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URLA AL BUIO 18_6_2012:PUCCINI 8_11_2008 18/06/12 14.36 Pag<strong>in</strong>a 1<br />
A CURA DI FRANCESCA DE CAROLIS<br />
URLA A BASSA VOCE
URLA AL BUIO 18_6_2012:PUCCINI 8_11_2008 18/06/12 14.36 Pag<strong>in</strong>a 2<br />
Francesca de Carolis è nata a S. Maria Capua Vetere (Caserta). È giornalista<br />
Rai, a Roma. Ha f<strong>in</strong>ora pubblicato un diario di viaggio e tre romanzi<br />
brevi, l’ultimo dei quali, Angela, angelo, angelo mio io non sapevo, con<br />
<strong>Stampa</strong> Alternativa.
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Prefazione<br />
Urla a bassa voce, con le sue voci dal buio, è un libro importante e necessario.<br />
Ci costr<strong>in</strong>ge ad aprire gli occhi di fronte a una realtà che non ci<br />
piace. Ci obbliga a conoscere ciò che non vorremmo sapere, realtà che<br />
vorremmo tenere distanti dalla nostra vita e che – di fatto – ci riguardano.<br />
Urla a bassa voce è anche un libro di non facile lettura perché documenta<br />
e <strong>in</strong>forma anche su che cosa significa – per il nostro ord<strong>in</strong>amento<br />
– “ergastolo ostativo”. Il term<strong>in</strong>e, di per sé duro e resp<strong>in</strong>gente, significa che<br />
qualsiasi riduzione di pena decisa dalla legge per chi è <strong>in</strong> carcere, è negata<br />
a chi vive la condizione dell’ergastolo. Per chi è condannato all’ergastolo<br />
– detto <strong>in</strong> altri term<strong>in</strong>i – non ci sono benefici di legge possibili sulla<br />
pena. Vale a dire che l’ergastolo è totale, effettivo e senza term<strong>in</strong>e.<br />
Non è “una” facile lettura perché <strong>in</strong> contesti di reati, di delitti, di difesa<br />
sociale e di torti subiti…, non è possibile attivare il pensiero semplice.<br />
Le ragioni (sacrosante e legittime) di chi dal delitto è stato ferito nella vita<br />
e negli affetti non possono essere negate, così come non può essere dimenticato<br />
che ci è chiesto di muoverci nella direzione di una giustizia che<br />
sappia riparare, essendo <strong>in</strong> realtà impossibilitata a risarcire davvero,<br />
poiché alla perdita di un bene supremo qual è la vita non c’è rimedio<br />
possibile.<br />
Impedire alla giustizia di diventare vendetta è la vera sfida a cui siamo<br />
chiamati. Impedire che la giustizia “chiuda” chi ha sbagliato nel suo<br />
errore (e gli neghi le possibilità del cambiamento) è l’altra faccia della<br />
stessa medaglia.<br />
Per questi motivi la Corte Costituzionale aveva sentenziato che la pena<br />
dell’ergastolo era da considerarsi legittima solo <strong>in</strong> quanto effettivamente<br />
non perpetua, potendo il condannato fruire di benefici e misure<br />
che la trasformavano <strong>in</strong> pena a term<strong>in</strong>e. In questo caso la Corte affer-<br />
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mava che si poteva essere condannati al “f<strong>in</strong>e pena mai”, purché quel<br />
“mai” non fosse davvero tale. Una decisione salomonica, tesa a scongiurare<br />
l’abolizione per via legislativa di questa pena che, a differenza dell’Italia,<br />
molti Paesi hanno elim<strong>in</strong>ato dal proprio codice penale, ritenendola<br />
<strong>in</strong>civile e <strong>in</strong>umana.<br />
Nel clima attuale può sembrare <strong>in</strong>credibile, ma, per la verità, il Parlamento<br />
provò egualmente ad abolire l’ergastolo: nell’aprile 1998 il Senato<br />
approvò un disegno di legge <strong>in</strong> tal senso con 107 voti a favore, 51 contrari<br />
e otto astenuti, ma la riforma si arenò poi alla Camera. Si trattò di<br />
un tentativo controcorrente e di un atto di coraggio non frequente da<br />
parte dei partiti politici; eppure erano passati solo pochi anni dalle terribili<br />
stragi di mafia di Capaci e di Palermo.<br />
Oggi la situazione è decisamente peggiorata da molti punti di vista. Vari<br />
e successivi <strong>in</strong>terventi legislativi hanno irrigidito il sistema delle pene; la<br />
situazione penitenziaria è costantemente al limite del tracollo, con un<br />
sovraffollamento record e con condizioni <strong>in</strong>terne <strong>in</strong>sostenibili, sia per<br />
quanto riguarda la vita dei reclusi sia per il lavoro degli operatori e degli<br />
agenti. Soprattutto sono cambiati il clima sociale e la cultura generale, assai<br />
poco <strong>in</strong>cl<strong>in</strong>i a considerare la necessità di riforme e di aperture.<br />
Anche per queste ragioni il libro risulta opportuno: un piccolo contributo<br />
a provare a cambiare una cultura della pena che, come ebbe a dire<br />
nell’anno del Giubileo papa Giovanni Paolo II, somiglia troppo spesso<br />
alla ritorsione sociale.<br />
Urla a bassa voce costr<strong>in</strong>ge a delle domande scomode, che consuetamente<br />
si cercano di evitare poiché non lasciano tranquilli e poiché le risposte<br />
non sono a portata di mano, comportando approfondimento e un<br />
co<strong>in</strong>volgimento anche emotivo.<br />
Provo a porne qualcuna.<br />
La prima: se lo scopo prevalente della pena detentiva è la rieducazione<br />
come può farlo quella perpetua?<br />
La seconda: questo “f<strong>in</strong>e pena mai” aggravato (come a dire: anche il<br />
peggio può essere peggiorato <strong>in</strong> una r<strong>in</strong>corsa senza f<strong>in</strong>e verso l’annichilimento<br />
della speranza), questa «pena di morte viva», come la def<strong>in</strong>isce<br />
la curatrice del volume, ha fondamento e legittimità costituzionale?<br />
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Tra i tanti altri possibili, vi è poi un <strong>in</strong>terrogativo ulteriore, forse il più<br />
scomodo di tutti: possiamo rimanere <strong>in</strong>differenti e <strong>in</strong>erti di fronte a questi<br />
uom<strong>in</strong>i sepolti nel buio, dopo avere qui letto le loro storie, percepito le<br />
loro sofferenze e osservato il loro cambiamento?<br />
Le pag<strong>in</strong>e che seguono possono e debbono aiutare a trovare risposte,<br />
ma non servirebbe leggerle se non si è disponibili a esserne <strong>in</strong>terpellati e<br />
scossi, se non si è capaci di abbandonare facili giudizi e stereotipi correnti,<br />
perché mai come <strong>in</strong> questo caso puntare il dito equivale a r<strong>in</strong>unciare<br />
preventivamente all’ascolto.<br />
Questo libro curato dalla giornalista Francesca de Carolis può essere letto<br />
<strong>in</strong> tanti modi diversi: come spaccato di vita e di problematiche carcerarie,<br />
come trattato critico di crim<strong>in</strong>ologia, come rassegna di delitti e di<br />
pene, come stimolo all’impegno civile. Per me è, anzitutto, una raccolta<br />
di testimonianze che “gridano” la loro fatica e la loro sofferenza.<br />
Le prime pag<strong>in</strong>e, con le note autobiografiche degli autori, dicono già<br />
gran parte di quel che c’è da sapere. Vite bruciate dal carcere e nel carcere.<br />
E prima dal e nel delitto. O almeno così si è portati, quasi ist<strong>in</strong>tivamente,<br />
a ritenere. Perché uno dei tanti meriti di questo libro è di ricordarci<br />
che di fronte a un uomo <strong>in</strong>carcerato, tanto più se condannato all’ergastolo,<br />
occorre sempre aprirsi al dubbio, oltre che all’ascolto: «E se<br />
fosse <strong>in</strong>nocente?». Non per sfiducia nell’operato dei giudici, ma per la<br />
consapevolezza che l’errore è umano. E quando quell’errore può portare<br />
a tanta sofferenza non riuscire a riparare all’errore è, obiettivamente, disumano.<br />
Il carcere, e questo libro lo dimostra ancora una volta e con più forza,<br />
però può anche essere recupero dell’umano. E con esso, grazie a esso, del<br />
rispetto per sé e per l’altro e per le regole che consentono alla relazione<br />
tra sé e l’altro di essere improntata alle necessità comuni, dunque alla costruzione<br />
e alla manutenzione della comunità.<br />
“Bene comune”, un concetto oggi giustamente diffuso, è anche questo:<br />
senso della regola e della sua osservanza da parte di tutti. Tutti, naturalmente,<br />
vuol dire anche e forse prima chi le regole è tenuto a def<strong>in</strong>irle (il<br />
legislatore e il potere politico) e ad amm<strong>in</strong>istrarle (l’ord<strong>in</strong>e giudiziario,<br />
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le istituzioni <strong>in</strong> generale e, <strong>in</strong> questo particolare, quelle preposte all’esecuzione<br />
della pena).<br />
Occorre <strong>in</strong>fatti dire ad alta voce – non lo si fa abbastanza, anzi, spesso<br />
non lo si fa per nulla – che il carcere assume paradossalmente tratti di<br />
illegalità. Non è legale il sovraffollamento, non è legale la mancata applicazione<br />
del Regolamento penitenziario, varato nel 2000 e rimasto per<br />
lo più lettera morta. Non sono legali la mancanza di cure, l’<strong>in</strong>sufficienza<br />
dell’assistenza o la lunghezza dei processi. Le Corti europee hanno<br />
censurato l’Italia numerose volte per queste e altre croniche mancanze.<br />
Eppure, nulla sembra cambiare, nonostante l’impegno degli operatori.<br />
Si tratta di <strong>in</strong>terrogativi le cui risposte, però, non sono scontate. Ma da<br />
qui occorre com<strong>in</strong>ciare: dal coraggio civile di porsi e porre domande. Dal<br />
non dare per scontato che il carcere e la pena – e tanto più quelli senza<br />
f<strong>in</strong>e e senza speranza – siano sempre la risposta giusta e necessaria. Dal<br />
provare almeno a immag<strong>in</strong>are alternative, e poi provare a liberarsi dalla<br />
necessità del carcere, come <strong>in</strong>vitava a fare un movimento di illum<strong>in</strong>ati<br />
ri<strong>formato</strong>ri (Mario Tommas<strong>in</strong>i e Franco Rotelli tra i primi) negli anni<br />
Ottanta del secolo scorso. E come, <strong>in</strong> tempi più recenti, ci ha <strong>in</strong>vitato<br />
a fare il card<strong>in</strong>al Carlo Maria Mart<strong>in</strong>i, secondo il quale non ci si può limitare<br />
a pensare a “pene alternative” (peraltro, di questi tempi, concesse<br />
con il contagocce) ma è necessario immag<strong>in</strong>are “alternative alle pene”.<br />
Il carcere, <strong>in</strong>somma, è un prodotto dell’uomo e <strong>in</strong> quanto tale ha avuto<br />
un <strong>in</strong>izio ma può dunque anche avere una f<strong>in</strong>e, per lasciare il posto a<br />
qualcosa di meno distruttivo, che sappia difendere la collettività ma senza<br />
annichilire chi da essa si è chiamato fuori attraverso il delitto. Al quale<br />
nella comunità deve però essere concesso di rientrare, avendo compreso<br />
i propri errori e avendone pagato le conseguenze; le quali, tuttavia, devono<br />
essere tali da lasciare sempre aperta la speranza.<br />
Giudicare <strong>in</strong>sensato il carcere senza f<strong>in</strong>e non è, del resto, asserzione<br />
ideologica o radicalismo astratto, ma semplice constatazione. Tenere una<br />
persona imprigionata significa, letteralmente, tenerla <strong>in</strong> cattività. Non<br />
c’è positività, non c’è il buono possibile nell’uomo <strong>in</strong> catene; c’è la sua<br />
mortificazione e semmai una sp<strong>in</strong>ta a essere peggiore.<br />
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Quell’alberello nel cortile della prigione, tagliato per ragioni di sicurezza,<br />
cui accenna <strong>in</strong> queste pag<strong>in</strong>e uno dei condannati all’ergastolo, ci<br />
racconta, più di tanti saggi o ricerche, come e perché il carcere non è un<br />
rimedio ma un male ulteriore, un danno che si aggiunge al danno, un<br />
dolore che non risarcisce altri dolori. Il card<strong>in</strong>al Mart<strong>in</strong>i, richiamando le<br />
Sacre scritture, è stato categorico: «Il cristiano non potrà mai giustificare<br />
il carcere, se non come momento di arresto di una grande violenza».<br />
Naturalmente, talvolta il carcere appare e diviene necessario. Ma entro<br />
limiti precisi. Scrive ancora Mart<strong>in</strong>i: «La carcerazione deve essere un <strong>in</strong>tervento<br />
funzionale e di emergenza, quale estremo rimedio temporaneo<br />
ma necessario per arg<strong>in</strong>are una violenza gratuita e <strong>in</strong>giusta» (Sulla giustizia,<br />
Mondadori 1999).<br />
Rimedio estremo e temporaneo. Vale a dire che il carcere deve essere<br />
considerato l“extrema ratio”, l’ultima possibilità, non la prima, non la<br />
scorciatoia. E che la pena deve essere a term<strong>in</strong>e, non perpetua. Invece, alla<br />
f<strong>in</strong>e del 2011 il totale dei reclusi che scontavano l’ergastolo ammontava<br />
a 1.528. Oltre mille e c<strong>in</strong>quecento persone che trovano <strong>in</strong>dicato nel<br />
proprio fascicolo l’anno 9999 come f<strong>in</strong>e della propria pena. Una pena <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita<br />
non può essere considerata vera giustizia.<br />
Da questa considerazione si può e si deve ripartire per una riflessione<br />
equilibrata a livello culturale, sociale e politico che tenga <strong>in</strong> adeguato<br />
conto le parti lese, le vittime dei reati, ma sapendo anche che una riforma<br />
della pena perpetua ostativa è necessaria.<br />
Non è materia che riguarda solo i giuristi e i tecnici o i diretti <strong>in</strong>teressati.<br />
Urla a bassa voce ci ricorda che siamo tutti chiamati <strong>in</strong> causa, nella<br />
società e davanti alle nostre coscienze. Come scrive Maria dopo la morte<br />
di Aziz, un giovane suicida nel penitenziario di Spoleto: «Ogni uomo<br />
che si toglie la vita <strong>in</strong> carcere lo fa anche per causa mia, per un qualcosa<br />
che io non ho fatto, per un’attenzione a una sofferenza che non ho voluto<br />
o saputo vedere».<br />
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d. Luigi Ciotti
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Il mondo considera bene il bene<br />
Questo è il suo male (Tao-te-k<strong>in</strong>g)<br />
“Cosa mi aspetto da questo libro? Innanzitutto di far conoscere la Pena<br />
di Morte Viva <strong>in</strong> Italia. Una morte lenta ma più crim<strong>in</strong>ale di qualsiasi<br />
altra morte. Poi per far sapere al mondo dei vivi che l’uomo ombra è un<br />
fantasma <strong>in</strong> una cella, che spesso i cattivi sanno riconoscere il bene più<br />
dei buoni, che conoscono e puntano il dito solo sul male degli altri, e mai<br />
su se stessi. E poi che ci sono tanti buoni fra i cattivi, come tanti cattivi<br />
fra i buoni”.<br />
Quando ho chiesto a Carmelo Musumeci cosa si aspettava da questo<br />
libro, questa è stata la sua risposta. E <strong>in</strong>sieme a lui queste pag<strong>in</strong>e sono<br />
state scritte da altre trentac<strong>in</strong>que persone detenute nelle carceri italiane.<br />
“Detenuti speciali”, molti passati attraverso il regime del 41bis, che è sospensione<br />
delle normali regole di trattamento penitenziario, tutti condannati<br />
all’ergastolo, pena che si è tradotta <strong>in</strong> “ergastolo ostativo”, prodotto<br />
dell’<strong>in</strong>asprimento delle pene con le quali lo Stato ha risposto ai reati<br />
di mafia all’<strong>in</strong>izio degli anni ‘90, un meccanismo per cui la condanna<br />
diventa un “f<strong>in</strong>e pena mai”.<br />
Che significa? “Chiedetelo a noi. Lasciate che siamo noi a spiegarvelo”,<br />
hanno detto.<br />
Le domande sono arrivate. Da cittad<strong>in</strong>i, che sono <strong>in</strong>segnanti, medici,<br />
volontari, giornalisti, suore. Le risposte hanno composto questo “libro<br />
collettivo”.<br />
Trentasei dunque gli autori. Rappresentano tutte le persone, si calcola<br />
attualmente siano circa 1.200, sui circa 1.500 condannati all’ergastolo,<br />
cui <strong>in</strong> Italia sono di fatto cancellati tutti i diritti e i benefici previsti durante<br />
la detenzione dalla legge per buona condotta.<br />
In filigrana, costante, una domanda che mi faccio e che ci fanno que-<br />
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sti uom<strong>in</strong>i, molti da circa due decenni <strong>in</strong> carcere, molti senza nessuna<br />
speranza di uscirne.<br />
L’articolo 27 della nostra Costituzione recita, al terzo comma, “Le pene<br />
non possono consistere <strong>in</strong> trattamenti contrari al senso di umanità<br />
e devono tendere alla rieducazione del condannato”. A tratti, ce ne ricordiamo.<br />
Quando qualche dramma che ci sembra più drammatico degli<br />
altri ci costr<strong>in</strong>ge, per il tempo che vale nel nostro tempo una notizia,<br />
a sbirciare su quello che accade nelle carceri italiane.<br />
Ma perché siamo pronti a dimenticarlo una volta di più, a distogliere<br />
<strong>in</strong> fretta e per sempre gli occhi, <strong>in</strong>fastiditi, per chi è più cattivo degli altri?<br />
Eppure credo non ci sia una ‘scala’ del male per cui, oltre un certo grad<strong>in</strong>o,<br />
si possa derogare a tutto. Non lo può fare uno Stato che si dichiari<br />
civile, non lo possiamo pensare noi.<br />
Anche per questo non troverete nelle note a queste pag<strong>in</strong>e risposte alla<br />
curiosità, se ci fosse, di sapere di quali fatti queste persone siano state accusate,<br />
né specificati i reati per i quali ognuno è stato condannato, a meno<br />
che, fra le righe, qualcuno di loro abbia voluto farvi cenno.<br />
Qualche tempo fa, andando alla presentazione di un libro di Carmelo<br />
Musumeci, Vauro, uno dei relatori, ha parlato di una lezione avuta dal<br />
figlio, che con Musumeci aveva <strong>in</strong>trecciato una corrispondenza fatta di<br />
lettere e disegni. Non ha mai chiesto suo figlio, ha detto Vauro, “Ma cosa<br />
ha fatto Musumeci?”. Perché <strong>in</strong>somma, quell’uomo che dal carcere <strong>in</strong>via<br />
disegni e scrive così bei racconti, è stato condannato a una pena grave<br />
come quella dell’ergastolo? E mi ha fatto sentire <strong>in</strong> buona compagnia<br />
questo bamb<strong>in</strong>o, perché, quasi vergognandomi, neanch’io ho mai voluto<br />
sapere che cosa ha mai comb<strong>in</strong>ato quest’uomo, per essere <strong>in</strong> carcere e con<br />
una condanna così pesante.<br />
Ma da quando ho sentito di questa lezione, non me ne vergogno più.<br />
Perché come ama ripetere Nadia Bizzotto, della Comunità Papa Giovanni<br />
XXIII, citando una frase cara al fondatore della comunità don<br />
Oreste Benzi, “L’uomo non è il suo errore”, e sempre più ne sono conv<strong>in</strong>ta<br />
anch’io.<br />
Curando le pag<strong>in</strong>e di questo libro, al buio di volti che non conosco, mi<br />
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sono affidata a ciò che le loro parole trasmettono. E credo sia stato giusto<br />
così, perché è dal buio, per chi è da questa parte del muro, che queste<br />
parole arrivano.<br />
Dal buio riaffiorano su pezzi di carta, su fogli quadrettati o protocollo,<br />
scritture <strong>in</strong>certe, grafie attente a essere chiare come si faceva a scuola, caratteri<br />
netti di chi ha potuto usare una macch<strong>in</strong>a da scrivere (ma chi sa<br />
che usarne una <strong>in</strong> carcere a volte è solo un miraggio?); di qualcuno che<br />
si scusa per qualche errore che sia sfuggito, ma “scrivo <strong>in</strong> fretta per mancanza<br />
di tempo: studio, lavoro…”; di chi spera “che il caldo torrido di<br />
quest’estate ci dia tregua, altrimenti sarà duro scrivere”; di chi “sapevo<br />
che sarebbero arrivate queste domande e ne arriveranno di peggio, ma<br />
ciò non toglie che possiamo superare questo ostacolo con molta filosofia<br />
d’animo sereno”...<br />
Parole crude, dure, disperate; toni, accuse feroci, a volte; giudizi a volte<br />
esasperati, netti, ripetuti, quasi un mantra, anche nei confronti dei<br />
pentiti, dello Stato e delle sue istituzioni, della Magistratura. Giudizi<br />
qualche volta un po’ sommari. A volte troppo. Ma anche pazienti racconti<br />
puntigliosi, percorsi da ripercorrere, lunghi, fiduciosi argomentare;<br />
brani di filosofia, veloci <strong>in</strong>cursioni nella storia, a suggerire il tempo della<br />
lettura <strong>in</strong> carcere; cenni pure di poesia, <strong>in</strong> un luogo dove la percezione<br />
del mondo che cambia senza poterne far parte, diventa “come tenere <strong>in</strong><br />
un pugno chiuso un po’ di sabbia”.<br />
La narrazione che ne nasce, disegna un mondo complesso, contraddittorio<br />
a volte, ricco comunque di un sentire ‘forte’. Il l<strong>in</strong>guaggio appare ‘rapito’<br />
da codici diversi che si <strong>in</strong>trecciano: giudiziari, religiosi, letterari, che<br />
si <strong>in</strong>nestano sui codici di vita o malavita che sia, con le loro enfasi, le loro<br />
sgrammaticature. Anche perché è solo <strong>in</strong> carcere che queste persone per<br />
lo più hanno com<strong>in</strong>ciato a studiare. Varcata la soglia di questo “errore di<br />
scrittura”, come il professor Giuseppe Ferraro def<strong>in</strong>isce il nostro sistema<br />
carcerario. Ho cercato di rispettare questo loro l<strong>in</strong>guaggio, limitando le<br />
modifiche, le correzioni, anche perché credo che il l<strong>in</strong>guaggio possa essere<br />
narrazione <strong>in</strong> sé. Ha <strong>in</strong> sé tutte le vite e i mondi che sottende.<br />
Devo confessare che appena ho avuto <strong>in</strong> mano gli scritti da cui è nato<br />
poi il libro, mi è sembrato di trovarmi come davanti a un muro. Poi, leg-<br />
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gendo e rileggendo, si è come aperto un varco nel fiume di frasi e di parole,<br />
seguendo un percorso che qui ripropongo.<br />
L’<strong>in</strong>vito è a provare a mettersi <strong>in</strong> ascolto di queste parole; anche di ciò<br />
che non è semplice capire, di op<strong>in</strong>ioni che possono sembrare o essere non<br />
condivisibili (ma cosa è sempre e per tutti condivisibile?) e che non ho<br />
voluto ‘censurare’. L’<strong>in</strong>vito dunque è a provare a mettersi <strong>in</strong> ascolto di parole<br />
e pensieri, spesso così ‘altri’ da noi. Pensieri a volte ripetuti, gli stessi<br />
che tornano nelle parole di ciascuno, ma che, a ben ascoltare, non sono<br />
sempre gli stessi. Mentre ossessivamente immutabili sono le ore, i<br />
giorni, gli anni trascorsi <strong>in</strong> carcere, specie se senza nessuna prospettiva di<br />
uscirne.<br />
Nel gennaio del 1976 Elias Canetti tenne un discorso sulla missione<br />
dello scrittore (lo si può ritrovare <strong>in</strong> La coscienza delle parole, Adelphi.<br />
p. 390 e ss). Indirizzato agli scrittori, ma prezioso per tutti.<br />
Parla, Canetti, del dovere di conservare la capacità di metamorfosi per<br />
tenere aperte le vie d’accesso tra gli uom<strong>in</strong>i, per essere capaci di “diventare<br />
chiunque”. Grazie alla metamorfosi, dice Canetti, l’uomo si è appropriato<br />
del mondo. Ma alla metamorfosi soprattutto l’uomo deve la<br />
sua pietà, che “non ha alcun valore se viene proclamata come sentimento<br />
generico e <strong>in</strong>determ<strong>in</strong>ato. Essa esige la concreta metamorfosi <strong>in</strong> ogni<br />
s<strong>in</strong>golo essere che vive e che c’è”. Nessuno, dice Canetti, sia resp<strong>in</strong>to nel<br />
nulla.<br />
Pietà, dunque, come capacità anche d’ascolto e di immedesimazione,<br />
che non è sentimento da ridurre, come impoverendolo spesso facciamo, a<br />
generica commiserazione o <strong>in</strong>dulgenza. Che nessuno, ma proprio nessuno<br />
degli autori di questo libro collettivo chiede. Avrebbe il sapore di altra<br />
prigionia.<br />
È quello che ho cercato di fare, e vorrei che pure per chi legge questa<br />
‘pietà’ fosse viatico, per orientarsi lungo le strade, <strong>in</strong>tricate, dei diritti che<br />
vanno perduti.<br />
Tutti gli <strong>in</strong>terventi sono stati scritti fra la primavera del 2010 e l’autunno<br />
del 2011.<br />
Un r<strong>in</strong>graziamento va alle persone che, rispondendo all’<strong>in</strong>vito lanciato<br />
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<strong>in</strong> rete dagli “ergastolani ostativi” a essere <strong>in</strong>terrogati sulla loro condizione,<br />
hanno posto loro le domande che hanno dato spunto ai racconti e<br />
alle riflessioni che seguono.<br />
Mita Borghesi, Dimitri Buffa (giornalista), Sab<strong>in</strong>a Buratta (studentessa),<br />
Francesca Cenerelli, Elia (giornalista), Clare Holme, Julia Stefania<br />
Labbate (sociologa), Susanna Mar<strong>in</strong>etti (dell’associazione Antigone),<br />
Antonio Piazza (docente), Giulia Pontillo (studentessa), Agnese<br />
Pozzi (medico), Antonella Ricciardi, Monica (<strong>in</strong>segnante), l’editore<br />
Sempre, le Suore Clarisse di Lagrimone (Parma).<br />
E Vittoria (impiegata), Giovanna (imprenditrice), Giovanni (ricercatore),<br />
Francesca (mediatrice culturale), Giulio (autista), amici e clienti<br />
di Mario Pontillo, che è un tassista. Nadia Bizzotto lo ha ‘reclutato’ per<br />
sollecitare domande fra i suoi clienti, durante una corsa a Roma, nella<br />
primavera dello scorso anno.<br />
Un r<strong>in</strong>graziamento a Carlo Fiorio, docente di Procedura Penale dell’Università<br />
di Perugia, per i consigli e le <strong>in</strong>dicazioni di carattere giuridico<br />
che ha gentilmente dato.<br />
Una citazione particolare per Nadia Bizzotto, che è responsabile della<br />
Casa di accoglienza della Comunità Papa Giovanni XXIII di Bevagna,<br />
<strong>in</strong> prov<strong>in</strong>cia di Perugia, e referente per il Servizio Carcere della stessa comunità,<br />
che di tutto questo, e soprattutto della difficile comunicazione<br />
fra il dentro e il fuori delle carceri, ha tenuto e tiene ancora le fila.<br />
E un r<strong>in</strong>graziamento particolare a Vauro, che ci ha donato la sua arte<br />
per la copert<strong>in</strong>a di questo lavoro.<br />
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Francesca de Carolis
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Gli autori<br />
Le note di presentazione delle persone che hanno partecipato<br />
alla scrittura di questo “libro collettivo”, sono autobiografiche.<br />
Molte sono riassunte <strong>in</strong> brevi cenni, qualcuna ha più lunghe argomentazioni,<br />
con l’<strong>in</strong>dicazione delle pene cui si è condannati,<br />
qualche volta espresse <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i che sono già giudizi. Come<br />
ciascuno ha ritenuto di presentarsi.<br />
Non credo sia errore né distrazione che alcune di queste note<br />
biografiche siano <strong>in</strong> prima persona e altre <strong>in</strong> terza, e a volte prima<br />
e terza persona si alternano nella stessa nota. Ho voluto lasciare<br />
i riferimenti come mi sono arrivati se, come credo, la scelta,<br />
anche ist<strong>in</strong>tiva, della prima persona è riappropriazione forte<br />
d’identità, mentre la terza persona risuona come un voler<br />
mettere distanza fra la pena cui si è stati condannati e una più<br />
<strong>in</strong>tima essenza della propria identità.<br />
Paolo Amico, casa di reclusione di Parma, 44 anni. In carcere dall’ottobre<br />
1990, con condanna all’ergastolo. Sono stato al 41 bis dall’ottobre<br />
1992 al marzo 2009 nelle seguenti carceri: Pianosa, L’Aquila, Tolmezzo.<br />
Non ho mai usufruito di alcun permesso, né da uomo libero,<br />
né scortato.<br />
Sono Giovanni Marco Avarello, nato a Ravanusa (RG) il 14.09.1965,<br />
attualmente ristretto presso il carcere di Voghera, sottoposto al regime<br />
differenziato A.S.1 (Alta Sorveglianza). Mi trovo <strong>in</strong> galera dal settembre<br />
1991, ho 45 anni e sono ergastolano (con l’aggravante dell’ostativo).<br />
L’idea di raggruppare i pensieri di alcuni ergastolani ostativi<br />
<strong>in</strong> un unico libro, proposta dall’amico Carmelo Musumeci, la trovo<br />
valida. Con piacere do il mio umile contributo alla divulgazione dell’esistenza<br />
dell’ergastolo ostativo, del quale si muore lentamente.<br />
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Ciro Bruno, nato a Grottaglie (TA), 52 anni, <strong>in</strong> carcere dal 17.11.1990.<br />
Condanna: ergastolo ostativo. Regime detentivo 41 bis: sono stato al<br />
41 bis dal 20 luglio 1992 f<strong>in</strong>o al 23 dicembre 2005, nel carcere di Br<strong>in</strong>disi,<br />
Ascoli, As<strong>in</strong>ara, Lecce, Viterbo e Spoleto. Poi il 30 aprile 2008 mi<br />
viene riapplicato il 41 bis senza motivo, <strong>in</strong>fatti il Tribunale di sorveglianza<br />
di Roma il 23 marzo 2010 revocò il 41 bis. In tutto ho fatto 15<br />
anni e mezzo di 41 bis (vale a dire 15 anni e mezzo sottoposto a tortura).<br />
Giuseppe Costa, dal carcere di Opera. Nato a Siderno Mar<strong>in</strong>a 15.2.49,<br />
detenuto dal 1990 per porto d’armi 416 bis e concorso <strong>in</strong> omicidio,<br />
416 bis, condannato a otto anni, per l’omicidio all’ergastolo. Il giorno<br />
23 marzo del 2010 ho f<strong>in</strong>ito 20 anni di carcere. Il coraggio… forse è<br />
quello che ci fa andare avanti perché si spera <strong>in</strong> un futuro migliore.<br />
Mi chiamo De Feo Pasquale, nato a Pontecagnano (SA) il 27.01.1961.<br />
Sono detenuto dal 1983 e sto scontando l’ergastolo. Sono stato al 41<br />
bis all’isola dell’As<strong>in</strong>ara dal 1992 al 1996. Ho trascorso due terzi della<br />
mia esistenza tra quattro mura. Ripensando, mi rendo conto di aver<br />
buttato via la mia vita, colpevole senza attenuanti di questa gravissima<br />
colpa. Ho fatto soffrire chi mi vuole bene e ho mortificato i loro<br />
sentimenti. Tengo viva la speranza perché ho fiducia nel futuro, a dispetto<br />
del clima di chiusura alimentato da professionisti dell’odio.<br />
L’amore ha sempre v<strong>in</strong>to sull’odio.<br />
Mauro De Filippi, nato a Lecce, 46 anni. In carcere dal 14.4.2003, con<br />
condanna all’ergastolo, ostativo. Non sono mai stato al 41 bis.<br />
Generoso De Mart<strong>in</strong>o, 58 anni, <strong>in</strong> carcere da quando ne avevo 41. Sono<br />
ergastolano detenuto dal 30 ottobre 1993. Sono nato il 16.05.1952.<br />
Mi chiamo Salvatore Diaccioli, sono nato a Catania il 23.05.1957. Da<br />
oltre 17 anni mi trovo <strong>in</strong> carcere, per espiare un “f<strong>in</strong>e pena mai”. Questa<br />
non è la mia prima carcerazione e senza dubbio l’ultima e la più<br />
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lunga ed è quella che mi ha fatto <strong>in</strong>vecchiare. Sono <strong>in</strong> carcere dal<br />
30.01.1993, condannato all’ergastolo più 10 mesi di isolamento diurno<br />
per una condanna di 28 anni. Mai avuto regime di 41 bis.<br />
Ora nel carcere di Car<strong>in</strong>ola. Se oggi sono qui a rispondere a queste<br />
“domande”, è perché sono stanco, stanco di svegliarmi ogni matt<strong>in</strong>a e<br />
portare questo fardello, ogni giorno più pesante.<br />
Io sono un figlio della strada, la mia <strong>in</strong>fanzia l’ho vissuta <strong>in</strong> vari collegi,<br />
l’adolescenza <strong>in</strong> case di recupero, sono diventato adulto nei carceri,<br />
mi sono sposato <strong>in</strong> carcere nel lontano 1975, ho quattro figli che<br />
ho cresciuto poco (e il risultato oggi è quello che è).<br />
Sono Far<strong>in</strong>a Giovanni, nato a Tempio Pausania il 22.09.1950, Sassari<br />
(OT).<br />
Attualmente sono <strong>in</strong> detenzione nel carcere di Pena a Catanzaro, via<br />
Tre Fontane n. 28 C. C. Siano.<br />
Ergastolo “ostativo”, f<strong>in</strong>e pena mai. Non ho appartenenza a “Mafie”,<br />
o condanne di omicidi o stragi di Stato. (…) Sono <strong>in</strong> detenzione da<br />
anni. Il solo scopo da parte delle istituzioni italiane di impormi di autoaccusarmi<br />
di un crim<strong>in</strong>e che non ho commesso. Ancora oggi 1 marzo<br />
2010 mi viene applicata la carcerazione illegale, perché non ho la<br />
possibilità di pagarmi un avvocato di fiducia per fare un <strong>in</strong>cidente di<br />
esecuzione del cumulo delle pene. Dovevo essere scarcerato nel 2007<br />
per f<strong>in</strong>e pena, perché attualmente con i benefici della liberazione anticipata<br />
negli anni passati e dei condoni di cui ho beneficiato negli anni<br />
della mia carcerazione ho già scontato più di 40 anni di carcere.<br />
Io son un umile ragazzo di campagna. Nei miei lunghi anni di vita<br />
vissuta tra le mura di una prigione mi è stata spenta ogni forma di vita<br />
che avevo <strong>in</strong>torno a me. I miei genitori sono morti senza che io potessi<br />
nemmeno sentirli per telefono <strong>in</strong> punto di morte. Eppure mi ritengo<br />
fortunato perché non sono riusciti a spegnermi il pensiero.<br />
Alfio Fichera, Car<strong>in</strong>ola. Nato a Catania, sessant’anni. Dal 7 febbraio<br />
1994 condannato all’ergastolo. In regime A.S., mai stato al 41 bis.<br />
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Gerti Gjenerali, nato a Tirana (Albania), 37 anni. Sono stato arrestato<br />
<strong>in</strong> Germania nello 08.10.1997. Con condanna all’ergastolo. Mi trovo <strong>in</strong><br />
un regime detentivo che si fa chiamare A.S.3. Non sono mai stato al 41<br />
bis. In questi anni non ho mai usufruito di permessi da uomo libero.<br />
Mi chiamo Salvatore Guzzetta, la mia città natale è Catania (Sicilia)<br />
dove sono nato 58 anni fa. Sono <strong>in</strong> carcere <strong>in</strong><strong>in</strong>terrottamente dal<br />
1992. Prima e ultima carcerazione (mai prima di questa ero stato <strong>in</strong><br />
carcere). La mia condanna è l’ergastolo. Sconto questa condanna <strong>in</strong><br />
regime di Alta Sicurezza. Dal ‘92 al ‘94 sono stato a regime di carcere<br />
duro, al 41 bis. Questi due anni li ho scontati nel carcere di Sollicciano,<br />
a Firenze. Attualmente nel carcere di Opera.<br />
Sono stato sempre restio alle domande dei giornalisti, ma, per la<br />
causa del buon f<strong>in</strong>e a cui andrà questo nostro progetto e per la voce<br />
che i media ci daranno, vale la pena rispondere a queste e ad altre domande,<br />
se ce ne faranno…<br />
Mi chiamo Emanuele Interlici, nato a Vittoria, prov<strong>in</strong>cia di Ragusa, il<br />
6.8.67, <strong>in</strong> atto ristretto nella casa di reclusione di Car<strong>in</strong>ola.<br />
Purtroppo <strong>in</strong> giovane età sono stato co<strong>in</strong>volto <strong>in</strong> vicende illecite, ero<br />
solo un ragazzo poco più che ventenne, <strong>in</strong>censurato, e, dovuto alla<br />
mia <strong>in</strong>coscienza nonché al contesto sociale del tutto “marcio”, non c’è<br />
voluto molto ad essere “aspirato <strong>in</strong> un vortice”, plagiato da gente cattiva<br />
(divenuti tutti collaboratori di giustizia), usato come un buratt<strong>in</strong>o,<br />
ritrovandomi la vita rov<strong>in</strong>ata, unitamente alla mia cara famiglia e<br />
a mia moglie <strong>in</strong> particolar modo.<br />
Sono stato arrestato il 13.3.91, unico arresto avuto <strong>in</strong> vita mia!<br />
Adesso mi trovo con una condanna all’ergastolo, sono cresciuto e<br />
<strong>formato</strong> <strong>in</strong> carcere con tutt’altri ideali, cambiato e lontano da quel<br />
“passato deviante” di cui nulla più mi appartiene, grazie ad un mio<br />
processo di ravvedimento <strong>in</strong>teriore senza alcuni <strong>in</strong>tenti utilitaristici.<br />
Oggi mi trovo con 20 anni di carcerazione espiata, sperando di avere<br />
una possibilità verso un futuro di vita migliore, procreare figli con<br />
mia moglie, che ho sposato <strong>in</strong> carcere, dare un riscatto sociale, che di<br />
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URLA AL BUIO 18_6_2012:PUCCINI 8_11_2008 18/06/12 14.36 Pag<strong>in</strong>a 18<br />
certo non deluderei. Terrei a precisare che personalmente non ho mai<br />
ucciso nessuno.<br />
Rispondo a tutte le domande che mi sono state poste, con senso di<br />
responsabilità, coerenza e s<strong>in</strong>cerità.<br />
Giuseppe Iov<strong>in</strong>ella, carcere di Saluzzo. 45 anni, nato a Napoli. Condannato<br />
a quattro ergastoli. Mai stato al 41 bis.<br />
Lent<strong>in</strong>i Giovanni, è nato a Crotone il 08.01.1974, è sposato e padre di<br />
un figlio di 12 anni. Nel luglio 2005 è stato arrestato nella Repubblica<br />
di San Mar<strong>in</strong>o nonostante non ci siano accordi <strong>in</strong>ternazionali per l’estradizione,<br />
tra San Mar<strong>in</strong>o e Italia, nell’aprile 2006 è stato estradato<br />
o meglio consegnato alla D.I.A.<br />
Nel giugno del 2007 è stato condannato <strong>in</strong> primo grado dalla Corte<br />
d’Assise di Ravenna a 27 anni di reclusione, nell’ottobre 2008 gli è stata<br />
<strong>in</strong>asprita la pena dalla Corte d’Assise di Appello di Bologna, che ha<br />
revocato le attenuanti generiche concesse dai Giudici di primo grado,<br />
<strong>in</strong>fliggendogli la pena perpetua, il 30 aprile 2009 la Suprema Corte di<br />
Cassazione gli ha dichiarato <strong>in</strong>ammissibile il ricorso, confermando<br />
l’<strong>in</strong>fausta sentenza di secondo grado.<br />
Attualmente è detenuto a Bologna <strong>in</strong> espiazione della condanna all’ergastolo<br />
divenuta irrevocabile il 9 maggio 2009 (di certo non si può<br />
dire che la giustizia con lui è stata lenta).<br />
Ha vissuto f<strong>in</strong>o all’età di 16 anni a Crotone, da qui si è trasferito nel<br />
nord Italia per lavoro, girovagando un po’ dappertutto, f<strong>in</strong>o ad arrivare<br />
nel 1994 nella riviera romagnola, a Riccione, dove ha vissuto stabilmente<br />
f<strong>in</strong>o al 2005, data <strong>in</strong> cui è rimasto impigliato nella rete dell’antimafia,<br />
sradicato dai suoi affetti, dalla sua vita privata e lavorativa,<br />
catapultato <strong>in</strong> una realtà crudele, dove i diritti umani vengono violati<br />
quotidianamente.<br />
Ha sempre lavorato nel campo dell’edilizia, dapprima come manovale<br />
edile, f<strong>in</strong>o ad avere una piccola impresa di costruzioni che gestiva<br />
<strong>in</strong>sieme ai suoi fratelli. Inoltre, dal 1999 era socio di 3 circoli dove<br />
si praticava il gioco d’azzardo le cosiddette “Bische Clandest<strong>in</strong>e”.<br />
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Da premettere che <strong>in</strong> Romagna il gioco d’azzardo è diffuso e praticato<br />
anche nei locali pubblici, Bar, Pub etc… ed i circoli sopracitati<br />
erano aperti con regolari licenze, autorizzazioni comunali e della Pubblica<br />
Sicurezza. In Emilia Romagna ci sono cent<strong>in</strong>aia di circoli aperti<br />
da decenni gestiti da romagnoli, ma secondo la Procura antimafia bolognese<br />
solo le bische clandest<strong>in</strong>e dove è socio Lent<strong>in</strong>i, sono l’ambiente<br />
dove è maturato il movente dell’omicidio di cui lo stesso ed altri<br />
sono stati condannati all’ergastolo (Forse solo perché Lent<strong>in</strong>i è Calabrese<br />
e la mente del Pubblico M<strong>in</strong>istero cont<strong>in</strong>ua a considerare il calabrese<br />
s<strong>in</strong>onimo di Brigante o di ‘Ndranghetista).<br />
Attualmente nel carcere di Bologna sta frequentando un corso di etica<br />
e filosofia, un corso di iconografia e sta studiando per diplomarsi.<br />
Mi chiamo Paolo Lo Deserto e sono di Lecce. Ho 38 anni e da 7 e<br />
mezzo <strong>in</strong> carcere condannato all’ergastolo. Prima volta <strong>in</strong> carcere, <strong>in</strong>censurato,<br />
ma soprattutto <strong>in</strong>nocente, grazie ai signori collaboratori ed<br />
un presidente di corte assise secondo cui tutto ciò che voleva fornire<br />
la difesa era irrilevante e dove l’accusa sbagliava e si era confusa. Con<br />
ciò lascio immag<strong>in</strong>are lo schifo a cui ho assistito nel mio primo processo<br />
da cittad<strong>in</strong>o.<br />
Sebastiano Milazzo, età 60 anni, arrestato il 4.6.1993. Condanna: ergastolo.<br />
Non sono mai stato detenuto <strong>in</strong> regime di 41 bis, non ho mai<br />
usufruito di permessi da libero.<br />
Carmelo Musumeci. Nasce il 27 luglio 1955 ad Aci Sant’Antonio <strong>in</strong><br />
prov<strong>in</strong>cia di Catania. Si trova ora nel carcere di Spoleto. Entrato con<br />
licenza elementare, mentre è all’As<strong>in</strong>ara <strong>in</strong> regime di 41 bis riprende<br />
gli studi e da autodidatta term<strong>in</strong>a le scuole superiori. Nel 2005 si laurea<br />
<strong>in</strong> giurisprudenza con una tesi <strong>in</strong> Sociologia del diritto dal titolo<br />
“Vivere l’ergastolo”. L’11 maggio 2011 si è laureato all’Università di<br />
Perugia al Corso di Laurea specialistica <strong>in</strong> Diritto Penitenziario, con<br />
relatore il Prof. Carlo Fiorio, docente di Diritto Processuale Penale.<br />
Nel 2007 conosce don Oreste Benzi e da allora condivide il progetto<br />
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“Oltre le sbarre”, programma della Comunità Papa Giovanni XXIII. Ha<br />
pubblicato i libri Gli Uom<strong>in</strong>i Ombra e Undici ore d’amore di un uomo<br />
ombra, editi da Gabrielli Editori, è promotore della campagna “Mai dire<br />
mai” per l’abolizione della pena senza f<strong>in</strong>e. Collabora con diverse testate<br />
e blog su <strong>in</strong>ternet come: urladalsilenzio.wordpress.com; www.l<strong>in</strong>kontro.<strong>in</strong>fo<br />
(collegata all’associazione Antigone), www.<strong>in</strong>formacarcere.it, ha<br />
un sito www.carmelomusumeci.com dove alcuni amici pubblicano i<br />
suoi scritti e il suo diario dal carcere.<br />
Domenico Pace, carcere di Car<strong>in</strong>ola. Nato a Rosarno (RC), 47 anni.<br />
Detenuto dal 22.04.1991. Pena da espiare: ergastolo. Attualmente mi<br />
trovo <strong>in</strong> AS3, ma <strong>in</strong> passato sono stato nel regime E.I.V. (Elevato Indice<br />
di Vigilanza), mai al 41 bis.<br />
Luigi Peciccia, nato a Lecce, 42 anni. In carcere dal 3 giugno 2008.<br />
Condannato all’ergastolo, ostativo. Regime detentivo A.S.<br />
Mi chiamo Antonio Presta, sono nato nel 1972, sono entrato per la<br />
prima volta <strong>in</strong> carcere quando avevo appena 19 anni, il 23.07.1991,<br />
perché accusato di vari reati da un collaboratore di giustizia e condannato<br />
<strong>in</strong> via def<strong>in</strong>itiva ad un ergastolo a 25 anni.<br />
Ho espiato la pena <strong>in</strong> carceri lontano dalla mia regione (Puglia) e<br />
dai miei affetti più cari: Ascoli Piceno, Fossombrone, Opera (MI), dove<br />
sono tutt’ora detenuto da 10 anni. Oggi ho 38 anni, per cui, con la<br />
buona condotta già concessa, ho espiato 22 anni e 11 mesi all’1 gennaio<br />
2010.<br />
Giovanni Pr<strong>in</strong>ari, di Lecce, 48 anni, <strong>in</strong> carcere dal 5.1.1993, ergastolo.<br />
Reati non ostativi. Regime detentivo: sempre <strong>in</strong> A.S., tranne che nel<br />
periodo 1999/2001 <strong>in</strong> E.I.V.<br />
Mi chiamo Sebastiano Pr<strong>in</strong>o e sono nato a Nuoro il 29.07.1964. Condannato<br />
alla pena dell’ergastolo circa 15 anni fa, per una tentata rap<strong>in</strong>a<br />
ad un furgone portavalori che si è conclusa con la morte di due mi-<br />
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litari e di altrettanti miei presunti complici durante lo scontro a fuoco<br />
scaturito <strong>in</strong> tale occasione.<br />
Lavoro svolto <strong>in</strong> libertà per circa vent’anni: servo-pastore.<br />
Grado di istruzione al mio <strong>in</strong>gresso <strong>in</strong> carcere: 5ª elementare.<br />
Sono Giuseppe Pullara, nato a Palermo il 18.02.1960. Da oltre 16 anni<br />
sono detenuto per reati associativi e reati di sangue; sono un pluriergastolano<br />
che ha scontato 13 anni al 41 bis, <strong>in</strong> atto mi trovo a Voghera<br />
<strong>in</strong> A.S.1 e sono <strong>in</strong> proc<strong>in</strong>to di iscrivermi all’Università, se mi<br />
concedono alcune “comodità”. Il mio stato giuridico è quello di ergastolano<br />
ostativo.<br />
Girolamo Rannesi. Gli amici mi chiamano G<strong>in</strong>o, nome questo ereditato<br />
da mio nonno, altrimenti sono il signor Girolamo Rannesi. Nato<br />
a Catania. Età 48 anni. Sono detenuto <strong>in</strong><strong>in</strong>terrottamente dal 1992. Al<br />
momento dell’arresto avevo 29 anni, ero bello ricco e famoso, oggi lo<br />
sono molto meno. Ma veniamo alle cose serie: <strong>in</strong> carcere dal 10.11.92<br />
con condanna all’ergastolo per diversi omicidi che sarebbero maturati<br />
<strong>in</strong> un contesto di “guerra”. Le c.d. guerre tra clan contrapposti, dove<br />
tutti avrebbero avuto la possibilità di attaccare o di difendersi. Vengo<br />
letteralmente sepolto vivo, vengo processato attraverso l’ausilio<br />
della video conferenza. Questo comporta un grosso limite per la propria<br />
difesa: non sei <strong>in</strong> aula, non vedi la corte, non puoi <strong>in</strong>teragire per<br />
tempo con l’avvocato, ragion per cui nel giro di pochi anni sono stato<br />
condannato e travolto da una montagna di ergastoli ostativi.<br />
Vengo sottoposto all’<strong>in</strong>fame regime del 41 bis, dal 1994 s<strong>in</strong>o al 2007.<br />
Durante la sottoposizione al regime speciale sono stato detenuto a:<br />
Spoleto, Roma, Rebibbia, Cuneo, L’Aquila, Tolmezzo.<br />
Non ho mai usufruito di permessi senza l’ausilio della scorta. Attualmente<br />
sono detenuto presso la casa di reclusione di Spoleto, collocato<br />
nella sezione A.S.1.<br />
Ivano Rapisarda. Ero nato a Catania il 9.01.1971. Ero nato, perché ormai<br />
da molti anni, troppi anni, sono morto, senza speranza e senza<br />
futuro.<br />
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Sono stato arrestato a diciannove anni, il 28 novembre 1990. Ormai<br />
ho trascorso più anni della mia vita <strong>in</strong> carcere che fuori. Sono stato<br />
imputato di una trent<strong>in</strong>a di omicidi e condannato a tre ergastoli, mi<br />
trovo recluso nel carcere di Spoleto. Sono stato sottoposto per undici<br />
anni al regime di tortura del carcere duro del 41 bis. Sono stato arrestato<br />
per detenzione illegale d’armi, <strong>in</strong> seguito alla collaborazione di<br />
altre persone sono stato raggiunto da diverse ord<strong>in</strong>anze di custodia<br />
cautelare per omicidi, associazione mafiosa ed altro.<br />
La mia condanna è F<strong>in</strong>e pena mai, ma nella posizione giudica c’è<br />
una scadenza: gg 99 mese 999 anno 9999.<br />
Giuseppe Reitano, nato a Bosco di Rosarno (RC) 54 anni. In carcere<br />
dal 18.10.1991, con condanna all’ergastolo. In regime 41 bis non appena<br />
è stato <strong>in</strong>trodotto nel 1992, per 18 mesi ad Ascoli Piceno, poi dal<br />
1999 al 2000 a Spoleto, dal 2000 al 2003 a Terni.<br />
Elio Rotondale, detenuto nella Casa Circondariale e Reclusione di<br />
Car<strong>in</strong>ola (Caserta). Ergastolano. Nella mia vita ho commesso molti<br />
errori e sto ancora pagando per questi. Voglio precisare, però che essi<br />
sono dovuti più alle circostanze che alla natura della mia <strong>in</strong>dole che,<br />
fondamentalmente, è buona.<br />
Marzio Sepe, nato a Marzano di Nola (AV), 57 anni. In carcere da<br />
quando ne aveva 41, dal ‘96 con condanna “f<strong>in</strong>e pena mai”, ergastolo.<br />
Al 41 bis per 11 anni, a Parma, Secondigliano (NA), Novara, Rebibbia<br />
per 8 anni.<br />
Alfredo Sole, Carcere di Opera. Nato a Racalmuto (AG) 18.11.67. Dal<br />
1° settembre 1991 ergastolo def<strong>in</strong>itivo. Al 41bis dal 1993 al 2005, <strong>in</strong> varie<br />
carceri: Caltanissetta, Palermo, Agrigento, Spoleto, Ascoli Piceno.<br />
Sorrent<strong>in</strong>o Giuseppe, nato il 19 marzo ‘63 a Boscoreale (Napoli), attualmente<br />
residente presso la casa di reclusione di Opera (Mi), entrato<br />
<strong>in</strong> carcere a 31 anni. La data di arresto: il 10.01.1995. Vi elencherò<br />
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URLA AL BUIO 18_6_2012:PUCCINI 8_11_2008 18/06/12 14.36 Pag<strong>in</strong>a 23<br />
le date dei luoghi del carcere (regime 41 bis): dal 2.03.2000 al<br />
17.12.2005 carcere di Tolmezzo, carcere di Secondigliano, Ascoli Piceno,<br />
carcere dell’Aquila.<br />
Vi elencherò le mie gravi patologie.<br />
Ho subito un <strong>in</strong>tervento al cuore triplo bypass. Sono affetto da ulcera,<br />
<strong>in</strong>test<strong>in</strong>o con 400 polpi. La relazione cl<strong>in</strong>ica, hanno scritto che <strong>in</strong><br />
ogni momento sono <strong>in</strong> pericolo di vita. Una sola volta feci un’istanza<br />
di sospensione di pena per causa malattia. Il giudice di sorveglianza<br />
mi rigettò l’istanza con una motivazione vergognosa. Perché nel carcere<br />
sono controllato 24 ore al giorno. È vergognoso.<br />
Sono Anton<strong>in</strong>o Sudato, di c<strong>in</strong>quantasette anni, nato <strong>in</strong> Sicilia, condannato<br />
alla pena dell’ergastolo. Mi trovo <strong>in</strong> carcere da qu<strong>in</strong>dici anni.<br />
Sono stato <strong>in</strong> passato sottoposto al regime di tortura del 41bis, per otto<br />
anni. Per tre anni sono stato <strong>in</strong> carcere a Spoleto, ora trasferito a<br />
Sulmona. Sono felicemente sposato con quattro figli.<br />
Angelo Tandurella, nato a Gela il 05/08/1970. Condannato all’ergastolo,<br />
dopo 11 anni di carcere a Spoleto è stato trasferito a Rossano calabro.<br />
Nadia Bizzotto, che lo conosce personalmente: “È un uomo purificato,<br />
forse dal dolore di aver passato la sua giov<strong>in</strong>ezza <strong>in</strong> carcere,<br />
dal tempo perduto che non tornerà <strong>in</strong>dietro. Chi era Angelo 15 anni<br />
fa è difficile da dire oggi, mi viene solo da pensare che se non fosse nato<br />
<strong>in</strong> Sicilia il suo dest<strong>in</strong>o sarebbe stato un altro… perché ancora non<br />
ho trovato un ragazzo condannato all’ergastolo all’età di 20 anni<br />
che fosse altoates<strong>in</strong>o, valdostano o semplicemente romagnolo…”. Angelo<br />
Tandurella, che si def<strong>in</strong>isce così: Sono un uomo che fra pochi mesi<br />
compie 40 anni, 15 li ha trascorsi <strong>in</strong> carcere. Ho un “F<strong>in</strong>e Pena Mai”<br />
e se tu mi chiedi: chi sei oggi? Io ti rispondo che non sono quella persona<br />
che tanti anni fa ha distrutto <strong>in</strong> pochi secondi la sua vita, e anche<br />
quella di altri.<br />
Sono l’ergastolano Trudu Mario, un sardo nato nella prov<strong>in</strong>cia di<br />
Nuoro, ad Arzana, nel 1950. Mi trovo <strong>in</strong> carcere da 32 anni, dal mag-<br />
23
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gio del 1979, con una condanna all’ergastolo. (Con imputazione sequestro<br />
di persona a scopo di estorsione). F<strong>in</strong>o ad oggi la mia trentennale<br />
carcerazione è stata <strong>in</strong>terrotta da soli dieci mesi di latitanza (periodo<br />
che va da giugno del 1986 ad aprile del 1987). Venti anni fa entrai<br />
nei term<strong>in</strong>i per poter usufruire dei benefici penitenziari e da allora<br />
ho <strong>in</strong>iziato a presentare diverse richieste per poterli ottenere, ma sono<br />
state resp<strong>in</strong>te sistematicamente tutte f<strong>in</strong>o a quando nel 2004 mi fu<br />
concesso un permesso di 8 ore, altre 7 ore nel 2005, sempre per partecipare<br />
alla presentazione di lavori realizzati <strong>in</strong> carcere. Poi più nulla.<br />
Angelo Salvatore Vacca, nato e residente a Lecce, 42 anni, detenuto a<br />
Opera (Milano), <strong>in</strong> carcere dal 1.07.1995, con condanna all’ergastolo.<br />
Non sono mai stato al 41 bis.<br />
Giovanni Zito. Autobiografia sommaria: nato a Catania il 02.12.1969,<br />
è accusato di 416 bis e altro. In<strong>in</strong>terrottamente detenuto dal 1996 è<br />
stato sottoposto al regime speciale del 41 bis. Dal 19 aprile 1997 al<br />
7.11.2006.<br />
In totale ho scontato 17 anni di carcere. Dopo aver girato numerosi<br />
istituti di pena è attualmente detenuto nel carcere di Voghera (Pavia)<br />
dove cont<strong>in</strong>ua a scontare la sua pena all’ergastolo (ostativo). Istituti <strong>in</strong><br />
cui sono stato nel 41 bis op.: As<strong>in</strong>ara, Viterbo, Aquila, Novara, Cuneo.<br />
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Fermoimmag<strong>in</strong>e<br />
Che immag<strong>in</strong>e trattiene di sé una persona dopo anni di carcerazione?<br />
Queste descrizioni, che alcuni ergastolani danno di loro<br />
foto scattate <strong>in</strong> carcere, ci avvic<strong>in</strong>ano a comprendere possibili<br />
momenti di frattura della propria identità. Sono tratte dalla<br />
tesi di laurea <strong>in</strong> Sociologia di Matteo Guidi, dell’Università Alma<br />
Mater Studiorum di Bologna, che r<strong>in</strong>graziamo per la gentile<br />
concessione.<br />
Sono piuttosto commenti, reazioni avute davanti alla propria<br />
immag<strong>in</strong>e quando <strong>in</strong> questa diventa difficile riconoscersi (<strong>in</strong><br />
carcere non ci sono specchi a tutta lunghezza, e quelli che ci sono<br />
sono piccoli, deformanti a volte, e si perde l’abitud<strong>in</strong>e a ‘vedersi’).<br />
Ritratti, per provare a immag<strong>in</strong>are i volti, e non solo, di<br />
una categoria di carcerati di cui nessuno sembra conoscere l’esistenza:<br />
gli “ergastolani ostativi”.<br />
GIUSEPPE REITANO. Vedete questa foto? L’ho fatta fuori al campo di calcio<br />
e non <strong>in</strong> una cella, ma per la prima volta non vedo me stesso, vedo<br />
un’altra persona, guardo questa mia foto e mi domando chi è costui?<br />
Mi sembra uno sconosciuto, quando l’ho vista per la prima volta<br />
gli stavo dicendo che hanno sbagliato, che non è la mia foto.<br />
La guardo ancora dopo mesi e non mi riconosco, non so se sono io,<br />
forse il fotografo ha fotografato un carcerato che sono io, ma che non<br />
sono più io, io sono quello di Sulmona con il camice bianco che dip<strong>in</strong>geva<br />
<strong>in</strong> una stanza e non questo <strong>in</strong> un campo da calcio dentro a un<br />
carcere. Questo assomiglia a un avanzo di galera, e non a me che non<br />
mi sento tale.<br />
È come vedere una persona sconosciuta, una persona che ti sconvolge<br />
solo a guardarlo, ho paura che chi mi vede <strong>in</strong> questa foto ha la stes-<br />
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sa paura che ho io, è come vedere una foto del vecchio west quando<br />
mettevano la foto con la taglia di un ricercato, per questo mi sconvolge.<br />
GIROLAMO RANNESI. Dopo qu<strong>in</strong>dici giorni mi furono consegnate c<strong>in</strong>que<br />
foto, mamma mia non le avessi mai fatte, ma chi cazzo era la persona<br />
ritratta? Non certo io, ma allora chi era? Ai miei occhi questi apparve<br />
come un estraneo, un ergastolano, <strong>in</strong>vecchiato, abbrutito. Cazzo! ma<br />
la matt<strong>in</strong>a quando mi alzo e mi guardo allo specchio sembro quasi car<strong>in</strong>o,<br />
boh! Le buttai nel sacchetto della spazzatura, mai avrei mandato<br />
le foto di un estraneo a casa mia.<br />
Con riferimento all’ultima fotografia… Ho potuto fare la foto <strong>in</strong><br />
occasione di un torneo di calcetto. Ho scelto io la posizione, seduto<br />
sull’erba con le gambe <strong>in</strong>crociate, per l’occasione <strong>in</strong>dossai un paio di<br />
jeans corti e una maglietta con su scritto: L’uomo non è il suo errore…<br />
Dopo una settimana <strong>in</strong> una busta chiusa mi fu consegnata la tanto<br />
sospirata foto. Non volevo vederla, per paura di rivedere ancora<br />
una volta un estraneo, poi l’amico che avrebbe fatto il calendario me<br />
la richiese, beh, a quel punto non potevo fare altro, ho aperto la busta<br />
ed ecco spuntare fuori il solito ergastolano che non mi somiglia per<br />
niente. Sullo sfondo della foto però qualcosa di car<strong>in</strong>o si vedeva, l’erba<br />
e un piccolo alberello, poi tagliato per motivi di sicurezza.<br />
ALFIO FICHERA. Mi trovavo nel carcere di Ferrara. Là <strong>in</strong>contrai un sacerdote<br />
cappellano del carcere, che dal lunedì al sabato girava nelle sezioni<br />
d’alloggio dei detenuti per eseguire opere caritatevoli. (…) A<br />
tutte queste attività don Antonio ne aggiungeva un’altra, la fotografia.<br />
Non ci riprendeva quasi mai <strong>in</strong> pose studiate, ma nelle diverse attività<br />
che svolgevamo all’<strong>in</strong>terno delle celle e del carcere: <strong>in</strong> cuc<strong>in</strong>a, nella biblioteca,<br />
nei cortili di passeggio, mentre svolgevamo i lavori di distribuzione<br />
del vitto o di pulizia dei corridoi e delle scale. Poi, dopo la<br />
messa domenicale, <strong>in</strong> una stanza adibita a sagrestia, ci faceva trovare<br />
tutte le foto attaccate alla parete, così che noi potevamo decidere se<br />
farne copie da mandare ai famigliari o tenerle per noi. Attraverso<br />
quelle foto i miei famigliari e io stesso siamo riusciti a superare quel-<br />
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lo che non può certo dirsi un contraccolpo da niente: il carcere. Dal<br />
‘98 ad oggi, a Car<strong>in</strong>ola, non ho potuto fare una sola foto.<br />
SEBASTIANO MILAZZO. Dopo 12 anni arrivo a Spoleto e mi faccio delle foto<br />
e provo un senso di shock, perché dell’immag<strong>in</strong>e che conservo di me<br />
non restava niente. Mi sono trovato <strong>in</strong>vecchiato, <strong>in</strong>grassato, non mi riconoscevo<br />
<strong>in</strong> quelle foto e non le ho mai <strong>in</strong>viate a casa ai miei cari.<br />
Hanno avuto mie foto quando mi è stato concesso di farle con loro.<br />
ALFREDO SOLE. Scegliere la foto che mi ritrae? Beh, quella scattata nel<br />
campo sportivo, <strong>in</strong> uno spazio “libero”, con il verde. Ho voluto una foto<br />
che non restasse impresso nessun segno che la collegasse al carcere.<br />
È la foto che ho mandato a casa ai miei familiari. Indossavo un completo<br />
da portiere e sullo sfondo a parte il tappeto verde, la “mia porta”.<br />
Tutto sommato sembra una foto scattata <strong>in</strong> un qualsiasi campo sportivo<br />
del mondo libero. Sì, l’ho voluta quella foto, anche se guardandola<br />
mi sono accorto del reale trascorrere del tempo. Non ci sono molte<br />
occasioni qui dentro per poter osservare la propria figura per <strong>in</strong>tero, e<br />
osservarsi allo specchio <strong>in</strong> dotazione vedi solo la faccia. Ma la foto ti<br />
coglie per <strong>in</strong>tero, hai una visione di te <strong>in</strong> un unico sguardo e, che tu sia<br />
fotogenico o no, hai una realtà davanti, il tempo che è trascorso.<br />
IVANO RAPISARDA. L’agente per farmi rilassare mi ha detto: Rapisarda,<br />
meno rigido, le persone che la stanno abbracciando sono i suoi familiari…;<br />
tale battuta mi ha fatto ridere e sono uscite delle foto bellissime.<br />
Cosa si prova quando ti guardi <strong>in</strong> foto? Beh, è troppo personale come<br />
sensazione, per quanto mi riguarda dico: a parte qualche capello<br />
bianco, sei uguale… Ma scherzosamente attribuisco questo non cambiamento<br />
di fisionomia al fatto che siamo tutti al fresco e come tutte<br />
le cose ci conserviamo bene. Una sorta di ibernazione…<br />
CARMELO MUSUMECI. Dopo una dec<strong>in</strong>a di giorni l’agente/fotografo mi ha<br />
portato le fotografie <strong>in</strong> cella e nel vedermi abbracciato a mia figlia il<br />
mio cuore è affogato <strong>in</strong> un mare di felicità e di amore.<br />
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L’ergastolo ostativo<br />
Le norme, le loro modifiche, si <strong>in</strong>seguono, si sovrappongono.<br />
Quello che oggi viene def<strong>in</strong>ito “ergastolo ostativo” non è una pena<br />
prevista dal codice, ma il risultato di un meccanismo che deriva<br />
dall’<strong>in</strong>treccio delle leggi nate per combattere mafia e crim<strong>in</strong>alità<br />
organizzata.<br />
Il reato di associazione di tipo mafioso è stato <strong>in</strong>trodotto per la<br />
prima volta dopo l’omicidio del generale Dalla Chiesa, avvenuto<br />
nel settembre dell’‘82, con l’articolo 416 bis del Codice penale cui<br />
qui si fa spesso riferimento. Ma passano gli anni, e il fenomeno<br />
mafioso sembra <strong>in</strong>arg<strong>in</strong>abile. Fra la primavera e l’estate del 1992<br />
vengono uccisi i giudici Falcone e Borsell<strong>in</strong>o e gli uom<strong>in</strong>i della loro<br />
scorta. Con Falcone muore anche la moglie Francesca Morvillo.<br />
Anche sull’onda emotiva provocata da queste stragi, e per favorire<br />
la “collaborazione” delle persone arrestate, è stato creato<br />
un regime di carcerazione differenziato, e <strong>in</strong>trodotta l’altra norma<br />
‘chiave’ di cui qui si parla, il 4 bis della legge sul trattamento<br />
penitenziario. Questa norma esclude la concessione dei benefici<br />
previsti dalla legge Gozz<strong>in</strong>i e delle misure alternative al carcere<br />
per le persone condannate per i reati di stampo mafioso, come<br />
anche per il sequestro di persona a scopo di estorsione, a meno<br />
che non si collabori con la giustizia. Il non aver collaborato con la<br />
giustizia diventa qu<strong>in</strong>di <strong>in</strong> qualche modo pregiudiziale, ‘ostativo’<br />
dunque, all’ottenimento di qualsiasi beneficio, anche dopo anni<br />
e anni di carcerazione. Questo vale, nel caso, anche per chi non è<br />
condannato all’ergastolo. Ma per un ergastolano diventa di fatto<br />
un “f<strong>in</strong>e pena mai”.<br />
Sempre sull’onda dell’emergenza degli anni ‘90 arriva nelle carceri,<br />
per chi abbia commesso delitti legati alla crim<strong>in</strong>alità organizzata,<br />
la sospensione delle normali regole di trattamento dei<br />
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detenuti. Il famoso 41bis, che riguarda il trattamento penitenziario,<br />
e che f<strong>in</strong>o al ‘92 veniva applicato <strong>in</strong> caso di rivolta o <strong>in</strong> situazioni<br />
di grave emergenza. Dopo l’omicidio del giudice Giovanni<br />
Falcone, è stato esteso anche alle persone <strong>in</strong> carcere per reati<br />
legati alla crim<strong>in</strong>alità organizzata. Insomma, un regime differenziato<br />
e particolarmente duro, che affianca gli altri regimi di<br />
“Alta sicurezza”, nei quali si va a f<strong>in</strong>ire all’uscita dal regime 41bis.<br />
Gli <strong>in</strong>terventi che seguono, non uniformi, a volte possono sembrare<br />
contraddittori. Ma, come dice Carmelo Musumeci, “il<br />
campo della giustizia è come quello religioso, non ci sono verità<br />
assolute perché la legge va <strong>in</strong>terpretata”. Qu<strong>in</strong>di alla domanda<br />
“che cos’è, chi riguarda l’ergastolo ostativo” è possibile trovare<br />
risposte e umori diversi <strong>in</strong> base all’esperienza di ciascuno.<br />
Del meccanismo che ‘osta’ all’ottenimento dei benefici<br />
extramurari dei condannati. Delle leggi dell’emergenza,<br />
del 41 bis e dell’<strong>in</strong>ferno dantesco dei circuiti differenziati<br />
ANTONIO PRESTA. L’ergastolo ostativo riguarda tutti quegli ergastolani<br />
condannati per omicidio (575 C.P.) legati o riconducibili alla crim<strong>in</strong>alità<br />
organizzata (416 bis C.P.) o per sequestro di persona (630 C.P.)<br />
con la morte del sequestrato, che ai sensi dell’art. 4 bis, ‘norma simbolo’<br />
della riforma penitenziaria del 1991/92, possono accedere ai benefici<br />
penitenziari o alle misure alternative alla detenzione solo a condizione<br />
che collabor<strong>in</strong>o con la giustizia. 1<br />
Nella nuova formulazione risultante dalle modifiche <strong>in</strong>trodotte dalla<br />
legge n. 279 del 2002, l’art. 4 bis consente l’applicazione dei benefici<br />
penitenziari nei confronti dei condannati per delitti ostativi sopra<br />
citati, quando la limitata partecipazione al fatto crim<strong>in</strong>oso, ovvero<br />
l’<strong>in</strong>tegrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, rende comunque<br />
impossibile un’utile collaborazione con la giustizia.<br />
1 Norma <strong>in</strong>trodotta dal primo comma dell’art. 1 del Decreto Legge n. 152 del 1991,<br />
che ha subìto una serie di successive modifiche, dall’art. 15 del Decreto n. 306 del<br />
1992, f<strong>in</strong>o alla più recente della legge del 23 aprile 2009 n. 38.<br />
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La sentenza della Corte Costituzionale n. 135 del 2003 ha, però,<br />
chiarito che solo attraverso la collaborazione con la giustizia la persona<br />
detenuta può dimostrare di essere uscita dal circuito della crim<strong>in</strong>alità<br />
organizzata e si può, qu<strong>in</strong>di, esprimere con certezza il suo ravvedimento<br />
e accedere ai benefici penitenziari.<br />
Noi siamo per lo più detenuti <strong>in</strong> circuiti differenziati, Alta Sicurezza<br />
ed Elevato Indice di Vigilanza, attualmente A.S.1, A.S.2, A.S.3. 2<br />
GIOVANNI LENTINI. Mi viene da rispondere subito che l’ergastolo ostativo<br />
riguarda solo ed esclusivamente persone meridionali, ma non ne sono<br />
certo, qu<strong>in</strong>di non posso affermarlo. Comunque è una misura che<br />
viene applicata a tutti coloro che a parere della Magistratura (o meglio<br />
secondo le varie Direzioni Distrettuali Antimafia dislocate su tutto<br />
il territorio nazionale), si siano macchiati di gravi delitti di sangue,<br />
di omicidi, ed hanno fatto parte di associazioni a del<strong>in</strong>quere come:<br />
‘Ndrangheta, Mafia, Camorra, Sacra Corona Unita o altre mafie. L’ergastolo<br />
diventa ostativo anche quando viene applicata l’aggravante di<br />
cui all’art. 7 del d.l. n. 152 dl 1991. 3 Sembra, però, che ci siano due<br />
orientamenti, contrastanti, della Suprema Corte, <strong>in</strong> quanto <strong>in</strong> alcune<br />
sentenze si legge che: l’art. 7 è <strong>in</strong>applicabile: ovvero applicabile solo ed<br />
esclusivamente ai reati che non prevedono la condanna all’ergastolo;<br />
<strong>in</strong> altri casi si legge che: anche se l’art. 7 non va ad <strong>in</strong>cidere sull’aumento<br />
della pena <strong>in</strong> quanto l’ergastolo è il massimo della pena che si<br />
può comm<strong>in</strong>are <strong>in</strong> Italia per chi commette un assass<strong>in</strong>io, si deve tener<br />
conto di tale articolo ai f<strong>in</strong>i dei benefici penitenziari, rendendo dunque<br />
<strong>in</strong>applicabile le misure alternative previste dalla Legge Gozz<strong>in</strong>i.<br />
C’è tanta gente con questa condanna che è <strong>in</strong>nocente, io compreso.<br />
2 I circuiti penitenziari differenziati nascono nel 1991. 41-bis Riservato (il più duro),<br />
41-bis, Alta sicurezza, Elevato Indice di Vigilanza. Quest’ultimo (EIV) nel 2009 è stato<br />
abolito e sono nati tre sottocircuiti dell’Alta Sicurezza: A.S.1, per appartenenti alla<br />
crim<strong>in</strong>alità organizzata di tipo mafioso; A.S.2, per imputati o condannati per delitti<br />
commessi con f<strong>in</strong>alità di terrorismo, anche <strong>in</strong>ternazionale, o di eversione dell’ord<strong>in</strong>e<br />
democratico mediante atti di violenza; A.S.3, per detenuti per mafia, sequestro<br />
di persona, traffico <strong>in</strong>ternazionale di sostanze stupefacenti.<br />
3 Si tratta dell’aggravante della f<strong>in</strong>alità di agevolazione di associazione mafiosa.<br />
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C’è addirittura chi da <strong>in</strong>nocente, su consiglio del proprio legale, per<br />
cercare di evitare l’ergastolo si è autoaccusato di delitti che non ha<br />
commesso, e nonostante ciò gli è stata <strong>in</strong>flitta la pena perpetua.<br />
GIANNI ZITO. L’art. 4 bis esclude ogni beneficio, come permessi, semilibertà,<br />
libertà condizionale. Anche le telefonate e i colloqui con i propri<br />
familiari possono subire restrizioni.<br />
Ecco perché vi sono discrim<strong>in</strong>azioni tra detenuti e “detenuti”: se<br />
commetto un delitto non legato alla crim<strong>in</strong>alità organizzata posso<br />
usufruire della legge Gozz<strong>in</strong>i. Ma un reato è sempre un reato. Io sono<br />
un detenuto che ha scontato 10 anni di 41 bis. Oggi sono detenuto <strong>in</strong><br />
alta sicurezza A.S.1, cioè primo livello come ex 41 bis. Ma non posso<br />
usufruire di nessun beneficio perché condannato al 4 bis. Qu<strong>in</strong>di vivere<br />
per morire ogni giorno della mia vita.<br />
Tutti coloro che sono stati condannati per reati “ostativi” 4 sono <strong>in</strong>nocenti,<br />
perché il reato ti viene attribuito nel corso del processo, e non<br />
prima, <strong>in</strong> base agli sviluppi che nasceranno nel medesimo processo<br />
dalla collaborazione dei pentiti!!<br />
Qu<strong>in</strong>di chi più ne ha più ne metta. Legna al fuoco… e tutti o quasi tutti<br />
sappiamo come vanno queste cose nelle aule di giustizia del sud Italia.<br />
GIUSEPPE PULLARA. Credo che almeno il 30% degli ergastolani ostativi<br />
sono <strong>in</strong>nocenti. Che si può fare per loro? Primo: far sì che i giudici di<br />
revisione abbiano il coraggio di riaprire un nuovo procedimento, senza<br />
farsi condizionare dal nome del soggetto, dalla Procura generale e<br />
dalla l<strong>in</strong>ea politica. Secondo, bisognerebbe riprist<strong>in</strong>are il diritto naturale:<br />
“Meglio un colpevole fuori che un <strong>in</strong>nocente dentro”. Le leggi attuali<br />
sono responsabili dell’omicidio più grave per la società <strong>in</strong>tera,<br />
quello del Diritto ugualitario.<br />
SALVATORE DIACCIOLI. Tutt’oggi ci sono <strong>in</strong> carcere persone che per un<br />
ruolo “marg<strong>in</strong>ale” stanno espiando delle pene esagerate. Ma i processi<br />
che si sono svolti nel periodo 1993-2000, erano gli stessi collabo-<br />
4 Per “reato ostativo” si <strong>in</strong>tendono i reati per i quali sono previste misure che “ostano”<br />
alla concessione di benefici, e qu<strong>in</strong>di quelli che cadono sotto il regime del 4 bis.<br />
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ranti che li facevano; la Corte giudicante sembrava solo una formalità.<br />
Qualunque cosa questi dicevano “era veritiera” e sembrava non necessitare<br />
di nessun riscontro oggettivo e soggettivo.<br />
Io sono stato sempre conv<strong>in</strong>to che se oggi facessero quegli stessi<br />
processi molti di noi verrebbero assolti, e tanti avrebbero una forte dim<strong>in</strong>uzione<br />
di pena.<br />
PAOLO LO DESERTO. L’ergastolo ostativo riguarda tutte quelle persone che<br />
vengono condannate a morte da vivi dai signori magistrati. Perché <strong>in</strong><br />
Italia la pena di morte è stata abolita <strong>in</strong> maniera fittizia e <strong>in</strong> subord<strong>in</strong>e<br />
è stato creato l’ergastolo ostativo, una pena che ti uccide giorno dopo<br />
giorno, che non ti dà né un futuro né un presente e resti prigioniero<br />
del tuo passato.<br />
Purtroppo quando si viene arrestati per vari reati e ci viene contestato<br />
il 416 bis i giudici non guardano <strong>in</strong>nocenza o colpevolezza, ma<br />
il clamore ed il successo che si susciterà nel condannare, <strong>in</strong> quanto se<br />
<strong>in</strong> un futuro (come più volte è accaduto) uno è <strong>in</strong>nocente, il giudice<br />
non paga. Attualmente i magistrati pensano che <strong>in</strong> cielo comanda<br />
Dio, la giustizia div<strong>in</strong>a, e sulla Terra loro non sono da meno a nostro<br />
Signore, per decidere la sorte di un essere umano.<br />
GIROLAMO RANNESI. L’ergastolo ostativo è una pena certa… così sul certificato<br />
di detenzione: f<strong>in</strong>e pena: 9999.<br />
La legge italiana paradossalmente punisce <strong>in</strong> modo più severo un<br />
malavitoso che ammazza un altro malavitoso piuttosto che un del<strong>in</strong>quente<br />
comune che ammazza donne, bamb<strong>in</strong>i o comunque persone<br />
<strong>in</strong>ermi. Questi possono essere puniti anche con la pena dell’ergastolo,<br />
ma questo comunque darà loro la possibilità di uscire.<br />
Chi sono <strong>in</strong>vece gli ergastolani ostativi? Uom<strong>in</strong>i che a torto o a ragione<br />
avrebbero ucciso altri malavitosi <strong>in</strong> una sorta di “guerra” dove<br />
tutti potevano attaccare, difendersi, o scappare.<br />
Il fatto di essere un ergastolano ostativo l’ho scoperto da solo.<br />
Ci sono moltissimi ergastolani che sono ostativi a qualsiasi beneficio,<br />
ma di questo allo stato non hanno ancora nessuna contezza. Lo<br />
scopriranno alla prima richiesta di un permesso-premio.<br />
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Se chiamati a rispondere alla stessa domanda: cos’è l’ergastolo ostativo?<br />
Ognuno risponderebbe <strong>in</strong> modo diverso. Questo perché allo stato<br />
non tutti sono stati <strong>in</strong>dottr<strong>in</strong>ati a dovere dai propri avvocati. D’altronde<br />
quale avvocato direbbe mai al proprio assistito: lei non potrà<br />
mai più uscire dal carcere?<br />
Ma è necessario sapere che il punto scatenante perché ad un soggetto<br />
venga comm<strong>in</strong>ato l’ergastolo ostativo è uno, uno soltanto: ossia per<br />
aver cagionato la morte di p<strong>in</strong>co pall<strong>in</strong>o per agevolare l’associazione<br />
di tipo mafioso. E poco importa se il condannato all’<strong>in</strong>terno della<br />
stessa ricoprisse un ruolo di mero affiliato.<br />
ALFREDO SOLE. …e il 41bis non è nato per impedire che la persona <strong>in</strong><br />
carcere comunicasse con la propria organizzazione. È nato per vendetta.<br />
Sì, la vendetta dello Stato. Quella che doveva essere un’emergenza,<br />
f<strong>in</strong>ì per diventare una legge, causa naturale di una campagna<br />
politica volta solo ed esclusivamente ad <strong>in</strong>cutere paura nella gente,<br />
creando così la malattia e il vacc<strong>in</strong>o.<br />
PASQUALE DE FEO. Gli organismi <strong>in</strong>ternazionali hanno criticato l’Italia<br />
per il regime del 41 bis, ma i nostri politici fanno f<strong>in</strong>ta di niente e strumentalizzano<br />
per f<strong>in</strong>i populistici.<br />
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con la sentenza Musumeci-<br />
2005, ha condannato l’Italia per aver violato il diritto di accesso ad un<br />
tribunale <strong>in</strong> relazione all’applicazione del regime E.I.V. 5<br />
La Commissione per la prevenzione della Tortura dell’Unione Europea<br />
ha condannato il regime di 41 bis, ritenendo che esso violi l’art. 3<br />
della Convenzione Europea che recita: “Nessuno può essere sottoposto<br />
a tortura, né a pene o a trattamenti <strong>in</strong>umani o degradanti”.<br />
Il Consiglio Europeo nel 2010 ha condannato il trattamento riservato<br />
alle persone sottoposte a questo regime.<br />
5 È la sentenza della IV Sez., 11 gennaio 2005, ricorso n. 33695/96 – Musumeci contro<br />
Italia. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per la violazione<br />
dell’art. 6 par. 1, della Convenzione, per aver violato il diritto di accesso ad<br />
un tribunale <strong>in</strong> relazione all’applicazione del regime di Elevato Indice di Vigilanza,<br />
sul presupposto della sua maggiore afflittività.<br />
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Amnesty International condanna e critica l’applicazione del 41 bis.<br />
Un magistrato americano ha rigettato la richiesta di estradizione<br />
per un boss italo-americano perché il regime del 41 bis è una tortura<br />
che viola la convenzione ONU. 6<br />
Il presidente della Società Italiana Psicologi Penitenziari, Alessandro<br />
Bruni, ha dichiarato: “Il 41 bis va reso più umano e accettabile per<br />
quanto riguarda i contatti umani. Si è trattato di una necessità storica,<br />
ma non si può pensare di gestire sempre tutto con l’emergenza”.<br />
Lo diceva anche Aristotele 2300 anni fa: “Una giustizia giusta è quella<br />
che promuove i legami sociali”. Anche l’umanizzazione della pena<br />
passa attraverso le relazioni sociali.<br />
LUIGI PECICCIA. Questa pena riguarda di conseguenza anche le famiglie<br />
dei detenuti, che subiscono l’angoscia di questa pena primitiva. Per i<br />
diversi <strong>in</strong>nocenti, fra noi, che scontano pene non loro, bisognerebbe<br />
credere <strong>in</strong> loro e aiutarli concretamente a istituire un ufficio di verifica<br />
per questi casi.<br />
PAOLO AMICO E ALFREDO SOLE. “Qualsiasi cittad<strong>in</strong>o è <strong>in</strong>nocente f<strong>in</strong>ché non<br />
verrà riconosciuto colpevole”, ma per chi ha l’etichetta di “mafioso” la<br />
norma diventa: “Sono tutti colpevoli f<strong>in</strong>ché non dimostreranno la loro<br />
<strong>in</strong>nocenza”. Visto che l’Italia ha bisogno di colpevoli… vedete voi...!<br />
E cosa dire a proposito di casi di prigionieri, ad esempio alcuni<br />
esponenti delle Brigate Rosse, che pur non essendo divenuti pentiti<br />
giudiziari sono usciti, sia pure dopo non pochissimi anni?<br />
CARMELO MUSUMECI. L’ergastolo ostativo non è mai scattato per i reati<br />
della lotta armata perché nella legge del 1992 questi reati ne sono sta-<br />
6 Nell’ottobre del 2007 un giudice di Los Angeles, D.D. Sitgraves, ha negato all’Italia<br />
l’estradizione di Rosario Gamb<strong>in</strong>o, ritenuto esponente di spicco dell’omonimo clan<br />
newyorchese, sostenendo che il regime di detenzione 41bis equivale ad una forma di<br />
tortura. Già <strong>in</strong> una precedente sentenza lo stesso giudice aveva sostenuto che il sistema<br />
penitenziario italiano per i boss mafiosi ha caratteristiche “che costituiscono una<br />
forma di tortura” e violano la convenzione delle Nazioni Unite <strong>in</strong> materia (fonte Ansa,<br />
“Los Angeles Times”).<br />
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ti esclusi. L’art. 4 bis della legge allora stabiliva che “quando si tratta di<br />
detenuti o <strong>in</strong>ternati per delitti commessi per f<strong>in</strong>alità di terrorismo o<br />
eversione dell’ord<strong>in</strong>amento costituzionale ovvero di detenuti o <strong>in</strong>ternati<br />
per i delitti di cui agli art. 575 ecc. i benefici suddetti possono essere<br />
ammessi solo nei casi <strong>in</strong> cui non vi siano elementi tali da far ritenere<br />
la sussistenza di collegamento con la crim<strong>in</strong>alità organizzata o<br />
eversiva”. Qu<strong>in</strong>di <strong>in</strong>dipendentemente dall’aver collaborato con la giustizia.<br />
Il divieto di concedere benefici legato alla non collaborazione<br />
viene <strong>in</strong>trodotto con la riforma del 2002, e non è retroattivo. 7<br />
Le norme ostative al concedere i benefici penitenziari, sono un ritorno<br />
al passato, <strong>in</strong> quanto negano e limitano i benefici <strong>in</strong> relazione<br />
alla tipologia dei delitti commessi, e questo significa tornare al medioevo.<br />
I limiti e i divieti posti dalla legge si pongono <strong>in</strong> contrasto con il<br />
pr<strong>in</strong>cipio della funzione rieducativa della pena, sancito dall’art. 27<br />
comma 3° Cost. perché esclude a priori per talune categorie di condannati<br />
la possibilità di una progressiva rieducazione. In poche parole,<br />
si diventa cattivi per sempre.<br />
Il carcere ostativo è l’<strong>in</strong>izio di un <strong>in</strong>cubo. L’uomo ombra diventa<br />
spettatore della sua vita. Smette di pensare, smette di essere persona e<br />
diventa un fantasma.<br />
SEBASTIANO MILAZZO. Il fatto che alcuni esponenti dell’area politica sono<br />
riusciti a liberarsi dal carcere è perché hanno avuto, nelle stanze del<br />
potere e non solo, simpatie politiche per loro, e queste <strong>in</strong> Italia contano<br />
più dei reati e più delle stesse leggi, poi perché hanno ottenuto i benefici<br />
prima che la politica usasse le misure repressive come mezzo di<br />
ricerca di facile consenso elettorale e, non meno importante, si trattava<br />
di gente colta e che aveva all’esterno e all’<strong>in</strong>terno del carcere chi poteva<br />
fornire loro il supporto necessario per affrontare il re<strong>in</strong>serimento<br />
nel lavoro e nella società.<br />
Nell’applicazione dell’articolo 4 bis, al di là dei casi patologici, non<br />
7 Oggi anche i delitti di terrorismo sono ostativi, nel senso che i benefici possono essere<br />
concessi solo previa collaborazione. Rimane il divieto di retroattività.<br />
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<strong>in</strong>fluisce molto la sensibilità dei magistrati che, un po’ peggio o un<br />
po’ meglio, applicano la legge. Influisce il modo scriteriato di legiferare<br />
e il clima di paura e allarmismo diffuso attraverso i media. Sono<br />
questi gli elementi che condizionano la sensibilità dei magistrati<br />
e degli operatori penitenziari, perché i primi sono quotidianamente<br />
accusati di <strong>in</strong>fliggere pene troppo lievi, mentre i secondi sono fatti<br />
vivere nell’angoscia che il condannato fuori può commettere altri<br />
reati.<br />
SALVATORE VACCA. Nella maggior parte dei casi si è tolta la vita ad un’altra<br />
persona, prima che l’altra persona la togliesse a noi (questa non è<br />
certo una giustificazione)…<br />
Se ci sono <strong>in</strong>nocenti fra noi? A mio avviso sarebbe più corretto porgere<br />
questa domanda a quei collaboratori di giustizia, e non pentiti,<br />
che hanno fatto condannare persone all’ergastolo pur sapendole <strong>in</strong>nocenti.<br />
“la Repubblica”, nell’ottobre 2011, titola: Il racconto del pentito<br />
Spatuzza: ecco come preparammo l’auto con il tritolo. Via d’Amelio,<br />
così abbiamo ucciso Borsell<strong>in</strong>o. E tornano <strong>in</strong> libertà gli<br />
ergastolani condannati nel vecchio processo.<br />
Cronaca di un <strong>in</strong>contro<br />
Uno di questi ergastolani, Cosimo, condannato per quella strage è<br />
uscito dal carcere di Spoleto. Prima di uscire è passato a salutarmi.<br />
Sedici anni fa eravamo nella stessa stanza del carcere dell’As<strong>in</strong>ara<br />
(l’Isola del Diavolo, come la chiamavamo noi prigionieri) sottoposti<br />
al regime di tortura del 41 bis.<br />
L’avevo visto entrare che era un ragazz<strong>in</strong>o, con i capelli neri come il carbone<br />
e con il sorriso sempre stampato sulle labbra. E l’ho visto uscire l’altro<br />
giorno anziano, senza nessun sorriso e con tutti i capelli bianchi.<br />
Cosimo un paio di anni fa, sapendo dei miei studi universitari di<br />
giurisprudenza, mi chiese di fargli una richiesta di permesso premio.<br />
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Dopo un paio di mesi il magistrato di sorveglianza gli rispose <strong>in</strong><br />
questo modo:<br />
“Si dichiara <strong>in</strong>ammissibile la richiesta perché il detenuto è stato<br />
condannato per reati esclusi da qualsiasi beneficio penitenziario se<br />
non collabora con la giustizia”.<br />
Cosimo mi venne a trovare nella mia cella e mi chiese cosa volevano<br />
dire quelle parole, ed io gli risposi <strong>in</strong> maniera semplice come ormai<br />
faccio da anni con tutti gli ergastolani ostativi:<br />
– Vuole dire che sei dest<strong>in</strong>ato a morire <strong>in</strong> carcere se non metti <strong>in</strong> cella<br />
un altro al posto tuo.<br />
Dalla sua espressione del viso notai che forse non aveva capito il<br />
concetto e allora glielo spiegai ancora meglio:<br />
– Lo vuoi capire o no? Per uscire devi confessare i reati e fare i nomi<br />
di altri e farli condannare, solo facendo arrestare loro potrai uscire tu.<br />
Cosimo per un attimo mi guardò con i suoi occhi da lupo bastonato,<br />
poi li abbassò e mi rispose:<br />
– Carmelo, io per uscire farei qualsiasi cosa, ma sono <strong>in</strong>nocente e<br />
qu<strong>in</strong>di come faccio a confessare un reato che non ho mai commesso?<br />
Incredulo gli replicai:<br />
– Abbi pazienza, non è che non ti voglio credere, ma <strong>in</strong> carcere tutti<br />
dicono che sono <strong>in</strong>nocenti.<br />
Cosimo mi guardò per un lungo istante quasi con vergogna, poi<br />
sbottò:<br />
– Carmelo, ma io sono <strong>in</strong>nocente davvero.<br />
Rassegnato scrollai le spalle e gli risposi:<br />
– Mi dispiace Cosimo, ma non posso fare nulla! Purtroppo se sei <strong>in</strong>nocente<br />
è peggio per te.<br />
L’altro giorno quando ci siamo salutati e abbracciati, gli ho augurato<br />
di rifarsi una vita, quella poca che lo Stato italiano e le sue medievali<br />
leggi gli hanno lasciato ancora da vivere.<br />
(CARMELO MUSUMECI, novembre 2011)<br />
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Il pentimento, la collaborazione<br />
Non aver collaborato con la giustizia è una scelta che qui viene<br />
ribadita con forza. F<strong>in</strong>o a resp<strong>in</strong>gere la legittimità del term<strong>in</strong>e<br />
‘pentiti’ che comunemente ormai tutti usiamo per <strong>in</strong>dicare i<br />
collaboratori di giustizia, trasformando l’atteggiamento morale<br />
che accompagna il riconoscimento di colpa <strong>in</strong> figura giuridica.<br />
In uno scenario dove molti sono f<strong>in</strong>iti <strong>in</strong> carcere proprio su<br />
<strong>in</strong>dicazione dei pentiti (e qualcuno si dichiara <strong>in</strong>nocente), dove<br />
collaborare con la giustizia può mettere <strong>in</strong> pericolo i propri familiari,<br />
dove “spesso i reati sono stati commessi <strong>in</strong>sieme ad<br />
amici con cui si è cresciuti f<strong>in</strong> da bamb<strong>in</strong>i”, non collaborare viene<br />
rappresentato soprattutto come assunzione di responsabilità.<br />
Del perché della scelta di ‘non collaborare’ e della necessità<br />
di dist<strong>in</strong>guere fra ‘pentimento’ e ‘collaborazione’<br />
GIOVANNI LENTINI. Bisogna capire cosa si <strong>in</strong>tende con la parola “pentimento”.<br />
Si è assistito e purtroppo si assisterà ancora a pentimenti fasulli;<br />
penso che molti collaborano con la giustizia solo per uscire dal<br />
carcere e prendere soldi dallo Stato, altri ancora per vendicarsi mettendo<br />
<strong>in</strong> galera i propri nemici, addirittura c’è chi ha fatto f<strong>in</strong>ta di<br />
pentirsi per poter uscire dal carcere e vendicarsi del male ricevuto dai<br />
clan avversari commettendo ulteriori omicidi. È questo ciò che ha fatto<br />
Totuccio Contorno a Palermo e ci ha rimesso il posto il Giudice Di<br />
Pisa negli anni 1992/1993. 1<br />
1 Alberto Di Pisa era stato accusato alla f<strong>in</strong>e degli anni Ottanta di essere l’autore delle<br />
lettere anonime alla Procura di Palermo che <strong>in</strong>augurarono una tormentata stagione<br />
di ‘veleni’. Era stato <strong>in</strong>dicato come ‘il corvo’ che firmava le lettere volte a m<strong>in</strong>are<br />
la credibilità di Falcone, accusato di avere ‘pilotato’ il ritorno <strong>in</strong> Italia di Totuccio<br />
Contorno con l’obiettivo di combattere la famiglia dei Corleonesi. Di Pisa, che aveva<br />
fatto parte del pool antimafia, fu condannato <strong>in</strong> primo grado a diciotto mesi per<br />
calunnia. Elemento di prova un’impronta digitale lasciata su una lettera ‘del corvo’.<br />
In appello l’impronta fu giudicata <strong>in</strong>utilizzabile e il magistrato assolto.<br />
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Chi ci dice che il famoso Giovanni Brusca sia effettivamente pentito<br />
di aver ucciso e sciolto nell’acido un bamb<strong>in</strong>o di 12 anni? È stato<br />
perdonato dalla magistratura e ha avuto la possibilità di avere permessi,<br />
ma né i giudici che gli hanno concesso di uscire dal carcere, né<br />
noi potremo mai sapere se si è pentito davvero di ciò che ha fatto.<br />
Penso che chi è pentito veramente di ciò che ha commesso non ha<br />
bisogno di gridarlo al mondo, o di mettere altra gente <strong>in</strong> galera cont<strong>in</strong>uando<br />
a fare dell’altro male, perché anche togliere la libertà ad una<br />
persona è sempre fare del male!<br />
Si può essere pentiti del male fatto <strong>in</strong> passato, impegnandosi a non<br />
rifarlo, <strong>in</strong>teressandosi ai problemi sociali, avvic<strong>in</strong>andosi con la preghiera<br />
a Dio, fare qualsiasi cosa che non sia male: questo per me è un<br />
pentimento vero.<br />
MARIO TRUDU. Il pentimento che pretendono loro è l’umiliazione. Per<br />
loro collaborazione significa perdita di dignità, fuoriuscire dalla sfera<br />
umana. Come può collaborare chi è stato vittima di processi compiuti<br />
con la roncola nei cosiddetti periodi di “emergenza” <strong>in</strong> cui contava<br />
solo la parola dell’accusa e dove i testimoni della difesa venivano sistematicamente<br />
arrestati e processati anche loro? L’Italia, dagli anni<br />
Ottanta ad oggi, pare essere un Paese <strong>in</strong> emergenza perenne.<br />
SALVATORE DIACCIOLI. Per quanto riguarda la mia persona, posso affermare<br />
che il mio pentimento è avvenuto <strong>in</strong>teriormente e non riesco a<br />
concepire perché si pretenda che uno deve per forza di cose barattare<br />
la libertà. Inoltre io non ho più nulla da dire dal momento che nel<br />
mio processo il 60% sono collaboranti (e tutto quello che gli ha fatto<br />
comodo lo hanno già detto). Cosa potrei aggiungere io, a che servirebbe<br />
la mia collaborazione? Forse per <strong>in</strong>colpare qualcun altro dei<br />
miei reati? No… se io ho delle colpe le voglio espiare e lo voglio fare<br />
nel giusto rispetto della legalità.<br />
ANGELO SALVATORE VACCA. …per non parlare poi dei pentiti che hanno accusato<br />
persone solo per “sentito dire”.<br />
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Aver aderito alla crim<strong>in</strong>alità organizzata, chi per scelta, chi si è fatto<br />
trasc<strong>in</strong>are, o chi è capitato <strong>in</strong> mezzo per caso, non vuol dire avere sposato<br />
questo tipo di scelta. Le persone sono umane, qu<strong>in</strong>di tutte possono<br />
commettere degli errori, è perseverare che è disumano. Credo che<br />
ad ognuno debba essere concessa non un’altra possibilità ma un’ultima<br />
possibilità.<br />
PAOLO LO DESERTO. …per non parlare dei signori collaboratori che vengono<br />
paragonati agli apostoli, che si pentono per “cont<strong>in</strong>uare a guadagnare<br />
soldi, non si fanno il carcere, effettuano le proprie vendette e<br />
deridono il sistema”… e cont<strong>in</strong>uano ad essere per sempre protetti, altrimenti<br />
m<strong>in</strong>acciano le cosiddette procure di ritrattare, per dire la verità<br />
su persone condannate <strong>in</strong>nocentemente. Ed io che sono all’ergastolo<br />
ostativo, per vedere un giorno di libertà dovrei collaborare?<br />
La mia colpa è di non sapere niente, e non perché sono un mafioso.<br />
Solo perché non saprei cosa <strong>in</strong>ventare su terze persone e non è giusto<br />
che pagh<strong>in</strong>o terze persone per me, altrimenti quando avrò l’onore<br />
d’<strong>in</strong>contrare Nostro Signore non avrei il coraggio di guardarlo negli<br />
occhi, che ho fatto soffrire degli <strong>in</strong>nocenti. E non sarei orgoglioso<br />
quando la matt<strong>in</strong>a mi sveglio per lavarmi la faccia e guardarmi allo<br />
specchio o di guardare <strong>in</strong> faccia la propria figlia. È contro la mia <strong>in</strong>dole<br />
rov<strong>in</strong>are famiglie altrui e comportarmi come altri hanno fatto<br />
con me. Rimango qui dove mi trovo senza aspettare un domani che è<br />
uguale a oggi e ieri, con l’unica speranza che un giorno venga alla luce<br />
la verità e si riconosca la mia estraneità a tutto ciò.<br />
PAOLO AMICO E ALFREDO SOLE. Sia ben chiaro, non scegliere il percorso della<br />
collaborazione non significa rifiutare le regole che lo Stato si è dato<br />
come strumento per regolare la convivenza civile, ma significa soltanto<br />
farsi carico delle proprie responsabilità, e qu<strong>in</strong>di accettare tutto<br />
ciò che esse comportano come punizioni per scelte devianti fatte <strong>in</strong><br />
passato. Significa pr<strong>in</strong>cipalmente non cercare scorciatoie che permettono<br />
sì di riacquistare la libertà, ma forse non favoriscono quelle<br />
profonde riflessioni che possono portare una persona a un reale cam-<br />
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biamento. Ma tali cambiamenti possono avverarsi solo se si <strong>in</strong>travede,<br />
anche lontanamente, un barlume di speranza. L’ostativo, uccide l’unica<br />
cosa che rimane a un ergastolano: la speranza.<br />
ANTONIO PRESTA. Se non pentendoci, come pensare di meritarsi la libertà?<br />
Perseguendo comunque un percorso di cambiamento e miglioramento<br />
rispetto ai disvalori del passato e restando fiduciosi <strong>in</strong> un<br />
cambiamento anche da parte delle istituzioni, perché la civiltà di un<br />
Paese si misura soprattutto dalla civiltà delle pene.<br />
GIUSEPPE PULLARA. Il pentimento è un nobile sentimento che nasce nel<br />
profondo del cuore e si manifesta attraverso l’amore verso l’altro, mutando<br />
il precedente approccio verso il prossimo. Ecco perché la libertà<br />
non può essere preclusa ai tanti accusati di appartenere a una delle famigerate<br />
organizzazioni crim<strong>in</strong>ali senza scrutare il pentimento del loro<br />
cuore dopo due o tre decenni di dura reclusione.<br />
Sono sicuro, chi legge non è lo stesso/a persona di 10-15-20 anni fa,<br />
sia per la durezza della vita, sia per la maturità fisiologica. Perché non<br />
può cambiare un uomo ergastolano ostativo?<br />
SEBASTIANO PRINO. Credo che solo un mentecatto o una persona sp<strong>in</strong>ta da<br />
una forte ideologia possa fare a meno <strong>in</strong> questi luoghi di riconsiderare<br />
il proprio vissuto e di analizzare le cause del proprio dest<strong>in</strong>o. Io perlomeno<br />
l’ho fatto, mi sono scrutato dentro ponendomi domande che nel<br />
tempo mi hanno portato a condividere la teoria del manicheismo, cioè<br />
una sorta di conflitto <strong>in</strong>teriore che a lungo andare ti fa maturare e non<br />
di rado fa vedere gli eventi della tua esistenza sotto altri profili.<br />
CARMELO MUSUMECI. Chi è quell’uomo che almeno per una volta non si<br />
è mai pentito di quello che ha fatto? Forse pers<strong>in</strong>o Dio si è pentito di<br />
aver creato l’uomo.<br />
In ogni caso… se quelli “liberi” hanno commesso un crim<strong>in</strong>e a danno<br />
della comunità, non sarebbe meglio collaborare per sanare, per dare<br />
un m<strong>in</strong>imo di giustizia e di tranquillità agli altri? Non credo.<br />
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Se quelli liberi si sono rifatti una vita e ora lavorano, sono dei<br />
buoni mariti e dei buoni padri, perché sbatterli dentro <strong>in</strong> un luogo<br />
brutto dove appassiscono la mente, il cuore e l’anima? E <strong>in</strong> ogni caso<br />
mandare una persona <strong>in</strong> carcere per <strong>in</strong>teresse non è mai una<br />
buona azione.<br />
Non credo che Giuda abbia fatto una buona azione vendendo Gesù<br />
per trenta denari.<br />
Ho scelto di non collaborare per non rubare la vita e la libertà degli<br />
altri.<br />
Sembra <strong>in</strong>credibile, e la mia non è una provocazione, ma il detenuto<br />
è una delle poche persone <strong>in</strong> questo Paese che ancora crede nelle<br />
leggi, se per rispettarle non collabora con la giustizia e <strong>in</strong> questo modo<br />
r<strong>in</strong>uncia alla sua libertà.<br />
Guarda gli imputati di tangentopoli, primo non hanno rispettato le<br />
leggi dello Stato e poi non hanno neppure rispettato le leggi dei ladri<br />
perché se la sono cantata quasi tutti e subito.<br />
GIUSEPPE IOVINELLA. Io ho scelto di non collaborare perché vivo di dignità.<br />
Credo che per pentirsi, se si ha commesso un illecito, non bisogna<br />
sedersi davanti a un giudice e accusare altri padri, figli o nipoti,<br />
ma rivolgersi a Dio e chiedere perdono e, se si può, aiutare i figli di chi<br />
ha subito.<br />
Ci sono persone che hanno scelto di non collaborare perché guardano<br />
negli occhi i propri figli e non vogliono portare via anche la loro<br />
vita. 2<br />
PASQUALE DE FEO. Collaborare? Non mi ha mai sfiorato questo pensiero,<br />
neanche nei momenti più bui, quando ero nel regime di tortura<br />
del 41 bis dell’As<strong>in</strong>ara. Anzi, tutte queste sofferenze hanno rafforzato<br />
<strong>in</strong> me questo proposito. Non mi è mai piaciuto fare la spia. Un uomo<br />
deve affrontare le sue disgrazie con dignità, senza cercare di sfuggire<br />
2 Il riferimento è al cambio di identità, quale misura di protezione prevista anche per<br />
i parenti dei pentiti.<br />
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mettendo altri al suo posto. Nessuno pensa mai che <strong>in</strong> carcere ci sono<br />
tanti <strong>in</strong>nocenti, accusati dai vari “Scarant<strong>in</strong>i”. 3<br />
Credo che per tutti coloro che hanno fatto questa scelta, i motivi siano<br />
grosso modo gli stessi, e tra questi i timori di creare problemi ai familiari,<br />
farli strappare dal contesto <strong>in</strong> cui sono nati e vivono; anche l’aver<br />
visto e provato le sofferenze e le lacerazioni di chi ha collaborato.<br />
Spesso i reati sono stati commessi <strong>in</strong>sieme ad amici con cui si è cresciuti<br />
f<strong>in</strong> da bamb<strong>in</strong>i, come si fa a tradire un amico che ormai è un fratello?<br />
Non vedo non sento, non parlo …e se fosse proprio questo che<br />
vuole lo Stato?<br />
SALVATORE GUZZETTA. Questo mi fa ricordare una barzelletta che mi ha<br />
raccontato un caro amico: un poliziotto per sbaglio spara, <strong>in</strong>vece di<br />
colpire un ladro colpisce un collega, un siciliano che aveva assistito alla<br />
scena viene arrestato, al commissariato l’ispettore <strong>in</strong>terroga l’uomo,<br />
<strong>in</strong>com<strong>in</strong>cia a imprecare: “Ti farò dare l’ergastolo se non mi dici cosa<br />
hai visto. Come sono andate le cose?”. Il siciliano imperterrito: “Ispettore<br />
iù nenti vitti nenti s<strong>in</strong>tii, e nenti sacciu, e si c’eru durmia!!”. L’ispettore<br />
lo guarda: “Puoi andare, caso risolto, è stato il ladro a uccidere<br />
il collega”. Questo succedeva una volta, oggi i tempi sono cambiati,<br />
e sono cambiati anche i siciliani.<br />
PASQUALE DE FEO. La settimana scorsa c’era un articolo sul quotidiano<br />
“la Repubblica”: un giudice dichiarava che doveva prosciogliere il comandante<br />
del carcere di Termoli 4 , che aveva affermato che i detenuti<br />
3 Il riferimento è a V<strong>in</strong>cenzo Scarant<strong>in</strong>o, pentito chiave del primo processo per la<br />
strage <strong>in</strong> cui fu ucciso il giudice Paolo Borsell<strong>in</strong>o. Scarant<strong>in</strong>o aveva <strong>in</strong>izialmente confessato<br />
di avere partecipato alla strage e si era accusato di aver procurato l’auto poi<br />
imbottita di tritolo che è costata la vita al giudice e ai c<strong>in</strong>que uom<strong>in</strong>i della scorta. Le<br />
prime condanne sono venute proprio <strong>in</strong> seguito alle sue dichiarazioni. La sua vicenda<br />
è accompagnata da molti colpi di scena. In seguito Scarant<strong>in</strong>o è stato smentito da<br />
un altro pentito, Gaspare Spatuzza, ed è lo stesso Scarant<strong>in</strong>o che davanti ai giudici<br />
del processo bis torna sui suoi passi.<br />
4 Il riferimento è all’archiviazione del caso relativo alla denuncia di un pestaggio che<br />
sarebbe avvenuto nel carcere di Castrogno (Teramo). Una prova audio non è stata<br />
considerata sufficiente.<br />
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“si massacrassero sotto il reparto e non nella sezione davanti agli altri<br />
detenuti”; la motivazione del giudice era che i detenuti non avevano<br />
rilasciato dichiarazioni che potessero r<strong>in</strong>viare a giudizio questo comandante.<br />
Un “povero cristo” avrebbe preso l’ergastolo, come l’hanno<br />
preso <strong>in</strong> tanti, per frasi <strong>in</strong>tercettate che si prestavano all’ambiguità.<br />
Invece, una registrazione chiara che non si presta a <strong>in</strong>terpretazioni<br />
non basta neanche per il r<strong>in</strong>vio a giudizio.<br />
Lo Stato protegge le sue gerarchie, a tutti i livelli, <strong>in</strong>vece quando si<br />
tratta di “poveri cristi” li elim<strong>in</strong>a con il carcere, <strong>in</strong>nocenti o colpevoli<br />
che siano. La storia ci <strong>in</strong>segna che il potere politico ha sempre usato i fenomeni<br />
crim<strong>in</strong>ali per elim<strong>in</strong>are le persone, usarle per il l<strong>in</strong>ciaggio mediatico,<br />
per coprire problemi e ruberie. Sì. Lo Stato vuole questo da noi.<br />
GIUSEPPE PULLARA. Lo Stato vuole così tante cose… ma non uscire dal<br />
labir<strong>in</strong>to creato dai suoi stessi membri. Ci vorrebbero tutti pentiti, ma<br />
non dobbiamo accusare i politici, altrimenti si è screditati; se decidiamo<br />
di collaborare devono gestire la tua mente aff<strong>in</strong>ché il nostro dire<br />
possa rendere quello che vogliono; ci lasciano marcire <strong>in</strong> m<strong>in</strong>uscole<br />
celle per due, tre, quattro decenni, solo per dimostrare all’op<strong>in</strong>ione<br />
pubblica che lottano il male assoluto con fermezza; ma sono clementi<br />
con pedofili assass<strong>in</strong>i.<br />
GIOVANNI ZITO. Non vedo, non sento, non parlo…? Queste parole sono<br />
solo illusioni, chiacchiere al vento. Tutti ci siamo difesi tramite gli avvocati<br />
e con dichiarazioni spontanee nei processi. Questo gioco di parole<br />
non è assolutamente vero, si concede solo quello che si vuol far<br />
concedere, non ci sono verità, non ci sono più regole. Cosa può volere<br />
lo Stato che si prende la vita ogni giorno come riscatto? Oggi i morti<br />
che camm<strong>in</strong>ano nelle carceri non si possono più contare. S<strong>in</strong>ceramente<br />
preferirei morire subito con la mia dignità e onestà. Perché vivere<br />
ogni giorno <strong>in</strong> queste mura che ti rubano sogni e pensieri? E perché<br />
dare ancora tanto dolore alle proprie famiglie se già so che devo<br />
morire sorseggiando aria <strong>in</strong>utile? Non voglio vivere così, non è la mia<br />
speranza, non è un mio futuro, non è la mia vita. È la vita che lo Sta-<br />
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to mi toglie ogni ora, ogni giorno, ogni mese e tutti gli anni della mia<br />
vita. Non lo voglio, non accetto questo dono dallo Stato.<br />
SEBASTIANO MILAZZO. La delazione serve ai regimi, non ad amm<strong>in</strong>istrare<br />
le carceri e la giustizia di un Paese che si vuole def<strong>in</strong>ire civile e democratico,<br />
perché con la delazione si costruiscono solo società piene di<br />
paure, odi, ricatti e <strong>in</strong>famie al servizio di quanti <strong>in</strong> nome della libertà<br />
hanno <strong>in</strong>teresse a reprimere la libertà. Dovrebbero pensare a questi<br />
aspetti coloro che osannano come virtuosi i delatori, gli untori della<br />
colonna <strong>in</strong>fame o quei virtuosi cittad<strong>in</strong>i che denunciavano le famiglie<br />
degli ebrei al dittatore.<br />
Ma se non collaborando, qu<strong>in</strong>di, quali le vie, i s<strong>in</strong>tomi di ‘guarigione’<br />
per dimostrare il distacco dal mondo crim<strong>in</strong>ale di cui<br />
pure si è fatto parte?<br />
ALFREDO SOLE. Non è facile dire, quando tutta l’attenzione è rivolta<br />
esclusivamente al fenomeno “pentitismo”. Ma se si analizzasse <strong>in</strong> modo<br />
serio e coerente il percorso carcerario di un detenuto, si scoprirebbe<br />
che è veramente e umanamente impossibile che un essere umano,<br />
dopo una lunga carcerazione, possa rimanere ancora <strong>in</strong>trappolato nel<br />
suo passato crim<strong>in</strong>ale.<br />
ALFIO FICHERA. Più che leggere l’impossibile libro della mente umana, si<br />
dovrebbe maggiormente impegnarsi tutti nel rimuovere le condizioni<br />
che sono state causa della “scelta” crim<strong>in</strong>ale dell’<strong>in</strong>dividuo.<br />
Non v’è dubbio che ai “furbi” vada meglio: pensa a cosa avviene nel<br />
nostro attuale governo.<br />
CARMELO MUSUMECI. Come dimostrare il distacco dal mondo crim<strong>in</strong>ale?<br />
Non usare la giustizia per uscire dal carcere; accettare, giusta o sbagliata<br />
che sia, la propria pena.<br />
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La vita <strong>in</strong> carcere<br />
Il rumore del carcere è il rumore del ferro. Del ferro di porte e<br />
cancelli, che si aprono, che si chiudono, che sbattono. Delle chiavi<br />
che girano nelle toppe, del ferro che chi vigila sbatte sulle<br />
sbarre. “Sì, la sua voce è il rumore del ferro”, mi ha detto un<br />
amico che del carcere ha un ricordo per fortuna lontano. Un rumore<br />
costante. Tanto presente che si trasforma nel suo opposto,<br />
diventa silenzio, ho pensato, se nessuno <strong>in</strong> queste pag<strong>in</strong>e vi fa<br />
mai cenno. Come succede con le cose che ‘devono’ diventare abitud<strong>in</strong>e<br />
e, per riuscire a viverci dentro, quasi le si riassorbe <strong>in</strong> sé<br />
f<strong>in</strong>o ad annullarle. E <strong>in</strong> questo ‘silenzio’ scorre la vita del carcere,<br />
i suoi tempi meccanici, le azioni sempre uguali, qualche <strong>in</strong>iziativa<br />
con la quale ci si <strong>in</strong>dustria, come dice qualcuno, per ammazzare<br />
il tempo “facendo f<strong>in</strong>ta che non sia il tempo ad ammazzare<br />
noi”. Un luogo dove si “diventa il carcere” dove, qualcuno<br />
prevede, “arrugg<strong>in</strong>irò come il ferro”.<br />
Ricordo dell’As<strong>in</strong>ara<br />
CARMELO MUSUMECI da un’<strong>in</strong>tervista a “Sassari notizie”, 18 gennaio 2011. Nell’Isola<br />
del diavolo ci sono stato c<strong>in</strong>que anni. I reati, associazione a del<strong>in</strong>quere<br />
di stampo mafioso, omicidio, estorsione, detenzione di armi<br />
ed altro…<br />
I luoghi. La cella sembrava una scatola di sard<strong>in</strong>e. Un fazzoletto di<br />
cemento, con la branda piantata al pavimento. Un tavol<strong>in</strong>o di pochi<br />
centimetri <strong>in</strong>chiodato al muro. Una f<strong>in</strong>estra con doppie sbarre. Una<br />
porta bl<strong>in</strong>data spessa una spanna. Un bagno turco aperto senza nessuna<br />
riservatezza. A lato un piccolo lavand<strong>in</strong>o. Lo spazio nella stanza<br />
era m<strong>in</strong>imo e a mala pena riuscivo a stare <strong>in</strong> piedi e potevo fare giusto<br />
qualche passo avanti e <strong>in</strong>dietro.<br />
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Le celle dell’Assass<strong>in</strong>o dei Sogni dell’As<strong>in</strong>ara erano allocate nella<br />
parte meno illum<strong>in</strong>ata della prigione. Più che celle sembravano tombe.<br />
L’aria sapeva di chiuso e di muffa. Mancava l’aria e la luce. Dalla<br />
f<strong>in</strong>estra della cella si poteva vedere solo una fetta di cielo. La parte più<br />
alta. Nella f<strong>in</strong>estra c’erano doppie file di sbarre e poi per completare<br />
l’opera una rete metallica fitta. L’acqua non era potabile e veniva giù<br />
marrone.<br />
Lì ho studiato per non impazzire, quando oltre al regime di tortura<br />
del 41 bis mi hanno applicato anche l’isolamento diurno, restando<br />
isolato da tutti e da tutto 24 ore su 24. Ho studiato per corrispondenza<br />
perché non potevo ricevere libri e il mio tutore, Giuliano Capecchi,<br />
maestro <strong>in</strong> pensione, mi mandava qualche pag<strong>in</strong>a di libro dentro le<br />
lettere.<br />
Non avevo nessuna attività. A quel tempo il regime di tortura del 41<br />
bis non prevedeva nessuna attività culturale, sportiva, lavorativa. Si<br />
viveva da cane <strong>in</strong> un canile.<br />
La differenza con le altre carceri? Il giorno con la notte. Vorrei che<br />
diventasse un museo per ricordare a tutti cosa è stato l’As<strong>in</strong>ara.<br />
Si sa molto su cosa è accaduto cento, c<strong>in</strong>quecento, mille anni fa, ma<br />
si sa pochissimo su cosa è accaduto venti, dieci, c<strong>in</strong>que anni fa e non<br />
si sa nulla di quello che sta accadendo adesso.<br />
Cronaca di un arrivo…<br />
DAL RACCONTO DI GIOVANNI FARINA, aprile 2010. Il giorno <strong>in</strong> cui mi è stata comunicata<br />
la declassificazione dall’art. 41 bis nell’Istituto di pena di<br />
Spoleto sono stato spostato a un altro reparto e chiuso <strong>in</strong> cella di isolamento.<br />
Dopo 5 giorni sono stato caricato <strong>in</strong> un furgone bl<strong>in</strong>dato<br />
con due za<strong>in</strong>etti a tracolla che contenevano pochi oggetti per l’igiene<br />
personale e della biancheria. Nella celletta bl<strong>in</strong>data che c’era all’<strong>in</strong>terno<br />
del furgone bl<strong>in</strong>dato potevo stare seduto <strong>in</strong> una sola posizione.<br />
Dopo un viaggio di 11 ore sono arrivato all’istituto di pena di Catanzaro.<br />
Ero stato allontanato dalla mia famiglia più di mille chilometri.<br />
Nel magazz<strong>in</strong>o del carcere, dopo avermi spogliato e perquisito mi<br />
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danno un sacchetto della spazzatura dove c’erano due lenzuola e una<br />
coperta, mi portano <strong>in</strong> una cella d’isolamento. La cella era molto<br />
sporca, c’era moccio e sangue rappreso alle pareti, doveva essere almeno<br />
da 10 anni senza imbiancata. Chiamo la guardia carceraria,<br />
chiedo che mi fosse dato il necessario per dare una pulita alla cella. Mi<br />
risponde che lui non si poteva allontanare dal suo posto, che non mi<br />
poteva aiutare. Rassegnato <strong>in</strong>izio a farmi il letto perché ero stanco dal<br />
lungo viaggio, distendo le lenzuola. Il primo lenzuolo aveva un grosso<br />
squarcio, il secondo una grossa macchia gialla che il lavaggio non<br />
aveva cancellato, doveva essere vomito. Il materasso di gommapiuma<br />
doveva essere scaduto da anni, era molliccio e puzzolente. Richiamo<br />
la guardia carceraria, chiedo se mi cambiano le lenzuola. Le distendo,<br />
faccio vedere <strong>in</strong> che stato erano. Mi rispondono che era sabato notte<br />
e che f<strong>in</strong>o a lunedì la lavanderia era chiusa e che dovevo tenermi le<br />
lenzuola che mi erano state date. Rassegnato mi sono messo a letto<br />
con i vestiti che avevo addosso. La domenica verso le dieci mi chiama<br />
il comandante del reparto perché il mio stato di detenzione è sempre<br />
la massima sicurezza, E.I.V. In Italia la massima sicurezza è un pozzo<br />
senza f<strong>in</strong>e, da una parte esci e dall’altra entri.<br />
Mi dice il comandante che dovevo cambiare sezione. Mi portano al<br />
quarto piano. Al quarto piano mi dicono che dovevo dividere la cella<br />
con un altro recluso perché non c’erano celle libere. Il comandante di<br />
reparto mi promette che era una sistemazione provvisoria, solo per 2<br />
giorni, non era vero. La guardia carceraria all’<strong>in</strong>izio mi assegna una cella<br />
con un recluso che fumava, anche se gli avevo detto che non fumavo<br />
ed ero allergico alla nicot<strong>in</strong>a. Al mio rifiuto più totale fa un giro <strong>in</strong> tutta<br />
la sezione e trova una cella occupata da un recluso che non fumava.<br />
Il cubicolo non è una cella costruita per due persone. Dopo lo spazio<br />
che occupa il letto, un tavol<strong>in</strong>o, tre stipetti attaccati al muro e un<br />
attaccapanni che è l’arredo m<strong>in</strong>isteriale <strong>in</strong> ogni cella per ogni detenuto,<br />
resta solo lo spazio di passaggio per una persona.<br />
La cella ha il soffitto basso e con il letto a castello, la faccia del recluso<br />
che dorme sopra è all’<strong>in</strong>circa a una distanza dal neon della luce<br />
di dieci centimetri.<br />
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In ogni istituto di pena come norma nelle celle e anche nel corridoio<br />
c’è la luce notturna. In questo istituto è tutto fuori norma. Non c’è la<br />
luce notturna, e il cont<strong>in</strong>uo accendere e spegnere improvviso il neon<br />
della guardia carceraria, una luce molto forte e improvvisa quando<br />
ero rilassato nel sonno, mi aveva mezzo accecato. Ho dovuto fare una<br />
visita oculistica e mettere gli occhiali. La poca biancheria che mi ero<br />
portato dietro nel viaggio mi è toccato lasciarla dentro le buste di plastica,<br />
gli stipetti erano occupati dal recluso che occupava la cella da<br />
più di un anno. Ho sp<strong>in</strong>to le buste della biancheria sotto al letto e negli<br />
spazi che non erano già occupati. In questo spazio strettissimo ci<br />
dovevamo vivere <strong>in</strong> due 24 ore al giorno sempre chiusi. Quando uno<br />
stava <strong>in</strong> piedi l’altro doveva stare a letto. Io che non faccio colloqui<br />
settimanali e neanche mensili, e per mia abitud<strong>in</strong>e faccio g<strong>in</strong>nastica<br />
mattut<strong>in</strong>a, che qui non mi sarà facile, e mi devo lavare la biancheria<br />
sporca. In cella non c’è un angolo dove stendere un asciugamano, una<br />
tuta, per farli asciugare. Non c’è la lavanderia come <strong>in</strong> tutti gli istituti<br />
di pena dove sono stato f<strong>in</strong>o ad oggi, per la biancheria personale. Qui<br />
c’è solo il cambio delle lenzuola ogni 15 giorni. E si possono fare 3<br />
docce a settimana <strong>in</strong> delle strutture logore e trasandate dove l’acqua<br />
calda non c’è mai e ogni volta che faccio la doccia mi ammalo.<br />
In questo momento sono <strong>in</strong> una cella d’isolamento al piano terra.<br />
Davanti alla f<strong>in</strong>estra c’è mezzo metro di spazzatura <strong>in</strong> fermentazione.<br />
Nemmeno i cani nel canile sono trattati come trattano <strong>in</strong> questo carcere.<br />
I cani sono più tutelati perché ci sono gli animalisti e Striscia la<br />
Notizia, che vanno a controllare i canili e fanno presente alle Istituzioni<br />
lo stato di vita di quelle povere bestiole.<br />
Il dentista è <strong>in</strong>trovabile, per l’acquisto di un paio di occhiali sono<br />
dovuto andare alla ricerca di un prete. Ho l’impressione di essere alloggiato<br />
sotto un ponte. All’<strong>in</strong>izio hanno tentato di mettermi le mani<br />
addosso e nella cella di isolamento mi avevano lasciato quattro giorni<br />
senza mangiare contro la mia volontà, perché non mi avevano dato<br />
nemmeno i piatti. Quando passava il carrello dell’ora di pranzo e cena<br />
non potevo prendere da mangiare.<br />
Dopo 4 giorni il comandante mi chiede perché non volevo stare <strong>in</strong><br />
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cella <strong>in</strong> promiscuità. Alle mie spiegazioni risponde che dovevo ritornare<br />
subito nella cella alla quale ero stato assegnato… non aveva a disposizione<br />
per i reclusi un albergo, ma celle di detenzione.<br />
Del tempo <strong>in</strong> carcere<br />
ANTONIO PRESTA. Sono entrato <strong>in</strong> carcere che ero analfabeta, ma ho da<br />
subito <strong>in</strong>iziato ad attivarmi per imparare a leggere e scrivere, quanto<br />
meno per garantirmi la possibilità di comunicare con la mia famiglia<br />
e con l’esterno del carcere, attraverso la corrispondenza epistolare.<br />
Nei primi anni, <strong>in</strong> un circuito penitenziario di alta sicurezza, non<br />
esistevano educatori o assistenti sociali per quel regime. Iniziai la<br />
scuola di alfabetizzazione e a leggere tanti libri, per <strong>in</strong>gannare il tempo<br />
(o me stesso: per non pensare di essere <strong>in</strong> quelle condizioni) e aprire<br />
la mia mente su quanto stavo vivendo. Conseguii la terza media con<br />
“dist<strong>in</strong>to” e cont<strong>in</strong>uai la scuola f<strong>in</strong>o al secondo anno di ragioneria; poi<br />
fui trasferito al carcere di Opera. Ho frequentato corsi: teatro, volontariato<br />
all’<strong>in</strong>terno del carcere, specializzazione di gelatiere. Attualmente<br />
lavoro da quasi due anni <strong>in</strong> un laboratorio per la produzione<br />
di gelato, assunto a tempo <strong>in</strong>determ<strong>in</strong>ato da un’azienda esterna s.r.l. 1<br />
Ho fatto un percorso <strong>in</strong>framurario molto positivo, <strong>in</strong>clusa una revisione<br />
critica rispetto alla mia condotta passata e i miei reati commessi.<br />
Ho peraltro richiesto, sia alla direzione del carcere che al magistrato,<br />
di poter svolgere del volontariato all’esterno del carcere, anche se<br />
dubito mi sarà data questa possibilità.<br />
Un vecchio ergastolano mi disse: “Noi ergastolani prima diventiamo<br />
carcerati, poi il carcere”. Ecco, non è un luogo comune quando si afferma<br />
che diventiamo arredamento del carcere, perché non potrò op-<br />
1 All’<strong>in</strong>terno del carcere è stato possibile svolgere un corso di specializzazione nella<br />
scuola a <strong>in</strong>dirizzo alberghiero. Questo tipo di scuola è un <strong>in</strong>dirizzo frequente nelle<br />
carceri, <strong>in</strong>sieme all’Istituto d’arte consente molti lavori di manualità abb<strong>in</strong>ati allo<br />
studio.<br />
Ci sono ditte esterne che stipulano contratti col carcere per l’assunzione di detenuti<br />
che lavorano all’<strong>in</strong>terno dell’istituto penitenziario.<br />
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pormi a lungo; prima o poi, mi piaccia o no, sarò “il carcere”: arrugg<strong>in</strong>irò<br />
come il ferro, sarò umido e pieno di muffa come i muri, mi<br />
aprirò e mi chiuderò alla stessa ora e morirò ogni volta <strong>in</strong> un giorno<br />
diverso, f<strong>in</strong> quando esisterà l’ergastolo, f<strong>in</strong> quando resisterà il mio<br />
corpo.<br />
PASQUALE DE FEO. Il carcere è ripetitivo e grosso modo <strong>in</strong> tutte le carceri<br />
gli orari sono simili, a parte qualche piccola variazione. Le giornate<br />
sono <strong>in</strong>quadrate <strong>in</strong> orari rigidi. La vita scorre <strong>in</strong> quattro ore. Le venti<br />
che restano si rimane <strong>in</strong> cella.<br />
Le quattro ore d’aria al giorno, dalle ore 9 alle ore 11… dalle ore 13<br />
alle ore 15… si può andare a passeggiare <strong>in</strong> una specie di pisc<strong>in</strong>a di cemento,<br />
dove si corre per tenersi <strong>in</strong> forma… chi ne ha voglia. Tutte le<br />
attività didattiche, scuola, corsi e formazione (quando ci sono), sono<br />
racchiuse <strong>in</strong> queste quattro ore.<br />
La Commissione Europea per la prevenzione della tortura ha stabilito<br />
che ogni detenuto deve avere disponibili, nella propria cella, 7 metri<br />
quadrati di spazio, e che si deve poter stare fuori dalla cella almeno<br />
otto ore. Purtroppo ciò non avviene.<br />
La mia vita scorre nella cella. Qui ho il mio mondo terreno. Ci sono<br />
tutte le mie cose che mi danno l’impressione di essere ancora un essere<br />
umano. Vivo, anche se sono un morto vivente.<br />
Mi alzo presto la matt<strong>in</strong>a verso le ore 6, studio, leggo o scrivo qualcosa…<br />
f<strong>in</strong>o alle ore 7.30. Mi alzo, faccio colazione, mi lavo e mi preparo<br />
per fare attività g<strong>in</strong>nica. Faccio le pulizie e aspetto le ore 9 per<br />
<strong>in</strong>iziare a fare g<strong>in</strong>nastica. F<strong>in</strong>isco alle ore 11 e mi faccio la doccia.<br />
Verso le ore 12 viene distribuito il vitto. Mentre pranzo mi guardo i<br />
TG, cerco di tenermi <strong>in</strong><strong>formato</strong>. Il pomeriggio lo passo <strong>in</strong> cella a scrivere,<br />
leggere o studiare. Faccio pausa per vedere qualche programma<br />
scientifico o storico. Verso le ore 18.30 ceno e guardo i TG.<br />
Dopo cena scrivo qualche lettera e verso le ore 21 mi metto a letto e<br />
guardo un po’ di TV. In caso non facciano qualcosa di <strong>in</strong>teressante,<br />
leggo qualcosa, e mediamente mi addormento tra le ore 22,30 e le<br />
23,30.<br />
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La matt<strong>in</strong>a dopo si ricom<strong>in</strong>cia, daccapo. Qualcosa di diverso capita<br />
di rado.<br />
Da tre settimane, il venerdì pomeriggio dalle ore 13 alle ore 15, frequento<br />
un corso di scrittura creativa. Mi piace perché stimola i pensieri.<br />
In carcere quello che uccide è l’ozio e l’appiattimento mentale. Io<br />
cerco di combatterlo tenendo attiva la mente. In s<strong>in</strong>tesi la mia vita è<br />
quella di un collegiale.<br />
GIUSEPPE PULLARA. In primis vorrei sfatare il luogo comune secondo cui<br />
<strong>in</strong> carcere c’è più tempo libero; sappiate che tutto il nostro tempo libero<br />
è cadenzato dal regime penitenziario. Alle ore 8, colazione; alle<br />
ore 8,20 circa, battitura delle sbarre; alle ore 9 si va al passeggio; alle<br />
ore 11 si rientra <strong>in</strong> cella; dalle ore 11 alle ore 13 si fa il turno per la<br />
doccia, si aspetta il vitto per pranzare, si aspetta la posta di familiari o<br />
amici. Alle ore 13 si riscende al passeggio oppure <strong>in</strong> saletta; alle ore 15<br />
com<strong>in</strong>cia l’attesa della battitura pomeridiana. In alcuni istituti avviene<br />
per tre-quattro volte al dì.<br />
Dalle ore 15 <strong>in</strong> poi si pensa a cuc<strong>in</strong>are, scrivere la lettera quotidiana,<br />
riposare un po’, f<strong>in</strong>o alle ore 17, momento della socialità, che dura f<strong>in</strong>o<br />
alle 18,30; per un’altra mezz’ora o poco più c’è un via vai di detenuti<br />
per rientrare <strong>in</strong> cella.<br />
La compagnia <strong>in</strong> cella è una forzatura per gran parte dei detenuti,<br />
per via dello spazio stretto delle camere e per la promiscuità <strong>in</strong>tellettuale,<br />
caratteriale e costumi diversi.<br />
Tutto ciò limita il tempo “libero” a un lumic<strong>in</strong>o, per cui ogni soggetto<br />
vive il tempo “libero” come meglio può: chi studia per non oziare<br />
o pensare la negatività <strong>in</strong> cui è costretto a vivere, chi scrive molte<br />
ore, anche la sera tardi; chi guarda la tv dalla matt<strong>in</strong>a alla sera; chi si<br />
dedica alla cuc<strong>in</strong>a preparando piatti succulenti e altri pessimi, per<br />
esperimenti.<br />
La direzione può fare tantissimo per evitare l’ozio, sia con corsi specialistici,<br />
sia con il lavoro, sia con la realizzazione di progetti culturali<br />
e ricreativi.<br />
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Molti abbiamo bisogno di uno stimolo <strong>in</strong> più per uscire dal guscio<br />
<strong>in</strong> cui ci siamo cacciati…<br />
GIOVANNI ZITO. Beh fuori hai un ritmo di vivere la vita, puoi gestire le<br />
proprie necessità come meglio credi o pensi. Ma io <strong>in</strong>vece cosa sono?<br />
Un punto fermo, questo sono io.<br />
Un uomo che non conoscerà mai più i colori della sua vita. Il mio<br />
tempo è scandito secondo come mi sveglio al matt<strong>in</strong>o, nel senso che<br />
o faccio un po’ di sport nella vasca di cemento armato, cioè il passeggio,<br />
o uccido il mio corpo e il cervello fissando un qualcosa senza nessun<br />
significato, perché tanto che cosa ne faccio del mio corpo se un<br />
giorno dovrà essere rottamato?<br />
ALFREDO SOLE. Sconto la condanna nel circuito AS1, questo comporta il<br />
divieto di <strong>in</strong>contrare altri circuiti. Ai corsi di formazione manuale o<br />
creativi possono accedere altri, ma non noi. Per il nostro circuito c’è<br />
solo la scuola. Ma non è il caso mio. Sono già diplomato e la mia unica<br />
attività la svolgo nella mia cella, che è quella di studio universitario.<br />
Filosofia. Ma per adesso ho lasciato anche questo, non per colpa<br />
mia, ma di questo carcere che a quanto pare non vogliono universitari-detenuti.<br />
Mi piacerebbe cont<strong>in</strong>uare a studiare. Quello che più mi<br />
manca è la libertà. Tutte le altre mancanze sono effimere.<br />
GENEROSO DE MARTINO. Attività manuali non posso farne perché <strong>in</strong>valido.<br />
Attività creativa niente, non ci danno la possibilità. Uguale per le attività<br />
<strong>in</strong>tellettuali. Per l’A.S.1 non esiste niente. Solo la scuola, ma che<br />
scuola, un bidone. Cioè chiusa come un silos dove si conserva il grano<br />
e dato che sono l’unico a soffrire di claustrofobia mi è impossibile<br />
anche studiare.<br />
Cosa mi piacerebbe fare? Andare a casa e crescere i miei nipot<strong>in</strong>i visto<br />
che coi figli mi è stato impossibile.<br />
SEBASTIANO MILAZZO. Attività manuali, creative? Sì, tutto ciò che è più<br />
che altro funzionale per la concessione di f<strong>in</strong>anziamenti alla compa-<br />
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gnia di giro che ronza famelica <strong>in</strong>torno al detenuto. Mi piacerebbe che<br />
tutte le attività fossero funzionali a far conoscere realmente il condannato,<br />
le sue speranze e la bontà dei suoi propositi. Svolgo comunque<br />
un’attività che mi piace: il bibliotecario. Ma mi manca la speranza<br />
che per me possa esserci un futuro. Il mio più grande desiderio è<br />
essere considerato per quel che sento di essere diventato.<br />
MARZIO SEPE. Sono <strong>in</strong> carcere da 15 anni, solo adesso frequento la scuola<br />
ragioneria. Mi piacerebbe fare <strong>in</strong>formatica.<br />
GIROLAMO RANNESI. Qui abbiamo una biblioteca, non tutte le carceri<br />
però sono come quelle di Spoleto. Ve ne sono molti che ne sono<br />
sprovvisti.<br />
Con riferimento alle possibilità di studio, bisogna premettere che <strong>in</strong><br />
molti carceri questa possibilità è pari allo zero. Qui a Spoleto esiste l’istituto<br />
d’arte qu<strong>in</strong>di vi è la possibilità di studiare, altresì vi è la possibilità<br />
di frequentare il corso di lettura ideato e diretto dalla psicologa<br />
del carcere dott. Paola Giannelli.<br />
Chi scrive si reputa fortunato, ma con rammarico non può non ricordare<br />
che nel quartiere <strong>in</strong> cui è cresciuto la scuola era un miraggio<br />
(fermo restando il libero arbitrio ah!).<br />
Teatro? Non credo di essere capace di fare teatro e tuttavia ci provo<br />
lo stesso, voglio provare a v<strong>in</strong>cere la timidezza. In verità ho già fatto<br />
qualcosa, durante le prove mi sono anche divertito ma poi una volta<br />
sul palco ho potuto constatare di avere dei grossi limiti, su tutti la paura<br />
di essere giudicato dagli altri. Per quanto mi riguarda non credo di<br />
essere un buon attore, ma mannaggia vorrei essere più dis<strong>in</strong>ibito.<br />
Il prossimo mese proprio <strong>in</strong> prossimità dello spettacolo f<strong>in</strong>irò di<br />
scontare l’isolamento diurno, qu<strong>in</strong>di se tutto va bene potrei essere tra<br />
i protagonisti che si esibiranno proprio il 10 di aprile.<br />
Spero <strong>in</strong> un futuro migliore per tutti. Essendo cresciuto <strong>in</strong> ambienti<br />
particolari, mi sento di poter affermare che il male assoluto della<br />
nostra società è la Corruzione.<br />
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ALFIO FICHERA. Non abboccate quando sentite di sequestri di beni milionari<br />
e di “boss” che pranzano con aragoste e champagne. Il carcere<br />
è né più né meno un riflesso della società esterna; <strong>in</strong> esso convivono<br />
ricchi e disperati, sani e malati, schiavi e tiranni, sciocchi e furbi: vi è<br />
qu<strong>in</strong>di chi sceglie di farsi sfruttare lavorando per una paga di 200 euro<br />
al mese perché aiuta la famiglia a sfamarsi e chi <strong>in</strong>vece è nelle condizioni<br />
di sfuggire al ricatto del bisogno. In carcere si sommano tante<br />
cose diverse. La società per lavarsene le mani li chiama tutti mafiosi,<br />
crim<strong>in</strong>ali, “gente di rispetto” e crea l’op<strong>in</strong>ione comune, spesso a disprezzo<br />
della realtà.<br />
CARMELO MUSUMECI. In carcere c’è il rischio assuefazione. Faccio rispondere<br />
direttamente da Antonio Gramsci: “Ho sempre paura di essere soverchiato<br />
dalla rout<strong>in</strong>e carceraria. È questa una macch<strong>in</strong>a mostruosa che<br />
schiaccia e livella secondo una certa serie. Quando vedo agire e sento<br />
parlare uom<strong>in</strong>i che sono da c<strong>in</strong>que, otto, dieci anni <strong>in</strong> carcere e osservo<br />
le deformazioni psichiche che essi hanno subìto, davvero rabbrividisco,<br />
e sono dubbioso nella previsione di me stesso. Penso che anche gli altri<br />
hanno pensato (non tutti ma almeno qualcuno) di non lasciarsi soverchiare<br />
e <strong>in</strong>vece, senza accorgersene neppure, tanto il processo è lento e<br />
molecolare, si trovano cambiati e non lo sanno, non possono giudicarlo,<br />
perché essi sono completamente cambiati”. (A. Gramsci, Lettere dal<br />
carcere, Tor<strong>in</strong>o 1965, p. 236, lettera 19 novembre 1928 a Giulia).<br />
Riguardo a quanto <strong>in</strong>cide <strong>in</strong> questa assuefazione il fatto che la detenzione<br />
sia permanente e senza f<strong>in</strong>e, posso dire che ormai mi sono<br />
abituato alla sofferenza e non mi fa più paura. La sofferenza mi fa solo<br />
soffrire, piuttosto è la vita che mi fa paura perché più vivo e più dura<br />
la mia pena.<br />
Il carcere ostativo è l’<strong>in</strong>izio di un <strong>in</strong>cubo. I sogni della notte: addormentarsi<br />
alla sera e non svegliarsi più al matt<strong>in</strong>o nella cella.<br />
Gli <strong>in</strong>cubi: addormentarsi alla sera e svegliarsi di nuovo al matt<strong>in</strong>o<br />
nella cella.<br />
La cosa che pesa di più: l’<strong>in</strong>utilità di avere un calendario attaccato<br />
alla propria cella.<br />
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Del corpo e del cibo, spigolature…<br />
ALFIO FICHERA. Alcuni danno importanza alla forma fisica perché a chi<br />
vive di solo pane, come accade ai carcerati, non rimane che nutrire e<br />
curare il corpo.<br />
GINO RANNESI. Il sottoscritto lo fa per apparire <strong>in</strong> ottima forma agli occhi<br />
dei propri cari. Altri per l’<strong>in</strong>sicurezza <strong>in</strong> cui versano. La moltitud<strong>in</strong>e<br />
lo fa per sentirsi vivo, sai com’è, “mai dire mai”.<br />
ANGELO TANDURELLA. Se sono soprattutto quelli che scontano pene lunghe<br />
che danno importanza alla forma fisica? Secondo la mia op<strong>in</strong>ione,<br />
non c’entra niente. Diversi detenuti praticano sport primo per star<br />
bene con la propria persona, secondo per scaricare lo stress e terzo per<br />
sentirsi appagati, o per mantenersi più giovani. Il mio sport preferito<br />
è il calcio, dove riesco a scaricare tutta la tensione e lo stress e quando<br />
f<strong>in</strong>isco la partita, a presc<strong>in</strong>dere se ho v<strong>in</strong>to o perso, mi sento stanco e<br />
rilassato.<br />
GIUSEPPE REITANO. Io non lo so! Io sono <strong>in</strong> carcere da 20 anni, e 10 di latitanza<br />
fanno 30, e non ho mai fatto g<strong>in</strong>nastica per la forma fisica. Anche<br />
fuori sono malati come anche i carcerati per questa forma fisica,<br />
forse è un modo per passare il tempo, o per sentirsi meglio…<br />
IVANO RAPISARDA. Cerco <strong>in</strong> tutti i modi di non annoiarmi, mi occupo di<br />
tutto ciò che mi fa stare bene fisicamente e psicologicamente.<br />
Chi non entra <strong>in</strong> contatto con il mondo carcerario, non ha idea delle<br />
risorse che si sono sprigionate dopo decenni di sofferenza.<br />
Un esempio. Il progetto “Cuc<strong>in</strong>are <strong>in</strong> massima sicurezza”.<br />
Matteo Guidi, è stato (lo è) un professore e un amico vero, tra una<br />
lezione e l’altra, è venuta fuori l’idea di un libro di ricette, ne è nato<br />
un confronto e da lì l’idea di far conoscere fuori il nostro l<strong>in</strong>guaggio.<br />
Vi ha partecipato un gruppo di detenuti, tutti ergastolani tranne due<br />
che comunque hanno da scontare 30 anni.<br />
Insieme abbiamo lavorato benissimo.<br />
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Cuc<strong>in</strong>are <strong>in</strong> carcere è un fattore di socializzazione, assieme alle persone<br />
che hai <strong>in</strong>vitato si decide cosa comprare e cosa e come cuc<strong>in</strong>arle.<br />
Siamo degli ottimi cuochi.<br />
Possiamo mangiare <strong>in</strong> gruppo, massimo 5 persone, ma di solito siamo<br />
<strong>in</strong> tre. Nel carcere nascono delle vere amicizie ed è un vero piacere<br />
condividere non solo quello che si cuc<strong>in</strong>a, ma anche quello che ci<br />
portano i familiari a colloquio.<br />
Le difficoltà più comuni, stranamente sono delle cose banali, come<br />
per esempio la mancanza di qualche <strong>in</strong>grediente <strong>in</strong>dispensabile per<br />
fare qualche specialità, certo si sostituisce con qualcosa d’altro, ma il<br />
risultato se pur soddisfacente non è mai come la specialità con gli <strong>in</strong>gredienti<br />
giusti.<br />
Strumenti ne mancano e anche tanti, ma l’<strong>in</strong>telligenza e l’<strong>in</strong>gegno<br />
del detenuto supera l’immag<strong>in</strong>abile, per esempio una caffettiera diventa<br />
un “martello” o un mattarello per fare il pesto, un armadietto o<br />
il classico sgabello a volte si trasformano <strong>in</strong> forni per torte e pasta al<br />
forno. Un semplice bastone di scopa si trasforma <strong>in</strong> un mattarello per<br />
stendere la pasta per fare i ravioli ripieni di carne o ricotta e sp<strong>in</strong>aci,<br />
le forme le creiamo con un bicchiere di plastica. Tutti gli strumenti<br />
che abbiamo a disposizione sono utili, tra quelli che ho creato un<br />
temperamatite che uso per pulire la carne e disossarla.<br />
A parte qualche <strong>in</strong>grediente, le ricette sono uguali a quelle da fuori,<br />
certo non abbiamo gli aromi liquidi, ma con un po’ di fantasia e di<br />
esperimenti riusciamo a crearne qualcuno che si avvic<strong>in</strong>i al sapore che<br />
ci occorre.<br />
Per esempio. Per <strong>in</strong>umidire il pan di spagna ci vorrebbe un po’ di<br />
aroma di rhum, cosa che non possiamo acquistare. Mettiamo un po’<br />
di v<strong>in</strong>o da parte. Si riversa <strong>in</strong> una bottiglia di plastica, aggiungiamo<br />
zucchero e chiodi di garofano e lo lasciamo riposare per qualche settimana,<br />
così abbiamo qualcosa per <strong>in</strong>umidire il pan di spagna e allo<br />
stesso tempo quel che rimane sembra Mart<strong>in</strong>i bianco.<br />
MARIO TRUDU. Non è facile organizzare la giornata qui dentro, sei sempre<br />
<strong>in</strong> attesa di qualcosa che non arriva mai, non ti puoi concentrare<br />
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su niente. Le mie giornate sono scandite dalle ore di aria, che io ne approfitto<br />
<strong>in</strong> pieno: di <strong>in</strong>iziative non ne perdo una, dalla frequentazione<br />
di un corso di grafica all’uso del computer <strong>in</strong> cella.<br />
Del progetto “cuc<strong>in</strong>are”? La parte più impegnativa da me svolta è<br />
stato fare i disegni che <strong>in</strong> qualche modo rappresentano vari oggetti<br />
creati per cuc<strong>in</strong>are.<br />
Cuc<strong>in</strong>are dovrebbe essere un’operazione banale, ma qui dentro non<br />
lo è perché devi saperti arrangiare, <strong>in</strong>ventare.<br />
Qui possiamo mangiare <strong>in</strong> gruppo, almeno <strong>in</strong> questo carcere di<br />
Spoleto. In molte altre carceri ancora la civiltà non è arrivata: i loro dirigenti<br />
sono ancora degli uom<strong>in</strong>i delle caverne, sono dei trogloditi.<br />
Le difficoltà più comuni? Non vorrei prendere un attacco di bile raccontando<br />
queste cose, il più delle volte trovi difficoltà dove non dovresti<br />
<strong>in</strong>contrarne, e questi <strong>in</strong>toppi ti spappolano il fegato per la rabbia.<br />
Gli strumenti più utili e usati sono: fornell<strong>in</strong>o a gas e caffettiera o<br />
meglio la “moka”, tramite essi puoi svolgere una marea di attività.<br />
Sono veramente strumenti multiuso, noi carcerati possiamo veramente<br />
dire “sia benedetto chi li ha <strong>in</strong>ventati” e delle nostre <strong>in</strong>venzioni<br />
credo che il più utile sia il tagl<strong>in</strong>o fatto da un manico di spazzol<strong>in</strong>o<br />
da denti e la lama di un tempera matite, è tagliente come un<br />
rasoio.<br />
Se vogliamo cuc<strong>in</strong>are una pasta al forno dobbiamo costruirci un<br />
forno. Uno dei modi per realizzarlo è questo:<br />
liberare lo stipetto a parete, lavare e dis<strong>in</strong>fettare bene, bucare il fondo<br />
con un chiodo (il chiodo viene ricavato da un fornell<strong>in</strong>o vecchio<br />
togliendogli lo sp<strong>in</strong>otto che buca la bomboletta del gas, che viene reso<br />
<strong>in</strong>candescente sul fornello), fare due fori del diametro utile per avviare<br />
e svitare comodamente i fornell<strong>in</strong>i, prendere quattro latt<strong>in</strong>e di<br />
birra vuote, sistemarle <strong>in</strong> modo che si possa poggiare la teglia <strong>in</strong> cui si<br />
andrà a cuc<strong>in</strong>are.<br />
Se si preferisce realizzare un forno più efficace, raccogliere la carta<br />
argentata dei pacchetti di sigarette e tappezzare l’<strong>in</strong>terno dello stipetto,<br />
<strong>in</strong>collandoli con la colla v<strong>in</strong>avil.<br />
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CARMELO MUSUMECI. Molti cercano di ammazzare il tempo senza sapere<br />
che nel frattempo è il tempo che ammazza noi, altri ammazzano il<br />
tempo cuc<strong>in</strong>ando.<br />
Ma è difficile anche cuc<strong>in</strong>are, per via dei numerosi divieti. Un esempio?<br />
Claudio, un mio amico, con tanto affetto mi ha mandato un barattolo<br />
di plastica di miele fatto dalle sue api e non me lo vogliono dare.<br />
Sto <strong>in</strong>sistendo per farmelo dare.<br />
Io non mi arrenderò mai alla stupidità del carcere perché se no sarei<br />
stupido anch’io.<br />
Qualcuno mi dovrà pur spiegare perché un barattolo di miele trasparente,<br />
controllabile con la vista, con il palato e con il buon senso,<br />
non passa e per esempio un arancio, un limone o una mela passano…<br />
Non abbiamo frigorifero <strong>in</strong> cella. D’estate per avere l’acqua fresca<br />
compriamo la bottiglia e con due calze di lana l’appendiamo a dondolare<br />
<strong>in</strong> un angolo della cella dove c’è un filo di vento. Lo strumento<br />
più utile tra tutti quelli che ho creato, il forno, <strong>in</strong>serendo una pentola<br />
più piccola <strong>in</strong> una più grande.<br />
Spesso ricicliamo il mangiare dell’amm<strong>in</strong>istrazione per farlo più<br />
buono. Se il carcere passa le fett<strong>in</strong>e di carne dure come la suola di una<br />
scarpa, noi ci facciamo uno spezzat<strong>in</strong>o con le patate.<br />
In carcere tutto è difficile, ma niente è impossibile. Per esempio oggi<br />
sono andato al campo sportivo grande. Ci vado sempre volentieri<br />
perché lì c’è molto spazio e posso camm<strong>in</strong>are lungo il campo senza<br />
voltarmi cont<strong>in</strong>uamente.<br />
Aveva piovuto, c’erano delle lumache.<br />
Le ho raccolte di nascosto e ieri sera abbiamo fatto un sugo con le<br />
lumache che non lo mangiano neppure nel migliore ristorante di Bologna!<br />
Della storia di un computer, conversazioni dal blog…<br />
FRANCESCO ANNUNZIATA NELLINO… ottobre 2010, dal blog urladalsilenzio. “Ti<br />
<strong>in</strong>formo che cont<strong>in</strong>uiamo a battagliare per il computer, e abbiamo <strong>in</strong>-<br />
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trapreso una serie di <strong>in</strong>iziative con reclami ecc. ecc., lettere al Presidente<br />
della Repubblica, ecc. ecc. Ora, giusto per farti avere un’idea di<br />
che razza di mondo sia questo, ti <strong>in</strong>vio gli ultimi due rigetti ad opera<br />
del Magistrato di Sorveglianza…<br />
Nel mio reclamo esplicitamente richiedevo l’autorizzazione all’acquisto<br />
e all’uso di un PC da tenere nella camera di pernottamento. Preciso<br />
che un reclamo è di gennaio e l’altro è di agosto. Ha risposto ad entrambi<br />
<strong>in</strong>sieme, ha fatto trascorrere 8 mesi. Ma c’è di più, io il computer avevo<br />
chiesto di comprarlo a mie spese, e non di utilizzare quello della scuola.<br />
Qu<strong>in</strong>di, ho chiesto una cosa e mi hanno risposto con un’altra.<br />
Il magistrato di sorveglianza scrive che… il PC può essere autorizzato<br />
per particolari esigenze di studio. Falso!!! La circolare DAP<br />
3556/6006, 15 giugno 2001 e l’art. 40 r.e. o.p. non parlano assolutamente<br />
di particolari esigenze… Ma “solo” per motivi di studio o di<br />
lavoro! Qu<strong>in</strong>di se uno studia o lavora ci vuole il computer, lo può<br />
avere. Nessuno può dire che uno studio scolastico sia più meritevole<br />
di un altro o meno. Anzi. Nel caso di specie, quale studio può essere<br />
più meritevole di avere il computer della scuola media superiore<br />
per geometra, dove ci sono prettamente materie tecniche come<br />
progettazione impianti, topografia e l<strong>in</strong>gue straniere, dove è necessario<br />
l’ascolto? Siamo <strong>in</strong>tenzionati a scrivere anche alla Gelm<strong>in</strong>i”.<br />
Dal diario di PASQUALE DE FEO, 29/03/2011. L’educatrice <strong>in</strong> via <strong>in</strong>formale mi<br />
ha fatto capire che mi verrà rigettata la mia richiesta di ritirare computer<br />
e stampante dal magazz<strong>in</strong>o e poterli usare. Pochi giorni fa hanno<br />
dato il computer al mio compagno di sezione Claudio, nella sua<br />
cella. Lui è iscritto come me all’Università. Pertanto hanno creato una<br />
discrim<strong>in</strong>azione. Mi hanno fatto aspettare un anno per rispondermi<br />
no. Il mondo va avanti, ma qui a Catanzaro sembra come il libro di<br />
Primo Levi, Cristo si è fermato a Eboli. Il 21 gennaio 2011 il M<strong>in</strong>istero<br />
ha emanato una circolare per aprire al mondo esterno sia le carceri sia<br />
le menti di chi li dirige, sottol<strong>in</strong>eando con chiarezza che non è più accettabile<br />
legittimare restrizioni e divieti <strong>in</strong> nome del “totem” sicurezza.<br />
Con tutto ciò qui niente è cambiato. Come fanno ad essere così<br />
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miopi è un mistero. Se oggi scrivo e la mia curiosità culturale è aperta<br />
a 360 gradi lo devo al computer e alla stampante.<br />
Una frase dell’educatrice mi è rimasta impressa “con la penna scrive<br />
così tanto, figuriamoci con il computer cosa può comb<strong>in</strong>are”. Non<br />
penso e non voglio pensare che sia questo il motivo reale del d<strong>in</strong>iego<br />
del computer e della stampante.<br />
ALFREDO SOLE novembre 2010, dal blog urladalsilenzio. “Non è che sono pronto<br />
per gli esami, ma pronto a preparare la prima materia. Solo che da<br />
quando ho pagato le tasse non si è fatto più vedere nessuno. L’assistente<br />
volontario che si è occupato dell’iscrizione non mi ha ancora<br />
portato il programma. Siamo <strong>in</strong> due <strong>in</strong> questa sezione iscritti all’università,<br />
e sono <strong>in</strong>cazzato per questo lassismo nei nostri confronti. Ieri,<br />
dopo <strong>in</strong>sistenze, hanno r<strong>in</strong>tracciato il volontario. Dice che si farà<br />
vivo la prossima settimana… Se non sei davvero ost<strong>in</strong>ato, ti passa la<br />
voglia di fare qualsiasi cosa. È proprio quello che loro vorrebbero, no?<br />
Se non fai nulla ed ozi dalla matt<strong>in</strong>a alla sera, non dai fastidio, e se non<br />
dai fastidio, loro lavorano di meno”.<br />
Del rapporto con l’istituzione carceraria<br />
ANGELO TANDURELLA. Io ho un rapporto buono con le guardie, c’è massimo<br />
rispetto, si scherza, si affrontano temi sociali abbastanza seri…<br />
Sono 11 anni che sono r<strong>in</strong>chiuso <strong>in</strong> questo istituto. Poi, facendo lo<br />
spes<strong>in</strong>o, sono sempre <strong>in</strong> contatto con loro e si creano dei rapporti<br />
umani, non con tutti, però, perché c’è sempre lo stronzo di turno, ma<br />
tu lo eviti e stai tranquillo.<br />
PINO REITANO. Io credo che solo le persone <strong>in</strong>civili non hanno dei buoni<br />
rapporti con chiunque; gli Agenti di custodia, come il Direttore, sono<br />
persone, e se qualsiasi detenuto non ha un buon rapporto con loro,<br />
la colpa non è della casa di Reclusione, ma del detenuto che non<br />
comprende la civiltà o il rapportarsi con gli altri. Poi <strong>in</strong> tutti i luoghi<br />
ci sono delle persone nere.<br />
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GIROLAMO RANNESI. Premetto che anche l’istituzione carceraria è composta<br />
da esseri umani, e che come tutti gli esseri umani, guardie, direttori,<br />
ecc… possono sbagliare. Non si può fare di tutta un’erba un<br />
fascio. Se penso dunque che possa essere possibile un buon rapporto<br />
fra detenuti e guardie e direttori, la mia risposta è sì.<br />
I motivi per cui si sceglie di lavorare <strong>in</strong> carcere secondo me possono<br />
essere molteplici. Qualcuno per avere uno stipendio sicuro. Questa<br />
categoria a mio avviso sono per lo più buoni agenti, entrano <strong>in</strong><br />
carcere per guadagnarsi il pane. Poi ci sono quelli che essendo vissuti<br />
<strong>in</strong> quartieri malfamati e che magari hanno subìto le malefatte dagli<br />
scugnizzi o dai Carusi si arruolano nella polizia penitenziaria o <strong>in</strong> altri<br />
corpi di polizia. Questi sono carichi di livore: adesso ve lo faccio vedere<br />
io chi sono!<br />
CARMELO MUSUMECI. Non credo sia possibile un buon rapporto. Perché<br />
un buon direttore, una buona guardia ecc… non accetterebbero mai<br />
di lavorare <strong>in</strong> queste condizioni disumane senza scontrarsi con l’istituzione.<br />
Un buon direttore, una buona guardia ecc… non accetterebbero<br />
mai di fare da guardiani allo zoo con dentro le gabbie degli umani.<br />
Nulla toglie, ovviamente, che anche fra gli operatori penitenziari ci<br />
sono i buoni e i cattivi e che a livello esclusivamente personale possono<br />
nascere dei buoni rapporti. Chi lavora <strong>in</strong> carcere, perché sceglie<br />
questo? Per le guardie, le solite ragioni per cui uno fa il del<strong>in</strong>quente,<br />
per motivi f<strong>in</strong>anziari e perché non ha la possibilità di fare un altro<br />
mestiere. Nessuno credo che nasca con l’aspirazione di fare per mestiere<br />
quello di chiudere una persona dietro una gabbia.<br />
ALFIO FICHERA. Credo che fra detenuti e istituzione carceraria debba esserci<br />
un buon rapporto, perché nessuna delle due parti può scegliere<br />
di divorziare e andarsene.<br />
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La comunicazione<br />
L’articolo 21 della Costituzione italiana recita: “Tutti hanno diritto<br />
di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola,<br />
lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione”. Qualcuno da<br />
qualche tempo, grazie all’<strong>in</strong>termediazione di volontari, si affaccia<br />
sui blog, ma l’attenzione di noi, di là dalle mura, è talmente<br />
flebile… E se comunque comunicare con l’esterno è fortemente<br />
limitato, la percezione del mondo è “sabbia che scivola<br />
via”, se la sua voce e le sue immag<strong>in</strong>i arrivano più che altro attraverso<br />
lo schermo di un televisore, beffardo vetro divisorio fra<br />
il tempo fermo del carcere e il tempo altro che scorre fuori.<br />
Scriveteci, scriveteci!<br />
NICOLA RANIERI, detenuto malato di tumore, trasferito al carcere milanese di Opera<br />
per sottoporsi a delle cure, febbraio 2011. “Per quanto riguarda il sito sono<br />
pochi quelli che mi scrivono, specialmente <strong>in</strong> questo periodo che<br />
non sto dormendo e sto poco bene. Avere un po’ di corrispondenza<br />
mi farebbe bene, perché avrei tante cose da dire, <strong>in</strong>vece mi sento sempre<br />
più solo (…). Potrei parlare della mia vita, rispondere alle domande<br />
che mi ponete, <strong>in</strong>vece non fate altro che delle fiammate per poi<br />
svanire nel traffico tra tanta gente”.<br />
PASQUALE DE FEO, dal blog urladalsilenzio, 25/03/2011, dove si <strong>in</strong>vita a: “SCRI-<br />
VERGLI… SCRIVERGLI… SCRIVERGLI… magari anche ad <strong>in</strong>viargli<br />
qualcos<strong>in</strong>a sull’Inter, dato che è un appassionato tifoso… ma perlomeno<br />
scrivergli. Certo, scrivere una lettera cartacea comporta un<br />
m<strong>in</strong>imo impegno, magari se ne andrà mezz’ora del vostro tempo. Ma<br />
per Nicola <strong>in</strong> questo momento è preziosa tutta la vic<strong>in</strong>anza possibile.<br />
Passa gran parte delle sue giornate da solo, chiuso <strong>in</strong> cella, tra i suoi<br />
pensieri”.<br />
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“Tramite la scuola di geometra che frequento da uditore, con i professori<br />
è stato creato un contatto con gli studenti fuori, scrivendo una<br />
lettera. Oggi mi hanno consegnato tre lettere di risposta di altrettanti<br />
studenti, Emanuele, Giuseppe e Pietro. Mentre leggevo mi sono emozionato,<br />
credo sia dovuto al peso che hanno dato al contenuto del mio<br />
scritto. Mi ha fatto piacere e ha suscitato anche il mio orgoglio. Risponderò<br />
ai tre ragazzi, con l’augurio che le mie parole possano essere<br />
utili…”.<br />
Della comunicazione “verso e da” il mondo esterno…<br />
GIUSEPPE PULLARA. Per noi ergastolani ostativi l’articolo 21 della Costituzione<br />
viene riconosciuto come diritto, ma limitato nei fatti dai regolamenti<br />
penitenziari e dai tanti burocrati che non vogliono fare<br />
uscire dalle mura di c<strong>in</strong>ta le nostre proteste civili e non, per non far<br />
sapere cosa succede all’<strong>in</strong>terno del carcere. A tal proposito adoperano<br />
svariate tecniche: la mediazione, con la promessa da mar<strong>in</strong>aio che<br />
qualcosa si farà; la m<strong>in</strong>accia di punirti con sanzioni discipl<strong>in</strong>ari; il cest<strong>in</strong>amento<br />
della posta; il condizionamento psicologico, facendoti<br />
cambiare cella e sezione, se non il carcere, ecc… ; a questo bisogna aggiungere<br />
l’atteggiamento velatamente “persecutorio”, non facendoti<br />
lavorare quasi mai.<br />
La comunicazione <strong>in</strong> uscita è limitata alla corrispondenza e a dei<br />
colloqui, sia familiari, sia attraverso gli operatori, agenti, <strong>in</strong>segnanti,<br />
volontari, educatori. La comunicazione con i nostri familiari avviene<br />
tramite il colloquio, la lettera e la telefonata. Altro genere di comunicazione<br />
non è consentito.<br />
Con le vittime dei reati commessi? Personalmente non ho alcuna<br />
comunicazione con le vittime, tranne che con i miei familiari, che sono<br />
le mie uniche vittime!<br />
I mezzi di comunicazione che ci sono consentiti <strong>in</strong> entrata, sono<br />
giornali, riviste, libri, tv e radio. Tv e giornali sono limitati a seconda<br />
dei territori o per volontà della direzione. Esempio: da quando è entrato<br />
<strong>in</strong> vigore il digitale terrestre ci è consentito di poter vedere solo<br />
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10 canali. Neanche il numero di quelli che ha solo la Rai. I giornali sono<br />
limitati, si dice, perché fuori portata della distribuzione il luogo del<br />
carcere.<br />
Ma il mondo, visto attraverso i telegiornali, è la percezione di un<br />
mondo che cambia senza poterne far parte, è come tenere <strong>in</strong> un pugno<br />
chiuso un po’ di sabbia. Ogni giorno ne cade a terra un poch<strong>in</strong>o,<br />
f<strong>in</strong>ché ci si ritrova con il pugno vuoto.<br />
Questa sensazione d’impotenza, nel fermare la caduta della sabbia<br />
dal pugno chiuso, ci porta allo stato percettivo di essere <strong>in</strong>utili ai bisogni<br />
dei nostri cari o degli altri, facendoci sentire il vero peso di essere<br />
ergastolani, cioè persone private non solo della libertà, ma anche<br />
del partecipare al cambiamento del mondo, al quale pure potremmo<br />
dare il contributo del nostro sapere reale “grazie” alla sofferenza patita<br />
nei lunghi anni di detenzione.<br />
La sensazione di impotenza ci fa allontanare dalla realtà del mondo<br />
odierno, facendoci sentire diversi, esageratamente.<br />
Tutti abbiamo pregiudizi su tutto, perché abbiamo paura del diverso<br />
e dell’ignoto, ma sui detenuti ci sono pregiudizi esagerati, perché si<br />
identifica il reato con la persona che l’abbia commesso. Quanto dico<br />
lo posso affermare per l’esperienza avuta con gli <strong>in</strong>segnanti e gli operatori<br />
che lavorano nelle carceri. Loro hanno provato “repulsione” a<br />
lavorare <strong>in</strong> questi ambienti, ma dopo pochissimo tempo hanno dovuto<br />
ricredersi, perché i nostri sentimenti sono simili se non più sensibili<br />
di tanti che vivono “fuori”. Dico più “sensibili” perché il dolore e<br />
la mancanza di libertà alzano la soglia sentimentale.<br />
Ebbene, i veri pregiudizi li creano i media e i politici che trasmettono<br />
terrore con titoli ad effetto e venditori di fumo, per racimolare un<br />
pugno di voti, parlando di sicurezza futura. Io aspetto la sicurezza sociale<br />
dal tempo giurassico!<br />
GIOVANNI ZITO. Il mio pensiero è che l’ignoranza è meno dannosa del<br />
confuso sapere.<br />
Io per mia natura non leggo giornali di nessun genere, la Tv mi basta<br />
e avanza per quello che già si vede e si sente.<br />
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Quando si ascoltano notiziari ti accorgi di come le cose cambiano<br />
così velocemente che non ci si crede.<br />
Così si prova una forte distanza, un distacco enorme, immenso, perché<br />
non ci si rende conto di quanti anni sono passati, vivendo <strong>in</strong> una<br />
gabbia dove ci sono muri alti (c<strong>in</strong>que) metri e pareti <strong>in</strong>torno alla propria<br />
vita.<br />
Siamo <strong>in</strong> un mondo microscopico, emarg<strong>in</strong>ati dal mondo esterno<br />
che ci <strong>in</strong>vade solo tramite tv, e a volte siamo più confusi che persuasi.<br />
Ma posso avere il giornale se lo posso acquistare, posso anche avere<br />
qualche libro dalla biblioteca, se voglio ne faccio richiesta. Ho la radiol<strong>in</strong>a<br />
del tipo consentito. Non posso avere <strong>in</strong>ternet.<br />
La comunicazione con i familiari avviene per prima cosa con la corrispondenza,<br />
per sapere sempre e comunque come vanno le cose <strong>in</strong><br />
famiglia, poi c’è la possibilità di effettuare n. 2 telefonate al mese, e se<br />
ne hai la forza economica ti fai un colloquio al mese, se ti va bene.<br />
Questo è tutto quello che si può ottenere visto che si vive a chilometri<br />
di distanza dal luogo di residenza. Sofferenza sul dolore, così è per<br />
noi.<br />
Comunicazione con le vittime dei reati commessi? Prima cosa io sono<br />
stato accusato ma non mi sono mai autoaccusato di fatti per i quali<br />
ho l’ergastolo. Non li conosco neanche di vista, non so proprio chi<br />
sono, le vittime dei reati dei quali sono accusato.<br />
Per il resto non ho altra corrispondenza con persone che non sono<br />
della mia famiglia, fatta eccezione per qualche detenuto ergastolano<br />
con cui ci siamo <strong>in</strong>contrati nelle varie galere. Tutto qua.<br />
Certo che ci sono dei pregiudizi su di noi. Non si fa altro che questo.<br />
Tutti i santi giorni. Sono dovuti ai fatti che accadono ogni istante<br />
della vita esterna, ma noi ergastolani da più di un decennio cosa possiamo<br />
fare? Che colpe possiamo avere <strong>in</strong> merito a fatti attuali?<br />
Ma non giudicate un uomo dalla gente che frequenta, non dimenticate<br />
che Giuda aveva amici irreprensibili.<br />
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La famiglia, gli affetti, i compagni<br />
di carcere, gli amori<br />
L’art. 28 della normativa sul trattamento penitenziario stabilisce<br />
che “particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o<br />
ristabilire le relazioni dei detenuti e degli <strong>in</strong>ternati con le famiglie”.<br />
Eppure, i luoghi di detenzione sono spesso lontani da quelli<br />
di residenza dei propri familiari. La difficoltà ad avere <strong>in</strong>contri-permessi,<br />
i problemi economici, e non solo, che diluiscono<br />
nel tempo le visite di mogli e figli, le fortissime limitazioni previste<br />
quando si è sottoposti al 41 bis, rendono i rapporti con le<br />
famiglie un ‘miraggio’, la loro assenza un “trauma costante”. La<br />
famiglia torna nei sogni, a volte negli <strong>in</strong>cubi. È anche il desiderio<br />
di uscire e formarne una nuova o, quando c’è, è una donna<br />
che aspetta fuori, che ripaga del ricordo di una famiglia d’orig<strong>in</strong>e<br />
dalla quale non si è potuto che scappare.<br />
In un mondo dove l’affettività è, i tutti <strong>in</strong> sensi, castrata, rimane<br />
da convivere, come meglio si può, con la “famiglia carcere”.<br />
Della famiglia e dei ricordi, motivi spesso unici di gioia,<br />
motivi spesso di dolore<br />
GIUSEPPE PULLARA. L’orig<strong>in</strong>e di ogni essere vivente avviene nel grembo<br />
materno, e quasi tutti nasciamo <strong>in</strong> seno a una famiglia. Il nucleo familiare<br />
è la fortezza di ogni persona. Senza di essa ci si sente privi di<br />
ogni difesa, nudi tra la folla vestita, senza la terra sotto i piedi…<br />
La famiglia è la prima società con la quale ci confrontiamo, prima<br />
di abbracciare il mondo esterno, e la prima <strong>in</strong> cui affondiamo i nostri<br />
artigli di <strong>in</strong>civiltà. La sicurezza che la famiglia ci offre sp<strong>in</strong>ge la perso-<br />
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na a delle scorrettezze, sapendo del perdono assicurato e <strong>in</strong>condizionato<br />
che elargisce. Essa rimane il fulcro della vita e del senso di appartenenza,<br />
senza la quale non potremmo vivere, ci sentiremmo pesci<br />
fuor d’acqua, anime <strong>in</strong> un limbo, esseri senza volto.<br />
Il ricordo della famiglia è un miscuglio di sentimenti: rimpianto,<br />
rancore, serenità, oppressione… secondo l’età. Io da bamb<strong>in</strong>o ero felice<br />
e sereno, ma sentivo l’oppressione della famiglia quando mi si negava<br />
una maggiore libertà, come se volessero privarmi della gioia di<br />
vivere allegramente. Oggi capisco le loro decisioni!<br />
Se non provo rancore per nessuno, il rimpianto per me è come un<br />
fastidioso <strong>in</strong>setto, che ti tormenta tutti i santi giorni. Perché? Il dolore<br />
dato ai familiari per lo status quo mi fa soffrire sapendo che soffrono.<br />
Ogni ricordo piacevole, oppure assistere alla proiezione di un film<br />
romantico, trasportano il mio cuore <strong>in</strong> un vortice sempre più str<strong>in</strong>gente,<br />
facendo scorrere la mia vita passata con la mia famiglia come<br />
<strong>in</strong> un film. E si soffre e si gioisce.<br />
Per vivere il presente decorosamente bisognerebbe avere la forza di<br />
annullare le emozioni e i sentimenti che ci legano alle persone amate.<br />
Essendo difficile, se non impossibile, il presente è un trauma perenne,<br />
come un girone dell’Inferno di Dante. La colpa della loro sofferenza<br />
poggia su di noi come una Spada di Damocle, perché ci sentiamo responsabili<br />
degli eventi, anche quando ci sentiamo <strong>in</strong>colpevoli.<br />
Il futuro? buio totale, tunnel senza uscita…<br />
Il carcere non è una famiglia, ma un agglomerato di persone che<br />
cercano di tollerarsi a vicenda. Tutti cerchiamo di sostenere chi è più<br />
debole (fisicamente, mentalmente, economicamente ecc…) come<br />
meglio si può, ma non c’è creazione di una nuova famiglia <strong>in</strong> carcere.<br />
Sarebbe uno schiaffo moralmente <strong>in</strong>sopportabile per chi vive e convive<br />
con il dolore causato ai suoi cari. Sono <strong>in</strong>sostituibili!<br />
Molti sostengono che la vita familiare e coniugale sia “un carcere”?<br />
Beh, chi non conosce il vero carcere può dire quello che vuole, ma sarebbe<br />
uno sbaglio sentirsi carcerati solo perché non si riescono a risolvere<br />
alcuni problemi. Vero è che la società si evolve troppo rapidamente<br />
e non è facile starle dietro, ma se <strong>in</strong> una coppia, famiglia o unione di<br />
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fatto, si pensa all’<strong>in</strong>teresse personale e non a quello della famiglia, ogni<br />
piccolo problema pesa un’enormità, facendo nascere nelle menti deboli<br />
la sensazione di soffocamento, e di conseguenza di carcerazione. Qual<br />
è la soluzione? La fuga? Sarebbe comodo e da bamb<strong>in</strong>i non trovare il<br />
problema per focalizzarlo ed elim<strong>in</strong>arlo. Vi sembro troppo facilone?<br />
Sappiate che ho distrutto la mia famiglia per troppo amore! 1<br />
Il tempo e la solitud<strong>in</strong>e mi hanno fatto riflettere e da questa lunga<br />
riflessione posso acclarare che la prigione è dentro di noi. Fuggite dal<br />
carcere <strong>in</strong>teriore, e sarete liberi <strong>in</strong> famiglia!<br />
ANTONINO SUDATO. Per me la famiglia è tutto. Tutto!<br />
Senza il loro amore non avrei il motivo per esistere o vivere. È la mia<br />
famiglia che mi dà la forza tutte le sere di addormentarmi e al matt<strong>in</strong>o<br />
di svegliarmi.<br />
I ricordi mi aiutano a migliorarmi e a pensare che una volta ero un<br />
uomo libero e felice.<br />
I miei genitori sono morti mentre ero <strong>in</strong> carcere, ma sono ancora vivi<br />
nel mio cuore. Sono sposato da circa trent’anni con mia moglie e<br />
compagna di tutta una vita. Ho quattro figli, Massimo, Michelangela,<br />
Simona e Mariella che mi fanno essere felice anche tra quattro mura.<br />
Vivo la cattività del carcere con sofferenza ma con la serenità di<br />
amare ed essere amato.<br />
Data l’età mi sento più un padre verso i miei compagni più giovani,<br />
con gli altri mi sento un fratello.<br />
E a chi sostiene che la vita familiare e coniugale sia un carcere, dico<br />
di provare a stare chiuso fra quattro mura senza una carezza, un bacio,<br />
una parola d’affetto di chi ami o di chi ti ama.<br />
GIOVANNI ZITO. Per me, che sono ergastolano ostativo, la famiglia è proprio<br />
tutto, perché quando un ergastolano trova ancora la forza, il coraggio,<br />
la voglia di vivere, lo deve all’amore <strong>in</strong>condizionato dei propri<br />
1 Il riferimento è al legame sentimentale che ha co<strong>in</strong>volto l’autore nelle vicende della<br />
famiglia della donna cui si è unito.<br />
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familiari. Tutto gira <strong>in</strong>torno alla propria famiglia, dalla gioia al dolore<br />
più tremendo, come può essere la perdita di un familiare. La famiglia<br />
è il fuoco della casa e un dolce tepore, una carezza, il bacio di una<br />
mamma. La famiglia mi dona tutto l’amore possibile e immag<strong>in</strong>abile,<br />
mi trasmette sempre e comunque la serenità dell’anima.<br />
L’anima di un ergastolano ostativo racchiude dentro di sé tutti i ricordi<br />
più belli: la fanciullezza, il profumo dei ricordi che non si possono<br />
esprimere con parole. La felicità non si acquista, non sta nelle<br />
apparenze: ognuno di noi la costruisce <strong>in</strong> ogni istante della vita con il<br />
proprio cuore. Si cerca nel proprio cuore di dare delle risposte più s<strong>in</strong>cere<br />
al tempo che passa <strong>in</strong>esorabilmente. Pensi e ripensi un fermo immag<strong>in</strong>e,<br />
momenti di debolezza e crudeltà allo stesso tempo. La coscienza<br />
non dorme mai.<br />
Ma per me sarà difficile avere una mia famiglia, visto che metà dei<br />
miei anni li vivo dentro 4 mura notte e giorno senza f<strong>in</strong>e.<br />
Ci penso spesso, come sarebbe stata la mia vita con una moglie e dei<br />
figli da crescere. Oggi ho 40 anni e f<strong>in</strong>e pena mai.<br />
Qui <strong>in</strong> carcere tutti ci sentiamo dei figli, mariti, fratelli… Un pensiero<br />
costante è ricevere una lettera dal figlio, dalla figlia, dal fratello,<br />
perché <strong>in</strong> esse ci sono racchiuse parole che ti spezzano il cuore, i sentimenti<br />
più veri escono e crescono come rose. E queste gocce di parole<br />
spesso e volentieri le condividi con il compagno di cella o con l’amico<br />
sfortunato o fortunato come te.<br />
I miei errori, o le scelte, di cui gli altri mi accusano, ricadono sulla<br />
mia famiglia, volente o nolente. E così anche loro scontano la mia<br />
stessa condanna perpetua. Non si può tornare <strong>in</strong>dietro, ma si cerca<br />
sempre con tutte le forze di migliorare per il futuro. Se ci sarà mai un<br />
futuro, per tanti di noi.<br />
ANGELO SALVATORE VACCA. I miei genitori si sono separati quando avevo<br />
solo 8 giorni e venni affidato alla nonna paterna. Questo accadde perché<br />
mio padre era un tipo violento e molto manesco, ma solo con le<br />
donne. Mia madre dopo anni di sofferenze e sopportazione scappò<br />
via, lasciandomi <strong>in</strong> ospedale. In seguito venne a riprendermi senza<br />
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però riuscirci. Mia nonna era una gran lavoratrice, lavorava <strong>in</strong> campagna<br />
la matt<strong>in</strong>a e anche il pomeriggio, guadagnando due giornate <strong>in</strong><br />
una. Era costretta a lavorare, anche se percepiva la sua pensione e<br />
quella di reversibilità, che puntualmente mio padre le sottraeva, anche<br />
con la forza e a volte anche picchiandola. Lui non lavorava mai e<br />
cambiava donna ogni 2-3 mesi. Le portava a casa costr<strong>in</strong>gendomi a<br />
chiamarle tutte mamma, altrimenti erano botte. Tutte le donne che ha<br />
avuto, però, più di 3 mesi con lui non resistevano, perché le costr<strong>in</strong>geva<br />
a lavorare, toglieva loro tutti i soldi e le picchiava. Spesso mentre<br />
era con una portava già a casa un’altra, spacciando quella che era a casa<br />
per sua sorella e se quella fiatava, botte da orbi. Un giorno, rientrato<br />
da scuola, mia nonna mi disse che mio padre era f<strong>in</strong>ito <strong>in</strong> carcere.<br />
Pensavo fosse un sollievo, <strong>in</strong>vece proprio su quell’episodio avrei forgiato<br />
il mio futuro.<br />
Tutti i miei amici e vic<strong>in</strong>i di casa non vollero più frequentarmi, perché<br />
i loro genitori glielo proibivano: il paese era piccolo e avere un genitore<br />
<strong>in</strong> carcere era come avere la peste. Com<strong>in</strong>ciai così ad isolarmi e<br />
ad odiare quella società che mi rifiutava pur non avendo commesso<br />
nulla. Dopo pochi mesi mio padre tornò a casa e la tranquillità ebbe<br />
f<strong>in</strong>e… Mio padre si appropriava di tutti i soldi, il cibo scarseggiava e<br />
la fame si faceva sentire. Com<strong>in</strong>ciai a frequentare qualche ragazzo con<br />
il padre <strong>in</strong> carcere e formammo così un gruppo di ragazz<strong>in</strong>i dai 6 agli<br />
8 anni, che dove passavano portavano via anche l’erba. Quando entravamo<br />
nelle case non rubavamo nulla di prezioso, solo pane, pasta,<br />
olio, tutte cose per cibarci. Poi verso i 10 anni com<strong>in</strong>ciammo a capire<br />
che era più fruttuoso portare via soldi, oro, televisori, perché li potevamo<br />
vendere e con il ricavato comprare tutto ciò che volevamo. Com<strong>in</strong>ciammo<br />
a rubare di tutto, anche le ruote delle auto e le batterie<br />
dei camion. All’età di 13 anni venni r<strong>in</strong>chiuso per 7 mesi <strong>in</strong> ri<strong>formato</strong>rio<br />
per i troppi guai che comb<strong>in</strong>avo. Quando uscii avevo 14 anni e<br />
passai al carcere m<strong>in</strong>orile per ricettazione. Durante i furti com<strong>in</strong>ciammo<br />
a trovare le armi e a commettere le prime rap<strong>in</strong>e. A 18 anni<br />
ovviamente com<strong>in</strong>ciammo ad entrare nelle carceri per adulti, dove si<br />
fanno le giuste conoscenze per entrare nei giri che contano.<br />
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A 19 anni conobbi una splendida ragazza, anche lei con genitori separati<br />
e con il padre <strong>in</strong> carcere da 20 anni per omicidio. Dopo 6 mesi<br />
la sposai e decisi di chiudere con il passato, anche perché dopo un anno<br />
nacque una figlia. Tutto questo però durò solo 2 anni, perché quello<br />
che guadagnavo <strong>in</strong> un mese, con l’illecito lo avrei guadagnato <strong>in</strong><br />
poche ore e poi avevo com<strong>in</strong>ciato a conoscere i guadagni che portano<br />
le sostanze stupefacenti.<br />
Dopo 2 anni mi arrestarono di nuovo per una rap<strong>in</strong>a e dopo 3 anni,<br />
su una condanna di 4, usufruii della semilibertà. Poco dopo mia<br />
moglie rimase di nuovo <strong>in</strong>c<strong>in</strong>ta e nacque mio figlio. Avevo scelto di<br />
tornare a del<strong>in</strong>quere anche perché volevo dare tutto alla mia famiglia,<br />
tutto quello che io non avevo mai avuto, ma questo mi ha portato a<br />
togliere ai miei figli quello che anche a me era stato tolto: la presenza<br />
di un padre. I beni materiali si possono avere anche con i sacrifici, l’amore<br />
e la presenza di un padre non si possono comprare. Quando<br />
mio figlio aveva solo 6 mesi venni arrestato nuovamente per omicidio.<br />
Sono stato condannato all’ergastolo a 28 anni e non ho avuto la<br />
gioia di veder crescere i miei figli, ma non gli ho fatto mancare il mio<br />
affetto, anche se da lontano, e loro mi adorano. Oggi hanno 21 e 15<br />
anni e sono due ragazzi che tutti mi <strong>in</strong>vidiano, senza grilli per la testa…<br />
Sono orgoglioso di loro e vivo per loro e per mia moglie, che<br />
con enormi sacrifici li ha tirati su senza fargli mai mancare nulla. Oggi<br />
l’unica cosa che spero è di poter vedere crescere i miei futuri nipoti<br />
standogli accanto, dato che con i miei figli non ho potuto farlo.<br />
GIROLAMO RANNESI. Quali sono le cose che ho potuto fare durante gli ultimi<br />
18 anni della mia vita che possono essere def<strong>in</strong>ite gioie? Niente di<br />
particolare, ho solo trovato una ragazza che per devozione ha scelto di<br />
amare un disgraziato facendone <strong>in</strong> certi momenti un uomo felice.<br />
Durante la carcerazione, nei momenti più difficili perché sottoposto<br />
al regime del 41, accade che io e Francesca ci fidanziamo. La cosa si fa<br />
seria, vogliamo un figlio, com<strong>in</strong>cio a chiedere autorizzazioni a tutto<br />
spiano al M<strong>in</strong>istero della Giustizia, ho fatto istanze per 7 anni. Niente.<br />
Figuriamoci se autorizzano un mafioso a procreare. Tuttavia acca-<br />
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de che ho voluto <strong>in</strong>sistere ancora una volta, avevo fatto un sogno e<br />
spronato da quello che avevo visto torno alla carica. Ed ecco l’<strong>in</strong>contro<br />
con una persona di buona volontà: arriva la sospirata autorizzazione<br />
a procreare, naturalmente attraverso la fecondazione assistita, e<br />
poi arriva Nicholas, colui che dà un senso all’amore e alla perseveranza<br />
con cui <strong>in</strong>sieme a Francesca avevamo lottato. Ho sposato Francesca<br />
quando Nicholas aveva compiuto 2 anni, dopodiché riesco ad uscire<br />
da quel maledetto regime che è il 41 bis, che per 13 anni mi aveva impedito<br />
di abbracciare i miei cari compresa Francesca. La f<strong>in</strong>e di quel<br />
regime speciale ha comportato il trasferimento <strong>in</strong> altra struttura, la<br />
sorte ha voluto che fosse Spoleto. Qui <strong>in</strong>izia la lotta tra il sottoscritto<br />
e la magistratura di sorveglianza, eh sì, perché un’altra esigenza doveva<br />
essere espletata: la consumazione del matrimonio. Le istanze <strong>in</strong> tal<br />
senso vengono <strong>in</strong>oltrate a raffica, e a raffica arrivano i rigetti, ma ecco<br />
l’<strong>in</strong>contro con la persona di buona volontà, la quale capisce il problema<br />
cosicché tra lo stupore di tutti i sapientoni arriva l’<strong>in</strong>aspettato<br />
permesso: 6 ore da trascorrere con la propria moglie <strong>in</strong> un appartamento<br />
di Spoleto al f<strong>in</strong>e di espletare la consumazione del matrimonio.<br />
Che dire, forse non uscirò mai più dal carcere, a meno che non <strong>in</strong>contri<br />
ancora una volta l’ennesima persona di buona volontà.<br />
Durante la lunga carcerazione ho perso mio padre. Anche nel dolore<br />
ho trovato persone che amm<strong>in</strong>istrano la giustizia con amore e carità,<br />
<strong>in</strong>fatti mi è stato concesso di visitare mio padre mentre era <strong>in</strong> f<strong>in</strong><br />
di vita all’ospedale con l’ausilio della scorta, la quale con discrezione<br />
mi ha condotto davanti al suo letto.<br />
Era lucido e tanto felice di vedermi. Mi ha detto: ti aspettavo, sapevo<br />
che saresti venuto. Abbiamo parlato di tante cose ma io con un nodo<br />
alla gola non facevo altro che chiedergli perdono per tutto il tempo<br />
che non avevo passato con lui. Da libero <strong>in</strong>fatti ero sempre occupato<br />
con i miei ex falsi amici, e successivamente a causa della lunga<br />
carcerazione.<br />
Lui era lì pronto a morire, io <strong>in</strong>vece dovevo andare via. Lui moriva<br />
mentre il figlio maggiore doveva andare via con la consapevolezza che<br />
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il suo posto sarebbe stato lì, accanto al proprio padre f<strong>in</strong>o alla f<strong>in</strong>e. Ho<br />
maledetto il giorno <strong>in</strong> cui non ascoltai mio padre. Tentò <strong>in</strong> tutti i modi<br />
di allontanarmi da certe amicizie che poi si rivelarono false, proprio<br />
come lui aveva predetto.<br />
Noi lontani dalle famiglie, suggeriamo ai giovani che fanno scelte<br />
come se la famiglia non fosse un valore fondamentale della vita, di ritornare<br />
sui propri passi. La propria famiglia <strong>in</strong>fatti è la soluzione di<br />
tanti problemi, sono chi vi ha cresciuti! Forse che i vostri genitori non<br />
desiderano per voi il meglio?<br />
Se solo immag<strong>in</strong>aste il dolore che si prova con la lontananza coercitiva,<br />
tornando a casa tutte le sere fareste salti di gioia. La famiglia è colei<br />
che non tradisce mai.<br />
I nostri familiari sono partecipi delle nostre sofferenze e non solo, le<br />
subiscono anche, ragion per cui ognuno di noi si sforza per mostrarsi<br />
agli occhi dei propri cari <strong>in</strong> buona salute, forti e coraggiosi. Ma<br />
quando i figli ti chiedono “Papà ma perché non torni a casa?” beh! allora<br />
sono guai, devi stare attento a non tradire l’apparente sicurezza<br />
mostrata f<strong>in</strong>o a quel momento.<br />
Chi scrive ha un figlio di 7 anni che nell’ultimo colloquio, spazientito<br />
dalla solita risposta, ossia papà sta qui per motivi di lavoro, ha com<strong>in</strong>ciato<br />
a tirare calci sul tavolo e non solo.<br />
GENEROSO DE MARTINO. Mi piacerebbe andare a casa e crescere i miei nipot<strong>in</strong>i<br />
visto che coi figli mi è stato impossibile. La mia famiglia è la cosa<br />
che mi manca di più anche perché è lontana e faccio appena qualche<br />
colloquio l’anno.<br />
Il mio desiderio è che tutti i bamb<strong>in</strong>i abbiano un percorso di crescita<br />
felice perché i miei figli portano evidenti i segni di sofferenza per la<br />
mia mancanza da casa.<br />
MARZIO SEPE. Il calore dei figli e la famiglia, è quello che mi manca di<br />
più…<br />
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Dell’affettività, quando ‘prigionizzata’. Dei rapporti<br />
con i compagni di carcere<br />
GERTI GJENERALI. In questi anni ho mai usufruito di permessi da uomo<br />
libero. No mai!! E quando ho avuto avvenimenti gravi nella mia famiglia<br />
ho fatto quello che fanno tanti stranieri <strong>in</strong> Italia lontani dalla<br />
loro famiglia… ho pianto e ho sofferto <strong>in</strong> silenzio.<br />
La prigionizzazione dell’affettività… Personalmente la vivo male, e<br />
non perché sono giovane e sogno una famiglia… ma trovo assurda<br />
questa <strong>in</strong>utile “tortura psicologica”… mi sono sempre domandato:<br />
quando uno prende una condanna vale anche per il suo amore? Se una<br />
donna ama suo marito “crim<strong>in</strong>ale” fa di lei pure una crim<strong>in</strong>ale? Perf<strong>in</strong>o<br />
nel mio Paese 2 dove la democrazia è giovane e le questioni politiche si<br />
risolvono a colpi di AK 47 3 <strong>in</strong> piazza, ci sono le leggi che puoi avere rapporti<br />
con la propria donna. In quasi tutti i Paesi europei il detenuto ha<br />
diritto all’ora di affettività. Quasi tutti i detenuti che hanno condanne<br />
lunghe, la prima cosa che fanno è chiudere il rapporto con la propria<br />
donna. Almeno parlo di quelli che hanno un po’ di buon senso, molto<br />
triste tenere prigioniera la tua donna per il tuo semplice egoismo.<br />
E non è una questione fisiologica, dopo un po’ di tempo non senti<br />
più niente, diventi un robot, è una questione stupida, medievale, arcaica<br />
e vergognosa.<br />
Mi fa sorridere quando sento: “L’Italia Paese di navigatori, poeti, artisti,<br />
cultura, e dei grandi amanti”… non c’è niente di artistico e poetico<br />
nel vostro sistema carcerario… sistema talebano e <strong>in</strong>fantile... ridicolo!!!<br />
GIUSEPPE REITANO. Credo che ogni detenuto viva l’affettività <strong>in</strong> modo<br />
diverso. L’affettività è un qualcosa che fa parte della vita degli esseri<br />
umani <strong>in</strong> generale, ed esserne privati è come se ti mancasse un pezzo<br />
di te, vivi un trauma perpetuamente.<br />
2 Albania.<br />
3 Sigla che sta per Avtomat Kalašnikova obrazca 1947 god, fucile automatico, comunemente<br />
noto come Kalasnikov.<br />
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In tutti questi anni ho potuto usufruire di un permesso di necessità,<br />
che si concede <strong>in</strong> casi unici, come è stato il mio caso. Dopo 20 anni di<br />
carcere sono uscito, per 13 ore libero senza scorta per potermi sposare.<br />
Per me è stato un miracolo considerato il fatto che è difficile poter<br />
ottenere dei permessi.<br />
GIROLAMO RANNESI. Durante quei lunghissimi anni passati al 41 bis, 13<br />
per l’esattezza, ho visto Donne e bamb<strong>in</strong>i elemos<strong>in</strong>are un abbraccio<br />
dai propri congiunti. Chi è sottoposto al regime del 41 bis può effettuare<br />
un’ora soltanto di colloquio al mese e questo avviene attraverso<br />
l’ausilio di un grosso vetro divisorio. Ho visto bamb<strong>in</strong>i piccoli tendere<br />
le braccia verso il genitore nell’<strong>in</strong>vano tentativo di essere presi <strong>in</strong><br />
braccio. Ho visto bamb<strong>in</strong>i piccoli battere le loro man<strong>in</strong>e contro quell’<strong>in</strong>fame<br />
vetro divisorio. Ho visto Donne immerse <strong>in</strong> un pianto <strong>in</strong>consolabile.<br />
Ho visto uom<strong>in</strong>i umiliati, mortificati, ho visto.<br />
Ho visto famiglie distrutte, immolate <strong>in</strong> nome della sicurezza.<br />
Ho visto uom<strong>in</strong>i zelanti che parlano a vanvera: Oggi la mafia è più<br />
forte di un tempo, è così forte che non ha più bisogno di sparare. Vita facile<br />
per costoro perché nessuno ha il coraggio di chiedergli: Se la vostra<br />
mafia è più forte di un tempo, perché cont<strong>in</strong>uate ad <strong>in</strong>fliggere sofferenze<br />
a Donne e bamb<strong>in</strong>i? Inoltre, che cazzo ne avete fatto di tutti i soldi<br />
spesi per combattere la mafia?<br />
Fuori da quel regime è molto meno dura. Durante i colloqui visivi,<br />
anche coloro che sono stati condannati all’ergastolo hanno la possibilità<br />
di consolare con un abbraccio la propria vedova bianca. Altresì hanno<br />
la possibilità di prendere <strong>in</strong> braccio i propri figli e i nipoti piccoli.<br />
Oggi come vivo la prigionizzazione affettiva? Ahimè, con la prospettiva<br />
di uno che sa di non poter uscire mai più dal carcere. Ahimè.<br />
PAOLO AMICO. Non ho mai usufruito di alcun permesso. Attualmente sono<br />
<strong>in</strong> cella s<strong>in</strong>gola perché sto scontando l’isolamento diurno. Ho <strong>in</strong>iziato<br />
da un mese circa ed <strong>in</strong> totale ho da scontarne 13 mesi. Prima dell’isolamento<br />
diurno ero <strong>in</strong> cella con un altro detenuto per via del sovraffollamento.<br />
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Regolarmente chi è assegnato come me al circuito A. S.1 viene tenuto<br />
<strong>in</strong> cella s<strong>in</strong>gola. A parte gli scorsi sei mesi trascorsi <strong>in</strong> compagnia,<br />
tutti gli anni di pena (21 anni e 2 mesi) li ho trascorsi quasi sempre <strong>in</strong><br />
cella s<strong>in</strong>gola. Attualmente ho pochissimi rapporti con i miei compagni,<br />
visto il mio stato di isolamento, comunque di solito sono cordiali.<br />
La carcerizzazione dell’affettività… Questa è la risposta più impegnativa<br />
e alla quale non so se sia facile rispondere, ma ci proverò.<br />
Io la chiamo mutilazione degli affetti, è la nota più dolente nell’ambito<br />
del bilancio quotidiano della vita del carcerato. Non ci sono mai<br />
ore di colloquio con i familiari a sufficienza, che possano saziare e dissetare<br />
la fame e la sete di affetto che tormentano il tuo corpo e il tuo<br />
spirito. Gli abbracci <strong>in</strong>terrotti improvvisamente perché qualcuno nella<br />
sala colloqui ti avvisa che il tempo è scaduto. Oppure quando al telefono<br />
non senti più la voce della tua persona cara e all’improvviso ti<br />
rendi conto che erano già trascorsi 10 m<strong>in</strong>uti disponibili. Ti accorgi di<br />
avere un senso di vuoto dentro di te perché non hai potuto salutare e<br />
dire l’ultima parola di affetto e di conforto a chi stava dall’altra parte.<br />
I tantissimi risvegli che ti riportano al grigiore della realtà dura, la<br />
“fortunatissima notte” nella quale hai fatto un meraviglioso sogno,<br />
onirico riflesso di ciò che ogni giorno ad occhi aperti vai fantasticando<br />
con la mente coltivando la speranza del vero risveglio. L’affettività<br />
io la idealizzo come qualcosa di sublime che concretizza la sua massima<br />
manifestazione nel pieno della <strong>in</strong>timità, della discrezione e della<br />
riservatezza. Il paradosso è che mi sento <strong>in</strong> maggiore <strong>in</strong>timità affettiva<br />
con le persone che amo quando scrivo loro una lettera o diversamente<br />
quando nell’<strong>in</strong>timità della mia cella vado con i miei pensieri alla<br />
ricerca di loro.<br />
Quando ci <strong>in</strong>contriamo nelle affollate e panotticamente osservate<br />
salette-colloquio, avverto <strong>in</strong>vece tutto l’imbarazzo della castrazione<br />
dell’affettività. Quale affettività può esserci quando al colloquio <strong>in</strong><br />
uno slancio di affetto ti soffermi un po’ di più a prolungare quel bacio<br />
che da diversi giorni attendi con fervore di dare alla tua donna,<br />
quando ad un tratto senti un ticchettio sul vetro al tuo fianco? È l’agente<br />
che come Cerbero ti sta osservando e ti sta dicendo che <strong>in</strong> quel-<br />
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la “area” sono banditi gli slanci di affetto. Fortuna per me che non mi<br />
sono mai trovato <strong>in</strong> questo terribile imbarazzo. Mi sentirei morire<br />
dentro. È stato f<strong>in</strong> troppo imbarazzante assistere alla scena.<br />
LUIGI PECICCIA. Mai usufruito di permessi da uomo libero, senza scorta.<br />
In cella siamo <strong>in</strong> due. I rapporti con il compagno di cella pessimi,<br />
con i compagni di sezione normali. Come vivo la prigionizzazione<br />
dell’affettività? Con tanta pazienza.<br />
GERTI GJENERALI. Da quasi nove anni sono solo <strong>in</strong> cella, ma ho l’impressione<br />
che lo sarò per poco, visto che l’emergenza è sempre presente.<br />
L’unico compagno che ho <strong>in</strong> questi anni di “rieducazione” è l’<strong>in</strong>differenza<br />
che hanno le autorità per il “genere umano” che fanno chiamare<br />
“detenuti”.<br />
I rapporti più duraturi… sono quello che uno ha con se stesso… il<br />
resto sono solo le proiezioni che uno ha nel suo sé <strong>in</strong>teriore.<br />
I rapporti con altri compagni di detenzione <strong>in</strong> l<strong>in</strong>ea di pr<strong>in</strong>cipio sono<br />
“buoni”. Di solito tutto dipende da te stesso e come vuoi farti la detenzione.<br />
Qui, come ogni Teatro che si rispetti trovi attori di tutti i tipi,<br />
le maschere sono pronte per ogni situazione. Alcuni attori si credono<br />
importanti protagonisti, alcuni altri si sentono perf<strong>in</strong>o <strong>in</strong>nocenti<br />
e vittime del sistema, alcuni altri si sentono furbi e scaltri con i<br />
loro “percorsi” da seguire a tutti i costi. Alcuni attori non si sentono<br />
protagonisti ma delle comparse <strong>in</strong> un gioco di crudeltà che ha delle<br />
radici profonde, alcuni di questi attori si sentono orgogliosi di stare<br />
qui e nella loro cultura arcaica e ipocrita, alcuni stanno <strong>in</strong> silenzio e<br />
osservano l’illusione del sistema forcaiolo... mah!<br />
Come sono i rapporti fra di noi? Come devono essere <strong>in</strong> un carcere<br />
di massima sicurezza, come sono fuori: l’egoismo e il dis<strong>in</strong>teresse per<br />
i tuoi compagni ne fa da padrona, ogni uno per sé… ovvio che parlo<br />
per me… questo è il bello della commedia umana qui <strong>in</strong> carcere, che<br />
ogni uno di noi, nelle sue illusioni e le sue maschere, si crede unico e<br />
protagonista del suo dest<strong>in</strong>o.<br />
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PASQUALE DE FEO. Quando è morta mia madre non mi hanno mandato<br />
al funerale, né tantomeno prima mi hanno concesso un permesso,<br />
neanche un avvic<strong>in</strong>amento per un mese di colloquio.<br />
Da oltre venti anni sono da solo <strong>in</strong> cella, non riuscirei più a stare <strong>in</strong><br />
compagnia.<br />
Ho avuto sempre buoni rapporti con i compagni di sezione. Come<br />
il mondo esterno, anche nel mondo <strong>in</strong>terno al carcere c’è sempre<br />
qualche antipatia, ma è del tutto naturale.<br />
La condanna dovrebbe privarci della libertà, <strong>in</strong>vece la condanna è<br />
anche alla castrazione sessuale, che <strong>in</strong>cide molto sulla psiche. Il carcere<br />
attuale è crim<strong>in</strong>ogeno ed è una fabbrica di recidiva perché calpesta<br />
la dignità delle persone e castra la sessualità, perché il sesso è l’atto più<br />
naturale della natura umana, e nessuna legge lo proibisce, pertanto è<br />
una violazione nell’esecuzione della pena.<br />
Dovremmo tutti scioperare contro questo carcere fuori legge, per riprist<strong>in</strong>are<br />
la legalità.<br />
ANGELO SALVATORE VACCA. Non ho mai usufruito di permessi nonostante<br />
la s<strong>in</strong>tesi trattamentale favorevole ai permessi ed alla declassificazione.<br />
Per fortuna non ci sono stati gravi avvenimenti <strong>in</strong> famiglia.<br />
Sono <strong>in</strong> cella con altri nonostante l’art. 22 del C.p. stabilisce che l’ergastolano<br />
deve essere ubicato <strong>in</strong> cella s<strong>in</strong>gola. 4 I rapporti con i compagni<br />
di cella non sempre sono stati idilliaci, tant’è che ho cambiato<br />
diverse celle e compagni. Con i compagni di sezione è diverso, perché<br />
se vuoi ci hai a che fare, altrimenti quei pochi li puoi evitare.<br />
4 Comunque, i giudici di legittimità si sono di recente pronunciati (sent.<br />
22072/2011) sulla natura dell’isolamento notturno, def<strong>in</strong>endolo una modalità di<br />
esecuzione della pena dell’ergastolo. Nel caso sottoposto alla Corte, un detenuto lamentava<br />
la mancata attuazione del disposto di cui all’art. 22 del Codice penale, che<br />
prevede l’isolamento notturno <strong>in</strong> caso di ergastolo. Il Magistrato di sorveglianza non<br />
aveva disposto la misura, osservando che non costituiva una vera e propria sanzione<br />
per l’ord<strong>in</strong>amento penale, a differenza <strong>in</strong>vece dell’isolamento diurno. La Corte di<br />
Cassazione, ha resp<strong>in</strong>to il ricorso del detenuto, confermando la decisione del magistrato<br />
di sorveglianza e precisando che l’isolamento notturno rappresenta un <strong>in</strong>asprimento<br />
sanzionatorio e non una sanzione.<br />
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Nella maggioranza dei casi, senti i compagni lamentarsi della mancanza<br />
non tanto della propria compagna, ma di una donna <strong>in</strong> generale<br />
e del rapporto sessuale. Personalmente soffro molto di più l’assenza<br />
come padre, avendo due figli, che ho lasciato <strong>in</strong> tenera età.<br />
Certo, la mia compagna mi manca da morire anche sotto l’aspetto<br />
della sessualità, ma io e lei abbiamo ormai un rapporto solido, siamo<br />
sposati da quasi 23 anni ormai, e ci conosciamo completandoci a vicenda.<br />
Con i figli <strong>in</strong>vece sto perdendo quei periodi della loro crescita<br />
che mai più potrò recuperare.<br />
Comunque privare una persona, imprigionandogli anche l’affettività,<br />
è qualcosa che non fa certo parte di un Paese e di un popolo civile,<br />
ed è qualcosa talmente brutta che difficilmente può essere descritta.<br />
ALFREDO SOLE. In venti anni non ho mai usufruito di permessi premi o<br />
di necessità.<br />
Sono <strong>in</strong> cella s<strong>in</strong>gola, ho buoni rapporti con i compagni di sezione.<br />
L’affettività… si annulla per poter sopravvivere.<br />
SALVATORE GUZZETTA. In carcere dal 1992. Ci sono stati avvenimenti gravi<br />
<strong>in</strong> famiglia, lutti, ma non mi hanno concesso di partecipare.<br />
La mia carcerazione, fra carcere duro 41 bis e isolamenti diurni, me<br />
la sono fatta da solo <strong>in</strong> una s<strong>in</strong>gola cella. Da 4 mesi spartisco il poco<br />
spazio della cella con un altro detenuto per motivi di sovraffollamento<br />
del carcere di Opera dove attualmente sono detenuto. Riesco a mal<br />
sopportare questa nuova situazione, ma poco, grazie a chi ci governa,<br />
c’è da fare.<br />
Il rapporto con il compagno di cella è sereno. Tra noi detenuti c’è<br />
grande solidarietà. Siamo uom<strong>in</strong>i che viviamo nella sofferenza del<br />
quotidiano. Sereni sono i rapporti con i compagni di sezione. Chi<br />
porta rispetto sicuramente è ricambiato.<br />
L’affettività <strong>in</strong> prigione, personalmente la vivo male. Dalle istituzioni<br />
sono stato sbattuto a più di mille chilometri dalla mia famiglia per<br />
quasi 20 anni.<br />
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La famiglia è come un orto, se tu non hai cura di ciò che hai sem<strong>in</strong>ato,<br />
tutto va a seccarsi e <strong>in</strong>aridire. A me sembra è successo questo, non<br />
potendo, per la lontananza, coltivare quell’affetto con amore, per i figli,<br />
i parenti. Ciò che ho sem<strong>in</strong>ato si è appassito, <strong>in</strong>aridito nel tempo. Il mio<br />
raccolto è limitato, grazie a chi ci governa e a chi ci deve rieducare.<br />
MARZIO SEPE. In carcere dal ‘96, non ho mai avuto permessi, neanche<br />
per la morte della mia adorata mamma.<br />
Sono <strong>in</strong> cella s<strong>in</strong>gola, ottimi rapporti con i compagni di sezione. Come<br />
vivo la prigionizzazione dell’affettività? Per anni malissimo. Dal<br />
2008 diciamo più umano con la mia famiglia “figli”.<br />
CIRO BRUNO. Non ho mai usufruito di permessi premio. Purtroppo ho<br />
perso mio padre il 2 agosto 2007, e non mi è stato concesso di partecipare<br />
ai funerali.<br />
Sono <strong>in</strong> cella s<strong>in</strong>gola. Per quanto riguarda la convivenza tra noi detenuti<br />
posso dire, a fronte dei miei c<strong>in</strong>quantadue anni, di cui 21 trascorsi<br />
<strong>in</strong> carcere, che tendenzialmente con alcuni ho rapporti formali,<br />
<strong>in</strong>vece con altri sono legato da sano sentimento, scaturito <strong>in</strong> pr<strong>in</strong>cipio<br />
dalla solidarietà, poi, come spesso succede, per fortuna si trasforma<br />
<strong>in</strong> stima e affetto, condividendo il quotidiano, spesso fatto di<br />
dolori, sofferenze, nervosismo, <strong>in</strong>tolleranza. Menomale che ho rapporti<br />
saldi con alcuni, perché è grazie a questo che riesco a superare<br />
tutta quella serie d’<strong>in</strong>compatibilità che si crea con la restante parte dei<br />
detenuti, che grazie a Dio non sono tanti.<br />
Dico questo <strong>in</strong> quanto ho constatato che da un po’ di anni a questa<br />
parte si sono persi alcuni valori all’<strong>in</strong>terno delle carceri, e qu<strong>in</strong>di sei<br />
costretto a convivere con alcuni arroganti, presuntuosi, <strong>in</strong>vidiosi, <strong>in</strong>gordi,<br />
irriconoscenti e, mi dispiace dirlo, anche cattivi, cattivi perché<br />
delatori. Ma tutto ciò riesco a superarlo con molta <strong>in</strong>differenza, e grazie<br />
alla mia natura, che mi ha dotato del buonsenso. Infatti a me basta<br />
poco per essere sereno con me stesso e soprattutto con gli altri,<br />
perché mi rendo sempre disponibilissimo verso un compagno, che<br />
poi non è altro che un povero Cristo come me.<br />
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La prigionizzazione dell’affettività? Dire che è atroce è poco. Perché<br />
la privazione dell’affettività ti sconvolge, ti annienta l’anima, ti riduce<br />
a un nulla; viene a mancare tutto, sei spogliato di ogni cosa, sei spersonalizzato<br />
e mortificato.<br />
Io trovo aberrante che giustamente tutte le forze politiche sono sensibilissime<br />
alla tutela e alla salvaguardia di tutte le specie di animali,<br />
anche quelle ritenute le più feroci, tralasciando magari d’occuparsi <strong>in</strong><br />
modo serio e coscienzioso delle condizioni disumane <strong>in</strong> cui noi detenuti<br />
siamo costretti a vivere, condizioni che rasentano le più f<strong>in</strong>i e<br />
machiavelliche e sofisticate torture, basti pensare alla consuetud<strong>in</strong>e di<br />
sbatterci <strong>in</strong> istituti che distano migliaia di chilometri dai propri famigliari,<br />
con la consapevolezza che così facendo si <strong>in</strong>terrompono quei<br />
sottili legami, che già l’essere detenuto comporta, con il nucleo famigliare,<br />
aggiungendo la miriade di difficoltà che ci sono ogni volta che<br />
si dovrebbe fare un colloquio; tenendo prima di tutto conto di alcune<br />
possibilità che purtroppo <strong>in</strong> molte famiglie vengono a mancare, soprattutto<br />
quelle economiche, tutto questo porta a soffocare anche l’amore<br />
più fervido che ogni nostro familiare ha per noi. Qu<strong>in</strong>di, quando<br />
viene a mancare l’appoggio, l’affetto e l’amore di cui ognuno di noi<br />
ha bisogno per poter vivere la detenzione come espiazione e non come<br />
vessazione, così come accade ormai da più di due decenni… vedi<br />
tutti i suicidi che si consumano nelle carceri italiane.<br />
DOMENICO PACE. Ho ottenuto permessi di necessità sotto la vigilanza di<br />
scorta armata.<br />
Mi trovo <strong>in</strong> cella s<strong>in</strong>gola. Il rapporto con i compagni di sezione è di<br />
massima cordialità.<br />
Essere privato dell’affettività, lo considero come una doppia condanna:<br />
devono “pagare colpe” (non loro) mia moglie e mio figlio.<br />
MAURO DE FILIPPI. Non ho mai usufruito di permessi, né libero né scortato.<br />
A mia madre nel 2009 sono stati asportati due tumori, e a causa di<br />
ciò ho chiesto un avvic<strong>in</strong>amento-colloqui per poterla vedere, che non<br />
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mi è stato mai concesso. Nonostante <strong>in</strong> due anni ho fatto solo due colloqui,<br />
ancora oggi cont<strong>in</strong>uo a chiedere l’avvic<strong>in</strong>amento senza ricevere<br />
risposta dal DAP.<br />
In cella per il momento sono da solo, ma non si esclude che da un<br />
momento all’altro mi possano mettere uno o due compagni <strong>in</strong> una<br />
cella per una persona, visto che la struttura può contenere 200 persone<br />
e siamo già <strong>in</strong> 300. I rapporti con i compagni di sezione comunque<br />
sono ottimi.<br />
Affettivamente sono molto addolorato, perché a causa della mia situazione<br />
economica non posso vedere come vorrei la mia famiglia,<br />
soprattutto i miei nipot<strong>in</strong>i, figli delle mie figlie, che sono nati quando<br />
ero già <strong>in</strong> carcere. Il piccolo di 3 anni l’ho potuto vedere una sola volta<br />
da quando mi trovo qua, dal 19-10-2010, mentre il più grande di 6<br />
anni non lo vedo da tre anni, e questo mi fa stare molto male. Ma nonostante<br />
tutto non mi viene autorizzato l’avvic<strong>in</strong>amento-colloqui che<br />
mi spetterebbe di diritto.<br />
SALVATORE DIACCIOLI. Non ho usufruito di permessi da uomo libero. Nel<br />
1995, per la perdita di mia suocera, mi sono state concesse due ore di<br />
permesso di necessità.<br />
Vivo <strong>in</strong> cella s<strong>in</strong>gola. Per quanto riguarda il rapporto con i miei compagni<br />
di sezione, beh… diciamo che per un quieto vivere si cerca (anche<br />
se con tanta fatica) di convivere e di relazionarci nonostante sono<br />
tante le cose, i costumi, le ideologie, che ci distanziano l’uno dall’altro.<br />
Oggi l’ambiente carcerario è molto cambiato, i pr<strong>in</strong>cìpi sono pochi e i<br />
valori nella stragrande maggioranza non sanno cosa siano, ed io, come<br />
veterano detenuto, rimpiango l’ambiente carcerario degli anni ‘70.<br />
La prigionizzazione dell’affettività la vivo con la consapevolezza che<br />
non ci sono parole o gesti, che possono esprimere quello che davvero<br />
ci viene privato.<br />
GIOVANNI PRINARI. Ho avuto solo un permesso di necessità nel 2003 dal<br />
magistrato di sorveglianza di Lecce per la morte di mia nonna, per recarmi<br />
al cimitero.<br />
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Sono <strong>in</strong> cella s<strong>in</strong>gola, i rapporti con i compagni di sezione sono di<br />
civile convivenza per la gran parte, ottima con pochissimi.<br />
L’affettività… una tortura vera e propria, contraria a qualsiasi ragione<br />
di natura biologica, prima, e civile, dopo.<br />
Pagare per i propri errori è giusto e sacrosanto. Pagare però un surplus<br />
non lo è più. Quel surplus di pena sono gli affetti, quei rapporti<br />
con la famiglia che il tempo e la distanza sgretolano, affievoliscono,<br />
<strong>in</strong>aridiscono. Il cuore diventa un pezzo di ghiaccio, ma il dialogo stesso<br />
si <strong>in</strong>terrompe perché ogni giorno che passa ci si sente sempre più<br />
estranei alle vite di chi è fuori. Già è dura mantenere vivo l’affetto attraverso<br />
colloqui settimanali quando si è detenuti nella propria città,<br />
se solo si pensa che le sei ore mensili di colloquio consentite corrispondono<br />
a un quarto di un giorno e per gli altri 29 e tre quarti del<br />
mese non puoi avere i tuoi cari vic<strong>in</strong>o. Ma puoi non vederli per mesi<br />
o anni, come succede a me, che il periodo più lungo senza poter fare<br />
un colloquio è stato di diciotto mesi.<br />
F<strong>in</strong>o a quando sono stato detenuto a Lecce, ho potuto vedere crescere<br />
i miei due figli cercando di fargli sentire quanto più possibile la<br />
mia presenza, consapevole dei miei errori e del dolore che gli avevo<br />
procurato. Vederli tutte le settimane, poterli toccare, accarezzare,<br />
str<strong>in</strong>gerli forte tra le braccia, tenergli le mani, era come fare il carico<br />
d’ossigeno, sia per me, sia per loro. Era un farsi forza reciprocamente,<br />
non volere perdere la speranza che un giorno sarebbe stato diverso,<br />
che ci sarebbe stato un futuro un tant<strong>in</strong>o migliore. E non è facile per<br />
chi ha l’ergastolo sperare che tutto ciò si possa realizzare.<br />
Oggi i miei figli sono grandi. Loro <strong>in</strong> tutti questi anni hanno rappresentato<br />
la mia ancora di salvezza, la mia forza <strong>in</strong>teriore per affrontare<br />
una vita che vita non è, perché l’ergastolo ti fa morire dentro un<br />
poco ogni giorno, e non solo per il peso della condanna <strong>in</strong> sé che si<br />
porta via il tempo, ma per quelli che sono i rimorsi che uno si porta<br />
dentro per tutto il male che ha fatto.<br />
Oggi mi trovo a essere il nonno di due nipoti bellissimi, figli di mia<br />
figlia, Marco di tre anni ed Andrea di uno. Nella prima gravidanza<br />
non ho avuto la possibilità di vedere mia figlia, perché per tutti e no-<br />
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ve i mesi la sua gravidanza è stata a rischio, e io nel frattempo ero stato<br />
trasferito a cent<strong>in</strong>aia di chilometri dalla mia città.<br />
Non ho potuto condividere con lei quello stato di grazia, che solitamente<br />
ha una donna quando è <strong>in</strong> attesa di una nuova vita nel suo<br />
grembo. Questa è stata una sofferenza durissima per tutti e due.<br />
Durante la seconda gravidanza, malgrado anche questa fosse a rischio,<br />
ha deciso di venire a farsi vedere. Era di appena 4 mesi, ma era<br />
radiosa, ed è stata un’emozione <strong>in</strong>descrivibile poterle posare la mano<br />
sul grembo.<br />
Il mio nipot<strong>in</strong>o Marco l’ho visto quattro o c<strong>in</strong>que volte. Andrea, <strong>in</strong>vece,<br />
solo una volta.<br />
Non è facile per una famiglia che vive di uno stipendio esiguo e con<br />
due figli, spendere dei soldi per venire al colloquio. Né può farlo mia<br />
madre che è anziana, sofferente e che vive di pensione m<strong>in</strong>ima.<br />
Una ultima considerazione: ho scontato 18 anni di pena e non ho<br />
mai avuto un permesso premio. Se qualcuno osa ancora avere dubbi<br />
circa l’effettività dell’ergastolo o della certezza della pena, credo che il<br />
dubbio potrà toglierselo.<br />
SEBASTIANO MILAZZO. Non ho mai usufruito di permessi da libero. Mi è<br />
stato concesso nell’agosto del 2009 di andare a trovare mia madre,<br />
sotto scorta, presso la mia abitazione.<br />
I rapporti con i miei affetti sono stati ottimi s<strong>in</strong>o a che sono stato<br />
nel carcere di Sollicciano (Firenze). Un istituto dove ord<strong>in</strong>e e rigore<br />
erano realizzati nel più rigoroso rispetto dei pr<strong>in</strong>cìpi di umanità cui<br />
dovrebbe ispirarsi la pena.<br />
Al momento dell’arresto avevo lasciato un bamb<strong>in</strong>o di 18 mesi e un<br />
altro mi è nato un mese dopo e per otto anni ho potuto <strong>in</strong>contrarli<br />
ogni settimana, quasi sempre <strong>in</strong> un’area verde attrezzata. Un ambiente<br />
gradevole con una sorveglianza attenta e sensibile (<strong>in</strong> genere donne),<br />
dove potevo toccare i miei figli, accarezzarli, giocare con loro,<br />
str<strong>in</strong>gerli fra le mie braccia, trasmettere loro l’idea di avere un padre<br />
presente ed essere di conforto alla madre.<br />
Dopo otto anni sono stato trasferito a Spoleto e la possibilità di <strong>in</strong>-<br />
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contrarli si è progressivamente diradata, f<strong>in</strong>o a vederli 2/3 volte l’anno.<br />
Si è diradata per motivi economici, per la distanza, ma anche per<br />
non distoglierli dai doveri scolastici e poi dagli impegni di lavoro. La<br />
rarefazione dei colloqui mi ha impedito per più di dieci anni di conoscerli<br />
veramente, e col tempo mi ha fatto assistere ‘impotente’ all’<strong>in</strong>aridimento<br />
dei nostri rapporti e dei nostri dialoghi.<br />
Ho com<strong>in</strong>ciato a chiedere alla Direzione di poter essere di nuovo<br />
trasferito <strong>in</strong> Toscana. Nella mia condizione di ergastolano, che non<br />
poteva godere né di un abbraccio libero, né di misure alternative, non<br />
volevo perdere i miei figli né volevo che si perdessero. Consapevole<br />
delle difficoltà sempre maggiori che avrebbe <strong>in</strong>contrato con il passare<br />
degli anni una madre che doveva fare loro anche da padre, speravo di<br />
poterle stare più vic<strong>in</strong>o, per aiutarla ad educare i nostri figli, a seguire<br />
una strada di sicura legalità. Speravo <strong>in</strong> qualcosa che <strong>in</strong> un sistema sano<br />
non dovrebbe nemmeno essere chiesto.<br />
Per anni sono andato ad esporre queste mie speranze alla Direzione,<br />
nonostante ogni volta mi rendessi conto di esporle a facce neutre,<br />
come quelle degli entomologi che <strong>in</strong>filzano gli <strong>in</strong>setti da esperimento,<br />
che non concepivano che la vera dignità delle istituzioni, <strong>in</strong> uno Stato<br />
che si vuole def<strong>in</strong>ire giusto e prima ancora civile, si realizza nello<br />
svolgere bene il proprio ruolo, come la legge vuole che sia e non come<br />
la si <strong>in</strong>terpreta.<br />
Infatti tutte le mie richieste, nonostante la funambolica retorica mediatica<br />
sulla f<strong>in</strong>alità rieducativa della pena, non sono state mai valutate<br />
da chi, capivo bene, coltivava solo l’<strong>in</strong>teresse di stare arroccati nei<br />
loro piccoli feudi, padroni assoluti del campo, anche a costo di ridurre<br />
l’esistenza di chi si ost<strong>in</strong>a a non volere abdicare al ruolo di padre e<br />
di coniuge, <strong>in</strong> un supplizio quotidiano, trattando i detenuti come esseri<br />
“<strong>in</strong>senzienti”.<br />
Dal 2008, causa un <strong>in</strong>cidente, mia moglie non ha più potuto viaggiare<br />
e non poteva più portarmi i figli, ancora m<strong>in</strong>orenni. E di fronte<br />
al fastidio delle mie sempre più frequenti istanze di trasferimento, venivo<br />
segnalato al DAP per essere allontanato da Spoleto. Il pretesto era<br />
stato trovato nella colpa di aver “osato” chiedere il rispetto della legge<br />
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(art. 22 C.p.) che impone di far scontare l’ergastolo <strong>in</strong> cella s<strong>in</strong>gola, e<br />
l’aver osato chiedere il rispetto della legge a chi la legge è chiamato a<br />
farla rispettare, e <strong>in</strong> un luogo dove si dovrebbe rieducare alla legalità,<br />
ha scatenato la reazione di scegliere con scientifica malvagità il luogo<br />
più lontano e più difficile da raggiungere. Sono trasferito a Car<strong>in</strong>ola.<br />
Non Bologna, Firenze, Volterra, ma un luogo distante, senza un aeroporto<br />
o una stazione ferroviaria vic<strong>in</strong>a.<br />
E cosa ne rimane di un rapporto dopo anni passati senza potersi<br />
guardare negli occhi, senza il calore di un abbraccio, è facile immag<strong>in</strong>arlo.<br />
Come è facile immag<strong>in</strong>are cosa può rimanere nella mente di figli<br />
che s<strong>in</strong> dalla nascita sono stati privi della presenza del padre, che si<br />
vedono presentare una figura diventata come quell’albero su cui da<br />
anni non cade la pioggia, che ad un certo punto appassisce, perde le<br />
foglie, non produce più né fiori, né frutti, e diventa come legna da ardere.<br />
Ma a chi giova questo perverso meccanismo se non a chiunque voglia<br />
confondere le acque per scopi che nulla hanno a che fare né con<br />
la giustizia né con la sicurezza.<br />
Il distacco dagli affetti, soprattutto per l’ergastolano che non ha un<br />
f<strong>in</strong>e pena certo su cui contare, suona pressappoco così: “Siccome non<br />
ti viene tolta la vita ti faccio vedere la morte come l’unico conforto su<br />
cui puoi contare”.<br />
GIUSEPPE IOVINELLA. Io avevo chiesto il permesso per andare a trovare<br />
mia sorella che è down, è lì da mia madre che ha 85 anni e sono undici<br />
anni che non le vedo. Mi hanno risposto: solo <strong>in</strong> caso di morte.<br />
Poi, essendo separato non vedo quasi mai i miei figli e mi mancano<br />
tantissimo.<br />
MARIO TRUDU. F<strong>in</strong>o ad oggi la mia trentennale carcerazione è stata <strong>in</strong>terrotta<br />
da soli dieci mesi di latitanza (periodo che va da giugno del<br />
1986 ad aprile del 1987). Venti anni fa entrai nei term<strong>in</strong>i per poter<br />
usufruire dei benefici penitenziari e da allora ho <strong>in</strong>iziato a presentare<br />
diverse richieste per poterli ottenere, ma sono state resp<strong>in</strong>te sistema-<br />
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ticamente tutte f<strong>in</strong>o a quando nel 2004 mi venne concesso un permesso<br />
con l’art. 30 O.p. (otto ore libero, senza scorta) per partecipare<br />
alla presentazione di un CD-ROM sulle fontane di Spoleto, realizzato<br />
<strong>in</strong> carcere da noi alunni del quarto anno dell’Istituto d’arte. Trascorsi<br />
quelle ore di permesso a Spoleto <strong>in</strong>sieme ai miei familiari venuti appositamente<br />
dalla Sardegna, ed <strong>in</strong> compagnia di alcuni professori. Nel<br />
novembre del 2005 mi fu concesso un altro permesso, questa volta di<br />
sette ore, per la presentazione di una rivista sui vecchi palazzi di Spoleto,<br />
che avevamo prodotto <strong>in</strong> carcere. Trascorsi quelle ore a Perugia<br />
sempre con i miei familiari. A questo punto mi ero conv<strong>in</strong>to che il fattore<br />
di pericolosità sociale attribuitomi fosse oramai decaduto e di<br />
conseguenza mi illusi che, di tanto <strong>in</strong> tanto, mi sarebbe stato concesso<br />
qualche permesso utile a curare gli affetti familiari. Purtroppo non<br />
fu così, perché dopo quell’ultimo permesso tutte le mie richieste furono<br />
resp<strong>in</strong>te.<br />
Inizio a questo punto a chiedere con <strong>in</strong>sistenza un trasferimento <strong>in</strong><br />
un carcere della mia regione di appartenenza, ma nulla da fare: la prima<br />
richiesta fu rifiutata e le successive non ebbero mai risposta. Ho<br />
presentato a più riprese richieste di permesso necessità per poter andare<br />
a far visita a mia sorella Raffaella che non vedo dal 2004 e che<br />
non si trova <strong>in</strong> condizioni per poter affrontare lunghi viaggi, ma anche<br />
queste vengono negate motivando che lei non si trova <strong>in</strong> pericolo<br />
di vita.<br />
Sono contento che mia sorella non sia <strong>in</strong> pericolo di vita.<br />
ANTONIO PRESTA. I primi anni di detenzione sono stati durissimi per la<br />
mia giovane età, per le difficoltà di poter effettuare colloqui visivi con<br />
la mia famiglia, per le poche possibilità economiche, con la mia immissione<br />
<strong>in</strong> un circuito penitenziario più duro, di alta sicurezza, con<br />
la posta censurata, con la convivenza con una maggioranza di ergastolani<br />
di lunga data, che pure mi hanno aiutato, e ho riscontrato <strong>in</strong><br />
molti di loro una grande umanità e altruismo.<br />
Oggi ho 38 anni. Ho espiato 22 anni e 11 mesi all’1 gennaio 2010.<br />
Ho fruito di un permesso di 12 ore accompagnato dalla volontaria nel<br />
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2008, per problemi att<strong>in</strong>enti la famiglia. Mi è stato redatto un programma<br />
trattamentale positivo a brevi permessi premio e alla mia declassificazione<br />
dall’attuale circuito detentivo A.S.1 (proposto già dal<br />
2006), però non è cambiato ancora nulla, perché sembra che tanto il<br />
D.A.P. quanto il magistrato non sono favorevoli a nessuna concessione<br />
nei miei confronti.<br />
Vivo di speranze, scrivo: alle istituzioni, ai volontari, a chiunque,<br />
pur di sensibilizzarli e renderli partecipi della mia condizione di ergastolano<br />
e dei tanti anni di prigione espiati.<br />
Tutto però sembra risolversi <strong>in</strong> un gioco crudele, perché sembra<br />
non <strong>in</strong>teressare a nessuno la tortura psicologica e fisica che il carcere<br />
mi <strong>in</strong>fligge, i tanti anni di prigione, la privazione di quella dignità esistenziale,<br />
lontano dal mondo, privato dei sentimenti, delle emozioni,<br />
degli affetti, del sesso (perché non devi esistere nemmeno come uomo).<br />
Ricordo che il sesso è anche procreazione, figli, una famiglia,<br />
non solo un piacere fisico e mentale, e non so come si potrebbe provare<br />
piacere <strong>in</strong> un luogo come questo.<br />
Non mi resta che riconoscere che la vita appartiene alla volontà delle<br />
persone.<br />
ALFIO FICHERA. Non ho mai usufruito di permessi, né libero, né scortato.<br />
Ho perso mia nonna nel ‘96 e mio padre nel ‘98. Mi sarebbe stato<br />
comunque negato di partecipare ai funerali, ero ancora giudicabile.<br />
Ma non ne ho fatto richiesta. Sono sottoposto a isolamento dal<br />
19.7.2010 e ne avrò f<strong>in</strong>o al 19.7.2012. Vivo, come vive un ramo staccato<br />
dal proprio albero. Mi dissecco ogni giorno di più.<br />
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I permessi, i benefici<br />
Premessa alla concessione di permessi e benefici, è la valutazione<br />
della pericolosità sociale delle persone detenute, che è affidata<br />
a una procedura complessa su cui qui vengono avanzati molti<br />
dubbi. Mettendo <strong>in</strong> discussione soprattutto la capacità, quando<br />
non la volontà, dell’istituzione carceraria di ‘valutare’ il<br />
cambiamento e l’allontanamento dal mondo della crim<strong>in</strong>alità.<br />
Un’istanza di permesso<br />
ALFREDO SOLE, dal blog urladalsilenzio, novembre 2010. Circa dieci giorni fa ho<br />
chiesto un permesso premio, un giorno di libertà. È straord<strong>in</strong>aria la<br />
celerità con cui mi è arrivato il rigetto. Riporto per <strong>in</strong>tero quello che<br />
ha scritto il Magistrato di Sorveglianza:<br />
“Visto l’istanza avanzata da Sole Alfredo ad ottenere la concessione<br />
di un permesso: rilevato che manca il programma di trattamento<br />
di cui l’esperienza dei permessi costituisce parte <strong>in</strong>tegrante, essendo<br />
ancora <strong>in</strong> corso l’osservazione della personalità; rilevato che<br />
tale elemento costituisce presupposto <strong>in</strong>defettibile per valutazione<br />
della pericolosità sociale di cui all’art. 30 ter dell’O.P., e che <strong>in</strong> sua<br />
assenza non può che essere negativa; RIGETTA ALLO STATO L’I-<br />
STANZA. Si comunica al P.M, al direttore dell’Istituto, per quanto di<br />
competenza, <strong>in</strong> relazione alla tempestiva predisposizione di un periodo<br />
di trattamento”.<br />
Allora? In venti anni di carcere non sono ancora capaci di def<strong>in</strong>ire<br />
la mia personalità! E chi dovrebbe def<strong>in</strong>irla? Il crim<strong>in</strong>ologo che <strong>in</strong> 20<br />
anni ho visto solo una volta mentre ero al 41bis, o lo psicologo che,<br />
sempre <strong>in</strong> tutti questi anni, ho visto solo un paio di volte a Livorno?<br />
Di certo non potrà farlo l’educatore, che credo non abbia i requisiti<br />
giusti per qualcosa di così importante. Allora, chi dovrebbe farlo se c’è<br />
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un’assenza cronica di queste figure? Forse il Direttore e gli agenti?<br />
Non credo proprio.<br />
“Non c’è un programma di trattamento”... Il magistrato si trova obbligato<br />
a ord<strong>in</strong>are alla direzione un programma di trattamento! Più di<br />
16 mesi che sono <strong>in</strong> questo carcere ed è come se fossi stato un fantasma!<br />
Comunque, nonostante questo rigetto non sia del tutto negativo,<br />
<strong>in</strong> quanto obbliga la Direzione all’attenzione verso di me, io avrei<br />
preferito il rigetto con la vera e unica motivazione che mi impedirà di<br />
accedere ai benefici. La motivazione del 4 bis! Così avrei potuto impugnare<br />
il rigetto con la speranza dell’<strong>in</strong>costituzionalità dell’art. 4 bis.<br />
Invece <strong>in</strong> questo modo resto <strong>in</strong> sospeso, e non ho argomenti sufficienti<br />
per una impugnazione.<br />
Sembra un piano diabolico e ben orchestrato per far scorrere il tempo.<br />
Mi spiego: sono già passati 16 mesi nel “nulla”. Se adesso mi aprissero<br />
l’osservazione, trascorrerebbero altri sei mesi prima di chiuderla.<br />
16+6=22, quasi due anni. Il cosiddetto “trattamento” dura altri 2 anni<br />
e <strong>in</strong> totale arriviamo a 4 anni (20+4= 24 anni sono già trascorsi nel<br />
frattempo). Solo allora potrei avere i requisiti per usufruire di qualche<br />
beneficio (non tenendo conto del 4 bis). Ma, come spesso accade, anzi,<br />
come puntualmente succede, allo scadere di questi 4 anni… ecco<br />
che arriva il trasferimento <strong>in</strong> un altro carcere. Tutto si azzera!<br />
Della procedura per stabilire se una persona si è allontanata<br />
dal suo passato<br />
ALFREDO SOLE. Si tratta di una procedura che chiama <strong>in</strong> causa educatori,<br />
psicologi, crim<strong>in</strong>ologi, assistenti sociali, che “dovrebbero osservarti”<br />
per “appuntare” i tuoi eventuali cambiamenti, sia <strong>in</strong> positivo che <strong>in</strong><br />
negativo. Anche gli agenti di custodia hanno un ruolo <strong>in</strong> questo. Attraverso<br />
questo lavoro di osservazione, il Magistrato di Sorveglianza<br />
decide se un detenuto è meritevole oppure no di usufruire dei benefici.<br />
Ma questo vale per i detenuti comuni, per noi le cose cambiano. Le<br />
procedure di cui sopra vengono meno, anche se restano su carta. Dimostrare<br />
che ci si è allontanati da un passato crim<strong>in</strong>ale è pressoché<br />
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impossibile se non con la collaborazione con la giustizia. In poche parole,<br />
se fai l’<strong>in</strong>fame sei cambiato, altrimenti, per loro, vuol dire che sei<br />
e rimarrai un crim<strong>in</strong>ale. In questo modo ti ritrovi i furbi che escono<br />
usando la stessa giustizia e che non sono cambiati, e coloro che, <strong>in</strong>vece,<br />
pur essendosi allontanati dal loro passato, scontano la carcerazione<br />
<strong>in</strong> modo def<strong>in</strong>itivo, completo, senza mai un giorno di libertà.<br />
GIOVANNI ZITO. Tutte le <strong>in</strong>formazioni su ogni s<strong>in</strong>golo detenuto partono<br />
dal DAP.<br />
Poi ci sono gli educatori, cosa rara <strong>in</strong> questi luoghi perché quelli che<br />
ci sono sono pochi e possono fare pochissimo per un ergastolano<br />
ostativo. Anche gli assistenti sociali possono avere un ruolo significativo<br />
per la s<strong>in</strong>tesi del detenuto, ma la cosa è molto più complicata e<br />
complessa nel quadro generale.<br />
Io credo poco alla possibilità che qualcuno possa fare il furbo. Oggi<br />
il detenuto più giovane di età con l’ergastolo ostativo supera l’età di<br />
50 anni, gli ultimi 10-20 anni li ha trascorsi dietro mura e pareti. Si è<br />
più maturi, più responsabili, sia sulla propria vita e sia sulla vita altrui.<br />
CARMELO MUSUMECI. Il detenuto <strong>in</strong> carcere viene guardato, non visto. Il<br />
vero volto del potere carcerario non è cambiato dal passato, anzi, anche<br />
se ora si è strutturato <strong>in</strong> un esercito di crim<strong>in</strong>ologi, educatori,<br />
commissari e ispettori. Quando il loro parere è negativo conta, quando<br />
è positivo non conta. Il carcere educa all’illegalità e fa facilmente<br />
uscire gli uom<strong>in</strong>i peggiori perché hanno la capacità di f<strong>in</strong>gere la buona<br />
condotta.<br />
Se ci si è allontanati dal proprio passato, normalmente lo stabiliscono<br />
i burocrati che applicano la legge e che al posto del cuore hanno il<br />
regolamento, e spesso neppure quello.<br />
Eichmann, il gerarca nazista, non provava il m<strong>in</strong>imo rimorso di coscienza<br />
a fare del male, perché sotto il nazionalsocialismo il male era<br />
la legge e lui non avrebbe mai pensato un solo istante che si potesse<br />
<strong>in</strong>frangere la legge.<br />
Si fanno tante <strong>in</strong>giustizie per applicare la giustizia. Gesù diceva a<br />
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Pietro: Perdonare sempre, perdonare tutti, perdonare un’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ità di<br />
volte, giacché non esistono uom<strong>in</strong>i senza peccato e perciò nessuno è<br />
<strong>in</strong> grado di punire e di correggere.<br />
Dostoevskij diceva: Fatemi capire perché e come ho sbagliato e poi<br />
mi giudicherò e condannerò da solo e sarò più severo di qualsiasi altro<br />
giudice.<br />
Ma quale <strong>alternativa</strong>, quali presupposti, si suggeriscono qu<strong>in</strong>di,<br />
per la concessione di permessi e benefici?<br />
PASQUALE DE FEO. Sarebbe necessario <strong>in</strong>trodurre l’automatismo dei benefici,<br />
per annullare le dittature delle direzioni delle carceri, del Magistrato<br />
di Sorveglianza e di tutti gli apparati di sicurezza, che sono<br />
più di quelli della Germania di Hitler.<br />
La nostra Costituzione sancisce la responsabilità personale, pertanto<br />
chi non rispetta gli obblighi ne paga le conseguenze. Inoltre l’art. 3<br />
sancisce che siamo tutti uguali davanti alla legge, pertanto bisogna applicare<br />
queste norme, senza fare dist<strong>in</strong>zioni, per evitare la mostrificazione<br />
organizzata dei professionisti dell’odio.<br />
GIUSEPPE IOVINELLA. Credo che i presupposti per accedere ai benefici dovrebbero<br />
essere: dopo 10 anni di carcere, usufruire di permessi di una<br />
settimana al mese, il resto dei giorni lavorare dignitosamente per aiutare<br />
la propria famiglia e se può fare fronte a qualche bisogno della famiglia<br />
di chi ha subìto, se hanno bamb<strong>in</strong>i, figli m<strong>in</strong>ori di 21 anni. Nel<br />
periodo di 10 anni di detenzione, uno non dovrebbe trascorrere 22<br />
ore <strong>in</strong> cella, ma essere a contatto con persone che conducano sulla retta<br />
via, aiutandolo ad entrare <strong>in</strong> un mondo migliore fatto di pace e serenità.<br />
CIRO BRUNO. Innanzitutto occorre che si applichi il pr<strong>in</strong>cipio rieducativo<br />
previsto dall’art. 27 della Costituzione, visto che ormai il re<strong>in</strong>serimento<br />
è diventato un parafrasare i propositi civili della collettività,<br />
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ma che <strong>in</strong> buona sostanza non viene attuato per i più disparati motivi,<br />
per poi non parlare di chi purtroppo è imputato di alcuni tipi di<br />
reati, per cui l’art. 4 bis della Legge 354/ 75 fa sì che ogni essere umano<br />
perda il diritto ad avere diritto, per cui il re<strong>in</strong>serimento diventa un<br />
vocabolo <strong>in</strong>esistente.<br />
E nel caso la famiglia, un figlio un fratello la moglie, facesse ancora<br />
parte dell’associazione crim<strong>in</strong>ale, escludendo l’ostatività,<br />
cosa fare?<br />
ALFIO FICHERA. Non so, sono l’unico del<strong>in</strong>quente della mia famiglia.<br />
Alternative comunque ci sono per impedire la comunicazione con<br />
l’organizzazione crim<strong>in</strong>ale di appartenenza, usando mezzi umani e<br />
non crudeli come il 41 bis. Ad esempio la videoregistrazione con supporto<br />
fonico è <strong>in</strong>eludibile. Ma penso non viene efficacemente usata<br />
proprio per <strong>in</strong>durre le persone a tentare l’illecito e dimostrarne costantemente<br />
la pericolosità.<br />
ALFREDO SOLE. Escludendo l’ostatività…, ma io la vivo pienamente e mi<br />
sarà difficile dire.<br />
Facciamo un esempio: mettiamo che io, dopo non so… 30 anni di<br />
carcere <strong>in</strong>iziassi ad usufruire di benefici, come permessi, etc. e nello<br />
stesso tempo mio fratello decidesse di far parte di una qualche associazione<br />
crim<strong>in</strong>ale, o se già facesse parte della crim<strong>in</strong>alità, forse io meriterei<br />
di perdere quei benefici per l’azione di mio fratello? Dopo aver<br />
scontato una vita di galera per le mie azioni, dovrei anche pagare per<br />
quelle di mio fratello? Sarebbe diabolico! Solo gli amici si possono<br />
scegliere, i familiari no.<br />
Il reato deve essere soggettivo. Chi è <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di Legge e ha fatto un<br />
percorso carcerario dove merita di usufruire dei benefici, dovrebbe esserne<br />
escluso solo ed esclusivamente, dopo aver ottenuto i benefici, se si<br />
comportasse <strong>in</strong> modo da trasgredire le condizioni imposte dalla Legge.<br />
Non ci sono mezzi umani per impedire alla gente di comunicare,<br />
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solo con l’<strong>in</strong>umana soppressione si può riuscire <strong>in</strong> questo <strong>in</strong>tento. Il<br />
41bis non ha niente a che vedere con la “comunicazione”. Se fosse così,<br />
l’associazione di chi è impedito a comunicare dovrebbe cessare di<br />
esistere. È forse così? La gente fuori cont<strong>in</strong>ua a del<strong>in</strong>quere <strong>in</strong>dipendentemente<br />
dal fatto che il suo associato riesca o no a comunicare con<br />
loro da dentro il carcere.<br />
La scusa della “prevenzione” è una mentalità italiana. Non puoi punire<br />
qualcuno solo perché “potrebbe” commettere reato dal carcere se<br />
comunicasse.<br />
Io ho scontato dodici anni di 41bis solo con la giustificazione del<br />
“potrebbe”. Ma non avevo comunicato prima del 41bis e non l’ho fatto<br />
dopo il 41bis. Dodici anni di tortura per un “potrebbe” che nella<br />
realtà non è mai esistito. Al regime del 41bis sono pochissimi quelli<br />
che vi sono sottoposti per aver comunicato commettendo un qualche<br />
reato, tutti gli altri sono lì per quel “potrebbe” e non c’è alcuna difesa<br />
per questo. Pagano per qualcosa che non hanno ancora fatto.<br />
GIOVANNI ZITO. Le scelte sono personali e <strong>in</strong>dividuali.<br />
Ci sono modi e modi, nessuno è obbligato a fare quella cosa o un’altra,<br />
non credo che la propria famiglia possa <strong>in</strong>durre il proprio figlio,<br />
fratello, o moglie <strong>in</strong> uno sbaglio simile.<br />
Oggi che l’essere umano cerca con tutte le sue risorse di andare sul<br />
pianeta rosso, cioè Marte, non ci sono mezzi adeguati per impedire la<br />
comunicazione con l’organizzazione crim<strong>in</strong>ale di appartenenza?<br />
Ma chi può credere ad una simile bugia.<br />
Il 41 bis è solo una forma di tortura fisica e psicologica. Ma la cosa<br />
che non sapete è il fatto che al regime speciale ci sono vessazioni di<br />
ogni genere, umiliazioni quotidiane, ma nessuno ne parla perché fa<br />
comodo così a tutti quelli che gestiscono il GOM cioè Gruppo-Operativo-Mobile…<br />
il così detto “il bastone e la carota”, fai il buono e sei<br />
punito, fai il detenuto e sei punito lo stesso, strumentalizzato su ogni<br />
cosa. Io sono ex 41 bis e so come vanno le cose <strong>in</strong> questi circuiti dove<br />
tutto nasce e muore dietro le sbarre.<br />
Comunque togliendo il vetro bl<strong>in</strong>dato e divisorio dei colloqui,<br />
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qu<strong>in</strong>di permettendo un colloquio sereno con la propria famiglia, si<br />
possono mettere telecamere audio visive, registrazioni di ogni genere<br />
e ogni tipo di apparecchiatura elettronica senza compromettere la salute<br />
sia del detenuto e sia quella dei familiari stessi.<br />
CARMELO MUSUMECI. Bisognerebbe darci fiducia. Invece ci parlano di solito<br />
del nostro passato e quasi mai del presente e mai del futuro. Anche<br />
dal male può nascere il bene, basta andarlo a cercare dentro il cuore<br />
dei crim<strong>in</strong>ali.<br />
L’<strong>alternativa</strong>? Le organizzazioni crim<strong>in</strong>ali dovrebbero venire sconfitte<br />
con il dialogo, il lavoro e l’amore sociale. Molti crim<strong>in</strong>ali non conoscono<br />
il bene perché hanno vissuto sempre nel male. Il libero arbitrio<br />
esiste quando tu conosci il bene e il male. Spesso i reati che abbiamo<br />
fatto rispecchiano il male del mondo dove vivevamo e dove viviamo<br />
adesso. Lo studio, per esempio, è molto importante per formare<br />
le coscienze perché ti costr<strong>in</strong>ge ad alzarsi ogni matt<strong>in</strong>a per <strong>in</strong>iziare<br />
un nuovo camm<strong>in</strong>o.<br />
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Insomma, quali diritti…<br />
Le carceri sono fuori legge. Una denuncia su cui <strong>in</strong>siste chi di<br />
carcere e carcerati si occupa, prima fra tutte l’Associazione “Antigone”,<br />
che con questa frase, nella primavera del 2011 aveva<br />
avviato una delle sue campagne di denuncia. Ma questo essere<br />
fuori dalla legge, agli occhi di noi che pensiamo al carcere come<br />
cosa esclusa dal nostro orizzonte, sembra trovare una buona<br />
giustificazione nel nostro bisogno di ‘sicurezza’. Il carcere può<br />
essere <strong>in</strong>sostenibile anche per chi ci lavora, e i suicidi degli agenti,<br />
60 <strong>in</strong> 10 anni, ne sono buona prova. Ma per chi ne è prigioniero,<br />
tutto diventa arbitrio.<br />
Del rispetto dei diritti e dell’amm<strong>in</strong>istrazione penitenziaria<br />
GIOVANNI LENTINI. È difficile parlare di diritti dei detenuti <strong>in</strong> Italia, anche<br />
perché è difficile capire dove è il conf<strong>in</strong>e tra diritti e sicurezza, poiché<br />
il più banale diritto, dietro la parola magica “sicurezza”, o per motivi<br />
logistici, viene negato.<br />
Non dovrebbero esserci discrim<strong>in</strong>azioni <strong>in</strong> ord<strong>in</strong>e a nazionalità,<br />
razza e condizioni economiche e sociali, a op<strong>in</strong>ioni politiche e credenze<br />
religiose, così recita l’art. 1 dell’ord<strong>in</strong>amento penitenziario. Ma<br />
con la differenziazione delle sezioni <strong>in</strong> AS1, AS2, AS3, questo articolo<br />
viene violato <strong>in</strong> toto, così come veniva violato negli anni addietro,<br />
quando vi erano le sezioni dove erano ubicati solo i detenuti con reati<br />
politici, o altre, con detenuti con reati di mafia.<br />
La cosa più aberrante è la mancanza del m<strong>in</strong>imo <strong>in</strong>dispensabile per<br />
l’igiene personale e dei locali adibiti al soggiorno e al pernottamento<br />
dei detenuti. Vengono a mancare le cose più essenziali: detersivi, saponi,<br />
carta igienica ecc... per non parlare che <strong>in</strong> alcuni istituti viene a<br />
mancare anche un letto dove poter dormire, questa è la situazione attuale<br />
per alcuni detenuti nel carcere di Bologna.<br />
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Nonostante la norma preveda addirittura la fornitura di vestiario e<br />
di corredo, nella pratica se uno non ha soldi non può nemmeno lavarsi.<br />
Se non si riescono a risolvere questi problemi è impensabile riuscire<br />
a far rispettare altri diritti che di norma dovrebbero essere <strong>in</strong>violabili,<br />
come il diritto all’affettività, così come recita l’art. 61 dell’ord<strong>in</strong>amento<br />
penitenziario, o il diritto all’istruzione e al lavoro, art.<br />
19 e 20 O.P. o addirittura pretendere la cella s<strong>in</strong>gola.<br />
Come è ormai noto le carceri sono strapiene di detenuti molti dei quali<br />
con gravi problemi sociali ed economici, spesso sono detenuti che non<br />
hanno nessuno che li sostiene, né economicamente né moralmente.<br />
Fortunatamente <strong>in</strong> alcune realtà penitenziarie ci sono associazioni<br />
di volontariato che si fanno carico di alcune di queste problematiche,<br />
ma non possono essere efficienti per tutto e lo Stato non può restare<br />
<strong>in</strong>differente a tutto ciò.<br />
A chi dice “marcite <strong>in</strong> galera” occorre rispondere che la dignità di un<br />
essere umano non dovrebbe essere mai violata, qualsiasi reato esso<br />
abbia commesso. `<br />
IVANO RAPISARDA. I diritti dei detenuti <strong>in</strong> Italia non sono assolutamente<br />
rispettati. Basta pensare che esiste il 41 bis. Io sono stato sottoposto a<br />
tale regime dal 1992 al 2003 e so cosa significa non poter abbracciare<br />
i propri cari. Il male dell’Italia non siamo noi; <strong>in</strong> Italia abbiamo persone<br />
che ridevano per il terremoto dell’Aquila, abbiamo politici che<br />
<strong>in</strong> quanto m<strong>in</strong>istri usano il legittimo impedimento, che <strong>in</strong> tutti i modi<br />
cercano di farsi leggi personali, abbiamo politici che vanno con i<br />
trans e, <strong>in</strong> modo del tutto da chiarire, i vari testimoni stanno morendo<br />
con assurdi <strong>in</strong>cendi… 1<br />
CARMELO MUSUMECI. Non so se là fuori ci sia qualcuno che crede ancora<br />
che nelle carceri italiane venga applicata la Costituzione, qui dentro<br />
non ci crede più nessuno.<br />
A proposito, lo sapete che alcuni dei padri della Costituzione sono<br />
stati degli “avanzi di galera”? Molti di loro sono stati <strong>in</strong> carcere ai tem-<br />
1 Il riferimento è alla morte <strong>in</strong> un <strong>in</strong>cendio della transessuale co<strong>in</strong>volta nel caso che<br />
ha portato alle dimissioni del presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo.<br />
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pi del fascismo. Si rivolterebbero nella tomba se sapessero che la loro<br />
Costituzione nelle carceri è stata stracciata.<br />
Il carcere così com’è spreca la vita dei suoi prigionieri e il tempo di<br />
chi ci lavora.<br />
Molte persone “perbene” del mondo dei vivi dicono: “Hanno anche<br />
la televisione” ma spesso è anche grazie alla televisione che i detenuti<br />
sono docili come pecore.<br />
Il carcere di oggi <strong>in</strong>duce ogni detenuto a essere prigioniero di se stesso.<br />
Il carcere è il luogo più illegale di qualsiasi altro posto. È il luogo dove<br />
vanno le anime perse.<br />
Sì, è vero, a parte alcuni casi, ma ancora troppi, i detenuti non li picchiano<br />
e non li torturano più come hanno fatto all’As<strong>in</strong>ara e a Pianosa<br />
sotto il regime di tortura del 41 bis. Anzi, ci curano, anche se spesso<br />
male. Ci fanno pers<strong>in</strong>o campare più possibile per farci soffrire di<br />
più. Ci hanno dato pers<strong>in</strong>o la televisione <strong>in</strong> cella, per r<strong>in</strong>coglionirci<br />
meglio. Ecco… <strong>in</strong> cambio ci hanno tolto solo la speranza e l’anima.<br />
Forse se lo Stato desse l’esempio e fosse capace di rispettare le sue stesse<br />
leggi e d’<strong>in</strong>segnarle trasformerebbe i detenuti nei migliori cittad<strong>in</strong>i,<br />
compresi i mafiosi sottoposti al regime di tortura del 41 bis.<br />
Io credo che ogni società abbia nella maggioranza dei casi i cittad<strong>in</strong>i<br />
che ha educato, <strong>formato</strong> e che si merita.<br />
PASQUALE DE FEO. I diritti? In Italia ogni carcere è una baronia feudale.<br />
Ciò avviene con l’avallo del DAP del M<strong>in</strong>istero di Giustizia. A questo<br />
organo non <strong>in</strong>teressa se vengono applicate le norme e rispettati i diritti.<br />
Ha solo <strong>in</strong>teresse che tutto vada avanti e non succedano proteste.<br />
I direttori delle carceri <strong>in</strong> questo momento si sentono onnipotenti e<br />
arbitrariamente <strong>in</strong>terpretano le norme e i regolamenti che applicano<br />
secondo il loro metro di giudizio.<br />
I provveditorati regionali che dovrebbero esercitare un controllo sull’operato<br />
dei direttori <strong>in</strong>tervengono solo quando non possono farne a<br />
meno, e cercando sempre di coprire i misfatti che succedono <strong>in</strong> carcere.<br />
L’Ufficio di Sorveglianza che dovrebbe tutelare i detenuti dagli arbitri<br />
delle direzioni, <strong>in</strong>vece tutela le direzioni dai reclami dei detenuti<br />
che richiedono i loro diritti.<br />
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Ci sono dei motivi di rigetto di reclami proposti dai detenuti, scritti<br />
dai Magistrati di Sorveglianza, che sono dei veri capolavori machiavellici.<br />
La Polizia Penitenziaria ormai è diventata talmente potente che condiziona<br />
con i suoi s<strong>in</strong>dacati ogni cosa, dal M<strong>in</strong>istro della Giustizia al<br />
s<strong>in</strong>golo carcere.<br />
Il loro potere è diventato una burocrazia farrag<strong>in</strong>osa che fa resistenza<br />
a ogni progresso e al riconoscimento dei diritti garantiti dalle Leggi<br />
di Stato, per mantenere lo status quo e pertanto ostacola ogni <strong>in</strong>iziativa,<br />
con la parola magica “sicurezza”.<br />
Poi le ruberie che vengono permesse dalle imprese con la complicità<br />
degli addetti del carcere, sono alla luce del sole, ma gli organi che dovrebbero<br />
<strong>in</strong>tervenire, fanno f<strong>in</strong>ta di non vedere, di non sentire e di<br />
non leggere le denunce e i reclami presentati dai detenuti. Gli <strong>in</strong>teressi<br />
sono molti e la complicità estesa è molto forte.<br />
Come <strong>in</strong> tutti i campi statali, c’è la propensione a pensare che si può<br />
depredare, il carcere alimenta ancora di più questo concetto perché<br />
nessuno può controllare essendo che non c’è nessun libero accesso ai<br />
giornalisti e non è stato ancora istituito il Difensore Civico nelle carceri<br />
con pieni poteri.<br />
Ciò che comprano i detenuti ha un prezzo sempre elevato, f<strong>in</strong>o a duetre<br />
volte superiore al suo prezzo; la frutta e la verdura hanno il prezzo<br />
di prima qualità ma quello che portano è di pessima qualità e quando<br />
lo facciamo presente agli addetti ci ricattano e ci m<strong>in</strong>acciano <strong>in</strong> tanti<br />
modi, pertanto subiamo una truffa e un’estorsione allo stesso tempo.<br />
I detenuti che denunciano e reclamano per iscritto vengono perseguitati<br />
con varie angherie, e nelle relazioni trattamentali sono descritti<br />
come fac<strong>in</strong>orosi, istigatori e pericolosi per l’ord<strong>in</strong>e e per la sicurezza<br />
del carcere.<br />
Il fatto che i detenuti chiedano l’applicazione dei regolamenti e il<br />
controllo sulla correttezza delle imprese, e ciò non avviene suscitando<br />
sorpresa anche negli addetti ai lavori, la dice lunga sul grado di assuefazione<br />
che anni di abusi, di ruberie e forzature <strong>in</strong>terpretative hanno<br />
generato rispetto alla sistematica violazione delle norme.<br />
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SEBASTIANO MILAZZO. Lo vogliamo chiamare Stato di Diritto quello che<br />
obbliga la magistratura a chiedere le <strong>in</strong>formazioni necessarie per decidere<br />
sulla concessione dei benefici al Carcere e alla Polizia, senza obbligare<br />
queste a fornire <strong>in</strong>formazioni vere e reali, consentendo loro di<br />
fornire <strong>in</strong>formazioni <strong>in</strong> prestampati uguali per tutti?<br />
Imporre al magistrato di decidere su delle valutazioni (vere) che si<br />
sa <strong>in</strong> anticipo che non arriveranno mai, significa togliere alla magistratura<br />
il compito di decidere, affidandolo <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i reali alla totale<br />
discrezionalità ad organi che per loro natura tengono conto di logiche<br />
repressive.<br />
In pratica la magistratura di sorveglianza è stata relegata, nel caso<br />
dell’ergastolo, a svolgere il ruolo di giudice delle “esecuzioni capitali”.<br />
“Esecuzioni” che si vogliono giustificare con il fatto che l’ostatività si<br />
applica nei confronti di chi è stato condannato per reati gravissimi.<br />
Può essere considerato Stato di Diritto quello che dice: “Se collabori<br />
le porte del carcere si aprono immediatamente”? Questo non significa<br />
forse costr<strong>in</strong>gere chi, <strong>in</strong> ipotesi, assass<strong>in</strong>o non è, a rimanere <strong>in</strong>gabbiato<br />
s<strong>in</strong>o alla morte per ciò che non è <strong>in</strong> grado di fornire?<br />
Lo vogliamo chiamare Stato di Diritto quello che tratta gli <strong>in</strong>dividui<br />
come fossero fatti con lo stamp<strong>in</strong>o, penalizzando proprio quei condannati<br />
che hanno fatto una revisione critica del loro passato, lasciati<br />
macerare oltre il necessario nel rammarico di non poter mettere a<br />
frutto positivamente le loro esperienze negative aff<strong>in</strong>ché le storie non<br />
si ripetano con i figli, consentendo loro, quando lo meritano, di poterli<br />
guidare <strong>in</strong> un percorso di vita fatto di legalità?<br />
LUIGI PECICCIA. Nel carcere non viene rispettato niente, tanto chi è che<br />
se ne accorge? Nessuno… E primariamente non vengono osservati i<br />
diritti della salute, e ora che questo è di competenza delle USL è ancora<br />
peggio. Non c’è bisogno che la spieghi io questa carenza, perché<br />
già i cittad<strong>in</strong>i si scontrano ogni giorno con l’<strong>in</strong>efficienza della Usl, figuriamoci<br />
i detenuti, che sono malvisti dalla società…<br />
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URLA AL BUIO 18_6_2012:PUCCINI 8_11_2008 18/06/12 14.36 Pag<strong>in</strong>a 102<br />
La salute<br />
Fra i diritti violati, quello di cui parla l’articolo 32 della Costituzione<br />
italiana: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale<br />
diritto dell’<strong>in</strong>dividuo e <strong>in</strong>teresse della collettività, e garantisce<br />
cure gratuite agli <strong>in</strong>digenti”. Un medico, Agnese Piazza,<br />
ha posto le domande le cui risposte compongono questo capitolo.<br />
Domande non solo di ord<strong>in</strong>e strettamente medico, ma<br />
anche altre che riguardano i sogni o i desideri, perché, dice,<br />
“senza speranze e senza sogni, senza obiettivi e prospettive, non<br />
si può stare bene, né nel corpo né nello spirito, con la conseguente<br />
<strong>in</strong>sorgenza di <strong>in</strong>evitabili condizioni patologiche relative<br />
alla sfera psichica o fisica, o ad entrambe”.<br />
Della salute fisica e mentale. Dei sogni, talvolta…<br />
ALFREDO SOLE. In carcere si muore e ci si ammala di malattie fuori evitabili,<br />
ma la malattia che uccide più detenuti è il suicidio (a parte<br />
quelli fatti passare per suicidio).<br />
Se si viene curati e se è il carcere a far sorgere patologie? Ma non è<br />
di questo che ci si dovrebbe meravigliare. Bisognerebbe meravigliarsi<br />
del fatto che <strong>in</strong> carcere c’è ancora gente che sta bene, che non è ammalata.<br />
Il carcere mira a distruggere l’essere umano, sia fisicamente<br />
che psicologicamente. Non credo alla favola della rieducazione, perché<br />
è <strong>in</strong>esistente. Si può forse rieducare qualcuno usando umiliazioni<br />
giornaliere e un costante tentativo di spersonalizzare il detenuto?<br />
Molto spesso le malattie nervose nascono proprio dal tentativo cont<strong>in</strong>uo<br />
di contrastare questa violenza. Chi ci riesce viene tacciato come<br />
irriducibile e perciò non meritevole di benefici, chi non ci riesce muore<br />
suicida.<br />
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Non c’è bisogno di risposte <strong>in</strong> massa per trarre dei risultati di ciò<br />
che fa il carcere all’essere umano. Bastano le risposte di pochi detenuti,<br />
che sono lo specchio di tutti. Cambiano le patologie, ma la causa è<br />
sempre il carcere, mancanza di cure, cure sbagliate, dottori assenti (e<br />
non solo fisicamente), mancanza di medic<strong>in</strong>e, visite specialistiche<br />
quando non ne hai più bisogno, visto che è troppo tardi… Questo per<br />
le patologie fisiche, per i mali psichiatrici è tutta un’altra cosa: litri di<br />
Valium e cocktail di psicofarmaci. Chi sta male non è una persona da<br />
curare ma è uno che dà fastidio.<br />
Sono entrato <strong>in</strong> carcere <strong>in</strong> buona salute, a 23 anni, ora ne ho 42.<br />
Quando ho com<strong>in</strong>ciato a stare male, certo che si sono preoccupati di<br />
farmi visitare, ma le visite sono state molto approssimative e mai approfondite.<br />
Ho sofferto di bronchite, e a causa di cure <strong>in</strong>adeguate e<br />
tardive la bronchite è diventata cronica.<br />
Se penso che il regime carcerario ha avuto una responsabilità? Non<br />
lo penso, ne sono sicuro! Il carcere è un luogo freddo d’<strong>in</strong>verno, e un<br />
forno d’estate. L’umidità è sempre alta. Spesso, nelle carceri più vecchie,<br />
trovi muffa sui muri e <strong>in</strong>filtrazioni d’acqua. Questo causa malattie<br />
e allergie.<br />
I pasti sono completi, ma non è questo il problema. Il vero problema<br />
è che nella maggior parte delle carceri sono immangiabili.<br />
Faccio attività fisica. Ero un ragazzo di 23 anni che pesava 68 chili.<br />
Adesso sono un uomo di 42 anni e peso 80 chili. Gli ultimi 8 presi <strong>in</strong><br />
questo carcere a causa della palestra.<br />
In quasi 20 anni di carcere credo di avere parlato con uno psicologo<br />
non più di 4 o 5 volte. No, non c’è nessun sostegno o supporto psicologico,<br />
a meno che non <strong>in</strong>izi a dare di matto, e allora puoi sperare che<br />
qualcuno ti chiami per controllo.<br />
La notte riesco a riposare. Non sogno. I sogni li fai solo all’<strong>in</strong>izio<br />
della carcerazione, ma quando fai 20 anni di carcere, anche sognare<br />
diventa un lusso che il tuo cervello raramente ti offre. Ma di solito,<br />
quando ho la “fortuna” di ricordare un sogno, mi accorgo che c’è sempre<br />
l’elemento carcere.<br />
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GIUSEPPE COSTA. Sono entrato <strong>in</strong> buona salute, arrestato a 41 anni. Oggi,<br />
2010, ho 61 anni, soffro di glaucoma bilaterale, osteoporosi, s<strong>in</strong>usite<br />
cronica, iperteso dal 2005, dal 2002 ipertrofia prostatica, bronchite<br />
cronica.<br />
Non sono sottoposto a controlli periodici.<br />
Sicuramente il regime carcerario ha avuto le sue conseguenze. Non<br />
riesco né a dormire né a riposare la notte. Quando dormo quel poco,<br />
sogno spesso e faccio sogni brutti. Ho avuto molti <strong>in</strong>cubi, non riesco<br />
a spiegarli, quanti <strong>in</strong>cubi…<br />
Il cibo non è speciale, i pasti non sono completi, non ho avuto mai<br />
prote<strong>in</strong>e.<br />
Sono impossibilitato di fare attività fisica, non son dimagrito, un po’<br />
<strong>in</strong>grassato. Non ho mai fatto <strong>in</strong>contri con uno psicologo, non esiste<br />
supporto psicologico carcerario.<br />
Non ho mai fatto attività manuale, né <strong>in</strong>tellettuale, né creativa. Mi<br />
piacerebbe rendermi utile per me e per gli altri. La mia famiglia, la cosa<br />
che mi manca di più…<br />
Un desiderio? Essere guarito dal glaucoma e dalle altre patologie.<br />
Avendo la salute puoi affrontare un lavoro.<br />
R<strong>in</strong>grazio, se un giorno leggessi che questo ergastolo possa avere f<strong>in</strong>e…<br />
dopo avere scontato 20 anni di carcere, credo che si è pagato il<br />
debito.<br />
MARZIO SEPE. Sono entrato <strong>in</strong> carcere <strong>in</strong> buona salute, a 41 anni. Ora ne<br />
ho 56. Ho <strong>in</strong>iziato a stare male fisicamente <strong>in</strong>torno ai 50 anni. Non<br />
sempre ho avuto tutte le cure necessarie. Ho avuto problemi di cuore<br />
e pressione. Per primo ho com<strong>in</strong>ciato ad avere problemi alla schiena,<br />
alla cervicale, a soffrire di dolori reumatici. Sì, il regime carcerario ha<br />
avuto una responsabilità nel mio ammalarmi.<br />
La notte non riesco a riposare. Sogno. La famiglia, pr<strong>in</strong>cipalmente,<br />
i miei figli e spesse volte la libertà. Non ho <strong>in</strong>cubi, né paure. Il cibo<br />
non è buono, no, no. Sono dimagrito e non svolgo nessuna attività fisica.<br />
Non ho fatto <strong>in</strong>contri con lo psicologo. Il mio desiderio? La pace<br />
nel mondo e non vedere bamb<strong>in</strong>i che soffrono.<br />
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URLA AL BUIO 18_6_2012:PUCCINI 8_11_2008 18/06/12 14.36 Pag<strong>in</strong>a 105<br />
GENEROSO DE MARTINO. Quando sono entrato <strong>in</strong> carcere, a 41 anni (ne ho<br />
compiuti 58 il 16 maggio 2010) ero <strong>in</strong> ottima salute, non sapevo cosa<br />
significasse prendere una pillola.<br />
Avevo tolto l’<strong>in</strong>gessatura alla gamba dx e avevo bisogno di fisioterapia.<br />
Non ne ho mai fatto. Controlli periodici? Nessun controllo periodico,<br />
mai.<br />
Il mio calvario è <strong>in</strong>iziato nel ‘97/98 e qualche cura mi è stata fatta<br />
dopo due o tre mesi f<strong>in</strong>o a che non sono stato visitato dallo specialista.<br />
Senza risolvere mai niente, e mai nessuno che mi abbia fatto capire<br />
la gravità dei primi malanni.<br />
Nel ‘95 mi fu diagnosticato il diabete “melito” con colesterolo a 300.<br />
Sono stato curato con pillole, ma era sempre quel medic<strong>in</strong>ale f<strong>in</strong>o al<br />
‘97, ebbi la prima trombosi con la rottura di capillari al pene e f<strong>in</strong>o ad<br />
oggi il problema non è risolto perché all’epoca, come ho spiegato, non<br />
fui curato bene, come pure quando ebbi una trombosi all’ascella dx a<br />
Natale del 1997. La mia fortuna è stata di non capire la gravità della<br />
situazione, e con tanta g<strong>in</strong>nastica riuscii (<strong>in</strong>volontariamente) a far dilatare<br />
i capillari, cosa che ha agevolato la circolazione. Ma Mai! Nessuno<br />
che mi abbia detto del rischio che <strong>in</strong>correvo riguardo la cardiovascolarizzazione.<br />
Nel 2003 fui soggetto a <strong>in</strong>farto al miocardico sx e da allora tutto è<br />
stato un calvario, perché all’<strong>in</strong>izio del 2004 caddi <strong>in</strong> una forte depressione<br />
senza rendermene conto e di circa 2 anni non ricordo niente,<br />
ma da quello che ho appreso dalla cartella cl<strong>in</strong>ica addirittura ero a rischio<br />
suicidio, e per questo fui sottoposto all’alta sorveglianza; non<br />
potei essere neppure declassificato dal così detto regime E.I.V, perché<br />
l’alta sorveglianza per la malattia fu scambiata per pericolosità sociale.<br />
Posso anche fornire il mio diario cl<strong>in</strong>ico.<br />
Tutto quello che ho passato come malattie spesso viene ignorato e<br />
chissà, qualche volta, se non mi faranno morire per claustrofobia. Già<br />
più di una volta hanno tentato di farmi viaggiare con furgoni ord<strong>in</strong>ari,<br />
e quello che è successo durante il trasporto, non so se è stato evidenziato.<br />
C’è ancora tanto da dire?<br />
Le parti del mio corpo che hanno <strong>in</strong>iziato per prime a soffrire? Il pe-<br />
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ne e la spalla dx, il cuore per conseguenza diabetica. E poi psicologicamente<br />
e mentalmente.<br />
Credo che la maggiore responsabilità è dovuta al regime carcerario<br />
perché c’è stata negligenza da parte degli organi dirigenti, e ogni persona<br />
al disotto di chi vuole condurre un gioco duro è soggetto e diventa<br />
succube dei comandi, per non perdere il posto di lavoro (chi <strong>in</strong>tende<br />
capisce).<br />
La notte non riesco a riposare. A volte sogno, a volte no. Sogni ricorrenti,<br />
li cerco ma non vengono mai.<br />
Ho paure. Tante che non so spiegare, <strong>in</strong>cubi quando dormo ma che<br />
non ricordo, e tante persecuzioni uditive che non riferisco più, ma<br />
spesso mi portano ansie e paure.<br />
Il cibo non è buono, i pasti sono <strong>in</strong>completi, e quanto a prote<strong>in</strong>e di<br />
quello che ci danno dovrebbe essere almeno il 50% ma dato che tutto<br />
è conservato male, credo che se ne possano assumere il 15 o il 20%.<br />
Non faccio attività fisica, perché sono pieno di artrosi e non vengo<br />
curato. Entrai che pesavo 75 Kg. Ero sotto peso nel giro di 5 o 6 mesi<br />
persi circa 15 Kg e così sono rimasto f<strong>in</strong>o a che non caddi <strong>in</strong> depressione,<br />
che da come ho letto da referti medici calai a 49 Kg. Ora, da<br />
qualche anno, sono circa 70 Kg.<br />
Non faccio <strong>in</strong>contri con uno psicologo, e non esiste alcun supporto<br />
psicologico. Al contrario, specie la notte, se si riesce ad addormentarsi<br />
per qualche ora c’è pronta a svegliarci la pila che i sorveglianti usano per<br />
controllarci, e svegliarci di soprassalto. Giacché già si dorme per f<strong>in</strong>ta,<br />
cioè una sorta di “dormiveglia”, ci si sveglia e non ci si addormenta più.<br />
SEBASTIANO MILAZZO. Sono entrato <strong>in</strong> carcere <strong>in</strong> buona salute, a 41 anni.<br />
Ora ne ho 58. Sono stato sottoposto a controlli periodici, e se sostanzialmente<br />
sono stato curato sul piano fisico, sono stati <strong>in</strong>curanti e <strong>in</strong>sensibili<br />
dei drammi psicologici che <strong>in</strong> certi periodi mi affliggevano.<br />
Sul piano fisico ho avuto problemi agli occhi. Non credo che il regime<br />
carcerario abbia avuto responsabilità a riguardo.<br />
La notte riesco a riposare. A volte sogno, a volte no. Faccio sogni di<br />
vario genere. Ho anche <strong>in</strong>cubi, paure, legati ai miei affetti.<br />
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URLA AL BUIO 18_6_2012:PUCCINI 8_11_2008 18/06/12 14.36 Pag<strong>in</strong>a 107<br />
Com’è il cibo? Commestibile, i pasti sono completi, forniscono prote<strong>in</strong>e.<br />
Non faccio regolare attività fisica. Sono <strong>in</strong>grassato.<br />
Gli psicologi?– desaparecidos.<br />
GIUSEPPE SORRENTINO. Sono entrato <strong>in</strong> buona salute, a 31 anni. Ora ne<br />
ho 47. Non sono stato sottoposto a controlli periodici. Dopo tempo si<br />
sono <strong>in</strong>teressati ai primi problemi che ho avuto. Cardiopatia precoce,<br />
colite ulcerosa con polipetti sospetti e gravità perdurante. Ho avuto<br />
problemi al cuore e penso che maggiormente abbia <strong>in</strong>fluito il regime<br />
41 bis, a cui sono stato sottoposto.<br />
La notte non riesco a riposare. Se sogno, sogno famiglia e figli.<br />
Incubi, paure? La sottoposizione carceraria e la lunga restrizione.<br />
Il cibo? Indesiderabile, no, no.<br />
Non faccio attività fisica, riguardo la mia <strong>in</strong>validità fisica, da tempo<br />
dimagrisco e <strong>in</strong>grasso. Non ho mai <strong>in</strong>contrato uno psicologo.<br />
Attività manuali? No, a riguardo la mia <strong>in</strong>validità no! Ad ogni richiesta<br />
dicono che non è ammessa dall’A.S.1.<br />
Mi piacerebbe svolgere attività culturale e attività fisica, che purtroppo<br />
è impossibile.<br />
Che cosa mi manca di più? Non potere usare la mia sensibilità verso<br />
la famiglia.<br />
Cosa desidero, a parte la libertà? Un mondo diverso per la sensibilizzazione<br />
umana.<br />
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La rieducazione<br />
Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Anche<br />
questo è stabilito dalla Costituzione, all’articolo 3, dopo<br />
aver chiarito anche che queste pene “non possono consistere <strong>in</strong><br />
trattamenti contrari al senso di umanità”. Ma i programmi di<br />
recupero, anche quando attuati, rischiano di fallire, se non si ha<br />
la possibilità di pensare un futuro che <strong>in</strong> qualche modo riavvic<strong>in</strong>i<br />
alla società. E se pene davvero rieducative sono quelle che<br />
conducono a riappacificarsi con la società, un’ipotesi di pena<br />
potrebbe anche essere quella di “lavorare tutta la vita per le famiglie<br />
delle vittime”.<br />
Della rieducazione, del recupero e di proposte alternative<br />
all’ergastolo<br />
GIUSEPPE IOVINELLA. Quale programma di recupero? Nessuno. Mi hanno<br />
buttato <strong>in</strong> una cella per 22 ore al giorno… quando ti trovi a Napoli,<br />
a Poggioreale, vi lascio immag<strong>in</strong>are come si può vivere…<br />
GENEROSO DE MARTINO. Attività creative, manuali? Manuali non posso<br />
farle perché <strong>in</strong>valido, creativa niente, non ci danno la possibilità.<br />
Uguale per le attività <strong>in</strong>tellettuali, per l’A.S.1 non esiste niente. Solo la<br />
scuola ma che scuola: un bidone, cioè chiusa come un silos dove si<br />
conserva il grano e dato che soffro di claustrofobia mi è impossibile<br />
anche studiare.<br />
PASQUALE DE FEO. Programmi di recupero, <strong>in</strong> modo serio nessuno. La<br />
riforma del 1975, la legge Gozz<strong>in</strong>i e il Regolamento di Esecuzione del<br />
2000, <strong>in</strong>dicavano la via maestra per la progressiva acquisizione della<br />
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libertà da parte del detenuto. Era una responsabilità che andava accettata<br />
e condivisa a tutti i livelli, operativi e politici, ma non c’è la volontà<br />
di realizzare e applicare le riforme <strong>in</strong> l<strong>in</strong>ea con l’art. 27 della Costituzione.<br />
Quello che viene fatto è solo per dare l’impressione che è <strong>in</strong> atto la<br />
rieducazione, aff<strong>in</strong>ché politici e organi europei <strong>in</strong> visita recepiscono<br />
una realtà artificiosa. In Italia hanno creato alcune carceri che servono<br />
per i giornalisti, tv e visite istituzionali, il resto sono baronie feudali che<br />
applicano ciò che arbitrariamente <strong>in</strong>terpretano, e quando c’è questo<br />
potere assoluto, non c’è limite all’oppressione e alle torture fisiche e<br />
psicologiche. F<strong>in</strong>ché non capiscono che il carcere che funziona è quello<br />
che produce libertà abbassando la recidiva, nulla cambierà.<br />
Le carceri sono fabbriche di del<strong>in</strong>quenti e scuole di perfezionamento<br />
dei malfattori. Lo diceva Filippo Turati, il 18 marzo del 1904. 1 Non<br />
è cambiato molto da allora.<br />
Personalmente ho lavorato su me stesso; ci ho messo molto tempo<br />
per ripulire i pensieri, correggere comportamenti radicati, rielaborare<br />
errori per metabolizzarli nella giusta dimensione, cambiare il l<strong>in</strong>guaggio<br />
e vedere l’orizzonte con la corretta prospettiva. Ma dal sistema<br />
penitenziario non ho avuto nessun aiuto, anzi solo limitazioni e<br />
istigazioni ad essere peggiore.<br />
La cultura e il dialogo con persone del volontariato mi hanno aiutato<br />
molto, aprendo orizzonti nuovi; dove prima sguazzava e imperava<br />
la mia ignoranza, ora c’è una visione nuova della vita. Sono conv<strong>in</strong>to<br />
che la cultura, il lavoro e il contatto con la società porterebbero<br />
risultati più soddisfacenti di quelli del carcere di Bollate. 2<br />
1 Dal sepolcro dei vivi, discorso con il quale Filippo Turati <strong>in</strong>terviene sui temi delle<br />
carceri. Su questo tornerà anche <strong>in</strong> seguito, affermando che bisogna avere il coraggio<br />
“di gettare aria e luce a profusione <strong>in</strong> questa zona buia ed anche fracida, <strong>in</strong> questa regione<br />
<strong>in</strong>esplorata, dove si dice di far opera di risanamento morale e dove si uccide,<br />
moralmente se non anche materialmente, una popolazione permanente di 60 mila<br />
cittad<strong>in</strong>i”.<br />
2 Bollate, carcere-modello, alla periferia nord-ovest di Milano, fiore all’occhiello del<br />
sistema penitenziario italiano, un circuito a custodia attenuata, dove l’aspetto rieducativo<br />
della pena prevale su quello punitivo.<br />
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CIRO BRUNO. Il problema non è quale programma mette <strong>in</strong> atto il carcere,<br />
ciò che manca <strong>in</strong> Italia è un patto di <strong>in</strong>clusione sociale dei detenuti.<br />
Una rete <strong>in</strong>tegrata, qualificata e diffusa su tutto il territorio nazionale,<br />
con l’obiettivo di realizzare percorsi di re<strong>in</strong>serimento. È necessario<br />
r<strong>in</strong>novare il patto sociale per avviare rapporti con le Regioni,<br />
gli Enti Locali ed il volontariato, il cui raggio d’azione si concentra nei<br />
campi della esecuzione penale studiando <strong>in</strong>terventi <strong>in</strong>tegrati. Potrebbero<br />
essere avviati progetti tesi a sensibilizzare la collettività sui temi<br />
della pena e della cultura della legalità, migliorando la qualità della vita<br />
degli istituti di pena, presenza di scuole di ogni ord<strong>in</strong>e e grado, formazione<br />
professionale connessa al sistema produttivo esterno, sostenendo<br />
e accompagnando i percorsi di <strong>in</strong>serimento.<br />
SEBASTIANO PRINO. Il carcere ha il solo “privilegio” di fornire profondi<br />
momenti di riflessione che credo sia impossibile trovare <strong>in</strong> altri luoghi<br />
o altri contesti.<br />
In una dimensione a parte qual è il carcere, <strong>in</strong> cui le uniche notizie<br />
sul proseguo dell’umanità giungono da un oblò costituito dalla tv,<br />
dalla lettura <strong>in</strong> generale e dallo stretto contatto quotidiano con “reietti”<br />
di tutto il cosmo, è molto più semplice analizzare i propri simili e<br />
se stessi. E di conseguenza spesso capita da qui dentro di immag<strong>in</strong>are<br />
una società diversa; senza egoismi, paure, guerre, padroni, servi ed<br />
esclusi. Cioè una società basata sull’eguaglianza e la cultura, dove la<br />
forza venga sostituita dal buon senso. E <strong>in</strong> una società basata su questi<br />
pr<strong>in</strong>cìpi probabilmente non ci sarebbe bisogno di prigioni, o di<br />
mura <strong>in</strong> generale, per una pacifica convivenza tra uom<strong>in</strong>i e popoli.<br />
Ma come pensare un carcere rieducativo?<br />
ALFIO FICHERA. Rispondo con concetti semplici (quelli complicati li ho<br />
f<strong>in</strong>iti da un pezzo). La scienza di settore ci <strong>in</strong>segna che la materia<br />
umana, ma forse l’<strong>in</strong>tera materia vivente, se non si comb<strong>in</strong>a con un<br />
<strong>in</strong>teresse, un lavoro, lo studio, gli hobbies, degrada rov<strong>in</strong>osamente e si<br />
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perde l’educazione alla stessa vita. La premessa, forse barbosa, è utile<br />
per dire che costruire nuove carceri serve a danneggiare soltanto le<br />
pubbliche f<strong>in</strong>anze, occorrerebbe <strong>in</strong>vece, con una spesa al confronto irrisoria<br />
e con migliori ritorni, ampliare le aree pedagogiche, riaprire le<br />
“lavorazioni”, <strong>in</strong> molti casi dotate di attrezzature nuovissime e mai<br />
usate, e comunque rimuovere le situazioni di ozio. Sono un comunista<br />
impenitente, la vera pericolosità di quelli come me è che soffrono<br />
<strong>in</strong> maniera rivoluzionaria, la repressione spesso li esalta f<strong>in</strong>o al martirio.<br />
Mi darei qualunque pena se avessi la certezza che questa servisse<br />
ai miei cari e al mio prossimo.<br />
ANGELO TANDURELLA. Per un carcere veramente rieducativo, prima di tutto<br />
dovrebbero riprist<strong>in</strong>are la Legge Gozz<strong>in</strong>i; più educatori che facciano<br />
il proprio lavoro, e non aspettare solo il f<strong>in</strong>e mese per rubare, “metaforicamente”<br />
parlando, lo stipendio. Noi detenuti non siamo seguiti<br />
da nessuno, come si fa a capire se una persona abbia avuto un cambiamento<br />
<strong>in</strong>teriore se non si conosce neanche il nome di quella persona?<br />
Io mi darei una pena alta, proporzionata al tipo di reato per il<br />
quale sono stato condannato, ma che abbia una F<strong>in</strong>e. Poi se devo dire<br />
la pura verità, come se parlassimo a quattr’occhi, io <strong>in</strong> questo preciso<br />
momento mi sento pronto per essere immerso nella vita sociale, rispettando<br />
le sue regole e pagando le tasse come tutte le persone normali:<br />
questi anni <strong>in</strong> più che io faccio, perché per me sono anni <strong>in</strong> più,<br />
non fanno altro che <strong>in</strong>cattivire l’animo e la persona.<br />
PINO REITANO. La prima cosa, far lavorare tutti anche con la forza, così<br />
se c’erano mafiosi non solo non potevano usare i soldi se ne avevano,<br />
ma dovevano lavorare per ripagare il male commesso. Non è la pena<br />
che sana i mali commessi. Può servire se ti smuove la coscienza, se rimani<br />
un crim<strong>in</strong>ale neppure la pena di morte può servire. La pena che<br />
mi darei è qu<strong>in</strong>di solo il tempo necessario per dimostrare che hai capito<br />
cosa devi fare per non commettere gli stessi errori.<br />
GIROLAMO RANNESI. I cambiamenti positivi <strong>in</strong> me ci sono stati e cont<strong>in</strong>uano<br />
ad esserci. Io li attribuisco alla mia donna, Francesca. Altresì lo<br />
devo a persone che fanno parte delle istituzioni e che io amo def<strong>in</strong>ire<br />
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persone di buona volontà. Ma un carcere davvero educativo lo penso<br />
senza sbarre alle f<strong>in</strong>estre, con gli educatori messi nelle condizioni di<br />
poter fare il loro lavoro. Che apra le porte alle ore affettive, così come<br />
accade già da tempo nelle carceri di altre nazioni europee. Un carcere<br />
che non <strong>in</strong>duca alla distruzione delle famiglie, altresì che non istighi i<br />
detenuti al suicidio.<br />
Io che pena mi darei? La morte. E subito.<br />
CIRO BRUNO. Il carcere sopravvive per ragioni che non hanno molto a<br />
che vedere con la rieducazione. In Italia il degrado e la perversione<br />
riescono pers<strong>in</strong>o a squarciare la cort<strong>in</strong>a di <strong>in</strong>visibilità che normalmente<br />
rende cieca la società civile e la protegge dallo spettacolo della<br />
vergogna.<br />
Parte della colpa da imputare alla politica italiana, è quella di esser<br />
riuscita a rendere l’esecuzione penale un fenomeno di illegalità, <strong>in</strong><br />
contrasto manifesto con le regole che ci siamo dati: un fenomeno crim<strong>in</strong>oso,<br />
perché il trattamento rieducativo si converte <strong>in</strong> maltrattamenti.<br />
Il recupero della legalità ha un percorso obbligato: “La garanzia<br />
della persona detenuta”.<br />
Se si parla di garanzie si parla di Giudice. Certo non dell’attuale funzione<br />
del Magistrato di Sorveglianza, ridotto a spettatore del degrado,<br />
ma un Giudice posto <strong>in</strong> grado di v<strong>in</strong>colare l’amm<strong>in</strong>istrazione penitenziaria<br />
al rispetto dei diritti <strong>in</strong>violabili della persona detenuta. È un<br />
programma m<strong>in</strong>imo, ma essenziale, perché il carcere non assuma una<br />
funzione crim<strong>in</strong>ogenetica.<br />
PASQUALE DE FEO. In <strong>alternativa</strong> all’ergastolo, proporrei 20 anni di carcere,<br />
il tempo di una generazione, credo sia un periodo adeguato. La<br />
pena deve compensare un torto e non deve essere una vendetta sociale<br />
per tutta la vita.<br />
Il carcere deve poter trasformare i detenuti <strong>in</strong> cittad<strong>in</strong>i. Libero accesso<br />
ai volontari, per non sottostare ai diktat delle direzioni, perché<br />
le relazioni sociali aiutano a creare persone e situazioni nuove. Trasparenza<br />
nell’amm<strong>in</strong>istrazione del carcere, con controlli e l’entrata<br />
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dei giornalisti con più facilità. Conservare e rispettare tutti i diritti del<br />
cittad<strong>in</strong>o-detenuto non è una concessione, è un dovere dello Stato democratico.<br />
GIUSEPPE IOVINELLA. Il modo giusto per far scontar la pena è avere un lavoro<br />
dignitoso <strong>in</strong> carcere, dare la possibilità a chi vuole studiare di essere<br />
<strong>in</strong> un penitenziario dove si può studiare. Non portare il detenuto<br />
lontano dalla propria famiglia, togliendogli l’affetto dei propri cari,<br />
aiutarlo con veri educatori e assistenti sociali che aiut<strong>in</strong>o anche gli<br />
ergastolani ostativi, chi è condannato con 416 bis e altri reati ostativi,<br />
e non solo ai cod<strong>in</strong>i!<br />
Credo che una condanna a 20 anni è più che sufficiente, con benefici<br />
effettivi a partire dai 10. Al compimento dei 20 anni, essere un uomo<br />
libero.<br />
SEBASTIANO PRINO. Innanzitutto credo che dovrebbe cambiare la concezione<br />
stessa della pena, sia questa connaturata a periodi lunghi o brevi<br />
di carcerazione. Infatti, di solito il detentore di lunghe pene proviene<br />
da altri periodi di detenzione, spesso com<strong>in</strong>ciati nei ri<strong>formato</strong>ri<br />
per poi <strong>in</strong> un crescendo di vicissitud<strong>in</strong>i giungere al “f<strong>in</strong>e pena mai”.<br />
Determ<strong>in</strong>ando <strong>in</strong> tal modo il fallimento del sistema penale italiano, –<br />
o forse proprio il suo obiettivo – poiché questo <strong>in</strong>controvertibile dato<br />
di fatto equivale al classico proverbio: “di chiudere la stalla quando<br />
i buoi sono scappati”.<br />
Dunque un sistema politico-penale a cui realmente <strong>in</strong>teressa stroncare<br />
i fenomeni crim<strong>in</strong>ali, dovrebbe <strong>in</strong>nanzitutto cercare di rispondere<br />
a queste devianze con nuovi concetti penali rivolti soprattutto a tutela<br />
dei giovani che entrano per la prima volta <strong>in</strong> carcere, per evitare<br />
che tanti ragazzi a loro volta divent<strong>in</strong>o come noi: dei “f<strong>in</strong>e pena mai”,<br />
<strong>in</strong> un vortice senza f<strong>in</strong>e.<br />
Il nuovo sistema sanzionatorio dovrebbe <strong>in</strong>nanzitutto, al contrario<br />
di ciò che avviene attualmente, tenere <strong>in</strong> carcere solo soggetti che costituiscono<br />
un reale pericolo per la società. E credetemi, questi soggetti<br />
sono molto meno di quel che si pensa e si dice.<br />
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Poi impiegare questi uom<strong>in</strong>i <strong>in</strong> lavori socialmente utili sul territorio,<br />
che sono <strong>in</strong>f<strong>in</strong>iti. Inf<strong>in</strong>e dovrebbe utilizzare, <strong>in</strong> quello che a prima vista<br />
può apparire un paradosso ma non lo è affatto, noi detentori di lunghe<br />
pene come educatori delle fasce giovanili che abitano <strong>in</strong> carcere o nei<br />
quartieri a rischio. Infatti, chi meglio di noi può sconsigliare un giovane<br />
dall’<strong>in</strong>traprendere una via che <strong>in</strong>evitabilmente dopo un breve percorso<br />
riconduce al punto di partenza? Naturalmente mi rendo perfettamente<br />
conto che questa è utopia, che gli <strong>in</strong>teressi politici ed economici <strong>in</strong> gioco<br />
che stornerebbe una riforma del genere sono al momento impensabili.<br />
Però credetemi, se ciò avvenisse, questo sarebbe un Paese migliore,<br />
per noi e per voi.<br />
CARMELO MUSUMECI. Il modo giusto di fare scontar una pena dovrebbe<br />
essere lavorare per le vittime del reato. Il colpevole <strong>in</strong> <strong>alternativa</strong> all’ergastolo<br />
per tutta la vita dovrebbe lavorare per mantenere la sua famiglia<br />
e quella del morto.<br />
Non è un’utopia come non lo era neppure quando molti pensavano<br />
che le donne non potessero fare il lavoro degli uom<strong>in</strong>i. È solo una<br />
questione culturale e <strong>in</strong> tutti i casi l’utopia è il motore dell’umanità.<br />
Ricordo che quando era uscita la legge dei permessi ai prigionieri<br />
pochi pensavano, pure gli stessi detenuti, che i prigionieri sarebbero<br />
rientrati da soli <strong>in</strong> carcere suonando il campanello del portone. Invece<br />
rientrano tutti.<br />
Io per esempio preferirei spazzare le strade della mia città che stare<br />
chiuso <strong>in</strong> questa cella a rispondere a queste domande. Il bene e il male<br />
convivono <strong>in</strong> ognuno di noi ma una lunga pena tira fuori da noi solo<br />
il peggio. È <strong>in</strong>utile girarci <strong>in</strong>torno, il carcere è crim<strong>in</strong>ogeno, è come<br />
chi è ammalato <strong>in</strong>vece di portarlo all’ospedale lo portano direttamente<br />
al camposanto.<br />
Si dice che si nasce tutti <strong>in</strong>nocenti, ma non è vero. Molti nascono<br />
culturalmente già colpevoli come il titolo del mio libro Nato colpevole.<br />
E <strong>in</strong> tutti i casi la pena dovrebbe servire a migliorare e non a distruggere<br />
chi la subisce, ma come fa a migliorare una pena che non f<strong>in</strong>isce<br />
mai?<br />
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Morire <strong>in</strong> carcere<br />
Nelle carceri ci si suicida molto più che se si è fuori. Nel 2011 si<br />
sono suicidate 66 persone. Il 3 gennaio di quest’anno eravamo<br />
già a quota 3. Nel momento <strong>in</strong> cui scrivo queste righe, il 20 gennaio<br />
del 2012, leggo dell’ultimo suicidio, ieri, nel carcere fiorent<strong>in</strong>o<br />
Gozz<strong>in</strong>i. Un giovane di 29 anni si è impiccato alle tend<strong>in</strong>e<br />
delle f<strong>in</strong>estre. Sarebbe uscito nel 2014.<br />
E per le persone il cui f<strong>in</strong>e pena è ‘mai’, la vita <strong>in</strong> carcere è già<br />
una sorta di morte. Condannati alla “morte viva”, dicono gli ergastolani<br />
ostativi. Tanto che per provocazione, ma forse no, nel<br />
maggio del 2007 hanno <strong>in</strong>oltrato al Presidente della Repubblica<br />
questa domanda: “Signor Presidente della Repubblica, siamo<br />
stanchi di morire un poch<strong>in</strong>o tutti i giorni. Abbiamo deciso di<br />
morire una volta sola, le chiediamo che la nostra pena dell’ergastolo<br />
sia tramutata <strong>in</strong> pena di morte” .<br />
Poesia per un suicida<br />
Dedicata da GIUSEPPE PERRONE “all’amico Nazareno Mat<strong>in</strong>a morto il 3 giugno 2011<br />
nel carcere di Spoleto”. I parenti di Mat<strong>in</strong>a comunque hanno contestato il fatto che di<br />
suicidio si sia trattato, e chiesto l’apertura di un’<strong>in</strong>chiesta.<br />
“Posso immag<strong>in</strong>armelo/ tranquillamente crepato nel cuore / squassato<br />
nell’animo e tremante / davanti a tanto ferro grigio.<br />
Posso credermelo ormai sfibrato / davanti a quelle regole diaboliche/<br />
che non aiutano nessuno/ …ed anzi spesso <strong>in</strong>ducono / ad “<strong>in</strong>fernali<br />
pratiche”.<br />
Posso senza sforzo alcuno immag<strong>in</strong>are/ quella molle / morta corda<br />
/ animarsi di colpo /“stiracchiaaarsi” / tirarsi sempre più / f<strong>in</strong> sulla<br />
barba / e poi oscillare f<strong>in</strong>o a fermarsi…<br />
Povero Nazareno! / Forse non riuscirà più a difendersi / ed ha scam-<br />
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biato il suo ultimo / tenue filo di speranza /con una robusta corda / da<br />
collo”.<br />
“Quasi nessun giornale ne ha parlato, e questa morte è passata ancor<br />
più <strong>in</strong>osservata delle altre tra l’<strong>in</strong>differenza di chi non vuole rendersi<br />
conto della carnefic<strong>in</strong>a che si sta consumando dentro le nostre<br />
galere. Mat<strong>in</strong>a, condannato all’ergastolo, era <strong>in</strong> carcere da 22 anni.<br />
Due giorni prima aveva avuto conferma di avere una pena ostativa<br />
ai benefici penitenziari. Sapete che significa allo stato attuale? Nessuna<br />
possibilità di uscire, MAI, tutti i santi giorni <strong>in</strong> carcere f<strong>in</strong>o alla<br />
morte. Nazareno non ce l’ha fatta e due giorni dopo averlo saputo,<br />
alla prima occasione <strong>in</strong> cui è rimasto solo, ha preferito la morte.<br />
È desolante e demoralizzante tutto questo, oltre che profondamente<br />
<strong>in</strong>giusto, di un’<strong>in</strong>giustizia che urla. L’urlo questa volta è quello di un<br />
morto; non ci rimane che l’assurda speranza che questa morte possa<br />
toccare il cuore di qualche giudice e legislatore. Sì, lo so, non lo<br />
saprà nessuno, tutto già è nell’oblio e la morte di Nazareno forse è<br />
stata vana, ma noi siamo dei sognatori, lasciateci sognare: sogniamo<br />
un f<strong>in</strong>e pena per tutti che non sia la morte” (da urladalsilenzio, giugno<br />
2011).<br />
Del suicidio<br />
Rispondendo a Vittoria, che chiede: Qualcuno, ha mai pensato<br />
al suicidio?<br />
GERTI GJENERALI. Che domandone! Complimenti, signora; dritti al punto!<br />
Siamo sicuri che lei faccia l’impiegata? Sembra più una domanda<br />
da psichiatra!<br />
Premetto che io parlo per me, gli altri non lo so.<br />
Anche se so per la mia stessa esperienza di vita che uccidersi o fare<br />
male a se stessi non è facile, anzi, è una cosa durissima.<br />
La risposta alla domanda è Sì.<br />
Ho pensato al suicidio, più di una volta, e a dirla tutta ho anche tentato.<br />
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È stato nel giorno del mio arresto, ma per mia fortuna, o forse grazie<br />
al fato o al dest<strong>in</strong>o, o forse perché lassù <strong>in</strong> cielo qualcuno non voleva<br />
ancora che la mia vita term<strong>in</strong>asse…<br />
Ho fallito Vittoria, e dunque eccomi qua.<br />
Però so anche che chi ha deciso di volerla fare f<strong>in</strong>ita davvero, lo fa!<br />
Chi decide di farla f<strong>in</strong>ita è già prima di uccidersi un morto che camm<strong>in</strong>a.<br />
E non è che lo decide un mese prima, o che ci rifletta a lungo.<br />
È un attimo, e <strong>in</strong> quell’attimo nella mente si realizza la conv<strong>in</strong>zione<br />
che ogni sofferenza scompaia. È una via d’uscita, un atto di<br />
resa.<br />
Il mio modesto parere da ergastolano, con una vita alle spalle sicuramente<br />
un po’ movimentata, è che la vita è sacra e preziosa, e vale la<br />
pena di viverla anche <strong>in</strong> galera, soprattutto se sei cosciente del fatto<br />
che c’è più mondo dentro di te che non <strong>in</strong>torno a te, e cosciente del<br />
fatto che aprire le porte della mente e del cuore ti conduce a percorrere<br />
molte più strade di quante non possa <strong>in</strong>vece aprirne lo spalancarsi<br />
dei bl<strong>in</strong>dati che imprigionano i corpi.<br />
È questo il motivo fondamentale per cui non ho più riprovato, ho<br />
preso coscienza dell’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito che abita nel mio piccolo spazio.<br />
Ci sarebbe poi anche da aggiungere che il suicidio è un atto egoistico.<br />
Come si può non pensare al male che fai e al dolore che dài con un<br />
gesto simile alle persone che ti amano? Quelle persone che non hanno<br />
colpe né pene da scontare, quelle persone che non hanno nulla a<br />
che fare con la vita che io ho scelto e vissuto, quelle persone care a cui<br />
per essere felici basta sapere che esisto e che le amo, anche se non possiamo<br />
stare <strong>in</strong>sieme.<br />
C’ho pensato e c’ho provato Vittoria, ma non ci penso più e non ci<br />
provo più.<br />
SEBASTIANO PRINO. Non ho mai preso <strong>in</strong> seria considerazione l’idea del<br />
suicidio, anche se più di una volta questa ipotesi è balenata nella mia<br />
mente.<br />
Non l’ho fatto un po’ per vigliaccheria, ma soprattutto perché penso<br />
che dovrebbero essere quelli come te a sporcarsi le mani str<strong>in</strong>gen-<br />
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domi un cappio al collo o <strong>in</strong>iettandomi nelle vene una soluzione di<br />
veleni.<br />
Avendola sfidata più volte non temo la morte, se a darmela sono<br />
mani altrui. Anzi, alcuni anni fa, assieme a tanti altri nelle mie stesse<br />
condizioni, l’ho richiesta a gran voce al capo dello Stato e spero che<br />
quanto prima la mia istanza venga accolta. Magari utilizzando lo stesso<br />
criterio che si usa per comporre le giurie delle Corti d’Assise – le<br />
stesse che danno questo tipo di pene – composte da una maggioranza<br />
di giudici popolari, che però al posto dell’<strong>in</strong>chiostro utilizz<strong>in</strong>o forche<br />
o scuri. Poi mi auguro che tu sia una di quegli esecutori popolari<br />
e che il compito di decapitarmi o impiccarmi o avvelenarmi sia affidato<br />
a te. Scoprirai che la vendetta non ha quel sapore dolce di cui si<br />
narra nei romanzi.<br />
Io, se ho ucciso, ne sto pagando le conseguenze con una pena ben<br />
più dolorosa della morte. Un’esistenza costituita da m<strong>in</strong>uti, ore, giorni<br />
e anni resi tremendamente uguali dalla ferocia della consuetud<strong>in</strong>e.<br />
E tu non puoi pretendere dalle mie mani il doppio compito di assass<strong>in</strong>o<br />
e vittima. Concludo dicendoti che mi piacerebbe conoscerti, perché<br />
sono sicuro che se avessimo l’occasione di parlarci per soli dieci<br />
m<strong>in</strong>uti, cambieresti la tua op<strong>in</strong>ione su molti di noi.<br />
EMANUELE INTERLICI. Non ho mai pensato al suicidio, perché amo la vita<br />
e anche grazie al sostegno della mia cara famiglia, una mamma favolosa,<br />
ma, soprattutto, grazie a mia moglie, una donna a dir poco speciale,<br />
con un amore magico, che è una ragione per vivere.<br />
CARMELO MUSUMECI. Ci penso sempre, l’ultima volta questa notte. Se<br />
non l’ho ancora fatto è perché non amo ancora abbastanza la vita se<br />
mi accontento solamente di sopravvivere fra queste quattro mura.<br />
Vittoria, l’ergastolano è uno strano fantasma che non riesce a morire<br />
e ha più paura di vivere che di morire.<br />
Non è scandaloso se <strong>in</strong> carcere ci si toglie spesso la vita, è più scandaloso<br />
se uno non se la toglie.<br />
Spesso la morte è la nostra unica speranza. Probabilmente togliersi<br />
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la vita è peccato, ma quando non ce la fai più forse è giusto così.<br />
Quando si vive <strong>in</strong> questo modo, chiusi <strong>in</strong> una cella come una belva da<br />
venti anni e quando le persone “perbene” cont<strong>in</strong>uano ad odiarti, non<br />
è poi così importante vivere o morire. Almeno per me.<br />
L’ergastolano ostativo è tenuto <strong>in</strong> vita solo per farlo morire <strong>in</strong> catene.<br />
In un commento del film “Il segreto dei suoi occhi” ho letto sulla<br />
stampa: lui non si accontenta di condannarlo a morte. Troppo poco.<br />
Lui non vuole ucciderlo una volta, ma ucciderlo ogni giorno. Non vederlo<br />
morire e amen, ma vederlo morire m<strong>in</strong>uto per m<strong>in</strong>uto, all’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito.<br />
E questo lo dà soltanto l’ergastolo. L’ergastolo è una morte <strong>in</strong>term<strong>in</strong>abile,<br />
che ti fa sognare la morte istantanea come un regalo della<br />
pietà.<br />
Della pena di morte<br />
MARIO TRUDU. Ho chiesto la morte al posto dell’ergastolo per dare soddisfazione<br />
a tutti quelli che i del<strong>in</strong>quenti li vogliono vedere morti, anche<br />
dopo 32 anni di carcere.<br />
Il due settembre del 2009 il Tribunale di Sorveglianza di Perugia, alla<br />
mia richiesta di tramutare la mia condanna all’ergastolo <strong>in</strong> pena di<br />
morte (da consumarsi con fucilazione <strong>in</strong> piazza Duomo a Spoleto) ha<br />
risposto così: “Poiché la pena di morte non è prevista dall’Ord<strong>in</strong>amento<br />
né ammessa dalla Costituzione, si dichiara <strong>in</strong>ammissibile l’istanza<br />
<strong>in</strong> oggetto”.<br />
All’ergastolano, viene dunque proibito anche di scegliere di morire<br />
perché si vuole che affronti la vendetta dello Stato f<strong>in</strong>o all’ultimo dei<br />
suoi giorni. Io ho sempre creduto che gli unici che avrebbero potuto<br />
pretendere vendetta nei miei confronti fossero la famiglia Gazzotti,<br />
l’uomo che ho sequestrato, e a causa di quella mia azione quel povero<br />
uomo morì. Solo loro credo che possano fare e dire tutto ciò che<br />
vogliono nei miei confronti, ne hanno tutti i diritti.<br />
La pena dell’ergastolo per chi la vive come me, è crudele e più disumana<br />
della pena di morte, perché quest’ultima dura un istante ed ha bisogno<br />
di un attimo di coraggio, mentre la pena dell’ergastolo ha biso-<br />
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gno di coraggio per tutta la durata dell’esistenza di un <strong>in</strong>dividuo, un’esistenza<br />
che rende l’uomo “schiavo a vita”. Occorre prendere coscienza<br />
che l’ergastolano ha una vita uguale al nulla e anche volendo sp<strong>in</strong>gere<br />
la fantasia verso previsioni future, resta tutto più cupo del nulla.<br />
Si parla spesso del problema delle carceri, ma non cambia mai nulla<br />
(o forse qualcosa cambia <strong>in</strong> peggio e il problema del sovraffollamento<br />
lo dimostra). I suicidi nelle carceri sono proporzionalmente <strong>in</strong><br />
numero maggiore di diciassette volte rispetto a quelli che avvengono<br />
nel “mondo esterno”. I “signori” politici dovrebbero pensare veramente<br />
per un attimo al disgraziato detenuto, che non può morire <strong>in</strong><br />
carcere per vecchiaia. Parlo dei politici perché la responsabilità è loro,<br />
perché se la legge del 4 bis non viene cambiata siano consapevoli che<br />
noi ergastolani ostativi dal carcere non potremo uscire mai: che diano<br />
risposta a questa domanda questi “signori”! Sto sognando, lo so!<br />
Purtroppo un ergastolano può solo sognare.<br />
SALVATORE DIACCIOLI. La pena dell’ergastolo supera i limiti della ragione.<br />
Non è facile ripetere ogni giorno per sette giorni alla settimana, per<br />
quattro settimane al mese, per dodici mesi l’anno per diciassette anni<br />
sempre le stesse e identiche cose.<br />
Io sono un figlio della strada, la mia <strong>in</strong>fanzia l’ho vissuta <strong>in</strong> vari collegi,<br />
l’adolescenza <strong>in</strong> case di recupero, sono diventato adulto <strong>in</strong> carcere,<br />
mi sono sposato <strong>in</strong> carcere nel lontano 1975, ho quattro figli che<br />
ho cresciuto poco (e il risultato oggi è quello che è), ho otto nipoti e<br />
pure una pronipote che non sto crescendo per niente, nel 2000 ho festeggiato<br />
anche il mio 25esimo anniversario di matrimonio. Il carcere,<br />
i figli che sono cresciuti senza avere accanto la figura paterna, mi<br />
sono stancato di morire tutti i giorni.<br />
Ho chiesto al nostro Presidente della Repubblica la pena di morte<br />
ma la mia richiesta è stata vana perché lui mai potrà fare quello che io<br />
ho chiesto. Chi sa, magari un giorno mi sentirò più stanco del solito e<br />
potrei farlo anche da me.<br />
D’altronde a che serve vivere se non potrai più vedere i colori dell’orizzonte.<br />
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PASQUALE DE FEO. La gente non sa che <strong>in</strong> Italia esiste una pena di morte<br />
chiamata carcere ostativo. È conosciuto appena dagli addetti ai lavori.<br />
I media, alimentati dai politici demagoghi, hanno addirittura <strong>in</strong>culcato<br />
nella gente che i condannati all’ergastolo scontano mediamente<br />
7-8 anni di carcere. La dis<strong>in</strong>formazione è totale. L’ostatività che deriva<br />
dall’entrata nel girone dantesco dell’art 4 bis è una condanna a<br />
morte, non solo per gli ergastolani, ma anche per i condannati di una<br />
certa età, che dovranno trascorrere 20-30 anni senza benefici.<br />
È questa la civile e democratica Italia culla del diritto?<br />
Un ricordo<br />
CARMELO MUSUMECI, giugno 2009. Khalid Husse<strong>in</strong>, 79 anni, il più anziano<br />
prigioniero politico palest<strong>in</strong>ese r<strong>in</strong>chiuso nelle carceri italiane, è morto<br />
lunedì scorso <strong>in</strong> una cella del carcere di Benevento. Ho conosciuto<br />
Khalid, combattente per la libertà della Palest<strong>in</strong>a e dei palest<strong>in</strong>esi,<br />
condannato all’ergastolo <strong>in</strong> contumacia per il sequestro della nave<br />
Achille Lauro, nel carcere di Parma nel 1998. Parlava perfettamente<br />
diverse l<strong>in</strong>gue: russo, arabo, israeliano, <strong>in</strong>glese, francese, italiano e greco.<br />
Giocavo a scacchi con lui, io ero più bravo, ma lui era più anziano<br />
e qualche volta lo facevo v<strong>in</strong>cere, perché altrimenti ci rimaneva male<br />
e non giocava più. In tutti questi anni non l’ho mai perso di vista, gli<br />
ho sempre mandato e mi sono sempre arrivati i suoi saluti da un carcere<br />
all’altro.<br />
In tutti questi anni Khalid ha sempre partecipato a tutte le <strong>in</strong>iziative<br />
del movimento degli ergastolani <strong>in</strong> lotta per la vita per l’abolizione<br />
dell’ergastolo. Ha partecipato a due scioperi della fame, quello dal primo<br />
dicembre 2007 ad oltranza e quello del primo dicembre del 2008<br />
a staffetta.<br />
Nell’anno del 2007 anche lui ha fatto parte di quei 310 ergastolani<br />
che hanno chiesto la pena di morte <strong>in</strong> sostituzione dell’ergastolo al<br />
Presidente della Repubblica.<br />
Molti, troppi, di quella famosa lista sono morti di suicidio o di morte<br />
naturale, ma l’ergastolo ostativo a tutti i benefici esiste ancora. Il<br />
carcere <strong>in</strong> questo strano Paese viene usato solo come un luogo dove<br />
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s’<strong>in</strong>vecchia e si muore. L’ergastolo <strong>in</strong> Italia trasforma la giustizia <strong>in</strong><br />
vendetta e violenza.<br />
Io e Khalid nelle nostre passeggiate all’aria parlavamo spesso di politica,<br />
di Dio e della morte. La pensavamo quasi allo stesso modo, tutti<br />
e due atei, lui comunista, io anarchico, e della morte, quando capita<br />
ad un ergastolano, dicevamo che è giusta, bella e buona.<br />
Khalid, se tutte e due ci siamo sbagliati ed esiste l’aldilà e <strong>in</strong>contri il<br />
diavolo, salutamelo, sicuramente sarà molto più giusto e umano dei<br />
politici e dei giudici italiani che ti hanno fatto morire, stanco e malato<br />
fra quattro mura. Un uomo che combatte per la libertà del suo popolo<br />
non dovrebbe mai morire <strong>in</strong> carcere, lontano dalla sua terra, dalla<br />
sua gente e dalla sua famiglia.<br />
Una frase che ha scritto Maria su Aziz, un ragazzo morto suicida nel<br />
carcere di Spoleto: “Ogni uomo che si toglie la vita <strong>in</strong> carcere lo fa anche<br />
per causa mia, per un qualcosa che io non ho fatto, per un’attenzione<br />
ad una sofferenza che non ho voluto o saputo vedere”.<br />
In un certo modo la stessa cosa è accaduta anche per te. Addio Khalid,<br />
riposa <strong>in</strong> pace, ora sarai di sicuro <strong>in</strong> un posto migliore dell’Italia,<br />
un Paese crudele che tiene e fa morire una persona anziana e malata<br />
di 79 anni chiuso a chiave <strong>in</strong> una cella. Buona morte.<br />
Agosto 2011. Con una lettera al presidente Napolitano viene<br />
r<strong>in</strong>novata ‘ufficialmente’ la richiesta di <strong>in</strong>trodurre la pena di<br />
morte. La firma, quasi a comporre un ossimoro: gli ergastolani<br />
<strong>in</strong> lotta per la vita.<br />
Signor Presidente della Repubblica,<br />
ci sono delle sere che il pensiero che possiamo rimanere <strong>in</strong> carcere<br />
per tutta la vita non ci fa dormire. E la speranza è un’arma pericolosa.<br />
Si può ritorcere contro di noi. Se però avessimo un f<strong>in</strong>e pena… Se<br />
sapessimo il giorno, il mese e l’anno che potessimo uscire… Forse riusciremo<br />
a essere delle persone migliori… Forse riusciremo a essere<br />
delle persone più umane… Forse riusciremo a non essere più delle<br />
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belve chiuse <strong>in</strong> gabbia. Signor Presidente della Repubblica, noi “uom<strong>in</strong>i<br />
ombra” non possiamo avere un futuro migliore, perché noi non<br />
abbiamo più nessun futuro. E per lo Stato noi non esistiamo, siamo<br />
come dei morti. Siamo solo come carne viva immagazz<strong>in</strong>ata <strong>in</strong> una<br />
cella a morire. Eppure a volte, quando ci dimentichiamo di essere delle<br />
belve, noi ci sentiamo ancora vivi. E questo è il dolore più grande<br />
per degli uom<strong>in</strong>i condannati ad essere morti. A che serve essere vivi<br />
se non abbiamo nessuna possibilità di vivere? Se non sappiamo quando<br />
f<strong>in</strong>isce la nostra pena? Se siamo dest<strong>in</strong>ati a essere colpevoli e cattivi<br />
per sempre? Signor Presidente della Repubblica, molti di noi si sono<br />
già uccisi da soli, l’ultimo proprio <strong>in</strong> questo carcere il mese scorso,<br />
altri non riescono ad uccidersi da soli, ci aiuti a farlo Lei. E come abbiamo<br />
fatto quattro anni fa, Le chiediamo di nuovo di tramutare la<br />
pena dell’ergastolo <strong>in</strong> pena di morte.<br />
GLI ERGASTOLANI IN LOTTA PER LA VITA DEL CARCERE DI SPOLETO.<br />
luglio 2011<br />
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L’op<strong>in</strong>ione pubblica<br />
Cattivi per sempre. È il giudizio che l’op<strong>in</strong>ione pubblica normalmente<br />
ha di persone che compiono delitti particolarmente<br />
efferati. Una propensione favorita e a volte esasperata sull’onda<br />
emotiva di campagne anche mediatiche per la sicurezza, legate<br />
a momenti di vere o presunte emergenze di vario tipo. Ma<br />
quando si parla di crim<strong>in</strong>alità organizzata, mafia e quant’altro,<br />
questo giudizio, cattivi per sempre, diventa pregiudizio, difficile<br />
da modificare.<br />
Delle argomentazioni per conv<strong>in</strong>cere l’op<strong>in</strong>ione pubblica<br />
del proprio cambiamento<br />
ANTONIO PRESTA. Come conv<strong>in</strong>cere l’op<strong>in</strong>ione pubblica della non pericolosità<br />
sociale?<br />
Attraverso l’unico strumento che lo Stato ci ha messo a disposizione<br />
per dimostrarlo, sperimentandolo anche concretamente: l’espiazione<br />
di una pena adeguata, il trattamento <strong>in</strong>tramurario, fatto dello<br />
studio della personalità, dell’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e psicologica, crim<strong>in</strong>ologica e sociale<br />
che il detenuto supporta aderendo spontaneamente aff<strong>in</strong>ché ciò<br />
arrivi al compimento. Poi, il lavoro, lo studio, e tutte quelle attività che<br />
il carcere mette a disposizione (seppur nei limiti di risorse sempre m<strong>in</strong>ori)<br />
e che il detenuto utilizza per migliorarsi e cambiarsi <strong>in</strong> meglio.<br />
La pericolosità è un s<strong>in</strong>onimo dell’ergastolo, perché un ergastolano<br />
è ritenuto pericoloso solo per il fatto di esserlo.<br />
Dare giudizi sull’onda emotiva <strong>in</strong>duce a considerazioni sconsiderate,<br />
alla stregua di chi si è macchiato di gravi reati non ragionando sulla<br />
conseguenza delle proprie azioni. Negli ultimi anni, proprio l’onda<br />
emotiva “forcaiola” dell’op<strong>in</strong>ione pubblica, ferita da quella def<strong>in</strong>ita<br />
micro-crim<strong>in</strong>alità che quotidianamente offende e lede la libertà e la<br />
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legalità dei cittad<strong>in</strong>i, ha <strong>in</strong>dotto molti magistrati, e lo Stato, attraverso<br />
leggi e decreti <strong>in</strong> tema di sicurezza, a buttare quasi la chiave, e proprio<br />
per noi ergastolani, che nonostante 10-20-30 anni di carcerazione<br />
già espiata veniamo ulteriormente puniti, tanto da chiedere noi<br />
stessi al Capo dello Stato la pena di morte: e posso assicurare che per<br />
molti di noi non è solo una provocazione.<br />
Se non sono bastati 10-20-30 anni di prigione a <strong>in</strong>durre la Società a<br />
riflettere che nessuno può ragionevolmente decidere di chiudersi a vita<br />
<strong>in</strong> carcere, qualunque sia il motivo, se non un disvalore che ha circuito<br />
la persona, allora fate come decise il Concilio di Toledo del 675,<br />
per i sacerdoti che avevano emesso o eseguito condanne a morte o a<br />
mutilazione. 1<br />
Inviterei piuttosto i cittad<strong>in</strong>i a formare un loro comitato cittad<strong>in</strong>o e<br />
conoscere da vic<strong>in</strong>o se e come sono pericolosi gli ergastolani. In verità<br />
scoprirebbero con loro grande stupore che assomigliamo molto a loro,<br />
<strong>in</strong> quanto persone con dei sentimenti e soprattutto con un grande<br />
dolore e rimorso per i nostri errori, perché siamo cambiati dentro e<br />
<strong>in</strong>vecchiati fuori, ma purtroppo maledetti <strong>in</strong> modo perpetuo.<br />
Restiamo nel nostro limbo preda del vostro sfogo, implorandovi di<br />
farci almeno esalare l’ultimo respiro da persone, con l’illusione di essere<br />
esistiti come tali.<br />
ANGELO SALVATORE VACCA. Purtroppo non è facile oggi conv<strong>in</strong>cere l’op<strong>in</strong>ione<br />
pubblica dato quello che subisce giornalmente. La gente però<br />
non sa che chi comb<strong>in</strong>a i guai tutti i giorni, non sono persone cosiddette<br />
“mafiose”, ma persone che hanno problemi con la droga o con la<br />
central<strong>in</strong>a che hanno <strong>in</strong> testa. Giustamente le persone sono stanche di<br />
parcheggiare l’auto e di non trovarla più, o di sentirsi violata la privacy<br />
della propria casa, o peggio ancora di essere sequestrati e pic-<br />
1 Il riferimento è all’<strong>in</strong>troduzione dell’ergastolo come pena perpetua, <strong>in</strong>tesa come<br />
ozio forzato, avvenuto nel Medioevo, <strong>in</strong> particolare nella Chiesa medievale. Il term<strong>in</strong>e<br />
compare ad esempio <strong>in</strong> un canone del Concilio di Toledo del 675, per il quale i sacerdoti<br />
che avevano emesso o eseguito condanne a morte o a mutilazione, erano r<strong>in</strong>chiusi<br />
<strong>in</strong> “ergastula” a far penitenza delle loro colpe “vita natural durante”.<br />
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chiati nella propria casa. Quelli che compiono questi tipi di reati però<br />
non fanno parte delle associazioni crim<strong>in</strong>ali, e quelli che commettono<br />
tali reati se vengono presi dopo un po’ sono di nuovo fuori. Ma le<br />
persone ci considerano tutti uguali.<br />
Io posso affermare che quando ero fuori con i miei compagni si andava<br />
a caccia delle persone che commettevano questi reati e quando li<br />
prendevamo erano botte. Con questo non voglio affermare che i nostri<br />
gesti erano corretti perché <strong>in</strong> qualche modo ci sostituivamo alla<br />
giustizia, ma posso affermare che come metodo funzionava.<br />
Comunque una persona come noi può conv<strong>in</strong>cere l’op<strong>in</strong>ione pubblica<br />
della nostra non pericolosità dimostrandolo fuori, lavorando, rispettando<br />
la società e le sue leggi ed anche dedicando parte del suo<br />
tempo alla società stessa per rimediare <strong>in</strong> qualche modo agli errori<br />
commessi.<br />
Dateci quest’ultima possibilità.<br />
GIOVANNI LENTINI. Abbiamo bisogno di fiducia, di far conoscere il buono<br />
che c’è <strong>in</strong> ognuno di noi mettendolo a disposizione della Società; come<br />
possiamo dimostrare la nostra non pericolosità sociale chiusi 20<br />
ore al giorno <strong>in</strong> una cella isolati dal resto del mondo?<br />
LUIGI PECICCIA. Chiediamo allo Stato che ci sia un’opportunità anche<br />
per noi. Un vero Stato Democratico non ha paura di rieducare e re<strong>in</strong>serire.<br />
L’op<strong>in</strong>ione pubblica potrebbe essere conv<strong>in</strong>ta solo vedendo all’opera<br />
le persone, perciò se le leggi rimangono repressive e non rispettano<br />
l’art. 27 della Costituzione italiana, nessuno potrà dimostrare<br />
mai niente.<br />
PAOLO AMICO E ALFREDO SOLE. Come dimostrare la nostra non pericolosità<br />
sociale? Trent’anni di carcere non basterebbero a dimostrarlo? A meno<br />
di non essere impazziti, quale essere umano dopo aver scontato<br />
una vita di carcere e riottenuta la libertà, tornerebbe a fare del male?<br />
Siamo consapevoli dei nostri errori e non cerchiamo un gesto di<br />
“pietà”, ma il rispetto della Costituzione. Non chiediamo allo Stato di<br />
liberarci, chiediamo una data sul calendario.<br />
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SALVATORE DIACCIOLI. Non dobbiamo essere noi a conv<strong>in</strong>cere l’op<strong>in</strong>ione<br />
pubblica della nostra non pericolosità sociale, ma lo deve fare chi ogni<br />
giorno segue il nostro trattamento rieducativo. Noi non chiediamo di<br />
essere messi <strong>in</strong> libertà, perché siamo pienamente consapevoli e d’accordo<br />
che ognuno di noi deve espiare le proprie colpe (se colpe abbiamo),<br />
noi desideriamo solo di avere una speranza di luce.<br />
Il tempo, il lungo tempo trascorso <strong>in</strong> carcere cambia le persone, ci<br />
fa maturare. Vivere <strong>in</strong> carcere per 20-30 anni non è cosa facile; tanti di<br />
noi lo hanno già fatto, siamo entrati grandi e stiamo diventando vecchi,<br />
eravamo solo dei papà e oggi siamo nonni e magari bisnonni, i<br />
giovani <strong>in</strong>vecchiando e qualcuno non ha neppure i figli. A che serve<br />
questa pena, se non mi dai tu Stato modo di dimostrarti che sei riuscito<br />
a cambiarmi?<br />
GIANNI ZITO. Abolendo l’art. 4 bis si può avere la speranza di dimostrare<br />
che l’ergastolo può cambiare una persona, perché l’art. 27 della Costituzione<br />
lo prevede per legge. L’op<strong>in</strong>ione pubblica non può tenere<br />
un uomo fattosi vecchio dentro quattro mura, perché per lui si spengono<br />
le luci della vita e del tramonto. Ogni recupero possibile e immag<strong>in</strong>abile<br />
deve essere fatto e affrontato con mezzi adeguati.<br />
Quando Gesù fu messo <strong>in</strong> croce chi fu condannato, Roma o i romani?<br />
Di un confronto con Omar ed Erika<br />
Perché l’op<strong>in</strong>ione pubblica accetta che Omar non sia più il feroce<br />
assass<strong>in</strong>o che aiutò Erika ad uccidere madre e fratell<strong>in</strong>o e<br />
non accetta che cambi chi ha commesso reati <strong>in</strong> odor di mafia?<br />
GIOVANNI MARCO AVARELLO. È difficile da dire, probabilmente perché<br />
Omar, all’epoca, era un ragazz<strong>in</strong>o, e qu<strong>in</strong>di facilmente perdonabile<br />
dall’op<strong>in</strong>ione pubblica. Oppure perché si tratta di un duplice omicidio<br />
commesso dentro le pareti domestiche, <strong>in</strong> famiglia, per cui si<br />
pensa più ad una tragedia che ad un crim<strong>in</strong>e vero e proprio. La gente<br />
dovrebbe sapere che il cambiamento <strong>in</strong>teriore di un omicida può<br />
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avvenire <strong>in</strong>dipendentemente dalla tipologia del reato <strong>in</strong> questione,<br />
che siano mafiosi, che siano brigatisti, che siano serial killer, tutti<br />
possono cambiare. Il ravvedimento fa parte della crescita morale,<br />
etica, di ogni <strong>in</strong>dividuo.<br />
GIUSEPPE PULLARA. Omar ed Erika sono due giovani ragazzi che hanno<br />
commesso un orrendo ed <strong>in</strong>degno delitto perché volevano vivere<br />
la vita bruciando i tempi. Tutti siamo stati giovani e tutti abbiamo<br />
mal tollerato i v<strong>in</strong>coli e le rimembranze al dovere di ascoltare<br />
papà e mamma perché vogliono soltanto il bene dei figli. Ma “nessuno”<br />
pur non sopportando le imposizioni ha deciso di elim<strong>in</strong>arli<br />
fisicamente. Ciò avviene per una forte debolezza psichica, per l’uso<br />
di stupefacenti che privano di razionalità, oppure perché si è privi<br />
di anima (<strong>in</strong>teso spiritualmente). I nostri legislatori ritengono che<br />
gli autori di un tale crim<strong>in</strong>e (questo vale anche per i pedofili assass<strong>in</strong>i<br />
omicidi comuni, <strong>in</strong> famiglia, <strong>in</strong> banca, ecc.) possono ritornare<br />
<strong>in</strong> libertà. Mentre per i soggetti condannati per reati di sangue e ritenuti<br />
affiliati ad una consorteria mafiosa, che si difendono la vita,<br />
viene preclusa ogni possibilità di libertà se non si collabora con la<br />
giustizia!<br />
PASQUALE DE FEO. L’op<strong>in</strong>ione pubblica è <strong>in</strong>fluenzata dai media e pertanto<br />
sono questi che decidono contro chi veicolare i bassi ist<strong>in</strong>ti della<br />
popolazione, i professionisti dell’odio, che hanno fatto carriera e fortuna<br />
al servizio dei potenti, alimentando teoremi e aizzando gli ist<strong>in</strong>ti<br />
primordiali della gente, facendo sospendere la legalità e i diritti nei<br />
tribunali e nelle carceri, hanno talmente <strong>in</strong>stillato un odio atavico, da<br />
farlo identificare con il pregiudizio ancestrale contro gli z<strong>in</strong>gari, gli<br />
ebrei, gli stranieri, etc. Sono circa 20 anni che si va ripetendo come<br />
una litania che tutti i mali dello Stato sono da attribuire a chi è f<strong>in</strong>ito<br />
<strong>in</strong> carcere. Ancora oggi questi signori cont<strong>in</strong>uano, anche dopo che più<br />
soggetti autorevoli hanno dichiarato che le stragi degli anni ‘90, che<br />
hanno causato tutte queste leggi emergenziali e la tortura legalizzata<br />
del 41bis, sono stragi di Stato, una sorta di strategia della tensione si-<br />
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mile a quella degli anni ‘60-‘70. 2 Per questi fatti i detenuti sono stati<br />
messi alla gogna, oppressi e compressi tutti i loro diritti, mentre i poteri<br />
forti hanno saccheggiato e imperversato nella cosa pubblica; la<br />
politica ha pensato a coprire le sue malefatte e ad aumentare i privilegi.<br />
Purtroppo si cont<strong>in</strong>ua a plasmare la realtà secondo gli <strong>in</strong>teressi<br />
funzionali della politica e dei poteri dell’alta f<strong>in</strong>anza; mentre noi “poveri<br />
cristi” siamo dest<strong>in</strong>ati come sempre ad essere animali da macello.<br />
ELIO ROTONDALE. L’op<strong>in</strong>ione pubblica ha ragione, guarda la mafia come<br />
aggregazione del male, quasi come un’ “istituzione del male”. Secondo<br />
me, però, se si soffermasse un attimo sul fatto che anche la mafia è costituita<br />
da persone, adotterebbe lo stesso metro di paragone che adotta<br />
con persone come Omar. Il concetto è: tutte le persone possono<br />
cambiare. Altrimenti le bolleremo tutte come “irrecuperabili” e Omar<br />
sarebbe <strong>in</strong> prigione.<br />
DOMENICO PACE. L’op<strong>in</strong>ione pubblica rappresenta la società civile e come<br />
tale si deve comportare verso tutti quelli che hanno avuto un passato<br />
poco chiaro ma desiderano un futuro chiarissimo per dimostrare<br />
che anche un condannato per mafia può essere un Omar del domani<br />
con tutti i requisiti che la società civile richiede.<br />
GIOVANNI ZITO. …non credo si possano fare dei paragoni con persone<br />
come noi ergastolani ostativi per tanti motivi: 1 – perché se il reato<br />
commesso da Omar ed Erika è feroce nel vero senso della parola, visto<br />
che hanno <strong>in</strong>flitto 99 coltellate divenendo loro stessi vittime e car-<br />
2 Le stragi degli anni 1992-93 (l’uccisione dei giudici Falcone e Borsell<strong>in</strong>o con le loro<br />
scorte, le bombe di Firenze, Roma e Milano) vengono comunemente pensate come<br />
stragi di mafia. Ma dopo le rivelazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza<br />
si torna a parlare di “trattativa” tra Stato e mafia. Recentemente i pm di Caltanissetta,<br />
che seguono la pista che nelle stragi mafiose degli anni ‘90 vede accanto Cosa<br />
nostra e Servizi segreti, hanno chiesto di far cadere il segreto di Stato su alcuni fascicoli<br />
e l’<strong>in</strong>chiesta di Caltanissetta punta oggi sugli apparati dello Stato, su alcuni funzionari<br />
della sicurezza che avrebbero collaborato o partecipato alle stragi.<br />
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nefici così come le loro famiglie, resta sempre un reato commesso da<br />
m<strong>in</strong>orenni nella mente lucida e preda della giov<strong>in</strong>ezza. 2 – non sono<br />
del Sud e qu<strong>in</strong>di l’op<strong>in</strong>ione pubblica accetta il loro reato ma non la<br />
colpa o il rimorso che prima o poi espieranno davanti a Dio onnipotente.<br />
3 – per noi gente del Sud basta un niente, non solo perché già<br />
<strong>in</strong> partenza si suppone che abbiamo commesso il reato, ma poi subito<br />
si <strong>in</strong>izia con la storia “presi i mafiosi di Tizio e Caio”, subito fanno<br />
un processo nel processo e, per qualsiasi punto un uomo si voglia o si<br />
possa difendere, si condanna all’ergastolo, che diventa ostativo; e questo<br />
lo dico come op<strong>in</strong>ione personale visto che al sottoscritto, più cercava<br />
di difendersi, e più gli hanno tolto vita ed esistenza.<br />
SEBASTIANO MILAZZO. L’op<strong>in</strong>ione pubblica accetta di perdonare Omar,<br />
perché è stato rappresentato come chi ha avuto un attimo di blackout<br />
nel cervello e la gente ha f<strong>in</strong>ito di vedere <strong>in</strong> Omar la propria immag<strong>in</strong>e<br />
riflessa.<br />
Anche i coniugi di Erba, se sono realmente colpevoli, hanno commesso<br />
qualcosa di atroce come Omar e Erica, ma nessuno accetterebbe<br />
il fatto che possano cambiare, perché la reazione della gente dipende<br />
dal modo <strong>in</strong> cui viene presentata la notizia.<br />
Lo stesso discorso vale per chi è stato condannato per reati di mafia.<br />
Anche quando non c’è stato niente, nei suoi confronti realtà e<br />
f<strong>in</strong>zione si equivalgono per tutto quel gioco di circostanze che gli<br />
costruiscono <strong>in</strong>torno politici, scrittori, pensatori di corte e tribuni<br />
d’ogni genere, i quali, anche quando le circostanze non lo giustificano,<br />
descrivono universi di eventi e di misteri, op<strong>in</strong>ioni, e pregiudizi,<br />
per poi ridurre la complessità <strong>in</strong> uno slogan che crea un clima d’attesa<br />
del peggio che deve ancora venire, per creare quel clima di ansia<br />
e di paura che rende sempre più florida l’<strong>in</strong>dustria più grande<br />
che oggi esiste <strong>in</strong> Italia, l’<strong>in</strong>dustria dell’antimafia, utile anche per alzare<br />
una cort<strong>in</strong>a fumogena sugli scandali pubblici forniti dalla cronaca<br />
quotidianamente.<br />
Provate a contare quante volte viene pronunciata ogni volta <strong>in</strong> Italia<br />
la parola mafia sui media e poi provate a contare quante di quelle<br />
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<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i sugli scandali pubblici si concludono con una condanna, e<br />
dal confronto si capisce perché “non si deve” accettare che un accusato<br />
di mafia cambi.<br />
Del cambiamento e dell’umanizzazione delle pene<br />
SALVATORE GUZZETTA. Ma il cambiamento è sempre un evento atteso, da<br />
quando esiste l’uomo è stato una prerogativa delle cose, è cambiato<br />
l’uomo, da Neanderthal a uomo Sapiens, cambiano le stagioni i tempi,<br />
anche la radicata cultura omertosa del Sud sta cambiando ed è un<br />
bene per le nuove generazioni, l’istruzione e la fiducia aiutano il cambiamento.<br />
PASQUALE DE FEO. …è un lento e <strong>in</strong>esorabile cambiamento di se stessi.<br />
Nel tempo il processo arriverà alla conclusione. Ma è difficile senza<br />
l’aiuto di qualcuno; la determ<strong>in</strong>azione e la volontà sopperiscono alla<br />
sterilità del luogo e di chi lo gestisce. Se lo Stato usasse le sue strutture<br />
per ridare fiducia, per ricostruire l’autostima e responsabilizzare, il<br />
processo di cambiamento sarebbe più agevolato. Purtroppo la paura<br />
e l’<strong>in</strong>sicurezza sono moneta sonante <strong>in</strong> politica, e non c’è nessun <strong>in</strong>teresse<br />
ad applicare al sistema penitenziario il modello del carcere di<br />
Bollate.<br />
Io cont<strong>in</strong>uo a cambiare me stesso per trasformare il mondo che mi<br />
circonda.<br />
GIOVANNI ZITO. Io credo nel cambiamento di un detenuto ergastolano<br />
ostativo.<br />
Il mutare nel tempo e nelle circostanze, il luogo <strong>in</strong> cui si deve vivere<br />
fanno riflettere e rispecchiare la propria identità. L’uomo davanti a<br />
Dio Onnipotente può trovare il perdono sia dell’anima e sia fisico. La<br />
sofferenza però è perpetua…<br />
Bisogna riformare tutto il Codice penale da ogni punto di vista. Non<br />
servono pene più aspre, non servono più carceri da fare; ci vogliono<br />
nuove regole, ci vuole un lavoro, ma se la politica cont<strong>in</strong>ua per come<br />
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sta facendo adesso si resta sempre nello stesso brodo e si mangia la solita<br />
m<strong>in</strong>estra riscaldata. Non bisogna fare processi sommari e non bisogna<br />
giudicare prima del processo. Nessuno ha il diritto di puntare il<br />
dito verso il proprio simile; lo sbaglio, l’errore è ammesso, lo dice anche<br />
il codice.<br />
Ognuno di noi sa di scontare la propria pena con dignità e onestà.<br />
Non si cerca una giustizia ma solo l’abolizione del 4 bis, perché non<br />
siamo animali né tanto meno bestie da trasportare da un carcere all’altro;<br />
siamo umani e abbiamo diritto di avere ciò che rimane della<br />
nostra vita.<br />
GIUSEPPE PULLARA. Noi chiediamo allo Stato di non vendicarsi su uom<strong>in</strong>i<br />
o donne, sepolti vivi da oltre 20 anni, perché sono persone svuotate<br />
del passato e abbiamo bisogno di una carezza paterna, senza paternale,<br />
perché un soggetto che perde la libertà per 20 anni e più, perde<br />
tutti gli “amici”, perde gran parte della famiglia, se non tutta, tra lutti<br />
e lontananza, perde il senso della realtà e cerca una r<strong>in</strong>ascita, <strong>in</strong>iziata<br />
<strong>in</strong> carcere, <strong>in</strong>teriormente, fuori nel mondo e per il mondo, anche se<br />
sarà solamente quella zolla di terra <strong>in</strong> cui gli è concesso di vivere. L’op<strong>in</strong>ione<br />
pubblica avrà sempre timore del soggetto che ha o avrebbe<br />
commesso un delitto di sangue, se non si com<strong>in</strong>cia ad avvic<strong>in</strong>are le distanze<br />
che ci separano con degli approcci umani, volti a farci conoscere<br />
come uom<strong>in</strong>i e non <strong>in</strong>dicati con il nome del reato, assass<strong>in</strong>i,<br />
ecc… Basta una lacrima d’amore per spazzare via l’odio, la paura, la<br />
diffidenza dai cuori!<br />
SEBASTIANO PRINO. Reputo difficile per un uomo a distanza di un lungo<br />
periodo di tempo, sia questo trascorso <strong>in</strong> cattività o libertà, non attraversare<br />
fasi di rivalutazione della propria vita. Poiché ciò significherebbe<br />
contrapporsi all’evoluzione stessa dell’uomo, negare quel<br />
pr<strong>in</strong>cipio di r<strong>in</strong>ascita morale decantato dai romantici dell’illum<strong>in</strong>ismo<br />
europeo nella vasta letteratura che ci hanno lasciato <strong>in</strong> eredità e<br />
da cui abbiamo tratto le fondamenta del nostro modello di vita sociale.<br />
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Infatti, basta leggere i Promessi Sposi di Manzoni, Delitto e Castigo di<br />
Dostoevskij e tanti altri scrittori di quell’epoca, per capire l’importanza<br />
che essi davano a personaggi come l’Innom<strong>in</strong>ato o Raskolnikov,<br />
che <strong>in</strong> un primo momento emergono dalle pag<strong>in</strong>e dei loro libri come<br />
figure negative per poi <strong>in</strong>carnare il simbolo della redenzione.<br />
Personaggi forse di fantasia, ma quanto att<strong>in</strong>enti alla realtà di ieri e<br />
di oggi, creati allo scopo di far capire ai propri contemporanei e alle<br />
generazioni future il fatto che qualsiasi uomo non è malvagio per<br />
sempre. Anzi spesso chi viene aiutato a “rialzarsi” diventa migliore di<br />
tanti altri per il semplice motivo che ha “vissuto”.<br />
In questi anni nel mio girovagare da un istituto all’altro, ho <strong>in</strong>contrato<br />
uom<strong>in</strong>i che si trovano <strong>in</strong><strong>in</strong>terrottamente <strong>in</strong> carcere da oltre 30<br />
anni, ad espiare pene anacronistiche, per colpe superate non solo dal<br />
nuovo concetto di vita acquisito, ma dal tempo stesso, e qu<strong>in</strong>di irripetibili!<br />
E credetemi, <strong>in</strong> tutti gli ergastolani che ho <strong>in</strong>contrato c’è stato un<br />
profondo cambiamento, pur se consapevoli, <strong>in</strong> quanto ostativi, di dover<br />
morire <strong>in</strong> carcere. Nel luogo dove d’altronde hanno vissuto più a<br />
lungo.<br />
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Il Perdono<br />
La parola ‘perdono’, così come il term<strong>in</strong>e ‘pentito’, dopo le norme<br />
emergenziali <strong>in</strong>trodotte anche per favorire la collaborazione<br />
con la giustizia di persone legate alla crim<strong>in</strong>alità organizzata,<br />
sembra muoversi entro conf<strong>in</strong>i <strong>in</strong>certi. Ritorna l’esigenza di dist<strong>in</strong>guere:<br />
fra i moti dell’animo e i meccanismi della Giustizia.<br />
Del perdono degli uom<strong>in</strong>i, del perdono di Dio.<br />
Settanta volte sempre…<br />
ANTONIO PRESTA. Il perdono è un percorso <strong>in</strong>teriore che spetta solo e<br />
unicamente alle vittime dei reati. Il come (?) e il quando (?) è tutt’altro<br />
percorso, perché una vittima, prima che il “come” e il “quando”, si<br />
chiede “perché?”. E allora sarà la coscienza di chi si macchia di determ<strong>in</strong>ati<br />
reati a rispondere <strong>in</strong> prima persona a se stesso e alle vittime a<br />
questa domanda. Per quanto mi riguarda faccio una dist<strong>in</strong>zione tra la<br />
pena, che riguarda una sanzione giuridica, e l’offesa del reato, che <strong>in</strong>veste<br />
una condotta morale del reo. Se si vuole soddisfare entrambi i<br />
requisiti, per dirsi pentito con se stesso, e si è nelle condizioni di farlo,<br />
è doveroso almeno cercare il perdono e fare una credibile revisione<br />
critica della propria condotta.<br />
SALVATORE VACCA. Ricordo che anni fa un detenuto anziano mi disse: “Il<br />
vero mafioso è quello che non ottiene il rispetto <strong>in</strong>cutendo terrore,<br />
ma conquistandoselo; soprattutto il vero mafioso rispetta donne e<br />
bamb<strong>in</strong>i, non farebbe loro del male per nessun motivo”.<br />
Per quanto riguarda il perdono la nostra società si def<strong>in</strong>isce cattolica,<br />
ma pochi sanno che per essere buoni cristiani bisogna saper perdonare.<br />
Il perdono è alla base del cattolicesimo. Basti pensare a San<br />
Paolo che ha sterm<strong>in</strong>ato un numero elevato di cristiani, ma alla f<strong>in</strong>e<br />
si è pentito di quello che ha commesso ed è diventato Santo.<br />
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CIRO BRUNO. Non è facile perdonare chi ti ha provocato del male, questo<br />
proprio perché il male che uno ha subìto acquista dimensioni <strong>in</strong><br />
cui il perdono non solo può apparire impossibile, ma risultare quasi<br />
colpevole. Approvo il perdono, e proprio perché lo considero difficile,<br />
quasi <strong>in</strong>arrivabile, ne sono affasc<strong>in</strong>ato. Affrontarlo diventa quasi<br />
una sfida con la propria coscienza, forse è anche per questo motivo<br />
che non condivido l’espressione “occhio per occhio”.<br />
Io vorrei veramente dire “ti perdono”, perché quel gesto potrebbe seriamente<br />
cambiare chi ha commesso il male e far sì che il tempo che<br />
dovrà scontare r<strong>in</strong>chiuso dietro le sbarre non diventi occasione per<br />
farlo sentire solo, maledetto e osceno, il che lo renderebbe ancora più<br />
disumano. Sarebbe bello e anche necessario saper promuovere un’azione<br />
positiva. Il perdono allora mostrerebbe il volto dell’uomo fatto<br />
di comprensione, senza dimenticare un serio riconoscimento del dolore.<br />
PASQUALE DE FEO. Cosa è il perdono? Non so dare una giusta def<strong>in</strong>izione.<br />
Credo che le parole di Gesù, “perdonare settanta volte, sempre…”<br />
momentaneamente sono un po’ difficili da applicare, ma rispettare il<br />
prossimo aiuterebbe ad essere più concilianti e concedere il perdono.<br />
GIUSEPPE IOVINELLA. Il perdono è un sentimento che può nascere solo<br />
quando dentro l’animo di un uomo c’è la pace e la serenità. F<strong>in</strong>o ad<br />
allora quel sentimento non può sbocciare e f<strong>in</strong>o ad allora si vive con<br />
un dolore lanc<strong>in</strong>ante al cuore.<br />
GIROLAMO RANNESI. Chi ha fede direbbe, ti saranno perdonati i tuoi peccati<br />
nella stessa misura con cui tu hai perdonato, altresì chi giudica con<br />
durezza sarà giudicato con durezza dal padre mio che sta nei cieli (Gesù).<br />
Chi scrive ha fede.<br />
Perdonare se stessi è duro. Sì, è proprio duro. Tuttavia bisognerebbe<br />
trovare la forza e il coraggio di darsi un’attenuante.<br />
Certo che la società ha delle responsabilità nei confronti di chi sbaglia.<br />
Non siamo forse nati tutti bamb<strong>in</strong>i? Tanti di noi non sono forse<br />
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cresciuti <strong>in</strong> quartieri dove la presenza delle istituzioni era assente?<br />
Forse che chi ha sbagliato non è figlio di questa società?<br />
GIOVANNI ZITO. Il perdono arriva quando si dimostra quanto un essere<br />
umano mette <strong>in</strong> gioco quello che gli resta da vivere, chiedendo ancora<br />
una volta la propria fiducia dimostrando che il cambiamento esiste<br />
se gli si dà la possibilità di vivere nella speranza di un domani migliore.<br />
CARMELO MUSUMECI. Il perdono è il sentimento che ti fa stare bene e ti fa<br />
andare d’accordo con l’universo. Il perdono, secondo me, è nel cuore<br />
di tutte le persone, basta cercarlo.<br />
Ma uccidere gente e scioglierla nell’acido, come può essere<br />
perdonato?<br />
SALVATORE DIACCIOLI. Sì è vero, come si può perdonare una persona che<br />
si è macchiata di un così feroce crim<strong>in</strong>e; per una mamma, un papà, un<br />
familiare è cosa <strong>in</strong>concepibile e prima che avvenga, se avviene, ci vorrà<br />
del tempo. Ma <strong>in</strong> un Paese democratico e civilizzato come il nostro<br />
non si può rimanere colpevoli per tutta la vita. Brusca il pentito di<br />
mafia (l’autore di questo mesch<strong>in</strong>o e feroce assass<strong>in</strong>io) 1 è stato perdonato<br />
perf<strong>in</strong>o dai signori giudici, non vedo perché non dobbiamo essere<br />
perdonati noi che rispetto ai delitti di cui si è macchiato Brusca<br />
(fra cui la morte del piccolo Matteo) siamo molto ma molto più lontani.<br />
Ci sono collaboranti (come Brusca) che con cent<strong>in</strong>aia di morti<br />
1 Giovanni Brusca, l’ex capomafia di San Giuseppe Jato, ha svolto un ruolo fondamentale<br />
nella strage di Capaci <strong>in</strong> cui morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie<br />
e gli uom<strong>in</strong>i della scorta. Giovanni Brusca si è autoaccusato di un cent<strong>in</strong>aio di omicidi<br />
tra i quali quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio di un pentito, strangolato<br />
e sciolto nell’acido per vendetta nei confronti del padre. Arrestato nel 1996,<br />
nel 2004 gli viene concessa la possibilità di ottenere permessi premio per uscire dal<br />
carcere. L’autorizzazione è motivata con la buona condotta del detenuto. Successivamente<br />
perde i benefici per violazione delle norme sui benefici carcerari.<br />
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che hanno alle spalle già sono fuori, e fra di noi (uom<strong>in</strong>i ombra con<br />
l’ergastolo ostativo) ci sono giovani che per aver venduto una pistola<br />
si trovano <strong>in</strong> carcere con un “f<strong>in</strong>e pena mai”. Questa non è giustezza<br />
né mai lo sarà.<br />
PAOLO AMICO e ALFREDO SOLE. …di cosa stiamo parlando, di quale pentimento?<br />
Forse che chi ha commesso questi reati deve stare libero perché<br />
“pentito”, e chi non ha commesso reati dello stesso genere, ma che<br />
non collabora, deve anche pagare le loro colpe? Giustamente si chiede:<br />
“Come potrebbe essere perdonata una persona del genere?”. Ma è<br />
stato già fatto! Sono quei “pentiti” di cui tanto l’Italia si gloria.<br />
ALFIO FICHERA. …risponderei che lo Stato italiano è stato capace di perdonare<br />
stragi come quelle di Bologna… 2 Io, che non ho mai disciolto<br />
nell’acido nessuno, non porrei la questione sotto l’aspetto del “perdono”,<br />
bensì io Stato e popolo mi prenderei una parte di responsabilità<br />
per non aver saputo prevenire ed evitare che taluni fatti crim<strong>in</strong>osi si<br />
verificassero. Non cavalcherei il fenomeno del disagio per costruirvi<br />
sopra lum<strong>in</strong>ose carriere. Il crim<strong>in</strong>e colpisce quasi allo stesso modo chi<br />
lo subisce e chi lo commette, e negli ultimi 20 anni abbiamo visto che<br />
la strada della sola repressione non è servita che ad amplificare il fenomeno.<br />
Rimane di rimuovere le condizioni di <strong>in</strong>giustizia economica<br />
e sociale, se vogliamo davvero liberarci tutti.<br />
GIUSEPPE PULLARA. Il perdono a tale gente non può essere dato, ma nemmeno<br />
gli si può dare una morte silenziosa agli occhi dell’op<strong>in</strong>ione<br />
pubblica, per torturarlo psicologicamente tutti i giorni togliendogli la<br />
2 Nel 2004 Il Tribunale di sorveglianza di Roma concede la libertà condizionata a Valerio<br />
Fioravanti, condannato all’ergastolo per la strage di Bologna, beneficio previsto<br />
qualora “il detenuto abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo<br />
ravvedimento”. Nel 2008 Francesca Mambro, condannata all’ergastolo per quella<br />
strage, ottiene la libertà condizionata, e a Luigi Ciavard<strong>in</strong>i, condannato a 30 anni di<br />
carcere, è concessa la semilibertà. Al term<strong>in</strong>e dei c<strong>in</strong>que anni di libertà condizionata,<br />
Valerio Fioravanti torna <strong>in</strong> libertà.<br />
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speranza di dimostrare il cambiamento <strong>in</strong>teriore. Un “Padre” guarisce<br />
i propri figli con l’amore, perché sa di perderli del tutto se li castiga<br />
ogni giorno per un male commesso nel passato lontano. Così com<strong>in</strong>cia<br />
a dargli un po’ di fiducia alla volta…<br />
LUIGI PECICCIA. Certo, chi uccide bamb<strong>in</strong>i e li scioglie nell’acido non è<br />
perdonabile. Ciò non toglie che si possa fare uno sforzo per superare<br />
questa affermazione. L’importante è che il reo sia cosciente dell’abom<strong>in</strong>io<br />
commesso e segua un camm<strong>in</strong>o di cambiamento, da non<br />
confondere con il pentimento davanti alla Magistratura.<br />
ROCCO SPENA. 3 “Perdonare” è un term<strong>in</strong>e derivante dal Lat<strong>in</strong>o Medioevale<br />
(XIII sec-1250 d.C.) di chiara matrice religiosa cristiana. L’<strong>in</strong>dulgenza<br />
all’epoca era e veniva applicata ai peccatori, o rei colpevoli di<br />
reati, attraverso la preghiera. E venivano perdonati reati ed eccidi anche<br />
atroci perché <strong>in</strong> quell’epoca molto diffusi erano i delitti determ<strong>in</strong>ati<br />
da duelli, d’onore, per propria difesa o difesa della proprietà, per<br />
il potere e tante cause ancora. Naturalmente il grado di civiltà era<br />
molto meno emancipato di quello odierno. Ciò non toglie che anche<br />
oggi vengono commessi efferati e atroci delitti. E a meno che non si<br />
tratti di pura <strong>in</strong>sania, logica vorrebbe che sciogliere nell’acido una<br />
persona dopo averla uccisa potrebbe equivalere a essere <strong>in</strong>tenzionati a<br />
far scomparire il corpo del reato. Comunque, eseguito o meno un gesto<br />
del genere, io già per essere perdonato pregherei. Pregherei molto!<br />
Naturalmente Dio, aff<strong>in</strong>ché <strong>in</strong>dulga il compimento del mio gesto, <strong>in</strong>dipendentemente<br />
da quale sia il motivo o la ragione da cui possa essere<br />
scaturito.<br />
Mi scuso, però, per la provocazione: il pentito Brusca Giovanni, che<br />
ha sciolto nell’acido il dodicenne Di Matteo, oggi può essere libero e<br />
gode di protezione e rendita per sé e la sua famiglia. Che oggi i giudici<br />
e lo Stato, avendolo perdonato, si sono sostituiti a Dio?<br />
3 Rocco Spena non ha condanna all’ergastolo, ma ha voluto dare alcuni contributi,<br />
che volentieri accogliamo.<br />
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URLA AL BUIO 18_6_2012:PUCCINI 8_11_2008 18/06/12 14.36 Pag<strong>in</strong>a 139<br />
Uccidere<br />
Leggendo i nomi e i luoghi d’orig<strong>in</strong>e delle persone che compaiono<br />
<strong>in</strong> questo libro, vi accorgerete che provengono tutti da Sicilia,<br />
Campania, Puglia, Calabria, Sardegna… <strong>in</strong>somma da terre del<br />
Sud; a parte un albanese, ma anche l’Albania può essere ascritta<br />
a Paese del Sud. Non è una giustificazione, ma gli omicidi che<br />
hanno portato <strong>in</strong> carcere i più sono maturati <strong>in</strong> ambienti dove<br />
entrare nella spirale della violenza è tanto facile quanto difficile<br />
poi uscirne, se non si conosce altra cultura. Ambienti “non così<br />
salubri”, dove capita che “si ammazza per non essere uccisi”.<br />
Dell’omicidio<br />
Rispondendo a Giulia che chiede: quando hai ucciso sapevi<br />
quello che facevi?<br />
GERTI GJENERALI. Premetto che chi ti scrive ha visto con i propri occhi, e<br />
vissuto con le proprie speranze ambizioni e paure due guerre civili.<br />
Chi scrive le ha combattute con il proprio corpo.<br />
Una risale al 1991, tu forse eri molto piccola, è successo con la caduta<br />
del regime comunista nel mio Paese: l’Albania. Un’altra poi nel<br />
1997 per motivi f<strong>in</strong>anziari, per bancarotta delle casse dello Stato. Un<br />
anno di follia, il Paese nel caos più totale.<br />
Per quello che è la mia esperienza personale potrei dirti che ci sono<br />
molte forze che possono essere <strong>in</strong> grado di portare un uomo a commettere<br />
un omicidio.<br />
In alcune situazioni non hai molta scelta. In mezzo a tutto quel cas<strong>in</strong>o<br />
non è semplice parlare, discutere, ragionare. Ci sono momenti <strong>in</strong><br />
cui non hai il tempo per aspettare di esser preso dagli scrupoli di coscienza.<br />
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Questo può accadere quando immag<strong>in</strong>i di trovarti <strong>in</strong> un contesto,<br />
ma quando ti ci trovi realmente nel vortice della vita, di quella vita,<br />
non funziona così.<br />
Sai come funziona?<br />
Giulia, lo so che stai pensando che non posso avere la presunzione di<br />
<strong>in</strong>segnarti niente, e visto che lo so, permettimi di chiamare r<strong>in</strong>forzi.<br />
Conosci Fabrizio de André?<br />
Sei giovane, ma forse ne hai sentito parlare. È stato uno dei più<br />
grandi cantautori, poeti e pensatori del vostro secondo Novecento, e<br />
<strong>in</strong> una sua bella canzone dice più o meno così: “E mentre marciavi<br />
con l’anima <strong>in</strong> spalle, vedesti un uomo <strong>in</strong> fondo alla valle, che aveva il<br />
tuo stesso identico umore, ma la divisa di un altro colore. Sparagli<br />
Piero, sparagli ora e dopo un colpo sparagli ancora, f<strong>in</strong>o a che tu non<br />
lo vedrai esangue cadere <strong>in</strong> terra a coprire il suo sangue. E mentre gli<br />
spari <strong>in</strong> fronte o nel cuore, soltanto il tempo avrà per morire, ma il<br />
tempo a me resterà per vedere, vedere gli occhi di un uomo che muore.<br />
E mentre gli usi questa premura, quello si volta, ti vede, ha paura,<br />
ed imbracciata l’artiglieria non ti ricambia la cortesia…”.<br />
Giulia, a me puoi anche non credere, ma lui era uno <strong>in</strong>telligente,<br />
sensibile e colto, lui è credibile, era una brava persona, a lui puoi credere.<br />
Capisci cosa <strong>in</strong>tendo? Hai capito come funziona?<br />
Giulia, o uccidi o muori <strong>in</strong> certe situazioni, senza tanta scelta, e Piero<br />
è morto mentre pensava di non voler uccidere.<br />
Io non sono Piero, Giulia, ed essendo io un povero egoista ho fatto<br />
quello che avrebbe fatto la maggioranza degli uom<strong>in</strong>i al mio posto.<br />
Certo, non tutti, ma gli eroi sono pochi Giulia, e io tra vivere da assass<strong>in</strong>o<br />
o morire da eroe, cosa ho scelto lo sai.<br />
E dunque ho sparato e accoltellato, per ragioni che oggi sicuramente<br />
sembrano sciocche visto che ormai i protagonisti antagonisti di<br />
queste vecchie e brutte storie non sono più nemici, ora sono tutti amici<br />
e democratici.<br />
Giulia voglio essere s<strong>in</strong>cero con te, e aggiungo che non solo ero consapevole,<br />
a volte eravamo anche orgogliosi di essere stati disposti a lottare<br />
e a distruggere tutto per lasciar spazio alla realizzazione di un ideale.<br />
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Sì, sapevo cosa facevo, ed ero anche conv<strong>in</strong>to che fosse giusto.<br />
Credevo <strong>in</strong> quello che facevo come credono <strong>in</strong> quello che fanno i<br />
militari Americani che combattono e uccidono <strong>in</strong> Iraq, o come ci credono<br />
i vostri militari Italiani <strong>in</strong> Afghanistan.<br />
Ti dirò di più, a volte facevamo anche una bella festa alla faccia dei<br />
nemici elim<strong>in</strong>ati.<br />
Se mi sento <strong>in</strong> colpa?<br />
Beh! Questo magari non me lo hai neanche chiesto, ma lascia che te<br />
lo dica ugualmente.<br />
Queste non sono colpe, sono macigni, e mi ci vorrebbero venti vite<br />
per rimediare, ma questa è un’altra storia.<br />
Ero conv<strong>in</strong>to che fosse giusto, non giusto <strong>in</strong> assoluto non fra<strong>in</strong>tendermi;<br />
giusto relativamente al contesto. Il mio Paese stava bruciando,<br />
ed io e tanti altri ragazzi eravamo la mano armata dei Signori “illum<strong>in</strong>isti”<br />
che agivano per il bene e nell’<strong>in</strong>teresse del popolo, o così dicevano.<br />
Sono cattivo eh?<br />
Io so molto bene dove andrò dopo la morte, ho già il posto prenotato<br />
all’<strong>in</strong>ferno!<br />
Ma so altrettanto bene che non sarà con la mia morte che queste<br />
“cattiverie” avranno f<strong>in</strong>e.<br />
Sono sicuro che nonostante la mia morte, e nonostante la mia eternità<br />
all’<strong>in</strong>ferno dopo una vita <strong>in</strong> galera, l’uomo cont<strong>in</strong>uerà ad uccidere.<br />
Lo farà per vivere, per il potere, per possedere più cose, per la libertà,<br />
per la democrazia, per la religione, per vendicarsi, per questioni economiche,<br />
per piacere o per follia, e per tante altre ragioni.<br />
Giulia è così, credimi. E forse sarà così sempre, o almeno f<strong>in</strong>ché voi<br />
che siete ancora là fuori, non sarete riusciti a realizzare questa tanto<br />
agognata società perfetta.<br />
Io credevo di poterci riuscire, credevo di avere un buon progetto e<br />
<strong>in</strong>vece ho fallito.<br />
Tu <strong>in</strong>vece che mi dici, ce l’hai un buon progetto? Tu ci riuscirai Giulia?<br />
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Beh, che dire, sarò anche cattivo Signor<strong>in</strong>a, ma credimi che te lo auguro<br />
con tutto il cuore.<br />
SEBASTIANO PRINO. Recentemente mi è capitato di leggere l’<strong>in</strong>tervista<br />
fatta ad un vecchio partigiano, che ad una domanda simile a questa<br />
rispondeva: non avevo la consapevolezza di uccidere, avevo la consapevolezza<br />
di dover combattere con tutti i mezzi per difendere la mia<br />
terra e i miei ideali. Solo dopo la f<strong>in</strong>e del conflitto ho preso coscienza<br />
delle mie azioni e del fatto di aver <strong>in</strong> più occasioni ucciso per non<br />
morire.<br />
Ora essendo io cresciuto <strong>in</strong> un periodo di relativa pace tra i popoli,<br />
ma non tra gli uom<strong>in</strong>i di quel lembo di terra dove sono nato e, vista<br />
la mia condizione di servo-pastore non avendo terre da difendere ma<br />
semmai da usurpare per migliorare il mio status economico a quei<br />
tempi, non mi sono mai preso la briga di considerare il mio operato.<br />
Al pari del partigiano, seppur per ideali ben più mesch<strong>in</strong>i, ero <strong>in</strong><br />
guerra e il mio unico scopo era raggiungere l’obbiettivo che mi ero<br />
prefissato: il rispetto degli altri e il benessere.<br />
Adesso dopo anni di riflessione e di una seppur generica cultura derivata<br />
da un lungo periodo di studi, ho preso coscienza di aspetti che<br />
prima non solo non consideravo, ma che probabilmente neanche recepivo<br />
nella loro <strong>in</strong>terezza.<br />
In conclusione di questo scritto mi sento di dirti che la consapevolezza<br />
di ciò che si fa, deriva <strong>in</strong> gran parte dalla formazione culturale e<br />
<strong>in</strong>tellettiva che l’uomo acquisisce nel corso della vita. E tanti, credimi,<br />
impiegano molto più tempo di altri per farla propria.<br />
CARMELO MUSUMECI. Se anche avessi ucciso non ho mai ucciso un <strong>in</strong>nocente;<br />
ma s<strong>in</strong>ceramente il fatto di non aver avuto scelta, non basta a<br />
farmi sentire <strong>in</strong>nocente. Detto questo, Giulia, sento il dovere di dirti,<br />
non è il mio caso, che quando una persona si dedica al crim<strong>in</strong>e nella<br />
maggioranza dei casi è colpa dello Stato e della società.<br />
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URLA AL BUIO 18_6_2012:PUCCINI 8_11_2008 18/06/12 14.36 Pag<strong>in</strong>a 143<br />
Della causa prima degli omicidi. Guardandosi dentro,<br />
guardandosi <strong>in</strong>torno….<br />
SEBASTIANO MILAZZO. Guardandomi <strong>in</strong> giro e guardando me stesso mi<br />
viene da parafrasare le parole di un professore di filosofia, Giuseppe<br />
Ferraro, che ogni tanto ci viene a trovare da Napoli, e ci illum<strong>in</strong>a con<br />
le sue parole: “Si sbaglia per mancanza di conoscenza e per gli ambienti<br />
dove siamo cresciuti, dove non abbiamo mai avuto parola, per non<br />
averla mai sentita o per non avere mai avuto modo di apprenderla”.<br />
L’uomo diventa ciò che l’ambiente sociale <strong>in</strong> cui vive gli consente di<br />
essere.<br />
Quando l’ambiente crea delle trappole, da cui si <strong>in</strong>tuisce che è difficile<br />
uscire vivi, quelle trappole determ<strong>in</strong>ano l’irreparabile, perché impediscono<br />
di stare a contatto con le proprie <strong>in</strong>time identità. Quelle<br />
trappole creano delle catene che non consentono di vedere le menzogne<br />
che ognuno racconta a se stesso, menzogne che col tempo diventano<br />
talmente radicate da sembrare verità.<br />
Premesso che non esisterà mai una società di tutti belli, biondi e con<br />
gli occhi azzurri, perché l’uomo è una mistura di bene e di male, premesso<br />
anche che quelli <strong>in</strong> carcere non sono sempre necessariamente<br />
colpevoli e premesso che ogni uomo è un universo unico e irripetibile,<br />
solo la vera giustizia – sociale e giudiziaria – può contribuire ad attenuare<br />
il male, anche se non ad elim<strong>in</strong>arlo del tutto.<br />
Una giustizia sociale che non consenta di dover ricevere i diritti come<br />
favori e una giustizia giudiziaria capace di guardare tutte le facce<br />
del male s<strong>in</strong> dal primo manifestarsi, perché anche il male ritenuto m<strong>in</strong>ore,<br />
se stroncato al suo nascere, non genererà il male maggiore.<br />
Quando si parla di certi ambienti e delle condizioni di violenza che<br />
questi determ<strong>in</strong>ano sull’<strong>in</strong>dividuo, ci si dovrebbe domandare quanto<br />
<strong>in</strong>fluisce l’essere cresciuti senza occasione di lavoro, senza luoghi di<br />
relazioni sociali, senza diritti e senza speranze.<br />
Se la scuola, la politica, la giustizia e tutte le istituzioni mostrano<br />
esempi di onestà e fanno f<strong>in</strong>o <strong>in</strong> fondo il loro dovere, <strong>in</strong>tere generazioni<br />
hanno la possibilità di apprendere il sapere che evita la grande<br />
parte di male che l’ignoranza produce.<br />
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A quel punto resterà quella parte di male legata all’ist<strong>in</strong>to e alla<br />
mancanza di ragione, per la quale l’uomo non può fare nulla.<br />
La giustizia attuale, ad esempio, che si vorrebbe cieca, ma che <strong>in</strong><br />
realtà vede benissimo dove orientare sempre e solo il suo furore, è la<br />
maggiore causa scatenante del male, soprattutto quando per consentire<br />
un riscatto dal passato chiede la collaborazione, <strong>in</strong> questo modo<br />
agisce per alimentare gli odi, il ricatto e le <strong>in</strong>famie che faranno nascere<br />
altro male e lo alimentano <strong>in</strong> una spirale <strong>in</strong>term<strong>in</strong>abile.<br />
ALFREDO SOLE. Non è come la decisione, non so …di uccidere il vic<strong>in</strong>o<br />
di casa per rabbia, dove la causa prima è l’odio per una s<strong>in</strong>gola persona,<br />
oppure uccidere per gelosia dove la causa prima è proprio la gelosia,<br />
o per una banale lite dove la causa prima potrebbe essere ricercata<br />
nell’iracondia di una persona, tutto sommato disturbata mentalmente.<br />
Nel “nostro mondo” spesso si uccide per non essere uccisi, può<br />
sembrare un tentativo di giustificazione, se mai ce ne potesse essere<br />
una, ma non è così, è solo la verità.<br />
Purtroppo, molto spesso, entrando <strong>in</strong> questa spirale ci si conv<strong>in</strong>ce<br />
che per risolvere qualunque “disputa”, basta solo abbattere l’avversario.<br />
Da qui nascono reazioni di vendetta che non fanno altro che alimentare<br />
una violenza che difficilmente avrà f<strong>in</strong>e.<br />
L’ambiente e la società dove si nasce caratterizza chi siamo, e cosa<br />
vorremmo diventare. Non credo che l’ambiente del Sud sia così salubre<br />
da svolgere questo delicato compito <strong>in</strong> modo positivo. Non bisogna<br />
poi stupirsi così tanto, cosa pretendere da quelle regioni del Sud,<br />
che dalla f<strong>in</strong>e della seconda guerra mondiale sono state abbandonate<br />
a se stesse? Lo Stato per molto tempo è stato assente, lasciando che generazioni<br />
e generazioni si formassero <strong>in</strong>seguendo uno stereotipo che<br />
altro non era che quello che oggi viene chiamato mafioso, ma che allora<br />
non era altro che la persona da rispettare e da emulare perché era<br />
colui che risolveva i problemi che <strong>in</strong> realtà spettava allo Stato risolvere.<br />
Questo tipo di mentalità si è diffusa come un virus, <strong>in</strong>fettando le<br />
giovani menti <strong>in</strong> formazione di <strong>in</strong>tere generazioni.<br />
Che cosa si dovrebbe riuscire a cambiare aff<strong>in</strong>ché altri non si trovi-<br />
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no nella nostra stessa condizione? L’educazione scolastica! Non basta<br />
<strong>in</strong>segnare ai ragazzi la storia, la geografia ecc. Quello che manca è la<br />
sp<strong>in</strong>ta a <strong>in</strong>segnare i veri valori umani. La nostra scuola è vecchia, non<br />
si è evoluta di pari passo alla società e non può far fronte alla nuova<br />
mentalità giovanile. L’identità sociale di un essere umano <strong>in</strong>izia a formarsi<br />
nella scuola, se si fallisce si avrà un outsider che <strong>in</strong>izierà a frequentare<br />
un’altra scuola, quella della strada. Per completare questa<br />
nuova formazione, lo Stato provvederà a mandarlo nelle scuole specializzate,<br />
le carceri!<br />
Ho fatto molte scelte sbagliate che mi hanno fatto approdare <strong>in</strong> questo<br />
posto, ma per azzerarle tutte, credo che basterebbe cambiare quello<br />
che io def<strong>in</strong>isco l’<strong>in</strong>izio di tutto: non abbandonare le scuole e, forse,<br />
la mia strada sarebbe stata diversa.<br />
CARMELO MUSUMECI. Non si nasce del<strong>in</strong>quenti ci si diventa. Detto questo,<br />
un tempo c’erano <strong>in</strong> carcere giovani <strong>in</strong>terpreti delle lotte sociali e politiche.<br />
Oggi vi sono soprattutto giovani tossicodipendenti, immigrati<br />
e poi tante persone del Sud per reati di crim<strong>in</strong>alità organizzata perché<br />
nel profondo Sud lo Stato è sempre stato assente e nella maggioranza<br />
dei casi è stato più mafioso dei mafiosi, che ha usato e sfruttato<br />
per raggiungere consensi elettorali.<br />
L’esperienza del collegio, una volta era l’anticamera del carcere. F<strong>in</strong><br />
da bamb<strong>in</strong>o ho avuto sempre un senso di giustizia che mi ha portato<br />
a commettere i reati perché c’erano bamb<strong>in</strong>i che avevano tutto e io<br />
non avevo nulla, neppure una famiglia che mi voleva bene. In carcere,<br />
come fuori, non ci sono colpevoli e <strong>in</strong>nocenti, ci sono solo persone.<br />
L’<strong>in</strong>nocenza è <strong>in</strong> ognuno di noi, basta trovarla.<br />
ALFIO FICHERA. Sì, sono un “somaro”, ma non f<strong>in</strong>o al punto di credere<br />
che i colpevoli esistono <strong>in</strong> natura. I “lombrosiani” sono stati scientificamente<br />
sconfitti dalle moderne teorie sulla predest<strong>in</strong>azione genetica.<br />
L’acido desossiribonucleico non riporta <strong>in</strong>formazioni tali da <strong>in</strong>dividuare<br />
un declivio di carattere crim<strong>in</strong>ale.<br />
Detto ciò, la maggiore colpa è artificiale e qu<strong>in</strong>di è nell’assetto sociale<br />
sempre meno attento al suo ruolo di prevenzione.<br />
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Se una volta fuori dopo tanti anni si è liberi veramente o si deve<br />
qualcosa a qualcuno? Non so. Non sono mai uscito. È un’esperienza<br />
che mi manca.<br />
EMANUELE INTERLICI. Terrei a precisare che personalmente non ho mai<br />
ucciso nessuno, e poi permettetemi di dire che se si è <strong>in</strong> quei contesti,<br />
come può un ragazzo poco più che ventenne essere consapevole o cosciente<br />
di quello che fa?! Qu<strong>in</strong>di direi che sarebbe giusto, prima di<br />
puntare il dito, sapere come sono realmente i fatti e poi magari esprimere<br />
il proprio parere.<br />
Come si diventa colpevoli? Non voglio giustificarmi e nemmeno mi<br />
ritengo un santo, ma è pur vero che non si può essere <strong>in</strong>differenti, a<br />
casi come il mio, e come me ce ne sono tanti altri cascati <strong>in</strong> disgrazia<br />
da ragazzi, dove è difficile dist<strong>in</strong>guere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato!<br />
E come si diventa <strong>in</strong>nocenti? Ho scontato 20 anni di carcerazione,<br />
ma la cosa grave è che a pagare è anche la mia famiglia, mia moglie,<br />
subendo danni morali e psicologici. Che c’entrano loro? Ecco<br />
tutto questo mi fa sentire <strong>in</strong>nocente, saldando il debito con la giustizia.<br />
Ma badate bene che il danno che sto subendo è che ancora sono<br />
<strong>in</strong> carcere! Quanto ancora devo pagare?!<br />
ALFREDO SOLE. Ai ragazzi che oggi possono vivere situazioni simili a<br />
quelle da noi vissute nel passato e che ci hanno portato f<strong>in</strong> qui, direi<br />
per prima cosa di non <strong>in</strong>seguire stereotipi. Ognuno di voi ha un’identità<br />
personale e cercare di essere qualcun altro è solo sm<strong>in</strong>uire se stessi.<br />
La seconda, che la vita non è poi così lunga come sembra quando<br />
si è giovani. Ben presto, <strong>in</strong> men che si dica, vi troverete ad affrontare<br />
la vita da adulti e bisogna arrivarci con un’identità personale già formata<br />
e con dei sani pr<strong>in</strong>cìpi, per non cadere nelle numerose trappole<br />
che la vita riserva. La terza cosa che direi è che i “soldi facili” non sono<br />
altro che il biglietto per l’<strong>in</strong>ferno, quell’<strong>in</strong>ferno creato dall’uomo<br />
per l’uomo: il carcere!<br />
Non esiste il “delitto perfetto”, alla f<strong>in</strong>e si tirano le somme e quello<br />
che rimane è sempre lo stesso, nulla! Zero! Il passato appartiene a voi,<br />
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il presente allo Stato, il futuro al popolo, ma il nostro popolo non ha<br />
mai imparato cos’è il perdono e se sbagliate, per voi, non ci sarà più<br />
nessun futuro.<br />
SEBASTIANO MILAZZO. Io direi una parola detta, credo, da Eduardo De Filippo:<br />
Jativ<strong>in</strong>ni, s<strong>in</strong>o a che siete <strong>in</strong> tempo, da quelle terre che vi fanno<br />
crescere soli, se non ve ne andate rimarrete sempre degli strumenti<br />
utili a chi saccheggia le vostre terre, le vostre città e le vostre vite, approfittando<br />
del sapere del vero, del sapere del giusto, del sapere del<br />
buono che, non a caso, cont<strong>in</strong>uano a non darvi.<br />
Dell’uccidere, guardando al passato<br />
DOMENICO PACE. La leggenda dice che il primo omicidio è avvenuto tra<br />
due fratelli “Abele e Ca<strong>in</strong>o” e si è protratto nel tempo f<strong>in</strong>o ai giorni nostri.<br />
Commettere un tale fatto è aberrante, ma tali eccidi non sono term<strong>in</strong>ati<br />
e lo dimostrano i fatti recenti dove i figli uccidono i genitori e<br />
viceversa. Nessuno può dire: Io di questo pane non ne mangio.<br />
GIOVANNI ZITO. Le guerre, qu<strong>in</strong>di la storia si pone domande su domande.<br />
Si cambia il metodo, la formula, ma uccidere resta un fatto sia di<br />
storia e sia di sopravvivenza, che si v<strong>in</strong>ca o si perda l’essere umano<br />
combatte da sempre <strong>in</strong> modo sbagliato o crudele che sia. L’<strong>in</strong>izio sono<br />
stati Ca<strong>in</strong>o e Abele, due fratelli. Ancora oggi ci sono guerre nel<br />
mondo e quello che mostrano nella TV sono solo le briciole di un<br />
mondo che piange i suoi morti nella conv<strong>in</strong>zione della democrazia,<br />
perché così dicono tutti. È solamente ipocrisia. Perché ogni morte è<br />
devastante da ogni punto di vista si voglia vedere e capire. Forse sarebbe<br />
anche ora di togliere queste bende dagli occhi e guardare bene<br />
dentro l’anima di un popolo.<br />
GIOVANNI MARCO AVARELLO. In epoche passate si uccideva di più per svariati<br />
motivi, per esempio per eseguire un ord<strong>in</strong>e del superiore (<strong>in</strong><br />
guerra), per sopravvivere alla fame, per non essere sopraffatti, per se-<br />
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te di vendetta, per il potere e così via. In epoche moderne, oggi, possibilmente<br />
si uccide di meno perché vi è più democrazia, vi è più benessere,<br />
ogni Paese ha una propria Costituzione da rispettare e far rispettare.<br />
Si uccide di meno perché la gente non è più ignorante come<br />
una volta, c’è più istruzione, vi è più <strong>in</strong>formazione, e via dicendo…<br />
Coloro che hanno vissuto la propria vita senza aver commesso i peggiori<br />
reati, l’omicidio, sicuramente sono da considerare <strong>in</strong>nanzitutto<br />
fortunati, <strong>in</strong> quanto non sono mai stati travolti dal male, o comunque<br />
hanno avuto la forza o l’<strong>in</strong>telligenza di schivarlo o di resistergli e credo<br />
che sono la stragrande maggioranza. I colpevoli <strong>in</strong>vece – per fortuna<br />
una piccola m<strong>in</strong>oranza – sono coloro che sono caduti <strong>in</strong> tentazione,<br />
lasciandosi <strong>in</strong>gannare dal male. Ma dietro ogni delitto c’è sempre<br />
una motivazione, una tragedia, nessuno è immune dalle disgrazie,<br />
tutti possono avere un attimo di follie, un attimo di debolezza specialmente<br />
quando si è giovani, privi di esperienza di vita, basta una distrazione<br />
e sei fregato per tutta la vita.<br />
PASQUALE DE FEO. Togliere la vita a un essere umano è un atto disumano,<br />
perché la vita di ogni persona è un dono div<strong>in</strong>o da rispettare. Se<br />
amare il prossimo come se stessi non è umanamente possibile, rispettare<br />
il prossimo è alla portata di tutti, e ciò dovrebbe essere sufficiente<br />
per allontanare ogni pensiero malvagio.<br />
In epoche passate uccidere era ritenuto risposta al torto subìto; i tribunali<br />
hanno def<strong>in</strong>ito, con l’applicazione della legge, la pena per i torti<br />
subiti, civilizzando il v<strong>in</strong>colo sociale dei comportamenti dei membri<br />
della comunità; ne consegue che chi <strong>in</strong>frange il patto con la società<br />
ne paga le conseguenze. I tribunali e le leggi servono: non si può vivere<br />
<strong>in</strong> una società dove ognuno possa applicare la vendetta “occhio<br />
per occhio e dente per dente”... con il tempo rimarremmo tutti ciechi<br />
e senza denti. Oggi capisco tutte queste cose, un tempo conoscevo solo<br />
la legge della giungla. Essendo def<strong>in</strong>itivo, per la legge italiana sono<br />
colpevole, anche se sono <strong>in</strong>nocente; ma a questo punto ha poca importanza.<br />
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GIUSEPPE PULLARA. Uccidere un’altra persona è sbagliato senza “se” o<br />
“ma”! Però l’uomo uccide da sempre, cioè da quando vive su questo<br />
pianeta. Ad ogni epoca sono state applicate regole o Leggi, scritte o<br />
non, che consentono e consentivano il diritto alla difesa o vendetta<br />
qualora si subiva l’offesa. Tutt’oggi esistono culture dove la vendetta è<br />
obbligata dalla famiglia come avviene nel popolo albanese, mentre nel<br />
popolo italiano, avendo una cultura a macchia di leopardo, si dist<strong>in</strong>gue<br />
il Sud dal Nord per il carattere <strong>in</strong>fuocato e reattivo alla violenza,<br />
per via della mancanza della Legge e per il soverchiamento di coloro<br />
che la detengono nei confronti dei soggetti comuni.<br />
ELIO ROTONDALE. La gente uccide <strong>in</strong> tanti modi: ignoranza, cattiveria, difesa,<br />
sete di potere e <strong>in</strong> nome delle religioni ecc... Tuttora si cont<strong>in</strong>ua<br />
a farlo, forse perché non ancora si è raggiunto un buon grado di civiltà.<br />
SALVATORE GUZZETTA. Si uccide per dom<strong>in</strong>are, per gelosia, per denaro. Le<br />
guerre ci hanno <strong>in</strong>segnato tanto sull’argomento: i popoli si uccidevano,<br />
per dom<strong>in</strong>are, per i territori, per l’arricchimento. Sicuramente a<br />
nessuno gli viene il pall<strong>in</strong>o di uccidere la gente, quando lo si fa, dietro<br />
c’è sempre un motivo talvolta anche banale.<br />
La maggior parte delle persone nel corso della sua esistenza non uccide,<br />
cosa che non era vero <strong>in</strong> epoche passate… Meno male, se fosse il<br />
contrario sarebbe una carnefic<strong>in</strong>a.<br />
CARMELO MUSUMECI. Credo che si uccida più di prima, solo <strong>in</strong> maniera<br />
differente. Per esempio trasformare le persone <strong>in</strong> uom<strong>in</strong>i ombra è<br />
peggio che ucciderle.<br />
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URLA AL BUIO 18_6_2012:PUCCINI 8_11_2008 18/06/12 14.36 Pag<strong>in</strong>a 150<br />
Giustizia o vendetta?<br />
In un Paese dove con tanta frequenza, a torto o a ragione, si dibatte<br />
della certezza della pena, per qualcuno “la pena è così certa<br />
da arrivare f<strong>in</strong>o alla morte”. E questo f<strong>in</strong>epenamai è giustizia<br />
o vendetta?<br />
Della vendetta e della Giustizia, e della risposta<br />
a chi dubiti che <strong>in</strong> Italia esista la certezza della pena<br />
ROCCO SPENA. Vendetta. Dal lat<strong>in</strong>o V<strong>in</strong>dicta. Tale term<strong>in</strong>e <strong>in</strong>dicava la<br />
verga con la quale si toccava lo schiavo che doveva essere libero. 1 Paradossalmente<br />
oggi, ridendoci su, ognuno di noi detenuti potrebbe<br />
<strong>in</strong>vocare ai giudici: VINDICTA! Metaforicamente resta <strong>in</strong>vece una<br />
forma di liberazione. Infatti, secondo la moderna term<strong>in</strong>ologia, la<br />
vendetta non è altro che un danno, più o meno grave, <strong>in</strong>flitto a qualcuno<br />
per fargli scontare un torto o un’<strong>in</strong>giustizia da lui provocati. In<br />
questa term<strong>in</strong>ologia pura del term<strong>in</strong>e, io personalmente tollero la<br />
vendetta come una forma di giustizia, perché va esercitata a seguito di<br />
un’<strong>in</strong>giustizia subita e a danno di chi l’ha provocata. A condire poi o<br />
aggravare il danno possono subentrare l’ira, l’orgoglio, la furia, ecc.<br />
tutte peculiarità della razza umana che la contraddist<strong>in</strong>guono s<strong>in</strong> dalla<br />
comparsa del genere.<br />
ALFIO FICHERA. La vendetta? Posso dire senza esitazioni che ho f<strong>in</strong>ito di<br />
<strong>in</strong>dividuare il mio “nemico” <strong>in</strong> uno o più uom<strong>in</strong>i. Se ne avessi la for-<br />
1 V<strong>in</strong>dicta. Diritto romano. Era la festuca con cui ciascuna delle parti, toccando l’oggetto<br />
conteso <strong>in</strong> segno di dom<strong>in</strong>io, pronunciava la solenne dichiarazione di esserne<br />
il padrone (v<strong>in</strong>dicatio). Con il term<strong>in</strong>e manomissione v<strong>in</strong>dicta (manumissio) si <strong>in</strong>dica<br />
<strong>in</strong> diritto romano l’atto con cui il proprietario libera un servo dalla schiavitù.<br />
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URLA AL BUIO 18_6_2012:PUCCINI 8_11_2008 18/06/12 14.36 Pag<strong>in</strong>a 151<br />
za, condurrei una ferma lotta contro i “sistemi” di potere che di fatto<br />
organizzano le condizioni perché i poveri diavoli si scann<strong>in</strong>o tra di<br />
loro.<br />
EMANUELE INTERLICI. Premetto che nessuno mi ha fatto del male. Oggi,<br />
per la persona matura e cambiata che sono, penso che non ci debba<br />
essere nessuna forma di vendetta; ma poniamo che mi avessero fatto<br />
del male, non nutrirei alcun rancore; una sola cosa desidererei: godermi,<br />
per quei pochi anni di vita che mi sono rimasti, bei momenti<br />
<strong>in</strong>sieme a mia moglie.<br />
CARMELO MUSUMECI. La migliore vendetta è il perdono, ma lo Stato, la<br />
Chiesa e la Società non sono dei buoni maestri per <strong>in</strong>segnarcelo. Noi<br />
non siamo solo quello che siamo stati; potremmo anche essere, se la<br />
società ci desse una speranza, quello che riusciremo ad essere <strong>in</strong> futuro.<br />
Chi cerca vendetta vuole la sofferenza dell’autore del reato. Chi<br />
cerca giustizia vuole la verità di un reato.<br />
GIUSEPPE IOVINELLA. Secondo me oggi giorno <strong>in</strong> questo Stato non esiste<br />
una giustizia, ma solo vendetta da parte delle istituzioni, che puniscono<br />
l’assass<strong>in</strong>io con un assass<strong>in</strong>io legalizzato, facendo <strong>in</strong>vecchiare i giovani<br />
<strong>in</strong> carcere e gli anziani farli morire da soli (vedi Molè Antonio,<br />
Albanese Francesco, Domenico, Raco Francesco… ecc. ecc.).<br />
CIRO BRUNO. La giustizia molte volte aiuta a commettere <strong>in</strong>giustizia ancora<br />
prima di esprimersi. Io non ho grande fiducia nella giustizia, a<br />
differenza di quanto dicono molti, <strong>in</strong> modo anche scontato. Sono anzi<br />
spaventato da un apparato <strong>in</strong> cui può emergere tutto il suo esatto<br />
contrario e <strong>in</strong> cui è possibile che si consumano le più grandi <strong>in</strong>giustizie<br />
spesso mascherate da legalità. Non aggiungo nulla poiché ognuno<br />
di noi può avere esempi da fornire, esperienze dolorose da raccontare,<br />
mentre ci son potenti che sembrano “seccati” del dovere perdere tempo<br />
<strong>in</strong> tribunale con un sistema che probabilmente f<strong>in</strong>irà per non toccarli.<br />
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Nella forma vi è una netta differenza fra giustizia e vendetta, nella<br />
sostanza no! Non ricordo chi disse che nelle migliori <strong>in</strong>tenzioni spesso<br />
si nascondono le atrocità più grandi, come per esempio il persistere<br />
nell’ottenere giustizia a tutti i costi. Questa è una forma latente di<br />
vendetta, per cui direi che le due cose possono essere, o meglio sono,<br />
le due facce della stessa medaglia e purtroppo questo avviene sempre<br />
più spesso nei palazzi dove si dovrebbe amm<strong>in</strong>istrare la giustizia.<br />
Quando il nostro sistema di assistenza sociale fallisce, si ha la tentazione<br />
di trasformare i problemi sociali <strong>in</strong> problemi di ord<strong>in</strong>e pubblico,<br />
di sicurezza, e <strong>in</strong>vece a questa ondata giustizialista bisogna contrapporre<br />
l’dea di un diritto penale mite. Pene certe ma brevi. Non<br />
possiamo eludere i diritti della persona detenuta, né il senso di giustizia<br />
delle vittime e la sicurezza dei cittad<strong>in</strong>i. Ma questo non vuol dire<br />
accanirsi contro chi ha commesso reato.<br />
Io credo che la società dovrebbe fare uno sforzo di riconciliazione.<br />
Io non credo che il dolore delle vittime venga rispettato solo se condanniamo<br />
i responsabili con pene dure come l’ergastolo. Lo dico visto<br />
che l’Italia è l’unico Paese <strong>in</strong> Europa che ha tras<strong>formato</strong> l’ergastolo<br />
<strong>in</strong> una pena eterna, l’Italia, che è la patria del diritto romano, si potrebbe<br />
adeguare all’Europa dando un segno di grande civiltà e umanità<br />
al senso della pena.<br />
ALFIO FICHERA. La Giustizia, secondo il mio sconclusionato pensiero, dal<br />
1991 <strong>in</strong> avanti, con l’istituzione dei “tribunali speciali”, non ha più<br />
rappresentato l’elemento card<strong>in</strong>e dei processi. La Giustizia, quando si<br />
riesce a realizzarla, sosteneva Calamandrei, e, se mi è consentito, lo sostengo<br />
anch’io, è “gradita” anche al reo a cui è assegnata la pena.<br />
Ma <strong>in</strong> Italia esiste la certezza della pena?<br />
PASQUALE DE FEO. L’Italia è l’unico Paese europeo che ha il massimo rigore<br />
scientifico nella certezza della pena, talmente precisa che supera<br />
la precisione teutonica tedesca. Se i nostri politici fossero così precisi<br />
come certa è la pena, i tedeschi e gli svizzeri potrebbero venire da noi<br />
a imparare la precisione delle cose pubbliche…<br />
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In Italia c’è l’impunità per uom<strong>in</strong>i di certe caste, e quando non possono<br />
salvarli, vengono concessi tutti i benefici. Viceversa per il popol<strong>in</strong>o<br />
c’è il massimo rigore nello scontare la pena: un giorno <strong>in</strong> più, mai<br />
<strong>in</strong> meno.<br />
GIUSEPPE IOVINELLA. Secondo me l’Italia, oltre a garantire solo per certi<br />
detenuti (napoletani, calabresi siciliani, pugliesi) la certezza della pena,<br />
garantisce che li fa morire e che li consegna dopo morti alle famiglie<br />
dopo 20 giorni. L’Italia è l’unico Paese ad avere l’ergastolo ostativo<br />
perché è un Paese giustizialista, che, per avere delle <strong>in</strong>formazioni,<br />
ricatta chi sfortunatamente si trova con l’ergastolo ostativo come me.<br />
CARMELO MUSUMECI. Purtroppo sì, l’Italia garantisce la certezza della pena,<br />
però solo per i poveracci. La legge non è uguale per tutti, altrimenti non<br />
si capirebbe come mai il carcere è pieno di poveracci e non di persone<br />
ricche e potenti. I ricchi rubano di più dei poveri ma fra pescecani non<br />
si arrestano, si organizzano per mangiarsi i pesci piccoli.<br />
Per me, prima della certezza della pena, dovrebbe esserci la certezza<br />
del diritto, del perdono, del futuro. L’Italia è l’unico Paese, <strong>in</strong> Europa,<br />
ad avere l’ergastolo ostativo, perché gli piace fare la faccia da cattivo<br />
ed essere forte con i deboli e debole con i forti. E poi, se uno è contro<br />
l’ergastolo ostativo, i mass media lo accusano di essere colluso con la<br />
mafia…<br />
MARIO TRUDU. Spesso si sente nei salotti televisivi qualche politico che<br />
batte i pugni sul tavolo <strong>in</strong>neggiando alla certezza della pena. A questi<br />
vorrei gridargli <strong>in</strong> faccia che la mia pena è talmente certa da giungere<br />
f<strong>in</strong>o alla morte.<br />
Lettera aperta alle vittime dei reati<br />
La prima vittima di un delitto è chi l’ha commesso. (Dostoevskij)<br />
Dovrebbe essere più facile amare che odiare e dovrebbe essere meno<br />
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doloroso perdonare che chiedere giustizia per pretendere vendetta.<br />
L’uomo dovrebbe essere più dei reati che ha commesso, perché il male<br />
si sconfigge con il bene e non con altro male.<br />
Nella vendetta, anche quando è prevista dalla legge e dal consenso<br />
popolare, non ci potrà mai essere giustizia. Invece può nascere più bene<br />
dal perdono che dalla certezza della pena.<br />
Chi cerca giustizia non dovrebbe desiderare il male degli autori dei<br />
reati. Invece molte persone chiedono giustizia, ma <strong>in</strong> realtà vogliono<br />
vendetta perché chi cerca veramente giustizia dovrebbe chiedere solo<br />
la verità processuale del reato che ha subìto.<br />
Se vuoi veramente punire un crim<strong>in</strong>ale, perdonalo, se <strong>in</strong>vece lo vuoi<br />
fare sentire <strong>in</strong>nocente, tienilo dentro. Il perdono ti punisce più di<br />
qualsiasi pena.<br />
Per questo molti crim<strong>in</strong>ali hanno più paura del perdono che della<br />
vendetta sociale.<br />
Una pena senza perdono, senza speranza, una pena disumana come<br />
il carcere a vita senza possibilità di liberazione, non potrà mai rieducare<br />
nessuno.<br />
L’ergastolo ostativo irrevocabile assume il significato della vendetta<br />
come la pena di morte.<br />
Dopo molti anni non dovrebbe importare a nessuno chi eravamo,<br />
sarebbe più importante sapere chi siamo adesso.<br />
Neppure Dio potrebbe condannare una persona per sempre.<br />
Se lo facesse, smetterebbe di essere Dio e diventerebbe solo una persona<br />
“perbene” con la fed<strong>in</strong>a penale pulita e che va tutte le domeniche<br />
a messa.<br />
CARMELO MUSUMECI (agosto 2011)<br />
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Riflessioni sulla vita<br />
Dieci, venti, trenta anni di carcere, e le riflessioni sulla vita, sul<br />
tempo che trasforma nel corpo e nello spirito, sono un groviglio di<br />
sentimenti, di umori, anche di passioni, che non sempre la prigionia<br />
ha spento. I ritratti che seguono, nascono dall’<strong>in</strong>vito a raccontare<br />
dei propri valori, quelli del passato, quelli del presente, della<br />
speranza, di quale dio si affaccia, se si affaccia, nelle prigioni.<br />
Del chi ero, del chi sono<br />
ALFIO FICHERA. Chi sono. Uno uomo che di giorno aspetta che faccia<br />
notte e quand’è notte aspetta che faccia giorno (questa l’ho copiata da<br />
qualche libro ma non ricordo quale). Un uomo <strong>in</strong>capace di girare la<br />
testa davanti alle <strong>in</strong>giustizie.<br />
Non credo di essere cambiato, se non nel corpo, alquanto <strong>in</strong>vecchiato.<br />
Unico ed importante cambiamento negativo, è quello di essermi<br />
disabituato alla vita: quella esterna, normale, quella che spesso osservo<br />
come un demente guardando la tv.<br />
La speranza è il vero propulsore della vita, il seme che spera di diventare<br />
pianta, la pianta che spera di mettere rami foglie e frutti. È così<br />
che cresce la vita.<br />
Se si può vivere senza speranza? Non saprei. Forse voi non mi avreste<br />
fatto domande, né mai io avrei dato risposte.<br />
Ho vissuto dicendo sempre quello che penso. I nemici contro i quali<br />
ho lottato, non sono mai state persone del popolo, gente comune,<br />
bensì forti e gradassi. Considero ancora <strong>in</strong>tatto il bene dei miei famigliari<br />
(tanti, tantissimi)... No, va bene così. Non voglio cambiare nulla<br />
nella mia vita. Se un giorno avrò la libertà, andrà meglio. Almeno,<br />
f<strong>in</strong>irò come ho vissuto.<br />
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Credo nell’enormità dello spazio e l’imprecisabile numero di corpi<br />
celesti e di mondi mi hanno sempre conv<strong>in</strong>to che non possiamo esserci<br />
fatti da soli. Qualcuno di certo tutto questo l’ha voluto. Ma, allo stesso<br />
tempo, non credo alle speculazioni religiose, di nessuna marca esse<br />
siano. Ho una modesta conoscenza della storia umana, quanto basta<br />
per dire che hanno fatto più stragi le verità armate delle “Chiese”, che<br />
tutte le guerre e le crim<strong>in</strong>alità di tutti i tempi sommate assieme.<br />
Cosa aiuta a fare sera e matt<strong>in</strong>a? Non lo so. Un po’ gioca il fatto che<br />
ognuno si sforza di non lasciare vedere la propria sofferenza, per vergogna<br />
verso gli altri, e da ciò ne consegue una certa “circolarità” di durezza<br />
e di coraggio, realmente, <strong>in</strong>esistenti: un coraggio “creativo”.<br />
Ho fiducia che prima o poi prevalgano le istanze di giustizia sociale;<br />
stupirebbe che un Popolo che conta quasi 70 milioni di cittad<strong>in</strong>i rimanga<br />
ancora a lungo schiavo di un manipolo di oligarchi, neanche<br />
eccezionalmente abili e <strong>in</strong>telligenti.<br />
Amore, famiglia, amicizia, lealtà… La mia scala di valori? Io chiamerei<br />
tutto affettività. Non saprei dove mettere l’amore, un sentimento alto<br />
ma esigente, che necessita di vic<strong>in</strong>anza, di presenza, di frequenza.<br />
Pensate alla situazione di chi riceve una visita una/due volte l’anno, con<br />
una bella barriera <strong>in</strong> mezzo larga più di un metro e magari per sentirsi<br />
dire che i figli non hanno scarpe e vestiti per andare a scuola, oppure che<br />
hanno ricevuto lo sfratto e andranno sotto i ponti. A chi pensate che tutto<br />
ciò importi. Ad Alfano, impegnato com’è a farsi reimpiantare i capelli<br />
come il suo “capo”? A chi <strong>in</strong>teressa, alle trombe dell’antimafia che a loro<br />
volta colpiscono l<strong>in</strong>earmente tutti, sapendo (perché lo sanno) di colpire<br />
anche donne e bamb<strong>in</strong>i che nulla colpa hanno se non quella di essere<br />
spose e figli di un carcerato? Quale lealtà e quale giustizia <strong>in</strong>segna<br />
tutto ciò? È giusto forse che un personaggio come il nostro presidente<br />
del Consiglio si dica “perseguitato” dai giudici, quando nelle carceri del<br />
suo Stato c’è gente che si toglie la vita anche prima di “godere” di un<br />
processo, magari da cassa mutua giudiziaria, dove il giudice prima condanna<br />
poi magari chiede tra tanti chi è l’imputato. Nessuno immag<strong>in</strong>a<br />
da fuori la componente di superficialità con la quale si condannano i<br />
poveri diavoli. Il giusto processo, le garanzie del contraddittorio, non so-<br />
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no cose per i comuni mortali. Tutti amano fare i forti con i deboli, niente<br />
è uguale, né la Giustizia né il carcere: “lealtà”, “fedeltà”, “giustizia”,<br />
“amore”, “famiglia”, sono cose bellissime, per ognuna di esse varrebbe di<br />
morire. Ma mi viene un dubbio, non pensate che il carcere di per sé scoraggi<br />
lo sviluppo di tali nobili sentimenti? Io credo fermamente di sì,<br />
specialmente da quando la delazione è stata eletta condicio s<strong>in</strong>e qua non<br />
per ottenere un beneficio o anche un turno di lavoro.<br />
Le cause della mia condotta che mi hanno portato qui? L’aver creduto<br />
nella lealtà, nella fedeltà, nell’amicizia.<br />
Alla gente fuori direi: esigete i diritti, ribellatevi, combattete, non<br />
credete al gioco dei potenti e dei padroni che costruiscono galere e<br />
chiudono fabbriche e scuole. Lottate!<br />
Ai miei compagni: lottate ancora di più, nulla è peggio del carcere.<br />
GIROLAMO RANNESI. Quando sono entrato ero uno che si sentiva bello,<br />
ricco e famoso. Direi che oggi sono un numero: kk029201718.<br />
La speranza? La speranza è sapere che c’è qualcuno che crede <strong>in</strong> te.<br />
Senza la speranza non si può vivere. Cosa spera un uomo che non può<br />
sperare? La morte.<br />
Cosa cambierei, a parte il carcere nella mia vita? Domanda tardiva…<br />
quello che avrei voluto cambiare l’ho già cambiato, alla faccia dei<br />
forcaioli.<br />
Nei momenti di disperazione, per chi come il sottoscritto ha trovato<br />
la fede, ci si appella a Gesù Cristo, il quale ha il potere di <strong>in</strong>tercedere<br />
presso il padre. In verità vi dico qualunque cosa chiederete al padre<br />
mio nel mio nome egli ve la concederà.<br />
Dio/Cristo è motivo di riscatto per molti, tuttavia però sono tanti<br />
quelli che ignorano il fatto che Gesù ha dato la propria vita per il riscatto<br />
di tutti.<br />
Certo, contatti con persone religiose sono motivo di sollievo e grazie<br />
a Dio a Spoleto questi contatti avvengono frequentemente.<br />
Di fronte a quelle persone di buona volontà che pensano di venirci<br />
<strong>in</strong> aiuto, non ci si sente affatto “compatiti”, tutt’altro, ci si sente capiti<br />
e <strong>in</strong>coraggiati a lottare.<br />
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Sì, credo nel “soprannaturale” anche se alla luce di quelle che sono<br />
state le mie esperienze non userei mai il term<strong>in</strong>e di “soprannaturale”<br />
ma quello di naturale. Credo, perché come San Tommaso ho avuto la<br />
fortuna di metterci il dito e anche il naso. Credo <strong>in</strong> Dio, credo <strong>in</strong> Gesù<br />
Cristo. So che dopo la morte materiale cont<strong>in</strong>uerà quella spirituale,<br />
che nello stato spirituale ognuno si porterà dietro il proprio <strong>in</strong>ferno<br />
o il proprio purgatorio. Il Paradiso? Non è roba di questo mondo.<br />
Ho scontato 20 anni di galera. Cosa aiuta a fare sera e matt<strong>in</strong>a… Per<br />
quanto mi riguarda la certezza di sapere che fuori qualcuno mi ama.<br />
Quando mi sento abbattuto, cosa questa che ultimamente mi capita<br />
sovente, mi faccio una domanda. C’è un motivo per cui io debba<br />
cont<strong>in</strong>uare a vivere? Ad oggi la risposta è sì. Sì, ho fiducia nella vita.<br />
Non ho fiducia, <strong>in</strong>vece, nella gran parte delle persone, specie <strong>in</strong> quelle<br />
che predicano bene e razzolano male.<br />
La mia scala di valori… da 1 a 10. All’amore do 10. Alla famiglia 10.<br />
All’amicizia (qui bisogna andare cauti: ho sofferto tanto per il fatto<br />
che tanti amici si sono poi rivelati falsi) 4. Alla fedeltà 10. Alla lealtà<br />
11. Alla giustizia 10.<br />
Pensando al passato, le cause personali che mi hanno portato f<strong>in</strong><br />
qui? L’impulsività, l’aggressività, la voglia di rompere le corna a quelli<br />
che io ritenevo fossero dei prepotenti.<br />
I sogni che si possono ancora coltivare? Beh! In primis il sogno di<br />
non dover morire <strong>in</strong> carcere, sperare nell’<strong>in</strong>contro con la persona di<br />
buona volontà che abbia il coraggio di cambiare la legge. Se così non<br />
fosse, la speranza <strong>in</strong>esorabilmente si trasformerebbe <strong>in</strong> disperazione.<br />
In un contesto simile è facile perdere la propria identità, e non solo<br />
quella, i suicidi <strong>in</strong> carcere sono aumentati vertig<strong>in</strong>osamente, anche se<br />
quasi nessuno ne parla.<br />
Chi scrive non prova rancore nei confronti di chi lo ha <strong>in</strong>dotto suo<br />
malgrado a fare delle scelte sbagliate.<br />
Alla gente fuori direi: Non giudicate con durezza, fate un esame di<br />
coscienza e poi perdonate. Chi crede sa che: “Chi giudica con durezza<br />
sarà giudicato con durezza dal padre mio che sta nei cieli” (Gesù). Stolto,<br />
non guardare la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, togli prima la<br />
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trave che hai nel tuo di occhio per poi vedere meglio e togliere la pagliuzza<br />
al tuo fratello” (Gesù).<br />
Mafioso è chi si comporta da mafioso. Mafiosi sono i grandi evasori,<br />
chi ruba la mercede agli operai, chi ha il potere e lo usa per fare<br />
clientelismo. Mafiosi della peggior specie sono coloro che affondano<br />
le piccole imprese a beneficio delle proprie. Chi <strong>in</strong>duce gli operai alla<br />
fame, istigandoli al suicidio: “In verità avete avuto la vostra ricompensa<br />
<strong>in</strong> questo mondo” (Gesù). Mafiosi sono gli organizzatori della corruzione<br />
organizzata che poi sono quelli che più di tutti <strong>in</strong>citano le<br />
piazze all’imbarbarimento. Badate che i vostri figli non debbano trovarsi<br />
nelle mani di costoro.<br />
Ai compagni direi: Forza e coraggio. A torto o a ragione noi stiamo<br />
pagando. Tutti prima o poi dovremo morire, è una questione fisiologica,<br />
anche coloro che ci usano per nascondere le loro malefatte. Ed è<br />
mia conv<strong>in</strong>zione che noi non siamo peggiori di chi <strong>in</strong>cita nelle piazze<br />
all’odio e alla vendetta. Vi assicuro compagni che questi ultimi avranno<br />
meno attenuanti di noi davanti al Padre Eterno.<br />
Cosa mi manca di più??? Mi manca maledettamente Nicolas e la sua<br />
mamma. E <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e la libertà, quella vera però.<br />
PINO REITANO. Chi sono? Mi presenterei e direi: sono un ergastolano, P<strong>in</strong>o<br />
Reitano, non cerco giustificazioni per il mio passato, dato che per salvare<br />
una vita umana mi sono ritrovato <strong>in</strong> un vortice senza uscita, e solo<br />
con il carcere ho potuto liberarmi da tutto il mio passato. Oggi posso dire<br />
con forza che non farei gli errori del passato, ma non serve a niente,<br />
chi ti ascolta, chi ti accetta per quello che sei e ti dà un’opportunità?<br />
Quando sono entrato ero una persona terrorizzata dal carcere, ma<br />
se avessi saputo che il carcere mi avrebbe dato l’opportunità di poter<br />
essere quello che sono sempre stato, sarei corso, quando ho salvato<br />
quella vita umana. E non avrei commesso gli errori commessi.<br />
I miei demeriti sono stati solo quelli di quando ho <strong>in</strong>contrato delle<br />
persone crim<strong>in</strong>ali che non ti lasciavano scelta. I meriti dei miei cambiamenti<br />
positivi credo siano i miei familiari, che hanno sempre lavorato<br />
per portare avanti la famiglia, con l’<strong>in</strong>segnamento che si debbo-<br />
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no rispettare anche le pietre, e mi hanno sempre assistito f<strong>in</strong>o a ora. Il<br />
carcere mi ha dato solo l’opportunità di essere me stesso.<br />
Cos’è la speranza? È una malattia della debolezza umana, non si accetta<br />
la realtà e si cerca un modo per credere che ci può essere un futuro<br />
migliore… è come quelle persone che si drogano per fuggire dai<br />
problemi quotidiani, poi se guardiamo bene la realtà, le persone che<br />
sanno che non hanno speranza si attaccano alla vita più di una persona<br />
normale.<br />
Cosa cambierei nella mia vita, a parte il carcere? Di essere italiano:<br />
se tornassi <strong>in</strong>dietro andrei via dall’Italia f<strong>in</strong> da piccolo.<br />
Certo che credo <strong>in</strong> qualcosa di sovrannaturale, se non fosse così io<br />
non sarei vivo ma morto, qu<strong>in</strong>di ci credo ciecamente.<br />
Qui dentro si fa sera e si fa matt<strong>in</strong>a come chi è <strong>in</strong>cosciente e non si<br />
rende conto di che f<strong>in</strong>e dovrà fare. Io quando mi sento abbattuto prego<br />
e penso alla morte, l’unica cosa nobile e bella che il Signore ci ha<br />
donato, ci libera da tutti i mali, da tutte le angosce e soprattutto dai<br />
peccati, per questo la chiedo e spero che il Signore mi possa donare<br />
questa nobile morte.<br />
Ho poca fiducia negli esseri umani, nel Signore tanta!<br />
Io non ho mai creduto al contesto sociale. Per quanto mi riguarda<br />
so benissimo la causa che mi ha portato <strong>in</strong> carcere, come ho già detto:<br />
se non avessi salvato la vita di una persona non sarei qui e se lo Stato<br />
avesse saputo rieducare i del<strong>in</strong>quenti, io non mi sarei trovato a salvare<br />
la vita di nessuno e nello stesso tempo non sarei stato io e vittima<br />
e carnefice.<br />
Cosa potrei dire io alla gente di fuori? Solo che la vita è una sola e non<br />
devono buttarla alle ortiche, che se vogliono avere un futuro devono sudare<br />
sette camicie, che niente viene dai sogni o con la bacchetta magica,<br />
una persona se vuole essere giusta deve solo fare sacrifici.<br />
Ai miei conoscenti di carcerazione non mi sento di dire niente, devono<br />
solo <strong>in</strong>terrogare la propria coscienza e fare tutto secondo coscienza.<br />
Cosa mi manca di più? Tutto e niente, forse solo di non poter donare<br />
tutto il mio amore al prossimo.<br />
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ANGELO TANDURELLA. Sono un uomo che fra pochi mesi compie 40 anni,<br />
15 li ha trascorsi <strong>in</strong> carcere. Ho un “f<strong>in</strong>e pena mai”, e se mi chiedi: chi<br />
sei oggi? Io ti rispondo che non sono quella persona che tanti anni fa<br />
ha distrutto <strong>in</strong> pochi secondi la sua vita e anche quella di altri.<br />
Io mi sento una persona fortunata, perché ho una famiglia che mi<br />
segue <strong>in</strong> tutto e per tutto. I cambiamenti ci sono, e devo dire grazie ai<br />
miei genitori, ai miei fratelli e sorelle, ed <strong>in</strong> particolar modo ai miei<br />
due nipot<strong>in</strong>i, che amo più della mia vita, e li considero come i miei figli,<br />
quelli che non ho, e che mi piacerebbe molto avere, se qualcuno<br />
me ne darà la possibilità. …Gli errori che mi hanno portato <strong>in</strong> carcere,<br />
li attribuisco solo ed esclusivamente ai miei 18 anni, ed alla mia <strong>in</strong>consapevolezza.<br />
La speranza, come dicono <strong>in</strong> tanti, è l’ultima a morire, ed io devo<br />
r<strong>in</strong>graziare le persone della Comunità Papa Giovanni XXIII, che danno<br />
voce alla nostra lotta contro l’ergastolo ostativo ed <strong>in</strong> favore di una<br />
speranza perduta.<br />
Sì, credo <strong>in</strong> Dio, anche se non sono un praticante, non vado <strong>in</strong> Chiesa<br />
la domenica, ma tutte le sere prima di dormire faccio il segno della<br />
croce; spero che almeno nell’aldilà ci sia qualcuno che non solo ci<br />
giudichi, ma che riesca a perdonarci; potrà sembrare strano, ma da<br />
piccolo ho fatto pure il chierichetto, mi manca solo il “Boy Scout”…<br />
A parte il carcere, cosa cambierei della mia vita? Il mio futuro!!!<br />
La voglia di vivere è tanta, anche se certe volte preferiresti chiudere<br />
gli occhi e non svegliarti la matt<strong>in</strong>a, ma poi apri gli occhi e ti domandi<br />
quante persone faresti soffrire se la facessi f<strong>in</strong>ita, e quando sono veramente<br />
abbattuto, mi isolo dal mondo <strong>in</strong>tero, ma dura poche ore,<br />
non posso permettere che duri a lungo, sarebbe la f<strong>in</strong>e.<br />
Una scala di valori? Nella mia classifica immag<strong>in</strong>aria al primissimo<br />
posto metto l’amore, perché racchiude diverse forme: c’è l’amore per<br />
la compagna, che è diverso dall’amore per la famiglia, e poi c’è l’amore<br />
per l’amicizia, che io mettevo sempre al primo posto, ma ora non<br />
più, troppe delusioni mi hanno portato a diffidare delle persone.<br />
Vorrei parlare tanto dell’amore per una compagna e mi piacerebbe<br />
tanto <strong>in</strong>namorarmi di nuovo di una persona, avrei tante cose da rac-<br />
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contarle, ma tutto questo non è possibile. Sai, certe volte dimentico<br />
che sono <strong>in</strong> carcere e sogno e viaggio con i pensieri, almeno questo<br />
non sono riusciti a chiuderli con le chiavi, ma non ne parlare molto<br />
<strong>in</strong> giro, non si sa mai...!<br />
Alla gente fuori direi che qui dentro non ci sono dei mostri, neanche<br />
dei santi, ma delle persone che hanno fatto un percorso di vita,<br />
ognuno diverso dall’altro, per tante ragioni che non posso io giudicare,<br />
io posso solo dirvi che oggi sono un’altra persona, che ha tanta voglia<br />
di confrontarsi con il mondo reale, cerco solo delle persone che<br />
mi diano una, e dico una, piccola chance.<br />
Ai miei compagni direi che questa vita porta solo dolore e tanta galera.<br />
Cosa mi manca di più??? Vivere la normalità.<br />
PASQUALE DE FEO. Che anima sono? Non sono un’anima <strong>in</strong> pena, perché<br />
gli anni trascorsi <strong>in</strong> carcere sono molti e questo lungo tempo ha prodotto<br />
una sorta di anestesia per stemperare le sofferenze e i dolori,<br />
non essendoci stata la possibilità di scaricarli <strong>in</strong> modo diverso, perché<br />
il mio spazio fisico è molto ristretto.<br />
Prima del mio arresto vivevo nell’illegalità; purtroppo non vedevo<br />
le cose come erano, ma come ero abituato a vederle. Ritenevo giusto e<br />
naturale percorrere questa strada per uscire dalla povertà ed emergere<br />
nella società. In modo diverso cercavo di imitare le agevolazioni dei<br />
figli dei potentati locali. Quando l’ignoranza fa da padrona e la miseria<br />
ti è compagna, l’unico strumento che riesci a concepire è usare<br />
scorciatoie per arrivare subito.<br />
Ora non sono più il ragazzo di un tempo; ormai sono c<strong>in</strong>quantenne<br />
e il mio essere si è evoluto con determ<strong>in</strong>azione nel ricostruire la mia<br />
persona. Ho ripulito me stesso da certe logiche con cui sono cresciuto,<br />
mi sento un uomo nuovo, ma rimango un detenuto, perché questo è il<br />
mio mondo, anche se costruisco me stesso pensando al futuro.<br />
Devo costruire nei miei pensieri il futuro, con l’aiuto della cultura e<br />
lo studio, perché se anche ciò fosse annullato, alla speranza subentrerebbe<br />
la disperazione, l’abbrutimento, la rabbia contro il mondo <strong>in</strong>te-<br />
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ro. Oppure trovare la pace nell’unico modo che ci è possibile qui dentro:<br />
togliersi la vita.<br />
Una volta credevo che <strong>in</strong>cutere timore rappresentasse il massimo dell’uomo<br />
forte. Oggi comprendo che solo l’ignoranza poteva farmi credere<br />
una stupidagg<strong>in</strong>e del genere. È facile mettere paura a una persona<br />
che deve pensare alla famiglia, al lavoro e ai problemi quotidiani.<br />
Oggi ho capito che un uomo forte è chi ha una retta vita, lavora e si<br />
dedica con dedizione alla sua famiglia, e nei momenti di difficoltà,<br />
perdita di lavoro, sfratto, problemi di salute e problemi quotidiani,<br />
tiene la barra diritta e non cede alla disperazione e non cerca di superare<br />
il conf<strong>in</strong>e che risolverebbe i problemi che l’affliggono. Questo è il<br />
vero coraggio dell’uomo forte.<br />
La dom<strong>in</strong>anza improntata sulla paura è effimera, pertanto è vigliaccheria,<br />
come i branchi che dom<strong>in</strong>ano sentendosi forti. Credo nella<br />
forza del sapere.<br />
Ho usato la violenza, era l’unico strumento che conoscevo per raggiungere<br />
gli obiettivi che mi prefiggevo. Non potevo scegliere: solo<br />
quando si conoscono le alternative si può scegliere.<br />
ELIO ROTONDALE. Nella mia vita ho commesso molti errori e sto ancora<br />
pagando per questi. Voglio precisare, però, che essi sono dovuti più alle<br />
circostanze che alla natura della mia <strong>in</strong>dole che, fondamentalmente,<br />
è buona. Sono una persona come tante, che si è trovata <strong>in</strong>vischiata<br />
<strong>in</strong> un cattivo contesto. Ora che ho avuto modo di riflettere molto,<br />
posso dire che non sono lo stesso di prima.<br />
In passato, la violenza era entrata prepotentemente nella mia vita.<br />
Nell’ambiente dove io sono cresciuto era l’unico sistema per non essere<br />
sopraffatti. L’<strong>alternativa</strong> era solo quella di andarsene. Purtroppo,<br />
quando si è giovani, si è anche immaturi.<br />
Gli amici sono quelli che vogliono il mio “bene”, quelli che sanno richiamarmi<br />
se perdo il “sentiero”, quelli che mi fanno notare i miei “difetti”.<br />
I gruppi aiutano a crescere. Però un gruppo di persone “cosche”<br />
aiuta a crescere nella barbarie.<br />
Viviamo <strong>in</strong> un mondo <strong>in</strong> cui gli ideali sono quasi esauriti, un mon-<br />
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do governato dal “Dio denaro”… La cosa importante è sapersi scegliere<br />
i gruppi giusti…<br />
GIOVANNI MARCO AVARELLO. Leggendo la prima domanda “Che anima sei?”<br />
il mio primo pensiero è andato alla configurazione realistica del<br />
“viaggio” nei tre regni dell’oltretomba di Dante Alighieri. Potrei rispondere<br />
che sono un’anima <strong>in</strong> viaggio da circa 19 anni, la quale ripercorre<br />
a ritroso il camm<strong>in</strong>o dal bene al male compiuto dall’umanità,<br />
giungendo dal male, la selva <strong>in</strong>fernale dello smarrimento, al<br />
sommo bene, la contemplazione di Dio, attraverso la visione dei castighi<br />
eterni, delle pene catartiche, delle beatitud<strong>in</strong>i spirituali.<br />
Un’anima un tempo peccatrice, purgata con la sofferenza della detenzione<br />
carceraria e oggi pronta per il salto f<strong>in</strong>ale verso il Paradiso<br />
terrestre (l’amata libertà).<br />
Prima dell’arresto ero un ragazzo giovanissimo, un pivello di 25 anni,<br />
privo di cultura <strong>in</strong> quanto lascia la scuola <strong>in</strong> età adolescenziale, proiettato<br />
<strong>in</strong> una società dove prevaleva la legge del piombo, la legge del più<br />
forte, l’arroganza, la stupidità, l’ignoranza e se vogliamo la presenza di<br />
una classe politica corrotta e <strong>in</strong>differente ai problemi del Paese.<br />
Sono una persona diversa perché non sono più il ragazz<strong>in</strong>o di un<br />
tempo, perché ho trascorso quasi metà della mia vita ristretto nelle<br />
patrie galere, perché ho scavato nel mio passato, andando a ritroso nel<br />
tempo, e ho visto <strong>in</strong> faccia il male che ha deviato il percorso della mia<br />
vita. Ora sono un uomo maturo, con tanti anni di carcere duro sulle<br />
spalle, qu<strong>in</strong>di sicuramente una persona sofferta, consapevole degli<br />
sbagli passati, <strong>in</strong> cerca di una nuova identità, che spera di trovare attraverso<br />
l’art. 27 della Costituzione italiana, il quale recita “Le pene<br />
non possono consistere <strong>in</strong> trattamenti contrari al senso di umanità e devono<br />
tendere alla rieducazione del condannato, non è ammessa la pena<br />
di morte”. Aggiungerei “se non <strong>in</strong> casi di ergastolo ostativo”. L’ergastolano<br />
con il marchio ostativo è di fatto condannato a morire giorno<br />
dopo giorno, <strong>in</strong> una piccola, angusta, tetra cella.<br />
GIUSEPPE PULLARA. Che anima sono? Beh, la risposta potrebbe essere<br />
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multipla, però la posso s<strong>in</strong>tetizzare dicendo che sono un’anima <strong>in</strong><br />
conflitto con se stessa perché nata libera e come tale vorrebbe morire,<br />
<strong>in</strong>vece subisce la protervia istituzionale che lo vuole annichilito o<br />
“pentito”. Però se la soluzione del conflitto è farsi sentire con forza e<br />
civilmente sono pronto!<br />
Io ero un uomo felice, sposato, altruista e molto severo verso il soggetto<br />
prepotente, arrogante e violento verso una qualsiasi persona <strong>in</strong>nocente.<br />
Ora sono un uomo che il tempo lo ha cambiato <strong>in</strong>teriormente, che<br />
ripudia ogni forma di violenza e vive per far del bene.<br />
Sedici anni di carcere, di cui tredici trascorsi al regime del 41 bis…<br />
ho avuto tempo di riflettere sulle tematiche che mi hanno portato <strong>in</strong><br />
prigione. Altresì, il rapporto tra me e gli affetti, e gli <strong>in</strong>teressi esterni,<br />
sono mutati grazie al tempo di detenzione e all’<strong>in</strong>trospezione.<br />
L’uomo forte è colui che ottiene quello che vuole attraverso la pazienza<br />
cioè dando al tempo la cadenza naturale! Deve essere capace di<br />
dom<strong>in</strong>are l’impulsività e per ottenere tale forza si mortifica tutti i<br />
giorni sapendo che solo così fortifica la sua mente e il suo spirito per<br />
raggiungere gli obiettivi prefissati. Riuscire a dom<strong>in</strong>are gli impulsi<br />
violenti, anche verbali, è la forza <strong>in</strong>teriore.<br />
La violenza? Ha orig<strong>in</strong>i con la nascita dell’uomo agli albori della vita<br />
sia per la sopravvivenza sia per i sentimenti più abietti come l’<strong>in</strong>vidia,<br />
lussuria, gelosia, avidità ecc. Dopo milioni di anni nulla è cambiato,<br />
tranne per l’evoluzione psicofisica che ha creato nuove civiltà e<br />
culture dandosi ognuna le proprie regole e leggi per vietare o consentire<br />
alcuni usi ancestrali. Nella mia vita la violenza fu un mezzo per<br />
ottenere un diritto; negli altri sarà stato lo stesso, anche se il diritto nei<br />
contesti sociali <strong>in</strong> cui nacqui è diverso tra soggetti e soggetti.<br />
L’utilità della violenza sta nell’appagamento dell’odio, rabbia o offesa<br />
subita nell’immediatezza dell’azione, sentendosi soddisfatto! Ma si<br />
può ottenere lo stesso risultato (se non di più) attraverso la pazienza<br />
e la parola. E poi, la violenza porta altra violenza e tanti guai giudiziari.<br />
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GIOVANNI ZITO. Sono un’anima buona, serena, pacata, umile e ricca d’amore.<br />
Divido il pane dei pensieri con tutti coloro che hanno bisogno<br />
di un consiglio, un sorriso, una parola dolce che possa alleviare i dolori<br />
di questo camm<strong>in</strong>o assurdo, crudele, e faticoso. Non cerco nulla<br />
da nessuno e vivo come meglio posso il mio tempo senza f<strong>in</strong>e, quest’anima<br />
solitaria piena di vita e di gioia che cerca affannandosi un<br />
raggio di sole dove sole non c’è.<br />
Prima dell’arresto ero un giovane di 25 anni, vivevo la mia vita come<br />
la maggior parte dei miei coetanei lavorando di quel poco che c’era<br />
di lavoro. Nel calore della mia casa materna avevo tutto per affrontare<br />
un futuro migliore e sereno.<br />
Ora sono un uomo di 40 anni senza una vita, senza speranza, niente<br />
di niente. Sono solo un respiro nei respiri di tutti i giorni che vivrò<br />
senza f<strong>in</strong>e, senza meta. Perché un giovane di 25 anni il tempo lo forma,<br />
lo plasma, la vita cont<strong>in</strong>ua f<strong>in</strong>ché si respira. Oggi, non c’è più quel<br />
tempo e quel vento di giov<strong>in</strong>ezza dove tutto era possibile, dove tutto<br />
era credibile. Perché? Perché cambi il modo di vivere, regoli il tempo,<br />
l’emozione, la fragilità. E a tutto ciò che rotola davanti alla propria esistenza<br />
non si pensa più come quando avevi il fiore dentro di te, e si<br />
cerca la speranza con tutta la forza di un uomo di 40 anni.<br />
Chi è un uomo forte? Colui che vive la vita con la propria famiglia.<br />
Un uomo forte è colui che v<strong>in</strong>ce ogni giorno il proprio giorno. Un uomo<br />
forte è colui che ama nella vita tutti i suoi cari ogni momento. Un<br />
uomo forte è chi supera le avversità, i dubbi, le perdite delle persone<br />
amate con tutto il cuore f<strong>in</strong>o all’ultimo respiro, un uomo forte è colui<br />
che cresce con sani pr<strong>in</strong>cìpi di vita, della buona educazione ricevuta e<br />
data ai propri figli, colui che guida la casa, l’amore, la speranza di un<br />
domani migliore. Vive il corso degli eventi anche se sono tortuosi, cerca<br />
sempre di fare o proporre il meglio e nutre ogni certezza del futuro<br />
migliorando se stesso con tutta la forza e il coraggio.<br />
Se la forza è dom<strong>in</strong>anza? Sì, se si usa nel modo adeguato, se si cerca<br />
di riparare un torto, uno sbaglio. Io non ho mai subìto violenza nella<br />
mia vita, e non l’ho procurata ad altre persone. Usare la violenza significa<br />
perdere il controllo di se stessi di non saper affrontare il cam-<br />
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m<strong>in</strong>o stabilito ogni giorno, e qu<strong>in</strong>di ti fai un torto per ricevere uno<br />
sbaglio. Senza violenza si vive meglio con se stessi e sai di dormire bene<br />
la sera, e quando ricevi un abbraccio dalla tua famiglia o figli, sai<br />
di essere un uomo, o persona, onesta.<br />
Gli amici… Gli amici sono come l’amore, c’è chi dura tutta una vita<br />
con lealtà e chi si perde nelle strade che si percorrono. Ricevere una<br />
cartol<strong>in</strong>a da un amico fa piacere, scrivere ad un amico ti dà gioia. Sapere<br />
che qualcuno si ricorda di un sepolto vivo è sempre un pensiero<br />
bello.<br />
I miei ideali? Non credo che ci siano tanti ideali nella mia vita, credo<br />
nelle tante speranze. Qualora vi diano queste, beh forse sarebbe<br />
dolce come avere ideali.<br />
SALVATORE GUZZETTA. Ero, prima dell’arresto, un uomo con due realtà e<br />
due personalità. Una dedicata alla famiglia al lavoro e ai figli, l’altra alla<br />
mala vita organizzata. L’una nascondeva l’altra.<br />
Ora sono uno che <strong>in</strong> tutti questi anni di detenzione e sofferenze ha riflettuto<br />
tanto ed è consapevole dei propri sbagli. Il frutto maturando<br />
cade dall’albero, io sono maturato <strong>in</strong> queste patrie galere. Se fossi stato<br />
più maturo fuori, sicuramente non avrei procurato sofferenze ad altri.<br />
Chi è un uomo forte? L’uomo che anche nelle avversità non si scoraggia<br />
mai, che non butta la spugna, che non r<strong>in</strong>uncia a lottare, per<br />
arrivare al traguardo che s’è prefissato.<br />
E non perde mai la speranza e la fiducia <strong>in</strong> se stesso e negli altri.<br />
La dom<strong>in</strong>anza non è forza. No, è solo viltà, paura. Si dom<strong>in</strong>a per<br />
non essere sopraffatti e per sopraffare gli altri.<br />
La violenza? Non c’è mai stata violenza nella mia vita, né a subirla,<br />
né a esternarla, ma tanta ne ho vista. Le cause: la dom<strong>in</strong>anza, la vendetta,<br />
la frustrazione per averla subita.<br />
SEBASTIANO MILAZZO. Credo di essere un’anima con un po’ di sensibilità.<br />
Prima del mio arresto mi rendo conto di avere sprecato tanta parte del<br />
mio tempo nella vanità di tante fatiche e <strong>in</strong> attese di dubbio valore, a<br />
scapito di momenti importanti e teneri come l’amore, l’amicizia, l’<strong>in</strong>timità<br />
dei rapporti. Sento di essere particolarmente sensibile verso i<br />
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problemi degli ultimi e nutro disprezzo verso quanti speculano su di<br />
loro. Perché ho sperimentato sulla mia pelle quanto pesa l’arroganza<br />
del più forte.<br />
L’uomo forte, <strong>in</strong> carcere, è chi, dopo aver acquisito coscienza del dolore<br />
provocato dai suoi reati, sconta la sua colpa, assumendosene la<br />
dignitosa sofferenza senza chiedere una contropartita, cercando una<br />
nuova <strong>in</strong>nocenza nel tormento <strong>in</strong>teriore, e non mettendo un altro al<br />
proprio posto.<br />
Cerco di essere me stesso, di vivere secondo le mie conv<strong>in</strong>zioni e<br />
non <strong>in</strong> relazione alle convenienze del momento.<br />
La dom<strong>in</strong>anza di se stessi è la sola forza che <strong>in</strong> carcere consente di<br />
sopravvivere.<br />
La violenza è sempre causata dagli ist<strong>in</strong>ti che sopraffanno la ragione.<br />
È sempre dannosa. È sempre <strong>in</strong>utile.<br />
DOMENICO PACE. Ho sempre cercato di essere di animo buono perché solo<br />
così si sta bene con se stessi e con gli altri.<br />
Prima dell’arresto ero una persona normalissima, che lavorava <strong>in</strong><br />
un panificio perché il bisogno economico familiare non era agiato e<br />
qu<strong>in</strong>di il mio aiuto era <strong>in</strong>dispensabile per il bilancio familiare. I miei<br />
genitori hanno fatto sempre i braccianti agricoli e con sei figli da crescere<br />
il mio aiuto, seppur piccolo, era importante.<br />
Ora sono un uomo maturo <strong>in</strong> grado di stabilire il giusto e l’<strong>in</strong>giusto.<br />
Perché l’esperienza <strong>in</strong>segna che con gli anni si deve maturare <strong>in</strong>teriormente,<br />
e chi non percepisce tutto ciò ha perso una buona occasione.<br />
La lealtà? Essere leali vuol dire saper convivere con la società cosiddetta<br />
civile e qu<strong>in</strong>di sapersi comportare da leali è un buon segno di civiltà.<br />
E conta molto per migliorare il rapporto con il tuo prossimo che<br />
si dimostra <strong>disponibile</strong> all’occorrenza del bisogno, di qualsiasi genere.<br />
Gli amici… Sicuramente quando ero più piccolo consideravo i miei<br />
amici quelli che crescevano <strong>in</strong>sieme a me, oggi l’amico più grande che<br />
ho è mio figlio, lo considero più che un amico perché fa parte di me<br />
stesso.<br />
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I miei ideali… la famiglia, a cui credo <strong>in</strong> modo sano e coerente. È il<br />
gruppo a cui do più importanza, la mia famiglia, nella quale ci scambiamo<br />
l’amore che il Signore ci ha donato.<br />
PASQUALE DE FEO. …Io sono stato sfortunato, e ho buttato via la mia vita.<br />
L’ignoranza è fonte di debolezza, perché si è soggetti ad essere manipolati<br />
e usati. Restr<strong>in</strong>ge gli orizzonti e ti fa seguire il primo pifferaio<br />
che si <strong>in</strong>contra… come la favola del pifferaio magico.<br />
I maestri hanno molta importanza; quelli cattivi ci hanno già rov<strong>in</strong>ato<br />
la vita, pertanto li riconosciamo se li <strong>in</strong>contriamo e li evitiamo.<br />
Oggi cerchiamo buoni maestri; alcuni li ho trovati e cerco di metabolizzare<br />
tutto quello che mi trasmettono, non si f<strong>in</strong>isce mai di imparare.<br />
Purtroppo ho venerato persone che, come generali della Prima<br />
Guerra Mondiale, mandavano al macello i soldati, per sete di potere.<br />
Oggi non potrebbe più succedermi di avere venerazioni a sfondo cieco.<br />
L’ultima persona che veneravo era mia madre, l’essere umano più<br />
buono che abbia mai conosciuto.<br />
Gli amici? Da troppo tempo sono <strong>in</strong> carcere. Gli amici di un tempo<br />
sono meno delle dita di una mano, anche loro a scontare pene lunghe;<br />
eravamo ragazzi, ora hanno la mia età. Oggi la selezione nel concedere<br />
l’amicizia è più rigorosa e pertanto sono molto oculato nel darla.<br />
Ho sempre vissuto gli ideali <strong>in</strong> modo totale e senza mezze misure.<br />
Nel mio percorso ero conv<strong>in</strong>to che ciò che facevo fossero nobili ideali;<br />
la bruttura vestita a festa… senza rendermi conto che ero lontano<br />
dalla realtà, tutto era solo nella mia testa. Anche oggi vivo gli ideali <strong>in</strong><br />
modo passionale, ma non sono più quelli di un tempo. Seguo molto<br />
la politica, anche se è motivo di sofferenza; sono molto attratto dal volontariato,<br />
dai volontari, e li ammiro molto… andare <strong>in</strong> posti sperduti<br />
nel mondo per fare del bene, sono ideali nobili che tramutano <strong>in</strong><br />
realtà. Il fuoco che gli ideali accendono ti aiuta a vedere le cose con occhi<br />
puri, ed è molto bello.<br />
SALVATORE GUZZETTA. I gruppi a cui ci leghiamo, gli amori, i maestri, le figure<br />
che veneriamo… hanno molta importanza, soprattutto quei<br />
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gruppi dove ti danno fiducia, dove ti <strong>in</strong>segnano che la speranza è l’ultima<br />
a morire, dove ti sanno dare amore e affetto, dove ti fanno capire<br />
che Dio esiste <strong>in</strong> ognuno di noi.<br />
La lealtà, come concetto e come pr<strong>in</strong>cipio da vivere? La lealtà non può<br />
essere mai un concetto ma un pr<strong>in</strong>cipio di vita da vivere per chi ha dignità<br />
e coscienza. Conta moltissimo, essere leali è essere onesti con se<br />
stessi. Se tu sei leale con te stesso lo sarai anche con il tuo prossimo.<br />
Chi sono per me gli amici? Gli amici, sono sempre fonte di ricchezza<br />
<strong>in</strong>teriore, non per niente c’è un detto che dice: chi trova un amico<br />
trova un tesoro, ma soprattutto gli amici sono quelli che lottano <strong>in</strong>sieme<br />
a me per la libertà.<br />
Ognuno di noi vive i propri ideali nella misura della sua condizione<br />
di vita. Io li vivo <strong>in</strong> una misura limitata perché sono conscio che nel<br />
contesto <strong>in</strong> cui vivo non posso realizzarli.<br />
GIUSEPPE PULLARA. L’ignoranza… è una fonte di forza per tutti coloro<br />
che la manipolano e gestiscono; mentre è una debolezza per l’essere<br />
che vive <strong>in</strong> un mondo con poche f<strong>in</strong>estre rivolte alla luce.<br />
La lealtà… tutti noi promettiamo lealtà, ma la stragrande maggioranza<br />
tradisce la promessa, e lo giustifica con concetti vari. Invece la<br />
lealtà dovrebbe essere un pr<strong>in</strong>cipio di vita che dovrebbe essere concesso<br />
a poche tematiche o persone per non renderlo vano. “Meglio<br />
non promettere che promettere e fallire <strong>in</strong>degnamente”. La lealtà è dovuta<br />
a tutti coloro con cui si ha un rapporto s<strong>in</strong>cero, sia un amico, sia<br />
un amore, sia sul lavoro, ecc… Perché la lealtà rende la persona libera<br />
dentro, anche se qualche volta (forse spesso) porta guai.<br />
Gli amici? Oggi vivo <strong>in</strong> un contesto privo di affetti, prospettive future<br />
e vecchie amicizie, per cui le amicizie per me sono temporanee,<br />
cioè durano il tempo che stiamo nello stesso istituto. Con qualcuno<br />
rimane quel rispetto reciproco che ci consente di “spigolare” l’amicizia<br />
anche se poi siamo <strong>in</strong> istituti diversi. Qu<strong>in</strong>di l’amicizia di oggi, per<br />
me, è solo la famiglia.<br />
Io vivo gli ideali nella misura poco sopra lo zero perché ho le ali<br />
mozzate e una palla al piede. Essendo un soggetto privo della capacità<br />
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di mettere su carta quanto ho nella mente, limito ancora di più gli<br />
ideali. Ecco perché ammiro quanti lottano come leoni per ottenere un<br />
proprio o altrui diritto.<br />
SEBASTIANO MILAZZO. I gruppi a cui ci leghiamo hanno una grande importanza,<br />
ma non sono determ<strong>in</strong>anti, perché alla f<strong>in</strong>e “un uomo” è ciò<br />
che lui decide di essere, nei limiti <strong>in</strong> cui l’ambiente sociale <strong>in</strong> cui vive<br />
gli consente di essere.<br />
La lealtà… come pr<strong>in</strong>cipio di vita, verso se stessi e verso gli altri, ritengo<br />
sia il sentimento più nobile e più alto dell’uomo. Nei rapporti<br />
<strong>in</strong>terpersonali, con l’amico o con l’amata, permette di poter dire, <strong>in</strong><br />
modo aperto e con gioia autentica, “sì” a quello che si spera o ci si<br />
aspetta e un “no” deciso a quello che si ha la certezza di non volere<br />
dall’altro; nei rapporti istituzionali non chiede né accondiscendenza,<br />
né <strong>in</strong>dulgenza, nel dire o nel dare, senza f<strong>in</strong>zione, ciò che si ritiene<br />
giusto.<br />
L’ignoranza? È sempre fonte di debolezza, anche quando il non sapere<br />
risparmia dalle amarezze della realtà.<br />
L’amicizia? Il term<strong>in</strong>e amicizia oggi è abusato. L’amicizia vera è un<br />
sentimento raro che si alimenta di realtà e solidarietà reciproca fra<br />
persone accomunate da un legame fatto di memorie, bisogni e desideri<br />
comuni. Per me gli amici veri sono solo quelli che disapprovano<br />
quando mi comporto male, che sanno anche lottare contro di me per<br />
farmi capire dove sto sbagliando.<br />
Gli ideali… Oggi non esistono ideali, esiste andare nella direzione<br />
nella quale viene tirato il gu<strong>in</strong>zaglio. Lo sappiamo bene noi condannati,<br />
con l’ergastolo ostativo, che vediamo fare sui media i teneroni<br />
per il cagnol<strong>in</strong>o abbandonato, da quelle stesse persone che, sugli stessi<br />
canali televisivi, <strong>in</strong>vocano, con la stessa passione, forche sempre più<br />
alte.<br />
CARMELO MUSUMECI. Chi sono? Sono quello che ho potuto essere, non<br />
quello che mi sarebbe piaciuto essere. Quando sono entrato <strong>in</strong> carcere<br />
ero certamente un uomo migliore di adesso.<br />
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Sono una persona difficile, poco presentabile, con una storia dura e<br />
tanti reati nei fascicoli e nel cuore, eppure mi sento migliore di tante<br />
persone per bene e soprattutto di chi mi governa e di molti miei presunti<br />
educatori.<br />
Che anima sono? Sono un’anima che non trova pace, appesa al filo<br />
dell’amore. Prima dell’arresto ero un’anima libera, felice e cattiva. Ora<br />
sono un’anima viva ma morta perché prigioniera. Con il dolore nel<br />
cuore, stanca e ancora più cattiva, perché non ha potuto realizzare<br />
tutti i suoi sogni e non ha potuto amare come avrebbe voluto le persone<br />
a cui vuole bene.<br />
Il cambiamento, da prigioniero, se è positivo, diventa un problema<br />
perché ti fa soffrire di più. Penso di soffrire <strong>in</strong> carcere più di molti altri<br />
perché, maledizione, dopo venti anni di carcere non riesco ancora<br />
a rassegnarmi di essere un prigioniero, quello della cella 154, il suo<br />
cuore che sorride, anche, nel caso, con sorrisi di scorta.<br />
Che cos’è la speranza? Secondo me la speranza può essere un bene<br />
o un male secondo le probabilità di realizzarla. Perché una speranza<br />
sbagliata ti può rubare la vita, perché mentre tu aspetti la speranza la<br />
vita se ne va senza di te. Sì! Si può vivere senza speranza, io ci vivo da<br />
venti anni. In carcere molti uom<strong>in</strong>i senza speranza si nutrono per abitud<strong>in</strong>e,<br />
dormono per noia, respirano per sopravvivere… io cerco io<br />
stesso di vivere…<br />
Che cambierei della mia vita? A parte il carcere non cambierei nulla.<br />
Nulla! Vorrei la stessa compagna, gli stessi figli, gli stessi amici e lo<br />
stesso angelo. Dio? No! Non credo <strong>in</strong> Dio, ma non ho mai smesso di<br />
cercarlo. Vorrei che ci fosse un Dio per avere qualcuno nell’aldilà da<br />
spaccargli la faccia.<br />
L’amore è l’unica ragione che mi aiuta a cont<strong>in</strong>uare a vivere e a rimanere<br />
vivo.<br />
Quando mi sento abbattuto vado <strong>in</strong> depressione, ma non lo dico a<br />
nessuno, neppure a me stesso. Se ne accorge solo il mio cuore, ma lui<br />
è scemo, piange lasciandomi gli occhi asciutti senza dirmi nulla.<br />
Fiducia nella Vita? Quale vita? Non ho neppure più tempo, mi è rimasto<br />
solo un po’ d’amore e tanta rabbia e disperazione.<br />
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Se penso al mio passato, a quello che mi ha portato <strong>in</strong> carcere… Sia<br />
le cause caratteriali che quelle sociali le conoscevo ancora prima di<br />
andare a compiere reati, ma non sono stato abbastanza forte per superarle.<br />
Per questo mi sento ancora colpevole di essere <strong>in</strong>nocente, anche<br />
se ho commesso molti reati. L’uomo è un animale sociale, per<br />
questo credo che non si è da soli <strong>in</strong>nocenti o colpevoli.<br />
Alla gente fuori direi: Buona vendetta! Provo pena per voi che mi<br />
volete tenere chiuso <strong>in</strong> una cella per tutta la vita. F<strong>in</strong> quando mi terrete<br />
prigioniero, mi sentirò più buono e più felice di voi.<br />
Ai miei compagni: Lottiamo senza vivere di speranza. Viviamo il<br />
presente e non il futuro. Cerchiamo di essere noi stessi. Per uscire prima<br />
dal carcere non cerchiamo di diventare peggiori di come siamo<br />
entrati e di come ci vogliono le persone perbene.<br />
Oggi, cosa mi manca di più? Prima erano i miei figli ora sono i miei<br />
nipot<strong>in</strong>i. E poi i sogni... non riesco più a sognare.<br />
Qualcuno è conv<strong>in</strong>to che l’amore salva il mondo, o almeno sani<br />
l’<strong>in</strong>dividuo. Ma quale amore?<br />
CARMELO MUSUMECI. Di amore ce n’è uno solo. È quel sentimento radicato<br />
nel cuore di tutte le persone anche quelle che pensano di non<br />
averlo. È quel sentimento che a volte fa soffrire più di qualsiasi altra<br />
cosa a parte il dolore di non avere amore.<br />
L’amore è amare di più i cattivi che i buoni perché sono tutti buoni<br />
ad amare i buoni.<br />
Come essere uom<strong>in</strong>i autentici anche se privi di libertà? Un uomo<br />
che perde la libertà <strong>in</strong> carcere non è mai stato libero neppure fuori.<br />
Incredibilmente, il momento <strong>in</strong> cui mi sono sentito più libero è<br />
quando stavo morendo colpito da sei pallottole addosso e quando sono<br />
stato condannato all’ergastolo. Incredibilmente ti senti libero<br />
quando lo Stato ti prende la vita con la pena dell’ergastolo ostativo e<br />
ti rimane solo l’amore, quello non te lo può levare nessuno.<br />
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Ricapitolando<br />
Tirando le fila di quanto detto e raccontato f<strong>in</strong>ora, le ultime pag<strong>in</strong>e<br />
sono scritte immag<strong>in</strong>ando di parlare a un ragazzo che, <strong>in</strong>fluenzato<br />
dalla mentalità dom<strong>in</strong>ante, pensi e dica: “Se siete colpevoli<br />
è giusto che scontiate la vostra pena, per quanto dura<br />
possa essere. Ve la siete cercata”.<br />
Come spiegare, ancora, alla gente<br />
GIOVANNI LENTINI. In primis tutti devono sapere cosa è l’ergastolo ostativo<br />
e che è anticostituzionale. Quando tutti sapranno che equivale al<br />
seppellimento di una persona ancora <strong>in</strong> vita, allora penso che sarà più<br />
facile comprendere le nostre problematiche.<br />
Ad un ragazzo che dice: “Ve la siete cercata, qu<strong>in</strong>di marcite <strong>in</strong> galera”,<br />
bisogna spiegargli che tanti delitti puniti con questa maledetta<br />
condanna, sono maturati <strong>in</strong> ambienti dove lo Stato non esisteva. In<br />
questi ambienti vige la legge del più forte, il lavoro o l’istruzione sono<br />
solo utopie, se non sei un duro, o ci diventi o muori. Ci sono tante faide<br />
nate per la fame, per motivi futili, enfatizzati dall’ignoranza; non<br />
sono guerre nate tra il benessere di Piazza di Spagna a Roma o la lussuosa<br />
via Monte Napoleone di Milano; sono omicidi maturati <strong>in</strong><br />
quartieri dove il degrado regna su ogni cosa, dove si sopravvive giorno<br />
per giorno. Certe realtà bisogna viverle per capirle, non si può condannare<br />
con una pena così <strong>in</strong>fausta, chi ha ucciso per non essere ucciso,<br />
e perché lo Stato non gli ha garantito nemmeno il m<strong>in</strong>imo <strong>in</strong>dispensabile,<br />
un lavoro, una casa o l’<strong>in</strong>columità fisica.<br />
Lo Stato non può arrivare quando la tragedia è successa, comm<strong>in</strong>ando<br />
condanne all’ergastolo, non può uno Stato democratico come<br />
il nostro restare assente, <strong>in</strong> luoghi come la Calabria, la Sicilia o la<br />
Campania, bisogna che faccia sentire la sua presenza. E non parlo di<br />
presenza di forze dell’ord<strong>in</strong>e, di queste ce ne sono f<strong>in</strong> troppe e non so<br />
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f<strong>in</strong>o a che punto siano efficaci; parlo di presenza culturale. Non può<br />
uno Stato pensare di bonificare quartieri degradati, con carab<strong>in</strong>ieri,<br />
polizia o altre forze armate; ha il dovere di costruire scuole, teatri, centri<br />
sportivi, cercare di istruire i bamb<strong>in</strong>i f<strong>in</strong> dalla tenera età, tenerli il<br />
più possibile impegnati e lontano dalla strada e dall’ozio. Non si può<br />
risolvere il problema solo con le poche associazioni di volontariato<br />
che per fortuna esistono.<br />
È necessario prevenire la tragedia e non aspettare che succeda per<br />
poi punire. Sono successi tanti omicidi e/o tentati omicidi, registrati<br />
<strong>in</strong> diretta dalle microspie piazzate nelle macch<strong>in</strong>e, allora mi chiedo: se<br />
la polizia sta <strong>in</strong>tercettando e ped<strong>in</strong>ando la persona che sta per commettere<br />
un delitto, per quale motivo non impedisce di farlo eseguire?<br />
Mi viene da citare una famosa frase detta <strong>in</strong> uno dei soliti film di mafia<br />
da qualche poliziotto: “Lasciamoli stare, f<strong>in</strong>ché si ammazzano tra loro<br />
facilitano il nostro lavoro”.<br />
F<strong>in</strong>ché ci sarà la miseria, la fame, l’ignoranza, ci saranno carceri strapiene<br />
di gente che vivono <strong>in</strong> condizioni al limite della dignità umana.<br />
Credo che, se ci fosse più trasparenza da parte delle istituzioni verso<br />
tutti i comuni cittad<strong>in</strong>i, questi ragazzi che adesso dicono “Ve la siete cercata<br />
ora state <strong>in</strong> galera” non sarebbero così superficiali nelle loro risposte.<br />
Cosa pensano questi ragazzi, di quei politici come il deputato leghista<br />
Gianluca Buonanno che ha pubblicamente commentato un suicidio <strong>in</strong><br />
carcere, dichiarando: “Certo che se altri pedofili e mafiosi facessero la stessa<br />
cosa non sarebbe male” (articolo pubblicato sul quotidiano “Il Bologna”<br />
edizione del 16 giugno 2010, pag. 14). Chi ha più bisogno di rieducazione<br />
sociale? I detenuti che espiano le loro pene per errori commessi<br />
<strong>in</strong> passato, o un politico che dovrebbe dare esempio di buon<br />
comportamento, <strong>in</strong>vece di dire certe nefandezze? Certo è giusto che chi<br />
ha commesso un reato deve pagare, ma con misure adeguate, con pene<br />
temporanee, non con l’ergastolo che non consente mai di riscattare il<br />
male fatto <strong>in</strong> passato. L’ergastolo va abolito dal Codice penale, se si vuole<br />
rispettare l’art. 27 della Costituzione, altrimenti bisogna trovare il coraggio<br />
di modificare la Costituzione italiana e avere la sfacciatagg<strong>in</strong>e di<br />
ammettere che <strong>in</strong> Italia esiste la condanna a morte.<br />
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IVANO RAPISARDA. …la pena deve tendere al re<strong>in</strong>serimento del condannato<br />
…Ma nel mio caso, e come me siamo circa 1.400, con l’ergastolo<br />
ostativo il citato articolo della Costituzione viene calpestato alla luce<br />
del Sole.<br />
Mi hanno arrestato che avevo appena 19 anni, oggi ho 39 anni e non<br />
sono mai uscito.<br />
Non sono colto, ma credo che nessuno possa sostituirsi a Dio. O<br />
meglio, il male non si combatte con il male, ma dovrebbe essere resp<strong>in</strong>to<br />
con il bene.<br />
Sì, forse è anche vero che ce la siamo cercata, ma questo non toglie<br />
che siamo tutti esseri umani e come tali la vita è fatta anche di errori<br />
e tutti abbiamo il diritto ad una possibilità per dimostrare che siamo<br />
cambiati, migliorati. La nostra condanna non f<strong>in</strong>irà mai, avrà di nuovo<br />
<strong>in</strong>izio il giorno che saremmo fuori, vedendo le persone che hanno<br />
perso i loro cari.<br />
Secondo il mio punto di vista, l’ergastolo comunque va elim<strong>in</strong>ato<br />
dal Codice penale per un semplice motivo: quando un <strong>in</strong>dividuo<br />
sconta 20-30 e più anni di carcere è totalmente un’altra persona, consapevole<br />
della vita s<strong>in</strong>istra che <strong>in</strong> passato aveva condotto. Solo gli stolti<br />
non cambiano.<br />
PAOLO LO DESERTO. In uno Stato civile la gente capirebbe cos’è l’ergastolo<br />
ostativo: la vendetta dello Stato stesso e della parte offesa, che non<br />
restituisce comunque la persona <strong>in</strong>dietro ai propri cari! Se la restituisse,<br />
la persona viva, sarebbe giusto anche l’ergastolo ostativo!<br />
Conv<strong>in</strong>cere un soggetto <strong>in</strong>fluenzato da politica o media è semplice,<br />
<strong>in</strong> quanto è privo d’<strong>in</strong>telletto e per <strong>in</strong>erzia segue il gregge. Purtroppo<br />
sia politici che media non hanno mai un confronto con i diretti <strong>in</strong>teressati<br />
e sono v<strong>in</strong>centi. Ma <strong>in</strong> un confronto alla pari di botta e risposta<br />
il discorso cambierebbe e solo allora un cittad<strong>in</strong>o potrebbe capire<br />
di cosa si parla. Nei numerosi dibattiti si nota l’ignoranza quando si<br />
discute di codeste cose. Ecco perché a mio modesto parere bisogna<br />
confrontarsi. Ormai la maggioranza dei cittad<strong>in</strong>i per pigrizia non usa<br />
il cervello. Le stesse persone che manifestano contro la pena di morte<br />
sono favorevoli all’ergastolo ostativo!<br />
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Per non dire quanti sono <strong>in</strong>nocenti con questa pena <strong>in</strong>giusta come me.<br />
Alla gente bisogna far capire che il dolore che hanno loro lo abbiamo<br />
anche noi. È vero loro non hanno i propri cari e li vanno a trovare<br />
ogni settimana al cimitero, mentre i nostri cari noi li vediamo una<br />
volta al mese con i m<strong>in</strong>uti contati, e fanno migliaia di chilometri sperando<br />
un giorno di vederci liberi o ci vedranno morti dopo anni ed<br />
anni di sofferenza e di carcere.<br />
La gente deve capire che non ci sono né sconfitti né v<strong>in</strong>ti ma solo<br />
sofferenza. E per fortuna che nostro Signore Gesù nacque 2010 anni<br />
fa, altrimenti quando pronunciò la frase per salvare Maria Maddalena<br />
“chi non ha peccato scagli la prima pietra”, politici e media l’avrebbero<br />
massacrato a sassate.<br />
E con un condannato <strong>in</strong>nocente non hanno vendicato il proprio caro,<br />
ma l’hanno ucciso due volte.<br />
Ora io mi chiedo: per la parte lesa uccidere un vivo è stare meglio?<br />
Che differenza c’è ora tra la vittima ed il carnefice? Se uno è colpevole<br />
è giusto che paghi con una pena a 20 o 30 anni, che è sempre una<br />
eternità. Qui non è il gran Hotel. Ma entrare a 30 o 40 anni e farsene<br />
20 o 30, noi che siamo esseri umani e non tartarughe, con tutti i disagi<br />
che ci sono <strong>in</strong> carcere… si deve essere fortunati ad uscire <strong>in</strong> piedi.<br />
CARMELO MUSUMECI. Come spiegare, cosa ancora dire alla gente? L’uomo<br />
è nato libero e imprigionare un uomo per sempre, qualunque cosa abbia<br />
fatto, è una sconfitta per tutta l’umanità.<br />
Per tutti ci dovrebbe essere una giustizia che dia al condannato la<br />
possibilità di riparare i danni del reato che ha commesso.<br />
Mentre il condannato alla pena dell’ergastolo ord<strong>in</strong>ario non è più<br />
sottoposto a una pena fissa perpetua perché può beneficiare della<br />
concessione di permessi premio, dopo aver espiato almeno dieci anni<br />
di pena (i quali, per effetto della liberazione anticipata, possono ridursi<br />
a otto), può essere ammesso al regime di semilibertà dopo aver<br />
espiato almeno venti anni di pena (che possono ridursi a sedici, sempre<br />
per effetto della liberazione anticipata), può essere ammesso alla<br />
liberazione condizionale quando abbia scontato almeno ventisei anni<br />
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di pena (che possono diventare ventuno, sempre per il meccanismo<br />
della liberazione anticipata), <strong>in</strong>vece l’ergastolano ostativo non potrà<br />
mai uscire dal carcere se non collabora con la giustizia, se al suo posto<br />
<strong>in</strong> cella non ci mette un altro o se non muore prima possibile. Il<br />
futuro dell’ergastolano ostativo è tutto scritto: una lenta agonia senza<br />
rimedi, tranne la morte, ma per quella c’è sempre tempo. Per l’ergastolano<br />
ostativo il carcere è un cimitero e la cella una tomba.<br />
Ai ragazzi, direi: Non fatevi condizionare dai mass media. L’ex Presidente<br />
della Repubblica Sandro Pert<strong>in</strong>i che <strong>in</strong> galera passò lunghi anni<br />
diceva spesso: – Ricordatevi quando avete a che fare con un detenuto,<br />
che molte volte avete davanti una persona migliore di quanto<br />
non lo siete voi.<br />
LUIGI PECICCIA. Ma tutte le belle parole che si possono usare rimangono<br />
sempre parole. È difficile sradicare ciò che i media, la politica, e altre<br />
persone <strong>in</strong>culcano nella mentalità delle persone, specialmente nei<br />
giovani. Forse l’unico modo sarebbe quello di fare un paragone, con<br />
un errore che una persona compie nella vita e che solo per quell’errore<br />
venga classificato perpetuamente.<br />
L’ergastolo è una pena da elim<strong>in</strong>are dal Codice penale, che sia normale<br />
o ostativo. Lo Stato deve fare uno sforzo per recuperare le persone<br />
e restituirle migliorate alla società. Uno Stato che non riesce <strong>in</strong><br />
questo è uno Stato che non ha carattere, uno Stato debole.<br />
PASQUALE DE FEO. La storia ci <strong>in</strong>segna che uom<strong>in</strong>i e sistemi politici <strong>in</strong><br />
nome di un bene assoluto hanno istituzionalizzato leggi contrarie alla<br />
civiltà democratica; anche gli atti disumani di Stal<strong>in</strong> e Hitler erano<br />
avallati da leggi, ma questo non vuol dire che erano giusti.<br />
La politica odierna, aiutata dai media, per coprire i problemi, i loro<br />
fallimenti e il loro malaffare, <strong>in</strong>dirizzano sui detenuti un l<strong>in</strong>ciaggio mediatico,<br />
consapevoli che sono privi di difese. Anche l’ergastolo rientra <strong>in</strong><br />
questa ottica, e per di più viene prop<strong>in</strong>ato alla gente che l’ergastolo non<br />
si sconta perché è solo virtuale. Se non c’è perché non abolirlo?<br />
La rivoluzione francese abolì l’ergastolo e mantenne la pena di morte,<br />
perché ritenevano che l’ergastolo era disumano.<br />
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In Italia abbiamo abolito la pena di morte, anche quella militare; ci<br />
siamo adoperati aff<strong>in</strong>ché avvenga <strong>in</strong> tutto il mondo, e questo è molto<br />
meritorio per il popolo italiano e l’Italia.<br />
Dopo le stragi del 1992 e le leggi emergenziali, ci furono tre persone<br />
<strong>in</strong>dicate a vario titolo da pentiti di essere collusi con la camorra e<br />
cosa nostra siciliana: Andreotti, Scotti e Martelli, ne sono usciti puliti,<br />
come sempre lo sono personaggi del genere. Un povero cristo<br />
avrebbe preso non solo l’ergastolo, ma l’avrebbero murato vivo.<br />
Oggi si ritorna a dire che le stragi del 1992 furono stragi di Stato,<br />
con collusioni di politici al governo e i servizi segreti, una sorta di<br />
strategia della tensione come negli anni 1970. A pagare questa emergenza<br />
con ergastoli a pioggia e la figura dell’ergastolo ostativo, sono<br />
cent<strong>in</strong>aia di poveri cristi.<br />
Gli ergastolani sono gli ultimi schiavi della nostra era; non sarebbe<br />
umano avere un guizzo di civiltà e abolire questa arcaica sanzione <strong>in</strong>degna<br />
di un Paese che si ritiene la culla del diritto?<br />
Le persone cambiano, non possono mai rimanere sempre le stesse,<br />
ed è crim<strong>in</strong>ale pensare che non camb<strong>in</strong>o.<br />
Ci sono tanti ragazzi che sono stati arrestati a 18 anni, condannati<br />
all’ergastolo; Magistrati e Presidenti di Tribunali di Sorveglianza rigettano<br />
i benefici anche con la motivazione di non aver collaborato<br />
con la giustizia. Più che abitare <strong>in</strong> Italia sembra di vivere nell’ex Germania<br />
dell’Est: “Chi collaborava con la Stasi era un ottimo cittad<strong>in</strong>o,<br />
chi non collaborava era tutto il peggio”. L’Italia negli ultimi 20 anni<br />
sotto questo aspetto sta emulando l’ex Germania dell’Est che aveva<br />
creato “un popolo di delatori”.<br />
Paradossalmente sarebbe più umano ucciderci subito, così evitiamo<br />
di soffrire noi, le nostre famiglie ed è un risparmio per lo Stato.<br />
L’ergastolo è da elim<strong>in</strong>are perché disumano, come lo era l’ergastulum<br />
1 degli antichi romani.<br />
Chiudo con una citazione di Ignazio Silone: “La morte dura un attimo<br />
e richiede un coraggio momentaneo, l’ergastolo è un’esistenza”.<br />
1 Nel diritto romano, il term<strong>in</strong>e denotava lo stabilimento di lavoro dove veniva scontata<br />
la condanna ai lavori forzati.<br />
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Ancora una lettera dal buio<br />
Come può l’uomo pensare di appropriarsi della terra?<br />
Deve prendere coscienza che è solo un passeggero di transito, alimentato<br />
da un fragile alito di vita.<br />
La risorsa sociale dell’uomo che vive la condizione dell’ergastolo<br />
“ostativo”, è rappresentata dalle testimonianze, vere, s<strong>in</strong>cere; non è il<br />
comodo pentimento del Ca<strong>in</strong>o di turno che divora Abele. Per avere<br />
dei privilegi da una giustizia bugiarda.<br />
Dobbiamo ricordarci che siamo uom<strong>in</strong>i e sappiamo che non si vive<br />
di solo pane, ma anche di testimonianze di vita.<br />
Io sono stato represso per trenta anni nelle carceri speciali, mi è stato<br />
impedito di avere un’istruzione, sono stato costretto ad abbrutirmi<br />
ogni giorno di più con la repressione sadica del potere sbagliato dei<br />
governanti di turno.<br />
All’uomo che vive nella nostra società senza conoscere il proprio<br />
razzismo e si crede migliore di qualsiasi uomo, <strong>in</strong> qualsiasi luogo si<br />
trovi, gli dico che non ha capito nulla della vita, che si è chiuso dentro<br />
la sua bollic<strong>in</strong>a fragilissima di sapone.<br />
E non vuole conoscere il mondo che lo circonda.<br />
Per avere una collaborazione coi propri simili bisogna <strong>in</strong>iziare a non<br />
cancellare la luce dalle menti delle persone.<br />
È una vita che aspetto persone capaci, che sappiano farmi vedere la<br />
luce che c’è oltre il buio.<br />
180<br />
GIOVANNI FARINA
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APPENDICE
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Il diritto della pena<br />
e la collaborazione sociale di giustizia<br />
di Giuseppe Ferraro*<br />
Se con questo libro i detenuti hanno risposto sulla condizione della<br />
loro vita e sul perché non farsi collaboratori di giustizia, r<strong>in</strong>unciando<br />
ai benefici della Legge, bisognerebbe pure da questa posizione, dalla<br />
quale io stesso scrivo, domandarsi del perché di quelle condizioni e<br />
dell’ergastolo a “f<strong>in</strong>e pena mai”. Se questo è un libro di risposte, bisognerà<br />
pure, a leggerlo, farsi delle domande per rispondere <strong>in</strong> prima<br />
persona su questa assenza di libertà e sui diritti di giustizia.<br />
Il grado di democrazia di un Paese si misura dallo stato delle sue<br />
carceri e delle sue scuole, quanto le carceri saranno più scuole e<br />
quanto le scuole saranno meno carceri, tanto più alto sarà il livello di<br />
democrazia di uno Stato. Porta amarezza costatare i punti <strong>in</strong> comune,<br />
a com<strong>in</strong>ciare dal sovraffollamento, per arrivare alla mancanza di<br />
personale e strutture, per f<strong>in</strong>ire alla cosiddetta dispersione ed evasione<br />
scolastica. C’è poi quel rimando, che non è solo di metafora, tra<br />
<strong>in</strong>clusione e reclusione. Bisognerà allora mettere <strong>in</strong> discussione l’ord<strong>in</strong>e<br />
e i conf<strong>in</strong>i di riconoscimento, di clandest<strong>in</strong>ità e di devianza. I<br />
marg<strong>in</strong>i dell’ord<strong>in</strong>e sociale appaiono forse troppo stretti o forse ci<br />
sarà da chiedersi come sia possibile stare entro i marg<strong>in</strong>i della legalità<br />
quando si è emarg<strong>in</strong>ati. Ancora più <strong>in</strong>quietante è la difficoltà di<br />
dist<strong>in</strong>guere i conf<strong>in</strong>i di legale e illegale. La sicurezza sociale si coniuga<br />
al benessere. Fuori di un tale rapporto i costi della sicurezza, tra<br />
carceri, ord<strong>in</strong>i e controlli diventano <strong>in</strong>sostenibili e il diritto si separa<br />
dalla giustizia. Quando poi si nom<strong>in</strong>a la crim<strong>in</strong>alità “organizzata” bi-<br />
* Il professor Giuseppe Ferraro <strong>in</strong>segna Filosofia della morale all’Università di Napoli<br />
Federico II, e <strong>in</strong> carcere tiene corsi di filosofia. Ha <strong>in</strong>contrato molte delle persone<br />
che <strong>in</strong>tervengono <strong>in</strong> questo libro.<br />
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sogna riconoscere che si è di fronte a un problema di ord<strong>in</strong>e sociale.<br />
Co<strong>in</strong>volge tutti. Spesso <strong>in</strong> quell’“organizzata” si nom<strong>in</strong>a l’effetto di<br />
relazioni di comunità esposte alle degenerazioni perché rimaste senza<br />
società, poste fuori dalla mediazione istituzionale chiamata a garantire<br />
una comunità sociale e una società comune, dove ognuno è<br />
persona.<br />
Ed è questo il punto: che ne è <strong>in</strong> carcere della persona, quando il Diritto,<br />
nell’applicazione della pena, diventa disumano murando la Giustizia<br />
<strong>in</strong> un bl<strong>in</strong>dato. Anche il Diritto si educa. Si scrive. Si legge. Si fa<br />
Legge. Si fa leggere. Va <strong>in</strong>terpretato, di persona <strong>in</strong> persona, dal vivo.<br />
L’ermeneutica, scienza dell’<strong>in</strong>terpretazione, anche sul piano giuridico,<br />
è sapere di ascolto. Un detenuto non è sempre, e solo, quello che ha<br />
commesso un crim<strong>in</strong>e. Il suo delitto non può essere <strong>in</strong>dicato come la<br />
data su una tomba della vita. Immutabile. Scolpito sul marmo del<br />
proprio corpo. L’<strong>in</strong>terpretazione è relazione. L’educazione è relazione.<br />
La restituzione è racconto. Accade <strong>in</strong>vece che chi entri <strong>in</strong> carcere perda<br />
la sua storia. Come un disco rotto, la sorveglianza ripete l’ostatività<br />
al riconoscimento di ogni m<strong>in</strong>ima forma di resipiscenza e cambiamento.<br />
Potrà ferire la suscettibilità o apparire paradossale, e certo irriverente,<br />
ma l’ergastolo ostativo è come un’eutanasia rovesciata e ammessa.<br />
Si tiene <strong>in</strong> morte chi è <strong>in</strong> vita. La “persona” giuridica non può<br />
sottrarsi all’espressione di persona umana. Né l’umano può sottrarsi<br />
a ciò che non è umano perché sacro.<br />
Senza andare oltre, basta fermarsi all’ipocrisia di un Paese, il Nostro,<br />
che ha chiesto la moratoria per la pena di morte e cont<strong>in</strong>ua a mantenere<br />
il carcere a vita. Se si guarda poi alla condizione delle carceri nel<br />
cuore dell’Europa, lo scarto di democrazia è ancora più evidente. Accade<br />
allora che gli Stati Uniti denunc<strong>in</strong>o come tortura il 41bis e accade<br />
che il Brasile a ragione del rifiuto di un’estradizione ci ricorda il “f<strong>in</strong>e<br />
pena mai”. In fondo non è dissimile la vendetta del dente per dente<br />
con quella di vita per vita. In questione è la funzione della detenzione<br />
nell’ord<strong>in</strong>e della democrazia.<br />
Il carcere è lo specchio <strong>in</strong>franto della società. Quello <strong>in</strong> cui la democrazia<br />
s’<strong>in</strong>frange. F<strong>in</strong>o a quando la pena non sarà un diritto essa<br />
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stessa, la giustizia sarà sempre r<strong>in</strong>viata, a vita. Se la sentenza è espressione<br />
dell’ord<strong>in</strong>e del diritto, nella sua applicazione rischia ogni volta<br />
di essere <strong>in</strong>giusta. La sentenza è giusta di diritto solo quando la pena<br />
è essa stessa un diritto, quella per ogni persona condannata di ripensare<br />
la propria colpa, il proprio gesto e restituire se stesso alla società,<br />
restituendo <strong>in</strong> opera quel che ha sottratto alla società. Non si può immag<strong>in</strong>are<br />
altra forma di collaborazione di giustizia che non sia appunto<br />
espressione di una collaborazione di giustizia sociale. Accade<br />
<strong>in</strong>vece che il “pentimento” f<strong>in</strong>isca col diventare un mezzo di scambio,<br />
per cui si guadagna la propria libertà togliendola ad altri. L’Etica si rivolta,<br />
ed è paradossale, la dignità passa dall’altra parte, da chi non accetta<br />
di guadagnare la propria libertà <strong>in</strong>carcerando un altro cui è stato<br />
legato, un familiare o un amico o chi può nuocere amici e familiari.<br />
Bisognerà mettere nel numero dei motivi la perdita dell’identità.<br />
L’essere doppiamente <strong>in</strong>fame. La perdita del nome, della terra, della<br />
comunità. Ricordo un agente di polizia penitenziaria, gli feci la domanda<br />
su quale momento ricordasse come più difficile. Rispose raccontando<br />
del reparto dei pentiti. Erano degli “spioni”, regrediti a bamb<strong>in</strong>i<br />
pronti a richiamare l’attenzione della guardia ad ogni m<strong>in</strong>ima<br />
azione e gesto di altri. L’esasperazione massima di quello che è il clima<br />
carcerario: la diffidenza. Il carcere è l’accademia del sospetto.<br />
Nessuno crede al detenuto. Chi entra <strong>in</strong> carcere presto sviluppa un<br />
campo percettivo che <strong>in</strong>tercetta ogni m<strong>in</strong>imo, impercettibile, gesto<br />
che porta a connotare uno stato e un’<strong>in</strong>tenzione. Si è di fronte al crim<strong>in</strong>ale,<br />
al folle, al nemico. È come una rivista del male. Restano solo<br />
le regole. Rigide. Vuote, quando non sanno più di relazione. Lo si<br />
comprende presto <strong>in</strong> carcere come le regole senza relazioni siano vuote<br />
e come le relazioni senza regole siano selvagge e cieche. Non è dato<br />
separare regole e relazioni senza perdere con la sicurezza anche la pratica<br />
dell’educazione e della cura, di sé come dell’altro. Se si vuole mettere<br />
qualcuno <strong>in</strong> difficoltà bisogna dargli fiducia e chiamarlo ad essere<br />
all’altezza della propria dignità di rispettarla e restituirla. Il lavoro<br />
dell’agente di polizia penitenziaria è il più difficile, un corpo a corpo,<br />
senza mediazioni, senza relazioni, senza parole.<br />
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Siamo di fronte alla questione più importante della cultura della verità:<br />
la confessione cui segue il pentimento, la sua pena e il diritto. Occorre<br />
ripeterlo: il diritto alla pena non è un paradosso. F<strong>in</strong> quando la<br />
pena resta una punizione, non si potrà dire dell’educazione. Non ci<br />
sarà restituzione. Non ci sarà perciò Giustizia nel Diritto che non restituisce.<br />
Ho letto tante volte i libri di Agost<strong>in</strong>o, le Confessioni. Ne ho più di<br />
un’edizione tra i miei libri. Confesso, è il caso di scrivere, che non ne<br />
avevo compreso il senso f<strong>in</strong>o a quando non mi trovai di fronte Giuseppe.<br />
Mi chiese un colloquio personale, fuori del gruppo di classe del<br />
corso di filosofia. Non chiedo mai delle azioni personali, delle colpe e<br />
dei reati. Le persone sono chi e come sono nel loro volto, <strong>in</strong> presenza.<br />
Nel tempo <strong>in</strong> cui siamo gli uni con gli altri. Giuseppe volle quel colloquio.<br />
Con mia sorpresa, mi raccontò tutto quello che lo aveva portato<br />
<strong>in</strong> carcere. Non gli avevo chiesto niente. Giuseppe però sentiva il<br />
bisogno, doveva dirmi tutto quello che era stato. Capii allora il senso<br />
della confessione. Era per stare <strong>in</strong> una relazione di amicizia vera, per<br />
consegnarsi a quel che rappresentavo come regola di una relazione di<br />
verità. Tenermi nascosta la sua storia sarebbe stato come avermi <strong>in</strong>gannato<br />
e se io avessi smesso di <strong>in</strong>contrarlo come prima dopo il suo<br />
racconto, lo avrei <strong>in</strong>gannato. La nostra sarebbe stata una relazione<br />
strumentale, non vera, non educativa, non di cura. Non poteva nascondermi<br />
nulla, confessarsi equivaleva a liberarsi e consegnarsi ad<br />
un’espressione della regola di giustizia che si esprimeva nella relazione<br />
di amicizia segnata dalla filosofia. Senza <strong>in</strong>teresse. Di verità. Di<br />
esposizione. Sarebbe poi stato a me mantenere quella regola di relazione<br />
senza <strong>in</strong>frangerla e smentirla.<br />
Capii solo allora la verità delle Confessioni di Agost<strong>in</strong>o. Le scrisse per<br />
consegnarsi alla regola di relazione che imponeva la sua fiducia <strong>in</strong><br />
Dio. Senza, non avrebbe potuto sentirsi accettato né mantenere il legame<br />
di fede. Confessarsi è parlare apertamente con l’altro che ti<br />
ascolta e rilegarsi nella sua relazione assumendo la regola di amicizia<br />
e di fiducia. È come rilegarsi allo stesso modo di un libro, come le<br />
Confessioni, appunto, e trovarsi rilegato rispettando un ord<strong>in</strong>e di di-<br />
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scorso che chiunque può apertamente leggere e capire. Giuseppe ha<br />
poi scritto davvero un libro e non di evasione, ma della realtà che<br />
adesso rifiuta. Accade allora a Giuseppe di farsi espressione, <strong>in</strong> ogni<br />
momento, del rispetto delle regole e della legalità. È accaduto tante<br />
volte. Accade. Mariano mi confessò che nemmeno sapeva che ci fossero<br />
i diritti, lo ha capito <strong>in</strong> carcere. Prima c’erano solo le ragioni, che<br />
diventano poi cattive, quando non si traducono nella grammatica del<br />
diritto, diventavano vane e violente. Anche il diritto resta come una<br />
regola senza relazione, vuota, quando non è <strong>in</strong> grado di accogliere le<br />
ragioni.<br />
Mi sorprese quel giorno Carmelo, quando mi consegnò il testo del<br />
resp<strong>in</strong>gimento della sua richiesta di permesso. Vi erano elencate tutte<br />
le sue vicende giudiziarie. C’era anche il rilievo che non si era fatto<br />
pentito di giustizia, ovvero collaboratore di giustizia. Strano ancora,<br />
viene da scrivere, non si usa l’espressione “pentito”, ma quella di “collaboratore<br />
di giustizia”. Evidente. Non si tratta di pentimento, come<br />
possiamo <strong>in</strong>tenderlo nella sua parola, perché “collaboratore di giustizia”<br />
è chi porta notizia delle colpe di altri, di quanto altri stanno tramando<br />
o abbiano tramato. È difficile sentire la parola “pentimento”<br />
portata all’uso dello scambio di prigione. Che sia l’uno o l’altro il term<strong>in</strong>e,<br />
farsi pentito o collaboratore di giustizia <strong>in</strong> questo modo si espone<br />
la Giustizia, sul piano sociale almeno, a un paradosso, che è di fatto<br />
una contraddizione che ne m<strong>in</strong>a la funzione. Nello scambio di libertà,<br />
conseguente al pentitismo, può accadere di dar corso ad <strong>in</strong>giustizie<br />
<strong>in</strong>tollerabili sul piano sociale. La Giustizia <strong>in</strong> questi casi non si<br />
può confondere e appiattire sul dettato giuridico del Diritto. Non c’è<br />
giustizia senza restituzione sociale, senza un re<strong>in</strong>serimento nella comunità<br />
che porti ad una riconciliazione e una restituzione. Con pentitismo<br />
di giustizia si resta, purtroppo, su uno scambio di guerra. La<br />
resipiscenza autentica, il dolore autentico, non si barattano. Reclamano<br />
un cambiamento di senso della propria vita.<br />
Le persone che hanno scritto questo libro, quando sono entrate <strong>in</strong><br />
carcere, non sapevano scrivere. Hanno imparato a scrivere. Scrivendo<br />
si sono iscritte nel testo, si sono fatti soggetti dentro il codice della co-<br />
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municazione, dentro una grammatica che è l<strong>in</strong>guistica quanto sociale,<br />
rispettandone le regole per comunicare, per legarsi a chi leggendo<br />
può capire, ascoltare e domandare, chiedere a propria volta agli altri e<br />
a se stesso. La pena dovrebbe essere <strong>in</strong>nanzitutto questa, lo studio. La<br />
lettura e la scrittura, sarebbe come una pena che libera e che nell’educazione<br />
alla cura di sé rende ancora più sofferta la colpa commessa,<br />
aprendo spazi <strong>in</strong>teriori di libertà prima sconosciuti.<br />
Giuseppe mi disse di quando fu catturato. Messo <strong>in</strong> carcere, non sapeva<br />
come comunicare con i suoi. Non sapeva scrivere. Giuseppe<br />
adesso è laureato. Scrive. Ha una cultura sorprendente. Non è più<br />
quello che è stato. Si trova <strong>in</strong> difficoltà con gli stessi suoi compagni di<br />
ventura. È cambiato il suo l<strong>in</strong>guaggio, sono altre le parole che danno<br />
suono alla sua voce.<br />
Spesso mi chiedo se cont<strong>in</strong>uare a tenere i corsi di filosofia <strong>in</strong> carcere.<br />
Il sapere fa più male. Saper leggere e scrivere e parlare, l’educazione<br />
fa più male a ripensare ai propri errori. Mi sono abituato a ripetere<br />
che i nostri sbagli sono tutti errori di scrittura. Ortografici. Sbagliano<br />
quando non rientriamo nel diritto dei segni a comporsi nell’ord<strong>in</strong>e<br />
della comunicazione. Accade allora che ragione e diritto si separ<strong>in</strong>o.<br />
Accade di riconoscere le ragioni senza diritto di tanti che vivono<br />
nella marg<strong>in</strong>alità della città. Accade però anche di riflettere che<br />
bisogna tradurre le ragioni <strong>in</strong> diritto, ma questo è dare parola. E dare<br />
parola è ascoltare. E ascoltare è aprire l’ord<strong>in</strong>e dell’<strong>in</strong>clusione, estenderlo,<br />
modificarlo, renderlo capace di ben altro, del bene di tutti.<br />
Allora è opportuno fare i conti. Siamo alla presenza di una guerra<br />
data e non dichiarata. Non una guerra di un nemico esterno, nemmeno<br />
una guerra civile, nemmeno politica; siamo alla presenza di una<br />
guerra sociale. Chi la combatte lo fa per sopravvivere a discapito della<br />
vita degli altri che si pongono sulla stessa rotta fuori dalla strada<br />
delle regole. Si organizza contro altri organizzati per occupare un territorio<br />
di economia illegale. Non combatte contro lo Stato, danneggia<br />
lo Stato, lo offende, ne uccide anche i rappresentanti che non si lasciano<br />
conv<strong>in</strong>cere a lasciar andare le cose come vanno.<br />
Può ancora sorprendere, non più di tanto, che l’ergastolo ostativo,<br />
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ma non solo, comprende gente del Meridione. Vorrà anche significare<br />
che una “questione meridionale”, se ancora esiste, passa anche per<br />
la questione meridionale delle carceri.<br />
Ogni guerra ha la sua f<strong>in</strong>e. Prima o poi arrivano gli armistizi, i patteggiamenti.<br />
Le rese e le riconciliazioni, se si tratta di guerre <strong>in</strong>test<strong>in</strong>e.<br />
Anche l’esercito organizzato del terrorismo ha conosciuto fasi progressive<br />
f<strong>in</strong>o alla chiusura di pag<strong>in</strong>e di storia. Si può pensare a una riconciliazione,<br />
e comunque a una f<strong>in</strong>e, anche della storia della mafia?<br />
Sotto questo titolo “mafia” si comprende di certo più cose. Si comprende<br />
anche, e di più, una storia <strong>in</strong> atto, non f<strong>in</strong>ita, una pag<strong>in</strong>a che<br />
non si lascia ancora sfogliare. Ci sono però pag<strong>in</strong>e concluse. F<strong>in</strong>ite. Ci<br />
sono le pag<strong>in</strong>e di quanti scrivono questo libro che dicono di una storia<br />
che è f<strong>in</strong>ita. Il punto è questo.<br />
Pensare ad una riconciliazione sociale significa attivare dei percorsi<br />
di restituzione e riconciliazione. A partire dall’ammissione dei fatti di<br />
cui si è stati autori, da parte degli autori stessi. Significa impegnarsi<br />
sul piano dell’opera sociale di quanti si sono trovati ad essere autori<br />
di quelle “imprese”. Sarebbe auspicabile un <strong>in</strong>contro popolare con la<br />
gente del paese offeso, con la comunità che è la prima vittima dei danni<br />
che produce chi gli appartiene. Ci sono faide e lotte d’<strong>in</strong>teressi che<br />
co<strong>in</strong>volgono persone di una comunità che resta offesa e tradita nella<br />
sua <strong>in</strong>terezza, pagandone le responsabilità al prezzo dell’esclusione e<br />
della diffamazione, dell’emarg<strong>in</strong>azione.<br />
Si deve poter avviare un tale percorso. Accidentato quanto si vuole,<br />
ma formativo, restitutivo del senso di comunità negata.<br />
È la città che si fa scuola quando il grado di democrazia di un Paese<br />
viene elevato all’esigenza del benessere e della sicurezza di tutta la<br />
comunità. Non sarà solo un’opera di mediazione, ma un’opera di ricostruzione<br />
morale dell’unità del Paese, che ritrovi lo Stato come garante<br />
del rapporto di comunità e società, vale a dire di un comune<br />
sentire e di uno sviluppo economico comune.<br />
L’etica non è solo un’esigenza sociale, ma lo sviluppo organizzato<br />
di un percorso formativo. Chi ha scritto questo libro, aprendo il<br />
bl<strong>in</strong>dato della detenzione sulla pag<strong>in</strong>a della propria testimonianza<br />
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di vita negata è già su questo percorso. È già avanti. Bisogna che questo<br />
libro non venga chiuso, bisogna che non resti recluso a quanti,<br />
tutti, devono sentirsi chiamati a dare risposte ai tanti perché che, chi<br />
ha risposto alle domande poste dall’esterno, deve dare di quell’<strong>in</strong>ferno<br />
dell’<strong>in</strong>terno che è l’<strong>in</strong>ferno dell’ergastolo ostativo. Prima che<br />
pass<strong>in</strong>o con gli anni tante altre vite, prima che giunga dalla Comunità<br />
Europea l’<strong>in</strong>giunzione alla def<strong>in</strong>izione certa della pena, perché<br />
sia giusta e umana. La Costituzione del nostro Paese lo contempla,<br />
l’ord<strong>in</strong>amento penitenziario lo ribadisce, tranne che per un’emergenza<br />
che può f<strong>in</strong>ire solo quando la si dichiari f<strong>in</strong>ita operandone la<br />
sua conclusione sul piano della riconciliazione su terre bagnate dall’odio<br />
e non dal mare.<br />
C’è tanto da fare e con le persone che parlano da questo libro si è<br />
com<strong>in</strong>ciato già da troppo tempo a farlo, bisogna che si costituisca un<br />
fare comune, un’opera che impegni <strong>in</strong> un agire etico sociale ruoli di<br />
giustizia, religiosi, filosofi, esperti di settori specifici, operatori sociali,<br />
scuole, amm<strong>in</strong>istrazioni locali, garantendo la partecipazione a decisioni<br />
che valorizz<strong>in</strong>o luoghi e comunità del Paese negate e offese. Alla<br />
f<strong>in</strong>e della conoscenza c’è l’<strong>in</strong>nocenza.<br />
L’adagio popolare dice che l’<strong>in</strong>nocenza si perde e colpevoli si diventa.<br />
In una democrazia che salvaguarda il bene sociale della comunità<br />
perseguendo un processo formativo di restituzione e di riconciliazione<br />
diventa un impegno istituzionale promuovere ogni azione che<br />
porti a un rovesciamento dell’adagio popolare per affermare che la<br />
colpa si può perdere perché <strong>in</strong>nocenti si diventa.<br />
Conosco molte di quelle voci che qui si scrivono nel libro. Conosco<br />
i volti di queste voci. So pure della richiesta di qualcuno ad avere un<br />
colloquio, Sebastiano, che non è stato ancora concesso. E non per d<strong>in</strong>iego,<br />
ma per affollamento d’<strong>in</strong>combenza, e <strong>in</strong> questo caso, potrei<br />
scrivere per l’esitazione e il r<strong>in</strong>vio senza f<strong>in</strong>e che viene dalla natura di<br />
pena senza diritto.<br />
I detenuti sono <strong>in</strong> attesa di nulla. Quelli a “f<strong>in</strong>e pena mai” aspettano,<br />
senza aspettarsi nulla. Ed è una condizione impossibile e reale. Ho<br />
conosciuto detenuti <strong>in</strong> carcere da quarant’anni. Ne avevano poco più<br />
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o poco meno di venti quando sono entrati <strong>in</strong> carcere. Se li mettessero<br />
fuori del portone, riuscirebbero a mala pena a camm<strong>in</strong>are lungo la<br />
strada. Hanno movimenti ristretti, autistici.<br />
Le carceri, così come ancora sono, rappresentano un anacronismo<br />
storico nello sviluppo della democrazia <strong>in</strong> Europa. Così come sono<br />
somigliano a magazz<strong>in</strong>i di corpi ammassati e dimenticati.<br />
F<strong>in</strong> quando l’altro, il carcerato, sarà sempre “lo stesso”, f<strong>in</strong> quando<br />
sarà sempre “carcerato”, f<strong>in</strong> quando non avrà storia, racconto di sé,<br />
non potrà mai essere altro, non sarà mai un altro. Non potrà mai essere<br />
espressione, come ogni altro, dell’Altro, chi è più vic<strong>in</strong>o a Dio di<br />
me, scriveva un filosofo. L’altro è l’affaccio sulla vita, all’io si presenta<br />
come domanda sul senso del proprio essere quello che si è e dove e come<br />
si vive, qui, fuori, all’aperto, <strong>in</strong> un fuori soffocato da un dentro<br />
senza voce. L’altro recluso a f<strong>in</strong>e pena mai è più vic<strong>in</strong>o alla vita di<br />
quanto possa esserlo io che scrivo nella mia stanza. E penso alle stanze<br />
delle case dei detenuti, ai figli, a quella fila <strong>in</strong>diana che attraversa il<br />
cortile del carcere tra il cancello e il portone di ferro. Sono bamb<strong>in</strong>i,<br />
padri, madri, donne. In fila con gli occhi che si abbassano allo sguardo<br />
che cerca di avvic<strong>in</strong>arli con cura, perché confondono cura e paura,<br />
premura e castigo. Anche loro sono il carcere. Certe volte penso che<br />
f<strong>in</strong>gano una parte, quella di non voler sapere e capire.<br />
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Indice<br />
Prefazione di d. Luigi Ciotti ............................................................. 113<br />
Il mondo considera bene il bene Questo è il suo male ....................... 19<br />
Gli autori ...........................................................................................114<br />
Fermoimmag<strong>in</strong>e................................................................................ 25<br />
L’ergastolo ostativo............................................................................. 28<br />
Il pentimento, la collaborazione........................................................ 38<br />
La vita <strong>in</strong> carcere ................................................................................ 46<br />
La comunicazione .............................................................................. 63<br />
La famiglia, gli affetti, i compagni di carcere, gli amori .................. 67<br />
I permessi, i benefici .......................................................................... 90<br />
Insomma, quali diritti... .................................................................... 97<br />
La salute ............................................................................................ 102<br />
La rieducazione ................................................................................ 108<br />
Morire <strong>in</strong> carcere.............................................................................. 115<br />
L’op<strong>in</strong>ione pubblica ......................................................................... 124<br />
Il Perdono ......................................................................................... 134<br />
Uccidere ............................................................................................ 139<br />
Giustizia o vendetta? ........................................................................ 150<br />
Riflessioni sulla vita ......................................................................... 155<br />
Ricapitolando ................................................................................... 174<br />
Ancora una lettera dal buio............................................................. 180<br />
Appendice ........................................................................................ 181<br />
Il diritto della pena e la collaborazione sociale di giustizia<br />
di Giuseppe Ferraro........................................................................... 182
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eretica<br />
SPECIALE S T A M P A A L T E R N A T I V A<br />
direttore editoriale MARCELLO BARAGHINI<br />
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CONTRO IL COMUNE SENSO DEL PUDORE, CONTRO LA MORALE CODIFICATA,<br />
CONTROCORRENTE. QUESTA COLLANA VUOLE ABBATTERE I MURI EDITORIALI<br />
CHE ANCORA SEPARANO E NASCONDONO COLORO CHE NON HANNO VOCE.<br />
SIANO I MURI DI UN CARCERE O QUELLI, ANCORA PIÙ INVALICABILI<br />
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A CURA DI FRANCESCA DE CAROLIS<br />
URLA A BASSA VOCE<br />
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