PROFILO Italo Mancini (foto di Ennia Temellini) 4
Don Italo, un mae- Non avrei mai creduto, anzi stro dalla parte non avrei mai potuto imma- degli studenti ginare, che io vecchio, così vecchio, un giorno avrei do- di Carlo Bo vuto salutare e ricordare don Italo, il professor Mancini, Testo deregistrato del discorso in questo Duomo che lo ha di saluto di Carlo Bo a Italo Mancini, pronunziato nel Duomo di Urbino visto per tanti anni anima- il giorno della celebrazione dei funerali, il 10 gennaio <strong>1993</strong>. tore e suggeritore e comu- Il testo non è stato rivisto dall’autore. nicatore di ragioni spirituali. Il mio saluto è un semplice ringraziamento, un ringraziamento per tre ragioni. La prima è il ringraziamento del rettore che lo ha visto arrivare nel lontano 1960, portato alla cattedra dalla voce di un grande amico e suo mestro, Gustavo Bontadini. Ma don Italo non era soltanto un professore; non lesinava le sue ore, non si limitava a fare il suo dovere: in tanti anni di amicizia e di colleganza, da lui ho imparato che per essere un vero maestro e un vero professore bisogna fare un discorso quotidiano con i propri allievi. E quan- ti lo hanno conosciuto sanno benissimo che don Italo è stato da questo punto di vista un mestro ammirevole e, aldilà delle ore di lezione, esattamente come faceva Bontadini, passeggiando nel Caffè, nell’Istituto, prolungava il suo insegnamento e lo faceva in modo così diretto, persuasivo; qualche cosa di questo insegnamento si poteva ricavare anche dalle prediche di mezzogiorno, alla Messa, e anche qui don Italo aveva fatto di un rito qualche cosa di più vicino al cuore, una testimonianza: le sue prediche, a volte così rigonfie di cultura, alla fine avevano sempre una soluzione che si avvicinava a quella del Vangelo. Lo ricordo poi come vice-presidente dell’Ersu (Ente Regionale per il Diritto allo <strong>Studi</strong>o Universitario), dove per anni don Italo è stato il motore principale; è stato la guida. Su una cosa, però, egli non era disposto a transigere, a venire a patti nella difesa degli studenti. Anche nei momenti più ardui della contestazione, don Italo si schierava immediatamente dalla parte degli studenti e rendeva la cosa difficile a chi invece si limitava a seguire le disposizioni di legge. Ma poi, ripensando a questo suo atteggiamento, a questa sua guerra, a questa sua guerra dichiarata, senza lenocini, senza distorte pietà, si capiva che lui stava da una parte che era la parte più alta del Vangelo, vale a dire cercava di capire, di comprendere, prima ancora che perdonare. E infine il terzo ringraziamento è il ringraziamento di un semplice lettore, di uno che ne ha seguito per tanti anni il lavoro, tutta una serie di grandi pubblicazioni; e qui la PROFILO Ricordo di Italo Mancini Intervengono: Carlo Bo, Piergiorgio Grassi, Tommaso La Rocca, Mario Miegge, Giovanni Moretto, Graziano Ripanti, Francesco Saverio Festa. a cura di Tommaso La Rocca e Riccardo Ruschi 5 riconoscenza va soprattutto per quello che don Italo ci ha fatto conoscere di autori che noi ignoravamo; e penso a Bonhoeffer, penso a tutti gli studi che ha fatto sul protestantesimo, sulla teologia protestante, dimostrando in questo una fedeltà allo spirito del Concilio Vaticano. Poi naturalmente c’è un ringraziamento che comprende tutto questo, è il ringraziamento di un cattolico impari al suo dovere personale. Uomini come don Italo sono un monito, sono un esempio; sono uomini che portano qualche cosa che ci aiuta nei disagi, nei dolori della vita quotidiana. Si poteva essere sicuri che nei momenti di bisogno don Italo fosse accanto a noi. E ora, che sta dall’altra parte, ora che gode del grande miracolo, secondo padre Pouget, vale a dire la grazia che il morto ha di conoscere la verità...Ora tu che sei molto più vicino di noi alla verità, non abbandonarci, non dimenticarci, aiuta la tua chiesa, il tuo Duomo, aiuta l’Università, la tua Università che si onorava del tuo insegnamento; e aiuta tutti i giovani, e anche quelli che giovani non sono più. Addio! Don Italo Mancini e la teologia del Novecento di Mario Miegge Dieci anni or sono, nel corso di un lungo colloquio pubblicato sotto il titolo: Cristianesimo e culture (Lecce 1984), Leo Lestingi domandava a Italo Mancini: «Qual è il tratto specifico della tua ricerca storica e speculativa perseguita in questo trentennio?». «Senza dubbio - risponde Mancini - il confronto del Cristianesimo con le culture e con le zone di frontiera che stanno intorno ai territori della salvezza teologica» (ibid., p. 17). Il filosofo che crede nell’annunzio di salvezza (kerygma) ha il compito di «chiedersi non solo quale e quanta filosofia sopporta, ma quale grado di efficacia esso possiede nei confronti delle grandi lotte che le comunità nel mondo portano avanti, ossia che rapporti istituisce non solo con la ragione, ma anche con la storia, non solo con l’essere ma anche con gli sviluppi politici e sociali» (ibid., p. 29). Questa intervista, e un’altra più breve, ma altrettanto limpida, condotta tre anni dopo da Pier Giorgio Grassi (Intervista a Italo Mancini sulla teologia contemporanea in “il nuovo Leopardi”, n. 35, 1992), offrono una traccia essenziale per la comprensione del lavoro ingente che, nel corso del tempo, si è sviluppato su livelli diversi, a partire dai temi ontologici degli anni ’50 all’Università Cattolica di Milano fino ai libri più recenti, collegati
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