Anno Numero 1993 11 - Studi Filosofici
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Gentili lettori,<br />
Le pagine di apertura di questo numero sono dedicate<br />
al ricordo di Italo Mancini, recentemente scomparso.<br />
A rievocarne lo spirito di lavoro filosofico, la<br />
fede religiosa, l’impegno sociale del cristiano e la<br />
speranza del progressista nel futuro dell’uomo, sono<br />
in primo luogo gli allievi, i colleghi di Università, i<br />
compagni di fede; ma al di là di questi non è difficile<br />
percepire la presenza di un pubblico più ampio,<br />
innumerevole, di uditori, di testimoni della sua parola:<br />
tra questi gli studenti, innanzitutto; e poi i<br />
fedeli del Duomo di Urbino, fino a molti degli<br />
abitanti di questa sua città, testimoni occasionali,<br />
ma non per questo meno consapevoli, dell’esempio<br />
che egli incarnava di cultura e vita cristiana.<br />
Il confronto del Cristianesimo con le “culture”, con<br />
i grandi movimenti e le lotte dei popoli che si<br />
pongono ai confini della teologia, era il fulcro del<br />
suo lavoro storico-filosofico, che trovava nella teologia<br />
protestante del ‘900 e nelle grandi ideologie<br />
laiche della liberazione due congeniali direzioni di<br />
ricerca. A ciò faceva riscontro una “passione religiosa”<br />
che individuava il suo oggetto “sacro” in un<br />
“apriori kerygmatico”, quale essenza e destino di<br />
ogni uomo nel mondo, e con questo si spingeva oltre<br />
la necessità di distinguere tra metodo storico-critico<br />
e dottrina dell’ispirazione, come anche si sottraeva<br />
al principio di secolarizzazione. Da qui prendeva<br />
corpo il confronto di Mancini con il marxismo, o<br />
meglio con quanto la concezione marxiana, che egli<br />
definiva «una sfida per il credente», presentava di<br />
«alternativo, concorrenziale e sostanziale ereditato<br />
dalla religione stessa». Anche se certo non si trattava<br />
di identificare la soluzione marxista con quella<br />
cristiana, pure occorreva riconoscere che «i problemi<br />
della religione sono i problemi reali della dialettica<br />
umana» e che in entrambi casi si tratta di<br />
«liberare l’uomo da una caduta [...] attraverso una<br />
forma di riconciliazione», con la mediazione di<br />
Cristo, in un caso, del proletariato nell’altro.<br />
A questo punto, il rivolgersi della propria meditazione<br />
filosofica dell’ultimo decennio ai problemi<br />
concreti della cultura e della società era per Mancini<br />
la naturale risposta alla sua passione per la<br />
prassi, per il mondo terreno, per la “città dell’uomo”».<br />
Se teologico rimaneva il senso di questa<br />
nuova proiezione della «dimora umana, sociale e<br />
giuridica» sul «mondo dell’ “alto”», il campo di<br />
pensiero in cui veniva ora esprimendosi questa<br />
«doppia fedeltà» a Dio e al mondo era la filosofia del<br />
diritto, in cui l’oggetto, «le enormi masse di vita<br />
giuridica», è offerto dalla storia e il metodo, quale<br />
«bisogno della ragione», è quello ermeneutico. Con<br />
questo, si trattava innanzitutto per Mancini di sfuggire<br />
alla «logica della disgregazione» del negativismo<br />
giuridico, recuperando al mondo del diritto il<br />
mondo della vita morale, che solo poteva «dare al<br />
futuro una organizzazione politica concreta».<br />
In questo ottimistico richiamo al futuro, umano e<br />
cristiano, si concentra, potremmo dire, il “lascito<br />
spirituale” di Italo Mancini, che vorremmo qui<br />
raccogliere, in forma di ultimo saluto, attraverso le<br />
sue stesse parole, riportando due brani tratti da<br />
Cristianesimo e culture (Lecce, 1984):<br />
«[…] il mio travaglio filosofico e culturale ha cercato<br />
in ogni modo di comporre le irriducibili opposizioni.<br />
In maniera molto sintetica, direi che questa<br />
dualità si è imperniata soprattutto in una insonne,<br />
doppia fedeltà: fedeltà al mondo, alla terra, ai suoi<br />
valori, alla sua cultura; e fedeltà alla teologia, al<br />
mondo e alla signoria di Dio, ai valori e alle forme<br />
teologiche, a un fare di Dio, insomma, che si accompagni<br />
al fare dell’uomo.»<br />
«[…] Quanto a me, se potranno essere vissuti, gli<br />
anni Ottanta vorrebbero accentuare l’aspetto politico,<br />
giuridico e sociale di quanto finora ho pensato.<br />
L’animo è quello della spedizione verso le terre del<br />
non-ancora, utopia, speranza, futuro. Anzi proprio<br />
ora, in vista del nuovo slancio, appare come tutta la<br />
ricerca era e possa venir concentrata nel tema che<br />
potrebbe essere detto organizzazione del futuro (enfatizzo<br />
pertanto l’attenzione a Bloch, già lungamente<br />
studiato), chiarendo che questa attenzione al futuro,<br />
umano e cristiano, deve avere due articolazioni:<br />
una più propriamente speculatativa come futuro del<br />
senso e discernimento di gesti coerenti con la impostazione<br />
aperta e progressista della mia vita (sono<br />
stato chiamato, con amore o con disprezzo, prete<br />
rosso), e la cosa non è né ovvia né facile. Oggi ogni<br />
segno e ogni schieramento sembra essere ambiguo,<br />
avere due valenze, di progresso e di regresso; oggi<br />
che è scomparso il concetto di epoca nuova, e l’orizzonte<br />
sembra spento, sì che non è facile organizzare<br />
fronti di lotta e battaglie per i significati. Ma al<br />
pessimismo della ragione voglio che corrisponda un<br />
ottimismo della volontà. Eredità kantiana nello iato<br />
delle due Critiche, ma che permette ugualmente un<br />
potente ethos. Quel valore della qualità che Bonhoeffer<br />
opponeva alla “stupidità” del seriale e del<br />
generico e del “sì”.»