Anno Numero 1993 11 - Studi Filosofici
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confondibile che ha caratterizzato l’esistenza e l’opera<br />
scientifica del filosofo di Urbino. In esse inoltre viene<br />
abbozzata una Selbstinterpretation al limite della confessione,<br />
accennante a quello che la filosofia della religione<br />
di Mancini riconosce, con riconoscimento scaturente ex<br />
rebus ipsis, come il proprio ineludibile termine di confronto<br />
critico, cioè l’opera del filosofo genovese scomparso<br />
due anni fa. Entrambi severi assertori della filosoficità<br />
della filosofia della religione, disciplina che come<br />
nessun altro, proprio dalla diversità della loro posizione<br />
e ispirazione, hanno contribuito ad illustrare e ad elevare<br />
a dignità scientifica, Caracciolo e Mancini si sono trovati<br />
a lavorare, per scelta non<br />
solo scientifica, ma anche<br />
esistenziale (non a caso<br />
nella lettera citata Mancini<br />
parla di “biografia”), su<br />
fronti decisamente opposti.<br />
Mentre il primo, non aderente<br />
a una particolare confessione<br />
religiosa, si collocava<br />
nella tradizione di pensiero<br />
che ha in Schleiermacher<br />
il suo rappresentante<br />
ideale e fissava la sostanza<br />
del proprio discorso filosofico-religioso<br />
in espressioni<br />
come «la religione come<br />
struttura e come modo autonomo<br />
della coscienza»,<br />
«spazio di Dio», «a priori,<br />
trascendentale religioso»,<br />
«conscientia hominis ut locus<br />
revelationis», «Liberalität<br />
ed ecumenismo»,<br />
«Nulla religioso e imperativo<br />
dell’eterno», il secondo,<br />
dichiaratamente credente<br />
e sacerdote cattolico, mai<br />
dimentico della lezione di<br />
Karl Barth - l’antipode di<br />
Schleiermacher - cui ha<br />
pagato il proprio tributo<br />
«con la gioia di una rinno-<br />
vata scoperta», per avere<br />
da lui appreso a «ridurre la<br />
religione a kerygma, inteso<br />
in senso sovrano, eteronomo e aprioristicamente divino»,<br />
non si stancava mai di fissare i cardini del proprio<br />
progetto, per il quale non disdegnava neppure la qualifica<br />
di “neoapologetico”, nelle espressioni «Oggetto immenso»,<br />
«Divinità di Dio», «a priori divino», «essenza storicamente<br />
kerygmatica della religione», «grandi masse di<br />
vita religiosa». Anche se sarebbe indice di rozzezza<br />
mentale voler continuare - come pure si vuole, non si sa<br />
se più per ignoranza o per mala fede - a definire le due<br />
impostazioni filosofico-religiose con le etichette di antropocentrismo<br />
e teocentrismo, immanenza e trascendenza,<br />
soggettivismo e oggettivismo, resta il fatto che è<br />
difficile immaginare una contrapposizione più radicale,<br />
tanto che, per riprendere un mot d’esprit barthiano,<br />
PROFILO<br />
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verrebbe da pensare che, appena arrivato nell’aldilà,<br />
Mancini sia andato alla ricerca dello schivo, umbratile<br />
Caracciolo per discutere chi dei due avesse ragione.<br />
Alla critica non evasiva spetta il compito di mettere a<br />
confronto e discutere le due prospettive. A me qui invece<br />
è riservato il compito di rendere omaggio a Italo Mancini,<br />
filosofo della religione, compito che non saprei assolvere<br />
meglio che tentando per accenni o, forse meglio, prospettando<br />
la possibilità di una lettura della sua opera alla luce<br />
della Liberatität, che è il nome religioso dell’universalità<br />
filosofica e che lo stesso Barth, nell’atto di rivendicarla a<br />
sé («Io stesso sono un liberale e forse persino più liberale<br />
di quanti in questo campo<br />
(teologico-religioso) si professano<br />
liberali»), ha definito<br />
come «un parlare e<br />
pensare in responsabilità e<br />
apertura verso il futuro». In<br />
effetti, a rievocarla in una<br />
simile ottica, la passione<br />
religiosa, dai tratti a volte<br />
profetico-oracolari, che caratterizza<br />
il discorso filosofico-religiosomanciniano<br />
- e che, in fondo, finisce<br />
per rendere precaria la sua<br />
stessa distinzione tra filosofia<br />
religiosa e filosofia<br />
della religione - si rivela<br />
portatrice di una parola, di<br />
un messaggio talmente universale<br />
che nulla teme più<br />
dell’abbraccio soffocante<br />
del confessionalismo e del<br />
fideismo. L’Oggetto immenso<br />
di cui essa parla, e<br />
che a ragione discrimina eticamente<br />
dal Sacro, non è<br />
realtà con cui hanno a che<br />
fare soltanto le religioni<br />
depositarie di una rivelazione<br />
storica, poiché esso è<br />
presente nella coscienza di<br />
ogni uomo che venga in<br />
Dietrich Bonhoeffer (a sinistra) con un ufficiale questo mondo e che non a<br />
italiano<br />
caso le stesse teologie confessionali,<br />
quando si preoccupino<br />
più della “salvezza universale” che dell’assolutezza<br />
del proprio Credo, sono costrette a definire “uditore<br />
della parola”. Proprio perché ogni uomo è costituito da un<br />
apriori kerygmatico, che ne caratterizza l’essenza e il<br />
destino, la filosofia della religione liberale, la cui ermeneutica<br />
non è costretta a scegliere tra metodo storicocritico<br />
e dottrina dell’ispirazione, né a votarsi a razionalistici<br />
esercizi di demitizzazione e secolarizzazione, può<br />
alla fine rendere giustizia all’intenzionalità più vera del<br />
pensare di Italo Mancini, riaffermando un proprio qualificante<br />
convincimento: le “parole eterne “ del cristianesimo<br />
- ma anche quelle di ogni altra religione, non meno<br />
di quelle dei poeti - sopportano il massimo di filosofia.<br />
Certamente dalla parola accolta nel libero ascolto religio-