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Anno Numero 1993 11 - Studi Filosofici

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ito dalla ricerca di una nuova definizione<br />

dell’universalità filosofica, questo avviene<br />

attraverso il rapporto critico e la valorizzazione<br />

dei saperi extrafilosofici come delle<br />

culture “minori” o occultate, lontano da<br />

pretese eurocentriche o da un malinteso<br />

platonismo che vorrebbe autofondare la<br />

riflessione filosofica e chiuderla in un mondo<br />

proprio. Jacob propone invece una suggestiva<br />

accezione di progetto enciclopedico<br />

come un «’fare il giro’ delle interpretazioni<br />

piuttosto che delle conoscenze, occasione<br />

di incroci, di nuovi sviluppi e di<br />

nuove aperture, piuttosto che di un accerchiamento<br />

del pensiero.»<br />

La ricognizione delle opere filosofiche dell’umanità<br />

è ordinata secondo tre grandi<br />

blocchi: Filosofia occidentale, Pensieri<br />

asiatici, Concettualizzazioni delle società<br />

tradizionali. La sezione che concerne la<br />

filosofia occidentale è a sua volta suddivisa<br />

in sei grandi capitoli: Antichità, dal III<br />

millennio a.C. fino al VI secolo d.C.; Medioevo/Rinascimento;<br />

Età classica, dal<br />

1600 alla Rivoluzione francese; Modernità,<br />

1789-1889; Nascita delle scienze umane,<br />

1889-1939; Pensiero contemporaneo,<br />

1939-1990. Ad ogni voce corrisponde un<br />

breve profilo biografico dell’autore, il riassunto<br />

delle opere principali, per i grandi<br />

autori, o l’indicazione delle opere per i<br />

minori, corredati da una bibliografia aggiornata.<br />

Una serie di indici, ordinati per<br />

discipline, scuole, correnti di pensiero,<br />

nonché di intelligenti rimandi, consente di<br />

muoversi agevolmente nella selva delle<br />

opere e degli autori. Anche in virtù dell’attenzione<br />

per questi elementi tecnico-formali<br />

dell’opera, attraverso i quali si realizzano<br />

percorsi culturali e si aprono nuove<br />

soglie interpretative, possiamo dire vinta<br />

la scommessa culturale sottesa a questo<br />

grande progetto enciclopedico: inventariare<br />

la complessità delle conoscenze umane<br />

secondo un’interrogazione e un ordine<br />

filosofici, nel tentativo di passare dal sapere<br />

al senso. E.N.<br />

Stati Uniti: analisi di una crisi<br />

Uscito nel settembre del ’92 , CRONA-<br />

CHE DAL CENTRO DELL’IMPERO. STATI UNITI:<br />

CRISI, CONFLITTI SOCIALI, “NUOVO ORDINE”<br />

MONDIALE NELLE ANALISI DI MARXISTI E RADI-<br />

CAL AMERICANI apre la serie di numeri<br />

speciali che la rivista “Marx centouno”<br />

intende dedicare ogni anno a temi<br />

di particolare rilevanza politica, culturale,<br />

teorica. Una silloge di studi apparsi<br />

per lo più nell’ultimo triennio su<br />

periodici anglo-americani che, riflettendo<br />

sulla crisi dei tradizionali modelli<br />

produttivi, sulla variegata geografia<br />

del conflitto sociale, sul “nuovo<br />

non-ordine del mondo”, consente<br />

un’analisi unitaria della realtà statunitense,<br />

intrecciandone complessità e<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

contraddizioni con i fragili equilibri<br />

mondiali del post-guerra fredda.<br />

«I bei giorni della prosperità americana<br />

sono ormai dietro di noi. L’impalcatura è<br />

smantellata, i pilastri crollano. Gli Stati<br />

Uniti, come ogni colosso nella storia umana,<br />

si accorgono di avere i piedi di argilla<br />

[…] Entriamo ormai nell’avvenire dell’America,<br />

che può’ suscitare in noi grandi<br />

inquietudini così come grandi speranze». Il<br />

giudizio di Immanuel Wallerstein nel saggio<br />

di apertura, L’America e il mondo: ieri,<br />

oggi, domani (in origine una conferenza<br />

tenuta all’Università del Vermont nell’ottobre<br />

del ’90) esprime la tesi di fondo che<br />

percorre i numerosi saggi raccolti nel volume.<br />

Le analisi degli autori, articolate in tre<br />

sezioni - “La crisi”, “Il conflitto sociale”,<br />

“L’impero” - sono complessivamente orientate<br />

a rintracciare le ragioni di un declino<br />

che appare tanto profondo e irreversibile da<br />

segnare un passaggio d’epoca. Declino di<br />

una leadership economica e geopolitica<br />

che si configura, ad un tempo, come causa<br />

e conseguenza dei mutati assetti dell’intero<br />

sistema-mondo; ma anche, parallelamente,<br />

declino di un modello di “prosperità”. I<br />

suoi capisaldi, una efficiente organizzazione<br />

produttiva costruita sul “compromesso”<br />

fordista del dopoguerra, garanzia di ordine<br />

sociale e fonte di un benessere materiale<br />

generalizzato, e un forte collante ideologico,<br />

fondato sulla contrapposizione “Mondo<br />

libero-Comunismo”, indispensabili premesse<br />

all’esercizio del ruolo di potenza<br />

mondiale, sono infatti ormai entrati irrimediabilmente<br />

in crisi.<br />

Tramontato il “sub-imperialismo” sovietico,<br />

funzionale, secondo Wallerstein, al<br />

consolidamento della “Grande Pace Americana”<br />

e quindi all’espandersi dell’economia-mondo<br />

capitalistica che fioriva sotto<br />

quell’egemonia, i conclamati vincitori nella<br />

“lotta tra i due mondi” mostrano i segni<br />

di grandi contraddizioni, maturate negli<br />

anni della “rivoluzione conservatrice” e<br />

oggi aggravate dalle sempre più instabili<br />

relazioni internazionali. Noam Chomsky,<br />

nell’intervista Sul capitalismo raccolta da<br />

“Against the Current Magazine” nel settembre<br />

del ’91, ne rintraccia le cause nel<br />

permanere di una società «a due ordini, con<br />

ricchezza e privilegio enormi in mezzo a<br />

povertà e sofferenza», segnata dai tagli alla<br />

spesa sociale, dall’inazione di uno stato<br />

trasformato in «welfare per i ricchi», assente<br />

nell’educazione come nella tutela dei<br />

diritti civili.<br />

La sempre più evidente destabilizzazione<br />

sociale, legata a una pesante stagnazione<br />

politica, si spiega inoltre, osserva Chomsky,<br />

con le trasformazioni imposte dal “reaganismo”,<br />

espressione politica di «frange non<br />

fordiste del capitale», ai tradizionali processi<br />

di regolazione e alla stessa struttura<br />

dell’economia nazionale. La questione del<br />

carattere e delle prospettive della cosiddetta<br />

“fuoriuscita dal fordismo” è ancora un<br />

problema aperto, oggi tra i più dibattuti e<br />

36<br />

studiati anche in Europa. Evidenziandone<br />

le implicazioni sociali e le possibili ripercussioni<br />

sulla forma futura dell’economia<br />

mondiale, Mike Davis, nel suo Economia<br />

politica dell’America tardo-imperiale<br />

(“New Left Review”, 1984), sottolinea la<br />

dimensione “epocale” del passaggio, iniziato<br />

negli anni Settanta, a una dinamica di<br />

“sovraconsumismo”, legata sia alla crescita<br />

e all’arricchimento di uno strato “subborghese”<br />

manageriale e professionale, sia<br />

alla «crisi del ciclo fordista di accordi negoziati<br />

tra salari e produttività». Rotta l’originaria<br />

coesione dei tre fondamenti strutturali<br />

dell’egemonia americana - generalizzazione<br />

della produzione e del consumo di<br />

massa, posti di lavoro ad alto salario, industrializzazione<br />

dell’hinterland - si impone,<br />

continua Davis, un modello di dequalificazione<br />

del lavoro, conseguenza della creazione<br />

di “nuovi” impieghi a basso salario e<br />

di una disoccupazione mai così alta dal<br />

dopoguerra.<br />

Nel quadro di una crisi di così ampie dimensioni<br />

da chiudere un’epoca della storia<br />

americana, con l’approfondirsi del solco<br />

tra gruppi integrati ed emarginati, si riaprono<br />

vecchie e nuove conflittualità in cui<br />

razza ed origine etnica, classe sociale e<br />

sesso continuano a giocare un ruolo di<br />

primo piano. Che questi fattori costituiscano<br />

i criteri discriminanti o anche i parametri<br />

su cui si basa la distribuzione inegualitaria<br />

delle ricchezze negli Stati Uniti, non è<br />

certo un fatto nuovo; interessante nella fase<br />

attuale è invece il modo in cui essi si<br />

intrecciano nella sfida che le fasce deboli<br />

rivolgono all’ordine economico e politico<br />

esistente. La variegata geografia del conflitto<br />

sociale rispecchia infatti quel “rimescolamento”<br />

del materiale umano che M.<br />

Grazia Rossilli, in Americanismo senza<br />

fordismo e deindustrializzazione. Le lavoratrici<br />

dal margine al centro dell’economia<br />

e della povertà, legge come effetto del<br />

declino dell’apparato produttivo industriale<br />

americano, facendo convergere su obiettivi<br />

a volte comuni le rivendicazioni dei<br />

nuovi movimenti femminili, delle minoranze<br />

etniche, delle comunità nere, di quei<br />

gruppi che localmente agiscono per un<br />

miglioramento delle aree più svantaggiate<br />

delle metropoli.<br />

Dalle molte riflessioni dedicate a questo<br />

argomento emerge, ad esempio, come dato<br />

significativo, la richiesta sempre più generalizzata<br />

di un’autodeterminazione dell’economia.<br />

Lo sottolinea Mike Davis nei<br />

commenti ai fatti di Los Angeles, scritti per<br />

“The Nation” (L. A. Il rogo delle illusioni),<br />

evidenziando il fatto, comunemente trascurato,<br />

che l’unico leader nazionale tenuto<br />

in seria considerazione dalla maggior<br />

parte dei “Crips” e dei “Bloods”, le due più<br />

grandi gangs di giovani neri della città, al<br />

centro dei tumulti, sia Louis Farrakhan,<br />

promotore di quel progetto, condiviso da<br />

una larga parte della gente di colore. Un<br />

progetto politico, dunque, a riprova del<br />

fatto che, come spiega Michael Hardt,

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