre sue opere: Lo<br />
gnosticismo (SEI, Torino 1991), Dalla<br />
fede antica all’uomo tecnologico (Il Mulino,<br />
Bologna 1991), Il diritto di morire (Il<br />
Melangolo, Genova 1991), Il concetto di<br />
26<br />
Dio dopo Auschwitz (Il Melangolo, Genova<br />
1991). Il “principio responsabilità”, propugnato<br />
da Jonas, comporta un evidente<br />
riferimento polemico al “principio speranza”<br />
di Ernst Bloch, nel cui ottimismo Jonas<br />
legge una sottovalutazione delle potenzialità<br />
distruttive delle tecnica. Oltre a ciò,<br />
Jonas rimprovera all’impostazione blochiana<br />
di prescindere dalle condizioni reali in<br />
cui è collocato l’agire umano, e di dar luogo<br />
in tal modo a un prometeismo che, proprio<br />
sulla base della scienza e della tecnica,<br />
dovrebbe aprire alla speranza di riappropriazione,<br />
da parte dell’uomo, della propria<br />
essenza, alienata nella società capitalista.<br />
Il “principio responsabilità” jonasiano<br />
costituisce, d’altra parte, anche una<br />
presa di distanza dal catastrofismo, nella<br />
convinzione (di matrice heideggeriana) che<br />
la tecnica costituisca il destino dell’uomo,<br />
e nell’accettazione, in questa prospettiva,<br />
di un’etica della responsabilità, concepita<br />
come valutazione del legame tra azione e<br />
sue conseguenze concretamente prevedibili.<br />
F.C.<br />
Etica integrativa<br />
tra arte del vivere e filosofia<br />
Con il volume INTEGRATIVE ETHIK (Etica<br />
integrativa, Suhrkamp, Frankfurt a. M.<br />
1992) Hans Krämer, docente all’Università<br />
di Tubinga e già autore di uno<br />
studio sul concetto di virtù in Platone<br />
e Aristotele, presenta un denso bilancio<br />
di una riflessione trentennale sui<br />
problemi dell’etica e della filosofia<br />
pratica.<br />
L’idea di un’etica “integrativa”, come viene<br />
sviluppata da Hans Krämer, si presenta<br />
come una teoria del retto vivere e al tempo<br />
stesso come una forma della “filosofia pratica”,<br />
intendendo con questo conciliare una<br />
descrizione asistematica dell’esistenza<br />
umana, e delle modalità attraverso cui essa<br />
cerca di realizzare la felicità, con il rigore e<br />
la “scientificità” della dimensione concettuale<br />
e filosofica. Krämer si trova così<br />
immediatamente di fronte a una domanda<br />
di fondo: qual è il rapporto tra le obbligazioni<br />
morali di un individuo e la sua tendenza<br />
alla realizzazione di se stesso? A<br />
questa domanda egli intende rispondere<br />
superando il contrasto, tipico di diverse<br />
forme di filosofia pratica, secondo cui tutto<br />
ciò che non è suscettibile di una trattazione<br />
nell’ambito di questioni di carattere fondativo<br />
e di principio deve cadere nel contenitore<br />
ampio e privo di differenziazioni dell’<br />
“arte del vivere”.<br />
Krämer esprime il contrasto tra obbligazione<br />
morale e realizzazione individuale anche<br />
attraverso i concetti di “dovere” (Sollen)<br />
e di “volere” (Wollen). «Il dovere<br />
dotato di validità è un volere qualificato»,<br />
suona la tesi fondamentale dell’opera. Per
definire cosa sia un volere qualificato, Krämer<br />
utilizza il concetto di orizzonte d’attesa<br />
che fonda una norma (dalla morale particolare<br />
di una coppia fino all’etica di una<br />
cultura o di un’epoca). Un volere “qualificato”<br />
è per Krämer un volere che, in un<br />
ordinamento di valori di tipo gerarchico,<br />
può riferirsi ad esigenze relative all’orizzonte<br />
di attesa più elevato. Il consenso<br />
svolge in questo contesto il ruolo di istanza<br />
di controllo e di rettifica.<br />
Nella storia della filosofia si potrebbero<br />
trovare numerosi esempi del tentativo di<br />
stabilire criteri comunicativi e razionali<br />
della validità delle norme morali, dall’imperativo<br />
categorico kantiano fino alla fondazione<br />
ultima di Apel. Krämer sposta la<br />
ricerca di un principio fondativo sul terreno<br />
della molteplicità dei mondi della vita: «Si<br />
danno nella costituzione morale solo opzioni<br />
estensive, che si sono affermate nella<br />
competizione con altre, ma non si dà nessuna<br />
forma aprioristica di ragione». Al volere<br />
e alle emozioni spetta così, nella costituzione<br />
delle norme e dei rispettivi rapporti<br />
gerarchici, altrettanta importanza che alle<br />
motivazioni razionali. Ma per rendere efficaci<br />
e concrete queste due istanze, Krämer<br />
introduce un terzo concetto fondamentale,<br />
una vecchia conoscenza della riflessione<br />
sull’etica: il “potere” (Können), cioè la<br />
“capacità” umana di realizzare o di fare<br />
qualche cosa.<br />
L’etica integrativa krämeriana ruota così<br />
attorno ai tre perni del volere, potere e<br />
dovere. Nonostante l’affermazione dell’esigenza<br />
di un’etica pluridimensionale, che<br />
corrisponda alla molteplicità dell’esperienza<br />
umana, Krämer sembra però conferire<br />
maggior peso al potere e al volere, affermando<br />
con ciò un relativo primato di quella<br />
che egli chiama Strebensethik (“etica dell’aspirazione”<br />
o della “tensione” dell’individuo<br />
alla propria realizzazione nel mondo)<br />
rispetto all’etica del dovere. Per questo<br />
aspetto l’autore parla del dovere e dello<br />
Streben come di due diversi “rami” dell’etica,<br />
che si situano in un rapporto di<br />
complementarità. Entrambi dovrebbero<br />
conferire all’individuo quel bisogno di<br />
orientamento che secondo Krämer rappresenta<br />
un fattore decisivo della coscienza<br />
nel momento attuale. M.M.<br />
Realtà e democrazia del sapere<br />
La recente uscita di due nuovi libri di<br />
Hans Jörg Sandkühler, DIE WIRKLICHKEIT<br />
DES WISSENS (Suhrkamp, Frankfurt a.M.<br />
1991) e DEMOKRATIE DES WISSENS (VSA,<br />
Hamburg 1991) offre l’occasione per<br />
occuparci dell’intensa attività di una<br />
delle più significative personalità del<br />
panorama filosofico odierno in Germania.<br />
Ha anche diretto la EUROPÄISCHE<br />
ENZYKLOPÄDIE ZU PHILOSOPHIE UND WIS-<br />
SENSCHAFTEN (4 voll., Meiner, Hamburg<br />
AUTORI E IDEE<br />
1990), cui hanno partecipato oltre 380<br />
studiosi di ogni parte del mondo, e va<br />
pubblicando dal 1991 la rivista “Dialektik”:<br />
due imprese in collaborazione<br />
con l’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong><br />
di Napoli.<br />
Hans Jörg Sandkühler è autore estremamente<br />
attento al problema del quadro del<br />
sapere (e quindi dell’ “enciclopedia”) in<br />
un’epoca in cui esso cresce ad un ritmo<br />
vertiginoso, soprattutto in campo scientifico,<br />
ma rischia anche di alimentare un senso<br />
di dispersione, frammentazione, smarrimento<br />
e di perdere ogni concreta fruibilità<br />
culturale e sociale. Questa preoccupazione<br />
è sullo sfondo anche del suo recente lavoro,<br />
Demokratie des Wissens. E’ chiaro che un<br />
nuovo quadro d’insieme, una nuova immagine<br />
del mondo e dell’uomo, avrà senso se<br />
cercheremo anzitutto di adeguare le nostre<br />
concezioni, in tutti i campi, ai livelli più<br />
avanzati del sapere. Ed è indiscutibile che<br />
nel sapere contemporaneo la maggior rivoluzione<br />
si è avuta in campo scientifico.<br />
Nelle scienze della natura, attraverso teorie<br />
come la meccanica quantistica, si è prodotta<br />
un’immagine del mondo non più caratterizzata<br />
dal rigido determinismo di un tempo.<br />
Non si può pensare che il mondo abbia<br />
un ordine assoluto precostituito. Non esiste<br />
un punto di vista divino da cui cogliere la<br />
connessione necessaria del Tutto.<br />
La presunzione di un ordine unico della<br />
realtà va ormai definitivamente rimossa<br />
anche dalle teorie sull’uomo e sulla società.<br />
In questo quadro dev’essere rettificata<br />
anche la visione marxista, afferma ancora<br />
Sandkühler, che del marxismo è uno dei<br />
maggiori studiosi attuali. Tale visione è<br />
andata soggetta in passato ad un notevole<br />
irrigidimento, per uscire dal quale il marxismo<br />
stesso deve tra l’altro superare l’ostilità<br />
che ha spesso dimostrata verso l’empirismo,<br />
da molti considerato erroneamente<br />
sinonimo di riferimento immediato all’esperienza.<br />
In realtà, sostiene Sandkühler in<br />
Die Wirklichkeit des Wissens, si possono<br />
rilevare in Marx effettivi elementi empiristici:<br />
«Se l’empirismo, correttamente inteso,<br />
nella tradizione che parte da Bacone e<br />
da Locke significa quella filosofia dell’esperienza<br />
che non si esaurisce in una<br />
pura duplicazione delle percezioni sensibili,<br />
ma implica una costruzione razionale di<br />
dati empirici in modo da pervenire a leggi<br />
e regolarità, allora il tipo di teoria “Marx”<br />
era concepito empiristicamente. Così non<br />
può meravigliare che Marx, pur trasferendo<br />
di rado per analogiam nozioni delle<br />
scienze naturali nella teoria della società,<br />
abbia trovato il paradigma di quest’empiria<br />
nel procedimento conoscitivo delle<br />
scienze naturali».<br />
Sintomatico dell’irrigidimento della visione<br />
marxista, secondo Sandkühler, è proprio<br />
anche il fatto che solo di recente si sia<br />
rilevato il significato e la portata dell’attenzione<br />
dimostrata da Marx verso molteplici<br />
tematiche scientifico-naturali, e proprio nel<br />
senso di sottolineare il carattere costruttivo<br />
27<br />
e non puramente descrittivo o induttivistico<br />
dei loro procedimenti, che in certa misura<br />
diventano un modello anche per la scienza<br />
dell’uomo. Può apparire sorprendente<br />
che, sulla scorta di un certo storicismo, si<br />
consideri riduttivo e reificante ogni accostamento<br />
delle scienze dell’uomo a quelle<br />
della natura; qui però non si tratta di un<br />
appiattimento, di prospettive e metodi, bensì<br />
di un utile confronto con atteggiamenti<br />
epistemologici emersi in modelli di sapere<br />
elaborati nelle scienze esatte e naturali,<br />
ormai lontane da un totalizzante programma<br />
meccanicistico.<br />
L’empirismo genuino - continua Sandkühler<br />
- va dissociato da un “positivismo”<br />
inteso come ideale di una conoscenza basata<br />
su una riproduzione di “fatti” già in sé<br />
compiuti. La nuova immagine del mondo è<br />
legata alla capacità costruttiva della nostra<br />
conoscenza. La nostra realtà è quindi la<br />
realtà del nostro sapere. Di qui la proposta<br />
di un “realismo epistemologico” contrapposto<br />
a quello metafisico o del cosiddetto<br />
senso comune, mirante ad una riproduzione<br />
della realtà, ad una “ontologia della<br />
rappresentazione”. Il realismo epistemologico<br />
- leggiamo in Demokratie des Wissens<br />
- «può rapportarsi alla rivoluzione copernicana<br />
di Kant; ciò naturalmente solo se Kant<br />
viene inteso non come fondatore dell’idealismo,<br />
ma come complemento critico dell’empirismo<br />
razionale, avviato con Galilei<br />
e Bacone e portato avanti da Locke e<br />
Hume». Questo realismo, che vuole poggiare<br />
equilibratamente sui “due pilastri”<br />
della conoscenza, sfocia infine nella concezione<br />
dell’esperienza come “carica di<br />
teoria” (ma anche della teoria come carica<br />
di fattualità, come ha precisato Goodman).<br />
Un ruolo rilevante, nella nuova prospettiva,<br />
va assegnato al “materialismo razionale”<br />
di Bachelard, che accentua la discontinuità<br />
tra la conoscenza comune e quella<br />
scientifica, che in certo qual modo si crea<br />
nuovi oggetti. Nella discussione poi degli<br />
autori più recenti Sandkühler si avvicina<br />
alquanto al realismo interno di Hilary Putnam,<br />
il quale contesta da una parte la concezione<br />
“positivistica” e non storicizzata<br />
del mondo della scienza come insieme di<br />
“dati sensoriali”, ma dall’altra critica anche<br />
il costruttivismo estremo (per cui sembra<br />
che lo spirito crei il mondo) o il “piatto<br />
relativismo” di Feyerabend. Rifiutato<br />
l’esternalismo del “realismo metafisico”,<br />
Putnam sostiene che i nostri oggetti di<br />
conoscenza sono individuati, definiti e accettati<br />
in base ai nostri concetti: abbiamo<br />
un’ “obiettività per noi” al posto di quella<br />
dell’ “occhio divino”.<br />
In Die Wirklichkeit des Wissens - ricca<br />
introduzione storica alla teoria della conoscenza<br />
e all’epistemologia - la discussione<br />
delle concezioni recenti si estende a Richard<br />
Rorty, a J. Searle, agli esponenti del<br />
scientific materialism, dell’epistemologia<br />
evoluzionistica e del costruttivismo radicale,<br />
nonché a studiosi marxisti, a proposito<br />
dei quali leggiamo: «La teoria della
conoscenza materialistico-dialettica oggi<br />
va sempre maggiormente trasformandosi e<br />
si avvicina visibilmente ai principi del realismo<br />
interno […]. Ciò che veniva chiamato<br />
“rispecchiamento” si rivela ora come<br />
costruzione della realtà del sapere». L’approdo<br />
della ricerca di Sandkühler appare<br />
rappresentato da un’ontoepistemologia intesa<br />
dialetticamente come «teoria ontologica,<br />
in quanto interpreta le forme del sapere<br />
come forme d’essere» ed insieme «epistemologia,<br />
in quanto interpreta i “dati della<br />
realtà” come risultati di una costruzione<br />
epistemica, cioè mediante il sapere».<br />
Se il sapere non è scoperta di una struttura<br />
assoluta e precostituita, ma perenne<br />
(ri)costruzione da parte dei soggetti umani,<br />
si apre a questo punto un «passaggio dall’epistemologia<br />
all’etica epistemica» e il<br />
«realismo epistemologico fonda il diritto<br />
degli uomini al sapere». Quest’originale<br />
tentativo di allargamento della carta dei<br />
diritti dell’uomo prende consistenza dal<br />
rilevamento di una contraddizione tra il<br />
carattere attivo del conoscere, esaltato in<br />
particolare dall’attuale crescita complessiva<br />
della scienza, e gli aspetti di alienazione<br />
e restringimento del sapere individuale,<br />
che emergono dalla disgregazione della<br />
cultura ridotta ad elementi frammentari di<br />
consumo passivo, staccata dalla vita dei<br />
cittadini, sottratta a una loro vera partecipazione.<br />
«La contraddizione tra allargamento<br />
obiettivo e limitazione soggettiva<br />
AUTORI E IDEE<br />
del sapere è oggi - in società a “infrastruttura<br />
basata sul sapere” - uno dei problemi<br />
globali, poiché porta alla crisi non di questo<br />
o quel sapere, bensì alla crisi di ciò che<br />
costituisce un adeguato concetto di sapere:<br />
minaccia di distruggere l’universo di significati,<br />
la semantica dell’immagine del mondo,<br />
della quale dobbiamo disporre per poter<br />
concepire noi stessi come costruttori di<br />
un possibile mondo razionale». Non resta<br />
che riprendere un incessante sforzo di intercomunicazione<br />
dei saperi, di ristrutturazione<br />
dei complessi categoriali, di dialogo<br />
e confronto, per ritrovare, in uno spirito<br />
democratico, i fili di un possibile precorso<br />
attraverso la difficile, complessa realtà contemporanea.<br />
F.V.<br />
Gioco e giochi<br />
La riscoperta di un portato ontologico<br />
della categoria di gioco, che possa<br />
concorrere a definire i confini genealogici<br />
della ragione umana, in una prospettiva<br />
che connetta il “gioco del<br />
mondo”, come “gioco di Dio”, al gioco<br />
dell’uomo; è questo l’itinerario di pensiero<br />
del saggio di Francesca Brezzi, A<br />
PARTIRE DAL GIOCO. PER I SENTIERI DI UN<br />
PENSIERO LUDICO (prefazione di Paul Ricoeur,<br />
Marietti, Genova 1992). Dal “gio-<br />
Pieter Bruegel, Combattimento fra Quaresima e Martedì Grasso (1559),<br />
28<br />
co” ai giochi linguistici: il volume di<br />
Michele Francipane, LUDOGRAMMI. LE<br />
PAROLE GIOCOSE. PRATICA DEI GIOCHI LINGUI-<br />
STICI (prefazione di Bruno Munari, Mursia,<br />
Milano 1992) ne evidenzia il carattere<br />
profondamente umano, a tal punto<br />
profondo da trascendere l’identità<br />
individuale dell’homo ludens e fare<br />
del gioco linguistico da un lato il patrimonio<br />
di una tradizione culturale, dall’altro<br />
una pratica cognitiva.<br />
L’impostazione che guida le riflessioni di<br />
A partire dal gioco viene dichiarata da<br />
Francesca Brezzi fin dalle battute d’apertura<br />
dell’opera: ripercorrere le fasi della<br />
partita filosofica che il gioco ha condotto,<br />
contro i tentativi di emarginarlo da parte<br />
della ragione logica e sistematica, in vista<br />
dell’elaborazione di una filosofia del gioco<br />
che possa essere espressione della condizione<br />
umana, cioè del rapporto fra coscienza<br />
e destino. Su questa strada, nota Paul<br />
Ricoeur nella sua Prefazione al volume, si<br />
può incontrare l’obiezione dei moralisti,<br />
che vedono nel gioco una fuga dal principio<br />
di responsabilità etica individuale (e non<br />
colgono il carattere creativo e liberatorio<br />
dell’attività ludica nei confronti delle sistematizzazioni<br />
della ragione strumentale);<br />
ma si può incontrare anche l’opposizione<br />
di quegli epistemologi che non colgono il<br />
valore dell’affermazione del carattere di<br />
irriducibilità dell’istanza polisemica. Tuttavia<br />
il piano sul quale si colloca l’indagine<br />
di Brezzi è, dichiaratamente, quello ontologico;<br />
lungi da una posizione estetizzante,<br />
come dall’apologia di una generica ludicità,<br />
il concetto di gioco si connette per<br />
l’autrice al logos umano e al legame dell’uomo<br />
con la totalità dell’essere tramite<br />
l’identificazione di gioco e sacro, dove il<br />
motivo dell’homo ludens si congiunge a<br />
quello del Deus ludens. Le due tappe della<br />
ricerca riguardano in primo luogo la “fenomenologia<br />
del gioco”, dove quest’ultimo si<br />
manifesta nelle attività dell’uomo, e in<br />
secondo luogo la dimensione sacra del gioco<br />
medesimo, come spazio dell’irruzione<br />
della trascendenza nella finitezza umana. Il<br />
gioco come atto libero appare dunque costitutivo<br />
del pensiero, come già mostrava<br />
Kant con la sua dottrina del giudizio estetico,<br />
che è «libero gioco delle facoltà rappresentative»;<br />
laddove si verifica non una<br />
situazione di anarchismo gnoseologico, ma<br />
il predominio della facoltà immaginativa,<br />
che comporta un particolare tipo di accordo<br />
delle altre facoltà. Il gioco si qualifica,<br />
d’altra parte, anche come prassi critica: nel<br />
suo manifestarsi nel fenomeno del comico,<br />
esso diventa la leva per il rovesciamento<br />
della metafisica della presenza. In questa<br />
accezione il gioco si presenta come fondamento<br />
di una logica alternativa ai valori<br />
costituiti, il sintomo di una crepa che attraversa<br />
il dato esistente.<br />
E’ però nella seconda parte di A partire dal<br />
gioco, dedicata al rapporto fra gioco e<br />
religione, che emerge la finalità della ricer-
ca di Brezzi, che costeggia quelle riflessioni<br />
configuranti una “teologia ludica”. Il<br />
passaggio dall’homo faber all’homo ludens<br />
rappresenta infatti, nelle intenzioni<br />
dell’autrice, la scoperta dell’elemento ludico<br />
come costitutivo dello statuto ontologico<br />
dell’esistenza umana, nell’intento di<br />
delineare un “umanesimo alternativo”, dove<br />
il gioco, in quanto cifra dell’umana esistenza,<br />
diviene categoria (si rammenti la tematica<br />
pascaliana della scommessa) propria<br />
della finitezza umana nella sua tensione<br />
alla trascendenza. L’homo ludens, tramite<br />
il carattere di gratuità del suo atto, diviene<br />
così partecipe di un tratto caratteristico del<br />
divino; diviene, anzi, partecipe del medesimo<br />
gioco in quell’incontro, ludico in quanto<br />
libero, che è l’ascensione a Dio, quale si<br />
realizza nella preghiera e nella liturgia<br />
sacra.<br />
Gli elementi di creatività e libertà presenti<br />
nell’atto ludico, inseriti questa volta in una<br />
dichiarata prospettiva pedagogica, sono<br />
anche il criterio ispiratore della raccolta di<br />
giochi linguistici di Michele Francipane;<br />
Ludogrammi non è un’antologia, ma una<br />
classificazione ragionata di giochi linguistici<br />
che presuppongono, come sostiene<br />
Bruno Munari nella sua Prefazione, l’uso<br />
dei sensi, oltre a quello della ragione. Il<br />
concetto di “ludogramma”, coniato dall’autore,<br />
sta a indicare proprio i giochi<br />
linguistici verbali ed extraverbali, realizzabili,<br />
cioè, tanto con grafemi, quanto con<br />
AUTORI E IDEE<br />
Hieronymus Bosch, La nave dei folli (1490-1500), particolare<br />
segni di altro genere. La nozione di ludogramma<br />
sottolinea anzitutto il carattere<br />
euristico del gioco, tale per cui l’elemento<br />
di libertà dell’attività ludica si coniuga con<br />
quello dell’utilità. In altri termini, alla gratuità<br />
del gioco la prospettiva ludogrammatica<br />
connette la finalizzazione, dal momento<br />
che il carattere euristico dell’attività<br />
ludica, implicito nella classificazione di<br />
“ludogramma”, si realizza in un apprendimento<br />
orientato all’acquisizione di una strumentalità<br />
creativo-formativa e di una inventivo-risolutiva.<br />
La nozione di ludogramma, proprio per il<br />
carattere semiotico che viene conferito<br />
all’attività ludica, comporta in secondo<br />
luogo la considerazione della dimensione<br />
sovraindividuale a essa pertinente. L’analisi<br />
ludogrammatica, dunque, anche solo<br />
per ciò che riguarda l’uso ricreativo-evasivo<br />
del gioco, implica una relazione fra<br />
gioco e tradizione culturale che, a parere di<br />
Francipane, si determina in senso biunivoco<br />
come identificazione: non solo il gioco<br />
come cultura, ma la tradizione culturale<br />
stessa come gioco, anzi come ludogramma:<br />
gioco di segni, cioè gioco di rimandi,<br />
semiosi aperta. Il criterio di classificazione<br />
dei ludogrammi, di cui quelli presentati<br />
in questo libro costituiscono il primo volume<br />
del piano complessivo dell’opera, è<br />
disciplinare e pone capo a una prima partizione<br />
fra ludogrammi verbali, extraverbali<br />
e integrati, e a un’ulteriore suddivisio-<br />
29<br />
ne dei ludogrammi extraverbali in analogici,<br />
antropologici, scientifici, e non verbali.<br />
La prospettiva umanistica dell’opera<br />
porta con sé una forte motivazione pedagogica,<br />
sulla base del presupposto che il<br />
gioco, come sostiene l’autore, già di per sé<br />
parli sempre un suo linguaggio cognitivo,<br />
relazionale, sociale, creativo e ricreativo.<br />
F . C .<br />
La natura del linguaggio<br />
Con la sua opera DIE NATUR DER SPRA-<br />
CHE. DIE DYNAMIK DER PROZESSE DES SPRE-<br />
CHENS UND VERSTEHENS (La natura del<br />
linguaggio. La dinamica dei processi<br />
del parlare e del comprendere, De<br />
Gruyter, Berlin 1991) Helmulth Schnelle<br />
si propone di conferire un nuovo<br />
orientamento alla ricerca linguistica,<br />
da lui intesa come scienza, ispirata al<br />
metodo delle scienze naturali, dei processi<br />
dinamici del parlare e del comprendere.<br />
Diverse sono le concezioni del linguaggio<br />
che stanno alla base dei diversi orientamenti<br />
della linguistica contemporanea. Per<br />
citare solo quelle fondamentali, la lingua<br />
può essere intesa come sistema di segni o<br />
mezzi espressivi, come un insieme di attività<br />
e comportamenti, come un aspetto<br />
della costituzione psichica e neuro-biologica<br />
dell’essere umano e come l’insieme<br />
degli effetti dei processi complessi del par-
lare e del comprendere sull’organismo<br />
umano. In relazione alla concezione del<br />
proprio oggetto, e del metodo adeguato a<br />
coglierlo, le teorie del linguaggio possono<br />
venire dunque di volta in volta a trovarsi in<br />
compagnia di scienze come la matematica<br />
e la logica, di dottrine filosofiche o sociologiche<br />
del comportamento umano, della<br />
psicologia e della biologia. A favore di una<br />
concezione dello studio della lingua come<br />
scienza di carattere “naturalistico” si schiera<br />
nettamente uno dei linguisti di primo<br />
piano dell’area culturale tedesca, Helmuth<br />
Schnelle. Nella sua recente opera, Die Natur<br />
der Sprache, con la quale egli si propone di<br />
sviluppare un nuovo orientamento nella<br />
ricerca in questo campo, egli intende la<br />
linguistica come una scienza (ispirata ai<br />
criteri di scientificità delle scienze della<br />
natura) dei processi dinamici del parlare e<br />
del comprendere. Se la linguistica del XX<br />
secolo si è riferita prevalentemente alla<br />
lezione di Ferdinand de Saussure, i geni<br />
ispiratori di Schnelle sono Newton e Leibniz.<br />
Sul piano storico Schnelle rintraccia<br />
nel passato della linguistica, accanto ai<br />
paradigmi che intendono la lingua come<br />
sistema di segni e a quelli di tipo strutturalistico,<br />
una tradizione di carattere descrittivo,<br />
che considera la lingua dal punto di<br />
vista dinamico e genetico. E’ rifacendosi a<br />
questa linea che, secondo Schnelle, i fenomeni<br />
della lingua possono essere accessibili<br />
a un’impostazione di tipo naturalistico,<br />
attraverso indagini epistemologiche, concettuali<br />
e di critica della lingua. Se le analisi<br />
particolari di tale linguistica (ad esempio<br />
nel campo dei fondamenti della “linguistica<br />
delle reti”: Netzlinguistik) risultano interessanti<br />
(e comprensibili) solo per gli specialisti<br />
di settori della linguistica, delle<br />
scienze neurologiche e della computerscience,<br />
la concezione di fondo della lingua<br />
che emerge dall’opera di Schnelle può<br />
forse sollevare interesse e discussioni in<br />
ambiti più ampi. M.M.<br />
Coscienza e linguaggio<br />
Nel volume DER BEGRIFF DES BEWUSST-<br />
SEINS. EINE BEDEUTUNGSANALYSE (Il concetto<br />
di coscienza. Un’analisi del significato,<br />
Klostermann, Frankfurt a.<br />
M. 1992) Hubert Schleichert intende<br />
presentare non una teoria della coscienza<br />
o una critica delle teorie esistenti,<br />
ma un’analisi dei diversi concetti<br />
di coscienza reperibili nella storia<br />
della riflessione filosofica.<br />
L’opera di Hubert Schleichert si ispira<br />
alla tesi, tipica delle filosofie di matrice<br />
analitica (e sostenuta tra l’altro anche da<br />
Wittgenstein), secondo la quale molti problemi<br />
filosofici nascono da un’utilizzazione<br />
impropria del linguaggio. Propedeutica<br />
a ogni costruzione di teorie è dunque, in<br />
AUTORI E IDEE<br />
questa prospettiva, un’analisi del linguaggio<br />
che stabilisca i limiti entro i quali un<br />
determinato termine può essere utilizzato<br />
in modo sensato. Sostenuto dalla convinzione<br />
che molte teorie della coscienza facciano<br />
un uso errato o inesatto del termine in<br />
questione, Schleichert propone nella sua<br />
opera, Der Begriff des Bewußtseins, un’analisi<br />
dei diversi significati che storicamente<br />
sono stati conferiti al termine “coscienza”,<br />
intendendo così sviluppare non una descrizione<br />
del fenomeno della coscienza, ma un<br />
chiarimento del significato della parola.<br />
Condizione di tale chiarimento, che per<br />
Schleichert non dovrebbe avere carattere<br />
obbligante rispetto alla scelta di una determinata<br />
concezione filosofica o psicologica<br />
del fenomeno della coscienza, è l’analisi<br />
della “fraseologia canonica” attraverso la<br />
quale i filosofi di provenienza più disparata<br />
hanno tentato di circoscrivere, comprendere<br />
e definire il fenomeno in questione. Due<br />
capitoli dell’opera sono così dedicati a una<br />
chiara esposizione delle concezioni del rapporto<br />
corpo-anima in Cartesio e Leibniz. In<br />
seguito l’autore discute, con riferimento a<br />
Wittgenstein e ad Alan Turing, la questione<br />
se le macchine possano “avere uno spirito”,<br />
per poi concentrarsi sulla concezione<br />
della coscienza in autori come Locke, Kleist,<br />
Nietzsche, Marx, Wolff, Thomasius, Mauthner,<br />
William James. Schleichert giunge<br />
così alla conclusione che «tutto ciò che<br />
secondo l’opinione generale deve venire<br />
attribuito alla coscienza (riflessività, intenzionalità,<br />
comunicabilità, non-spazialità<br />
ecc.), può altrettanto bene essere considerato<br />
come una proprietà del linguaggio».<br />
Su questa base egli formula la tesi principale<br />
dell’opera, quella dell’identità tra coscienza<br />
e linguaggio: «Coscienza non è<br />
altro che il parlare, ora “interiore”, ora a<br />
voce alta; le parole “coscienza” e “parlare”<br />
hanno lo stesso significato». Essere coscienti<br />
di qualche cosa non è altro che il<br />
processo in cui questo “qualcosa” viene<br />
verbalizzato. La coscienza «non è qualcosa<br />
di misterioso dietro o al di là del parlare, ma<br />
il parlare stesso» - una tesi che non viene<br />
tuttavia sostenuta da un’articolata argomentazione,<br />
ma che viene affermata categoricamente,<br />
in modo da apparire, nonostante<br />
ogni preoccupazione di critica del<br />
linguaggio, come un presupposto indiscusso<br />
della ricerca di Schleichert. M.M.<br />
Storia del paradiso:<br />
Jean Delumeau<br />
Uno dei saggi storico-antropologici<br />
di maggior successo in Francia della<br />
stagione filosofica invernale è il primo<br />
volume del trittico HISTOIRE DU PA-<br />
RADIS (Storia del paradiso) di Jean Delumeau,<br />
che appare con il titolo: LE<br />
JARDIN DES DÉLICES (Il giardino delle<br />
delizie, Fayard, Paris 1992), ovvero<br />
30<br />
come per cinque secoli (XIV-XVIII) gli<br />
uomini hanno sognato, cercato, temuto<br />
l’Eden perduto.<br />
Il primo volume della Histoire du paradis<br />
di Jean Delumeau è dedicato al “mito” e<br />
al sentimento cristiano dell’Eden perduto.<br />
E’ un lavoro di uno storico e di un antropologo,<br />
in quanto si occupa di rintracciare e<br />
di comprendere gli affetti, le speranze e le<br />
paure con cui l’uomo cristiano si è misurato<br />
dal XIV al XVIII secolo. In questo senso<br />
è un libro che pone molti interrogativi<br />
filosofici sul modo vissuto in cui il peccato,<br />
la colpa, il perdono e la speranza hanno<br />
contribuito all’immaginario storico, in particolare<br />
per quanto riguarda il mito dell’Eden.<br />
La nostalgia del paradiso di Adamo<br />
e Eva è stata a lungo più che una<br />
emozione: la sua esistenza reale non fu<br />
messa facilmente in dubbio. Origene certo<br />
pensava fosse una stupida credenza; ma<br />
Agostino e Tommaso interpretano in termini<br />
realistici e non allegorici la presenza<br />
dell’Eden e la loro opinione da allora farà<br />
fede. Stupefacente, per Delumeau, è lo<br />
sforzo che gli uomini del Medio Evo fecero<br />
per localizzare tale giardino di delizie<br />
con la produzione di tutta una cartografia<br />
fantastica, indifferente ai reali progressi<br />
della geografia: se un tale giardino non lo<br />
si trova, non è perché non esiste, ma perché<br />
è inaccessibile.<br />
L’inquietudine e la speranza verso questo<br />
giardino perduto sono importanti, perché<br />
ci permettono di cogliere i nodi stretti fra<br />
peccato e castigo e i molteplici aspetti in<br />
cui l’anima cristiana ha immaginato di<br />
“sopravvivere” a questa drammatica caduta<br />
teologica. Così il Rinascimento con<br />
una certa ostinazione cerca di rendere<br />
l’Eden un oggetto storico e spiega la sua<br />
irreperibilità con la sua sparizione. Prende<br />
piede l’utopia, le ricostruzioni a ritroso di<br />
tale giardino: quali leggi vigevano, quali<br />
gerarchie s’imponevano ecc. Anche l’Illuminismo,<br />
incompatibile con questa credenza,<br />
ne conserva alcune tracce nei suoi<br />
sogni di emancipazione. L’immagine dell’uomo<br />
e dei suoi complessi rapporti con<br />
Dio saranno analizzati nei due prossimi<br />
volumi: il primo riguarderà l’attesa della<br />
felicità sulla terra, il secondo la speranza<br />
della gioia nell’aldilà. F.M.Z.<br />
Biologia:<br />
scienza e immaginario<br />
A monte del dibattito sulla conseguenze<br />
sociali e giuridiche delle conquiste<br />
scientifiche nel campo della<br />
biologia - ciò che prende il nome di<br />
bioetica - il libro di Michel Tibon-<br />
Cornillot, LES CORPS TRANSFIGURÉS; MÉ-<br />
CANISATION DU VIVANT ET IMAGINAIRE DE LA<br />
BIOLOGIE (I corpi trasfigurati. Meccanizzazione<br />
del vivente e immaginario
della biologia, Seuil, Paris 1992) argomenta<br />
la tesi che la scienza moderna<br />
troverebbe la sua legittimazione metafisica<br />
nell’«attivismo temporale e<br />
creazionista giudeo-cristiano».<br />
Se vale la considerazione che la biologia<br />
più che scienza del vivente è diventata la<br />
tecnica capace di procedere alle sue metamorfosi,<br />
questo si deve al rapporto di<br />
immanenza reciproca tra scienza e tecnica.<br />
Una medesima intenzione riduzionista<br />
ispira i primi tentativi di dissezione e<br />
di catalogazione degli anatomisti del XIV<br />
secolo come il progetto sul genoma umano<br />
degli scienziati di oggi: isolare e conservare,<br />
catalogare, riprodurre e dimostare<br />
sono le operazioni attraverso le<br />
quali la biologia organizza e interpreta il<br />
corpo vivente. In tale prospettiva, i recenti<br />
sviluppi della biologia molecolare<br />
costituiscono il risultato dell’applicazione<br />
di nuove tecniche di ricerca piuttosto<br />
che dell’elaborazione di quadri concettuali<br />
originali, o quanto meno la tecnologia<br />
della sperimentazione, intesa come<br />
meccanizzazione del vivente, è un fondamentale<br />
fattore di sviluppo della teoria.<br />
Più precisamente Michel Tibon-Cornillot<br />
vuole risalire alle origini da cui scaturiscono<br />
questi «due versanti della ragione»<br />
moderna. Da una parte la ragione<br />
osservante, contemplativa, che intende<br />
procedere alla matematizzazione del reale<br />
e che ha la sua forma già compiuta<br />
nell’ontologia platonica; dall’altra un<br />
modello di razionalità “militante”, che<br />
si esprime nell’esercizio sperimentale e<br />
che ha le sue radici nell’”attivismo cristiano”.<br />
L’immagine dell’uomo quale<br />
creatura che partecipa all’organizzazione<br />
e all’evoluzione della creazione divina,<br />
l’idea di una temporalità che si risolve<br />
in storia della Salvezza, sono le strutture<br />
ideali che continuano ad alimentare<br />
l’immaginario, sociale e scientifico, del<br />
giorno d’oggi. Ancorando la ragione<br />
scientifica ad una originaria concezione<br />
religiosa - quella giudaico-cristiana - la<br />
tesi di Tibon-Cornillot non mancherà di<br />
far discutere gli apologeti e i critici della<br />
scienza, uniti nel sostenere che è proprio<br />
quest’ultima ad aver espulso il divino dall’universo<br />
e dall’uomo. E.N.<br />
Il rompicapo del tempo<br />
Per parlare del tempo, oggetto “imbarazzante”<br />
a causa di una quotidianità<br />
che lo rende intimo eppure quasi impossibile<br />
da cogliere, Jean-Toussaint<br />
Desanti sceglie il dialogo platonico. Le<br />
RÉFLEXIONS SUR LE TEMPS (Riflessioni sul<br />
tempo, Grasset, Paris 1992) raccolgono<br />
infatti le conversazioni che egli ha<br />
avuto con Dominique-Antoine Griso-<br />
AUTORI E IDEE<br />
ni, che parla di Desanti come di un<br />
“moderno Socrate” per la sua riluttanza<br />
a mettere per iscritto un pensiero<br />
ellittico che alla scrittura preferisce<br />
la parola meditativa. Il dialogo tuttavia<br />
richiede all’interlocutore e al lettore<br />
un’attenzione metodica, e si apre<br />
mostrando come il tempo sia un oggetto<br />
che sembra sottrarsi alla filosofia<br />
proprio perché il linguaggio, che<br />
nel tempo è interamente inscritto, «è<br />
messo in scacco di fronte all’esigenza<br />
di doverne parlare».<br />
Il paradosso del tempo è quello di un essere<br />
che consiste della sua propria alienazione,<br />
di una presenza che si dà annullandosi, così<br />
che del passato si possa altrettanto bene<br />
dire che nulla più sussiste e che tutto è<br />
ancora là. Inoltre Jean-Toussaint Desanti<br />
concepisce il tempo come “intuizione del<br />
divenire” e quindi, riducendo il tempo stesso<br />
alla coscienza, si scontra con la difficoltà<br />
di prenderne sufficiente distanza per<br />
parlarne oggettivamente. Ogni discorso sul<br />
tempo tuttavia sembra sterrarne una «radice<br />
intemporale». Si pone allora la domanda<br />
su come sia possibile per l’uomo, totalmente<br />
inserito nel flusso del tempo, concepire<br />
qualcosa che sia fuori dal tempo. La<br />
risposta viene da Plotino: «non comprenderemmo<br />
l’eternità se non avessimo alcun<br />
contatto con essa». E’ quindi necessario<br />
tentare di cogliere l’articolazione del tempo<br />
e del non-tempo e insieme porre il fatto<br />
che il cominciamento del tempo è in una<br />
sorta di silenzio assoluto, di momento originario<br />
che non si può descrivere proprio<br />
perché «mancano le parole». Eppure in<br />
qualche modo “è dato”: in quel «prendere<br />
distanza da se stesso dello spirito - che<br />
pensa, si ricorda, immagina e parla - in seno<br />
all’atto riunificante del logos». Entrando<br />
nel processo del linguaggio e della simbolizzazione<br />
ci ritroviamo necessariamente<br />
in uno scarto rispetto a noi stessi, cioè «la<br />
coscienza intima del tempo è abitata dallo<br />
spazio dei segni».<br />
Il percorso di Desanti parte dalle riflessioni<br />
di Plotino e di Sant’Agostino, gli autori<br />
che a suo parere hanno costituito il tempo<br />
in problematica filosofica. Soprattutto è<br />
nel libro XI delle Confessioni che è possibile<br />
individuare «quasi tutte le dimensioni<br />
speculative aperte dal problema del tempo»,<br />
riassumibili in tre categorie: cosmologica,<br />
ontologica, fenomenologica. Prima<br />
di Agostino, attraverso le definizioni di<br />
Platone e di Aristotele, era accessibile una<br />
concezione del tempo come ordine misurabile<br />
del movimento. Tuttavia già la formula<br />
platonica, «immagine mobile dell’eternità»,<br />
sembra suggerire che la condizione<br />
di un discorso sul tempo sia il riferimento<br />
al suo opposto, stabile per eccellenza<br />
e dunque in pricipio conoscibile. Aristotele<br />
aggiungerà: conoscibile soltanto<br />
per l’anima. Secondo Desanti però ciò che<br />
avviene con Agostino è una sorta di “rivoluzione<br />
copernicana” che, per mezzo di<br />
31<br />
una riduzione fenomenologica «analoga a<br />
quella di Husserl», gli permette di cogliere<br />
il tempo in quella che è «la sua propria<br />
origine, non soltanto la sua origine per<br />
l’anima». Si approfondisce così quella che<br />
era stata l’iniziale posizione di coincidenza<br />
del tempo con la coscienza, in quanto la<br />
nostra coscienza del tempo si fonda su di<br />
un momento originario che non può essere<br />
costituito dalla coscienza stessa. In questo<br />
senso deve essere interpretata la definizione<br />
di Agostino: il tempo è distensio animi,<br />
spaziatura, messa in distanza, disgiunzione<br />
dell’anima, e sfugge al pensiero perché<br />
la sua radice intemporale sfugge al linguaggio<br />
nella misura in cui il linguaggio è<br />
sempre e necessariamente “nel tempo”.<br />
M.V.<br />
La memoria, l’oblio<br />
e l’immagine cinematografica<br />
Nella sua più recente opera, DIE EIN-<br />
STELLUNG IST DIE EINSTELLUNG. VISUELLE<br />
KONSTRUKTIONEN DES JUDENTUMS (L’atteggiamento<br />
è l’atteggiamento. Costruzioni<br />
visive dell’ebraismo,<br />
Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1992) Gertrud<br />
Koch, studiosa di problemi di storia<br />
e teoria del cinema e docente all’Università<br />
di Bochum, analizza le<br />
conseguenze sulla teoria estetica del<br />
divieto ebraico di farsi un’immagine<br />
della divinità.<br />
Fondamentale, nello studio di Gertrud<br />
Koch, è il problema della possibilità e delle<br />
modalità in cui si costituisce, attraverso le<br />
immagini del cinema e nella finzione estetica,<br />
la memoria dei campi di concentramento<br />
e della tragedia ebraica negli anni<br />
del nazismo. Punto di partenza per la discussione<br />
di questo problema è il celebre<br />
film di Claude Lanzmann Shoah, che<br />
secondo Koch è un tentativo di inoltrarsi,<br />
attraverso l’immaginario, in territori avvolti<br />
al tempo stesso nel ricordo e nell’oblio,<br />
di avvicinarsi alla realtà storica dei<br />
campi di sterminio non con mezzi documentaristici,<br />
ma attraverso la “fatticità della<br />
finzione”. Il film di Lanzmann sarebbe<br />
così un esempio paradigmatico di una modalità<br />
mimetica della costituzione della<br />
memoria, che rompe con la proibizione di<br />
farsi un’immagine della tragedia dello sterminio<br />
di massa, una proibizione originata<br />
dal timore di risvegliare quella sorta di<br />
piacere che può sempre essere contenuto<br />
nella rappresentazione estetica dell’orrore.<br />
L’opera della Koch è così, in modo più o<br />
meno esplicito, uno studio sui processi di<br />
apprendimento attraverso l’esperienza storica<br />
e sulla loro riproducibilità, tra memoria<br />
e oblio. Il problema fondamentale qui<br />
trattato è però quello delle conseguenze<br />
della proibizione delle immagini, tipica<br />
della cultura ebraica, sulla teoria estetica e<br />
sulla rappresentazione dello sterminio di<br />
massa attraverso mezzi cinematografici e<br />
artistici. E’ la ricerca delle radici di tale<br />
proibizione che fa da filo conduttore dei<br />
diversi capitoli e dei temi affrontati nel<br />
volume: dalla teoria critica della Scuola di
TENDENZE E DIBATTITI<br />
Francisco Goya, Il tre maggio 1808 (1814), particolare<br />
32
Oltre l’Europa,<br />
oltre la tolleranza<br />
Pensare filosoficamente, attraverso e<br />
oltre lo spirito europeo, «una dimensione<br />
spirituale fondativa della comunità<br />
degli uomini sino ai loro strati più<br />
profondi» è ciò che si propone lo studio<br />
di Elio Franzini, OLTRE L’EUROPA (Edizioni<br />
dell’Arco, Milano 1992). In questo<br />
occorre però guardarsi dal richiamo<br />
di una facile “tolleranza”, che è<br />
modello di convivenza insufficiente,<br />
se non pericoloso: è invece nell’orizzonte<br />
di una coesistenza dialogica che<br />
le differenze possono trovare un piano<br />
ordinativo e paritetico. A questa<br />
preoccupazione fa riscontro l’analisi<br />
dell’idea di tolleranza condotta da Ermanno<br />
Bencivenga nel suo OLTRE LA<br />
TOLLERANZA (Feltrinelli, Milano 1992).<br />
Lo spirito europeo è un “oggetto culturale<br />
complesso” di cui la descrizione fenomenologica<br />
può evidenziare i molteplici piani<br />
di unità e di esperienza, su cui poggia un<br />
comune progetto di coesistenza. Esercitarsi<br />
in una “fenomenologia dell’Europa”,<br />
sostiene Elio Franzini, significa descrivere<br />
i percorsi caratterizzanti che ne hanno<br />
segnato il passo, privilegiando gli incroci<br />
fra sapere scientifico e pratica artistica, fra<br />
sapere e saper fare, al fine di elaborare «un<br />
progetto costruttivo a partire dai nessi evidenziati<br />
che costituiscono la trama della<br />
nostra esperienza». Il filosofo, come sosteneva<br />
Edmund Husserl, può con modesta<br />
lucidità, “farsi funzionario dell’umanità”,<br />
esibire le costanti e le differenze che hanno<br />
costituito l’esperienza del vivere comune<br />
europeo, e attraverso la descrizione, rinnovarne<br />
lo “spirito” in una direzione progettuale.<br />
Bisogna dunque uscire dalla ricerca<br />
di modelli di speranza o d’elaborazione del<br />
lutto per pensare «la scelta di un modello di<br />
sviluppo, come via dell’uomo» verso un<br />
progetto di coesistenza “futura”, consapevole<br />
della complessità contemporanea.<br />
La riflessione filosofica ha per Franzini un<br />
compito molto preciso, quello di: «instaurare<br />
una trama descrittiva che possa comprendere,<br />
nel suo occasionale presentarsi,<br />
quel senso che la connessione dei fatti<br />
manifesta». In primo luogo occorre pensa-<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
re le differenze culturali sullo sfondo di un<br />
“comune sentire” del mondo a partire da<br />
valori e tradizioni differenti, ma che per<br />
tutte le civiltà presuppongono una radice<br />
antropologica comune, l’appartenenza cioè<br />
a una cultura quale piano costitutivo delle<br />
comunità. Tale piano non si costituisce<br />
solamente secondo condizioni e meccanismi<br />
socio-culturali, bensì si radica in un<br />
terreno simbolico, sensibile, che è precategoriale<br />
e come tale suscettibile d’essere<br />
universalmente comunicato. E’ universale,<br />
sostiene Franzini, ciò che esprime un<br />
rapporto comunicativo con l’altro: non è<br />
estraneo né semplicemente analogo a noi,<br />
bensì «espressione similare dell’universale,<br />
di una simbolicità radicale».<br />
Cercare nell’altro le ragioni della propria<br />
cultura su una comune base precategoriale<br />
non significa perseguire un fondamento<br />
unitario, bensì cercare di comprendere le<br />
ragioni e i processi che hanno condotto a<br />
costruire certi e non altri valori sulla base di<br />
un comune sentimento del mondo. Nel<br />
riconoscere le reciproche differenze di valori,<br />
ma su un piano paritetico, si pone la<br />
possibilità del dialogo costruttivo dove le<br />
differenze possano essere rese produttive<br />
di valori coesistenti e condivisibili. Scrive<br />
Franzini: «Quando l’altro permette di riconoscere<br />
se stessi si ha già la possibilità del<br />
dialogo perché questo altro viene percepito<br />
non come referente da tollerare, ma come<br />
altro uomo che può e deve, comunicando,<br />
insegnare. Le sue differenze sono le nostre<br />
mancanze, o il segno del nostro dimenticare».<br />
La “malattia mortale” dell’Europa sembra<br />
essere dunque la tolleranza. Si tratta di un<br />
accordo generico che tende a sintetizzare in<br />
“visioni conciliatrici” identità e differenza<br />
in un atteggiamento filosofico sospeso “fra<br />
ansia e giustificazionismo”. Tollerare le<br />
verità parziali degli altri è già un atto che<br />
confina con possibili prese di posizioni<br />
“tiranniche”. Attraverso la figura emblematica<br />
di Denis Diderot, Franzini prospetta<br />
un’altra forma di tolleranza, quella che<br />
lega l’uomo alla natura, permettendo l’interpretazione<br />
della natura attraverso la creazione<br />
culturale, secondo le linee di un<br />
movimento dove identità e differenza non<br />
si “tollerano” più, bensì “dialogano”. La<br />
tolleranza è sorpassata costruttivamente dal<br />
33<br />
dialogo, il quale non è sopportazione illuminata<br />
e benevola delle differenze, bensì<br />
interpretazione delle medesime in quanto<br />
esperienze complesse, ma paritetiche (sul<br />
piano del valore), poste sullo sfondo “di un<br />
comune orizzonte veritativo”. Tale fondamento<br />
veritativo non è nulla di trascendente<br />
bensì è condizione a priori di ogni esperienza<br />
“condivisibile”.<br />
Il dialogo è dunque una dimensione fondativa<br />
dell’esperienza con e in mezzo agli<br />
altri, un modello d’interpretazione che non<br />
edulcora le differenze, ma le rende produttive.<br />
Se Franzini si richiama al modello interpretativo<br />
del dialogo, è anche nel quadro di<br />
una precisa tradizione europea. Richiamandosi<br />
alla situazione attuale di crisi europea,<br />
di cui già parlavano Husserl e Valéry, Franzini<br />
ne individua il nucleo originario nella<br />
“perdita di memoria” da parte dello spirito<br />
europeo della sua “tradizione”, cioè del suo<br />
spirito “geometrico”, come capacità di organizzare<br />
e di interpretare in direzione costruttiva<br />
le differenti qualità del mondo<br />
circostante.<br />
L’idea che riassume l’origine e lo spirito di<br />
questa “tradizione” è quella di interpretatio<br />
naturae, per cui l’interpretazione della<br />
natura, cioè del mondo circostante intuitivo,<br />
non è disgiunta da un intento costruttivo.<br />
Imitando per così dire la natura, lo<br />
scienziato, che è anche artista (perché artefice),<br />
costruisce e desidera costruire una<br />
natura “altra” che colga della prima i volti<br />
espressivi, i nessi sensibili di coerenza, il<br />
senso delle operazioni soggettive nella costituzione<br />
della stessa esperienza oggettiva.<br />
L’interpretazione della natura non coglie<br />
nella natura un mondo chiuso, quantitavamente<br />
classificabile, ma solo e sempre<br />
un orizzonte di senso simbolico e comunicativo,<br />
la cui espressività non è affatto<br />
anodina, bensì «diviene capacità di manifestare<br />
e di far sentire un mondo di senso, in<br />
cui la presenza è espressiva e comunicativa<br />
nel suo stesso essere presenza».<br />
L’interpretatio naturae, che ha radici rinascimentali,<br />
ma che si sviluppa nei rami dei<br />
secoli (in Vico, in Diderot per esempio), è<br />
una possibile “risorsa” culturale e antropologica<br />
dello spirito europeo: coniuga l’esigenza<br />
d’interpretare la realtà circostante<br />
con il desiderio di comprendere, costruen-
do. Mette in opera un sapere grazie a un<br />
poter fare, un conoscere consapevole, “abile”,<br />
nella misura in cui tale sapere è un<br />
saper fare. In questo senso, lo spirito europeo<br />
può ed ha costituito un polo d’attrazione<br />
per gli altri Paesi non per una qualche<br />
imprecisata “superiorità”, ma perché si è<br />
potuto presentare come “modello” esportabile<br />
di un piano effettivo di dialogo, di<br />
unità fra sapere e fare da un lato, e dall’altro,<br />
fra imitazione e invenzione della natura<br />
(in quanto orizzonte di cose da interpretare<br />
per poter agire): fra mito e logos, arte<br />
e scienza - come suggerisce Franzini.<br />
La verità di questo “dialogo” fra più piani<br />
di significato (tecnico, artistico, espressivo,<br />
costruttivo) non si nasconde dietro le<br />
quinte del teatro europeo: è una verità<br />
espressiva, una forma concreta di “certezza”<br />
la cui legittimità è l’appartenenza a un<br />
“comune sentire”. Al di là delle differenti<br />
civiltà il modello dialogico europeo è condivisibile<br />
sulla base di un terreno precategoriale<br />
dell’esperienza, di un “sentire comune”<br />
radicato nel corpo proprio, nella<br />
panoplia espressivo-simbolica dei vissuti.<br />
Per Ermanno Bencivenga il problema di<br />
uno spirito comune europeo richiede in<br />
primo luogo di liberarsi da una concezione<br />
atomistica, egotietica dell’individuo. Il soggetto<br />
non è consistente, al contrario è qualcosa<br />
che non è (definitivamente) luogo e<br />
scena di una rappresentazione teatrale (per<br />
riprendere alcune suggestioni di Hume) in<br />
cui ruoli, capovolgimenti, intrighi si succedono<br />
rapidamente, impedendo al soggetto<br />
di dire: io sono qui e non mi muovo.<br />
Questo non-essere è, per Bencivenga, “differenza”,<br />
alterità che ha una funzione positiva:<br />
rompere la compattezza del mondo,<br />
scardinare la presunta necessità del reale e<br />
promuovere invece valori alternativi, far<br />
presagire altri mondi possibili, trasgredire<br />
gli assetti dati.<br />
La tolleranza è il modello complementare<br />
di questa visione dell’io atomico: metà<br />
disprezzo, metà sussiego indica un atteggiamento<br />
di benevole condiscendenza più<br />
che di partecipe sollecitudine. E’ una forma<br />
fittizia e sostitutiva di un accordo in cui<br />
il patto si stringe attorno a una solida<br />
diseguaglianza.<br />
La teoria del soggetto che Bencivenga<br />
espone invita a ripensarne anche l’atteggiamento<br />
etico. L’io è “diviso”, ricopre<br />
diversi personaggi e non è affatto un coacervo<br />
di forze adattive. Prioritaria è la<br />
differenza di cui siamo portatori e la relazione<br />
di scompaginamento, turbamento<br />
che la differenza dell’altro ci suscita. Cresciamo<br />
come combinazione di ideali, valori,<br />
atteggiamenti che abbiamo raccolto<br />
sul cammino dell’esistenza, poiché ciò che<br />
caratterizza di più il soggetto è «una disponibilità<br />
infinita a raccogliere frammenti e<br />
spezzoni di comportamento, una sorprendente<br />
capacità di copiare dettagli in apparenza<br />
inoffensivi, irrilevanti».<br />
Questa molteplicità di toni porta a concludere<br />
perentoriamente che «il soggetto non<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
è un individuo ma piuttosto una comunità».<br />
La pluralità, in ogni caso, è “esterna”,<br />
deriva dalla coesistenza con gli altri così<br />
che il «soggetto è precisamente il carattere<br />
plurale della comunità, la comunità in quanto<br />
plurale».<br />
Detto questo, la tolleranza non opera se<br />
non la riduzione del “diverso” all’assimilabile,<br />
al modello ideale della normalità.<br />
Invece, il diverso va «difeso nella sua<br />
diversità», riconoscendolo portatore di una<br />
pluralità, di una disarmonia che è la nostra.<br />
La tolleranza come strategia di “omologazione”<br />
elimina concettualmente e moralmente<br />
il diverso. In tale contesto l’intellettuale<br />
può, secondo Bencivenga, prodigarsi<br />
per «difendere un ideale, un progetto di<br />
mondo, stabilire priorità fondamentali,<br />
criteri di legittimità. Il primo ideale da<br />
salvaguardare è la ragione stessa da non<br />
ridurre a operazione strumentale: al contrario,<br />
essa è un’istanza finale».<br />
Un’antinomia pare disegnarsi nel libro di<br />
Bencivenga: infantilismo versus maturità,<br />
ragione monologica versus plurivocità del<br />
dialogo (con se stesso, con gli altri). Di<br />
conseguenza, contro l’omologazione della<br />
tolleranza e la politica ottusa dell’urgente,<br />
occorre “un qualcosa” che faccia crescere<br />
tutti. Occorre «fare dell’educazione<br />
un progetto di durata indefinita». L’educazione<br />
può e deve divenire una parola d’ordine<br />
della politica internazionale, proporsi<br />
come «terza via oltre a quella tradizionale<br />
dello scontro e quella più recente dell’assorbimento,<br />
della riduzione al minimo<br />
comun denominatore». L’educazione permanente<br />
ha come scopo quello di incoraggiare<br />
e articolare comportamenti possibili<br />
sempre più complessi, duttili alle situazioni<br />
contingenti. Mira a costruire reti di<br />
possibilità reali ed esistenziali. La nostra<br />
società deve mobilitarsi per trasformarsi<br />
in una scuola, dove scuola va qui intesa<br />
non come strumento di controllo sociale o<br />
di formazione delle competenze, bensì<br />
come dispositivo atto a allargare il dialogo,<br />
a promuovere la discussione sulla vivibilità<br />
in base alla qualità del vivere e non<br />
alla sola quantità di beni da spartire. Un<br />
autentico progetto di “paideia” quello che<br />
Bencivenga pare chiamare in causa, rivendicando<br />
non a caso la oliticità intrinseca<br />
del soggetto.<br />
Il progetto educativo-politico riannoda con<br />
energia aspirazioni generose e impegnative<br />
che i filosofi, spesso, fra entusiasmo e<br />
delusione hanno avuto il coraggio di proporre.<br />
L’educazione è stata ed è una delle<br />
parole chiave di questo impegno: Platone<br />
certo; ma anche come scordare il progetto<br />
illuministico della Popularphilosophie?<br />
F.M.Z.<br />
Morali in saldo<br />
nella crisi dei valori<br />
34<br />
Nonostante la povertà morale dei tempi,<br />
non appassisce in Francia la tradizione<br />
moralistica, il ricordo e la tentazione<br />
di farsi critico intelligente e aspro<br />
dei costumi e delle ipocrisie del senso<br />
comune secondo lo stile di un Voltaire<br />
o di un Diderot. Molti studiosi, tacciando<br />
di infantilismo della ragione (o<br />
anche peggio) la morale degli altri,<br />
avanzano pretese di visione “illuminata”.<br />
A volte la polemica non vale se<br />
non quale astiosa discussione pubblica<br />
(e molte vendite); altre volte si tratta<br />
di un lavoro serio, storicamente<br />
documentato. Di questa “svendita” di<br />
morale e di morali, presentiamo tre<br />
casi, che hanno fatto discutere la stampa<br />
e l’opinione pubblica francese in<br />
questo inverno: LE CRÉPUSCULE DU DE-<br />
VOIR (Gallimard, Paris 1992), di Gilles<br />
Lipovetsky; LE NOUVEL ORDRE ÉCOLOGI-<br />
QUE (Grasset, Paris 1992), di Luc Ferry;<br />
LE SACRÉ DU CITOYEN. HISTOIRE DU SUFFRA-<br />
GE UNIVERSEL EN FRANCE (Gallimard, Paris<br />
1992), di Pierre Rosanvallon.<br />
Celebre per le sue analisi della società<br />
contemporanea in quanto “vuota” ed “effimera”,<br />
Gilles Lipovetsky rilancia il suo<br />
ottimismo minimo (minimalista?): non è<br />
vero che la nostra sia un’epoca egoista e<br />
spietata; siamo in realtà in un’epoca di<br />
piena realizzazione dell’individualismo,<br />
un’epoca che tuttavia non ha certo provocato<br />
le catastrofi predette da Nietzsche e<br />
Freud. Altro che malessere della civiltà,<br />
altro che volontà di potenza: occorre invece<br />
accogliere sollevati «il crepuscolo dell’idea<br />
di dovere». Detto altrimenti: l’idea<br />
di sacrificio è socialmente deligittimata, la<br />
morale non brancola più nel buio di ideali<br />
utopici, il benessere e il vivere meglio<br />
diventano la guida del comportamento<br />
morale. Tutto ciò equivale a una reale<br />
“emancipazione” da dogmi e doveri assoluti:<br />
la libera scelta, la costruzione narcisistica<br />
di sé vanno di pari passo con l’individuo<br />
responsabile dell’epoca “neo-individualista”.<br />
Ciò che contraddistingue l’analisi di Lipovetsky<br />
è la particolare visione della nostra<br />
epoca. In un momento in cui gelidi venti di<br />
razzismo, intolleranza, caccia alle streghe<br />
percorrono la vecchia Europa liberale, egli<br />
sostiene che questa morale neo-individualista<br />
è allergica non solo ai dettami morali,<br />
ma anche a ogni trasgressione e eccesso. In<br />
tutti gli aspetti della vita quotidiana (famiglia,<br />
morale sessuale, lavoro, sport) la ricerca<br />
del proprio interesse implica uno<br />
spirito di tolleranza, mediazione, negoziazione.<br />
Non siamo molto lontani dalla cinica<br />
indifferenza e da uno stile di vita del<br />
tutto borghese, pacificato e pacificatore,<br />
capace di scambiare la mala fede con la<br />
disponibilità per l’altro. Da più parti è stato<br />
così sottolineato che tale ottimismo non<br />
rende affatto ragione della complessa situazione<br />
di crisi economica e politica: per<br />
tutti coloro che sono minacciati da disoccu-
pazione, razzismo, marginalizzazione, “il<br />
caos organizzatore” di cui parla l’autore,<br />
come hanno osservato alcuni critici, è «un<br />
po' troppo caotico per alcuni, e un po'<br />
troppo organizzato per altri».<br />
Luc Ferry, in Le nouvel ordre écologique,<br />
smantella invece il pensiero “verde”, in<br />
particolare la deep ecology, di cui mette in<br />
luce le componenti conservatrici, reazionarie,<br />
antiumaniste. L’idea di fondo è semplice:<br />
l’uomo si definisce per Ferry in quanto<br />
sforzo libero e cosciente di sottrarsi alla<br />
natura di cui fa parte, di emanciparsi da<br />
essa, di trasformarla. Costruire una piramide<br />
di valori, la cui cima è costituita dalla<br />
biosfera può indurre un antiumanismo viscerale.<br />
Ferry cerca di dimostrare i legami<br />
storici e culturali fra l’ecologia contemporanea<br />
e una tradizione che va da Spinoza<br />
fino al romanticismo tedesco e che sfocia<br />
nel vitalismo nietzscheano. Hitler impose<br />
nuove leggi sulla difesa degli animali e<br />
sulla protezione della natura in nome, sostiene<br />
Ferry, di un odio profondo contro il<br />
mondo moderno, il capitalismo, il liberalismo:<br />
la difesa della natura può anche suscitare<br />
una pericolosa nostalgia del passato.<br />
Esiste tuttavia un’ecologia “riformista” che<br />
agisce strettamente connessa al mondo liberale<br />
e che non vuole affatto contrapporre<br />
natura e civiltà, diritti dell’uomo e diritti<br />
della natura.<br />
Pierre Rosanvallon, nel suo libro: Le sacré<br />
du citoyen, analizza le particolari vicende<br />
del suffragio universale in Francia,<br />
senza perderne di vista la portata europea,<br />
il valore di esempio che esso può ricoprire<br />
nel quadro di un’autentica «educazione<br />
della e alla democrazia». Non che in questo<br />
la Francia sia esemplare: «Se i francesi<br />
hanno inventato l’uguaglianza nel 1789 -<br />
osserva Rosanvallon -, in seguito hanno<br />
saputo meglio stabilire il catalogo delle<br />
patologie e dei problemi della democrazia<br />
moderna che non le sue soluzioni». Solo<br />
nell’ultimo quarto del XIX secolo, infatti,<br />
la Francia ha potuto stabilire un regime<br />
liberale e democratico, sebbene l’ ”annunciazione”<br />
di tale regime risalga alla Rivoluzione.<br />
E bisognerà aspettare un altro<br />
secolo perché il suffragio sia davvero universale.<br />
Il fatto è che in Francia la democrazia<br />
è stata intesa più come un ideale o<br />
un vincolo, che non come una forma reale<br />
dell’organizzazione politica. Per gli eredi<br />
dell’Illuminismo solo la ragione è garante<br />
del vincolo sociale-politico ed è incompatibile<br />
con il numero, “la vile moltitudine”,<br />
incapace di governare. Si deve aspettare la<br />
Terza Repubblica perché vengano tolte le<br />
barriere alla “moltitudine”, considerata<br />
meno vile da quando l’istruzione è diventata<br />
obbligatoria.<br />
Al di là dell’interessante studio storico,<br />
Rosanvallon inserisce la sua ricostruzione<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
del suffragio universale in un quadro antropologico.<br />
Nella storia intellettuale del politico<br />
del XX secolo il suffragio universale è<br />
per l’autore l’autentica rottura dei tempi<br />
moderni, molto più innovativa di tante “rivoluzioni”<br />
sociali. Indica infatti un tipo di<br />
rapporto inedito fra gli uomini basato sull’equivalenza:<br />
una voce-un diritto. Il suffragio<br />
realizzato fa passare da un regime<br />
democratico per “integrazione” e assorbimento<br />
a uno “governante”, costitutivo di<br />
società e latore di dignità sociale. F.M.Z.<br />
Il materialismo dei Lumi<br />
In controtendenza rispetto a un diffuso<br />
costume critico che considera il<br />
materialismo alla stregua di un reperto<br />
archeologico della storia della filosofia,<br />
la rivista “Dix-huitième siècle”<br />
(n. 24, PUF, Paris 1992) dedica, con il<br />
titolo: LE MATÉRIALISME DES LUMIÈRES,<br />
un’ampia monografia ai quei pensatori<br />
illuministi come La Mettrie, d’Holbach,<br />
Helvetius, Lamy, Toland, Maupertuis,<br />
che storicamente hanno aperto il<br />
cammino a un’interpretazione materialistica<br />
della storia, della morale e<br />
delle scienze naturali. La funzione del<br />
materialismo illuminista, nel quadro<br />
della prospettiva storico-filosofica hegeliana,<br />
è anche al centro dell’analisi<br />
di Jean-Claude Bourdin, HEGEL ET LES<br />
MATÉRIALISTES FRANCAIS DU XVIII SIÈCLE<br />
(Hegel e i materialisti francesoi del<br />
XVIII secolo, Klincksieck, Paris 1992).<br />
Dalla ampia ricognizione nel pensiero illuminista,<br />
offerta dagli articoli raccolti nella<br />
rivista “Dix-huitième siècle”, si evidenziano<br />
due principali linee evolutive della concezione<br />
materialista: la prima, di impronta<br />
più evidentemente scientifica, prende le<br />
mosse dal meccanicismo cartesiano; la seconda,<br />
che trova la sua ispirazione in Locke<br />
e Newton, tende a privilegiare i contenuti<br />
morali e politici delle concezioni materialistiche,<br />
piuttosto che la coerenza filosofica<br />
del sistema. Nei ranghi intellettuali che<br />
si apprestano alla battaglia illuminista contro<br />
le tradizioni culturali e sociali, è questa<br />
seconda linea, più marcatamente “politica”,<br />
che fornisce gli strumenti per la crociata<br />
filosofica contro il vecchio regime. Il<br />
risvolto ateistico del materialismo integrale<br />
di Helvetius consente di disegnare una<br />
nuova immagine del cittadino e dell’uomo,<br />
dove «l’educazione e null’altro segna la<br />
differenza tra individui più o meno ben<br />
organizzati»; mentre d’Holbach utilizza<br />
l’ateismo come impalcatura antropologica<br />
per costruire una morale nel segno dell’utile<br />
sociale.<br />
La vocazione polemica del materialismo<br />
dei Lumi, il suo potere di critica e di negazione<br />
di istituzioni storicamente superate<br />
saranno oggetto dell’apprezzamento di<br />
Hegel, che consacrerà un capitolo delle sue<br />
Lezioni di storia della filosofia ai filosofi<br />
illuministi. Come mostra Jean-Claude<br />
Bourdin nel suo studio dedicato al filoso-<br />
35<br />
fo, non è il valore in sé della concezione<br />
materialista che Hegel si degna di discutere,<br />
e neppure la fondatezza dell’ateismo,<br />
quanto piuttosto il significato di quest’ultimo<br />
come attore della vicenda dello Spirito<br />
Assoluto. L’ateismo adempie alla sua funzione<br />
di critica del Cattolicesimo, ormai<br />
sclerotizzato in una forma istituzionale che<br />
tradisce la religione: «non quella che fu<br />
purificata da Lutero - ma la più miserabile<br />
superstizione, il clericalismo, l’ignoranza,<br />
la depravazione dello spirito; e soprattutto<br />
la dissipazione delle ricchezze». Momento<br />
indispensabile di autocritica dello Spirito,<br />
soddisfatto il proprio ruolo di negazione e<br />
non avendo alcuna positività speculativa<br />
da difendere, il materialismo viene archiviato<br />
da Hegel alla stregua di un capitolo<br />
della storia dell’Assoluto. E.N.<br />
Enciclopedia<br />
delle opere filosofiche<br />
Il terzo volume dell’ENCYCLOPEDIE PHILO-<br />
SOPHIQUE UNIVERSELLE, diretta da André<br />
Jacob, è costituito da un dizionario<br />
delle opere filosofiche, (OEUVRES PHILO-<br />
SOPHIQUES, a cura di Jean Francois<br />
Maffei, PUF, Paris 1992), che abbraccia<br />
- nella misura del possibile - tutte le<br />
epoche che hanno lasciato una testimonianza,<br />
sotto tutte le latitudini,<br />
geografiche o culturali. Manca così<br />
soltanto l’ultimo pilastro del grande<br />
edificio enciclopedico iniziato nel 1989<br />
da Jacob con la pubblicazione dell’UNIVERS<br />
PHILOSOPHIQUE, seguito dai due<br />
volumi del dizionario delle NOTIONS<br />
PHILOSOPHIQUES (a cura di Sylvain Auroux,<br />
1990); è annunciata per il 1994 la<br />
raccolta dei TEXTES PHILOSOPHIQUES a<br />
cura di Roger Arnaldez.<br />
Monumentali, al limite dello scoramento,<br />
le dimensioni dell’impresa enciclopedica<br />
curata da Jean Francois Maffei con questo<br />
Dizionario delle opere filosofiche: 4.656<br />
pagine firmate da 1.400 studiosi, 5.400<br />
autori e più di 9.000 opere raccolte e catalogate<br />
in un volume che sarà sicuramente<br />
un’opera di riferimento anche per gli specialisti.<br />
Come sottolineava André Jacob<br />
sulle pagine di questa rivista (n. 2, pp. <strong>11</strong><br />
sgg.), l’unità strutturale e ideativa di un<br />
progetto di queste dimensioni non poteva<br />
non tener conto della pluralità culturale e<br />
disciplinare che caratterizza l’accezione<br />
moderna di filosofia. Unità plurale che si<br />
misura con la complessità e la diversità dei<br />
saperi che nascondono o richiamano una<br />
riflessione filosofica: con questo criterio<br />
sono catalogati i testi filosofici, scientifici,<br />
antropologici, “letterari”, occidentali e<br />
orientali, come pure i racconti mitici e le<br />
testimonianze delle culture “orali” europee,<br />
africane, asiatiche e amerinde. Se uno<br />
dei significati dell’opera è dunque costitu-
ito dalla ricerca di una nuova definizione<br />
dell’universalità filosofica, questo avviene<br />
attraverso il rapporto critico e la valorizzazione<br />
dei saperi extrafilosofici come delle<br />
culture “minori” o occultate, lontano da<br />
pretese eurocentriche o da un malinteso<br />
platonismo che vorrebbe autofondare la<br />
riflessione filosofica e chiuderla in un mondo<br />
proprio. Jacob propone invece una suggestiva<br />
accezione di progetto enciclopedico<br />
come un «’fare il giro’ delle interpretazioni<br />
piuttosto che delle conoscenze, occasione<br />
di incroci, di nuovi sviluppi e di<br />
nuove aperture, piuttosto che di un accerchiamento<br />
del pensiero.»<br />
La ricognizione delle opere filosofiche dell’umanità<br />
è ordinata secondo tre grandi<br />
blocchi: Filosofia occidentale, Pensieri<br />
asiatici, Concettualizzazioni delle società<br />
tradizionali. La sezione che concerne la<br />
filosofia occidentale è a sua volta suddivisa<br />
in sei grandi capitoli: Antichità, dal III<br />
millennio a.C. fino al VI secolo d.C.; Medioevo/Rinascimento;<br />
Età classica, dal<br />
1600 alla Rivoluzione francese; Modernità,<br />
1789-1889; Nascita delle scienze umane,<br />
1889-1939; Pensiero contemporaneo,<br />
1939-1990. Ad ogni voce corrisponde un<br />
breve profilo biografico dell’autore, il riassunto<br />
delle opere principali, per i grandi<br />
autori, o l’indicazione delle opere per i<br />
minori, corredati da una bibliografia aggiornata.<br />
Una serie di indici, ordinati per<br />
discipline, scuole, correnti di pensiero,<br />
nonché di intelligenti rimandi, consente di<br />
muoversi agevolmente nella selva delle<br />
opere e degli autori. Anche in virtù dell’attenzione<br />
per questi elementi tecnico-formali<br />
dell’opera, attraverso i quali si realizzano<br />
percorsi culturali e si aprono nuove<br />
soglie interpretative, possiamo dire vinta<br />
la scommessa culturale sottesa a questo<br />
grande progetto enciclopedico: inventariare<br />
la complessità delle conoscenze umane<br />
secondo un’interrogazione e un ordine<br />
filosofici, nel tentativo di passare dal sapere<br />
al senso. E.N.<br />
Stati Uniti: analisi di una crisi<br />
Uscito nel settembre del ’92 , CRONA-<br />
CHE DAL CENTRO DELL’IMPERO. STATI UNITI:<br />
CRISI, CONFLITTI SOCIALI, “NUOVO ORDINE”<br />
MONDIALE NELLE ANALISI DI MARXISTI E RADI-<br />
CAL AMERICANI apre la serie di numeri<br />
speciali che la rivista “Marx centouno”<br />
intende dedicare ogni anno a temi<br />
di particolare rilevanza politica, culturale,<br />
teorica. Una silloge di studi apparsi<br />
per lo più nell’ultimo triennio su<br />
periodici anglo-americani che, riflettendo<br />
sulla crisi dei tradizionali modelli<br />
produttivi, sulla variegata geografia<br />
del conflitto sociale, sul “nuovo<br />
non-ordine del mondo”, consente<br />
un’analisi unitaria della realtà statunitense,<br />
intrecciandone complessità e<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
contraddizioni con i fragili equilibri<br />
mondiali del post-guerra fredda.<br />
«I bei giorni della prosperità americana<br />
sono ormai dietro di noi. L’impalcatura è<br />
smantellata, i pilastri crollano. Gli Stati<br />
Uniti, come ogni colosso nella storia umana,<br />
si accorgono di avere i piedi di argilla<br />
[…] Entriamo ormai nell’avvenire dell’America,<br />
che può’ suscitare in noi grandi<br />
inquietudini così come grandi speranze». Il<br />
giudizio di Immanuel Wallerstein nel saggio<br />
di apertura, L’America e il mondo: ieri,<br />
oggi, domani (in origine una conferenza<br />
tenuta all’Università del Vermont nell’ottobre<br />
del ’90) esprime la tesi di fondo che<br />
percorre i numerosi saggi raccolti nel volume.<br />
Le analisi degli autori, articolate in tre<br />
sezioni - “La crisi”, “Il conflitto sociale”,<br />
“L’impero” - sono complessivamente orientate<br />
a rintracciare le ragioni di un declino<br />
che appare tanto profondo e irreversibile da<br />
segnare un passaggio d’epoca. Declino di<br />
una leadership economica e geopolitica<br />
che si configura, ad un tempo, come causa<br />
e conseguenza dei mutati assetti dell’intero<br />
sistema-mondo; ma anche, parallelamente,<br />
declino di un modello di “prosperità”. I<br />
suoi capisaldi, una efficiente organizzazione<br />
produttiva costruita sul “compromesso”<br />
fordista del dopoguerra, garanzia di ordine<br />
sociale e fonte di un benessere materiale<br />
generalizzato, e un forte collante ideologico,<br />
fondato sulla contrapposizione “Mondo<br />
libero-Comunismo”, indispensabili premesse<br />
all’esercizio del ruolo di potenza<br />
mondiale, sono infatti ormai entrati irrimediabilmente<br />
in crisi.<br />
Tramontato il “sub-imperialismo” sovietico,<br />
funzionale, secondo Wallerstein, al<br />
consolidamento della “Grande Pace Americana”<br />
e quindi all’espandersi dell’economia-mondo<br />
capitalistica che fioriva sotto<br />
quell’egemonia, i conclamati vincitori nella<br />
“lotta tra i due mondi” mostrano i segni<br />
di grandi contraddizioni, maturate negli<br />
anni della “rivoluzione conservatrice” e<br />
oggi aggravate dalle sempre più instabili<br />
relazioni internazionali. Noam Chomsky,<br />
nell’intervista Sul capitalismo raccolta da<br />
“Against the Current Magazine” nel settembre<br />
del ’91, ne rintraccia le cause nel<br />
permanere di una società «a due ordini, con<br />
ricchezza e privilegio enormi in mezzo a<br />
povertà e sofferenza», segnata dai tagli alla<br />
spesa sociale, dall’inazione di uno stato<br />
trasformato in «welfare per i ricchi», assente<br />
nell’educazione come nella tutela dei<br />
diritti civili.<br />
La sempre più evidente destabilizzazione<br />
sociale, legata a una pesante stagnazione<br />
politica, si spiega inoltre, osserva Chomsky,<br />
con le trasformazioni imposte dal “reaganismo”,<br />
espressione politica di «frange non<br />
fordiste del capitale», ai tradizionali processi<br />
di regolazione e alla stessa struttura<br />
dell’economia nazionale. La questione del<br />
carattere e delle prospettive della cosiddetta<br />
“fuoriuscita dal fordismo” è ancora un<br />
problema aperto, oggi tra i più dibattuti e<br />
36<br />
studiati anche in Europa. Evidenziandone<br />
le implicazioni sociali e le possibili ripercussioni<br />
sulla forma futura dell’economia<br />
mondiale, Mike Davis, nel suo Economia<br />
politica dell’America tardo-imperiale<br />
(“New Left Review”, 1984), sottolinea la<br />
dimensione “epocale” del passaggio, iniziato<br />
negli anni Settanta, a una dinamica di<br />
“sovraconsumismo”, legata sia alla crescita<br />
e all’arricchimento di uno strato “subborghese”<br />
manageriale e professionale, sia<br />
alla «crisi del ciclo fordista di accordi negoziati<br />
tra salari e produttività». Rotta l’originaria<br />
coesione dei tre fondamenti strutturali<br />
dell’egemonia americana - generalizzazione<br />
della produzione e del consumo di<br />
massa, posti di lavoro ad alto salario, industrializzazione<br />
dell’hinterland - si impone,<br />
continua Davis, un modello di dequalificazione<br />
del lavoro, conseguenza della creazione<br />
di “nuovi” impieghi a basso salario e<br />
di una disoccupazione mai così alta dal<br />
dopoguerra.<br />
Nel quadro di una crisi di così ampie dimensioni<br />
da chiudere un’epoca della storia<br />
americana, con l’approfondirsi del solco<br />
tra gruppi integrati ed emarginati, si riaprono<br />
vecchie e nuove conflittualità in cui<br />
razza ed origine etnica, classe sociale e<br />
sesso continuano a giocare un ruolo di<br />
primo piano. Che questi fattori costituiscano<br />
i criteri discriminanti o anche i parametri<br />
su cui si basa la distribuzione inegualitaria<br />
delle ricchezze negli Stati Uniti, non è<br />
certo un fatto nuovo; interessante nella fase<br />
attuale è invece il modo in cui essi si<br />
intrecciano nella sfida che le fasce deboli<br />
rivolgono all’ordine economico e politico<br />
esistente. La variegata geografia del conflitto<br />
sociale rispecchia infatti quel “rimescolamento”<br />
del materiale umano che M.<br />
Grazia Rossilli, in Americanismo senza<br />
fordismo e deindustrializzazione. Le lavoratrici<br />
dal margine al centro dell’economia<br />
e della povertà, legge come effetto del<br />
declino dell’apparato produttivo industriale<br />
americano, facendo convergere su obiettivi<br />
a volte comuni le rivendicazioni dei<br />
nuovi movimenti femminili, delle minoranze<br />
etniche, delle comunità nere, di quei<br />
gruppi che localmente agiscono per un<br />
miglioramento delle aree più svantaggiate<br />
delle metropoli.<br />
Dalle molte riflessioni dedicate a questo<br />
argomento emerge, ad esempio, come dato<br />
significativo, la richiesta sempre più generalizzata<br />
di un’autodeterminazione dell’economia.<br />
Lo sottolinea Mike Davis nei<br />
commenti ai fatti di Los Angeles, scritti per<br />
“The Nation” (L. A. Il rogo delle illusioni),<br />
evidenziando il fatto, comunemente trascurato,<br />
che l’unico leader nazionale tenuto<br />
in seria considerazione dalla maggior<br />
parte dei “Crips” e dei “Bloods”, le due più<br />
grandi gangs di giovani neri della città, al<br />
centro dei tumulti, sia Louis Farrakhan,<br />
promotore di quel progetto, condiviso da<br />
una larga parte della gente di colore. Un<br />
progetto politico, dunque, a riprova del<br />
fatto che, come spiega Michael Hardt,
TENDENZE E DIBATTITI<br />
Elijah Muhammad mentre sta parlando in un tempio mussulmano<br />
37
docente all’Università di California, «ogni<br />
discorso di razzismo è un discorso di classe»,<br />
oggi ancora più complesso per il venir<br />
meno di un conflitto etnico esclusivamente<br />
bipolarizzato tra bianchi e neri.<br />
Un altro contesto problematico, descritto<br />
da Patrick Bond in Potere finanziario<br />
contro populismo di base. La nuova lotta<br />
di classe (“Capital and Class”, 1990), in<br />
cui la ristrutturazione democratica dell’economia<br />
appare un obiettivo fondamentale,<br />
è quello delle lotte condotte dalle<br />
“Coalizioni urbane per il reinvestimento”,<br />
un movimento di base a carattere populista<br />
che si oppone al potere economico-politico<br />
delle grandi banche e, più in generale,<br />
del settore finanziario. Il “controllo del<br />
capitale” da parte della comunità, come la<br />
convinzione che un “approccio collettivo<br />
alla produzione e al consumo” possa essere<br />
la via per costruire una società libera<br />
dalla speculazione, diviene qui la parola<br />
d’ordine di un vasto schieramento che va<br />
dai comitati anti-apartheid alle organizzazioni<br />
dei quartieri degradati. Estraneo a<br />
questi obiettivi, infine, non è neppure il<br />
movimento femminile, se si pensa che la<br />
parte più vulnerabile della forza lavoro, di<br />
cui le donne fanno parte, viene usata per<br />
aprire la strada alla “flessibilizzazione” e<br />
alla rottura del rapporto produttività-salari.<br />
Il nesso classe-razza-genere, in quanto momento<br />
cruciale nella determinazione di<br />
svantaggi e privilegi socialmente rilevanti,<br />
viene oggi riportato al centro dell’attenzione<br />
nazionale dal dibattito sulla “political<br />
correctness” e sul “multiculturalismo”,<br />
divenuti da circa due anni oggetto delle più<br />
vive discussioni sui mass-media e nelle<br />
università americane. In un saggio dal titolo:<br />
Che cos’è il multiculturalismo (“Against<br />
the Current”, 1991) scritto dal gruppo di<br />
lavoro dell’Università del Texas per spiegarne<br />
prospettive e obiettivi in risposta<br />
alle accuse dei colleghi conservatori, il<br />
multiculturalismo viene definito come un<br />
tentativo di capire l’origine delle culture,<br />
il loro sviluppo e utilizzo, un modo di<br />
«interrogare categorie e confini», pensati<br />
e stabiliti nel corso della storia. Suo presupposto<br />
è quello che Paul Berman, nella<br />
“Introduzione” a Debating P.C. (Discussioni<br />
sulla “political correctness”, Laurel,<br />
New York 1992), chiama, non senza<br />
ironia, “razza-classe-generismo”, variazione<br />
americana della filosofia europea di<br />
matrice post-strutturalista della fine degli<br />
anni Sessanta. In una prospettiva tesa a<br />
scalfire il predominio dei “maschi bianchi”<br />
nordeuropei, razza, classe e genere<br />
vengono rivendicati come le strutture imprescindibili<br />
a partire dalle quali soltanto è<br />
possibile la costruzione e la comprensione<br />
di culture diverse, non riducibili al modello<br />
universalistico e pervasivo di quella<br />
occidentale. Sono le nozioni stesse di “tradizione”,<br />
di “Occidente”, opposte dagli<br />
accademici conservatori ad un presunto<br />
relativismo culturale, ad essere messe in<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
discussione, così come il «privilegio di<br />
guardare e comprendere», considerato inattuale<br />
in un mondo «molto, molto mescolato».<br />
In disaccordo con Berman, esponente<br />
liberal del multiculturalismo, per il quale<br />
esso non rappresenta che una possibilità di<br />
espansione della democrazia e della tolleranza<br />
liberali, o un buon modo di organizzare<br />
corsi interdisciplinari, i docenti texani<br />
ribadiscono il significato dirompente di<br />
un “progetto intellettuale e pratico” che,<br />
fuori dal mito del “paradiso perduto accademico”,<br />
libero dalle ideologie e dalla<br />
politica, concepisce l’università e il sapere<br />
che vi si produce come i luoghi dove, più<br />
che altrove, si costruiscono le relazioni di<br />
potere che strutturano la società. C.R.<br />
I filosofi e gli animali<br />
All’approfondimento della questione<br />
del rapporto tra filosofia e animalità è<br />
dedicato il primo numero di “Clinamen”,<br />
il nuovo annuario del Dipartimento<br />
di Ricerche Filosofiche dell’Università<br />
di Roma “Tor Vergata”, diretto<br />
da Mario Perniola. Il volume, dal titolo:<br />
FILOSOFIE DELL’ANIMALITÀ’. CONTRIBUTI AD<br />
UNA FILOSOFIA DELLA CONDIZIONE ANIMALE<br />
(Mimesis, Milano 1992), è curato da<br />
Emilio Baccarini, Tonia Cancrini e Mario<br />
Perniola e intende esplorare la complessa<br />
e variegata problematica emergente<br />
dalla nozione di animalità a partire<br />
da una prospettiva prettamente<br />
filosofica, individuando i principali nodi<br />
speculativi e le strategie culturali fondamentali<br />
che caratterizzano l’attuale<br />
dibattito sull’argomento, sviluppatosi<br />
in seguito ad un grande ritorno di<br />
interesse nei confronti del concetto di<br />
animalità.<br />
Al problema animale il discorso filosofico<br />
occidentale ha fin dalle sue origini greche<br />
dedicato una costante attenzione, un’attenzione<br />
mantenuta viva lungo tutto il corso<br />
moderno e contemporaneo della filosofia e<br />
che viene ancora oggi testimoniata da un<br />
gran numero di nuove pubblicazioni, vive<br />
discussioni e ampi convegni, che mettono<br />
in evidenza i vari aspetti del problema,<br />
sociali, etici, psicologici, storici, letterari,<br />
simbolici, religiosi. Nel suo saggio introduttivo,<br />
Mario Perniola insiste sulla necessità<br />
di porre la questione animalista in<br />
intima relazione con la questione antropologica,<br />
analizzando tale rapporto nel pensiero<br />
dello stoicismo antico, che poneva la<br />
questione della condizione animale come<br />
inseparabile da quella della condizione<br />
umana, mostrando inoltre come ad una<br />
certa superiorità ideale dell’uomo sull’animale<br />
spesso corrispondesse una sua inferiorità<br />
sul piano della realtà e dell’esperienza,<br />
per arrivare, attraverso l’individuazione<br />
di figure di “animali quasi saggi” e<br />
“animali quasi pazzi”, desunti anche dalle<br />
riflessioni di Erasmo da Rotterdam e Giordano<br />
Bruno, ad affermare che proprio l’inseparabilità<br />
tra discorso sugli animali e<br />
38<br />
discorso sull’uomo deve servire a farci<br />
comprendere che «la contraddizione più<br />
grande sta all’interno dell’umanità» e nei<br />
suoi irrisolti conflitti tra dimensione sensitiva<br />
e affettiva e dimensione logico-razionale,<br />
tra natura e cultura.<br />
La sommaria contrapposizione tra sfera<br />
naturale e sfera culturale è anche alla base<br />
dell’intervento di Marcello Massenzio, il<br />
quale affronta il concetto di animalità da<br />
una prospettiva antropologica, rilevando il<br />
diverso ruolo assegnato all’animale nei diversi<br />
contesti etnologici, ruolo che oscilla<br />
tra i due poli opposti di una completa alterità<br />
rispetto all’uomo e di una peculiare<br />
identità con esso a seconda dei differenti<br />
regimi economici di caccia o allevamento,<br />
raccoglitori o allevatori. Dell’animale per<br />
eccellenza della tradizione biblico-ebraica,<br />
l’agnello, si occupa il saggio di Emulio<br />
Baccarini, che nell’ambito del testo biblico<br />
veterotestamentario ricostruisce il rituale<br />
simbolico dell’agnello pasquale, sottolineando<br />
come esso rappresenti il segno forse<br />
più elevato dell’elezione del popolo di<br />
Israele e «segno significante della “signoria<br />
di Dio”». Tonia Cancrini, dapprima<br />
insieme a Paola Linguiti, si sofferma invece<br />
sul ruolo e la funzione dei cavalli nell’Iliade<br />
omerica, Xanto e Balio in particolare,<br />
i meravigliosi e immortali cavalli di<br />
Achille; in un altro saggio, insieme a Simona<br />
Argentieri, viene esaminato da Linguiti<br />
il valore e il significato dell’essere<br />
animale in generale dal punto di vista della<br />
psicoanalisi, con particolare riferimento a<br />
Freud, sostenendo che fare davvero esperienza<br />
dell’animale significa fondamentalmente<br />
conoscere l’alterità e accettarla<br />
come tale.<br />
Se è vero che la riflessione sulla condizione<br />
animale è da considerare in strettissima<br />
connessione con la condizione umana, occorre<br />
allora ricordare che Aristotele è forse<br />
stato il primo nella storia del pensiero occidentale<br />
a insistere sull’intima relazione delle<br />
due condizioni, affermando che non è possibile<br />
parlare dell’uomo senza fare riferimento<br />
all’animale, anzi che la stessa umanità<br />
dell’uomo è pensabile e si caratterizza<br />
proprio in rapporto/differenza all’animale.<br />
Le celebre definizione aristotelica dell’uomo<br />
come zoon logon ekhon testimonia infatti<br />
questa correlazione, che Riccardo<br />
Dottori, nel suo contributo, cerca di esplicitare<br />
a partire dai concetti di lógos e linguaggio,<br />
e del lógos inteso come dialogos,<br />
ossia manifestazione e comunicazione per<br />
mezzo della parola, ciò che distingue propriamente<br />
l’uomo dagli animali e dallo loro<br />
semplice phone. Dottori tuttavia presenta<br />
in questo volume una sua traduzione del III<br />
libro del De abstinentia carnibus di Porfirio,<br />
in cui si parla anche di un lógos degli<br />
animali e di conseguenza del dovere di<br />
giustizia che l’uomo ha nei loro confronti,<br />
mettendo in evidenza i motivi di ordine<br />
soprattutto religioso, metafisico e morale<br />
di questo trattato in cui il divieto di uccidere<br />
gli animali e di mangiarne le carni nasce
dal principio etico del rispetto per l’altro.<br />
Venendo ad alcuni momenti del pensiero<br />
filosofico moderno e contemporaneo, Marcella<br />
D’Abbiero analizza il concetto di<br />
animalità così come emerge dalla Enciclopedia<br />
di Hegel in cui l’approfondimento<br />
della figura dell’animale, situata tra natura<br />
e spirito, serve anche a gettare nuova luce<br />
per la comprensione proprio della nozione<br />
hegeliana di spirito in quanto dotata di<br />
storicità e dinamismo. Soffermandosi soprattutto<br />
sui Grundbegriffe der Metaphysik,<br />
Maria Teresa Ricci evidenzia la differenza<br />
fondamentale tra l’uomo e l’animale.<br />
Contrariamente all’uomo, l’animale non<br />
esiste, ma vive soltanto: se l’essenza dell’uomo<br />
è l’esistenza, l’animale come semplice<br />
vivente è - scrive Heidegger - povero<br />
di mondo (Weltarm); e se la morte, il morire,<br />
è ciò che caratterizza più essenzialmente<br />
l’esserci, la morte dell’animale non è uno<br />
Sterben, un morire, ma un Verenden, ciò un<br />
semplice cessare di vivere. Ora, scrive Ricci,<br />
«se l’uomo pone la sua distinzione in<br />
virtù della parola e attraverso questa, l’animale<br />
impone la sua differenza proprio non<br />
parlando, e cioè tramite il silenzio; ma se la<br />
parola può essere misteriosa, il silenzio è il<br />
mistero stesso». Proprio questo fondo di<br />
inaccessibilità che permane nell’essere<br />
animale è forse ciò che continua a spingere<br />
l’essere umano ad interrogarsi sull’animale<br />
e sul suo insondabile mistero.<br />
<strong>Numero</strong>si altri saggi compongono il volume<br />
e cercano di evidenziare alcuni aspetti<br />
particolari del concetto di animalità: Marta<br />
Cristiani si sofferma sulla simbologia<br />
animale in Ildegarda di Bingen; Carlo Ferrucci<br />
sull’immagine della serpe nel pensiero<br />
di Maria Zambrano, figura di spicco<br />
del pensiero spagnolo contemporaneo;<br />
Annamaria Laserra indaga sul bestiario<br />
linguistico di Prosper Mérimée; Fabrizio<br />
Scrivano, sugli studi ornitologici ed entomologici<br />
di Ulisse Aldovrandi, scienziato<br />
bolognese della seconda metà del XVI secolo.<br />
Chiude infine il volume una estesa e<br />
interessante analisi dell’animale nella prospettiva<br />
della bioetica di Maurizio Mori, il<br />
quale affronta la questione del ruolo e dei<br />
“diritti” degli animali alla luce della riflessione<br />
etica e giuridica contemporanea.<br />
G.P.<br />
Filosofia dell’arte<br />
ed esperienza estetica<br />
Dalla categoria di poesia al confronto<br />
con le poesie: così potrebbe essere<br />
definito il programma filosofico che<br />
sottende alle riflessioni elaborate da<br />
Fulvio Papi in LA PAROLA INCANTATA E<br />
ALTRI SAGGI DI FILOSOFIA DELL’ARTE (Guerini<br />
e Associati, Milano 1992). A questo<br />
volume può essere accostata, per affinità<br />
di temi e di obiettivi polemici, la<br />
raccolta di saggi di Rüdiger Bubner,<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
ESPERIENZA ESTETICA (traduzione italiana<br />
di Monica Ferrando, presentazione<br />
di Gianni Carchia, Rosenberg e Sellier,<br />
Torino 1992), che si presenta come<br />
una difesa della specificità dell’esperienza<br />
estetica sulla base del suo carattere<br />
aconcettuale. L’incontro, o<br />
scontro, tra la filosofia e l’arte deve<br />
configurarsi, a parere di entrambi gli<br />
autori, come riflessione sulle concrete<br />
pratiche artistiche e sui loro prodotti,<br />
anziché come applicazione di categorie<br />
estrinseche da parte della filosofia<br />
a un ambito ad essa estraneo.<br />
La notazione di Friedrich Schlegel, secondo<br />
cui «in ciò che si chiama filosofia dell’arte<br />
manca solitamente una delle due: o la<br />
filosofia, o l’arte», segnala, secondo Fulvio<br />
Papi, un problema reale, quello della<br />
difficoltà di svolgere un «discorso filosofico<br />
immanente alla dimensione artistica»,<br />
rimanendo al livello di una sovrapposizione<br />
estrinseca al fenomeno artistico di schemi<br />
concettuali, che in quanto tali restano<br />
necessariamente astratti. La filosofia dell’arte<br />
deve invece configurarsi come prassi,<br />
e prassi filosofica che si svolge nella<br />
concretezza del campo artistico. Il “prodotto”<br />
di tale pratica è, in primo luogo,<br />
filosofico; dal punto di vista storico, tuttavia,<br />
l’elaborazione filosofica di poetiche,<br />
quando sia generata, come pratica filosofica,<br />
dall’ordito della concreta prassi artistica,<br />
ha notoriamente sempre dato nuovo<br />
impulso alla trama di quest’ultima, in un<br />
rapporto dialettico fra le pratiche, che nel<br />
loro incrociarsi producono un surplus di<br />
senso, un “sovrappiù di mondo”. Il concetto<br />
di “pratica” è dunque la chiave di volta<br />
della riflessione di Papi, ed esso va accompagnato<br />
dall’aggettivo “determinata”; una<br />
sorta di endiadi, perché la riflessione, in<br />
quanto pratica, è sempre situazionata, ha<br />
sempre alle proprie spalle la trama e l’ordito<br />
delle pratiche da cui risulta. Non in una<br />
concettualizzazione, ma in un’analisi “genetica”,<br />
quella relativa al prodursi dell’opera<br />
d’arte, consiste dunque per Papi la filosofia<br />
dell’arte.<br />
E’ questo l’atteggiamento concettuale che<br />
porta a un essenzialismo speculativo di<br />
stampo hegeliano, rifiutato da Rüdiger<br />
Bubner, contro il quale questi fa valere il<br />
carattere aconcettuale, riconosciuto da<br />
Kant, del giudizio di gusto. Nella sua polemica<br />
antiessenzialistica e anticoncettualista,<br />
Bubner mira a sottolineare come il<br />
giudizio di gusto sospenda la questione<br />
veritativa; per questo vengono rifiutate<br />
impostazioni, come quella heideggeriana,<br />
che continuando a mantenere la questione<br />
della verità, e attribuendo un valore veritativo<br />
alla conoscenza estetica, finiscono<br />
anch’esse per tradire la dimensione effettiva<br />
sulla quale si pone l’esperienza estetica,<br />
quello dello Schein, dell’apparire. Come<br />
sottolinea Gianni Carchia, la difesa bubneriana<br />
dello Schein va oltre le posizioni di<br />
Kant, che certo non dissolve il concetto<br />
39<br />
intellettivo nel giudizio di gusto, e non<br />
propone una fondazione sensistica dell’estetica.<br />
A una posizione di questo tipo si<br />
accosta invece Bubner, quando pone come<br />
garante della propria impostazione antimetafisica<br />
il richiamo al dato empirico, che si<br />
qualifica anzitutto come “storico”. Carchia<br />
avanza dei dubbi sulla congruenza di un<br />
così marcato richiamo al livello dell'empiria,<br />
e per di più storicamente determinata,<br />
nei confronti di un’impostazione che si<br />
vorrebbe trascendentale; al di là di ciò,<br />
importa comunque sottolineare come il richiamo<br />
alla concretezza della poiesis e<br />
delle fruizioni artistiche inserisca il soggetto<br />
estetico bubneriano in un ben diverso<br />
orizzonte rispetto a quello prefigurato da<br />
Kant, collocandolo nel luogo dell’intersecarsi<br />
delle pratiche storiche, cui fa riferimento<br />
anche Papi. Pur muovendo da una<br />
problematica e da categorie prettamente<br />
gnoseologiche, nel contesto della trattazione<br />
relativa al giudizio di gusto, Kant le<br />
rielabora radicalmente, osserva Bubner, ma<br />
tiene fermo a due fondamentali acquisizioni:<br />
l’identificazione dell’esperienza estetica<br />
con la «tensione fra contatto sensibile e<br />
operare creativo», e l’affermazione dell’eccedere<br />
dell’arte rispetto a ogni oggetto<br />
artistico, e dunque rispetto a ogni contenuto,<br />
a ogni significato particolare.<br />
A partire da queste stesse premesse, Papi<br />
mira a delineare una caratterizzazione del<br />
rapporto fra il lettore e il testo, in cui è<br />
escluso quel «lettore senza residui», che è<br />
tale in quanto possessore di un sapere della<br />
poesia. Questo modello di lettore è quello<br />
prefigurato da una concezione mimetica<br />
del linguaggio, dove l’elemento del significato<br />
acquisisce un rilievo specifico. In<br />
questa prospettiva, la lettura di un testo, di<br />
qualsiasi tipo esso sia, prevede da parte del<br />
lettore una decodificazione come prassi<br />
trasformativa, creatrice di significatività;<br />
qui «il lettore è alla fine un operatore epistemologico<br />
connesso con una comunità<br />
scientifica»: un accidente, se non un ostacolo,<br />
di fronte all’oggettività del significato.<br />
Sulla scorta della concezione di Hans<br />
Robert Jauss, il lettore “ricettivo” viene<br />
da Papi definito a partire dallo “scarto<br />
estetico”, cioè dalla distanza fra l’opera<br />
nuova e l’orizzonte di attesa preesistente.<br />
Tale scarto non è tematizzabile, non è cioè<br />
organizzabile nella forma di un sapere; è il<br />
luogo del “fraintendimento” (spogliando il<br />
termine da qualsivoglia caratterizzazione<br />
valutativa), il luogo dove viene meno ogni<br />
situazione comunicativa, dove non si dà<br />
conoscenza, poiché il significato, che non<br />
si oggettiva, non è ripetibile.<br />
La poesia, come sostiene Vittorio Sereni,<br />
al quale Papi dedica una parte consistente<br />
del proprio libro, non è però esauribile<br />
nella dimensione della comunicazione sociale<br />
e del significato: proprio perciò essa è<br />
“pratica immaginaria”. Le condizioni di<br />
verità della poesia non consistono nella<br />
fedeltà a un denotato, ma in quella al testo<br />
medesimo. La prossimità al testo poetico<br />
avviene dunque per Papi non nella “traduzione”,<br />
che prevede l’esistenza di un signi-
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
Friedrich Heinrich Jacobi, Immanuel Kant,<br />
l’antica Università di Jena,<br />
Karl Leonhard Reinhold, Johann Gottlieb Fichte<br />
40
Scritti kantiani di Jacobi<br />
Tre importanti scritti di Friedrich Heinrich<br />
Jacobi su Immanuel Kant sono<br />
oggi disponibili in traduzione italiana<br />
nel volume SCRITTI KANTIANI (a cura di G.<br />
Sansonetti, Morcelliana, Brescia 1992).<br />
Il primo, SULL’IDEALISMO TRASCENDENTA-<br />
LE, è in effetti la famosa appendice<br />
all’opera DAVID HUME E LA FEDE del 1787;<br />
il secondo è il noto trattato del 1801<br />
SULL’IMPRESA DEL CRITICISMO DI RICONDUR-<br />
RE LA RAGIONE ALL’INTELLETTO; il terzo, il<br />
più breve ma non meno significativo,<br />
SULL’INSCINDIBILITÀ DEL CONCETTO DI LIBER-<br />
TÀ E DI PROVVIDENZA DAL CONCETTO DI RA-<br />
GIONE del 1799.<br />
I testi, per la prima volta disponibili in<br />
lingua italiana, sono tradotti ed ampiamente<br />
introdotti da Giuliano Sansonetti, che,<br />
dopo aver premesso alcuni brevi cenni di<br />
biografia intellettuale, inquadrato la figura<br />
ed evidenziato l’importanza del pensiero di<br />
Friedrich Heinrich Jacobi nel suo tempo<br />
e nella sua storiografia filosofica dell’Ottocento<br />
e Novecento, fino agli studi più recenti,<br />
si sofferma a delineare e puntualizzare<br />
i motivi del serrato e lungo confronto di<br />
Jacobi con il pensiero di Spinoza e Kant.<br />
Tra i motivi specifici degli scritti jacobiani<br />
sulla filosofia di Kant, Sansonetti ricorda<br />
soprattutto la critica di Jacobi alla concenzione<br />
kantiana della conoscenza nel suo<br />
complesso, il rapporto tra “oggetto empirico”<br />
ed “oggetto trascendentale”, tra “fonomeno”<br />
e “cosa in sé”, ed infine - senza<br />
ritenere con questo esaurito il contenzioso<br />
tra Kant e Jacobi - la critica alla kantiana<br />
idealità del tempo e dello spazio.<br />
Giustamente Sansonetti mette in guardia il<br />
lettore dalla difficoltà di distinguere nella<br />
lettura dei testi proposti ciò che appartiene<br />
a Jacobi filosofo e critico. Altrettanto opportunamente<br />
fa notare anche come, di<br />
fronte alle tesi interpretative originali e alle<br />
proposte personali di sviluppo, svolte e<br />
presentate per di più con atteggiamenti<br />
fortemente critici, polemici e a volte sarcastici,<br />
sia difficile sfuggire all’impressione<br />
che Jacobi forzi il testo kantiano. Tuttavia,<br />
conclude Sansonetti, non si può altrettanto<br />
dire che egli non colga «il vero senso dell’opera<br />
kantiana». T.L.R.<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
Il vangelo kantiano<br />
Dal 6 al 29 gennaio <strong>1993</strong>, nella bella<br />
sala, appena restaurata, del Senato<br />
accademico della Friedrich-Schiller-<br />
Universität di Jena, si è tenuta una<br />
mostra straordinariamente interessante<br />
dal titolo: DAS KANTISCHE EVANGELIUM.<br />
DER FRÜHKANTIANISMUS AN DER UNIVERSI-<br />
TÄT JENA VON 1785 BIS 1800 UND SEINE<br />
VORGESCHICHTE, che documentava il<br />
primo impatto del kantismo a Jena.<br />
Tra le scoperte più interessanti risulta<br />
che una lezione sulla CRITICA DELLA RA-<br />
GION PURA era stata annunciata da<br />
Johann August Ubrich nel 1784 e da<br />
Erhard Schmid nel 1785.<br />
Che molte biblioteche e archivi nel territorio<br />
della ex Germania orientale e nelle<br />
nazioni dell’Europa orientale contengano<br />
libri e documenti utili a chiarire diversi<br />
momenti cruciali della storia dell’illuminismo<br />
tedesco è cosa risaputa, vista, in particolare,<br />
la notevole velocità con cui ebbe<br />
luogo, allora, sia attraverso i libri, sia attraverso<br />
la peregrinatio academica, la circolazione<br />
delle idee. Per avere un’idea delle<br />
dimensioni dell’area di cultura tedesca alla<br />
fine del Settecento basta uno sguardo all’utile<br />
volumetto di Konrad Schröder, Vorläufiges<br />
Verzeichnis der in Bibliotheken<br />
und Archiven vorhandenen Vorlesungsverzeichnisse<br />
deutschsprachiger Universitäten<br />
aus der Zeit vor 1945 (Saarbrücken 1964),<br />
un repertorio che raccoglie informazioni<br />
sulla collocazione attuale, nelle più diverse<br />
biblioteche europee, dei catalogi praelectionum<br />
di tutte le università di lingua tedesca<br />
prima del 1945. Nel caso particolare<br />
della diffusione della filosofia critica, si è<br />
trattato di un movimento da Est a Ovest,<br />
che dalla periferica Königsberg, capoluogo<br />
della più orientale delle provincie prussiane,<br />
ha portato le idee di Kant fin nel<br />
centro della Germania, prima tappa di un<br />
processo che avrebbe dato a Kant diffusione<br />
europea.<br />
Ora, che il kantismo avesse dapprima preso<br />
piede all’Università di Jena, l’Alma Salana,<br />
era ben noto, in particolare per via delle<br />
estreme conseguenze che dalle premesse<br />
kantiane avevano tratto una schiera di giovani<br />
pensatori allora attivi a Jena e i cui<br />
41<br />
nomi sono celebri: Karl Leonhard Reinhold,<br />
Friedrich Schiller, Johann Gottlieb Fichte,<br />
Wilhelm von Humboldt, Alexander von<br />
Humboldt, Friedrich Wilhelm Georg Hegel<br />
(citati secondo l’ordine del loro arrivo<br />
a Jena). Meno noto, ovvero del tutto ignoto,<br />
era che il supposto iniziatore del kantismo<br />
jenese, il viennese Reinhold, giunto a Jena<br />
nell’ottobre del 1787, che con i suoi Briefe<br />
über die Kantische Philosophie (del 1786 -<br />
documenti 51-53) aveva aperto gli occhi<br />
del grande pubblico sulla profondità e l’importanza<br />
della filosofia kantiana, si trovò<br />
davanti dei colleghi che non solo avevano<br />
compreso perfettamente la portata dei risultati<br />
raggiunti da Kant, ma addirittura li<br />
avevano già sperimentati con successo nelle<br />
loro lezioni. Ed è stato proprio muovendo<br />
dalla corrispondenza tra il filosofo Christian<br />
Gottfried Schütz (1747-1832 - allievo<br />
di Georg Friedrich Meier a Halle e direttore<br />
della celebre Allgemeine Literatur-Zeitung)<br />
e Kant - in particolare da un passo della<br />
lettera di Schütz a Kant del 20.9.1785, in<br />
cui si faceva menzione di una guida agli<br />
studi preparata da Schütz, a nome della<br />
facoltà filosofica della Salana, seguendo il<br />
«Suo [di Kant] progetto», ovvero riprendendo<br />
testualmente le pagine dell’Architettonica<br />
della ragion pura dedicate alla<br />
partizione della metafisica (KrV A 845 s.)<br />
- che è riuscito a Norbert Hinske e ai suoi<br />
colleghi jenesi, Erhard Lange e Horst<br />
Schröpfer, di rintracciare l’originale, stampato<br />
a Jena in mille copie nell’aprile 1785,<br />
con il titolo di Anweisung auf die zur philosophischen<br />
Facultät gehörigen Wissenschaften<br />
und deren Endzweck, Wichtigkeit<br />
und <strong>Studi</strong>um betreffend (documenti 5a-5b),<br />
e di cui né i curatori del corrispondente<br />
volume dell’epistolario kantiano, né Max<br />
Wundt, l’autore di un’ampia ricostruzione<br />
storica dedicata alla filosofia insegnata a<br />
Jena, nemmeno sospettavano l’esistenza.<br />
La ricerca sui documenti conservati presso<br />
l’Universitätsarchiv e la Thüringer Universitäts-und<br />
Landesbibliothek di Jena ha<br />
permesso ai curatori della mostra e del<br />
puntuale catalogo che l’accompagna, Das<br />
Kantische Evangelium. Der Frühkantianismus<br />
an der Universität Jena von 1785-<br />
1800 und seine Vorgeschichte. Ein Begleitkatalog<br />
(a cura di Norbert Hinske, Erhard<br />
Lange und Horst Schröpfer, Frommann-
Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt <strong>1993</strong>)<br />
di provare che i filosofi e i teologi jenesi<br />
non solo conobbero a fondo Kant e la sua<br />
filosofia, ma furono tra i primi in Germania<br />
(almeno due anni prima di Reinhold) a<br />
schierarsi - pur dopo accese discussioni - a<br />
fianco di Kant. Cosa che procurò loro lo<br />
scherno dei letterati di Weimar, Goethe,<br />
Herder e Schiller, cui la tradizione attribuisce<br />
la ripresa in senso ironico dell’espressione<br />
(introdotta da Reinhold) di “Vangelo<br />
kantiano” per indicare, appunto, la solida<br />
devozione kantiana degli jenesi.<br />
L’obiettivo principale della mostra consiste,<br />
dunque, nella precisa ricostruzione<br />
delle ripercussioni della rivoluzione kantiana<br />
sulla didattica e sullo sviluppo intellettuale<br />
dei dotti jenesi, ad esempio negli<br />
scritti di Johann August Ulrich (1746-<br />
1813), che fu (in assoluto) il primo ad<br />
occuparsi della logica trascendentale all’interno<br />
di un manuale di logica e metafisica,<br />
e dei teologi Ernst Jakob Danovius<br />
(1741-1782), Johann Jacob Griesbach<br />
(1745-1812) e Johann Christoph Doederlein<br />
(1746-1792), che decisero di applicare<br />
la kantiana dottrina del metodo alla<br />
teologia; come pure, senza dimenticare il<br />
coetaneo Johann Gottlieb Fichte (1761-<br />
1814), negli scritti del filosofo Carl Christian<br />
Erhard Schmidt (1761-1812), che<br />
con una nutrita serie di manuali e glossari<br />
si impegnò efficacemente nella diffusione<br />
della filosofia critica; e inoltre, cambiando<br />
facoltà, nel kantismo professato dal professore<br />
di medicina Christoph Wilhelm<br />
Hufeland (1762-1836) e dai giuristi Paul<br />
Johann Anselm Feuerbach (1775-1833),<br />
Gottlieb Hufeland (1760-1817) e Anton<br />
Friedrich Justus Thibaut (1772-1840).<br />
La mostra vuole essere un chiaro segno<br />
della vitalità della ricerca storico-filosofica<br />
che si svolge oggi a Jena: per le ricerche<br />
sulla storia della filosofia nell’aetas-kantiana<br />
- specialmente dopo la perdita dei<br />
documenti conservati a Königsberg - Jena<br />
risulta essere uno dei luoghi di maggiore<br />
rilievo nazionale e internazionale. R.P.<br />
La logica di Leibniz<br />
Anche se non si tratta, nella loro totalità,<br />
di prime traduzioni, appare opportuno<br />
segnalare la nuova edizione<br />
di due raccolte di scritti di Gottfried<br />
Wilhelm Leibniz: la seconda edizione<br />
riveduta, aggiornata e ampliata dell’antologia<br />
di SCRITTI DI LOGICA (a cura di<br />
Francesco Barone, Laterza, Roma-Bari<br />
1992) e la ‘CONFESSIO PHILOSOPHI’ E ALTRI<br />
SCRITTI (a cura di Francesco Piro, Cronopio,<br />
Napoli 1992).<br />
Non è inopportuno l’accostamento degli<br />
Scritti di logica di Gottfried Wilhelm<br />
Leibniz alla nuova traduzione di un testo<br />
giovanile del filosofo tedesco, la Confessio<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
philosophi, accompagnata da tre scritti che<br />
appaiono a essa contigui dal punto di vista<br />
di uno sviluppo delle tematiche teologiche<br />
e metafisiche in essa contenute. Come sostiene<br />
Francesco Barone nella nuova premessa<br />
e nel saggio introduttivo agli scritti<br />
logici, è da rivedere, e forse da rovesciare,<br />
la celebre tesi di Louis Couturat, che per<br />
primo ha rivalutato, agli inizi del Novecento,<br />
l’opera logica di Leibniz, attribuendo<br />
proprio ad essa la determinazione della<br />
prospettiva metafisica del filosofo. Al contrario,<br />
sostiene Barone, è la concezione<br />
metafisica a condizionare non solo la trattazione<br />
leibniziana della sillogistica, ma<br />
anche le ricerche logico-matematiche relative<br />
al calcolo infinitesimale: «la formalità<br />
degli schemi logici è concepita in funzione<br />
di una dottrina ontologica». Non il principio<br />
logico del carattere analitico della verità,<br />
ma quello metafisico della costituzione<br />
delle “caratteristiche”, e di un “calcolo”,<br />
come chiave di penetrazione all’articolazione<br />
ontologica del reale rappresentano,<br />
secondo Barone, il movente determinante<br />
della riflessione leibniziana. Ciò accade,<br />
osserva ancora Barone, perché con Leibniz,<br />
che appartiene al periodo in cui si<br />
afferma la distinzione fra filosofia e scienza,<br />
la distinzione medesima non si è consumata<br />
come frattura. Proprio questo aspetto<br />
è quello che ha probabilmente nuociuto<br />
alla diffusione degli scritti logici, la cui<br />
riscoperta teoretica appartiene agli inizi del<br />
nostro secolo. Così nella questione della<br />
teodicea, intesa come tentativo di conciliare<br />
bontà di Dio, libertà dell’uomo e origine<br />
del male, ovvero nella questione della giustizia<br />
di Dio, centrale nella Confessio philosophi,<br />
più che di commistione di elementi<br />
logici e elementi metafisici, occorre<br />
parlare di un percorso filosofico che, con<br />
la guida di un metodo definitorio che ha la<br />
sua più propria applicazione nelle ricerche<br />
logico-matematiche, si snoda qui a dipanare<br />
le matasse che avvolgono tematiche<br />
tradizionalmente ascritte a teologia e metafisica.<br />
Relativamente alle questioni del peccato e<br />
del libero arbitrio, come nota Francesco<br />
Piro nella postfazione alla Confessio philosophi,<br />
la velata accusa mossa alle formulazioni<br />
tradizionali di questi problemi consiste,<br />
da parte di Leibniz, nella loro ambiguità.<br />
In questo testo, un dialogo tra un<br />
filosofo e un teologo, per risolvere le questioni<br />
poste dal secondo il primo procede,<br />
infatti, secondo il metodo definitorio, a<br />
partire dal principio di ragion sufficiente,<br />
secondo il quale nihil est sine ratione. Data<br />
per accertata l’esistenza del male nel mondo,<br />
essa comporterebbe allora l’esistenza<br />
del male in Dio come sua causa; ma Leibniz<br />
sfugge a tale conclusione, riesumando<br />
la distinzione, già altomedioevale, tra esistenza<br />
necessaria ed esistenza contingente<br />
come coincidenza nella prima, in quanto<br />
causa sui, di essentia ed existentia. Dal<br />
punto di vista logico, l’esistenza necessaria<br />
indica quella il cui contrario deve essere<br />
42<br />
pensato come contraddittorio, a differenza<br />
di quanto accade per l’esistenza contingente.<br />
Dal punto di vista ontologico, il male<br />
viene deprivato della sua sostanzialità; dal<br />
punto di vista etico, la tendenza a esso si<br />
presenta come errore; come deficienza, cioè,<br />
della volontà, dovuta alla debolezza dell’individuo<br />
e della sua libertà.<br />
L’intersecarsi dei vari piani dell’indagine<br />
filosofica, che si riscontra nella prospettiva<br />
leibniziana, così ben evidente nella Confessio<br />
philosophi, appare anche nella raccolta<br />
di scritti logici curata da Barone:<br />
“scritti logici” che, come nota il curatore<br />
stesso, secondo l’accezione del termine<br />
“logico” valida agli inizi del nostro secolo,<br />
avrebbe potuto comprendere quasi tutta la<br />
produzione “filosofica” di Leibniz. Con<br />
Husserl, Russell e Couturat, l’idea di una<br />
mathesis universalis come perno della riflessione<br />
leibniziana, e quindi la tesi di un<br />
carattere pervasivo dell’interesse logico nel<br />
filosofo, prende il sopravvento sull’interpretazione<br />
“metafisica” del suo pensiero,<br />
che si era imposta nel corso di Settecento e<br />
Ottocento. Nel Novecento, l’evoluzione<br />
formalistica della logica da un lato, e la<br />
rivalutazione di ascendenze mistico-religiose<br />
(nonché platonico-cabalistiche) del<br />
pensiero di Leibniz dall’altro, hanno mutato<br />
i termini della questione per come essa si<br />
poneva agli inizi del secolo, comportando<br />
il divaricarsi del settore disciplinare che è<br />
oggi di pertinenza della logica da molta<br />
parte della riflessione leibniziana, respinta<br />
nel settore della metafisica. In questa situazione,<br />
d’altra parte, “ciò che è vivo” dell’esplicita<br />
commistione leibniziana tra logica<br />
e metafisica consiste, a parere di Barone,<br />
nell’ «esigenza propriamente filosofica»;<br />
l’esigenza, cioè, di prendere in seria<br />
considerazione il portato ontologico di<br />
un’impostazione della logica che troppo<br />
spesso, pretendendo di trincerarsi nello<br />
specialismo tecnico-formale, rischia, a differenza<br />
di quanto accade in Leibniz, di<br />
rappresentare una convalida a posteriori di<br />
presupposizioni ontologiche, non chiaramente<br />
esplicitate né discusse. F.C.<br />
Baruch Spinoza:<br />
un’attualità perenne<br />
Pierre Macherey, allievo di Althusser e<br />
professore alla Sorbona, ha recentemente<br />
dato alle stampe un volume dal<br />
titolo: AVEC SPINOZA (Dalla parte di Spinoza,<br />
PUF, Parigi 1992), che raccoglie<br />
una dozzina di studi su Baruch Spinoza,<br />
già comparsi, a diverso titolo, in<br />
riviste specializzate. Introduce l’opera<br />
un saggio inedito di Macherey, che fa<br />
il punto sullo “stato” della letteratura<br />
critica sul filosofo e sulle attuali tendenze<br />
dello spinozismo.<br />
Considerando sintomatico l’isolamento
di cui gode la filosofia di Spinoza all’interno<br />
della Fenomenologia dello Spirito<br />
hegeliana, la più compiuta sistematizzazione<br />
del sapere filosofico, Pierre Macherey<br />
ne fa un titolo di merito. Dal<br />
momento che non si risolvono in un<br />
sistema chiuso e coerente, le “idee” di<br />
Spinoza invitano ad una lettura aperta,<br />
sollecitano ad una comprensione dinamica<br />
che ne evidenzi le potenzialità autonome<br />
di sviluppo. Il corpus dell’opera<br />
diventa pertanto indissociabile dal commentario<br />
critico che l’accompagna; assieme<br />
costituiscono gli anelli di una catena<br />
che a ben vedere è già contenuta “in<br />
potenza” nello svolgimento del testo, in<br />
ragione del fatto che non è dato il contenuto<br />
del pensiero di Spinoza. Più propriamente<br />
Macherey parla di un vuoto,<br />
di «una potenza infinita che non può<br />
essere altro che la potenza dell’intelletto<br />
in sé. E’ per questo che Spinoza può dire<br />
che la propria filosofia è onnipotente,<br />
perché è la vera filosofia». Filosofia dunque<br />
che non pone contenuti, ma che<br />
insegna una pratica del pensiero, orientata<br />
verso la ricerca indefinita della comprensione<br />
del reale. Questa caratterizzazione<br />
“metodologica” in divenire garantisce<br />
l’attualità filosofica di Spinoza, le<br />
cui tracce sono ricercate nelle filosofie<br />
di pensatori ormai classici, quali Hobbes,<br />
Pascal, Condillac, come pure nei<br />
percorsi di pensiero dei contemporanei:<br />
Russel, Foucault, Adorno fino a Deleuze<br />
e Negri. Conclude l’autore di Avec Spinoza,<br />
che «ciò che è certamente al centro<br />
dell’impegno spinoziano è la sua inesauribile<br />
fecondità, la sua attitudine a generare<br />
continuamente nuove forme di pensiero».<br />
Per rispondere alla domanda circa le<br />
fondamenta culturali e filosofiche su cui<br />
riposa la “permanente attualità” del pensiero<br />
spinoziano, Macherey evidenzia la<br />
presenza di due tradizioni, che si incontrano<br />
e si scontrano senza assorbirsi: da<br />
una parte una spiritualità «arcaica», che<br />
viene al filosofo di Amsterdam dalle sue<br />
origini ebraiche, e dall’altra la filosofia<br />
cartesiana; due polarità inconciliabili,<br />
che Spinoza si rifiutò sempre di sintetizzare<br />
in un sistema di pensiero unificato.<br />
«Ciò che nella sua epoca ha caratterizzato<br />
Spinoza - afferma Macherey - fu appunto<br />
questa “anomalia”: la combinazione<br />
di arcaismo e avanguardia, che<br />
egli realizzò facendo reagire questi elementi<br />
l’uno sull’altro e conferendo al<br />
suo pensiero un carattere eccezionale,<br />
spostato, o addirittura, con una formula<br />
di Hegel, “declassato”». E.N.<br />
Arte oratoria<br />
Da alcuni anni si assiste al recupero e<br />
alla rivalutazione della retorica non<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
solo - o non tanto - come “arte” finalizzata<br />
alla persuasione, ma anche - e<br />
soprattutto - come scienza del discorso<br />
in senso metalinguistico e metaletterario.<br />
Non mi riferisco soltanto<br />
alla ripresa (ormai “storica”) degli studi<br />
retorici a opera di Lausberg, di Florescu,<br />
di Perelman e Olbrechts-Tyteca,<br />
del “Gruppo µ” ecc.; né alludo<br />
solamente alla vasta letteratura concernente<br />
la metafora. Penso piuttosto<br />
all’interesse per la retorica sia da<br />
parte di quel ramo della linguistica<br />
che va sotto il nome di “linguistica del<br />
testo” o “discourse analysis”, sia da<br />
parte di alcuni studiosi che - specialmente<br />
in Spagna - si occupano di<br />
teoria della letteratura o di poetica,<br />
come ad esempio A. Garcia Berrio, T.<br />
Albaladejo Mayordomo, ecc.. All’interno<br />
di questa attuale rivalutazione<br />
della retorica si colloca anche l’edizione<br />
italiana dell’opera di John Ward,<br />
SISTEMA DI ARTE ORATORIA 1759 (introduzione,<br />
traduzione, note ed excursus<br />
di Roberto Salvucci, Edizioni QuattroVenti,<br />
Urbino 1992).<br />
Figura eclettica, quella di John Ward.<br />
Nato a Londra nel 1679, ricoprì la cattedra<br />
di retorica al Gresham College di Londra e<br />
fu membro di varie associazioni, fra cui la<br />
“Royal Society”); fu inoltre curatore del<br />
British Museum. La curiosità culturale di<br />
Ward fu ampia: si interessò di letteratura,<br />
storia, giurisprudenza, religione, economia,<br />
filosofia, musica, ecc. Morì nel 1758. La<br />
sua opera fondamentale, A System of Oratory<br />
(Sistema di arte oratoria), apparve<br />
postuma, in due volumi, nel 1759. Come<br />
precisa Roberto Salvucci nella sua dettagliata<br />
“Introduzione”, in cui viene ricostruita<br />
la complessa personalità di Ward e la<br />
sua concezione della retorica, il System of<br />
Oratory è suddiviso in 54 lezioni e la sua<br />
idea-guida «è che l’arte oratoria teorizzata<br />
dai classici può essere ancora utilmente<br />
frequentata dagli uomini intraprendenti ed<br />
attivi della società contemporanea».<br />
Opponendosi alla “letteraturizzazione”<br />
della retorica, Ward studia e assimila i<br />
modelli classici attraverso la lezione umanistico-rinascimentale.<br />
La posizione assunta<br />
da Ward nei confronti della retorica lo<br />
portava a considerare questa scienza in<br />
relazione con la società: in un periodo<br />
storico in cui i valori di onore, giustizia e<br />
onestà «si vengono sempre più oscurando a<br />
scapito del profit of interest, Ward invita il<br />
suo uditorio - osserva Salvucci - ad esercitare<br />
l’eloquenza, nelle assemblee, affinché<br />
le deliberazioni concernano sempre ciò che<br />
sia both good and profitable, ossia buono e<br />
utile». Una concezione della retorica e dell’oratoria,<br />
questa, che si potrebbe definire<br />
etico-pragmatica e che derivava anche dal<br />
profondo interesse di Ward per la storia,<br />
soprattutto per la “storia civile”: la storia<br />
(civile) «è una narrazione di quegli eventi<br />
che sono adatti ad essere trasmessi ai poste-<br />
43<br />
ri per l’utilità degli uomini e per una migliore<br />
condotta della vita umana». Del resto,<br />
Ward si dimostra pienamente razionalista<br />
quando afferma che «il fondamento di<br />
un buon stile risiede principalmente nel<br />
buon senso» e che lo stile si fa «più corretto<br />
e vigoroso» se fra le idee si realizza una<br />
stretta connessione: «Quando le idee si<br />
distendono con linearità [...] nella mente,<br />
le esprimiamo con facilità e nella loro<br />
giusta connessione e dipendenza; ma, quando<br />
sono avviluppate e tortuose, le esprimiamo<br />
con pena e difficoltà, come pure in<br />
modo disordinato».<br />
Sul problema della chiarezza espressiva<br />
Ward ritorna più volte. Ora, se alla base di<br />
tutto ciò - come sottolinea Salvucci - stanno<br />
Cicerone e Quintiliano, è possibile anche<br />
vedere in Ward certe anticipazioni delle<br />
famose “massime” di Grice (soprattutto<br />
quella che riguarda il “modo”). Questo<br />
riferimento a Grice ci riporta a quanto detto<br />
all’inizio sul rapporto fra retorica e discourse<br />
analysis. Infatti, al pari di Grice,<br />
anche Ward pone l’accento sulla conversazione,<br />
sul dialogo e sul rapporto fra questi<br />
e la scrittura. Afferma Ward: «Poiché il<br />
fine del parlare è la conversazione, nessun<br />
genere di scrittura può essere più naturale<br />
del dialogo in cui si esprime la conversazione.<br />
[...] La materia del dialogo è estremamente<br />
ampia, dal momento che tutto ciò<br />
che è argomento appropriato di un discorso,<br />
pubblico o privato, serio o scherzoso;<br />
tutto ciò su cui uomini saggi e prudenti<br />
possono parlare per realizzare un progetto<br />
o per divertimento, è adeguato ad un dialogo».<br />
A parte, ancora una volta, il naturale<br />
taglio etico (ma qui anche edonistico) di<br />
questo brano, come non vedervi quasi anticipati<br />
il concetto di Textsorten e l’importanza<br />
dell’impromptu speech? Corredata, a<br />
cura di Salvucci, di tre ampi excursus su<br />
Sofistica e Oratoria, sull’analisi delle forme<br />
argomentative condotta da Ward e,<br />
infine, sulla grandezza e corruzione dell’ars<br />
oratoria, quest’opera si dimostra una<br />
miniera di osservazioni, spunti, suggerimenti,<br />
provocazioni ed esempi, utili al lettore<br />
moderno non solo per costruire discorsi<br />
corretti ed efficaci, ma anche per istituire<br />
un rapporto razionale e costruttivo con la<br />
società in cui vive. L.V.<br />
Petrarca e la medicina<br />
Lo studio di Klaus Bergdolt: ARZT,<br />
KRANKHEIT UND THERAPIE BEI PETRARCA. DIE<br />
KRITIK AN MEDIZIN UND NATURWISSENSCHAF-<br />
TEN IM ITALIENISCHEN FRÜHHUMANISMUS<br />
(Medico, malattia e terapia in Petrarca.<br />
La critica della medicina e delle<br />
scienze della natura nel primo umanesimo<br />
italiano, VGH, Acta humaniora,<br />
Weinheim 1992) presenta un aspetto<br />
poco noto della figura di Petrarca: la<br />
sua critica alla medicina dell’età della
scolastica.<br />
In uno studio dettagliato ed erudito, corredato<br />
da un fitto apparato di note, Klaus<br />
Bergdolt analizza passaggi fondamentali<br />
dei trattati e delle lettere di Petrarca in<br />
relazione al problema del suo rapporto con<br />
la medicina scolastica dell’epoca. In alcuni<br />
capitoli dell’opera si trovano materiali e<br />
osservazioni su ambiti eccentrici rispetto al<br />
tema del libro, come ad esempio un excursus<br />
sulla teoria dell’arte sviluppatasi nell’ambiente<br />
dell’Università di Padova o<br />
un’altro sull’Università di Montpellier.<br />
Alcuni aneddoti sulla vita di Petrarca e sul<br />
suo rapporto personale con la malattia costituiscono<br />
momenti di intrattenimento, in<br />
un’opera altrimenti ispirata ai criteri dello<br />
studio accademico e filologico. E’ il caso di<br />
una lettera inviata nell’inverno 1370 dal<br />
poeta al suo medico Giovanni Dondi; al di<br />
là dell’aneddoto la lettera è indice di un<br />
atteggiamento introspettivo di Petrarca e<br />
del suo tentativo di stabilire un rapporto<br />
con la propria malattia. Il poeta, febbricitante,<br />
scrive al proprio medico per non<br />
sentire la febbre, per indirizzare la propria<br />
attenzione, attraverso l’attività della scrittura,<br />
in un’altra direzione. L’atteggiamento<br />
scettico di Petrarca rispetto alla medicina<br />
dell’epoca si mostra qui attraverso il<br />
filtro della sua esperienza personale: al<br />
medico che lo aveva messo in guardia<br />
rispetto a presunti effetti dannosi, per un<br />
febbricitante, dell’acqua di fonte, della frutta<br />
fresca e del digiuno, egli risponde smontando<br />
inesorabilmente le sue argomentazioni.<br />
Petrarca aveva del resto altre ragioni<br />
per dubitare della medicina scolastica. La<br />
peste del 1348 gli aveva portato via numerosi<br />
amici, ma soprattutto gli aveva tolto<br />
Laura, donna da lui amata e musa ispiratrice<br />
della sua poesia. Dopo la morte di Laura<br />
la smisurata delusione di Petrarca si sfoga<br />
nelle Invectivae, con cui il poeta si scaglia<br />
contro il medico personale del papa Clemente<br />
VI e ridicolizza i medici formatisi<br />
tra le sottigliezze della retorica e della<br />
logica scolastiche. Si può così comprendere<br />
come all’arroganza di tali medici Petrarca<br />
contrapponesse quel senso della finitezza<br />
umana che si esprime anche nella<br />
sua lirica. M.M.<br />
Gassendi fra epicureismo<br />
e cristianesimo<br />
Dopo un’assenza di quasi trecento anni<br />
ricompaiono nelle librerie francesi i<br />
sette volumi dell’ABRÉGÉ DE LA PHILO-<br />
SOPHIE DE GASSENDI (Compendio della<br />
filosofia di Gassendi, Fayard, Paris<br />
1992) di François Bernier in una edizione<br />
curata da Sylvia Murr e Geneviève<br />
Stefani. L’opera è il risultato visibile<br />
dell’impulso alla ricerca prodotto dal<br />
riaccendersi dell’interesse per la figura<br />
e il pensiero di Gassendi, di cui è<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
un’ulteriore conferma la recente fondazione<br />
della Société internationale<br />
d’études gassendiennes e dall’inaugurazione<br />
del Centre d’études gassendiennes<br />
a Digne dove, nel 1592,<br />
nasceva Pierre Gassendi.<br />
François Bernier, medico, viaggiatore,<br />
uomo di lettere amico di Racine, La<br />
Fontaine e Boileau, a vent’anni dalla<br />
morte di Gassendi (1655), si propose di<br />
diffonderne il pensiero attraverso<br />
un’opera di volgarizzazione. Il Compendio<br />
si presenta quindi come un’esposizione<br />
in lingua francese e in forma “alleggerita”<br />
della filosofia di Gassendi,<br />
classicamente tripartita in Logica, Fisica<br />
e Morale. Il materiale è per lo più<br />
attinto dal Syntagma philosophicum, nel<br />
quale Gassendi aveva esposto la sua rielaborazione<br />
della concezione epicurea,<br />
nella ricerca di un accordo con la rivelazione<br />
cristiana. L’opera, rimasta incompiuta<br />
e pubblicata postuma, di fatto testimonia<br />
soltanto l’ultima fase del pensiero<br />
del suo autore; è inevitabile allora<br />
domandarsi fino a che punto la versione<br />
di Bernier offra una autentica visione<br />
d’insieme della posizione di Gassendi,<br />
anche se indubbiamente risveglia la curiosità<br />
nei confronti di un pensiero dagli<br />
aspetti così difficilmente conciliabili.<br />
Un uomo di chiesa che si occupa di<br />
astronomia e si dice grande ammiratore<br />
di Galileo proprio quando il Sant’Uffizio<br />
condanna la teoria copernicana come<br />
eretica può sembrare contraddittorio; ma<br />
può anche darsi che Gassendi fosse un<br />
prete dalla mentalità eccezionalmente<br />
aperta. Non meno arduo fu armonizzare<br />
religione cristiana ed epicureismo, dove<br />
l’equivocità del compromesso è comprovata<br />
dalla simpatia che per Gassendi<br />
ebbero i libertini e gli illuministi. L’influenza<br />
di Montaigne, e soprattutto quella<br />
di Charron, orientarono Gassendi verso<br />
una posizione empirico-scettica che ne<br />
fece un polemico oppositore tanto dell’aristotelismo<br />
e del cartesianesimo<br />
quanto dell’indirizzo magico-occultista.<br />
Contro l’atteggiamento dogmatico dei<br />
primi e quello irrazionalistico dei secondi,<br />
il dubbio scettico e il successivo richiamo<br />
all’esperienza furono comunque<br />
finalizzati al tentativo di salvare dallo<br />
scetticismo la conoscenza scientifica,<br />
anche se il prezzo da pagare fu l’incrinarsi<br />
di qualsiasi pretesa fondazionistica<br />
del sapere scientifico da parte della<br />
metafisica. Allo stesso modo fu il valore<br />
epistemologico riconosciuto alle allora<br />
recenti esperienze della fisica nascente,<br />
unito ad un’esigenza di rigore e di plausibilità,<br />
che portò Gassendi ad abbrac-<br />
44<br />
ciare le tesi dell’atomismo di Epicuro.<br />
Così il dogma della rivelazione, accettato<br />
senza riserve, lungi dal costituire un<br />
ostacolo, permetteva di rinunciare ad<br />
ogni giustificazione razionalistica, delimitando<br />
contemporaneamente la sfera<br />
del conoscibile alla quale l’uomo poteva<br />
accedere con la “nuova scienza”. M.V.<br />
Carteggio Freud-Binswanger<br />
Stima e affetto profondi e reciproci<br />
legavano Sigmund Freud e Ludwig<br />
Binswanger in un rapporto non privo<br />
di tratti “edipici”. Sul piano teorico<br />
Freud fu però diffidente rispetto alla<br />
possibilità di fondare filosoficamente<br />
la prassi analitica, come invece intendeva<br />
fare Binswanger, riferendosi<br />
soprattutto a Heidegger. La recente<br />
pubblicazione, con il titolo di BRIEFWE-<br />
CHSEL 1908-1938 (a cura di Gerhard<br />
Fichtern, Fischer, Frankfurt a. M. 1992),<br />
del carteggio tra il padre della psicoanalisi<br />
e il fondatore della “Daseinsanalyse”<br />
può aiutare a chiarire e comprendere<br />
aspetti umani e controversie<br />
scientifiche di tale rapporto.<br />
Il primo incontro tra Sigmund Freud e<br />
Ludwig Binswanger avviene nel 1907,<br />
quando Binswanger, allora giovane medico,<br />
accompagna a Vienna Carl Gustav Jung<br />
e sua moglie. Le caratteristiche emotive di<br />
tale incontro appaiono subito ben delineate.<br />
All’epoca, il rapporto del giovane Binswanger<br />
con il padre si poneva sotto il<br />
segno del principio di realtà; il padre rappresentava<br />
la “legge” e l’esempio da seguire<br />
nell’obbedienza: prima intraprendendo<br />
la carriera di medico, poi l’attività di psichiatra<br />
e in seguito quella di direttore del<br />
celebre sanatorio Bellevue di Kreuzlinger.<br />
Al contrario, Freud appare come una sorta<br />
di “padre ideale”, capace di guidare intellettualmente<br />
il figlio e al tempo stesso di<br />
assistere, senza interferire, all’individuazione<br />
da parte di questi di una propria<br />
strada nella vita e nella scienza. Che si<br />
trattasse di un’idealizzazione, fu poi confermato<br />
dallo sviluppo di tale rapporto, e<br />
dallo scetticismo (per non dire dalla disapprovazione)<br />
di Freud rispetto al tentativo di<br />
Binswanger di trasformare la psicoanalisi<br />
in Daseinsanalyse, analisi esistenziale,<br />
basandosi sulla filosofia dell’”esserci” elaborata<br />
da Heidegger in Essere e tempo.<br />
Il carteggio offre la testimonianza di una<br />
tendenza all’autoillusione da parte di Binswanger<br />
circa la disponibilità di Freud ad<br />
accettare tale inversione di rotta verso la<br />
filosofia: così, annunciando in una lettera a<br />
Freud del 1922 la pubblicazione della sua<br />
Allgemeine Psychologie (Psicologia generale),<br />
Binswanger si dichiara persuaso «di<br />
tendere, attraverso una via concettuale, allo<br />
stesso scopo a cui [Freud] si [era] tanto<br />
avvicinato attraverso una via empirica,<br />
quella cioè di creare una base per la conoscenza<br />
psicologica dell’uomo». Freud, di
formazione mediconaturalistica (e filosoficamente<br />
simpatizzante per Schopenhauer),<br />
era però in parte diffidente, in<br />
parte estraneo alle sistematizzazioni filosofiche<br />
e ai tentativi di fissare in concetti la<br />
ricerca empirica e il concreto lavoro analitico<br />
e interpretativo. Così, dopo la lettura di<br />
alcuni capitoli della Allgemeine Psychologie,<br />
Freud risponde a Binswanger, esprimendo<br />
il dubbio che egli possa riuscire nel<br />
suo tentativo, facendo a meno dell’inconscio,<br />
e chiedendosi se il più giovane collega<br />
non sia stato preso dagli artigli del “diavolo<br />
filosofico”. In questo contesto si potrebbe<br />
domandarci se anche il termine “inconscio”<br />
non rinvii a una dimensione di concettualizzazione<br />
filosofica, o quantomeno<br />
a una fissazione concettuale dei risultati di<br />
quell’esperienza sui generis che è la prassi<br />
analitica. Una tale domanda circa il senso<br />
dell’inconscio è stata posta, in un ambito,<br />
quello fenomenologico, non distante dalle<br />
preoccupazioni della Daseinsanalyse, da<br />
Eugen Fink. Non si conosce la risposta di<br />
Binswanger alla lettera in questione di<br />
Freud. In questo caso il curatore del carteggio<br />
rinvia, in una nota, all’anno 1956, quando,<br />
nelle sue Erinnerungen an Sigmund<br />
Freud (Ricordi di Sigmund Freud), Binswanger<br />
rifiuta la critica di aver rinunciato<br />
al concetto di inconscio, affermando di<br />
avere invece «trasformato, ampliato e approfondito»<br />
tale problema: attraverso il<br />
metodo della Daseinsanalyse la secca contrapposizione<br />
tra conscio e inconscio passa<br />
infatti a suo parere in secondo piano, a<br />
vantaggio di una descrizione delle modalità<br />
concrete dell’”essere-nel-mondo”.<br />
Nel carteggio gli aspetti scientifici del rapporto<br />
Freud-Binswanger si intrecciano a<br />
quelli privati. Qui emergono, in particolare,<br />
alcuni aspetti “profondi” della personalità<br />
di Binswanger. Si vedano, ad esempio,<br />
alcuni passi delle lettere del periodo successivo<br />
alla morte del figlio maggiore<br />
(1929), nel quale Binswanger vedeva un<br />
predestinato ed eletto prosecutore della<br />
propria attività scientifica e terapeutica. In<br />
occasione del suo cinquantesimo compleanno,<br />
Binswanger annota nelle pagine del<br />
suo diario: «Gli amici mi augurano una<br />
buona seconda metà di secolo. Per me<br />
questo augurio è ovvio, tanto mi sento<br />
giovane e pieno di progetti, come se stessi<br />
per iniziare una seconda vita con Bobi in<br />
me. Il dolore appartiene al pieno vivere».<br />
Interessanti sono anche quelle parti del<br />
carteggio che illuminano aspetti della nevrosi<br />
delle classi agiate che frequentavano<br />
lo studio di Freud e la casa di cura diretta da<br />
Binswanger, mettendo al tempo stesso in<br />
luce quello che all’epoca appariva uno dei<br />
tratti più “scandalosi” della psicoanalisi: il<br />
porre la famiglia all’origine dei disturbi<br />
nevrotici. Gli individui appartenenti a questo<br />
“pubblico” borghese che, più che del<br />
lettino di Freud avevano bisogno di assistenza<br />
e di osservazione, vengono sottoposti,<br />
nella lussuosa casa di cura binswangeriana<br />
sul lago di Costanza, a trattamenti che<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
Terzo congresso pisocoanalitico internazionale,<br />
al centro Sigmund Freud, secondo da sinistra Ludwig Binswanger;<br />
nella foto sotto, Sigmund Freud nel 1931<br />
45
appartengono oggi alla preistoria della psicoterapia<br />
e della psicoanalisi: bagni, somministrazione<br />
di bromuro, lavoro manuale<br />
e movimento. Tutto ciò con il consenso<br />
critico di Freud, che sovrintendeva da lontano<br />
alla formazione del giovane allievo,<br />
ben diversa, in anni pionieristici della psicoanalisi,<br />
da quella attuale fondata sull’analisi<br />
didattica. M.M.<br />
Althusser: diario di prigionia<br />
La recente traduzione del primo volume<br />
della biografia di Louis Althusser<br />
(L’AVVENIRE DURA A LUNGO, Guanda, Milano<br />
1992) ha riproposto all’attenzione<br />
del pubblico italiano la figura contrastata<br />
di uno dei più problematici<br />
“maître à penser” degli anni ’70. Per<br />
la preparazione di quest’opera, Yeann<br />
Moulier Boutang, il suo biografo,<br />
è andato a cercare nei cospicui fondi<br />
dell’IMEC (Institut des Memoires de<br />
l’Edition Française) il diario di prigionia<br />
di Althusser, che copre il periodo<br />
in cui il filosofo era recluso nei lager<br />
nazisti, offrendolo alle stampe con il<br />
titolo: JOURNAL DE CAPTIVITÉ. STALAG XA,<br />
1940-1945 (Diario di prigionia. Stalag<br />
XA, 1940-45, a cura di Olivier Corpet e<br />
Yeann Moulier Boutang, IMEC/Stock,<br />
Paris 1992).<br />
Esperienza incancellabile, vissuta nel “tempo<br />
immobile” del campo di concentramento,<br />
che Louis Althusser ventenne registra<br />
con dolorosa disciplina in questi quaderni,<br />
riprodotti nel manoscritto dai curatori. La<br />
funzione di cronista dello Stalag di Schleswig<br />
gli era stata affidata dalla benevolenza<br />
degli altri reclusi a causa delle sue cattive<br />
condizioni di salute; è dunque nell’agio,<br />
del tutto relativo, di questo compito che<br />
Althusser ha il tempo di scrivere e di studiare:<br />
Pascal, Goethe, Hölderlin, Rilke, La<br />
Bruyère sono i compagni d’elezione, la cui<br />
frequentazione si lascia percepire nei brevi<br />
saggi, nelle poesie e negli aforismi presenti<br />
in questi fogli diaristici. Per chi intenda<br />
ripercorrere la biografia intellettuale del<br />
filosofo, questi diari rappresentano un<br />
momento fondamentale del percorso di<br />
Althusser, rafforzando la tesi di Boutang<br />
che afferma l’esistenza di una linea di continuità<br />
tra le posizioni cattoliche conservatrici<br />
di Althusser da giovane e le posizioni<br />
marxiste radicali dei suoi anni maturi. Una<br />
continuità intellettuale e morale che il biografo<br />
accredita in sede storica, evidenziando<br />
un percorso che va dal cristianesimo<br />
cattolico al comunismo.<br />
Più modestamente l’interesse biografico di<br />
questi scritti è quello di contribuire alla<br />
messa a fuoco della personalità complessa<br />
di Alhusser: il movimento pendolare tra<br />
disperazione e lucidità intellettuale, il tentativo<br />
di dare argini razionali al senso di<br />
negazione della sua esperienza di recluso.<br />
Tutto ciò si raccoglie nell’intento d’inven-<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
tare una scrittura per resistere al presente<br />
immobile del campo di concentramento, di<br />
trasformare un’esperienza di negazione in<br />
un’occasione di formazione, sapendo che<br />
rimarrà ineliminabile «il lento oscuramento<br />
interiore che sento scendere su di me».<br />
Vale leggere queste pagine anche come<br />
testimonianza aperta di un’esistenza contesa<br />
tra volontà di cercare una disciplina<br />
filosofica e il buio della follia. E.N.<br />
Heidegger e il sofista<br />
Prosegue la pubblicazione, nella GE-<br />
SAMTAUSGABE heideggeriana, dei testi<br />
delle lezioni universitarie del filosofo:<br />
è ora la volta del corso sul “Sofista”<br />
platonico, PLATON: SOPHISTES (Gesamtausgabe.<br />
II Abteilung: Vorlesungen<br />
1919-1944, vol. XIX, Klostermann,<br />
Frankfurt a. M. 1992), tenuto da Heidegger<br />
nel semestre invernale 1924-<br />
25 all’università di Marburgo.<br />
«E’ chiaro infatti che voi da tempo siete<br />
familiari con ciò che intendete quando<br />
usate l’espressione essente; anche noi credemmo<br />
un giorno di comprenderlo senz’altro,<br />
ma ora siamo caduti nella perplessità».<br />
Commentando queste parole tratte dal Sofista<br />
platonico Martin Heidegger introduceva,<br />
all’inizio di Essere e tempo (1927),<br />
quella che sarebbe stata la questione fondamentale<br />
del suo itinerario filosofico: la<br />
necessità di una riproposizione del problema<br />
del senso dell’essere in generale. La<br />
lettura delle lezioni dedicate da Heidegger<br />
nel 1924-25 (in un periodo immediatamente<br />
precedente la stesura di Essere e<br />
tempo) al Sofista di Platone può dunque<br />
costituire motivo di interesse per chi cerca<br />
di dipanare i molteplici fili storico-teoretici<br />
che si intrecciano nel tessuto della filosofia<br />
heideggeriana.<br />
Nel dialogo platonico un seguace di Parmenide<br />
di Elea, il filosofo che aveva separato<br />
nettamente la via della verità, o dell’essere,<br />
dalla via dell’opinione o del nonessere,<br />
si interroga sullo statuto della verità<br />
filosofica. La via di accesso a questo<br />
problema è costituita dalla distinzione tra<br />
il sofista e il filosofo. Attivi nell’Atene del<br />
V secolo a.C., i sofisti, almeno secondo<br />
l’immagine che di essi viene data nel dialogo<br />
platonico, negavano la possibilità di<br />
distinguere in linea di principio il vero dal<br />
falso e scambiavano l’essere con il nonessere.<br />
Questa posizione può certo essere<br />
intesa come uno stratagemma critico-pedagogico,<br />
rivolto contro coloro che fanno<br />
mostra di sapere ciò che in realtà non<br />
sanno, ma sembra anche precludere all’essere<br />
umano, «misura delle cose che sono e<br />
che non sono», come voleva il sofista<br />
Protagora, l’accesso a una verità metafisica.<br />
Tuttavia anche Socrate, non sofista ma<br />
“filosofo”, faceva ampio uso di tali stratagemmi<br />
critico-ironico-pedagogici e identificava<br />
la saggezza con il sapere di non<br />
sapere. Su questa base ci si può legittimamente<br />
domandare quale sia la differenza<br />
46<br />
tra il sofista e il filosofo, tra l’opinione<br />
(soggetta ad errore) e l’amore della verità.<br />
Sono queste alcune delle domande che<br />
fanno da filo conduttore del corso heideggeriano<br />
sul Sofista, pubblicato ora nel vol.<br />
XIX della Gesamtausgabe a cura di Ingrid<br />
Schüßler e ricostruito accuratamente<br />
sulla base di appunti e dei manoscritti del<br />
testo delle lezioni. La filosofia antica, e in<br />
particolare Platone e Aristotele, costituisce<br />
una delle fonti principali di cui si nutre<br />
il pensiero heideggeriano ai suoi inizi,<br />
mentre l’ultimo Heidegger si rivolgerà ai<br />
filosofi presocratici. Già a Friburgo, nel<br />
1923, Heidegger aveva studiato la filosofia<br />
di Aristotele, dedicando la propria attenzione<br />
soprattutto all’Etica nicomachea.<br />
Nel corso sulla logica del semestre invernale<br />
1925-26 (apparso nel 1976) alcune<br />
osservazioni sul problema della verità vengono<br />
sviluppate nel contesto dell’interpretazione<br />
di alcune parti della metafisica<br />
aristotelica. Nel 1922, poco prima della<br />
chiamata all’Università di Marburgo,<br />
Heidegger aveva scritto, per sottoporla al<br />
giudizio di Paul Natorp, la cosiddetta Aristoteles-Einleitung,<br />
pubblicata nel 1989<br />
nel “Dilthey-Jahrbuch” a cura di Hans-<br />
Ulrich Lessing. Per diversi motivi le lezioni<br />
heideggeriane del periodo di Marburgo<br />
sono state sinora interpretate come una<br />
preparazione a Essere e tempo, un’opera<br />
che introdurrebbe nella filosofia heideggeriana<br />
una rottura e un nuovo punto di partenza,<br />
quello del problema del senso dell’essere.<br />
Nelle lezioni del periodo di Marburgo<br />
sarebbe invece prevalente un’impostazione<br />
condizionata da tematiche di carattere esistenziale,<br />
“pragmatistico” e da motivi della<br />
“filosofia della vita” di matrice diltheyana,<br />
orientate contro la filosofia dei valori e il<br />
trascendentalismo del neokantismo.<br />
Questa immagine del pensiero heideggeriano<br />
del periodo marburghese può essere<br />
forse parzialmente corretta dalle lezioni<br />
sul Sofista, che mostrano l’esistenza di una<br />
certa continuità con alcune tematiche di<br />
Essere e tempo e addirittura, secondo alcuni<br />
commentatori, con l’opera di Heidegger<br />
posteriore alla cosiddetta Kehre, “svolta”.<br />
Tema di queste lezioni è da una parte il<br />
senso della filosofia (e dell’esistenza filosofica,<br />
o autentica) e dall’altra, ad esso<br />
legato, quello dell’essere. Più di un terzo<br />
del testo delle lezioni è dedicato non al<br />
Sofista, ma all’analisi della distinzione tra<br />
phronesis e sophia, sviluppata da Aristotele<br />
nell’Etica nicomachea, ed è su questa<br />
base che viene considerata la distinzione<br />
tra esistenza quotidiana e filosofica. Quest’ultima<br />
è caratterizzata per Heidegger dal<br />
fatto di essere dedicata, in modo disinteressato,<br />
all’essere dell’ente: in questo senso la<br />
vita teoretica (sophia) è, aristotelicamente,<br />
la modalità più elevata dell’esistenza.<br />
Ma che cosa distingue il sofista dal filosofo?<br />
Come si può parlare del non-essere?<br />
Come è possibile distinguere l’errore dalla<br />
verità? Heidegger sembra qui riprendere,<br />
nel diverso contesto del proprio pensiero,<br />
la risposta platonica: è la dialettica, in<br />
quanto riflessione sul discorso, che per-
L’Associazione degli Amici di<br />
Spinoza, costituitasi nel 1989, ha<br />
proceduto al rinnovo del Direttivo<br />
nell’Assemblea generale tenutasi<br />
a Urbino il 12 novembre 1992, in<br />
occasione della commemorazione<br />
di Emilia Giancotti, presidente nel<br />
triennio 1989-1992. Il nuovo Direttivo,<br />
eletto per il triennio 1992-<br />
1995, è così costituito: Mino Chamla<br />
(Univ. di Milano), Paolo Cristofolini<br />
(Scuola Normale Superiore<br />
di Pisa), Piero di Vona (Univ. di<br />
Napoli), Filippo Mignini (Univ. di<br />
Macerata), Giuseppa Saccaro Battisti<br />
(Univ. di Roma “La Sapienza”),<br />
Cristina Santinelli (Univ. di<br />
Urbino), Emanuela Scribano (Univ.<br />
di Venezia). Il nuovo Presidente è<br />
Filippo Mignini.<br />
La Presidenza ha sede presso il<br />
Dipartimento di Filosofia e Scienze<br />
umane dell’Università di Macerata,<br />
via Garibaldi 20, cap. 62100,<br />
tel. 0733/258323, Fax o733/<br />
258329. La Segreteria e la redazione<br />
del Bollettino presso l’Istituto<br />
di Filosofia dell’Università di Urbino,<br />
via Saffi 9, cap. 61029, tel.<br />
0722/320525.<br />
Quanti siano interessati alla ricerca<br />
su Spinoza e allo spinozismo,<br />
possono dare la propria adesione<br />
chiedendo di essere iscritti all’Associazione.<br />
La quota annuale di<br />
iscrizione - che dovrà essere versata<br />
dopo l’accoglimento della domanda<br />
inviata alla Presidenza - è di<br />
L. 25.000 e può essere pagata con<br />
vaglia postale indirizzato a Daniela<br />
Bostrenghi, Segreteria dell’Associazione<br />
Italiana degli Amici di<br />
Spinoza, Istituto di Filosofia dell’Università,<br />
via Saffi 9, 61029 Urbino.<br />
Sono state pubblicate nella rivista<br />
tedesca Die Zeit (n. 30, 17 luglio<br />
1992, a cura e con un commento di<br />
Klaus Garber) tre lettere tra lo studioso<br />
di mistica ebraica Gerschom<br />
Scholem e Dora Pollak, moglie di<br />
WALTER BENJAMIN. Scholem,<br />
amico di Benjamim, conobbe Dora<br />
Pollak nel 1916 e, dalla primavera<br />
1918 all’estate 1919, frequentò<br />
quotidianemente la casa della famiglia<br />
Benjamin in Svizzera, godendo<br />
della più stretta intimità di<br />
Walter, Dora e del figlio Stefan. Le<br />
lettere pubblicate dalla Zeit (provenienti<br />
dal fondo dei manoscritti<br />
della biblioteca nazionale e universitaria<br />
di Gerusalemme) risalgono<br />
al 1941-42 (agli anni, dunque,<br />
immediatamente successivi<br />
alla morte di Benjamin), e rispecchiano<br />
il bisogno dei due personaggi<br />
di mantenere vivo il ricordo<br />
non solo dell’amico e dell’ex-marito,<br />
ma anche - in anni tragici per<br />
l’Europa - di un’epoca e di un ambiente<br />
della cultura ebraica e tedesca.<br />
Dora Pollak cerca, attraverso<br />
Scholem, di recuperare alcune tracce<br />
di Benjamin (dal quale era separata<br />
legalmente): libri, oggetti, fotografie,<br />
ricordi personali; Scholem,<br />
che già dal 1923 viveva in<br />
Palestina, e che dopo la morte del-<br />
l’amico si era dedicato alla raccolta<br />
dei suoi scritti e di tutto ciò che<br />
potesse essere utile per ricostruirne<br />
la vita, si rivolge a Dora Pollok<br />
come a colei che più era stata vicina<br />
a Benjamin, pregandola di trascrivere<br />
i ricordi del marito in vista<br />
della stesura di una biografia. Dora<br />
Pollak risponde a Scholem proponendosi<br />
di inviargli tali ricordi in<br />
forma di lettere; una promessa che,<br />
per quanto si può evincere dai materiali<br />
disponibili nell’archivio<br />
benjaminiano di Gerusalemme, non<br />
sarebbe poi stata mantenuta.<br />
Ma la vicenda esistenziale di Benjamin<br />
è destinata a suscitare anche<br />
altre polemiche, in particolare per<br />
quanto riguarda la sua morte, ancora<br />
avvolta dal mistero. Alla luce<br />
di una serie di nuovi documenti,<br />
Ingrid Scheurmann (“Frankfurter<br />
Rundschau”, 15. XII. 92) mette in<br />
dubbio sia la versione dei funzionari<br />
spagnoli, secondo la quale<br />
Benjamin fu vittima di una morte<br />
per apoplessia cerebrale, sia anche<br />
la versione ufficiosa di Henny Gurland,<br />
che conferma l’ipotesi del<br />
suicidio. Nonostante tutti i dubbi<br />
da lei addotti, anche Scheurmann<br />
ammette che la tesi del suicidio<br />
non possa essere definitivamente<br />
abolita. Tuttavia potrebbe pur sempre<br />
essere possibile che il gruppo,<br />
insieme al quale Benjamin attra-<br />
TESTATINA<br />
NOTIZIARIO<br />
ERRATA CORRIGE<br />
47<br />
versò il confine spagnolo, e di cui<br />
faceva parte anche Henny Gurland,<br />
sia riuscito a celare alla Guardia<br />
Civil le vere cause della sua morte<br />
per risparmiare a tutti i componenti<br />
del gruppo noiose indagini. All’ipotesi<br />
di Scheurmann ha reagito,<br />
sullo stesso giornale, Hans Puttnies,<br />
che insieme a Gary Smith ha<br />
pubblicato nel 1991 un volume dal<br />
titolo: Benjaminiana. Puttnies è<br />
convinto di poter correggre ogni<br />
dettaglio dei documenti addotti da<br />
Scheurmann. Nell’insieme egli respinge<br />
la grave calunnia di Scheurmann<br />
nei confronti di Henny Gurland,<br />
quella fotografa che a Berlino<br />
ha lavorato per una rivista di<br />
sinistra, il cui marito ha combattuto<br />
nella guerra civile spagnola, e<br />
che, nella sua fuga in America,<br />
aveva conosciuto Benjamin a Marsiglia.<br />
«Non vi è niente nella vita<br />
dolorosa di questa donna - afferma<br />
Puttnies - che dia adito di dubitare<br />
della sua sincerità».<br />
Con il volume di Fabio Bazzani e<br />
Alessandro Guidi, Il rischio e la<br />
chiacchiera. Il luogo del discorso<br />
etico tra filosofia e psicoanalisi,<br />
prende il via, presso l’Editore Borla<br />
di Roma, la collana TALKING<br />
CURE del Centro di Ascolto e<br />
Orientamento Psicoanalitico di Pi-<br />
Nell’articolo: Diritto e Stato in Hegel (“Informazione Filosofica”,<br />
n. 8/9, settembre 1992), con la denominazione errata di “Societas der<br />
Freunde der dialektischen Philosophie” si deve intendere la “Internationale<br />
Gesellschaft für dialektische Philosophie - Societas Hegeliana”.<br />
Essa non ha il suo “baricentro” nella Germania orientale, presso<br />
la “Deutsche Akademie der Wissenschaften”, bensì è stata fondata a<br />
Francoforte con lo scopo di intensificare il dialogo filosofico tra tutte<br />
le filosofie razionali e conta tra i suoi oltre 300 membri filosofi<br />
provenienti da tutti i continenti. Organo ufficiale della suddetta società<br />
non è la rivista “Dialektik” di Amburgo, ma gli “Annalen der Internationalen<br />
Gesellschaft für dialektische Philosophie”, diretti da Domenico<br />
Losurdo, presidente della società stessa. Infine l’indicazione di<br />
una particolare vicinanza dei membri di questa società con il progetto<br />
della Europäische Enzyklopädie zu Philosophie und Wissenschaften,<br />
edita dall’editore Meiner di Amburgo, deve essere ridimensionata in<br />
una collaborazione occasionale di alcuni membri a tale progetto.<br />
stoia, diretta da Alessandro Guidi.<br />
Il volume, frutto della collaborazione<br />
e del confronto tra un filosofo<br />
e uno psicoanalista, mette in<br />
rilievo, verificandole appunto sui<br />
temi del rischio e della chiacchiera,<br />
due stili differenti di approccio<br />
al problema dell’etica ed un comune<br />
riferimento: il luogo dell’esperienza<br />
e dell’esistenza. La collana<br />
“Talking Cure” intende rappresentare<br />
uno spazio di dibattito tra studiosi<br />
di diversa provenienza disciplinare,<br />
tuttavia interessati ai temi<br />
della psicoanalisi, dell’etica, della<br />
filosofia, dell’antropologia. In questo<br />
quadro di intervento pluridisciplinare<br />
ed intersettivo è in preparazione<br />
il volume, che vede il contributo<br />
di vari autori, su La funzione<br />
del padre nella clinica e teoria<br />
psicoanalitica.<br />
Nell’ambito di un ACCORDO DI<br />
COOPERAZIONE stipulato tra la<br />
Facoltà di Lettere e la Facoltà di<br />
Scienze Sociali e Politiche dell’Università<br />
di Losanna (docenti:<br />
Marie-Jeanne Borel, Claude Calame,<br />
Mondher Kilani), il Collège<br />
International de Philosophie di<br />
Parigi (decente: Francis Affergan)<br />
e il Dipartimento di Filosofia dell’Università<br />
di Pavia (docenti: Silvana<br />
Borutti, Ugo Fabietti) si sono<br />
svolti e sono in corso di svolgimento<br />
colloqui e seminari su temi<br />
di epistemologia, epistemologia<br />
delle scienze umane, epistemologia<br />
dell’antropologia. Per il <strong>1993</strong> è<br />
prevista l’organizzazione di giornate<br />
di studio sul tema: “Modellizzazione<br />
dell’oggetto antropologico:<br />
vedere, sapere, scrivere l’antropologia”,<br />
che dà avvio ad una<br />
ricerca comune su “La trascendenza<br />
culturale: costruzione e distruzione<br />
dell’oggetto antropologico”,<br />
che si articolerà su più punti, tra loro<br />
collegati e complementari, e finalizzati<br />
a un ripensamento critico della<br />
questione dei fondamenti epistemologici<br />
dell’antropologia: 1. Esistono<br />
degli oggetti antropologici? Analisi<br />
delle condizioni di possibilità e della<br />
storicità dell’oggetto antropologico.<br />
2. L’oggetto antropologico come presentazione/rappresentazione:<br />
analisi<br />
delle procedure di modellizzazione e<br />
schematizzazione; realtà e finzione<br />
dell’oggetto antropologico. 3. Le forme<br />
delle categorie, dei concetti, delle<br />
nozioni antropologiche: analisi dei<br />
procedimenti di formulazione, descrizione,<br />
traduzione-alterazione; la questione<br />
delle metafore e del trasferimento<br />
simbolico in generale; “métissage”<br />
et “rapatriement” dei concetti;<br />
le differenti logiche pratiche. 4. Traduzione<br />
e formulazione nel discorso<br />
antropologico: il residuo nella traduzione,<br />
la questione dell’esistenza di<br />
una logica naturale, la questione universalismo/relativismo.<br />
5. Procedure<br />
e oggetti ritrovati: reciproca critica<br />
della questione dei fondamenti dell’antropologia;<br />
discussione dei modelli<br />
di fondazione (ermeneutica,<br />
cognitivismo, dialogismo, testualismo,<br />
ecc.); l’antropologia “rimpatriata”.<br />
Tale accordo di cooperazione<br />
prevede scambi di insegnamenti<br />
per durate limitate, scambi
CONVEGNI E SEMINARI<br />
Ludwig Wittgenstein, Martin Heidegger,<br />
Michel Foucault,<br />
Jacques Derrida, Jean-Paul Sartre<br />
48
Filosofie contemporanee<br />
Se la filosofia contemporanea è essenzialmente<br />
apertura – apertura problematica<br />
del pensiero verso un orizzonte<br />
possibile di senso – , una significativa<br />
conferma di ciò si è avuta dal<br />
ciclo di conferenze dal titolo: LA FILOSO-<br />
FIA CONTEMPORANEA. CIÒ’ CHE É VIVO, CIÒ’<br />
CHE É MORTO, dedicato a figure della<br />
scena filosofica contemporanea, svoltosi<br />
presso la Casa della Cultura di<br />
Milano fra ottobre e dicembre 1992. Il<br />
ciclo, ideato e organizzato da Fulvio<br />
Papi (se ne veda la presentazione sul<br />
numero 10 di questa rivista), ha visto<br />
interventi di Pier Aldo Rovatti, Salvatore<br />
Natoli, Carlo Sini, Silvana Borutti,<br />
Maurizio Ferraris e Mario Vegetti.<br />
A partire da una rilettura dell’opera, soprattutto<br />
postuma, di Jean Paul Sartre,<br />
Pier Aldo Rovatti ha proposto due questioni<br />
fondamentali, in base alle quali il<br />
dibattito filosofico contemporaneo può utilmente<br />
rivolgersi al pensiero di questo filosofo.<br />
La prima riguarda la possibilità di<br />
trovare in Sartre elementi per l’elaborazione<br />
della nozione di alterità, così come essa<br />
viene oggi proposta da Levinas, Ricoeur e<br />
Derrida, e giungere a una “morale della<br />
distanza”. Essa consiste nella rivalutazione<br />
del ruolo dell’alterità come momento costitutivo<br />
dell’ipseità, ovvero della soggettività<br />
di quell’essere che non coincide con sé<br />
stesso, in quanto si “tiene a distanza” da sé<br />
medesimo. In questo modo la prospettiva<br />
di lettura di Sartre riceve una correzione<br />
rispetto alle accuse di umanismo metafisico,<br />
spesso rivolte, da Heidegger in poi, al<br />
filosofo francese. L’elaborazione di una<br />
nuova nozione di soggettività, in connessione<br />
con quella di alterità, rimanderebbe<br />
dunque all’idea di un possibile superamento,<br />
inteso come “distorsione” (Verwindung)<br />
della metafisica e dei suoi concetti.<br />
Al rilievo di Fulvio Papi, secondo cui la<br />
riflessione sartreana, pur a prescindere dalle<br />
sue stesse autointerpretazioni, si presenta<br />
effettivamente come una forma di radicale<br />
coscienzialismo, imperniata sulla nozione<br />
del “per sé”, Rovatti ha risposto sostenendo<br />
che una prospettiva storico-filosofica<br />
deve senza dubbio tener conto del<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
coscienzialismo come di una caratteristica<br />
essenziale del pensiero di Sartre, ma non<br />
può escludere un’impostazione teoretica,<br />
tesa alla ricerca di elementi divergenti,<br />
“più contemporanei”. La seconda questione<br />
emersa durante la conferenza concerne<br />
il problema della parola filosofica. Secondo<br />
Rovatti occorre sottolineare che le molteplici<br />
forme della scrittura, in cui Sartre si<br />
è cimentato, non riguardano il tentativo di<br />
esprimere un medesimo contenuto attraverso<br />
linguaggi diversi, bensì quello di<br />
trovare, tramite forzature della scrittura,<br />
una nuova pratica filosofica; emerge dunque<br />
qui la questione del carattere “narrativo”<br />
della ricerca filosofica e della sua scrittura<br />
e, proprio per questo, della sua incommensurabilità<br />
con quella scientifica. Il tentativo<br />
sartreano rimarrebbe dunque ben<br />
distante da quell’ideale di oggettività<br />
“scientifica” proposto da Edmund Husserl,<br />
in virtù del quale Enzo Paci, come ha<br />
ricordato Rovatti, rimproverava alla riflessione<br />
sartreana proprio il suo carattere di<br />
descrittività, e un minor grado di concettualizzazione.<br />
I testi postumi di Sartre configurano un<br />
progetto di sistema della morale. La tesi<br />
della finitezza umana, ha notato Rovatti,<br />
non può che portare al trascendimento del<br />
piano gnoseologico, e sfociare in quello<br />
etico: la verità diventa una questione pratica.<br />
Su questa base Rovatti ha accostato la<br />
posizione di Sartre a quella di Martin<br />
Heidegger, con una coincidenza delle determinazioni<br />
di libertà, esistenza, verità;<br />
l’etica sartreana pare in questo animata<br />
dalla volontà di perdersi, nella sua rinuncia<br />
ai comodi (pragmaticamente) occhiali dell’universalità<br />
scientifica per i più ardui<br />
strumenti dell’etica interpretativa, laddove<br />
la libertà si definisce come un progettare a<br />
partire dalla passività, come un “agire la<br />
fatticità”.<br />
Anche nella ricerca di Michel Foucault,<br />
ha rilevato Salvatore Natoli, emerge come<br />
centrale la questione del soggetto. Costituendosi<br />
a partire dalla ricerca della verità,<br />
esso descrive, nella riflessione di Foucault,<br />
un percorso che va dalla “morte dell’uomo”<br />
alle tecnologie del sé. Ripercorrendo<br />
l’analisi foucaultiana, Natoli ha sottolineato<br />
come il concetto di uomo, che entra in<br />
crisi con la fine dell’Ottocento, abbia un’esi-<br />
49<br />
stenza relativamente breve, poiché la sua<br />
data di nascita va collocata verso l’inizio<br />
del XX secolo, con l’avvento delle “scienze<br />
umane”. L’io, come soggetto della filosofia<br />
moderna, come soggetto cartesiano,<br />
non è ancora “uomo”, ma solo un principio<br />
d’ordine, l’unità vuota della rappresentazione,<br />
riempita dal sistema di ordinamenti.<br />
Le scienze umane creano invece il luogo in<br />
cui l’uomo, ridotto a oggetto naturale, nasce<br />
come quell’essere naturale la cui specificità,<br />
d’après Kant, dopo Kant, consiste<br />
nell’essere fine a sé stesso. Proprio qui<br />
inizia però la sua dissoluzione: dal punto di<br />
vista dell’oggettivabilità esso perde infatti<br />
la propria unità, in quanto diventa l’oggetto<br />
di diversi “punti di vista”.<br />
Nell’articolarsi della riflessione foucaultiana,<br />
Natoli ha individuato tre momenti: il<br />
costruirsi della verità nella parola, gli effetti<br />
della verità, il costituirsi del sé. La verità<br />
si colloca nella storia, nella ricostruzione<br />
genealogica, che non consiste nella ricerca<br />
di un’origine naturale, ma nell’acquisizione<br />
di un sé, e rappresenta, come tale, un atto<br />
ermeneutico. L’ ”origine” si manifesta qui<br />
sotto le spoglie dell’antecedenza, e i documenti<br />
non valgono come elementi di una<br />
ricostruzione cronologica, ma come “monumenti”,<br />
vestigia di un’indagine di tipo<br />
“archeologico”. A causa delle “rotture epistemologiche”,<br />
quello che si presenta alla<br />
ricerca della nostra origine è un paesaggio<br />
di rovine, senza la possibilità di ripercorrere<br />
gli stadi naturali della nostra evoluzione,<br />
che ci appaiono come positività frantumate.<br />
La verità, che appartiene al discorso,<br />
non può dunque riguardare un singolo oggetto<br />
nella sua staticità, nella quale esso<br />
non può che rappresentare un frammento.<br />
La verità pertiene solo alla ricerca genealogica,<br />
che ricostruisce il discorso nella sua<br />
effettualità, nel suo essere dotato di un’efficacia,<br />
e perciò di un potere.<br />
Proprio la questione della verità è stata al<br />
centro della rilettura del pensiero di Martin<br />
Heidegger, proposta da Carlo Sini, che<br />
ha preso le mosse dal confronto del filosofo<br />
tedesco con Aristotele e Husserl nel corso<br />
di lezioni marburghese pubblicato con il<br />
titolo: Logica. La questione della verità.<br />
Quella della verità si manifesta come questione<br />
del logos fin da Aristotele; il discorso<br />
è “apofantico”, cioè “fa vedere” (idein)
e si manifesta come “gesto del corpo”, che<br />
si articola nella voce. Nella sua dimensione<br />
“originaria”, quella che “conserva la cosa”,<br />
il logos si determina secondo tre momenti:<br />
come indicazione, come predicazione e<br />
come comunicazione, dove il significato<br />
che fonda gli altri è il primo. Il logos si<br />
determina dunque, in una prospettiva fondativa,<br />
come relazione segnica; la proposizione<br />
espressa, di cui si occupa la tradizione<br />
logica, e la dimensione del suo uso a fini<br />
comunicativi, costituiscono due fenomeni<br />
di ricaduta, due manifestazioni derivative.<br />
Come sostiene Heidegger, che assume qui<br />
uno dei caposaldi della fenomenologia, il<br />
logos, come relazione segnica che costituisce<br />
“il mondo”, si colloca nella verità,<br />
poiché è quest’ultima a rendere possibile la<br />
proposizione, e non viceversa. D’altra parte,<br />
ha osservato Sini, in questo modo anche<br />
Heidegger, come la tradizione filosofica<br />
alle sue spalle, muoverebbe dalla Auslegung,<br />
cioè dalla proposizione espressa, dalla<br />
lingua. Egli dà così a quest’ultima un ingiustificato<br />
primato, basato sul presupposto<br />
che l’”indicazione”, cioè la relazione segnica,<br />
debba necessariamente articolarsi<br />
come espressione. Con ciò Heidegger ricadrebbe,<br />
secondo Sini, nell’antropologismo,<br />
senza uscire dal “cerchio magico” del logos,<br />
quello determinato dalla “volontà di<br />
verità” del logos stesso, confondendo la<br />
verità con la sua espressione: la lingua, che,<br />
come ogni pratica, ha la sua verità, ma<br />
come “cosa” non può esaurire la verità,<br />
perché essa medesima costituisce il caso<br />
particolare di un altro sistema di segni.<br />
Occorre dunque un’analisi delle pratiche,<br />
degli “usi”.<br />
Richiamandosi a Maurice Merleau-Ponty,<br />
Sini ha ribadito che la pratica rappresenta<br />
l’”originario”, il “precategoriale”. Per<br />
questo l’essere dell’uomo non è mai nel<br />
presente, ma sempre un po’ avanti, nel<br />
progetto, o un po’ indietro, nell’origine:<br />
l’essere dell’uomo è nel rimando; esso si<br />
determina a partire dalla relazione segnica.<br />
Quest’ultima dà quindi la struttura dell’essere,<br />
nonché l’articolarsi della temporalità,<br />
la cui questione, ha ribadito Sini, va dunque<br />
posta a partire dall’essere delle pratiche,<br />
e non viceversa. La “danza delle pratiche”<br />
non è temporale, è semmai ritmo;<br />
poiché nessuna pratica può parlare di sé<br />
stessa, l’analisi delle pratiche va compiuta<br />
nel loro gioco, che si qualifica come “etico”,<br />
intendendo con ciò il collocarsi e l’essere<br />
definito del soggetto da quelle pratiche,<br />
alle quali esso è, letteralmente, “soggetto”.<br />
Origine delle pratiche è l’assemblaggio<br />
delle stesse; a differenza di Husserl,<br />
ha sostenuto Sini, è proprio la questione<br />
di questa origine, quella del “da dove” si<br />
parla, del “da dove” si pongono le domande,<br />
che Heidegger non è riuscito a porre.<br />
Nel suo intervento dedicato a Ludwig<br />
Wittgenstein, Silvana Borutti ha proposto<br />
un percorso di lettura dei testi del filosofo<br />
guidato dal concetto di forma, prendendo<br />
le distanze dall’interpretazione cor-<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
rente che contrappone rigidamente un primo<br />
Wittgenstein - quello del Tractatus - da<br />
un secondo - quello delle Ricerche filosofiche.<br />
L’origine di queste divergenze interpretative<br />
è individuabile nella concezione<br />
del linguaggio, che Wittgenstein fa emergere<br />
nel Tractatus. Secondo Borutti, questa<br />
concezione non è riconducibile a quella<br />
neopositivistica, che vede il linguaggio<br />
come rappresentazione (Vorstellung), trascrizione<br />
raffigurativa di oggetti dati secondo<br />
un modello logico, rigorosamente<br />
formalizzato. Wittgenstein, al contrario,<br />
inaugura una riflessione sulle condizioni di<br />
possibilità del linguaggio, ne evidenzia il<br />
carattere trascendentale. Funzione del linguaggio<br />
diventa non la rappresentazione<br />
mimetica, bensì la presentazione (Darstellung),<br />
l’esibizione ostensiva della forma,<br />
cioè della struttura della realtà: il linguaggio<br />
è forma in quanto strumento di una<br />
possibile configurazione dell’oggetto. La<br />
pregnanza del termine Bild, usato comunemente<br />
da Wittgenstein per alludere a ciò<br />
che produce il linguaggio e che è generalmente<br />
tradotto con immagine, la si coglie<br />
in pieno se intendiamo questo termine come<br />
quadro, ovvero come insieme compositivo<br />
di una forma realizzata. In quanto produttore<br />
del nesso strutturale di un insieme,<br />
l’unità linguistica significante non è il nome,<br />
ma la proposizione. L’orizzonte del linguaggio<br />
esibisce una forma e nel contempo<br />
ne costituisce il limite, così come per il<br />
paesaggio naturale l’orizzonte determina<br />
la forma e insieme il contorno invalicabile<br />
di un colpo d’occhio umano.<br />
L’idea del linguaggio espressa nel Tractatus<br />
non si fonda su una semantica di tipo<br />
referenziale, ma sull’autonomia significante<br />
del linguaggio. Questa idea ritorna nella<br />
Ricerche filosofiche, ma si configura in<br />
modo differente. Wittgenstein rinuncia qui<br />
ad una immagine monocorde del linguaggio<br />
come forma unica ed inaugura l’idea di<br />
un sistema differenziale di forme. In questa<br />
visione pluralistica del linguaggio consiste,<br />
secondo Borutti, la cosiddetta “svolta”<br />
rispetto al Tractatus, e non semplicemente<br />
in una presa d’atto della complessità delle<br />
funzioni pratiche del linguaggio - asserzioni,<br />
preghiere, comandi ecc.-, come è stato<br />
sostenuto e sviluppato dalla filosofia analitica.<br />
Non si tratta, dunque, di fare un semplice<br />
catalogo degli usi e dei contesti linguistici,<br />
ma di esplorare le possibilità ostensive<br />
e costruttive del linguaggio. E’ questa<br />
la segreta efficacia di ciò che Wittgenstein<br />
definisce il gioco linguistico: nella fitta e<br />
complessa trama di una famiglia di somiglianze<br />
e di differenze di cui è intessuto,<br />
esso permette di evidenziare una forma<br />
all’interno di esempi di applicazione. Parlando,<br />
affermiamo la nostra appartenenza<br />
ad un gioco linguistico che, tuttavia, pratichiamo<br />
come sfondo costitutivo senza poterlo<br />
rappresentare tematicamente. Non si<br />
tratta della negazione del fondamento, ma<br />
della sua indicibilità, o, per dirla altrimenti,<br />
della sua ineffabilità. Se l’apertura del lin-<br />
50<br />
guaggio è condizione etico-estetico del dire<br />
umano, l’esperienza del linguaggio si connota<br />
di una imprevista coloritura poetica,<br />
estranea ad ogni tentazione di reificazione<br />
del mondo attraverso una sua fondazione<br />
filosofica.<br />
Se il decostruzionismo di Jacques Derrida<br />
consiste nell’investigare con radicalità<br />
le tracce di un pensiero, nel suo intervento<br />
Maurizio Ferraris ha adottato questo atteggiamento<br />
nei confronti di Derrida stesso,<br />
alla ricerca delle radici teoretiche del<br />
suo itinerario filosofico. Egli ha individuato<br />
nella fenomenologia di Edmund Husserl<br />
una matrice fondamentale nella genesi e<br />
nello svolgimento del pensiero di Derrida,<br />
analizzando alcuni scritti che testimoniano<br />
questa processualità riflessiva. Il primo di<br />
questi scritti è la sua tesi complementare di<br />
laurea del 1954, Il problema della genesi<br />
nella fenomenologia di Husserl, in cui si<br />
evidenzia la stretta connessione tra l’immediatezza<br />
intenzionale e la mediazione<br />
formale in Husserl, per cui il telos verso le<br />
cose stesse non è istantaneo, ma è il frutto<br />
di un lungo processo di mediazioni (epoché,<br />
riduzione dell’atteggiamento naturale,<br />
costituzione dell’oggetto). Ecco venire<br />
alla luce una significativa radice teorica del<br />
pensiero di Derrida: il tema della traccia e<br />
della ripetizione, in quanto frutto di una<br />
implicazione reciproca tra l’assoluta immediatezza<br />
e la totale mediazione.<br />
Seconda tappa di questo itinerario di pensiero<br />
è uno scritto del 1962, una lunga<br />
“Introduzione” all’Origine della geometria<br />
di Husserl, nel quale Derrida affronta il<br />
tema della scrittura, che si configura come<br />
“il luogo delle obiettività ideali assolutamente<br />
permanenti”. Tre sono momenti che<br />
conducono a questa definizione: in primo<br />
luogo la verità si presenta come intermittente<br />
nella nostra coscienza, per cui deve<br />
fissarsi con la permanenza della memoria;<br />
in secondo luogo la verità deve superare i<br />
confini dell’individuo, quindi deve essere<br />
comunicata nella forma del dialogo; in<br />
terzo luogo la possibilità della verità universale<br />
ed eterna è legata alla possibilità di<br />
ripetizione infinita attraverso un’idealizzazione,<br />
che è l’essenza della scrittura. La<br />
scrittura può quindi preservare la verità in<br />
assenza del soggetto, e questa notazione ha<br />
uno sfondo insieme gnoseologico ed esistenziale,<br />
perché lega la costituzione dell’idealità<br />
alla presenza della morte nel destino<br />
del soggetto. Tuttavia Derrida sviluppa<br />
in seguito una critica serrata della scrittura<br />
e del logocentrismo, facendo riferimento<br />
al Fedro di Platone, laddove Socrate<br />
denuncia l’esteriorità della scrittura e sostiene<br />
che il vero discorso non è quello<br />
delle parole scritte, ma quello interiorizzato<br />
nell’animo di colui che sa.<br />
Prendendo spunto da quest’ultimo passaggio,<br />
Ferraris ha indicato un testo del 1967,<br />
La voce e il fenomeno, in cui ritorna il<br />
confronto con Husserl (in riferimento alla<br />
Prima ricerca logica), che opera una distinzione<br />
tra segno ed espressione. Il segno
ha una funzione indicativa; è il derivato<br />
della realtà non-presente, e questo comporta<br />
un’aporia irriducibile della scrittura. La<br />
scrittura in quanto rappresentazione ed esteriorità<br />
è finzione di una realtà non-presente.<br />
L’effetto teorico è che verità e finzione<br />
si avviluppano inestricabilmente tra loro, e<br />
questo conferma come l’esito ricorrente<br />
del pensiero di Derrida sia la scoperta di<br />
una serie di figure aporetiche nella filosofia<br />
contemporanea.<br />
In un ciclo dedicato ai filosofi contemporanei,<br />
l’unica apparente eccezione è stata la<br />
relazione di Mario Vegetti, che invece di<br />
prendere in esame un autore contemporaneo<br />
ha voluto saggiare la possibile contemporaneità<br />
del pensiero di Platone. Vegetti<br />
ha imperniato il suo intervento sul carattere<br />
originale e aperto dello stile filosofico di<br />
Platone, più portato ad aprire dei vuoti, cioè<br />
degli spazi riflessivi di interrogazione e di<br />
dialogo, che non a produrre un sistema<br />
compatto di enunciati e quindi una visione<br />
piena del mondo. Nel Libro VI della Repubblica<br />
Platone afferma che il lavoro filosofico<br />
è potenza della dialettica, cioè capacità<br />
critica e confutatoria nei confronti dei<br />
sistemi di credenza, installati nei luoghi del<br />
mondo, e dei suoi latori di verità (i sacerdoti,<br />
i generali, i politici ecc.) al fine di far<br />
emergere un punto di vista di verità come<br />
una sorta di fuoco di convergenza. Questo<br />
punto di vista, però, non si configura come<br />
un insieme di enunciati, ma - rileva Alain<br />
Badiou - come categoria operazionale.<br />
L’interrogazione critica non si propone di<br />
giungere ad una saturazione del vuoto, ma<br />
di indicare un punto prospettico ideale, per<br />
cui la potenza della filosofia non si costituisce<br />
come verità aggiuntiva accanto alle<br />
altre, ma come dialogo, in quanto processualità<br />
circolare di ascolto e di domanda,<br />
nel quale il riferimento sia quel punto di<br />
vista negletto nei regimi plurali di verità<br />
insediati nel mondo e divenuti consuetudinari.<br />
Secondo Vegetti questa immagine<br />
dialogica e aperta della verità platonica è<br />
molto più rilevante di quella affermativa e<br />
definitoria che una certa storiografia - si<br />
pensi alla scuola di Tubinga - si è sforzata<br />
di individuare e che ha ricondotto ai principi<br />
dell’Uno e della Diade.<br />
Ora, si chiede Vegetti, come si riflette<br />
questa dialogicità di Platone su temi quali<br />
l’idea del Bene e la questione della politica<br />
e dell’utopia? Il Bene è per Platone il fuoco<br />
virtuale dei valori e della verità, il punto di<br />
riferimento delle cose buone e desiderabili,<br />
ma non può essere dominio di enunciati<br />
teorici. Esso non si pone sul piano delle<br />
altre idee, ma si costituisce come un apriori<br />
generatore di esse, quindi trascendente<br />
anche il piano degli enti. In quanto<br />
tale, il Bene non è descrivibile come oggetto<br />
epistemologico. Ne segue un ineluttabile<br />
paradosso: il Bene è un potente principio<br />
generatore di verità, senza poter essere<br />
controllato da un dispositivo conoscitivo di<br />
verità, ma solo verificato nei suoi effetti.<br />
Con il discorso sul Bene s’intrecciano im-<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
mediatamente i temi della politica e della<br />
utopia. Infatti: la conoscenza del Bene dà<br />
senso al potere e lo legittima, ma, non<br />
essendo un ente e non potendo essere definito<br />
concettualmente, rimane esperienza di<br />
una parte assai ristretta della comunità e<br />
non è democraticamente controllabile e<br />
verificabile. Platone, ha osservato Vegetti,<br />
trae da questo conseguenze provocatorie<br />
per la nostra cultura liberal-democratica -<br />
ciò che Gadamer ha definito “una sfida<br />
provocatoria”. Innanzitutto nel campo della<br />
gestione del potere: se gli uomini sono<br />
negati al Bene, essi devono diventare sudditi<br />
della piccola minoranza che, detenendo<br />
il Bene, ha il dovere di imporlo con il<br />
dominio, per realizzare un’uguaglianza in<br />
prospettiva. In secondo luogo, nel campo<br />
dell’utopia: se la negazione della comunità<br />
politica dipende dalla famiglia - il luogo<br />
della privatizzazione degli affetti - e dalla<br />
proprietà individuale - la base strutturale<br />
della privatizzazione -, la polis deve eliminare<br />
famiglia e proprietà per una totale<br />
socializzazione degli affetti e dei beni. Lo<br />
stile filosofico dialettico ci restituisce dunque<br />
un Platone scandaloso nei confronti<br />
della democrazia e della libertà: anche in<br />
questo si misura la sua contemporaneità.<br />
F.C./F.S.<br />
L’epoca classica<br />
della scienza greca<br />
In una serie di lezioni dal titolo: FILOSO-<br />
FIA E SCIENZA GRECA NELL’EPOCA CLASSICA,<br />
tenute dal 12 al 16 ottobre 1992 all’Istituto<br />
Italiano per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong>,<br />
Arpád Szabó ha inteso dimostrare con<br />
rigore filologico come la vicinanza strumentale<br />
e metodica di geometria ed<br />
astronomia, trascurata dalla scienza<br />
moderna, sia stata oltremodo feconda<br />
nella storia della scienza greca.<br />
Secondo Arpád Szabó, il primo importante<br />
contributo alla preistoria della scienza<br />
viene da Eleati e Pitagorici. Quando si<br />
consideri che in un noto frammento Parmenide<br />
contrappone alla fallace percezione la<br />
ricerca razionale, all’abitudine di avvalersi<br />
dei sensi, frutto dell’esperienza, la via della<br />
verità, sembrerebbe intuitivamente difficile<br />
avvicinare tale antiempirismo alla pratica<br />
osservativa, mentre possiamo trovare<br />
tale legame nel pitagorismo, alle cui dottrine<br />
spesso la tradizione filosofica non ha<br />
riconosciuto spessore teorico. I pitagorici<br />
sono stati i primi pensatori ad aver tentato<br />
di dare consapevolmente alla conoscenza<br />
della natura una base quantitativa, matematica,<br />
operando il passaggio da una geometria<br />
ancorata alla materia ad una geometria<br />
i cui oggetti sono enti geometrici idealizzati.<br />
Nell’ambito di questa geometria<br />
organizzata matematicamente i pitagorici<br />
giungono alla dimostrazione dell’incom-<br />
51<br />
mensurabilità del lato e della diagonale del<br />
quadrato, attraverso l’enumerazione degli<br />
infiniti casi nei quali ciò si verifica, ma il<br />
metodo eleatico, confutando, secondo l’insegnamento<br />
di Zenone, le conclusioni e<br />
non le premesse delle argometazioni antitetiche,<br />
con la loro riduzione all’assurdo.<br />
Dopo aver rilevato come Eleati e Pitagorici,<br />
per i comuni procedimenti logico-dimostrativi,<br />
siano tra loro più vicini di quanto la<br />
tradizione storiografica non dica, Szabó ha<br />
sottolineato ripetutamente lo stretto rapporto<br />
tra astronomia e geometria nella scienza<br />
greca. Anassimandro introduce per primo<br />
in Grecia lo gnomone, già babilonese,<br />
determinando solstizi ed equinozi e costruendo<br />
sulle misurazioni effettuate con<br />
tale strumento un vero modello astronomico,<br />
in cui sono già contenuti gli elementibase<br />
del futuro geocentrismo tolemaico. A<br />
questo proposito, ha osservato Szabó, mentre<br />
l’astronomia orientale si fonda sull’aritmetica,<br />
ovvero sulla visione della volte<br />
celeste come insieme di punti, non è possibile,<br />
secondo i Greci, un’astronomia senza<br />
geometria. In età ellenistica, un doppio filo<br />
lega l’astronomia alla geometria negli Elementi<br />
di Euclide: proprio la terminologia<br />
puramente geometrica di Euclide doveva<br />
risultare estremamente funzionale all’astronomia;<br />
come la geometria euclidea non<br />
usa, a proposito dei gradi dell’angolo,<br />
espressioni numeriche ma geometriche, così<br />
nella letteratura astronomica i gradi sono<br />
“misurati” come parti della circonferenza.<br />
Anzi, il neoplatonico Proclo (V secolo d.C.,<br />
autore, fra l’altro, di uno scritto Sul Libro I<br />
degli Elementi di Euclide) è così convinto<br />
dell’evidenza di tutto questo, che suggerisce<br />
di leggere la geometria euclidea come<br />
una propedeutica all’astronomia.<br />
La fondazione di una geografia matematica<br />
viene attribuita generalmente ad Eratostene<br />
di Cirene (III secolo a.C.); secondo<br />
Szabó, è invece Ipparco di Nicea (II secolo<br />
a.C.) ad avere questo merito. Coniugando<br />
molto più strettamente astronomia e geometria<br />
di quanto non avesse fatto Eratostene,<br />
Ipparco non solo conobbe i diversi<br />
rapporti dell’ombra meridiana a mezzogiorno<br />
in località diverse della terra, ma li<br />
usò per determinare la latitudine geografica<br />
della regione considerata, vale a dire la<br />
distanza di quella regione dalla linea equatoriale.<br />
La stessa grande sintesi di Claudio<br />
Tolomeo (II secolo d.C.), deve la sua coerenza<br />
al lungo lavoro di Ipparco, il primo a<br />
scrivere un trattato sulle corde comprese in<br />
un cerchio, e quindi a fondare la trigonometria,<br />
indispensabile per l’astronomia e la<br />
geografia matematica. A.I.
La persona e le sue immagini<br />
Il tema della persona è stato al centro<br />
dell’annuale convegno, dal titolo: LA<br />
PERSONA E LE SUE IMMAGINI, organizzato<br />
dalla Cattedra di Filosofia Morale in<br />
collaborazione con il Dipartimento di<br />
Ricerche Filosofiche dell’Università di<br />
Roma “Tor Vergata”, svoltosi nei giorni<br />
22, 23 e 24 ottobre 1992.<br />
Il quadro speculativo entro il quale oggi si<br />
colloca il concetto di persona è divenuto<br />
quanto mai complesso e problematico, sollecitando<br />
una rinnovata consapevolezza<br />
critica e la possibilità di verificarne oggi i<br />
possibili fondamenti, ridefinendone lo statuto<br />
ontologico. Ciò soprattutto in seguito,<br />
da un lato, al tramonto delle ideologie, che<br />
sembra conferire nuova attualità alla nozione<br />
di persona, e dall’altro al declino dei<br />
sistemi metafisici tradizionali, da cui risulta<br />
al contrario una critica radicale non solo<br />
alla nozione di soggetto, di soggettività, ma<br />
anche alla stessa nozione di persona.<br />
Tenendo conto della mutata condizione<br />
speculativa, dei nuovi linguaggi e delle<br />
nuove prospettive di senso che muovono la<br />
riflessione filosofica contemporanea, il convegno<br />
si è articolato in maniera tale da<br />
affrontare direttamente, attraverso le relazioni<br />
principali, i problemi connessi allo<br />
statuto ontologico della persona. Giovanni<br />
Santinello ha evidenziato soprattutto a livello<br />
gnoseologico il nucleo speculativo<br />
essenziale della persona, dando ampio spazio<br />
alla sua rilevanza sul piano etico-giuridico.<br />
Le ambiguità insite nel concetto di<br />
persona, dal punto di vista ontologico, sono<br />
state invece dibattute dalla relazione di<br />
Franco Chiereghin, che senza trascurare<br />
le difficoltà del tema ha tuttavia insistito<br />
sulla connessione del concetto di persona<br />
con il motivo della libertà.<br />
La critica radicale nei confronti della nozione<br />
di persona sollevata dalle forme della<br />
decostruzione in atto nel panorama filosofico<br />
contemporaneo è stata al centro<br />
della relazione di Antonio Pieretti, che ha<br />
però cercato di superare tale critica, trattando<br />
della persona in riferimento al modello<br />
rappresentato dal rapporto presenzaulteriorità.<br />
Livio Sichirollo ha contribuito ad ampliare<br />
il discorso sulla persona, soffermandosi<br />
soprattutto su alcune delle sue figure principali,<br />
come l’io, la personalità, l’azione;<br />
figure che nella consistenza del volto, dell’icona<br />
e del simulacro avrebbero dovuto<br />
inoltre essere approfondite da Carlo Sini,<br />
improvvisamente assente. Giuseppe<br />
Riconda ha poi riflettuto su un’ontologia<br />
della persona che nel rapporto esistenzatrascendenza<br />
trova il suo momento principale.<br />
La relazione di Armando Rigobello<br />
ha invece evidenziato la relazione reciproca<br />
della questione della fondazione dell’altro<br />
con il programma etico-politico del<br />
personalismo, non trascurando affatto le<br />
difficoltà che incontrerebbe oggi il proget-<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
to personalistico-comunitario di Emanuel<br />
Mounier.<br />
La problematica complessità della persona,<br />
tanto nel suo aspetto teoretico che storico<br />
e storiografico, è infine stata discussa<br />
nell’ambito di una tavola rotonda che si è<br />
arricchita degli interventi di Xavier Tillette,<br />
Pietro De Vitiis, Mario Signore, Luigi<br />
Alici, che hanno poi aperto un ampio dibattito<br />
col pubblico intervenuto. Il convegno è<br />
stato pure occasione per un bilancio storiografico<br />
sul fenomeno del “personalismo”,<br />
così come si è sviluppato tra gli anni Trenta<br />
e Cinquanta.<br />
Nel suo complesso il convegno ha mostrato<br />
come, filosoficamente orientata, l’analisi<br />
dell’esperienza interiore della persona possa<br />
essere posta in primo piano e divenire il<br />
centro fondante di un’ulteriore prospettiva<br />
teoretica, o sfumare in una visione estesa al<br />
contesto cosmologico e metafisico. Il discorso<br />
sulla persona rimane comunque aperto<br />
e suscettibile di un ulteriore approfondimento,<br />
che potrebbe venire anche dalla<br />
riflessione sul tema ad esso opposto e complementare<br />
dell’ ”impersonale”, su cui dovrebbe<br />
riflettere il convegno programmato<br />
per il prossimo anno. G.Pa.<br />
Scienza e metafisica moderna<br />
La rivoluzione scientifica compiuta<br />
dalla metafisica moderna, con l’affermazione<br />
che l’uomo è colui che progetta<br />
e comprende il mondo intero, è<br />
stato il tema del ciclo di lezioni dal<br />
titolo: METAPHYSICAL FOUNDATIONS OF THE<br />
17TH CENTURY SCIENCE, tenute da Dmitry<br />
Nikulin dal 28 settembre al 1 ottobre<br />
1992, presso l’Istituto Italiano per<br />
gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> di Napoli. L’indagine<br />
di Nikulin ha inteso mettere in risalto<br />
l’evoluzione che hanno subito i principali<br />
concetti scientifici dall’antichità<br />
all’età moderna, con il relativo passaggio<br />
da una visione qualitativa ad<br />
una quantitativa del mondo fisico.<br />
Nella modernità il principio della costruzione<br />
attiva della verità implica che l’ascolto<br />
della natura, la sua contemplazione, si trasformi<br />
in una vera e propria manipolazione,<br />
dal momento che la natura non è più<br />
concepita come la seconda rivelazione di<br />
Dio, ma semplicemente come res extensa<br />
inanimata, destituita da qualunque dignità<br />
interiore e soggetta a trasformazioni secondo<br />
il modello della soggettività umana.<br />
Secondo Dmitry Nikulin le conseguenze<br />
immediate di tale concezione sono l’eliminazione<br />
della distinzione classica tra naturale<br />
e artificiale e l’identificazione della<br />
meccanica con la fisica, con la rivalutazione<br />
di alcuni concetti della scienza, come<br />
quelli di materia e infinito.<br />
Distinguendo due differenti sostanze, quella<br />
pensante e quella estesa, Cartesio riduce<br />
52<br />
la materia a spazio e considera sostanza lo<br />
spazio e l’estensione. Con questo, osserva<br />
Nikulin, la materia non viene più considerata<br />
come pura alterità o come nulla, bensì<br />
come energia, come soggetto dotato di<br />
attributi quali estensione, durezza, mobilità,<br />
impenetrabilità. Ritenendo poi che vi<br />
sia un’unica materia per tutte le cose e le<br />
entità, Cartesio identifica la materia fisica<br />
con quella geometrica. Ciò significa che la<br />
fisica è fondamentalmente equiparata alla<br />
matematica, come anche alla meccanica,<br />
che diventa la prima tra le scienze, una<br />
scienza rigorosa che studia il mondo come<br />
se fosse una macchina. Tutto l’universo è,<br />
così, matematico e i corpi geometrici sono<br />
costruiti e concepiti nella loro materialità,<br />
cioè spazialità ed estensione in un singolo<br />
spazio.<br />
Con Cartesio, ha inoltre rilevato Nikulin,<br />
anche il problema dell’infinito cambia il<br />
suo ruolo e diventa un segno di perfezione.<br />
L’infinito è la prima cosa conosciuta che<br />
non trae origine da una semplice negazione<br />
del limite, ma significa una conoscenza<br />
reale e positiva. Esso è posto come concetto<br />
precedente, dal quale il finito risulta per<br />
restrizione. Una tale concezione di infinito<br />
genera ora una nuova immagine e nozione<br />
di movimento. Mentre nell’antichità il<br />
movimento circolare era considerato perfetto<br />
e uniforme, con la nuova concezione<br />
dell’infinito il movimento perfetto e uniforme<br />
è quello rettilineo. La linea retta<br />
infinita diviene dunque espressione del<br />
perfetto attributo del mondo, mentre il<br />
cerchio è solo indice di errore, un’immagine<br />
falsa dell’illimitato e smisurato infinito.<br />
Anche il concetto di tempo subisce delle<br />
notevoli modificazioni. Nell’antichità il<br />
concetto di tempo ha la sua prima formulazione<br />
nel Timeo di Platone, che lo considera<br />
“un’immagine dell’eternità” secondo<br />
il numero. Il tempo è considerato creato,<br />
esistente solo in quanto l’eternità esiste, e<br />
comprendente in sé non solo l’identità, ma<br />
anche l’alterità. L’eternità caratterizza il<br />
mondo ideale divino: il sempiterno è peculiare<br />
delle entità create, ma immortali; il<br />
tempo invece appartiene alle cose mortali,<br />
che hanno una “durata”, e sono destinate a<br />
morire. In questa concezione della temporalità<br />
si dispiega con chiarezza l’intuizione<br />
greca della superiorità dell’essere sul<br />
divenire, del limite sull’illimitato, della<br />
perdurante stabilità del fluire che dissipa.<br />
La nuova metafisica europea, ha rilevato<br />
Nikulin, si propone di mettere in relazione<br />
tempo e movimento in una visione dove<br />
coincidono la quantificazione geometrica<br />
e l’onnipotenza divina. Il tempo non indica<br />
alcuna esistenza reale, ma piuttosto una<br />
capacità o una possibilità di esistenza costante<br />
o di essere: esso non misura la<br />
durata dell’esistenza divina, ma la rappresenta<br />
nella maniera più adeguata, per cui<br />
Dio non è concepito come essere eterno in<br />
nunc stans, bensì come essere immortale e<br />
duraturo, cioè come essere senza fine.
Poiché l’esistenza divina è immutabile, il<br />
tempo è del tutto uniforme, cioè è una<br />
quantità indipendente e assoluta, continua<br />
e costantemente fluente. Ma la durata del<br />
tempo esiste e può essere misurata soltanto<br />
dalle capacità sensoriali dell’uomo e da<br />
strumenti umani artificiali. Ciò significa,<br />
ha osservato Nikulin, che la verità o la<br />
rappresentazione della realtà suprema deve<br />
essere costruita e non semplicemente scoperta<br />
e contemplata. A ciò si deve la nascita<br />
di una scienza esatta che misura i suoi<br />
oggetti e che trova i suoi principi nel tempo<br />
e nello spazio, radicati nell’immutabilità e<br />
nella onnipotenza divina, e in questo modo<br />
garantisce l’esattezza e l’attendibilità della<br />
conoscenza umana.<br />
Un’altra grande rivoluzione compiuta dalla<br />
metafisica moderna è l’identificazione<br />
di numero e quantità. Nella filosofia classica<br />
ciò che è esprimibile con il numero<br />
sono le grandezze discontinue, mentre<br />
questo non è possibile per le grandezze<br />
continue. Ciò comportava la distinzione<br />
tra l’essere, esprimibile numericamente<br />
come discontinuo, e il non essere (materia)<br />
continuo, non esprimibile numericamente.<br />
Il pensiero moderno, introducendo l’identificazione<br />
di numero e materia, modifica<br />
radicalmente, secondo Nikulin, il metodo<br />
di conoscenza del mondo. Poiché l’unità<br />
non è più concepita come indivisibile, ma<br />
come un intervallo di lunghezza unitaria,<br />
diventa possibile tentare di costruire una<br />
quantità continua o un continuum dai numeri<br />
o dalle parti numeriche, come appunto<br />
fecero Newton e Leibniz col calcolo<br />
infinitesimale. Esaminando il problema del<br />
continuo, Newton giunge alla conclusione<br />
che il numero e la quantità continua hanno<br />
la stessa struttura. La questione della “materia<br />
prima”, egli la fa poi coincidere con<br />
gli atomi, che sono un continuum puramente<br />
spaziale, misurabile con il nuovo<br />
strumento del calcolo infinitesimale. Nella<br />
considerazione del continuum, Leibniz<br />
approda invece a una serie di ambiguità e di<br />
contraddizioni insolubili nel rapporto esistente<br />
tra le monadi e i corpi. Le monadi,<br />
infatti, pur essendo dei punti metafisici,<br />
privi di corporeità e perciò indivisibili,<br />
danno vita alla materia, alla corporeità, che<br />
è invece una grandezza continua. Per spiegare<br />
la materialità delle monadi Leibniz<br />
sostiene tuttavia che esse non debbono<br />
essere viste soltanto come attività, ma anche<br />
come passività, ed è proprio quest’ultima<br />
che costituisce la materialità della monade.<br />
I corpi sono “aggregazione di monadi”,<br />
ma non hanno una consistenza ontologica,<br />
solo valore ideale. La quantità continua,<br />
per Leibniz, è perciò ideale, perché<br />
comprende potenzialmente parti indefinite<br />
al di sopra e prima di qualsiasi divisione.<br />
Tuttavia, nel momento in cui ci si mette alla<br />
ricerca del reale o di parti realmente esistenti,<br />
anziché di parti indefinite, Leibniz<br />
sembra entrare in un labirinto di contraddizioni<br />
insolubili. Nel continuum il tutto esi-<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
René Descartes;<br />
nell’immagine inferiore, presunto ritratto di Euclide, da un codice<br />
53
ste prima delle parti, l’assoluto prima del<br />
limitato: ecco perché l’indefinito viene prima<br />
del definito. Nello stesso tempo però<br />
Leibniz afferma che nel continuum le parti<br />
esistono realmente e sono realmente infinite,<br />
dal momento che l’indefinito non esiste<br />
nelle cose ma nel pensiero. G.Pe.<br />
Attualità di Ugo Spirito<br />
Il Convegno che l’Istituto Italiano per<br />
gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> e la Fondazione Ugo<br />
Spirito hanno dedicato a L’ATTUALITÀ DI<br />
UGO SPIRITO A CINQUANT’ANNI DA ‘LA VITA<br />
COME ARTE’ (Napoli, 1-2 ottobre 1992),<br />
coerentemente con l’atteggiamento<br />
filosofico del pensatore, ha dato luogo<br />
a una stimolante interazione di elementi,<br />
fluttuanti tra estetica e politica,<br />
teoresi ed economia, come emerge<br />
dai densissimi carteggi e dalle attuali<br />
prospettive di ricerca.<br />
Un pensiero vivo, ricco di suggestioni e<br />
implicazioni che si diramano lungo direttive<br />
molteplici, al di là tanto di un dogmatismo<br />
assertorio, quanto di atteggiamenti<br />
nichilistici: è quanto ci rimane di Ugo Spirito<br />
oggi, a più di un decennio dalla sua<br />
scomparsa. A suggerirci queste considerazioni<br />
è Mario Agrimi che ha inquadrato gli<br />
interessi estetici di Spirito all’interno di un<br />
pensiero “nemico” delle distinzioni: in una<br />
spirale di assoluta teoreticità, l’aspirazione<br />
alla politica ed alla libertà trova il suo<br />
“medium” nella figura dell’artista. Preda<br />
continua di un “infinito-dubbio”, il pensiero<br />
di Spirito, ha ricordato Agrimi, non ha<br />
avuto la possibilità di «acquietarsi in una<br />
conclusione», quasi in forza di un’intrinseca<br />
necessità. Il ricorso al dubbio come<br />
metodo, ha proseguito Aldo Trione, porta<br />
Spirito dall’attualismo gentiliano al problematicismo,<br />
culminante nella dialettica<br />
del “Non-so”: un essere ignaro di tutto che<br />
permette, ad ogni acquisizione, di rilanciare<br />
la conoscenza come una sfida. Trione ha<br />
sottolineato anche l’emergere, dalla concezione<br />
della “vita come ricerca”, di un sottofondo<br />
politico che sconfina nel terreno<br />
dell’utopia.<br />
Armando Rigobello ha invece osservato<br />
come il trascendentale estetico di Spirito<br />
indichi le condizioni a-priori della dimensione<br />
artistica. Al di là del mero tecnicismo,<br />
la formalità è attività fantastica e<br />
creatrice, che permette alla theoresis di<br />
passare attraverso la sensualità e di trascenderla,<br />
diffondendo quella «feconda misteriosità<br />
dell’arte», di cui parlò Gentile.<br />
L’estetica spiritiana, come pure ha sottolineato<br />
Clementina Gily Reda, è essa stessa<br />
filosofia: essa tocca l’assoluto in maniera<br />
diretta e totale. In questo l’arte può riaprire<br />
la strada della contemplazione dell’oggetto<br />
e la strada del fare da quando, dopo<br />
l’annichilimento dei valori, l’esperienza<br />
della vita si è fatta ormai inattingibile. La<br />
Vita come Arte si mostra, in tal senso,<br />
opera avventurosa, perché “tenta” di spingersi<br />
oltre la coscienza di un non-raggiun-<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
gimento.<br />
Che la vera natura del pensiero estetico di<br />
Spirito sia nell’attenzione alla totalità è<br />
stato ribadito anche da Antimo Negri, che<br />
ha ricondotto le radici teoriche del pensatore<br />
a Kant. Tuttavia, limitare il compito<br />
dell’estetica al giudizio significa per Spirito<br />
asservirsi alla «logica del pensiero dividente»,<br />
dimenticando il valore assoluto<br />
dell’opera d’arte. Come ha rilevato Maria<br />
Lizzio, in Spirito arte è parola che sboccia<br />
da una coscienza che non ha coscienza di<br />
sé: quasi in uno stato onirico, l’arte non può<br />
svegliarsi alla filosofia. Arte e filosofia<br />
rimangono inconciliabili, e il mondo del<br />
sogno rimane il mondo della problematicità.<br />
A questo proposito, ha osservato Renato<br />
Testa, sulla scia del contributo di Vittorio<br />
Stella, che ha rimarcato la matrice<br />
romantica di questa impostazione, una<br />
strutturale contraddizione condanna qui<br />
la ricerca ad estraniarsi dalla vita, ad un<br />
destino in cui la metafisica è sempre più<br />
difficile da proporre.<br />
Spostando l’asse della discussione, G. Parlato<br />
ha illustrato le tre direttive lungo le<br />
quali, dal 1981, la “Fondazione Ugo Spirito”<br />
provvede alla conservazione dei documenti,<br />
alla ricerca scientifica e alla complicazione<br />
problematica del pensiero del filosofo.<br />
Preziosa testimonianza politica e filosofica,<br />
i carteggi che Spirito intrattenne,<br />
tra gli altri, con Abbagnano, Banfi, Croce,<br />
Battaglia, Carabellese, Pareyson, Del Noce,<br />
Bottai e Valitutti, ci permettono di leggere<br />
meglio il dibattito che portò alla definizione<br />
di temi concernenti neo-idealismo, antiidealismo<br />
e corporativismo, nel periodo a<br />
cavallo tra il fascismo e la Resistenza.<br />
Massimo Finoia è intervenuto invece sulla<br />
teoria economica di Ugo Spirito, sottolineandone<br />
l’approccio anti-marginalista e keynesiano.<br />
Se l’economia è scienza sociale,<br />
l’attenzione di Spirito si focalizza sulla<br />
centralità strutturale che lo stato assume,<br />
all’interno degli equilibri politicofinanziari.<br />
Introdotto da Fulvio Tessitore, che ha<br />
sottolineato la cifra politica del pensiero<br />
di Ugo Spirito, Vittorio Mathieu ha<br />
affrontato il tema dello Stato etico. Questa<br />
“figura dell’assoluto”, spesso dolorosamente<br />
confusa con lo Stato nazionale,<br />
è un altro momento dell’utopia filosofica<br />
spiritiana. Lo Stato di Ugo Spirito<br />
si richiama al modello dell’Urbs che,<br />
uscendo dall’eterogeneità di costumi<br />
delle poleis greche, continuava ad essere<br />
una città, anche quando estendeva i suoi<br />
confini. In virtù dell’universalità di un<br />
ordinamento giuridico, l’Impero romano<br />
poteva dirsi Stato etico, in cui la<br />
diversità era rispettata e, al contempo,<br />
assimilata. E’ questo, per Mathieu, l’ideale<br />
“metafisico” della politica di Spirito:<br />
il tentativo di conciliare l’individualità<br />
con il tutto coinvolge ogni aspetto del<br />
reale, al di là di ogni accusa di intellettualismo.<br />
Così, la rivoluzione, controcanto dello<br />
54<br />
sfondo politico e utopico della Vita come<br />
Arte, si configura non come funzione<br />
dell’agire dei singoli, bensì come momento,<br />
o meglio, luogo metafisico, in<br />
cui il tutto rovescia se stesso. S.I./<br />
M.R.<br />
Collegio di sociologia<br />
Si è tenuto il 23 e 24 ottobre 1992 nella<br />
sede dell’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong><br />
<strong>Filosofici</strong> di Napoli un convegno sul<br />
tema: L’OCCIDENTE, IL POTERE, IL SACRO,<br />
coordinato da R. Esposito, U. Olivieri e<br />
C. Ossola. <strong>Studi</strong>osi di vari paesi hanno<br />
ripreso in esame l’avventura intellettuale<br />
del “Collège de sociologie” di<br />
Bataille nell’intento, oltre che di farne<br />
un bilancio, di riattivarne lo stile di<br />
lavoro.<br />
L’attività del “Collège de sociologie” -<br />
fondato a Parigi da Georges Bataille, Roger<br />
Caillois, Michel Leiris e Pierre Klossowski,<br />
i cui lavori tuttavia ebbero luogo<br />
soltanto dal 1937 al 1939, e ad essi presero<br />
parte intellettuali come Alexandre Kojève,<br />
Marcel Mauss, Walter Benjamin, Jean<br />
Wahl e Jacques Lacan - è ancora poco<br />
nota in Italia (anche se l’editore Bollati<br />
Boringhieri ne ha pubblicato i testi lo scorso<br />
anno, con il titolo: Il Collegio di sociologia),<br />
ma di estrema importanza per almeno<br />
due motivi: l’impresa di quel gruppo di<br />
intellettuali “irregolari” degli anni Trenta<br />
ha avviato una problematica, e uno stile di<br />
lavoro, che costituiscono un precedente<br />
essenziale per gran parte della successiva<br />
cultura francese, sempre in tensione tra<br />
filosofia e scienze umane. Senza un’adeguata<br />
conoscenza di quel precedente risulta<br />
difficile infatti comprendere appieno il<br />
programma di ricerca di un Levi-Strauss o<br />
di un Foucault, di un Benveniste o di un<br />
Lacan, e anche di Derrida. In secondo luogo<br />
la ricerca avviata dal Collège, debitrice<br />
da un lato del lavoro di Durkheim e Mauss<br />
e dell’insegnamento di KOJÈVE, e dall’altro<br />
legata all’esperienza del surrealismo, traeva<br />
il suo carattere radicalmente innovativo<br />
dall’essere imperniata su di una tematica<br />
del sacro non più circoscritta agli ambiti<br />
religiosi, o comunque trascendenti, ma volta<br />
a investire l’intero insieme delle concezioni<br />
sociopolitiche ed economiche; nella visione<br />
del Collège in altri termini una concezione<br />
del sacro stava a fondamento di ogni<br />
teoria sociale, che andava così considerata<br />
sempre una forma di superstizione volta a<br />
risolvere il problema del tragico, della costitutiva<br />
mancanza di senso dell’essere sociale,<br />
una visione resa oggi attuale dalla<br />
crisi di ogni idea di secolarizzazione.<br />
I lavori del convegno hanno naturalmente<br />
spostato i termini della questione, dalle<br />
problematiche degli anni Trenta a quelle<br />
odierne, incentrate comunque sul rapporto<br />
estetica-politica. Così Giacomo Marra-
mao, individuando nel rito il fattore genetico<br />
del mito, ha avanzato l’idea di una<br />
pratica rituale che sia desacralizzante e,<br />
ponendo a confronto la cultura greca e<br />
quella romana, ha individuato tale pratica<br />
nel diritto. Giorgio Agamben, a sua volta,<br />
ha rilevato la necessità di passare dall’idea<br />
di sovranità come fondamento comunitario,<br />
centrale in Bataille, a un’idea di comunità<br />
fondata su di una non-sovranità, avendo<br />
di mira, mediata dalla tematica del<br />
messianismo, una forma originaria della<br />
Legge come “vigenza senza significato”,<br />
luogo di pure lettere, anteriore a ogni articolazione<br />
e ordinamento, che ha poi la sua<br />
espressione concreta in quella singolarità<br />
come differenza indifferente, in cui consiste<br />
una comunità.<br />
Il rapporto Occidente-Oriente, trascurato<br />
dal Collège di Bataille, è stato esaminato<br />
da Roberto Esposito, che ha individuato<br />
nell’Oriente il rimosso, il senso di colpa<br />
dell’Occidente, l’espressione di una cultura<br />
senza diritto, di una non-civiltà; nella<br />
stessa direzione Giovanni Filoramo ha<br />
invece segnalato il ritorno di questo rimosso<br />
nelle diverse forme occidentali di estetizzazione<br />
del sacro. Jacqueline Risset ha<br />
ripreso l’eredità del Collège, proponendo<br />
il passaggio da un’ermeneutica del senso a<br />
un’ermeneutica del dono, con l’intento di<br />
giungere non a una sacralizzazione del<br />
potere, opposta e speculare ai poteri vigenti,<br />
come negli anni Trenta, ma a una desostanzializzazione<br />
del potere. Dal canto suo<br />
Remo Bodei ha tracciato un rapporto tra il<br />
pensiero di Bataille e quello di Giovanni<br />
Gentile, sulla base di una medesima consacrazione<br />
della comunità come luogo più<br />
proprio dell’individuo, fattore interiore e<br />
fondativo dell’io di ogni soggetto, fino a<br />
giungere ai paradossi di una tale sovranità<br />
etica della comunità sul singolo.<br />
Il convegno aveva tra l’altro uno scopo<br />
pratico: quello di costituire in Italia - sulla<br />
scorta di singolari esperienze storiche come<br />
il Collège de sociologie francese e l’Institut<br />
fur Sozialforschung di Francoforte - un<br />
Collegio Internazionale di Filosofia Sociale,<br />
per iniziativa di Esposito, Marramao,<br />
Risset e Carlo Ossola, in grado di<br />
affrontare la ricerca teorica al di fuori di<br />
steccati ideologici e gnoseologici che ne<br />
inaridiscono le capacità di analisi e comprensione.<br />
Punto di partenza è il tempo<br />
presente con i suoi grandi mutamenti e<br />
rivolgimenti sociali, a cui il pensiero risponde<br />
con impianti teorici vecchi e interpretazioni<br />
obsolete, o col minimalismo<br />
teorico della cultura anglosassone. Si tratta<br />
allora di riprendere uno stile di lavoro<br />
adeguato alle dimensioni del problema,<br />
ossia al di fuori dei saperi consolidati,<br />
come ebbero a fare in altre epoche di crisi<br />
gruppi di intellettuali, forse di poca carriera,<br />
ma certo di grandi idee. L’iniziativa<br />
muove da un esigenza reale e ha quindi una<br />
forte giustificazione storica. L’unica perplessità<br />
riguarda forse il fatto che mentre i<br />
gruppi, che nel recente passato diedero<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
vita a poderose esperienze di lavoro intellettuale<br />
“extraistituzionale”, erano per lo<br />
più composti da ricercatori non a caso<br />
estranei o comunque marginali rispetto al<br />
mondo accademico, l’iniziativa odierna è<br />
invece presa in maniera esclusiva da intellettuali<br />
appartenenti al mondo accademico.<br />
La perplessità riguarda insomma le<br />
reali motivazioni di un lavoro extra-istituzionale,<br />
che prende di mira gli stessi “totem<br />
e tabù” della cultura universitaria.<br />
Non si può negare d’altronde che questa<br />
sia l’eredità dei Bataille e dei Benjamin.<br />
F.E.<br />
Seminario filosofico<br />
permanente<br />
Con la sigla di “Seminario filosofico<br />
permanente” si è svolta alla Fondazione<br />
Corrente di Milano, a partire dal<br />
gennaio 1992, una prima serie di incontri<br />
dal titolo programmatico: OG-<br />
GETTI E FORME DEL PENSIERO, a cui hanno<br />
partecipato Lorenzo Magnani, Luisa<br />
Bonesio, Monica Luchi, Michele Prandi,<br />
Giovanni Scibilia, Silvana Borutti,<br />
Ugo Fabietti, oltre a Fulvio Papi, ideatore<br />
e promotore del ciclo.<br />
La Fondazione Corrente è nata quindici<br />
anni fa, per iniziativa di Ernesto Treccani,<br />
come centro di documentazione e studio<br />
della rivista “Corrente” (1938-40) e luogo<br />
di elaborazione culturale degli ambiti di cui<br />
la rivista si interessava: arte, letteratura,<br />
critica, estetica, filosofia. Fulvio Papi, che<br />
da anni collabora a “Corrente”, ha pensato<br />
di inaugurare, a partire da quest’anno, una<br />
formula che identificasse meglio le attività<br />
filosofiche già in atto da molto tempo alla<br />
Fondazione Corrente, e le riconducesse a<br />
un lavoro di progettazione unitario, pur<br />
mantenendosi duttile e aperta a situazioni<br />
anche molto differenziate. L’aggettivo “permanente”<br />
alludeva di fatto alla stabilità di<br />
una struttura che doveva però ricerca continuamente<br />
la propria forma, ridiscutendola<br />
e rinnovandola. La prima e la seconda<br />
annata della serie di iniziative, che potremmo<br />
definire sperimentali, hanno cercato (e<br />
cercheranno) di mettere a fuoco un’immagine<br />
di gruppo filosofico. Papi e collaboratori<br />
intendono andar oltre l’idea della scuola,<br />
che rimanda inevitabilmente a identità<br />
presupposte, all’unità del metodo e all’omogeneità<br />
degli oggetti; vorrebbero invece<br />
interrogarsi sul senso del riconoscersi come<br />
un’unità. Un seminario di filosofia, che<br />
abbia in vista l’unità che è data dall’occasione<br />
di un discorso filosofico possibile,<br />
non dovrebbe presupporre schemi unitari<br />
già dati - se non il luogo fisico in cui il<br />
seminario si svolge.<br />
Di fatto, questa è anche la storia dei partecipanti<br />
che hanno inaugurato il seminario:<br />
Lorenzo Magnani, Luisa Bonesio,<br />
Monica Luchi, Michele Prandi, Giovanni<br />
Scibilia, Silvana Borutti, Ugo Fabietti,<br />
oltre naturalmente a Fulvio Papi. Tutti<br />
vengono dall’Università di Pavia e hanno<br />
55<br />
fatto dell’insegnamento di Papi un riferimento<br />
fondamentale. Tutti però hanno lambito<br />
e si sono insediati in territori eterogenei,<br />
come le cosiddette scienze umane,<br />
dalla psicoanalisi (Luchi), all’antropologia<br />
(Fabietti), alla linguistica (Prandi). Chi è<br />
rimasto legato al discorso più classicamente<br />
filosofico si è ritagliato spazi di riconfigurazione<br />
della filosofia: l’epistemologia<br />
costruttiva e interpretativa, con riferimento<br />
alle scienze umane (Borutti), l’estetica del<br />
sublime (Bonesio), la filosofia della matematica<br />
(Magnani), la decostruzione (Scibilia).<br />
Il gruppo quindi non presuppone identità,<br />
ma delimita un tessuto discorsivo molto<br />
ampio.<br />
Al primo ciclo di incontri, aperti al pubblico<br />
e gratuiti, è stato dato un titolo generale:<br />
Oggetti e forme del pensiero, che segnala<br />
nella sua genericità un modo di intendere<br />
un gruppo di lavoro che non vuol partire da<br />
metodi e oggetti presupposti. Se il plurale<br />
rimanda alla varietà delle voci coinvolte, i<br />
termini di oggetto, forma e pensiero intendono<br />
programmaticamente richiamare un<br />
impianto classico della riflessione filosofica;<br />
non necessariamente per sottoscriverlo,<br />
piuttosto per ritornare a interrogarsi su temi<br />
di cui, forse troppo facilmente, si è decretato<br />
il tramonto o la fine. Da qui l’insistenza<br />
su un canone filosoficamente tradizionale,<br />
come si può rilevare sin dai titoli degli<br />
interventi: si parla di soggetto (“Il soggetto<br />
nel disagio della civiltà”), di metafore architettoniche<br />
della costruzione (“Decostruzione<br />
e costruzione”), di intenzionalità comunicativa<br />
(“Volontà di comprendere”),<br />
di rappresentazione (“Rappresentazione,<br />
forma, oggetto”), di tempo (“Antropologia<br />
del tempo e tempo dell’antropologia”) e<br />
soprattutto di filosofia (“Prove per una<br />
filosofia”), ovvero ciò che per tutti i partecipanti<br />
bisognerebbe riprendere a fare.<br />
Per quanto riguarda le attività di quest’anno<br />
(<strong>1993</strong>), possiamo anticipare che preludono<br />
ad una organizzazione del seminario<br />
completamente differente (da realizzare<br />
nella terza annualità). Si pensa naturalmente<br />
di allargare il giro delle voci, coinvolgendo<br />
studiosi che condividono la necessità<br />
di un confronto filosofico in un luogo in<br />
cui scorrono e si intersecano flussi discorsivi<br />
eterogenei, più che una sede celebrativa<br />
di una qualsiasi proprietà o serie di<br />
proprietà attraverso la loro ripetizione. Si è<br />
inoltre fissato un tema: Orizzonti di senso<br />
della memoria, su cui far convergere l’attenzione<br />
dei partecipanti. Nella primavera<br />
del ’93 si avranno i primi due incontri con<br />
Lorenzo Magnani e Fulvio Papi, che forniranno<br />
le coordinate teoriche, su cui saranno<br />
impostati gli interventi del prossimo anno.<br />
Si cercherà inoltre di sperimentare una
nuova formula di discussione di un testo<br />
filosofico: Silvana Borutti e Giovanni Scibilia<br />
discuteranno in tal senso del libro di<br />
Deleuze e Guattari, Qu’est-ce que la philosophie?<br />
Tutte le attività del seminario filosofico<br />
permanente sembrano complessivamente<br />
mostrare nella loro eterogeneità come la<br />
filosofia non provenga da ontologie date,<br />
da regioni di oggetti già ritagliati, ma cerchi<br />
di produrre discorsivamente e dialogicamente<br />
oggetti e forme di riflessione.<br />
G.S.<br />
Omaggio<br />
a Jean-Pierre Vernant<br />
Si è tenuto il 23 gennaio 93 un incontro<br />
alla Sorbona in omaggio alla figura e<br />
alle opere di Jean-Pierre Vernant, presente<br />
egli stesso. Organizzato da Vidal-Naquet<br />
(assente per malattia), si è<br />
trattato di un colloquio pubblico molto<br />
famigliare: antichi studenti, celebri<br />
studiosi oggi si sono ritrovati a “festeggiare”<br />
un autentico maestro. In<br />
questo senso la giornata è stata dedicata<br />
alla ricostruzione del cammino<br />
intellettuale e politico di JPV.<br />
Unanime è stato il riconoscimento da parte<br />
degli antichi allievi del valore di rottura delle<br />
opere di JP.Vernant a partire dalla pubblicazione<br />
di “Mito e pensiero” nel 65. Nicole<br />
Loraux col brio che la contraddistingue ha<br />
voluto ricordare il carattere polveroso e stantio<br />
degli studi classici alla sua epoca e il<br />
desiderio urgente per tutta una generazione<br />
di “ritornare ai Greci” con strumenti e attitudini<br />
nuovi. Contro all’ideologia dell’<br />
“uomo eterno” immutabile nei tempi, Vernant<br />
ha sottolineato la necessità di segnare<br />
la distanza e l’alterità radicale dei Greci<br />
rispetto a noi. Si trattava di comprendere non<br />
la società greca ma l’uomo greco o meglio<br />
gli uomini greci, all’interno della propria<br />
civiltà. Ancora di più, il desiderio antropologico<br />
dello studioso di cogliere qualcosa<br />
dell’altro, lo ha spinto a interrogare cosa<br />
fosse per i Greci stessi il loro Altro. Pierre<br />
Leveque ha voluto ricordare il particolare<br />
stile con cui JPV ha saputo tessere le implicazioni<br />
fra società, mito e pensiero operando<br />
su una scena concreta senza accontentarsi<br />
di astratti schemi “strutturalisti”. François<br />
Hartog ha riconosciuto i suoi debiti e ha<br />
sottolineare anche come fosse possibile oggi<br />
andare oltre lo stesso Vernant (in particolare<br />
per quanto riguarda i suoi studi sulla<br />
divinazione). Roberto di Donato ha invece<br />
messo a fuoco i rapporti fra Vernant e Dumezil.<br />
F.M.Z.<br />
Il filosofo e la schiavitù<br />
Organizzato dall’Istituto Italiano per<br />
gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong>, si è svolto a Na-<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
poli dal 21 al 25 settembre 1992 un<br />
seminario condotto da Domenico<br />
Losurdo sul tema: IL FILOSOFO E LA<br />
SCHIAVITÙ. LAVORO SALARIATO E LAVORO<br />
SERVILE NEL PENSIERO MODERNO. Filo<br />
conduttore delle lezioni è stato quello<br />
di mettere in evidenza come, contrariamente<br />
a quanto sostiene la storiografia<br />
ufficiale, il liberalismo non<br />
coincida con la storia della libertà, e<br />
le conquiste fatte in suo nome siano<br />
il frutto di gigantesche lotte sociali<br />
condotte dalle classi sociali più umili,<br />
e non il risultato della politica<br />
liberale.<br />
Se nell’elaborazione dei filosofi moderni e<br />
contemporanei il tema della schiavitù è<br />
stato oggetto di poca attenzione, se non<br />
addirittura di una rimozione dalla cultura<br />
ufficiale, ciò è dovuto, sostiene Domenico<br />
Losurdo, alla convinzione che l’avvento<br />
del Cristianesimo comportasse di per sé la<br />
fine della schiavitù, e che quest’ultima fosse<br />
d’altra parte in contraddizione con la<br />
tradizione liberale. La forte carica antischivistica<br />
del Cristianesimo primitivo è stata<br />
tuttavia smussata e neutralizzata, fin dall’inizio,<br />
da un’interpretazione meramente<br />
intimistica della libertà del cristiano, mentre<br />
il ricorso al tema del peccato originale<br />
giustificava in pieno l’istituto della schiavitù.<br />
Da questo punto di vista, la tradizione<br />
cristiana si associa a quella greco-classica,<br />
stando alla tesi aristotelica secondo cui vi<br />
sarebbero uomini per natura incapaci di<br />
autogovernarsi e quindi bisognosi di un<br />
padrone.<br />
Svolgendo un’analisi parallela tra pensatori<br />
liberali e teorici dell’assolutismo, Losurdo<br />
ha mostrato come un pensatore, Grozio,<br />
che può essere considerato il padre spirituale<br />
del liberalismo, sente il dovere, sulla<br />
scorta dell’espansione coloniale olandese,<br />
di dare una giustificazione teorica all’istituto<br />
della schiavitù, sostenendo che la schiavitù<br />
non è altro che il risultato di un contratto<br />
di scambio tra la forza lavoro dello<br />
schiavo, e gli alimenti per il suo sostentamento,<br />
messi a disposizione dal padrone;<br />
oppure è il risultato del cosiddetto diritto di<br />
guerra, per cui il vincitore fa dono della<br />
vita allo sconfitto in cambio del suo assoggettamento.<br />
Infine la schiavitù può nascere<br />
dalla trasformazione di una condanna penale<br />
in asservimento. In ogni modo la schiavitù<br />
sarebbe sempre frutto di una libera<br />
scelta contrattuale tra due parti che scambiano<br />
paritariamente le loro merci.<br />
Locke, sulla scia di Grozio, giustifica la<br />
schiavitù nelle colonie, sostenendo che essa<br />
è la conseguenza di una guerra legittima<br />
che si realizza tra i popoli cristiani europei<br />
e le popolazioni coloniali che devono essere<br />
civilizzate. Nello stesso tempo, però,<br />
mitigando la teoria di Grozio, rifiuta la<br />
giustificazione contrattualistica della schiavitù,<br />
che significherebbe per lo schiavo,<br />
contrariamente alla tradizione cattolica, il<br />
dover cedere al padrone il potere assoluto<br />
56<br />
di vita o di morte sulla propria persona, con<br />
il rischio di avallare l’istituto della schiavitù<br />
anche nella stessa madrepatria.<br />
In ambito liberale l’unica voce antischiavista<br />
del ‘700 viene da Smith, ma le sue<br />
argomentazioni sono solo di carattere economicistico.<br />
Il rapporto di lavoro servile è<br />
un rapporto fondamentalmente improduttivo,<br />
poiché lo schiavo deve essere mantenuto<br />
per tutta la vita e produce poco a causa<br />
della mancanza di incentivi. Una condanna<br />
esplicita della schiavitù, attraverso l’abolizione<br />
delle giustificazioni contrattualistiche<br />
dei liberali, ci giunge paradossalmente<br />
da un teorico dell’assolutismo monarchico<br />
come Bodin. In Hobbes, il punto di partenza<br />
è simile a quello di Grozio e Locke, ma<br />
a differenza di quest’ultimi, che si richiamano<br />
alla tradizione gerco-classica per<br />
sostenere che vi sono schiavi per natura,<br />
Hobbes ritiene che tutti gli uomini sono<br />
uguali per natura, per cui la causa della<br />
disuguaglianza e della stessa schiavitù deve<br />
essere ricercata non nella natura, ma nella<br />
società e nella storia. L’istituto della schiavitù<br />
è dunque un rapporto basato semplicemente<br />
ed esclusivamente sulla diversa forza<br />
del padrone da una parte e dello schiavo<br />
dall’altra, e come tale non è altro che la<br />
continuazione dello stato di guerra.<br />
Nell’Illuminismo le considerazioni sulla<br />
schiavitù sono orientate dalle diverse realtà<br />
politiche presenti in Europa. In Inghilterra,<br />
dopo la “Gloriosa Rivoluzione”, si assiste<br />
al monopolio della tratta dei negri per quanto<br />
riguarda la politica internazionale, e alla<br />
presenza di posizioni del tutto conservatrici<br />
nella gestione interna. Del tutto diversa è<br />
la situazione politica francese, che da una<br />
parte si richiama al modello inglese della<br />
restrizione censitaria dei diritti politici,<br />
dall’altra la critica aspramente, considerandola<br />
una riedizione moderna della schiavitù<br />
classica. Montesquieu, esponente di<br />
una posizione moderata, da una parte sembra<br />
condannare la schiavitù, dall’altra sostiene<br />
che in certi paesi, dove il clima è<br />
molto caldo, la disciplina nel lavoro può<br />
essere mantenuta solo grazie all’assoggettamento<br />
servile. Così, dal punto di vista<br />
della ragione, la schiavitù è un istituto da<br />
condannare e da abolire, ma dal punto di<br />
vista della ragione naturale bisogna accettarne<br />
l’esistenza. In questo Montesquieu<br />
non si distanzia molto dagli illuministi inglesi,<br />
sebbene in lui, a differenza della<br />
cultura anglo-americana, si manifesti una<br />
sorta di autocritica dell’Europa, considerata<br />
responsabile dello sterminio degli indios<br />
e dei negri. In Rosseau, invece, incontriamo<br />
la condanna esplicita della schiavitù,<br />
imcompatibile con l’essere dell’uomo. La<br />
tesi secondo cui il colonialismo è indispensabile<br />
per la civilizzazione di certi popoli e<br />
per la loro felicità, è una ipocrisia che<br />
nasconde un interesse di carattere meramente<br />
economico, così come è un’ipocrisia<br />
teorizzare che le classi povere francesi sono<br />
abituate a vivere nella povertà al punto di<br />
esserne felici.
CONVEGNI E SEMINARI<br />
Charles Louis de Montesquieu;<br />
B. de Las Casas, Illustrazioni per l’edizione latina della Brevissima relazione della distruzione delle Indie<br />
(1598);<br />
Jean-Jacques Rousseau<br />
57
Da ultimo Losurdo ha messo a confronto<br />
due filosofi dell’ ‘800, Marx e Nietzsche,<br />
dal punto di vista dell’accostamento<br />
tra schiavitù nera e lavoro salariato.<br />
Per Marx tale avvicinamento è lo<br />
spunto per lanciare un appello affinché<br />
le classi lavoratrici si ribellino; per Nietzsche,<br />
la continuità tra queste due forme<br />
di assoggettamento dimostra come l’istituto<br />
della schiavitù sia inseparabile dallo<br />
sviluppo della civiltà. In effetti, Nietzsche<br />
rappresenta un “liberale estremista”,<br />
che legge in maniera più spregiudicata<br />
e cruda l’importazione massiccia in<br />
Europa delle popolazioni cinesi e africane,<br />
al di là di ogni trasfigurazione ideologica.<br />
Egli diverge però dalla tradizione<br />
liberale, ritenendo il Cristianesimo la<br />
religione del risentimento, dell’odio,<br />
della vendetta dei mal riusciti contro le<br />
classi ricche e questo rancore presente<br />
nel Cristianesimo viene perpetuato dagli<br />
intellettuali plebei. G.P.<br />
Il diritto e i suoi luoghi<br />
Qual è il rapporto tra l’esigenza di<br />
un’eguaglianza universale dei diritti<br />
e la molteplicità delle culture, delle<br />
etnie, delle religioni e delle ideologie?<br />
Non devono tener conto le teorie<br />
universalistiche e contrattualistiche<br />
del diritto e della società della<br />
specificità irriducibile delle diverse<br />
individualità storiche e sociali? E<br />
come possono coesistere, convivere<br />
e compenetrarsi tali diversità?<br />
Queste e altre domande sono state<br />
riproposte da un convegno organizzato<br />
nel settembre 1992 a Arden<br />
Homestead, presso New York, nel<br />
contesto dello “Urban Forum” della<br />
Fondazione Rockefeller, sul tema:<br />
PLACE AND RIGHT (Luogo e Diritto).<br />
Alle origini del convegno si trova una suggestione<br />
del filosofo della politica Michael<br />
Walzer, che ha paragonato a un “hotel”<br />
l’ideale di ogni teoria universalistica della<br />
società. Gli hotel, soprattutto i grandi hotel<br />
internazionali, non fanno differenze tra i<br />
loro ospiti e presentano un ambiente omogeneo<br />
e anonimo, che non conosce diversità<br />
culturali, religiose, ideologiche, etniche.<br />
La tesi di Walzer è che nessuno, al di fuori<br />
delle necessità del viaggio, accetterebbe di<br />
buon grado di risiedere nell’atmosfera anonima<br />
di tali ambienti. Il cittadino non è<br />
cliente di un hotel, ma appartiene a una<br />
determinata società, caratterizzata da particolarità<br />
locali e da diritti, costumi e ideali di<br />
giustizia non universalizzabili. Di tali particolarità<br />
le teorie della società e della giustizia<br />
devono tenere conto, se non vogliono<br />
cadere nell’astrazione.<br />
Importante, in questa prospettiva, è la questione<br />
del rapporto tra il diritto e gli spazi in<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
cui esso si realizza (o viene negato), al cui<br />
chiarimento hanno contribuito al convegno<br />
sia interventi di carattere storico, sia<br />
analisi di situazioni di città contemporanee,<br />
condotte in una prospettiva interdisciplinare.<br />
Primo intervento quello di Richard<br />
Sennet, dedicato alla storia del ghetto ebraico<br />
di Venezia. In questo caso la genesi della<br />
“modernità” della città va di pari passo con<br />
l’esclusione spaziale di una parte considerevole<br />
dei suoi abitanti. I confini spaziali<br />
coincidono qui con i confini della legge.<br />
L’uguaglianza di cui godevano gli ebrei<br />
veneziani era unicamente di tipo economico:<br />
al difuori dei confini del ghetto (che<br />
durante la notte non potevano essere superati)<br />
gli ebrei veneziani perdevano il diritto<br />
di essere protetti dalle persecuzioni. Si configura<br />
quindi una duplicità dei diritti, divisi<br />
tra quelli legati ad un luogo preciso e quelli<br />
slegati da tale luogo. Il fatto che il diritto<br />
alla protezione e alla sicurezza sia legato<br />
allo spazio del ghetto sembra in questo<br />
caso essere una modalità della costituzione<br />
di un’identità: l’esclusione dalla società<br />
cittadina rende l’essere ebreo un’esperienza<br />
legata allo spazio, e conduce gli ebrei<br />
veneziani a un’idealizzazione del ghetto<br />
come istanza produttrice di identità.<br />
In altri interventi il legame tra unità spaziali<br />
e ambito dei diritti è stato preso in considerazione<br />
in rapporto a situazioni di carattere<br />
“pre-moderno” che ancora continuano<br />
a sussistere nel presente. Il politologo Paulo<br />
Sergio Pinheiro e il geografo Milton<br />
Santos (entrambi di San Paolo del Brasile)<br />
hanno messo in luce come nella contrapposizione<br />
tra centro e periferia delle grandi<br />
metropoli si riproduca l’antica contrapposizione<br />
tra città e campagna. La segregazione<br />
spaziale divide ad esempio una città<br />
come San Paolo in zone di indifferenza<br />
rispetto ai diritti e alla legge e in un centro<br />
che tenta in ogni modo di delimitarsi rispetto<br />
alle periferie, ma con il solo risultato di<br />
riprodurre tale indifferenza. Alla estrema<br />
densità di popolazione e alla grande povertà,<br />
che fanno della violenza una norma<br />
nelle favelas brasiliane, si aggiunge così il<br />
fatto che anche il rapporto tra il centro della<br />
città e le periferie è determinato da interventi<br />
polizieschi incontrollati e da una sorta<br />
di giustizia “privata”.<br />
Sempre all’interno di un’analisi delle agglomerazioni<br />
urbane, l’influsso della guerra<br />
civile e di un diritto “d’emergenza” sulle<br />
strutture spaziali di Beirut sono stati al<br />
centro degli interventi del sociologo Samir<br />
Kahlaf (Princeton) e dell’architetto Hassim<br />
Sarkis (Harvard). In una guerra condotta<br />
attraverso azioni partigiane non esistono<br />
fronti chiaramente definiti: lo spazio<br />
urbano diventa un campo di possibili attacchi<br />
e si omogeneizza. In una guerra che ha<br />
come suo metodo principale l’attentato e<br />
come figura centrale il franco tiratore, non<br />
si danno più contatti diretti tra aggressore e<br />
vittima, e questo conduce a uno sconfinamento<br />
della violenza, a una non-delimitazione<br />
dei luoghi in cui essa si esercita e,<br />
58<br />
infine, a un’impossibilità di identificare<br />
spazio e diritto. In questa situazione, ha<br />
osservato Sarkis, i progetti di ricostruire<br />
Beirut secondo i criteri di un’architettura<br />
da capitale appaiono come il vano tentativo<br />
di sostituire l’architettura alla politica. Il<br />
caso di Berlino è stato invece analizzato<br />
dallo studioso delle migrazioni Jochen<br />
Blaschke e dall progettista Peter Marcuse<br />
(Columbia). Più che alla coincidenza di<br />
confini giuridici e spaziali, determinata per<br />
lungo tempo dall’esistenza del muro, l’attenzione<br />
dei due studiosi è stata dedicata<br />
alla situazione della comunità dei cittadini<br />
turchi nella città e in particolare nel quartiere<br />
di Kreuzberg.<br />
Il convegno si è concluso con una discussione<br />
tra Elaine Scarry (Harvard) e Arthur<br />
Danto (Columbia) sul problema, di<br />
carattere generale, del rapporto tra le categorie<br />
“fisiche” e quelle del diritto. Al centro<br />
di tale rapporto si trova la questione,<br />
posta dalla tradizione giuridica anglosassone,<br />
se il corpo umano non costituisca il<br />
luogo decisivo in cui in ultima analisi si<br />
localizzano tutti i diritti. Nella discussione<br />
sono state messe in luce le caratteristiche di<br />
tale “diritto naturale dal basso”, che cerca<br />
di derivare le norme non dal cielo delle<br />
idee, ma dal corpo dei soggetti giuridici. Da<br />
questo punto di vista, la distinzione tra<br />
luoghi prodotti artificialmente o storicamente<br />
(quartieri, città, regioni) e luoghi<br />
“naturali” appare più importante della loro<br />
coincidenza.<br />
Se le suggestioni walzeriane con cui si è<br />
aperto il convegno sembravano indicare<br />
che solo le unità locali costituiscono<br />
concetti morali e giuridici originali (e<br />
che perciò sia necessario cercare un sostrato<br />
spaziale e concreto per la società<br />
civile che si intende realizzare), nello<br />
svolgimento dei diversi interventi è sembrato<br />
delinearsi un rovesciamento di tale<br />
prospettiva: è il diritto stesso a determinare<br />
i confini fisici a cui si riferisce,<br />
siano essi luoghi o corpi. M.M.<br />
Deleuze e la differenza<br />
Organizzato da Ubaldo Fadini e Adelino<br />
Zanini, si è svolto presso l’Istituto<br />
filosofico ‘Aloisianum’ di Gallarate nei<br />
giorni 6-7 novembre 1992, un seminario<br />
dal titolo: GILLES DELEUZE: UN PENSIE-<br />
RO FORTE DELLA DIFFERENZA ONTOLOGICA.<br />
Più che dalle opere “teoretiche” di<br />
Deleuze, il seminario si è articolato a<br />
partire dalle “monografie” del filosofo<br />
francese, dove egli tematizza il proprio<br />
rapporto con Leibniz, Spinoza,<br />
Hume, Nietzsche.<br />
Secondo Maurizio Merlo, nel contesto del<br />
rapporto che Gilles Deleuze instaura con<br />
Leibniz, da lui inscritto nella prospettiva<br />
del Barocco, la questione centrale consiste
da un lato nel render conto della specificità<br />
del Barocco - la crisi di ogni essenzialismo<br />
-, estendendola oltre i suoi limiti storici,<br />
dall’altro nel dare esistenza al Barocco<br />
medesimo, producendone il concetto, per<br />
ritrovarlo come metodo o paradigma. Per<br />
questo, a parere di Deleuze, «non possiamo<br />
non dirci barocchi, o leibniziani», dove è<br />
Leibniz stesso a farsi portavoce del programma<br />
deleuzeano di una mathesis descrittiva,<br />
garantita da un orizzonte metafisico.<br />
Il Leibniz deleuzeano ridefinisce dunque,<br />
a parere di Merlo, i termini di un<br />
programma costruttivista: creare concetti<br />
in grado di pensare l’evento come attività<br />
immanente su uno sfondo di totalità; una<br />
creazione di un novum nell’interiorità del<br />
continuum. All’oggetto che si presenta<br />
come evento si accompagna la costituzione<br />
del soggetto come figura comunicante dell’interiorità,<br />
che in una prospettiva “uniplanare”<br />
diviene eguale al mondo, rispetto<br />
al quale esiste come espressione di un “punto<br />
di vista”. Deleuze legge così il prospettivismo<br />
leibniziano non come affermazione di<br />
una variazione della verità a partire dal<br />
soggetto, bensì come la condizione per cui<br />
appare al soggetto la verità di una variazione.<br />
Il soggetto è dunque punto di vista da<br />
cui una verità è; esso cioè è funtore di<br />
verità, non il costituente di essa. Pertanto,<br />
non si dà teoria del soggetto, ma inscrizione<br />
nel punto di vista in cui il soggetto si<br />
risolve.<br />
Proseguendo nell’indagine sulla questione<br />
del soggetto, l’intervento di Adelino Zanini<br />
si è sviluppato come tentativo di decostruzione<br />
del pensiero di Deleuze sulla<br />
soggettività come evento, a partire dalla<br />
monografia dedicata a Hume. Intendendo<br />
l’evento come ciò che singolarizza la continuità<br />
in ciascuna delle sue pieghe locali,<br />
come ciò che rende individuale l’universalità<br />
del continuum dell’uniplanarità ontologica,<br />
Deleuze individua un rapporto<br />
d’identità fra mente, immaginazione e idea.<br />
L’idea è il dato in quanto esperienza, laddove<br />
la mente è data come collezione di<br />
idee: immaginazione. In altri termini, la<br />
mente è immaginazione come “luogo”.<br />
Niente si rappresenta con l’immaginazione,<br />
ma tutto si rappresenta nell’immaginazione:<br />
nessuna volontà è propria dell’ego;<br />
e non potendosi separare il “luogo” da “ciò<br />
che in esso” avviene, la rappresentazione<br />
non è in un soggetto. L’idea di soggettività,<br />
pertanto, è solo una regola; superando la<br />
parzialità del soggetto, di cui è idea, essa<br />
include in ciascuna collezione di idee il<br />
principio e la regola di un accordo possibile<br />
fra soggetti.<br />
Il problema dell’io si risolve dunque a<br />
livello morale e politico. La ragione pratica<br />
è instaurazione di un tutto della cultura e<br />
della moralità, è l’immaginazione divenuta<br />
natura; l’abitudine è la radice della ragione,<br />
principio di cui questa è l’effetto. In questi<br />
termini, ha sottolineato Zanini, l’essenza<br />
dell’empirismo diventa per Deleuze il problema<br />
della soggettività. Il soggetto si de-<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
finisce come, e mediante, un movimento di<br />
autosviluppo; sua attività è credere e inventare.<br />
Dal dato si inferisce più di quanto si<br />
sappia: nel momento in cui si crede, con ciò<br />
si giudica, e ci si pone come soggetti. Il<br />
problema della verità si presenta allora<br />
come il problema critico della soggettività,<br />
che non cessa d’altra parte di qualificarsi,<br />
nel proprio oltrepassamento, come passiva,<br />
e che proprio per questo resta sempre<br />
distinta da un io. Nel determinarsi di quest’ultimo<br />
come sistema della pratica, si<br />
segnala, ha concluso Zanini, la vocazione<br />
spinoziana dell’interpretazione deleuzeana<br />
di Hume.<br />
A proposito della lettura che Deleuze conduce<br />
nei confronti del testo di Spinoza,<br />
Simona Ferlini ha ricordato come i suoi<br />
cardini siano costituiti anzitutto dall’anticartesianesimo,<br />
che per Deleuze accomuna<br />
Spinoza e Leibniz nella polemica antirappresentazionalista,<br />
dove all’impostazione<br />
cartesiana viene rimproverata l’incapacità<br />
di spiegare la natura da un punto di vista<br />
genetico; in secondo luogo, l’interpretazione<br />
deleuzeana di Spinoza si basa sulla<br />
tesi dell’univocità e dell’immanenza dell’essere,<br />
dove quest’ultimo è concepito<br />
come totalità produttiva. Anche in questo<br />
caso contro Descartes, viene rifiutato un<br />
qualsiasi principio trascendente, e il richiamo<br />
al neoplatonismo, dove l’Uno “contiene”<br />
i molti, è parziale: nello Spinoza deleuzeano<br />
l’Uno è i molti, e il rapporto<br />
neoplatonico fra complicatio ed explicatio<br />
viene chiarito attraverso il concetto<br />
di espressione.<br />
In questo modo, ha osservato Ubaldo<br />
Fadini, Spinoza assume un ruolo primario<br />
nel costituirsi dell’autonomo pensiero di<br />
Deleuze, in un rapporto affatto particolare<br />
con Nietzsche. Nella prospettiva deleuzeana,<br />
ha sostenuto Fadini, Spinoza precede<br />
Nietzsche, ma anche, in certo senso, lo<br />
segue, in quanto ne approfondisce alcuni<br />
spunti teoretici: la tesi spinoziana dell’incremento<br />
di potenza come criterio di verità<br />
può infatti costituire, da un punto di vista<br />
teoretico, il presupposto e la spiegazione<br />
della tesi genealogica nietzscheana, che<br />
nella volontà di potenza legge il fondamento<br />
che trascende l’alternativa tra vero e<br />
falso. L’opposizione di Nietzsche al coscienzialismo<br />
lascia emergere un’eredità<br />
spinoziana: l’elemento comune ai due pensatori<br />
è costituito dal rifiuto di subordinare<br />
la corporeità a un principio superiore, anch’esso<br />
trascendente, quale sarebbe appunto<br />
la coscienza. A questo proposito, ha<br />
anzi sostenuto Marco Senaldi, l’identificazione<br />
dell’essere con il corpo in Deleuze<br />
preclude il fatto che si possa parlare in lui<br />
di una vera e propria istanza ontologica.<br />
Proprio sul concetto di corpo, ha ribadito<br />
Fadini, insiste Deleuze, interpretando in tal<br />
senso sia Spinoza, sia Nietzsche. L’intrattenibilità<br />
del corpo da parte della coscienza<br />
è infatti ciò che emerge nel parallelismo fra<br />
corpo e idea, che Spinoza utilizza in vista<br />
dell’affermazione della loro corrisponden-<br />
59<br />
za. D’altro canto, la lettura deleuzeana dell’eterno<br />
ritorno ripropone anch’essa, come<br />
osserva Fadini, un attacco alla determinazione<br />
della coscienza, a partire, questa volta,<br />
da un’accentuazione dell’irriducibilità<br />
alla coscienza della molteplicità differenziale.<br />
La volontà di potenza, che nella lettura<br />
deleuzeana costituisce la matrice della<br />
dottrina dell’eterno ritorno, rimanda proprio<br />
all’affermazione dell’irriducibilità del<br />
singolo, e qui, cioè nel rifiuto della mediazione<br />
dialettica e della radicale accettazione<br />
del divenire, risiede la dimensione tragica<br />
dell’opera nietzscheana.<br />
Più rilevante di quanto non appaia esplicitamente<br />
è il rapporto conflittuale che Deleuze<br />
instaura con l’opera di Martin Heidegger.<br />
A questo proposito, ha rilevato<br />
Giambattista Vaccaro, la posizione di<br />
Deleuze nei confronti di Heidegger contiene<br />
elementi di ambiguità: da un lato il<br />
pensiero di Heidegger viene considerato<br />
come un pensiero della differenza, dove la<br />
determinazione heideggeriana della “differenza<br />
ontologica” sembra apparire come<br />
espressione di quella deleuzeana di piega;<br />
dall’altro la critica di Deleuze all’ontologia<br />
heideggeriana si presenta più radicale di<br />
quanto non sia esplicita. Secondo Deleuze,<br />
il concetto heideggeriano di differenza ontologica<br />
non salvaguarda la differenza dell’essente,<br />
in quanto la fa ricadere sotto<br />
l’identità, non arrivando a coglierne la “singolarità<br />
intensiva”. Ciò avviene a causa<br />
della trascendenza dell’essere, postulata da<br />
Heidegger, laddove occorre invece insistere,<br />
a parere di Deleuze, sul carattere di<br />
immanenza dell’essere all’ente.<br />
La rivendicazione dell’immanenza appare<br />
in Deleuze come garanzia di pluralismo nei<br />
confronti dell’ente fenomenico, e rimanda<br />
alla sua peculiare interpretazione dell’empirismo.<br />
In Deleuze, ha continuato Vaccaro,<br />
il concetto di caos si pone come radicalizzazione<br />
di quello heideggeriano di Abgrund,<br />
sprofondamento, e la stessa nozione<br />
di simulacro, connessa a quella di ripetizione,<br />
viene rivolta, in questa prospettiva,<br />
contro Heidegger: il risultato è la salvaguardia<br />
della molteplicità, del pluralismo,<br />
del quale l’essere si presenta come “superficie”.<br />
La distanza di Deleuze nei confronti<br />
di Heidegger deriva dunque anzitutto dal<br />
legame che nel pensatore francese si instaura<br />
fra l’istanza ontologica e il concetto<br />
di simulacro: il simulacro rappresenta la<br />
forma di ciò che è, cioè l’essente, e coincide<br />
con la differenza degli essenti. A questo
CONVEGNI E SEMINARI<br />
Maschera in legno del dio dei venti degli indiani Haida<br />
60
proposito, ha sottolineato Vaccaro, mentre<br />
per Heidegger l’essere è la differenza ontologica,<br />
in Deleuze, in un certo senso, la<br />
questione dell’istanza ontologica apre alla<br />
molteplicità. La differenza per Deleuze non<br />
è, bensì si fa, è costitutiva dell’esistenza: la<br />
differenza non distingue un ente da un<br />
altro, ma differenzia; e questo è tutto. “Fare<br />
la differenza” significa d’altra parte per<br />
Deleuze lasciare apparire l’essere come<br />
univoco, come ciò che si dice di tutti gli<br />
enti, i quali non differiscono fra di loro ma,<br />
essendo la differenza propria degli enti, si<br />
limitano a differire. F.C.<br />
Wilhelm von Humboldt<br />
e le lingue d’America<br />
In un convegno internazionale tenutosi<br />
a Berlino nell’ottobre del 1992 e<br />
organizzato dall’Istituto ispano-americano<br />
della Stiftung Preußischer Kulturbesitz<br />
è stato discusso un aspetto<br />
poco noto della figura di Wilhelm von<br />
Humboldt: la sua attività pionieristica<br />
nel campo dello studio delle lingue del<br />
continente americano.<br />
Amico di Goethe e Schiller e tra i principali<br />
esponenti del movimento classicista tedesco,<br />
attivo nell’ambito della politica dello<br />
stato prussiano, nel campo dell’educazione<br />
e padre fondatore della moderna filosofia<br />
del linguaggio, Wilhelm von Humboldt<br />
fu tra i primi a dedicarsi allo studio delle<br />
numerose lingue del continente americano<br />
e a una loro embrionale analisi comparata.<br />
A questo aspetto della sua attività di studioso<br />
è stato dedicato il convegno berlinese,<br />
che ha anche costituito l’occasione per la<br />
presentazione di un progetto dell’editore<br />
Schöning: la pubblicazione, a cura di Kurt<br />
Müller-Vollmer (Stanford) e Jürgen Trabant<br />
(Berlino), degli scritti di argomento<br />
linguistico, facenti parte del lascito humboldtiano.<br />
A disposizione degli studiosi è<br />
per ora il primo volume.<br />
Funzionario dello stato prussiano dal 1802,<br />
Wilhelm von Humboldt fu attivo in diversi<br />
ambiti culturali prima di trovare la propria<br />
vocazione nel campo dello studio dei fenomeni<br />
linguistici, un’attività per la quale<br />
egli è oggi da più parti considerato alle<br />
origini della linguistica moderna. Dopo la<br />
pubblicazione di un trattato sui Limiti dell’attività<br />
dello stato, annoverato in seguito<br />
tra i manifesti del liberalismo, Humboldt<br />
pubblica alcuni saggi dedicati a Goethe e<br />
Schiller. E’ in una lettera a Schiller del<br />
1802 che egli formula quello che sarebbe<br />
stato il tema principale dei suoi studi: la<br />
lingua, considerata, come già avevano fatto<br />
Hamann e Herder, come strumento ed<br />
espressione della ragione e delle culture<br />
umane e come condizione di possibilità del<br />
pensiero; la lingua dunque in una prospettiva<br />
filosofica. In contrapposizione a una<br />
concezione astratta della lingua, Humboldt<br />
considera il fenomeno linguistico sulla base<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
di un’analisi storico-empirica della molteplicità<br />
delle lingue, nell’individualità delle<br />
quali si manifestano il pensiero e l’ ”interna<br />
attività spirituale” dei diversi popoli e delle<br />
diverse culture. Sulla base di tale concezione<br />
Humboldt intende la confusione babelica<br />
delle lingue come una prova dell’illimitata<br />
capacità umana di riconoscere e pensare<br />
il mondo in modo sempre nuovo, come<br />
una manifestazione di creatività dello spirito<br />
e delle culture. Da tale concezione<br />
deriva anche l’idea humboldtiana, nuova<br />
nella cultura settecentesca, della pari dignità<br />
delle lingue e dunque dell’importanza<br />
di uno studio scientifico delle lingue<br />
anche apparentemente più rozze e “primitive”.<br />
I contributi presentati nel convegno berlinese<br />
hanno ricostruito i percorsi che hanno<br />
condotto Humboldt allo studio delle lingue<br />
del continente americano, mettendo al tempo<br />
stesso in luce i motivi di interesse dei<br />
contributi humboldtiani per la ricerca contemporanea<br />
nell’ambito della linguistica.<br />
Importante, per la genesi dell’idea di tali<br />
studi, sembra essere la figura del fratello,<br />
Alexander: è poco dopo la partenza di<br />
Alexander per l’America del Sud, nel 1799,<br />
che Wilhelm inizia a raccogliere materiali<br />
sulle lingue d’America, senza però allontanarsi<br />
dal suolo europeo. Stimolato da<br />
Alexander, che stava lavorando alla stesura<br />
del suo Voyage de Humboldt et Bompland<br />
aux régions équinoxial du nouveau<br />
continent (Viaggio di Humboldt e Bompland<br />
alle regioni equinoziali del nuovo<br />
continente, 1805-1834), ad una descrizione<br />
delle lingue americane, Wilhelm sviluppa<br />
un progetto di ricerca tanto ambizioso<br />
quanto irrealizzabile, che prevede di ricostruire<br />
lo stato delle lingue americane nel<br />
periodo precedente la colonizzazione spagnola<br />
e portoghese, riconducendo la loro<br />
varietà a strutture comuni e indicandone la<br />
grammatica attraverso elenchi di parole.<br />
Se questo progetto accomuna ancora in<br />
parte Humboldt all’enciclopedismo settecentesco,<br />
ciò che costituisce la novità della<br />
sua ricerca è l’insoddisfazione rispetto ai<br />
metodi e ai risultati del confronto tra le<br />
lingue sviluppato da poliglotti ed eruditi<br />
dell’epoca come Peter Simon Pallas e<br />
Johann Christoph Adelung, che mettevano<br />
in evidenza non strutture grammaticali ma<br />
analogie tra le parole con lo scopo di stabilire<br />
relazioni di parentela tra le diverse<br />
lingue.<br />
Kurt Müller-Vollmer ha ricostruito l’inizio<br />
della ricerca di Humboldt in questo<br />
campo, che si situa negli anni tra 1802 e<br />
1808, quando egli era ambasciatore prussiano<br />
a Roma. La città costituiva un terreno<br />
di studio ideale per gli americanisti, in<br />
quanto qui trascorrevano gli anni della pensione<br />
(dopo lo scioglimento, nel 1773, del<br />
loro ordine) numerosi missionari gesuiti<br />
reduci dal Sudamerica, scrivendo memorie<br />
riguardanti le lingue dei loro paesi di provenienza.<br />
A Roma Humboldt prosegue<br />
anche la ricerca e la raccolta di vecchie<br />
61<br />
grammatiche utilizzate dai missionari, già<br />
iniziata dal gesuita Lorenzo Hervàs. Nonostante<br />
i limiti di tali grammatiche (redatte<br />
per lo scopo missionario) e la base empirica<br />
delle sue ricerche, Humboldt riesce a compilare<br />
le grammatiche di quattordici lingue<br />
americane, dalla brasiliana Tupì-Guaranì<br />
alla lingua dello Yucatan, come ha mostrato<br />
Ramòn Arzàpalo (Città del Messico),<br />
al Nahuatl dell’America centrale, cui ha<br />
fatto riferimento Manfred Ringmacher<br />
(Berlino). Questo frammento del progetto<br />
complessivo (che prevedeva lo studio di<br />
cinquanta-sessanta lingue al fine di individuarne<br />
le analogie strutturali) metteva comunque<br />
in luce un denominatore comune<br />
alle lingue americane: la scarsa distinzione<br />
tra nomi e verbi, interpretata da Humboldt<br />
come l’espressione di un “pensiero non<br />
chiaro”. Così, ad esempio, nel caso del<br />
brasiliano Tupì-Guaranì, Wolf Dietrich<br />
(Münster) ha mostrato come Humboldt<br />
concludesse, partendo dalla “grande indeterminazione”<br />
di questa lingua, a una “carenza<br />
del pensiero”.<br />
Presupposto di tale valutazione sono due<br />
aspetti che fanno di Humboldt uno studioso<br />
del tutto settecentesco: la sua venerazione<br />
del greco antico, rispetto al quale egli misurava<br />
le categorie grammaticali delle lingue<br />
delle popolazioni americane, e l’idea di un<br />
progresso nella storia dell’umanità e delle<br />
lingue. Tuttavia, come ha sostenuto Jürgen<br />
Trabant, Humboldt si è anche proiettato<br />
oltre il suo secolo: la classificazione<br />
genetica delle lingue americane, che egli,<br />
rifacendosi ad alcune posizioni della biologia<br />
dell’epoca, riteneva ancora possibile<br />
all’inizio delle sue ricerche, si avvicina in<br />
modo via via crescente ad una moderna<br />
categorizzazione secondo strutture grammaticali<br />
condotta su un’ampia base empirica.<br />
Questo avviene, ad esempio, nel caso<br />
dello studio della lingua messicana Otomi<br />
come ha rilevato Klaus Zimmermann<br />
(Berlino). In quanto “scopritore” dello studio<br />
comparativo e generale della grammatica<br />
Humboldt ha poi preso congedo, secondo<br />
Frans Plank (Costanza), dal procedimento<br />
usuale del diciottesimo secolo,<br />
che anteponeva la classificazione astratta<br />
all’empiria.<br />
Alla discussione moderna nell’ambito della<br />
linguistica hanno fatto riferimento gli<br />
interventi di Maurizio Gnerre (Roma) e<br />
Helmut Gipper (Monaco): il primo ha<br />
sottolineato come Humboldt non si sia limitato<br />
alla costruzione di “scheletri” grammaticali,<br />
ma abbia messo in luce, attraverso<br />
il concetto di “carattere linguistico”,<br />
l’importanza del contesto culturale di ogni<br />
espressione linguistica, anticipando così<br />
una delle prospettive principali della linguistica<br />
antropologica. Per il secondo alcune<br />
posizioni di Humboldt potrebbero costituire<br />
un efficace antidoto contro l’avversione<br />
rispetto alla dimensione del significato<br />
che domina ampi settori delle linguistica<br />
americana. M.M.
Il Goethe Institut di Milano, in collaborazione<br />
con il Teatro alla Scala e la<br />
Provincia di Milano, ha organizzato<br />
per il giorno <strong>11</strong> gennaio un Convegno<br />
su Italia-Germania oggi. I partecipanti<br />
sono stati: Maurizio Chierici:<br />
“La cultura giornalistica”; Raffaele<br />
Durante: “La cultura economica”;<br />
Vittorio Fagone: “La cultura artistica”;<br />
Giulio Giorello: “La cultura<br />
scientifica”; Aldo Grasso: “La cultura<br />
televisiva”; Johannes Hösle: “La<br />
cultura letteraria”; Morando Morandini:<br />
“La cultura cinematografica”;<br />
Quirino Principe: “La cultura musicale”;<br />
Carlo Sini: “La cultura filosofica”;<br />
Franco Tatò: “La cultura manageriale”.<br />
● Informazioni: Amici della Scala,<br />
corso Venezia 36, 20100 Milano, tel.<br />
02/783479.<br />
Il 12 gennaio, presso la Sala Conferenze<br />
della Biblioteca Civica di Cologno<br />
Monzese, si è inaugurato un ciclo<br />
di Letture Filosofiche con la presentazione<br />
e la discussione del libro di<br />
Vittorio Hösle, Filosofia della crisi<br />
ecologica, da poco pubblicato dall’editore<br />
Einaudi. Presente l’autore e<br />
Domenico Losurdo.<br />
● Informazioni: Biblioteca Civica,<br />
via Milano 3, 20093 Cologno Monzese,<br />
tel. 02/25308201.<br />
Nel ciclo delle attività culturali della<br />
Fondazione San Carlo di Modena,<br />
sono da ricordare gli importanti Cicli<br />
e Seminari di studio iniziati nel mese<br />
di gennaio. Per il ciclo di lezioni:<br />
Questioni del tradurre, sono intervenuti:<br />
22 gennaio, Diego Marconi:<br />
“Problemi filosofici della traduzione<br />
radicale”; 19 febbraio, Goffredo Bartocci:<br />
“L’inconscio dell’altro”; 5 febbraio,<br />
Alessandro Pizzorno: “La spiegazione<br />
sociale come traduzione”; 5<br />
marzo, Alessandro Simonicca: “Forme<br />
di vita e culture”.<br />
Nell’ambito del ciclo di lezioni:<br />
I paesaggi del sacro, hanno partecipato:<br />
21 gennaio, Pierangelo Sequeri:<br />
“L’inferno e il paradiso”; 4 febbraio,<br />
Filippo Gentiloni: “L’Europa della<br />
nuova evangelizzazione”; 18 febbraio,<br />
Aldo Natale Terrin: “Tra vecchi<br />
e nuovi paradisi”; 25 febbraio,<br />
Franco La Cecla: “La sacralità del<br />
guard-rail”; <strong>11</strong> marzo, Paolo Ricca:<br />
“Né sul garizim né a Gerusalemme”.<br />
Per il 19 marzo è stato organizzato un<br />
CALENDARIO<br />
CALENDARIO<br />
Seminario dal titolo: Marcel Mauss.<br />
Il “fatto sociale totale”, durante il<br />
quale Steven Lukes ha parlato di “Razionalità<br />
e relativismo. Riflessioni<br />
ulteriori”; presenti inoltre: Riccardo<br />
Di Donato, Stefano Martelli, Alfredo<br />
Salsano, Paola Bora, Marcel Fournier.<br />
Infine ricordiamo che nell’ambito del<br />
Seminario di <strong>Studi</strong>o: Trinità e<br />
Storia, il 1 marzo ha parlato Lorenzo<br />
Paolini su “La Trinità fra Gioacchino<br />
Da Fiore e la Scolastica”; 15 marzo,<br />
Giampiero Bof su “La Trinità in Hegel”;<br />
16 aprile, Giuseppe Ruggieri su<br />
“Trinità e storia nella teologia contemporanea”.<br />
● Informazioni: Fondazione San<br />
Carlo, via San Carlo 5, 4<strong>11</strong>00 Modena,<br />
tel. 059/222315.<br />
Organizzate dalla rivista Aut-Aut e<br />
dall’Istituto Italiano per il diritto allo<br />
<strong>Studi</strong>o Universitario dell’Università<br />
degli <strong>Studi</strong> di Milano, dal 27 gennaio<br />
al 31 marzo <strong>1993</strong> si è svolto un ciclo<br />
di dieci lezioni sui generi in filosofia<br />
dal titolo: Scritture del pensiero.<br />
Questo il calendario degli incontri:<br />
27 gennaio, Pier Aldo Rovatti: “Lacan:<br />
scrivere l’inconscio?”; 3 febbraio,<br />
Rosella Prezzo: “La narrazione<br />
del femminile nel discorso filosofico”;<br />
10 febbraio, Fabio Polidori: “Il<br />
testo di Nietzsche”; 17 febbraio, Alessandro<br />
Dal Lago: “La scrittura etnografica”;<br />
24 febbraio, Riccardo De<br />
Benedetti: “I ‘Quaderni’ (Simone<br />
Weil); 3 marzo, Maurizio Ferraris:<br />
“Autobiografia. Agostino e Heidegger”;<br />
10 marzo, Edoardo Greblo:<br />
“Benjamin, immagine e scrittura”;<br />
17 marzo, Rocco De Biasi: “Il metalogo<br />
(G. Bateson); 24 marzo, Gianfranco<br />
Gabetta: “La lettera e la scena<br />
della scrittura in Montaigne”; 31<br />
marzo, Giampiero Comolli: “Figura<br />
e scrittura in Oriente”.<br />
● Informazioni: I.S.U., corso di Porta<br />
Romana 19, 20100 Milano, tel. 02/<br />
809431.<br />
Il Goethe-Institut di Roma e il Dipartimento<br />
di Filosofia e Teoria delle<br />
Scienze Umane della III Università<br />
degli <strong>Studi</strong> di Roma hanno organizzato<br />
due incontri aventi come tema<br />
centrale la filosofia di Heidegger. Il<br />
28 gennaio si è tenuto un Convegno<br />
in occasione della presentazione del<br />
libro: Heidegger in discussione<br />
(Franco Angeli, Milano 1992, conte-<br />
62<br />
nente gli Atti del Convegno: “L’eredità<br />
di Heidegger”, maggio 1989);<br />
alla presentazione sono intervenuti:<br />
Franco Bianco, Domenico Losurdo,<br />
Otto Pöggeler, Carlo Sini, Valerio<br />
Verra.<br />
Il 29 gennaio ha avuto luogo una<br />
conferenza di Otto Pöggeler sul tema:<br />
Heidegger und Hannah Arendt.<br />
● Informazioni: Prof. Franco Bianco,<br />
Dipartimento di Filosofia e Teoria<br />
delle Scienze Umane, Università<br />
“La Sapienza”, via Magenta 5, 00185<br />
Roma, tel. 06/491629.<br />
Curato dal Dipartimento di Ricerche<br />
Filosofiche dell’Università di Roma<br />
“Tor Vergata” e dall’Accademia Spagnola<br />
di Roma, il 29 e 30 gennaio si è<br />
tenuto un Convegno Internazionale<br />
dal titolo: Il neoantico. Tecnica &<br />
possessione nella cultura, nella<br />
poesia e nelle arti. La Presidenza e<br />
il Coordinamento scientifico è stato<br />
affidato a Mario Perniola e Jorge Lozano,<br />
mentre gli interventi hanno seguito<br />
il seguente ordine: Cristoph<br />
Wulff: “Ethique de l’esthétique”;<br />
Francesco Pellizzi: “Periferie del corpo<br />
estetico”; Michel Maffesoli: “La<br />
culture des sentiments. Pour une étique<br />
de l’esthétique”; Roberto Motta:<br />
“La sacrifice, la transe, la mort”; Giuliano<br />
Compagno: “Il sacrificio, la comunicazione,<br />
la tecnica”.<br />
● Informazioni: Federico De Donato,<br />
Università di Roma “Tor Vergata”,<br />
via B. Alimena 6, 00173 Roma,<br />
tel. 06/7232624.<br />
Presso l’Aula Magna dell’Università<br />
di Firenze, il 2 febbraio ha avuto<br />
luogo una tavola rotonda sul tema:<br />
Mario Dal Pra. Filosofia e Politica.<br />
L’incontro è stato organizzato dal<br />
Dipartimento di Filosofia dell’Università<br />
di Firenze, dalla Società Filosofica<br />
d’Italia e dalla Nuova Italia<br />
Editrice, e vi hanno preso parte Eugenio<br />
Garin, Enrico J. Rambaldi e Fabio<br />
Minazzi.<br />
● Informazioni: La Nuova Italia<br />
editrice, Via Bonifacio Lupi 1, 50129<br />
Firenze, tel. 055/46<strong>11</strong>74.<br />
Le attività della Casa della Cultura<br />
proseguono con un fitto calendario<br />
che comprende Seminari, Cicli di lezioni,<br />
Convegni e Corsi. Questo il<br />
programma di febbraio: 15 febbraio,<br />
in occasione della pubblicazione di I<br />
bolschevichi: alle origini del socialismo<br />
reale (Franco Angeli, Milano<br />
<strong>1993</strong>), un incontro con Enrica Collotti<br />
Pischel, Antonio de Lillo, Bruno<br />
Grancelli, Mario Spinella su: Dimenticare<br />
Lenin?; 19 febbraio, una conferenza<br />
di Massimo Bonfantini su:<br />
Ecologismo, Federalismo, Socialismo:<br />
Tre ismi da coniugare?<br />
Questo il programma di marzo: 1<br />
marzo, in occasione dell’uscita del<br />
libro di Aldo Giorgio Gargani, Stili di<br />
analisi. L’unità perduta del metodo<br />
filosofico (Feltrinelli, Milano <strong>1993</strong>),<br />
si è tenuto un incontro su I linguaggi<br />
della vita contingente: ne hanno<br />
parlato con l’autore Mauro Ceruti,<br />
Maurizio Ferraris, Giulio Giorello; 2<br />
marzo, in occasione dell’uscita del<br />
libro: La parola incantata, di F. Papi<br />
(Guerini e Associati, Milano <strong>1993</strong>),<br />
ha avuto luogo un incontro con Gilberto<br />
Finzi, Elio Franzini, Fulvio Papi<br />
e Stefano Zecchi sul tema: Dire poetico<br />
e dire filosofico; 9 marzo, si è<br />
tenuta una conversazione di Lucio<br />
Villari: Per una critica del capitalismo<br />
italiano; 15 marzo, in occasione<br />
dell’uscita del libro: Amo te, di<br />
Luce Irigaray (Bollati Boringhieri,<br />
Torino <strong>1993</strong>), ha avuto luogo un incontro<br />
con l’autrice e Renzo Imbeni<br />
su: Reinventare l’amore, con interventi<br />
di Laura Boella, Lidia Campagnano<br />
e Paolo Mieli; 19 marzo, per il<br />
ciclo: “L’invenzione ultramoderna”,<br />
Massimo Bonfantini, Mauro Ferraresi,<br />
Arturo Martone e Gian Paolo Proni<br />
sono intervenuti su: Peirce come<br />
pragmaticismo nel nostro futuro;<br />
22 marzo, si è tenuto un incontro<br />
commemorativo dal titolo: Per<br />
Mario Dal Pra, con la partecipazione<br />
di Vittorio Spinazzola, Fulvio Papi,<br />
Maria Teresa Fumagalli Beonio Brocchieri,<br />
Giorgio Lanaro, Enrico Rambaldi;<br />
29 marzo, in collaborazione<br />
con il Goethe Institut, si è svolto un<br />
Convegno su Walter Benjamin: lo<br />
spazio della modernità, con interventi<br />
di Michele Ranchetti, Gianfranco<br />
Bonola, Ugo Perrone, Elena Agazzi,<br />
Ubaldo Fadini.<br />
● Informazioni: Casa della Cultura,<br />
via Borgogna 2 , 20122 Milano, tel.<br />
02/795567.<br />
La Consulta di Bioetica e l’editore<br />
Franco Angeli hanno indetto una<br />
Conferenza stampa per il 25 febbraio<br />
presso il Circolo della Stampa di Mi-
lano, in occasione della presentazione<br />
della nuova rivista semestrale<br />
Bioetica, diretta da Maurizio Mori.<br />
Durante la Conferenza è stato presentato<br />
anche il Documento sull’Eutanasia,<br />
recentemente approvato dalla<br />
Consulta di Bioetica, e presentato da<br />
Renato Boeri, presidente della Consulta.<br />
● Informazioni: R. Traversa, Ufficio<br />
Stampa, Franco Angeli, Viale Monza<br />
Milano.<br />
Il 10 marzo, presso la sede della casa<br />
editrice Laterza a Roma, ha avuto<br />
luogo la presentazione della nuova<br />
collana: Fare l’Europa, diretta da<br />
Jacques Le Goff e pubblicata in contemporanea<br />
da Verlag C. H. Beck,<br />
Blackwell Publishers, Editorial Critica,<br />
Editions du Seuil.<br />
Organizzata dagli Editori Laterza, il<br />
5 aprile, presso la Società Scientifica<br />
SOCREA di Milano, si tiene la presentazione<br />
del libro di Luciano<br />
Mecacci: Storia della psicologia<br />
del Novecento. Oltre l’autore, intervengono<br />
Marcello Cesa-Bianchi,<br />
Giorgio Cosmacini, Assunto Quadrio,<br />
Giuseppe Vallar.<br />
● Informazioni: Editori Laterza, via<br />
di Villa Sacchetti 17, 00197 Roma,<br />
tel. 06/3218393.<br />
Organizzata dalla Biblioteca Comunale<br />
di Cattolica in collaborazione<br />
con l’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong><br />
<strong>Filosofici</strong> e la Rivista “Nuova Civiltà<br />
delle Macchine”, il 12 marzo si è<br />
aperta l’edizione <strong>1993</strong> di “Cosa fanno<br />
oggi i filosofi?”. Il tema/titolo di<br />
questa tredicesima edizione è: Idoli.<br />
Conversazioni di antropologia. Ci<br />
si propone di offrire al pubblico tracce<br />
di percorso nel vasto panorama<br />
dell’antropologia contemporanea intesa<br />
nella più ampia accezione di studio<br />
dei comportamenti umani nel loro<br />
rapporto con le idee, le rappresentazioni<br />
e le superstizioni. L’itinerario<br />
dei lavori si svolgerà a cadenza settimanale,<br />
seguendo un percorso che<br />
reca titoli espressi in un latino spesso<br />
fantasioso e che prevede il seguente<br />
calendario: 12 marzo, Francesco Remotti:<br />
“Homo antropologicus”; 19<br />
marzo, Beniamino Placido: “Homo<br />
televisivus”; 26 marzo, Giuseppe<br />
Pucci: “Imago imperii/Imperium imaginis”;<br />
2 aprile, Maria Teresa Fumagalli<br />
Beonio Brocchieri: “Homo ludens”;<br />
16 aprile, Romano Madera:<br />
“Homo religiosus et paganus”; 23<br />
aprile, Paolo Fabbri: “Animal loquens”;<br />
26 aprile, Giacomo Marramao:<br />
“Homo oeconomicus”; 7 maggio,<br />
Adriana Cavarero: “De homine<br />
et foemina”; 14 maggio, Umberto<br />
Galimberti: “Homo idolum maximum”;<br />
21 maggio, Danilo Mainardi:<br />
“Homo sapiens sapiens”; 28 maggio,<br />
Ersilio Tonini: “Genus Homo”.<br />
● Informazioni: Centro Culturale<br />
Polivalente, Piazza della Repubblica<br />
31, 47033 Cattolica, tel. 0541/967802.<br />
Il 16 marzo presso la Libreria Utopia<br />
di Milano, in occasione della presentazione<br />
del libro di Enrico Ferri, L’an-<br />
tigiuridismo di Max Stirner (Giuffrè,<br />
Milano 1992), l’autore ha tenuto una<br />
conferenza sul tema: Max Stirner<br />
critico del politico.<br />
● Informazioni: Libreria Utopia,<br />
Via Moscova 52, 20100 Milano, tel.<br />
02/29003324.<br />
Dal 18 al 20 marzo <strong>1993</strong> si è tenuta a<br />
Müster una giornata sull’estetica dal<br />
titolo: Immagine e riflessione.<br />
Paradigmi e prospettive dell’estetica<br />
attuale. Hanno partecipato fra<br />
gli altri Hans Ulbrich Gumbrecht<br />
(Stanford), Gottfried Boehm (Basilea),<br />
Wolfgang Welsch (Bamberg),<br />
Jens Kulenkampff (Duisburg) e Ferdinand<br />
Fellmann (Müster). In questa<br />
occasione è stata anche fondata una<br />
“Società tedesca di estetica”.<br />
Organizzato dall’Accademia delle<br />
Scienze di Torino, dall’Istituo Italiano<br />
per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong>, dal Dipartimento<br />
di Filosofia dell’Università<br />
di Torino si è tenuto il 22 marzo,<br />
presso l’Accademia delle Scienze di<br />
Torino, un convegno dal titolo: Piero<br />
Martinetti nel cinquantenario della<br />
morte. Tra gli interventi: Norberto<br />
Bobbio: “Introduzione”; Girolamo<br />
De Liguori: “La cultura filosofica<br />
nella Torino di fine secolo”; Stefano<br />
Poggi: “Martinetti e i suoi ‘autori’<br />
tedeschi”; Massimo Ferrari: “L’interpretazione<br />
di Kant e di Hegel”;<br />
Dino Pastine: “Martinetti e la filosofia<br />
indiana”; Mario Miegge: “Martinetti<br />
e la teologia protestante”; Amedeo<br />
Vigorelli: “Mito, storia e simbolo<br />
nell’interpretazione del Cristianesimo”;<br />
Franco Alessio: “Martinetti filosofo<br />
popolare”.<br />
● Informazioni: Accademia delle<br />
Scienze, Via Accademia delle Scienze<br />
6, Torino, tel. 0<strong>11</strong>/5620047.<br />
Presso la Biblioteca Nazionale Braidense<br />
di Milano e con il contributo<br />
dell’Istituto Lombardo per gli <strong>Studi</strong><br />
<strong>Filosofici</strong> e Giuridici di Milano, la<br />
rivista “Informazione Filosofica” ha<br />
presentato la Enciclopedia Multimediale<br />
delle Scienze Filosofiche,<br />
prodotta dalla RAI-Dipartimento<br />
Scuola Educazione, in collaborazione<br />
con l’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong><br />
<strong>Filosofici</strong> e l’Istituto della Enciclopedia<br />
Italiana.<br />
Sono Intervenuti: Gerardo Marotta ,<br />
Mario Giacomini, Renato Parascandolo,<br />
Vittorio Fiorito, Remo Bodei,<br />
Carlo Sini; ha coordinato la manifestazione<br />
Riccardo Ruschi.<br />
● Informazioni: Redazione di “Informazione<br />
Filosofica”, Viale Monte<br />
Nero 68, Milano, tel 02/55190714.<br />
Nell’aprile <strong>1993</strong> a San Sebastian (Spagna)<br />
il dipartimento di filosofia dell’università<br />
basca indice il congresso<br />
internazionale: Categorie e intelligibilità<br />
della totalità. Il progetto<br />
ontologico e la riflessione attuale.<br />
Sono previste le seguenti sezioni:<br />
“Ontologia e storia dell’ontologia”;<br />
“Linguistica e storia della linguistica”;<br />
“Matematica e fisica teorica”;<br />
CALENDARIO<br />
63<br />
“Antropologia”. Sono previste inoltre<br />
sessioni speciali sull’ontologia del<br />
continuo, sul lavoro teoretico di René<br />
Thom e Pierre Boulez e una tavola<br />
rotonda su “L’arte e lo spazio”. Fra<br />
gli altri relatori: Ackrill (Oxford),<br />
Aubenque (Parigi), Berti (Padova),<br />
Küppers (Heidelberg), Thom (Parigi),<br />
Totok (Hannover), Tugendhat<br />
(Berlino), Vollmer (Braunschweig).<br />
● Informazioni: Victor Gomez Pin,<br />
Director Departamento de Filosofia,<br />
Universidad del Pais Vasco, APT-<br />
DO. 1249, E-20080 San Sebastian<br />
(Spagna).<br />
Il Centro Internazionale <strong>Studi</strong> di Estetica<br />
di Palermo ha organizzato per il 2<br />
aprile <strong>1993</strong> una Giornata di <strong>Studi</strong>o<br />
sul tema: L’estetica di Cesare Brandi.<br />
Sono previsti interventi introduttivi<br />
di Luigi Russo, Emilio Garroni, Paolo<br />
D’Angelo e Massimo Carboni.<br />
● Informazioni: Centro Internazionale<br />
<strong>Studi</strong> di Estetica, Università degli<br />
<strong>Studi</strong>, Viale delle Scienze, 90128<br />
Palermo.<br />
Dal 23 al 26 aprile <strong>1993</strong> si riunisce a<br />
Aix-en-Provence il Congresso<br />
europeo di filosofia analitica, organizzato<br />
dalla “European Society<br />
for Analytic Philosophy”. Vi saranno<br />
sezioni sui temi: “Etica”, “Filosofia<br />
della mente” e “Filosofia del linguaggio”.<br />
● Informazioni: J.-L. Azra, CREA,<br />
1, rue Descartes, F-75005 Paris.<br />
Nei giorni 28-30 aprile <strong>1993</strong>, presso<br />
la Facoltà di Lettere dell’Università<br />
di Chieti, si svolge un Convegno Internazionale<br />
su Christoph Clavius e<br />
l’attività scientifica dei Gesuiti nell’età<br />
galileiana. La parte centrale<br />
delle relazioni è dedicata ad aspetti<br />
specifici dell’opera di Clavius e della<br />
sua scuola nell’ambito della matematica,<br />
dell’astronomia, della meccanica;<br />
altre relazioni hanno invece<br />
per oggetto i nessi della scienza gesuitica<br />
con i problemi generali del pensiero<br />
dell’epoca e con la nascente<br />
scienza sperimentale.<br />
● Informazioni: Segreteria Convegno,<br />
Facoltà di Lettere, via N. Nicolini<br />
10, 66100 Chieti, tel. 0871/<br />
355561.<br />
L’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong>,<br />
l’Istituto nazionale di <strong>Studi</strong> sul<br />
Rinascimento e l’Istituto e Museo di<br />
Storia della Scienza hanno organizzato,<br />
dal 3 al 26 maggio <strong>1993</strong>, una<br />
serie di Seminari dal titolo: L’Umanesimo<br />
e il Rinascimento. Italiani<br />
in Europa. L’introduzione sarà di<br />
Eugenio Garin e il calendario avrà il<br />
seguente svolgimento: 3-5 maggio,<br />
Kurt Flasch: “Cusano e l’umanesimo<br />
italiano”; 4-5 maggio, Eugenio Garin:<br />
“La fortuna europea di Giovanni<br />
e Giovan Francesco Pico della Mirandola”;<br />
6-8 maggio, Giovanni Aquilecchia:<br />
“Giordano Bruno in Inghilterra”;<br />
6-8 maggio, Christian Bec:<br />
“Macchiavelli in Francia”; 17-19<br />
maggio, Pierre Jodogne: “L’Umane-<br />
simo italiano in Francia”; 24-26 maggio,<br />
Franco Bacchelli: “La diffusione<br />
europea dello Zodiacus Vitae di Palingenio<br />
Stellato; 24-26 maggio, Michel<br />
Lerner: “Tommaso Campanella<br />
in Francia”.<br />
● Informazioni: Istituto Italiano per<br />
gli studi <strong>Filosofici</strong>, via Monte di Dio<br />
14, 80132 Napoli.<br />
Dal 4 all’8 maggio a Donosta/San<br />
Sebastian (Spagna) si riunisce il Terzo<br />
Convegno Internazionale di<br />
Scienza Cognitiva. Si terranno sezioni<br />
su: “Rappresentazione e dinamiche<br />
in semantica e pragmatica”;<br />
“Formalizzazioni di modelli e complessità<br />
cognitive”; “Trattamento dell’informazione<br />
e comunicazione nei<br />
sistemi naturali”; “Convinzione, intenzione<br />
e azione”. Parleranno fra gli<br />
altri J. van Benthem, N. Block, P.<br />
Churchland, R. Cummins, F. Dretske,<br />
J. D. Fodor.<br />
● Informazioni: Dr. J. M. Larrazabal,<br />
Dept. of Logic and Philosophy of<br />
Science, Univ. Del Pais Basco. Apdo<br />
1249, E-20080 San Sebastian, Spagna.<br />
Dal 13 al 15 maggio <strong>1993</strong> si riunisce<br />
a Dijon il I Congresso della Società di<br />
studi kantiani di lingua francese, con<br />
il tema: L’anno 1793.<br />
● Informazioni: Société Bourguignonne<br />
de philosophie, Monsieur Jean<br />
Ferrari, Centre Municipal des Associations,<br />
Boîte H4, F-21068 Dijon<br />
Cedex.<br />
Per i giorni 20-23 maggio il Dipartimento<br />
di Filosofia dell’Università di<br />
Loyola (Chicago) ha organizzato una<br />
Conferenza Internazionale su: Etica<br />
come Filosofia Originaria? Il significato<br />
di Emanuele Levinas per<br />
la filosofia, la letteratura e la religione.<br />
I relatori sono: Babette Babich,<br />
Robert Bernasconi, Theo de Boer,<br />
Jack Caputo, Cathérina Chalier, Fabio<br />
Ciaramelli, Richard Cohen, Rebecca<br />
Comay, Simon Critchley, Arnold<br />
Davidson, Paul Davies, Robert<br />
Gibbs, Alphonso Lingis, John<br />
Llewelyn. Adriaan Peperzak, William<br />
Richardson, Jill Robbins, Charles<br />
Scott, Andrew Tallon, David Tracy,<br />
Hent de Vries, Bernard Waldenfels,<br />
Elisabeth Weber, Patricia Werhane,<br />
Merold Westphal, Edith Wyschogrod.<br />
● Informazioni: Beth Spina, Secretary<br />
of the Conference, Department<br />
of Philosophy, Crown Center for the<br />
Humanities, 344 Loyola University<br />
Chicago, 6525 N, Sheridan Road,<br />
Chicago IL.<br />
Dal 26 al 29 maggio si riunisce a<br />
Genova il secondo convegno della<br />
Società Montesquieu dal titolo:<br />
L’Europa di Montesquieu.<br />
● Informazioni: G. Benrekassa, 43<br />
rue Bezout, F-75014 Parigi.
Insegnare filosofia per unità<br />
didattiche<br />
Proseguendo un’iniziativa di ricerca<br />
già avviata da tempo, Vega Scalera ha<br />
pubblicato un nuovo quaderno della<br />
collana “Laboratorio didattico” della<br />
Nuova Italia, dedicato al tema: INSE-<br />
GNARE FILOSOFIA PER UNITÀ DIDATTICHE. UN<br />
MODELLO OPERATIVO (La Nuova Italia, Firenze<br />
1992). Il volume trae origine dall’esperienza<br />
acquisita presso il Dipartimento<br />
di Scienze dell’educazione<br />
dell’Università “La Sapienza” di Roma<br />
con la progettazione e l’attuazione di<br />
corsi di perfezionamento a distanza<br />
per insegnanti delle scuole secondarie<br />
superiori. Sulla proposta di un insegnamento<br />
della filosofia fondato sulla<br />
programmazione per “unità didattiche”<br />
si soffermano anche Laura Bolognini<br />
e Lucia Marchetti in un recente<br />
articolo, INSEGNARE FILOSOFIA. LA FI-<br />
LOSOFIA NEL CURRICOLO, apparso sulla<br />
rivista “Sensate esperienze” (n. 14,<br />
febbraio 1992).<br />
Il nuovo lavoro di Vega Scalera si presenta<br />
come l’esito, sul piano della proposta concreta,<br />
di una ricerca già avviata e finora<br />
orientata prevalentemente alla ricostruzione<br />
storica - potremmo anche dire: all’anamnesi<br />
- delle vicende, non sempre lineari,<br />
dell’insegnamento della filosofia in Italia.<br />
Ci riferiamo ai due precedenti volumi della<br />
stessa autrice, apparsi nella collana “Laboratorio<br />
didattico”: L’insegnamento della<br />
filosofia dall’Unità alla riforma Gentile<br />
(La Nuova Italia, Firenze 1990; vd. la nostra<br />
recensione sul n. 1 di questa rivista,<br />
dicembre 1990) e L’insegnamento della<br />
filosofia dalla riforma Gentile agli anni<br />
‘80 (ivi 1990). In questo secondo lavoro, in<br />
particolare, l’autrice aveva messo a fuoco<br />
le premesse storiche di una tradizione pedagogica<br />
che continua a plasmare il comportamento<br />
dei docenti di filosofia, favorendo<br />
«l’esercizio di una pratica didattica<br />
rigida, fortemente subalterna allo schematismo<br />
dei programmi e dei manuali, aristocraticamente<br />
chiusa alle sollecitazioni della<br />
più recente ricerca in campo psicopedagogico,<br />
didattico e delle tecnologie educative».<br />
DIDATTICA<br />
DIDATTICA<br />
a cura di Riccardo Lazzari<br />
La fuoriuscita da questa situazione di ritardo,<br />
provocata in definitiva dal retaggio<br />
della concezione educativa gentiliana, viene<br />
individuata dall’autrice, in questo suo<br />
nuovo lavoro, Insegnare filosofia per unità<br />
didattiche, nella proposta di una «gestione<br />
razionale dell’insegnamento della filosofia»,<br />
che consenta al tempo stesso ai docenti<br />
di «compiere esperienze significative di<br />
ricerca (nella) didattica». Ciò comporta in<br />
primo luogo l’abbandono, da parte dei docenti<br />
di filosofia, del tradizionale scetticismo<br />
nei confronti di una metodologia basata<br />
sulla costruzione di unità didattiche -<br />
scetticismo che nasce in definitiva dalla<br />
convinzione relativa alla eccezionalità della<br />
filosofia, alla sua intrinseca vocazione<br />
dialogica, la quale non consentirebbe di<br />
essere “ingabbiata” negli “schemi” della<br />
programmazione didattica. Di fatto questa<br />
convinzione convive per lo più con una<br />
certa passività del docente verso la tirannia<br />
dei programmi ministeriali, oppure con una<br />
indeterminatezza di fondo nel definire obiettivi<br />
e contenuti della disciplina. Diversamente<br />
la pianificazione di sequenze didattiche<br />
autosufficienti - in quanto conduce<br />
l’insegnante a precisare traguardi, a predisporre<br />
attività, a ideare procedure e forme<br />
di comunicazione, a verificarle nell’iter<br />
dell’apprendimento degli allievi - non solo<br />
consente di gestire in modo responsabile<br />
un insegnamento estremamente complesso,<br />
ma comporta la rinuncia a quella genericità<br />
di obiettivi (del tipo «sviluppo di<br />
capacità di astrazione», «di abilità espositive»),<br />
con cui viene per lo più surrogata,<br />
nei piani di lavoro approntati dai docenti,<br />
l’esigenza (in sé genuina) di un controllo<br />
sulla pratica dell’insegnamento filosofico.<br />
L’organizzazione sequenziale del processo<br />
didattico non costituisce un fatto puramente<br />
tecnico, ma conduce a una continua<br />
mediazione tra contenuti culturali e processi<br />
cognitivi, fra la specificità delle conoscenze<br />
disciplinari, via via selezionate in<br />
base al loro valore culturale e alle potenzialità<br />
cognitive implicite, e gli obiettivi comportamentali<br />
e cognitivi comuni all’intero<br />
curricolo durante il triennio, definiti in sede<br />
di programmazione collegiale. L’autrice<br />
insiste particolarmente sul fatto che la proposta<br />
di «operare per unità didattiche» si<br />
traduce in una continua attività di ricerca,<br />
64<br />
volta a valorizzare l’impegno costruttivo e<br />
la capacità di progettazione degli insegnanti,<br />
nella direzione di scoprire i livelli di congruenza<br />
tra contenuti culturali, processi<br />
d’ordine didattico e acquisizioni di conoscenze<br />
da parte degli allievi. Ed è soltanto<br />
in questa prospettiva che l’insegnante si<br />
pone consapevolmente in grado di superare<br />
quelle semplificazioni che troppo spesso<br />
accompagnano il suo iter didattico e che<br />
sono sovente sollecitate dalla stessa domanda<br />
degli studenti. Scalera non allude<br />
qui tanto ai rischi presenti in quella miniaturizzazione<br />
del sapere cui dà vita talvolta<br />
l’insegnante nello sforzo di mediazione tra<br />
contenuti culturali e capacità di apprendimento<br />
degli studenti, quanto invece alla<br />
stessa propensione di questi ultimi a una<br />
visione lineare di fenomeni culturali ben<br />
altrimenti complessi. Chiunque insegni<br />
conosce bene come nei giovani prevalga<br />
spesso un bisogno di procedere secondo<br />
una logica del «bianco o nero», evitando<br />
ambiguità e contraddizioni, secondo quella<br />
«intransigenza cognitiva» che nasce dalla<br />
«difficoltà a padroneggiare la multidimensionalità<br />
dell’esperienza» e che è propria<br />
della particolare fase di sviluppo nella formazione<br />
dell’identità personale degli adolescenti.<br />
Ma il lavoro per unità didattiche<br />
costituisce anche per gli studenti una situazione<br />
didattica nuova, lontana dalla “astrattezza”<br />
dell’insegnamento tradizionale, perché<br />
li impegna in una “sfida”, ovvero in<br />
un’esperienza di apprendimento fondata<br />
su livelli di operatività e concretezza (quali<br />
il lavoro di montaggio e smontaggio dei<br />
testi, il confronto tra linguaggi diversi, la<br />
ricerca di soluzione dei diversi problemi<br />
prospettati, la discussione in gruppo). Insomma,<br />
il lavoro sui testi, se inserito in una<br />
progettazione organica di unità didattiche,<br />
viene a costituire il nucleo centrale di quello<br />
che si potrebbe definire un “laboratorio<br />
di filosofia”, capace oltretutto di favorire<br />
una profonda modificazione dell’atteggiamento<br />
tradizionale dei giovani nei confronti<br />
dello studio.<br />
Il lavoro di Scalera offre infine un modello<br />
operativo di come si costruisce un’unità<br />
didattica, sviluppando il tema della filosofia<br />
cartesiana. Si tratta del risultato di una<br />
riflessione maturata all’interno di una precisa<br />
situazione educativa, partendo dal ten
tativo di ripensare la valenza formativa<br />
della filosofia in relazione ad una pluralità<br />
di dimensione conoscitiva, e lontana dalla<br />
pretesa di costituire qualcosa di definitivo,<br />
buono per tutti gli usi. E’ peraltro convinzione<br />
dell’autrice che «la costruzione di<br />
unità didattiche non può essere assunta in<br />
senso prescrittivo in relazione all’adeguamento<br />
ad un modello prestabilito, quanto<br />
come una procedura che consente agli insegnanti<br />
di controllare e regolare il processo<br />
formativo e di ipotizzare, verificandole,<br />
nuove e diverse soluzioni ai problemi in<br />
una prospettiva adattativa e individualizzante».<br />
Il volume presenta numerosi esercizi che<br />
devono condurre l’insegnante a familiarizzarsi<br />
con il lavoro per unità didattiche. Ma<br />
la parte più ricca del libro di Scalera è<br />
quella riservata alla documentazione di testi,<br />
di proposte e di riflessioni maturate<br />
soprattutto negli ultimi decenni. Sono per<br />
esempio ripubblicate alcune sezioni di unità<br />
didattiche elaborate, rispettivamente, da<br />
L. Bolognini e L. Marchetti (Insegnare<br />
filosofia, in “Sensate esperienze”, n. 1,<br />
1990), da D. Di Cesare (La filosofia: un<br />
approccio ermeneutico, in AA.VV., La<br />
Secondaria al lavoro, Giunti & Lisciani,<br />
Teramo 1989), da S. Tagliacozzo (Un’unità<br />
didattica di filosofia per il primo anno di<br />
corso, in “Nuova Secondaria”, n. 4, 1989).<br />
Compaiono anche articoli di A. Visalberghi<br />
(Problemi di formazione degli inse-<br />
DIDATTICA<br />
gnanti di filosofia, in “Bollettino della Società<br />
Filosofica italiana”, n. 106, 1979), di<br />
E. Becchi (<strong>Studi</strong>ar filosofia, in AA.VV.,<br />
Storia della filosofia come sapere critico.<br />
Scritti in onore di M. Dal Pra, Angeli,<br />
Milano 1984), di M. Dal Pra (La funzione<br />
dell’insegnamento della filosofia, in “Bollettino<br />
della Società Filosofica italiana”, n.<br />
106, 1979), di M. Laeng (La specificità<br />
dell’insegnamento filosofico, in ibidem),<br />
di M. Santi (Philosophy for Children: una<br />
proposta per “pensare” a scuola, in “Scuola<br />
e città”, n. 9, 1990) e numerose altre riflessioni,<br />
fra cui le testimonianze dirette di<br />
alcuni studenti.<br />
Da segnalare infine, tra questi articoli e<br />
prese di posizione riportati nel libro di<br />
Scalera, l’intervento del presidente dell’Associazione<br />
francese dei Professori di<br />
Filosofia J. Lefranc (La Formation des<br />
Professeurs de Philosophie en France,<br />
apparso originariamente nel volume a c. di<br />
V. Telmon, Filosofia e Formazione. Un<br />
colloquio europeo sui compiti del docente<br />
di filosofia nelle scuole secondarie e sulla<br />
formazione dei professori, Centro Stampa<br />
«Lo Scarabeo», Bologna 1985), il quale si<br />
sofferma sui principi e sulla metodologia<br />
formativa degli insegnanti di filosofia in<br />
Francia. L’autore mostra di nutrire alcuni<br />
dubbi sui recenti progetti tesi a creare in<br />
Francia dei centri specializzati di formazione<br />
per i futuri insegnanti di filosofia nei<br />
licei. «Abbiamo timore - scrive - dell’im-<br />
Giorgio De Chirico, Il filosofo e il poeta, particolare<br />
65<br />
perialismo di una certa pedagogia che si<br />
ritiene scientifica e che spesso nasconde<br />
un’ideologia che è tanto più pericolosa in<br />
quanto rimane implicita e avanza anche la<br />
pretesa di subordinare a sé la critica filosofica».<br />
A suo avviso «è la filosofia stessa, e<br />
non una scienza che le rimarrebbe esterna,<br />
che deve riflettere sulla sua pedagogia ed<br />
elaborarne la teoria», se è vero che il compito<br />
di insegnare la filosofia non consiste<br />
nella semplice trasmissione dei saperi mediante<br />
procedure didattiche più o meno<br />
efficaci, ma «nel riflettere filosoficamente<br />
di fronte agli allievi e insieme agli allievi».<br />
Si tratta di un compito al quale l’insegnante<br />
in Francia è chiamato sin dall’inizio, da<br />
quando cioè, appena nominato in ruolo,<br />
deve egli stesso costruire il suo corso,<br />
senza utilizzare alcun manuale nella sua<br />
classe, trovandosi nella condizione, così<br />
continua Lefranc, di «poter filosofare liberamente<br />
con delle giovani menti»: un lavoro<br />
difficile e lungo, ma anche di grande<br />
soddisfazione.<br />
E’ opportuno rilevare, in questo contesto,<br />
che con l’articolo: Insegnare filosofia. La<br />
filosofia nel curricolo (“Sensate Esperienze”,<br />
n. 14, 1992), Laura Bolognini e Lucia<br />
Marchetti hanno voluto riprendere il tema<br />
della loro precedente riflessione (si veda:<br />
Insegnare filosofia, in “Sensate Esperienze”,<br />
n. 8, 1990), nell’ottica di precisarne<br />
meglio i contorni teorici e i termini complessivi<br />
del discorso. Il nuovo articolo tie-
ne peraltro conto delle numerose prese di<br />
posizione e obiezioni di colleghi pubblicate<br />
sulla stessa rivista (si vedano gli articoli<br />
di M. Da Ponte Orvieto, in “Sensate esperienze”,<br />
n. 10, 1990; di P. Biancardi e M.<br />
Pinotti, ibidem, n. <strong>11</strong>, 1991; di P. Palmeri,<br />
ibidem, n. 13, 1991), nonché di altri recenti<br />
interventi (come gli articoli di F. Bianco,<br />
di J. Rohbeck e di V. Telmon, pubblicati<br />
su “Paradigmi”, VIII, n. 23, 1990; di M. De<br />
Pasquale e P. Porcelli, ibidem, VIII, n. 24,<br />
1990; di S. Belvedere e G. Magistrale,<br />
ibidem, IX, n. 25, 1991; e di B Coppola,<br />
ibidem, IX, n. 26, 1991). Ma questo nuovo<br />
contributo vuole essere anzitutto una riflessione<br />
“sul campo”, vale a dire una<br />
svolta da parte di chi è quotidianamente<br />
impegnato nei problemi dell’insegnamento<br />
della filosofia e si interroga concretamente<br />
sulla funzione della filosofia nel<br />
curricolo di studi. Non a caso l’articolo è<br />
arricchito da uno “strumentario” che riporta<br />
progetti e piani di lavoro elaborati da<br />
consigli di classe.<br />
Il presupposto teorico di fondo della riflessione<br />
di Bolognini e Marchetti è che «la<br />
ricomposizione della tradizione culturale<br />
richieda di trasmettere conoscenze intorno<br />
a snodi forti collocati in un tempo, per<br />
comodità o per sicurezza, lineare». Progettare<br />
un’insegnamento della filosofia che<br />
sappia coniugare il metodo storico con<br />
quello problematico significa individuare,<br />
all’interno della tradizione culturale europea,<br />
quei momenti salienti, paradigmatici e<br />
ad ampio spettro, che hanno lasciato tracce<br />
persistenti. Tale progettazione richiede di<br />
condurre un lavoro sui testi, la cui scelta<br />
«deve consentire di tracciare un reticolo<br />
consistente di problemi, permanenze, novità,<br />
silenzi o cesure, preparatorio al dialogo<br />
fra testi e fra autori, entro lo snodo e fra<br />
gli snodi».<br />
Convegni<br />
Dal 2 al 4 novembre 1992 si è svolta a<br />
S. Margherita Ligure (Genova) la seconda<br />
parte del seminario di aggiornamento<br />
sull’insegnamento della filosofia<br />
istituito con D.M. 30/<strong>11</strong>/91. Il<br />
programma dei lavori, assai intenso,<br />
era anche questa volta finalizzato all’approfondimento<br />
e al confronto tra<br />
docenti della scuola media superiore<br />
sulla proposta didattica relativa al<br />
“progetto Brocca” di riforma dei programmi.<br />
A differenza del primo (si veda il resoconto<br />
sul n. 7 di questa rivista, maggio 1992),<br />
questo secondo modulo si è concentrato su<br />
proposte concrete provenienti da Istituti<br />
Sperimentali. I partecipanti sono quindi<br />
entrati nel merito dei nuovi criteri metodologici<br />
che emergono da una lettura più<br />
attenta del progetto Brocca. Organizzato<br />
DIDATTICA<br />
ancora una volta dal Preside Rembado del<br />
liceo “De Vigo” di Rapallo e coordinato<br />
dall’Ispettrice ministeriale A. Costantini<br />
Sgherri, il seminario si è confermato come<br />
laboratorio di ricerca didattica. Più volte<br />
infatti è emerso che l’Università, proiettata<br />
verso ricerche specialistiche, appare per lo<br />
più estranea ai problemi dell’insegnamento,<br />
salvo l’apporto di alcuni docenti interessati<br />
alla didattica della filosofia, sicché<br />
spetta all’iniziativa e all’inventiva dei docenti<br />
della scuola media superiore trovare<br />
luoghi e modi opportuni per rinnovarsi. E a<br />
proposito dell’aggiornamento, che è anche<br />
informazione oltre che riqualificazione,<br />
Sgherri ha invitato i presenti ad entrare<br />
nell’ottica della scuola-laboratorio, superando<br />
la dimensione individualistica del<br />
lavoro e sperimentando itinerari diversi<br />
che possano però essere leggibili all’esterno<br />
e costituire quindi materiale di ricerca.<br />
L’esperienza sul campo e l’utilizzo delle<br />
tecnologie più avanzate (computer e telematica)<br />
vengono così a costituire le basi<br />
del rinnovamento professionale dell’insegnante.<br />
Particolarmente stimolante è stata l’ampia<br />
relazione di Evandro Agazzi sui temi centrali<br />
della ricerca filosofica, affrontati anche<br />
in riferimento ai paesi del Terzo Mondo<br />
e del mondo islamico. Significativa,<br />
data anche la sua esperienza internazionale,<br />
è stato il richiamo di Agazzi a ricercare<br />
e adottare un approccio e un linguaggio<br />
filosofici specifici, che ancora oggi devono<br />
qualificare l’insegnamento della filosofia<br />
nella scuola secondaria superiore italiana.<br />
Si sono quindi aperti i lavori di gruppo,<br />
riproposti nella suddivisione adottata nel<br />
precedente convegno, che ha permesso<br />
un’accelerazione nello scambio di esperienze<br />
e nella produzione di materiali di<br />
lavoro. Sulla base di precise e interessanti<br />
proposte di unità didattiche elaborate sul<br />
“progetto Brocca” da parte di insegnanti<br />
del liceo “Ariosto” di Ferrara, del “Copernico”<br />
di Bologna e del “Majorana” di Rho,<br />
si è discusso a lungo al fine di individuare<br />
criteri didattici, strategie metodologiche e<br />
di verifica atte a realizzare un rinnovamento<br />
dell’insegnamento. I gruppi hanno quindi<br />
elaborato materiali senz’altro utili per un<br />
primo, ampio approccio ai diversi problemi.<br />
La pubblicazione degli Atti favorirà il<br />
diffondersi di tutte queste esperienze. Ancora<br />
una volta l’aspetto più interessante del<br />
seminario si è rivelata la possibilità di un<br />
confronto aperto e problematico tra realtà<br />
diverse ed istanze differenti; si è quindi<br />
confermata l’opportunità di procedere sul<br />
piano locale, favorendo forme di coordinamento<br />
sia a livello regionale, sia comunale,<br />
sia fra singole scuole, nell’ottica di un<br />
continuo scambio di esperienze. Entro il<br />
prossimo anno molte scuole infatti saranno<br />
dotate di una avanzata rete computerizzata<br />
di comunicazione. Si confida pertanto negli<br />
insegnanti e nell’uso intelligente delle<br />
macchine. S.C.V.<br />
66<br />
TOLLERANZA E LIBERTÀ: STORIA E ATTUALITÀ<br />
DI UN’IDEA è stato l’argomento di una<br />
tavola rotonda svoltasi il 29 ottobre<br />
1992 presso l’Università degli <strong>Studi</strong> di<br />
Milano con una duplice finalità: aggiornare<br />
gli insegnanti della scuola<br />
media superiore intorno alla ricerca<br />
universitaria e al contempo indicare<br />
possibili percorsi didattici, con sperimentate<br />
esemplificazioni di lettura dei<br />
testi in relazione ad uno specifico tema<br />
di attualità.<br />
L’idea è nuova, il progetto è appena nato e<br />
si spera che questa prima realizzazione sia<br />
la tappa iniziale di un percorso a lunga<br />
scadenza. Del resto la nuova sperimentazione<br />
di filosofia che il Ministero sta proponendo<br />
in diverse scuole italiane, sulla<br />
base dei programmi elaborati dalla “commissione<br />
Brocca” della scorsa legislatura,<br />
prospetta l’individuazione di percorsi didattici<br />
da approfondire con la lettura diretta<br />
dei testi filosofici. Risulta pertanto opportuno<br />
collocarsi nella prospettiva di un autoaggiornamento,<br />
per il quale tuttavia è necessario<br />
l’apporto scientifico della ricerca<br />
universitaria, da un lato, e l’esperienza<br />
didattica, già verificata sul campo, dall’altro.<br />
L’iniziativa in questione è nata su proposta<br />
di L. Pozzi d’Amico (Liceo “Einstein” di<br />
Milano) in sede di Direttivo della Sezione<br />
Lombarda della Società Filosofica Italiana,<br />
presieduto da E. Rambaldi, presidente<br />
neo-eletto. D’Amico invitava i docenti<br />
universitari ad un approccio nuovo al problema<br />
dell’aggiornamento, tale da garantire<br />
scientificità e al tempo stesso da sollecitare<br />
i docenti liceali all’elaborazione di<br />
modelli metodologici e di contenuto, capaci<br />
di riproporre sul piano dell’insegnamento<br />
liceale i moduli propri, ma non esclusivi,<br />
della ricerca universitaria. L’idea veniva<br />
accolta con interesse da M. Del Torre,<br />
coordinatrice di un gruppo di studio di<br />
ricerca didattica della SFI lombarda, che da<br />
lungo tempo auspica un’integrazione tra<br />
Università e Scuola secondaria superiore<br />
su tematiche di attualità, pur collocate nella<br />
loro dimensione storica. La proposta dunque<br />
poteva realizzare un collegamento fra<br />
la tradizione e l’attualità in una prospettiva<br />
unitaria di forte rilievo metodologico. A<br />
seguito di queste considerazioni si costituiva<br />
quindi un comitato ristretto che elaborava<br />
modi e tempi di realizzazione del<br />
progetto.<br />
Nella prima iniziativa pubblica tenutasi<br />
presso l’Università degli <strong>Studi</strong> di Milano<br />
F. De Michelis (Università di Pavia) ha<br />
presentato con chiarezza e rigore la prospettiva<br />
storica del problema della tolleranza,<br />
definendone le radici storiche nel<br />
XV secolo. Hanno fatto seguito due esemplificazioni<br />
didattiche di lettura di testi,<br />
l’una di S. Creperio (Liceo Parini) sull’Epistola<br />
de tolerantia di J. Locke, l’altra<br />
di Pozzi d’Amico su La passeggiata dello<br />
scettico di Diderot. L’intervento conclusivo<br />
di S. Veca ha sottolineato il carattere
REVUE PHILOSPHIQUE DE LOUVAIN<br />
Vol. 90, agosto 1992<br />
Istitut Supérieur de Philosophie<br />
Louvain La Neuve<br />
Sophistique et ontologie, di S. Breton: ogni<br />
seria riflessione sull’ontologia deve passare,<br />
ancor oggi, attraverso il Libro ‘Gamma’<br />
della Metafisica di Aristotele; in quest’ottica<br />
si colloca il libro di B. Cassin e M.<br />
Narcy: La décision du sens (Vrin, Paris<br />
1989).<br />
Aristote et la séparation, di M. Bastit: la<br />
nozione aristotelica di separazione può essere<br />
trasposta, dalla sua origine fisica, in<br />
psicologia e filosofia prima, determinando<br />
il trionfo dell’atto e della forma. Essa consente<br />
quindi di tracciare una gerarchia che<br />
si eleva dal meno separabile al totalmente<br />
separabile attraverso la realtà mista.<br />
De Baumgarten à Kant: sur la beauté, di H.<br />
Perret: l’estetica sistematica di Baumgarten<br />
ricostruisce le condizioni generali della<br />
creatività estetica e determina le caratteristiche<br />
generali dell’oggetto bello. Nella<br />
Critica del Giudizio Kant riprenderà proprio<br />
da Baumgarten l’idea che l’esperienza<br />
estetica sia un giudizio e che il giudizio<br />
estetico presupponga una sensibilità per<br />
l’individuale.<br />
REVUE PHILOSOPHIQUE<br />
DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER<br />
n. 2, aprile-giugno 1992<br />
PUF, Paris<br />
Tema della rivista: “Hume”<br />
La fonction du droit et la question du lien social<br />
chez Hume et Montesquieu, di P.L.<br />
Autin.<br />
Le système chez Hume. Une écriture stratégique<br />
et théâtrale, di M. Biziou: l’articolo<br />
analizza il sistema in Hume a partire da due<br />
questioni centrali: perchè la filosofia si deve<br />
costruire come sistema per pensare se stessa<br />
ed il suo oggetto? Rinunciando alla scrittura<br />
sistematica, la filosofia può restare tale? Il<br />
problema viene affrontato prendendo le<br />
mosse da due metafore humeane, la strategia<br />
RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />
RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />
a cura di Silvia Cecchi<br />
ed il teatro, e in un confronto tra il Trattato e<br />
i Saggi.<br />
Sympathie et individualité dans la philosophie<br />
politique de David Hume, di F.<br />
Brahami: la filosofia politica di Hume si<br />
costruisce a partire da due principi che<br />
sembrano diversi e quasi contraddittori:<br />
l’interesse e la simpatia. L’articolo chiarifica<br />
il rapporto tra questi due principi, evidenziando<br />
come il dualismo sia solo apparente,<br />
perchè la coerenza della teoria si<br />
basa sul concetto di individualità.<br />
“Fiat lux”: une philosophie du sublime, di<br />
B. Saint-Girons: presentazione della discussione<br />
di dottorato presso l’Università<br />
di Parigi.<br />
REVUE PHILOSOPHIQUE<br />
DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER<br />
n. 3, luglio-settembre 1992<br />
PUF, Paris<br />
Tema della rivista: “Realismo e idealismo<br />
nelle scienze”.<br />
Emile Meyerson, philosophe oublié di J.<br />
Largeault: sulla figura e l’opera di Emile<br />
Meyerson (1859-1933).<br />
Les quatre causes de Bunge à Aristote, di<br />
M. Espinoza: un confronto tra la concezione<br />
aristotelica delle quattro cause e quella<br />
della causalità nella scienza moderna e<br />
contemporanea, con riferimento particolare<br />
a Mario Bunge, rappresentante del realismo<br />
scientifico.<br />
Brève note sur l’intuitionnisne de Brouwer,<br />
di J. Largeault.<br />
ARCHIVES DE PHILOSOPHIE<br />
Vol. 55, ottobre-dicembre 1992<br />
Beauchesne, Paris<br />
Tema della rivista: “Hobbes e Locke”.<br />
Contexte des rapports intellectuels entre<br />
Hobbes et Locke, di J. Rogers: nonostante<br />
67<br />
i numerosi studi comparati tra i due filosofi,<br />
con particolare attenzione alle rispettive<br />
teorie politiche, non tutti gli aspetti dei<br />
possibili legami tra Locke e Hobbes sono<br />
stati esaurientemente analizzati. Da questo<br />
punto di vista l’articolo intende esaminare<br />
il rapporto di entrambi con Boyle e la sua<br />
concezione del metodo scientifico; la disputa<br />
Boyle-Hobbes sulla possibilità del<br />
vuoto può costituire un punto chiave per<br />
chiarire alcuni aspetti del rapporto Hobbes-Locke.<br />
Le discours mental selon Hobbes, di M.<br />
Pécharman.<br />
Le mythe de l’intériorité chez Locke, di G.<br />
Brykman: a partire dal libro di J. Bouveresse,<br />
Le muthe de l’intériorité (Paris, Minuit,<br />
1976), l’articolo analizza la concezione<br />
lockeana del linguaggio in rapporto alla<br />
nozione di Wittgenstein di linguaggio privato.<br />
La propriété chez Hobbes, di Y.C. Zarka:<br />
alla luce del rapporto tra Hobbes e Grozio<br />
è possibile analizzare la concezione hobbesiana<br />
della proprietà da tre punti di vista: la<br />
riduzione politica del problema della proprietà,<br />
il dominio privato e politico, pensato<br />
in termini di proprietà, la teoria della<br />
sovranità. L’articolo si sviluppa pertanto<br />
tenendo presenti tre coppie di concetti:<br />
dominium/proprietas, dominium/potestas,<br />
dominium/auctoritas.<br />
La propriété dans la philosophie de Locke,<br />
di S. Goyard Fabre: il concetto di communio<br />
fundi originari, corollario della legge<br />
divina, avente valore di postulato, rappresenta<br />
un aspetto cruciale per comprendere<br />
la questione della proprietà in Locke, al di<br />
là dell’analisi della proprietà reale.<br />
Le roman philosophique de l ‘humanité<br />
chez Hobbes et chez Locke, di F. Tricaud:<br />
un confronto tra Hobbes e Locke sulla<br />
teoria dello Stato; se per Hobbes l’esistenza<br />
dello Stato garantisce i diritti limitati ed<br />
inviolabili di ciascuno, per Locke è inutile<br />
il ricorso al contratto, ma è sufficiente la<br />
legge di nartura a definire le regole fondamentali<br />
della condotta giusta.<br />
Filmer, Hobbes, Locke: les cassures dans
l’espace de la théorie politique, di F. Lessay:<br />
l’analisi della famiglia presente nei tre<br />
autori.<br />
Locke et l’intentionnalité: le problème de<br />
Molyneux, di J. M. Vienne.<br />
Intuition et intuitionisme, di J. Largeault:<br />
l’intuizione nella filosofia, nella psicologia,<br />
nella metafisica e nella concezione<br />
matematica di Brouwer.<br />
REVUE INTERNATIONALE<br />
DE PHILOSOPHIE<br />
Vol. 46, n. 3, 1992<br />
Universa, Wetteren<br />
Tema della rivista: “Pierre Duhem”.<br />
To save the phenomena: Duhem on Galileo,<br />
di M. A. Finocchiaro: l’articolo rivaluta<br />
l’interpretazione di Galileo data da<br />
Duhem, che con la sua definizione dell’ideale<br />
di unità della fisica appare molto<br />
vicino al realismo di Galileo.<br />
Physique de croyant? Duhem et l’autonomie<br />
de la science, di A. Boyer: il legame<br />
problematico in Duhem tra scienza e metafisica.<br />
Duhem and continuity in the history of the<br />
science, di R. Ariew e P. Barker.<br />
A reappraisal of Duhem’s conception of<br />
scientific progress, di B. S. Baigrie.<br />
Measurement and principles: the structure<br />
of physical theories, di A. Kremer-Marietti:<br />
a partire dagli scritti di Duhem sulla<br />
teoria della relatività e dei quanta, l’articolo<br />
mostra come il suo metodo rimanga<br />
pertinente nonostante gli sconvolgimenti<br />
operati sulla fisica contemporanea da queste<br />
teorie.<br />
Duhem et l’atomisme, di R. Majocchi: la<br />
critica di Duhem all’atomismo.<br />
Duhem face au post-positivisme, di A. Brenner:<br />
la riflessione di Duhem e quella postpositivista<br />
hanno in comume l’analisi del<br />
ruolo della storia della scienza nell’epistemologia.<br />
ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHISCHE<br />
FORSCHUNG<br />
Vol. 46, n. 2, aprile-giugno 1992<br />
Klostermann, Frankfurt a/M.<br />
“Was darf ich hoffen?”, di E. Förster: il<br />
problema kantiano della conciliazione di<br />
ragion pratica e teoretica.<br />
Kants Wahrnehmungsurteile als Erbe Humes?,<br />
di D. Lohmar.<br />
RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />
Zähmung des Bösen?, di G. Schönrich: le<br />
riflessioni di Kant sui problemi della teodicea<br />
leibniziana.<br />
Symbolische Erkenntnis bei Leibniz, di S.<br />
Krämer: la distinzione tra forma intuitiva e<br />
forma simbolica della conoscenza proposta<br />
da Leibniz nelle Meditazioni del 1684.<br />
Theodizee oder Kulturgeschichte des Bösen?<br />
Anmerkungen zum gegenwärtigen<br />
Diskurs, di C. F. Geyer.<br />
Wissen, Glauben, Nicht-Wissen, di A. Stephan:<br />
Freud e la logica epistemica.<br />
ARCHIV FÜR GESCHICHTE<br />
DER PHILOSOPHIE<br />
Vol. 72, n. 2, 1992<br />
Walter de Gruyter, Berlin, New York<br />
Latin Averroes on the divisibility and selfmotion<br />
of the elements, di R. F. Hassing e E.<br />
M. Macierowski: il problema della causalità<br />
e del moto naturale degli elementi è<br />
stato al centro del dibattito filosofico-scientifico<br />
fino a Galileo; l’articolo prende in<br />
esame la posizione di Averroè nel suo<br />
‘Commentario’ alla Fisica di Aristotele,<br />
con particolare attenzione ai paragrafi II 1,<br />
VII 1, VIII 4, VIII 5.<br />
Rabbi Lewi ben Gerschom (Gersonides)<br />
und die Bedingungen wissenschaftlichen<br />
Fortschritts im Mittelalter: Astronomie,<br />
Physik, erkenntnistheoretischer Realismus<br />
und Heilslehere, di G. Freudenthal.<br />
Immortalitas oder Immaterialitas, di T.<br />
Ebert: un’analisi dei sottotitoli apposti da<br />
Cartesio alle due edizioni, quella di Parigi<br />
del 1641 e quella di Amsterdam del 1642,<br />
delle Meditationes.<br />
JOURNAL OF THE HISTORY<br />
OF PHILOSOPHY<br />
Vol. XXX, n. 3, Luglio 1992<br />
Washington University, St. Louis<br />
Degrees of finality and the highest good in<br />
Aristotle, di H. R. Richardson: una certa<br />
ambiguità da parte di Aristotele nella formulazione<br />
della nozione di Bene supremo<br />
ha dato origine ad una serie di interpretazioni<br />
spesso in contrasto tra di loro. L’articolo<br />
intende mettere in luce come una<br />
corretta analisi di questa nozione non possa<br />
prescindere da quella di fine ultimo.<br />
Augustine and Aquinas on original sin and<br />
the function of political authority, di P. J.<br />
Weithman: la riscoperta delle Etiche, ma<br />
soprattutto della Politica di Aristotele ha<br />
determinato una svolta cruciale nelle elaborazioni<br />
delle teorie politiche del Medioevo.<br />
E’ sotto questa luce che può essere<br />
68<br />
letta la differenza tra la teoria politica di<br />
Agostino e quella di Tommaso. In particolarte,<br />
se per Tommaso appare centrale il<br />
forte legame che il cittadino sente con il<br />
bene comune della società politica, legame<br />
che costituisce la base di una vera e<br />
propria virtù etica, Agostino nega che si<br />
possa parlare di virtù. Il cambiamento di<br />
prospettiva sulla nozione di virtù civile e<br />
bene comune dipende proprio dalla rilevanza<br />
della lezione aristotelica.<br />
Descartes and dream skepticism revisited,<br />
di R. Hanna: la riflessione antiscettica cartesiana<br />
nelle Meditationes.<br />
The Molyneux Problem, di M. Lievers: la<br />
questione posta da Molyneux circa la relazione<br />
tra le idee acquisite attraverso il tatto<br />
e quelle acquisite attraverso la vista sono al<br />
centro delle analisi lockeane nel Saggio.<br />
L’articolo prende in esame il problema di<br />
Molyneux in relazione alle teorie cartesiane,<br />
discutendo poi come esso venga affrontato<br />
da Locke e da Berkeley.<br />
Lichtenberg and Kant on the subject of<br />
thinking, di G. Zoeller: contro una certa<br />
tradizione storiografica che vorrebbe porre<br />
Lichtenberg (1742-1799) ed il suo aforisma<br />
Es denkt sulla scia humeana e quindi in<br />
opposizione a Cartesio, l’articolo vuole piuttosto<br />
dimostrare che egli è molto vicino alle<br />
posizioni di Kant, pur non riuscendo a cogliere<br />
fino in fondo la complessità della<br />
teoria kantiana dell’autocoscienza. Alla luce<br />
di queste considerazioni l’articolo mostra<br />
comunque anche la differenza tra la posizione<br />
di Lichtenberg e l’Io penso kantiano,<br />
comcludendo con una valutazione critica dei<br />
due pensatori.<br />
PARADIGMI<br />
Vol. X, n. 30, settembre-dicembre 1992<br />
Schena Editore, Brindisi<br />
Appaiono in questo fascicolo monografico<br />
alcuni interventi al Convegno Internazionale<br />
su: “Dialogo interculturale ed eurocentrismo”,<br />
tenutosi a Roma dal 27 al 29<br />
maggio 1991 ed organizzato dal Dipartimento<br />
di Filosofia e Teoria della Scienza<br />
dell’Università “La Sapienza” di Roma, in<br />
collaborazione con il Goethe Institut. Ad<br />
esse è stato aggiunto il testo della conferenza<br />
pronunciata nell’Università di Bari da P.<br />
Matvejevic il 12 marzo 1992.<br />
Come si sottolinea nella presentazione, la<br />
pubblicazione di questo fascicolo è, da un<br />
lato, motivata dalla persuasione che il dialogo<br />
tra le culture, che sono forme, autointerpretazioni<br />
e cifre della vita dei popoli, è<br />
urgente e ineludibile necessità dell’odierna<br />
situazione mondiale, dall’altro è sorretta<br />
dalla speranza che le culture riescano<br />
effettivamente a dialogare, ossia a riconoscersi<br />
e a rispettarsi nelle differenze delle<br />
rispettive identità e a non avere preconcette<br />
diffidenze ed ostilità per le nuove iden-
tità e per le nuove combinazioni e sintesi<br />
che dalla continuità del dialogare possono<br />
sortire. Anche attraverso il dialogo fra le<br />
culture passa e si consolida la pace tra i<br />
popoli e l’umanità si difende dai sempre<br />
possibili ricorsi della barbarie”.<br />
Visioni del mondo e rapporti tra le culture,<br />
di F. Bianco.<br />
La fenomenologia come “medium” di ricerca<br />
interculturale dal punto di vista orientale,<br />
di Kah Kyung Cho.<br />
L’importanza culturale dell’Islam, di R.<br />
Garaudy.<br />
La tonalità emotiva fondamentale dell’Europa<br />
e la comunicazione interculturale, di<br />
K. Held.<br />
Il problema dell’altro nell’universalismo<br />
occidentale, di A. M. Iacono.<br />
La tecnologia e la vendetta della cultura, di<br />
D. Ihde.<br />
Sulle nozioni di cultura nazionale, di P.<br />
Matvejevic.<br />
La filosofia indiana e quella occidentale<br />
sono radicalmente differenti?, di J. Mohanty.<br />
Eurocentrismo, eurocentricità e dis-europeizzazione,<br />
di T. Ogawa.<br />
Cultura europea e religiosità giapponese,<br />
di R. Venturini.<br />
Cultura propria e cultura estranea; Il paradosso<br />
di una scienza dell’estraneo, di B.<br />
Waldenfels.<br />
Transculturalità. Forme di vita dopo la<br />
dissoluzione delle culture, di W. Welsch.<br />
AUT-AUT<br />
n. 251, settembre-ottobre 1992<br />
La Nuova Italia, Firenze<br />
La prima parte della rivista si occupa del<br />
libro di G. Bateson, Dove gli angeli esistano<br />
(Adelphi, Milano 1987) e comprende<br />
alcune note dello stesso Bateson (La creatura<br />
e la sua creazione), un intervento di<br />
Mary Catherine Bateson sulla genesi del<br />
testo (Come é nato ‘Angel Fear’), e quattro<br />
contributi che prendono spunto da questo<br />
libro: Il meta-libro di Bateson, di A. Dal<br />
Lago; Il fine non perseguibile. Su Bateson<br />
e la “non-comunicazione”, di R. De Biasi;<br />
La regola di Bateson, di G. Gabetta; Un<br />
occhio appeso al collo, di P. A. Rovatti.<br />
Il sacro, di S. Givone: partendo dalla questione<br />
del senso in cui si possa parlare oggi<br />
di Dio, l’articolo, attraverso una rilettura<br />
RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />
della “morte di Dio” nietzscheana e la<br />
proposta di lettura heideggeriana, ci riporta<br />
all’esperienza del sacro.<br />
Spirito e malinconia, di G. Carchia: la<br />
malinconia tra medicina e filosofia nell’analisi<br />
antica, moderna e contemporanea.<br />
L’utopia del visibile. Note sull’ermeneutica<br />
dell’immagine a partire dalla Romantik,<br />
di F. Vercellone.<br />
Una visione pragmatista della razionalità<br />
e della differenza culturale, di R. Rorty.<br />
RIVISTA DI FILOSOFIA<br />
NEOSCOLASTICA<br />
Vol. LXXXIV, n. 1, gennaio-marzo 1992<br />
Vita e Pensiero, Milano<br />
L’Epinomide o della religione entro i limiti<br />
della ragione, di D. Pesce: benchè questo<br />
dialogo si collochi all’interno del platonismo,<br />
sia per i rimandi alle Leggi, sia per i<br />
contenuti dottrinari, l’autore non condivide<br />
l’ipotesi da più parti accreditata che il<br />
dialogo sia effettivamente da attribuire a<br />
Platone e preferisce assegnarne la paternità<br />
a Filippo di Opunte che, pur muovendosi<br />
nell’ambito del platonismo, avrebbe qui<br />
voluto esporre una sua dottrina, utilizzando<br />
quindi liberamente i testi di Platone.<br />
Il rinnovamento della filosofia nella Dialectica<br />
di Lorenzo Valla, di M. Laffranchi:<br />
in quest’opera di Valla sono presenti alcuni<br />
nodi tematici che rappresentano il fulcro<br />
del pensiero logico e filosofico dell’autore;<br />
l’articolo compie una disamina dei concetti<br />
retorici, logici e filosofici di questo testo.<br />
La “dialectique” de Schleiermacher et l’absolu<br />
schellingien, di E. Brito: dopo aver<br />
delineato l’evoluzione dei rapporti tra<br />
Schelling e Schleiermacher, sottolineando<br />
poi in che senso la filosofia di Schelling<br />
possa aver influito sugli sviluppi a livello<br />
logico, epistemologico e ontologico della<br />
Dialektik di Schleiermacher, l’articolo si<br />
incentra sul confronto tra la concezione del<br />
rapporto tra Dio e mondo nella Dialektik e<br />
la teoria dell’Assoluto nel sistema schellinghiano<br />
dell’identità.<br />
Autocoscienza e conoscenza nel “primo<br />
Rosmini”, di P. De Lucia: l’articolo prende<br />
in esame un libro del giovane Rosmini, La<br />
coscienza pura, che ha come oggetto l’autocoscienza,<br />
per interpretarlo in rapporto al<br />
problema della conoscenza. Si fa anche il<br />
punto sulla scarsa attenzione che la critica<br />
ha sempre prestato a questo scritto.<br />
Analogia storica ed esperienza trascendentale.<br />
La “metaistorica” di Max Müller,<br />
69<br />
di P. Volonté.<br />
La metafisica segreta di Kant. Su un recente<br />
saggio di Virgilio Melchiorre, di S.<br />
Mancini: recensione di V. Melchiorre: Analogia<br />
e analisi trascendentale. Linee per<br />
una nuova lettura di Kant (Mursia. Milano,<br />
1991).<br />
FILOSOFIA OGGI<br />
Vol. XV, n. 60, ottobre-dicembre 1992<br />
Edizioni dell’arcipelago, Genova<br />
L’être, épreuve de la pensée (II), di P.<br />
Rostenne: una riflessione ontoteologica sul<br />
rapporto tra Essere e Dio.<br />
Ein berühmtes Beispiel künstlicher Intelligenz<br />
in der Natur: der Zellenbau der Honigbienen,<br />
di M. Casula: attraverso una ricostruzione<br />
storica che parte da Pappo (IV<br />
sec. a. C. ) fino ai giorni nostri, l’articolo<br />
intende delineare in termini matematici il<br />
miracolo naturale della costruzione di un’alveare.<br />
La natura fornisce esempi di altissime<br />
operazioni di intelligenza paragonabili<br />
alle operazioni dei computers.<br />
L’analogia fra competenza trascendentale<br />
e fondamento trascendente nella dialettica<br />
di Schleiermacher, di M. G. Lombardo.<br />
Lineamenti per una filosofia dell’intersoggettività,<br />
di R. Rossi: la relazione tra fondamento<br />
della conoscenza, limite e relazione;<br />
una rilettura storica.<br />
“Humanisme de la liberté dans la perspective<br />
de l’humanisme legazien, di J. M. Trigeaud:<br />
il sistema di Legaz y Lacambre può<br />
essere visto in termini di un umanesimo<br />
della libertà, che pone al centro della speculazione<br />
etica la persona.<br />
AQUINAS (Vol. XXXV, maggio-agosto<br />
1992, Università Lateranense) presenta un<br />
intervento di M. Bunge dal titolo Sette<br />
paradigmi cosmologici: l’animale, la scala<br />
,il fiume, la nuvola, la macchina, il libro<br />
e il sistema dei sistemi in cui vengono<br />
analizzati i paradigmi cosmologico dell’olismo,<br />
secondo cui il mondo è un animale;<br />
della visione gerarchica, che considera<br />
il mondo come un insieme stratificato, dell’atomismo,<br />
la cui metafora è la nuvola; del<br />
punto di vista dinamico, per il quale il<br />
mondo è un fiume senza sponde; del meccanicismo,<br />
per cui il mondo è un orologio;<br />
del testualismo, per il quale il mondo è una<br />
sorta di libro. Di questi paradigmi vengono<br />
indicate le caratteristiche ed il loro valore<br />
alla luce della scienza contemporanea. Troviamo<br />
inoltre: L’immagine della donna<br />
secondo Ortega y Gasset, di A. Savignano;<br />
Dialettica di fantasia e logos nella nozione<br />
di mito secondo Aristotele, di D. Prisco;<br />
San Tommaso e Hegel per una teodicea
RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />
cristologica, di M. Mangiagalli.<br />
AESTHETICA (n. 35, agosto 1992, Centro<br />
internazionale <strong>Studi</strong> di Estetica, Palermo)<br />
pubblica gli interventi al Seminario dal<br />
titolo: Laocoonte 2000, promosso dal Centro<br />
internazionale <strong>Studi</strong> di Estetica (Palermo<br />
1-2 novembre 1992).<br />
ANNALI UGO SPIRITO 1991 (Vol. III,<br />
Fondazione Ugo Spirito, Roma 1992). Presenta,<br />
accanto a saggi su Ugo Spirito (L’idea<br />
di Roma nel pensiero di Giovanni Gentile<br />
e Ugo Spirito, di H. A. Cavallera; 1991:<br />
cinquant’anni dalla Vita come Arte di Ugo<br />
Spirito, di C. Gily Reda) alcuni interventi<br />
sul pensiero di Augusto Del Noce (Le origini<br />
della critica al razionalismo in Augusto<br />
Del Noce, di G. Dessì), sulla critica a<br />
Vico (In margine ad alcuni studi italiani su<br />
Vico, di A. Russo), sul pensiero di Carlo<br />
Diano (Il pensiero filosofico di Carlo Diano,<br />
di R. Chierichini) e su Heidegger (Le<br />
scienze ontiche nel primo Heidegger. Ipotesi<br />
a partire da Phänomenologie und Theologie,<br />
di G. Salmeri).<br />
ESTETICA 1992 (Il Mulino, Bologna,<br />
1992), a cura di Stefano Zecchi, è intitolato<br />
“Forme del simbolo”. Se il simbolo, come<br />
spiega Zecchi nell’introduzione, è un tipo di<br />
linguaggio che rifiuta l’univocità del segno<br />
ed il suo rapporto lineare con la realtà per<br />
aprirsi ad una dimensione cosmica dell’uomo<br />
e del suo linguaggio, dimensione cosmica<br />
che emblematicamente si dà nella religione<br />
e nell’arte, la nostra modernità, con il suo<br />
culto della tecnica, ha perduto completamente<br />
il senso di questa appartenenza cosmica<br />
testimoniata dalla dimensione simbolica<br />
che appare sempre più propria di una<br />
realtà culturale ormai sorpassata. Ma è proprio<br />
alla luce di questo confronto con la tradizione<br />
che può essere pensato un processo<br />
di risimbolizzazione della realtà. Ed è questa<br />
la proposta della raccolta di saggi qui<br />
contenuta. Accanto agli interventi di carattere<br />
storico e teoretico, troviamo anche una<br />
sezione riservata a Richard Wagner, la cui<br />
riflessione estetica rappresenta un emblema<br />
della complessità delle forme del simbolo,<br />
a cui si affianca la pubblicazione del carteggio<br />
tra Wagner e Schuré; appare inoltre un<br />
testo pubblicato per la prima volta dell’architetto<br />
Adholphe Appia sulle questioni<br />
legate alla messa in scena delle opere di<br />
Wagner ed un saggio poco noto di D’Annunzio<br />
su Wagner. Simbolo ed allegoria nel<br />
primo romanticismo tedesco, di E. Behler;<br />
L’arte del XX secolo e il simbolo, di J.C.<br />
Pinson; Emozione, immagine, simbolo, di J.<br />
Hillman; Il pensiero e il simbolo, di C. Sini;<br />
Il simbolo nell’ontologia fondamentale di<br />
Heidegger, di J. Taminiaux; Il rischio dell’immagine,<br />
di J. Jiménez; La polemica sul<br />
simbolo nella logica dell’arte di B. Schmidt;<br />
Udire l’oscurita, di A. Trione; Richard<br />
Wagner-Edouard Schuré: frammenti di un<br />
epistolario inedito; La musica di Wagner e<br />
la genesi del Parsifal, di G. D’Annunzio;<br />
Esperienmze di teatro e ricerche personali<br />
1922-24, di A. Appia; Il simbolo e la musi-<br />
RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />
70
NOVITA’ IN LIBRERIA<br />
70<br />
NOVITA’ IN LIBRERIA<br />
AA.VV<br />
L’utopia nella storia:<br />
la rivoluzione inglese<br />
a cura di A. Colombo e G. Schiavone<br />
Edizioni Dedalo, settembre 1992<br />
pp.294<br />
Una raccolta di saggi sulla Rivoluzione<br />
inglese centrati sulla valenza utopica<br />
di questo evento e tendenti a<br />
mostrarne l’importanza storica ed ideale,<br />
al di là dell’oblio in cui spesso è<br />
caduta rispetto alla Rivoluzione francese.<br />
AA.VV.<br />
L’ Athenaion Politeia<br />
di Aristotele<br />
a cura di R. Cresci<br />
e L. Piccirilli<br />
Il Melangolo, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.176, L. 20.000<br />
Nel 1991 ricorreva il centenario della<br />
pubblicazione dell’Atenaion Politeia<br />
di Aristotele. Oggetti di vivace discussione,<br />
i saggi riuniti in questo<br />
volume costituiscono un ulteriore<br />
momento di riflessione sulle sempre<br />
nuove problematiche poste da quest’opera.<br />
AA.VV.<br />
Annuario filosofico 1992<br />
Mursia, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.432, L. 70.000<br />
Saggi di: Pareyson, Mathieu, Holzhey,<br />
Lauth, Moiso, Ravera, Sorrentino,<br />
Poma, Magris, Ugazio, Ferretti,<br />
Baptist, Blagova, Salizzoni.<br />
AA.VV.<br />
Porphyre, La Vie de Plotin<br />
1: Travaux préliminaires<br />
et index grec complet<br />
2: Etudes d’introduction,<br />
texte grec et traduction<br />
française, commentaire, notes<br />
complémentaires, bibliographie<br />
Vrin, dicembre 1992<br />
2 voll., pp.436, F 360<br />
Partendo dal testo revisionato, una<br />
squadra di ricercatori ci propone una<br />
lettura più accessibile di questo libro<br />
non conformista. Altro motivo di grande<br />
interesse, la pubblicazione di documenti<br />
filosofici finora sconosciuti,<br />
testimonianze dirette della scena intellettuale<br />
dell’epoca.<br />
AA.VV.<br />
Penser la recontre de deux mondes<br />
PUF, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp. 135<br />
Le riflessioni, di carattere antropologico<br />
e cosmologico, che la cultura<br />
europea si pose all’indomani della<br />
scoperta dell’America, riflessioni rilevanti<br />
soprattutto nel campo religioso,<br />
etico e politico, appaiono ancor<br />
oggi al centro della speculazione contemporanea.<br />
AA.VV.<br />
Omaggio a Ludovico Geymonat<br />
Franco Muzzio, novembre 1992<br />
pp.194<br />
AA.VV.<br />
Le provocazioni di Giobbe.<br />
Una figura biblica<br />
nell’orizzonte letterario<br />
Marietti, giugno 1992<br />
pp. 120<br />
Il testo ricostruisce le reinterpretazioni,<br />
le trasfigurazioni e le risonanze<br />
letterarie della figura biblica di Giobbe,<br />
simbolo ora della pazienza, ora<br />
della sofferenza del giusto, ora del<br />
peccato.<br />
AA.VV.<br />
Tra scienza e storia. Percorsi<br />
del neostoricismo italiano:<br />
Eugenio Garin, Paolo Rossi<br />
Sergio Moravia<br />
a cura di Franco Cambiano<br />
Edizioni Unicopli, dicembre 1992<br />
L. 27.000.<br />
In Italia, a partire dagli anni ’50, il<br />
neostoricismo di Garin e poi della sua<br />
scuola (da Rossi a Vasoli, a Moravia)<br />
ha messo a punto un’immagine della<br />
filosofia come intersezione critica,<br />
aperta, problematica tra saperi e società,<br />
tra ragione e storia, che risulta<br />
ancora oggi una lezione assai significativa.<br />
Il volume vuole ripensare questa<br />
“avventura” dello storicismo, soffermamdosisull’evoluzione/trasformazione<br />
che il neostoricismo compie<br />
da Garin a Moravia e sul dialogo con<br />
la scienza, in cui la criticità (e la<br />
ricchezza teorica) di questo modello<br />
di filosofia viene a dispiegarsi, mostrando<br />
con forza anche la pregnanza<br />
che esso mantiene nel dibattito filosofico<br />
contemporaneo.
Abelardo, Pietro<br />
Dialogo tra un filosofo, un giudeo<br />
e un cristiano<br />
Rizzoli, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp. 314, L. 12.000<br />
Nella sua ultima opera, il logico medioevale<br />
esprime l’idea di un cristianesimo<br />
naturale e tollerante, l’utopia<br />
di una convivenza e forse una convergenza<br />
con le altre fedi nate dalla Bibbia<br />
nel nome di un Bene Sommo di<br />
origini platoniche e stoiche, raggiungibile<br />
con la virtù e la ricerca intellettuale.<br />
Adler, Max<br />
Filosofia della religione<br />
Cadmo, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.251, L. 40.000<br />
Tutti gli scritti sulla religione, compresi<br />
due inediti, del pensatore marxista<br />
viennese.<br />
Agamben, Giorgio<br />
Stanzas: The word and the<br />
phantasm in western culture<br />
Univ. of Minnesota Press,<br />
dicembre 1992<br />
pp.224, £ 12,95<br />
In quest’opera Agamben, rifacendosi<br />
alla filologia, alla psicoanalisi dei giochi,<br />
alla fisica e alla psicologia medievale,<br />
alla linguistica e alla filosofia<br />
contemporanea, tentando di riconfigurare<br />
i fondamenti epistemologici<br />
della cultura occidentale, screditando<br />
la possibilità di un metalinguaggio.<br />
Agostino<br />
De Magistro - Il Maestro<br />
ed. integrale bilingue<br />
a cura di Adele Canilli<br />
Mursia, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.160, L. 9.000<br />
Una proposta di lettura del testo di<br />
Agostino in chiave teoretica e di filosofia<br />
del linguaggio, e non in chiave<br />
pedagogica come viene generalmente<br />
interpretato. Il dialogo esamina i<br />
rapporti tra linguaggio e pensiero nella<br />
prospettiva della Verità.<br />
Aizpun de Bobadilla, Teresa<br />
Kierkegaards Begriff der Ausnahme.<br />
Der Geist als Liebe<br />
Akad. Vlg, dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.198, DM 56<br />
Albert, Karl<br />
Philosophie der Sozialität<br />
Academia, dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.349, DM 68<br />
Albert sostiene la tesi che le diverse<br />
forme e aspetti della socialità dell’uomo<br />
sono tutte in fin dei conti riportabili<br />
all’esperienza della comunità dell’essere.<br />
La comunità dell’essere si<br />
riferisce non solo ai propri simili, ma<br />
anche alla natura.<br />
Alt, Jürgen August<br />
Karl R. Popper<br />
Campus, novembre 1992<br />
pp.150, DM 17,80<br />
Malgrado la molteplicità di temi che<br />
la sua opera conosce, Jürgen August<br />
Alt insegue quel filo rosso che appare<br />
in tutta la filosofia popperiana, e cioè<br />
l’idea di una critica libera da fondamenti.<br />
Arantes, Urias<br />
Charles Fourier<br />
ou l’Art des passages<br />
L’Harmattan, novembre 1992<br />
pp. 208, F 120<br />
Una lettura di Fourier che prende<br />
deliberatamente le distanze tanto dal<br />
socialismo tradizionale quanto dai<br />
surrealisti per operare un ritorno alle<br />
parole e al mondo dell’utopista. La<br />
forza critica della sua opera ne esce<br />
restaurata grazie alla traduzione della<br />
logica numerica dellae serie nella logica<br />
dei “passaggi”.<br />
Azouzi, François (a cura di)<br />
L’Institution de la raison:<br />
la révolution culturelle<br />
des idéologues<br />
Vrin, dicembre 1992<br />
pp.262, F 198<br />
Su quale filosofia, su quali principi si<br />
opera la rivoluzione culturale degli<br />
ideologhi? Quali limiti, teorici e pratici,<br />
essi incontrano? A che tipo di<br />
opposizione, in Francia e all’estero,<br />
essa dà luogo?<br />
Badiou, Alain<br />
Conditions<br />
Seuil, novembre 1992<br />
pp.372, F 170<br />
Partendo dalla filosofia stessa e da<br />
una critica esplicita del tema della sua<br />
fine, l’autore ne propone una definizione<br />
allo stesso tempo nuova e sottomessa<br />
alla prova delle sue origini<br />
(Platone). Seguono quattro saggi che<br />
vertono sui rapporti della filosofia<br />
conla poesia, la matematica, la politica<br />
e l’amore. Dall’autore di L’Etre et<br />
l’événement.<br />
Baertschi, Bernard<br />
Les Rapports de l’âme et du corps:<br />
Descartes, Diderot<br />
et Maine de Biran<br />
Vrin, dicembre 1992<br />
pp.434, F 300<br />
Il libro esamina la dualità, anima e<br />
corpo, così come la si è affrontata dal<br />
XVII al XIX secolo nella filosofia<br />
francese. Le tre concezioni qui studiate<br />
formano la spina dorsale delle<br />
dottrine filosofiche che si elevano a<br />
partire dalle rotture scientifiche create<br />
dall’emergere di una nuova scienza.<br />
Bahti, Timothy<br />
Allegories of history.<br />
Literary historiography after Hegel<br />
John Hopkins UP, novembre 1992<br />
pp.384, £ 35<br />
Bahti dimostra che il moderno senso<br />
di una scuola storica sorge da una<br />
posizione idealista tedesca che dà per<br />
scontato il significato degli eventi<br />
storici soltanto in quanto aspetti della<br />
verità filosofica. Dopo di che esplora<br />
il modo in cui personaggi del XX<br />
secolo quali Erich Auerbach, Georg<br />
Lukács e Walter Benjamin abbiano<br />
cercato di estendere, rivitalizzare o<br />
criticare l’eredità di Hegel nell’assegnare<br />
un senso definitivo o “vero”<br />
alla storia.<br />
NOVITA’ IN LIBRERIA<br />
71<br />
Baptist, Gabriella<br />
Il problema della modalità<br />
nelle logiche di Hegel.<br />
Un itinerario tra il possibile<br />
e il necessario<br />
Pantograf, dicembre 1992<br />
pp. 315<br />
Barcan Marcus, Ruth<br />
Modalities: Philosophical essays<br />
Oxford UP, dicembre 1992<br />
pp.288, £ 30<br />
Una raccolta degli scritti più significativi<br />
di questa filosofa e logica americana,<br />
fra cui gli importanti primi<br />
saggi di logica modale e la sua opera<br />
più recente di filosofia morale e razionalità.<br />
Behrens, R. - Galle, R.<br />
(a cura di)<br />
Leib-Zeichen, Körperbilder,<br />
Rhetorik und Anthropologie<br />
im 18. Jahrhundert<br />
Königsh. & Neumann<br />
novembre 1992<br />
pp.280, DM 58<br />
I saggi indagano se e fino a che punto<br />
la trattazione discorsiva del corpo<br />
umano nei testi pragmatici e finzionali<br />
dell’antropologia storica e delle<br />
sue più recenti differenziazioni metodiche<br />
(retorica/psicoanalisi/teoria<br />
culturale postmoderna) arrivi a nuova<br />
interpretazione storica e vada letta<br />
in modo ermeneutico.<br />
Bell-Scholefield, Arthur<br />
Universal noetics<br />
Images Booksellers<br />
and Distributors, dicembre 1992<br />
pp.544, £ 14,95<br />
L’opera presenta un sistema di pensiero<br />
basato su uno studio complessivo<br />
dei suoi elementi costitutivi, che si<br />
possono classificare sotto tre categorie:<br />
l’universale, il singolare e il generale,<br />
che permeano tutte le cose.<br />
Bell. D. - Vossenkuhl, W.<br />
(a cura di)<br />
Wissenschaft und Subjektivität.<br />
Der Wiener Kreis<br />
und die Philosophie des 20. Jhdts<br />
Akademie, novembre 1992<br />
pp.160, DM 98<br />
Béresniak, Daniel<br />
Marx<br />
Grancher, novembre 1992<br />
pp.200, F 69<br />
E’ strano che il pensiero di Marx,<br />
sempre aperto all’esperienza, abbia<br />
potuto essere presentato come un<br />
dogma. Questa è la tesi dell’autore di<br />
La Franc-maçonnerie en Europe de<br />
l’Est, che propone una rilettura del<br />
marxismo.<br />
Berg, J. - Morscher, E.<br />
Bolzano-Forschung 1989-1991<br />
Academia, dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.132, DM 29,50<br />
Serie di pubblicazioni che informa<br />
regolarmente sulle nuove edizioni (e<br />
in particolare anche sugli ultimi volumi<br />
usciti delle opere complete di Bolzano),<br />
sui progetti in corso e sui convegni.<br />
Seguirà la bibliografia di Bolzano.<br />
Nel primo di questi volumi si<br />
offre una visione generale dell’edi-<br />
zione completa delle opere di Bolzano<br />
secondo il nuovo stato della sua<br />
articolazione.<br />
Berg, Jan<br />
Ontology without ultrafilters<br />
and possible worlds.<br />
An examination<br />
of Bolzano’s ontology<br />
Academia Vlg dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.100, DM 24<br />
Jan Berg, l’indiscusso e più significativo<br />
ricercatore su Bolzano, presenta<br />
con questo lavoro uno studio completo<br />
sull’ontologia di Bolzano in cui,<br />
sotto la forma di un’esauriente esposizione<br />
sistematica, ne tratta anche la<br />
logica e la teoria della conoscenza.<br />
Berg, Melanie<br />
Philosophische Praxen<br />
im deutschsprachlichigen Raum.<br />
Eine kritische Bestandsaufnahme<br />
Die Blaue Eule, novembre 1992<br />
pp.184, DM 48<br />
Berlinger, Rudolph<br />
Philosophisches Denken.<br />
Einübungen<br />
A cura di Fr. Träger<br />
Editions Rodopi, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.252, Dfl 50<br />
L’uomo è da sempre, per quanto in<br />
primo luogo camuffato, tuttavia filosofo<br />
del proprio ancora statico spirito,<br />
un filosofo del passaggio all’azione<br />
del comportamento morfopoietico<br />
in filosofia e in arte. Il senso di questi<br />
saggi filosofici è di rendere chiaro<br />
ciò.<br />
Bernier, François (a cura di)<br />
Abrégé de la philosophie<br />
de Gassendi: 1684<br />
Fayard, novembre 1992<br />
pp.7 voll., F 1500<br />
Come indica il titolo, si tratta di una<br />
traduzione compendiata del Syntagma<br />
philosophicum, ma è anche più di<br />
una traduzione: è l’espressione stessa<br />
della filosofia di Gassendi presa globalmente<br />
e nel suo spirito.<br />
Berning, V. - Maier, H.<br />
(a cura di)<br />
Alois Dempf, 1891-1982.<br />
Philosoph, Kulturtheoretiker,<br />
Prophet gegen<br />
den Nationalsozialismus<br />
Konrad Vlg., dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.320, DM 39,80<br />
Bhaskar, Roy<br />
Dialectic<br />
Verso, novembre 1992<br />
pp.300, £ 39,95<br />
L’autore attacca le modalità puramente<br />
analitiche di pensiero. Bhaskar<br />
sviluppa una filosofia critica realista,<br />
che individua la definizione di essere<br />
in termini di conoscenza come l’incrinatura<br />
tipica della filosofia tradizionale.<br />
Egli sostiene che il realismo<br />
critico è la base di una nuova metodologia<br />
delle scienze umane.
Bianco, F. (a cura di)<br />
Beiträge zur Hermeneutik<br />
aus Italien<br />
Karl Alber, dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.280, DM 70<br />
I saggi, per la maggior parte raccolti<br />
appositamente per questo volume,<br />
riassumono tutte le posizioni teoretiche<br />
di rilievo del dibattito ermeneutico<br />
in Italia a partire dagli anni ’60.<br />
Bingham, June<br />
Courage to change:<br />
An introduction to the life<br />
and thought of Reinhold Niebuhr<br />
UP of America, dicembre 1992<br />
pp.426, £ 19,50<br />
La presente biografia di Reinhold<br />
Neibuhr cerca di svelare l’uomo in<br />
tutta la sua umanità, il suo calore e il<br />
suo fascino, ma anche nella sua forza<br />
intellettuale di gigante della teologia.<br />
L’autore, che ha conosciuto bene Niebuhr,<br />
fa una cronaca della sua carriera<br />
e dei contributi al pensiero etico, teologico<br />
e religioso.<br />
Bloch, Ernst<br />
Spirito dell’utopia<br />
a cura di Francesco Coppellotti<br />
La Nuova Italia, 1992<br />
L. 48.000<br />
Viene ripubblicata, in nuova veste editoriale,<br />
la traduzione italiana della terza<br />
edizione (1964) del libro di Bloch<br />
che fu originariamente scritto tra il<br />
1915 e il 1918. Il testo è preceduto da<br />
un’intervista a Bloch del 1974 e da una<br />
nuova introduzione del Curatore. Seguono<br />
una nota critica di V. Bertolino<br />
e F. Coppellotti, una nota bibliografica<br />
e una nota biografica, entrambe di N. F.<br />
Pomponio.<br />
Böcher, Wolfgang<br />
Natur, Wissenschaft und Ganzheit.<br />
Über die Welterfahrung<br />
des Menschen<br />
Westdt. Vlg., novembre 1992<br />
pp.351, DM 49<br />
Si tende un grande arco fra il mondo<br />
della coscienza e le società umane. In<br />
tal modo vengono anche superati i<br />
rigidi confini fra scienze della natura<br />
e scienze dello spirito, ponendo un<br />
collegamento fra discipline diverse.<br />
Bonnefoy, Yves<br />
Racconti in sogno<br />
EGEA, <strong>1993</strong><br />
pp. 181<br />
Una serie di racconti “in sogno”; il<br />
volto del mondo ed i momenti della<br />
vita intravisti attraverso l’attività di<br />
deformazione, condensazione, simbolizzazione,<br />
dell’attività onirica.<br />
Borsche, T. - Stegmaier, W.<br />
(a cura di)<br />
Zur Philosophie des Zeichens<br />
De Gruyter, dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.231, DM 98<br />
Saggi sulla “Filosofia del segno” di<br />
Josef Simon in occasione di un convegno<br />
a Bonn nel novembre 1990.<br />
Bort, Klaus<br />
Freiheit und Bezug.<br />
Ansätze zu einer<br />
phänomenologischen Ethik<br />
Attempto-Vlg., novembre 1992<br />
pp.56, DM 12,80<br />
Bouveresse, Renée<br />
Spinoza et Leibniz:<br />
l’idée d’animisme universel<br />
Vrin, dicembre 1992<br />
pp.335, F 225<br />
Con la traduzione inedita di un testo<br />
di Leibniz sull’etica di Spinoza e un<br />
testo di Louis Meyer. In Spinoza come<br />
in Leibniz l’animismo universale è<br />
legato al superamento del meccanismo<br />
cartesiano. Ma, laddove Spinoza<br />
pone il pensiero e l’estensione su un<br />
piano di parità, Leibniz ne deriva una<br />
spiritualizzazione della materia, anche<br />
se l’anima, principio di vita, secondo<br />
lui non agisce sul corpo.<br />
Brandner, Rudolf<br />
Warum Heidegger<br />
keine Ethik geschrieben hat<br />
Passagen, dic-gennaio ’92-’93<br />
pp.160, DM 35 - ÖS 245<br />
Brandner, Rudolf<br />
Was ist und wozu überhaupt -<br />
Philosophie? Vorübungen sich<br />
verändernden Denkens<br />
Passagen, dic.-gennaio ’92-’93<br />
pp.200, DM 39,80<br />
Brés, Yvon<br />
La Souffrance et le tragique:<br />
essai sur le judéo-christianisme,<br />
les tragiques, Platon et Freud<br />
PUF, novembre 1992<br />
pp.288, F 148<br />
La psicoanalisi ha scoperto nell’uomo<br />
una sorta di colpevolezza fondamentale.<br />
In questa colpevolezza Y.<br />
Brés cerca di distinguere il peccato<br />
giudaico-cristiano, che la tradizione<br />
confonde illecitamente con la colpa<br />
sessuale e di cui è il caso di ristabilire<br />
il significato trascendentale.<br />
Brocker, Manfred<br />
Arbeit und Eigentum.<br />
Der Paradigmenwechsel<br />
in der neuzeitlichen<br />
Eigentumstheorie<br />
Wissenschftl. Buch, novembre 1992<br />
pp.680, DM 86<br />
Il libro tratta il problema di come si<br />
possa legittimare la proprietà privata.<br />
L’autore, insieme a una panoramica<br />
sulla storia delle teorie filosofiche<br />
sulla proprietà negli ambienti di lingua<br />
tedesca, propone anche un’analisi<br />
storica i cui risultati possono rendere<br />
fruttuosa una discussione sul diritto<br />
di proprietà.<br />
Brun, Jean<br />
Le Rêve et la machine<br />
Table Ronde, novembre 1992<br />
pp.366, F 125<br />
Le macchine nacquero dai sogni dell’uomo<br />
che chiedeva loro di fargli<br />
superare le barriere dello spazio e del<br />
tempo. Ormai le si ritiene capaci di<br />
oltrepassare i limiti della condizione<br />
umana e della realtà. Secondo Jean<br />
Brun, le macchine potrebbero anche<br />
aprirci le porte dell’inferno.<br />
Brunschwig, J. - Nussbaum, M.<br />
(a cura di)<br />
Passions and perceptions.<br />
<strong>Studi</strong>es in Hellenistic philosophy<br />
NOVITA’ IN LIBRERIA<br />
72<br />
of mind<br />
Cambridge UP, dic.gennaio 92-93<br />
pp.300, £ 30<br />
Il volume racchiude lo svolgimento<br />
del Quinto Simposio Ellenistico, descrive<br />
le analisi dei partecipanti su<br />
questioni quali: la natura della percezione,<br />
dell’immaginazione e della<br />
credenza; la natura delle passioni e il<br />
loro ruolo nell’azione; i rapporti fra<br />
anima e corpo; libertà e determinismo;<br />
il ruolo del piacere come obiettivo;<br />
l’effetto della poesia sulla fede e<br />
le passioni.<br />
Busch, Th. W. - Gallagher, Sh.<br />
(a cura di)<br />
Merleau-Ponty, hermeneutics<br />
and postmodernism<br />
State Univ. of New York<br />
dicembre-gennaio 1992-’93<br />
pp.256, $ 17<br />
Il libro apre nuove prospettive nel<br />
pensiero filosofico di Merleau-Ponty<br />
e si rivolge a problemi contemporanei<br />
sulla teoria dell’interpretazione e<br />
la postmodernità.<br />
Campbell, Richard<br />
Truth and historicity<br />
Cambridge UP, dic.-gennaio ’92-’93<br />
pp.472, £ 47,50<br />
Il lavoro illustra chiaramente il concetto<br />
di verità, seguendone la storia<br />
dagli antichi Greci, fino all’esistenzialismo,<br />
al marxismo e alla moderna<br />
filosofia analitica.<br />
Caporali, Riccardo<br />
Heroes Gentium<br />
Il Mulino, novembre 1992<br />
pp. 290<br />
Rompendo con una tradizione storiografica<br />
tendente ad un’analisi settoriale<br />
degli aspetti particolari della filosofia<br />
di Vico, questo libro tenta una<br />
ricostruzione globalizzante del suo<br />
pensiero, sottolineandone la tensione<br />
civile che pare animarlo: la riflessione<br />
vichiana sembra infatti tendere ad<br />
evidenziare la natura inquietante del<br />
potere come squilibrio e frattura ed a<br />
fare dell’era dell’ ”umanità dispiegata”<br />
il centro di tensioni costitutive ed<br />
aperte.<br />
Carruthers, Peter (a cura di)<br />
The animal issue:<br />
Moral theory in practice<br />
Cambridge UP, dicembre 1992<br />
pp.220, £ 8,95<br />
Il libro analizza la teoria morale e le<br />
implicazioni pratiche del modo in cui<br />
trattiamo gli animali, chiedendosi:<br />
“Gli animali hanno diritti morali?”<br />
L’autore conclude che non ne hanno,<br />
ma che tale conclusione non significa<br />
che il nostro comportamento verso di<br />
loro sia libero da vincoli morali.<br />
Casper, B. - Sparn, W.<br />
(a cura di)<br />
Alltag und Transzendenz.<br />
<strong>Studi</strong>en zur religiösen<br />
Erfahrung in der gegenwärtigen<br />
Gesellschaft<br />
Karl Alber, novembre 1992<br />
pp.430, DM <strong>11</strong>8<br />
Partendo dall’esperienza quotidiana,<br />
gruppi di ricerca diversi, ma allo stesso<br />
tempo interdisciplinari, cercano<br />
attraverso la riflessione filosofica e<br />
teologica di evincere il senso compiuto<br />
dell’esperienza trascendentale<br />
oggi.<br />
Cassirer, Ernst<br />
Mito e concetto<br />
a cura di Riccardo Lazzari<br />
La Nuova Italia, settembre 1992<br />
Il volume raccoglie due studi (La<br />
forma del concetto nel pensiero mitico<br />
e Il concetto di forma simbolica<br />
nella costruzione delle scienze dello<br />
spirito) che furono composti da Cassirer<br />
tra il 1921 e il 1922, all’inizio<br />
della sua collaborazione con la «Biblioteca<br />
Warburg» di Amburgo e del<br />
suo incontro intellettuale con gli studiosi<br />
raccolti intorno ad essa (fra cui<br />
Saxl e Panofsky). Il secondo studio<br />
precorre, anche nel titolo, il concetto<br />
di una Filosofia delle forme simboliche,<br />
che troverà di lì a poco svolgimento<br />
nell’opera maggiore di Cassirer.<br />
Chance, Thomas H.<br />
Plato’s Euthydemus. Analysis<br />
of what is and is not philosophy<br />
Univ. of California, nov. 1992<br />
pp.325, $ 48<br />
L’autore propone un’unica tesi: che<br />
Platone presenti di proposito l’euristica<br />
(la discussione contenziosa)<br />
come antitesi al proprio metodo filosofico.<br />
Chiurazzi, Gaetano<br />
Scrittura e tecnica.<br />
Derrida e la metafisica<br />
Rosenb. & Sellier, dicembre 1992<br />
pp. 196<br />
Il libro ripercorre i momenti cruciali<br />
del pensiero decostruzionistico di<br />
Derrida, tentando un’ipotesi interpretativa<br />
che vede nella scrittura il segno<br />
stesso della storicità del pensiero.<br />
Cohen, L. Jonathan<br />
An essay on belief and acceptance<br />
Clarendon, dic-gennaio ’92-’93<br />
pp.192, £ 20<br />
In questa monografia, Cohen, considerato<br />
uno dei più eminenti filosofi<br />
britannici, sostiene che quanti analizzano<br />
il concetto di conoscenza non<br />
distinguono adeguatamente la credenza<br />
involontaria dall’accettazione volontaria.<br />
Colliot-Thélène, Catherine<br />
Le Désenchantement de l’Etat:<br />
de Hegel à Max Weber<br />
Minuit, novembre 1992<br />
F 145<br />
Ci sono delle similitudini fra le descrizioni<br />
dello stato moderno proposte<br />
da G.W.F. Hegel e da M. Weber.<br />
La storia della formazione dello stato<br />
tedesco spiega in parte queste convergenze.<br />
Due tipi di discorso sulla<br />
politica vengono messi a confronto:<br />
la Filosofia del diritto di Hegel da una<br />
parte, e “la sociologia del dominio” di<br />
Weber dall’altra.<br />
Collmer, Thomas<br />
Aktuelle Perspektiven<br />
einer immanenten Hegel-Kritik.<br />
Negative Totalisierung<br />
als Prinzip offener Dialektik<br />
Focus, novembre 1992
pp.520, DM 60<br />
Conway, D. W. (a cura di)<br />
Nietzsche<br />
und die antike Philosophie<br />
Wiss. Vlg. Trier<br />
dicembre-gennaio 1992-’93<br />
pp.264, DM 72<br />
Cooper, David<br />
A companion to aesthetics<br />
Blackwell, dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.354, £ 60<br />
Questa opera di consultazione mira a<br />
includere l’intero campo degli argomenti<br />
estetici. Il volume effettua una<br />
ricognizione sui concetti significativi,<br />
sui problemi, i movimenti e gli<br />
autori della filosofia dell’arte.<br />
Coppolino, Santo<br />
Temi e problemi<br />
della cultura filosofica del ‘900<br />
Antonio Perna Ed., novembre 1992<br />
pp. 254<br />
Il libro raccoglie una serie di saggi<br />
degli ultimi dieci anni su alcuni problemi<br />
che la cultura italiana della<br />
prima metà del secolo ha affrontato in<br />
relazione ai rapporti tra filosofia e<br />
scienza.<br />
Corvi, Roberta<br />
Invito al pensiero di Popper<br />
Mursia, Milano febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.384, L. 15.000<br />
Il testo è così strutturato: cronologie<br />
parallele, profilo della vita, opere,<br />
temi, orientamenti della critica, bibliografia<br />
e indice dei nomi.<br />
Cottingham, John<br />
A Descartes Dictionary<br />
Blackwell Publishing,<br />
dicembre 1992<br />
pp.200, £ 14,95 - $ 37,50<br />
In questo “Dizionario”, Cottingham<br />
presenta una guida alfabetica a Descartes,<br />
uno dei filosofi che incutono<br />
maggior soggezione. Concetti e idee<br />
chiave nel pensiero cartesiano vengono<br />
rintracciati negli scritti di Descartes,<br />
inseriti nel contesto del clima<br />
intellettuale del XVII secolo e interpretati<br />
di conseguenza.<br />
Cottingham, John (a cura di)<br />
The Cambridge companion<br />
to Descartes<br />
Cambridge, dic.-gennaio ’92-’93<br />
pp.464, £ 13<br />
I presenti scritti su Descartes trattano<br />
della sua vita, dello sviluppo del suo<br />
pensiero e del retroterra intellettuale,<br />
nonché dell’accoglienza, della sua<br />
opera.<br />
Daecke, S.M. (a cura di)<br />
Naturwissenschaft und Religion.<br />
Weltbildliche und ethische Aspekte<br />
des interdisziplinären Gesprachs<br />
Wissenschaftsvlg., novembre 1992<br />
pp.200, DM 29,80<br />
Interventi a una tavola rotonda all’RWTH<br />
di Aachen.<br />
Dagognet, François<br />
Philosophie de la propriété:<br />
l’avoir<br />
PUF, novembre 1992<br />
pp.240, F 148<br />
L’”oggetto” viene visto qui al secondo<br />
grado, non per se stesso, ma attraverso<br />
operazioni che lo elevano, come<br />
quella della proprietà (uno stato di<br />
diritto), ben diversa dal semplice possesso<br />
(uno stato di fatto).<br />
Danielson, Peter<br />
Artificial morality.<br />
Virtuous robots for virtual games<br />
Routledge, dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.256, £ 35<br />
La tesi centrale di questa opera è che<br />
la moralità sia un fatto personale e<br />
razionale. Con l’aiuto di robot appaiati<br />
in giochi astratti, che ricompensano<br />
il collaboratore ma anche semplicemente<br />
coloro che beneficiano dalle<br />
costrizioni altrui dimostra che robot<br />
virtuosi, non perversi, riescono meglio.<br />
Delogu, Antonio<br />
Filosofia e società in Sardegna.<br />
Giovanni Battista Tuveri<br />
(1815-1887)<br />
Franco Angeli, 1992<br />
pp.356<br />
Il libro delinea le coordinate della<br />
riflessione di Tuveri, uno degli esponenti<br />
più prestigiosi della cultura sarda<br />
del secolo scorso.<br />
Derrida, Jacques<br />
L’Ethique du don<br />
A cura di J.-M. Rabaté e M. Wetzel<br />
A.-M- Métailié, novembre 1992<br />
pp.285, F 130<br />
La dimensione etica, che percorre<br />
tutta l’opera di Derrida, in questi ultimi<br />
anni si è consolidata attraverso un<br />
lavoro rigoroso su problemi come il<br />
nazionalismo, la tradizione ebraica,<br />
la possibilità dell’insegnamento di<br />
filosofia, la questione dell’Europa rinnovata<br />
o i fondamenti del diritto.<br />
Derrida, Jacques<br />
Points de suspension: entretiens<br />
Galilée, dicembre 1992<br />
F 195<br />
L’autore ha scelto, presentandoli,<br />
venti degli incontri a cui Jacques<br />
Derrida ha partecipato negli ultimi<br />
vent’anni circa. Per questo si è dato<br />
un certo numero di criteri, prima di<br />
tutto quello della diversità.<br />
Desanti, Jean-Toussaint<br />
Grisoni, Dominique-Antoine<br />
Réflexions sur le temps:<br />
variations philosophique 1,<br />
conversation avec Dominique<br />
Antoine Grisoni<br />
Grasset, dicembre 1992<br />
pp.220, F 100<br />
Libro di incontri sulla questione del<br />
tempo. Nella prima parte, Desanti<br />
ritorna sulle tesi difese dai pensatori<br />
della tradizione antica e sviluppa i<br />
quesiti posti da sant’Agostino. La<br />
seconda parte è un ampio sviluppo<br />
fenomenologico sul problema.<br />
Didi-Huberman, Georges<br />
Ce que nous voyons,<br />
ce que nous regarde<br />
Minuit, novembre 1992<br />
pp.208, F 120<br />
Quanto vediamo non vale (non vive)<br />
che in virtù del nostro sguardo. Se ciò<br />
NOVITA’ IN LIBRERIA<br />
73<br />
è vero, come pensare le condizioni<br />
estetiche, epistemiche, ossia etica, di<br />
una simile affermazione? Una favola<br />
filosofica dell’esperienza visuale.<br />
Dietz, Walter<br />
Sören Kierkegaard.<br />
Existenz und Freiheit<br />
Anton Hain, novembre 1992<br />
pp.400, DM 78<br />
Dietz intraprende una ricostruzione<br />
della tematica della libertà in Sören<br />
Kierkegaard, in cui la libertà viene<br />
messa in relazione alla paura e all’onnipotenza.<br />
Dilthey, Wilhelm<br />
Oeuvres<br />
1: Critique de la raison historique<br />
Introduction aux sciences<br />
de l’esprit et autres textes<br />
A cura di S. Mesure e H. Wismann<br />
Cerf, dicembre 1992<br />
pp.373, F 199<br />
Nella sua Introduzione alle scienze<br />
dello spirito (1883), Dilthey offre una<br />
prima esposizione di ciò che egli definisce<br />
come una “critica della ragione<br />
storica”: si tratta di rompere con la<br />
riduzione positivista delle scienze<br />
umane nascenti al modello delle scienze<br />
naturali, senza per questo rinunciare<br />
all’obiettività.<br />
Dölken, Clemens<br />
Katholische Sozialtheorie<br />
und liberale Ökonomik.<br />
Das Verhältnis von katholischer<br />
Soziallehre<br />
und Neoliberalismus im Lichte<br />
der modernen Institutionökonomik<br />
J.C.B. Mohr, novembre 1992<br />
pp.312, DM 98<br />
Nuova rielaborazione della vecchia<br />
controversia fra teoria sociale cattolica<br />
e neoliberalismo.<br />
Döring, Eberhard<br />
Karl R. Popper.<br />
Einführung in Leben und Werk<br />
Parerga Vlg. f. Wiss. u. Politik<br />
dicembre-gennaio 1992-’93<br />
pp.231, DM 34<br />
Il lettore, competente o meno, viene<br />
messo a contatto con l’opera e l’attività<br />
di Popper.<br />
Dreyfus, Hubert - Rabinow, Paul<br />
Michel Foucault.<br />
Un parcours philosophique:<br />
au-delà de l’objectivité<br />
et de la subjectivité<br />
Gallimard, novembre 1992<br />
pp.364, F 34<br />
Il testo presenta il progetto fondamentale<br />
di Foucault di costituire un<br />
metodo di analisi dell’essere umano<br />
nella società contemporanea.<br />
Durkheim, Emile<br />
L’Education morale<br />
PUF, novembre 1992<br />
pp.256, F 62<br />
«Innanzitutto, che un’educazione<br />
morale interamente razionale sia possibile<br />
è implicito nel postulato stesso<br />
che sta alla base della scienza; sto<br />
parlando del postulato razionalista:<br />
non c’è niente nel reale che si possa<br />
legittimamente considerare radicalmente<br />
refrattario alla ragione uma-<br />
na.» (E. Durkheim.)<br />
Earman, J. (a cura di)<br />
Inference, explanation,<br />
and other frustrations.<br />
Essays in the philosophy<br />
of science<br />
Univ. of California, novembre 1992<br />
pp.416, $ 19<br />
Questi saggi provocatori opera di importanti<br />
filosofi della scienza esemplificano<br />
e illuminano l’incertezza e<br />
l’entusiasmo contemporanei in questo<br />
campo in trasformazione.<br />
Ebingshaus, H.-B.,<br />
Vollmer, G. (a cura di)<br />
Denken unterwegs. Fünfzehn<br />
metawissenschaftliche Exkursionen<br />
Hirzel Wiss.-Vlgsges.<br />
dicembre-gennaio 1992-’93<br />
pp.236, DM 29<br />
Eckhart, Meister<br />
Una mistica della religione<br />
Edizioni Messaggero Padova<br />
novembre 1992<br />
pp. 345<br />
Una raccolta antologica curata da G.<br />
Penzo.<br />
Feinberg, Joel<br />
Freedom and fulfillment.<br />
Philosophical essays<br />
Princeton UP, novembre 1992<br />
pp.376, $ 44<br />
Affrontando diversi gruppi di problemi<br />
di etica teoretica e pratica, questi<br />
quattordici saggi riconfermano la<br />
posizione guida di Joel Feinberg nel<br />
campo della filosofia legale.<br />
Fichte, Johann Gottlieb<br />
Discours à la nation allemande<br />
A cura di A. Renaut<br />
Impr. nationale, dicembre 1992<br />
pp.316, F 250<br />
A. Renaut ci fa riscoprire questo complicato<br />
testo di Fichte, il più adatto ad<br />
alimentare il dibattito sulla nuova idea<br />
di nazione. Un testo fondante, che<br />
supera le due concezioni abituali, del<br />
diritto territoriale e di quello di sangue.<br />
Filoramo, Giovanni- Roda, Sergio<br />
Cristianesimo e società antica<br />
Laterza, settembre 1992<br />
pp. 294<br />
Attraverso una serie di saggi relativi<br />
a questioni molto concrete della vita<br />
quotidiana ( i cristiani di fronte alla<br />
ricchezza, alla città, al matrimonio<br />
etc), questo libro cerca di ricostruire i<br />
complessi rapporti tra mentalità, costume<br />
e cultura antichi, ben radicati<br />
nell’immaginario collettivo, e la forza<br />
dirompente rappresentata dalla<br />
comparsa del Cristianesimo.<br />
Fisichella. Domenico<br />
Dilemmi della modernità<br />
nel pensiero sociale<br />
Il Mulino, dicembre 1992<br />
pp. <strong>11</strong>3<br />
Il volume affronta attraverso lo strumento<br />
della scienza sociale problemi<br />
e tendenze della modernità.<br />
Forst, Brian<br />
The socio-economics
of crime and justice<br />
M. E. Sharpe, dicembre 1992<br />
£ 39,95<br />
Questo studio del crimine e della giustizia<br />
ha alle spalle principalmente<br />
l’idea che il comportamento individuale<br />
è influenzato sia dall’interesse<br />
personale che dalla coscienza, o da un<br />
senso di responsabilità comunitaria.<br />
French, Peter<br />
Responsability Matters<br />
UP of Kansas, dicembre 1992<br />
pp.248, £ 19,95 - $ 25<br />
Il volume indaga su una serie di questioni<br />
relative alla responsabilità, dagli<br />
aspetti teorici e dalle idee sul concetto<br />
di responsabilità alle aree specifiche<br />
di applicazione e a questioni<br />
generali della teoria morale, servendosi<br />
di esempi tratti dalla letteratura<br />
(Dickens sullo spazio e sul tempo),<br />
film e avvenimenti di attualità.<br />
Freudenthal, G. (a cura di)<br />
<strong>Studi</strong>es on Gersonides.<br />
A fourteenth-century Jewish<br />
philosopher scientist<br />
Brill, dicembre-gennaio 1992-’93<br />
Dfl 150<br />
Freuler, Léo<br />
Kant et la métaphysique spéculative<br />
Vrin, dicembre 1992<br />
pp.384, F 300<br />
La critica kantiana della metafisica<br />
costituisce una svolta decisiva; lungi<br />
dal distruggerla, essa comincia col<br />
definirla e col chiarire lo statuto della<br />
sua riflessione. Per Kant la ricerca<br />
metafisica è altrettanto indispensabile<br />
allo spirito della respirazione al<br />
corpo.<br />
Gahlings, Ute<br />
Sinn und Ursprung.<br />
Untersuchungen<br />
zum philosophischen Weg<br />
Hermann Graf Keyserlings<br />
Academia Verlag<br />
dicembre.-gennaio 1992-’93<br />
pp.289, DM 58<br />
Il testo segue il disvelamento filosofico<br />
dai suoi inizi nei primi lavori<br />
improntati alla critica della conoscenza<br />
sulla prima applicazione della<br />
metafisica del senso nel Diario di<br />
viaggio di un filosofo alla fondazione<br />
di una scuola della saggezza e alla<br />
seconda opera importante Meditazioni<br />
sudamericane, fino alla filosofia<br />
tarda del Libro delle origini.<br />
Gander, H.-H. (a cura di)<br />
Europa und die Philosophie<br />
Klostermann, novembre 1992<br />
pp.200, DM 48<br />
Il pensiero di Heidegger dà impulso e<br />
controparte per l’autonoma corrente<br />
di pensiero da lui ispirata. La domanda<br />
attorno a cui si ruota è: quali compiti<br />
affida oggi l’Europa alla filosofia<br />
e come li si può pensare in un rapporto<br />
reciproco produttivo con l’approccio<br />
di Heidegger?<br />
Gargani, Aldo Giorgio<br />
Stili di analisi<br />
L’unità perduta del metodo filosofico<br />
Feltrinelli, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.176, L. 28.000<br />
Questo volume delinea la fine di un<br />
metodo filosofico e scientifico unico,<br />
quale è stato trasmesso dalla tradizione<br />
occidentale, e apre un orizzonte<br />
fecondo di approcci alternativi attraverso<br />
i quali gli uomini possono interpretare<br />
gli enigmi filosofici, le questioni<br />
scientifiche, i problemi matematici,<br />
le grammatiche musicali, i<br />
fenomeni psicologici così come i dati<br />
della loro esperienza vissuta e infine<br />
il loro rapporto basico con le cose, la<br />
natura e la società. Una approfondita<br />
interpretazione del bisogno dell’uomo<br />
contemporaneo di praticare linguaggi<br />
nuovi, alternativi e differenti.<br />
Gartler, Walter<br />
Feindesliebe - Szientismus<br />
und Paranoia in Fichtes<br />
Wissenschaftslehre<br />
Turia & Kant, novembre 1992<br />
pp.174, DM 29<br />
Gauchotte, Pierre<br />
Le Pragmatisme<br />
PUF, novembre 1992<br />
pp.127, F 38<br />
Movimento apparso negli Stati Uniti<br />
verso il 1870, il pragmatismo può<br />
essere definito approssimativamente<br />
come una teoria empirica della conoscenza<br />
nella quale l’azione e le conseguenze<br />
pratiche giocano un ruolo<br />
fondamentale.<br />
Gearhart, Suzanne<br />
The interrupted dialectic<br />
John Hopkins UP, novembre 1992<br />
pp.288, $ 39<br />
Suzanne Gearhart sostiene che la filosofia<br />
speculativa hegeliana e la psiconalisi<br />
freudiana e infine anche le<br />
importanti correnti dell’attuale teoria<br />
della letteratura trovano la propria<br />
origine e la giustificazione di sé nella<br />
particolare interpretazione che ciascuna<br />
di esse dà della tragedia.<br />
Gebauer, G. - Wulf, Chr.<br />
(a cura di)<br />
Praxis und Ästhetik.<br />
Neue Perspektiven im Denken<br />
Pierre Bourdieus<br />
Suhrkamp, dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.360, DM 28<br />
Gebert, Sigbert<br />
Negative Politik.<br />
Zur Grundlegung der politischen<br />
Philosophie aus der Daseinsanalytik<br />
und ihrer Bewährung<br />
in den politischen Schriften<br />
Martin Heideggers von 1933/34<br />
Duncker & Humblot<br />
dicembre-gennaio 1992-’93<br />
pp.204, DM 98<br />
Geister, Ralf<br />
Kants moralischer Gottesbeweis<br />
im protestantischen Positivismus<br />
Vandenhoeck & Ruprecht, nov. 1992<br />
pp.279, DM 68<br />
Georg-Lauer, J. (a cura di)<br />
Postmoderne und Politik<br />
Ed. Diskord, novembre 1992<br />
pp.200, DM 28<br />
Gerhardt, V. - Herold, N.<br />
(a cura di)<br />
NOVITA’ IN LIBRERIA<br />
74<br />
Perspektiven des Perspektivismus.<br />
Festschrift zum 80. Geburtstag<br />
von Friedrich Kaulbach<br />
Königsh. & Neumann<br />
novembre 1992<br />
pp.400, DM 98<br />
La raccolta di saggi propone il dibattito<br />
sistematico sul concetto di Kaulbach<br />
di “prospettivismo”. Eminenti<br />
sostenitori della filosofia attuale insieme<br />
a più giovani esponenti del<br />
settore indagano da differenti punti di<br />
vista la produttività di queste premesse.<br />
Gethmann-Siefert, A.<br />
(a cura di)<br />
Phänomen versus System.<br />
Zum Verhältnis von philosophischer<br />
Systematik und Kunsturteil<br />
in Hegels Berliner Vorlesungen<br />
über Ästhetik oder Philosophie<br />
der Kunst<br />
Bouvier, dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.238, DM 85<br />
Geyer, Carl-Fr.<br />
Die Theodizee. Diskurs,<br />
Dokumentation, Transformation<br />
Steiner, novembre 1992<br />
pp.332, DM 124<br />
Giacomoni, Paola<br />
Le forme e il vivente.<br />
Morfologia e filosofia<br />
della natura in J.W. Goethe<br />
Guida, gennaio <strong>1993</strong><br />
pp. 281<br />
Gibellini, Rosino<br />
La teologia del XX secolo<br />
Queriniana, 1992<br />
pp.658<br />
Gigante, Marcello<br />
Nomos Basileus<br />
Bibliopolis, Napoli marzo <strong>1993</strong><br />
pp. 357, L. 60.000<br />
E’ il libro della legge sovrana, la<br />
storia del motivo della legge divina,<br />
che regna sui mortali e sugli immortali,<br />
attraverso la poesia greca. L’autore<br />
ripropone il significato del celebre<br />
frammento 169 di Pindaro, nel<br />
quale la legge è definita signora e<br />
dominatrice del mondo degli uomini<br />
e degli déi, e dove l’interpretazione<br />
del concetto di legge segue il percorso<br />
del mondo spirituale della Grecia<br />
nel suo divenire storico.<br />
Gigante, Marcello<br />
Cinismo e epicureismo<br />
Bibliopolis, Napoli febbraio <strong>1993</strong><br />
pp. 128, L. 20.000<br />
Il volume fa parte della collana “Memorie<br />
dell’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong><br />
<strong>Filosofici</strong>” (n.23), e in particolare<br />
l’occasione di questa memoria fu il<br />
Congresso sul Cinismo antico (Parigi,<br />
luglio 1991). Una messa a punto<br />
tra storiografia antica e moderna.<br />
Democrito e i cinici; i Cirenaici fra<br />
cinici e epicurei; Epicuro e il cinismo;<br />
Epicuro, Antistene e Diogene.<br />
Gillett, Grant<br />
Representation,<br />
meaning and thought<br />
Clarendon Press, novembre 1992<br />
pp.232, £ 25<br />
Il libro esamina il rapporto fra pensiero<br />
e linguaggio considerando le idee<br />
di Kant e di Wittgenstein insieme a<br />
molte branche del dibattito contemporaneo<br />
nell’area del contenuto mentale.<br />
Gilson, Bernard<br />
La Révision bergsonienne<br />
de la philosophie de l’esprit<br />
Vrin, dicembre 1992<br />
pp.216, F 135<br />
Bergson imposta un nuovo dialogo<br />
fra la metafisica e la scienza, vedendo<br />
la sostanza unica di Spinoza come la<br />
prefigurazione statica dei sistemi postkantiani.<br />
Gipper, Helmut<br />
Theorie und Praxis inhaltbezogener<br />
Sprachforschung. Aufsätze<br />
und Vorträge 1953-1990.<br />
Band 2: Sprache und Denken<br />
in sprachwissenschaftlicher<br />
und sprachphilosophischer Sicht<br />
Nodus-Publ., dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.300, DM 69<br />
Goldman, Laurence<br />
The culture of coincidence<br />
Clarendon Press, dicembre 1992<br />
pp.440, £ 47,50<br />
Il saggio esamina il terreno fra legge,<br />
linguistica e antropologia e fornisce<br />
un’etnografia sulla grammatica e la<br />
pragmatica dell’argomento, raramente<br />
indagato, dell’accidente.<br />
Goldschmidt, W. (a cura di)<br />
Zur Kritik<br />
der politischen Ökonomie.<br />
125 Jahre Das Kapital<br />
Meiner, novembre 1992<br />
pp.167, DM 30<br />
Goller, Hans<br />
Emotionspsychologie<br />
und Leib-Seele-Problem<br />
Kohlhammer, novembre 1992<br />
pp.324, DM 69<br />
Goulin, Jean-Luc<br />
La Rationalité vivante:<br />
essai sur la pensée hégélienne<br />
Griffon d’argile, dicembre 1992<br />
pp.160, $ 14,50<br />
L’autore si sforza di rendere la fertilità<br />
dell’opera di Hegel, esplorando<br />
in particolare i concetti di ragione,<br />
soggetto, stato, spirito e libertà.<br />
Govinda, Lama Anangarika<br />
Die Dynamik des Geistes.<br />
Die psychologische Haltung<br />
der frühbuddistischen Philosophie<br />
Scherz, dicembre-gennaio 1992-’93<br />
pp.280, DM 39,80<br />
In questo libro il dotto lama buddista<br />
di lingua tedesca Anagarika Govinda<br />
espone in modo chiaro e comprensibile<br />
ai profani occidentali il sistema<br />
filosofico-psicologico, presentando<br />
alcune delle strutture di idee di tutto il<br />
pensiero buddista. Un’opera adatta a<br />
tutti coloro che vogliono capire il<br />
buddismo.<br />
Green, Ronald M.<br />
Kierkegaard and Kant.<br />
The hidden debt<br />
State Univ. of New York,
dicembre-gennaio 1992-’93<br />
pp.256, $ 17<br />
L’ipotesi di lavoro è che l’interpretazione<br />
di Kiekegaard di Kant e in relazione<br />
a questi e alla filosofia kantiana<br />
sia molto più precisa e più positiva di<br />
quanto in genere si ritiene.<br />
Greisch, Jean (a cura di)<br />
De la nature: de la physique<br />
classique au souci écologique<br />
Beauchesne, novembre 1992<br />
pp.376, F 150<br />
Le trasformazioni attuali del dibattito<br />
sulla natura e gli approcci filosofici e<br />
scientifici dell’idea di natura messi a<br />
confronto.<br />
Grondin, Jean<br />
Hermeneutische Wahrheit?<br />
Zum Wahrheitsbegriff<br />
Hans-Georg Gadamers<br />
Anton Hain, dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.210, DM 34<br />
La grande opera di Gadamer Verità e<br />
metodo viene interpretata come una<br />
riorganizzazione biografica della differenza<br />
ontologica elaborata da Heidegger<br />
fra essere ed esistente.<br />
Gulick, Ernest - Van Lepore,<br />
Robert (a cura di)<br />
John Searle and his critics<br />
Blackwell Publishing,<br />
dicembre 1992<br />
pp.420, £ 15,95<br />
Partendo da un’analisi dell’importanza<br />
e dell’influenza delle due opere<br />
maggiori: “Speech Acts” e “Intentionality”,<br />
il presente libro vuole anche<br />
fornire una valutazione del suo impatto<br />
sulla filosofia del linguaggio,<br />
della mente, della spiegazione sociale<br />
e della referenza e intenzionalità.<br />
Hadot, Pierre<br />
La Citadelle intérieure:<br />
introduction aux Pensées<br />
de Marc Aurèle<br />
Fayard, dicembre 1992<br />
pp.386, F 150<br />
I Pensieri sono il libro di un uomo<br />
d’azione che cerca la serenità, in quanto<br />
condizione indispensabile all’efficacia.<br />
Per Marco Aurelio l’azione<br />
umana non ha valore profondo se non<br />
si inserisce nella prospettiva del tutto,<br />
dell’universo e della comunità degli<br />
uomini. Un’introduzione allo stoicismo<br />
antico.<br />
Hadot, Pierre<br />
Spiritual exercises and<br />
ancient philosophy<br />
Blackwell Publishing,<br />
dicembre 1992<br />
pp.260, £ 12,95<br />
Il volume presenta una storia degli<br />
esercizi spirituali da Socrate alle prima<br />
Cristianità, un resoconto del loro<br />
declino nella filosofia moderna e delle<br />
differenti concezioni della filosofia<br />
che hanno accompagnato la traiettoria<br />
e il destino della teoria e della<br />
prassi degli esercizi spirituali.<br />
Hagner, M. - Wahrig-Schmidt, B.<br />
(a cura di)<br />
Johannes Müller und die Philosophie<br />
Akademie, novembre 1992<br />
pp.336, DM 98<br />
Haslett, David<br />
Ethics and economic systems<br />
Clarendon Press, dicembre 1992<br />
pp.224, £ 30<br />
Confrontando i sistemi economici da<br />
un punto di vista filosofico, lo studio<br />
indaga le argomentazioni etiche dei<br />
differenti tipi di sistemi economici.<br />
L’autore considera vantaggi e svantaggi<br />
dei sistemi analizzati e discute i<br />
possibili compromessi accettabili.<br />
Heidegger, Martin<br />
Le Concepts fondamentaux<br />
de la métaphysique:<br />
monde, finitude, solitude<br />
A cura di F.W. von Hermann<br />
Gallimard, dicembre 1992<br />
pp.552, F 280<br />
In questo corso tenuto fra il 1929 e il<br />
1930 Heidegger sviluppa in modo<br />
esauriente due concetti comparsi fulmineamente<br />
nel 1927, quello di vita e<br />
di vivente in generale e, nel 1929, la<br />
nozione di tonalità fondamentale della<br />
noia.<br />
Heinzmann, Richard<br />
Philosophie des Mittelalters<br />
Kohlhammer, novembre 1992<br />
pp.200, DM 28<br />
Heller, Agnes<br />
A philosophy of history<br />
in fragments<br />
Blackwell, novembre 1992<br />
pp.304, £ 40<br />
Il libro riflette sulle limitazioni della<br />
nostra comprensione di noi stessi e<br />
della nostra comprensione del mondo,<br />
sull’immaginazione postmoderna;<br />
ma al contempo mobilita energie<br />
filosofiche per contrastarle.<br />
Hoche, Hans-U.<br />
Elemente einer Anatomie<br />
der Verpflichtung.<br />
Pragmatisch-wollenslogische<br />
Grundlegung einer Theorie<br />
des moralischen Argumentierens<br />
Karl Alber, novembre 1992<br />
pp.390, DM 94<br />
Questo metodo consente per la prima<br />
volta un esame dettagliato dell’infrastruttura<br />
del concetto di obbligo, la<br />
lettura delle proposizioni di obbligo<br />
morale come legame fra i principi di<br />
volontà soggettivi verificabili e le<br />
proposizioni di fatto e la dimostrazione<br />
che determinate versioni della “regola<br />
aurea” sono analiticamente vere.<br />
Hocholzer, Andreas<br />
Evasionen - Wege der Kunst.<br />
Kunst und Leben bei Wl. Solowjew<br />
und J. Beuys.<br />
Eine <strong>Studi</strong>e zum erweiterten<br />
Kustbegriff in der Moderne<br />
Königshausen & Neumann, nov. 1992<br />
pp.200, DM 39,80<br />
Hoenen, Maarten J.F.M.<br />
Crossroads of late medieval<br />
thinking (1250-1400).<br />
Marsilius of Inghen<br />
on divine knowledge<br />
E.J. Brill, dic.-gennaio 1992-’93<br />
Dfl 120<br />
NOVITA’ IN LIBRERIA<br />
75<br />
Il problema della conoscenza divina,<br />
centrato su questioni di necessità e<br />
libertà, si trova al punto di intersezione<br />
di vecchie discussioni di logica,<br />
metafisica ed etica. Il saggio si concentra<br />
sulle idee in merito di Marsilio<br />
di Inghen (m.1396).<br />
Holzhey, H. - Leyvraz, J.-P.<br />
(a cura di)<br />
Vernunftnähe, Vernunftferne.<br />
La raison, proche et lontaine<br />
Haupt, dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.300, DM 76<br />
Honnefelder, L. (a cura di)<br />
Natur als Gegenstand<br />
der Wissenschaften<br />
Karl Alber, novembre 1992<br />
pp.300, DM 78<br />
Il libro si occupa principalmente della<br />
questione della natura come istanza<br />
orientata. Gli argomenti: la natura<br />
interpretata in chiave matematica; La<br />
natura come oggetto della tecnica; La<br />
natura negli uomini; L’importanza<br />
della natura per l’etica; La natura<br />
nella prospettiva teologica; Metafisica<br />
della natura.<br />
Honnefelder, L. (a cura di)<br />
Sittliche Lebensform<br />
und praktische Vernunft<br />
Schöningh, novembre 1992<br />
pp.223, DM 28<br />
Honnefelder, L. - Schüssler, W.<br />
(a cura di)<br />
Transzendenz. Zu einem Grundwort<br />
der klassischen Metaphysik<br />
Schöningh, dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.317, DM 98<br />
Howells, Christine (a cura di)<br />
The Cambridge companion<br />
to Sartre<br />
Cambridge UP, dic.-gennaio ’92-’93<br />
pp.448, £ 13<br />
Il saggio offre una visione dettagliata<br />
dell’opera di Sartre, che comprende i<br />
suoi scritti sull’ontologia, sulla fenomenologia,<br />
sulla psicologia, sull’etica<br />
e sull’estetica, ma anche le sue<br />
convinzioni sulla storia, sull’impegno<br />
e sul progresso.<br />
Hügli, A. - Lübcke, P.<br />
(a cura di)<br />
Philosophie in 20 Jahrhundert.<br />
Band 1: Existenzphilosophie,<br />
Phänomenologie, Hermeneutik<br />
und Kritische Theorie<br />
Rowohlt Vlg., dic-gennaio 92-93<br />
DM 32,90<br />
Al centro di questo primo volume si<br />
trovano gli sforzi dei filosofi francesi<br />
e tedeschi di porsi criticamente verso<br />
la metafisica tradizionale e l’immagine<br />
dell’uomo tramandataci, così da<br />
porre la filosofia su un nuovo fondamento.<br />
Huisman, Denis - Malfray,<br />
Marie-Agnès (a cura di)<br />
Les Plus grands textes<br />
de la philosophie orientale<br />
Albin Michel, dicembre 1992<br />
F 150<br />
Un’antologia che mette alla portata<br />
delgrande pubblico un pensiero spesso<br />
enigmatico e talvolta mal conosciuto<br />
dal lettore occidentale. I testi, pre-<br />
sentati a seconda dell’origine geografica,<br />
sono preceduti da biografie dei<br />
pensatori e da una sintesi della loro<br />
dottrina.<br />
Hüllinghorst, Andreas<br />
Kants spekulatives Experiment<br />
Dinter, novembre 1992<br />
pp.128, DM 29,80<br />
Ide, Pascal<br />
L’Art de penser<br />
Médialogue, novembre 1992<br />
pp.266, F 99<br />
Una presentazione chiara e talvolta<br />
umoristica dei concetti fondamentali<br />
per ogni riflessione: definizione di un<br />
termine, dimostrazione, ragionamento,<br />
lettura o redazione di un testo.<br />
Corredato di esempi ed esercizi.<br />
Ignatow, Assen<br />
Anthropologische<br />
Geschichtsphilosophie.<br />
Für eine Philosophie der Geschichte<br />
in der Zeit der Postmoderne<br />
Academia, novembre 1992<br />
pp.221, DM 58<br />
Itzkoff, Seymour W.<br />
The road to equality<br />
Greenwood Press,<br />
dicembre 1992<br />
pp.240, £ 19,95 - $ 24,95<br />
Il presente trattato suggerisce una<br />
nuova strada per una società senza<br />
classi. Il dottor Itzkoff, basandosi sui<br />
fatti e non su fantasie o su un’ideologia,<br />
affronta uno dei principali problemi<br />
internazionali del XXI secolo,<br />
quello delle differenze e dell’inuguaglianza<br />
umana.<br />
Ivaldo, Marco<br />
Libertà e ragione.<br />
L’etica di Fichte<br />
Mursia, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.344, L. 40.000<br />
L’etica trascendentale di Fichte è<br />
un’etica razionale della libertà perché<br />
nella libertà - come principio e<br />
come atto - riconosce il fattore che<br />
apre e qualifica la realizzazione morale<br />
della ragione. La ragione si presenta<br />
perciò come un compito che è<br />
manifestato come legge morale, e che<br />
è ultimamente visualizzato nella “comunità<br />
completa degli esseri razionali”.<br />
Diviso in quattro parti, questo<br />
volume si propone una esposizione<br />
completa del significato di “etica” nel<br />
pensiero di Fichte.<br />
Jacob, André (a cura di)<br />
Encyclopédie philosophique<br />
universelle. 3: Les Oeuvres<br />
philosophiques: dictionnaire<br />
PUF, dicembre 1992<br />
2 voll., pp.4656, F 4500<br />
Dizionario ragionato delle opere fondamentali<br />
di tutti i tempi e di tutti i<br />
paesi. 1400 specialisti internazionali<br />
hanno recensito 9100 opere di 5400<br />
autori in tutte le discipline, dalla metafisica<br />
alle scienze esatte.<br />
Jaeschke, W. (a cura di)<br />
Transzendentalphilosophie<br />
und Spekulation. Quellen.<br />
Der Streit um di Gestalt<br />
einer Ersten Philosophie
(1799-1807)<br />
Felix Meiner, ottobre 1992<br />
pp.436, DM 136<br />
Il volume si articola in quattro gruppi<br />
tematici: Realismo contro idealismo<br />
trascendentale, idealismo trascendentale<br />
contro idealismo trascendentale<br />
e assoluto, realismo contro idealismo<br />
trascendentale e assoluto, scetticismo<br />
contro idealismo assoluto.<br />
Jenkis, Helmut W.<br />
Sozialutopien - barbarische<br />
Glücksverheißungen?<br />
Zur Geistesgeschichte der Idee<br />
von der vollkommenen Gesellschaft<br />
Duncker & Humblot<br />
dicembre-gennaio 1992-’93<br />
pp.535, DM 198<br />
Jesi, Furio<br />
Cultura di destra<br />
Garzanti, Milano gennaio <strong>1993</strong><br />
pp.176, L. 22.000<br />
Sacrificio, Razza, Patria, Prova<br />
d’Amore, Mistero: la tradizione della<br />
destra - che in Europa riemerge periodicamente<br />
e con effetti a volte devastanti<br />
- ha sempre amato le maiuscole.<br />
Jesi ne ha frugato le matrici, snidando<br />
testi inediti o smarriti tra pagine<br />
che pochi leggono fino a svelare in<br />
maniera divertita, minuziosa e inquietante<br />
il rapporto tra il mito e l’ideologia.<br />
Kann, Christoph<br />
Die Eigenschaften<br />
der Termini. Eine Untersuchung<br />
zur Perutilis logica<br />
Alberts von Sachsen<br />
Brill, dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.100, Dfl 85<br />
Kasulis, Th. P. (a cura di)<br />
Self as body in Asian theory<br />
and practice<br />
State Univ. of New York<br />
dicembre-gennaio 1992-’93<br />
pp.352, $ 20<br />
Gli autori riescono tramite le tradizioni<br />
asiatiche a gettare nuova luce su<br />
alcune delle tradizionali questione<br />
anima-corpo discusse in occidente.<br />
Kaufmann, Felix<br />
Wiener Lieder zu Philosophie<br />
und Ökonomie<br />
A cura di G. von Haberler et al.<br />
G. Fischer, dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.32, DM 38<br />
I Wiener Lieder zu Philosophie un<br />
Ökonomie, qui pubblicati per la prima<br />
volta nella loro completezza, nascono<br />
dal 1922 al 1934. Uno sguardo<br />
ironico delle posizioni filosofiche fenomenologiche,<br />
sulla cavillosità dei<br />
metodologi e sulle lezioni economiche<br />
della scuola di Vienna.<br />
Kaulbach, Ernest N.<br />
Imaginative prophecy in the<br />
B-text if Piers Plowman<br />
D. S. Brewer, dicembre 1992<br />
pp.192, £ 29,50 - $ 59<br />
Un’esplorazione della teoria psicologica<br />
araba (soprattutto avicenniana)<br />
che sta dietro il “Piers Plowman”, che<br />
mette in luce i rapporti fra attanti e<br />
altre figure apparentemente non psi-<br />
cologiche. Il libro descrive anche i<br />
contesti in cui la psicologia araba<br />
raggiunse un poeta inglese del XIV<br />
secolo.<br />
Kennedy, Rodney<br />
The creative power of metaphor:<br />
A rhetorical homiletics<br />
UP of America, dicembre 1992<br />
pp.142, £ 12,95 $ 16,50<br />
Il libro analizza il rapporto simbiotico<br />
fra retorica e omiletica proponendo<br />
un’interfaccia metaforica fra le<br />
due discipline. La ricerca contemporanea<br />
sulla metafora in filosofia, la<br />
retorica, la sociologia e la teologia<br />
vengono impiegate per produrre<br />
un’omiletica retorica/metaforica.<br />
Kenny, Anthony<br />
Aquinas on mind<br />
Routledge, dicembre 1992<br />
pp.192, £ 30<br />
Nel libro vengono discusse parti della<br />
teoria dell’Aquinate che continuano<br />
ad avere valore. Il volume si concentra<br />
su un’attenta lettura delle sezioni<br />
della “Summa Theologiae” dedicate<br />
all’intelletto e alla volontà umana e al<br />
rapporto fra anima e corpo.<br />
Klein, Izchak<br />
Liberté dialectique<br />
P. Lang, novembre 1992<br />
pp.126, F 28<br />
Per esistere e avere un senso, la libertà<br />
deve innanzitutto realizzarsi. Non<br />
si potrebbe concepire questa libertà<br />
che dopo la sua realizzazione e in<br />
rapporto a questa. I. Klein propone<br />
una concezione dialettica della libertà<br />
che è un processo i cui tre momenti<br />
sono la libertà negativa, la realtà e la<br />
coscienza della libertà.<br />
Kniebe, G. (a cura di)<br />
Was ist Zeit?<br />
Wesen und Erscheinungsformen<br />
Freies Geistesleben, novembre 1992<br />
pp.340, DM 58<br />
Knigge, Adolph von<br />
Hébert, Brigitte (a cura di)<br />
Du commerce avec les hommes<br />
ou l’Art de vivre en société<br />
Press. Univ. Mirail-Toulouse<br />
novembre 1992<br />
pp.170, F 150<br />
Pubblicato nel 1788, questo saggio<br />
che dà un’immagine molto vivace<br />
della vita quotidiana in Germania alla<br />
fine del XVIII secolo interesserà i<br />
germanisti e gli specialisti del secolo<br />
dei lumi.<br />
Knoppe, Thomas<br />
Die theoretische Philosophie<br />
Ernst Cassirers. Zu den Grundlagen<br />
transzendentaler Wissenschaftsund<br />
Kulturtheorie<br />
Felix Meiner Verlag, Hamburg 1992<br />
Kofman, Sarah<br />
Explosion<br />
1: De Ecce Homo de Nietzsche<br />
Galilée, novembre 1992<br />
pp.200, F 210<br />
Ecce Homo è il testo più spersonalizzato<br />
che ci sia: un’autobiografia personale<br />
il cui eroe ha in sé più d’una<br />
NOVITA’ IN LIBRERIA<br />
76<br />
persona e non è nessuno, nient’altro<br />
che un accumulo prodigioso di forze<br />
che esplodono.<br />
Koslowski, Peter<br />
Politik und Ökonomie<br />
bei Aristoteles<br />
J.C.B. Mohr, novembre 1992<br />
pp.100, DM 69<br />
Koslowski ci mostra quale peso attribuisce<br />
Aristotele all’economia politica<br />
e e al fondamento dell’etica economica<br />
da un punto di vista sistematico<br />
e storico.<br />
Kosso, Peter<br />
An introduction<br />
to the philosophy of science.<br />
Reading the book of nature<br />
Cambridge UP, novembre 1992<br />
pp.224, £ 8<br />
Uno sguardo introduttivo alla filosofia<br />
della scienza adatto a principianti<br />
e non specialisti. Il suo punto di partenza<br />
è la domanda: perché dovremmo<br />
credere a quanto la scienza ci dice<br />
sul mondo?<br />
Krewani, Wolfgang N.<br />
Emmanuel Lévinas.<br />
Denker des Anderen<br />
Karl Alber, novembre 1992<br />
pp.270, DM 38<br />
Lo scopo centrale e lo sviluppo del<br />
pensiero di Lévinas vengono esposti<br />
sul filo conduttore dei concetti centrali<br />
di tempo, altro e soggetto.<br />
Kristeller, Paul Oskar -<br />
Wiener, Philip P. (a cura di)<br />
Renaissance essays: I<br />
Univ. of Rochester Press,<br />
dicembre 1992<br />
pp.384, £ 14,95 - $ 29<br />
Selezione di 15 saggi dal “Journal of<br />
the History of Ideas”, che tratta di<br />
un’ampia parte della storia intellettuale<br />
del Rinascimento. Vengono discussi<br />
fra gli altri argomenti del pensiero<br />
sociale, morale e religioso, umanesimo,<br />
filosofia e scienze, letteratura,<br />
arti visive e musica.<br />
Kuhlmann, Wolfgang<br />
Sprachphilosophie,<br />
Hermeneutik, Ethik. <strong>Studi</strong>en<br />
zur Transzendentalpragmatik<br />
Königshausen & Neumann<br />
dicembre-gennaio 1992-’93<br />
pp.220, DM 48<br />
La pragmatica trascendentale è visibile<br />
nonostante le fondamentali trasformazioni<br />
dei concetti sistematici<br />
nella tradizione della filosofia trascendentale<br />
kantiana. Concentrandosi<br />
su alcuni dei punti attualmente forti<br />
del dibattito filosofico Kuhlmann riesce<br />
a presentare in modo chiaro e<br />
comprensibile i nuovi approcci sistematici<br />
alla pragmatica trascendentale.<br />
Kühn, Rolf<br />
Sinn - Sein - Sollen.<br />
Beiträge zu einer<br />
Phänomenologischen<br />
Existenzanalyse<br />
in Auseinandersetzung<br />
mit dem Denken Voktor E. Frankls<br />
Junghans, novembre 1992<br />
pp.222, DM 35<br />
Lang, Helen S.<br />
Nature in Aristotle’s “Physics”<br />
and its medieval varieties<br />
State Univ. of New York<br />
dicembre-gennaio 1992-’93<br />
pp.224, $ 15<br />
La prima parte espone le idee aristoteliche<br />
e la seconda l’interpretazione<br />
di queste idee da parte di Filopono,<br />
Alberto Magno, Tommaso d’Aquino,<br />
Giovanni Buridano e Duns Scoto.<br />
Laurent, Jérôme<br />
Les Fondements de la nature<br />
selon Plotin:<br />
procession et partecipation<br />
Vrin, dicembre 1992<br />
pp.253, F 189<br />
Per Plotino, tutte le forme di vita<br />
procedono dall’attività spirituale resa<br />
possibile dall’ineffabile perfezione<br />
dell’Uno. Ma allora come spiegare la<br />
cattiveria e la corruzione? Come pensare<br />
lo statuto del corpo, spesso presentato<br />
dalla tradizione platonica<br />
come una prigione dell’anima?<br />
Lee, Jin-Woo<br />
Politische Philosophie<br />
des Nihilismus.<br />
Nietzsches Neubestimmung<br />
des Verhältnisses von Politik<br />
und Metaphysik<br />
de Gruyter, novembre 1992<br />
pp.441, DM 216<br />
Fondamenti di una filosofia politica<br />
per la società d’oggi priva di principi.<br />
Dall’analisi critico temporale di Nietzsche<br />
del nichilismo viene elaborata<br />
una filosofia della politica.<br />
Lehmann, Roswitha<br />
Ethik ohne Geländer.<br />
Moralisches Sollen im Kontext<br />
von Prozeßoffenheit.<br />
Eine überschreitung<br />
des normenorientierten<br />
Denkmusters unter Einbeziehung<br />
von Buber und Kohlberg sowie<br />
einem Rückgriff auf Nietzsche<br />
und Kant<br />
Die Blaue Eule, novembre 1992<br />
pp.355, DM 78<br />
Lenk, H. - Vollmer, G.<br />
Hastedt, H. - Riedl, R.<br />
Fenk, A. - Heisenberg, M.<br />
Flohr, H. - Mainzer, Kl.<br />
Forum für Interdisziplinäre<br />
Forschung 1992/1.<br />
Thema:Vernunft als mentaler Prozeß<br />
Verlag J.H. Röll<br />
dicembre-gennaio 1992-’93<br />
pp.72, DM 12,50<br />
I saggi interdisciplinari discutono la<br />
questione dei rapporti empirici all’interno<br />
della ragione e cercano di proporre<br />
una nuova via di uscita al di là<br />
del materialismo e dell’idealismo.<br />
Liebsch, Burkhard<br />
Spuren einer anderen Natur.<br />
Piaget, Merleau-Ponty<br />
und die ontogenetischen Prozesse<br />
W. Fink, novembre 1992<br />
pp.430, DM 98<br />
La concezione di Piaget e di Merleau-<br />
Ponty nel saggio di Liebsch vengono<br />
contestualizzate in modo tale che la<br />
questione viene posta dal punto di
vista dello sviluppo in modo completamente<br />
nuovo e insolito. L’autore,<br />
rilavato in acque filosofiche, storicoscientifiche<br />
e psicologiche, ci conduce<br />
così sulle “tracce di un’altra natura”.<br />
Loewer, Barry - Rey, George<br />
(a cura di)<br />
Meaning in mind:<br />
Fodor and his critics<br />
Blackwell Publishing,<br />
dicembre 1992<br />
pp.384, £ 15,95<br />
Il volume contiene 14 contributi di<br />
filosofi ed esperti della conoscenza<br />
critici nei confronti della teoria computazionale<br />
di Fodor della causa intenzionale,<br />
centrale per l’emergere<br />
delle scienze cognitive. I saggi sono<br />
seguiti da risposte di Fodor a ognuno<br />
di essi.<br />
Loewith, Karl<br />
My life in Germany<br />
before and after 1933. A report<br />
The Athlone, dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.192, £ 40<br />
L’autobiografia di un filosofo focalizzata<br />
sugli anni 1914-’39, periodo<br />
che vede la nascita della Germania di<br />
Hitler. Il libro tratta della gioventù di<br />
Lowith in Germania, della sua emigrazione<br />
in Italia e quindi in Giappone<br />
e del suo incontro con Martin Heidegger.<br />
Lombardi, Paolo<br />
La Bibbia contesa.<br />
Tra umanesimo e razionalismo<br />
La Nuova Italia, Firenze 1992<br />
L. 35.000<br />
A cavallo tra Quattrocento e Seicento,<br />
la Bibbia fu al centro di tutte le<br />
grandi dispute intellettuali, dall’umanistica<br />
riforma della ratio studiorum,<br />
alla battaglia combattuta da Galileo a<br />
sostegno di una nuova scienza della<br />
natura. Ripercorrendo le tappe dello<br />
sviluppo del dibattito sulla Scrittura,<br />
questo libro cerca di mettere in luce la<br />
straordinaria densità teorica di quelle<br />
discussioni sul testo biblico.<br />
Löther, Rolf<br />
Der unvollkommene Mensch.<br />
Philosophische Anthropologie<br />
und biologische Evolutionstheorie<br />
Dietz Vlg. Berlin<br />
dicembre-gennaio 1992-’93<br />
pp.330, DM 42<br />
Löwith, Karl<br />
Heidegger - Denker<br />
in dürftiger Zeit<br />
Prefazione di B. Lutz<br />
J.B. Metzler, novembre 1992<br />
pp.160, DM 32<br />
Maffesoli, Michel<br />
Nel vuoto delle apparenze<br />
Verso un’etica dell’esistenza<br />
Garzanti, Milano febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.320, L. 38.000<br />
Il volume prende le mosse da un interrogativo<br />
centrale nel dibattito odierno:<br />
che senso dare alla nostra esperienza<br />
nell’attuale epoca “postmoderna”?<br />
L’unica eredità che ci ha lasciato<br />
la caduta delle grandi ideologie<br />
sembra essere un pulviscolare sog-<br />
gettivismo e l’unica forza trainante<br />
della vita sociale sembra essere l’edonismo<br />
della quotidianità. Per dare una<br />
coerenza ed una finalità a questo quadro,<br />
Maffesoli propone un’etica fondata<br />
sulla rivalutazione della sensibilità<br />
rispetto alla razionalità e sulla<br />
necessità che ciascuna azione sia in<br />
sé compiuta e quindi esteticamente<br />
accettabile.<br />
Mangione, Corrado<br />
Bozzi, Silvio<br />
Storia della logica<br />
Garzanti, Milano gennaio <strong>1993</strong><br />
pp. 976, L. 90.000<br />
Dall’Ottocento a oggi, la logica formale<br />
è stata protagonista di un’evoluzione<br />
di straordinaria ricchezza e complessità.<br />
Ponendosi alla confluenza<br />
tra filosofia e matematica, informatica<br />
e linguistica, ha indubbiamente<br />
condizionato il loro sviluppo; d’altro<br />
canto queste diverse discipline hanno<br />
spesso cercato nella logica una adeguata<br />
formalizzazione, arricchendola<br />
con le loro problematiche. L’ampia<br />
panoramica del volume offre una<br />
puntuale introduzione storica alla logica<br />
formale.<br />
Marie, Jean-Paul (a cura di)<br />
Le Pessimisme<br />
Presses univ. de Nancy, nov. 1992<br />
F 180<br />
Il pessimismo rivendica l’etichetta<br />
esclusiva di lucidità, la coscienza precisa<br />
dell’assurdità dell’esistenza. Da<br />
Schopenhauer a Nietzsche, orgogliosi<br />
e disperati, il pessimismo ha invaso<br />
a poco a poco la filosofia e la letteratura.<br />
Dall’antichità ai giorni nostri, si<br />
trova al centro di creazione e distruzione.<br />
Marsonet, Michele<br />
Logica e linguaggio<br />
Pantograf, gennaio <strong>1993</strong><br />
Vol. II, pp. 142<br />
Il libro si propone come parte propedeutica<br />
di una più ampia trattazione<br />
della questione, posta programmativamente<br />
da Quine, di una fondazione<br />
rigorosa logico-formale dell’ontologia.<br />
May, Keith M.<br />
Nietzsche on the struggle<br />
between knowledge and wisdom<br />
Macmillan Press, dicembre 1992<br />
pp.192, £ 35<br />
Il volume prende in considerazione il<br />
significato e le implicazioni della<br />
convinzione di Nietzsche nel rapporto<br />
della filosofia fino al tempo di<br />
Aristotele e il suo influsso sui moderni<br />
atteggiamenti (prevalentemente<br />
nichilisti), per i quali esso costituisce<br />
una sorta di antidoto. Dello stesso<br />
autore di “Aldous Huxley” e di “Nietzsche<br />
and the Spirit of Tragedy”.<br />
Meggle, G. - Rippe, Kl.P.<br />
Wessels, U. (a cura di)<br />
Almanach der Praktischen Ethik.<br />
Forscher. Institutionen. Themen.<br />
Eine Bestandsaufnahme<br />
Westdt. Vlg., novembre 1992<br />
pp.326, DM 56<br />
Il libro informa sui punti cruciali del<br />
lavoro pratico-etico, sulle sue linee di<br />
NOVITA’ IN LIBRERIA<br />
77<br />
ricerca e sulle pubblicazioni di scienziati<br />
e istituzioni in ambiti di lingua<br />
tedesca, soprattutto nel campo della<br />
filosofia, ma anche in quello della<br />
teologia, della medicina, della tecnica,<br />
delle scienze naturali, dell’ambiente<br />
e dell’economia.<br />
Modica, Giuseppe<br />
Fede, libertà, peccato<br />
Palumbo,ottobre 1992<br />
pp. 166<br />
Il libro ripercorre uno dei nodi più<br />
difficili, paradossali, del pensiero di<br />
Kierkegaard, il rapporto tra fede, libertà<br />
e peccato, traendone le implicazioni<br />
relative alle questioni poste dalla<br />
teodicea.<br />
Moneti Codignola, Maria<br />
Il paese che non c’è<br />
e i suoi abitanti<br />
La Nuova Italia, 1992<br />
L 45.000<br />
Una disamina del significato e della<br />
funzione delle utopie nell’antichità<br />
(lo stato educatore in Platone) e soprattutto<br />
nell’era moderna (da More<br />
agli illuministi), fino alle soglie dell’età<br />
contemporanea (Fourier).<br />
Mooney, Michael<br />
Vico e la tradizione della retorica<br />
Il Mulino, luglio 1992<br />
pp.362<br />
Il libro mette in luce l’atteggiamento<br />
classico che Vico ha nei confronti<br />
della retorica come discorso sociale,<br />
comunicazione e strumento di cambiamento<br />
della società. In questo si<br />
mostra come geniale precursore dello<br />
storicismo che va da Hegel a Croce.<br />
Morali, Claude<br />
Le Juste ton de la vie<br />
Laboratoires Delagrange:<br />
Synthélabo, dicembre 1992<br />
pp.350, F 94<br />
Il clima della vita, il clima dell’essere,<br />
descritto in primo luogo da ciò che<br />
vive, e poi da temi ed esperienze in<br />
letteratura e in filosofia, conduce forse<br />
all’”onto-biografia” di un Dio vivente,<br />
di una vita divina, o a una<br />
meteorologia trascendentale?<br />
Moravcsik, Julius<br />
Plato and Platonism.<br />
Plato’s conception of appearance<br />
and reality in ontology,<br />
epistemology and ethics<br />
and its modern echoes<br />
Blackwell, dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.352, £ 40<br />
Morewedge, P. (a cura di)<br />
Neoplatonism and islamic thought<br />
State Univ. of New York<br />
dicembre-gennaio 1992-’93<br />
pp.267, $ 17<br />
Il libro esplora attraverso il loro neoplatonismo<br />
le filosofie di quattro culture:<br />
Nordafrica, Spagna moresca,<br />
Grecia e Islam.<br />
Morin, Edgar<br />
Introduzione al pensiero complesso<br />
Sperling & Kupfer, febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.128, L. 26.500<br />
”Complessità” è una parola-problema<br />
e non una parola-soluzione. Essa<br />
esprime il nostro disagio, la nostra<br />
confusione, la nostra incapacità di<br />
definire in modo semplice e di fare<br />
chiarezza nelle nostre idee. Se la complessità<br />
è la sfida da affrontare, il<br />
pensiero complesso è lo strumento<br />
che aiuta a raccoglierla e spesso addirittura<br />
a vincerla.<br />
Morris, Michael<br />
The good and the true<br />
Clarendon, dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.352, £ 37,50<br />
Il libro mette a confronto la concezione<br />
scientifica della natura della realtà<br />
e suggerisce che per noi il concetto di<br />
possesso, fede e verità hanno senso<br />
solo all’interno di una prospettiva in<br />
cui i valori in generale contino e in<br />
particolare il bene morale, in quanto<br />
parte del mondo.<br />
Müller, Denis<br />
Les Lieux de l’action:<br />
éthique et religion dans<br />
une société pluraliste<br />
Labor et Fides, novembre 1992<br />
pp.200, F 129<br />
Il libro affronta problemi contemporanei,<br />
quali l’AIDS, il segreto medico<br />
e i diritti dei malati. Un’ultima parte<br />
dedicata all’Europa pone i fondamenti<br />
per un’etica europea.<br />
Mura, Alberto<br />
La sfida scettica.<br />
Saggio sul problema<br />
logico dell’induzione<br />
ETS Editrice, ottobre 1992<br />
pp.200<br />
Il libro discute il problema logico<br />
dell’induzione da un punto di vista<br />
epistemologico (qual’è il ruolo dell’induzione<br />
nella conoscenza in generale<br />
e nella scienza in particolare?)<br />
e logico (che cos’è l’inferenza induttiva?<br />
Com’ è possibile inferire direttamente<br />
al di là delle premesse?). Il<br />
testo affronta queste questioni da un<br />
punto di vista probabilistico.<br />
Nadler, Steven M.<br />
Malebranche and Ideas<br />
Oxford UP, dicembre 1992<br />
pp.192, £ 30<br />
Questo trattato prende in considerazione<br />
il ruolo di Malebranche come<br />
seguace di Descartes e descrive il<br />
modo in cui questi rimase uno strenuo<br />
difensore della posizione cartesiana,<br />
pur modificandone al contempo<br />
la filosofia sotto diversi aspetti<br />
importanti.<br />
Nagl-Docekal, H. - Wimmer, F.M.<br />
(a cura di)<br />
Postkoloniales Philosophieren:<br />
Afrika<br />
Oldenbourg, novembre 1992<br />
pp.255, DM 38<br />
Negri, Antimo<br />
Giovanni Gentile<br />
Edizioni dell’Arcipelago<br />
gennaio 1992<br />
pp. 95<br />
Negt, Oskar - Kluge, Alexander<br />
Maßverhältnisse des Politischen.<br />
15 Vorschläge<br />
zum Unterscheidungsvermögen
S. Fischer Verlag<br />
dicembre-gennaio 1992-’93<br />
Dietro il concetto di proporzionalità<br />
non c’è Aristotele, ma Hegel, che con<br />
il suo Punti nodali della proporzionalità<br />
aveva in mente in raccolta che<br />
condensasse gli avvenimenti e li mettesse<br />
in movimento. Il politico può<br />
anche lavorare senza produrre una<br />
“giusta misura”. In tal caso esso si<br />
costituisce però esclusivamente come<br />
campo di oggetto professionalizzato.<br />
La “materia prima” politica, interessi<br />
e sentimento, per Negt e Kluge riceve<br />
una trattazione efficace solo quando<br />
da questa risultano autodeterminazione,<br />
una comunità fondata sulla<br />
durata, possibilità di scelta e di espressione.<br />
Su questi quattro criteri viene<br />
misurata la politica. “Il politico” si<br />
cela in ogni rapporto vitale come<br />
“materia prima” o “elemento naturale”.<br />
A ciò si aggiunge sempre che il<br />
sentimento quotidiano del loro “grado<br />
di intensità” muta diventando politico.<br />
Ma per diventare autenticamente<br />
politici, questi sentimenti devono<br />
trovare un’espressione pubblica,<br />
così da portare a un’associazione<br />
di uomini e quindi affermarsi come<br />
durata.<br />
Nicolini, Fausto<br />
La giovinezza di Vico.<br />
Saggio biografico<br />
Il Mulino, luglio 1992<br />
pp.198<br />
Nietzsche, Friedrich<br />
Le Service divine des Grecs:<br />
Antiquités du culte religieux<br />
des Grecs, cours de trois heures<br />
hebdomadaires, hiver 1875-76<br />
A cura di E. Cattin<br />
Herne, novembre 1992<br />
pp.213, F 140<br />
Affrontando ancora una volta i greci<br />
su un terreno (il culto) vicino alle<br />
questioni che quattro anni prima avevano<br />
ispirato la Nascita della tragedia,<br />
Nietzsche inventa e mette alla<br />
prova i concetti e il metodo di Umano,<br />
troppo umano. La presente traduzione<br />
di un testo introvabile in tedesco<br />
dagli anni ’20 rischiara un importante<br />
momento nella costituzione del<br />
pensiero nietzscheano.<br />
Nietzsche, Friedrich<br />
Considérations inactuelles<br />
III et IV<br />
A cura di G. Colli<br />
Montinari Mazzino ed., nov. 1992<br />
pp.204, F 29,50<br />
Testi su Schopenhauer e Wagner.<br />
Ockham, Guglielmo<br />
Logica dei termini<br />
a cura di Paola Müller<br />
Rusconi, ottobre 1992<br />
pp. 343<br />
Opilik, Klaus<br />
Transzendenz und Vereinzelung.<br />
Zur Fragwürdigkeit<br />
des transzendentalen Ansatzes<br />
im Umkreis von Heideggers<br />
Sein und Zeit<br />
Karl Alber, novembre 1992<br />
pp.230, DM 70<br />
La fondamentale esperienza del riti-<br />
ro, nel periodo di Essere e tempo<br />
ancora interpretabile come rapporto<br />
di tensione fra trascendenza e isolamento,<br />
porta alla fine Heidegger alla<br />
necessità di un cambiamento del concetto<br />
di filosofia. Qui si propone una<br />
prospettiva ricca di sviluppi per il<br />
pensiero heideggeriano successivo.<br />
Pascal, Blaise<br />
Discours sur la religion<br />
et sur quelques autres sujets<br />
qui ont été trouvés après<br />
sa mort parmi ses papiers<br />
A cura di E. Martineau<br />
Fayard, novembre 1992<br />
F 280<br />
Nel corso dell’estate 1660, Pascal<br />
ripartì in ventisette rubriche circa<br />
quattrocento frammenti autografi di<br />
quella che sarebbe diventata<br />
l’”Apologia della religione cristiana”.<br />
_ questa classificazione in “fascicoli”<br />
che è stata usata in questa<br />
edizione di un’opera tradizionalmente<br />
pubblicata con il titolo di Pensieri<br />
Pellerey, Roberto<br />
Le Lingue perfette<br />
nel secolo dell’utopia<br />
Laterza, settembre 1992<br />
pp.304<br />
Un’analisi delle teorie linguistiche<br />
nel secolo dell’illuminismo.<br />
Pénisson, Pierre<br />
J.G. Herder:<br />
la raison dans les peuples<br />
Cerf, dicembre 1992<br />
pp.350, F 180<br />
Tutta l’opera di Herder (1744-1803)<br />
consiste nel raccogliere “la voce del<br />
popolo, dell’umanità sparsa”. Raffrontando<br />
incessantemente epoche e<br />
lingue le une alle altre, Herder, del<br />
quale ci si è spesso serviti per rivendicare<br />
il particolarismo contro l’universale,<br />
sviluppa in realtà una “filosofia<br />
della traduzione”, dice P. Pénisson.<br />
Perler, Dominik<br />
Der propositionale<br />
Wahrheitsbegriff im 14. Jahrhundert<br />
de Gruyter, novembre 1992<br />
pp.387, DM 188<br />
Aspetti semantici, di teoria della conoscenza<br />
e ontologici delle teoria della<br />
verità del tardo medio evo.<br />
Perrella, Ettore<br />
Il tempo etico<br />
Edizioni Biblioteca dell’Immagine<br />
ottobre 1992<br />
pp.670<br />
Il libro si pone l’ambizioso progetto<br />
di costruire una “scienza nuova” che,<br />
al di là del pregiudizio “decadente”<br />
posto dalla psicanalisi classica, secondo<br />
cui soggettivo è sinonimo di<br />
patologico, costruisca una teoria complessiva<br />
della soggettività conoscitiva<br />
ed etica, fondandosi sul principio<br />
trascendentale del cogito e sui presupposti<br />
della teoria kantiana della<br />
temporalità.<br />
Peterman, James<br />
Philosophy as therapy.<br />
An interpretation and defense<br />
of Wittgenstein’s later<br />
philosophical project<br />
NOVITA’ IN LIBRERIA<br />
78<br />
State Univ. of New York<br />
dicembre-gennaio 1992-’93<br />
pp.178, $ 13<br />
Pettit, Philip<br />
The common mind: An essay<br />
on psychology, society<br />
and politics<br />
Oxford UP Inc USA<br />
dicembre 1992<br />
pp.256, £ 27,50<br />
Il presente trattato sostiene un modo<br />
originale di separare gli esseri senzienti,<br />
in particolare gli umani, da<br />
altri sistemi intenzionali, sia naturali<br />
che artificiali, appoggiando un’immagine<br />
dell’individualismo olistico<br />
e delineando una nuova cornice per<br />
una teoria sociale e politica.<br />
Pierobon, Franck<br />
Système et représentation<br />
dans la déduction transcendentale<br />
de la Critique de la raison pure<br />
J. Millon, dicembre 1992<br />
pp.416, F 198<br />
Non c’è niente di più incomprensibile<br />
di risposte di cui non si capisce a<br />
quale domanda si riferiscano. La Critica<br />
della ragion pura ha così anticipato<br />
alcune questioni, suscitando<br />
malgrado il suo autore, alcuni malintesi<br />
altrettanto fecondi, in senso filosofico,<br />
del movimento vero e proprio<br />
che la orienta.<br />
Platon<br />
Le Politique; Philèbe; Timée<br />
A cura di A. Diès e A. Rivaud<br />
Gallimard, dicembre 1992<br />
pp.280, F 89<br />
Raggruppa testi che la tradizione ha<br />
sempre associato, che vertono sull’origine<br />
dell’universo, dell’uomo e<br />
della città.<br />
Platone<br />
Parménide; Théétète; Le Sophiste<br />
Trad. di Auguste Diès<br />
Gallimard, novembre 1992<br />
pp.238, F 80<br />
In questi tre dialoghi Platone affronta<br />
i problemi fondamentali della conoscenza,<br />
dell’essere e della verità.<br />
Plumpe, Gerhard<br />
Ästhetische Kommunikation<br />
der Moderne.<br />
Band 1: Von Kant bis Hegel<br />
Westdeutscher, dic.-gennaio ’92-’93<br />
pp.320, DM 59<br />
Questa ricostruzione si svolge nella<br />
prospettiva di una teoria della “comunicazione<br />
estetica” che osserva e riflette<br />
lo sviluppo dell’arte a partire<br />
dalla sua differenziazione nel XVIII<br />
secolo. Da questo approccio di tipo<br />
sistematico-teoretico emerge una nuova<br />
periodizzazione della storia dell’estetica.<br />
Poincaré, Henry<br />
La Science et l’hypothèse:<br />
essai de philosophie des sciences<br />
Ed. de la Bohème, dicembre 1992<br />
pp.316, F 88<br />
L’autore si interroga sui rapporti fra<br />
la scienza, la perfezione della cono-<br />
scenza e la parte dell’uomo, le convenzioni<br />
del suo linguaggio, dei suoi<br />
ragionamenti e delle sue intuizioni.<br />
Poirié, François<br />
Emmanuel Levinas<br />
Manufacture, novembre 1992<br />
pp.157, F 82<br />
Al crocevia di ambiti dello spirito<br />
assai diversi fra loro: la religione giudaica,<br />
la letteratura russa, la fenomenologia<br />
tedesca, la filosofia e la critica<br />
contemporanee, E. Levinas è riuscito<br />
a formulare una filosofia decisamente<br />
nuova.<br />
Poli, Roberto<br />
Ontologia formale<br />
Marietti, luglio 1992<br />
pp. 542<br />
Il libro prende in esame la complementarietà<br />
teoretica di filosofia analitica<br />
e fenomenologia attraverso lo<br />
studio degli aspetti della tematica<br />
ontologica comuni alle due posizioni.<br />
Poppi, Antonio<br />
Cremonini e Galilei inquisiti<br />
a Padova nel 1604.<br />
Nuovi documenti d’archivio<br />
Editrice Antenore, ottobre 1992<br />
pp. 106<br />
Possenti, Vittorio<br />
Oltre l’illuminismo. Il messaggio<br />
sociale del Cristianesimo<br />
Edizioni Paoline, 1992<br />
pp. 270<br />
Con la crisi dell’illuminismo ed il<br />
crollo del comunismo la dottrina sociale<br />
della Chiesa viene ad assumere<br />
un ruolo centrale per chiarire i temi<br />
principali della sfera pubblica, dall’economia<br />
ai diritti dell’uomo, dalla<br />
democrazia alla nuova Europa. Il volume<br />
si chiude con un’intervista concessa<br />
sui temi della dottrina sociale<br />
della Chiesa dall’allora cardinale<br />
Karol Wojtyla nel 1978.<br />
Poulain, Jacques (a cura di)<br />
Rue Descartes, nº5-6;<br />
De la vérité: pragmatisme,<br />
historicisme et relativisme<br />
Albin Michel, dicembre 1992<br />
F 150<br />
Riducendo la verità teorica a una convinzione<br />
di ordine pratico, abituandosi<br />
a inchinarsi davanti alle istanze<br />
del consenso come lo scientifico fa<br />
davanti al mondo visibile, non si arriva<br />
forse a neutralizzare ogni giudizio<br />
critico?<br />
Rescher, Nicholas<br />
A system of pragmatic idealism.<br />
Volume II: The validity of values.<br />
A normative theory<br />
of evaluative rationality<br />
Princeton UP, dic.-gennaio 92-93<br />
pp.296, $ 44<br />
Secondo dei tre volumi Un sistema<br />
dell’idealismo pragmatico, una collana<br />
che riassume l’opera di tutta una<br />
vita del filosofo Nicholas Rescher.<br />
Ricoeur, P. - Chrétien, J.-L.<br />
Marion, J.-L. - Henry, M.<br />
Phénoménologie et théologie<br />
Critérion, dicembre 1992
F 99<br />
Si tratta di quattro interventi che hanno<br />
concluso i lavori del seminario del<br />
Centro di ricerche fenomenologiche<br />
ed ermeneutiche nel corso dei due<br />
anni accademici 1990-91 e 1991-92.<br />
L’argomento di questo seminario era,<br />
più precisamente, “fenomenologia ed<br />
ermeneutica della religione”.<br />
Ricoeur, Paul<br />
Lectures<br />
2: La Contrée des philosophes<br />
Seuil, dicembre 1992<br />
pp.497, F 170<br />
Viaggio attraverso diverse “contrade”<br />
dell’universo filosofico contemporaneo:<br />
figure dell’esistenzialismo<br />
(da Kierkegaard a Camus) al cui cospetto<br />
P. Ricoeur manifesta la sua<br />
distanza o la sua prossimità; confronto<br />
con autori che hanno esercitato una<br />
profonda influenza sulla sua opera<br />
(E. Mounier, J. Wahl, G. Marcel);<br />
discussione con i rappresentanti della<br />
corrente strutturalista...<br />
Rigal, Elisabeth (a cura di)<br />
La Notion d’analyse<br />
Presses univ. du Mirail-Toulouse<br />
novembre 1992<br />
pp.400, F 180<br />
La nozione di analisi in filosofia, in<br />
psicoanalisi o anche a partire da prospettive<br />
trasversali. Con testi di J.<br />
Deridda, J. Toussaint-Dessanti e<br />
Gérard Granel.<br />
Rivelaygue, Jacques<br />
Leçons de métaphysique allemand<br />
2: Kant, Heidegger, Habermas<br />
Grasset, novembre 1992<br />
pp.504, F 165<br />
Il corso di Rivelaygue consente di<br />
leggere o di rileggere Kant cogliendone<br />
il senso e la sua vera portata,<br />
mostrandoci anche tutto ciò che separa<br />
quel grande critico del mondo<br />
moderno che fu Heidegger da coloro<br />
che, come Habermas, intendono restare<br />
fedeli al progetto della modernità.<br />
Rizzi, Lino<br />
Eticità e stato in Hegel<br />
Mursia, Milano febbraio <strong>1993</strong><br />
pp.368, L. 40.000<br />
La teoria hegeliana dell’Eticità appare<br />
un grande sforzo di comprendere<br />
come le sfere dell’economia, del diritto<br />
e della politica costituiscano sistemi<br />
tra loro distinti solo operativamente,<br />
ma come eticamente siano<br />
funzioni dirette alla realizzazione degli<br />
individui. Che lo stato sia etico,<br />
detta le condizioni di principio per<br />
l’autorealizzazione dei suoi membri.<br />
Röd, Wolfgang (a cura di)<br />
Geschichte der Philosophie.<br />
Band 2: Die Philosophie der Antike<br />
Teil 2: Sophistik und Sokratik<br />
Plato und Aristoteles<br />
Beck, novembre 1992<br />
pp.390, DM 48<br />
Roser, A. - Mohrs, Th.<br />
Börncke, Frank R. (a cura di)<br />
Kant-Konkordanz<br />
Olms, dic.-gennaio 1992-’93<br />
10 voll., pp.7000, DM 198 (1 vol.)<br />
Nelle concordanze sull’opera di Kant<br />
(voll.I-IX nell’edizione dell’Accademia<br />
prussiana delle scienze) per la<br />
prima volta tutti i più importanti concetti<br />
dell’opera kantiana vengono inclusi<br />
in un’applicazione delle moderne<br />
tecnologie dei computer.<br />
Roth, Robert J.<br />
British empiricism and<br />
american pragmatism: New<br />
directions and neglected<br />
arguments<br />
Fordham UP, dicembre 1992<br />
pp.200, £ 15,95 - $ 19,95<br />
Il libro vuole contribuire alla rinascita<br />
dell’interesse per il pragmatismo<br />
americano e i suoi propositori, William<br />
James, C. S. Peirce e John Dewey,<br />
concentrandosi sulle influenze dell’empirismo<br />
britannico, in particolar<br />
modo sulle filosofie di Locke e di<br />
Hume, e sulle forti differenze fra le<br />
due tradizioni.<br />
Rothschild, Kurt W.<br />
Ethics and economic theory:<br />
Ideas, models and dilemmas<br />
Edward Elgar, dicembre 1992<br />
pp.176, £ 35<br />
Una valutazione critica dei rapporti<br />
fra teoria economica, oggettività<br />
scientifica ed etica che si serve di<br />
esempi tratti dalla vita reale e propone<br />
una nuova prospettiva sulle dimensioni<br />
etiche dell’analisi economica.<br />
Ryle, Gilbert<br />
Gilbert Ryle and the<br />
philosophy of mind<br />
A cura di Rene Meyer<br />
Blackwell Publishing,<br />
dicembre 1992<br />
pp.256, £ 40<br />
Raccolta di scritti di Gilbert Ryle,<br />
professore di filosofia a Oxford dal<br />
1945 al 1967. Il libro comprende anche<br />
due omaggi a Ryle: uno di John<br />
Mabbot, amico intimo di Ryle, sull’uomo;<br />
l’altro di David Gallop, ex<br />
studente di Ryle, sul filosofo.<br />
Sachs-Hombach, Klaus<br />
Philosophische Psychologie<br />
im 19. Jahrhundert.<br />
Entstehung und Problemgeschichte<br />
Karl Alber, dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.380, DM 94<br />
Il problema della conoscenza unisce i<br />
fondamenti della validità del sapere<br />
alla questione delle origini della conoscenza.<br />
La filosofia è tradizionalmente<br />
il primo campo trattato, mentre<br />
il secondo si rivolge alla psicologia<br />
empirica. La “psicologia filosofica”<br />
compie un tentativo di mediazione:<br />
si interroga sulle dipendenze reciproche<br />
di validità e genesi.<br />
Salamun, K. (a cura di)<br />
Was ist Philosophie? Neuere Texte<br />
zu ihren Selbstverständnis<br />
J.C.B. Mohr, novembre 1992<br />
pp.365, DM 24,80<br />
Una scelta di testi nella quale noti<br />
filosofi del XX secolo espongono le<br />
proprie idee sui compiti e gli scopi<br />
della filosofia.<br />
Sanguineti, Juan José<br />
NOVITA’ IN LIBRERIA<br />
79<br />
Scienza aristotelica<br />
e scienza moderna<br />
Armando Editore, settembre 1992<br />
pp. 240<br />
Il libro analizza alcuni aspetti epistemologici<br />
rilevanti della scienza della<br />
natura aristotelica e la concezione<br />
kantiana della scienza della natura<br />
allo scopo di valutare il passaggio<br />
dalla scienza aristotelica a quella<br />
moderna.<br />
Schaefer, Alfred<br />
Die Idee in Person.<br />
Hobbes’ Leviathan in seiner<br />
und unserer Zeit<br />
Berlin-Vlg. Spitz, novembre 1992<br />
pp.158, DM 25<br />
Schalow, Frank<br />
The renewal<br />
of the Heidegger-Kant dialogue.<br />
Action- thought and responsibility<br />
State Univ. of New York<br />
dicembre-gennaio 1992-’93<br />
pp.416, $ 20<br />
Il saggio fornisce una visione completa<br />
di tutto il corpus heideggeriano<br />
ed è costruito attorno a un tema centrale,<br />
su cui si sofferma brevemente.<br />
L’autore rintraccia l’inizio del dialogo<br />
continuo di Heidegger con Kant<br />
non dalla sua prima apparizione, ma<br />
dal suo fertile terreno.<br />
Schlosser, Gerhard<br />
Einheit der Welt<br />
und Einheitswissenschaft.<br />
Grundlegung einer<br />
Allgemeinen Systemtheorie<br />
Vieweg, dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.250, DM 85<br />
Come si può sostenere il calcolo dell’unità<br />
del mondo quando una molteplicità<br />
di discipline si accostano l’una<br />
all’altra senza alcun rapporto? Nella<br />
seconda parte si cerca di rispondere a<br />
questa domanda con il fondamento di<br />
una teoria del sistema generale.<br />
Schnädelbach, Herbert<br />
Vorträge und Abhandlungen.<br />
Band 2: Zur Rehabilitation<br />
des animal rationale<br />
Suhrkamp, novembre 1992<br />
pp.454, DM 28<br />
Schoeck, R. J.<br />
Erasmus of Europe: The<br />
making of a humanist<br />
Edinburgh UP, dicembre 1992<br />
pp.432, £ 16,95<br />
Una biografia dell’umanista rinascimentale<br />
Erasmo da Rotterdam. Un<br />
resoconto dei viaggi del filosofo a<br />
Parigi, in Inghilterra, nei Paesi Bassi<br />
e in Svizzera, con uno sguardo alla<br />
storia delle idee in cui Erasmo svolse<br />
un ruolo.<br />
Schönherr-Mann, Hans-Martin<br />
Politik der Technik.<br />
Heidegger und die Frage<br />
der Gerechtigkeit<br />
Passagen-Vlg., novembre 1992<br />
pp.120, DM 26<br />
Schröder, Jürgen<br />
Das Computermodell des Geistes<br />
in der analytischen Philosophie<br />
und in der kognitiven Psychologie<br />
des Sprachverstehens<br />
Königsh. & Neumann, novembre<br />
1992<br />
pp.232, DM 48<br />
Schule, J. - Sundholm, G.<br />
(a cura di)<br />
Criss-crossing<br />
a philosophical landscape.<br />
Essays on wittgensteinian themes.<br />
Dedicated to Brian McGuiness<br />
Edit. Rodopi, dic.-gennaio ’92-’93<br />
pp.264, Dfl 80<br />
Schulz, Gudrun<br />
Veritas est adaequatio<br />
intellectus et rei.<br />
Untersuchungen zur Wahrheitslehre<br />
des Thomas von Aquin<br />
und zur Kritik Kants an einer<br />
überlieferten Wahrheitsbegriff<br />
E.J. Brill, dic.-gennaio 1992-’93<br />
Dfl 120<br />
Schuppan, M.-S. (a cura di)<br />
Möglichkeiten menschlichen Seins.<br />
Festschrift für Walter Heistermann<br />
zum 80. Geburtstag<br />
Schäuble, dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.230, DM 128<br />
Schweppenhäuser, Hermann<br />
Ein Physiognom der Dinge.<br />
Aspekte des Benjaminschen Denkens<br />
zu Klampen, novembre 1992<br />
pp.172, DM 28<br />
Per il 100º anniversario della nascita<br />
di Walter Benjamin Schweppenhäuser,<br />
curatore delle opere complete di<br />
Benjamin, presenta una prima parte<br />
dei saggi su Benjamin.<br />
Scrivano, Fabrizio<br />
Le parole degli occhi.<br />
Conoscenza linguistica e visiva<br />
nel Rinascimento<br />
Pacini, dicembre 1992<br />
pp. 135, L. 18.000<br />
Il libro indaga il suggestivo rapporto<br />
tra parole e immagini, sistema linguistico<br />
e sistema visivo così come emerge<br />
dalle variegate manifestazioni culturali<br />
del Rinascimento mettendone<br />
in evidenza problematiche e peculiarità.<br />
Seebass, Gottfried<br />
Wollen<br />
Klostermann, novembre 1992<br />
pp.320, DM 84<br />
Il libro costituisce la prima parte di un<br />
più ampio progetto di ricerca filosofica<br />
sul concetto di responsabilità giuridica,<br />
concepita in modo metaetico,<br />
così che fornisca un’unità di misura<br />
di giudizio per determinate rappresentazioni<br />
di “responsabilità” morale<br />
o giuridica.<br />
Seifert, J. (a cura di)<br />
Danken und Dankbarkeit.<br />
Eine universale Dimension<br />
des Menschenseins<br />
C. Winter, dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.235, DM 80<br />
Sènéque le Père<br />
Sentences, divisions et couleurs<br />
des orateurs et des rhéteurs<br />
A cura di H. Bornecque<br />
Aubier, novembre 1992
pp.560, F 180<br />
Un’opera che testimonia dell’arte<br />
della declamazione a Roma (base<br />
dell’apprendimento del mestiere politico),<br />
in due parti: da un lato delle<br />
controversie (cause fittizie sostenute<br />
in base a testi di legge fittizi), dall’altro<br />
le suasorie (esercizi che consistevano<br />
nel persuadere un personaggio<br />
fittizio).<br />
Sharma, A. (a cura di)<br />
God, truth and reality.<br />
Essays in honour of John Hick<br />
Macmillan, dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.288, £ 40<br />
Ultimamente tutte le arti e le scienze<br />
cercano una presa sulla realtà. Ciò<br />
che contraddistingue filosofia, teologia<br />
e religione da tutte loro è che<br />
queste si attaccano alla realtà ultima.<br />
Qui studiosi di tutto il mondo espongono<br />
in questo campo le loro più<br />
recenti riflessioni.<br />
Smolensky, Paul<br />
Il connessionismo<br />
tra simboli e neuroni<br />
Marietti, ottobre 1992<br />
pp.280<br />
Il saggio approfondisce il tema dei<br />
rapporti tra Intelligenza Artificiale e<br />
Connessionismo, un paradigma computazionale<br />
per lo studio della mente<br />
che si è imposto a partire dagli anni<br />
Ottanta e di cui il libro analizza i<br />
fondamenti teorici.<br />
Spierling, Volker<br />
Kleine Geschichte<br />
der Philosophie. 50 Portraits<br />
von der Antike bis zur Gegenwart<br />
Piper, dic.-gennaio 1992-’93<br />
DM 18,90<br />
Stalker, Douglas (a cura di)<br />
Grue! The new riddle<br />
of induction<br />
Open Court Publishing<br />
Company, dicembre 1992<br />
pp.320, £ 19,95<br />
Il volume contiene 14 saggi sul paradosso<br />
grue, sette dei quali precedentemente<br />
pubblicati e sette scritti appositamente<br />
per questo libro. L’opera<br />
include un’esposizione e una storia<br />
dettagliata, una bibliografia ragionata<br />
praticamente di tutta la letteratura<br />
sul problema.<br />
Stambaugh, Joan<br />
The finitude of being<br />
State Univ. of New York<br />
dicembre-gennaio 1992-’93<br />
pp.192, $ 15<br />
La finitezza è evidentemente un concetto<br />
centrale nel pensiero di Heidegger,<br />
ma il suo significato non è mai<br />
stato chiarito nel contesto della globalità<br />
della sua opera. Stambaugh affronta<br />
questo difficile tema con acume<br />
ed eleganza.<br />
Stevens, Bernard<br />
L’Apprenstissage des signes:<br />
lecture de Paul Ricoeur -<br />
Etats-Unis<br />
Kluwer, dicembre 1992<br />
pp.VIII/310, F 650<br />
Una lettura esauriente dell’opera di<br />
Paul Ricoeur, fino a Soi-même com-<br />
me un autre (1990). Su questa lettura<br />
si articola un’interpretazione critica<br />
il cui asse di ricerca è lo statuto del<br />
soggetto. La concezione ricoeuriana<br />
del soggetto presuppone un’ontologia<br />
che si trova a uguale distanza dal<br />
positivismo logico e da un’ermeneutica<br />
di tipo heideggeriano.<br />
Stüber, Carsten<br />
Donald Davidson Theorie<br />
sprachlichen Verstehens<br />
Anton Hain, dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.264, DM 78<br />
Davidson è uno dei più influenti pensatori<br />
della tradizione della filosofia<br />
analitica degli ultimi vent’anni. Tale<br />
approccio è debitore a Davidson soprattutto<br />
per quanto riguarda la sua<br />
tesi che il problema filosofico del<br />
significato possa essere portato a una<br />
soluzione sistematica solo con l’aiuto<br />
della teoria della verità di Tarski.<br />
Stucki, Pierre-André<br />
L’Existentialism chrétien<br />
a-t-il une logique?<br />
Cerf, dicembre 1992<br />
pp.229, F 95<br />
Un confronto dell’esistenzialismo<br />
cristiano, inaugurato da Kierkegaard,<br />
con la logica, ovvero l’arte di condurre<br />
bene le proprie ragioni nella conoscenza<br />
delle cose.<br />
Suhr, Martin<br />
Platon<br />
Campus, novembre 1992<br />
pp.150, DM 17,80<br />
Questa introduzione si propone come<br />
avviamento sistematico ai principi<br />
platonici. Al centro si trova il rapporto<br />
della teoria del bene con il paradigma<br />
techne platonico della conoscenza.<br />
Tagliacozzo, Giorgio<br />
The “arbor scientiae”<br />
reconceived: A modern<br />
vichian tree of knowledge<br />
and the history of Vico’s<br />
resurrection<br />
Humanities Press International<br />
dicembre 1992<br />
pp.192, £ 31,95 - $39,95<br />
Questo saggio sulla storia dell’insegnamento<br />
di Giambattista Vico e sulla<br />
sua opera dovrebbe interessare tutti<br />
coloro che lavorano sul pensiero di<br />
Giambattista Vico (1668-1744), compresi<br />
i filosofi, gli italianisti e gli<br />
specialisti di storia intellettuale e di<br />
letteratura comparativa.<br />
Taminiaux, Jacques<br />
La Fille de Thrace<br />
et le penseur professionnel:<br />
Arendt et Heidegger<br />
Payot, dicembre 1992<br />
pp.248, F 180<br />
Professore al Centro di studi fenomenologici<br />
(Louvain) e traduttore di<br />
Hegel, l’autore esamina, al di là degli<br />
aneddoti e delle voci, il rapporto di<br />
Hannah Arendt con Heidegger come<br />
una relazione intellettuale decisiva<br />
per le scelte filosofiche del nostro<br />
tempo.<br />
Teichert, Dieter<br />
Immanuel Kant:<br />
NOVITA’ IN LIBRERIA<br />
80<br />
Kritik der Urteilskraft.<br />
Ein einführender Kommentar<br />
Schöningh, novembre 1992<br />
pp.125, DM 17,80<br />
Teixidor, Javier<br />
Bardesane d’Edesse:<br />
la première philosophie syriaque<br />
Cerf, dicembre 1992<br />
pp.158, F 150<br />
Nato nel 154 a Edesse (crocevia di<br />
correnti culturali dove si incontreranno<br />
romani e parti), cristiano di lingua<br />
siriaca, poeta esperto della filosofia<br />
del suo tempo, Bardesane è una figura<br />
originale. La sua opera filosofica è<br />
pervenuta fino a noi solo attraverso i<br />
suoi discepoli e i suoi avversari, come<br />
sant’Efrem nel IV secolo.<br />
Tilliette, Xavier<br />
La settimana santa dei filosofi<br />
Morcelliana, novembre 1992<br />
pp.156<br />
Una riflessione in chiave cristologica<br />
sulle pagine di Hegel, Kierkegaard,<br />
Pascal, Rosmini,Pareyson, etc.<br />
Treml, Alfred K.<br />
Überlebensethik. Stichworte<br />
zur praktischen Vernunft<br />
im Schatten der ökologischen Krise<br />
Schöppe und Schwarzenbart<br />
dicembre-gennaio 1992-’93<br />
pp.232, DM 38<br />
Tripodi, Anna Maria<br />
Fondamenti della gnoseologia<br />
critica contemporanea<br />
Japadre Editore, dicembre 1992<br />
pp.125<br />
Van Steenberghen, Fernand<br />
La philosophie au XIII siècle<br />
Institut supérieur de philosophie<br />
dicembre 1992<br />
pp.551, F 500<br />
Il libro cerca di disegnare un’immagine<br />
fedele del pensiero medievale<br />
attraverso lo studio del XIII secolo<br />
che rappresenta le grandi sintesi dottrinali<br />
dell’ampio movimento di pensiero<br />
noto sotto il nome di scolastica.<br />
Veauthier, W. Fr. (a cura di)<br />
Martin Heidegger.<br />
Denker der Post-Metaphysik.<br />
Symposium aus Anlaß<br />
seines 100. Geburtstages<br />
C. Winter, dic.-gennaio 1992-’93<br />
pp.136, DM 29<br />
Vico, Giambattista<br />
Autobiografia<br />
a cura di F. Nicolini<br />
Il Mulino, giugno 1992<br />
pp.358<br />
Virgoulay, René<br />
L’Action, de Maurice Blondel,<br />
1883: relcture pour un centenaire<br />
Beauchesne, novembre 1992<br />
pp.152, F 160<br />
Una rilettura della tesi di Maurice<br />
Blondel invita a tornare al testo stesso,<br />
senza tuttavia dimenticare la storia<br />
del pensiero da un secolo a questa<br />
parte.<br />
Vischer, Wolfgang<br />
Probleme der Umweltethik.<br />
Individuum versus Institution.<br />
Zwei Ansatzpunkte der Moral<br />
Campus-Vlg., dic.-gennaio ’92-’93<br />
pp.102, DM 28<br />
Vollmann, Fritz H.<br />
Verweigerte Wahrnehmung.<br />
Die frühe Prägung des Menschen,<br />
die Astrologie<br />
und die Abstinenz der Philosophie<br />
Lit, dicembre-gennaio 1992-’93<br />
pp.100, DM 29,80<br />
Vollmer, Gerhard<br />
Gelöste, ungelöste<br />
und unlösbare Probleme.<br />
Zu den Bedingungen<br />
wissenschaftlichen Fortschritts<br />
Vandenhoeck & Ruprecht<br />
dicembre-gennaio 1992-’93<br />
pp.32, DM 12<br />
Von Ivanka, Endre<br />
Platonismo cristiano.<br />
Recezione e trasformazione<br />
del Platonismo nella Patristica<br />
Vita e Pensiero, luglio 1992<br />
pp. 403<br />
All’interno di un più ampio discorso<br />
sui rapporti tra metafisica greca e<br />
teologia cristiana, il volume sviluppa,<br />
attraverso una serie di studi, il<br />
tema della recezione e della trasformazione<br />
del Platonismo nella teologia<br />
cristiana.<br />
Wailer, Hagen<br />
Fragen zur Ethik<br />
des “logischen Sozialismus”<br />
Krämer, novembre 1992<br />
pp.36, DM 18,80<br />
Wallner, Fritz<br />
Wissenschaft in Reflexion<br />
Braumüller, novembre 1992<br />
pp.100, DM 26<br />
Wieland, Renate<br />
Schein, Kritik, Utopie.<br />
Zu Goethe und Hegel<br />
Edition Text + Kritik, nov. 1992<br />
pp.264, DM 54<br />
Il saggio mette a confronto un’opera<br />
di poesia, Faust II, con una della<br />
filosofia hegeliana, La fenomenologia<br />
dello spirito. Il confronto si avvale<br />
di rari commenti filosofici alle opere<br />
poetiche.<br />
Wolf, Jean-Claude<br />
John Stuart Mills Utilitarismus.<br />
Ein kritischer Kommentar<br />
Karl Alber, novembre 1992<br />
pp.270, DM 67<br />
Il libro, chiaro e per niente pretenzioso<br />
nella forma e trasparente nell’esposizione<br />
del pensiero, propone un’immagine<br />
differente delle pretese, della<br />
metodologia e della portata dell’utilitarismo<br />
in generale e dell’approccio<br />
di J.S. Mill in particolare.<br />
Young, Michael J. (a cura di)<br />
Immanuel Kant:<br />
Lectures on logic<br />
Cambridge UP, dicembre 1992<br />
pp.720, £ 55 - $ 85<br />
Il volume contiene tre lezioni trascritte<br />
di Kant sulla logica precedentemente<br />
non tradotte; include anche<br />
una recente traduzione della “Jasche<br />
Logic” (1800). Questi testi insieme<br />
dimostrano l’evoluzione kantiana