Anno Numero 1993 11 - Studi Filosofici
Anno Numero 1993 11 - Studi Filosofici
Anno Numero 1993 11 - Studi Filosofici
You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
e si manifesta come “gesto del corpo”, che<br />
si articola nella voce. Nella sua dimensione<br />
“originaria”, quella che “conserva la cosa”,<br />
il logos si determina secondo tre momenti:<br />
come indicazione, come predicazione e<br />
come comunicazione, dove il significato<br />
che fonda gli altri è il primo. Il logos si<br />
determina dunque, in una prospettiva fondativa,<br />
come relazione segnica; la proposizione<br />
espressa, di cui si occupa la tradizione<br />
logica, e la dimensione del suo uso a fini<br />
comunicativi, costituiscono due fenomeni<br />
di ricaduta, due manifestazioni derivative.<br />
Come sostiene Heidegger, che assume qui<br />
uno dei caposaldi della fenomenologia, il<br />
logos, come relazione segnica che costituisce<br />
“il mondo”, si colloca nella verità,<br />
poiché è quest’ultima a rendere possibile la<br />
proposizione, e non viceversa. D’altra parte,<br />
ha osservato Sini, in questo modo anche<br />
Heidegger, come la tradizione filosofica<br />
alle sue spalle, muoverebbe dalla Auslegung,<br />
cioè dalla proposizione espressa, dalla<br />
lingua. Egli dà così a quest’ultima un ingiustificato<br />
primato, basato sul presupposto<br />
che l’”indicazione”, cioè la relazione segnica,<br />
debba necessariamente articolarsi<br />
come espressione. Con ciò Heidegger ricadrebbe,<br />
secondo Sini, nell’antropologismo,<br />
senza uscire dal “cerchio magico” del logos,<br />
quello determinato dalla “volontà di<br />
verità” del logos stesso, confondendo la<br />
verità con la sua espressione: la lingua, che,<br />
come ogni pratica, ha la sua verità, ma<br />
come “cosa” non può esaurire la verità,<br />
perché essa medesima costituisce il caso<br />
particolare di un altro sistema di segni.<br />
Occorre dunque un’analisi delle pratiche,<br />
degli “usi”.<br />
Richiamandosi a Maurice Merleau-Ponty,<br />
Sini ha ribadito che la pratica rappresenta<br />
l’”originario”, il “precategoriale”. Per<br />
questo l’essere dell’uomo non è mai nel<br />
presente, ma sempre un po’ avanti, nel<br />
progetto, o un po’ indietro, nell’origine:<br />
l’essere dell’uomo è nel rimando; esso si<br />
determina a partire dalla relazione segnica.<br />
Quest’ultima dà quindi la struttura dell’essere,<br />
nonché l’articolarsi della temporalità,<br />
la cui questione, ha ribadito Sini, va dunque<br />
posta a partire dall’essere delle pratiche,<br />
e non viceversa. La “danza delle pratiche”<br />
non è temporale, è semmai ritmo;<br />
poiché nessuna pratica può parlare di sé<br />
stessa, l’analisi delle pratiche va compiuta<br />
nel loro gioco, che si qualifica come “etico”,<br />
intendendo con ciò il collocarsi e l’essere<br />
definito del soggetto da quelle pratiche,<br />
alle quali esso è, letteralmente, “soggetto”.<br />
Origine delle pratiche è l’assemblaggio<br />
delle stesse; a differenza di Husserl,<br />
ha sostenuto Sini, è proprio la questione<br />
di questa origine, quella del “da dove” si<br />
parla, del “da dove” si pongono le domande,<br />
che Heidegger non è riuscito a porre.<br />
Nel suo intervento dedicato a Ludwig<br />
Wittgenstein, Silvana Borutti ha proposto<br />
un percorso di lettura dei testi del filosofo<br />
guidato dal concetto di forma, prendendo<br />
le distanze dall’interpretazione cor-<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
rente che contrappone rigidamente un primo<br />
Wittgenstein - quello del Tractatus - da<br />
un secondo - quello delle Ricerche filosofiche.<br />
L’origine di queste divergenze interpretative<br />
è individuabile nella concezione<br />
del linguaggio, che Wittgenstein fa emergere<br />
nel Tractatus. Secondo Borutti, questa<br />
concezione non è riconducibile a quella<br />
neopositivistica, che vede il linguaggio<br />
come rappresentazione (Vorstellung), trascrizione<br />
raffigurativa di oggetti dati secondo<br />
un modello logico, rigorosamente<br />
formalizzato. Wittgenstein, al contrario,<br />
inaugura una riflessione sulle condizioni di<br />
possibilità del linguaggio, ne evidenzia il<br />
carattere trascendentale. Funzione del linguaggio<br />
diventa non la rappresentazione<br />
mimetica, bensì la presentazione (Darstellung),<br />
l’esibizione ostensiva della forma,<br />
cioè della struttura della realtà: il linguaggio<br />
è forma in quanto strumento di una<br />
possibile configurazione dell’oggetto. La<br />
pregnanza del termine Bild, usato comunemente<br />
da Wittgenstein per alludere a ciò<br />
che produce il linguaggio e che è generalmente<br />
tradotto con immagine, la si coglie<br />
in pieno se intendiamo questo termine come<br />
quadro, ovvero come insieme compositivo<br />
di una forma realizzata. In quanto produttore<br />
del nesso strutturale di un insieme,<br />
l’unità linguistica significante non è il nome,<br />
ma la proposizione. L’orizzonte del linguaggio<br />
esibisce una forma e nel contempo<br />
ne costituisce il limite, così come per il<br />
paesaggio naturale l’orizzonte determina<br />
la forma e insieme il contorno invalicabile<br />
di un colpo d’occhio umano.<br />
L’idea del linguaggio espressa nel Tractatus<br />
non si fonda su una semantica di tipo<br />
referenziale, ma sull’autonomia significante<br />
del linguaggio. Questa idea ritorna nella<br />
Ricerche filosofiche, ma si configura in<br />
modo differente. Wittgenstein rinuncia qui<br />
ad una immagine monocorde del linguaggio<br />
come forma unica ed inaugura l’idea di<br />
un sistema differenziale di forme. In questa<br />
visione pluralistica del linguaggio consiste,<br />
secondo Borutti, la cosiddetta “svolta”<br />
rispetto al Tractatus, e non semplicemente<br />
in una presa d’atto della complessità delle<br />
funzioni pratiche del linguaggio - asserzioni,<br />
preghiere, comandi ecc.-, come è stato<br />
sostenuto e sviluppato dalla filosofia analitica.<br />
Non si tratta, dunque, di fare un semplice<br />
catalogo degli usi e dei contesti linguistici,<br />
ma di esplorare le possibilità ostensive<br />
e costruttive del linguaggio. E’ questa<br />
la segreta efficacia di ciò che Wittgenstein<br />
definisce il gioco linguistico: nella fitta e<br />
complessa trama di una famiglia di somiglianze<br />
e di differenze di cui è intessuto,<br />
esso permette di evidenziare una forma<br />
all’interno di esempi di applicazione. Parlando,<br />
affermiamo la nostra appartenenza<br />
ad un gioco linguistico che, tuttavia, pratichiamo<br />
come sfondo costitutivo senza poterlo<br />
rappresentare tematicamente. Non si<br />
tratta della negazione del fondamento, ma<br />
della sua indicibilità, o, per dirla altrimenti,<br />
della sua ineffabilità. Se l’apertura del lin-<br />
50<br />
guaggio è condizione etico-estetico del dire<br />
umano, l’esperienza del linguaggio si connota<br />
di una imprevista coloritura poetica,<br />
estranea ad ogni tentazione di reificazione<br />
del mondo attraverso una sua fondazione<br />
filosofica.<br />
Se il decostruzionismo di Jacques Derrida<br />
consiste nell’investigare con radicalità<br />
le tracce di un pensiero, nel suo intervento<br />
Maurizio Ferraris ha adottato questo atteggiamento<br />
nei confronti di Derrida stesso,<br />
alla ricerca delle radici teoretiche del<br />
suo itinerario filosofico. Egli ha individuato<br />
nella fenomenologia di Edmund Husserl<br />
una matrice fondamentale nella genesi e<br />
nello svolgimento del pensiero di Derrida,<br />
analizzando alcuni scritti che testimoniano<br />
questa processualità riflessiva. Il primo di<br />
questi scritti è la sua tesi complementare di<br />
laurea del 1954, Il problema della genesi<br />
nella fenomenologia di Husserl, in cui si<br />
evidenzia la stretta connessione tra l’immediatezza<br />
intenzionale e la mediazione<br />
formale in Husserl, per cui il telos verso le<br />
cose stesse non è istantaneo, ma è il frutto<br />
di un lungo processo di mediazioni (epoché,<br />
riduzione dell’atteggiamento naturale,<br />
costituzione dell’oggetto). Ecco venire<br />
alla luce una significativa radice teorica del<br />
pensiero di Derrida: il tema della traccia e<br />
della ripetizione, in quanto frutto di una<br />
implicazione reciproca tra l’assoluta immediatezza<br />
e la totale mediazione.<br />
Seconda tappa di questo itinerario di pensiero<br />
è uno scritto del 1962, una lunga<br />
“Introduzione” all’Origine della geometria<br />
di Husserl, nel quale Derrida affronta il<br />
tema della scrittura, che si configura come<br />
“il luogo delle obiettività ideali assolutamente<br />
permanenti”. Tre sono momenti che<br />
conducono a questa definizione: in primo<br />
luogo la verità si presenta come intermittente<br />
nella nostra coscienza, per cui deve<br />
fissarsi con la permanenza della memoria;<br />
in secondo luogo la verità deve superare i<br />
confini dell’individuo, quindi deve essere<br />
comunicata nella forma del dialogo; in<br />
terzo luogo la possibilità della verità universale<br />
ed eterna è legata alla possibilità di<br />
ripetizione infinita attraverso un’idealizzazione,<br />
che è l’essenza della scrittura. La<br />
scrittura può quindi preservare la verità in<br />
assenza del soggetto, e questa notazione ha<br />
uno sfondo insieme gnoseologico ed esistenziale,<br />
perché lega la costituzione dell’idealità<br />
alla presenza della morte nel destino<br />
del soggetto. Tuttavia Derrida sviluppa<br />
in seguito una critica serrata della scrittura<br />
e del logocentrismo, facendo riferimento<br />
al Fedro di Platone, laddove Socrate<br />
denuncia l’esteriorità della scrittura e sostiene<br />
che il vero discorso non è quello<br />
delle parole scritte, ma quello interiorizzato<br />
nell’animo di colui che sa.<br />
Prendendo spunto da quest’ultimo passaggio,<br />
Ferraris ha indicato un testo del 1967,<br />
La voce e il fenomeno, in cui ritorna il<br />
confronto con Husserl (in riferimento alla<br />
Prima ricerca logica), che opera una distinzione<br />
tra segno ed espressione. Il segno