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Anno Numero 1993 11 - Studi Filosofici

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presa di decisioni nel contesto di situazioni concrete, in<br />

accordo con le norme autoevidenti dell’eticità sostanziale<br />

di una specifica tradizione o forma socio-culturale di<br />

vita. (Questa prospettiva di un neo-aristotelismo pragmatico,<br />

liberatosi dello sfondo tradizionale della metafisica<br />

teleologica dell'universo 16 e quindi dell’idea di una legge<br />

naturale come legge universale, ha trovato una potente<br />

uniforme e sostegno negli ultimi decenni nel relativismo<br />

post-wittgensteiniano delle differenti o anche incommensurabili<br />

forme di vita e nell’ermeneutica e nel superstoricismo,<br />

post-heideggeriani, delle aperture epocali di<br />

verità o, al meno, del senso dell’essere entro la tradizione<br />

del pensiero occidentale.) 17<br />

Così, nella prospettiva della tendenza storicistica e relativistica<br />

del neo-aristotelismo, unita ad una critica più o<br />

meno forte dell’universalismo deontologico post-kantiano<br />

ed in accordo con la riflessione sulle tradizioni locali,<br />

si è venuta formando, nel mondo occidentale, la corrente<br />

dominante dell’etica della vita buona. Laddove autori<br />

anglo-sassoni, come Williams, MacIntyre o i ‘Communitarians’<br />

americani, enfatizzano principalmente il bisogno<br />

di valori sostanziali o norme materiali, in opposizione<br />

al formalismo kantiano 18 ; in Germania la tendenza<br />

storicistico-ermeneutica del neo-aristotelismo è piuttosto<br />

neo-conservativa e persino scettica, in aggressiva<br />

opposizione al cosiddetto utopismo terroristico rappresentato<br />

dalla filosofia emancipatrice neo-marxista (come<br />

ad esempio la Scuola di Francoforte). 19<br />

Il movimento neo-Aristotelico qui adotta un atteggiamento<br />

apparentemente tranquillizzante, come nelle rapide<br />

descrizioni gadameriane, più volte ripetute, di quanto<br />

sia richiesto da un’etica della vita buona in una buona<br />

polis: wJß dei' più frovnhsiß (che tradurrei: ciò<br />

che è consuetudine o uso comune in una buona società<br />

civile più una prudente applicazione delle norme implicite<br />

di una tradizione locale). 20 Una buona illustrazione di<br />

questo atteggiamento è stata fornita ad un recente congresso<br />

su Hegel, sfruttando polemicamente l’immagine<br />

kantiana dell’ “imperativo categorico” come di una “bussola”<br />

per la vita morale. Si osservò, infatti, che in una<br />

buona polis - cioè in una città - noi non abbiamo bisogno<br />

di una bussola, perché già esiste la segnaletica stradale. 21<br />

Ora penso che queste tendenze neo-conservative, risultanti<br />

dalla cosiddetta ‘riabilitazione della ragione pratica’,<br />

non portino ad alcuna soluzione tutti i problemi<br />

propri di una macroetica della co-responsabilità umana<br />

che ho precedentemente esposti. Piuttosto essi rappresentano<br />

un atteggiamento di rifiuto o di fuga dai problemi<br />

con cui ci troviamo oggi confrontati. E in ogni caso gli<br />

slogan usati dai rappresentanti tedeschi del neo-aristotelismo<br />

sono a mio parere quasi tanto paradossali ed<br />

anacronistici quanto le opposizioni positivistiche all’elaborazione<br />

di una etica razionale della responsabilità per<br />

le conseguenze derivanti dalle tecnologie scientifiche.<br />

Questo è ben illustrato dall’accoglienza ricevuta dal libro<br />

di Hans Jonas, che è egli stesso un neo-aristotelico di<br />

rilievo. Ma Jonas, richiamandosi al teleologismo metafisico<br />

del cosmo aristotelico, giunge a risultati diametralmente<br />

opposti a quelli neo-conservatori dei neo-Aristotelici.<br />

Jonas, infatti, muovendo da una prospettiva di<br />

conservazione di alcuni valori, volta cioè ad assicurare la<br />

CONFERENZA<br />

20<br />

sopravvivenza del genere umano e la salvaguardia della<br />

dignità umana, giunge a richiedere un’etica cosmopolita,<br />

di tipo alquanto nuovo, ovvero un’etica della responsabilità<br />

collettiva per le conseguenze delle attività collettive<br />

delle società industriali.<br />

Ora non penso che Jonas sia riuscito a fornire una<br />

giustificazione razionale per quest’etica di tipo nuovo<br />

partendo dalle sue premesse metafisiche. 22 Ma come<br />

minimo questa visione del problema può essere facilmente<br />

integrata in un programma delle esigenze cui<br />

un’etica ha da corrispondere oggi, da contrapporre al<br />

ripiegarsi neo-aristotelico sulle tradizioni locali. Con<br />

parole mie, lo sintetizzerei nel modo seguente.<br />

Noi non viviamo oggi in società quasi-autarchiche o<br />

poleis, come nell’epoca classica della civiltà greca (che,<br />

non dimentichiamolo, fu rovesciata da Alessandro mentre<br />

Aristotele era ancora in vita). Per la prima volta nella<br />

storia noi stiamo vivendo oggi in una civiltà planetaria<br />

che al meno per quanto attiene alcuni ambiti vitali della<br />

cultura - come ad esempio la scienza, la tecnologia e<br />

l’economia - ha subito un’unificazione tale da renderci<br />

membri di una reale comunità della comunicazione - o, se<br />

si preferisce, componenti dell’equipaggio di una stessa<br />

nave, per esempio riguardo ai problemi della crisi ecologica.<br />

Tra parentesi, desidero esprimere qui il mio netto<br />

dissenso dalle diagnosi di Jean-François Lyotard, il quale<br />

conclude che ai nostri giorni noi dovremmo abbandonare<br />

la stessa idea di una storia umana comune e persino l’idea<br />

di un ‘noi’ come di un possibile soggetto della solidarietà<br />

umana. 23 Suggerirei al contrario che le vaghe idee dei<br />

filosofi del XVIII secolo circa l’unità della storia umana<br />

si siano in un qualche senso realizzate oggi. Senza dubbio,<br />

non si sono realizzate nel senso della concezione<br />

marxista di un’unità della prassi e della teoria scientifica<br />

in forza della conoscenza e del controllo del ‘corso<br />

necessario della storia’, ma si sono realizzate nel senso di<br />

un’unità della cooperazione, eticamente sollecitata e in<br />

parte esistente, a riguardo della correzione, salvaguardia<br />

e rimodellamento o trasformazione delle condizioni attuali<br />

della civiltà del pianeta.<br />

Riassumendo: ciò di cui abbiamo bisogno oggi è in effetti<br />

un’etica universalmente valida per l’intera umanità; ma<br />

questo non significa che ci sia la necessità di un’etica che<br />

prescriva uno stile comune di vita buona per tutti gli<br />

individui o per tutte le differenti forme socio-culturali di<br />

vita. Al contrario, noi possiamo accettare il pluralismo di<br />

forme individuali di vita e persino difenderlo, purché vi<br />

sia la garanzia che un’etica universalmente valida di<br />

uguali diritti e uguale co-responsabilità per la soluzione<br />

dei problemi comuni dell’umanità sia rispettata in ogni<br />

singola forma di vita. (Ho l’impressione che un errore<br />

fatale del pensiero filosofico dei nostri giorni consista<br />

nell’assunzione di un antagonismo fondamentale o anche<br />

di una contraddizione tra il richiesto universalismo di<br />

un’etica post-kantiana e il pluralismo di un’etica quasi-<br />

Aristotelica della vita buona, o del souci de soi, per citare<br />

M. Foucault. In ogni caso l’intera storia dei diritti dell’uomo<br />

smentisce questa supposizione, come Foucault fu<br />

costretto ad ammettere negli ultimi anni della sua vita.) 24<br />

Procederò ora con l’ultima parte del mio lavoro. Fino ad<br />

ora mi sono limitato ad indicare l’esigenza di una macro-

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