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Sandro Pili
Evoluzione urbanistica e tecnologica
nel territorio di Villasor
Marchesato di Villasor
Sandro Pili
EVOLUZIONE URBANISTICA E TECNOLOGICA NEL
TERRITORIO
DI VILLASOR
SANTI - FESTE - TRADIZIONI
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Comune di Villasor
Assessorato alla Cultura
Biblioteca Comunale
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Sandro Pili
Evoluzione urbanistica e tecnologica nel territorio di Villasor
© 2007 Sandro Pili
© 2007 Comune di Villasor, Assessorato alla Cultura, Biblioteca Comunale
Prima edizione SANTI – FESTE – TRADIZIONI febbraio 2007
biblioteca.villasor@tiscali.it
comunevillasor@legalmail.it
aziendacultura@tiscali.it
www.comune.villasor.ca.it
Progetto editoriale realizzato da Aziendacultura
Comune di Villasor
Efisio Pisano Sindaco
Notizie storiche
In relazione a modesti ma nel contempo significativi indizi, è
ipotizzabile ritenere che già nel neolitico recente siano esistiti
almeno due embrioni di villaggio all’interno dell’attuale
centro urbano di Villasor.
Un villaggio era probabilmente ubicato nell’attuale rione
Convento, attorno alla quota 29,00 sul livello medio mare,
attestata nell’intersezione tra le attuali Via Cappuccini e
Sant’Antioco, costituente ancora la massima elevazione del
centro abitato.
L’altro villaggio era probabilmente ubicato, nell’area
attualmente compresa tra le vie Sivilleri, Carpentieri,
Arborea, Verdi e Baronale, costituente ancora la 2 a
elevazione del centro abitato.
Attorno a queste due zone maggiormente elevate,
esistevano dei corsi d’acqua torrentizi che l’uomo attraverso i
secoli ha adattato inutilmente a sedi stradali, ma che ancora
oggi assolvono alle funzioni di collettori idraulici.
La presenza dei due nuclei abitati, sin dal neolitico recente,
è suffragata dall’avvenuta constatazione, durante l’esecuzione
di lavori di scavo di frammenti d’ossidiana, di frammenti
d’utensili lapidei quali asce e mazze.
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La frequentazione umana dei due siti ha probabilmente
avuto un proseguo nel periodo nuragico shardanico e nel
periodo di influenza economica e culturale punica.
Nel periodo così detto punico, i due siti in relazione alla
loro ubicazione strategica nel contesto della vasta pianura del
Medio Campidano e in relazione all’impulso dato alle colture
cerealicole, dal sistema politico economico prettamente
commerciale della città di Cartagine, potrebbero aver
conosciuto un momento di crescita e di rigoglio economico.
I cereali coltivati nelle feraci pianure, in massima parte
destinati all’esportazione, dovevano essere recapitati al posto
più vicino che era rappresentato nella circostanza specifica
dal porto di Karel o Karalis.
È intuibile, anche se non documentato, che per garantire i
trasporti verso Karel nel periodo di influenza economica e
culturale dei punici, si sia provveduto a realizzare o quanto
meno a migliorare la rete stradale che sicuramente
preesisteva dal periodo nuragico shardanico.
È impensabile che una civiltà quale quella nuragica
shardanica, che per oltre un millennio esercitò il predominio
marittimo e commerciale nel Mediterraneo centro
occidentale, non abbia proceduto a realizzare un reticolo
viario dall’interno verso le città costiere dell’isola da cui
partivano le navi da carico e da corsa, navi di cui possiamo
ancor’oggi ammirare le loro caratteristiche nei pregevoli
bronzi votivi.
In quest’ottica è presumibile che nei 250 anni di
collaborazione economica e culturale tra le città stato della
Sardegna e Cartagine, in relazione anche al fortissimo
interscambio commerciale, la rete viaria preesistente sia stata
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oggetto di interventi idonei a garantirne una agevole
percorribilità.
È assolutamente sciocco ritenere che una potenza
commerciale come quella cartaginese che per sopravvivere e
crescere necessitava di un flusso costante di merci e materie
prime, dopo essersi garantita le vie marittime non abbia
provveduto nei territori occupati a garantirsi le vie terresti.
E queste dovevano pur esistere nella Sardegna del 238 a.C.,
quando le legioni romane guidate da Tiberio Sempronio
Gracco occuparono militarmente tutti i principali centri
dell’isola. In tale frangente, in assenza di un tessuto viario
efficiente l’occupazione militare non avrebbe avuto la celerità
che, di fatto, ebbe.
I due insediamenti abitativi che hanno dato origine
all’attuale Villasor, erano sin dal periodo preistorico, ubicati
nelle immediate adiacenze del corso del fiume Mannu, che
per il naviglio del periodo era sicuramente navigabile sino
all’altezza dell’attuale centro di Decimomannu, ed erano
disposti in prossimità delle principali arterie stradali dirette
verso il Nord e verso il Sulcis.
Con l’occupazione romana dell’intera isola e il
consolidamento successivo, i due centri seguirono le sorti di
tutti i piccoli centri rurali del territorio.
L’esistenza dei centri in argomento in periodo romano e
attestato da innumerevoli riscontri oggettivi e soggettivi, che
vengono brevemente riassunti in appresso:
1. Nell’attuale rione Convento è stata accertata nell’anno
1982 la presenza di sepolture del tipo alla Cappuccina nell’area
cortilizia del fabbricato Conventuale. E stata inoltre accertata
la presenza di ceramica del periodo punico e romano nelle
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aree cortilizie d’abitazioni limitrofe, durante l’esecuzione di
scavi per opere edilizie.
2. Nell’area attualmente compresa tra le vie Sivilleri,
Carpentieri, Arborea, Verdi e Baronale è stata accertata la
presenza di ceramiche del periodo romano ed è stata
accertata la presenza nell’area cortilizia del Castello Siviller,
di un manufatto in getto di calcestruzzo a base di malta
pozzolanica, costituente una canalizzazione idrica.
A sostegno dell’ipotesi dell’esistenza già consolidata dei
due centri sopradescritti in epoca romana, concorre anche
l’interpretazione logica sull’origine del nome Villasor.
Nella parlata Sardo Campidanese all’espressione Italiana
Villasor corrisponde Bidda e’Sorris dove Bidda significa villa,
villaggio, paese e Sorris è l’antico nome del villaggio
sicuramente già esistente in epoca romana e ubicato
probabilmente nell’area descritta al sopraccitato punto 2.
Nella lingua latina il termine Horreum, significa granaio,
magazzino, deposito.
Nella parlata Sardo Campidanese esistono le seguenti
espressioni:
- Pran’i Horrj che identifica la parte del territorio di una
comunità, adibita prevalentemente all’esercizio delle
colture cerealicole;
- S’Horrj che identifica il contenitore di forma cilindrica
costituito da canne spaccate e intessute, ove venivano
disposti i cereali dopo ultimato il raccolto (s’arregotta).
Innanzi a quanto sovraesposto è opportuno effettuare il
confronto fonetico tra il nome medievale del villaggio di
Villasor e il nome del contenitore di forma cilindrica, e si
constaterà che i due termini sono pronunciati in modo
identico tra loro.
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È alquanto verosimile pertanto ritenere che il nucleo
abitato di Sorris, che ha poi fornito il nome all’attuale paese
di Villasor, debba l’origine medesima del proprio nome al
periodo romano, all’intensa attività cerealicola praticata nelle
campagne circostanti e alla presenza di depositi Horrea per lo
stoccaggio dei cereali in attesa dell’imbarco per il porto di
Ostia.
La vita dei due centri in argomento, prosegue quasi
sicuramente anche dopo il tracollo politico economico di
Roma, si consolida nel periodo bizantino, (periodo al quale
molti storici di chiara fama, ma scarsamente conoscitori del
territorio fanno risalire le origini di Sorris), e nel successivo
periodo giudicale (Giudicato di Cagliari o Plumini) all’interno
della curatoria di Parte Jppis o Parte Gippi.
Dai documenti risalenti al periodo giudicale e al successivo
periodo pisano, si ha conoscenza ufficiale dell’esistenza della
villa di Nispidi o Hispidi e della villa di Sorris o Sorres.
La villa di Nispidi era ubicata nell’attuale rione Convento
mentre la villa di Sorris occupava l’area gravitante nelle
adiacenze dell’attuale Parrocchiale e Castello Siviller.
In detto periodo, nel territorio dell’attuale Comune di
Villasor esistevano altri nuclei abitati, (Sogus – Scarponis –
Gippi – Susu – Aquesa – Palma) abbandonati dalle
popolazioni, in conseguenza di molteplici fattori quali il
nuovo sistema economico sociale instaurato dagli Aragonesi,
il lungo stato di guerra tra gli Aragonesi e il Giudicato
d’Arborea che trasformò sovente il territorio in campo di
battaglia e le endemiche epidemie di peste della seconda
metà del XIV secolo e dei primi decenni del XV secolo.
L’infeudazione del territorio dell’antica curatoria giudicale
di parte Gippi in favore del nobile aragonese Giovanni
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Siviller nel 1414, segna la ripresa economica del territorio, e
la rifondazione di Sorris, e a tale periodo deve essere,
probabilmente, fatta risalire la nascita del nome attuale, dato
dall’unione del termine “Villa” con il nome vero e proprio
del paese “Sorris”.
La successiva edificazione della struttura fortificata meglio
conosciuta come “Castello Siviller”, i probabili incentivi
garantiti a chi intendeva stabilirsi nell’abitato di Sorres, il
senso di relativa sicurezza che ispirava la presenza del
Castello, la cessazione del lungo stato di guerra, favorirono
l’insediamento di nuovi abitanti e la ripresa economica e
demografica del centro.
Queste nuove condizioni fecero sì che il villaggio di
Nispidi, distante poche centinaia di metri da quello di Sorres,
fosse inglobato dall’espansione di quest’ultimo dando così
luogo all’attuale centro di Villasor.
Evoluzione del territorio e dei centri urbani
I due modesti centri, identificati nel Medio Evo con i nomi
di “Nispidi” e “Sorris”, (dalla cui fusione è nata l’attuale
Villasor), la cui remota origine, in relazione agli indizi e ai
riscontri sul campo, è ipotizzabile nel neolitico recente,
dovevano avere le caratteristiche d’altri centri, di cui si sono
evidenziati i contorni e l’ampiezza, ubicati in diverse regioni
del territorio del Comune di Villasor.
In relazione a quanto intravisto in queste regioni,
(Kampura, Gora Poddesu, Serra Murighinas, Pauli Majori)
erano sicuramente modesti agglomerati ospitanti al massimo
20 ÷ 30 nuclei familiari.
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Non è dato conoscere la conformazione del centro, ma per
similitudine con quanto accertato in altri paesi della Sardegna
a seguito di campagne di scavi archeologici, è verosimile
ritenere che le strutture edilizie adibite alla residenza fossero
costituite da capanne a pianta circolare. Queste non
dovevano essere dissimili dalla capanna che ancora perdura
negli ovili della Sardegna centro – settentrionale “Su
Pinnettu”.
“Su Pinnettu” è una capanna a pianta circolare, avente
diametro medio compreso fra i ml. 3,00÷4,00, avente
muratura in pietrame a secco, e copertura conica in orditura
lignea con sovrastante manto di fascine d’erbe palustri.
Normalmente è dotata di una sola apertura, architravata, e al
suo interno sono ricavate, nelle murature, delle scansie con
ripiani per deposito d’oggetti e utensili. Al centro de “Su
Pinnettu” è ubicato il focolare, “Sa Forredda” o “Su
Foghile”, a pianta circolare cintato da pietre seminfisse nel
suolo. Il fumo del focolare fuoriesce dall’apertura e dalla
copertura a tetto mediante filtrazione tra le frasche e le erbe
palustri che ne costituiscono il manto.
È probabile che attorno alla capanna, vi fosse uno spazio
recintato, probabilmente con una siepe (è da scartare l’ipotesi
del muro a secco stante la penuria di materiale lapideo) ove
custodire gli armenti durante le ore notturne.
La siepe recintante lo spazio attiguo alla capanna era
probabilmente costituita da essenze di “alimo”, “licio o spina
cristi” o “pruno selvatico”. Non è però da scartare l’ipotesi
che tale recinzione fosse costituita da frasche rinsecchite
d’essenze quali l’olivastro, il Licio o spina cristi il pruno
selvatico e il perastro, largamente disponibili tra la
consistente vegetazione allora esistente.
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Questo tipo di recinzione denominato “Zeriba”, ancora
largamente usata tra i popoli dell’Africa per proteggere campi
coltivati e corti ove custodire il bestiame, era utilizzato anche
in Sardegna sino a pochi decenni addietro, negli ovili. I
pastori, infatti, recintavano l’area circostante “Su Meriagu”
(tettoia aperta su tutti i lati, con struttura lignea verticale
infissa al suolo, struttura lignea orizzontale ricoperta con
fascine di vegetazione palustre quali “festoja” e “sessiri”),
con frasche rinsecchite di olivastro, perastro, pruno
selvatico, Licio o “spina cristi”, in relazione alle essenze
vegetali disponibili nella zona. Identica recinzione era
effettuata attorno all’area destinata alla mungitura degli
animali, “Sa corti de mullj”.
Difficilmente le pecore riuscivano a superare tale
sbarramento che mediamente aveva un’altezza compresa tra i
cm 80 e i cm 100.
A primavera inoltrata, quando il manto lanoso delle pecore
aveva raggiunto il massimo dello sviluppo, le frasche
rinsecchite della recinzione de “Su Meriagu” e de “Sa Corti
de mullj” erano decorate da numerosi battufoli di candida
lana, segnale dell’effetto dissuasivo delle frasche spinose.
Questa tipologia costruttiva, è sicuramente perdurata anche
durante il cosidetto periodo punico e il periodo romano, pur
con la frammista presenza di strutture abitative a pianta
ortogonale costituite da uno o più vani.
La storia ufficiale, quella scritta dai vincitori, racconta che
Cartagine negli anni interno al 540 a.C., inizialmente con un
esercito al comando di Malco e successivamente con un altro
esercito al comando dei figli di tale Magone, tentò
l’occupazione militare della Sardegna subendo due clamorose
sconfitte. Successivamente a queste sconfitte Cartagine
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avrebbe occupato buona parte dell’isola imponendo il suo
dominio per oltre 250 anni. È un vero peccato che la storia
ufficiale non racconti con quali condottieri e in quali
circostanze Cartagine abbia sottomesso le Città Stato della
Sardegna.
È probabile che Cartagine, in conseguenza delle due
clamorose sconfitte, impegnata nel contempo in una
defatigante guerra contro le città greche della Sicilia, abbia
ricercato l’alleanza con i Sardi, alleanza che nello stesso
periodo ricercò e attuò con gli Etruschi legati ai Sardi da
numerosi vincoli di fratellanza e alleanza.
In questo contesto è possibile che l’alleanza tra le Città
Stato della Sardegna e Cartagine abbia creato un forte legame
di interscambio commerciale, con fenomeni di immigrazione
di componenti umane dall’Africa verso la Sardegna. È
pertanto verosimile che i nuovi arrivati abbiano creato, nei
villaggi preesistenti o nei nuovi villaggi fondati, tipologie
edilizie similari a quelle della loro madrepatria.
È questo un fenomeno ancora presente nei paesi che sono
stati sottoposti a regime coloniale, ove la tipologia edilizia del
popolo dominatore è la copia fedele di quella della propria
madrepatria, con qualche piccola variante dettata da esigenze
d’adattabilità ai fattori climatici del luogo.
Quante volte notiamo nei nostri centri agricoli la presenza
di un nuovo fabbricato la cui architettura ci conduce
improvvisamente nelle vallate alpine o nelle gelide brume
delle campagne olandesi o inglesi. Niente paura, si è ancora
in Sardegna; il proprietario di queste case, ha come cognome
Angioni o Pireddu ed è stato per molti decenni in Svizzera, o
in Inghilterra o in Olanda, e nel ritornare al proprio paese ha
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voluto ricreare il modello abitativo con il quale ha trascorso
una parte significativa e importante della propria vita.
Ritenere che l’arrivo dei coloni Punici e successivamente
Romani abbia all’improvviso sradicato totalmente usanze e
consuetudini dei nativi è indubbiamente non proponibile.
Quasi certamente, i nativi avranno ancora per secoli
conservato la loro tipologia edilizia cui lentamente e
progressivamente si è affiancata quella dei dominatori sino a
divenire la tipologia più largamente diffusa, soppiantando
totalmente, con il trascorrere del tempo, quella dei nativi.
Potremo dire “niente di nuovo sotto il sole”, in quanto la
nostra generazione è attualmente, spesso inconsapevole,
quasi sempre muta testimone di un avvenimento similare
ormai inarrestabile e irreversibile.
La profonda penetrazione degli usi e costumi della civiltà
romana all’interno delle comunità del mondo rurale, ha fatto
sì che queste, quasi impercettibilmente, nell’arco di sei secoli
hanno assorbito le innovazioni portate dal mondo romano.
Con la fine del potere romano, la tipologia edilizia
largamente consolidata è ormai quella romana, che salvo
pochissime mutazioni e sovrapposizioni è rimasta quasi
immutata sino alla fine del 2° conflitto mondiale. La
tipologia edilizia della casa contadina diffusa in tutti i centri
agricoli del Campidano e quella della “casa a corte”, con i
corpi di fabbricato addossati normalmente ai due confini
longitudinali ed al confine trasversale posteriore, costituenti
una pianta a “U”. Questa era nel contempo residenza e
centro aziendale e pertanto dotata di tutti gli ambienti aventi
specifica destinazione agricola, pagliaio, magazzeno vinario
ecc.
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È presumibile che tali abitazioni fossero strutturate su un
solo piano terra, essendo le costruzioni a due piani fuori
terra un’innovazione del XVIII ÷ XIX secolo.
Nel territorio di Villasor non sono state ancora individuate
strutture in grado di poter esplicare compiutamente la
tecnologia costruttiva delle abitazioni contadine durante il
periodo romano. Nei siti in cui la presenza umana è cessata
con la fine del potere romano, i pochi resti che sono stati
rinvenuti sono limitati a parziali e discontinue opere di
fondazione.
Il recupero nel territorio di diversi capitelli e rocchi di
colonne di marmo bianco, di calcare e addirittura in un
pregiato marmo proveniente dall’Africa Settentrionale (rocco
di colonna esistente nella Via N. Brundu) induce a ritenere
che nel territorio siano esistite edifici di una certa importanza
realizzati con i migliori materiali e la migliore tecnologia che
“l’Ars Aedificandi” romana aveva a disposizione. Nella
regione del territorio del Comune di Villasor, denominata
“Sant’Andria”, sono stati evidenziati nella superficie dei
campi arati brecciami d’intonaco in malta pozzolanica dello
spessore medio di 8 ÷ 10 cm. La contestuale presenza di
consistente materiale lapideo induce a ritenere che nella zona
sia esistita una importante struttura edilizia dotata di un
impianto termale. La presenza dell’impianto termale è
verosimile con la presenza del brecciame d’intonaco
anzidetto.
La presenza dei resti delle suddette strutture, può
giustificare maggiormente l’ipotesi che nella piana di Villasor
e nei centri limitrofi siano esistiti dei vasti latifondi
appartenenti a facoltose famiglie del patriziato romano.
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Una testimonianza tangibile di quanto sopraddetto è
fornita in Vallermosa; a poche centinaia di metri dal confine
con il territorio di Villasor esiste la chiesa di “Santa Maria de
Vineas” realizzata su un impianto termale facente parte di
una villa di epoca romana. I ruderi di un impianto termale al
servizio sicuramente di una villa esistono in Serramanna in
regione “Su Fraigu”. Per chi è conoscitore delle sfumature
della lingua Sarda, è notorio che con tale termine veniva
indicato nel passato un complesso edilizio di rilevante
consistenza e importanza.
La constatazione che in Villasor, non siano stati sinora
rinvenuti resti di strutture termali a servizio di ville patrizie,
non può a priori escludere l’esistenza di queste e magari la
presenza di importanti ruderi non ancora individuati
dall’uomo. È parere dello scrivente che in più di un sito del
territorio ove esistono modesti rilievi non giustificati
dall’assetto morfologico generale, sotto la coltre di uno
spesso strato di terra vegetale, accumulata lentamente
attraverso i secoli, possono celarsi importanti resti di tali
strutture, di cui il tempo ha fatto perdere la memoria storica.
Nei suoli del territorio comunale che hanno ospitato
insediamenti umani in epoca punica e romana, sono stati
evidenziati con una certa precisione le modeste necropoli,
scarsissimi invece i resti di opere murarie di fondazioni nel
suolo.
L’azione dell’aratro e dell’uomo ha spogliato attraverso i
secoli questi miseri resti dal proprio contesto, impiegando i
materiali recuperati in nuove opere edilizie. Tale pratica deve
aver avuto larga applicazione, soprattutto, nel periodo
compreso tra il XV secolo e la prima metà del XX secolo.
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Nessuna traccia è rimasta visibile nei campi della
consistenza dell’abitazione delle fasce umili della società,
coloni e schiavi. In relazione alla tipologia delle più antiche
costruzioni esistenti nell’abitato e appartenente alle fasce più
modeste è ipotizzabile ricostruire la loro consistenza come
segue:
a) Aspetto planimetrico con pianta rettangolare o ad “L”;
b) Consistenza dell’abitazione con piano terra costituito da
un vano cucina dotato di focolare centrale, uno o al
massimo altri due vani pluriuso;
c) Tecnologia costruttiva con muratura in mattoni di fango
e paglia essiccati al sole avente larghezza di cm 60 circa,
poggiante su un velo di fondazione in pietrame e fango.
Copertura a tetto su una o due falde, con orditura lignea,
cannicciato o tessuto di canne spaccate e intrecciate con
manto di embrici laterizi o coppi.
Le eventuali opere divisorie interne non aventi funzioni
statiche, erano sicuramente realizzate con un graticcio di
canne rivestito da una coltre di intonaco costituito da una
miscela di fango e paglia.
Nei due modesti centri conosciuti nel medioevo con il
nome di Nispidi e Sorris, è possibile ipotizzare la presenza di
luoghi deputati al culto delle divinità in epoca precristiana. Il
principio della continuità sacrale di tali luoghi è stato sempre
largamente rispettato, ed una prova tangibile di ciò è fornita
dal grande Pontefice Gregorio Magno, il pontefice che creò
le condizioni per la conversione al Cristianesimo di
“Ospitone”, duce delle popolazioni arroccate nell’interno
della Sardegna ancora pagane e ribelli nell’anno 590 d.C., al
potere politico costituito.
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Il Pontefice Gregorio Magno consigliava di evitare la
distruzione sistematica dei luoghi di culto pagani, e suggeriva
di adattare le strutture esistenti al culto cristiano o di erigere
nello stesso sito una chiesa. Inoltre consigliava di perpetuare,
assorbendoli nei riti cristiani e dedicandoli a un santo, le
tradizioni culturali della religione pagana che non erano in
palese contrasto con la religione Cristiana.
In virtù di quanto anzidetto nel villaggio conosciuto nel
medioevo con il nome di Nispidi, è pertanto verosimile
ritenere che nell’area del Convento e dell’adiacente Chiesa di
Sant’Antioco, sia esistita in epoca precristiana la struttura
edilizia dedicata al culto delle divinità pagane.
In ragione di quanto sopraesposto nel villaggio conosciuto
nel Medioevo con il nome di Sorris l’area attualmente
ospitante la Chiesa di San Biagio e nel medioevo la Chiesa di
Santa Maria, ha sicuramente ospitato la struttura edilizia
dedicata al culto delle divinità pagane.
Come già affermato nella parte del lavoro dedicata alle
“notizie storiche”, il territorio in argomento è stato
interessato sin dalla remota antichità da una intersezione di
percorsi stradali aventi direzioni Est-Ovest e Nord-Sud.
I suddetti percorsi, probabilmente adattati a strade
carrarecce in periodo preromano, sono stati quasi
certamente, in alcune direttrici, ripresi e riattati in epoca
romana e dotati in almeno un caso di opere d’arte di una
consistente rilevanza.
Della viabilità esistente in epoca romana nell’attuale territorio
di Villasor è possibile, in relazione ai riscontri oggettivi
esistenti nel territorio medesimo e all’interpretazione dei
toponimi, localizzare la presenza delle seguenti arterie:
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1) Il toponimo “Bia Arbaree”, ovvero “strada per
l’Arborea” identifica un tratto dell’attuale viabilità rurale,
avente origine dalla strada vicinale San Salvatore,
intersecante l’attuale strada provinciale Villasor Monastir
e avente termine nel tavolato della regione Sogus –
Crabai – Cresia is’ Cuccurus. La relativa vicinanza con
l’attuale sede della S.S.131 (Carlo Felice) e il nome “Bia
Arbaree” induce a ritenere, attraverso un’interpretazione
logica, che questa nel medioevo conducesse nel
Giudicato d’Arborea, e nel contempo appare verosimile
l’ipotesi che questa possa essere identificata con la sede
della strada romana “Karalis – Turris Lybissonis”
2) Il toponimo “stradoni Luxia Arrabiosa” identifica una
microzona del territorio compresa tra la strada vicinale
“Cuccuru Antiogu Pisu” e la strada vicinale “Sa
Mandara”. Sul campo è visibile, con andamento
rettilineo, per una larghezza di 7÷8 ml, e una lunghezza
di 600÷700 ml, una consistente presenza di materiale
lapideo fuori contesto; ciottolame con granulometria
150÷250 mm e pietrame sbozzato. Da accertamenti
effettuati nei luoghi si e riscontrata la presenza di
identico materiale in regioni del territorio più a Nord,
Bruncu Arrubiu e Terraprenu. Essendosi constatato che i
resti sopradescritti sono ubicati sul medesimo
allineamento planimetrico, è verosimile ipotizzare che i
resti del materiale lapideo possa essere lo “Statumen” di
una strada realizzata o riattata in epoca romana
collegante il territorio dell’antico centro di San Sperate
con quello dell’antico centro di Serramanna.
3) Il toponimo “Bia Ponti Becciu” identifica la sede di una
strada oggidì urbana (già denominata bia Decimoputzu e
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ora Via Togliatti) la quale ha origine nella Piazza
Baronale, e termina dopo aver intersecato la linea
ferroviaria Cagliari Olbia, nel corso del fiume Mannu.
Nella cartografia ottocentesca, l’origine sopradescritta
della strada “Ponti Becciu” coincideva con la fine
dell’abitato in direzione Ovest, e tale situazione era
ancora immutata alla fine del 2° conflitto mondiale.
Detta strada superava il corso del fiume Mannu, in
corrispondenza dell’attuale triplice incrocio con le strade
rurali Pixinas Acrobadas – Sa Seda – Is’ Cungiadeddus.
In corrispondenza del fiume Mannu esisteva un ponte a
più arcate edificato in epoca romana, di cui sono ancora
visibili nel suolo, a quota piano campagna, resti di
fondazione delle pile.
La realizzazione negli anni 1857÷60 della strada Decimo –
Marrubiu (oggidì S.S.196) con la costruzione di un ponte in
corrispondenza del corso del Fiume Mannu, e la modifica
del corso di quest’ultimo, originata probabilmente da eventi
naturali, decretarono l’interruzione della strada (causata dal
nuovo alveo del fiume, ubicato in posizione più vicina al
paese) e l’inutilità del ponte.
Il probabile stato di degrado del ponte, l’azione predatoria
degli abitanti, fece in pochi decenni scomparire una così
importante struttura, mentre del vecchio alveo del fiume
Mannu incorporato nelle proprietà viciniori è ancora visibile
una leggera depressione nei suoli.
La strada Ponti Becciu, una volta superato il corso del
fiume Mannu, poneva in comunicazione tramite la strada Sa
Seda e Santu Basiliu, il centro di Sorris con il villaggio di
Decimoputzu, proseguendo poi nel territorio di Siliqua sino
a raggiungere il corso del Rio Cixerri in corrispondenza di un
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ponte, anch’esso di epoca romana ubicato a Ovest della
polveriera della Marina Militare in località “Pedru Pisu”.
La presenza del ponte sul fiume Mannu, nelle immediate
vicinanze dell’abitato di Sorris, contribuisce a comprendere
la rilevanza a cui era assurto questo lembo di territorio,
sicuramente per le consistenti produzioni agricole, e
l’importanza del sistema viario.
Dopo la fine dell’impero romano d’occidente, e la breve
occupazione vandala e gota, ebbe inizio nei primi decenni
del VI° secolo il dominio di Bisanzio. Il territorio di Sorris e
degli altri minuscoli centri viciniori fu fortemente permeato
dalla cultura di Bisanzio. A testimonianza di ciò e sufficiente
rammentare i toponimi di carattere religioso tutti ascrivibili al
martirologio delle chiese d’Oriente, quali Santa Severa (Bia
Sa Seda), San Salvatore (bia Santu Srabadoi) San Michele (bia
Santu Miali) Santa Vitalia (Santa Vida) Sant’Andrea
(Sant’Andria) San Saturnino (Santu Sadurru).
Sicuramente è ascrivibile alla crisi economica e sociale
conseguente al trapasso da Roma a Bisanzio la scomparsa di
numerosi piccoli insediamenti e il raggruppamento delle
popolazioni nei centri che sono pervenuti sino alla fine del
XIV secolo.
Durante il periodo bizantino, in relazione ai toponimi
sopraccitati, nel territorio in argomento deve aver avuto un
notevole sviluppo l’architettura religiosa.
Purtroppo nessuna di queste strutture e pervenuta ai nostri
tempi, il territorio ha restituito solamente frammenti
marmorei con scritte in greco (Santa Sofia) e altri frammenti
di particolari architettonici, quali cornici, lastre capitelli ecc.
È probabile che due strutture religiose ubicate all’interno di
Villasor, siano riconducibili, almeno per le strutture murarie
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dell’aula al periodo bizantino o alta giudicale. Esse sono, la
attuale chiesa di Sant’Antioco, e “Sa Cappella de is
Cunfradis” adiacente alla Chiesa di San Biagio.
In tale periodo a parere dello scrivente il tessuto urbano dei
villaggi di Sorris e Nispidi può aver assunto l’assetto viario
che ancor’oggi, malgrado siano trascorsi 5 secoli dalla loro
fusione, evidenzia con sufficiente approssimazione l’antica
collocazione.
Il tessuto viario del villaggio di Nispidi in epoca bizantina
e giudicale in relazione alla sua conformazione, era
probabilmente costituito dalle attuali strade urbane:
Via Roma (tratto compreso dall’intersezione con la Via
Cimitero sino all’intersezione con la Via Don Floris), Via
Azuni, Via San Michele, Via Marconi, Via Crispi
(anticamente vico), Via Garotti.
Il tessuto viario del villaggio di Sorris in epoca bizantina e
giudicale in relazione alla sua conformazione, era
probabilmente costituito dalle attuali strade urbane:
Via Mazzini (tratto compreso tra piazza Matteotti e via
Orefice),Via Sant’Efisio, Via Nuova (tratto compreso tra Via
Roma e Via Orefice) Via Monte Granatico, Via Arborea
(tratto compreso tra Via Sivilleri e Piazza Prinetti), Via Roma
(tratto compreso tra piazza Matteotti e Via Nuova), Via
Renzo Cocco.
Per quanto concerne la Via Renzo Cocco, questa era
probabilmente una sortita del villaggio di Sorris verso la
campagna in direzione Sud. A tal proposito è opportuno
rammentare che nella vecchia cartografia catastale, questa è
denominata “Via Decimo”.
Un’altra arteria che costituiva una sortita dell’abitato di
Sorris in direzione Sud era l’attuale Via Baronale, da cui ha
21
origine l’antica strada Ponti Becciu (attualmente Via
Togliatti). Questa sicuramente, superato il corso del Rio
Malu, convergeva assieme alla Via Decimo nell’antica strada
per Cagliari (Bia Beccia De Kasteddu). L’attuale Via
Baronale proseguiva dopo l’intersezione con la strada Ponti
Becciu, sino a raggiungere l’attuale sede della Via Repubblica
in prossimità dell’intersezione con l’antica strada “Bia
Scarponis” oggidì Corso 25 Aprile.
Non si hanno notizie della presenza di un ponte nell’attuale
sede del Rio Malu, che allora doveva essere una “gora” a
regime torrentizio con andamento frastagliato e sinuoso, così
come si evidenzia nella cartografia ottocentesca del territorio.
Pur non possedendo notizie storiche sull’esistenza di un
ponte sulla “gora” del Rio Malu e non avendo sinora il
territorio restituito alcun reperto atto a suffragarne
l’esistenza, è ipotizzabile ritenere che almeno nel periodo
romano sia stata realizzata una struttura idonea al
superamento del corso idrico. In assenza di ciò, il traffico dei
cereali e degli altri prodotti agricoli diretti verso Kalaris per
l’imbarco verso la penisola, doveva essere alquanto
difficoltoso anche nel periodo estivo durante il regime di
magra o di secca della gora. I pesanti carri agricoli carichi di
granaglie avrebbero corso il rischio di impantanarsi nel
fondo cedevole della “gora” o altrimenti avrebbero dovuto
affrontare un percorso molto più lungo indirizzandosi verso
il ponte sul fiume Mannu (Ponti Becciu) e raggiungere
Cagliari attraverso il villaggio di Decimoputzu.
Come detto in premessa, il territorio di Villasor è stato da
sempre interessato da un incrocio dei percorsi da Nord a Sud
e viceversa e da Est a Ovest e viceversa. In tale contesto, in
relazione alla importanza che il territorio rivestiva per le
22

produzioni agricole, alla presenza di importanti strutture
religiose che probabilmente erano dotate di vasti latifondi
(concessi dopo lo scisma del 1054 agli ordini monastici
occidentali) non è improbabile che esso sia stato scelto quale
luogo di residenza da parte di autorità bizantine e alto
giudicale. La eventuale residenza di autorità del potere
bizantino e alto giudicale può essere stata dettata dalle
difficoltà sorte, con l’inizio delle scorrerie arabe, per la
protezione delle zone rivierasche del Sud dell’isola, e dalla
necessità di meglio vigilare sulle produzioni agricole e dei
relativi approvvigionamenti.
Il ritrovamento nel cortile esterno al castello del sec. XV;
nelle immediate adiacenze della cinta muraria prospettante a
Est, di un tratto di canalizzazione in calcestruzzo (malta
pozzolanica e inerti) avente al suo interno 3 piani di
scorrimento, con pendenza indirizzata verso l’attuale
struttura del castello, induce alle seguenti considerazioni:
- La funzione della canalizzazione in argomento era
probabilmente quella di consentire un processo di
decantazione di acqua meteorica proveniente dalle
coperture di un edificio
- La presenza della canalizzazione presuppone l’esistenza
di una cisterna di accumulo
- La cisterna di accumulo presuppone la necessità di
disporre di una consistente riserva idrica per gli eventuali
momenti di crisi, e presuppone nel contempo la presenza
di una struttura edilizia di rilevante importanza per il
territorio; residenza di autorità del governo e presenza di
un eventuale presidio armato.
A giustificazione delle ipotesi sopradescritte concorre
indubbiamente l’ubicazione del sito, giacente nella posizione
23
più elevata del villaggio di Sorris, adiacente al villaggio
medesimo e alla strada Ponti Becciu conducente al ponte in
muratura esistente nel fiume Mannu, e dominante l’intera
vallata del fiume Mannu medesimo.
Il territorio di Sorris e degli altri villaggi attigui superata la
grave crisi del 2° decennio dell’anno 1000, conseguente al
grande e ultimo tentativo del mondo mussulmano di
occupare stabilmente la Sardegna, segue le sorti del
Giudicato di Cagliari cui appartiene.
Dopo il 1054, in conseguenza dello scisma tra la chiesa di
Roma e quella di Costantinopoli con l’abbandono del rito
cristiano greco, e l’allontanamento dei monaci di tale rito, il
Papato e i Giudici favorirono la penetrazione in Sardegna
degli ordini monastici di rito cattolico.
Nell’attuale territorio di Villasor sul finire del secolo XI° si
ha la penetrazione dell’Ordine monastico dei “Vittorini di
Marsiglia” che ebbero in concessione dai Giudici Cagliaritani
vaste estensioni del territorio in regione Sant’Andria.
Della loro presenza nel territorio è probabilmente rimasto
il ricordo nel canale denominato “Gora de is’ paragallus”.
Nel lungo periodo giudicale e nel breve periodo di
appartenenza alla Repubblica di Pisa, i centri abitati di Sorris
e di Nispidi, facenti parte della Curatoria di parte Jppis o
Gippi, seguono le sorti degli altri villaggi del territorio legati
esclusivamente a una economia agropastorale.
Sicuramente nel lungo periodo di relativa tranquillità
intercorso tra il 1015 e il 1323 i due centri abitati si
consolidarono nelle loro strutture, assumendo le
caratteristiche di tessuto urbano ancora identificabile nelle
loro caratteristiche generali.
24

In relazione ai tributi che i villaggi versavano alla
Repubblica di Pisa, negli anni immediatamente precedenti
l’occupazione Aragonese, il villaggio di Nispidi era abitato da
una trentina di famiglie con una popolazione stimabile in 200
persone, e di pari consistenza era quello di Sorris.
L’occupazione aragonese, il lungo stato di guerra con il
Giudicato d’Arborea, le ricorrenti epidemie di peste nella
seconda metà del XIV secolo e l’introduzione dell’Istituto
Feudale, furono le cause che singolarmente e unitariamente
determinarono una grave crisi economica e sociale per
l’intero territorio della ex Curatoria Giudicale di Parte Jppis.
Con il cessare del lungo stato di guerra tra l’Arborea e la
Corona d’Aragona il territorio in argomento venne concesso
in feudo nell’anno 1414 al Signore Aragonese Giovanni
Siviller.
Costui nell’anno successivo ottenne dall’Arcivescovo di
Cagliari l’autorizzazione a edificare, nelle vicinanze della
chiesa di Santa Maria, degli edifici fortificati, ovvero l’attuale
Castello.
La realizzazione di questo edificio, lo stato di pace, appena
interrotto dal breve bagliore degli avvenimenti del 1470-78,
crearono i presupposti per la ripresa economica, demografica
e sociale dei due centri di Sorris e Nispidi ove probabilmente
confluirono anche gli abitanti dei semispopolati villaggi del
territorio (Aquesa – Scarponis – Gippi – Susu – Palma –
Sogus – ecc.).
Nel periodo intercorrente tra il XV° e la fine del XVI°
secolo, viene realizzata l’attuale Chiesa Parrocchiale avente
allora architettura Gotico Aragonese, ancora individuabile
nella torre campanaria e in alcune cappelle interne (transetto
sinistro e fonte battesimale). Nello stesso periodo si verifica,
25
quasi sicuramente a seguito d’incremento demografico,
l’unione tra i vecchi centri di Sorris e Nispidi. Questo
fenomeno avviene, quasi sicuramente, attraverso una marcia
di lento ma costante avvicinamento del paese di Sorris verso
il centro di Nispidi. L’esame della cartografia catastale del
XIX secolo consente di individuare le direttrici viarie di
avvicinamento, dal centro di Sorris a quello di Nispidi. Esse
sono fondamentalmente costituite dall’attuale Via
Cappuccini, Via Roma, Via Sivilleri e Via Verdi, le quali
hanno tra di loro un certo parallelismo e un tracciato di gran
lunga più regolare rispetto al resto della viabilità.
La Via Cappuccini ha origine nel crocevia denominato
attualmente piazza Unità (dove probabilmente, in relazione
al tessuto viario esistente aveva termine l’abitato di Sorris) e
termine nell’attuale Via Sant’Antioco “sa ruga de Arega
Matta” costituente una sortita del villaggio di Nispidi verso
l’agro.
La via Roma, avente origine nello spiazzo antistante la
Chiesa Parrocchiale di San Biagio, denominato attualmente
Piazza Matteotti, poneva in comunicazione Sorris con
Nispidi, attraversando entrambi i nuclei abitati e l’interposta
campagna allora esistente.
La caratteristica altimetrica della sede della via Roma, è tale
che questa è stata da sempre un compluvio delle acque
meteoriche provenienti dal territorio compreso tra questa e
l’attuale via La Guardia da un lato e l’attuale via Verdi
dall’altro lato.
La via Sivilleri, avente origine nell’attuale sede della via
Cagliari, poneva in comunicazione l’estrema periferia sud di
Sorris (zona Parrocchia e Castello) con la periferia di Nispidi
all’intersezione tra l’attuale via Sivilleri con la via San Sperate.
26

La via Verdi, avente origine nell’attuale via Cagliari
(antecedentemente alla realizzazione di quest'ultima), aveva
origine nella attuale via Baronale, ovvero nella strada da e per
Cagliari) e costituiva arteria periferica nelle adiacenze del
corso del Rio Malu. La suddetta strada era un tutt’uno con le
attuali via Monastir e via Porrino sino al triplice incrocio
verso l’agro da cui dipartono le strade “Cuccuru Antiogu
Pisu – Bia Beccia de Nuraminis o Bia Funduda – Bia Santu
Miali”.
L’unione tra i centri di Sorris e di Nispidi, completatasi per
grandi linee nel finire del XVI° secolo, avviene all’interno
della perimetrazione così configurata:
- lato ovest: via Baronale
- lato est-sud est: via Verdi – Monastir – Porrino
- lato est: via Paoli – via Azuni – intersezione via Roma
con via Porrino
- lato nord: via La Guardia.
E’ opportuno rammentare che la perimetrazione
sicuramente assunta dall’abitato tra la fine del secolo XVI° e
l’inizio del secolo XVII° con una popolazione probabilmente
non superiore ai 1.000÷1.200 abitanti è la medesima
perimetrazione degli anni 1940÷50 con una popolazione di
circa 4.500 abitanti.
All’interno di questa vasta perimetrazione persistevano
sicuramente vaste superfici cortilizia e vaste superfici
inedificate, così come appare ancora documentato nella
cartografia del XIX secolo.
L’area inedificata di maggior consistenza era compresa
all’interno del quadrilatero perimetrato dalle attuali strade via
Cappuccini, via Dritta, via Roma, via Sant’Antioco (sa ruga
de Arega Matta).
27
All’interno di questo vasto quadrilatero, sicuramente
edificato solamente nella fronte della via Dritta, nell’anno
1629 ebbero inizio i lavori per l’edificazione del Convento
dei padri Cappuccini.
Detto Convento venne ubicato in adiacenza alla
preesistente Chiesa di Sant’Antioco, che al momento versava
in condizioni di abbandono, con la copertura a tetto in stato
di rovina.
La preesistenza della Chiesa di Sant’Antioco, al momento
della riedificazione del Convento e la disponibilità attorno
alla Chiesa di una così vasta area inedificata, induce a ritenere
che quest’ultima fosse una pertinenza della Chiesa medesima.
Indubbiamente la Chiesa di Sant’Antioco, preesistente
all’arrivo dei Padri Cappuccini, deve essere appartenuta al
villaggio di Nispidi. E’ risaputo che la Chiesa in argomento
era dedicata al culto di Sant’Antioco, e i padri Cappuccini
mantennero tale culto anche dopo il loro insediamento. Le
notizie storiche fornite sul villaggio di Nispidi dalla prof.ssa
Angela Terrosu Asole nell’opera “Le sedi umane medioevali
nella Curatoria di Gippi” riferiscono che “Nispidi si
distendeva attorno a una Chiesa intitolata a San Michele della
quale non esiste più nulla e cui non accennano nemmeno i
pochissimi documenti conservati nella Parrocchiale di
Villasor. Eppure tale Chiesa era ancora in piedi alla fine del
secolo XVIII e stava nella parte più settentrionale di Villasor,
quella ancor oggi caratterizzata da un tessuto di
impostazione evidentemente medioevale”.
In relazione a quanto sovraesposto, al villaggio di Nispidi
appartenevano due Chiese, entrambe dedicate al culto di due
Santi del Martirologio della Chiesa d’Oriente.
28

Non essendo rimasta alcuna traccia sul campo e nella
memoria storica locale dell’esistenza della Chiesa di San
Michele nel tessuto urbano di Nispidi, circa la sua ubicazione
possono solamente avanzarsi delle ipotesi che al momento
non vengono proposte esulando dall’argomento principale.
Con l’edificazione del Convento, si conclude di fatto il
processo di saldatura tra io due centri di Nispidi e Sorris.
All’interno della vasta area anzicitata, i padri Cappuccini nel
corso di alcuni decenni, oltre all’edificazione del Convento,
restaurarono la preesistente Chiesa di Sant’Antioco,
procedendo inoltre all’ampliamento della medesima e
dell’ambiente posteriore al Presbiterio.
Nell’area adiacente alla Chiesa e al Convento, adibita a
Orto per le necessità dei Padri, furono realizzati dei locali
accessori, aventi sicuramente funzioni e scopi sussidiari alla
conduzione dell’orto. (Dell’esistenza di detti accessori si ha
notizia dagli atti relativi alla loro demolizione effettuata dal
Comune di Villasor dopo l’acquisizione dell’intero
complesso).
In questo contesto in cui l’abitato oramai citato con il sole
nome di Sorris o Sorres, divenuto nella seconda metà del
secolo XVII Villasorris o Villasorres, si consolida la tipologia
edilizia residenziale e accessoria tramandataci quasi immutata
per circa tre secoli.
Tecnologia urbanistica edilizia
In un ambiente e in una società improntata da una esclusiva
economia agropastorale, ogni abitazione era nel contempo
abitazione e centro aziendale e come centro aziendale era
29
dotata di tutte le pertinenze occorrenti per l’esercizio
dell’attività agricola.
In relazione alle tipologie edilizie pervenute, la cui origine è
databile, pur con gli immancabili e fisiologici
rimaneggiamenti esterni, agli inizi del XIX secolo, è possibile
con un ridotto margine di aleatorietà tracciare un quadro
sulla tipologia edilizia di tale periodo.
Questa era fondamentalmente articolata in 4 fondamentali
tipi:
1) Immobile con una fronte stradale compresa tra i 20÷25
ml e profondità compresa tra i ml. 30÷40.
In questo tipo di immobile l’edificio residenziale,
costituito da solo piano terra e da un limitato sottotetto
(scarsamente diffuso) era disposto nella parte terminale
dell’immobile. Gli edifici accessori, pagliaio, stalla,
magazzeno vinario, ecct., erano disposti lungo i confini
longitudinali.
Nei casi in cui l’immobile di vasta dimensione, era
ubicato in corrispondenza della perimetrazione esterna
dell’abitato, l’abitazione era realizzata in modo da
riservare una corte posteriore a questa, corte che veniva
utilizzata quale orto per le necessità familiari. Ad esempio
di quanto affermato, si citano i seguenti casi ancora
presenti nella Villasor agli inizi degli anni 1950:
a) Abitazioni disposte lungo il lato sinistro della via
La Guardia con corti posteriori sulla via
Repubblica
b) Abitazioni disposte lungo il lato destro della via
Roma (dopo l’intersezione con la via San Michele)
con corti posteriori sulla via Porrino
30

c) Abitazioni disposte lungo la fronte della via Verdi
(dopo l’intersezione con la via Toscanini) con
corti posteriori sulla fronte del Rio Malu.
2) Immobile con ampio fronte stradale e ridotta profondità.
In questo tipo di immobile l’edificio residenziale era
disposto in adiacenza a un confine longitudinale ed al
ciglio stradale, mentre gli edifici accessori erano disposti
in adiacenza agli altri confini.
3) Immobile con limitato fronte stradale.
In questo tipo di immobile l’edificio residenziale era
disposto in adiacenza al confine longitudinale e al
confine stradale, mentre gli edifici accessori erano
disposti lungo il confine longitudinale opposto e lungo il
confine posteriore.
4) Immobile avente fronte su due strade.
Erano questi immobili generalmente posseduti dai
“prinzipales” ovvero dai più consistenti proprietari
terrieri, e in essi il fabbricato residenziale era quasi
sempre ubicato in distacco dal ciglio stradale con una
corte anteriore arredata da piante e fiori e un ampia corte
posteriore dove erano ubicati i fabbricati accessori.
In questi casi, quasi sempre l’edificio era ubicato in
aderenza a entrambi i confini longitudinali, e la
comunicazione tra le due corti era assicurata da uno
stretto corridoio (su passaritzu), nel quale spesso era
ubicata anche la rampa della ripida scala lignea per
l’accesso al sottotetto (su sobariu).
Gli accessi carrabile alle abitazioni erano prevalentemente
dotati di portale ad arco.
Il portale ad arco era, nella maggioranza dei casi, costituito
da muratura in mattoni di fango e paglia con arco
31
solitamente a tutto sesto. La luce netta dei portali era
contenuta tra un minimo di ml. 2,30 ed un massimo di ml.
2,85 ÷ 2,90.
A protezione degli spigoli laterali prospettanti verso la
pubblica strada, erano normalmente infissi nel suolo, in
adiacenza agli spigoli medesimi, delle pietre sbozzate o talora
lavorate a forma tronco conica, aventi la funzione di
proteggere gli spigoli della muratura del portale dal contatto
del mozzo (su buttu) delle ruote del carro agricolo, ovvero la
funzione del paracarro.
Il portale era sovrastato all’interno del cortile da una
copertura a tetto ad una falda con displuvio verso il cortile
medesimo.
Il portone ligneo che sbarrava l’accesso era costituito da
essenze lignee reperibili in loco, quali frassino e olmo,
essenze particolarmente resistenti agli agenti atmosferici.
Il portone era a due ante, con apertura verso la corte
interna, con l’anta destra dotata al suo interno di una porta
pedonale (su potalittu) che per similitudine era riprodotto
fintamente anche nell’anta sinistra.
Il montante verticale esterno di ogni anta del portone
aveva l’estremità inferiore, sagomata a tronco di piramide,
alloggiata all’interno della concavità di una pietra ben infissa
al suolo (su baddadori de su pottabi).
32

La struttura edilizia delle abitazioni era costituita da
mattoni di fango e paglia, allettati con il fango poggiante su
fondazioni in pietrame e fango.
Le fondazioni avevano normalmente le seguenti
dimensioni:
- larghezza cm. 50 ÷ 55 circa
- profondità cm. 50 ÷ 60 circa
Lo scavo di fondazione veniva colmato con pietrame di
varia natura e granulometria alternato a fango (pedra e ludu).
Il pietrame proveniva generalmente dalle aree che nel
passato avevano ospitato insediamenti abitativi e dalla piana
di Masainas abbondante in superficie di pietrame alluvionale
di consistente granulometria.
Raggiunto il piano di campagna, la muratura proseguiva al
di sopra di questo per circa cm. 50. Per il tratto di muratura
fuori terra si aveva una maggiore attenzione nella scelta e
messa in opera del pietrame.
Raggiunta con le murature in pietrame l’altezza prefissata,
si procedeva alla realizzazione della muratura in mattoni di
fango e paglia, allettati con impasto di fango sino a
raggiungere l’altezza del piano di posa della copertura a tetto.
Il mattone di fango e paglia che veniva utilizzato era
sempre di produzione locale e le sue dimensioni possono
essere fondamentalmente identificate come segue:
- lunghezza: cm. 40 ÷ 42 circa
- larghezza: cm. 20 ÷ 22 circa
- spessore: cm. 10 ÷ 12 circa
Nel sec. XIX era utilizzato anche un mattone di fango e
paglia con le seguenti caratteristiche:
- lunghezza: cm. 55 ÷ 60 circa
- larghezza: cm. 25 circa
33
- spessore: cm. 8 ÷ 10 circa
Quest’ultimo tipo di mattone è stato individuato dallo
scrivente in diverse abitazioni (via Nuova – via Dritta – via
San Michele).
La muratura perimetrale e portante dell’edificio veniva
realizzata disponendo il mattone di fango con il lato più
lungo ortogonale allo sviluppo longitudinale della muratura
(ladiri a dus’peisi).
La muratura divisoria interna veniva realizzata disponendo
il mattone di fango con il lato più corto ortogonale allo
sviluppo longitudinale della muratura (ladiri a unu pei).
Il ricorso a “su pei” – piede ci riconduce al periodo
antecedente al sistema metrico decimale, quando le unità di
misura delle lunghezze erano “su prammu”, “su pei”, “sa
canna”, “sa funi”. Essendo il piede pari a circa cm 30 è
chiaro che il mattone di fango nelle murature perimetrali e
portanti doveva avere una lunghezza di circa cm 60
equivalente a due piedi.
Nei primi decenni del XIX secolo, e in ogni caso entro il
primo quinquennio, sono state realizzate in Villasor alcune
abitazioni con struttura mista in mattoni di fango e paglia e
pietrame, così articolate:
- spigoli costituiti da blocchi squadrati di calcare tenero
avente caratteristiche tufacee;
- lesene (pilastri) interposte nella muratura a equidistanza
di 3,00 ÷ 4,00 ml., costituite da blocchi squadrati di
calcare tenero avente caratteristiche tufacee;
- muratura in mattoni di fango e paglia nelle cortine
comprese tra spigolo e lesena e lesena con lesena.
Questa tecnologia costruttiva è ancora riscontrabile nei
fabbricati sottoelencati:
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- casa Tocco Antonio eredi nella via Cavour;
- casa Pistis (attualmente di proprietà Contu Luigino –
Zedda Ariosto – Caria Giovanni) ubicata in area
prospettante nella via Roma e nella via Mazzini;
- casa Medda Giulio eredi (già edificata dalla famiglia
nobiliare dei “Lostia di Santa Sofia”) nell’isolato
compreso tra via Sivilleri, via San Sperate, via Garotti e
via Marconi
- casa Abis Cesare eredi sulla fronte della via Cagliari.
I blocchi di calcare tenero, utilizzati per le abitazioni
sopraelencate, furono reperiti probabilmente in Villasor a
seguito della demolizione conseguente a crollo dell’ala est del
castello verificatasi tra il primo e secondo decennio del
secolo XIX.
La suesposta tecnologia costruttiva ricompare in Villasor
nel periodo 1940 ÷ 1955 circa, con blocchetti pieni di CLS in
luogo dei blocchi di calcare tenero.
La copertura era del tipo a tetto su due falde avente:
- travatura principale (su madrieri) disposta in
corrispondenza del colmo (pinna acutza) e nella mezzeria
dello spazio tra il colmo e la muratura portante;
- travatura secondaria ortogonale a quella principale,
arcarecci, (crabiobasa);
- cannicciato costituito da un telaio di canne ripulite,
disposte l’una a fianco all’altra e collegate tra loro
mediante legatura effettuata con fibre di giunco (junku
molliu);
- cretonato di fango e paglia dello spessore di cm 5 ÷ 6;
- manto di tegole curve di produzione artigiana allettate
con malta di calce.
35
L’essenza vegetale del giunco (junku) è presente sui
territori acquitrinosi e lungo le sponde dei corsi d’acqua.
Detta essenza vegetale aveva alla strappo una resistenza
uguale o superiore allo spago di canapa. Si procedeva alla
raccolta del giunco avente l’infiorescenza al suo apice (junku
femmia) il quale veniva sottoposto al trattamento
denominato (“mullidura”) consistente come segue: il giunco
più robusto, mantenuto ad una estremità con la mano
sinistra, veniva attorcigliato attorno al proprio asse con la
mano destra. Con tale processo si otteneva una slabbratura
dei tessuti in senso longitudinale, favorendo la fuoriuscita
delle sostanze liquide. Le due estremità del giunco venivano
poi annodate fra loro formando così un’ anello.
Successivamente l’operatore addetto, seduto per terra,
disponeva l’anello di giunco così preparato attorno all’alluce
del piede sinistro e infilava un giunco all’interno dell’anello,
mantenuto alle due estremità con le mani facendolo scorrere
con azione vigorosa di sfregamento contro il tessuto
dell’anello medesimo. Detta operazione, ripetuta 4:5 volte
per ogni giunco, favoriva la fuoriuscita delle sostanze liquide
senza lacerare il tessuto fibroso. Completato il lavoro, i
giunchi così trattati (giuncu molliu) venivano disposti per
alcuni giorni in posizione soleggiata per il processo di
essiccamento naturale.
Per la realizzazione dell’orditura lignea era prevalente il
ricorso al ginepro (tzinnibiri) dal cui fusto si ricavavano i
travi per l’orditura principale e dai rami gli arcarecci
(crabiobasa).
Gli arcarecci venivano ancorati alla travatura principale con
robusti e lunghi chiodi a sezione quadrata (obibis) di
fabbricazione artigiana.
36

Alla travatura lignea della copertura a tetto, nei punti di
appoggio alla muratura, veniva praticato un foro alle
estremità ove veniva infilato un cavicchio ligneo per
impedire fenomeni di scorrimento della muratura medesima.
Il loggiato (sa lolla) ambiente sempre presente anche nelle
abitazioni più modeste, aveva normalmente un solo lato
aperto el astruttura portante era così costituita:
- pilastri disposti a equidistanza media di circa ml. 3,00
(misura che veniva espressa con il termine di “una
canna”)
- copertura a tetto su una falda, solitamente disposta con il
colmo a quota inferiore rispetto alla linea di gronda della
copertura a tetto del resto del fabbricato, e con la gronda
a una quota di circa ml. 2,50 dal piano del pavimento.
I pilastri erano solitamente così costituiti:
a) elementi lapidei monolitici, sbozzati, in trachite grigia,
denominati “bastaxius de lolla”, aventi solitamente una
sella incavata nella parte superiore
b) elementi lapidei scomposti (dado, pilastro, capitello)
sagomati in forme regolari dalla mano dello scalpellino
(su picapedreri).
Sulla sommità dei capitelli poggiavano gli archi, solitamente
a sesto ribassato con tre centri per contenere l’atezza
dell’ambiente. Gli archi erano realizzati in laterizio pieno
delle dimensioni di cm 4 ÷ 5 x 12 x 24 circa. Questo tipo di
struttura era presente di norma nelle abitazioni delle famiglie
più agiate.
La copertura a tetto non differiva dal resto dell’abitazione.
In posizione adiacente al loggiato era quasi sempre ubicato il
pozzo idrico, avente profondità media compresa tra i ml.
5,00 ÷ 9,00 privo di rivestimento nelle pareti, sormontato da
37
una vera (costera de funtana) monolitica in trachite grigia di
Serrenti poggiante su orditura lignea incrociata di ginepro
(bastazius de funtana). Dal pozzo si attingeva con l’ausilio
del secchio, di metallo zincato o ligneo, l’acqua per gli usi
domestici e per l’abbeveraggio del bestiame in dotazione alla
casa.
Nelle immediate adiacenze del loggiato era quasi sempre
presente un albero di limone e essenze floreali e officinali
(marialuisa, menta, ecc.).
Le rifiniture degli ambienti interni erano, come sempre, in
relazione alle disponibilità economiche del proprietario della
casa e al suo buon gusto.
Presso le famiglie abbienti la situazione era la seguente:
- intonaci tinteggiati con latte calce;
- pavimenti con piastrelle di cotto di produzione artigiana;
- affreschi nelle pareti del loggiato raffiguranti motivi
floreali (pratica in uso dagli ultimi due decenni del secolo
XIX sino al 2° conflitto mondiale).
Presso le famiglie meno abbiente la situazione era la
seguente:
- intonaci interni con fango e paglia;
- pavimenti interni in battuto di fango (pomentu de ludu)
che periodicamente venivano ricaricati e livellati per
sopperire al fenomeno di naturale erosione dovuto al
normale calpestio.
Le murature esterne erano prevalentemente prive di
intonaco.
Oltre al corpo residenziale nella “domus” della trascorsa
civiltà contadina appartenente ai piccoli, medi e grandi
proprietari terrieri, erano disposti i fabbricati accessori quali
il pagliaio (sa domu de sa palla), il magazzeno vinario (su
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magasinu de su binu), la stalla per l’alloggiamento dei buoi da
lavoro (sa lolla de i bojsi), la stalla del cavallo (sa domu de su
quaddu).
La tecnologia costruttiva dei fabbricati accessori era
identica per quanto concernente i materiali adoperati per le
strutture murarie e di fondazione e per le coperture a tetto.
L’edificio pagliaio, per quanto è stato possibile riscontrare
nelle strutture ancora esistenti appartenute a medi e grandi
proprietari terrieri aveva dimensioni di ml. 6,00 x 12,00 circa,
altezza alla gronda di ml. 3,50 circa.
Era dotato di un solo accesso costituito da portale ad arco
e di finestre tipo feritoie nelle murature longitudinali,
disposte appena al di sotto della linea di gronda. Il
pavimento era sempre in battuto di fango (pomentu de
ludu).
L’edificio magazzino vinario aveva dimensioni
proporzionate alla produzione dell’azienda. Generalmente a
pianta rettangolare con le botti disposte in adiacenza alla
parete longitudinale, era dotato di finestre tipo feritoia e di
un accesso che non sempre era costituito da portale ad arco.
Il portone ligneo denominato “s’ecca de su magasinu” era
prevalentemente con la parte superiore ad aria passante.
L’edificio stalla buoi da lavoro era costituito da un portico
a forma rettangolare con tre lati chiusi e il lato longitudinale
anteriore aperto. Nel lato aperto erano disposti i pilastri a
sostegno della struttura lignea del tetto. I suddetti pilastri
erano sovente costituiti da elementi lapidei monolitici in
trachite grigia di Serrenti (bastaxius de lolla).
La corte interna compresa tra i vari corpi di fabbrica
(residenziale e accessori) era quasi sempre dotata di
pavimentazione in acciottolato. Allo scopo veniva utilizzato
39
il pietrame di natura alluvionale, rinvenibile in superficie
nella macrozona del territorio denominata in senso lato “Su
Pranu” e in pietrame di natura selciosa rinvenibile
prevalentemente nelle zone del territorio denominate “Is
Murdegus - Clarosu - Crabai”.
Il pietrame utilizzato aveva prevalentemente granulometria
compresa tra i 100 ÷ 150 mm.. Nella realizzazione
dell’acciotolato si aveva sempre cura, in relazione alla
conformazione altimetrica e orografica del suolo, di
realizzare i displuvi e i compluvi mediante acciottolato di
maggiori dimensioni, per meglio facilitare il deflusso delle
acque e nel contempo per dotare la pavimentazione di una
robusta perimetrazione di contenimento.
L’acciotolato veniva collocato sul suolo naturale, scoticato
dalla presenza di eventuali erbacce e reso lievemente soffice
da una sottile zappatura.
Gli interstizi tra ciottolo e ciottolo venivano colmati con
terriccio avente una leggera componente sabbiosa.
Successivamente l’acciottolato veniva costipato con un
battitore ligneo costituito da un elemento ligneo avente
sezione tronco conica, con la base minore rivolta verso l’alto
sulla quale veniva innestata un’impugnatura trasversale.
Un ottimo terriccio, per la colmatura degli interstizi, era
rinvenibile ai bordi e al centro delle strade campestri, a
seguito dello scorrimento delle acque meteoriche.
Quando il suolo destinato alla edificazione aveva una
giacitura molto elevata rispetto al piano viario circostante, si
procedeva allo sbancamento di questo, ed alla produzione in
loco dei mattoni.
Generalmente venivano prescelti per la produzione dei
mattoni, suoli la cui composizione era costituita da una
40

uona argilla frammista a lenti gessose e calcarose e a una
discreta percentuale di pietroline rapportabili all’attuale
pietrischetto di frantoio.
Una volta individuato il suolo da cui estrarre la terra, si
procedeva alla esecuzione di uno scavo di sbancamento.
La terra estratta veniva sottoposta a un trattamento di
vagliatura onde eliminare il materiale avente granulometria
mediamente superiore a cm. 1,50 ÷ 2,00 circa.
La terra così prodotta, che mediamente aveva una presenza
di pietroline, lenti gessose e calcare non superiore al 25 ÷
30% dell’intero, veniva depositata all’interno di una vasta
buca effettuata nel suolo adiacente, di forma circolare e/o
rettangolare, profonda cm. 40 ÷ 50 circa. Alla terra veniva
aggiunta la paglia del frumento, sminuzzata in segmenti di
cm. 3 ÷ 5 e l’acqua occorrente per l’impasto.
L’amalgamento dell’impasto si otteneva con l’azione
dell’uomo che penetrava all’interno della buca e con l’azione
dei piedi rimestava le componenti terra, paglia e acqua. Dopo
aver ottenuto una diffusa omogeneità dell’impasto si lasciava
riposare (axedai) questi per circa 12 ore.
Successivamente si procedeva alla predisposizione della
forma lignea rettangolare (su sestu) ove disporre la miscela di
fango e paglia per il processo di essicamento naturale.
Assetto urbano e infrastrutture
La viabilità urbana all’inizio del secolo XIX era sicuramente
definita nel suo sviluppo longitudinale e in parte anche nel
suo sviluppo trasversale che quasi mai, come attualmente,
presentava omogeneità di cigli. Era una viabilità avente
41
fondo naturale rassodato dal calpestio degli uomini, degli
animali e dei carri agricoli.
Dall’esame dei documenti d’archivio della seconda metà
del secolo XIX, si viene a conoscenza che in questo periodo
si da corso alla selciatura (impedradura) delle strade urbane.
Nelle delibere che approvano gli interventi si asserisce
sempre che le strade oggetto dei lavori sono piste fangose e
polverose prive di selciato e giammai si dice che intendesi
provvedere al ripristino del selciato preesistente.
Questo particolare induce a ritenere quanto mai verosimile
che l’abitato di Villasor, dalla sua rifondazione negli anni
1414÷15 alla seconda metà del secolo XIX non ha mai
goduto del privilegio di possedere una viabilità selciata.
La nobiltà e i prinzipales che per secoli hanno spremuto la
comunità, avevano purtroppo cose ben più importanti a cui
pensare.
E’ sintomatico il fatto che negli anni della grande carestia
conseguente a un periodo di prolungata siccità (1880÷85)
l’amministrazione comunale al fine di scongiurare il
verificarsi di incidenti similari a quelli avvenuti a Sanluri
(culminati con l’assassino del Sindaco) contrasse in tempi
ultrarapidi un mutuo di lire 20.000 per avviare un vasto
piano di selciatura delle strade urbane che erano in
maggioranza prive di pavimentazione (in sardo campidanese
si dice “no c’esti che s’allu po fragai”).
In queste condizioni, con un incremento demografico
modesto, con una perimetrazione del centro urbano
consolidata, con una economia di tipo quasi “curtense”
l’abitato di Villasor visse la sua sonnolenta esistenza durante
tutto il periodo spagnolo, e successivamente Sabaudo per
giungere senza alterazioni o modifiche al suo stato di
42

sonnambulismo sociale ed economico agli anni dell’Unità
d’Italia.
Negli anni a cavaliere dell’Unità d’Italia, Villasor fu
interessata da alcuni interventi di carattere infrastrutturale
che porranno una serie ipoteca sul suo futuro, ipoteca ancor
oggi presente e valida a tutti gli effetti.
Gli interventi infrastrutturali di cui si vuole parlare e che
allora sicuramente vennero accolti quale manna dal Cielo per
le immediate ricadute economiche, furono i seguenti:
a) Realizzazione della strada provinciale Decimomannu-
Marrubiu (oggidì S.S. n. 196)
b) Realizzazione della strada consortile Villasor-
Serramanna-Samassi (oggidì S.S. n. 196/d)
c) Realizzazione della strada consortile Villasor-San Sperate
(oggidì S.P. n. 7)
d) Realizzazione della rete ferroviaria delle Reali Ferrovie di
Sardegna Cagliari-Olbia.
Realizzazione della strada provinciale
Decimomannu-Marrubiu
Questa importante arteria progettata dal Servizio del Genio
Civile, ha intersecato l’abitato di allora nella sua periferia sudovest
e specificatamente nell’area urbana compresa tra la via
R. Cocco e la via Baronale, sino a raggiungere l’attuale piazza
Matteotti dopo aver intersecato l’isolato esistente compreso
tra la ex via Parrocchia, la via Sivilleri, la via Togliatti, la via
Baronale e la via Val d’Aosta.
Dopo aver superato questo isolato, la strada ha intersecato
la via Baronale con un rettifilo di oltre 12 Km. In direzione
di Villacidro.
43
La realizzazione di questa nuova strada intercomunale,
realizzata esternamente ai tracciati delle strade preesistenti ha
comportato per Villasor le seguenti conseguenze:
- l’abitato è stato interessato al suo interno da una corrente
di traffico extraurbano;
- è stato irrimediabilmente compromesso l’assetto dell’area
esterna al Castello ove erano ubicate le sue pertinenze;
- è stata compromessa la fruibilità dello spiazzo antistante
la Chiesa Parrocchiale.
Realizzazione della strada consortile Villasor-Serramanna
- Samassi
Questa importante arteria progettata per volontà delle
amministrazioni comunali dei tre centri, in alternativa agli
incerti percorsi storici, fu la prima conseguenza positiva alla
realizzazione della strada provinciale Decimomannu-
Marrubiu. Le amministrazioni comunali, compreso che
probabilmente i tempi del potere centrale per la soluzione
del problema relativo al collegamento fra i tre centri
potevano essere a lungo termine, si riunirono in Consorzio, e
attingendo alle loro magre risorse, nel giro di pochi anni
realizzarono l’arteria in argomento che ancor oggi, a distanza
di circa 150 anni, pur con gli attuali suoi limiti, è l’unica
arteria di collegamento diretto fra i tre più importanti centri
agricoli del Medio Campidano.
Il Comune di Villasor, in questa circostanza, guidato dal
Sindaco “Notaio Puxeddu Efisio Giuseppe” svolse le
funzioni di Capo Consorzio.
La nuova arteria ebbe inizio nell’intersezione della nuova
strada provinciale con la strada urbana denominata via
44

Centrale (oggidì via Roma) e si sviluppò parallelamente alla
sede della via Baronale sino all’incrocio con la via
Repubblica, proseguendo successivamente nello stesso
rettifilo sin quasi all’ingresso di Serramanna, per curvare
successivamente sul suo lato destro. Curiosamente si può
constatare che lo sviluppo longitudinale del lungo rettifilo
forma un unico segmento con il Campanile della Parrocchia
di Serramanna.
La realizzazione di questa nuova strada intercomunale ha
comportato per Villasor le seguenti conseguenze:
- l’abitato è stato interessato al suo interno da una corrente
di traffico extraurbano;
- la sede della via Baronale, compresa tra la strada
provinciale Decimomannu - Marrubiu e la via
Repubblica, con il trascorrere di alcuni decenni, fu
abbandonata ed il suo sedime venne accorpato (non si
conosce se legittimamente o meno) alle proprietà private
adiacenti. A testimonianza della sua antica esistenza è
rimasto, muto testimone del passato, il breve tratto di
vicoletto nelle adiacenze del Municipio, oggidì
denominato vico I° Serra;
- i centri abitati di Serramanna e Samassi, trassero un
indubbio vantaggio per i loro collegamenti con Villasor e
soprattutto con Cagliari.
Realizzazione della strada consortile Villasor-San
Sperate
Questa arteria, così come la precedente, fu realizzata per
volontà delle Amministrazioni Comunali dei due centri per
migliorare la comunicabilità reciproca. Probabilmente al
45
tempo della sua realizzazione nessuno avrebbe potuto
immaginare la fondamentale importanza che da oltre
trent’anni ha assunto, per le comunicazioni da e per Cagliari,
con l’avvento della motorizzazione di massa.
La nuova arteria ebbe inizio in corrispondenza
dell’intersezione dell’antica strada Villasor Monastir con il
corso del Rio Malu, e si sviluppò seguendo un antico
tracciato di strade campestri fra i due centri.
Per circa un secolo questa importante arteria ha pressoché
svolto le funzioni di quasi esclusivo collegamento tra i due
centri. La trasformazione della S.S. 131 (Carlo Felice) in
superstrada e la bitumatura della carreggiata Villasor San
Sperate e San Sperate S.S. 131, coincidente con l’avvio della
motorizzazione di massa (anni 1965÷1968) ha
conseguentemente rivalutato le funzioni della strada in
argomento, affidandogli compiti di gran lunga superiori alla
sua potenzialità.
Realizzazione della rete ferroviaria delle Reali Ferrovie
di Sardegna Cagliari - Olbia
Negli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia, il
governo del giovane Regno, varò un vasto programma di
costruzione di linee ferroviarie da nord a sud dello stivale. In
questo contesto, anche la Sardegna, regione primigenia del
Regno, beneficiò delle attenzioni del Governo Nazionale.
La neo costituita società delle Reali Ferrovie di Sardegna
creata con capitale e dirigenza prevalentemente inglese,
guidata dal Baronetto Benjamin Piercy diede inizio ai lavori
di costruzione della linea ferroviaria Cagliari Olbia negli anni
1866÷67.
46

Il 1° Maggio dell’anno 1871, venne inaugurato ed aperto al
traffico ferroviario per passeggeri e merci, il 1° tronco della
linea ferroviaria Cagliari Villasor. L’Amministrazione
Comunale, conscia della rivoluzionaria portata dell’evento,
patrocinò con dovizia di risorse la manifestazione e i
festeggiamenti relativi.
La realizzazione della linea ferroviaria, contribuì in modo
notevole a spezzare l’isolamento del territorio e dei suoi
abitanti dal capoluogo e dagli altri centri intersecati dalla
linea ferroviaria medesima.
Le conseguenze per l’abitato furono subito evidenti e
possono essere così riassunte: Per circa un decennio lo scalo
ferroviario di Villasor, fu deputato a ricevere i minerali
provenienti mediante trasporto su carri a trazione animale
dalle miniere del Guspinese, per il successivo avvio allo scalo
portuale di Cagliari.
Nello stesso periodo confluivano pure i minerali della neo
attivata miniera di Monte Zippiri, in territorio di Villasor, e
questo traffico perdurò sino a tutto il 1° conflitto mondiale.
In conseguenza dell’elevato traffico verso lo scalo ferroviario
di Villasor e ai problemi che da tale situazione scaturirono,
l’Amministrazione Comunale, soprattutto per la volontà di
un suo illustre componente, il nobile Rocco Vaquer, chiese e
ottenne dalle superiori Autorità, l’apertura di una Stazione
dei “Reali Carabinieri”.
Dopo qualche decennio di incertezza, nei primi anni del
XX secolo, la popolazione di Villasor da inizio a un lento ma
costante processo di espansione edilizia ai lati dell’arteria
provinciale compresa tra la piazza ferrovia (oggidì Piazza
Matteotti) e lo scalo ferroviario ubicato a circa 400 ml. dalla
piazza ferrovia medesima.
47
Questa marcia di avvicinamento allo scalo ferroviario, avrà
un maggiore e consistente slancio negli anni immediatamente
successivi al 2° Conflitto Mondiale.
La realizzazione delle grandi infrastrutture sopracitate
condizioneranno in modo determinante il futuro
dell’espansione urbanistica di Villasor.
Nello scorcio finale del XIX secolo vennero realizzati altri
due importanti interventi nel settore delle infrastrutture:
- La realizzazione di un bellissimo ponte ad archi in
muratura, in sostituzione del preesistente ponte con
impalcato ligneo sulla Strada Provinciale Villasor
Villacidro in corrispondenza del Fiume Mannu;
- La realizzazione dell’attuale corso del Rio Malu dalla
attuale via Cagliari sino alla confluenza con il Fiume
Mannu.
All’interno del centro urbano, nel periodo intercorrente tra
l’Unità d’Italia e la fine del XIX secolo, senza alcuna
modifica all’assetto perimetrale del centro edificato si
verificarono le seguenti innovazioni:
- Acquisizione al patrimonio del Comune, dal Demanio
dello Stato, del Complesso del Convento con annessa
Chiesa di Sant’Antioco e pertinenze accessorie (orto del
Convento), perfezionata con verbale di cessione
registrato a Sanluri in data 20.06.1871;
- Adattamento dei locali del Convento, previo interventi
edilizi di modifica interna, a sede del Municipio e a sede
della Scuola Elementare;
- Demolizione dei fabbricati accessori esistenti all’interno
dell’orto adiacente il Convento;
48

- Apertura di una nuova arteria, con origine
nell’intersezione tra l’attuale via Dritta e la via Nuova, e
termine nell’Attuale via Sant’Antioco (sa ruga de Arega
Matta);
- Suddivisione dell’area dell’ex orto conventuale in lotti di
varie dimensioni, i quali furono concessi in affitto a
cittadini di Villasor, che dopo alcuni decenni, causa
l’inefficienza della Civica Amministrazione, divennero
proprietari in virtù del principio giuridico
dell’usucapione.
I lotti così ottenuti, già alla fine del 1° conflitto mondiale,
erano pressoché tutti edificati, e così di fatto ebbe
compimento l’ultimo atto del processo di fusione tra Sorris e
Nispidi.
Realizzazione del 1° nucleo del Cimitero Comunale, la cui
impostazione originaria rimase tale sino agli anni 1955÷56,
quando si procedette ad un primo ampliamento in adiacenza
al lato longitudinale sinistro. La realizzazione del Cimitero
Comunale fu conseguente anche se con notevole ritardo, alla
disposizione Reale emanata dal Re di Sardegna Carlo Felice
negli ultimi anni del suo regno; disposizione con la quale
venne vietata la inumazione e/o tumulazione delle salme nei
cimiteri ubicati nelle aree adiacenti le Chiese Parrocchiali.
E’ opportuno segnalare un altro importante intervento,
esterno all’abitato: la realizzazione della Fontana Pubblica in
località “Funtana Noa”, dotata di pompa aspirante ad azione
manuale, ove la popolazione attingeva l’acqua potabile
trasportandola con botti (fascellas) su carri agricoli.
Nel periodo in argomento, le Amministrazioni Comunali
riuscirono anche se lentamente, ad avviare i lavori di
selciatura di buona parte della viabilità urbana, e produssero
49
molti sterili programmi cartacei per dotare l’abitato di alcune
essenziali opere pubbliche che purtroppo non videro alcuna
soluzione:
- Caseggiato Scuola Elementare;
- Caserma Carabinieri.
E’ da imputare allo stesso periodo la scomparsa di alcuni
tratti stradali, assorbiti dalle proprietà private limitrofe, per
probabile inerzia delle Amministrazioni Comunali:
- strada collegante la via Monte Granatico con la via
Sivilleri, attualmente inclusa all’interno della proprietà
Montis Gervasio e Vargiu Salvatore e Antonio
- strada collegante la piazza Baronale con la piazza
Matteotti, disposta in allineamento con il ciglio della casa
Pitzus e Valdes, sfociante nella piazza Matteotti
nell’attuale confine fra la Caserma Carabinieri e la casa
Caboni Beniamino
- spiazzo stradale ubicato tra la via Toscanini, Arborea e
Verdi, attualmente occupato dalla casa Scalas Giorgio
eredi e dalla casa Piras Nicolino.
Negli ultimi anni del XIX secolo, il Comune di Villasor
realizza alcuni interventi nel sagrato della Chiesa
Parrocchiale, delimitandone l’attuale perimetro con una
muratura avente funzione di muro di sostegno e di
parapetto. Riesce inoltre a risolvere in modo definitivo il
problema della Caserma Carabinieri, destinando a sede di
questa l’abitazione ricevuta in lascito testamentario dal
Sindaco Don Rocco Vaquer, assassinato la notte tra l’1 e 2
Novembre 1892. L’edificio così ottenuto venne con
contenuta spesa adattato alla nuova destinazione, e venne
abbellito il prospetto alla piazza con rifiniture di stile Liberty,
50

perdurate sino all’attuale scempio architettonico e
urbanistico ancora esistente.
I primi anni del XX secolo, vedono nascere all’interno del
tessuto urbano degli isolati tentativi di innovazione nella
tipologia degli edifici residenziali. Queste innovazioni che in
appresso vengono elencate, sono apportate sempre da
persone estranee al chiuso mondo contadino locale.
Il primo esempio la cui datazione è imputabile agli anni
1870 circa, è costituita dall’abitazione disposta nell’area tra la
via Sivilleri, via San Sperate e via Marconi, realizzata dalla
famiglia nobiliare Lostia di Santa Sofia, meglio conosciuta a
Villasor come la Casa di Medda Camillo.
Il tipo edilizio in argomento venne realizzato con
l’impostazione di una vera e propria casa patrizia, dotata di
ampio giardino anteriore, con doppia rampa di scala esterna
per raggiungere il portale d’ingresso; articolata su due piani
regolari, interamente adibiti a uso residenziale.
Gli altri esempi relativi ai primi decenni del XX secolo
sono i seguenti:
- Abitazione Brundo Marcialis, ubicata nella via Roma in
adiacenza alla casa padronale Zedda-Brundo. Detta
abitazione è ubicata in adiacenza al ciglio stradale, su due
piani fuori terra, entrambi residenziali, con porta finestra
al piano primo in asse all’accesso del piano terra, dotata
di mensole aggettanti con lastra marmorea a guisa di
balconcino e parapetto metallico. Il prospetto alla strada
è improntato chiaramente a linee Liberty. L’abitazione in
argomento venne realizzata da un commerciante di
tessuti cagliaritano (tale Bandini) che intraprese
un’’attività commerciale in Villasor, che a quanto è
cognito finì miseramente con la vendita all’asta del
51
fabbricato che fu acquistato dalla ditta confinante, ovvero
dal signor Zedda Salvatore, ricco proprietario terriero
(prinzipali) di Villasor.
- Edificio comunale ubicato nella via Roma in posizione
antistante l’abitazione Brundo-Marcialis, già Scuola
Media, già Dopolavoro e Casa del Fascio durante il
ventennio fascista, venne edificato negli ultimi anni del
secolo XIX da un commerciante (tale Matta) come
propria abitazione. E’ ubicata per l’intero sviluppo in
adiacenza al ciglio stradale, articolata su due piani fuori
terra entrambi residenziali, con portone carrabile
disposto in adiacenza a un confine trasversale. Il
prospetto, abbellito da pregevoli grate, alle finestre, in
ferro battuto proponenti motivi floreali tipici dello stile
Liberty e da porte finestre al piano primo strutturate in
modo similare alla casa Brundo-Marcialis.
- Edificio ubicato nella via Roma (casa Melas Giovanni)
realizzato negli anni immediatamente successivi al 1°
conflitto mondiale, con il piano terra adibito ad attività
commerciale (negozio di tessuti e filati) e il piano primo
adibito a residenza. Anche questo edificio, sino a due
decenni addietro, aveva caratteristiche similari a quelli
precedentemente illustrati.
- Edificio ubicato nell’isolato disposto tra la via Sivilleri, ex
Parrocchia e piazza Matteotti, edificati nel primo
decennio del XIX secolo e successivamente acquisiti dal
signor Caboni Luigi. Questo edificio, che occupava i 4/5
dell’intero isolato, venne demolito dal Comune di
Villasor nell’anno 1978 a seguito di esproprio e in suo
luogo è stata realizzata l’attuale piazza.
52

- Edifici ubicati sulla fronte della via N. Brundu, all’angolo
con la via Nuova, in posizione antistante il Convento e la
Chiesa di Sant’Antioco. Questi vennero realizzati negli
anni del 1° conflitto mondiale da un agricoltore di
Villasor (tale Medda Francesco) il quale utilizzò, per la
circostanza, alcuni prigionieri di guerra Austriaci che nella
vita civile svolgevano la professione di muratori. Anche
questi edifici, nei profili alla strada e nel rapporto dei
volumi costituiscono un esempio culturalmente estraneo
alla tipologia edilizia locale.
Nella piazza Matteotti, in adiacenza alla Caserma
Carabinieri, venne realizzato un altro edificio, dotato di un
pregevole prospetto (casa Tundoni) adibito a attività
commerciale e residenza. Era un attività commerciale
multiforme, a livello di vero e proprio bazar, che spaziava
dagli alimentari alla ferramenta, al vestiario e al carburante;
nello spazio oggi occupato dal marciapiede, negli anni 1930
era ubicata una pompa di benzina.
Nel periodo intercorrente tra i due conflitti mondiali,
venne completato l’attuale assetto della piazza Matteotti con
la realizzazione dell’edificio “Municipio”, che fu inaugurato il
28 Ottobre 1934.
Sino alla fine del 2° conflitto mondiale, il centro di Villasor
proseguì la sua sonnacchiosa esistenza all’interno della sua
antica perimetrazione storica, che accoglieva oltre 4.000
abitanti in luogo dei circa 2.000 dell’ultimo scorcio del XIX
secolo.
Questo notevole incremento di popolazione nell’arco di
circa 50 anni, verificatosi senza alcun ampliamento
dell’antico perimetro urbano, ha senz’altro contribuito in
53
modo notevole a creare quel fenomeno di snaturamento
dell’antico centro che è ben visibile ancor oggi.
Il sopraggiungere del 2° conflitto mondiale, ebbe notevoli
ripercussioni nel territorio di Villasor, ripercussioni che
ancora perdurano:
- Realizzazione dell’Aeroporto di Guerra nel salto “Sa
Sorixina” di proprietà del Comune di Villasor, mai
indennizzato, e nell’adiacente Salto “Su Danieli”,
aeroporto divenuto dopo il 2° conflitto mondiale Base
Nato con la denominazione di Aeroporto
Decimomannu;
- Realizzazione nelle adiacenze della Chiesa di Santa Vitalia
tra la linea ferroviaria e il Fiume Mannu, di una serie di
capannoni a servizio della Sussistenza Militare. I suddetti
capannoni sono stati demoliti nel 1998, in seguito al loro
avanzato stato di degrado.
I primi anni del dopoguerra, hanno visto nascere in
Villasor una forte volontà di rinnovamento, per quanto
possibile, in armonia con i paesi più progrediti. Sono questi
gli anni in cui il paese ha iniziato l’espansione oltre i propri
confini storici immutati da secoli, espansione che negli anni
1950 e 1960 registrerà un ritmo elevatissimo.
In questo contesto Villasor registra anche la realizzazione
di prime e importanti opere pubbliche quali:
1) L’acquedotto Comunale con il serbatoio piezometrico.
Tra il 1946 e il 1948, anni indubbiamente difficili dal
punto di vista economico e sociale, l’amministrazione
comunale riuscì ad ottenere le risorse economiche per la
più importante opera del primo cinquantenni del secolo
XX°. Venne acquisita l’area ubicata in posizione
antistante al vecchio pozzo di Funtana Noa, adiacente
54

alla S.S. 196 ed alla strada vicinale “Intrada de su Pardu”,
di proprietà degli eredi Zedda Salvatore (per la cronaca è
doveroso ricordare che alla ditta proprietaria non venne
mai corrisposto alcun indennizzo, indennizzo che
nell’anno 1973 la signora Zedda Rosina figlia del defunto
Zedda Salvatore, ancora reclamava. La signora Zedda
Rosina morì nell’anno 1984 senza ottenere giustizia).
Nell’immobile acquisito venne realizzato un nuovo
pozzo captante l’acqua dalla falda freatica e un fabbricato
con annessa cabina elettrica. Il fabbricato originariamente
venne adibito in parte ad abitazione del custode e in
parte a impianto captazione.
Si procedette inoltre alla realizzazione dei lavori
sottoelencati:
- condotta adduttrice all’abitato avente diametro interno di
80 mm in acciaio bitumato, posata nell’adiacenza della
S.S. 196 fino al P.L. della linea ferroviaria Cagliari-Olbia,
nella via F.Serra sino alla piazza Matteotti, nella via Roma
sino all’incrocio con la Via N. Brundu, nella via Via N.
Brundu sino all’incrocio con la via Nuova, nella via
Nuova sino al serbatoio pensile;
- condotta idrica interna all’abitato distribuente l’acqua
mediante fontanelle pubbliche così ubicate:
via Repubblica angolo via Orefice, adiacente casa Serra;
piazza Stazione, adiacente casa Pinna Pasquale;
piazza Matteotti, antistante casa Noli Efisio, all’angolo
con il ponticello della canalizzazione acque
meteoriche provenienti dalla via Roma;
piazza Unità angolo via Cappuccini, adiacente casa
Muscas Letizia;
55
vico Sant’Antioco, angolo via Sant’Antioco, adiacente
casa Orrù;
via Monastir, incrocio con via Verdi, adiacente casa
Celide Secchi;
via Crispi angolo via Garotti, adiacente casa Puddu
Efisio;
via Cagliari, adiacente casa Cadoni Raffaele;
via Mazzini angolo via Sant’ Efisio, adiacente casa
Cadevano Biagino;
via Sivilleri angolo via Carpentieri, adiacente casa
Lobina
vico Verdi angolo via Verdi, adiacente casa Corda
Salvatore.
2. Sistemazione della piazza Matteotti e della via N. Brundo.
Nell’immediato dopoguerra l’amministrazione comunale
guidata dal sindaco Antonio Salis, procedette alla
demolizione della muratura che cingeva a guisa di
parapetto il sagrato antistante la chiesa di San Biagio,
realizzando una gradinata sui tre lati, dotandola di
pavimentazione in piastrelle cementizie bugnate.
L’intervento di pavimentazione venne esteso anche alla
piazza antistante il Civico Palazzo ed alla piazza
compresa tra la via Roma e la via Mazzini (sa pratza de
Elisa).
Alla luce del pensiero urbanistico attuale, e per tanto con
il senno di poi la demolizione della cinta muraria del
sagrato della chiesa di San Biagio ha rappresentato
indubbiamente la cancellazione di un assetto urbano e
architettonico consolidato nel tempo.
3. L’ampliamento del Cimitero.
56

Negli anni 1956:57 il Comune di Villasor procedette
all’ampliamento del cimitero nell’area disposta alla
sinistra della sua fronte, acquisendo una quota parte del
fondo rustico della Sig.na Maria Murgia (su cungiau de
Maria Mruxia).
4. La realizzazione del primo edificio scolastico nella via V.
Matta.
Nel secondo quinquennio degli anni 1950 il Comune di
Villasor procedette alla realizzazione del primo edificio
scolastico ubicandolo nell’immobile disposto in adiacenza
alla via Matta di proprietà del giudice Cocco Luigino,
originario di Villasor residente a Cagliari.
L’immobile del giudice Cocco era compreso tra la via
Matta, via Repubblica, via Orefice e via Sant’Efisio al suo
interno insisteva un ampio edificio residenziale a due piani
fuori terra (demolito dal Comune nel febbraio 1973)e un
modesto edificio residenziale a un piano fuori terra,
probabilmente destinato ad abitazione dell’ortolano, in
quanto la vasta area cortilizia superiore ai 5000 mq, cintata
da una robusta siepe di fico d’India sulla via Matta e sulla via
Repubblica, era adibita ad orto. All’interno dell’orto in
adiacenza alla siepe lungo la via Matta era disposto un filare
di robusti e frondosi gelsi.
Nell’area occupata dal Comune, oltre all’edificio scolastico,
venne realizzata anche la sede stradale dell’attuale via
Oristano.
Per la cronaca è doveroso rammentare che alla ditta
proprietaria non venne mai corrisposto alcun indennizzo. E’
doveroso ricordare che nello stesso periodo, il giudice Cocco
ormai prossimo ad abbandonare la sua vita terrena espresse
le sue ultime volontà con un testamento in cui nominava
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beneficiario di buona parte delle sue sostanze il Comune di
Villasor. Dette sostanze consistevano, nella più ricca
collezione di gioielli in oro e argento, arazzi e costumi
esistenti in Sardegna, e in un appartamento in Cagliari nella
piazza Jenne.
L’amministrazione comunale del periodo con proprio atto
deliberativo non accettò il lascito e i beni del giudice Cocco
dopo un periodo di amministrazione curatoriale divennero
patrimonio della Regione Sardegna.
Fù indubbiamente una splendida e irripetibile occasione
che Villasor non volle e non seppe cogliere.
Vengono omesse dalla descrizione le tante altre opere
pubbliche in quanto sono ben note ai cittadini di Villasor.
L’assenza per oltre due decenni di una pianificazione
urbanistica edilizia, e la successiva predisposizione di questa
varata in assenza di un retroterra di esperienza nel settore, ha
indubbiamente condizionato spesso anche con forti accenti
di negatività l’espansione urbana e i programmi di opere
pubbliche. Questo è comunque, in termini storici,
un’argomentazione che ha riscontri oggettivi ancora recenti,
per cui non si ritiene che possa essere affrontato con lucida
obiettività e serenità di coscienza da chiunque in qualsiasi
modo sia stato attore o compartecipe.
In questi anni di risveglio economico e sociale, cresce nella
popolazione la voglia prepotente di abbandonare i vecchi
schemi abitativi, e pertanto il paese assiste inerte a un
operazione di sventramento, quasi radicale, dell’antico centro
e di superfetazioni, che in nome e in ragione del progresso
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costituiscono spesso e volentieri degli autentici mostri edilizi,
in parte ancora esistenti.
E’ degli anni recenti la nascita di una certa attenzione per il
recupero e la conservazione di quanto è rimasto dell’antico
tessuto urbano, attenzione che si è tramutata nella
predisposizione di un Piano Particolareggiato per il Centro
Storico e nell’attuazione di un programma di interventi
finalizzato alla riconduzione della viabilità agli antichi
schemi.
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Indice

Volumi pubblicati dalla Biblioteca Comunale di Villasor
Collana Santi Feste e Tradizioni
1 Carlo Pillai, Il culto di San Biagio a Villasor e nella Sardegna
meridionale tra influsso bizantino e tradizione popolare
2 Carlo Pillai, La vita nel feudo. Note sull’economia di Villasor da metà
Seicento ai primi dell’Ottocento
3 Carlo Pillai, Le vicende della Confraternita del Rosario di Villasor tra
il XVIII e il XIX secolo
4 Battista Urru, Listas feudales del Partido de Vila Sor. Lista delle
persone del villaggio di Villasor tenute a versare i propri tributi al
feudatario
5 Franco Secci, La Confraternita del SS Rosario di Villasor.
Associazione religiosa plurisecolare
6 Franco Secci, Aspetti di Vita Sacra e profana a Villasor nella
seconda metà del XVIII secolo
7 Battista Urru, La presa di possesso del Feudo del 1763. Il villaggio di
Villasor
8 Battista Urru, Il consignamento del Feudo del 1765 e del 1780. Il
villaggio di Villasor
9 Carlo Pillai, Il glorioso S. Antioco martire sulcitano e santo sardo
10 Annamaria Ravastini, Sul Castello di Villasor. Un esempio di
architettura fortificata aragonese
11 Franco Secci, Abolizione e liquidazione del Feudo
12 Sandro Pili, Evoluzione urbanistica e tecnologica nel territorio
di Villasor
Collana I Racconti della Biblioteca
1 Pier Paolo Sciola, Remissione spontanea.
2 Franco Secci, Contus is Primis.
3 Franco Secci, Contus chi sighint.

Finito di stampare nel mese di febbraio 2007
presso la Biblioteca Comunale di Villasor
Comune di Villasor
Assessorato alla Cultura
Biblioteca Comunale