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ARMI IN PUGNO 22_7_10 2-09-2010 11:53 Pag<strong>in</strong>a 1<br />
ARMI IN PUGNO<br />
di PINO CASAMASSIMA
ARMI IN PUGNO 22_7_10 2-09-2010 11:53 Pag<strong>in</strong>a 2<br />
PINO CASAMASSIMA giornalista e scrittore di lungo corso,<br />
collabora con la trasmissione “La storia siamo noi” di Giovanni<br />
M<strong>in</strong>oli. Autore teatrale, è stato op<strong>in</strong>ionista del network<br />
statunitense CBS e consulente per Rizzoli. Nella sua bibliografia<br />
compare una vent<strong>in</strong>a di titoli, tra cui Il libro nero delle Brigate<br />
Rosse (Newton&Compton), 68, l’anno che ritorna con Franco<br />
Piperno (Rizzoli) e Il sangue dei rossi. Morire di politica negli anni<br />
Settanta (Cairo). Ha <strong>in</strong>oltre curato Il dizionario della musica<br />
leggera (Le Lettere).<br />
© 2010 P<strong>in</strong>o Casamassima<br />
© 2010 <strong>Stampa</strong> Alternativa/Nuovi Equilibri<br />
Questo libro è rilasciato con licenza Creative Commons-Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia.<br />
Il testo <strong>in</strong>tegrale della licenza è <strong>disponibile</strong> all’<strong>in</strong>dirizzo http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/.<br />
L’autore e l’editore <strong>in</strong>oltre riconoscono il pr<strong>in</strong>cipio della gratuità del prestito bibliotecario e sono contrari a norme o<br />
direttive che, monetizzando tale servizio, limit<strong>in</strong>o l’accesso alla cultura. Dunque l’autore e l’editore r<strong>in</strong>unciano a riscuotere<br />
eventuali <strong>in</strong>troiti derivanti dal prestito bibliotecario di quest’opera. Per maggiori <strong>in</strong>formazioni, si consulti<br />
il sito «Non Pago di Leggere», campagna europea contro il prestito a pagamento <strong>in</strong> biblioteca .
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INTRODUZIONE<br />
La fame, la miseria, l’<strong>in</strong>digenza: altro che Nord Est<br />
dei tanti miracoli. Per decenni i veneti hanno<br />
dovuto lasciare le loro terre e raggiungere il Nuovo<br />
Mondo: quell’America che accoglieva anche<br />
lombardi e friulani, calabresi e pugliesi. Fughe di<br />
stomaci, non di cervelli. Nel suo libro Gli ultimi<br />
veneti, Gianfranco Cavall<strong>in</strong> sostiene che, tra le<br />
regioni del Nord, il Veneto ha subito i maggiori<br />
danni dall’unificazione d’Italia, della quale nel<br />
2011 si celebreranno i 150 anni. Cavall<strong>in</strong> può<br />
sostenere questa tesi perché, <strong>in</strong> effetti, prima del<br />
1861 il Regno Lombardo-Veneto era il più ricco e<br />
prosperoso della penisola, dopo quello delle due<br />
Sicilie. Nell’arco di dieci anni la situazione dei<br />
veneti precipitò drammaticamente: dal 1876 al<br />
1976, cento anni di storia italiana hanno registrato<br />
– <strong>in</strong> una regione che non ha mai superato i c<strong>in</strong>que<br />
milioni di abitanti – l’emigrazione di oltre tre<br />
milioni persone. Trevigiani e veronesi, padovani e<br />
vicent<strong>in</strong>i e veneziani scampati alla povertà<br />
provocata dall’Italia sabauda. Una nuova e<br />
drammatica situazione tratteggiata <strong>in</strong> una<br />
filastrocca che recitava: «Co San Marco comandava/<br />
se sisnava e se senava/ Soto Franza brava gente se<br />
disnava solamente/ Soto casa de Lorena non se<br />
disna e no se sena/ Soto casa de Savoia de magnar<br />
te ga voja».<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
Il dopoguerra era stato caratterizzato da Porto<br />
Marghera, il polo chimico dest<strong>in</strong>ato a diventare uno<br />
dei siti produttivi più importanti d’Europa, ma, a<br />
partire dagli anni Ottanta, la decadenza della<br />
grande <strong>in</strong>dustria fu compensata da un<br />
esponenziale <strong>in</strong>cremento di piccole imprese. Questa<br />
rivoluzione determ<strong>in</strong>ò <strong>in</strong> breve tempo una crescita<br />
economica formidabile della regione, f<strong>in</strong>o ad<br />
assegnarle il primato economico non solo <strong>in</strong> Italia,<br />
ma <strong>in</strong> tutta Europa, tanto da mutare il Veneto da<br />
terra di emigrazione a terra di immigrazione.<br />
Nell’arco di pochi decenni, il Veneto era dunque<br />
passato dalla miseria alla ricchezza. Nuove<br />
generazioni crescevano <strong>in</strong> un’opulenza senza<br />
memoria, mentre esplodevano <strong>in</strong>evitabilmente<br />
contraddizioni dest<strong>in</strong>ate ad avere <strong>in</strong>quietanti<br />
riverberi politici di natura eversiva e sovversiva.<br />
Ecco perché non raccontiamo solo storie di<br />
crim<strong>in</strong>ali, ma anche di brigatisti, neofascisti e<br />
mafiosi: non mafiosi “importati” dalle regioni del<br />
Sud, Sicilia <strong>in</strong> primis, ma autoctoni con tanto di<br />
nome, come “la mafia del Brenta”. Basta pensarci<br />
per non meravigliarsi. Per non stupirsi che sul<br />
territorio di una regione passata dalla miseria al<br />
primato economico poteva solo germogliare<br />
un’associazione a del<strong>in</strong>quere con tutti i connotati<br />
mafiosi al loro posto. Così come non potevano che<br />
trovare “naturale” sviluppo eccentricità politiche<br />
pericolosissime e devastanti, come i terrorismi di<br />
diversa natura e colore. Nella terra politicamente<br />
“bianca” per eccellenza, hanno così trovato acqua<br />
<strong>in</strong> cui nuotare non solo piovre mafiose, ma anche<br />
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pesci rossi delle Brigate Rosse e seppie plumbee dei<br />
vari ord<strong>in</strong>i nuovi e neri. Tutto ciò contestualmente,<br />
contemporaneamente e specularmente a una<br />
crim<strong>in</strong>alità comune f<strong>in</strong>ita sui giornali con episodi<br />
assolutamente <strong>in</strong>editi per ferocia e amoralità.<br />
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I ROSSI<br />
OPERAZIONE TRAMONTO: E IL VENETO SI RITINSE<br />
DI ROSSO BRIGATISTA<br />
Gald<strong>in</strong>o è <strong>in</strong> pensione da quasi c<strong>in</strong>que anni. Da quando<br />
ha smesso di lavorare, si alza con comodo, ma mai troppo<br />
tardi, e dopo aver fatto colazione con la Rita esce di<br />
casa e <strong>in</strong> pochi m<strong>in</strong>uti raggiunge l’edicola di viale delle<br />
Grazie. Lui abita <strong>in</strong> via Friburgo. Due passi. Prende “Il<br />
Matt<strong>in</strong>o”, il suo giornale da sempre, e poi va al bar, dove<br />
lo aspettano D<strong>in</strong>o, Raniero e il Carletto, il suo ex-collega,<br />
anche lui <strong>in</strong> pensione, ma da più anni, almeno una dec<strong>in</strong>a.<br />
Due commenti sulle notizie del giorno e poi, via con<br />
la briscola. Quella matt<strong>in</strong>a però le discussioni erano state<br />
più lunghe del solito. Sì, perché D<strong>in</strong>o aveva <strong>in</strong>iziato a<br />
pontificare sulle differenze fra la vecchia e la nuova 500,<br />
lanciata sul mercato proprio il giorno prima con una mess<strong>in</strong>scena<br />
spettacolare organizzata dalla FIAT sul Po, ma<br />
poi aveva troncato subito quell’argomento mettendone<br />
sul piatto uno ben più serio: gli arresti avvenuti lì, a Padova.<br />
«Brigatisti».<br />
«Padovani».<br />
«Padovani…».<br />
Il 6 luglio 2007 Padova s’era <strong>in</strong>fatti svegliata con un <strong>in</strong>cubo<br />
che arrivava da lontano, da quando «la città del<br />
Santo» s’era trovata al centro di trame eversive e sovversive.<br />
Un <strong>in</strong>cubo che sembrava non dover più tornare.<br />
E <strong>in</strong>vece… Invece erano stati arrestati due padovani<br />
con l’accusa di appartenere alle nuove Brigate Ros-<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
se 1 . Un’altra volta, le nuove Brigate Rosse. Nuove erano<br />
state anche quelle della Lioce, quelle che avevano ammazzato<br />
Massimo D’Antona e Marco Biagi 2 . Adesso ce<br />
n’erano ancora di “nuove”.<br />
«E chi sono questi padovani», aveva chiesto D<strong>in</strong>o. «Il<br />
c<strong>in</strong>quantaduenne Andrea Tonello, detto Zebb, e Giuseppe<br />
Simonetto, che di anni ne ha solo 19», aveva letto a<br />
voce alta Gald<strong>in</strong>o dal giornale. «L’accusa a loro carico è di<br />
concorso esterno <strong>in</strong> banda armata e associazione terroristica,<br />
mentre il troncone dell’<strong>in</strong>chiesta è quello partito il<br />
12 febbraio scorso e che aveva portato all’arresto di qu<strong>in</strong>dici<br />
persone pronte a colpire una sede dell’Eni, il giuslavorista<br />
Piero Ich<strong>in</strong>o, l’abitazione milanese di Silvio Berlusconi,<br />
oltre alla redazione del quotidiano “Libero”: azione<br />
prevista prima di Pasqua».<br />
Quando aveva smesso di leggere, gli amici avevano guardato<br />
Gald<strong>in</strong>o come fosse uno scolaro che non aveva f<strong>in</strong>ito i<br />
compiti. Così era andato avanti e dalle pag<strong>in</strong>e del giornale<br />
erano arrivate le altre <strong>in</strong>formazioni. Agli arresti di Padova –<br />
spiegava “Il Matt<strong>in</strong>o” – si era giunti anche grazie alle dichiarazioni<br />
di uno degli arrestati di febbraio, Valent<strong>in</strong>o Ross<strong>in</strong>.<br />
A febbraio, oltre c<strong>in</strong>quecento poliziotti avevano preso parte<br />
a un’operazione condotta dalle questure di Milano, Tor<strong>in</strong>o<br />
e della stessa Padova che aveva portato all’arresto di<br />
qu<strong>in</strong>dici persone accusate di banda armata: di appartenere<br />
1. Il 6 luglio 2007 f<strong>in</strong>iscono <strong>in</strong> carcere i padovani Andrea Tonello, detto Zebb, 52 anni, e Giuseppe<br />
Simonetto, 19 anni, il primo iscritto alla Cisl, il secondo vic<strong>in</strong>o (secondo gli <strong>in</strong>vestigatori) al Pcdl di<br />
Marco Ferrando e ambedue attivisti del centro sociale “Gramigna”. Questi nuovi arresti allungano la<br />
lista dei presunti militanti dell’organizzazione riconducibile alle vecchie Brigate Rosse Seconda<br />
Posizione. Il 12 febbraio, un’operazione di polizia fra Veneto, Lombardia e Piemonte aveva fatto scattare<br />
le manette attorno ai polsi di qu<strong>in</strong>dici persone.<br />
2. Massimo D’Antona, consulente del M<strong>in</strong>istero del Lavoro del governo D’Alema, fu ucciso il 20 maggio<br />
1999 a Roma. Marco Biagi, che svolgeva la stessa funzione nel governo Berlusconi, fu assass<strong>in</strong>ato il 19<br />
marzo 2002 a Bologna. A compiere i due omicidi, le nuove BR-PCC fra i cui leader spiccava Nadia<br />
Desdemona Lioce.<br />
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cioè alle Brigate Rosse. «Nuove», s’<strong>in</strong>tende. Ora, la storia si<br />
ripeteva con questi nuovi arresti.<br />
Da quel che diceva il giornale, Andrea Tonello, 52 anni,<br />
era accusato di essere stato presente alla collocazione di<br />
armi <strong>in</strong> un casolare nel padovano, oltre ad avere ospitato<br />
nella propria abitazione Lat<strong>in</strong>o e Ghirardi, due degli arrestati<br />
di febbraio. Giampiero Simonetto, che di anni ne denunciava<br />
<strong>in</strong>vece solo 19, si sarebbe reso <strong>disponibile</strong> ad<br />
acquistare munizioni nuove. Fra le armi r<strong>in</strong>venute nel padovano,<br />
una mitraglietta Skorpion, una pistola Sig Sauer<br />
e una carab<strong>in</strong>a W<strong>in</strong>chester provenienti dalla storica colonna<br />
milanese del partito armato, la Walter Alasia 3 : segno<br />
di una cont<strong>in</strong>uità che faceva sbiadire la qualifica di<br />
“nuove” alle attuali Brigate Rosse. A confermare che<br />
quelle armi appartenevano alla Walter Alasia, era stato<br />
Calogero Diana, brigatista condannato all’ergastolo anche<br />
per l’omicidio del maresciallo Francesco Di Cataldo 4 .<br />
Nomi e sigle che <strong>in</strong>somma riportavano <strong>in</strong>dietro le lancette<br />
della storia. Di oltre un quarto di secolo. Cioè, un tempo<br />
precedente alla nascita di quel ragazzo che, a 19 anni,<br />
s’era ritrovato con l’accusa di partecipazione a banda armata<br />
contro i poteri costituiti dello Stato.<br />
Un’altra “Aurora” brigatista<br />
Dopo l’arresto di Mario Moretti ed Enrico Fenzi, avvenuto<br />
a Milano il 4 aprile 1981 mentre tentavano di ricucire<br />
lo strappo con la colonna milanese della Walter Alasia,<br />
s’erano formate due correnti pr<strong>in</strong>cipali <strong>in</strong> seno alle BR:<br />
3. La colonna milanese delle Brigate Rosse era stata dedicata a Walter Alasia, militante ventenne morto <strong>in</strong><br />
uno scontro a fuoco con la polizia avvenuto nella sua abitazione di Sesto San Giovanni il 15 dicembre 1976.<br />
4. Maresciallo degli agenti di custodia del carcere milanese di San Vittore, Francesco Di Cataldo fu<br />
ucciso dalle Brigate Rosse il 20 aprile 1978, a poco più di un mese dal sequestro di Aldo Moro.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
una “movimentista” (BR – Partito della Guerriglia), <strong>in</strong> l<strong>in</strong>ea<br />
col fronte delle carceri e con la colonna napoletana<br />
guidata da Giovanni Senzani, e una “militarista” (BR –<br />
Partito Comunista Combattente), con a capo Barbara<br />
Balzerani. Con la cattura di Senzani nel 1982 – e la conseguente<br />
disgregazione del Partito della Guerriglia – e<br />
con la dissoluzione della Walter Alasia, erano rimaste sulla<br />
scena solo le BR-PCC. Nell’autunno del 1984, però, all’<strong>in</strong>terno<br />
dell’ala militarista, le tensioni <strong>in</strong>iziate tre anni<br />
prima avevano provocato una nuova scissione che aveva<br />
dato orig<strong>in</strong>e da un lato alle Brigate Rosse per l’Unione dei<br />
Comunisti Combattenti o BR-UCC, e dall’altro alla cosiddetta<br />
ala movimentista o “Seconda Posizione”, contrapposta<br />
alla “Prima Posizione” assunta dall’ala militarista,<br />
cioè le BR-PCC.<br />
L’ala movimentista, e qu<strong>in</strong>di le UCC, si porranno <strong>in</strong> azione<br />
soprattutto tenendo conto delle battaglie s<strong>in</strong>dacali. Gli<br />
ultimi fuochi erano stati del 1988, con l’uccisione del professor<br />
Roberto Ruffilli 5 . Poi, per oltre dieci anni non era<br />
più accaduto nulla, f<strong>in</strong>ché nel ’99 i brigatisti avevano colpito<br />
Massimo D’Antona e, nel 2002, Marco Biagi. Responsabili<br />
le BR-PCC della Lioce, legate alla “Prima Posizione”<br />
(ala militarista). Dopo l’annientamento di questo ennesimo<br />
troncone brigatista, era sceso nuovamente il silenzio.<br />
La guerra, questa volta, sembrava davvero f<strong>in</strong>ita. E <strong>in</strong>vece<br />
no, perché il 14 ottobre del 2004 “Panorama” aveva<br />
presentato <strong>in</strong> esclusiva i primi due numeri del “Foglio di<br />
propaganda per la costruzione del Partito Comunista Politico-Militare”<br />
chiamato “Aurora”, che rappresentavano<br />
5. Roberto Ruffilli fu ucciso nella sua casa forlivese da un commando delle Brigate Rosse il 16 aprile<br />
1988. Senatore democristiano ed esperto di riforme istituzionali, Ruffilli era uno stretto collaboratore di<br />
Ciriaco De Mita, il cui governo si era <strong>in</strong>sediato solo pochi giorni prima.<br />
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una sorta di manifesto per la r<strong>in</strong>ascita della lotta armata<br />
nel Nord Italia. Come riferimento, non c’erano però le ultime<br />
BR, quelle della Nadia Desdemona Lioce e Mario Galesi<br />
ormai sconfitte, bensì quelle di “Seconda Posizione”,<br />
secondo le quali la guerra rivoluzionaria <strong>in</strong> Italia andava<br />
centrata <strong>in</strong> modo essenziale, ma non esclusivo, sulla lotta<br />
armata. Per gli <strong>in</strong>vestigatori, i punti di partenza dei<br />
nuovi brigatisti potevano nascondersi dietro due sigle<br />
<strong>in</strong>edite milanesi – il Fronte rivoluzionario per il comunismo<br />
e i Nuclei comunisti rivoluzionari – e si sarebbero<br />
ispirati all’attività della Walter Alasia: quella del s<strong>in</strong>dacalismo<br />
armato, dello scontro nelle fabbriche e <strong>in</strong> tutti i<br />
luoghi di lavoro.<br />
Proseliti nel Veneto<br />
Quando si parla di Brigate Rosse, spesso si pensa erroneamente<br />
a un’entità monolitica, mentre dagli <strong>in</strong>izi degli<br />
anni Ottanta non era più così. Nel corso di quegli anni,<br />
<strong>in</strong>fatti, le BR subirono una serie di scissioni e ricomposizioni,<br />
f<strong>in</strong>o alla suddivisione <strong>in</strong> due filoni pr<strong>in</strong>cipali: militaristi<br />
e movimentisti.<br />
I “militaristi” avevano dato vita alle BR-PCC, delle quali il<br />
gruppo della Lioce e di Galesi erano stati gli ultimi eredi.<br />
Gli altri, <strong>in</strong>vece, erano rimasti <strong>in</strong> disparte per dare nuova<br />
vita alle BR con una l<strong>in</strong>ea molto differente rispetto al<br />
gruppo Lioce-Galesi. L<strong>in</strong>ea che <strong>in</strong>tendeva radicare il progetto<br />
sovversivo all’<strong>in</strong>terno delle lotte sociali e i movimenti<br />
di massa, f<strong>in</strong>o a ipotizzare un doppio livello: azione<br />
legale-clandest<strong>in</strong>a e opera di proselitismo. Nel documento<br />
di “Aurora” era ipotizzata la costituzione di cellule<br />
rivoluzionarie <strong>in</strong> ogni s<strong>in</strong>gola fabbrica. Se cioè i “militaristi”<br />
<strong>in</strong>terpretavano fortemente il loro ruolo di avan-<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
guardia, i “movimentisti”, al contrario, volevano far crescere<br />
il sentimento rivoluzionario tra le masse popolari<br />
partendo dal basso: una visione, per quanto settaria, meno<br />
“ortodossa” rispetto al gruppo “militarista” e potenzialmente<br />
<strong>in</strong> grado di raccogliere più consensi, soprattutto<br />
se il sentimento antimperialista (altro possibile collante<br />
rivoluzionario) si fosse ulteriormente rafforzato.<br />
Il gruppo sgom<strong>in</strong>ato a febbraio e i due arrestati di Padova<br />
facevano parte proprio di questo troncone, cioè dell’ala<br />
movimentista, potenzialmente più pericolosa, perché<br />
– contrariamente a quella “militarista”, del tutto isolata<br />
– era fortemente radicata nelle realtà della fabbrica,<br />
del lavoro precario, del s<strong>in</strong>dacato, dei centri sociali. E il<br />
Veneto, come la Lombardia e il Piemonte, era una regione<br />
“privilegiata” per fare proseliti: le stesse BR-PCC della<br />
Lioce avevano tentato di agganciare alcune realtà sovversive<br />
del Nord Est, come i Nuclei territoriali antimperialisti.<br />
Nei file cancellati e poi recuperati dalla polizia<br />
postale <strong>in</strong> casa di C<strong>in</strong>zia Banelli, la brigatista “pentita”<br />
del gruppo della Lioce, erano stati trovati due documenti<br />
che gli <strong>in</strong>vestigatori avevano attribuito ai Nuclei territoriali<br />
antimperialisti del Nord Est, a testimonianza di un<br />
dibattito <strong>in</strong> corso f<strong>in</strong>alizzato ad allargare la base di adesioni<br />
e di militanti delle BR-PCC nel triveneto. Tentativo<br />
poi però abortito con la sconfitta subita nel 2003, ma andato<br />
a buon f<strong>in</strong>e per l’ala movimentista, che nel frattempo<br />
era penetrata <strong>in</strong> questo territorio f<strong>in</strong>o a fare di Padova<br />
una base logistica importante, <strong>in</strong> attesa di identificare<br />
gli elementi sovversivi presenti nel movimento contestativo<br />
che si stava sviluppando a Vicenza per l’allargamento<br />
della base NATO Dal Mol<strong>in</strong>.<br />
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“L’INCIDENTE” DI PADOVA:<br />
IL PRIMO OMICIDIO DELLE BRIGATE ROSSE<br />
Se nel terzo millennio Padova si era ritrovata al centro<br />
dell’<strong>in</strong>teresse degli <strong>in</strong>quirenti per l’ennesima riorganizzazione<br />
delle Brigate Rosse, molti anni prima, precisamente<br />
nel 1974, proprio lì si era consumato il primo omicidio<br />
brigatista. Era <strong>in</strong>fatti il 17 giugno, quando Giuseppe Mazzola<br />
e Graziano Giralucci erano stati uccisi nella sede del<br />
Movimento Sociale Italiano.<br />
Era appena trascorso un mese dal rilascio del giudice genovese<br />
Mario Sossi, liberato dalle BR sano e salvo alla f<strong>in</strong>e<br />
di un lungo e tormentato braccio di ferro con lo Stato, che<br />
aveva dato alla banda armata comunista l’immag<strong>in</strong>e di<br />
banditi gentiluom<strong>in</strong>i, di coloro che erano riusciti a mettere<br />
<strong>in</strong> scacco le forze dell’ord<strong>in</strong>e e a dividere drammaticamente<br />
quelle politiche senza spargere una sola goccia di<br />
sangue. Il rapimento aveva generato immediatamente due<br />
fronti: quello della trattativa e quello dell’<strong>in</strong>transigenza<br />
(come avverrà quattro anni dopo con Moro). Posizioni <strong>in</strong>conciliabili<br />
e perdenti: alla f<strong>in</strong>e, a v<strong>in</strong>cere saranno solo le<br />
BR, che offriranno all’op<strong>in</strong>ione pubblica l’<strong>in</strong>carnazione di<br />
novelli Rob<strong>in</strong> Hood <strong>in</strong> un’escalation di azioni <strong>in</strong> cui non solo<br />
nessuno era morto, ma addirittura senza feriti. F<strong>in</strong>o a<br />
quel momento, f<strong>in</strong>o alla tragedia di Padova, le Brigate Rosse<br />
avevano compiuto solo gesti dimostrativi contro macch<strong>in</strong>e<br />
e fabbriche, ma anche di una certa audacia e consistenza<br />
penale, come i diversi sequestri lampo di capi e capetti<br />
messi a segno su segnalazioni provenienti dall’<strong>in</strong>terno<br />
delle stesse fabbriche. Ora però quei due omicidi denunciavano<br />
un tragico salto di qualità del partito armato:<br />
una nuova fase <strong>in</strong> cui nulla sarebbe più stato come prima.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
Vedi alla voce “Primavalle”<br />
Contrariamente a quanto era sempre accaduto, questa<br />
volta le BR non avevano rivendicato l’azione, col risultato<br />
che nelle ventiquattro ore successive (cioè f<strong>in</strong>o all’assunzione<br />
di responsabilità) si era scatenata una ridda di ipotesi<br />
che andavano dalle “fantomatiche Brigate Rosse” 6 alle<br />
piste nere, f<strong>in</strong>o al delirio di un regolamento di conti tra<br />
fascisti. Insomma, le stesse congetture funamboliche e<br />
colpevolmente demenziali avanzate un anno prima con il<br />
rogo di Primavalle 7 , dove due figli di un miss<strong>in</strong>o erano<br />
morti carbonizzati nella loro abitazione. Anche <strong>in</strong> quell’occasione<br />
c’era stato chi – e non certo l’ultimo qualunquista<br />
che passava per strada, ma fior di <strong>in</strong>tellettuali –<br />
aveva avallato la tesi “<strong>in</strong>terna”: cioè che i Mattei avessero<br />
dato fuoco al loro appartamento per far ricadere la<br />
colpa sull’ultras<strong>in</strong>istra, non valutando bene l’impossibilità<br />
di controllare il fuoco e di mettere al riparo tutti i componenti<br />
di una famiglia numerosa. In <strong>alternativa</strong> si diceva<br />
che fossero stati puniti da una faida fascista. Insomma,<br />
come con Primavalle, anche dopo gli omicidi di Padova<br />
erano andati <strong>in</strong> scena stupidari di vario genere e <strong>in</strong><br />
malafede. Il sipario sulle diverse speculazioni era calato<br />
solo quando, f<strong>in</strong>almente, le BR avevano diffuso un comu-<br />
6. F<strong>in</strong>o al sequestro del giudice genovese Mario Sossi, la vera natura delle Brigate Rosse era messa <strong>in</strong><br />
dubbio da più parti. Anche sulla stampa della s<strong>in</strong>istra storica (“L’Unità” e “L’Avanti”) e di quella<br />
“nuova” (“Il Manifesto”, “Lotta cont<strong>in</strong>ua”) erano qualificate come “fantomatiche”, “sedicenti” o<br />
“cosiddette”, se non come veri e propri provocatori, oppure fascisti travestiti o ancora creazioni di<br />
servizi segreti italiani o stranieri.<br />
7. Nella notte del 16 aprile 1973 un rogo sviluppatosi con benz<strong>in</strong>a sparsa sotto la porta<br />
dell’appartamento di Mario Mattei, segretario della sezione miss<strong>in</strong>a del quartiere romano di Primavalle,<br />
uccise due dei suoi sei figli: Virgilio, di 22 anni, e Stefano, di 10. I responsabili – che sul selciato<br />
avevano lasciato una rivendicazione a firma “Brigata Tanas” – saranno identificati <strong>in</strong> Mar<strong>in</strong>o Clavo,<br />
Manlio Grillo e Achille Lollo. Si vedano: Ritratto di un terrorista da giovane di Valerio Morucci (Piemme,<br />
1999), Primavalle, <strong>in</strong>cendio a porte chiuse (Savelli, 1974) e le <strong>in</strong>tervista ad Achille Lollo sul “Corriere<br />
della Sera” del 10 febbraio 2005, a Franco Piperno su “La Repubblica” del 13 febbraio 2005 e a Manlio<br />
Grillo su “La Repubblica” del 17 febbraio 2005.<br />
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nicato <strong>in</strong> cui si assumevano la responsabilità del duplice<br />
omicidio, pur precisando che comunque quelle morti non<br />
volute, erano la tragica conseguenza della reazione <strong>in</strong>consulta<br />
dei due miss<strong>in</strong>i.<br />
Renato Curcio: «Non posso che ribadire quanto detto più<br />
volte e cioè che ciò che accadde a Padova quel giorno<br />
non fu affatto voluto. L’azione di via Zabarella non aveva<br />
niente a che vedere con ciò che le BR stavano facendo,<br />
non rientrava nei nostri piani. Noi ormai puntavamo al<br />
“cuore dello Stato”, cioè alla Democrazia cristiana. Non<br />
solo i fascisti non ci <strong>in</strong>teressavano più perché non li ritenevamo<br />
realmente pericolosi, ma anzi contestavamo a<br />
quelle frange del movimento ancora impegnate nel cosiddetto<br />
“antifascismo militante”, di essere assolutamente<br />
fuori rotta, imbevute di una cultura postbellica tutto<br />
sommato di comodo, arretrata e mascheratrice. Non a<br />
caso, proprio perché non ci apparteneva, fu forte la tentazione<br />
di non rivendicare l’episodio» 8 .<br />
Da parte sua, Mario Moretti dichiarerà: «Non era mai<br />
morto nessuno nelle nostre azioni, ma chiunque non<br />
stesse nelle nuvole sapeva che poteva succedere e che<br />
avrebbe modificato la nostra collocazione. E malauguratamente,<br />
con Padova, lì ci trovavamo. Ne discutemmo.<br />
Considerai un opportunismo <strong>in</strong>tollerabile far f<strong>in</strong>ta di<br />
niente. E pericoloso: cullarsi nell’illusione che stessimo<br />
spensieratamente giocando una partita della quale non<br />
sapevamo valutare le conseguenze. Cambiammo il volant<strong>in</strong>o<br />
proposto dalla colonna del Veneto e rivendicammo<br />
l’azione spiegando quel che era avvenuto. Non è che la<br />
lotta armata ci stava prendendo la mano, si manifestava<br />
8. Dichiarazione resa all’autore.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
per quello che è: una lotta dove si muore. Negli anni successivi<br />
sospendemmo ogni attività nel Veneto e ci ritornammo<br />
soltanto nel ‘78» 9 . Insomma, un <strong>in</strong>cidente.<br />
Morire di politica<br />
Ma Giralucci e Mazzola non erano due “<strong>in</strong>cidenti”. Erano<br />
due persone col loro lavoro, i loro affetti, le loro idee. Anche<br />
politiche. Ed era proprio questa la loro “colpa”: quella<br />
di avere una propria identità politica e, peggio, di praticarla<br />
<strong>in</strong> un periodo <strong>in</strong> cui morire di politica era un’eventualità<br />
all’ord<strong>in</strong>e del giorno. Per Mazzola e Giralucci, questa<br />
nefasta “eventualità” si era concretizzata la matt<strong>in</strong>a<br />
del 17 giugno 1974 fra le 9.30 e le 10, quando al numero<br />
24 di via Zabarella che ospitava la sede dell’MSI-DN di Padova<br />
era arrivato un commando brigatista per una “perquisizione<br />
e acquisizione di documenti”: prassi ormai<br />
consueta e collaudata delle BR.<br />
Questa volta, però, qualcosa era andato storto, come<br />
confermerà la ricostruzione fatta <strong>in</strong> un’aula di giustizia<br />
da una componente del commando, Susanna Ronconi:<br />
Mart<strong>in</strong>o Seraf<strong>in</strong>i faceva il palo, Giorgio Semeria guidava<br />
l’auto, la stessa Ronconi era rimasta sulle scale <strong>in</strong> attesa<br />
dei documenti prelevati da mettere <strong>in</strong> una borsa, mentre<br />
Roberto Ognibene e Fabrizio Pelli erano entrati nella sede.<br />
La settimana prima, <strong>in</strong> visita di ricognizione si era<br />
presentato alla sede del MSI Ognibene che, dando generalità<br />
false e dichiarando la propria simpatia per il MSI, aveva<br />
annunciato la sua prossima iscrizione al partito. Penetrati<br />
dunque all’<strong>in</strong>terno del locali che avrebbero dovuto<br />
“perquisire” con tutta tranquillità perché teoricamente<br />
9 In Brigate rosse, una storia italiana, <strong>in</strong>tervista di Carla Mosca e Rossana Rossanda, Anabasi, 1994.<br />
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vuoti, Pelli e Ognibene s’erano trovati <strong>in</strong>vece <strong>in</strong>aspettatamente<br />
al cospetto di due persone: Graziano Giralucci e<br />
Giuseppe Mazzola, entrambi casualmente presenti nella<br />
sede del partito. Un imprevisto di fronte al quale i due<br />
brigatisti avevano reagito estraendo le pistole, una P38 e<br />
una 7,65 con silenziatore, ma Mazzola s’era avventato<br />
contro uno dei due, subito imitato da Giralucci, che però<br />
era stato colpito alla spalla, mentre Mazzola aveva ricevuto<br />
un colpo alla gamba destra. Poi erano stati f<strong>in</strong>iti entrambi<br />
con un colpo alla testa. La rivendicazione – <strong>in</strong> ritardo,<br />
come detto – arriverà con due volant<strong>in</strong>i fatti ritrovare<br />
<strong>in</strong> cab<strong>in</strong>e telefoniche a Padova e Milano, con una telefonata<br />
alla redazione padovana del quotidiano “Il gazzett<strong>in</strong>o”.<br />
Due vie per due vite<br />
Sedici anni dopo, l’11 maggio 1990, i giudici della Corte<br />
d’Assise di Padova avevano condannato i responsabili di<br />
quegli omicidi a queste pene: Roberto Ognibene a diciotto<br />
anni di reclusione, Susanna Ronconi e Giorgio Semeria<br />
a nove anni e sei mesi, Mart<strong>in</strong>o Seraf<strong>in</strong>i a sei anni, un mese<br />
e dieci giorni. Fabrizio Pelli era <strong>in</strong>tanto morto <strong>in</strong> carcere<br />
nel 1979 per leucemia. Contro la sentenza avevano presentato<br />
appello sia il pubblico m<strong>in</strong>istero che la difesa.<br />
Il processo di secondo grado si era aperto il 20 novembre<br />
1991 di fronte alla Corte d’Assise di Venezia e il 9 dicembre<br />
dello stesso anno Susanna Ronconi, Giorgio Semeria e Mart<strong>in</strong>o<br />
Seraf<strong>in</strong>i si erano visti convertire la condanna <strong>in</strong> concorso<br />
pieno <strong>in</strong> duplice omicidio rispetto al concorso anomalo<br />
del primo grado. Semeria e Ronconi avevano così ricevuto<br />
dodici anni di carcere, Seraf<strong>in</strong>i sette anni e sei mesi,<br />
mentre a Ognibene era stata confermata la pena di di-<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
ciotto anni: tutte pene <strong>in</strong>asprite, qu<strong>in</strong>di, rispetto al primo<br />
grado. Seraf<strong>in</strong>i aveva ottenuto la grazia nel luglio 1992, ma<br />
il 1° agosto era stato riarrestato per scontare due anni e<br />
mezzo di pena residua. Susanna Ronconi e Giorgio Semeria<br />
avevano poi usufruito della semilibertà, mentre Roberto<br />
Ognibene aveva goduto dei benefici dovuti alla legge sui<br />
dissociati ed era stato assunto dal Comune di Bologna.<br />
E le famiglie delle vittime All’epoca dei fatti, Piero, figlio<br />
di Giuseppe Mazzola, era stato assunto come assistente di<br />
diritto costituzionale all’Università di Padova dopo aver<br />
v<strong>in</strong>to il concorso <strong>in</strong> marzo. Quella matt<strong>in</strong>a stava facendo<br />
lezione <strong>in</strong> via del Santo quando il preside lo aveva avvertito<br />
che era accaduto qualcosa alla sede del Movimento Sociale,<br />
dove suo padre svolgeva mansioni di contabilità.<br />
«In pochi istanti sono arrivato al numero 24 di via Zabarella.<br />
C’era tanta gente, erano già sul posto mia sorella,<br />
mia madre e uno dei miei fratelli, che mi ha detto: “Hanno<br />
sparato a papà”. Abbiamo lasciato la mamma sul portone<br />
dello stabile e siamo saliti. Non dimenticherò mai la<br />
scena. Sullo scal<strong>in</strong>o davanti alla porta del partito c’era il<br />
corpo di Graziano, riverso, immobile. Poco più <strong>in</strong> là, dietro<br />
una scrivania, mio padre. Ricordo di avergli messo le<br />
mani <strong>in</strong>torno alla nuca e poi più niente: un senso di gelo<br />
assoluto <strong>in</strong> quella giornata calda. Soltanto a casa, dopo<br />
ore, mi sono accorto che avevo le mani piene di sangue.<br />
Ricordo quel gelo, come di ibernazione, che mi prende<br />
ancora quando ci penso, e lo sgomento, e l’angoscia, e<br />
mia madre che nella sua <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita tristezza non piange,<br />
perché non ha lacrime, e meccanicamente mette <strong>in</strong> ord<strong>in</strong>e<br />
le cose di mio padre, sì, per l’ultima volta...» 10 .<br />
10. Dichiarazione resa all’autore.<br />
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Giuseppe Mazzola aveva sessant’anni, era un carab<strong>in</strong>iere<br />
bergamasco <strong>in</strong> pensione. In Calabria, dove aveva prestato<br />
servizio agli <strong>in</strong>izi, aveva conosciuto e sposato Giuditta Caccia<br />
mettendo al mondo quattro figli. Poi tutta la famiglia si<br />
era trasferita a Padova nei primi anni Sessanta. Una volta<br />
<strong>in</strong> pensione, Mazzola aveva assunto, pur non avendo la tessera<br />
del partito, l’impegno di tenere la contabilità del Movimento<br />
Sociale. Quando l’ho <strong>in</strong>contrato, l’avvocato Piero<br />
Mazzola mi ha ribadito la sua ferma conv<strong>in</strong>zione che non si<br />
fosse trattato affatto di un <strong>in</strong>cidente, ma di un’azione preord<strong>in</strong>ata<br />
che prevedesse anche l’omicidio: «La ricostruzione<br />
da lei fatta (ne Il libro nero delle Brigate Rosse, N.D.A.)<br />
non è affatto rispondente alla verità. Glielo dice uno che ha<br />
seguito tutto l’iter giudiziario sia come vittima, sia come uomo<br />
di legge. Riveda le sue posizioni, Casamassima…» 11 .<br />
Graziano Giralucci aveva <strong>in</strong>vece 29 anni, lavorava come<br />
agente di commercio di articoli sanitari, era sposato con<br />
Bruna Vettorato ed era padre di una bamb<strong>in</strong>a di tre anni,<br />
Silvia.<br />
La giunta comunale di Padova, con delibera numero 3427<br />
del 12 novembre 1992, ha deciso di onorare la memoria<br />
di Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola con la denom<strong>in</strong>azione<br />
di due vie contigue nella zona di Altichiero. Due<br />
vie per due vite.<br />
IL FEROCE BIENNIO DEI PAC DI CESARE BATTISTI<br />
Dopo lo scioglimento di Potere Operaio al convegno di<br />
Rosol<strong>in</strong>a nel giugno del 1973, nei due anni successivi la<br />
11. Idem<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
maggioranza dei militanti veneti di questa organizzazione<br />
– ad eccezione delle sezioni di Venezia e Verona – avevano<br />
<strong>formato</strong> i Collettivi Politici del Veneto per il Potere<br />
Operaio (CPV). La loro azione di lotta si focalizzava pr<strong>in</strong>cipalmente<br />
sul precariato, <strong>in</strong>teso come forma-lavoro del<br />
nuovo ciclo produttivo, ed erano stati elaborati i concetti<br />
di “zona omogenea”, di “fabbrica diffusa” e di “territorio<br />
liberato”. Tra il 1977 e il 1978, il loro <strong>in</strong>tervento si era<br />
manifestato contro la ristrutturazione <strong>in</strong> fabbrica e contro<br />
le <strong>in</strong>frastrutture dell’università. Le azioni conseguenti<br />
erano stati i ferimenti del giornalista Antonio Granzotto<br />
– avvenuto ad Abano Terme il 7 luglio 1977 – e del direttore<br />
dell’Opera universitaria Giampaolo Mercanz<strong>in</strong> –<br />
compiuto a Padova il 20 ottobre dell’anno successivo.<br />
Numerosi erano stati anche i sabotaggi – come quelli<br />
compiuti il 30 giugno ’77 ai vagoni ferroviari della Zanussi-Rex<br />
– e gli attentati <strong>in</strong>cendiari, il più clamoroso dei<br />
quali era stato attuato il 30 ottobre ‘78 contro la sede dell’Ispettorato<br />
regionale veneto delle case di reclusione e<br />
pena di Padova. Dopo il convegno tenuto a Bologna nel<br />
settembre del ’77 dal Movimento che prenderà il suo nome<br />
proprio da quell’anno “rivoltoso”, i Collettivi Politici<br />
Veneti avevano promosso il Movimento Comunista Organizzato<br />
(MCO) che si prefiggeva il duplice compito di formare<br />
una forza politica nazionale (Autonomia Operaia<br />
Organizzata) e di concentrare l’attenzione sulla specificità<br />
territoriale. La cosiddetta “notte dei fuochi” era stata<br />
la conseguenza “naturale” di queste tesi che avevano attuato<br />
a livello locale il disegno politico del MCO: tra il 18 e<br />
il 19 dicembre 1978 erano state colpite la sede dell’Associazione<br />
Industriali di Schio, l’abitazione del presidente<br />
dell’Associazione Industriali di Rovigo, la sede dell’Inter-<br />
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s<strong>in</strong>d di Venezia, la sede dell’Associazione Industriali di<br />
Vicenza, la Federazione Regionale Industriali del Veneto<br />
a Mestre e <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e l’Associazione Artigiani di Rovigo. Nell’autunno<br />
di quello stesso anno era nato <strong>in</strong>tanto il giornale<br />
“Autonomia”, ospitato nei locali di Radio Sherwood, a<br />
Padova, per dare voce all’area aggregatasi attorno ai CPV.<br />
Nello stesso periodo era maturato un più profondo rapporto<br />
politico-organizzativo con collettivi autonomi milanesi<br />
e tor<strong>in</strong>esi che editavano il giornale “Rosso” e che,<br />
proprio per palesare la ricerca di una nuova omogeneità<br />
e una modifica della l<strong>in</strong>ea politica ed editoriale, era stato<br />
poi chiamato “Rosso per il Potere Operaio”.<br />
F<strong>in</strong>e dei Collettivi Politici Veneti<br />
In risposta all’ondata di arresti seguita all’istruttoria del<br />
processo noto come “7 Aprile” (vedi capitolo successivo),<br />
nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1979 erano stati<br />
compiuti diversi attentati contro caserme dei – <strong>in</strong>ieri del<br />
Veneto. Nel contesto di questa “campagna”, l’11 aprile<br />
1979, a Thiene, mentre manipolavano un ordigno esplosivo,<br />
avevano perso la vita tre militanti del CPV-Fronte<br />
Comunista Combattente: Maria Antonietta Berna, Angelo<br />
Del Santo e Alberto Graziani. Un quarto militante, Lorenzo<br />
Bortoli, arrestato, era morto suicida <strong>in</strong> carcere.<br />
Nell’ottobre del 1979 i CPV avevano poi compiuto diversi<br />
attentati contro filiali della FIAT, fra cui uno a Padova il 30<br />
ottobre ’79, per protestare contro il licenziamento di sessantuno<br />
operai a Tor<strong>in</strong>o. Il 3 dicembre dello stesso anno,<br />
circa duecento militanti armati del CPV avevano bloccato<br />
gli snodi viari di Padova. Nel corso del biennio successivo,<br />
la forte repressione poliziesca, i conflitti politici <strong>in</strong>terni<br />
ai collettivi e il crollo dell’ipotesi politica <strong>in</strong>torno a cui<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
era nato l’MCO avevano portato all’esaurimento dell’esperienza<br />
dei Collettivi Politici Veneti: una decisione sancita<br />
nel Convegno Internazionale di Venezia, svoltosi nell’autunno<br />
del 1981.<br />
In quest’ultimo periodo erano stati rivendicati l’attacco<br />
alla caserma della 4 a Brigata Carab<strong>in</strong>ieri con razzi bazooka<br />
a Mestre il 17 aprile dell’81, le <strong>in</strong>cursioni <strong>in</strong> agenzie<br />
immobiliari di Padova e Venezia fra il 7 e l’8 ottobre dello<br />
stesso anno, oltre al sequestro dell’<strong>in</strong>gegner Luigi<br />
Strizzolo, capogruppo dello stabilimento Montedison petrolchimico<br />
di Porto Maghera, il 22 ottobre ’80. La sua fotografia,<br />
con al collo un cartello con la scritta “sono uno<br />
sfruttatore della classe operaia”, era stata distribuita ai<br />
giornali. Il 1 o dicembre ’81 era stato <strong>in</strong>vece ferito a Vicenza<br />
il medico carcerario Anton<strong>in</strong>o Mundo.<br />
I Proletari armati per il comunismo<br />
In questo clima sovversivo avevano così trovato facile<br />
spazio i Proletari Armati per il Comunismo (PAC): un’organizzazione<br />
armata che, pur messa <strong>in</strong> piedi a Milano nel<br />
’77 da Sebastiano Masala, Arrigo Cavall<strong>in</strong>a e Giuseppe<br />
Memeo, di estrazione operaia, aveva <strong>in</strong> Cesare Battisti –<br />
un ragazzo all’epoca di 23 anni, nato a Sermoneta –<br />
l’esponente di maggiore spicco, dest<strong>in</strong>ato a far parlare di<br />
sé nei decenni successivi 12 . Gli obiettivi più importanti<br />
dei Proletari armati per il comunismo furono la lotta alle<br />
strutture carcerarie e, nei quartieri, contro coloro che<br />
venivano giudicati collaboratori delle forze dell’ord<strong>in</strong>e.<br />
12. Il caso Battisti tiene banco da diversi anni nel panorama politico/giudiziario italiano e<br />
<strong>in</strong>ternazionale. Arrestato a Copacabana il 18 marzo 2007, Cesare Battisti ha ottenuto dal governo del<br />
Brasile lo stato di rifugiato politico il 13 gennaio 2009; il 18 novembre successivo la Corte<br />
costituzionale brasiliana considera illegittimo quel riconoscimento. Il 5 marzo 2010 il Tribunale di Rio de<br />
Janeiro condanna Battisti a due anni da scontare <strong>in</strong> regime di semilibertà per uso di passaporto falso.<br />
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“Lotta” al carcere che – “politicamente” – si sostanziava<br />
nei ferimenti (gambizzazioni) di Giorgio Rossanigo, medico<br />
del penitenziario di Novara, e di Arturo Nigro, agente<br />
di sorveglianza <strong>in</strong> quello di Verona. Poi, il 16 giugno<br />
’78, era arrivato anche l’omicidio: il condannato a morte<br />
era stato Antonio Santoro, maresciallo nel carcere di<br />
Ud<strong>in</strong>e. Sul “fronte collaboratori”, i puniti furono il macellaio<br />
L<strong>in</strong>o Sabbad<strong>in</strong>, ucciso a Santa Maria di Sala, nei pressi<br />
di Venezia, il 16 febbraio 1979 e, nello stesso giorno,<br />
ma a Milano, il gioielliere Luigi Torregiani, il cui figlio, ferito<br />
nell’agguato, era rimasto paraplegico e sarebbe diventato<br />
il più acerrimo nemico di Cesare Battisti.<br />
I Torregiani furono colpiti perché mesi prima avevano<br />
sparato e ucciso due ragazzi durante una rap<strong>in</strong>a ai loro<br />
danni. La contemporaneità delle due azioni era stata<br />
ideata per aumentarne la rilevanza mediatica, oltre a enfatizzare<br />
la reale consistenza del gruppo: una formazione<br />
cioè capace di colpire contemporaneamente <strong>in</strong> due città<br />
di due regioni diverse. Un’audacia che però fu duramente<br />
pagata dai PAC. Le <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i serrate alla f<strong>in</strong>e avevano<br />
portato all’identificazione di alcuni membri dell’organizzazione,<br />
che erano stati arrestati. Alcuni di essi denunciarono<br />
di aver subito delle torture – una prassi che diventerà<br />
drammaticamente consueta negli anni successivi<br />
– e la ritorsione dei PAC non si fece attendere: il 19<br />
aprile 1979 era stato mortalmente colpito a Milano<br />
l’agente della DIGOS Andrea Campagna. Ma l’offensiva poliziesca<br />
contro i PAC era ormai avanzata e gli arresti che<br />
produsse nei mesi successivi stroncarono def<strong>in</strong>itivamente<br />
l’organizzazione. I militanti sfuggiti alla giustizia confluirono<br />
per lo più <strong>in</strong> Prima L<strong>in</strong>ea.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
La vicenda Cesare Battisti<br />
Nel corso dei decenni successivi, dei PAC si erano perse le<br />
tracce, come del resto di tante sigle di organizzazioni armate,<br />
ma nel 2004 si era improvvisamente tornato a parlare<br />
di loro. A riaccendere i riflettori su questa formazione,<br />
la vicenda di Cesare Battisti, condannato all’ergastolo<br />
<strong>in</strong> contumacia dalla giustizia italiana e superlatitante<br />
<strong>in</strong> Francia, Messico e di nuovo <strong>in</strong> Francia, sotto la protezione<br />
della dottr<strong>in</strong>a Mitterrand. Una legge che dava asilo<br />
politico a chiunque si fosse macchiato di delitti a sfondo<br />
politico, a condizione che i loro crim<strong>in</strong>i non fossero avvenuti<br />
<strong>in</strong> territorio francese o contro lo Stato francese. In<br />
base a tale direttiva, la Francia aveva rifiutato già negli<br />
anni Novanta l’estradizione avanzata dalla magistratura<br />
italiana di Battisti, che nel frattempo era diventato un<br />
autore di noir di successo, nonché un <strong>in</strong>tellettuale di riferimento<br />
dell’<strong>in</strong>tellighenzia parig<strong>in</strong>a. Entrata <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e <strong>in</strong><br />
vigore la normativa sul mandato di cattura europeo – che<br />
di fatto rendeva <strong>in</strong>efficace la dottr<strong>in</strong>a Mitterrand – di<br />
Battisti era stata nuovamente chiesta l’estradizione <strong>in</strong><br />
Italia. Estradizione concessa dalla Francia il 30 giugno<br />
2004. Nel frattempo, però, Battisti si era reso nuovamente<br />
irreperibile. Rifugiatosi <strong>in</strong> Brasile, il leader dei PAC era<br />
stato r<strong>in</strong>tracciato e arrestato <strong>in</strong> un albergo di Copacabana<br />
il 18 marzo 2007, ma il 13 gennaio 2009 gli è stato riconosciuto<br />
lo status di rifugiato politico.<br />
PIETRO CALOGERO: UN TEOREMA PER L’AUTONOMIA<br />
L’op<strong>in</strong>ione pubblica italiana era ancora lacerata dalla polemica<br />
scatenatasi all’<strong>in</strong>domani del ritrovamento del ca-<br />
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davere di Aldo Moro (9 maggio 1978) fra chi voleva trattare<br />
con i brigatisti e chi <strong>in</strong>vece pretendeva la l<strong>in</strong>ea dura<br />
(che poi sarà quella adottata), quando a neppure un anno<br />
di distanza, esattamente sabato 7 aprile 1979, agenti<br />
della DIGOS, della polizia e dei carab<strong>in</strong>ieri avevano effettuato<br />
cent<strong>in</strong>aia di perquisizioni <strong>in</strong> tutta Italia, arrestando,<br />
sulla base di ventidue ord<strong>in</strong>i di cattura firmati dal sostituto<br />
procuratore della Repubblica di Padova Pietro Calogero,<br />
qu<strong>in</strong>dici esponenti di Autonomia Operaia: Antonio<br />
Negri (a Milano); Oreste Scalzone, Emilio Vesce, Lauro<br />
Zagato (a Roma); Ivo Galimberti, Luciano Ferrari Bravo,<br />
Carmela Di Rocco, Giuseppe Nicotri, Paolo Benvegnù,<br />
Alisa Del Re, Sandro Seraf<strong>in</strong>i, Massimo Tramonti (a Padova);<br />
Mario Dalmaviva (a Tor<strong>in</strong>o); Guido Bianch<strong>in</strong>i (a<br />
Ferrara); Marzio Sturaro (a Rovigo). Erano sfuggiti alla<br />
retata Franco Piperno, Pietro Despali, Roberto Ferrari,<br />
Giambattista Marongiu, Gianfranco Panc<strong>in</strong>o, Giancarlo<br />
Balestr<strong>in</strong>i e Gianni Boeto.<br />
Gli arrestati e i ricercati erano tutti professori, assistenti<br />
e studenti universitari, giornalisti. A dodici di essi veniva<br />
contestato il reato di «avere organizzato e diretto le Brigate<br />
Rosse al f<strong>in</strong>e di promuovere l’<strong>in</strong>surrezione armata<br />
contro i poteri dello Stato e mutare violentemente la Costituzione<br />
e le forme di governo sia mediante propaganda<br />
di azioni armate contro persone e cose, sia mediante<br />
la predisposizione e la messa <strong>in</strong> opera di rapimenti e sequestri<br />
di persona, omicidi e ferimenti e danneggiamenti,<br />
di attentati contro istituzioni pubbliche e private».<br />
Tutti gli imputati erano accusati di avere organizzato e<br />
diretto Potere Operaio e Autonomia Operaia al f<strong>in</strong>e di<br />
«sovvertire violentemente gli ord<strong>in</strong>amenti costituiti dello<br />
Stato sia mediante la propaganda e l’<strong>in</strong>citamento alla<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
pratica cosiddetta dell’illegalità di massa di varie forme<br />
di violenza e di lotta armata, espropri e perquisizioni proletarie,<br />
<strong>in</strong>cendi e danneggiamenti ai beni pubblici e privati,<br />
rapimenti e sequestri di persona, pestaggi e ferimenti,<br />
attentati a carceri, caserme, sedi di partito, associazioni<br />
e cosiddetti “covi di lavoro nero”, sia mediante<br />
l’addestramento all’uso delle armi, munizioni, esplosivi,<br />
ordigni <strong>in</strong>cendiari e, <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, mediante il ricorso ad atti di<br />
illegalità, di violenza e di attacco armato contro taluni degli<br />
obbiettivi sopra precisati». A sostegno di queste imputazioni,<br />
secondo il PM Calogero: «esistono sufficienti <strong>in</strong>dizi<br />
di colpevolezza, desumibili dalla copiosa documentazione<br />
sequestrata o acquisita soprattutto nelle parti <strong>in</strong><br />
cui si esalta e si programma la lotta armata, si annunciano<br />
e si rivendicano atti di violenza o attentati terroristici,<br />
si predispongono mezzi e organizzazioni di tipo paramilitare,<br />
si promuove e si <strong>in</strong>cita alla <strong>in</strong>surrezione armata contro<br />
lo Stato».<br />
I cattivi maestri<br />
Il professore padovano Antonio Negri era stato colpito da<br />
un mandato di cattura emesso dal consigliere di Roma<br />
Achille Gallucci basato – tra l’altro – sui seguenti punti: il<br />
primo, due rapporti, uno della DIGOS di Padova e l’altro<br />
della DIGOS di Roma; il secondo, le “enunciazioni ideologiche”<br />
di Negri sarebbero “sostanzialmente riprese” <strong>in</strong> documenti<br />
delle Brigate Rosse; il terzo, la voce del telefonista<br />
delle BR che parlò con Eleonora Moro il 30 aprile 1978<br />
sarebbe quella di Negri. Il procuratore della Repubblica<br />
Aldo Fais poco dopo gli arresti aveva dichiarato: «Noi ci<br />
sp<strong>in</strong>giamo verso la soluzione di un problema sociale<br />
enorme, quale quello del terrorismo» e, riferendosi agli<br />
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arrestati: «Li teniamo saldamente <strong>in</strong> pugno». Il Presidente<br />
della Repubblica Sandro Pert<strong>in</strong>i aveva telefonato a<br />
Fais e gli aveva <strong>in</strong>viato un telegramma <strong>in</strong> cui affermava:<br />
«Facendo seguito alla mia telefonata, riconfermo piena<br />
solidarietà a Lei e ai magistrati di Padova per la fermezza<br />
e il coraggio con cui stanno agendo <strong>in</strong> difesa delle nostre<br />
istituzioni democratiche». Inf<strong>in</strong>e, l’istruttoria era<br />
stata divisa <strong>in</strong> due tronconi: uno a Roma per Negri, Nicotri,<br />
Scalzone, Zagato, Ferrari Bravo, Dalmaviva, Piperno,<br />
Ferrari, Marongiu, Pac<strong>in</strong>o e Balestr<strong>in</strong>i, quali imputati di<br />
“banda armata”; l’altro a Padova per i restanti dieci, per<br />
“associazione sovversiva”. Un altro professore, Franco<br />
Piperno, dalla latitanza aveva <strong>in</strong>viato una lettera a<br />
“L’Espresso” <strong>in</strong> cui affermava: «Qui si tratta della possibilità<br />
stessa di espressione politica (cioè di mediazione<br />
<strong>in</strong>telligente) da parte dei nuovi strati sociali m<strong>in</strong>oritari<br />
ma significativi che sono oltre l’etica del lavoro – vero<br />
tarlo che rode lentamente l’assetto sociale vigente […]. A<br />
una logica politica si sostituisce una logica di guerra». E<br />
concludeva con un appello: «Coloro che pur essendo nostri<br />
avversari si battono contro il regime armonico DC-PCI<br />
devono venire allo scoperto […]. La nuova s<strong>in</strong>istra, il partito<br />
radicale, magistratura democratica, Terrac<strong>in</strong>i, Lombardi,<br />
Pannella, Rodotà, Rossanda, P<strong>in</strong>tor, Bocca vogliamo<br />
sapere da che parte state». A parte le prese di posizione<br />
<strong>in</strong>dividuali, si erano svolte manifestazioni di protesta<br />
a Milano, Roma, Bologna (con scontri violenti con la<br />
polizia che cercava di impedirle), mentre quella nazionale<br />
<strong>in</strong>detta a Padova si era ridotta a un’assemblea per il colossale<br />
dispiegamento di polizia e carab<strong>in</strong>ieri. Quattro<br />
giorni dopo la maxi-retata, a Thiene, tre elementi del<br />
Gruppo sociale locale (legato all’Autonomia padovana)<br />
27
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ARMI IN PUGNO<br />
erano morti per l’esplosione di un ordigno che stavano<br />
preparando: Angelo Dal Santo, Maria Antonietta Berna,<br />
Alberto Graziani.<br />
Il telefonista<br />
Entrando nello specifico delle accuse, Antonio (Toni) Negri<br />
era stato dunque <strong>in</strong>dicato dagli <strong>in</strong>quirenti come l’ideologo<br />
delle Brigate Rosse e mandante morale dell’omicidio<br />
di Aldo Moro. Non solo: era anche accusato di essere l’autore<br />
della drammatica telefonata effettuata alla moglie di<br />
Moro il 30 aprile ’78 <strong>in</strong> cui le BR chiedevano un <strong>in</strong>tervento<br />
di Benigno Zaccagn<strong>in</strong>i come unica possibilità per salvare<br />
la vita del presidente della Democrazia cristiana (telefonata<br />
effettuata <strong>in</strong>vece da Mario Moretti, come si appurerà<br />
nei vari processi Moro). Nel 1983, mentre era ancora <strong>in</strong><br />
prigione <strong>in</strong> attesa di giudizio, Toni Negri aveva accettato<br />
la candidatura alla Camera dei deputati propostagli da<br />
Marco Pannella per il Partito Radicale (nelle circoscrizioni<br />
di Roma, Milano e Napoli, anche se non come capolista).<br />
Con la sua <strong>in</strong>iziativa, Pannella presentava “una candidatura<br />
critica”, sostenendo che Negri fosse vittima di<br />
leggi repressive imposte dai vertici del PCI. Una candidatura<br />
qu<strong>in</strong>di provocatoria per aprire un dibattito sulle leggi<br />
liberticide. Da parte sua, Negri aveva promesso di impegnarsi<br />
su questo fronte e, una volta eletto alla Camera,<br />
era stato qu<strong>in</strong>di scarcerato, anche se il Parlamento aveva<br />
poi concesso l’autorizzazione all’arresto: l’astensione dei<br />
radicali, contrari per pr<strong>in</strong>cipio alle votazioni, aveva avuto<br />
un peso determ<strong>in</strong>ante nell’esito della votazione; dietro<br />
proposta del PCI, s’era votato anche sulla sospensiva, che<br />
era stata resp<strong>in</strong>ta per pochi voti. Per sfuggire al nuovo arresto,<br />
Negri si rifugiò <strong>in</strong> Francia, dove rimase per quattor-<br />
28
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dici anni, svolgendo l’attività di scrittore e docente presso<br />
l’università di Parigi (Sa<strong>in</strong>t Denis), al Collegio Internazionale<br />
di Filosofia, fondato da Jacques Derrida. Nel 1990<br />
fondò con Jean-Marie V<strong>in</strong>cent e Denis Berger la rivista<br />
“Futur Antérieur”. Anche se non poté impegnarsi <strong>in</strong> attività<br />
politiche per via dello specifico divieto che la legislazione<br />
francese (Dottr<strong>in</strong>a Mitterand) imponeva ai rifugiati<br />
politici, durante la permanenza francese Negri scrisse numerosi<br />
testi politici e, grazie alla sua produzione filosofica,<br />
nel 2005, “Le Nouvel Observateur” lo <strong>in</strong>serì tra i ventic<strong>in</strong>que<br />
“grandi pensatori del mondo <strong>in</strong>tero”, unico italiano<br />
assieme al filosofo Giorgio Agamben.<br />
Negri rientrò volontariamente <strong>in</strong> Italia nel 1997 per f<strong>in</strong>ire<br />
di scontare la sua pena e anche per promuovere un<br />
nuovo dibattito sulla conclusione politica degli “anni di<br />
piombo”. Pena che f<strong>in</strong>ì di scontare (sotto forma di reclusione<br />
e, <strong>in</strong> seguito, di semi-libertà tra Rebibbia e la sua<br />
casa di Trastevere) nella primavera del 2003. «Sto riprendendo<br />
il mio lavoro politico», disse, «e con il mio ritorno<br />
vorrei dare una sp<strong>in</strong>ta alla generazione che è stata<br />
emarg<strong>in</strong>ata dalle leggi anti-terrorismo degli anni Settanta<br />
<strong>in</strong> modo che ancora partecipi alla vita pubblica e democratica».<br />
Oggi vive tra Venezia e Parigi.<br />
L’ho <strong>in</strong>contrato a Padova nell’agosto del 2008 e gli ho chiesto<br />
un giudizio sulle radicali trasformazioni avvenute nel<br />
“suo” Veneto. «Basta rapportare il Veneto del dopoguerra<br />
a quello degli anni Settanta per accorgersi della formidabile<br />
trasformazione sociale avvenuta <strong>in</strong> esso: non sembrano<br />
trascorsi pochi decenni, ma oltre un secolo e questo perché<br />
ha vissuto quasi contemporaneamente l’<strong>in</strong>dustrializzazione<br />
e il suo superamento. Una trasformazione perf<strong>in</strong>o<br />
antropologica, estetica – è impressionante quanto sono di-<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
ventate belle le ragazze e i ragazzi – che è proseguita f<strong>in</strong>o<br />
al ’79: dopo ci sono stati solo i Pietro Maso, c’è stata la rottura<br />
tra lo sviluppo dell’uomo e lo sviluppo delle idee. È rimasto<br />
solo un grande bordello, ma vivente e contraddittorio:<br />
la Lega e alcune delle punte culturali più sviluppate, la<br />
ripresa di una brutalità rozza e plebea, ma anche alcune<br />
delle più <strong>in</strong>telligenti <strong>in</strong>novazioni <strong>in</strong>dustriali. Bisognerebbe<br />
raccontarlo questo nuovo Veneto, ma più che Carlo Goldoni<br />
ci vorrebbe Ruzante. Anzi, mi ci potrei cimentare io<br />
stesso, mi piacerebbe. Ho <strong>in</strong>iziato a fare del teatro: ho<br />
scritto una trilogia, Trilogia della Differenza, presentata<br />
a Parigi. Quando non avrò più le energie necessarie per<br />
cont<strong>in</strong>uare a spostarmi così frequentemente, penso che<br />
mi metterò a scrivere qualcosa del genere sul Veneto» 13 .<br />
Per quanto riguarda l’<strong>in</strong>chiesta 7 aprile, i vari gradi di<br />
giudizio si erano <strong>in</strong>caricati di dimostrare come non ci fosse<br />
stato nessun tentativo di organizzare un’<strong>in</strong>surrezione<br />
contro i poteri dello Stato e come nessuno degli arrestati<br />
appartenesse alle Brigate Rosse.<br />
MESTRE CUORE BRIGATISTA: IL SEQUESTRO<br />
E L’UCCISIONE DELL’INGEGNER TALIERCIO<br />
La famiglia Taliercio abitava a Mestre. Era composta da sette<br />
persone, ma all’ora di pranzo di mercoledì 20 maggio<br />
1981 solo quattro erano sedute a tavola, <strong>in</strong> cuc<strong>in</strong>a, per il<br />
pranzo: papà P<strong>in</strong>o, mamma Lella e i figli Cesare e Bianca.<br />
Gli altri tre erano fuori casa: Lucia al lavoro, Antonio a scuola,<br />
Elda all’università. Quel pranzo, però, non <strong>in</strong>iziò mai.<br />
13. Dichiarazione resa all’autore.<br />
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Suonò il campanello e la signora Lella andò ad aprire la porta.<br />
«Sono quattro f<strong>in</strong>anzieri», disse al marito rientrando <strong>in</strong><br />
cuc<strong>in</strong>a. «Vogliono te». P<strong>in</strong>o si era qu<strong>in</strong>di alzato e li aveva <strong>in</strong>vitati<br />
a seguirlo <strong>in</strong> salotto, ma all’improvviso lo scenario era<br />
cambiato. I sorrisi di circostanza, i modi educati e rispettosi<br />
avevano lasciato il posto alle pistole. Sì, perché quei quattro<br />
non avevano nulla a che fare con la F<strong>in</strong>anza. Quei quattro<br />
erano un commando delle Brigate Rosse. Che se ne era<br />
andato portando con sé P<strong>in</strong>o Taliercio, il direttore del Petrolchimico<br />
di Marghera, la “fabbrica di morti bianche”, come<br />
si leggeva da qualche parte, anche su qualche muro. La<br />
colonna veneta delle BR aveva identificato <strong>in</strong> lui il nemico da<br />
colpire nella campagna contro lo sfruttamento <strong>in</strong> fabbrica.<br />
Dopo la tragica conclusione del sequestro Moro, le BR<br />
avevano alzato il tiro <strong>in</strong> un crescendo di ferimenti, sequestri<br />
e uccisioni scandite con drammatica frequenza sui<br />
vari “fronti” aperti. Su quello delle carceri, con il rapimento<br />
avvenuto a Roma il 12 dicembre 1980 del giudice<br />
Giovanni D’Urso, direttore dell’Ufficio III della direzione<br />
generale degli istituti di prevenzione e pena del M<strong>in</strong>istero<br />
della Giustizia. Le Brigate Rosse avevano chiesto la<br />
chiusura immediata del carcere dell’As<strong>in</strong>ara, che contava<br />
ormai solo pochi brigatisti, dopo lo smantellamento della<br />
rivolta del 2 ottobre 1979 14 . La “campagna carceri” era<br />
14. Il 2 ottobre 1979 i brigatisti detenuti nel supercarcere sardo dell’As<strong>in</strong>ara avevano dato il via a una<br />
rivolta f<strong>in</strong>alizzata allo smantellamento della struttura distruggendo la diramazione Fornelli (la sezione<br />
speciale del complesso carcerario dell’isola dell’As<strong>in</strong>ara) all’<strong>in</strong>segna della parola d’ord<strong>in</strong>e «chiudere con<br />
ogni mezzo l’As<strong>in</strong>ara e i punti di massima deterrenza del circuito delle carceri speciali». Dopo la rivolta<br />
tutti i detenuti erano stati trasferiti <strong>in</strong> altre carceri speciali, mentre si era acceso un dibattito all’<strong>in</strong>terno<br />
del partito armato, che aveva portato alla proposta di attaccare frontalmente i Carceri Speciali, sia con<br />
rivolte da dentro le strutture, sia con attacchi esterni. Nel settembre del 1980 ci sarà la rivolta nella<br />
sezione speciale del carcere di Badu ‘e Carros (Nuoro), e nel dicembre dell’80, <strong>in</strong> concomitanza con il<br />
sequestro del magistrato D’Urso (responsabile m<strong>in</strong>isteriale dei CS) realizzato dalle Brigate Rosse, ci sarà<br />
la rivolta nel carcere di Trani.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
proseguita con l’attentato mortale, avvenuto sempre a<br />
Roma alla f<strong>in</strong>e dello stesso mese, al generale dei carab<strong>in</strong>ieri<br />
Enrico Galvaligi, responsabile del coord<strong>in</strong>amento<br />
delle misure di sicurezza nelle carceri speciali e ritenuto<br />
responsabile dell’assalto compiuto il 29 dicembre 1980<br />
dal Gruppo d’Intervento Speciale (GIS) per riprendere il<br />
controllo del carcere di Trani <strong>in</strong> rivolta da due giorni.<br />
Il sequestro D’Urso si era concluso il 15 gennaio 1981 con<br />
la liberazione del magistrato e la chiusura dell’As<strong>in</strong>ara<br />
(peraltro già deserta a causa della rivolta del ’79), ma<br />
questa azione era co<strong>in</strong>cisa con la conclusione del percorso<br />
unitario delle Brigate Rosse. Nell’aprile 1981, i già precari<br />
equilibri tra le varie istanze e le diverse posizioni politiche<br />
all’<strong>in</strong>terno delle BR erano precipitate, mentre a Milano<br />
era stato arrestato Mario Moretti, il capo. Da questo<br />
momento, i percorsi all’<strong>in</strong>terno del partito armato si erano<br />
divisi: la colonna milanese della Walter Alasia aveva<br />
gestito <strong>in</strong> proprio il sequestro dell’<strong>in</strong>gegnere dell’Alfa Romeo<br />
Sandrucci (liberato) 15 ; quella napoletana e del<br />
Fronte Carceri i rapimenti di Ciro Cirillo (liberato) e Roberto<br />
Peci (ucciso <strong>in</strong> quanto fratello del “delatore” Patrizio<br />
Peci), dando vita alle Brigate Rosse-Partito della<br />
Guerriglia, guidate dal crim<strong>in</strong>ologo Giovanni Senzani, co-<br />
15. «Al processo, l’<strong>in</strong>gegner Sandrucci testimoniò che era stato trattato bene, che l’avevamo trattato<br />
bene, e mentre deponeva guardò proprio me».<br />
«Ma come è successo che sei f<strong>in</strong>ito nelle Brigate Rosse».<br />
«Per me è <strong>in</strong>iziato tutto con l’occupazione delle case a Milano. A un’assemblea un compagno mi disse<br />
che ero stupido a pagare un affitto per stare lì a studiare: che sia lo studio che la casa erano diritti.<br />
Così andai <strong>in</strong> quella casa occupata. Poi mi trovai a lasciare <strong>in</strong> giro volant<strong>in</strong>i con la stella a c<strong>in</strong>que<br />
punte: ero nelle Brigate Rosse senza accorgermene».<br />
«Quanto hai fatto <strong>in</strong> tutto di carcere».<br />
«Quattordici anni. In primo grado presi trent’anni per partecipazione a banda armata, poi fra appello e<br />
Legge Gozz<strong>in</strong>i riuscii a f<strong>in</strong>ire la pena dopo quattordici anni».<br />
M. F. lo conoscevo da anni. Nella seconda metà dei Settanta aveva partecipato saltuariamente a<br />
qualche riunione politica del mio collettivo, poi l’avevo perso di vista: sapevo solo che era andato a<br />
studiare a Milano. Poi venni a sapere del suo arresto. È uscito dal carcere a metà degli anni Novanta.<br />
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gnato di quell’Enrico Fenzi arrestato a Milano con Moretti.<br />
Solo il sequestro dell’<strong>in</strong>gegner Giuseppe Taliercio, direttore<br />
del Petrolchimico di Mestre, era ancora rivendicato<br />
con la sigla BR. Ma anche nel Veneto, proprio <strong>in</strong> seguito<br />
a divergenze sorte nella gestione di questa operazione,<br />
tra ottobre e novembre successivi, alcuni militanti<br />
della colonna veneta erano usciti dall’organizzazione<br />
dando vita alla colonna “2 Agosto”.<br />
L’<strong>in</strong>gegnere buono<br />
L’<strong>in</strong>gegner Giuseppe Taliercio, P<strong>in</strong>o per i familiari e gli<br />
amici, proveniva da una famiglia segnata dalla prematura<br />
scomparsa del papà – un commerciante che aveva trasferito<br />
la sua attività da Ischia a Mar<strong>in</strong>a di Carrara – e la<br />
mamma che aveva dovuto occuparsi di un’attività che<br />
non conosceva per poter mantenere i quattro figli. Dopo<br />
la maturità classica, P<strong>in</strong>o si era laureato <strong>in</strong> <strong>in</strong>gegneria alla<br />
Normale di Pisa e nel 1952 era entrato alla Montedison<br />
di Porto Marghera, dove, dopo la “gavetta”, era arrivato<br />
ai vertici della direzione. Frequentando l’Azione Cattolica,<br />
aveva <strong>in</strong>contrato la sua futura sposa, Gabriella. Dalla<br />
loro unione erano nati c<strong>in</strong>que figli, ma la serenità di questa<br />
famiglia borghese era andata <strong>in</strong>cr<strong>in</strong>andosi con il clima<br />
di sempre maggiore violenza che ormai si respirava <strong>in</strong><br />
tutto il Paese e <strong>in</strong> modo particolare <strong>in</strong> Veneto. Quel Veneto<br />
che aveva proprio nella Montedison un centro ormai<br />
riconosciuto di scontro frontale: un obiettivo privilegiato<br />
da colpire. Un clima pesante, avvertito <strong>in</strong> modo drammatico<br />
dallo stesso Taliercio, che solo una settimana prima<br />
del suo rapimento aveva confidato a un amico: «L’anno<br />
scorso hanno ucciso l’<strong>in</strong>gegnere Sergio Gori, vicedirettore.<br />
Ma è stato un errore. Miravano a me».<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
«Non era il suo posto», confiderà un ex-dipendente del<br />
Petrolchimico. «Era un grande tecnico, ma troppo leale<br />
e coerente con la sua fede cristiana per occupare il vertice<br />
di una mult<strong>in</strong>azionale, fatto di furberie e fondato sulle<br />
bugie. Mi sono <strong>in</strong>contrato più volte con lui: era un uomo<br />
di gentilezza e competenza estreme. Nella sua coscienza<br />
sentiva lo stridore del “sistema”» 16 . Si raccontava<br />
che a un dirigente licenziato, fra l’altro anche amico,<br />
che gli r<strong>in</strong>facciava il suo mancato <strong>in</strong>teressamento, Taliercio<br />
avesse risposto: «Non ho steso io la lista dei licenziati,<br />
ma se dovessi sostituirti non saprei chi mandare a casa<br />
al tuo posto. Vieni, guarda i nomi e dimmi: chi avresti<br />
il coraggio di sacrificare al tuo posto» 17 . In un’altra occasione,<br />
con gli operai <strong>in</strong> cassa <strong>in</strong>tegrazione, la direzione<br />
di Milano, dopo una revisione amm<strong>in</strong>istrativa, aveva punito<br />
un dirigente giovane e capace: Taliercio aveva m<strong>in</strong>acciato<br />
le dimissioni se non fosse stato re<strong>in</strong>tegrato.<br />
È andata male<br />
«Era la notte del 5 luglio», aveva raccontato Bianca, la figlia<br />
di Taliercio che curava i rapporti con la stampa.<br />
«Eravamo molto <strong>in</strong> ansia per papà. Verso le due di notte,<br />
squilla il telefono. Va a rispondere Elda, la nostra sorella<br />
maggiore. Un giornalista del quotidiano “Il Gazzett<strong>in</strong>o” ci<br />
comunicava che era stato trovato il corpo del papà. Elda<br />
si avvic<strong>in</strong>a al mio letto e, piangendo, mi dice: “Bianca, è<br />
andata male”. Capisco subito e corro ad abbracciare la<br />
mamma e gli altri di casa. Poco dopo, giungono l’avvocato,<br />
che ci era stato tanto vic<strong>in</strong>o, don Franco De Pieri e<br />
16. Ne «Il Messaggero di Sant’Antonio» del novembre 2000.<br />
17. Ibidem<br />
34
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monsignor Valent<strong>in</strong>o Vecchi, della parrocchia di San Lorenzo<br />
di Mestre; e ci raccogliamo <strong>in</strong> preghiera» 18 . L’<strong>in</strong>gegner<br />
Taliercio fu trovato raggomitolato nel bagagliaio di<br />
una FIAT 128 azzurra, a pochi metri dal Petrolchimico, devastato<br />
da diciassette colpi di pistola: i capelli diventati<br />
tutti bianchi, la barba lunga, il volto scavato. Avrebbe<br />
compiuto 54 anni un mese dopo.<br />
A ucciderlo, Antonio Savasta. In una lettera firmata del<br />
18 febbraio 1987, <strong>in</strong>dirizzata alla signora Gabriella Taliercio,<br />
che pubblicamente aveva perdonato agli assass<strong>in</strong>i di<br />
suo marito, una brigatista scriveva: «Il suo perdono [...]<br />
mi porta a pensare <strong>in</strong> un possibile riscatto di me stessa.<br />
Ciò che scrivo mi viene dettato dal cuore. Voglio renderle<br />
una parte dei momenti <strong>in</strong>timamente vissuti da suo marito.<br />
Nella nostra follia volevamo colpire il simbolo, ma il<br />
vivergli accanto, giorno dopo giorno, ora dopo ora, mi<br />
portò, <strong>in</strong>evitabilmente, alla conoscenza dell’uomo, del<br />
suo spirito estremamente delicato, dignitoso e mai arrogante.<br />
C’era nelle sue preghiere qualcosa che allora non<br />
capivo. Oggi comprendo che tutta la sua forza d’animo<br />
era <strong>in</strong>timamente legata al valore che egli dava alla preghiera.<br />
La preghiera era il suo mondo <strong>in</strong>s<strong>in</strong>dacabile, dove<br />
noi, con la nostra stupida razionalità, non potevamo<br />
raggiungerlo. Questa sua forza si imponeva con dolcezza,<br />
si trasformava <strong>in</strong> serenità di giudizio, anche, con noi<br />
aguzz<strong>in</strong>i. Non potrò mai pensare a quei momenti senza<br />
morire ogni volta un po’ [...]. La mia angoscia diventa disperazione<br />
rendendomi conto che la spirale di violenza<br />
non si è ancora chiusa e che ciò è frutto mio e di altri. È<br />
un mostro che io ho contribuito a far venire al mondo...<br />
18. Ibidem<br />
35
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ARMI IN PUGNO<br />
Signora Taliercio, lei ha avuto tanto coraggio nel perdonare<br />
gli assass<strong>in</strong>i di suo marito, la prego, accetti che una<br />
simile persona, quale io sono, le chieda umilmente perdono...<br />
Non potrò mai restituire ciò che ho rubato e perciò<br />
non mi basterà la mia <strong>in</strong>tera vita a pagare un prezzo<br />
equo» 19 .<br />
Due anni prima, un altro brigatista così si era rivolto alla<br />
vedova Taliercio: «La parola che portava suo marito... ha<br />
v<strong>in</strong>to: contro di me, che solo oggi riesco a comprendere<br />
qualcosa; contro tutti coloro che ancora oggi non capiscono.<br />
Anche <strong>in</strong> quei momenti suo marito ha dato amore...<br />
Questo è un fiore che voglio coltivare per poter poi<br />
essere io a donarlo. Forse, se non ci foste stati voi a donare<br />
per primi questo seme, sarei ancora perso nel deserto...<br />
Spero soltanto di colmare questo vuoto, restituendo<br />
e <strong>in</strong>segnando ad altri quello che voi avete dato e<br />
<strong>in</strong>segnato a me» 20 .<br />
Le parole dei figli<br />
Vent’anni dopo la morte del loro padre, anche i figli dell’<strong>in</strong>gegner<br />
Taliercio resero pubblica una lettera. Questa:<br />
In questi lunghi anni senza di te, grande è stato il nostro dolore,<br />
per la violenza con cui ci sei stato tolto. Ma, ugualmente, forti sono<br />
stati i ricordi delle tue parole, della fede, della fiducia che ponevi<br />
nella misericordia e provvidenza di Dio. Ci hanno aiutato a<br />
guardare alla vita nuovamente, con serenità. A scriverti questa<br />
lettera aperta proviamo emozione e tristezza, anche se tante volte<br />
ci siamo ritrovati, nel nostro cuore, a parlare con te delle gioie<br />
19. Ibidem<br />
20. Ibidem<br />
36
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o delle croci che stavamo vivendo. Le gioie più grandi sono stati<br />
i matrimoni di Elda e Mauro, di Bianca e Gigi, di Rosa e Cesare e<br />
la nascita di tanti nipoti: Stefano, Giulia, Luca, Giovanni, Marco,<br />
Laura e i piccoli Michele e Sofia. Spesso parliamo a loro di te, di<br />
come la tua presenza, a volte silenziosa, era per noi bamb<strong>in</strong>i, ragazzi,<br />
una sicurezza. Ricordiamo la gioia che suscitava <strong>in</strong> noi il<br />
sentire la porta aprirsi ed eri tu che rientravi, dopo una lunga<br />
giornata di lavoro. Nonostante la stanchezza, ci aiutavi a f<strong>in</strong>ire i<br />
compiti; ci chiedevi come era andata la giornata. Poi ci riunivi<br />
tutti a tavola. Sentiamo forte l’impegno e la difficoltà di essere<br />
genitori, specialmente ora che i bamb<strong>in</strong>i stanno crescendo: Stefano<br />
ha 16 anni, Giulia 13, Luca 12 e manifestano i problemi dell’adolescenza:<br />
le difficoltà scolastiche, l’amicizia con i coetanei,<br />
le prime simpatie. Pensiamo ai modi adottati da te e dalla mamma<br />
durante la nostra crescita, al dialogo, che cercavate di stabilire<br />
con tutti noi, all’amore alla vita che ci avete trasmesso, al coraggio<br />
nell’affrontare le difficoltà, le croci, sorretti dalla fede e<br />
dalla preghiera. È difficile educare i giovani ai sani pr<strong>in</strong>cipi! La<br />
mamma spesso ci ricorda che anche tu, giovane genitore, pensavi<br />
con un po’ di timore al nostro futuro. Grandissimo è stato il dolore,<br />
profonda la sofferenza, per la malattia e la morte di Elda,<br />
nostra sorella: un altro grande terremoto che ha scosso tutta la<br />
famiglia e ha messo <strong>in</strong> crisi la nostra fede. Il sostegno di tanti<br />
amici, di fratelli nella fede, soprattutto, la misericordia e l’amore<br />
di Dio ci hanno aiutato a sentire Elda nella gloria di Dio, vic<strong>in</strong>o<br />
a te. Abbiamo imparato a confidare nella vostra <strong>in</strong>tercessione<br />
per noi, specialmente per la mamma, che, pur sostenuta dalla fede,<br />
prova un grande vuoto con la vostra mancanza. Carissimo papà,<br />
sarai sempre nel nostro cuore: di Antonio, che hai lasciato<br />
bamb<strong>in</strong>o e ora è un giovane prossimo alla laurea; di Lucia, che<br />
cont<strong>in</strong>ua con <strong>in</strong>teresse e impegno il suo lavoro; di Bianca e Cesare,<br />
che, con le proprie famiglie, testimoniano l’amore del Signore<br />
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ARMI IN PUGNO 22_7_10 2-09-2010 11:53 Pag<strong>in</strong>a 38<br />
ARMI IN PUGNO<br />
per noi. Siamo certi che sei ancora nel cuore di tanti tuoi colleghi,<br />
amici, di tante persone di Mestre e Mar<strong>in</strong>a di Carrara, che, pur<br />
senza averti personalmente conosciuto, riconoscono nella tua vita<br />
e nella tua morte i segni di un progetto div<strong>in</strong>o 21 .<br />
J. L. DOZIER: UN AMERIKANO A VERONA<br />
Erano passati solo centosessanta giorni dall’uccisione di<br />
Giuseppe Taliercio, il direttore del Petrolchimico di Marghera,<br />
a Mestre. In quel 1981 che sembrava non f<strong>in</strong>ire<br />
mai, ora erano Verona e Padova a dover vivere un nuovo<br />
capitolo drammatico. Questa volta, però, le cose andranno<br />
diversamente. Questa volta non morirà nessuno. Tanto<br />
meno con diciassette colpi di pistola <strong>in</strong> faccia.<br />
Questa nuova storia era <strong>in</strong>iziata a Verona, il 17 dicembre,<br />
sotto un sole piacevole, di quelli che <strong>in</strong> una giornata <strong>in</strong>vernale<br />
e vic<strong>in</strong>a al Natale scaldano anche il cuore. Verona<br />
è una bella città, ma ospita una base NATO. Una base importante,<br />
dove <strong>in</strong> quel 1981 lavorava anche un americano<br />
di c<strong>in</strong>quant’anni: alto, affilato, le orecchie a sventola. Un<br />
generale. James Lee Dozier, un veterano del Vietnam. Da<br />
un anno Dozier era sottocapo di Stato maggiore della FTA-<br />
SE e dirigeva i servizi logistici e amm<strong>in</strong>istrativi <strong>in</strong> Italia.<br />
Come ogni giorno, alle c<strong>in</strong>que del pomeriggio <strong>in</strong> punto,<br />
dalla FIAT 132 blu il suo autista faceva un cenno con la mano<br />
al piantone, che azionava qu<strong>in</strong>di elettronicamente il<br />
pesante portone di ferro facendo sfilare la macch<strong>in</strong>a del<br />
generale. Nonostante le vic<strong>in</strong>e festività, quel pomeriggio il<br />
traffico era scorrevole, tanto da raggiungere la dest<strong>in</strong>azio-<br />
21. Ibidem<br />
38
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ne c<strong>in</strong>que m<strong>in</strong>uti dopo: il numero 5 di Lungadige Capena.<br />
Era lì che abitava Dozier, <strong>in</strong> un appartamento al sesto piano<br />
con un grande liv<strong>in</strong>g e una mansarda, <strong>in</strong>sieme con la<br />
moglie Judith, poco più giovane di lui. La famiglia era<br />
composta anche da due figli, un maschio e una femm<strong>in</strong>a,<br />
che però vivevano negli Stati Uniti.<br />
Quel giorno, quel 17 dicembre quasi primaverile, c’era un<br />
pulm<strong>in</strong>o parcheggiato nei pressi del palazzo del generale.<br />
Un pulm<strong>in</strong>o blu con una striscia bianca, ma senza alcuna<br />
scritta. Anonimo, anomalo. Il generale non ci aveva<br />
fatto caso: congedato il suo autista, aveva varcato l’<strong>in</strong>gresso.<br />
Sua moglie non c’era ancora, arriverà da lì a poco,<br />
ma anche lei non baderà a quel pulm<strong>in</strong>o.<br />
Sono quasi le sei del pomeriggio.<br />
L’azione<br />
Dal pulm<strong>in</strong>o erano usciti due uom<strong>in</strong>i <strong>in</strong> tuta da idraulici<br />
e si erano diretti verso il portone, che però, ovviamente,<br />
era chiuso.<br />
«La cosa più semplice era entrare nell’appartamento<br />
con un pretesto. Qu<strong>in</strong>di io e “Daniele” ci eravamo travestiti<br />
da idraulici. Il portone era sempre chiuso, ma avevamo<br />
scoperto che nell’androne c’era un negozio di articoli<br />
sportivi. Così “Giorgio” doveva suonare il campanello<br />
f<strong>in</strong>gendosi un cliente. Io e “Daniele” saremmo saliti<br />
allora s<strong>in</strong>o all’appartamento, mentre “Rolando” e<br />
“Fabrizio” sarebbero rimasti sulla rampa delle scale.<br />
“Mart<strong>in</strong>a” e “Giorgio” si sarebbero fermati <strong>in</strong> strada per<br />
coprirci con i mitra <strong>in</strong> caso di necessità, e “Federico”<br />
non si sarebbe mosso dal posto di guida del pulm<strong>in</strong>o».<br />
Lo racconterà Antonio Savasta, capo del commando. Sì,<br />
perché quelli non erano idraulici, ma un commando bri-<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
gatista. Saliti s<strong>in</strong>o al sesto piano, Savasta aveva suonato<br />
il campanello.<br />
«Siamo dell’acqua potabile», aveva mentito attraverso la<br />
porta, «e abbiamo notato che al piano di sotto c’è una<br />
perdita. Dobbiamo dare una controllata».<br />
Dozier aveva aperto la porta disattendendo ogni precauzione.<br />
Dopo essersi assicurati che nell’appartamento non ci fosse<br />
nessun altro, i brigatisti avevano estratto le pistole. Dozier<br />
aveva cercato di reagire, ma “Daniele” lo aveva colpito al capo<br />
con il calcio della pistola, facendogli perdere i sensi. Anche<br />
la moglie era stata immobilizzata, poi “Fabrizio” era sceso<br />
a prendere dal pulm<strong>in</strong>o una grande cassa. Una cassa capace<br />
di contenere un uomo, com’era avvenuto con Moro.<br />
«Dopo aver caricato la cassa», ricordò ancora Savasta,<br />
«diamo l’ok con un walkie-talkie a “Rolando” e “Daniele”<br />
che sono rimasti nell’appartamento. Se ne andranno più<br />
tardi, per evitare che qualcuno possa dare l’allarme mentre<br />
siamo ancora <strong>in</strong> strada. In una specie di galleria fra due<br />
palazzi trasbordiamo la cassa su una Ritmo, a cui abbiamo<br />
levato il sedile posteriore. Poi io e “Giorgio” abbandoniamo<br />
il pulm<strong>in</strong>o e prendiamo il treno per Padova. “Rolando” e<br />
“Daniele” partiranno <strong>in</strong>vece più tardi per Milano».<br />
Quei “cialtroni” delle Brigate Rosse<br />
Fu l’ANSA a ricevere, per telefono verso le 23, la rivendicazione<br />
del sequestro. L’<strong>in</strong>domani, alle 14, ci fu un’altra<br />
conferma, sempre telefonica, ma più precisa. Una voce<br />
maschile, con accento veneto, aveva dettato: «Qui Brigate<br />
Rosse, colonna Anna Maria Ludmann, “Cecilia” 22 . Ri-<br />
22. Anna Maria Ludmann, nome di battaglia “Cecilia”, era la brigatista proprietaria dell’appartamento<br />
genovese di via Fracchia, dove il 28 marzo 1980 era stata uccisa dai carab<strong>in</strong>ieri del generale Carlo<br />
Alberto Dalla Chiesa <strong>in</strong>sieme a Riccardo Dura, Lorenzo Betassa e Piero Panciarelli.<br />
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vendichiamo il rapimento del boia della NATO, James Dozier,<br />
che sarà r<strong>in</strong>chiuso nelle carceri del popolo e sottoposto<br />
al giudizio del proletariato».<br />
Il presidente americano Ronald Reagan aveva reagito con<br />
violenza, chiedendo come fosse possibile che “quattro<br />
cialtroni” potessero permettersi il lusso di rapire un generale<br />
americano. I primi agenti della CIA arrivarono a Verona<br />
già il 18 sera, seguiti da una task-force composta da sette<br />
agenti speciali scelti tra il fior fiore della CIA e del FBI<br />
(più alcuni “tecnici” di orig<strong>in</strong>e siciliana, “esperti di mafia”).<br />
A Roma, <strong>in</strong>tanto, la direzione delle <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i era stata affidata<br />
all’Ufficio Centrale per le Investigazioni Generali e<br />
le Operazioni Speciali (UCIGOS), che coord<strong>in</strong>ava l’azione<br />
delle divisioni prov<strong>in</strong>ciali (DIGOS, ex uffici politici) operanti<br />
su piano locale. Anche l’Arma dei carab<strong>in</strong>ieri partecipava<br />
alle ricerche. I reparti speciali, <strong>in</strong>vece, attendevano<br />
il loro momento. Le “teste di cuoio” italiane erano state<br />
create al tempo del sequestro Moro, nel 1978; a questi<br />
si affiancavano i Gruppi per Interventi Speciali (GIS) dei<br />
carab<strong>in</strong>ieri. Subito dopo il sequestro, la NATO aveva precisato<br />
che il generale Dozier non era depositario di alcun<br />
segreto militare, ma la verità era un po’ diversa.<br />
Come responsabile dei servizi logistici e amm<strong>in</strong>istrativi, <strong>in</strong>fatti,<br />
Dozier conosceva perfettamente la struttura complessiva<br />
delle basi NATO <strong>in</strong> Italia. Forse non era al corrente<br />
dei dati più segreti relativi al “parco nucleare” puntato verso<br />
Est, ma le <strong>in</strong>formazioni di cui era <strong>in</strong> possesso bastavano<br />
per destare <strong>in</strong>quietud<strong>in</strong>i <strong>in</strong> seno all’Alleanza, qualora le<br />
BR avessero deciso di “passarlo” al setaccio. Inquietud<strong>in</strong>i<br />
superflue semplicemente perché nessuno dei brigatisti<br />
che tenevano prigioniero Dozier conosceva bene l’<strong>in</strong>glese<br />
e il generale americano non era andato oltre il m<strong>in</strong>imo <strong>in</strong>-<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
dispensabile: “rivelando” quasi dei luoghi comuni. I rapitori<br />
si erano fatti nuovamente vivi due giorni più tardi, questa<br />
volta con un messaggio scritto. Altri quattro erano seguiti<br />
a <strong>in</strong>tervalli di otto-dieci giorni. Con il comunicato n. 2<br />
del 27 dicembre era stata diffusa anche una foto <strong>in</strong> cui si<br />
vedeva il generale sullo sfondo della stella brigatista a c<strong>in</strong>que<br />
punte mentre reggeva un messaggio a lettere di scatola,<br />
con il viso segnato da una ecchimosi.<br />
So io dov’è il generale<br />
Dozier era stato trasferito a Padova, s<strong>in</strong> dalla sera del sequestro,<br />
<strong>in</strong> un appartamento di via Ippolito P<strong>in</strong>demonte 2,<br />
alla periferia della città: c<strong>in</strong>que stanze al primo piano di un<br />
condom<strong>in</strong>io popolare, sopra un grande supermercato.<br />
Proprietario della “prigione del popolo” era un ignaro medico,<br />
Mario Frascella, che aveva lasciato l’appartamento a<br />
disposizione della figlia secondogenita Emanuela (nome di<br />
battaglia “Daniela” o “Lucia”), una studentessa di vent’anni,<br />
<strong>in</strong>censurata. Nel salone, <strong>in</strong>sonorizzato, i brigatisti avevano<br />
montato una tenda verde da campo ed è lì che Dozier<br />
avrebbe passato i quaranta e passa giorni della sua prigionia,<br />
su un materass<strong>in</strong>o di gomma, e con i ferri ai piedi.<br />
I comunicati delle BR erano tutti firmati con una sigla <strong>in</strong>edita,<br />
“Brigate Rosse per la costruzione del Partito comunista<br />
combattente”, quelle che avevano rapito e ucciso<br />
Taliercio, firmando però quell’azione ancora unitariamente<br />
come BR. La svolta decisiva nelle <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i era avvenuta<br />
a Verona fra il 26 e il 27 gennaio. Tra i fermati<br />
c’era un sospetto che si chiamava Ruggero Vol<strong>in</strong>ia, detto<br />
“Spillo” per la sua somiglianza con il calciatore Alessandro<br />
Altobelli. Sottoposto a un <strong>in</strong>terrogatorio a dir poco<br />
“duro”, “Spillo” aveva chiesto garanzie <strong>in</strong> cambio dell’<strong>in</strong>-<br />
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dicazione della prigione del generale. Lui quel posto lo<br />
conosceva bene, perché era lui che aveva guidato il pulm<strong>in</strong>o<br />
da Verona a Padova. Vol<strong>in</strong>ia <strong>in</strong>fatti altri non era che<br />
“Federico”.<br />
Un’Alfetta era partita pochi m<strong>in</strong>uti dopo “la confessione”.<br />
A bordo c’era anche il commissario Salvatore Genova –<br />
poi eletto nelle file del PSDI e autore di un libro sulla sua<br />
personale esperienza, nonché grande accusatore per le<br />
torture perpetrate nella caserma Diaz di Genova <strong>in</strong> occasione<br />
del G8 di Genova del 2001 –, membro del Comitato<br />
di coord<strong>in</strong>amento per le <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i sul sequestro, ed era<br />
passata davanti alla casa <strong>in</strong> questione per controllare la<br />
situazione. Un quarto d’ora dopo, un altro passaggio, poi<br />
dritti <strong>in</strong> Questura. Vol<strong>in</strong>ia aveva disegnato una pianta<br />
dell’appartamento. C’era stato solo una volta, ma ricordava<br />
tutto con precisione e aveva così fornito due dettagli<br />
della massima importanza: il primo che la porta d’<strong>in</strong>gresso,<br />
non bl<strong>in</strong>data, poteva essere sfondata con facilità; il<br />
secondo che il “codice di comportamento” delle BR dopo<br />
la strage di via Fracchia – dove erano morti quattro brigatisti<br />
uccisi dai carab<strong>in</strong>ieri – sconsigliava gli scontri a<br />
fuoco nel caso di irruzioni.<br />
L’irruzione<br />
I preparativi per l’irruzione erano com<strong>in</strong>ciati all’alba del<br />
28 gennaio. L’<strong>in</strong>tervento era stato affidato a dieci NOCS<br />
coperti da agenti della polizia <strong>in</strong> borghese. Via P<strong>in</strong>demonte<br />
è una strada popolare, piena di gente tranquilla.<br />
Bisognava agire qu<strong>in</strong>di con cautela. Nei pressi era stato<br />
messo <strong>in</strong> funzione un bulldozer che con il suo frastuono<br />
aveva coperto ogni possibile rumore e che giustificava la<br />
deviazione di tutto il traffico dalla “zona calda”.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
Salvatore Genova: «Mi <strong>in</strong>filo un giubbotto antiproiettile e<br />
faccio scattare il tamburo della mia Smith & Wesson. È<br />
ok. Alle 11.15 <strong>in</strong> via P<strong>in</strong>demonte arriva un camion della<br />
“Domenichelli Trasporti”. È carico di NOCS con il loro <strong>in</strong>credibile<br />
e <strong>in</strong>gombrante armamentario: tute mimetiche,<br />
mute subacquee, una bi-bombola con erogatore, sagole e<br />
cordami, arnesi da rocciatori, caschi e armi pesanti, che<br />
hanno l’ord<strong>in</strong>e di portare sempre con loro. Sono <strong>in</strong> piena<br />
forma grazie ai loro allenamenti quotidiani di judo, pugilato,<br />
karate, lotta, pesi; ma anche tiro con armi lunghe e<br />
corte, discesa con corde da elicotteri e lungo le facciate<br />
dei palazzi, guida veloce di auto con catapultamento<br />
esterno, tecniche di irruzione <strong>in</strong> luoghi aperti e chiusi,<br />
azioni antiguerriglia urbane ed extraurbane, e chi più ne<br />
ha più ne metta. Sul marciapiede un ragazzo e una ragazza,<br />
mano nella mano, tubano come i fidanzat<strong>in</strong>i di Peynet.<br />
Sono due poliziotti: lui ha una Smith & Wesson alla<br />
c<strong>in</strong>tura, lei un’automatica nel reggicalze. Altri poliziotti<br />
stazionano qua e là con dis<strong>in</strong>voltura, confondendosi con<br />
l’ambiente. Un cenno e, come <strong>in</strong> un film d’azione, grappoli<br />
di NOCS e poliziotti si catapultano verso il fabbricato.<br />
I primi divorano le scale s<strong>in</strong>o all’<strong>in</strong>gresso dell’appartamento;<br />
gli altri si allargano a ventaglio sul marciapiede. I<br />
NOCS sono armati s<strong>in</strong>o ai denti, con il volto coperto dal<br />
passamontagna che lascia vedere solo gli occhi. “Tranquilli,<br />
siamo della polizia” dicono a chi, vedendoli, rimane<br />
paralizzato dallo stupore. Una spallata, una sola, e la<br />
porta si schianta. I ragazzi rimbalzano dentro. L’attimo di<br />
sorpresa dei c<strong>in</strong>que BR è il loro punto di forza. Sotto la<br />
tenda da campo, un brigatista punta una rivoltella alla<br />
tempia di Dozier. Le frazioni di tempo sono vitali. Un<br />
NOCS allunga una gamba <strong>in</strong> una mossa di karate e riesce a<br />
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far volare via l’arma. Poi prende il terrorista per le spalle<br />
e lo immobilizza. I BR non hanno letteralmente il tempo<br />
di premere il grilletto. I NOCS danno fondo al loro repertorio,<br />
senza mai usare le armi. Io, altri tre <strong>in</strong>vestigatori e<br />
un agente della DIGOS siamo rimasti fermi sul pianerottolo<br />
disposti a ventaglio. Abbiamo il compito di coprire le<br />
spalle all’avanguardia NOCS e siamo disposti a tutto, ma<br />
dall’<strong>in</strong>terno una voce grida “tutto ok”. Sono passati esattamente<br />
novanta secondi» 23 .<br />
23. La soffiata per la liberazione di Dozier arrivò con le torture effettuate <strong>in</strong> una chiesa sconsacrata di<br />
Verona: Un passaggio che impressionò pers<strong>in</strong>o la CIA». Questa la ricostruzione, dettagliata e <strong>in</strong>edita, fatta<br />
dal “Secolo XIX” che pubblicò il 16 giugno 2007 una clamorosa <strong>in</strong>tervista a Salvatore Genova, <strong>in</strong> cui l’allora<br />
commissario della DIGOS genovese “aggregato” all’UCIGOS ha rivelato l’esistenza di una squadra di veri e<br />
propri torturatori di Stato specializzati nell’estorsione di confessioni. «Nei primi anni ’80», dice Genova,<br />
«esistevano due gruppi di cui tutti sapevano: “i vendicatori della notte” e “i c<strong>in</strong>que dell’Ave Maria”. I primi<br />
operavano nella caserma di Padova, dov’erano detenuti i brigatisti fermati per Dozier (oltre a Cesare Di<br />
Lenardo, c’erano Antonio Savasta, Emilia Libera, Emanuela Frascella e Giovanni Ciucci). Succedeva<br />
esattamente quello che i terroristi hanno raccontato: li legavano con gli occhi bendati, com’era scritto<br />
pers<strong>in</strong>o su un ord<strong>in</strong>e di servizio, e poi erano costretti a bere abbondanti dosi di acqua e sale. Una volta,<br />
presentandomi al matt<strong>in</strong>o per un <strong>in</strong>terrogatorio, Savasta mi disse: «Ma perché cont<strong>in</strong>uano a torturarci, che<br />
stiamo collaborando» (la sua “dissociazione” permise cent<strong>in</strong>aia di arresti, N.d.A.). Le violenze avvenivano<br />
di notte, naturalmente, e poi è stato facile confondere le acque mandando sotto processo le persone<br />
sbagliate». Il discorso è più ampio e <strong>in</strong>quietante quando entrano <strong>in</strong> gioco “i c<strong>in</strong>que dell’Ave Maria”.<br />
Rievoca Genova: «Ovunque era nota l’esistenza della “squadretta torturatori” che si muoveva <strong>in</strong> più zone<br />
d’Italia, poiché altri BR (<strong>in</strong> particolare Ennio Di Rocco e Stefano Petrella, bloccati dalla DIGOS di Roma)<br />
avevano già denunciato procedure identiche. Non sarebbe stato difficile <strong>in</strong>dividuarne nomi, cognomi e<br />
“mandanti” a quei tempi. Ecco, il rimpallo di responsabilità: le “amnesie” che caratterizzano le deposizioni<br />
sul G8 e la scuola Diaz dimostrano che purtroppo il metodo, per alcuni gruppi ristretti ma potenti, non è<br />
cambiato». «Furono messe sotto controllo cent<strong>in</strong>aia di utenze telefoniche», rievoca Genova ritornando ai<br />
tempi di Dozier, «con l’obiettivo di scandagliare l’area dell’eversione. Ascoltavamo di tutto, <strong>in</strong> particolare le<br />
conversazioni di giovani militanti nell’Autonomia operaia. Il centro <strong>in</strong>vestigativo era la questura di Verona,<br />
dove di tanto <strong>in</strong> tanto venivano accompagnati i sospetti. Talvolta passavano per le mani di altri uom<strong>in</strong>i <strong>in</strong><br />
divisa, che usavano ogni sistema pur di farli parlare». È <strong>in</strong> questo modo che vengono <strong>in</strong>dividuati Ruggero<br />
Vol<strong>in</strong>ia (il cui nome risulta negli atti dei vari processi) e la sua fidanzata. «Vennero accompagnati <strong>in</strong><br />
questura», prosegue Genova, «e nessuno si aspettava che da quell’uomo potessero arrivare <strong>in</strong>dicazioni<br />
tanto importanti». Non potevano immag<strong>in</strong>are, sulle prime, di trovarsi davanti “Federico” (questo il suo<br />
nome di battaglia), ovvero colui che materialmente, a bordo d’un furgone, trasferì Dozier dalla sua casa di<br />
Lungadige Catena, a Verona, al covo di via Ippolito P<strong>in</strong>demonte, a Padova. «Un gruppo specializzato»,<br />
prosegue Genova, «si occupò dell’<strong>in</strong>terrogatorio. Separarono Vol<strong>in</strong>ia dalla compagna e su di lei ci furono<br />
violenze. Io non partecipai all’azione, ma <strong>in</strong> seguito tacqui davanti ai giudici per proteggere altri<br />
funzionari, che mi garantirono avanzamenti di carriera <strong>in</strong> cambio del silenzio. Sentendo le urla disumane<br />
della fidanzata, Ruggero Vol<strong>in</strong>ia a un certo punto supplicò di fermarsi. E <strong>in</strong>iziò a fare qualche nome; nulla<br />
di eclatante, ma palesava evidentemente una consapevolezza superiore a tanti altri». «Non credevamo»,<br />
dissero gli uom<strong>in</strong>i della CIA mandati da Reagan, «che gli italiani arrivassero a un livello di pressione tale».<br />
Vol<strong>in</strong>ia, dunque, cede: «Se vi dicessi dov’è nascosto Dozier». È la notte fra il 26 e il 27 gennaio 1982,<br />
nella chiesa scende f<strong>in</strong>almente il silenzio. E scatta il blitz dei NOCS. Si veda Le torture affiorate (Sensibili<br />
alle Foglie, 1998).<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
Pentiti e tortura<br />
I c<strong>in</strong>que carcerieri vengono portati fuori ammanettati.<br />
Sono tumefatti. Si tratta di Antonio Savasta, la sua fidanzata<br />
Emilia Libera (“Mart<strong>in</strong>a”), Cesare Di Leonardo (“Fabrizio”),<br />
Giovanni Ciucci (“Saverio”, che aveva puntato la<br />
rivoltella contro Dozier), e la proprietaria dell’appartamento,<br />
Daniela Frascella. Intanto, altri poliziotti avevano<br />
liberato Dozier, che si era presentato <strong>in</strong> tuta, barba e capelli<br />
lunghi, una catena alla caviglia e una cuffia stereo<br />
<strong>in</strong>collata alle orecchie. I brigatisti lo avevano obbligato a<br />
usarla quasi <strong>in</strong><strong>in</strong>terrottamente per isolarlo dal mondo e<br />
la musica rock, trasmessa a tutto volume, gli aveva provocato<br />
una lesione <strong>in</strong>terna all’orecchio destro. Le prime<br />
parole del generale erano state: «Wonderful, police!», ma<br />
poi confessò di aver temuto – per un attimo <strong>in</strong>term<strong>in</strong>abile<br />
– di essere vic<strong>in</strong>o alla f<strong>in</strong>e.<br />
Savasta, ritenuto responsabile di diciassette omicidi, aveva<br />
<strong>in</strong>iziato pochi giorni dopo una confessione fiume che<br />
si era aggiunta a quella di altri pentiti e che portò nei mesi<br />
successivi ad arresti <strong>in</strong> massa di brigatisti e fiancheggiatori.<br />
Già il giorno successivo erano stati arrestati diciotto<br />
brigatisti. A f<strong>in</strong>e gennaio c’era stata la scoperta<br />
della prigione di Moro <strong>in</strong> via Montalc<strong>in</strong>i a Roma, all’<strong>in</strong>izio<br />
di febbraio erano stati arrestati <strong>in</strong> Friuli gli altri responsabili<br />
dell’omicidio Taliercio, tra aprile e maggio era stata<br />
quasi sgom<strong>in</strong>ata la colonna romana che al momento<br />
contava cento regolari e quattrocento fiancheggiatori.<br />
Savasta e la Libera si guadagnarono presto la libertà grazie<br />
al loro “contributo”. Barbara Balzerani riuscì <strong>in</strong>vece a<br />
sfuggire a questa ondata di arresti – capeggiando poi le<br />
BR-PCC <strong>in</strong> contrasto con le BR-PG di Giovanni Senzani –<br />
mentre Cesare Di Leonardo, nonostante le brutali tortu-<br />
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re cui fu ripetutamente sottoposto, scelse di non collaborare<br />
con la giustizia e fu condannato all’ergastolo.<br />
LA PRIMA LINEA DI ROVIGO: EVASIONE CON MORTO<br />
Mentre il generale Dozier era nella “prigione del popolo”<br />
di Padova, un’altra città veneta, Rovigo, stava per entrare<br />
a far parte di un capitolo della guerra contro lo Stato<br />
dichiarata da comunisti passati «dalle armi della dialettica<br />
alla dialettica delle armi». Era il 3 gennaio del 1982.<br />
Cioè dell’anno che avrebbe regalato all’Italia il mondiale<br />
di calcio, anzi, il “mundial”, ché questa volta era la Spagna<br />
a ospitare la tenzone quadriennale, con Pert<strong>in</strong>i – il<br />
presidente con la pipa, il presidente partigiano – a esultare<br />
come un hooligan sulla faccia dell’impassibile monarca<br />
Borbone quando l’Italia, alla terza cannonata contro<br />
la Germania, era salita sull’irraggiungibile vetta calcistica.<br />
Lo stesso anno che avrebbe visto il generale Carlo<br />
Alberto Dalla Chiesa cadere sotto i colpi della mafia, sotto<br />
i colpi della politica 24 . Purtroppo eravamo solo agli <strong>in</strong>izi,<br />
l’anno era ancora giovanissimo, era appena nato. Quel<br />
3 gennaio, un network di diciotto televisioni locali, guidato<br />
dall’editore Edilio Rusconi, si era unito per trasmettere<br />
su scala nazionale il segnale di una nuova rete televisiva:<br />
Italia 1.<br />
24. Dopo aver lasciato la Prefettura di Palermo, alle 21.15 del 3 settembre 1982 la Autobianchi A112<br />
con a bordo Carlo Alberto Dalla Chiesa e sua moglie Emanuela Setti Carraro fu affiancata <strong>in</strong> via Car<strong>in</strong>i<br />
da una BMW dalla quale furono esplose raffiche di Kalashikov che uccisero il prefetto e sua moglie.<br />
Contemporaneamente l’auto con a bordo l’autista e l’agente di scorta Domenico Russo fu colpita da due<br />
uom<strong>in</strong>i <strong>in</strong> motocicletta, che uccisero Russo. Come mandanti sono stati condannati all’ergastolo Totò<br />
Ri<strong>in</strong>a, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Nenè Geraci e Bernardo Brusca, mentre gli<br />
esecutori sono stati identificati <strong>in</strong> V<strong>in</strong>cenzo Galatolo e Anton<strong>in</strong>o Madonia, anch’essi condannati<br />
all’ergastolo. Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci sono stati condannati a 14 anni.<br />
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ARMI IN PUGNO 22_7_10 2-09-2010 11:53 Pag<strong>in</strong>a 48<br />
ARMI IN PUGNO<br />
Quel giorno a Rovigo c’era il sole: faceva freddo, ma c’era<br />
il sole. Eppure <strong>in</strong> un punto il cielo si era scurito, sembrava<br />
notte, anche se le lancette dell’orologio segnavano le<br />
tre e mezza del pomeriggio. Era scoppiata una bomba:<br />
venti chili di esplosivo che avevano aperto una breccia<br />
nel muro del penitenziario femm<strong>in</strong>ile. Sotto quel cielo <strong>in</strong>grigitosi<br />
improvvisamente col boato di una improbabile<br />
saetta di Zeus, il pulviscolo dell’audacia aveva coperto la<br />
fuga di Susanna, Mar<strong>in</strong>a, Loredana e Federica. Che non<br />
erano donne qualsiasi, non erano detenute qualsiasi, “comuni”,<br />
ma donne condannate per appartenenza a banda<br />
armata. Donne che <strong>in</strong>vece di darla la vita, avevano scelto<br />
di poterla togliere e poterla perdere. La miccia no, la<br />
miccia l’aveva <strong>in</strong>nescata un uomo. Un ragazzo <strong>in</strong> “Prima<br />
l<strong>in</strong>ea” contro lo Stato. Il suo nome di battaglia era Sirio.<br />
Il comandante Sirio.<br />
Miccia corta<br />
Per squarciare il muro, Sergio Segio, alias Comandante<br />
Sirio, aveva parcheggiato l’auto rasente la c<strong>in</strong>ta del carcere<br />
e poi aveva <strong>in</strong>nescato la miccia: una miccia corta.<br />
Come ha ricordato <strong>in</strong> un libro chiamato proprio così,<br />
Miccia corta, dal quale, poi, è stato tratto un film (La<br />
prima l<strong>in</strong>ea): «Doveva essere un’azione motivata dall’amore<br />
e dalla solidarietà verso i nostri compagni… Si risolse<br />
<strong>in</strong>vece <strong>in</strong> un nuovo lutto». Sì, perché quell’esplosione<br />
spaventò a morte un pensionato uscito come sempre,<br />
ogni pomeriggio, per portare il suo cane a fare una passeggiata.<br />
Angelo Furlan, così si chiamava, aveva 64 anni,<br />
era iscritto al PCI dall’età della ragione e quel giorno si<br />
trovò nel più classico dei posti sbagliati nel momento<br />
sbagliato.<br />
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«Hai pianificato tutto, hai pensato a tutto e ti sei preoccupato<br />
che nessuno si faccia del male», mi confidò quando<br />
lo conv<strong>in</strong>si a scrivere un altro libro, Una vita <strong>in</strong> prima<br />
l<strong>in</strong>ea, «poi arriva l’imponderabile con le vesti di un<br />
pensionato» 25 . Quando lo sento al telefono, faccio sempre<br />
una notevole fatica perché parla a voce bassissima,<br />
forse per andare contro la naturale propensione a urlare<br />
che hanno tutti i sordi. Segio, <strong>in</strong>fatti, non ci sente da un<br />
orecchio: «Il regalo di un maresciallo che mi sfondò il<br />
timpano con la guida del telefono».<br />
Per quella e altre azioni, omicidi compresi, Segio ha<br />
scontato ventidue anni di carcere e poi, a pena conclusa,<br />
è entrato nel Gruppo Abele di don Luigi Ciotti per occuparsi<br />
di volontariato sui problemi di carcere, esclusione e<br />
tossicodipendenze. Nel 2003 gli è stato conferito il premio<br />
<strong>in</strong>ternazionale all’impegno sociale “Rosario Livat<strong>in</strong>o”,<br />
il giudice bamb<strong>in</strong>o ucciso dalla mafia.<br />
Quel 1982, però, Segio era ancora l’ex-comandante Sirio<br />
di Prima L<strong>in</strong>ea, una banda armata comunista formatasi<br />
nella seconda metà degli anni Settanta da reduci di Lotta<br />
cont<strong>in</strong>ua e Potere Operaio. Una sigla, Prima L<strong>in</strong>ea,<br />
mutuata dalla prima l<strong>in</strong>ea del servizio d’ord<strong>in</strong>e di Lotta<br />
cont<strong>in</strong>ua. Inizialmente il gruppo non aveva rivendicato le<br />
proprie azioni, anche perché nei primi mesi si autodef<strong>in</strong>iva<br />
«non un nuovo nucleo combattente, ma l’aggregazione<br />
di vari gruppi guerriglieri che f<strong>in</strong>ora hanno agito con<br />
sigle diverse» (dal testo di un comunicato fatto trovare<br />
dopo un’irruzione nella sede del gruppo dirigente della<br />
FIAT di Tor<strong>in</strong>o). Il modello di questa formazione – le cui<br />
tesi erano state def<strong>in</strong>ite <strong>in</strong> una riunione tenutasi a Salò,<br />
25. Dichiarazione resa all’autore.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
sul lago di Garda – era molto diverso rispetto alla rigida<br />
impostazione stal<strong>in</strong>ista delle Brigate Rosse, rifiutando la<br />
logica della clandest<strong>in</strong>ità per muoversi meglio e con maggiore<br />
dis<strong>in</strong>voltura nel “Movimento”. Altro punto di divergenza<br />
con le BR, il mettere l’azione al centro dell’attività<br />
politica, conf<strong>in</strong>ando <strong>in</strong> second’ord<strong>in</strong>e l’elaborazione ideologica<br />
(tipica <strong>in</strong>vece dei brigatisti). Per l’attività di questa<br />
formazione furono <strong>in</strong>quisite oltre novecento persone,<br />
un numero superiore a quello delle Brigate Rosse, nonostante<br />
una vita ben più breve, conclusasi nell’arco di un<br />
qu<strong>in</strong>quennio, dopo l’arresto nel 1980 di Michele Viscardi,<br />
alla f<strong>in</strong>e di una rocambolesca fuga seguita a una rap<strong>in</strong>a<br />
conclusasi nel sangue con l’uccisione del brigadiere Pietro<br />
Cuzzoli e dell’appuntato Ippolito Cortelessa. Il repent<strong>in</strong>o<br />
pentimento di Viscardi provocò la decapitazione di<br />
Prima L<strong>in</strong>ea: fra gli arrestati anche Susanna Ronconi, legata<br />
sentimentalmente proprio al comandante Sirio, che<br />
dopo l’azzeramento di PL diede vita ai COLP (Combattenti<br />
per la Liberazione Proletaria), e successivamente ai Nuclei<br />
comunisti. Proprio quando era a capo di quest’ultima<br />
formazione, Segio progettò l’assalto al carcere di Rovigo.<br />
Dalla breccia nel muro del penitenziario, oltre alla Ronconi,<br />
erano uscite anche Mar<strong>in</strong>a Premoli (figlia di un senatore<br />
liberale di Venezia), Loredana Biancamano e l’<strong>in</strong>fermiera<br />
milanese Federica Meroni. Nata a Venezia, dopo<br />
una militanza nella s<strong>in</strong>istra extraparlamentare, Susanna<br />
Ronconi era entrata nelle Brigate Rosse, partecipando<br />
anche all’azione che nel ’74 aveva provocato la morte<br />
di Giuseppe Giralucci e Graziano Mazzola nella sede miss<strong>in</strong>a<br />
di Padova. Uscita dalle BR, aveva aderito al progetto<br />
di Prima L<strong>in</strong>ea ed era stata arrestata a Firenze nel 1980.<br />
Evasa qu<strong>in</strong>di dal carcere di Rovigo, era stata nuovamen-<br />
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te arrestata e f<strong>in</strong>ì di scontare la sua pena nel ’98, diventando<br />
una specialista dei problemi legati alle tossicodipendenze.<br />
Rovigo, poligono di tiro<br />
Ventiquattro anni dopo l’assalto al penitenziario, Rovigo<br />
era salita nuovamente alla ribalta sovversiva: il 19 novembre<br />
2006 la campagna veneta era diventata una sorta<br />
di poligono di tiro, dove le “Nuove Brigate Rosse” si<br />
esercitavano a sparare.<br />
Rapporto della DIGOS: «Alle 17.10, <strong>in</strong> località Mardimago<br />
(Rovigo), lungo la prov<strong>in</strong>ciale che attraversa il paese, sono<br />
stati visti Davide Bortolato, Claudio Lat<strong>in</strong>o e Bruno<br />
Ghirardi mentre <strong>in</strong>sieme passeggiavano e conversavano<br />
tra loro. Poco più avanti, <strong>in</strong> un parcheggio, sono stati notati<br />
Toschi Massimiliano e Rossi Valent<strong>in</strong>o. Alle 17.20, <strong>in</strong><br />
condizioni di buio totale, gli ultimi due vanno <strong>in</strong> una zona<br />
meno frequentata. Hanno qu<strong>in</strong>di percorso l’arg<strong>in</strong>e per<br />
circa settecento metri, s<strong>in</strong>o a giungere <strong>in</strong> corrispondenza<br />
di un piccolo casolare […]. Le sagome si sono spostate<br />
di una vent<strong>in</strong>a di metri, <strong>in</strong> corrispondenza di un blocco<br />
di cemento, [dove] è stata notata accendersi la luce di<br />
una piccola torcia. Immediatamente dopo è stato dist<strong>in</strong>tamente<br />
udito il tipico rumore di scarrellamento di armi.<br />
Nel frattempo, arrivano gli altri tre brigatisti, dopo aver<br />
controllato che la zona fosse tranquilla. Ma il personale<br />
operante ha potuto udire, provenienti dal punto <strong>in</strong> cui il<br />
gruppo si era radunato, brevi e ripetute raffiche di mitra,<br />
nonché altri colpi s<strong>in</strong>goli. Nel corso dello svolgimento di<br />
questa attività si è vista qu<strong>in</strong>di una delle auto dei brigatisti<br />
staccarsi e girare per i soliti “controlli antisbirri”. Ma<br />
è stata <strong>in</strong> più occasioni <strong>in</strong>quadrata dalla nostra telecame-<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
ra […]. Accertato il def<strong>in</strong>itivo allontanamento di tutti i<br />
soggetti co<strong>in</strong>volti dalla zona delle “prove”, il personale ha<br />
proceduto a un sopralluogo e sono stati sequestrati quattro<br />
bossoli di due calibri diversi».<br />
Nessuno però era stato arrestato, perché, dicono i detective,<br />
«la lepre doveva ancora correre». Anche se era una<br />
lepre armata. «Noi», avevano spiegano alla DIGOS, «avevamo<br />
un solo patema: che colpissero. Perciò, anche se s’<strong>in</strong>filavano<br />
a tutta velocità contromano nelle strade, pedalando<br />
come ossessi, tentavamo di non perderli mai. E mai<br />
li abbiamo persi, anzi, eravamo spesso <strong>in</strong>sieme a loro, anche<br />
se <strong>in</strong>visibili, grazie ai nostri microfoni». La corsa di<br />
quella lepre ebbe term<strong>in</strong>e il 17 febbraio 2007, con la vasta<br />
operazione di polizia che portò <strong>in</strong> carcere anche la<br />
“componente veneta” delle Nuove Brigate Rosse, il cosiddetto<br />
Partito Comunista Politico Militare.<br />
LA VITA SPERICOLATA DI MARCO DONAT CATTIN<br />
Verona, 19 giugno 1988. Domenica e, come tutte le domeniche,<br />
l’autostrada A4 che collega Venezia a Milano<br />
era trafficata più che mai. La giornata era quasi ormai<br />
term<strong>in</strong>ata e il traffico <strong>in</strong>tenso nelle due direzioni annunciava<br />
che la festa era f<strong>in</strong>ita. Dall’<strong>in</strong>domani si tornava a lavorare.<br />
All’altezza dello sv<strong>in</strong>colo con la Modena-Brennero,<br />
una FIAT Regata aveva tamponato violentemente una<br />
BMW: un <strong>in</strong>cidente che aveva co<strong>in</strong>volto altre quattro vetture.<br />
Un’auto aveva preso fuoco, c<strong>in</strong>que persone erano<br />
rimaste ferite, mentre una donna, Andre<strong>in</strong>a Furlan, era<br />
morta. Un <strong>in</strong>ferno d’asfalto sul quale giacevano altre due<br />
persone, un uomo e una donna: Alberto Quagli e Franca<br />
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Marchetto, <strong>in</strong> condizioni gravissime. Una scena apocalittica.<br />
Dal fumo che tutto avvolgeva <strong>in</strong> una nuvola di orrore<br />
era comparso all’improvviso un uomo che correva agitando<br />
le braccia e urlando per attirare l’attenzione delle<br />
auto <strong>in</strong> corsa: voleva che si fermassero per prestare<br />
aiuto o che almeno rallentassero. I telefoni cellulari sono<br />
ancora di là da venire. Anche lui stava passando con<br />
la sua auto, ma si era fermato non appena si era reso<br />
conto di quanto fosse successo. Alto, robusto, un bel ragazzo<br />
di 35 anni che però non era un ragazzo come tutti<br />
gli altri. Sulle spalle si portava sette anni di galera degli<br />
undici che gli erano stati comm<strong>in</strong>ati per partecipazione<br />
a banda armata: precisamente Prima L<strong>in</strong>ea, sotto<br />
la cui sigla aveva firmato rap<strong>in</strong>e, ferimenti e uccisioni.<br />
Era riuscito a evitare decenni di carcere perché era stato<br />
un collaboratore di giustizia, un pentito. Il suo nome:<br />
Marco Donat Catt<strong>in</strong>.<br />
Un nome importante. Suo padre era un papavero della<br />
Democrazia cristiana: Carlo Donat Catt<strong>in</strong> 26 . Uscito di<br />
prigione, Marco s’era messo a lavorare come assistente<br />
sociale <strong>in</strong> un istituto per bamb<strong>in</strong>i abbandonati, il Razzetti,<br />
poi al progetto Exodus nella comunità di don Antonio<br />
Mazzi. Ora correva nel buio, nell’<strong>in</strong>ferno di quell’<strong>in</strong>cidente,<br />
quando all’improvviso dal fumo era uscita<br />
un’automobile che lo aveva travolto. Il suo corpo era diventato<br />
un manich<strong>in</strong>o volato per aria e ricaduto rov<strong>in</strong>osamente<br />
sull’asfalto. Era morto così Marco Donat Catt<strong>in</strong>,<br />
travolto sulla A4 nel tentativo di portare soccorso <strong>in</strong><br />
un <strong>in</strong>cidente.<br />
26. Carlo Donat Catt<strong>in</strong> è stato più volte m<strong>in</strong>istro. È morto il 17 marzo 1991.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
Una storia ribelle<br />
La “vita contro” di Marco Donat Catt<strong>in</strong>, classe 1953, era<br />
<strong>in</strong>iziata a Tor<strong>in</strong>o nel 1974, quando aveva preso servizio come<br />
bibliotecario al liceo scientifico Galileo Ferraris, noto<br />
come il “Gal-Fer”. Pur essendo figlio di uno dei politici più<br />
importanti, la sua era una vita precaria, <strong>in</strong>quieta, simile a<br />
quella di tanti ragazzi del suo tempo <strong>in</strong> un Paese devastato<br />
dalle bombe e dagli scontri di piazza, dove spesso ci<br />
scappava anche il morto. Gli studenti del “Gal-Fer” erano<br />
sempre fra i più attivi nelle manifestazioni.<br />
Nell’autunno del 1976, Lotta Cont<strong>in</strong>ua aveva deciso di<br />
sciogliersi. Per alcuni militanti del servizio d’ord<strong>in</strong>e era<br />
l’occasione per il def<strong>in</strong>itivo salto di qualità: il passaggio<br />
alla lotta armata. Fra essi, Marco Donat Catt<strong>in</strong>. La formazione,<br />
quella di Prima L<strong>in</strong>ea. Il 29 novembre 1976, un<br />
commando di cui faceva parte anche Marco aveva assaltato<br />
l’Associazione Dirigenti FIAT di Tor<strong>in</strong>o. La prima azione.<br />
La più feroce fu quella che nel ‘79 lo vide partecipare<br />
all’uccisione del sostituto procuratore di Milano Emilio<br />
Alessandr<strong>in</strong>i 27 . La “carriera” nella lotta armata di Marco<br />
f<strong>in</strong>ì nel 1980, precisamente il 18 febbraio, quando i carab<strong>in</strong>ieri<br />
arrestarono a Tor<strong>in</strong>o il brigatista Patrizio Peci.<br />
Poco più di un mese dopo, Peci <strong>in</strong>iziò a parlare, a rivelare<br />
tutto: nomi, fatti, date. A parlare anche di Prima L<strong>in</strong>ea,<br />
facendo i nomi dei suoi leader: fra questi, Marco Donat<br />
Catt<strong>in</strong>. Una rivelazione esplosiva. Una confidenza da<br />
fare tremare il palazzo.<br />
L’8 maggio successivo, il quotidiano romano “Paese sera”<br />
riportò le affermazioni di Peci su Marco Donat Catt<strong>in</strong>.<br />
27 Il giudice Emilio Alessandr<strong>in</strong>i fu ucciso da un commando di Prima L<strong>in</strong>ea la matt<strong>in</strong>a del 29 gennaio<br />
1979 mentre si recava al Palazzo di Giustizia di Milano.<br />
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Due giorni dopo fu pubblicata la notizia di un mandato di<br />
cattura contro il figlio del vice segretario della DC, imputato<br />
anche per l’omicidio del giudice Alessandr<strong>in</strong>i. La<br />
nuova accusa era arrivata da Roberto Sandalo, “pentito”<br />
di Prima L<strong>in</strong>ea. Questi aveva detto ai magistrati che il suo<br />
capo era riuscito a scappare perché il presidente Francesco<br />
Cossiga aveva avvisato Donat Catt<strong>in</strong> e quest’ultimo<br />
suo figlio. Carlo Donat Catt<strong>in</strong> s’era qu<strong>in</strong>di dimesso dalla<br />
segreteria DC ed era stato sostituito dal compagno di corrente<br />
Vittor<strong>in</strong>o Colombo. Il 31 maggio la Commissione <strong>in</strong>quirente<br />
(l’organo addetto a giudicare i reati m<strong>in</strong>isteriali)<br />
assolse Cossiga per il caso Donat Catt<strong>in</strong> con una maggioranza<br />
risicata: undici voti contro nove. Determ<strong>in</strong>ante<br />
il voto dei commissari di nom<strong>in</strong>a PSI.<br />
Questa la sequenza degli avvenimenti f<strong>in</strong>o a quel momento:<br />
il 24 aprile, il senatore Donat Catt<strong>in</strong> aveva <strong>in</strong>contrato<br />
il presidente del consiglio Cossiga per parlargli di<br />
suo figlio e l’<strong>in</strong>domani aveva chiesto a Roberto Sandalo di<br />
r<strong>in</strong>tracciare Marco e avvertirlo che il pentito Patrizio Peci<br />
aveva fatto il suo nome. Sandalo sarà arrestato il 29<br />
aprile a Tor<strong>in</strong>o. Pentitosi, rivelerà il presunto favoreggiamento<br />
di Cossiga nei confronti di Donat Catt<strong>in</strong>. Le confessioni<br />
di Sandalo proseguirono per quattordici giorni. Il<br />
suo nome era stato fatto da Patrizio Peci, che lo aveva <strong>in</strong>contrato<br />
due volte per valutare il suo <strong>in</strong>gresso nelle Brigate<br />
Rosse dopo aver abbandonato Prima L<strong>in</strong>ea. Era stato<br />
<strong>in</strong> uno di questi <strong>in</strong>contri che Sandalo aveva rivelato a<br />
Peci il nome di Marco Donat Catt<strong>in</strong>. Anche lui – aveva<br />
confidato Sandalo al capo brigatista – voleva lasciare PL<br />
perché ormai <strong>in</strong> rotta di collisione con l’esecutivo. Il 2<br />
maggio il vicecapo del SISDE, Silvano Russomanno, aveva<br />
consegnato al giornalista Fabio Isman – che li aveva pub-<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
blicati sulle pag<strong>in</strong>e del quotidiano “Il Messaggero” a partire<br />
dal 4 maggio – i verbali delle confessioni di Peci. Il<br />
verbale però non era completo, mancava <strong>in</strong>fatti una pag<strong>in</strong>a,<br />
la numero 50, quella che conteneva le rivelazioni di<br />
Peci su Marco Donat Catt<strong>in</strong>.<br />
Il 7 maggio, “Lotta Cont<strong>in</strong>ua”, che aveva avuto da Fabio<br />
Ismam copia dei verbali dell’<strong>in</strong>terrogatorio di Peci, era<br />
uscita con un supplemento di 16 pag<strong>in</strong>e, mentre nell’edizione<br />
pomeridiana dello stesso giorno, “Paese sera” aveva<br />
titolato: “Peci: il figlio di Donat Catt<strong>in</strong> fa parte di Prima<br />
L<strong>in</strong>ea”. Fabio Ismam era stato arrestato per divulgazione<br />
di atti giudiziari. Contemporaneamente era stato<br />
spiccato un mandato di cattura contro Marco Donat Catt<strong>in</strong>.<br />
L’11 maggio era però scappato <strong>in</strong> Francia, dest<strong>in</strong>azione<br />
Parigi: lo stesso giorno <strong>in</strong> cui i giornali avevano pubblicato<br />
la notizia della sua partecipazione all’uccisione<br />
del giudice Alessandr<strong>in</strong>i.<br />
Polemiche <strong>in</strong>crociate<br />
Venerdì 7 settembre 2007, dalle pag<strong>in</strong>e del “Corriere della<br />
sera”, l’emerito presidente della Repubblica, Francesco<br />
Cossiga, rivelò <strong>in</strong> un’<strong>in</strong>tervista i retroscena della sua<br />
<strong>in</strong>formazione all’amico Carlo Donat Catt<strong>in</strong>. Un’<strong>in</strong>tervista<br />
che suscitò molte polemiche.<br />
«Vennero da me», spiegò Cossiga, «Virg<strong>in</strong>io Rognoni, che<br />
era il m<strong>in</strong>istro dell’Interno, e Flam<strong>in</strong>io Piccoli, segretario<br />
della DC. Patrizio Peci, il primo pentito del terrorismo,<br />
aveva com<strong>in</strong>ciato a parlare. E aveva fatto il nome di Marco<br />
Donat Catt<strong>in</strong>. Rognoni mi chiese: “Diglielo tu a Donat<br />
Catt<strong>in</strong>, perché io non ci vado d’accordo”. Presi su di me<br />
la grana. Verificai la notizia con il generale Dalla Chiesa.<br />
E avvertii il mio m<strong>in</strong>istro che suo figlio era ricercato […].<br />
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Chiesi a Donat Catt<strong>in</strong> di dire al figlio di consegnarsi e raccontare<br />
tutto quanto sapeva».<br />
L’<strong>in</strong>domani, su “Il Giornale”, Roberto Sandalo aveva fornito<br />
la sua versione dei fatti.<br />
«[Carlo Donat Catt<strong>in</strong>] Mi convocò a casa sua, a Tor<strong>in</strong>o, la<br />
matt<strong>in</strong>a del 25 aprile 1980. Erano le sette e mezzo, aveva<br />
il pigiama a righe e gli occhialoni. Venne subito al dunque:<br />
“Ieri sera Cossiga mi ha detto che Patrizio Peci ha<br />
parlato. Mio figlio è <strong>in</strong> Prima L<strong>in</strong>ea ed è uno dei capi. Cossiga<br />
mi suggerisce di dirgli di scappare all’estero perché<br />
se lo pigliano <strong>in</strong> Italia, con le elezioni <strong>in</strong> vista, è un cas<strong>in</strong>o”.<br />
Il senatore e la moglie Amalia cont<strong>in</strong>uavano a ripetere:<br />
andiamo a prenderlo, partiamo subito. Io li fermai:<br />
non so dov’è. Dovete pazientare. Io e Marco eravamo<br />
usciti da Prima L<strong>in</strong>ea nell’ottobre precedente, portandoci<br />
dietro un terzo circa dell’organizzazione. Sapevo a malapena<br />
che era a Brescia. Poi ero preoccupato; avevamo<br />
tutti e due sulla coscienza reati da ergastolo e non sapevo<br />
nemmeno che Peci si era pentito, ma il m<strong>in</strong>istro del<br />
Lavoro mi rassicurò: “Sandalo, stia tranquillo, lei è <strong>in</strong> una<br />
botte di ferro”».<br />
«Aspettai il lunedì e la f<strong>in</strong>e del ponte. Il 28 andai a lavorare<br />
alla Simca e feci alcune telefonate. Alle due e mezzo<br />
un contatto mi chiamò: Marco è stato avvisato, ti r<strong>in</strong>grazia.<br />
Mia mamma parlò con la signora Amalia che però<br />
era tesissima e si auto-<strong>in</strong>vitò a cena a casa nostra. E a cena<br />
accadde l’<strong>in</strong>credibile: una telefonata per la signora<br />
Amalia. Tornò a tavola felice. Disse che era il convivente<br />
della figlia che, guarda la comb<strong>in</strong>azione, aveva <strong>in</strong>contrato<br />
a Milano Marco: tutto ok».<br />
«Inverosimile. Qualcuno, ai piani alti delle istituzioni,<br />
confermava il mio contatto: Marco era <strong>in</strong> fuga. Accompa-<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
gnammo Amalia a casa sua, tornammo a Mirafiori: polizia<br />
da tutte le parti. Scappai. Ma dove Prima L<strong>in</strong>ea mi voleva<br />
morto. Andai nell’unico posto dove non mi avrebbero<br />
cercato: da Maria Pia Donat Catt<strong>in</strong>, la sorella di Marco.<br />
Ma non avevo vie d’uscita: ero il figlio di un operaio, non<br />
di un m<strong>in</strong>istro. La matt<strong>in</strong>a dopo andai <strong>in</strong> fabbrica e lì un<br />
agente della DIGOS, travestito da autista, mi puntò una pistola<br />
alla tempia».<br />
«Querelerò Cossiga quando dice che ero stato catturato<br />
e rimesso <strong>in</strong> libertà a seguito di un accordo fra il giudice<br />
Giancarlo Caselli e la polizia per utilizzarmi come agente<br />
provocatore contro Marco. Una follia: perché non accetta<br />
un confronto con me <strong>in</strong> TV A novembre però i carab<strong>in</strong>ieri<br />
di Dalla Chiesa mi mostrarono le foto di Marco scattate<br />
col teleobiettivo a Parigi. Confermai: è lui. Così anche<br />
Donat-Catt<strong>in</strong> fu bl<strong>in</strong>dato».<br />
Storie, versioni. Gli unici che non possono dire la loro sono<br />
i diretti protagonisti: Carlo Donat Catt<strong>in</strong>, morto a<br />
Montecarlo nel ’91, e suo figlio Marco, travolto tre anni<br />
prima da un’auto mentre cercava di portare soccorso sulla<br />
A4, all’altezza di Verona.<br />
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I NERI<br />
LA PISTA VENETA DELLA STRAGE DI PIAZZA FONTANA<br />
Il 15 aprile 1969, cioè otto mesi prima della strage di<br />
piazza Fontana, era esplosa una bomba collocata nel rettorato<br />
di Padova, occupato dal professor Enrico Opocher.<br />
Responsabili, appartenenti alle classi più elevate di<br />
una borghesia che strizzava l’occhio al neofascismo. Da<br />
Padova, a Treviso, dove Guido Lorenzon era il segretario<br />
di una sezione della Democrazia cristiana. La sera del 15<br />
dicembre 1969 – cioè tre giorni dopo l’esplosione della<br />
bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano e<br />
mentre l’anarchico P<strong>in</strong>o P<strong>in</strong>elli volava dal quarto piano<br />
della Questura milanese – Lorenzon si trovava nello studio<br />
dell’avvocato Alberto Steccanella, cui confidava,<br />
chiedendo consiglio, di essere a conoscenza di fatti <strong>in</strong>quietanti<br />
riguardanti le bombe del 12 dicembre 28 . Fatti<br />
che riguardavano Giovanni Ventura, un piccolo editore di<br />
Treviso che lui conosceva da anni.<br />
Ventura non solo gli aveva dato <strong>in</strong>formazioni precise e<br />
dettagliate su quelle bombe, ma alcune settimane prima<br />
gli aveva descritto gli attentati ai treni compiuti nel Nord<br />
Italia nella notte tra l’8 e il 9 agosto, rivendicando l’appartenenza<br />
a un’organizzazione clandest<strong>in</strong>a e mettendolo al<br />
28. Oltre alla bomba esplosa alle 16.37 nella Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana (17<br />
morti e 88 feriti), a Milano era stato r<strong>in</strong>venuto un ulteriore ordigno nella Banca Commerciale Italiana di<br />
piazza della Scala. Alle 16.55 scoppiò un’altra bomba, questa volta a Roma, nel passaggio sotterraneo<br />
che collegava l’entrata di via Veneto con quella di via San Basilio della Banca Nazionale del Lavoro,<br />
provocando il ferimento di tredici persone. Fra le 17.20 e le 17.30, nella capitale esplosero altre due<br />
bombe: una davanti all’Altare della Patria e la seconda all’<strong>in</strong>gresso del Museo del Risorgimento, ferendo<br />
quattro persone.<br />
59
ARMI IN PUGNO 22_7_10 2-09-2010 11:53 Pag<strong>in</strong>a 60<br />
ARMI IN PUGNO<br />
corrente del progetto di un colpo di Stato imm<strong>in</strong>ente.<br />
L’avvocato Steccanella aveva qu<strong>in</strong>di consigliato il suo <strong>in</strong>terlocutore<br />
di stendere un memoriale dettagliato da presentare<br />
alla magistratura. Lorenzon si trovò così faccia a<br />
faccia col procuratore Pietro Calogero che, sulla base di<br />
quel memoriale, aveva aperto un’istruttoria nei confronti<br />
del Ventura. Lorenzon aveva poi cercato Ventura e i<br />
due si erano qu<strong>in</strong>di nuovamente <strong>in</strong>contrati, ma l’editore<br />
veneto non sapeva che questa volta le sue confidenze<br />
erano registrate dalla polizia giudiziaria: meno di un mese<br />
dopo, il procuratore Calogero aveva raccolto <strong>in</strong>dizi<br />
sufficienti non solo contro di lui, ma anche nei confronti<br />
di Franco Freda, nome emerso da quelle registrazioni.<br />
Pochi giorni dopo l’attentato al rettore di Padova, il commissario<br />
di pubblica sicurezza Pasquale Juliano aveva ord<strong>in</strong>ato<br />
perquisizioni nelle abitazioni di diversi neofascisti<br />
e una sua fonte, Franco Tommasoni, gli aveva riferito che<br />
responsabile di quelli e di altri attentati era un’organizzazione<br />
con a capo Franco Freda, Giovanni Ventura e Marco<br />
Pozzan, un bidello dell’istituto Configliachi di Padova.<br />
Inoltre, Nicolò Pezzato, un pregiudicato, <strong>in</strong> cambio di denaro<br />
aveva fatto a Juliano i nomi di altri componenti la<br />
cellula eversiva, fra cui quello di Massimiliano Fach<strong>in</strong>i,<br />
che il commissario aveva fatto ped<strong>in</strong>are perché sospettato<br />
di essere l’armiere del gruppo neofascista.<br />
Gli appostamenti avevano dato il loro frutto: un giorno,<br />
dall’abitazione del Fach<strong>in</strong>i, era uscito Giancarlo Patrese,<br />
un neofascista che, fermato e perquisito, era stato trovato<br />
<strong>in</strong> possesso di una Beretta calibro 9 e di un ordigno<br />
esplosivo. Era la prova che Juliano cercava. Aveva qu<strong>in</strong>di<br />
arrestato Fach<strong>in</strong>i e i suoi camerati, ma per lui erano<br />
<strong>in</strong>iziati i guai. Alcuni degli arrestati e i confidenti aveva-<br />
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no scagionato <strong>in</strong>fatti Patrese, denunciando una macch<strong>in</strong>azione<br />
orchestrata da Juliano. Così, il commissario era<br />
stato prima sospeso dal servizio, poi trasferito a Matera,<br />
mentre il carab<strong>in</strong>iere Alberto Murano, l’unico testimone<br />
<strong>in</strong>tervenuto <strong>in</strong> suo favore, era morto <strong>in</strong> circostanze sospette,<br />
volando nella tromba di un ascensore.<br />
Rivelazioni e depistaggi<br />
A <strong>in</strong>castrare però Ventura & company si era aggiunto anche<br />
un muratore che, mentre svolgeva alcuni lavori <strong>in</strong><br />
un’abitazione di Castelfranco Veneto, aveva sfondato<br />
<strong>in</strong>avvertitamente una tramezza che divideva quella casa<br />
da un’altra, trovandosi al cospetto di una vera santa barbara:<br />
pistole, fucili, mitra, esplosivo. Giancarlo Marches<strong>in</strong>,<br />
proprietario di quella casa, era stato così arrestato.<br />
«Quelle armi», aveva rivelato, «sono state nascoste da<br />
Giovanni Ventura dopo gli attentati del 12 dicembre. Prima<br />
si trovavano nell’abitazione di Ruggero Pan». La polizia<br />
aveva perciò <strong>in</strong>terrogato questo Ruggero Pan, che<br />
aveva dichiarato: «Durante l’estate del 1969, dopo gli attentati<br />
ai treni, Ventura mi aveva chiesto di comprare<br />
delle casse metalliche tedesche di marca Jewell. Diceva<br />
che quelle di legno usate per collocarvi gli esplosivi negli<br />
attentati non avevano prodotto l’effetto sperato: quello<br />
di compressione esplosiva del metallo. Io mi sono rifiutato<br />
di acquistarle, ma il giorno dopo notai da Ventura una<br />
cassetta di metallo. Ho presto compreso che altri erano<br />
andati a comprarla al posto mio» 29 .<br />
In più, ora i magistrati sapevano che il gruppo neofascista<br />
si riuniva nella sala di un istituto universitario di Pa-<br />
29. Commissione parlamentare d’<strong>in</strong>chiesta sul terrorismo <strong>in</strong> Italia, X Legislatura.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
dova, grazie alla collaborazione del custode, Marco Pozzan,<br />
braccio destro di Franco Freda. Interrogato, Pozzan<br />
aveva parlato di una riunione notturna tenutasi il 18 aprile<br />
con P<strong>in</strong>o Rauti, <strong>in</strong> cui si era deciso il piano degli attentati,<br />
ma pochi giorni dopo aveva ritrattato tutto e, tornato<br />
<strong>in</strong> libertà, aveva fatto perdere le sue tracce.<br />
«Gli apparati dello Stato», dichiarò sconsolato il procuratore<br />
Calogero, «com<strong>in</strong>ciano a lavorare non a favore<br />
delle <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i, ma contro di esse. Non per collaborare<br />
con i giudici, ma per <strong>in</strong>tralciare e depistare il loro lavoro.<br />
Pozzan aveva dato segni di cedimento <strong>in</strong> un <strong>in</strong>terrogatorio<br />
e aveva rivelato fatti di notevole rilievo sulla<br />
strategia della tensione e sulla sua matrice di destra. Era<br />
così importante avere la disponibilità fisica di Pozzan.<br />
Ma uom<strong>in</strong>i del SID avevano <strong>in</strong>tercettato Pozzan durante<br />
la sua latitanza, lo avevano condotto a Roma, <strong>in</strong> via Sicilia<br />
dove il SID aveva uffici di copertura, e lo avevano sottoposto<br />
a un <strong>in</strong>terrogatorio per saggiarne la tenuta,<br />
qu<strong>in</strong>di lo avevano fatto espatriare <strong>in</strong> Spagna fornendogli<br />
un passaporto falso» 30 .<br />
I processi<br />
Il 21 marzo del 1972 il giudice Giancarlo Stiz di Treviso<br />
trasmise il fascicolo riguardante Freda e Ventura alla<br />
procura di Milano per competenza e da quel momento<br />
l’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e era passata nelle mani del giudice Gerardo<br />
D’Ambrosio e dei sostituti Luigi Rocco Fiasconaro ed<br />
Emilio Alessandr<strong>in</strong>i. Chiusa l’istruttoria, seguì l’Assise a<br />
Catanzaro, dove il processo era stato spostato, e il 23 febbraio<br />
1979 era stata emessa la sentenza di primo grado:<br />
30. Ibidem<br />
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ergastolo per Freda, Ventura, Pozzan e l’agente del SID<br />
Guido Giannett<strong>in</strong>i 31 , due e quattro anni rispettivamente<br />
ai carab<strong>in</strong>ieri Antonio La Bruna e Gian Adelio Maletti, anch’essi<br />
appartenenti al SID, mentre Giulio Andreotti, Mario<br />
Tanassi e Mariano Rumor furono r<strong>in</strong>viati a giudizio<br />
per reati m<strong>in</strong>isteriali.<br />
L’anarchico Pietro Valpreda e il neofascista Mario Merl<strong>in</strong>o<br />
(<strong>in</strong>filtrato nel circolo anarchico 22 marzo di Roma)<br />
erano stati condannati a quattro anni e sei mesi di reclusione,<br />
ma assolti dall’accusa di strage per <strong>in</strong>sufficienza di<br />
prove. Il 20 marzo 1981, la Corte d’Assise di Appello di<br />
Catanzaro aveva assolto Giannett<strong>in</strong>i, Freda, Ventura, Maletti<br />
e La Bruna per il reato di falsità ideologica, decretato<br />
l’<strong>in</strong>sufficienza di prove per Merl<strong>in</strong>o, condannato a<br />
qu<strong>in</strong>dici anni Freda e Ventura per associazione sovversiva,<br />
e prosciolto Pozzan. Il 10 giugno 1982, la Corte di<br />
Cassazione annullava la sentenza di Appello, r<strong>in</strong>viando il<br />
processo a Bari. Il 1° agosto 1985, la Corte d’Assise d’Appello<br />
di Bari confermava le sentenze di assoluzione per<br />
<strong>in</strong>sufficienza di prove per strage nei confronti di Valpreda,<br />
Merl<strong>in</strong>o, Freda e Ventura, riducendo ulteriormente le<br />
pene contro La Bruna e Maletti. Il 22 gennaio ’87, la Corte<br />
di Cassazione confermava la sentenza emanata dalla<br />
Corte d’Assise d’Appello di Bari, mentre proseguiva la<br />
quarta istruttoria sulla strage, durata f<strong>in</strong>o al 1986.<br />
Al centro di questa nuova <strong>in</strong>chiesta, Stefano Delle Chiaie<br />
e Massimiliano Fach<strong>in</strong>i. Il 25 luglio 1989 la Corte d’Assise<br />
di Catanzaro però li assolveva dall’imputazione del<br />
delitto di strage per non aver commesso il fatto. Il 5 lu-<br />
31. In un’<strong>in</strong>tervista a “Il Mondo”, pubblicata il 20 giugno 1974, Giulio Andreotti, all’epoca m<strong>in</strong>istro della<br />
Difesa, <strong>in</strong>dicò Guido Giannett<strong>in</strong>i come uomo del SID, sostenendo che era stato un errore tenere nascosta<br />
questa <strong>in</strong>formazione agli <strong>in</strong>quirenti durante le <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i per la strage di piazza Fontana.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
glio 1991 la Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro confermava<br />
la sentenza di primo grado. La sentenza di Appello<br />
diventava def<strong>in</strong>itiva per decorso del term<strong>in</strong>e utile al ricorso<br />
per Cassazione.<br />
So chi è stato<br />
Tra il ’91 e il ’92, V<strong>in</strong>cenzo V<strong>in</strong>ciguerra 32 , esponente di<br />
Avanguardia Nazionale, riempiva centoc<strong>in</strong>quanta pag<strong>in</strong>e<br />
di verbali <strong>in</strong> cui parlava anche del gruppo neofascista La<br />
Fenice e dei contatti di questo gruppo con Ord<strong>in</strong>e Nuovo<br />
del Veneto. Questo gruppo aveva il suo baricentro nel<br />
Veneto, ma naturalmente aveva agito anche a Roma e a<br />
Milano. Nel 1992 il SISMI, il servizio segreto militare, aveva<br />
<strong>in</strong>dividuato nel suo rifugio all’estero Mart<strong>in</strong>o Siciliano<br />
che davanti ai giudici affermava: «Pochi giorni dopo la<br />
strage di Piazza Fontana mi trovavo nella Galleria Matteotti<br />
di Mestre <strong>in</strong> compagnia di camerati del MSI, fra cui<br />
l’ex-senatore Piergiorgio Gradari. Parlando di quanto era<br />
avvenuto a Milano, a un certo punto ebbi una crisi di<br />
pianto. Nel corso di questa crisi, confidai a Granari la mia<br />
conv<strong>in</strong>zione che la strage non fosse opera degli anarchici,<br />
ma che fosse da attribuirsi a elementi di Ord<strong>in</strong>e Nuovo<br />
di Venezia e Padova. Gradari mi consigliò di calmarmi<br />
e mi disse che, anche se ciò che pensavo fosse stato vero,<br />
avrei dovuto tenermelo per me. C’era l’assoluta somiglianza<br />
fra gli ordigni che avevo visto e materialmente<br />
deposto a Trieste e Gorizia con la descrizione che era stata<br />
fatta dai giornali della bomba esplosa alla Banca Nazionale<br />
dell’Agricoltura. Intendo riferirmi al contenitore dell’esplosivo<br />
che era costituito <strong>in</strong> tutti e tre i casi da una<br />
32. Autore della strage di Peteano. Vedi capitolo successivo.<br />
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cassetta metallica. I giornali, <strong>in</strong>oltre, avevano riportato la<br />
notizia che l’esplosivo impiegato era costituito da candelotti<br />
di gelignite perfettamente analoghi a quelli che avevo<br />
visto, manipolati e <strong>in</strong>nescati <strong>in</strong>sieme a Delfo Zorzi nei<br />
due falliti attentati di Trieste e Gorizia. Mi è qu<strong>in</strong>di venuta<br />
<strong>in</strong> mente l’affermazione di Delfo Zorzi nel corso del<br />
viaggio a Trieste. Disse che vi erano molte altre cassette<br />
metalliche e molto altro materiale, cioè candelotti di gelignite<br />
come quelli che stavamo trasportando <strong>in</strong> quel momento»<br />
33 . Affermazioni che avevano generato una nuova<br />
<strong>in</strong>chiesta.<br />
La pietra tombale<br />
Il 21 maggio 1998 la Procura di Milano chiudeva la nuova<br />
<strong>in</strong>chiesta sulla strage chiedendo il r<strong>in</strong>vio a giudizio per<br />
Carlo Maria Maggi, Delfo Zorgi, Giancarlo Rognoni, Carlo<br />
Digilio e per i due ex-appartenenti a Ord<strong>in</strong>e Nuovo, Piero<br />
Andreatta e Piercarlo Motagner, con l’accusa di favoreggiamento.<br />
L’8 giugno dell’anno successivo erano stati<br />
r<strong>in</strong>viati a giudizio per strage Zorzi, Maggi e Rognoni. Per<br />
favoreggiamento nei confronti di Zorzi era stato r<strong>in</strong>viato<br />
a giudizio Stefano Tr<strong>in</strong>gali: sorte toccata <strong>in</strong> seguito anche<br />
a Carlo Digilio. In un’<strong>in</strong>tervista al TG2, dalla sua latitanza<br />
giapponese Delfo Zorzi dichiarava che i servizi segreti<br />
italiani avevano dato 100 milioni di lire al pentito Mart<strong>in</strong>o<br />
Siciliano perché <strong>in</strong>dicasse <strong>in</strong> lui l’autore materiale della<br />
strage.<br />
Il 24 febbraio 2000 si era aperto a Milano il settimo processo<br />
e il 30 giugno dell’anno successivo erano stati condannati<br />
all’ergastolo Zorzi, Maggi e Rognoni, mentre i<br />
33. Fonte: Retegreen.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
reati per Digilio risultavano prescritti dopo la concessione<br />
delle attenuanti generiche per la sua collaborazione.<br />
Tr<strong>in</strong>gali era stato condannato a tre anni per favoreggiamento<br />
(il PM ne aveva chiesti due). Il 19 gennaio 2002<br />
erano state depositate le motivazioni della sentenza, <strong>in</strong><br />
cui i pentiti Carlo Digilio e Mart<strong>in</strong>o Siciliano venivano dichiarati<br />
credibili. Il 6 luglio dello stesso anno era morto<br />
Pietro Valpreda (aveva 69 anni) mentre il 22 novembre<br />
veniva scoperta la fuga all’estero di Mart<strong>in</strong>o Siciliano, exappartenente<br />
a Ord<strong>in</strong>e Nuovo e vecchio amico di Delfo<br />
Zorzi, nonché collaboratore di giustizia nell’ambito delle<br />
<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i per le stragi di Piazza Fontana e di Piazza della<br />
Loggia a Brescia.<br />
Il 22 gennaio 2004 il sostituto procuratore generale, al<br />
term<strong>in</strong>e della requisitoria, aveva chiesto la conferma delle<br />
condanne emesse nella sentenza di primo grado e <strong>in</strong>vitava<br />
la Corte a trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica<br />
per verificare eventuali false testimonianze da<br />
parte di alcuni testimoni della difesa. Il 12 marzo successivo,<br />
la Corte d’Assise d’Appello di Milano assolveva Delfo<br />
Zorzi e Carlo Maria Maggi (sotto processo anche per la<br />
strage di Brescia e quella alla questura di Milano) per <strong>in</strong>sufficienza<br />
di prove, Giancarlo Rognoni per non aver<br />
commesso il fatto e riduceva da tre anni a uno la pena<br />
per Stefano Tr<strong>in</strong>gali con la sospensione condizionale e la<br />
non menzione della condanna. Veniva qu<strong>in</strong>di revocata<br />
l’ord<strong>in</strong>anza di arresto (per altro mai eseguita perché latitante<br />
<strong>in</strong> Giappone) nei confronti di Zorzi e la misura cautelare<br />
dell’obbligo di dimora per Maggi.<br />
Il 21 aprile 2005 <strong>in</strong>iziava il lavoro della Corte di Cassazione<br />
che doveva valutare il ricorso presentato dalla Procura<br />
generale milanese contro le sentenze di assoluzione<br />
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della Corte d’Appello. Il 3 maggio successivo la Cassazione<br />
metteva la pietra tombale su Piazza Fontana, confermando<br />
le sentenze dei giudici della Corte D’Appello e<br />
condannando al pagamento delle spese processuali i parenti<br />
delle vittime.<br />
PETEANO, PROVINCIA DI ORDINE NUOVO<br />
Peteano è un piccolo paese <strong>in</strong> prov<strong>in</strong>cia di Gorizia. Un<br />
piccolo paese con una piccola stazione di carab<strong>in</strong>ieri,<br />
dove il 31 maggio 1972 era arrivata una telefonata che<br />
raccoglieva il carab<strong>in</strong>iere Domenico La Malfa: «Senta,<br />
vorrei dirle che xè una mach<strong>in</strong>a che la gà do busi sul<br />
parabresa. La xè una s<strong>in</strong>quesento bianca, vis<strong>in</strong> la ferovia,<br />
sula strada per Savogna». Ma chi parla Click, f<strong>in</strong>e<br />
della comunicazione. Non restava che andare sul posto<br />
per verificare.<br />
C’erano andati <strong>in</strong> quattro, con due gazzelle, e avevano<br />
facilmente r<strong>in</strong>tracciato la FIAT 500 col parabrezza sfondato<br />
dai colpi di pistola. Non erano artificieri, quei<br />
quattro, ma semplici carab<strong>in</strong>ieri di una piccola stazione<br />
di un piccolo paese. Non sapevano, né potevano immag<strong>in</strong>are,<br />
che nel bauletto di quella piccola macch<strong>in</strong>a<br />
era stipato dell’esplosivo sufficiente per farli saltare <strong>in</strong><br />
aria. Non sapevano che forzare quel baule significava<br />
attivare un congegno mortale. E fu proprio ciò che accadde.<br />
La deflagrazione uccise tre dei quattro militi:<br />
Antonio Ferraro, Franco Dongiovanni e Donato Poveromo.<br />
Quel botto passò alla storia come la strage di Peteano.<br />
Le prime <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i puntarono subito su un nucleo di Lot-<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
ta Cont<strong>in</strong>ua, sulla base delle presunte confidenze fatte<br />
dal brigatista pentito Marco Pisetta 34 al colonnello Michele<br />
Santoro, comandante della stazione dei carab<strong>in</strong>ieri<br />
di Trento. Tuttavia, sia i magistrati presenti all’<strong>in</strong>contro<br />
con Santoro, sia lo stesso Pisetta smentirono sempre tutto.<br />
E allora E allora era successo che il generale Giovanni<br />
Battista Palumbo, comandante della Pastrengo di Milano,<br />
aveva mandato <strong>in</strong> maniera del tutto irregolare – vale<br />
a dire fuori protocollo, tramite corriere e senza seguire<br />
le vie gerarchiche – una “vel<strong>in</strong>a” con il riferimento a<br />
Lotta Cont<strong>in</strong>ua. Dest<strong>in</strong>atario: il colonnello D<strong>in</strong>o M<strong>in</strong>garelli,<br />
comandante della Legione Ud<strong>in</strong>e, che aveva avocato<br />
a sé la responsabilità delle <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i.<br />
«Quella fu l’orig<strong>in</strong>e della cosiddetta pista rossa. Io sapevo<br />
che quelle notizie arrivavano da Trento e che la fonte<br />
confidenziale era Marco Pisetta», dichiarò M<strong>in</strong>garelli davanti<br />
alla commissione stragi. Del resto, <strong>in</strong> quel momento<br />
Lotta Cont<strong>in</strong>ua era nell’occhio del ciclone: solo due<br />
settimane prima, <strong>in</strong>fatti, il commissario Luigi Calabresi,<br />
accusato da LC di essere il responsabile della morte dell’anarchico<br />
P<strong>in</strong>o P<strong>in</strong>elli, era stato ucciso davanti alla sua<br />
abitazione. E gli occhi erano tutti puntati sulla formazione<br />
di Adriano Sofri.<br />
Dimostratasi <strong>in</strong>verosimile la “pista rossa”, se ne seguì<br />
una nuova, questa volta di colore giallo. Laddove il giallo<br />
identificava la piccola crim<strong>in</strong>alità locale. Tuttavia anche<br />
questa si dimostrò non solo <strong>in</strong>consistente, ma addirittura<br />
risibile e basata esclusivamente sulle affermazioni di<br />
34. Arrestato nel 1970 per una serie di attentati compiuti a Trento, Marco Pisetta era stato condannato<br />
a tre anni, ma poco dopo era uscito di galera. Entrato nelle Brigate Rosse, fu arrestato con altri<br />
brigatisti il 2 maggio 1972 nel covo milanese di via Boiardo, ma fu subito rilasciato, consegnando il 29<br />
settembre successivo un dettagliato memoriale seguito da un secondo poco dopo, grazie ai quali furono<br />
scoperte diverse basi e arrestati diversi brigatisti.<br />
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un <strong>in</strong><strong>formato</strong>re dei carab<strong>in</strong>ieri che, quando si trovò davanti<br />
al magistrato, ritrattò tutto. Il danno nel frattempo<br />
era stato fatto e i pregiudicati chiamati <strong>in</strong> causa dovettero<br />
subire lunghe <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i e vari giudizi prima di essere riconosciuti<br />
estranei ai fatti. Estranei cioè a una strage che<br />
solo nel 1984, vale a dire dodici anni dopo, ebbe la sua<br />
spiegazione e i relativi colpevoli. Una verità che non<br />
emerse grazie a una nuova e illum<strong>in</strong>ata <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e, ma dalla<br />
bocca di V<strong>in</strong>cenzo V<strong>in</strong>ciguerra: l’autore della strage.<br />
Sono stato io<br />
Militante di Ord<strong>in</strong>e Nuovo, nel 1974 V<strong>in</strong>ciguerra si era rifugiato<br />
prima <strong>in</strong> Spagna, dove era entrato <strong>in</strong> contatto con<br />
Avanguardia Nazionale di Stefano delle Chiaie, per poi<br />
raggiungere l’Argent<strong>in</strong>a, dove era vissuto f<strong>in</strong>o al 1979,<br />
anno <strong>in</strong> cui aveva deciso di rientrare <strong>in</strong> Italia e di costituirsi,<br />
motivando il suo gesto clamoroso con la salvaguardia<br />
della sua dignità di rivoluzionario. Al momento della<br />
sua seppur tardiva confessione, V<strong>in</strong>ciguerra si trovava <strong>in</strong><br />
carcere per un altro episodio crim<strong>in</strong>oso avvenuto nel<br />
1972 e che lo aveva <strong>in</strong>dotto a darsi alla latitanza <strong>in</strong> Spagna<br />
e <strong>in</strong> Argent<strong>in</strong>a: all’aeroporto di Ronchi dei Legionari,<br />
Ivano Boccaccio, un ex-paracadutista militante ord<strong>in</strong>ovista,<br />
aveva tentato di dirottare un aereo per ottenere un<br />
riscatto allo scopo di f<strong>in</strong>anziare il gruppo neofascista.<br />
Circondato dalla polizia, aveva com<strong>in</strong>ciato a sparare, rimanendo<br />
ucciso nel conflitto a fuoco.<br />
Ma cosa aveva sp<strong>in</strong>to V<strong>in</strong>ciguerra a vuotare il sacco su<br />
Peteano «L’onore».<br />
V<strong>in</strong>ciguerra non r<strong>in</strong>negava <strong>in</strong>fatti nulla del suo passato,<br />
rivendicando anzi con orgoglio il suo ruolo di “soldato politico”.<br />
La sua decisione non andava dunque <strong>in</strong>terpretata<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
come la collaborazione di un qualsiasi pentito, ma come<br />
la volontà di fare chiarezza, avendo compreso che «tutte<br />
le precedenti azioni della destra radicale, <strong>in</strong>cluse le stragi,<br />
<strong>in</strong> realtà erano state manovrate da quello stesso regime<br />
che mi proponevo di attaccare. Mi assumo la responsabilità<br />
piena, completa e totale dell’ideazione, dell’organizzazione<br />
e dell’esecuzione materiale dell’attentato di<br />
Peteano, che si <strong>in</strong>quadra <strong>in</strong> una logica di rottura con la<br />
strategia che veniva allora seguita da forze che ritenevo<br />
rivoluzionarie, cosiddette di destra, e che <strong>in</strong>vece seguivano<br />
una strategia dettata da centri di potere nazionali e<br />
<strong>in</strong>ternazionali collocati ai vertici dello Stato [...]» 35 .<br />
Perché colpire proprio un gruppo di carab<strong>in</strong>ieri Perché<br />
i carab<strong>in</strong>ieri rappresentavano lo Stato e non una folla <strong>in</strong>discrim<strong>in</strong>ata<br />
e <strong>in</strong>nocente. Quello Stato che V<strong>in</strong>ciguerra<br />
voleva combattere “da vero rivoluzionario”. Una confessione<br />
costata l’ergastolo. Solo dopo che la condanna era<br />
passata <strong>in</strong> giudicato, e qu<strong>in</strong>di solo dopo che non aveva<br />
più la possibilità di barattare dichiarazioni con sconti di<br />
pena, V<strong>in</strong>ciguerra aveva assunto un atteggiamento collaborativo,<br />
grazie al quale la magistratura aveva potuto ricostruire<br />
l’attività di Ord<strong>in</strong>e Nuovo di Ud<strong>in</strong>e.<br />
Per quanto riguarda Peteano, per capire i contorni di una<br />
delle tante, troppe stragi che hanno <strong>in</strong>sangu<strong>in</strong>ato l’Italia,<br />
basta leggere le considerazioni della commissione stragi,<br />
alla quale, «<strong>in</strong> ord<strong>in</strong>e a tale episodio, non resta che prendere<br />
atto di ciò che può ritenersi ormai un fatto storico<br />
accertato e consacrato <strong>in</strong> giudicati penali di condanna; e<br />
cioè l’illecita copertura attribuita agli estremisti di destra<br />
35. Nell’<strong>in</strong>tervista a V<strong>in</strong>cenzo V<strong>in</strong>ciguerra effettuata da Gigi Marcucci e Paola M<strong>in</strong>oliti nel carcere di<br />
Opera l’8 luglio 2000.<br />
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autori dell’attentato da parte di alti ufficiali dell’Arma dei<br />
carab<strong>in</strong>ieri, tra questi il colonnello M<strong>in</strong>garelli condannato<br />
dalla Corte di Assise di Appello di Venezia per falso<br />
ideologico e materiale e per soppressione di prove [...].<br />
Appare sul punto <strong>in</strong>negabile che i carab<strong>in</strong>ieri disponessero<br />
di un elemento chiarissimo per l’<strong>in</strong>dividuazione della<br />
matrice della strage, <strong>in</strong> quanto l’ord<strong>in</strong>ovista Ivano<br />
Boccaccio era stato trovato <strong>in</strong> possesso della stessa arma<br />
utilizzata per sparare contro i vetri della 500 ove era<br />
stata collocata la bomba di Peteano, e i cui bossoli esplosi<br />
erano stati repertati dai carab<strong>in</strong>ieri. Alla luce di ciò, è<br />
del tutto evidente come la pista rossa subito imboccata<br />
non possa giustificarsi neppure come una volontà di trovare<br />
comunque il colpevole, anche a f<strong>in</strong>i di immag<strong>in</strong>e;<br />
emerge <strong>in</strong>fatti chiaro l’<strong>in</strong>tento deliberato di strumentalizzare<br />
un episodio, pure così tragico e una crim<strong>in</strong>alizzazione<br />
della s<strong>in</strong>istra eversiva secondo un disegno strategico<br />
preciso» 36 .<br />
La strage è solo di Stato<br />
La commissione addebitava qu<strong>in</strong>di pesantissime responsabilità<br />
agli apparati di sicurezza del nostro Paese, tra le<br />
quali l’aver pilotato le <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i verso una direzione strategicamente<br />
stabilita. Per questa ragione, nonostante<br />
nelle <strong>in</strong>tenzioni dell’attentatore avrebbe dovuto avere<br />
tutt’altro significato, anche la strage di Peteano diventava<br />
funzionale alla “strategia della tensione”.<br />
«La strage», dichiarò V<strong>in</strong>ciguerra, «è un mezzo che il potere<br />
utilizza per creare uno stato di allarme tra la popolazione<br />
ed eventualmente poter <strong>in</strong>tervenire per rassicu-<br />
36. Estratto dalla relazione della commissione stragi.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
rare questa stessa popolazione. Perché è un evento<br />
traumatico che ha <strong>in</strong>teresse a determ<strong>in</strong>are solo chi detiene<br />
il potere, perché solo chi detiene il potere può padroneggiare<br />
gli eventi successivi. Qu<strong>in</strong>di la strage è un<br />
mezzo di prevaricazione del potere sulla popolazione.<br />
Ecco, allora c’è una precisazione da fare. L’attentato di<br />
Peteano non ha le connotazioni della strage. È strage sul<br />
piano giuridico. Cioè sulla base degli articoli del Codice<br />
penale può essere, viene def<strong>in</strong>ita strage. Perché il numero<br />
dei morti poteva essere <strong>in</strong>determ<strong>in</strong>ato. Cioè <strong>in</strong>vece di<br />
tre carab<strong>in</strong>ieri ne potevo uccidere c<strong>in</strong>que, sei, sette. Però<br />
non è strage, nel senso che l’attentato di Peteano colpisce<br />
per la prima e unica volta un apparato militare dello<br />
Stato. In un posto solitario, dove viene esclusa la possibilità<br />
di colpire i civili e ha una f<strong>in</strong>alizzazione esclusivamente<br />
di opposizione al regime, cioè non si colpisce<br />
l’apparato militare del regime per dare la possibilità al<br />
regime di sfruttare questo attentato. Ha avuto, come era<br />
nelle mie <strong>in</strong>tenzioni, implicazioni politiche pesantissime.<br />
Perché anche se sono state sottaciute, negli ultimi anni,<br />
di fronte alla commissione stragi, Francesco Cossiga ha<br />
dovuto ammettere che dopo Peteano <strong>in</strong>iziò il percorso<br />
di divaricazione tra l’Arma dei carab<strong>in</strong>ieri e il SID da un<br />
lato, e la destra dall’altro. Cioè l’Arma dei carab<strong>in</strong>ieri,<br />
pur tacendo, occultando le prove, depistando le <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i,<br />
<strong>in</strong>sieme ad altri apparati dello Stato (M<strong>in</strong>istero dell’Interno,<br />
Guardia di F<strong>in</strong>anza), prese atto che dall’estrema<br />
destra gli era venuto un attacco di quella gravità. E<br />
com<strong>in</strong>ciò a prendere le distanze, a staccare dall’estrema<br />
destra. Qu<strong>in</strong>di def<strong>in</strong>ire l’attentato di Peteano una strage,<br />
si confondono un po’ le idee alle persone nel senso addirittura<br />
di far credere che l’attentato di Peteano avesse<br />
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le stesse f<strong>in</strong>alità della strage di Piazza Fontana, della<br />
strage di Bologna, della strage dell’Italicus. Esattamente<br />
l’opposto» 37 .<br />
GIANFRANCO BERTOLI, COME TI PLAGIO L’ANARCHICO<br />
Milano, matt<strong>in</strong>a del 17 maggio 1973. C’è un uomo che si<br />
aggira <strong>in</strong> via Fatebenefratelli, nei pressi della Questura.<br />
Si chiama Gianfranco Bertoli ed è nato a Venezia quarant’anni<br />
prima. Guarda cont<strong>in</strong>uamente l’orologio. Sono le<br />
10.45. Un cicchetto ci sta. Così entra <strong>in</strong> un bar e chiede<br />
un cognac.<br />
In via Fatebenefratelli c’è anche Aldo Bernareggi. Lui<br />
guarda l’orologio quando sono le 10.53: il suo turno di<br />
servizio è quasi f<strong>in</strong>ito. Turno da ghisa, come si dice a Milano,<br />
da vigile urbano. «Muoviamoci che se qui <strong>in</strong>iziano a<br />
tirare pietre, f<strong>in</strong>isce che si menano» dice il ghisa a Federico<br />
Masar<strong>in</strong>, un agente veneto dell’ufficio politico della<br />
Questura. Sa bene Masar<strong>in</strong> che potrebbero volare non<br />
solo pietre. Per quello è lì. Perché quello non è un giorno<br />
qualsiasi. È una ricorrenza: giusto un anno prima è<br />
stato ammazzato il commissario Luigi Calabresi, <strong>in</strong> memoria<br />
del quale nell’atrio della Questura menegh<strong>in</strong>a è<br />
stato eretto un busto che Mariano Rumor, m<strong>in</strong>istro degli<br />
Interni, deve <strong>in</strong>augurare.<br />
«Mi sono trovato <strong>in</strong> mezzo a quella brutta storia», confida<br />
Bernareggi a Masar<strong>in</strong> ricordando l’esecuzione di un<br />
anno prima, «Ero <strong>in</strong> strada a fare il gambone, il servizio<br />
<strong>in</strong> strada, quando mi si accosta l’auto di un collega: “Cor-<br />
37. Nell’<strong>in</strong>tervista a V<strong>in</strong>ciguerra, cit.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
ri e svolta <strong>in</strong> via Cherub<strong>in</strong>i, che hanno sparato”. Sono stato<br />
uno dei primi ad arrivare lì. C’era un uomo riverso tra<br />
due macch<strong>in</strong>e, mi sembrava <strong>in</strong>castrato. C<strong>in</strong>que persone<br />
<strong>in</strong>torno, che non sapevano cosa fare. Neanch’io capivo<br />
cos’era successo. Poi una donna sul marciapiede si mise<br />
a urlare: “Gesù, Gesù, è il commissario Calabresi”» 38 .<br />
Intanto le porte della Questura si erano aperte facendo<br />
sfilare le auto delle autorità: il s<strong>in</strong>daco Aldo Aniasi, il m<strong>in</strong>istro<br />
Rumor. L’orologio di Bernareggi segnava le 10.57<br />
quando il ghisa aveva visto volare qualcosa nella direzione<br />
del portone: «Non pensai a una bomba, mi vennero <strong>in</strong><br />
mente solo i sassi» 39 . Altro che sassi. Quello che aveva visto<br />
il vigile Bernareggi era un ordigno: un’ananas a frammentazione<br />
di fabbricazione israeliana. Il lancio, però,<br />
era stato maldestro: <strong>in</strong>vece di colpire l’obiettivo – l’auto<br />
di Rumor – la bomba era f<strong>in</strong>ita contro il muro al quale<br />
erano appoggiati Bernareggi e Masar<strong>in</strong> e lì era esplosa,<br />
aprendo una grossa crepa e provocando tantissime<br />
schegge. Schegge mortali.<br />
Punire Rumor<br />
C’era anche un fotografo <strong>in</strong> via Fatebenefratelli, e due<br />
dei suoi scatti erano dest<strong>in</strong>ati a diventare storia d’Italia.<br />
Nel primo: Gabriella Bortolon, Felicia Bertolozzi, l’appuntato<br />
Masar<strong>in</strong> e il vigile Bernareggi, unico sopravvissuto:<br />
si è voltato e per questo non ha preso le schegge <strong>in</strong><br />
volto, ma sulla schiena. Dato per spacciato per il troppo<br />
sangue perso, aveva ricevuto due volte l’estrema unzione,<br />
ma si era salvato, seppur convivendo con centotren-<br />
38. “Corriere della sera”, 17 maggio 2003, <strong>in</strong> Io, testimone per caso con 130 schegge addosso di Marco<br />
Imarisio.<br />
39. Ibidem<br />
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ta schegge impossibili da estrargli. Nel secondo fotogramma<br />
era stato immortalato Gianfranco Bertoli, l’attentatore,<br />
bloccato dalla folla pochi secondi dopo il lancio.<br />
Quasi <strong>in</strong>differente a quel che gli capitava, non aveva<br />
neppure cercato di sottrarsi alla cattura: sembrava lì per<br />
caso, stralunato. Sembrava non c’entrasse nulla con quei<br />
morti, con quelle quarantasei persone ferite. Fuori dalle<br />
due <strong>in</strong>quadrature, un’altra vittima: il pensionato Giuseppe<br />
Panz<strong>in</strong>o. Vittime al posto di Rumor.<br />
Era lui l’obiettivo. Era lui che doveva morire, perché da<br />
presidente del consiglio, dopo Piazza Fontana, non aveva<br />
dichiarato lo stato d’emergenza e poi, da m<strong>in</strong>istro dell’Interno,<br />
nel 1972, aveva avviato l’iter per mettere fuori<br />
legge Ord<strong>in</strong>e Nuovo, un compito portato a term<strong>in</strong>e un<br />
anno dopo dal suo successore al Vim<strong>in</strong>ale, Paolo Emilio<br />
Taviani. Per questo Rumor e Taviani erano nel mir<strong>in</strong>o<br />
dell’organizzazione neofascista.<br />
Lo avevano detto <strong>in</strong> tanti che Ord<strong>in</strong>e Nuovo voleva punire<br />
Rumor. Lo aveva detto V<strong>in</strong>cenzo V<strong>in</strong>ciguerra, il “soldato<br />
politico” di Peteano, al quale era stato chiesto di ammazzare<br />
il m<strong>in</strong>istro democristiano nella sua villa <strong>in</strong> Veneto,<br />
garantendogli il non <strong>in</strong>tervento della scorta. V<strong>in</strong>ciguerra<br />
aveva rifiutato, perché «io volevo fare la guerra allo<br />
Stato, non la guerra per lo Stato». Lo aveva detto anche<br />
Roberto Cavallaro, f<strong>in</strong>to magistrato militare, ma vero<br />
golpista di Stato co<strong>in</strong>volto nell’operazione della Rosa dei<br />
Venti 40 . Lo aveva detto il neofascista Marco Affatigato.<br />
Anche Carlo Digilio, lo “zio Otto” <strong>in</strong><strong>formato</strong>re degli americani<br />
e armiere di Ord<strong>in</strong>e Nuovo, aveva avuto qualcosa<br />
da dire ai magistrati: «Maggi ci parlò del suo progetto di<br />
40. Vedi capitolo successivo.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
un attentato a Rumor e ci <strong>in</strong>formò che V<strong>in</strong>ciguerra, <strong>in</strong>terpellato<br />
per l’esecuzione, si era rifiutato... Prospettò la<br />
possibilità di reclutare per l’attentato tale Gianfranco<br />
Bertoli, persona disposta a tutto. Se si fosse riusciti a reclutarlo,<br />
vi sarebbe stata per l’azione una copertura anarchica<br />
d<strong>in</strong>anzi all’op<strong>in</strong>ione pubblica» 41 . Dunque, Rumor.<br />
Dunque Piazza Fontana, la madre di tutte le stragi.<br />
La stagione delle bombe<br />
I morti di via Fatebenefratelli erano solo gli ultimi di una<br />
stagione <strong>in</strong>fausta <strong>in</strong>augurata il 12 dicembre ‘69 alla Banca<br />
Nazionale dell’Agricoltura di Milano, e proseguita a<br />
Gioia Tauro il 22 luglio 1970 42 , dove il deragliamento do-<br />
41. In “Archivio storico dell’<strong>in</strong>formazione”.<br />
42. Un mese dopo la tragedia, i marescialli Guido De Claris e Giuseppe Ciliberti del commissariato di<br />
polizia presso la direzione compartimentale delle ferrovie dello Stato, <strong>in</strong> un rapporto del 28 agosto 1970<br />
al procuratore della repubblica di Palmi, asserirono che era «da escludere che il disastro ferroviario<br />
abbia avuto orig<strong>in</strong>e dolosa». Nessuno dei presenti, <strong>in</strong> attesa alla stazione di Gioia Tauro o a bordo del<br />
treno, personale viaggiante compreso, testimoniò, <strong>in</strong>fatti, di aver udito alcun boato. Tale <strong>in</strong>terpretazione<br />
venne ribadita <strong>in</strong> un secondo rapporto del 9 settembre 1971 <strong>in</strong> cui si sostenne che «se non vi fu<br />
detonazione non poté esservi attentato d<strong>in</strong>amitardo», senza considerare m<strong>in</strong>imamente che l’esplosione<br />
di un ordigno, <strong>in</strong> grado di tranciare una rotaia, poteva benissimo essere avvenuta prima del passaggio<br />
del treno. In questo nuovo atto la causa della tragedia venne <strong>in</strong>dividuata nella negligenza del personale<br />
ferroviario che aveva «illegittimamente» disposto la cessazione del rallentamento a 60 chilometri orari<br />
per tutti i treni percorrenti il b<strong>in</strong>ario pari della tratta Palmi-Gioia Tauro, <strong>in</strong>teressati da giugno da lavori<br />
di livellamento e all<strong>in</strong>eamento delle rotaie. Una posizione <strong>in</strong> palese contrasto con le conclusioni del<br />
collegio peritale, nom<strong>in</strong>ato dal sostituto procuratore della repubblica di Palmi, Paolo Scopelliti, che,<br />
depositando la propria relazione il 7 luglio 1971 escluse errori risalenti al personale di guida, alla<br />
disposizione degli scambi all’<strong>in</strong>gresso della stazione o a difetti del materiale rotabile. Il collegio<br />
riscontrò <strong>in</strong>vece un’avaria su una rotaia che presentava la parziale asportazione della suola <strong>in</strong>terna per<br />
circa 180 centimetri, ipotizzando un’orig<strong>in</strong>e dolosa. Si sostenne, <strong>in</strong> conclusione, che lo scoppio di un<br />
ordigno rappresentava la causa più probabile del deragliamento, rilevando forti analogie con altri<br />
attentati avvenuti successivamente, il 22 e il 27 settembre sulla l<strong>in</strong>ea Rosario-Gioia Tauro-Villa San<br />
Giovanni, e il 10 ottobre sul tratto Catania-Mess<strong>in</strong>a, <strong>in</strong> cui non erano stati r<strong>in</strong>venuti pezzi di miccia ed<br />
evidenti segni di esplosione. Sulla base del rapporto di polizia, la procura della repubblica di Palmi<br />
decise comunque di promuovere un procedimento penale per disastro colposo e omicidio colposo plurimo<br />
nei confronti di quattro dipendenti delle ferrovie dello Stato. Il 30 maggio 1974 il giudice istruttore<br />
sentenziò il non doversi procedere nei confronti degli imputati per non aver commesso il fatto,<br />
chiudendo ogni <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e. L’ipotesi dell’attentato d<strong>in</strong>amitardo come causa del disastro venne conf<strong>in</strong>ata<br />
nel limbo delle congetture, non meritevole della riapertura del caso. Una conclusione sorprendente. Il<br />
fallimento dell’ipotesi del disastro colposo, smentita a sua volta da una commissione d’<strong>in</strong>chiesta delle<br />
ferrovie dello Stato, avrebbe <strong>in</strong>fatti dovuto almeno portare al proseguimento delle <strong>in</strong>vestigazioni. (Il<br />
sangue dei rossi, Cairo, 2009, dell’autore).<br />
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loso di un treno aveva causato sei morti e un cent<strong>in</strong>aio di<br />
feriti. Poi c’era stato l’attentato di Peteano, dove il 31 maggio<br />
del ’72 erano morti tre carab<strong>in</strong>ieri, mentre il 7 aprile<br />
1973, sul treno Tor<strong>in</strong>o-Genova, il neofascista Nico Azzi 43<br />
era rimasto ferito mentre <strong>in</strong>nescava una bomba cercando<br />
di far ricadere la colpa su Lotta Cont<strong>in</strong>ua. C<strong>in</strong>que giorni<br />
dopo, durante una manifestazione di miss<strong>in</strong>i a Milano, era<br />
stata lanciata contro la polizia una bomba a mano che aveva<br />
ucciso l’agente Antonio Mar<strong>in</strong>o: gli autori, Maurizio Morelli<br />
e Vittorio Loi (figlio del noto pugile Duilio Loi), appartenevano<br />
al gruppo neofascista La Fenice.<br />
Che c’entrava un anarchico con questi attentati neofascisti<br />
Bertoli s’era dichiarato subito “anarchico <strong>in</strong>dividualista”<br />
– come testimoniava la “a” tatuata su un braccio – e<br />
di aver fatto tutto da solo. Ma non era così. Malgrado i depistaggi<br />
degli apparati dello Stato fossero scattati puntualmente<br />
come i meccanismi di una bomba, malgrado la<br />
“a” tatuata, la storia che l’anarchico raccontava – e cioè<br />
43. La basilica di Sant’Ambrogio, la più bella chiesa di Milano, dedicata al patrono della città, si è<br />
aperta ieri nella tarda matt<strong>in</strong>ata per i funerali di Nico Giuseppe Azzi, fascista ed ex-terrorista nero. Si è<br />
aperta anche ai nazisk<strong>in</strong>, rapati a zero e <strong>in</strong> bomber e anfibi lustri che scortavano la bara, a un tricolore<br />
fascistissimo con l’aquila rampante sul fascio littorio, deposta su un cusc<strong>in</strong>o di margherite bianche. In<br />
attesa, sul sagrato altri addolorati camerati che sventolavano altre bandiere, stavolta con la croce<br />
celtica. D’altra parte si sa che Nico Azzi, morto c<strong>in</strong>quantac<strong>in</strong>quenne per un colpo al cuore, si era<br />
avvic<strong>in</strong>ato a Forza Nuova, che non s’è mai negato il piacere di certi lugubri simboli e che ieri, sul suo<br />
sito, ricordava Azzi così: «Le parole sono <strong>in</strong>sufficienti a descrivere il dolore… Altrettanto povere<br />
sembrano le parole per descrivere il tributo di gratitud<strong>in</strong>e e affetto che Nico ha saputo meritare nei<br />
confronti di tutte le generazioni forzanoviste, soprattutto verso le più giovani schiere militanti…».<br />
Nell’ideale eredità di Nico Azzi alcune bombe. La prima sarebbe dovuta esplodere sul treno Tor<strong>in</strong>o-Roma<br />
il 7 aprile 1973. Esplose <strong>in</strong>vece tra le gambe di Azzi, mentre stava preparando l’<strong>in</strong>nesco di due<br />
saponette di tritolo militare da mezzo chilo l’una nella toilette (dopo aver lasciato <strong>in</strong> giro, lui e i suoi<br />
compagni, un po’ di copie di Lotta Cont<strong>in</strong>ua, tanto per far capire dove si dovessero cercare i colpevoli).<br />
Le altre erano le bombe a mano che aveva provveduto a fornire proprio lui per una manifestazione<br />
neofascista <strong>in</strong> quello stesso aprile a Milano: una venne lanciata e ferì un agente di pubblica sicurezza e<br />
un passante, la seconda uccise un altro agente, Antonio Mar<strong>in</strong>o, un ragazzo di ventidue anni. Vennero<br />
arrestati i responsabili, due fascisti, Maurizio Murelli e Vittorio Loi, il figlio del popolare Duilio, il<br />
campione di pugilato. Nico Azzi fu condannato per il treno a tredici anni di carcere, per le bombe a due:<br />
non le aveva lanciate, le aveva solo procurate (estratto da Nico Azzi: funerali <strong>in</strong> chiesa con svastica di<br />
Oreste Pivetta, pubblicato su “L’Unità” del 13 gennaio 2007).<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
che avrebbe agito per vendicare la morte del compagno<br />
P<strong>in</strong>o P<strong>in</strong>elli, volato dal quarto piano della Questura di Milano<br />
– era stata smontata dal giudice istruttore milanese<br />
Antonio Lombardi, per il quale Bertoli era tutt’altro che<br />
anarchico e tutt’altro che solo.<br />
Da sempre amico dei neofascisti, f<strong>in</strong> dagli anni C<strong>in</strong>quanta<br />
<strong>in</strong><strong>formato</strong>re del servizio segreto militare, uomo della<br />
struttura segreta di Gladio, nel 1971 Bertoli si era rifugiato<br />
<strong>in</strong> un kibbutz israeliano, poi era tornato <strong>in</strong> Italia e aveva<br />
scagliato la bomba. Non per vendicare P<strong>in</strong>elli, ma per<br />
colpire Rumor. La sua non era stata un’<strong>in</strong>iziativa personale,<br />
ma pilotata da quell’Ord<strong>in</strong>e Nuovo che da tempo<br />
meditava di uccidere il m<strong>in</strong>istro democristiano. Del resto,<br />
come avrebbe mai potuto Bertoli superare tre frontiere,<br />
da Israele f<strong>in</strong>o a Milano, portando con sé anche una<br />
bomba a mano Era chiaro che gli fosse stata data <strong>in</strong> Italia,<br />
era chiaro che <strong>in</strong> questa bugia era contenuta la verità<br />
su chi avesse armato la sua mano. Prima di armare<br />
quella mano, però, bisognava armare il cervello. Addestrare<br />
Bertoli, <strong>in</strong>somma, ma addestrarlo bene, perché era<br />
un elemento poco affidabile, dedito all’alcool e alla droga.<br />
L’unico, comunque, disposto a compiere l’attentato<br />
contro Rumor.<br />
L’addestramento veronese di via Stella<br />
È stato Carlo Digilio, lo “zio Otto”, a parlare dell’addestramento<br />
di Bertoli <strong>in</strong> un appartamento di via Stella, a Verona,<br />
con il triest<strong>in</strong>o Francesco Neami come <strong>in</strong>segnante.<br />
«Mi ricordo che Neami stava facendo con Bertoli una<br />
specie di lavaggio del cervello su cosa avrebbe dovuto dire<br />
se fosse stato arrestato», dichiarò Digilio. «Se ciò fosse<br />
avvenuto avrebbe dovuto dire che era un anarchico,<br />
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che si era procurato da solo la bomba <strong>in</strong> Israele, che aveva<br />
fatto tutto da solo, essendo un anarchico <strong>in</strong>dividualista.<br />
Neami si comportava duramente con Bertoli quando<br />
non gli dava le risposte esatte... Bertoli fumava e beveva<br />
molto. In effetti gli piaceva molto bere e f<strong>in</strong>iva con<br />
l’ubriacarsi a tavola. Annegava le sue mal<strong>in</strong>conie nell’alcool.<br />
Appresi che lo avevano conv<strong>in</strong>to con la promessa di<br />
un po’ di soldi... Neami cercava di rafforzare i suoi propositi<br />
stuzzicando la sua vanità, dicendo che doveva mostrare<br />
il suo coraggio, che sarebbe stato un eroe e che<br />
tutti avrebbero parlato di lui. Bertoli era molto esigente<br />
e chiedeva cont<strong>in</strong>uamente da bere e vitto di prima qualità<br />
portato da fuori. Chiedeva sigarette e alcolici di marca<br />
e nell’appartamento vi erano bottiglie vuote dovunque<br />
sul pavimento, tanto che a volte vi <strong>in</strong>ciampavamo» 44 .<br />
Altro che tutto da solo. Del resto, alcolista e tossicodipendente,<br />
difficilmente Bertoli avrebbe potuto ideare e<br />
portare a term<strong>in</strong>e un attentato tutto da solo. E f<strong>in</strong> da subito,<br />
f<strong>in</strong> dalle 11 di quella tragica matt<strong>in</strong>a del 17 maggio<br />
del ’73, s’era comportato come gli era stato <strong>in</strong>segnato.<br />
Due anni dopo, il 1 o marzo 1975, la prima Corte d’Assise<br />
di Milano lo aveva condannato all’ergastolo: sentenza<br />
confermata un anno dopo <strong>in</strong> Appello e dalla Cassazione<br />
nel novembre successivo.<br />
Nel 1998, il giudice istruttore Antonio Lombardi, a conclusione<br />
del supplemento d’<strong>in</strong>chiesta condotto col vecchio<br />
rito, aveva r<strong>in</strong>viato a giudizio sette persone accusandole<br />
di concorso <strong>in</strong> strage: Carlo Maria Maggi, Giorgio<br />
Boffelli, Francesco Neami, Carlo Digilio e Amos Spiazzi.<br />
Gian Adelio Maletti e Sandro Romagnoli erano stati accu-<br />
44. In “Archivio storico dell’<strong>in</strong>formazione”.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
sati <strong>in</strong>vece di omissione di atti d’ufficio e di soppressione<br />
e sottrazione di atti e documenti concernenti la sicurezza<br />
dello Stato. L’11 marzo 2000, dopo c<strong>in</strong>que giorni di camera<br />
di consiglio, la qu<strong>in</strong>ta Corte d’Assise aveva emesso<br />
la sentenza che con l’accusa di strage condannava all’ergastolo<br />
Maggi, Spiazzi, Boffelli e Neami. Maletti era stato<br />
condannato a qu<strong>in</strong>dici anni di reclusione. Il 27 settembre<br />
2002, dopo nove ore di camera di consiglio, la Corte d’Assise<br />
d’Appello assolveva tutti gli imputati perché il fatto<br />
non sussisteva o per non averlo commesso, rovesciando<br />
completamente la sentenza di primo grado. L’11 luglio<br />
2003, la qu<strong>in</strong>ta sezione penale della Cassazione annullava<br />
l’assoluzione di Boffelli, Maggi e Neami confermando<br />
<strong>in</strong>vece l’assoluzione del generale Gian Adelio Maletti e di<br />
Amos Spiazzi.<br />
Di Bertoli, per oltre vent’anni da quella matt<strong>in</strong>a della<br />
strage, si erano perse le tracce f<strong>in</strong>ché si era venuto a sapere<br />
che il 18 giugno ‘97 aveva tentato il suicidio con<br />
un’overdose di ero<strong>in</strong>a: non poteva sopportare di passare<br />
per fascista, lui che si era sempre proclamato un anarchico,<br />
f<strong>in</strong>o a tatuarsi su un braccio quell’idea, <strong>in</strong> modo che<br />
tutti vedessero, che tutti sapessero. Che lui era un anarchico.<br />
E la strage alla Questura di Milano, allora Probabilmente<br />
aveva voluto essere per un giorno protagonista,<br />
come quegli anarchici degli <strong>in</strong>izi del Novecento. Certamente<br />
era stato usato: un utile idiota per altri f<strong>in</strong>i. Gianfranco<br />
Bertoli è morto il 28 novembre del 2000 a Livorno,<br />
dove viveva <strong>in</strong> semilibertà facendo il lavapiatti <strong>in</strong> un<br />
piccolo ristorante di periferia. Ottenuti i benefici di legge,<br />
era ripiombato immediatamente nel tunnel della tossicodipendenza<br />
da ero<strong>in</strong>a. Si è sempre dichiarato anarchico.<br />
Per sua espressa volontà è stato seppellito con i<br />
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funerali religiosi: nella bara ha voluto un crocefisso e la<br />
bandiera degli ultras del Livorno.<br />
IL GIUDICE PADOVANO E LA ROSA DEI VENTI<br />
Giovanni Tambur<strong>in</strong>o era un giovane giudice di Padova.<br />
Aveva appena trent’anni quando nell’autunno del 1973<br />
gli era stata affidata un’<strong>in</strong>chiesta che scottava. Le carte<br />
gli arrivavano da La Spezia, dove la procura aveva <strong>in</strong>iziato<br />
a <strong>in</strong>dagare su Giancarlo Porta Casucci, un medico ligure<br />
con la passione per armi, svastiche, medaglie e cimeli<br />
vari riguardanti fascismo e nazismo, oltre ad appartenere<br />
a un gruppo di destra dal roboante nome di Elmi d’Acciaio.<br />
Casucci aveva <strong>in</strong>iziato subito a collaborare, mettendo<br />
gli <strong>in</strong>quirenti al corrente di un’Organizzazione (identificata<br />
proprio così, con la o maiuscola) di cui facevano<br />
parte diversi personaggi della destra eversiva, fra cui il<br />
pr<strong>in</strong>cipe Giovanni Francesco Alliata di Montereale, dist<strong>in</strong>tosi<br />
per essere stato fra i fondatori del Movimento nazionale<br />
di op<strong>in</strong>ione pubblica e della Maggioranza silenziosa,<br />
due gruppi contigui all’estrema destra.<br />
Ufficialmente, il pr<strong>in</strong>cipe risultava presidente di una non<br />
meglio identificata Libera confederazione mondiale del<br />
commercio e del turismo, con sede a Bruxelles. Dell’Organizzazione<br />
faceva parte anche Eugenio Rizzato, ex-gerarca<br />
della RSI, la Repubblica sociale italiana, che, graziato<br />
dall’amnistia di Palmiro Togliatti, aveva ripreso subito<br />
la sua attività politica. Durante un normale controllo, la<br />
polizia aveva trovato la macch<strong>in</strong>a di Rizzato imbottita di<br />
volant<strong>in</strong>i, passamontagna e, dulcis <strong>in</strong> fundo, armi. A<br />
questi due signori, nella sua deposizione Casucci aveva<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
aggiunto un altro personaggio: Roberto Cavallaro, le cui<br />
dichiarazioni furono fondamentali nelle successive tappe<br />
dell’<strong>in</strong>chiesta di Tambur<strong>in</strong>o.<br />
Il panorama di una nuova Italia<br />
Il giudice padovano aveva <strong>in</strong>iziato il suo lavoro partendo<br />
dalle tante carte di Casucci, fra le quali alcuni appunti riguardanti<br />
f<strong>in</strong>anziamenti al gruppo, proclami da <strong>in</strong>viare<br />
alle caserme sul “pericolo rosso” e perf<strong>in</strong>o un progetto<br />
<strong>in</strong>surrezionale. Il colpo grosso, però, Tambur<strong>in</strong>o lo aveva<br />
fatto quando aveva messo le mani su una borsa nascosta<br />
da Casucci <strong>in</strong> una canonica. Più che una borsa, una m<strong>in</strong>iera<br />
di <strong>in</strong>formazioni che consentivano di mappare altre<br />
organizzazioni di estrema destra, fra le quali una <strong>in</strong> particolare,<br />
la Rosa dei Venti, dest<strong>in</strong>ata a dare il nome alla<br />
stessa <strong>in</strong>chiesta di Tambur<strong>in</strong>o.<br />
Senza saperlo, il giudice aveva scoperchiato una delle<br />
pentole dell’eversione della prima metà degli anni Settanta<br />
<strong>in</strong> cui bollivano, oltre ai richiami nostalgici, i progetti<br />
per un futuro “nero”. Progetti che co<strong>in</strong>volgevano<br />
anche alcune caserme, come quella di Verona che ospitava<br />
il reparto di artiglieria di stanza <strong>in</strong> Veneto, dove l’ufficiale<br />
responsabile dell’Ufficio I (Informazioni) era il colonnello<br />
Amos Spiazzi. Il suo reparto era l’unico che non<br />
aveva mai riconsegnato un codice segreto militare ormai<br />
<strong>in</strong> disuso (Farilc 59), né comunicato il verbale della sua<br />
distruzione, come volevano le disposizioni dello Stato<br />
Maggiore dell’Esercito. Tambur<strong>in</strong>o aveva qu<strong>in</strong>di disposto<br />
la perquisizione dell’abitazione del colonnello Spiazzi,<br />
dove, fra cimeli fascisti e nazisti, erano saltate fuori anche<br />
diverse armi. Non basta: grazie a Spiazzi, Roberto<br />
Cavallaro – che con l’avallo del colonnello si era spaccia-<br />
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to per magistrato militare – aveva potuto tenere nella caserma<br />
di Verona un’affollata conferenza politico-organizzativa<br />
ai soldati, cui aveva tratteggiato «il panorama di<br />
una nuova Italia».<br />
Tambur<strong>in</strong>o poteva ormai contare sulla collaborazione dei<br />
camerati pescati con le mani nella marmellata: come aveva<br />
fatto Casucci, anche Cavallaro, <strong>in</strong>fatti, aveva <strong>in</strong>iziato<br />
subito a parlare. E non solo aveva confermato tutto, ma<br />
aveva portato elementi assolutamente <strong>in</strong>editi e sconosciuti,<br />
del<strong>in</strong>eando la struttura di un’organizzazione<br />
(quella con la “o” maiuscola) ormai pronta ad agire. Organizzazione<br />
che aveva <strong>in</strong> un’altra struttura il suo braccio<br />
armato: la Rosa dei Venti.<br />
Il piano prevedeva il radicale cambiamento politico del<br />
Paese col non trascurabile appoggio di ufficiali americani.<br />
Dal quartier generale della NATO sarebbe arrivato <strong>in</strong>fatti<br />
l’avallo alla procedura operativa che avrebbe portato<br />
al colpo di Stato nella primavera del 1973, ma poi tutto<br />
era f<strong>in</strong>ito nel nulla all’improvviso e senza una ragione.<br />
Come per il golpe Borghese <strong>in</strong>somma. Ancora una volta,<br />
un niente di fatto. Tuttavia, a differenza del maldestro<br />
tentativo dei forestali nel 1970, questa volta l’organizzazione<br />
restava <strong>in</strong> piedi e, soprattutto, qualora si fossero<br />
create le condizioni favorevoli, era pronta all’azione. Oltre<br />
alla Rosa dei Venti, poi, utilizzava altri gruppi paralleli:<br />
Ord<strong>in</strong>e Nuovo, La Fenice, i MAR (Movimento di azione<br />
rivoluzionaria di Carlo Fumagalli) e i Giustizieri d’Italia.<br />
Cavallaro aveva confidato a un esterrefatto Tambur<strong>in</strong>o<br />
che l’Organizzazione aveva ipotizzato due tipi di <strong>in</strong>tervento<br />
attuabili a seconda delle circostanze: la prima, di<br />
carattere “cileno” (riferendosi al colpo di Stato organizzato<br />
<strong>in</strong> Cile l’11 settembre 1973 dalle forze armate col so-<br />
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stanziale aiuto americano); la seconda prevedeva una<br />
strategia del terrore (bombe) che avrebbe giustificato<br />
una “naturale” svolta autoritaria. “Confidenze” che per il<br />
giudice Tambur<strong>in</strong>o trovavano sostegno nelle ammissioni<br />
di Spiazzi: il colonnello confermava, <strong>in</strong>fatti, l’esistenza di<br />
un’organizzazione costituita da civili e militari pronta a<br />
mettere <strong>in</strong> atto il progetto eversivo. Il collante politico<br />
era il “pericolo rosso”, il sostegno <strong>in</strong>terno garantito dal<br />
SID, quello <strong>in</strong>ternazionale, neanche a dirlo, dagli USA, attraverso<br />
la CIA.<br />
Il livello parallelo del SID<br />
Per Tambur<strong>in</strong>o, però, le sorprese non erano f<strong>in</strong>ite: scavando<br />
ulteriormente erano saltati fuori nomi blasonati<br />
dell’<strong>in</strong>dustria italiana – Andrea Maria Piaggio, <strong>in</strong> qualità<br />
di munifico f<strong>in</strong>anziatore – e di Junio Valerio Borghese. A<br />
unire i due nomi, un passaggio di denaro dall’<strong>in</strong>dustriale<br />
all’ex-comandante della X Mas di ben 800 milioni: una cifra<br />
considerevole, se si considera che all’epoca lo stipendio<br />
medio di un operaio era di 150mila lire.<br />
Chi erano i capi dell’Organizzazione Il risultato delle <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i<br />
era sconcertante: Vito Miceli, direttore del SID<br />
(Servizio Informazioni Difesa, succeduto al SIFAR, Servizio<br />
Informazioni Forze Armate) e Gian Adelio Maletti, capo<br />
del reparto D, Servizio Informazioni Difesa. Informazioni<br />
che per Tambur<strong>in</strong>o diventavano il cuore dell’<strong>in</strong>chiesta.<br />
Messo alle strette, il colonnello Spiazzi aveva sostenuto<br />
che di più non poteva proprio dire, perché non poteva<br />
essere liberato dal segreto cui era tenuto, se non da un<br />
ufficiale dei carab<strong>in</strong>ieri di grado superiore al suo. Tuttavia,<br />
c’era un’altra spiegazione alla diga che Spiazzi aveva<br />
alzato fra le sue affermazioni precedenti e la verità com-<br />
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pleta: la paura. Antonio Alemanno, un altro generale del<br />
SID, gli aveva fatto arrivare il preciso ord<strong>in</strong>e di tacere. Da<br />
questo momento, al giudice padovano avevano com<strong>in</strong>ciato<br />
a spuntarsi le armi e alla f<strong>in</strong>e gli erano state tolte del<br />
tutto.<br />
Nell’estate del 1974, <strong>in</strong>tanto, la bomba di piazza della<br />
Loggia a Brescia e quella al treno Italicus avevano provocato<br />
tensione <strong>in</strong> casa SID. Maletti sosteneva di aver più<br />
volte <strong>in</strong><strong>formato</strong> Miceli della pericolosità imm<strong>in</strong>ente di alcune<br />
organizzazioni eversive <strong>in</strong> proc<strong>in</strong>to di compiere attentati.<br />
Affermazioni che avevano <strong>in</strong>dotto Tambur<strong>in</strong>o a<br />
far arrestare il direttore del servizio militare. Il cerchio<br />
era chiuso, si poteva andare <strong>in</strong> tribunale, ma il 14 luglio<br />
1978 la corte d’Assise di Roma – che nel frattempo aveva<br />
sottratto a Tambur<strong>in</strong>o l’<strong>in</strong>chiesta – aveva emesso verdetti<br />
che di fatto vanificano il lavoro del giudice padovano:<br />
Spiazzi era stato condannato a c<strong>in</strong>que anni di reclusione,<br />
Casucci a un anno e sei mesi, mentre Miceli – nel<br />
frattempo eletto alla Camera dei deputati fra le fila del<br />
Movimento sociale – era stato addirittura assolto dall’accusa<br />
di favoreggiamento con la formula della non sussistenza<br />
del fatto. Assoluzione che strideva con quanto<br />
emerso nel corso della movimentatissima udienza del 14<br />
dicembre 1977. In quella occasione, <strong>in</strong>fatti, il giudice Antonio<br />
Abbate aveva chiesto a Miceli conferma dell’esistenza<br />
di un doppio organismo parallelo – e qu<strong>in</strong>di illegale<br />
– del SID.<br />
Questa era stata la risposta: «Lei <strong>in</strong> sostanza vuole sapere<br />
se esiste un organismo segretissimo nell’ambito del<br />
SID. Io f<strong>in</strong>ora ho parlato delle dodici branche <strong>in</strong> cui si divide.<br />
Ognuna di esse ha come appendice altri organismi,<br />
altre organizzazioni operative, sempre con scopi istitu-<br />
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zionali. C’è, ed è sempre esistita, una particolare organizzazione<br />
segretissima, che è a conoscenza anche delle<br />
massime autorità dello Stato. Vista dall’esterno, da un<br />
profano, questa organizzazione può essere <strong>in</strong>terpretata<br />
<strong>in</strong> senso non corretto, potrebbe apparire come qualcosa<br />
di estraneo alla l<strong>in</strong>ea ufficiale. Si tratta di un organismo<br />
<strong>in</strong>serito nell’ambito del SID, comunque sv<strong>in</strong>colato dalla<br />
catena di ufficiali appartenenti al servizio I, che assolve<br />
compiti pienamente istituzionali, anche se si tratta di attività<br />
ben lontana dalla ricerca <strong>in</strong>formativa. Se mi chiedete<br />
dettagli particolareggiati, dico: non posso rispondere.<br />
Chiedeteli alle massime autorità dello Stato, <strong>in</strong> modo che<br />
possa esservi un chiarimento def<strong>in</strong>itivo» 45 .<br />
Da questo livello parallelo illegale del Servizio Informazioni<br />
Difesa si poteva dunque ripartire per fare luce sull’<strong>in</strong>qu<strong>in</strong>amento<br />
eversivo di <strong>in</strong>teri apparati dello Stato e<br />
qu<strong>in</strong>di su molti tragici misteri della strategia della tensione,<br />
ma l’assoluzione del direttore del SID impedì tutto<br />
questo, mettendo una pietra tombale su fatti, circostanze,<br />
episodi. E anche sull’Organizzazione chiamata “Rosa<br />
dei Venti”.<br />
ITALICUS, TRENO DI MORTE, VERONA SALUTA<br />
CON ONORE<br />
La matt<strong>in</strong>a del 5 agosto 1974 un’edizione straord<strong>in</strong>aria<br />
del telegiornale annunciava una nuova strage. Erano trascorsi<br />
poco più di due mesi dall’eccidio di Piazza della<br />
45. Idem<br />
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Loggia a Brescia e la storia d’Italia doveva registrarne un<br />
altro. Un nuovo massacro, che andava ad aumentare le<br />
troppe tessere del funesto mosaico della strategia della<br />
tensione, quella <strong>in</strong>augurata c<strong>in</strong>que anni prima a Milano,<br />
<strong>in</strong> piazza Fontana. Nel 1969 Tito Stagno aveva testimoniato<br />
con Ruggero Orlando, collegato da New York, l’allunaggio<br />
di Apollo 11, ora gli era toccato l’<strong>in</strong>grato compito<br />
di raccontare quanto accaduto nella notte. Cioè che<br />
all’1.30, all’uscita di una galleria di San Benedetto Val di<br />
Sambro, una bomba era esplosa nel secondo scompartimento<br />
della qu<strong>in</strong>ta carrozza del treno Italicus, partito da<br />
Roma alle 20.35 della sera precedente e diretto al Brennero,<br />
causando la morte di dodici persone e il ferimento<br />
di quarantaquattro.<br />
Quella stessa matt<strong>in</strong>a, su un muro dei Bastioni di Porta<br />
Palio a Verona, era comparsa una scritta: «Camerata<br />
Esposti presente!» firmato ON, Ord<strong>in</strong>e Nero, mentre un<br />
volant<strong>in</strong>o dell’organizzazione neofascista, diffuso non solo<br />
nella città scaligera, proclamava: «Giancarlo Esposti è<br />
stato vendicato. Abbiamo voluto dimostrare alla nazione<br />
che siamo <strong>in</strong> grado di mettere le bombe dove vogliamo,<br />
<strong>in</strong> qualsiasi ora, <strong>in</strong> qualsiasi luogo, dove e come ci pare.<br />
Vi diamo appuntamento per l’autunno. Seppelliremo la<br />
democrazia sotto una montagna di morti».<br />
Uno strano identikit<br />
Chi era quel Giancarlo Esposti vendicato con la morte di<br />
dodici persone Due giorni dopo la strage di Brescia,<br />
l’identikit dell’uomo che avrebbe messo la bomba nel cest<strong>in</strong>o<br />
dei rifiuti <strong>in</strong> Piazza della Loggia era apparso su tutti<br />
i giornali. Si trattava del neofascista Giancarlo Esposti,<br />
che però una settimana dopo era stato ucciso <strong>in</strong> un con-<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
flitto a fuoco coi carab<strong>in</strong>ieri a Pian del Rasc<strong>in</strong>o. Al momento<br />
dell’autopsia, quando bisognava ufficializzare il riconoscimento<br />
con l’identikit, ci si era accorti che Esposti,<br />
da due mesi, si era fatto crescere la barba e qu<strong>in</strong>di<br />
non poteva assomigliare a quell’identikit. Una constatazione<br />
<strong>in</strong>quietante: significava cioè che per la strage di<br />
Brescia era stato tutto predisposto, colpevole compreso.<br />
Ma che c’entrava tutto ciò con l’Italicus C’entrava con la<br />
strategia delle bombe, la strategia del terrore. Proprio<br />
Esposti e il suo gruppo, prima si essere <strong>in</strong>tercettati dai<br />
carab<strong>in</strong>ieri, si trovavano <strong>in</strong> Abruzzo <strong>in</strong> attesa di un’azione<br />
clamorosa da <strong>in</strong>terpretare come segnale preciso per<br />
l’entrata <strong>in</strong> scena <strong>in</strong>sieme con altre formazioni, fra le quali<br />
Ord<strong>in</strong>e Nero. La prospettiva era quella di un golpe da<br />
preparare attraverso “una serie di attentati di gravità<br />
crescente”, di stragi <strong>in</strong>discrim<strong>in</strong>ate <strong>in</strong> città diverse. La<br />
bomba dell’Italicus – come quella di Brescia – obbediva<br />
qu<strong>in</strong>di a questa “logica” stragista. Una “logica” che esigeva<br />
morti, tanti morti per mandare il Paese allo sbando.<br />
Morti ammazzati. Ammazzati con bombe che non guardano<br />
<strong>in</strong> faccia nessuno e proprio per questo sem<strong>in</strong>ano<br />
paura, terrore. Come di terrore erano le parole dei testimoni<br />
di questo nuovo eccidio. «Improvvisamente», aveva<br />
raccontato uno di essi, «il tunnel da cui doveva sbucare<br />
il treno si è illum<strong>in</strong>ato a giorno, la montagna ha tremato,<br />
poi è arrivato un boato assordante. Il convoglio, per forza<br />
di <strong>in</strong>erzia, è arrivato f<strong>in</strong> davanti a noi. Le fiamme erano<br />
altissime e abbaglianti. Nella vettura <strong>in</strong>cendiata c’era<br />
gente che si muoveva. Vedevamo le loro sagome e le loro<br />
espressioni terrorizzate, ma non potevamo fare niente<br />
poiché le lamiere esterne erano <strong>in</strong>candescenti. Dentro<br />
doveva già esserci una temperatura da forno crematorio.<br />
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“Mettetevi <strong>in</strong> salvo”, abbiamo gridato, senza renderci conto<br />
che si trattava di un suggerimento ridicolo data la situazione.<br />
Qualcuno si è buttato dal f<strong>in</strong>estr<strong>in</strong>o con gli abiti<br />
<strong>in</strong> fiamme. Sembravano torce. Ritto al centro della vettura<br />
un ferroviere, la pelle nera cosparsa di orribili macchie<br />
rosse, cercava di spostare qualcosa. Sotto doveva esserci<br />
una persona impigliata. “Vieni via da lì”, gli abbiamo<br />
gridato, ma proprio <strong>in</strong> quel momento una vampata lo ha<br />
<strong>in</strong>vestito facendolo cadere accartocciato al suolo» 46 .<br />
Quel ferroviere era Silver Sirotti, <strong>in</strong> servizio sull’Italicus<br />
come macch<strong>in</strong>ista. Diplomatosi all’ITIS di Forlì nel 1968,<br />
era sopravvissuto all’esplosione, ma trovandosi nelle vic<strong>in</strong>anze<br />
della carrozza colpita, aveva cercato di portare<br />
soccorso. Il fumo e le fiamme avevano poi avuto il sopravvento<br />
anche su di lui <strong>in</strong> un vagone che, come hanno<br />
poi raccontato due agenti di polizia, «sembrava friggere,<br />
gli spruzzi degli schiumogeni vi rimbalzavano su. Su tutta<br />
la zona aleggiava l’odore dolciastro e nauseabondo della<br />
morte».<br />
La morte di dodici persone, con tanto di nome e cognome:<br />
Elena Donat<strong>in</strong>i, Nicola Buffi, Herbert Kotr<strong>in</strong>er, Nunzio<br />
Russo, Maria Sant<strong>in</strong>a Carraro, Marco Russo, Tsugufumi<br />
Fukada, Antidio Medaglia, Elena Celli, Raffaella Garosi,<br />
Wìlbelmus Jacobus Hanema e Silver Sirotti, il ferroviere.<br />
Tuttavia, seppur spaventoso, questo nuovo capitolo<br />
della politica del terrore, nelle <strong>in</strong>tenzioni degli autori, doveva<br />
essere ancor più consistente: il timer era stato programmato<br />
<strong>in</strong>fatti perché la bomba esplodesse all’<strong>in</strong>terno<br />
della galleria, con effetti devastanti per la naturale compressione<br />
che avrebbe subito il treno e solo la differenza<br />
46. Da “L’Unità” del 5 agosto 1999.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
di un m<strong>in</strong>uto aveva evitato un’ecatombe. Molti anni dopo<br />
mi sono ritrovato a percorrere <strong>in</strong> treno quella galleria.<br />
Una galleria lunghissima che sembrava non f<strong>in</strong>ire mai.<br />
Quando siamo ritornati alla luce del sole, ho cercato<br />
qualcuno del personale delle ferrovie e gli ho qu<strong>in</strong>di chiesto<br />
se poteva controllare quanto fosse lungo quel tunnel:<br />
diciotto chilometri. Solo il caso ha voluto che la bomba<br />
esplodesse all’uscita di una galleria così lunga.<br />
Camerata Mario Tuti<br />
C’era dunque la rivendicazione di Ord<strong>in</strong>e Nero, ma su<br />
quali gambe marciava questa organizzazione Chi aveva<br />
organizzato la strage Chi aveva messo la bomba Come<br />
da tradizionali copioni di questi almanacchi delle stragi,<br />
neanche a dirlo gli <strong>in</strong>vestigatori “brancolavano nel buio”,<br />
f<strong>in</strong>o a quando un extraparlamentare di s<strong>in</strong>istra, Aurelio<br />
Fianch<strong>in</strong>i, era evaso dal penitenziario di Arezzo facendo<br />
arrivare alla stampa questa dichiarazione, frutto a suo dire<br />
di confidenze raccolte <strong>in</strong> carcere: «La bomba è stata<br />
messa sul treno dal gruppo eversivo di Mario Tuti, che ha<br />
ricevuto ord<strong>in</strong>i dal Fronte nazionale rivoluzionario e da<br />
Ord<strong>in</strong>e Nero. Materialmente hanno agito Piero Malentacchi,<br />
che ha piazzato l’esplosivo alla stazione di Santa Maria<br />
Novella a Firenze, Luciano Franci, che gli ha fatto da<br />
palo, e la donna di quest’ultimo, Margherita Luddi».<br />
All’<strong>in</strong>izio del ‘75 era stato emesso un mandato di cattura<br />
contro Mario Tuti, che però era riuscito a fuggire all’arresto<br />
dopo aver ucciso due carab<strong>in</strong>ieri andati a casa sua<br />
per arrestarlo, Leonardo Falco e Giovanni Ceravolo, e<br />
averne ferito un terzo. Rifugiatosi prima ad Ajaccio, si<br />
era poi nascosto <strong>in</strong> Costa azzurra, dove però era stato<br />
r<strong>in</strong>tracciato e arrestato dopo un conflitto a fuoco. In re-<br />
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lazione alla strage dell’Italicus, Tuti sarà assolto def<strong>in</strong>itivamente<br />
nel ’92, e quella è rimasta una delle troppe stragi<br />
impunite.<br />
Ho avuto modo di <strong>in</strong>contrare personalmente l’ex-terrorista<br />
nero condannato a due ergastoli per tre omicidi: i due<br />
carab<strong>in</strong>ieri ed Ermanno Buzzi, strangolato con l’aiuto del<br />
camerata Pierluigi Concutelli nel carcere di Novara. Il 28<br />
dicembre 2003 era uscito per la prima volta dopo ventisette<br />
anni, per quattro ore. Non si è mai pentito, né dissociato.<br />
Ha scritto un saggio per il libro La Bibbia dei non credenti,<br />
al quale hanno collaborato Massimo Cacciari, Luciano<br />
Violante e Francesco Gucc<strong>in</strong>i. È stato anche protagonista<br />
<strong>in</strong> carcere di uno spettacolo sul Vangelo.<br />
La prima cosa che mi aveva detto, quando l’avevo <strong>in</strong>contrato<br />
<strong>in</strong> un’assolata matt<strong>in</strong>a di luglio, era stata che «comunisti<br />
si diventa, fascisti si nasce». E lui, fascista lo era<br />
qu<strong>in</strong>di da sempre, seppure con visioni diverse del mondo<br />
e degli uom<strong>in</strong>i, del bene e del male. Ora si sentiva un altro<br />
uomo. Un uomo che odia la violenza, ogni forma di<br />
violenza: «ai blocchi stradali, a quelli dei treni, preferisco<br />
i girotondi».<br />
«I diversi, i reietti della cultura imperante di quegli anni<br />
terribili», aveva aggiunto quasi con orgoglio, «eravamo<br />
noi, i fascisti. Avevamo contro tutti e noi eravamo<br />
contro tutti». Compreso Ermanno Buzzi, strangolato<br />
«perché si era sporcato le mani coi servizi, cioè con lo<br />
Stato, vale a dire con quello Stato che noi combattevamo.<br />
Per questo l’abbiamo ucciso, non perché era un delatore,<br />
un <strong>in</strong>fame, ma perché aveva tradito la nostra<br />
idea, che era quella appunto di combatterlo questo Stato,<br />
non di agire con lui o per lui».<br />
«Con la giustizia», aveva risposto a una mia precisa do-<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
manda, «credo di aver saldato il mio conto. Il carcere<br />
cambia le persone. Non sono quello che si dice un pentito,<br />
ma posso garantire che oggi non sono socialmente pericoloso<br />
e non mi ritengo neppure una persona malvagia,<br />
tutt’altro, una persona buona, <strong>disponibile</strong>».<br />
E la coscienza che dice «Con quella il conto è ancora<br />
aperto. Non sarei più capace di uccidere nessuno, ma ciò<br />
non mi consola. Provo un dolore profondo e <strong>in</strong>cancellabile<br />
per ciò che ho commesso. Però non chiederei mai perdono,<br />
perché il perdono non si chiede per potersi sentire<br />
meglio, per un fatto egoistico, qu<strong>in</strong>di, semmai si riceve<br />
da chi vuole dartelo, o meglio, concedertelo spontaneamente».<br />
E ancora: «il carcere è dentro di me, dopo quasi trent’anni<br />
la galera ti entra dentro irrimediabilmente. Mi sto per<br />
laureare <strong>in</strong> Scienze forestali, mi manca la tesi. Sono<br />
iscritto al conservatorio di Parma. Ironia della sorte, l’ho<br />
potuto fare grazie a una vecchia legge sui prigionieri di<br />
guerra. Trent’anni fa mi sentivo anch’io un prigioniero di<br />
guerra. Oggi spero di poter aiutare la gente, fare qualcosa<br />
di utile».<br />
Il terribile segreto dell’Italicus<br />
Dopo quell’<strong>in</strong>contro, Tuti lo avevo sentito saltuariamente,<br />
f<strong>in</strong>ché mi aveva detto che aveva qualcosa di <strong>in</strong>teressante<br />
per le mie ricerche storiche. Ma era sempre impegnato<br />
col teatro, così non ci pensai più. F<strong>in</strong>ché, saputo<br />
che stavo lavorando al caso Campanile 47 , il giovane mili-<br />
47. Il riferimento è al mio libro Il sangue dei rossi (Cairo, 2009) che contiene anche la storia di Alceste<br />
Campanile e alla puntata della trasmissione “La Storia siamo noi” da me realizzata come autore col<br />
titolo “Due spari nel buio, il caso Campanile” (Rai Storia, giugno 2009).<br />
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tante di Lotta Cont<strong>in</strong>ua ucciso a Reggio Emilia nel giugno<br />
del 1975, mi aveva f<strong>in</strong>almente “svelato il segreto”: «Adesso<br />
ti dico una cosa nuova… E lo dico a te perché te lo devo<br />
da un po’ di tempo. Una cosa che riguarda Alceste<br />
Campanile».<br />
«Sei un po’ <strong>in</strong> ritardo…».<br />
«Diciamo che il libro e la trasmissione che hai fatto su<br />
Campanile sono ricostruzioni corrette, perché sostenute<br />
da sentenze di tribunale, ma sono la verità giudiziaria,<br />
non quella vera. Quella vera è un’altra…».<br />
«Quale».<br />
«Porta dritto dritto proprio all’Italicus».<br />
«Spiegami per favore perché è tutto troppo sibill<strong>in</strong>o».<br />
«Nel corso del processo <strong>in</strong> cui ero imputato, venne fuori<br />
un biglietto della polizia di Reggio Emilia che facendo riferimento<br />
a una fonte confidenziale – e qu<strong>in</strong>di protetta<br />
anche di fronte alla magistratura – riproponeva per la<br />
strage dell’Italicus una pista legata ad ambienti dell’<strong>in</strong>tellighentia<br />
di s<strong>in</strong>istra di quella città, già <strong>in</strong>dicata all’<strong>in</strong>izio<br />
delle <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i, ma poi lasciata cadere».<br />
«Se ti riferisci alla cosiddetta pista rossa, mi pare sia stata<br />
smontata pezzo per pezzo, anche perché trovava sostegno<br />
solo <strong>in</strong> Vittorio Campanile, il padre di Alceste, notoriamente<br />
uomo di destra che, stando anche agli stessi<br />
<strong>in</strong>quirenti, si mosse più che per trovare la verità, per dimostrare<br />
la sua tesi: cioè che suo figlio era stato ucciso<br />
dai suoi stessi compagni».<br />
«In effetti, malgrado la protezione della fonte, <strong>in</strong> via <strong>in</strong>formale<br />
le notizie del biglietto vennero attribuite proprio<br />
al padre di Alceste, che mi pare venisse <strong>in</strong>terrogato <strong>in</strong><br />
proposito, ma senza dare conferme».<br />
«Qu<strong>in</strong>di, niente di nuovo».<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
«Non è così e ora ti spiego perché. Quando le persone <strong>in</strong>dicate<br />
<strong>in</strong> quel biglietto furono chiamate a testimoniare<br />
per l’<strong>in</strong>domani, una di queste, tale Ennio Scolari, docente<br />
nella facoltà frequentata da Alceste e dirigente del<br />
Partito comunista, si suicidò durante la notte, impiccandosi<br />
e lasciando un biglietto molto confuso <strong>in</strong> cui ricordava<br />
appunto la sua dedizione al partito e l’angoscia per la<br />
citazione a testimoniare».<br />
«Avrà vissuto un particolare momento di debolezza emotiva,<br />
come quei ragazz<strong>in</strong>i che si suicidano perché resp<strong>in</strong>ti<br />
a scuola: mica è per quello che saltano dalla f<strong>in</strong>estra.<br />
La bocciatura è solo una goccia che fa traboccare un vaso<br />
già pieno».<br />
«A parte il fatto che un professore universitario ha tutti gli<br />
strumenti culturali per sapere che la citazione come testimone<br />
non ha niente di <strong>in</strong>famante, anzi è un alto dovere civico,<br />
la cosa che fece pensare all’epoca e che dovrebbe far<br />
pensare adesso è che alla base di quel gesto estremo dovesse<br />
esserci qualcosa di molto grave e sporco».<br />
«Che andava denunciato».<br />
«Infatti, tutti i giornali e i telegiornali diedero ampio rilievo<br />
alla notizia. Non solo, ma lo stesso processo per l’Italicus<br />
venne sospeso perché il pubblico m<strong>in</strong>istero si era<br />
recato a consultarsi coi suo colleghi di Reggio Emilia».<br />
«E quali furono i risultati».<br />
«I risultati sono sotto gli occhi: dal giorno dopo nessuno<br />
menzionò più l’episodio e nemmeno Scolari e, se ci fai caso,<br />
quella dell’Italicus è la strage meno ricordata di tutte».<br />
«Non mi pare. Comunque, seguendo la tua tesi, perché<br />
dovrebbe essere la meno ricordata».<br />
«Perché è l’unica dove ci sono molti e concordanti <strong>in</strong>dizi<br />
su una commistione tra servizi segreti deviati e, que-<br />
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sta volta, non i soliti partiti governativi, o il Movimento<br />
sociale…».<br />
«Svela l’arcano».<br />
«Ma te l’ho già detto… Il Partito comunista».<br />
«Maddai…».<br />
«Quando un colonnello dei carab<strong>in</strong>ieri si prende senza battere<br />
ciglio una condanna a quattro anni per proteggere la<br />
loro “traduttrice” iscritta al Partito comunista, nonché<br />
compagna di un resistente greco, come Claudia Aiello…».<br />
«Che significa Spiegami perché non capisco».<br />
«È qui che entra <strong>in</strong> ballo il tuo amico Alceste».<br />
«Amico…».<br />
«Amico nel senso che è uno su cui hai lavorato parecchio».<br />
«Questo, sì».<br />
«Ma non abbastanza. Non hai analizzato bene le troppe<br />
ambiguità e reticenze su quel caso. Per non parlare dell’opera<br />
di dis<strong>in</strong>formazione operata da Paolo Bell<strong>in</strong>i».<br />
«Reo confesso dell’omicidio di Alceste».<br />
«Credimi, dietro la morte di Alceste ci sono implicazioni<br />
<strong>in</strong>nom<strong>in</strong>abili. E ho speso la parola più idonea: <strong>in</strong>nom<strong>in</strong>abili».<br />
«La mia limitatezza mi impedisce di capire, di collegare<br />
il caso Campanile all’Italicus, anche perché non mi<br />
hai spiegato nulla. Hai fatto solo affermazioni sibill<strong>in</strong>e<br />
f<strong>in</strong>ora».<br />
«Rivaluta bene quel che ti ho detto. Ricomponi il puzzle<br />
che comprende il suo professore suicida, il biglietto del<br />
padre <strong>in</strong> cui co<strong>in</strong>volgeva appartenenti al PCI, l’oscuramento<br />
mediatico di quella strage, il colonnello dei carab<strong>in</strong>ieri<br />
e, <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, le plurime e discordanti confessioni di<br />
Bell<strong>in</strong>i e hai il quadro giusto. Non ti devo dire niente, io,<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
ce l’hai sotto gli occhi la storia vera dell’Italicus e di Alceste<br />
Campanile».<br />
«Tento una traduzione: nell’attentato all’Italicus è co<strong>in</strong>volto<br />
il PCI e Alceste Campanile viene soppresso perché<br />
sa troppo e non ci si può fidare di uno come lui, fra l’altro<br />
eccessivamente esuberante ed esposto a Reggio Emilia.<br />
È così».<br />
«Quel biglietto coi nomi è poi sparito, anche se la storia<br />
d’Italia è piena di pizz<strong>in</strong>i e biglietti spariti… Ora torniamo<br />
alla pista nera dell’Italicus. Considera che dopo la mia<br />
assoluzione nel processo di primo grado, come richiesto<br />
anche dallo stesso pubblico m<strong>in</strong>istero e dalle parti civili<br />
delle vittime, che non conclusero contro di noi – a parte<br />
le parti civili istituzionali come il comune di Bologna, il<br />
cui avvocato, Roberto Montorsi, ex-ufficiale dei carab<strong>in</strong>ieri,<br />
sarà poi <strong>in</strong>dagato <strong>in</strong>sieme a Licio Gelli –, <strong>in</strong> Appello,<br />
dopo le dichiarazioni dei cosiddetti pentiti neri, vale a<br />
dire Sergio Calore, V<strong>in</strong>cenzo V<strong>in</strong>ciguerra, Edgardo Bonazzi,<br />
Angelo Izzo – tutti concordi nell’escludere non solo<br />
la mia colpevolezza per la strage, ma anche il semplice<br />
co<strong>in</strong>volgimento coi servizi o la massoneria – venni <strong>in</strong>vece<br />
condannato. Formidabile, no».<br />
«Vai avanti».<br />
«Mentre dopo l’assoluzione venni mandato nei cosiddetti<br />
“braccetti della morte”, il grado estremo di durezza repressiva<br />
<strong>in</strong> Italia, tipo Guantanamo per <strong>in</strong>tenderci, stranamente<br />
dopo la condanna <strong>in</strong> Appello per un delitto così grave<br />
e <strong>in</strong>famante venni mandato nel miglior carcere d’Italia,<br />
Porto Azzurro. Quasi una sorta di scambio, che, implicitamente<br />
mi diceva: “tieniti la condanna, tanto da qui con un<br />
paio di anni di buona condotta uscirai anche tu...”».<br />
«E tu».<br />
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«Come sai, io fui poi assolto def<strong>in</strong>itivamente per la strage<br />
dell’Italicus. Ma ti confesso che non presi bene quella<br />
specie di patto scellerato e cercai altre strade, magari anche<br />
per provare ad andare a mia volta a <strong>in</strong>terrogare qualcuno<br />
di quei giudici, togati e popolari, che mi avevano<br />
condannato, e cercar di capire cosa c’era sotto...».<br />
«Senza riuscirci, ovviamente».<br />
«Ovviamente. Comunque, oggi non me ne frega più niente,<br />
anche perché sono certo che pure se uscisse una confessione<br />
o delle prove <strong>in</strong>oppugnabili, al massimo vivrebbero<br />
un giorno sui giornali e <strong>in</strong> televisione, poi sarebbero<br />
oscurate dal silenzio. Tu che ami il teatro, dovresti pensare<br />
a trarre un adattamento da un bel giallo di Durrenmatt:<br />
Giustizia...» 48 .<br />
Anche Moro su quel treno<br />
Calato il sipario anche sull’Italicus, restavano solo i morti,<br />
poiché perf<strong>in</strong>o le carrozze del treno, rimaste per tanti<br />
anni <strong>in</strong> un deposito “a disposizione”, sono state vendute<br />
come ferro vecchio. Scenografie obsolete di una storia<br />
vecchia che nella relazione di maggioranza della commissione<br />
parlamentare d’<strong>in</strong>chiesta sulla loggia P2, così era<br />
stata riassunta: «La strage dell’Italicus è ascrivibile a una<br />
48. «Un ricco notabile svizzero – Isaak Kohler – uccide un uomo <strong>in</strong> mezzo a un ristorante “non senza<br />
averlo salutato cordialmente”, si lascia docilmente arrestare, loda i giudici per la condanna a vent’ anni<br />
che subisce, va soddisfatto <strong>in</strong> carcere, diventa detenuto modello, senza mai svelare – contro ogni logica<br />
<strong>in</strong>vestigativa – alcuna motivazione del suo gesto. Ma l’evento paradossale, che scuote la prov<strong>in</strong>cia<br />
subalp<strong>in</strong>a, è solo il primo di una serie di colpi di scena pilotati dall’assass<strong>in</strong>o, che riesce a muovere<br />
spavaldamente dal carcere alcuni uom<strong>in</strong>i-ped<strong>in</strong>e. Tra essi il protagonista, un avvocato spiantato di<br />
nome Spaet, a cui il consigliere cantonale Kohler propone di “riesam<strong>in</strong>are il caso partendo dall’ipotesi<br />
che l’omicida non sia lui”. È una sfida apparentemente senza senso – tutti hanno visto l’omicida<br />
sparare – che <strong>in</strong>vece si rivela v<strong>in</strong>cente e si conclude con l’assoluzione del notabile, il suicidio di un altro<br />
possibile colpevole e una raffica di morti ammazzati. È la trama di Giustizia, scritto nel 1985 da<br />
Friedrich Durrenmatt e tradotto – <strong>in</strong> modo eccellente – da Giovanna Agabio per Marcos y Marcos» (da<br />
“L’Almanacco dei libri”, “La Repubblica”, aprile 2005).<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
organizzazione terroristica di ispirazione neofascista o<br />
neonazista operante <strong>in</strong> Toscana. La loggia P2, al cui vertice<br />
c’era Licio Gelli, già implicato nel tentato golpe Borghese,<br />
svolse opera di istigazione agli attentanti e di f<strong>in</strong>anziamento<br />
nei confronti dei gruppi della destra extraparlamentare<br />
toscana. La loggia P2 è qu<strong>in</strong>di gravemente<br />
co<strong>in</strong>volta nella strage dell’Italicus e può considerarsene<br />
anzi addirittura responsabile <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i non giudiziari,<br />
ma storico-politici quale essenziale retroterra economico,<br />
organizzativo e morale».<br />
Per concludere – si fa per dire – questa triste e dolorosa<br />
vicenda, c’è da registrare una dichiarazione di Maria Fida<br />
Moro a Tele Serenissima il 18 aprile 2004 e contenuta<br />
anche nel suo libro, La nebulosa del caso Moro 49 : suo<br />
padre, il 4 agosto 1974, era salito sull’Italicus, ma venne<br />
fatto scendere all’improvviso per firmare delle carte che<br />
gli erano state portate. E il treno partì senza di lui. Era<br />
forse lui l’obiettivo Il dest<strong>in</strong>o di Aldo Moro si sarebbe comunque<br />
compiuto quattro anni dopo.<br />
OCCORSIO, UNA SENTENZA A MORTE SCRITTA<br />
SUI MURI DI VERONA<br />
Verona, via Stella, 9 luglio 1976. In un appartamento del<br />
centro, c’erano alcune persone, una delle quali leggeva<br />
ad alta voce il testo di un volant<strong>in</strong>o: «Il Tribunale speciale<br />
del MPON ha giudicato Vittorio Occorsio e lo ha ritenuto<br />
colpevole di avere, per opportunismo carrieristico,<br />
49. Il libro è uscito per Selene Edizioni nel giugno 2004. Maria Fida Moro spiega di non aver mai fatto<br />
prima cenno all’episodio dell’Italicus perché fortemente sconsigliata da amici per evitare qualsiasi<br />
forma di strumentalizzazione.<br />
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servito la dittatura democratica perseguitando i militanti<br />
di Ord<strong>in</strong>e Nuovo e le idee di cui essi sono portatori. Vittorio<br />
Occorsio ha, <strong>in</strong>fatti, istruito due processi contro il<br />
MPON. Al term<strong>in</strong>e del primo, grazie alla complicità dei giudici<br />
marxisti [Ernesto] Battagl<strong>in</strong>i e [Michele] Coiro e del<br />
barone DC Taviani, il movimento politico è stato sciolto e<br />
dec<strong>in</strong>e di anni di carcere sono stati <strong>in</strong>flitti ai suoi dirigenti.<br />
Nel corso della seconda istruttoria numerosi militanti<br />
del MPON sono stati <strong>in</strong>quisiti e <strong>in</strong>carcerati e condotti <strong>in</strong> catene<br />
d<strong>in</strong>anzi ai Tribunali del sistema borghese. Molti di<br />
essi sono ancora illegalmente trattenuti nelle democratiche<br />
galere, molti altri sono da anni costretti a una dura<br />
latitanza. L’atteggiamento <strong>in</strong>quisitorio tenuto dal servo<br />
del sistema Occorsio non è meritevole di alcuna attenuante.<br />
L’accanimento da lui usato per colpire gli ord<strong>in</strong>ovisti<br />
lo ha degradato al livello di un boia. Ma anche i boia<br />
muoiono! La sentenza emessa dal Tribunale del MPON è di<br />
morte e sarà eseguita da uno speciale nucleo operativo.<br />
Avanti per l’Ord<strong>in</strong>e Nuovo!».<br />
L’acronimo MPON stava per Movimento Politico Ord<strong>in</strong>e<br />
Nuovo e l’appartamento era lo stesso nel quale era stato<br />
preparato il volant<strong>in</strong>o diffuso <strong>in</strong> città all’<strong>in</strong>domani della<br />
strage dell’Italicus. Vittorio Occorsio era <strong>in</strong>vece il giudice<br />
che stava “perseguitando” Ord<strong>in</strong>e Nuovo. Non solo, fonti<br />
<strong>in</strong>formate rivelavano che il giudice romano aveva <strong>in</strong> mente<br />
di creare un pool con i giudici veneti, bresciani e milanesi<br />
per unire le forze contro l’eversione di destra.<br />
Roma, via Giulia, stesso giorno. In casa Occorsio – una famiglia<br />
composta da quattro persone – il giudice Vittorio<br />
stava cenando con suo figlio Enrico. Erano soli perché<br />
sua moglie era rimasta a dormire dai genitori e sua figlia<br />
si trovava fuori Roma. Dopo cena, il giudice si era ritira-<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
to nel suo studio per controllare alcune carte. Verso mezzanotte<br />
era andato a dormire, imitato poco dopo da suo<br />
figlio. Il matt<strong>in</strong>o seguente Enrico era ancora a letto quando<br />
era stato svegliato dalla sventagliata di una mitraglietta:<br />
erano passate da poco le otto del matt<strong>in</strong>o, suo padre<br />
era qu<strong>in</strong>di già fuori casa. Atterrito da un tragico presentimento,<br />
si era vestito <strong>in</strong> fretta e furia, era corso <strong>in</strong> strada<br />
e, girato l’angolo di via Mogadisco, era stato fulm<strong>in</strong>ato<br />
da una scena che gli rimarrà negli occhi per tutta la vita:<br />
suo padre riverso sul volante della sua auto, crivellato di<br />
colpi.<br />
Il persecutore di Ord<strong>in</strong>e Nuovo<br />
La polizia aveva trovato nella macch<strong>in</strong>a sette volant<strong>in</strong>i<br />
della rivendicazione, con tanto di ascia bipenne, simbolo<br />
di Ord<strong>in</strong>e Nuovo. Chi aveva ucciso Vittorio Occorsio, e<br />
perché<br />
Per rispondere a questa domanda bisogna fare un passo<br />
<strong>in</strong>dietro, esattamente al 1956, quando P<strong>in</strong>o Rauti e alcuni<br />
esponenti del MSI, tra cui Clemente Graziani ed Elio<br />
Massagrande, <strong>in</strong> dissidio con le l<strong>in</strong>ee politiche del partito,<br />
avevano fondato Ord<strong>in</strong>e Nuovo: il nome era stato scelto<br />
<strong>in</strong> onore della Neue Ordnung vagheggiata da Hitler. Il<br />
gruppo si rifaceva alla Repubblica di Salò, assumendo come<br />
tesi quelle di Julius Evola, e adottando come simbolo<br />
l’ascia bipenne <strong>in</strong> un cerchio bianco su fondo rosso. Il<br />
motto, quello delle SS: «Il nostro onore si chiama fedeltà».<br />
Per Ord<strong>in</strong>e Nuovo bisognava abbattere la democrazia<br />
borghese, il capitalismo decadente e l’imperialismo<br />
americano per creare una società fondata sulla gerarchia,<br />
l’autorità, la subord<strong>in</strong>azione.<br />
Un movimento, quello di ON, che configurava il reato di<br />
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ricostituzione del disciolto Partito fascista e per questa<br />
ragione, il 6 giugno del 1973, era <strong>in</strong>iziato il processo che<br />
vedeva come pubblico m<strong>in</strong>istero il giudice Vittorio Occorsio.<br />
Il 21 novembre successivo erano stati condannati<br />
trenta ord<strong>in</strong>ovisti, tra cui Elio Massagrande, Clemente<br />
Graziani e Salvatore Francia, e l’anno successivo altri<br />
esponenti di Ord<strong>in</strong>e Nuovo che, nonostante lo scioglimento,<br />
aveva cont<strong>in</strong>uato non solo a operare, ma anche a<br />
fare nuovi proseliti, fra cui il futuro killer di Occorsio:<br />
Pierluigi Concutelli.<br />
Mentre sui muri di Roma e Verona erano comparse scritte<br />
profeticamente m<strong>in</strong>acciose, come «Occorsio, tu ci dai<br />
l’ergastolo, noi di più», alla f<strong>in</strong>e del giugno 1975, Concutelli<br />
partecipava <strong>in</strong>sieme ad altri estremisti di destra al<br />
sequestro del banchiere pugliese Luigi Mariano. Il banchiere<br />
era stato liberato dopo un riscatto di 180 milioni<br />
di lire 50 . A quel sequestro aveva partecipato anche Luigi<br />
Mart<strong>in</strong>ese, segretario federale del MSI di Br<strong>in</strong>disi, che due<br />
anni dopo aveva rivelato la dest<strong>in</strong>azione di quel denaro:<br />
il f<strong>in</strong>anziamento di un gruppo eversivo.<br />
Mafia, eversione e P2<br />
Secondo un rapporto della polizia di Trapani noto come<br />
“Rapporto Peri”, nel rapimento Mariani c’era anche un<br />
forte co<strong>in</strong>volgimento della mafia, così come <strong>in</strong> almeno altri<br />
tre sequestri avvenuti nello stesso anno. Un <strong>in</strong>treccio,<br />
qu<strong>in</strong>di, che legava politica, crim<strong>in</strong>alità organizzata ed<br />
eversione neofascista.<br />
Dopo il sequestro, Concutelli aveva partecipato a una<br />
50. Novantac<strong>in</strong>quemila euro attuali, ma con un potere d’acquisto dieci volte superiore, visto che lo<br />
stipendio medio di un operaio si aggirava sulle 120mila lire: 65 euro circa.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
riunione che si era tenuta <strong>in</strong> un casolare di Albano <strong>in</strong>sieme<br />
a esponenti di Avanguardia Nazionale e del MSI. Motivo<br />
dell’<strong>in</strong>contro, trovare una soluzione per Ord<strong>in</strong>e Nuovo:<br />
i militanti ord<strong>in</strong>ovisti sarebbero confluiti <strong>in</strong> Avanguardia<br />
Nazionale, organizzazione ancora legale. Pochi giorni<br />
dopo, <strong>in</strong> relazione al sequestro Mariani, la procura di Palermo<br />
aveva spiccato un mandato di cattura per Concutelli,<br />
che era fuggito <strong>in</strong> Spagna, sotto la protezione di Stefano<br />
Delle Chiaie, ormai punto di riferimento dei latitanti<br />
di estrema destra.<br />
Intanto Occorsio proseguiva il suo lavoro e fiutava che la<br />
pista dei sequestri poteva portare lontano: <strong>in</strong>dagando così<br />
su quelli del gioielliere Gianni Bulgari, del figlio del f<strong>in</strong>anziere<br />
Umberto Ortolani, e di Alfredo Danesi, <strong>in</strong>dustriale<br />
del caffè, aveva notato un particolare <strong>in</strong>quietante.<br />
Ortolani e il padre di Danesi avevano qualcosa <strong>in</strong> comune:<br />
la massoneria. Più precisamente, facevano parte di<br />
una loggia segreta ancora sconosciuta, la P2 di Licio Gelli,<br />
che aveva sede a Roma <strong>in</strong> via Condotti, proprio vic<strong>in</strong>o<br />
alla gioielleria di Bulgari. Per Occorsio l’ipotesi era che<br />
quei sequestri fossero maturati all’<strong>in</strong>terno dell’ambiente<br />
massonico per f<strong>in</strong>anziare un gruppo di eversione di destra<br />
e che fossero stati eseguiti con l’appoggio della più<br />
potente organizzazione crim<strong>in</strong>ale che <strong>in</strong> quel periodo<br />
operava a Roma: la banda dei Marsigliesi (che da lì a poco<br />
sarebbe stata soppiantata da quella della Magliana 51 ).<br />
Ma non basta: il magistrato aveva anche scoperto che il<br />
totale della cifra messa <strong>in</strong>sieme con i riscatti, circa sei<br />
miliardi di lire, corrispondeva esattamente alla somma<br />
51. La banda della Magliana fu attiva per un decennio a partire dalla seconda metà degli anni<br />
Settanta.<br />
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spesa per comprare un palazzo <strong>in</strong> via Romagna, a Roma,<br />
sede dell’OMPAM. OMPAM significava Organizzazione Mondiale<br />
del Pensiero e dell’Assistenza Massonica e – neanche<br />
a dirlo – era stata fondata da Licio Gelli. Il 30 marzo<br />
‘76 Occorsio ord<strong>in</strong>ava qu<strong>in</strong>di l’arresto di Albert Bergamelli,<br />
uno dei capi della banda dei Marsigliesi, e del segretario<br />
della P2, nonché braccio destro di Gelli, Gian<br />
Antonio M<strong>in</strong>ghelli. Dieci giorni dopo, i risultati delle <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i<br />
di Occorsio arrivavano sui giornali: “L’Unità”, citando<br />
fonti della magistratura, denunciava forti collegamenti<br />
tra la P2, la malavita organizzata e l’estrema destra per<br />
un comune progetto eversivo (con la morte di Occorsio<br />
le <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i su questi <strong>in</strong>trecci saranno bloccate: bisognerà<br />
aspettare sei anni perché scoppi lo scandalo della P2).<br />
Soffiate dal Palazzo di Giustizia<br />
Il dest<strong>in</strong>o di Occorsio era però ormai segnato: il 22 aprile<br />
Concutelli era tornato a Roma dalla sua latitanza spagnola.<br />
Con sé aveva un mitra Ingram: gli sarebbe servito<br />
la matt<strong>in</strong>a del 10 luglio. Ord<strong>in</strong>e Nuovo gli aveva affidato,<br />
<strong>in</strong>fatti, il compito di eseguire la sentenza di morte. Concutelli<br />
aveva ped<strong>in</strong>ato qu<strong>in</strong>di il magistrato, <strong>in</strong>dividuandone<br />
il posto di lavoro, l’abitazione e i luoghi maggiormente<br />
frequentati, ma l’<strong>in</strong>formazione più preziosa gli arrivava<br />
proprio dal Palazzo di Giustizia: da venerdì 9 luglio “il<br />
persecutore” di Ord<strong>in</strong>e Nuovo non avrebbe avuto scorta,<br />
perché <strong>in</strong> proc<strong>in</strong>to di partire per le ferie il lunedì seguente.<br />
Chi aveva soffiato questa notizia al killer Concutelli<br />
si è sempre rifiutato di <strong>in</strong>dicarlo.<br />
Dopo l’omicidio, le <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i sul delitto Occorsio erano<br />
state assegnate al giudice romano Claudio Vitalone, passando<br />
poi però per competenza alla procura di Firenze e<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
<strong>in</strong> particolare ai sostituti Antonio Pappalardo e Pier Luigi<br />
Vigna. L’<strong>in</strong>dizio pr<strong>in</strong>cipale che avevano per le mani gli<br />
<strong>in</strong>quirenti era l’avvistamento di due persone su una moto<br />
Guzzi 750 rossa, notata diverse volte nei pressi dell’abitazione<br />
di Occorsio. Vigna si era messo subito sulle<br />
tracce della moto e il 22 ottobre, <strong>in</strong> un covo romano di<br />
estremisti di destra, <strong>in</strong>sieme ad armi e munizioni, era saltata<br />
fuori proprio una Guzzi. Ma nera. Vigna era però<br />
conv<strong>in</strong>to che si trattasse della pista giusta: la sua ost<strong>in</strong>azione<br />
fu premiata quando scoprì che un certo Gianfranco<br />
Ferro, qu<strong>in</strong>dici giorni dopo l’omicidio, aveva lasciato<br />
<strong>in</strong> un’offic<strong>in</strong>a proprio una moto Guzzi rossa prendendone<br />
<strong>in</strong> cambio una nera. Arrestato e <strong>in</strong>terrogato, Ferro ammetteva<br />
di aver partecipato all’omicidio, precisando che<br />
però era stato compiuto da Concutelli.<br />
Un soldato politico<br />
Il 12 gennaio ’77, la procura di Firenze emetteva un mandato<br />
di cattura contro Concutelli che diveniva il ricercato<br />
“numero uno” d’Italia. Esattamente un mese dopo sarebbe<br />
stato arrestato a Roma.<br />
«Sono un soldato politico», dichiarava ai giornali, «e<br />
qu<strong>in</strong>di sono un prigioniero politico. Sono stato preso <strong>in</strong><br />
nottata, grazie anche all’abilità del nucleo che mi ha catturato,<br />
una menzione merita il brigadiere Antonio Germano,<br />
che è entrato per primo. Potevo opporre resistenza,<br />
ma non avevo possibilità di fuga, qu<strong>in</strong>di, come dovere<br />
rivoluzionario, <strong>in</strong> virtù di un ragionamento di economia<br />
rivoluzionaria, ho preferito non opporre resistenza».<br />
Concutelli è stato condannato a tre ergastoli: oltre che<br />
per l’omicidio Occorsio, anche per altri due. Il 13 aprile<br />
’81, nel carcere di Novara, con Mario Tuti, ha strangolato<br />
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Ermanno Buzzi, condannato <strong>in</strong> primo grado per la strage<br />
di Brescia, mentre il 12 agosto 1982, sempre nello stesso<br />
carcere, si era ripetuto strangolando un altro estremista<br />
di destra, Carm<strong>in</strong>e Pallad<strong>in</strong>o, f<strong>in</strong> dagli anni Sessanta luogotenente<br />
di Stefano Delle Chiaie, uno dei capi dell’estremismo<br />
nero già co<strong>in</strong>volto nello stragismo fascista.<br />
Pallad<strong>in</strong>o, raggiunto dalle <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i sulla strage alla stazione<br />
di Bologna, aveva dato segni di disponibilità a collaborare<br />
con la giustizia. Concutelli è stato <strong>in</strong>dagato anche<br />
dalla questura di Trapani per il sequestro dell’imprenditore<br />
Luigi Corleo – suocero dell’esattore della mafia N<strong>in</strong>o<br />
Salvo di Salemi – effettuato il 17 luglio 1975. Il corpo del<br />
prigioniero non sarà mai ritrovato.<br />
AMATO, DA ROVERETO A ROMA PER MORIRE<br />
DI EVERSIONE NERA<br />
Si chiamava Mario Amato, era un magistrato. Era nato a<br />
Roma, ma per anni Rovereto è stata la sua città. Ogni<br />
matt<strong>in</strong>a si recava <strong>in</strong> procura per svolgere il suo lavoro di<br />
giudice: piccoli reati, niente di particolarmente importante,<br />
come <strong>in</strong> tutte le procure di prov<strong>in</strong>cia. F<strong>in</strong>ché era<br />
arrivato il trasferimento a Roma. Amato ne era felice.<br />
Non sapeva che aveva com<strong>in</strong>ciato a morire proprio <strong>in</strong><br />
quel luglio del 1977, quando, con la famiglia, aveva lasciato<br />
la tranquilla cittad<strong>in</strong>a trent<strong>in</strong>a per spostarsi nella<br />
capitale.<br />
A dicembre gli era stato affidato il primo “caso”: il fascicolo<br />
del “processo della Baldu<strong>in</strong>a”. Il 1° ottobre precedente,<br />
<strong>in</strong>fatti, nel quartiere romano della Baldu<strong>in</strong>a, la sede<br />
miss<strong>in</strong>a di via delle Medaglie d’Oro, considerata tra i<br />
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ARMI IN PUGNO 22_7_10 2-09-2010 11:53 Pag<strong>in</strong>a 106<br />
ARMI IN PUGNO<br />
più pericolosi covi neri della città, era stata chiusa su disposizione<br />
del m<strong>in</strong>istro dell’Interno. La direttissima era<br />
obbligatoria, perché si trattava di un processo per ricostituzione<br />
del Partito fascista. Altro che piccoli reati di<br />
prov<strong>in</strong>cia: Amato si era trovato per le mani un caso importante,<br />
ma anche un caso che scottava: il 30 settembre<br />
Walter Rossi, simpatizzante di Lotta Cont<strong>in</strong>ua, era stato<br />
ucciso da Alessandro Alibrandi e da Cristiano Fioravanti,<br />
militanti del gruppo di estrema destra dei NAR (Nuclei<br />
Armati Rivoluzionari). Uno di quei due killer, Alessandro,<br />
era una patata bollente: era <strong>in</strong>fatti figlio di Antonio Alibrandi,<br />
giudice istruttore di Roma e collega di Mario<br />
Amato.<br />
Questo 1977, oltre a orig<strong>in</strong>are un nuovo movimento che<br />
riverberava il ‘68, sul fronte opposto aveva visto fiorire<br />
nuovi gruppi eversivi: a quelli “storici”, come Ord<strong>in</strong>e<br />
Nuovo e Avanguardia Nazionale sciolti per decreto del<br />
Vim<strong>in</strong>ale, si erano sostituiti quelli di Terza Posizione – attiva<br />
soprattutto nelle scuole – delle COP (Comunità Organiche<br />
di Popolo) – formate da giovanissimi neofascisti<br />
che gravitavano <strong>in</strong>torno al FUAN (l’organizzazione degli<br />
universitari miss<strong>in</strong>i) – e quello dei NAR, il più pericoloso e<br />
attivo 52 .<br />
Un unico filo nero<br />
L’attivismo neofascista aveva subito una determ<strong>in</strong>ante<br />
accelerazione il 7 gennaio ‘78, quando davanti alla sezione<br />
miss<strong>in</strong>a di Acca Larentia a Roma, una raffica di mitra<br />
aveva ucciso due giovanissimi militanti: il diciannovenne<br />
52. «La nostra era un’organizzazione anomala, quasi anarchica, nel senso che ognuno poteva servirsi<br />
della sigla dei Nar per compiere azioni contro lo Stato, che fosse rappresentato da un carab<strong>in</strong>iere, un<br />
giudice, una qualsiasi istituzione». Testimonianza resa all’autore.<br />
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Franco Bigonzetti, e Francesco Ciavatta, che di anni ne<br />
aveva solo 18. Negli scontri che erano seguiti con le forze<br />
dell’ord<strong>in</strong>e, un carab<strong>in</strong>iere aveva ucciso un altro miss<strong>in</strong>o,<br />
Stefano Recchioni, di 19 anni. «Acca Larentia segnò<br />
un punto di non ritorno», mi spiegò Francesca Mambro,<br />
leader dei NAR con Valerio Fioravanti. «Giurai che non mi<br />
sarei più fatta trovare disarmata» 53 .<br />
Amato si era conv<strong>in</strong>to che i tanti gruppi di estrema destra<br />
fossero riconducibili a un’unica regia eversiva. Gli attentati<br />
erano diventati pressoché quotidiani e non sempre<br />
attribuibili a un gruppo specifico, anche perché spesso<br />
erano rivendicati da sigle diverse. In questo contesto,<br />
Amato ebbe l’<strong>in</strong>tuizione di mettere <strong>in</strong>sieme fatti apparentemente<br />
slegati tra loro e di cercare un filo conduttore,<br />
anche se l’attività dei NAR da questo momento era diventata<br />
prem<strong>in</strong>ente: nella primavera successiva era stata<br />
trovata una cassa contenente munizioni ed esplosivo nella<br />
caserma di Tauriano di Spilimbergo, vic<strong>in</strong>o a Pordenone,<br />
dove Valerio Fioravanti aveva svolto il servizio militare.<br />
Altre casse, Fioravanti era riuscito a farle arrivare a<br />
Roma, dove erano state utilizzate per diverse azioni sia<br />
dai NAR che dalla banda della Magliana, a significare una<br />
sorta di s<strong>in</strong>ergia fra terrorismo nero e crim<strong>in</strong>alità organizzata.<br />
Amato, però, non poteva svolgere al meglio il proprio lavoro<br />
perché era stato isolato sempre di più, anche per la<br />
questione Alibrandi. Per salvaguardare suo figlio, il giudice<br />
era arrivato a mettere <strong>in</strong> guardia il collega “visionario”<br />
con queste parole: «Attento, perché questi sparano».<br />
53. Testimonianza resa all’autore.<br />
107
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ARMI IN PUGNO<br />
“Questi” erano i NAR, di cui faceva parte appunto Alessandro.<br />
Amato, però, era andato avanti per la sua strada<br />
e lo aveva fatto arrestare. Le manette erano scattate poi<br />
ai polsi di Paolo Signorelli, “cattivo maestro” dello spontaneismo<br />
armato di destra, e Sergio Calore. L’<strong>in</strong>chiesta si<br />
era concentrata qu<strong>in</strong>di sul gruppo di Costruiamo l’Azione,<br />
nato dalle ceneri di Ord<strong>in</strong>e Nuovo e Avanguardia Nazionale.<br />
Tutto ciò aveva scatenato violente polemiche<br />
contro Amato: ad attaccarlo, non era solo una parte della<br />
stampa, ma addirittura l’ord<strong>in</strong>e degli avvocati, che – su<br />
estenuante istigazione di Antonio Alibrandi – aveva scritto<br />
una lettera al procuratore generale <strong>in</strong> cui denunciava<br />
un comportamento «deontologicamente scorretto».<br />
Rivelazioni<br />
La violenza <strong>in</strong>tanto si era fatta più feroce, con molte persone<br />
uccise a sangue freddo, e anche Amato aveva <strong>in</strong>iziato<br />
ad avere paura. «Ero a casa con un amichetto», confidò<br />
poi suo figlio Sergio, «probabilmente rovistavamo tra<br />
le cose di mio padre e uscì fuori questa pistola: ricordo la<br />
sorpresa di trovare quell’oggetto <strong>in</strong> mano. Era la conferma<br />
che papà si sentiva <strong>in</strong> pericolo».<br />
Amato era ormai qu<strong>in</strong>di consapevole di essere un probabile<br />
bersaglio, ma aveva cont<strong>in</strong>uato il suo lavoro, seppur<br />
sempre più isolato <strong>in</strong> un contesto ostile, f<strong>in</strong>ché aveva<br />
messo le mani su qualcosa di teoricamente <strong>in</strong>attaccabile.<br />
Il 21 aprile ’80, nella relazione al procuratore capo di Roma,<br />
Giovanni De Matteo, aveva <strong>in</strong>fatti scritto: «Il 17 aprile<br />
mi è pervenuta una lettera anonima secondo cui Massimi<br />
Marco Mario era a conoscenza di notizie utili sui Nuclei<br />
Armati Rivoluzionari, sulle Comunità Organiche di<br />
Popolo e sul Movimento Rivoluzionario Popolare. Il Mas-<br />
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simi, da me <strong>in</strong>terpellato, ha ammesso senza esitare di essere<br />
l’autore della lettera e mi ha dichiarato di conoscere<br />
fatti utili alle <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i, e a conferma di quanto mi stava<br />
dicendo, estraeva da sotto la camicia una caten<strong>in</strong>a con<br />
applicata un’ascia bipenne, simbolo della disciolta associazione<br />
sovversiva ON, sostenendo di aver aderito a essa<br />
s<strong>in</strong> dal 1962. Prima ancora che il sottoscritto potesse fargli<br />
delle domande, dichiarava che naturalmente la lettera<br />
a me pervenuta doveva sparire».<br />
Massimi non aveva però voluto verbalizzare le sue rivelazioni,<br />
che qu<strong>in</strong>di erano state sottovalutate: il procuratore<br />
non aveva qu<strong>in</strong>di preso nessuna decisione <strong>in</strong> merito,<br />
lasciando ulteriormente solo il suo sostituto. Solo e <strong>in</strong> pericolo.<br />
Eppure Massimi era stato chiaro, molto chiaro,<br />
descrivendo la vera struttura dei NAR, <strong>in</strong>dicando il ruolo<br />
prem<strong>in</strong>ente di Paolo Signorelli, Claudio Mutti e Aldo Semerari<br />
e, oltre a svelare rap<strong>in</strong>e e omicidi, aveva rivelato<br />
che nel mir<strong>in</strong>o dei terroristi ormai c’erano agenti di polizia,<br />
carab<strong>in</strong>ieri e magistrati.<br />
Sostiene Fioravanti<br />
Le dichiarazioni di Massimi avevano trovato subito una<br />
tragica conferma il 28 maggio ’80, quando un commando<br />
dei NAR aveva attaccato una volante della polizia di guardia<br />
davanti al liceo romano Giulio Cesare: nello scontro a<br />
fuoco era morto l’agente Franco Evangelista, detto “Serpico”<br />
54 , e altri due erano rimasti gravemente feriti. Pochi<br />
giorni più tardi, Amato aveva r<strong>in</strong>novato al CSM le sue pre-<br />
54. “Serpico” è un film del 1973 di Sidney Lumet che ha per protagonista Al Pac<strong>in</strong>o nei panni di Frank<br />
Serpico, un poliziotto realmente esistito, <strong>in</strong> forza alla polizia di New York, che nel 1972 aveva denunciato<br />
di corruzione diversi suoi colleghi.<br />
109
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ARMI IN PUGNO<br />
occupazioni, denunciando ancora una volta la sua solitud<strong>in</strong>e<br />
e la sua conseguente esposizione. Ormai mortale. I<br />
NAR, <strong>in</strong>fatti, avevano <strong>in</strong>iziato a “preparare” il suo omicidio.<br />
Il 22 giugno, Amato aveva chiamato <strong>in</strong> ufficio per chiedere<br />
una macch<strong>in</strong>a bl<strong>in</strong>data, perché la sua era ferma <strong>in</strong> offic<strong>in</strong>a,<br />
ma gli era stato risposto che per l’ora da lui richiesta<br />
non era <strong>disponibile</strong> nessuna vettura. Il giorno seguente,<br />
<strong>in</strong>torno alle 7.50, il giudice era uscito di casa per l’ultima<br />
volta. Raggiunta la fermata dell’autobus di viale Ionio,<br />
poco dopo, <strong>in</strong> mezzo ad altre persone, era stato freddato<br />
con un colpo di pistola alla nuca da un killer, poi caricato<br />
da un complice su una moto di grossa cil<strong>in</strong>drata<br />
che si era dileguata nel traffico.<br />
Era stato Sergio Amato ad avvertire sua sorella Crist<strong>in</strong>a<br />
che era accaduto qualcosa al padre: «Mio fratello è arrivato<br />
e mi ha detto: “Papà l’hanno ucciso con la pistola”…<br />
Mio fratello di sei anni».<br />
Valerio Fioravanti mi ha spiegato così le motivazioni dell’omicidio:<br />
«Avevamo identificato Amato come obiettivo<br />
per lanciare un messaggio chiaro, <strong>in</strong>equivocabile, direi<br />
clamoroso, che sanzionasse la rottura fra noi e quella serie<br />
di apparati dello Stato a cui eravamo stati perlomeno<br />
“simpatici” f<strong>in</strong>o a quel momento».<br />
Da parte sua, Crist<strong>in</strong>a Amato aveva avanzato questi dubbi:<br />
«Non posso non pensarlo, non posso non pensare che<br />
ci sia stata una precisa volontà. Ci sono troppe co<strong>in</strong>cidenze:<br />
mio padre dopo tre giorni partiva per il mare e<br />
questa è una cosa che poteva sapere soltanto qualcuno.<br />
Mi sembra proprio strano che hanno deciso per quel giorno<br />
e non dieci giorni dopo o un mese prima. Il fatto che<br />
non aveva la macch<strong>in</strong>a…».<br />
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L’immag<strong>in</strong>e impietosa<br />
Gilberto Cavall<strong>in</strong>i, esecutore materiale, è stato condannato<br />
all’ergastolo. Ottenuta la semilibertà nel 2001, è stato<br />
nuovamente arrestato nel 2002 per possesso d’arma da<br />
fuoco. Luigi Ciavard<strong>in</strong>i il giorno dell’omicidio guidava la<br />
moto. M<strong>in</strong>orenne all’epoca dei fatti, è stato condannato a<br />
dieci anni e due mesi di reclusione. Fioravanti e Mambro,<br />
condannati all’ergastolo per concorso nell’omicidio di<br />
Amato, attualmente sono entrambi <strong>in</strong> semilibertà.<br />
Dopo la morte di Amato, alla procura di Roma sono state<br />
assegnate trecento macch<strong>in</strong>e bl<strong>in</strong>date. Si è <strong>in</strong>oltre costituito<br />
un pool di magistrati che ha sgom<strong>in</strong>ato il terrorismo<br />
di destra a Roma, grazie al lavoro svolto da Amato, che a<br />
sua volta aveva ereditato i fascicoli del giudice che prima<br />
di lui si era occupato di terrorismo nero: quel Vittorio Occorsio<br />
ucciso il 10 luglio 1976 dal neofascista Pierluigi<br />
Concutelli. Con l’elim<strong>in</strong>azione di Amato era <strong>in</strong>tanto svanita<br />
la possibilità di impedire la strage di Bologna.<br />
Mentre Amato cadeva a Roma, Valerio Fioravanti e Francesca<br />
Mambro si trovavano a Treviso, dove, ricevuta la<br />
notizia, avevano festeggiato a ostriche e champagne prima<br />
di stendere la rivendicazione: «Oggi Amato ha chiuso<br />
la sua squallida esistenza imbottito di piombo». La f<strong>in</strong>e di<br />
un’esistenza impietosamente apparsa su tutti i giornali<br />
con la fotografia del magistrato riverso sull’asfalto con la<br />
suola delle scarpe bucata.<br />
LUDWIG E LA PULIZIA DEL MONDO<br />
«La nostra fede è il nazismo, la nostra giustizia è la morte,<br />
la nostra democrazia lo sterm<strong>in</strong>io. Il f<strong>in</strong>e della nostra<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
vita, la morte di coloro che tradiscono il vero Dio». Firmato<br />
Ludwig.<br />
Questa è una brutta storia. Una storia di conf<strong>in</strong>e fra i crim<strong>in</strong>i<br />
comuni e quelli “politici”. Una storia nata e sviluppatasi<br />
<strong>in</strong> Veneto.<br />
Trento, 26 febbraio 1983. Per terra, un uomo. Un anziano<br />
prete con un punteruolo da scalpell<strong>in</strong>o conficcato nel cranio.<br />
Sullo scalpell<strong>in</strong>o è stato saldato un crocifisso di legno.<br />
Rantola, è <strong>in</strong> agonia. Una scena da film horror, ma non è<br />
una fiction. È tutto vero, e quello non è un attore. È padre<br />
Armando Bison, 71 anni, padovano di orig<strong>in</strong>e, della Congregazione<br />
dei Figli del Sacro Cuore, detti Ventur<strong>in</strong>i.<br />
Aveva appena celebrato la messa nella chiesa del Suffragio<br />
e stava tornando <strong>in</strong> convento. Piovigg<strong>in</strong>ava ed era ormai<br />
buio. A un tratto, arrivato a pochi passi dal cancello,<br />
qualcuno lo aveva aggredito alle spalle, fracassandogli la<br />
testa a martellate. Un confratello l’aveva trovato così, <strong>in</strong><br />
un lago di sangue. E si era messo a urlare, a disperarsi.<br />
Grida raccolte da una donna, la stessa che dichiarò poi<br />
alla polizia di aver notato dalla sua f<strong>in</strong>estra due giovani<br />
sui vent’anni, mai visti <strong>in</strong> zona, nascondersi alla vista di<br />
alcuni passanti prima di sparire nel buio. Soccorso, padre<br />
Bison era stato portato al neurochirurgico di Verona, <strong>in</strong>utilmente:<br />
era morto dopo dieci giorni senza mai riprendere<br />
conoscenza.<br />
I pazzi<br />
Che mostri giravano per Trento Fra quelle montagne che<br />
trasmettono serenità Il fatto suscitò un’enorme emozione,<br />
ma qualcuno ha pure memoria lunga: un massacro del<br />
genere non era forse già successo da qualche parte non<br />
tanto tempo prima Ma sì, certo, a Vicenza. Lì, a centoc<strong>in</strong>-<br />
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quanta chilometri di distanza, l’estate prima due monaci<br />
del Santuario di Monte Berico, Gabriele Pigato e Giuseppe<br />
Lovato, entrambi di settant’anni, erano stati massacrati<br />
a martellate. Un duplice omicidio firmato. “Rivendicato”,<br />
come facevano tutte le formazioni politiche eversive<br />
e sovversive, nere e rosse. Sotto un’aquila stilizzata, sormontata<br />
dalla scritta “Gott mit uns” (“Dio è con noi”, il<br />
motto dei nazisti), questo delirio: «Il f<strong>in</strong>e della nostra vita<br />
è la morte di chi tradisce il vero Dio». La nuova “griffe”<br />
del terrore si chiamava Ludwig 55 .<br />
Ma non era un debutto, non era la prima volta che compariva<br />
quella sigla: già nel 1980 Ludwig aveva rivendicato<br />
la paternità di una catena di omicidi com<strong>in</strong>ciata nel 1977<br />
e proseguita al ritmo di uno all’anno. Le vittime: “impuri”<br />
da punire con la morte. Lo scenario era sempre quello del<br />
Veneto, f<strong>in</strong>o a quell’omicidio fuori regione, a Trento. Una<br />
novità. Una svolta che proseguiva: dal Veneto al Trent<strong>in</strong>o,<br />
dal Trent<strong>in</strong>o alla Lombardia e poi anche all’estero.<br />
Il 4 marzo 1984, nella discoteca Melamara di Castiglione<br />
delle Stiviere (Mantova) c’erano circa trecento persone<br />
per una festa <strong>in</strong> maschera.<br />
«Ma questo è odore di benz<strong>in</strong>a».<br />
«Che ti sei fumato».<br />
«Ti dico che è benz<strong>in</strong>a».<br />
«Cambia pusher, va’!».<br />
Altro che pusher. C’era stato chi, oltre a sentire quell’odore,<br />
aveva visto, e non aveva le traveggole.<br />
55. Per la sigla Ludwig, Abel e Furlan si sarebbero ispirati alla «metafisica biocentrica» di Ludwig<br />
Klages (1872-1956), psicologo e filosofo tedesco studioso del carattere umano, autore del trattato Lo<br />
spirito avversario dell’anima, mai tradotto per <strong>in</strong>tero <strong>in</strong> italiano, secondo il quale «una masnada di<br />
razze sporche e <strong>in</strong>feriori - ebrei, sbandati, gente senza dignità - ha fatto irruzione nella storia,<br />
<strong>in</strong>nescandovi un cancro che ormai non ha rimedio». E tutto ciò perché «lo spirito, da <strong>in</strong>tendersi come<br />
ragione, si è <strong>in</strong>cuneato nell’<strong>in</strong>contro tra corpo e anima, impedendolo per sempre».<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
«Ma che fa quel pazzo vestito da Pierrot».<br />
«Sta svuotando una tanica di benz<strong>in</strong>a sulla moquette!».<br />
Nel parapiglia, era stato bloccato. Con lui c’era “un altro<br />
pazzo”, anche lui vestito da Pierrot. Tutti e due erano<br />
stati strattonati e poi tenuti ben fermi f<strong>in</strong>o all’arrivo della<br />
polizia, che li aveva identificati. Dai documenti i due<br />
“pazzi” erano risultati essere Marco Furlan, veronese di<br />
27 anni, figlio del primario del reparto ustionati dell’ospedale<br />
di Verona, e Wolfgang Abel, 25 anni, figlio di<br />
un ricco assicuratore tedesco che da anni risiedeva a Negrar<br />
di Verona.<br />
Colpire gli <strong>in</strong>feriori<br />
Disposte le perquisizioni domiciliari, nelle abitazioni dei<br />
due “pazzi”, gli <strong>in</strong>quirenti, fra croci unc<strong>in</strong>ate, armi e ch<strong>in</strong>caglierie<br />
neonaziste di vario genere e natura, avevano<br />
trovato dei block notes con fogli uguali a quelli usati per<br />
le rivendicazioni e sui quali erano visibili i solchi lasciati<br />
sul foglio sottostante dalla penna che aveva tracciato i loro<br />
messaggi. Comunicati molto “artigianali” <strong>in</strong>somma.<br />
Perché tutto questo Perché due giovani dell’alta borghesia,<br />
uno laureato <strong>in</strong> matematica, l’altro <strong>in</strong> fisica, si<br />
erano auto<strong>in</strong>vestiti del ruolo di giudice e boia. Forse non<br />
s’erano più ripresi dopo aver letto – rigorosamente <strong>in</strong> tedesco<br />
anche perché nessun editore italiano l’aveva trovata<br />
degna di traduzione – una tragedia di Otto Ludwig, figura<br />
marg<strong>in</strong>ale del romanticismo germanico. Un drammone<br />
<strong>in</strong> cui il protagonista teorizzava la figura del “sacerdote<br />
perfetto” e puniva con la morte “i servi dei falsi dei”.<br />
Insomma, “il progetto politico” dei due Ludwig era semplice<br />
quanto rozzo: ripulire la società da “froci”, “drogati”,<br />
“pervertiti”, “z<strong>in</strong>gari”, “ebrei”, “puttane” e pure preti<br />
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<strong>in</strong> odore di peccato. Ma anche dai malati di mente. In una<br />
parola, quegli “<strong>in</strong>feriori” di cui si era occupato il Terzo<br />
Reich.<br />
Il r<strong>in</strong>verdito “progetto” era costato la vita a qu<strong>in</strong>dici persone<br />
tra il 1977 e il 1984. La prima vittima, sacrificata<br />
sull’altare di una purezza che Ludwig non aveva, era stato<br />
Guerr<strong>in</strong>o Sp<strong>in</strong>elli, un clochard di trent’anni, bruciato<br />
vivo a Verona nel suo giaciglio di cartone <strong>in</strong>ondato di<br />
benz<strong>in</strong>a. Il poveretto, una torcia umana, era morto fra<br />
atroci dolori e urla disumane sentite dall’altra parte del<br />
canale Camuzzoni. Ironia della sorte, era f<strong>in</strong>ito – <strong>in</strong>utilmente<br />
– nel reparto dell’ospedale di cui era primario il<br />
padre di uno dei suoi carnefici. Poi era toccato a Luciano<br />
Stefano, che faceva il sommelier a Padova. Uno bravo nel<br />
suo lavoro, ma aveva un difetto, anzi, una colpa grave:<br />
era omosessuale. Per questo era stato prima bastonato<br />
selvaggiamente, poi f<strong>in</strong>ito a coltellate. Coltellate che avevano<br />
straziato anche le carni di un altro “peccatore”,<br />
Claudio Costa, un ventiduenne reo di essere un tossicodipendente.<br />
Reo di sporcare Venezia con la sua sola presenza.<br />
Anche Vicenza era sporca. C’era una certa Alice Beretta,<br />
che a c<strong>in</strong>quantac<strong>in</strong>que anni suonati faceva ancora la puttana<br />
per strada. Un’<strong>in</strong>decenza punita a fil di lama. I due<br />
crim<strong>in</strong>ali erano qu<strong>in</strong>di tornati a Verona per ripulirla di un<br />
capannone sul lungadige. “Un postaccio” dove trovavano<br />
riparo, neanche a dirlo, drogati e sbandati. Come Luca<br />
Mart<strong>in</strong>otti. Uno che a diciott’anni era già un rifiuto della<br />
società. Un rifiuto da elim<strong>in</strong>are col fuoco. Ad altri due<br />
“tossici” era andata “meglio”: se l’erano cavata con ustioni<br />
dest<strong>in</strong>ate a lasciare i segni per tutta la vita, dopo lunghe<br />
degenze e <strong>in</strong>terventi chirurgici.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
Era stata qu<strong>in</strong>di la volta dei religiosi: i frati di Vicenza e<br />
il sacerdote di Trento. Dalle persone si era poi passati ai<br />
locali. Locali peccam<strong>in</strong>osi, s’<strong>in</strong>tende. Il 14 maggio 1983 i<br />
due Ludwig si erano spostati f<strong>in</strong>o a Milano per <strong>in</strong>cendiare<br />
il c<strong>in</strong>ema a luci rosse Eros. Nel rogo purificatore erano<br />
morte sei persone, trentadue erano rimaste ferite, alcune<br />
<strong>in</strong> modo grave e debilitate per il resto della vita. Le<br />
trasferte si erano <strong>in</strong>tensificate col cambio di “rotta politica”,<br />
non si colpivano più le s<strong>in</strong>gole persone, ma i posti di<br />
perdizione. E non solo <strong>in</strong> Italia, perché era ormai l’<strong>in</strong>tera<br />
Europa che doveva essere moralizzata, purificata. A com<strong>in</strong>ciare<br />
dalla Germania. A Monaco di Baviera c’erano<br />
luoghi di immoralità frequentati anche da molti italiani:<br />
era <strong>in</strong>fatti italiana Cor<strong>in</strong>na Tartarotti, morta nell’<strong>in</strong>cendio<br />
della discoteca Liverpool, dove erano rimaste gravemente<br />
ferite altre sette persone. Anche il Melamara era un<br />
luogo di peccati <strong>in</strong>dicibili a Castiglione delle Stiviere.<br />
Proprio lì, <strong>in</strong> quel paese che ospitava uno dei più noti<br />
ospedali psichiatrici giudiziari, Marco Furlan e Wolfgang<br />
Abel avevano trovato la f<strong>in</strong>e della loro storia crim<strong>in</strong>ale.<br />
Siamo estranei<br />
I due neonazisti moralizzatori, seppur beccati con le mani<br />
nella benz<strong>in</strong>a che avrebbe dovuto <strong>in</strong>cendiare il Melamara<br />
di Castiglione delle Stiviere, si erano dichiarati<br />
estranei ai delitti firmati Ludwig. Le loro parole, comunque,<br />
non potevano contare nulla di fronte alle prove raccolte,<br />
e per i due era <strong>in</strong>iziato un iter giudiziario lunghissimo.<br />
Ventuno udienze per omicidi e stragi. Di “ferreo”,<br />
dopo l’arresto, ai due era rimasto solo il silenzio, rotto solamente<br />
per dichiararsi «colpevoli di uno scherzo nato<br />
senza la volontà di nuocere a qualcuno». A entrambi era<br />
116
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stata riconosciuta la sem<strong>in</strong>fermità mentale. Abel – def<strong>in</strong>ito<br />
“potenzialmente pericoloso per sé e per gli altri” – aveva<br />
tentato più volte il suicidio <strong>in</strong> carcere. Una sem<strong>in</strong>fermità<br />
che aveva permesso loro di evitare l’ergastolo, per<br />
una condanna a 30 anni emessa l’11 febbraio 1987.<br />
Per la lunghezza dei procedimenti, nel frattempo erano<br />
decorsi i term<strong>in</strong>i per la carcerazione preventiva e i due<br />
erano stati rimessi <strong>in</strong> libertà con l’obbligo di soggiorno a<br />
Mestr<strong>in</strong>o e Casale Scodosia. Il 10 aprile 1990 la Corte<br />
d’Appello aveva ridotto le pene a ventisette anni sia per<br />
Abel che per Furlan, ma Furlan non ci stava ed era scappato.<br />
Per quattro anni era sparito dalla circolazione f<strong>in</strong>ché<br />
fu r<strong>in</strong>tracciato a Creta. Da parte sua, Abel si fece il<br />
carcere dal primo giorno. Dopo avere protestato contro<br />
la sentenza con lo sciopero della fame ed essere stato ricoverato<br />
per molti anni <strong>in</strong> un ospedale psichiatrico sotto<br />
sorveglianza, Abel ha goduto di permessi premio.<br />
Il 24 aprile 2008 il tribunale di sorveglianza di Milano ha<br />
deciso di affidare Marco Furlan <strong>in</strong> prova ai servizi sociali.<br />
Attraverso i suoi legali, Furlan aveva chiesto di poter lasciare<br />
il carcere di giorno per rientrarvi di notte, ma il tribunale<br />
aveva preso una decisione a sorpresa, preferendo<br />
anticipare la scarcerazione del serial killer, tornato libero<br />
a gennaio 2009. Pochi giorni ed è toccato all’altra metà<br />
Ludwig lasciare il carcere di Sulmona: Wolfgang Abel, che<br />
<strong>in</strong> un’<strong>in</strong>tervista a una televisione veronese lamenta la sua<br />
lunga detenzione da <strong>in</strong>nocente. Proprio così. Innocente.<br />
«Non ho nulla a che vedere con i delitti che mi sono stati<br />
attribuiti», dice. «È stata dura, ma dal carcere sono<br />
uscito sano e <strong>in</strong> buona salute. La mia famiglia mi è sempre<br />
stata vic<strong>in</strong>o e chi mi conosce sa che non c’entro nulla<br />
con la vicenda Ludwig».<br />
117
ARMI IN PUGNO 22_7_10 2-09-2010 11:53 Pag<strong>in</strong>a 118<br />
ARMI IN PUGNO<br />
Se non è stato lui col suo amico Furlan, allora chi «Presumo<br />
gente tipo le bestie di Satana o una setta religiosa».<br />
Già, una setta religiosa. Pazzi scatenati, <strong>in</strong>somma, prede<br />
di un delirio. Non come Ludwig, che <strong>in</strong>vece agiva per un<br />
obiettivo politico nobile, come quello di elim<strong>in</strong>are dalla<br />
faccia della terra tutti quei reietti, quella feccia dell’umanità.<br />
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ARMI IN PUGNO 22_7_10 2-09-2010 11:53 Pag<strong>in</strong>a 119<br />
LA NERA<br />
FELICE MANIERO E LA MAFIA DEL BRENTA<br />
«Non vedevo l’ora di andare <strong>in</strong> carcere per conquistare<br />
quel rispetto dovuto a chi passa dal gabbio». Parola di<br />
Felice Maniero, il boss della mafia del Brenta, l’organizzazione<br />
crim<strong>in</strong>ale che replicò nel Veneto le gesta crim<strong>in</strong>ali<br />
compiute dalla banda della Magliana a Roma.<br />
Questa storia <strong>in</strong>izia nella campagna veneta nella seconda<br />
metà degli anni Sessanta, quando Felice, nato nel 1954,<br />
era un ragazz<strong>in</strong>o che, <strong>in</strong>vece di studiare e svolgere i compiti<br />
assegnatigli dagli <strong>in</strong>segnanti della scuola media, al<br />
pomeriggio preferiva seguire suo zio Renato: per lui un<br />
vero mito. Sì, perché zio Renato era un crim<strong>in</strong>ale. Un ladro,<br />
un truffatore, un rap<strong>in</strong>atore ben lieto di dare a suo<br />
nipote altre lezioni, diverse da quelle <strong>in</strong>utili della scuola.<br />
A 15 anni, Felice era così pronto per seguire suo zio nelle<br />
rap<strong>in</strong>e. Aveva anche imparato a sparare e sapeva maneggiare<br />
bene una pistola, un revolver. L’apprendistato<br />
era durato qualche anno, f<strong>in</strong>ché Felice fu <strong>in</strong> grado di andare<br />
per la sua strada, di <strong>in</strong>traprendere autonomamente<br />
la carriera di bandito. Fra l’altro, aveva scoperto qualcosa<br />
di formidabile, sfuggita agli occhi di suo zio, ancora legato<br />
a una malavita di basso profilo, da rubagall<strong>in</strong>e:<br />
l’oro del Veneto. Altro che rubare forme di parmigiano,<br />
che puzzavano pure! Un chilo d’oro valeva molto, molto<br />
di più e non puzzava. L’oro era lì, a portata di mano, perché<br />
un quarto di tutto l’oro del mondo veniva lavorato<br />
sotto il naso di Felice, nel vicent<strong>in</strong>o.<br />
La scoperta l’aveva fatto sobbalzare nella poltrona dove<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
era sprofondato mezzo addormentato mentre guardava<br />
un noiosissimo documentario sulla lavorazione del preziosissimo<br />
metallo. Dalla TV aveva scoperto <strong>in</strong>somma che<br />
gli bastava uscire di casa per arricchirsi. Ecco a cosa si<br />
sarebbe dedicato con la sua banda: altro che furti da<br />
quattro palanche. All’<strong>in</strong>terno del gruppo crim<strong>in</strong>ale che<br />
aveva messo <strong>in</strong> piedi era già lui il leader e ora, con quell’idea<br />
si era assicurato la totale deferenza e l’<strong>in</strong>discussa<br />
obbedienza. Con la sua banda aveva messo qu<strong>in</strong>di a segno<br />
una serie di colpi nelle botteghe orafe dissem<strong>in</strong>ate<br />
nel circondario.<br />
La sua banda era stata immortalata <strong>in</strong> una fotografia di<br />
gruppo scattata il giorno del matrimonio di uno di loro:<br />
Zeno Bert<strong>in</strong>. Tutti dest<strong>in</strong>ati a morire o f<strong>in</strong>ire <strong>in</strong> galera. Gli<br />
anni Settanta erano f<strong>in</strong>iti e il 1980 s’<strong>in</strong>caricava di registrare<br />
la presenza <strong>in</strong> Veneto di una vera e propria banda<br />
organizzata con schemi e d<strong>in</strong>amiche mafiose. Maniero<br />
aveva <strong>in</strong>fatti spostato la sua attenzione dalle seppur munifiche<br />
campagne “dorate” vicent<strong>in</strong>e alla ricca Venezia.<br />
Fra gondole e acqua da tutte le parti, quella città era per<br />
lui una zecca a cielo aperto col suo cas<strong>in</strong>ò. E attorno al<br />
cas<strong>in</strong>ò ruotavano i cambisti, cioè strozz<strong>in</strong>i. «Gentaglia».<br />
Per questo Maniero aveva imposto loro una tangente di<br />
un milione e mezzo al giorno: tanto doveva versare ognuno<br />
di loro se non voleva fare la f<strong>in</strong>e di quell’idiota pestato<br />
a sangue e al quale erano state spezzate le dita perché<br />
s’era rifiutato.<br />
La svolta mafiosa<br />
Il salto di qualità per Felice Maniero e la sua banda era<br />
avvenuto con l’<strong>in</strong>contro dei fratelli Fidanzati: due mafiosi<br />
siciliani mandati al soggiorno obbligato proprio lì, <strong>in</strong><br />
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Veneto. Erano stati loro che gli avevano prospettato un<br />
nuovo scenario con tanti soldi e pochi rischi. Quello della<br />
droga. I mafiosi procuravano la droga, l’organizzazione<br />
di Felice – che contava ormai oltre c<strong>in</strong>quecento “soldati”<br />
– la spacciava.<br />
Il primo omicidio di Maniero e della sua banda era avvenuto<br />
ai danni di un vecchio amico dello zio Renato: Gianni<br />
Barizza. La sua colpa, quella di essersi impossessato di<br />
parte di una fornitura per spacciarla per proprio conto.<br />
Quasi la chiusura di un cerchio per Felice, una sorta di<br />
affrancamento def<strong>in</strong>itivo dalla crim<strong>in</strong>alità paesana del<br />
mondo di suo zio. Barizza era stato anche <strong>in</strong>caprettato,<br />
un chiaro messaggio mafioso per chiunque avesse lontanamente<br />
pensato di fare uno sgarro a quell’organizzazione<br />
crim<strong>in</strong>ale che ormai controllava tutto il territorio. Come<br />
era accaduto a Ottavio Andreoli che, pur facendo<br />
parte della banda, aveva deciso di mettersi <strong>in</strong> proprio,<br />
gestendo per sé e non per la banda il traffico di stupefacenti<br />
a Venezia. Il suo corpo era stato trovato <strong>in</strong> un appartamento<br />
veneziano con sei colpi di calibro 38. Due<br />
erano bastati per chiudere la bocca della pericolosa testimone<br />
che stava passando la notte con lui.<br />
Va bene la droga, ma quando hai tanto oro sotto il naso<br />
non puoi proprio voltare la faccia dall’altra parte, non<br />
puoi dare un calcio a tutti quei soldi. A f<strong>in</strong>e novembre<br />
’83, Maniero aveva <strong>in</strong>fatti saputo che nell’aeroporto Marco<br />
Polo di Venezia il 1° dicembre ci sarebbe stato oro per<br />
oltre 3 miliardi. Oro lavorato e dest<strong>in</strong>ato all’esportazione<br />
<strong>in</strong> tutto il mondo. Oro che <strong>in</strong>vece f<strong>in</strong>ì nelle tasche della<br />
banda con un’azione da film spettacolare <strong>in</strong> cui non fu<br />
sparato neppure un colpo. Com’era accaduto per la rap<strong>in</strong>a<br />
ai caveau dell’hotel De Bois. Un’attività, quella della<br />
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banda, che aveva <strong>in</strong>evitabilmente f<strong>in</strong>ito col pagare qualche<br />
pegno: qualcuno della banda era stato <strong>in</strong>fatti arrestato.<br />
Fra questi, un cug<strong>in</strong>o del boss.<br />
«Dobbiamo trattare con le autorità», aveva annunciato<br />
Felice ai suoi sgherri che con tutta la buona volontà,<br />
non riuscivano proprio a capire. «Dobbiamo rubare<br />
opere d’arte e chiedere come riscatto la liberazione dei<br />
nostri». Un’idea folle. Invece no, perché loro non trafugarono<br />
cosucce dalle chiese, ma tele del Correggio, anche<br />
se l’affronto maggiore era arrivato col furto della<br />
mandibola di Sant’Antonio dalla basilica di Padova. Il risultato,<br />
comunque, era stato raggiunto. Con tanto di restituzione<br />
della sacra reliquia. Sì, perché lui ci teneva a<br />
mantenere un buon rapporto con la gente e quell’azione<br />
aveva scandalizzato non solo i veneti, ma tutto il<br />
mondo.<br />
Al suo paese – Campolongo Maggiore, nella campagna<br />
veneziana – tutti gli volevano bene. Era visto come un<br />
Rob<strong>in</strong> Hood, anche perché chi aveva qualche problema<br />
sapeva di poter contare su di lui, che metteva subito mano<br />
al portafoglio. Nella sua banda c’era chi doveva fare il<br />
giro delle cassette delle lettere delle famiglie <strong>in</strong>dicategli<br />
dal capo e <strong>in</strong> quelle cassette <strong>in</strong>filare centomila lire. Del<br />
resto, lui non si era mai mosso da lì, da Campolongo, dalla<br />
casa di sua madre, vero e unico punto di riferimento.<br />
Un attaccamento che lo aveva portato a essere soprannom<strong>in</strong>ato<br />
“cottola”, sottana. A un magistrato che gli aveva<br />
chiesto perché dopo aver accumulato tutti quei miliardi<br />
non fosse fuggito all’estero, aveva risposto che per lui vivere<br />
lontano dalla sua terra – e da sua madre – non era<br />
vivere.<br />
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L’arresto<br />
La f<strong>in</strong>e della corsa arrivò <strong>in</strong> una giornata di maggio del<br />
1984. Trasferito nel supercarcere di Fossombrone – dove<br />
sua madre gli faceva arrivare filetto e aragoste – aveva<br />
stretto amicizia col brigatista Giuseppe Di Cecco,<br />
mentre la sua banda s’<strong>in</strong>caricava di mettere f<strong>in</strong>e alla vita<br />
di quel traditore del “sauna”: Stefano Carraro, che aveva<br />
tagliato oltremodo una partita di ero<strong>in</strong>a per impossessarsi<br />
di parecchi milioni per conto suo.<br />
Col Di Cecco, Maniero riuscì a evadere nel dicembre ’87,<br />
con una fuga rocambolesca f<strong>in</strong>ita a Bologna, dove i due<br />
avevano preso ognuno la propria strada. Ma era proprio<br />
col Di Cecco che aveva poi organizzato la rap<strong>in</strong>a al caveau<br />
dell’Istituto di vigilanza di Mestre. Per l’occasione, Maniero<br />
aveva deciso di creare due gruppi: uno capeggiato<br />
da lui, l’altro dal suo complice. Lui avrebbe raggiunto<br />
l’Istituto, mentre Di Cecco e gli altri, travestiti da f<strong>in</strong>anzieri,<br />
sarebbero andati a prelevare Donato Agnoletto, il<br />
direttore dell’Istituto, da casa sua. Agnoletto, però, che<br />
<strong>in</strong>izialmente aveva creduto a quei falsi f<strong>in</strong>anzieri, aveva<br />
poi reagito quando si era accorto che usavano armi che<br />
non potevano essere <strong>in</strong> loro dotazione. Era <strong>in</strong>fatti anche<br />
titolare di un’armeria e se ne <strong>in</strong>tendeva. Nel parapiglia<br />
Agnoletto era stato ferito con un colpo sparato all’addome:<br />
«Erano pure male <strong>in</strong>formati», disse poi, «perché il<br />
caveau era praticamente vuoto <strong>in</strong> quei giorni».<br />
Arrestato nuovamente a Chiasso, Maniero era stato però<br />
liberato per decorrenza dei term<strong>in</strong>i carcerari e aveva organizzato<br />
l’elim<strong>in</strong>azione dei fratelli Rizzi. Anche loro, <strong>in</strong>fatti,<br />
si erano messi <strong>in</strong> testa la pericolosissima idea di<br />
vendere la droga per conto proprio. S<strong>in</strong>golare il fatto che<br />
dopo l’omicidio, la famiglia Rizzi non avesse presentato<br />
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nessuna denuncia: una decisione ricompensata da Maniero<br />
con sostanziosi aiuti economici. Nel curriculum<br />
della banda mancava un assalto al treno, pecca cui era<br />
stato posto rimedio il giorno di San Valent<strong>in</strong>o del ’90,<br />
quando una carica esplosiva aveva squarciato le lamiere<br />
di una carrozza portavalori, ma l’esplosione era avvenuta<br />
nel momento <strong>in</strong> cui dalla parte opposta arrivava un altro<br />
treno, col risultato che alcune schegge avevano trafitto<br />
una passeggera. La storia, comunque, stava per f<strong>in</strong>ire def<strong>in</strong>itivamente.<br />
F<strong>in</strong>ale con dramma<br />
Dopo essere stato arrestato a Capri nel ‘93 su Lucy, lo<br />
yacht da due miliardi appena comprato al quale aveva<br />
dato il nome di sua madre, ed essere nuovamente evaso<br />
dal carcere di Padova, nel 1994 Maniero era stato arrestato<br />
a Tor<strong>in</strong>o. La successiva condanna gli aveva assegnato<br />
trentatré anni di galera. Un tempo che “faccia d’angelo”<br />
mai avrebbe trascorso dietro le sbarre. Questa volta,<br />
però, aveva deciso di uscire dal carcere <strong>in</strong> altra maniera.<br />
Basta evasioni, basta fughe. Stanco di quella vita, aveva<br />
deciso di collaborare.<br />
Con le sue rivelazioni, Maniero aveva fatto f<strong>in</strong>ire <strong>in</strong> galera<br />
tutti i suoi uom<strong>in</strong>i: ben centoquarantadue componenti<br />
della cosiddetta banda del Brenta erano stati r<strong>in</strong>viati a<br />
giudizio e poi seppelliti sotto cent<strong>in</strong>aia di anni di carcere.<br />
La vita di “faccia d’angelo” non valeva più mezza lira, per<br />
questo era stato ammesso al regime di protezione previsto<br />
per i pentiti. Si era cambiato anche i connotati con un<br />
<strong>in</strong>tervento plastico e aveva cambiato nome: come Luca<br />
Mori, ora vendeva pentole. La nuova identità era stata<br />
scoperta per una superficialità, la pubblicazione della ri-<br />
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chiesta di cambio nome sulla “Gazzetta ufficiale”. La<br />
“nuova vita” dell’ex-boss della mala del Brenta veniva<br />
sconvolta il 23 febbraio 2006, quando sua figlia, che viveva<br />
a Pescara sotto protezione, come prevede la legge per<br />
i familiari dei pentiti, s’era suicidata lanciandosi dal balcone<br />
dell’appartamento del suo fidanzato. «Me l’hanno<br />
uccisa!», aveva urlato disperato suo padre. Ma la bella<br />
trentenne che aveva già alle spalle un matrimonio fallito,<br />
stava vivendo la fase più acuta di un nuovo fallimento affettivo.<br />
I PREDATORI DEL CERMIS<br />
La gente di montagna parla poco. Come i contad<strong>in</strong>i, che<br />
ogni tanto sollevano il capo, si asciugano la fronte e lanciano<br />
lo sguardo verso l’orizzonte per scrutare anima viva<br />
e per <strong>in</strong>terrogare quel cielo che si <strong>in</strong>arca sopra la terra.<br />
Con quei gesti, atavici e quotidiani, gli chiedono silenziosamente<br />
se farà splendere il sole o butterà <strong>in</strong> pioggia.<br />
Parla con le nuvole, il sole, la luna, le stelle, la gente di<br />
montagna.<br />
Quel giorno, a Cavalese, il cielo rispose con un uccello di<br />
metallo. Un maledetto predatore che si portò via venti<br />
persone. Da qualche tempo, fra quelle montagne della<br />
Val di Fiemme avevano com<strong>in</strong>ciato a volteggiare rapaci<br />
d’acciaio, <strong>in</strong>naturali nel loro muoversi così veloci e rumorosi<br />
<strong>in</strong> quella valle, un luogo di serenità e neve. Condizioni,<br />
queste ultime, che avevano conv<strong>in</strong>to tanti “stranieri”,<br />
gente nata lontano, a venire lì per godere di quelle montagne.<br />
Di quella pace. Anche quel giorno c’era gente arrivata<br />
da ogni dove.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
Quel giorno, martedì 3 febbraio 1998, diciannove persone<br />
entrarono nella cab<strong>in</strong>a della funivia che da Cavalese<br />
portava sul monte Cermis, a duemila metri. A manovrarla,<br />
c’era Marcello. Marcello Vanzo, che aveva scambiato il<br />
turno e la vita con un suo collega.<br />
Ci siamo tutti Bene, partiamo. Guarda che bello, che <strong>in</strong>canto.<br />
Pensa solo a questa esplosione di bellezza che<br />
t’avvolge coi suoi colori: lascia fuori tutto il resto. Anche<br />
quegli orrori così vic<strong>in</strong>i, così lontani. La Bosnia. Perché<br />
c’è una guerra, e non nel Sud-Est asiatico, ma là, a un naso<br />
oltre l’Adriatico, dove f<strong>in</strong>o a ieri si andava <strong>in</strong> vacanza.<br />
NATO per uccidere<br />
Alla guerra bisogna arrivare pronti, preparati, come stavano<br />
facendo quei quattro, che nella base NATO di Aviano<br />
avevano preso posto su un aereo militare. Un comandante:<br />
il capitano Richard Ashby, 32 anni, californiano, 750<br />
ore di volo, veterano della Bosnia; un navigatore: Joseph<br />
Schweitzer, 30 anni, dello Stato di New York; e, seduti alle<br />
loro spalle, i due addetti alle attrezzature di ricognizione:<br />
Chandler Seagraves, 28 anni, dell’Indiana, e William<br />
Raney, 26 anni, del Colorado.<br />
Mentre i vacanzieri si apprestavano a “scalare” il Cermis,<br />
questi quattro partivano per la missione Easy 01, all’<strong>in</strong>terno<br />
dell’operazione pianificata Deny Flight. L’aereo, un<br />
Ea–6b dall’orrendo nome di Prowler (predatore), era decollato<br />
alle 13.36. Un volo d’addestramento e un’impresa<br />
da far gonfiare il petto, scolando una birra che qualcuno<br />
avrebbe pagato. Perché qualcun altro aveva dimostrato<br />
d’averci le palle. È facile decollare, volare a norma e atterrare:<br />
un protocollo da civili, da rammolliti. Meno facile<br />
è dimostrare di non aver paura, d’essere capaci di gio-<br />
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care con la vita. È facile volare a mille piedi: prova a<br />
scendere se sei capace! Prova a <strong>in</strong>filarti fra le montagne<br />
e dist<strong>in</strong>guere una lepre da un coniglio! E allora giù, giù e<br />
ancora più giù, f<strong>in</strong>o a 800, 600, 400, 360 piedi: 360 piedi<br />
sono 110 metri, quelli che dividevano la cab<strong>in</strong>a della funivia<br />
da terra.<br />
Alle 15.12 i quattro americani avevano <strong>in</strong>crociato il dest<strong>in</strong>o<br />
di venti persone tranciando due cavi della funivia e la<br />
loro vita. «Cos’è stato Ho sentito uno scossone». Alle<br />
15.26 il “predatore” aveva fatto ritorno alla base di Aviano.<br />
Il presidente Bill Cl<strong>in</strong>ton si era scusato subito per l’<strong>in</strong>cidente,<br />
promettendo di risarcire le famiglie delle vittime,<br />
tra cui tre italiani. Ma la tensione era salita, montata, f<strong>in</strong>o<br />
a produrre manifestazioni <strong>in</strong> cui erano comparsi slogan<br />
quali “NATO per uccidere” perché anche la strage del Cermis<br />
stava assumendo contorni <strong>in</strong>quietanti, conosciuti, di<br />
impunità. Perché anche questa volta c’erano depistaggi e<br />
misteri. Eppure i responsabili erano certi, si conoscevano,<br />
le loro facce erano su tutti i giornali. Allora perché parlare<br />
di un’altra strage impunita Perché i misteri<br />
Perché – proprio nel giorno <strong>in</strong> cui la Cassazione assolveva<br />
def<strong>in</strong>itivamente Bruno Viviani, Roberto Cors<strong>in</strong>i ed Eugenio<br />
Brega dell’aeronautica militare italiana per il disastro<br />
dell’Istituto Salvem<strong>in</strong>i di Casalecchio di Reno (Bologna),<br />
dove il 6 dicembre 1990 erano stati uccisi dodici<br />
studenti e un’altra novant<strong>in</strong>a di persone era rimasta ferita<br />
a causa di un aereo schiantatosi sulla scuola – c’erano<br />
dieci m<strong>in</strong>uti di silenzio radio proprio a ridosso della tragedia,<br />
esattamente dalle 15.05 alle 15.15, quando il pilota<br />
aveva lanciato l’emergenza. Perché era sparito un<br />
“mission recorder”. Perché una cassetta video era andata<br />
distrutta. Perché c’era una carta di volo contestata.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
Perché, si diceva, c’era un radar-altimetro difettoso. E,<br />
soprattutto, perché c’era un f<strong>in</strong>ale scandaloso. Un’assoluzione.<br />
Perché c’era qualcuno che non pagava. Perché<br />
questa, alla f<strong>in</strong>e, era un’altra storia di impuniti. Tutto sotto<br />
il naso. Anzi, sopra. Fra montagne e vite violate.<br />
Non era la prima volta<br />
Bisogna fare un passo <strong>in</strong>dietro, altrimenti non si capisce<br />
niente. E allora, riavvolgiamolo questo nastro maledetto<br />
e rivediamo questo film dell’orrore. O, almeno, rivediamo<br />
ciò che possiamo rivedere. Scopriamo così che quel volo,<br />
autorizzato dalle autorità italiane, era il quarto di una lista<br />
di dieci presentata dal comando dei mar<strong>in</strong>es e che<br />
sotto quell’elenco c’era una firma, o per meglio dire, la sigla,<br />
lo scarabocchio di un capitano italiano, il cui cognome<br />
<strong>in</strong>iziava per “F”. Scopriamo che gli americani avrebbero<br />
<strong>in</strong>serito il Prowler (il predatore) <strong>in</strong> un elenco che<br />
<strong>in</strong>vece era dest<strong>in</strong>ato solo agli F16. Un errore macroscopico<br />
ma, curiosamente, nessuno se n’era accorto. Neanche<br />
l’altro ufficiale italiano – tal M.B.G. – che controfirmò<br />
l’elenco, né il centro di controllo di Mart<strong>in</strong>afranca. Comunque<br />
sia, l’<strong>in</strong>chiesta della procura di Trento addossava<br />
al pilota la responsabilità della tragedia.<br />
I voli normali erano autorizzati a una quota di 1100 metri<br />
e, anche se quel predatore fosse stato autorizzato al volo<br />
radente, non poteva scendere più <strong>in</strong> basso di 650 metri.<br />
L’impatto, <strong>in</strong>vece, era avvenuto a 110 metri da terra. Non<br />
basta: anche la velocità non era a norma. Secondo i dati<br />
forniti da un aereo–radar USA “Awacs”, che <strong>in</strong> quel momento<br />
volava a una quota superiore, il Prowler sfrecciava<br />
a 500 miglia orarie e non a 100 come previsto dal regolamento.<br />
La conferma arrivava il 12 marzo, quaranta giorni<br />
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dopo la strage. Il rapporto della commissione d’<strong>in</strong>chiesta<br />
americana parlava chiaro: «La causa dell’<strong>in</strong>cidente è da riscontrarsi<br />
<strong>in</strong> un errore dell’equipaggio, che ha guidato <strong>in</strong><br />
modo aggressivo l’aereo, superando la velocità massima e<br />
volando ben al di sotto della quota richiesta».<br />
Da parte loro, i periti italiani dimostravano che l’aereo si<br />
era <strong>in</strong>cuneato fra i due cavi, tranciandoli. Cavi che distavano<br />
fra loro quaranta metri. Certo, quaranta metri! Ma è<br />
così che si dimostra d’avere le palle: passando fra due cavi<br />
distanti quaranta metri.<br />
«Ho visto passare quell’aereo poco prima. Volava basso<br />
sul pelo del lago artificiale di Stramentizzo. E non era<br />
certo la prima volta». La gente di montagna parla poco.<br />
Per questo bisogna ascoltarla quando apre bocca.<br />
Lies, videotape and air condition<strong>in</strong>g<br />
In compenso parlavano molto le televisioni e i giornali e la<br />
politica. E poi i tribunali. Quasi esattamente un anno dopo,<br />
l’8 febbraio, si aprì il processo contro il capitano Richard<br />
Ashby e il navigatore Joseph Schweitzer davanti alla<br />
corte marziale di Camp Lejeune, la base dei mar<strong>in</strong>es nel<br />
North Carol<strong>in</strong>a. Il capitano rischiava duecentosei anni di<br />
carcere. Non ne farà neanche uno. Il 4 marzo, Ashby fu<br />
assolto: la corte gli riconobbe che il volo era autorizzato a<br />
una quota di 500 piedi (ma lui era molto più basso: come<br />
avrebbe fatto altrimenti a tranciare i cavi), che le mappe<br />
di volo non contenevano le <strong>in</strong>dicazioni della funivia (la<br />
smentita arrivò dello stesso comando dei mar<strong>in</strong>es: sulla<br />
TPC, la carta di pilotaggio tattico, la funivia era segnata) e<br />
che il radar-altimetro era difettoso (particolare non da<br />
poco: peccato che non sia mai stato dimostrato).<br />
Perché tutti questi misteri, queste imprecisioni Eppure,<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
doveva essere tutto chiaro: come consuetud<strong>in</strong>e, anche<br />
quel giorno era stato girato un video del volo (delle prodezze,<br />
cioè). Già, il video dov’era f<strong>in</strong>ito Non esisteva più:<br />
era stato distrutto. Da chi «Alla f<strong>in</strong>e del volo ho consegnato<br />
la cassetta al comandante. Non l’ho più rivista».<br />
Parola di mar<strong>in</strong>e, parola di Joseph Schweitzer, il navigatore.<br />
Fuori uno. Cioè fuori dalla galera, perché quella<br />
“confessione” gli aveva evitato il carcere.<br />
Una confessione che però <strong>in</strong>guaiava nuovamente il pilota<br />
e a maggio Richard Ashby tornava <strong>in</strong>fatti davanti alla<br />
sbarra per ostruzione di prove. Stavolta non si scherzava,<br />
perché c’era una dichiarazione giurata che lo <strong>in</strong>chiodava<br />
alle sue responsabilità. Quali Quelle d’aver distrutto un<br />
reperto, non d’aver ammazzato delle persone. Così, era<br />
arrivata la condanna: non tanto, sei mesi. Tuttavia, anche<br />
sei mesi dovevano essere considerati troppi e <strong>in</strong>fatti il 2<br />
ottobre, vale a dire un mese prima del “f<strong>in</strong>e pena”, Ashby<br />
aveva riconquistato la libertà.<br />
In carcere si era comportato bene, neanche a dirlo, ed<br />
era tornato a vivere nella villetta di Jacksonville, vic<strong>in</strong>o<br />
alla base dei mar<strong>in</strong>es, perché i grandi amori non si scordano<br />
mai. Con la stampa lui non parla, ci mancherebbe.<br />
A tenere le pubbliche relazioni c’era Dodie, la sua compagna:<br />
«La cella di Richard non aveva nemmeno l’aria<br />
condizionata», si era <strong>in</strong>dignata <strong>in</strong> un’<strong>in</strong>tervista. «Ha passato<br />
i primi mesi da solo a leggere davanti a un tavolo. E<br />
io potevo andarlo a trovare soltanto il f<strong>in</strong>e settimana».<br />
Una pena davvero crudele. Poco dopo, Ashby era stato<br />
nuovamente posseduto dalla sua <strong>in</strong>dole aggressiva: era<br />
stato <strong>in</strong>fatti allontanato da un cas<strong>in</strong>ò di Las Vegas dopo<br />
una rissa con gli uscieri e denunciato per <strong>in</strong>trusione <strong>in</strong><br />
luogo privato.<br />
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Il risarcimento<br />
I pubblici m<strong>in</strong>isteri italiani avevano chiesto di processare i<br />
quattro mar<strong>in</strong>es <strong>in</strong> Italia, ma il giudice per le <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i prelim<strong>in</strong>ari<br />
di Trento aveva ritenuto che, <strong>in</strong> forza della Convenzione<br />
di Londra del 19 giugno 1951 sullo statuto dei<br />
militari NATO, la giurisdizione sul caso dovesse riconoscersi<br />
alla giustizia militare statunitense. Decisioni che avevano<br />
scatenato polemiche e qualche giornale aveva ricordato<br />
una tragedia simile avvenuta <strong>in</strong> Francia nell’agosto<br />
1961, quando sei persone erano morte dopo che un aereo<br />
militare francese <strong>in</strong> volo a bassa quota aveva tranciato i cavi<br />
di una funivia tra il Po<strong>in</strong>t Helbronner e la Aiguille du Midi,<br />
sul versante francese del Monte Bianco. Quella volta, i<br />
responsabili avevano pagato. Questa volta no.<br />
Il governo degli Stati Uniti verserà venti milioni di dollari<br />
alla Prov<strong>in</strong>cia Autonoma di Trento per la ricostruzione<br />
dell’impianto di risalita, ma offrirà soltanto c<strong>in</strong>quemila<br />
dollari per ciascuna delle vittime. Il Congresso americano<br />
resp<strong>in</strong>gerà una legge che prevedeva il risarcimento diretto<br />
ai familiari delle persone decedute, mentre il parlamento<br />
italiano approverà un <strong>in</strong>dennizzo per i familiari di<br />
quattro miliardi di lire per ogni vittima. In conseguenza<br />
di questo e <strong>in</strong> ottemperanza ai trattati NATO, l’amm<strong>in</strong>istrazione<br />
Cl<strong>in</strong>ton risarcirà lo Stato italiano con il 75 per<br />
cento delle somme complessivamente erogate.<br />
PIETRO MASO, IL PAVONE DI VERONA<br />
Montecchia di Crosara, che pur appartenendo alla prov<strong>in</strong>cia<br />
di Verona è più vic<strong>in</strong>o a Vicenza, è un paes<strong>in</strong>o con<br />
poco più di quattromila anime. Fra di loro, nel ’71 ne era<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
nata una nera, quella di Pietro Maso. La sua storia <strong>in</strong>izia<br />
il 3 marzo 1990, quando sua madre trova <strong>in</strong> taverna due<br />
bombole di gas, fili elettrici, una sveglia puntata sulle<br />
21.30 e, cosa ancora più strana, alcuni vestiti nascosti<br />
nella canna fumaria. Aveva qu<strong>in</strong>di chiesto spiegazione di<br />
quella roba a suo marito e alle figlie, ma nessuno aveva<br />
saputo dare delle spiegazioni, così aveva atteso il rientro<br />
di Pietro.<br />
«Dobbiamo fare una festa <strong>in</strong> maschera», aveva spiegato il<br />
più giovane della famiglia. «E le bombole, che sono pure<br />
pericolose». Servivano per alimentare due stufe aggiuntive<br />
per il riscaldamento, mentre i fili elettrici per delle<br />
luci psichedeliche. E la sveglia Quella l’aveva trovata<br />
per caso e l’aveva poggiata lì, <strong>in</strong> taverna.<br />
Una bugia dietro l’altra. Tutto quell’armamentario sarebbe<br />
servito per far saltar <strong>in</strong> aria la casa e gli abiti stipati nel<br />
cam<strong>in</strong>o. Non era successo nulla solo perché l’improvvisato<br />
e maldestro bombarolo aveva tolto le sicure delle bombole,<br />
lasciando però chiuse le manopole. E questo era<br />
stato il primo tentativo di sterm<strong>in</strong>are la famiglia.<br />
Una famiglia – composta da Antonio, da sua moglie Rosa,<br />
due figlie e Pietro – proprietaria di numerosi terreni e<br />
che <strong>in</strong> banca poteva contare su una liquidità di oltre un<br />
miliardo e mezzo di vecchie lire (più o meno ottocentomila<br />
euro attuali, ma ben di più come potere di acquisto).<br />
Una famiglia senza problemi, se non quelli che da un po’<br />
di tempo arrivavano da Pietro. Da quando aveva deciso<br />
di abbandonare la scuola, <strong>in</strong>fatti, non aveva mancato di<br />
destare preoccupazioni.<br />
Dopo aver rifiutato di lavorare con suo padre, era stato<br />
assunto <strong>in</strong> un supermercato, per poi passare a una concessionaria<br />
d’auto come <strong>in</strong>termediario, ma non era dura-<br />
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to neppure lì. Lavori saltuari che non potevano garantire<br />
quel gettito economico capace di soddisfare i “piaceri<br />
della vita” scoperti dall’esuberante ventenne. Piaceri che<br />
si consumavano di notte fra night e sale da gioco, <strong>in</strong> primis<br />
il cas<strong>in</strong>ò di Venezia, <strong>in</strong> compagnia dell’<strong>in</strong>separabile<br />
amico del cuore, Giorgio Carbogn<strong>in</strong>, più giovane di lui di<br />
due anni.<br />
Le preoccupazioni della signora Rosa avevano subito un’accelerazione<br />
quando aveva trovato un rotolo di banconote<br />
nelle tasche di un paio di pantaloni di Pietro. Come poteva<br />
suo figlio avere tutti quei soldi, visto che si era anche licenziato<br />
dall’autosalone «Sono i soldi delle ultime provvigioni<br />
che mi sono state pagate tutte <strong>in</strong>sieme», aveva spiegato<br />
Pietro. Sua madre, però, questa volta era stata irremovibile,<br />
pretendeva la verità. Messo alle strette, Pietro le aveva<br />
detto che potevano andare <strong>in</strong>sieme a controllare all’autosalone,<br />
sperando che sua madre desistesse. Invece, ost<strong>in</strong>atamente,<br />
la signora Rosa aveva detto: «Va bene, chiedi un appuntamento<br />
col tuo ex-datore di lavoro».<br />
Un bel problema, ma risolvibile con l’uccisione di sua madre.<br />
Con loro, <strong>in</strong> macch<strong>in</strong>a, sarebbe salito anche l’amico<br />
Giorgio col compito di sfondare la testa alla donna con un<br />
colpo di batticarne sferratole dal sedile posteriore. A<br />
Giorgio, però, era mancato il coraggio e Pietro s’era ritrovato<br />
<strong>in</strong> pochi m<strong>in</strong>uti a dover <strong>in</strong>ventare una nuova scusa<br />
prima di raggiungere l’autosalone.<br />
«Mamma», aveva detto, «quei soldi me li hanno dati per<br />
star zitto. Dietro c’è un giro di computer trafugati…».<br />
Imbufalita ma nell’impossibilità di fare qualcosa, la signora<br />
Rosa aveva chiuso la faccenda e, tornata a casa, si era<br />
fiondata da suo marito per consultarlo sul da farsi, perché<br />
quel ragazzo prima o poi l’avrebbe comb<strong>in</strong>ata grossa.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
La bella vita<br />
Tutto poteva sospettare la signora Rosa, tranne che quei<br />
soldi sarebbero stati la genesi della sua morte e di quella<br />
di suo marito. La vera provenienza del denaro, paradossalmente,<br />
era la cosa più pulita di tutta la vicenda: arrivava<br />
da un regolarissimo prestito bancario. Un prestito di<br />
ventiquattro milioni di lire chiesto dall’amico Giorgio<br />
Carbogn<strong>in</strong>, per il quale aveva garantito il suo datore di lavoro.<br />
Soldi, che servivano per acquistare una Lancia Delta<br />
«usata, ma come nuova».<br />
Il padre di Giorgio si era opposto però a quella follia, <strong>in</strong>timandogli<br />
di restituire immediatamente il denaro. Giorgio<br />
aveva perciò r<strong>in</strong>unciato all’auto, ma non ai ventiquattro<br />
milioni, che aveva sperperato con l’amico Pietro. Inevitabilmente<br />
si era però presentato il grosso problema di<br />
come fare per renderli. «Non ti preoccupare», l’aveva<br />
rassicurato Pietro, «ci penso io». Come Staccando un<br />
assegno rubato a sua madre, della quale aveva falsificato<br />
la firma. Risolto un problema, se n’era però aperto un altro:<br />
cosa fare quando sarebbe arrivato a casa l’estratto<br />
conto e sua madre avrebbe visto quell’uscita di ventiquattro<br />
milioni<br />
Non restava che elim<strong>in</strong>are sua madre. Anzi, anche suo padre<br />
sarebbe morto, così avrebbe potuto mettere le mani<br />
sull’eredità. Complice, il solito Giorgio. L’<strong>in</strong>affidabile, pavido<br />
e cagasotto Giorgio, che anche questa volta aveva fallito.<br />
Il piano prevedeva che i signori Maso sarebbero stati<br />
colpiti <strong>in</strong> garage al rientro dopo una cena, ma all’ultimo<br />
momento Giorgio si era tirato <strong>in</strong>dietro. Pietro, però, aveva<br />
ormai maturato l’irrevocabile decisione di sterm<strong>in</strong>are la famiglia<br />
e, con o senza Giorgio, ci sarebbe riuscito.<br />
«Conducevo una vita brillante», cercò di spiegare dopo il<br />
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massacro, «e qu<strong>in</strong>di mi servivano molti soldi, al che per<br />
avere questo denaro l’unica soluzione possibile era quella<br />
di ottenere subito l’eredità che mi spettava dai miei genitori<br />
nel caso fossero morti. Mi sarebbe anche piaciuto<br />
averla tutta <strong>in</strong>tera, ma per questo sarei stato costretto a<br />
uccidere anche le mie sorelle». Stabilito che con Giorgio<br />
non avrebbe mai comb<strong>in</strong>ato nulla, Pietro aveva “arruolato”<br />
altri amici. Altri complici, per meglio dire: Paolo Cavazza e<br />
Damiano Burano, rispettivamente di 18 e 17 anni.<br />
Il massacro<br />
La sera del 17 aprile 1991, Maso, Carbogn<strong>in</strong>, Cavazza e<br />
Burato si erano ritrovati nel solito bar di Montecchia per<br />
discutere gli ultimi dettagli, decidendo di far partecipare<br />
al delitto anche un altro amico, Michele, che però li aveva<br />
lasciati ai loro deliri e se ne era andato, conv<strong>in</strong>to che<br />
quei quattro scemi si fossero impasticcati pesantemente<br />
e che mai sarebbero stati capaci di fare davvero una cosa<br />
del genere. Ma la banda dei quattro era lucidissima nel<br />
suo progetto omicida. Da lì a poco, qu<strong>in</strong>di, era scattata<br />
l’ora X.<br />
Alle 23.10 l’auto dei signori Maso era entrata nel garage<br />
della villetta. Antonio aveva acceso la luce, accorgendosi<br />
che mancava la corrente. Era qu<strong>in</strong>di salito per le scale<br />
raggiungendo il primo piano dove si trovava il contatore,<br />
ma <strong>in</strong> cuc<strong>in</strong>a era stato colpito alla testa da un tubo di ferro<br />
maneggiato da suo figlio, aiutato da Damiano, che<br />
sferrava colpi con una pesante pentola d’acciaio. Della signora<br />
Rosa si occupavano <strong>in</strong>vece Paolo e Giorgio, armati<br />
di un bloccasterzo e di un’altra pentola. La donna offriva<br />
però una resistenza impensata, così era <strong>in</strong>tervenuto lo<br />
stesso Pietro che aveva colpito sua madre ripetutamen-<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
te. Aveva preso il posto di Paolo che, a sua volta, si era<br />
accanito contro il signor Antonio, premendogli un piede<br />
sulla gola per soffocarlo.<br />
C<strong>in</strong>quanta m<strong>in</strong>uti. Tanto era durato l’orrore negli occhi<br />
dei signori Maso che avevano vissuto la disgrazia più tremenda:<br />
quella di vedere il loro figlio ucciderli. Perché, se<br />
Burato, Carbogn<strong>in</strong> e Cavazza avevano <strong>in</strong>dossato delle<br />
maschere, Pietro no, lui aveva mostrato la sua faccia ai<br />
genitori mentre li uccideva.<br />
«Avevamo due borse», aveva poi confessato, «che contenevano<br />
le cose che ci servivano, cioè tute da lavoro, un<br />
tubo pieno di ferro del diametro di circa c<strong>in</strong>que centimetri<br />
e lungo circa c<strong>in</strong>quanta, due maschere da carnevale<br />
con i capelli f<strong>in</strong>ti, un antifurto meccanico <strong>in</strong> ferro che<br />
serve a bloccare lo sterzo delle auto. Giunti a casa mia,<br />
abbiamo <strong>in</strong>dossato le tute e qu<strong>in</strong>di abbiamo atteso dietro<br />
la porta che dalla cuc<strong>in</strong>a conduce all’<strong>in</strong>gresso della scala<br />
<strong>in</strong>terna, e siamo rimasti appostati <strong>in</strong> questo modo per un<br />
po’. Nel frattempo abbiamo spento le luci della scala svitando<br />
la lampad<strong>in</strong>a e la stessa cosa abbiamo fatto con<br />
quella della cuc<strong>in</strong>a. E abbiamo aspettato».<br />
I sospetti, le conferme<br />
A delitto compiuto, Paolo e Damiano erano rientrati a casa.<br />
Pietro, <strong>in</strong>vece, aveva bisogno di crearsi un alibi. Così,<br />
con Giorgio, si era recato <strong>in</strong> due diverse discoteche: nella<br />
prima, <strong>in</strong>fatti, non erano riusciti a entrare perché piena.<br />
Alle 2 del matt<strong>in</strong>o era <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e rientrato a casa per “scoprire”<br />
l’accaduto. Mostrandosi scosso e impaurito, aveva<br />
avvertito i vic<strong>in</strong>i, uno dei quali si era precipitato <strong>in</strong> casa<br />
scoprendo quel che era avvenuto.<br />
Chi può aver compiuto uno scempio simile Non può che<br />
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trattarsi di un tentativo di rap<strong>in</strong>a f<strong>in</strong>ita male. Ma a un carab<strong>in</strong>iere<br />
che ha passato la vita fra delitti d’ogni genere<br />
non la si fa. Per quel carab<strong>in</strong>iere il furto con quel massacro<br />
non c’entra nulla. «I cassetti sono stati trovati aperti<br />
e il contenuto gettato <strong>in</strong>torno alla stanza, quando un ladro,<br />
di solito, usa aprirli, limitarsi a cercarvi denaro e roba<br />
di valore e poi richiuderli».<br />
Alla f<strong>in</strong>e, gli <strong>in</strong>quirenti avevano abbandonato la pista fasulla<br />
del furto f<strong>in</strong>ito male per concentrarsi su altro, cioè<br />
su possibilità più <strong>in</strong>quietanti, seppur più verosimili: sulla<br />
stessa famiglia. I sospetti si erano così addensati sul figlio,<br />
quel ragazzo le cui reazioni non erano state coerenti<br />
f<strong>in</strong> dal primo momento. Sospetti che avevano assalito<br />
le stesse sorelle, Nadia e Laura, quando quest’ultima si<br />
era accorta dei ventiquattro milioni spariti dal conto della<br />
madre e aver trovato, lo stesso giorno, alcune “prove”<br />
di falsificazione della sua calligrafia su una rubrica telefonica.<br />
Pietro aveva ribattuto che quella firma era autentica,<br />
che quell’assegno l’aveva effettivamente staccato la<br />
mamma per un favore chiestogli dall’amico Giorgio, ma<br />
non sapeva spiegare il perché di quelle “prove” sulla rubrica<br />
telefonica. A questi, che ormai erano fatti <strong>in</strong>oppugnabili,<br />
se ne erano aggiunti altri che contraddicevano la<br />
fallace versione di Pietro. Il quale, fiaccato dagli <strong>in</strong>terrogatori,<br />
due giorni dopo aveva confessato, co<strong>in</strong>volgendo i<br />
suoi amici.<br />
Le condanne<br />
L’accusa per tutti era stata qu<strong>in</strong>di di omicidio volontario<br />
premeditato e pluriaggravato per la crudeltà e i futili motivi.<br />
Su Pietro pesava anche il v<strong>in</strong>colo di parentela e questo<br />
elemento faceva di lui un autentico mostro. Un mo-<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
stro che la perizia del professor Vittor<strong>in</strong>o Andreoli riteneva<br />
sano di mente, come il resto del branco. Per quanto<br />
riguardava specificamente Pietro, la mente lucidamente<br />
crim<strong>in</strong>ale del gruppo, lo psichiatra aveva spiegato<br />
che il disturbo narcisistico della personalità (su cui contava<br />
fortemente la difesa) non comportava una vera e<br />
propria <strong>in</strong>fermità <strong>in</strong> grado di <strong>in</strong>ficiare la capacità di <strong>in</strong>tendere<br />
e volere. Insomma, quel pavone crim<strong>in</strong>ale poteva<br />
essere giudicato senza alcuna attenuante.<br />
Il 29 febbraio 1992 la Corte d’Assise I di Verona aveva<br />
così condannato Pietro Maso a trent’anni e due mesi di<br />
reclusione, Cavazza e Carbogn<strong>in</strong> a ventisei ciascuno,<br />
mentre Burato, non essendo ancora diciottenne, era<br />
stato giudicato dal tribunale dei m<strong>in</strong>ori che lo aveva<br />
condannato a tredici anni. Nelle motivazioni della sentenza<br />
si faceva cenno a un parziale vizio di mente, mentre<br />
l’op<strong>in</strong>ione pubblica era ancora scossa dall’atteggiamento<br />
di Pietro Maso che aveva a lungo <strong>in</strong>sistito nel rivendicare<br />
la sua parte di eredità e solo i consigli dell’avvocato<br />
lo avevano fatto desistere per evitare l’ergastolo<br />
<strong>in</strong> primo grado. Nei successivi gradi di giudizio la sentenza<br />
non subì alcuna modifica passando così <strong>in</strong> giudicato.<br />
R<strong>in</strong>chiuso nel carcere milanese di Opera, Maso ha ottenuto<br />
la concessione del regime di semilibertà nell’ottobre<br />
del 2008. Il matt<strong>in</strong>o esce dal carcere alle 7.30 per recarsi<br />
al lavoro <strong>in</strong> un’azienda di computer e assemblaggio di<br />
componentistica, e vi rientra alle 22.30. Per effetto dell’<strong>in</strong>dulto,<br />
il suo f<strong>in</strong>e pena è stato spostato dal 2018 al<br />
2015, quando avrà 44 anni.<br />
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PIETRO PERUFFO: IO SONO UN ORCO<br />
Verona e Vicenza sono ancora scosse per quel che è accaduto<br />
due mesi prima a Montecchia di Corsara, dove Pietro<br />
Maso ha ucciso i genitori per appropriarsi dell’eredità.<br />
Nelle case, nei bar si discute, ci si anima per quel massacro.<br />
Come è stato possibile Che generazione stiamo crescendo<br />
Di chi sono le reali responsabilità Interrogativi<br />
che travalicano i conf<strong>in</strong>i regionali per co<strong>in</strong>volgere l’<strong>in</strong>tera<br />
nazione. Gli anni Novanta sono appena <strong>in</strong>iziati: cosa ci riserva<br />
questa società che ha avuto una lunga <strong>in</strong>cubazione<br />
nel decennio precedente, quello che si identifica con il<br />
nuovo e sfrenato consumismo della “Milano da bere” Anche<br />
a San Bonifacio, un paese che pur appartenendo alla<br />
prov<strong>in</strong>cia di Verona è equidistante da Vicenza, si discute.<br />
Probabilmente, anche a Locara, la sua frazione più popolosa,<br />
nei diversi casolari sparsi nella campagna. Tuttavia,<br />
<strong>in</strong> uno di essi non si discute di Maso, perché c’è altro a cui<br />
pensare. Precisamente, un omicidio.<br />
È domenica. Il calendario <strong>in</strong> cuc<strong>in</strong>a segna la data del 23<br />
giugno 1991. La campagna tutt’attorno sembra bruciata<br />
da un sole implacabile e <strong>in</strong>usuale per il periodo. «Altro<br />
che <strong>in</strong>izio estate, sembra già solleone», dice qualcuno al<br />
bar mentre sfoglia un giornale <strong>in</strong> cui campeggia una notizia<br />
sul disastro di Ustica del giugno 1980: la società <strong>in</strong>glese<br />
W<strong>in</strong>pol è stata <strong>in</strong>caricata di completare il recupero<br />
del relitto e di riportare <strong>in</strong> superficie la scatola nera.<br />
Chissà, magari si verrà a capo di quel mistero…<br />
Anche nel casolare dei Peruffo l’aria è arroventata, ma<br />
non si discute di quel che accade <strong>in</strong> Italia o nel mondo.<br />
Ben altri sono gli argomenti che impone il capofamiglia.<br />
Si chiama Pietro, Pietro Peruffo, ha 46 anni, ufficialmen-<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
te fa il rottamaio, ma di fatto campa di espedienti, alla<br />
giornata, oltre che con i soldi portati a casa dalle figlie,<br />
mandate a lavorare subito dopo le medie. Come tutti i<br />
pomeriggi, dopo pranzo, si stende sul letto anche per<br />
smaltire il v<strong>in</strong>o bevuto smodatamente, come sempre. Per<br />
di più fa caldo, un caldo feroce, che debilita. Meglio dormire.<br />
Questa volta, però, Pietro Peruffo non si sveglierà più.<br />
Perché viene ucciso con due colpi di pistola alla testa. A<br />
premere il grilletto, sua figlia Marcell<strong>in</strong>a. Sua sorella Maria<br />
Crist<strong>in</strong>a le sta accanto. Anzi, è lei che ricarica l’arma<br />
dopo il primo colpo, ripassandola alla sorella per colpire<br />
una seconda volta, per essere sicura che l’orco muoia.<br />
Perché quello non è un padre, è un orco. Un orco maledetto<br />
che deve morire <strong>in</strong> modo che loro possano vivere.<br />
Una brutta storia<br />
Questa è una brutta storia <strong>in</strong>iziata il 24 febbraio 1968,<br />
quando Pietro Peruffo sposa Lucia Vallar<strong>in</strong>. Un’unione<br />
che genera quattro figli, due maschi e due femm<strong>in</strong>e. Una<br />
famiglia che impara presto a conoscere la locale stazione<br />
dei carab<strong>in</strong>ieri di San Bonifacio. La conosce per le denunce<br />
– poi però sempre ritirate – presentate <strong>in</strong> più occasioni<br />
da Lucia Vallar<strong>in</strong>, che parla di maltrattamenti di<br />
vario genere e natura, sia psichici sia fisici, subiti dal marito.<br />
Quel Pietro Peruffo che i carab<strong>in</strong>ieri conoscono ancor<br />
meglio perché pregiudicato: fra il 1974 e il 1979, <strong>in</strong>fatti,<br />
quel rottamaio si era reso protagonista di reati sessuali<br />
culm<strong>in</strong>ati <strong>in</strong> una violenza carnale costatagli quasi<br />
c<strong>in</strong>que anni di reclusione.<br />
Scontata la pena e tornato a casa, per evitare altre denunce<br />
e altri anni di galera, Peruffo aveva pensato bene<br />
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di sfogare i suoi ist<strong>in</strong>ti, concentrando le sue attenzioni<br />
morbose nei confronti delle figlie. Violenze ripetute e<br />
quasi quotidiane, che alla f<strong>in</strong>e avevano conv<strong>in</strong>to la moglie<br />
a m<strong>in</strong>acciarlo: se non avesse smesso, sarebbe stato denunciato,<br />
questa volta senza rimessa di querela. Come risposta,<br />
Lucia Vallar<strong>in</strong> era stata vittima di un vero e proprio<br />
massacro, con tanto di avvertimento: che ci avesse<br />
provato pure ad andare dai carab<strong>in</strong>ieri. In quel caso sarebbero<br />
state uccise lei e le figlie.<br />
La vita prosegue così fra botte alla moglie, che arrivano<br />
gratuitamente anche per gli effetti dell’alcool, e violenze<br />
sulle ragazze, spesso costrette <strong>in</strong>sieme a soddisfare i perversi<br />
piaceri sessuali dell’orco. Ma non basta, a dimostrazione<br />
del suo totale dom<strong>in</strong>io sulla famiglia, Peruffo impone<br />
<strong>in</strong> casa la presenza della sua amante. A questo punto,<br />
sua moglie si rivolge a un avvocato per chiedere cosa deve<br />
fare per separarsi. Lucia fa tutto di nascosto, ma suo<br />
marito la scopre e la sua reazione è quanto mai violenta:<br />
la massacra di botte e non smette f<strong>in</strong>ché lei non scrive<br />
una lettera all’avvocato <strong>in</strong> cui r<strong>in</strong>uncia all’azione <strong>in</strong>trapresa<br />
per la separazione.<br />
L’andazzo stava per riprendere come sempre, ma per le<br />
figlie questo episodio rappresentò la classica goccia nel<br />
vaso pieno. Si aggiunge, <strong>in</strong>fatti, alle m<strong>in</strong>acce subite da<br />
Maria Crist<strong>in</strong>a per la sua relazione con Tiziano Albiero,<br />
un ragazzo che lavora nella stessa fabbrica <strong>in</strong> cui è occupata<br />
anche Marcell<strong>in</strong>a. Roso dalla perversa gelosia, Peruffo<br />
avverte la figlia che nel caso <strong>in</strong> cui avesse cont<strong>in</strong>uato<br />
a frequentare quel ragazzo, ci avrebbe pensato lui: lo<br />
avrebbe ucciso. Maria Crist<strong>in</strong>a, però, non è come la madre<br />
e non ci sta a subire una vita che al processo def<strong>in</strong>irà<br />
così: «Ero arrivata a pensare che sarebbe stato meglio<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
non essere neanche nata piuttosto che vivere così». Come<br />
lei la pensa sua sorella Marcell<strong>in</strong>a, che a sua volta dichiarerà:<br />
«Mi chiedevo che senso avesse cont<strong>in</strong>uare a vivere<br />
<strong>in</strong> quel modo, che futuro mi aspettava, visto che<br />
ogni giorno era peggio del precedente».<br />
È a questo punto che le due sorelle decidono che basta<br />
così. Quell’orco deve morire e si concentrano su un unico<br />
punto: come fare Il giorno successivo, <strong>in</strong> fabbrica,<br />
Marcell<strong>in</strong>a chiede a Tiziano di aiutare lei e sua sorella –<br />
che è pure la sua fidanzata – a trovare il modo per elim<strong>in</strong>are<br />
l’aguzz<strong>in</strong>o. Tiziano le procura così una pistola, un’arma<br />
modificata artigianalmente. Il giorno dopo è domenica.<br />
Lo faranno quando va a sdraiarsi. Aspetteranno che si<br />
addormenti e lo uccideranno. Così accade.<br />
Maria Crist<strong>in</strong>a e Tiziano Albiero saranno condannati a<br />
tredici anni di carcere <strong>in</strong> primo grado, ridotti a nove <strong>in</strong><br />
appello.<br />
Una famiglia violenta<br />
Ma il nome di Peruffo ricorrerà nelle aule di tribunale anche<br />
successivamente.<br />
Nel 1997, Marco, uno dei due figli maschi, confesserà di<br />
aver ucciso “<strong>in</strong>avvertitamente” Alfredo Aldighieri. “Inavvertitamente”,<br />
dice lui. Di fatto, ha prima colpito la vittima<br />
alla testa con una spranga, poi è passato sul suo corpo<br />
con la macch<strong>in</strong>a più volte, avanti e <strong>in</strong>dietro. Movente:<br />
Aldighieri avrebbe dato delle “puttane” a sua madre e alle<br />
sorelle. Tuttavia, non erano stati questi pesanti apprezzamenti<br />
familiari a scatenare la furia omicida di Marco,<br />
ma la sua <strong>in</strong>capacità di stare al volante. Aldighieri lo<br />
avrebbe <strong>in</strong>fatti più volte apostrofato come “<strong>in</strong>capace”,<br />
adducendo come prova la sua totale <strong>in</strong>abilità alla guida.<br />
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Del resto, non era un caso se aveva già sfasciato diverse<br />
auto, oltre a causare <strong>in</strong> stato di ebbrezza la morte di un<br />
quattordicenne.<br />
Dedito all’alcool e alla coca<strong>in</strong>a dopo un passato da ero<strong>in</strong>omane,<br />
prima di uccidere Aldighieri, Marco era stato <strong>in</strong><br />
galera con suo fratello Walter per furto e ricettazione. Insomma,<br />
anche i figli maschi di Peruffo erano il frutto “naturale”<br />
di una famiglia anomala. Come anomala era la famiglia<br />
d’orig<strong>in</strong>e dei Peruffo.<br />
Pietro aveva <strong>in</strong>fatti sette fratelli, tutti con problemi più o<br />
meno rilevanti a livello penale. Mario, uno di loro, era<br />
morto dissanguato sotto una trebbiatrice, mentre Giuseppe<br />
era stato <strong>in</strong> galera per stupro, come Pietro. Andrea,<br />
<strong>in</strong>vece, essendo rifiutato da tutte le donne, si “arrangiava”<br />
con qualche animale, preferibilmente mucche.<br />
Animali che, come risulta dai racconti di Maria Crist<strong>in</strong>a e<br />
Marcell<strong>in</strong>a, utilizzava anche Pietro, facendo per esempio<br />
accoppiare un bestione di cane con una piccola cagnetta,<br />
mentre lui se ne stava lì a godersi lo spettacolo, che<br />
imponeva anche ai figli. È questo dunque l’ambiente <strong>in</strong><br />
cui era maturato il delitto. Un ambiente geograficamente<br />
distante pochi chilometri da città come Verona e Vicenza,<br />
ma distante anni luce a livello culturale e umano.<br />
Legittima difesa<br />
Per cercare di capire come sia possibile che queste situazioni<br />
possano verificarsi a due passi dal vivere civile delle<br />
nostre città, delle nostre quotidianità, basta ricordare<br />
quel che racconterà Maria Crist<strong>in</strong>a a “L’Europeo” nel<br />
1992, <strong>in</strong> un’<strong>in</strong>tervista <strong>in</strong> cui ribadirà che era stata sua sorella<br />
Marcell<strong>in</strong>a e solo lei a sparare.<br />
«Quella domenica ero <strong>in</strong> bagno. Ho sentito uno sparo, poi<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
un altro. Ho visto arrivare Marcell<strong>in</strong>a. “Go copà ‘l mato,”<br />
mi ha detto, bianca come uno straccio. Le ho strappato<br />
la pistola di mano, ma lei l’ha ripresa ed è scappata nei<br />
campi. Per questo a quell’esame è risultato che la pistola<br />
l’avevo toccata anch’io. Lui, mio padre, non ci ha mai dato<br />
una sola ragione per non odiarlo. Non ho un ricordo<br />
bello con lui: un Natale, una carezza. Ci ha allevato con<br />
rabbia. Conosceva solo quella. Faceva così anche con i<br />
cani, poveretti. Prima li bastonava a sangue, poi li legava<br />
per giorni e quando li liberava quelli erano diventati belve<br />
feroci. Come lui. E non puoi dispiacerti se muore una<br />
belva feroce».<br />
«Marcell<strong>in</strong>a è la più piccola di tutti noi fratelli, ma è anche<br />
la più dura. Per forza, lei non ha avuto neppure quegli<br />
anni di respiro <strong>in</strong> cui mio padre era <strong>in</strong> galera. E lui<br />
aveva un debole per lei. Per questo Marcell<strong>in</strong>a passava le<br />
notti seduta sul letto con gli occhi sbarrati per paura che<br />
lui arrivasse da un momento all’altro. È stata <strong>in</strong> una di<br />
quelle notti che mi ha detto “io non ce la faccio più: o me<br />
o lui” e ha com<strong>in</strong>ciato a piangere. Non si fermava più. Io<br />
e mia sorella abbiamo provato più volte a denunciarlo,<br />
ma poi mia madre ci diceva che se non ritiravamo la denuncia<br />
quello ci avrebbe ammazzate. Così, anche sul lavoro,<br />
raccontavamo che eravamo cadute, che i lividi ce li<br />
eravamo procurati da sole. Ma il padrone non ci credeva<br />
e diceva che quello era un maledetto. Lo disprezzavano<br />
tutti. E tutti mi hanno detto che dovevamo ucciderlo<br />
quando aveva il coltello <strong>in</strong> mano, così sarebbe stata legittima<br />
difesa».<br />
Come se, per quelle ragazze, uccidere nel sonno l’orco<br />
non fosse stata, comunque, una “legittima difesa”.<br />
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GIANFRANCO STEVANIN, IL CONTADINO SERIAL KILLER<br />
Vicenza, sera del 16 novembre 1994. Una Lancia Dedra<br />
aveva avvic<strong>in</strong>ato una prostituta; l’uomo al volante le aveva<br />
detto che oltre a un rapporto sessuale voleva fotografarla.<br />
Un milione, ma niente viso. Va bene. La macch<strong>in</strong>a<br />
aveva raggiunto qu<strong>in</strong>di la dest<strong>in</strong>azione: un casolare a Terrazzo,<br />
nella campagna veronese. Ma una volta lì, per Gabrielle<br />
Musger, prostituta austriaca, era <strong>in</strong>iziato l’<strong>in</strong>ferno:<br />
l’uomo che l’aveva caricata le aveva imposto <strong>in</strong>fatti rapporti<br />
violenti, giochi erotici estremi, oltre alle fotografie,<br />
viso compreso. L’aveva qu<strong>in</strong>di m<strong>in</strong>acciata con una pistola<br />
e un taglier<strong>in</strong>o e la ragazza, terrorizzata, gli aveva offerto<br />
ventic<strong>in</strong>que milioni che aveva a casa. L’uomo aveva<br />
accettato, ma al casello di Vicenza Ovest, mentre stava<br />
pagando il pedaggio, Gabrielle Musger aveva notato una<br />
pattuglia della polizia stradale ferma lì vic<strong>in</strong>o e, aperta la<br />
portiera dell’auto, l’aveva raggiunta correndo a perdifiato.<br />
Confusa e <strong>in</strong> lacrime, la ragazza aveva denunciato il<br />
suo aggressore, che era stato subito raggiunto dai poliziotti:<br />
dai documenti risultava essere Gianfranco Stevan<strong>in</strong>,<br />
agricoltore. Dalla perquisizione dell’auto saltava fuori<br />
una pistola giocattolo priva del regolamentare tappo<br />
rosso, e le sorprese non erano f<strong>in</strong>ite.<br />
Sulla base del racconto dalla prostituta austriaca, gli <strong>in</strong>quirenti<br />
avevano deciso di perquisire anche la casa di<br />
Stevan<strong>in</strong>, dove i carab<strong>in</strong>ieri avevano trovato un taglier<strong>in</strong>o,<br />
altre due pistole giocattolo, <strong>in</strong>dumenti <strong>in</strong>timi, capi<br />
d’abbigliamento femm<strong>in</strong>ile, borsette da donna, oltre ai<br />
documenti di c<strong>in</strong>que ragazze. Erano saltati fuori anche<br />
circa centoc<strong>in</strong>quanta contenitori di foto, per un totale di<br />
oltre settemila scatti, negativi non ancora sviluppati, de-<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
c<strong>in</strong>e di videocassette porno, una parrucca bionda, contenitori<br />
con peli pubici, giornali pornografici e anche sant<strong>in</strong>i<br />
e immag<strong>in</strong>i sacre (soprattutto di Padre Pio), enciclopedie<br />
di medic<strong>in</strong>a, atlanti di anatomia, volumi sull’uso<br />
della macch<strong>in</strong>a fotografica e, <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, uno schedario sulle<br />
prestazioni delle donne <strong>in</strong>contrate.<br />
Per la polizia, Gianfranco Stevan<strong>in</strong> non era ancora un serial<br />
killer, ma un pervertito che aveva m<strong>in</strong>acciato e violentato<br />
una prostituta austriaca per estorcerle ventic<strong>in</strong>que<br />
milioni. Perciò era stato condannato a tre anni di<br />
carcere. Tuttavia, qualcosa faceva sospettare che la storia<br />
non fosse tutta lì: tra i documenti e gli <strong>in</strong>dumenti r<strong>in</strong>venuti<br />
durante la perquisizione, c’erano <strong>in</strong>fatti anche<br />
quelli di Claudia Pulejo, 29 anni, tossicodipendente di<br />
Legnano (Verona), scomparsa dal 15 gennaio, e di Biljana<br />
Pavlovic, cameriera serba di 25 anni residente ad Arzignano<br />
(Vicenza), della quale non si avevano più notizie<br />
da agosto. Le due ragazze figuravano nelle “schede” delle<br />
prestazioni meticolosamente compilate da Stevan<strong>in</strong>.<br />
Il mostro<br />
Solo un anno dopo si capì chi fosse realmente Stevan<strong>in</strong>,<br />
dopo che un agricoltore aveva trovato un sacco contenente<br />
un cadavere <strong>in</strong> un fosso di Terrazzo. Ora, l’accusa<br />
era di omicidio volontario e occultamento di cadavere,<br />
mentre nel podere di Terrazzo arrivavano le ruspe che,<br />
scavando, avevano riportato <strong>in</strong> superficie il cadavere di<br />
un’altra giovane donna, piegato <strong>in</strong> due, avvolto <strong>in</strong> un ampio<br />
telone blu del tipo usato <strong>in</strong> agricoltura e sepolto a<br />
un’ottant<strong>in</strong>a di centimetri di profondità. Gli esami del<br />
DNA e la ricostruzione del volto avevano appurato che si<br />
trattava di Biljana Pavlovic. Intanto era stato disseppelli-<br />
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to un terzo cadavere, sempre avvolto <strong>in</strong> un bozzolo di<br />
pellicola trasparente: quello di Claudia Pulejo.<br />
Stevan<strong>in</strong> era diventato “il mostro di Terrazzo” e a lui venivano<br />
attribuiti non solo quei tre omicidi, ma anche altri<br />
due: dalle foto r<strong>in</strong>venute veniva <strong>in</strong>fatti riconosciuta Roswita<br />
Adlassnig, una prostituta austriaca scomparsa da<br />
tempo, mentre <strong>in</strong> un’altra foto si vedeva una donna, mai<br />
identificata, ritratta <strong>in</strong> una pratica erotica estrema e che<br />
all’apparenza sembrava priva di vita.<br />
Dopo che Stevan<strong>in</strong>, confusamente, aveva alternato ammissioni<br />
a ritrattazioni, erano state disposte tre perizie<br />
psichiatriche al term<strong>in</strong>e delle quali “il mostro di Terrazzo”<br />
fu descritto come un <strong>in</strong>dividuo sano, abbastanza <strong>in</strong>telligente<br />
(il suo quoziente era di 114) e calcolatore, oltre<br />
a non essere affetto da disturbi psicosomatici o del<br />
comportamento. Sicuramente il rapporto con la madre<br />
iperprotettiva e le disavventure della sua vita lo avevano<br />
segnato, ma era <strong>in</strong> grado di <strong>in</strong>tendere e di volere. Perciò<br />
era processabile. Di idea completamente diversa i periti<br />
della difesa, che cercavano di ricondurre tutti i problemi<br />
di Stevan<strong>in</strong> a un <strong>in</strong>cidente subito <strong>in</strong> moto nel 1976, <strong>in</strong> seguito<br />
al quale avrebbe sviluppato «una complessa s<strong>in</strong>drome<br />
psicopatologica».<br />
Tra il 19 luglio e il 23 agosto 1996, ma sempre <strong>in</strong> modo<br />
confuso, Gianfranco Stevan<strong>in</strong> aveva deciso f<strong>in</strong>almente di<br />
“confessare” i delitti di quattro ragazze che gli erano<br />
«morte tra le braccia»: tre durante rapporti sessuali sp<strong>in</strong>ti<br />
all’estremo, una, la Pulejo, per overdose da ero<strong>in</strong>a. Delitti<br />
che aveva raccontato come <strong>in</strong>cubi <strong>in</strong> cui agiva senza<br />
rendersene conto. Spesso diceva di non ricordare. Ricordava<br />
però di aver sezionato un cadavere per occultarlo e<br />
di aver vomitato durante quella operazione.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
La complicità della madre<br />
Nel settembre 1996, la giornalista Alessandra Vaccari<br />
aveva ricevuto c<strong>in</strong>que lettere con m<strong>in</strong>acce di morte,<br />
scritte e <strong>in</strong>viate da Giuliano Barbatella, un crim<strong>in</strong>ale psicolabile<br />
<strong>in</strong> cella con Stevan<strong>in</strong> autoaccusatosi di essere il<br />
colpevole di quei delitti. Mentre il tribunale cercava di<br />
conv<strong>in</strong>cere Stevan<strong>in</strong> a confessare di aver dettato lui quelle<br />
lettere a Barbatella, lungo le rive dell’Adige era stato<br />
ritrovato un altro cadavere: si trattava di una giovane<br />
donna, priva di capelli e <strong>in</strong> avanzato stato di decomposizione<br />
(l’identità resterà sempre sconosciuta, ma anche<br />
questo omicidio è attribuito a Stevan<strong>in</strong>).<br />
Un anno più tardi, esattamente il 6 ottobre 1997, dopo<br />
l’ennesima perizia psichiatrica che lo dichiarava processabile,<br />
si apriva f<strong>in</strong>almente il processo contro “il mostro<br />
di Terrazzo”, accusato di c<strong>in</strong>que omicidi, aggravati dalla<br />
premeditazione e dall’occultamento di cadavere. Anche<br />
la madre del “mostro”, Noemi Miola, fu processata: secondo<br />
gli <strong>in</strong>quirenti, <strong>in</strong>fatti, la donna era da tempo al corrente<br />
dell’attività omicida del figlio e lo aveva sempre<br />
protetto. Sembrava addirittura fosse stata lei a far sparire<br />
una testa dimenticata nel granaio.<br />
La testa di Stevan<strong>in</strong> si presentava <strong>in</strong>vece alla prima<br />
udienza rasata a zero per evidenziare una cicatrice rimastagli<br />
dall’<strong>in</strong>cidente motociclistico del 1976. Su quella cicatrice<br />
e su quell’<strong>in</strong>cidente si sarebbe <strong>in</strong>centrata tutta<br />
l’azione della difesa. Il processo era stato lungo e pieno di<br />
colpi di scena, con sentenze che si erano negate a vicenda,<br />
la prima delle quali, emessa il 28 gennaio 1998, lo<br />
aveva condannato all’ergastolo. I primi tre anni li avrebbe<br />
trascorrere <strong>in</strong> totale isolamento diurno. Successivamente,<br />
la Corte d’Assise d’Appello, a sorpresa, lo aveva<br />
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assolto perché <strong>in</strong>capace d’<strong>in</strong>tendere e volere. La sentenza<br />
def<strong>in</strong>itiva arrivò il 23 marzo 2001, quando la Corte di<br />
Cassazione confermò la sentenza di ergastolo di primo<br />
grado. Sua madre era stata <strong>in</strong>vece assolta per mancanza<br />
di prove.<br />
Attualmente, “il mostro” è r<strong>in</strong>chiuso nel supercarcere di<br />
Sulmona (L’Aquila), dove, nell’estate del 2004, ha salvato<br />
due volte la vita al suo compagno di cella, un aspirante<br />
suicida.<br />
Un passato <strong>in</strong>quietante<br />
Chi è “il mostro di Terrazzo” Stevan<strong>in</strong> era nato il 21 ottobre<br />
1960 a Montagnana, un paes<strong>in</strong>o <strong>in</strong> prov<strong>in</strong>cia di Padova.<br />
I suoi genitori, Giuseppe Stevan<strong>in</strong> e Noemi Miola,<br />
erano proprietari terrieri. Quando aveva c<strong>in</strong>que anni, era<br />
stato costretto a entrare <strong>in</strong> un collegio di preti perché<br />
sua madre stava affrontando una gravidanza molto difficile<br />
(<strong>in</strong>fatti abortì) e non poteva badare anche a lui. Tornato<br />
a casa, aveva com<strong>in</strong>ciato a dare una mano a suo padre,<br />
ma un giorno era scivolato e aveva sbattuto la testa<br />
contro un attrezzo agricolo.<br />
I genitori avevano dedotto che la vita nei campi era pericolosa<br />
per quel ragazzo, così lo avevano rispedito <strong>in</strong> un<br />
collegio di suore, dove aveva passato gli anni delle elementari,<br />
delle medie e i primi due delle superiori, tornando<br />
a casa nel 1975. Un anno dopo, però, la sua vita aveva<br />
avuto un’ulteriore svolta negativa: era caduto <strong>in</strong>fatti<br />
da una moto e s’era procurato un grave trauma cranico<br />
che gli aveva provocato un coma e un <strong>in</strong>tervento chirurgico<br />
molto delicato.<br />
L’<strong>in</strong>cidente gli aveva procurato anche un focolaio epilettico<br />
e, c<strong>in</strong>que anni dopo, una men<strong>in</strong>gite batterica da <strong>in</strong>-<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
fezione. C’erano anche conseguenze psichiche che avevano<br />
avuto su di lui effetti negativi a livello comportamentale.<br />
Era stato <strong>in</strong>oltre costretto ad abbandonare gli<br />
studi perché non riusciva a concentrarsi troppo a lungo<br />
senza venire aggredito da una fortissima emicrania. Anche<br />
il suo rapporto con il sesso era profondamente cambiato,<br />
<strong>in</strong>ducendolo a preferire sempre di più le forme<br />
estreme della pornografia.<br />
Il “debutto” del<strong>in</strong>quenziale di Stevan<strong>in</strong> era avvenuto tra<br />
il 1978 e il 1983 con una simulazione di reato (aveva f<strong>in</strong>to<br />
di essere stato rapito e aveva chiamato i genitori per<br />
un riscatto), violenza privata (f<strong>in</strong>gendo di avere una pistola<br />
<strong>in</strong> tasca, aveva obbligato una donna ad appartarsi<br />
con lui), rap<strong>in</strong>a (sempre f<strong>in</strong>gendo di possedere una pistola,<br />
aveva costretto una ragazza a consegnargli i suoi<br />
gioielli). Nel 1983, causa un altro <strong>in</strong>cidente stradale nel<br />
quale una giovane perde la vita ed è condannato per omicidio<br />
colposo. Nel 1989, rapisce e violenta una prostituta<br />
di Verona, ma questo crim<strong>in</strong>e rimane ignoto per diversi<br />
anni: fu scoperto solo <strong>in</strong> sede dibattimentale, quando<br />
Stevan<strong>in</strong> fu processato come “mostro”.<br />
Nonostante questi precedenti, solo dopo una lunga storia<br />
d’amore f<strong>in</strong>ita per colpa dei suoi genitori, Gianfranco<br />
si era tras<strong>formato</strong> lentamente <strong>in</strong> un killer seriale. Aveva<br />
com<strong>in</strong>ciato <strong>in</strong>fatti a frequentare le prostitute <strong>in</strong> giro per<br />
il Veneto, sviluppando un profondo <strong>in</strong>teresse per il sesso<br />
estremo, che praticava nella sua casa diventata presto un<br />
lager di morte per tante ragazze. Perso il padre, nel giro<br />
di poco tempo Stevan<strong>in</strong> aveva <strong>in</strong>fatti tras<strong>formato</strong> il casolare<br />
di Terrazzo <strong>in</strong> un locale a luci rosse con videocassette,<br />
riviste porno, vibratori, mutand<strong>in</strong>e di pizzo e reggicalze,<br />
borchie e tut<strong>in</strong>e di cuoio, c<strong>in</strong>ghie e pall<strong>in</strong>e di varie di-<br />
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mensioni. Gli piaceva anche rasare le ragazze con le quali<br />
passava la notte, perché desiderava realizzare un cusc<strong>in</strong>o<br />
di peli pubici femm<strong>in</strong>ili. Ben presto, però, quella casa<br />
si era trasformata <strong>in</strong> un luogo di orrori dal quale non tutte<br />
le “prede” ebbero la fortuna di uscire vive. C’è chi è<br />
morta durante un rapporto per un braccio stretto troppo<br />
forte <strong>in</strong>torno al collo, e chi soffocata da un sacchetto di<br />
cellophane <strong>in</strong> testa durante un’esperienza di “bondage”.<br />
La prima vittima era stata Claudia Pulejo, l’ultima Gabrielle<br />
Musger che, salvandosi miracolosamente, aveva<br />
fatto scoprire chi fosse davvero Gianfranco Stevan<strong>in</strong>.<br />
ROBERTO SUCCO. ANIMA PERSA<br />
Due agenti di custodia controllano dallo spionc<strong>in</strong>o della<br />
cella un detenuto. Non è uno qualsiasi, è uno che fa paura,<br />
uno pericolosissimo, che va sorvegliato a vista. Per<br />
fortuna non ci resterà molto lì, solo il tempo del processo.<br />
Giornali e telegiornali hanno parlato a lungo di lui, anche<br />
con “speciali”.<br />
«Come a suo tempo per il Renato Vallanzasca e prima ancora<br />
col Pietro Cavallero».<br />
«Il bel René me lo ricordo, ma Cavallero chi è».<br />
«Sei giovane, per questo non lo conosci il Cavallero. Mise<br />
<strong>in</strong> piedi una banda che fece razzie per qualche anno,<br />
poi li presero a Milano. Fecero pure un film».<br />
«Comunque io non vedo l’ora che questo qui se ne vada<br />
fuori dai coglioni».<br />
«Vedi che se s’è alzato».<br />
«Macché, è ancora <strong>in</strong> branda il signor<strong>in</strong>o… È tutto coperto».<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
«Non è possibile… Ehi tu! Alzati che è tardi… dai!».<br />
«Che fa».<br />
«Un cazzo!».<br />
«Vuoi vedere che è stato male».<br />
«O è un altro dei suoi famosi trucchi…».<br />
«Già…».<br />
«Entriamo!».<br />
Su la coperta.<br />
«Per forza non rispondeva! Questo è morto! Dai, aiutami<br />
a togliergli ‘sto sacchetto dalla testa!».<br />
«Presto, corri, vai ad avvertire il direttore!».<br />
Il ritardo di Nazario<br />
Mestre, II Distretto di Polizia San Marco, 11 aprile 1981.<br />
I colleghi dell’appuntato Nazario Succo, 53 anni di cui<br />
trenta passati <strong>in</strong> polizia, sono preoccupati perché da due<br />
giorni non si presenta al lavoro e non ha neppure avvertito.<br />
«Non è da lui».<br />
«Deve essergli successo qualcosa».<br />
«Certo, Nazario avrebbe avvertito».<br />
«Sentiamo che dice il capo».<br />
Il capo dice di muoversi subito. «Perché non mi avete avvertito<br />
prima», sbraita.<br />
«Sta a vedere che adesso è pure colpa nostra…».<br />
«C’ha ragione, c’ha! Cazzo!».<br />
Al campanello non risponde nessuno.<br />
«L’appartamento però è al primo piano… È un attimo<br />
sfondare una f<strong>in</strong>estra ed entrare <strong>in</strong> casa».<br />
«Guarda che qui non c’è nessuno».<br />
«Come sarebbe a dire che non c’è nessuno».<br />
La porta del bagno è l’unica chiusa.<br />
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Dietro c’è l’orrore, perché è così l’orrore.<br />
L’orrore sono due corpi immersi nella vasca da bagno <strong>in</strong><br />
mezzo ad acqua e sangue. Nazario e Maria sono lì, nuovi<br />
martiri di chissà chi.<br />
«E Roberto dov’è».<br />
«Chi è Roberto».<br />
«Come chi è Roberto Roberto è il figlio, ha 19 anni, fa<br />
l’ultimo anno allo scientifico, al Mor<strong>in</strong> di Gazzera».<br />
«Tu lo conosci bene Non è che è stato lui ed è sparito<br />
Non sarebbe la prima volta, anzi…».<br />
«Ma che cazzo dici, sei matto È un ragazzo tranquillo,<br />
forse un po’ troppo taciturno… È fissato col culturismo».<br />
«Vado a perquisire la casa».<br />
«Bravo, io avverto il comando».<br />
C<strong>in</strong>que m<strong>in</strong>uti dopo.<br />
«Erano ammucchiati dentro il ripostiglio, dietro un cassettone…<br />
Sono pieni zeppi di sangue».<br />
Una camicia blu, un maglione marrone.<br />
«Non ci posso credere».<br />
«Per fortuna che ero io il matto…».<br />
Nella casa della mattanza, <strong>in</strong> via Terraglio, sono <strong>in</strong>tanto<br />
arrivati quelli della polizia scientifica, il capo della squadra<br />
mobile di Venezia, dottor Arnaldo La Barbera, e il sostituto<br />
procuratore di turno, il dottor Stefano Dragone.<br />
La caccia<br />
Non sono passate due ore che <strong>in</strong>izia la caccia a Roberto<br />
Succo. Si batte tutto il Veneto e anche la Lombardia, precisamente<br />
Brescia, dove abita uno zio.<br />
«Il ragazzo si è allontanato con l’Alfasud di suo padre»,<br />
spiega da un telefono pubblico di un bar un concitato<br />
cronista de “Il Giornale di Vicenza” che ha bruciato sul<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
tempo i colleghi grazie alla talpa che ha nella Questura di<br />
Mestre. Suo cognato, non l’ha ancora sposata sua sorella,<br />
ma “è come se”. «Ha pure la sua pistola d’ord<strong>in</strong>anza, una<br />
Beretta automatica 92s con qu<strong>in</strong>dici colpi calibro 9». Intanto,<br />
la questura evidenzia nei suoi bollett<strong>in</strong>i di ricerca<br />
che «Roberto Succo è armato e pericoloso».<br />
La fuga del ricercato dura due giorni, <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, nel pomeriggio<br />
del 13 aprile viene scovato <strong>in</strong> prov<strong>in</strong>cia di Ud<strong>in</strong>e.<br />
«Pronto, polizia».<br />
«Chi parla».<br />
«Il ragazzo che cercate sta <strong>in</strong> una pizzeria, la pizzeria <strong>in</strong><br />
piazza a San Pietro Natisone».<br />
«Che ragazzo».<br />
«Quello che ha fatto fuori i genitori. La macch<strong>in</strong>a è l’Alfasud<br />
delle segnalazioni, solo che è targata Ud<strong>in</strong>e <strong>in</strong>vece<br />
che Venezia».<br />
La targa è <strong>in</strong>fatti falsa: Succo l’ha rubata a un’altra macch<strong>in</strong>a.<br />
Gli sono addosso <strong>in</strong> un soffio, prima che possa recuperare<br />
la Beretta dalla custodia di una macch<strong>in</strong>a fotografica <strong>in</strong> cui<br />
l’aveva nascosta. Gli viene anche da sorridere. “Ti farei riderei<br />
io, pezzo di merda”, pensa il maresciallo dei carab<strong>in</strong>ieri<br />
che l’ha bloccato mentre i suoi colleghi trovano nell’auto<br />
parecchi proiettili e un coltello. L’arma del massacro.<br />
Se prima sparava qualche sorriso ebete, una volta <strong>in</strong> caserma,<br />
Succo delira: «Sono stati dei carab<strong>in</strong>ieri a uccidere<br />
i miei genitori, io sono scappato prima che uccidessero<br />
anche me». Poco dopo una macch<strong>in</strong>a lo preleva per<br />
portarlo al commissariato di Mestre, dove lo aspetta il<br />
dottor La Barbera. Durante il tragitto, all’improvviso, aggredisce<br />
con pugni e morsi i due carab<strong>in</strong>ieri. Ricondotto<br />
a più miti ragioni, resterà calmo per tutto l’<strong>in</strong>terrogato-<br />
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rio, durante il quale confessa tutto. È stato lui a uccidere<br />
i suoi genitori. Dopo la deposizione viene condotto nel<br />
carcere di Santa Maria Maggiore, a Venezia, dove sarà <strong>in</strong>terrogato<br />
dal magistrato.<br />
Perché<br />
«Mia madre non era affettuosa con me. Era come se non<br />
esistessi. Non era come le altre mamme, dioboia!», spiega<br />
Succo al sostituto procuratore, il dottor Dragone, che<br />
cerca di capire che razza di mostro ha davanti.<br />
«E tuo padre Pure tuo padre non era affettuoso».<br />
«Lù non me faseva mai prender la mach<strong>in</strong>a! Che vada en<br />
malora pure lù!».<br />
Poi descrive le modalità del duplice omicidio.<br />
«Chi per primo Chi hai ucciso prima».<br />
«Mia madre. Gò copà prima ela. Poi ho aspettato che tornasse<br />
a casa mio padre e appena è entrato gli ho tirato la<br />
prima coltellata».<br />
«Perché li hai messi nella vasca».<br />
«Perché così l’acqua copriva l’odore, ritardava la scoperta<br />
dei corpi e io potevo allontanarmi di più».<br />
«Che ora era quando sei uscito di casa».<br />
«Le 7. Le 7 del matt<strong>in</strong>o. Ho preso la pistola e trecentomila<br />
lire dal comò, tutto quello che c’era. Loro tenevano lì i<br />
contanti».<br />
«Sapevi già dove andare, cosa fare».<br />
«Prima ho pensato di raggiungere mio zio a Brescia per<br />
raccontargli tutto, ma poi ho deciso di prendere tempo e<br />
pensare bene a cosa fare. Ho girato <strong>in</strong> macch<strong>in</strong>a, sono arrivato<br />
<strong>in</strong> Friuli».<br />
«Ma prima sei passato nuovamente da casa… Sei stato tu<br />
a rompere i sigilli».<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
«Sì».<br />
«Perché, cosa ci sei tornato a fare».<br />
«Volevo prendere i corpi e farli sparire, ma non c’erano<br />
più».<br />
Parlando col magistrato, Roberto evidenzia buone conoscenze<br />
di anatomia derivategli da una passione che lo<br />
aveva portato f<strong>in</strong> da piccolo a scoprire come erano fatti i<br />
corpi. Per questo aveva sezionato molti animali dopo<br />
averli cloroformizzati.<br />
Non punibile<br />
Reggio Emilia, 8 ottobre 1981<br />
Le perizie psichiatriche lo hanno giudicato schizofrenico.<br />
Roberto Succo è stato dichiarato non punibile per totale<br />
<strong>in</strong>fermità mentale e ricoverato nel manicomio crim<strong>in</strong>ale<br />
di Reggio Emilia, dove rimarrà f<strong>in</strong>o alla guarigione e, comunque,<br />
non meno di dieci anni.<br />
In questa struttura, Roberto è tranquillo, anche se scrive<br />
lettere <strong>in</strong>quietanti a don Domenico Franco, un sociologo:<br />
«Se volessi», scrive fra l’altro, «potrei stritolare con una<br />
sola mano almeno c<strong>in</strong>que guardie». Chi raccoglie le sue<br />
confidenze sente giudizi volgari e pieni di livore nei confronti<br />
delle donne: «Le mie compagne di classe erano<br />
tutte delle stronzette, avrei voluto strozzarle con le mie<br />
mani». Ammira molto un recluso che è nello stesso carcere,<br />
uno “famoso”: Wolfgang Abel. Con l’amico Marco<br />
Furlan aveva massacrato a Verona qu<strong>in</strong>dici persone con<br />
la sigla di Ludwig. Dovevano “ripulire la società”.<br />
Non dà problemi, Roberto, che addirittura porta a term<strong>in</strong>e<br />
gli studi liceali e si iscrive alla facoltà di Scienze naturali,<br />
sostenendo un esame dietro l’altro. Risultati che gli<br />
fruttano alcune licenze studio. Ed è durante una di que-<br />
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ste licenze che scompare. Va bene tutto, ma dieci anni<br />
sono un tempo troppo lungo. Ne ha passati ben sei lì dentro,<br />
adesso basta. Lo cercano dappertutto, ma lui è scomparso,<br />
scompare nel nulla per due anni. F<strong>in</strong>o all’11 febbraio<br />
1988, quando l’ANSA batte questa agenzia: «Parigi,<br />
11 febbraio – Una serie di controlli effettuati <strong>in</strong> Italia<br />
hanno permesso alla polizia francese di identificare un<br />
pericoloso assass<strong>in</strong>o al quale si sta dando la caccia da<br />
qu<strong>in</strong>dici giorni: è Roberto Succo, di 25 anni, fuggito nel<br />
1986 da un ospedale psichiatrico di Reggio Emilia, dove<br />
era stato r<strong>in</strong>chiuso per schizofrenia dopo avere ucciso<br />
nel 1981, a Mestre, il padre e la madre». Qu<strong>in</strong>di era lì che<br />
era scappato, come sospettavano gli <strong>in</strong>vestigatori italiani,<br />
<strong>in</strong> Francia.<br />
André<br />
Tolone, 28 gennaio 1988<br />
Ajazzi e Morand<strong>in</strong> sono due ispettori della polizia francese<br />
che stanno dando la caccia a un certo André che la<br />
notte prima, durante una rissa <strong>in</strong> un bar, ha ferito un uomo<br />
con un colpo di pistola. La soffiata di un <strong>in</strong><strong>formato</strong>re<br />
<strong>in</strong>dica un hotel: «Lo trovate lì».<br />
La signora al banco <strong>in</strong>formazioni ha passato da un pezzo<br />
i c<strong>in</strong>quanta, ma si sente ancora piacente. Fa un lungo sospiro<br />
che gonfia oltremodo la sua qu<strong>in</strong>ta sfacciata, s’aggiusta<br />
una ciocca di capelli biondo cenere che però torna<br />
giù per dispetto, controlla l’effetto che ha prodotto la<br />
sua avvenenza sui due poliziotti che chiedono dell’uomo<br />
e f<strong>in</strong>almente risponde: «Non è <strong>in</strong> camera». I flic stanno<br />
per <strong>in</strong>filare la seconda domanda quando la donna cambia<br />
espressione di colpo, mentre dall’<strong>in</strong>gresso dell’hotel arriva<br />
l’<strong>in</strong>ferno. Colpi di pistola.<br />
157
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ARMI IN PUGNO<br />
A sparare è proprio quell’André ricercato. L’ispettore<br />
Claude Ajazzi è a terra, immobile, ricurvo su un lato, gli<br />
occhi sbarrati. André lo crede morto, ma è solo ferito.<br />
Come ferito è anche Michel Morand<strong>in</strong>, che però si lamenta,<br />
reggendo ancora l’arma. Una Smith&Wesson 38 Special.<br />
Una meraviglia della tecnica. André la strappa dalle<br />
mani del poliziotto, la guarda con ammirazione, poi la<br />
punta contro la faccia del poliziotto, che lo supplica,<br />
piange, tira fuori la sua famiglia. Gli rispondono tre colpi<br />
di quel grosso calibro che gli sfasciano la faccia.<br />
La caccia a quel maledetto da parte della polizia francese<br />
è rabbiosa. Tutta Tolone è sotto assedio, passata al setaccio,<br />
mentre la TV diffonde l’identikit di André. Ed è<br />
grazie alla televisione che arriva la pista giusta. Al comando<br />
centrale di polizia si presentano <strong>in</strong>fatti tre persone:<br />
padre, madre e figlia di 16 anni. Lei, la ragazz<strong>in</strong>a, era<br />
stata con quel bastardo. L’ha riconosciuto <strong>in</strong> televisione,<br />
poi è svenuta. Ma non si chiama André. Si chiama Roberto.<br />
È un attimo <strong>in</strong>crociare l’<strong>in</strong>formazione con le facce dei<br />
galantuom<strong>in</strong>i sul cui capo pende un mandato di cattura<br />
<strong>in</strong>ternazionale. B<strong>in</strong>go! È Roberto Succo. Che, due giorni<br />
dopo, sarà ricercato furiosamente anche dalla polizia<br />
svizzera.<br />
Dopo la sparatoria di Tolone aveva <strong>in</strong>fatti passato il conf<strong>in</strong>e.<br />
Sulla strada fra G<strong>in</strong>evra e Losanna aveva aggredito<br />
il gestore di una stazione di servizio per rubargli la macch<strong>in</strong>a<br />
e proseguire la sua fuga. Abbandonata anche quell’auto,<br />
ne aveva fermata un’altra alla cui guida c’era una<br />
ragazza alla quale aveva <strong>in</strong>timato di accompagnarlo f<strong>in</strong>o<br />
a Berna. Lungo il tragitto, però, c’era stato un <strong>in</strong>cidente<br />
e la ragazza, terrorizzata, era riuscita a fuggire. Intanto<br />
era arrivata la polizia, ma Succo non ci aveva pensato<br />
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due volte a sparare, creandosi una via di fuga. Di nuovo<br />
libero. Libero di uccidere. Ma non solo.<br />
F<strong>in</strong>e corsa<br />
Succo non è soltanto un omicida. È anche uno stupratore.<br />
A Lyss, vic<strong>in</strong>o Berna, tre donne denunciano di essere<br />
state sequestrate e violentate. La descrizione che danno<br />
dell’aggressore non lascia spazio a dubbi: è lui. Il 20 febbraio<br />
è segnalato a Sa<strong>in</strong>te-Tuille, nell’Alta Provenza. È<br />
dunque rientrato <strong>in</strong> Francia. Perché Forse per recuperare<br />
denaro da qualcuno che lo aiuta. Un testimone lo ha<br />
identificato al volante di una Opel nera, ma di lui non c’è<br />
traccia, nonostante sia braccato da tre polizie europee.<br />
Ad avere fortuna è proprio quella italiana che, dopo averlo<br />
cercato a Belluno, Milano e Treviso, arriva a Santa Lucia<br />
di Piave, un paes<strong>in</strong>o vic<strong>in</strong>o a Conegliano. Questa volta,<br />
fra le tante segnalazioni, è arrivata quella giusta. Succo<br />
si sente perso e cerca di raggiungere una Rover 800 rubata<br />
il giorno prima sul lago di Garda, a Sirmione, nel portaoggetti<br />
c’è la Smith&Wesson dell’ispettore francese ucciso.<br />
I poliziotti, però, gli sono addosso e lo immobilizzano<br />
prima che possa aprire lo sportello. Oltre alla pistola,<br />
<strong>in</strong> macch<strong>in</strong>a Succo ha documenti falsi, un libretto d’assegni,<br />
quattrocentomila lire e sessantamila franchi francesi.<br />
C’è anche una cart<strong>in</strong>a geografica sulla quale ha segnato<br />
l’it<strong>in</strong>erario della fuga, dest<strong>in</strong>azione Nord Africa.<br />
Portato <strong>in</strong> questura, a Treviso, al dottor Francesco Zonno,<br />
capo della squadra mobile, che gli chiede di dichiarare anche<br />
la sua professione, risponde: «Ammazzo la gente».<br />
Succo elenca qu<strong>in</strong>di i suoi crim<strong>in</strong>i come fossero tappe di<br />
un curriculum professionale. A parte i genitori, ha ucciso<br />
l’ispettore Morand<strong>in</strong>, France Vu D<strong>in</strong>h, una ragazza<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
vietnamita, Michel Astoul, un medico di Annecy, Claudie<br />
Duschosal, una donna prima violentata, il brigadiere André<br />
Castillo, un poliziotto svizzero che voleva controllargli<br />
i documenti. L’unica consolazione degli <strong>in</strong>quirenti è<br />
che ora Roberto Succo è nelle mani della giustizia. Questa<br />
volta la corsa è f<strong>in</strong>ita. Forse…<br />
This is the end<br />
Treviso, carcere di Santa Bona, 1 marzo 1988<br />
Le disposizioni sono precise: si tratta di un pericoloso<br />
crim<strong>in</strong>ale che va controllato a vista. A leggere la sua storia<br />
sembra di stare <strong>in</strong> una canzone di Jim Morrison: «Father<br />
I want to kill you/ mother I want to fuck you». Uno<br />
che va controllato a vista perché basta un attimo e quello<br />
è capace di scappare di nuovo. Deve solo aspettare il<br />
momento giusto. Che prima o poi arriverà. Infatti arriva<br />
quando, durante l’ora d’aria, Succo si accorge che i tre<br />
agenti di custodia si sono distratti e ne approfitta per<br />
raggiungere con un salto una tettoia e da lì il tetto del<br />
carcere, da dove raggiunge quello di un altro edificio. Nel<br />
frattempo arriva anche la TV e a quel punto Succo improvvisa<br />
uno show, dondolandosi nel vuoto appeso a una<br />
sbarra, urlando che lui è meglio dei parà. Le sue <strong>in</strong>vettive<br />
sono rivolte soprattutto verso una donna che lo ha tradito,<br />
anzi, una ragazza di 16 anni, quella che lo ha denunciato<br />
a Tolone: «L’unica persona che ho amato».<br />
L’esibizione senza possibilità di fuga term<strong>in</strong>a nel pomeriggio,<br />
quando durante un’altra acrobazia, Succo cade da<br />
sei metri rompendosi un po’ di ossa. Anche conciato male,<br />
però, si dibatte come un leone quando viene afferrato<br />
e i medici sono costretti a somm<strong>in</strong>istrargli potenti dosi di<br />
calmanti. Il serial killer più pericoloso del momento vie-<br />
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ne qu<strong>in</strong>di trasferito nel carcere di Livorno, dove è r<strong>in</strong>chiuso<br />
<strong>in</strong> isolamento e, neanche a dirlo, sorvegliato a vista.<br />
I francesi però non si fidano e l’8 marzo chiedono l’estradizione<br />
di Succo. Hanno paura che una nuova perizia psichiatrica<br />
possa giudicarlo schizofrenico e che venga di<br />
nuova prosciolto dalle accuse perché riconosciuto <strong>in</strong>fermo<br />
di mente. Contemporaneamente arrivano rogatorie,<br />
almeno una dec<strong>in</strong>a, <strong>in</strong>oltrate dai giudici svizzeri e francesi<br />
che <strong>in</strong>dagano sugli altri delitti attribuiti a Roberto. Il 23<br />
aprile è a Treviso un magistrato d’oltralpe, il giudice<br />
istruttore Louis Bertrand, del tribunale di Tolone. L’<strong>in</strong>terrogatorio<br />
dura poco più di dieci m<strong>in</strong>uti perché, appena<br />
vede il giudice, Succo com<strong>in</strong>cia a parlare <strong>in</strong> francese: veri<br />
e propri deliri, come quando diceva che a uccidere i<br />
suoi erano stati i carab<strong>in</strong>ieri. Poi passa all’italiano, ma solo<br />
per avvalersi della facoltà di non rispondere.<br />
Il 17 maggio, il giudice istruttore Nicola Maria Pace esam<strong>in</strong>a<br />
la perizia psichiatrica che un collegio di esperti ha<br />
condotto sul crim<strong>in</strong>ale con una serie di colloqui presso il<br />
carcere di Livorno. Qui c’è scritto che Roberto Succo è<br />
schizofrenico e pericoloso per la società, così il giudice<br />
Pace non può che dichiararlo <strong>in</strong>capace di <strong>in</strong>tendere e di<br />
volere.<br />
In Francia il s<strong>in</strong>dacato nazionale autonomo della polizia<br />
<strong>in</strong> borghese, che raccoglie ispettori e commissari di polizia,<br />
protesta vivamente con il M<strong>in</strong>istero della Giustizia<br />
francese e il giudice Bertrand chiede subito una controperizia<br />
con esperti e psichiatri francesi. Comunque sia,<br />
<strong>in</strong>tanto Roberto deve tornare <strong>in</strong> un istituto psichiatrico<br />
giudiziario, come sette anni prima, ma anche questa volta,<br />
le cose non vanno come dovrebbero andare.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
Notizia ANSA. «Roberto Succo si è suicidato la scorsa notte<br />
nel carcere di Vicenza.<br />
Lo avevano trasferito lì dal carcere di Livorno perché fosse<br />
più vic<strong>in</strong>o al tribunale e non facesse scherzi durante i<br />
trasferimenti. Lo avevano chiuso <strong>in</strong> una cella d’isolamento<br />
del carcere San Pio X ed era praticamente sorvegliato<br />
a vista. Accortisi che il prigioniero era ancora <strong>in</strong> branda<br />
nonostante l’ora tarda, gli agenti di custodia erano entrati<br />
e, dopo aver sollevato il cusc<strong>in</strong>o, si sono accorti che il<br />
Succo aveva la testa <strong>in</strong>filata <strong>in</strong> un sacchetto di plastica<br />
pieno del gas di una bomboletta da campeggio. Aveva 26<br />
anni».<br />
Vicenza, 23 maggio 1988<br />
LA STRANA MORTE DI DON BISAGLIA<br />
Don Mario non era un prete qualunque. Il suo cognome,<br />
Bisaglia, era lo stesso di Antonio, “Toni” Bisaglia, il potente<br />
leader della DC, presidente del gruppo democristiano<br />
al Senato, annegato il 24 giugno ’84 nel Mar Ligure.<br />
Onda anomala, avevano detto, ma lui, don Mario, non ci<br />
aveva mai creduto. Non aveva mai creduto a quella versione,<br />
nonostante la moglie di Toni, Romilda Bollati di<br />
Sa<strong>in</strong>t Pierre, sposata l’anno prima, l’avesse sempre sostenuta<br />
con tenacia: «Toni è stato <strong>in</strong>vestito da un’onda anomala<br />
mentre era a bordo del panfilo Rosalù, di mia proprietà».<br />
Don Mario era uscito di casa il 14 agosto 1992, senza tonaca,<br />
e con la sua bicicletta aveva raggiunto la Casa del<br />
Clero di Rovigo. Lì, una suora aveva chiesto di potergli<br />
parlare, ma lui non aveva tempo, aveva fretta, tanta fret-<br />
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ta: doveva prendere il treno per Calalzo. E quel treno<br />
partiva alle 7. «Devo <strong>in</strong>contrare delle persone che mi<br />
aspettano», aveva detto <strong>in</strong> modo concitato, ed era scappato<br />
via. Testimoni lo avevano visto arrivare <strong>in</strong> stazione<br />
alle 6.45, acquistare il biglietto alle 6.55 e salire sul treno<br />
diretto a Padova, da dove avrebbe preso la co<strong>in</strong>cidenza<br />
per Calalzo alle 9.25, ma a Calalzo, Don Mario non arriverà<br />
mai.<br />
Si è suicidato<br />
Una donna che lo aveva <strong>in</strong>contrato alla stazione di Rovigo,<br />
testimoniava di averlo rivisto alle 7.50 nel piazzale antistante<br />
la stazione mentre saliva a bordo di un’auto bianca<br />
di grossa cil<strong>in</strong>drata con quattro persone a bordo. Come<br />
poteva essere lì a quell’ora, don Mario C’era chi testimoniava<br />
di averlo visto salire sul treno, qu<strong>in</strong>di l’<strong>in</strong>congruenza<br />
poteva essere spiegata solo <strong>in</strong> un modo: il sacerdote<br />
era sceso da quel treno alla prima fermata, a Monselice,<br />
ed era tornato a Rovigo con un altro convoglio.<br />
Perché lo avrebbe fatto Un altro testimone dichiarava di<br />
averlo visto alle 8.35 alla stazione di Padova, dove avrebbe<br />
potuto arrivare se si fosse fatto accompagnare da<br />
quella fantomatica auto.<br />
Comunque, di don Mario s’erano perdute completamente<br />
le tracce, f<strong>in</strong>ché il suo corpo era stato r<strong>in</strong>venuto due<br />
giorni dopo, il 17 agosto, nel lago di Domegge, <strong>in</strong> Cadore.<br />
A quando risaliva la morte Non c’era concordanza neppure<br />
su questo. L’anatomopatologo, <strong>in</strong>fatti, la faceva risalire<br />
al giorno 14 – lo stesso della scomparsa – per annegamento.<br />
Per un altro medico dell’USL locale, <strong>in</strong>vece, il<br />
decesso risaliva a circa dodici ore prima del ritrovamento,<br />
cioè alla matt<strong>in</strong>a di quello stesso 17 agosto. Su una co-<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
sa i due medici erano d’accordo: si trattava di un suicidio<br />
per annegamento.<br />
Un suicidio, ma come si spiegavano i tanti punti oscuri<br />
Perché, per suicidarsi, un uomo avrebbe preso un treno<br />
(o <strong>in</strong> <strong>alternativa</strong> farsi portare) da Rovigo f<strong>in</strong> su a Domegge<br />
per buttarsi poi nel lago Per annegarsi, acqua ce<br />
n’era a sufficienza anche a pochi chilometri da casa, ma,<br />
soprattutto, perché don Mario, un sacerdote molto attivo<br />
nella propria parrocchia, avrebbe dovuto suicidarsi<br />
E perché doveva andare a Calalzo Perché voleva <strong>in</strong>contrare<br />
il Papa, <strong>in</strong> quei giorni <strong>in</strong> vacanza nel Cadore. Motivo:<br />
ottenere da lui la dispensa dal segreto del confessionale.<br />
Una dispensa negatagli dal vescovo di Belluno. Cosa<br />
aveva di così grave da raccontare per chiedere una dispensa<br />
Dobbiamo tornare a otto anni prima, alla scomparsa, altrettanto<br />
misteriosa, di suo fratello Toni. Una morte che<br />
don Mario non aveva mai ritenuto accidentale. Suo fratello<br />
era stato ucciso e ora, f<strong>in</strong>almente, sapeva da chi e<br />
perché.<br />
L’ombra della P2<br />
Quando morì, il senatore democristiano Toni Bisaglia era<br />
una figura di primissimo piano all’<strong>in</strong>terno del suo partito.<br />
Nel mare antistante Portof<strong>in</strong>o, quel 26 giugno, Toni si<br />
stava godendo il sole a bordo dello yacht Rosalù con sua<br />
moglie e alcuni amici. Per motivi mai chiariti, f<strong>in</strong>ì <strong>in</strong> mare<br />
e quando fu ripescato i tentativi di rianimarlo furono<br />
<strong>in</strong>utili. Sulla d<strong>in</strong>amica degli avvenimenti, gli ospiti dello<br />
yacht fornirono versioni discordanti. Non fu effettuata<br />
neppure l’autopsia, perché, su disposizione del presidente<br />
del Senato, Francesco Cossiga, un C130 dell’aeronau-<br />
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tica militare recuperò subito la salma con dest<strong>in</strong>azione<br />
Roma, per le esequie di Stato.<br />
La f<strong>in</strong>e di Toni Bisaglia lasciò il gruppo dei dorotei senza<br />
una guida e nel giro di poco tempo sparì dalla circolazione<br />
anche uno dei suoi amici più fidati: quell’Ugo Niutta<br />
posto a capo della Farmitalia (Carlo Erba) proprio dal<br />
politico di Rovigo. Niutta morì a Londra, “suicida”, come<br />
Roberto Calvi e, come Calvi, nel “giro” della P2. A differenza<br />
di Calvi, però, lui non si impiccò, anzi, non fu impiccato.<br />
A ucciderlo fu una dose massiccia di Tavor. Si<br />
era suicidato perché malato, ma pur essendo malato di<br />
Park<strong>in</strong>son, le terapie “conservative” gli consentivano di<br />
condurre un’esistenza normale. Poco normale, <strong>in</strong>oltre, risulta<br />
la scelta di Londra come scenario del suicidio. A<br />
Londra, molto probabilmente, Calvi e Niutta avevano comuni<br />
frequentazioni e comuni affari. L’elim<strong>in</strong>azione di<br />
Niutta poteva rientrare <strong>in</strong> una più ampia strategia di liquidazione<br />
del potere dei dorotei, che solo pochi anni<br />
prima aveva sofferto la perdita del loro leader, Aldo Moro<br />
I segreti della P2 dovevano restare tali, anche a costo<br />
di elim<strong>in</strong>are un senatore e un suo stretto collaboratore<br />
Interrogativi dest<strong>in</strong>ati a restare senza risposta.<br />
Chi l’ha visto<br />
Don Mario, che non aveva mai ritenuto accidentale la<br />
morte del fratello, aveva scoperto qualcosa. Pochi giorni<br />
prima della sua morte aveva conosciuto particolari essenziali<br />
su quella tragica vicenda di Portof<strong>in</strong>o. Confidenze<br />
raccolte però dal confessionale, per poterle utilizzare<br />
aveva bisogno della dispensa. Dispensa che, negatagli dal<br />
vescovo, don Mario voleva chiedere direttamente al papa.<br />
Per questo era stato elim<strong>in</strong>ato, ma non c’era nessuna<br />
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ARMI IN PUGNO 22_7_10 2-09-2010 11:53 Pag<strong>in</strong>a 166<br />
ARMI IN PUGNO<br />
prova. Così, anche la morte di don Mario era stata archiviata.<br />
Caso chiuso, come quello di suo fratello Toni.<br />
Qualcuno, però, non era conv<strong>in</strong>to. Quel qualcuno era il<br />
sostituto procuratore Raffaele Massaro, che nel 2003<br />
aveva fatto riaprire il caso, ord<strong>in</strong>ando una nuova perizia<br />
sul cadavere. Si era così scoperto che il corpo era stato<br />
sicuramente gettato <strong>in</strong> acqua dopo essere rimasto esposto<br />
al caldo di agosto <strong>in</strong> un luogo asciutto. Crollava qu<strong>in</strong>di<br />
la tesi del suicidio per annegamento e il magistrato era<br />
ricorso all’<strong>in</strong><strong>formato</strong>re più potente: la televisione. Si era<br />
rivolto <strong>in</strong>fatti alla trasmissione “Chi l’ha visto” con la<br />
speranza che si facesse vivo un testimone anonimo. Un<br />
uomo che dopo la morte del sacerdote aveva telefonato<br />
agli <strong>in</strong>quirenti affermando di aver visto degli sconosciuti<br />
gettare nel lago qualcosa di volum<strong>in</strong>oso, forse un corpo.<br />
L’anonimo veniva dunque <strong>in</strong>vitato a rifarsi vivo e a dichiarare<br />
tutto quello che sapeva, ma nessuno si fece avanti.<br />
La seconda <strong>in</strong>chiesta faceva luce anche su altri dettagli.<br />
Si scopriva per esempio che don Mario aveva deciso di<br />
partire improvvisamente dopo una misteriosa telefonata<br />
ricevuta il giorno prima. Si era anche scoperto che per<br />
quel 14 agosto don Mario aveva fissato un appuntamento<br />
con due giornalisti, Daniele Vimercati e Michele Brambilla,<br />
ai quali aveva promesso rivelazioni sensazionali per<br />
il libro che stavano scrivendo. Un libro uscito <strong>in</strong> quello<br />
stesso anno con l’<strong>in</strong>quietante titolo de Gli annegati. Facile<br />
supporre che le rivelazioni promesse riguardassero<br />
suo fratello e l’improbabile <strong>in</strong>cidente che gli era costata<br />
la vita. Don Mario non aveva mai creduto alla versione ufficiale<br />
e ora, f<strong>in</strong>almente, ne aveva le prove. Sarebbe bastata<br />
quella dispensa per svelare il segreto. Un segreto<br />
che doveva rimanere tale.<br />
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Tuttavia, non c’era lo straccio di una prova, un riscontro,<br />
così su tutta la vicenda era calato di nuovo il sipario: l’<strong>in</strong>chiesta<br />
riaperta da Massaro veniva archiviata per l’impossibilità<br />
di identificare autori e mandanti dell’omicidio<br />
di don Mario Bisaglia. Perché quel sacerdote era stato<br />
ucciso.<br />
È stato un omicidio<br />
Al mistero della morte di Toni Bisaglia, si aggiungeva<br />
qu<strong>in</strong>di il mistero della morte del fratello, ma <strong>in</strong> questo caso<br />
la magistratura parlava chiaramente di omicidio.<br />
Quali elementi giustificavano questa conv<strong>in</strong>zione Massaro<br />
aveva riaperto l’<strong>in</strong>chiesta basandosi su un esposto<br />
rivelatosi poi poco attendibile, tuttavia, dopo aver riesumato<br />
la salma per verificare le cause della morte, si scoprì<br />
che nei polmoni di don Bisaglia non c’era traccia delle<br />
tipiche alghe della zona cador<strong>in</strong>a e i medici spiegarono<br />
che il sacerdote era morto per soffocamento, non per annegamento.<br />
Qu<strong>in</strong>di, don Mario era morto prima di essere<br />
gettato <strong>in</strong> acqua. Grazie a questa importante scoperta, e<br />
considerate le affermazioni della vittima sul caso del fratello,<br />
i magistrati tornarono a <strong>in</strong>dagare anche sull’importante<br />
uomo politico veneto. Indag<strong>in</strong>i che però, ancora<br />
una volta, non portarono a nulla.<br />
Di nuovo, si ricostruirono tutti i movimenti di don Bisaglia<br />
da Rovigo a Calalzo di Cadore, vic<strong>in</strong>o al lago <strong>in</strong> cui<br />
venne trovato cadavere il 17 agosto, concentrando l’attenzione<br />
sull’<strong>in</strong>tervallo di tempo che andava dalle 7 alle<br />
20.30 di quella giornata. Furono riascoltati tutti i testimoni,<br />
compresa la donna che aveva dichiarato di averlo<br />
visto salire a bordo di una berl<strong>in</strong>a bianca, e non sul treno,<br />
<strong>in</strong> compagnia di misteriosi personaggi. Tuttavia, an-<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
che questa volta non si riuscì ad andare oltre, a chiarire<br />
il giallo di don Bisaglia, che era stato ritrovato con alcuni<br />
sassi <strong>in</strong> tasca, un foglietto di appunti poco significativi,<br />
e 850mila lire nascosti nei calz<strong>in</strong>i.<br />
MICHELE PROFETA. SCALA REALE CON LA MORTE<br />
Padova, 16 febbraio 2001. Michele Profeta, di orig<strong>in</strong>e siciliana<br />
ma residente a Mestre, veniva fermato per omicidio.<br />
Nel corso delle perquisizioni a suo carico, furono trovati<br />
un revolver Iver Johnson calibro 32, un mazzo di carte<br />
dal quale mancavano quattro re e un normografo. Il<br />
normografo con il quale il serial killer aveva scritto le lettere.<br />
La storia di Michele Profeta era <strong>in</strong>iziata a Palermo, nel<br />
‘47. Figlio di una famiglia medio borghese, aveva vissuto<br />
drammaticamente il costante confronto con suo fratello<br />
maggiore, Maurizio Profeta, al quale lo sottoponevano i<br />
genitori. Maurizio era più bravo, Maurizio era più educato,<br />
Maurizio era più rispettoso. Un tormento. I coniugi<br />
Profeta avevano grandi ambizioni per i figli, non tanto<br />
per il loro futuro, ma per tenere alto il nome di una famiglia<br />
importante, rispettata. Nonostante ciò, nonostante la<br />
pressione di una famiglia oppressiva, sia il bravo Maurizio,<br />
sia la pecora nera Michele non erano andati oltre il<br />
diploma: Maurizio aveva trovato lavoro <strong>in</strong> banca, mentre<br />
Michele, iscritto alla facoltà di Giurisprudenza, non aveva<br />
term<strong>in</strong>ato gli studi. Per Michele erano <strong>in</strong>iziate le sconfitte<br />
della vita, quasi dei fallimenti annunciati.<br />
Anche sul fronte privato, <strong>in</strong>timo, i fratelli Profeta subivano<br />
i voleri della famiglia, più precisamente della madre.<br />
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Michele fu costretto <strong>in</strong>fatti a chiudere con il suo grande<br />
amore, Concetta, perché Concetta era figlia del popolo,<br />
di una classe sociale <strong>in</strong>feriore. Non poteva mischiare il<br />
suo sangue con quello della loro famiglia, perché sarebbe<br />
stato un disonore. Adriana <strong>in</strong>vece andava bene, quella<br />
poteva perf<strong>in</strong>o sposarla e crearsi una famiglia. Sembrava<br />
tutto a posto, erano nati anche due figli, ma era durata<br />
f<strong>in</strong>ché era vissuta la madre padrona.<br />
Quando era morta, Michele si era sentito libero di scegliere.<br />
Libero di tornare da Concetta che non aveva mai<br />
dimenticato. Si era separato qu<strong>in</strong>di dalla moglie e, appena<br />
la legge glielo aveva consentito, aveva sposato Concetta.<br />
Erano nati due figli anche da questa unione.<br />
L’unione per tutta la vita, perché quella era la donna della<br />
sua vita. Le cose sembravano andare f<strong>in</strong>almente per il<br />
verso giusto: era impiegato presso una società immobiliare,<br />
chiudeva parecchi contratti, guadagnava bene. Una<br />
famiglia a posto, una famiglia borghese come tante.<br />
Purtroppo, un nuovo fallimento era dietro l’angolo di una<br />
notte. Una notte <strong>in</strong> cui Michele aveva scoperto casualmente<br />
una verità raggelante e dolorosa. La sua donna,<br />
quella che aveva sempre amato, quella per la quale aveva<br />
combattuto anche contro la sua famiglia, non esisteva.<br />
Era come Dulc<strong>in</strong>ea per Don Chisciotte. La sua donna lo<br />
tradiva e il suo amore si era improvvisamente tras<strong>formato</strong><br />
<strong>in</strong> odio, mentre lui non ci stava più con la testa. Anche<br />
il lavoro ne aveva risentito e da lì a poco era arrivato il<br />
fallimento della sua società immobiliare.<br />
La svolta<br />
Dall’immobiliare era passato qu<strong>in</strong>di al settore f<strong>in</strong>anziario.<br />
Intanto aveva conosciuto un’altra donna, Antonella, ma<br />
169
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ARMI IN PUGNO<br />
non aveva il coraggio di lasciare Concetta. La odiava per<br />
quello che gli aveva fatto, però non riusciva a non amarla.<br />
E poi aveva messo su una famiglia con lei, aveva messo<br />
al mondo dei figli.<br />
La nuova vita di Michele correva ora su un doppio b<strong>in</strong>ario,<br />
con le due donne che ignoravano l’una l’esistenza<br />
dell’altra. Anche il settore f<strong>in</strong>anziario però si era presto<br />
rivelato un fallimento. L’ennesimo. Alla soglia dei c<strong>in</strong>quant’anni,<br />
si trasferisce <strong>in</strong> Veneto e sceglie Adria (Rovigo)<br />
per vivere con la moglie e i figli, mentre a Mestre<br />
piazza Antonella. Le cose sembravano andare bene f<strong>in</strong>o a<br />
quando non era stato licenziato. Un nuovo fallimento.<br />
Questa volta, però, aveva la soluzione: la svolta della sua<br />
vita. L’11 gennaio 2001, alla questura di Milano era arrivata<br />
una lettera: «Questo è un ricatto. Vogliamo 12 miliardi<br />
altrimenti uccideremo delle persone a caso <strong>in</strong> qualsiasi<br />
città. Sarà un bagno di sangue, dovete pubblicare<br />
questa <strong>in</strong>serzione sul “Corriere della Sera”: offresi tornitore<br />
specializzato dodici anni di esperienza e un numero<br />
di cellulare, entro il 15-01-01. Se non ubbidirete dopo le<br />
prime uccisioni manderemo copie alla TV e giornali e magari<br />
a qualcuno verrà voglia di imitarci e scateneremo il<br />
terrore».<br />
Il 15 gennaio, come richiesto, erano stati pubblicati l’annuncio<br />
e il numero di cellulare, ma le telefonate che erano<br />
seguite erano tutte da parte di persone effettivamente<br />
<strong>in</strong>teressate all’impiego proposto. Il 29 gennaio la polizia<br />
aveva ricevuto una segnalazione per un taxi fermo<br />
con a bordo una persona esanime. Il quarantunenne<br />
Pierpaolo Lissandron giaceva all’<strong>in</strong>terno della vettura,<br />
colpito da un proiettile alla nuca. Era morto poco dopo il<br />
ritrovamento, senza aver ripreso conoscenza. La spari-<br />
170
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zione del suo portafogli faceva pensare a una rap<strong>in</strong>a, ma<br />
non era così. Era la promessa mantenuta, come spiegava<br />
la seconda lettera del killer, arrivata il primo febbraio.<br />
«Cont<strong>in</strong>ueremo f<strong>in</strong>o a quando non pubblicherete sul<br />
“Corriere della Sera” questa <strong>in</strong>serzione: offresi tornitore<br />
specializzato dodici anni di esperienza e un numero di<br />
cellulare. Padova 1», recitava il secondo, folle messaggio.<br />
Passati dodici giorni, Walter Boscolo, 37 anni, agente immobiliare,<br />
era stato ritrovato riverso <strong>in</strong> una pozza di sangue<br />
<strong>in</strong> un appartamento di via San Francesco, a Padova.<br />
Come nel caso di Lissandron, l’uomo era stato ucciso con<br />
tre colpi d’arma da fuoco alla nuca. Stavolta però, il killer<br />
non aveva <strong>in</strong>scenato una rap<strong>in</strong>a. Accanto al cadavere<br />
aveva lasciato due carte da gioco: un re di quadri e un re<br />
di cuori. In una busta c’era un bigliett<strong>in</strong>o con due righe<br />
scritte con un normografo: «Anche questa non è rap<strong>in</strong>a,<br />
contattate il questore di Milano».<br />
Gli <strong>in</strong>dizi a disposizione degli <strong>in</strong>quirenti erano pochi, ma<br />
si sapeva che alle 12.30 Boscolo aveva appuntamento<br />
con un presunto cliente, tale signor Pert<strong>in</strong>i. Si era qu<strong>in</strong>di<br />
<strong>in</strong>dagato <strong>in</strong> questa direzione e si era scoperto che la<br />
telefonata era partita da un telefono pubblico presso il<br />
Pronto soccorso dell’ospedale di Noventa Vicent<strong>in</strong>a. Dallo<br />
stesso telefono risultavano partite svariate altre telefonate<br />
ad agenzie immobiliari, tutte effettuate dal sedicente<br />
signor Pert<strong>in</strong>i.<br />
L’arresto, la f<strong>in</strong>e<br />
Il 18 gennaio, utilizzando lo stesso falso nome, Profeta<br />
aveva <strong>in</strong>contrato Leonardo Carraro, agente immobiliare,<br />
<strong>in</strong> una casa <strong>in</strong> via Marostica. A questo <strong>in</strong>contro ne erano<br />
seguiti altri due. Carraro, anche se non lo sapeva, aveva<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
visto il killer <strong>in</strong> faccia ed era qu<strong>in</strong>di <strong>in</strong> grado di riconoscerlo.<br />
Determ<strong>in</strong>anti per la cattura erano stati anche gli<br />
sms con cui Profeta rispondeva, dai suoi dieci cellulari,<br />
agli annunci che la questura pubblicava per comunicare<br />
con lui.<br />
Tra le chiamate effettuate, gli <strong>in</strong>quirenti ne avevano notata<br />
una molto strana, diretta a Palermo: il numero apparteneva<br />
a un certo Giovanni Profeta. I sospetti caddero<br />
perciò su Michele, residente a Mestre ed era scattato<br />
immediatamente il mandato di cattura. Profeta fu così<br />
arrestato il 6 febbraio, mentre usciva dagli uffici di una<br />
società di servizi f<strong>in</strong>anziari. Si era dichiarato <strong>in</strong>nocente,<br />
ma nella casa <strong>in</strong> cui viveva con Antonella Gemmati erano<br />
stati ritrovati una pistola e una scatola di cartucce simili<br />
a quelle che avevano ucciso Lissandron e Boscolo, oltre<br />
a un mazzo di carte dove mancavano i quattro re. Quello<br />
di fiori verrà ritrovato successivamente nella sua auto,<br />
<strong>in</strong>sieme al normografo e alla carta da lettere.<br />
Le prove erano <strong>in</strong>equivocabili: Michele Profeta era il serial<br />
killer. A <strong>in</strong>chiodarlo, anche le dichiarazioni della sua<br />
compagna che affermava come tra il 3 e il 15 gennaio il<br />
Profeta si trovasse a Milano per fantomatici impegni di<br />
lavoro. Il collega V<strong>in</strong>cenzo Bozzi, <strong>in</strong>oltre, diceva di averlo<br />
accompagnato all’ospedale di Noventa Vicent<strong>in</strong>a l’8 febbraio,<br />
nell’orario <strong>in</strong> cui erano state effettuate tutte le telefonate<br />
alle varie agenzie.<br />
Profeta era stato trasportato nel carcere Due Palazzi di<br />
Padova e, dopo due mesi di processo e quattordici udienze,<br />
era stato condannato all’ergastolo e a due anni di isolamento.<br />
Il suo avvocato aveva deciso di ricorrere <strong>in</strong> appello,<br />
chiedendo che fossero effettuate delle perizie psichiatriche.<br />
Durante la sua permanenza <strong>in</strong> carcere, Profe-<br />
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ta era stato sottoposto a varie analisi psichiche che cercavano<br />
di comprendere cosa l’avesse portato a uccidere.<br />
Ne era venuta fuori una personalità affetta da manie di<br />
grandiosità, compiaciuta dell’attenzione che la sua vicenda<br />
stava riscuotendo. Profeta gestiva i colloqui <strong>in</strong>dirizzandoli<br />
dove più gli piaceva, discorreva di sé e della sua vita<br />
<strong>in</strong> term<strong>in</strong>i sublimi, ma, contrapposta a questa magnifica e<br />
<strong>in</strong>esistente realtà, c’era la vita vera, fatta di fallimenti amorosi<br />
e lavorativi. Fallimenti <strong>in</strong>iziati tanto tempo prima,<br />
quando non reggeva il confronto col fratello: era questa<br />
cont<strong>in</strong>ua frustrazione che l’aveva sp<strong>in</strong>to all’omicidio.<br />
Tuttavia, la sensazione di onnipotenza non lo aveva abbandonato<br />
nemmeno <strong>in</strong> carcere. Non si era arreso e aveva<br />
tentato la fuga con una limetta nascosta nel portaocchiali:<br />
con questo piccolo arnese aveva provato a segare<br />
le sbarre del bagno, di notte, f<strong>in</strong>o a quando non era stato<br />
scoperto. Per questo era stato trasferito nel supercarcere<br />
di Voghera.<br />
In appello, Profeta aveva dichiarato ancora la sua <strong>in</strong>nocenza;<br />
durante un colloquio con lo psichiatra Vittor<strong>in</strong>o<br />
Andreoli, però, aveva deciso di confessare la propria colpevolezza.<br />
Ammetteva di aver ucciso, ma non riusciva a<br />
capacitarsene: era andato contro i propri pr<strong>in</strong>cipi, la propria<br />
moralità. «È come se fossi stato preda del male, di<br />
un’entità che si era imposta e guidava il mio corpo e le<br />
mie azioni... I miei pensieri procedevano senza la mia<br />
partecipazione, come se qualcosa scorresse su di me».<br />
Queste confessioni evidenziavano come avesse compiuto<br />
i delitti <strong>in</strong> una chiara condizione maniacale, sopraffatto<br />
da deliri che avevano preso il sopravvento, facendogli<br />
perdere il contatto con la realtà: non era più padrone di<br />
se stesso.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
Le sentenze di appello e Cassazione, comunque, avevano<br />
confermato l’ergastolo. «Era meglio la pena di morte». Il<br />
16 luglio 2004 stava sostenendo il suo primo esame universitario<br />
nella sala avvocati del carcere. Conosceva bene<br />
l’argomento e sembrava perfettamente a suo agio. All’improvviso,<br />
però, aveva <strong>in</strong>iziato a rantolare e si era accasciato.<br />
Era morto poco dopo. L’ennesimo, ultimo fallimento.<br />
LA MISTERIOSA SCOMPARSA DI LIVIO ZANUSSI<br />
Pordenone è lontana mentre impazza il ’68. A marzo<br />
c’era stata la battaglia di Valle Giulia a Roma, apoteosi del<br />
movimento. Un fermento che faceva ribollire anche il<br />
mondo del lavoro e da lì a poco, anche gli operai sarebbero<br />
stati protagonisti di una propria stagione, ma nel ‘68<br />
erano solo gli studenti a fermentare. Gli operai, <strong>in</strong>vece,<br />
lavoravano. Anche quelli della Rex, gloriosa azienda di<br />
Pordenone che sfornava elettrodomestici della nuova era<br />
del consumo, attirando manodopera da tutto il Veneto e<br />
non solo. A capo c’era Livio Zanussi, 48 anni, efficiente e<br />
d<strong>in</strong>amico. Stava volando <strong>in</strong> Spagna, il 18 giugno di quell’anno<br />
turbolento. L’ultimo giorno della sua vita.<br />
Zanussi volava <strong>in</strong> Spagna per affari. Dalla torre di controllo<br />
dell’aeroporto di Fuenterabbia, tra San Sebastian e<br />
Bilbao, si seguiva con sempre maggiore preoccupazione<br />
quel bireattore executive privato, perché c’era una tempesta<br />
violenta, che aveva obbligato molti voli a cambiare<br />
rotta, a scendere a terra prima possibile. Le luci di quell’executive<br />
sembravano <strong>in</strong>termittenti fra le nubi nere<br />
che avvolgevano l’aereo.<br />
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Inizia la proceduta di atterraggio, ma la manovra non era<br />
perfetta. Meglio risalire. «Va bene, salgo nuovamente a<br />
c<strong>in</strong>quemila piedi e poi scendo». L’ultima frase registrata<br />
dalla torre di controllo. Poi un lampo nel cielo, una fiammata<br />
che aveva abbagliato un contad<strong>in</strong>o. «L’ho vista alle<br />
spalle dell’aeroporto, sotto la vetta del monte Jaizkibel»,<br />
aveva detto con sicurezza e senza tema di smentita. Nessun<br />
superstite: la tragedia aveva falciato le vite dei due<br />
piloti, del direttore generale della Rex, del dirigente della<br />
filiale spagnola, del direttore commerciale e del titolare,<br />
Livio Zanussi.<br />
Come Mattei<br />
La commissione d’<strong>in</strong>chiesta governativa aveva concluso i<br />
suoi lavori giustificando la tragedia con un errore di pilotaggio.<br />
Parlava di errata <strong>in</strong>terpretazione degli strumenti<br />
di bordo, forse di un altimetro regolato male, e aggiungeva<br />
che le condizioni meteorologiche erano proibitive. Eppure,<br />
non tutto quadrava, perché quel pilota era uno dei<br />
migliori piloti collaudatori sulla piazza. Forse non era stato<br />
un <strong>in</strong>cidente, forse era una storia che si ripeteva. Una<br />
storia come quella di Enrico Mattei, caduto anche lui col<br />
suo aereo sei anni prima. Forse anche questa volta qualcuno<br />
aveva voluto che quell’aereo cadesse. Per Mattei<br />
c’erano di mezzo il petrolio, la politica italiana ed estera,<br />
ma chi voleva morto Zanussi E perché<br />
Oggi, le persone che conoscono quei fatti sono quasi tutte<br />
d’accordo: altro che <strong>in</strong>cidente, quell’aereo doveva cadere.<br />
Il primo ad avanzare la tesi <strong>in</strong>quietante era stato<br />
Giorgio R<strong>in</strong>aldi, di professione spia. Spia per i russi: per<br />
questo era r<strong>in</strong>chiuso dall’anno precedente nel carcere di<br />
Alessandria con sua moglie Zar<strong>in</strong>a, spia anche lei.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
«Fateci parlare», avevano detto più volte. «Fateci raccontare<br />
quello che sappiamo. Dobbiamo evitare altre tragedie<br />
come questa. Fateci parlare prima che muoia altra<br />
gente». Cosa avevano da dire i due spioni Cose <strong>in</strong>quietanti.<br />
Affermavano per esempio di aver ricevuto <strong>in</strong> carcere<br />
la visita di un uomo importante: il colonnello Renzo<br />
Rocca, papavero del SIFAR, che aveva voluto sapere tutto<br />
ciò che la coppia conosceva sul conto di alcune persone<br />
segnate su un taccu<strong>in</strong>o. Una lunga lista di nomi.<br />
Fra i nomi segnati sul taccu<strong>in</strong>o del colonnello Rocca,<br />
quello di Giovanni Battista Taolotti, parente della spiona<br />
e dirigente della Rex spagnola, anche lui sull’aereo precipitato.<br />
Era dunque lui che bisognava elim<strong>in</strong>are<br />
Il colonnello Rocca, tuttavia, non avrebbe mai potuto rispondere<br />
a questa domanda, perché era morto suicida una<br />
settimana dopo la tragedia. I coniugi R<strong>in</strong>aldi, però, smentivano<br />
la versione ufficiale dell’<strong>in</strong>cidente costato la vita a<br />
Zanussi. «L’aereo dell’<strong>in</strong>gegner Zanussi aveva compiuto<br />
voli regolarissimi f<strong>in</strong>o al 17 giugno», ribadivano. «Nella<br />
notte fra il 17 e il 18, a Madrid, gli accadde qualcosa che lo<br />
rese <strong>in</strong>efficiente. Il 18, Zanussi e Taolotti dovevano raggiungere<br />
la città di Bilbao con un f<strong>in</strong>anziere spagnolo. Poiché<br />
l’aereo di Zanussi era stranamente impossibilitato a<br />
volare, fu loro offerto <strong>in</strong> prestito un aereo privato che,<br />
guarda caso, era identico a quello di Zanussi. E fu questo<br />
l’aereo che andò a schiantarsi sul monte Jaizkibel».<br />
Versione suggestiva, da “spy story” vera, altro che James<br />
Bond. E Rocca Non poteva trattarsi di suicidio, perché<br />
il colonnello, quando si era “suicidato”, era ufficialmente<br />
fuori dai servizi segreti militari e aveva aperto un ufficio<br />
di consulenze <strong>in</strong>dustriali legato ad alcuni grossi complessi<br />
<strong>in</strong>dustriali del Nord. Nel suo ufficio, setacciato dopo “il<br />
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suicidio”, erano stati r<strong>in</strong>venuti documenti def<strong>in</strong>iti “segretissimi”<br />
e qu<strong>in</strong>di <strong>in</strong>accessibili.<br />
Quelli dello spionaggio<br />
I R<strong>in</strong>aldi <strong>in</strong>sistevano: come si faceva a non pensare a una<br />
relazione diretta fra la morte del colonnello e l’<strong>in</strong>cidente<br />
aereo La storia si faceva più complessa e articolata, una<br />
storia <strong>in</strong> cui Livio Zanussi, noto imprenditore di Pordenone,<br />
era f<strong>in</strong>ito per sbaglio. Sui giornali, il suo nome oscurava<br />
tutto il resto, ma Zanussi era morto perché sul suo<br />
aereo c’era qualcun altro che doveva morire. Era improprio<br />
qu<strong>in</strong>di accostare la sua morte a quella di Mattei, come<br />
aveva fatto qualcuno, l’unico punto di contatto era il<br />
boicottaggio dell’aereo. Su quell’aereo, Zanussi era il personaggio<br />
più <strong>in</strong> vista, ma con lui c’era qualcuno noto negli<br />
ambienti dello spionaggio <strong>in</strong>ternazionale. Ambienti<br />
dove i R<strong>in</strong>aldi erano ben conosciuti: grazie a loro, e agli<br />
agenti da loro <strong>in</strong>gaggiati, ai sovietici pervenivano notizie<br />
importantissime sulla consistenza delle forze del Patto<br />
Atlantico, sui movimenti di truppe, sugli armamenti, sulla<br />
dislocazione e sull’organizzazione delle basi aeree e navali.<br />
Ambienti dove accadevano cose molto particolari.<br />
Il 15 marzo ’67 il corriere Armando Girard era stato fermato<br />
al valico del Mong<strong>in</strong>evro. Nella tasca dei pantaloni<br />
aveva una scatoletta di metallo, sigillata, contenente un<br />
microfilm, e un paio di spezzoni di pellicola c<strong>in</strong>ematografica.<br />
Lo stesso giorno, a Tor<strong>in</strong>o, ufficiali del controspionaggio<br />
avevano arrestato i R<strong>in</strong>aldi: <strong>in</strong> casa della coppia,<br />
avevano trovato una potente radioricevente, apparecchiature<br />
per la lettura di microfilm, messaggi <strong>in</strong> codice,<br />
l’attrezzatura per scrivere con <strong>in</strong>chiostro simpatico, taccu<strong>in</strong>i<br />
con diversi <strong>in</strong>dirizzi, cart<strong>in</strong>e con la localizzazione<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
delle buche <strong>in</strong> cui il materiale doveva essere depositato e<br />
recuperato da agenti sovietici. Esattamente, dal diplomatico<br />
Yuri Pavlenko. Il SIFAR gli aveva teso qu<strong>in</strong>di una trappola<br />
e lo aveva <strong>in</strong>chiodato: il 20 marzo Pavlenko era stato<br />
rispedito <strong>in</strong> Russia, dopo essere stato dichiarato <strong>in</strong>desiderabile<br />
sul suolo italiano. L’arresto di R<strong>in</strong>aldi non aveva<br />
provocato solo questo, ma aveva anche aperto una<br />
grossa falla all’<strong>in</strong>terno del sistema di spionaggio sovietico.<br />
A catena, erano seguiti <strong>in</strong>fatti arresti <strong>in</strong> Grecia, Svizzera,<br />
Francia, Marocco, Algeria, Cipro, Malta, con diplomatici<br />
russi costretti a far le valigie <strong>in</strong> quattro e quattr’otto<br />
e tornare nella casa Russia.<br />
Il doppiogiochista<br />
Da chi aveva ottenuto R<strong>in</strong>aldi i documenti a lui sequestrati<br />
e dest<strong>in</strong>ati all’Unione Sovietica Il suo uomo a Madrid<br />
era Joaquim Madolell, dal quale R<strong>in</strong>aldi e sua moglie<br />
Zar<strong>in</strong>a avevano ricevuto fra le sette e le ottocento fotografie<br />
di documenti spagnoli. Tra questi, anche le riproduzioni<br />
di fogli che recavano programmi di voli NATO effettuati<br />
nel dicembre ’66 fra la base aerea di Torrejón, <strong>in</strong><br />
Spagna, e altre basi del Patto Atlantico, fra le quali due<br />
italiane. I R<strong>in</strong>aldi, però, affermavano di non aver mai<br />
chiesto a Madolell quei documenti, spiegando il loro ritrovamento<br />
da parte del SIFAR col doppio gioco messo <strong>in</strong><br />
atto da Madolell che <strong>in</strong> realtà doveva distruggere la rete<br />
spionistica sovietica <strong>in</strong> Europa meridionale. Aveva qu<strong>in</strong>di<br />
<strong>in</strong>filato quei documenti dest<strong>in</strong>ati ai R<strong>in</strong>aldi proprio<br />
perché fossero trovati. L’<strong>in</strong>esistenza di voli propriamente<br />
NATO <strong>in</strong> Spagna confermavano quella tesi, avvalorata anche<br />
dal fatto che questi documenti non saranno mai esibiti<br />
durante il processo ai R<strong>in</strong>aldi.<br />
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I R<strong>in</strong>aldi avevano deciso di vuotare il sacco dei grandi segreti<br />
da tenere top secret quando si erano sentiti scaricati.<br />
Arrestati, messi <strong>in</strong> isolamento, sottoposti a una sorveglianza<br />
strettissima, con addirittura un assaggiatore di<br />
cibi per timore che fossero elim<strong>in</strong>ati col veleno, i R<strong>in</strong>aldi<br />
parlavano molto più di quel che le carte ufficiali del processo<br />
a loro carico evidenziassero. Interrogati da diversi<br />
colonnelli del SID, sfilati anche al processo, le loro dichiarazioni<br />
erano state puntigliosamente registrate e messe a<br />
verbale. Al processo, però, non era potuto comparire il<br />
colonnello più importante <strong>in</strong> quella storia: il colonnello<br />
Rocca che aveva trascorso un’<strong>in</strong>tera giornata nel carcere<br />
di Tor<strong>in</strong>o faccia a faccia coi due spioni, perché Rocca era<br />
morto suicida. Parlando di Rocca, i R<strong>in</strong>aldi affermavano<br />
che al colonnello non <strong>in</strong>teressavano gli aspetti militari,<br />
ma quelli <strong>in</strong>dustriali, dei quali ormai si occupava nella<br />
sua nuova attività.<br />
Fra le <strong>in</strong>formazioni raccolte da Rocca ce n’era comunque<br />
qualcuna che riguardava ben altro. Nomi che il colonnello<br />
trasmise a chi di dovere. Informazioni che, oltre a provocare<br />
il “suicidio” di Rocca, faranno fare la stessa f<strong>in</strong>e<br />
ad alcuni generali della Germania dell’Ovest: sui giornali<br />
tedeschi si collegò <strong>in</strong>fatti l’arresto dei R<strong>in</strong>aldi con quei<br />
suicidi.<br />
Alla f<strong>in</strong>e di questa storia, la figura di Livio Zanussi diventa<br />
marg<strong>in</strong>ale: una povera vittima. L’unica colpa del signor<br />
“Rex”, il monarca dell’elettrodomestico che dava lavoro a<br />
tutto il Nord Est, era stata quella di aver ospitato a bordo<br />
del suo aereo privato qualcuno che doveva morire.<br />
Anzi, non del suo aereo, ma di uno uguale al suo, manomesso<br />
proprio per farlo cadere.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
ADRIANO FABIAN. T’AMO, T’UCCIDO<br />
Sono le 8.20 del matt<strong>in</strong>o del primo giorno dell’anno 1995,<br />
quando vic<strong>in</strong>o al bar Moresco di Vicenza, nei pressi di<br />
Campo Marzio, viene trovato il cadavere di una ragazza<br />
riverso nella Seriola, un piccolo corso d’acqua. È il corpo<br />
di Anna Bortoli, vent’anni. L’autopsia evidenzia modiche<br />
quantità di alcool, ma esclude droghe e violenza sessuale:<br />
la ragazza risulta <strong>in</strong>fatti verg<strong>in</strong>e e la morte è sopraggiunta<br />
per asfissia dovuta a strangolamento.<br />
Anna non viveva <strong>in</strong> famiglia, ma <strong>in</strong> una comunità dove<br />
era <strong>in</strong> cura per gravi conflitti familiari. Si cercò qu<strong>in</strong>di di<br />
ricostruire le sue ultime ore di vita r<strong>in</strong>tracciando gli amici<br />
con i quali la ragazza aveva trascorso l’ultimo dell’anno:<br />
Tiziano Sciarelli e Adriano Fabian, il suo ragazzo.<br />
Sciarelli dichiarava di aver lasciato Anna e Adriano pochi<br />
m<strong>in</strong>uti prima delle sette, dopo aver trascorso la notte <strong>in</strong>sieme.<br />
Fabian ammise subito di essere stato lui a uccidere<br />
Anna.<br />
«È successo stamatt<strong>in</strong>a <strong>in</strong>torno alle sette, vic<strong>in</strong>o a Campo<br />
Marzio. Io e Anna avevamo un legame sentimentale<br />
che era <strong>in</strong>iziato nel marzo dello scorso anno e che poi era<br />
andato avanti, anche se <strong>in</strong> maniera poco serena. Tra me<br />
e Anna esistevano tantissime differenze, sia nel modo di<br />
essere che di comportarci. Lei era quella che si dice una<br />
brava ragazza, mentre io sono “uno di strada”. Perciò<br />
erano frequenti le occasioni di litigio e ci eravamo lasciati<br />
anche per qualche tempo, più o meno verso ottobre.<br />
Poi avevamo ricom<strong>in</strong>ciato a frequentarci e avevamo deciso<br />
di trascorrere <strong>in</strong>sieme la notte di Capodanno, <strong>in</strong> compagnia<br />
del nostro comune amico Tiziano, che ha assistito<br />
anche a qualche litigio fra me e Anna. È rimasto con<br />
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noi f<strong>in</strong>o alle sei e mezza, quando se n’è andato lasciandoci<br />
soli…».<br />
La tragedia si consumerà da lì a poco. Ma perché Per<br />
cercare di capire, bisogna prima conoscere Anna e Adriano<br />
e le loro storie.<br />
Storia di Anna<br />
La famiglia Bortoli era composta da sei persone – due<br />
fratelli e due sorelle – ed era economicamente benestante,<br />
ma non serena a causa della forte conflittualità fra i<br />
genitori. Una situazione che aveva portato Anna a sodalizzare<br />
con il padre e a sviluppare contestualmente<br />
un’accentuata avversione nei confronti della madre. Inoltre,<br />
la ragazza soffriva di problemi di scoliosi che la costr<strong>in</strong>gevano<br />
a portare un busto ortopedico.<br />
Per Anna, la vita <strong>in</strong> famiglia era diventata alla f<strong>in</strong>e <strong>in</strong>sostenibile,<br />
portandola ad assumere farmaci e a spostarsi<br />
addirittura <strong>in</strong> una comunità per psicotici gravi. Ad aggravare<br />
la situazione era <strong>in</strong>fatti <strong>in</strong>tervenuto un lutto gravissimo:<br />
la morte della sorella maggiore, alla quale Anna era<br />
legata morbosamente, tanto da vedere <strong>in</strong> lei la figura materna.<br />
Un trauma che l’aveva portata a tentare il suicidio.<br />
Eppure, ai medici del centro di salute mentale, la sua<br />
condizione non era parsa particolarmente grave, per loro,<br />
il vero problema di quella ragazza era la perdita della<br />
sorella, figura per lei fondamentale. Con gli altri componenti<br />
della famiglia, <strong>in</strong>fatti, pur essendo persone a modo,<br />
Anna non riusciva a relazionarsi <strong>in</strong> modo sereno e il disagio<br />
la portava qu<strong>in</strong>di ad allontanarsi da loro.<br />
Le suore Orsol<strong>in</strong>e <strong>in</strong> contrà San Francesco Vecchio furono<br />
il primo approdo esterno alla famiglia. Quello successivo,<br />
nel gennaio del 1994, fu il “Geranio”, una comunità<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
terapeutica di piccole dimensioni che ospitava persone<br />
mentalmente disturbate. Lei, però, non aveva problemi<br />
psichici e, come un operatore, si occupava degli altri<br />
ospiti: un’attività che la gratificava talmente da non avere<br />
più bisogno di farmaci.<br />
Nel frattempo aveva anche <strong>in</strong>staurato una relazione con<br />
un ragazzo di quattro anni più grande di lei, Adriano. I<br />
medici avevano constatato che quella relazione era fonte<br />
di ansia per Anna e la situazione si era aggravata<br />
quando Adriano aveva tentato di avere con lei un rapporto<br />
sessuale. Al rifiuto della ragazza, il giovane le aveva<br />
stretto le mani attorno al collo e lei a stento era riuscita<br />
a sottrarsi a un tentativo di soffocamento. La relazione<br />
era qu<strong>in</strong>di term<strong>in</strong>ata e quando Anna, accompagnata<br />
da una volontaria, aveva <strong>in</strong>contrato casualmente per<br />
strada Adriano, era stata quasi costretta a fuggire per<br />
sottrarsi alle <strong>in</strong>sistenze del ragazzo che la pregava di tornare<br />
con lui. Insistenze che si erano manifestate non solo<br />
verbalmente, f<strong>in</strong>o a paventare un nuovo scatto di violenza.<br />
Ormai era chiaro: Adriano era una persona della<br />
quale avere paura.<br />
Storia di Adriano<br />
Nato nel 1971 a Vicenza, Adriano era stato abbandonato<br />
dalla madre <strong>in</strong> un orfanotrofio, l’Istituto San Rocco, che<br />
aveva lasciato quando il tribunale dei m<strong>in</strong>ori lo aveva dato<br />
<strong>in</strong> adozione alla famiglia Fabian.<br />
F<strong>in</strong> dall’asilo, Adriano aveva dimostrato un’<strong>in</strong>capacità a<br />
relazionarsi serenamente con gli altri e, per sfogarsi, distruggeva<br />
oggetti, compresi gli abiti dei genitori adottivi.<br />
Con gli anni, i suoi problemi si erano acuiti e, quando frequentò<br />
il centro di formazione professionale, il quadro<br />
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psicopatologico diventò evidente. Perf<strong>in</strong>o gli scout lo allontanarono<br />
perché creava problemi.<br />
Aveva 17 anni quando, su suggerimento dell’assistente<br />
sociale del Comune, era stato <strong>in</strong>serito nella “Casa buoni<br />
fanciulli”, da dove però si era allontanato dopo neppure<br />
due settimane: un tempo sufficiente per farsi conoscere<br />
dagli altri ospiti come una persona con una doppia personalità.<br />
Una doppia personalità che lui stesso avvertiva:<br />
<strong>in</strong> lui convivevano Jack, una persona forte, capace di farsi<br />
rispettare, un duro; e Adriano, un debole, uno sfigato,<br />
sempre timoroso di essere abbandonato.<br />
Lasciata def<strong>in</strong>itivamente la scuola, Adriano aveva trovato<br />
un’occupazione <strong>in</strong> una cooperativa che curava giard<strong>in</strong>i,<br />
ma poi aveva abbandonato questo lavoro preferendo<br />
un posto di aiutante al cimitero. Intanto, nel 1989 era<br />
morto il padre adottivo e sua madre, appena compiuti i<br />
diciotto anni, lo aveva cacciato di casa. Per <strong>in</strong>teressamento<br />
dei servizi sociali del Comune, era stato assunto<br />
alla Lanerossi e la notte dormiva al dormitorio pubblico,<br />
con l’impegno di entrare <strong>in</strong> una comunità. L’impegno preso,<br />
però, non fu onorato e così aveva perso sia il posto al<br />
dormitorio, sia il lavoro. A questo punto <strong>in</strong>iziava per lui<br />
quella “vita da strada” della quale avrebbe parlato spesso<br />
ad Anna. Senza lavoro e senza un tetto, era diventato<br />
uno sbandato, non di rado dedito all’alcool e all’uso di<br />
stupefacenti. La comunità si era fatta qu<strong>in</strong>di nuovamente<br />
carico del suo caso e gli aveva trovato un appartamento<br />
<strong>in</strong> attesa di un lavoro. Fu <strong>in</strong> quel periodo che conobbe<br />
Anna.<br />
Jack il duro<br />
Con Anna, Adriano si trovava bene. Era tranquillo perché<br />
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sentiva di avere accanto una persona che gli dimostrava<br />
affetto: un nuovo corso di vita coronato da un nuovo lavoro<br />
<strong>in</strong> una fabbrica metalmeccanica. Del ragazzo sbandato<br />
di prima, sembrava non esserci più traccia. Dietro<br />
l’angolo, però, c’era una nuova e drammatica ricaduta: gli<br />
operatori della comunità che ospitava Anna si erano accorti,<br />
<strong>in</strong>fatti, che la ragazza era peggiorata proprio da<br />
quando lo frequentava.<br />
La forzata rottura con Anna lo aveva rigettato <strong>in</strong> un tunnel<br />
fatto di comportamenti illeciti e aggressivi, ai quali si<br />
erano unite violente crisi di panico e ansia che lo avevano<br />
portato per ben tre volte al Pronto soccorso. Era ormai<br />
conv<strong>in</strong>to di non essere degno d’amore, perché l’unica<br />
persona che lo aveva capito, che gli aveva dimostrato<br />
affetto dis<strong>in</strong>teressato, era Anna. Alla f<strong>in</strong>e era riuscito a<br />
riallacciare i rapporti con lei, ma questa volta le cose erano<br />
dest<strong>in</strong>ate a precipitare. Infatti, il loro legame era diventato<br />
sempre più pericoloso per l’equilibrio di entrambi,<br />
con Adriano che perdeva sempre più facilmente il<br />
controllo delle sue azioni, arrivando alla conv<strong>in</strong>zione che<br />
per “salvarsi” doveva dar retta a Jack, il duro, e non ad<br />
Adriano, lo sfigato.<br />
In quel priodo, Adriano occupava una stanza di una casa<br />
diroccata e abbandonata: dormiva su un materasso sul<br />
quale aveva sistemato un sacco a pelo. La sua vita era di<br />
nuovo quella di uno sbandato, di “uno di strada”. Intanto,<br />
il legame con Anna proseguiva fra rotture e riconciliazioni.<br />
Era arrivato l’ultimo dell’anno del 1994 e Adriano e<br />
i suoi amici discutevano su come trascorrerlo: fra gli amici<br />
c’era Tiziano, verso il quale Adriano nutriva sentimenti<br />
ambivalenti. Pur considerandolo l’amico più vic<strong>in</strong>o, sospettava<br />
<strong>in</strong>fatti che avesse avuto una relazione con Anna<br />
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<strong>in</strong> uno dei loro periodi di rottura. Un tradimento doppio:<br />
di Anna, la sua ragazza, e di Tiziano, il suo miglior amico.<br />
Fra l’altro, Anna gli aveva detto che proprio la notte di<br />
quell’ultimo dell’anno gli avrebbe comunicato la sua decisione:<br />
se cioè stare ancora con lui o lasciarlo def<strong>in</strong>itivamente.<br />
Perduta anche lei, Adriano non avrebbe avuto più nulla.<br />
Un pensiero che lo aveva tormentato per tutta quella sera<br />
e la notte. Notte che alla f<strong>in</strong>e erano rimasti <strong>in</strong> tre a trascorrere:<br />
Adriano, Anna e Tiziano. Poi, erano andati a<br />
una festa, dove però che non c’era nessuno, così si erano<br />
spostati fra pizzerie e bar f<strong>in</strong>ché era arrivata la mezzanotte.<br />
Era Capodanno e Anna aveva baciato entrambi. Sicuramente<br />
il bacio di Anna a Tiziano era solo un bacio augurale<br />
e senza malizia, ma <strong>in</strong> Adriano com<strong>in</strong>ciarono a<br />
prendere corpo i fantasmi del tradimento. Fra i due ragazzi<br />
nacque un diverbio, term<strong>in</strong>ato solo quando Tiziano<br />
decise di uscire dal locale <strong>in</strong> cui si trovavano. Rimasti soli,<br />
Adriano com<strong>in</strong>ciò a tormentare Anna, chiedendole del<br />
suo legame con Tiziano. A quel punto la ragazza, non potendone<br />
più, era uscita, <strong>in</strong>seguita da Adriano che non poteva<br />
perderla. Per lui sarebbe stata la f<strong>in</strong>e.<br />
La panch<strong>in</strong>a<br />
Erano nuovamente tutti e tre <strong>in</strong>sieme, fuori, all’aperto.<br />
Anna cercava di riportare la pace fra i due amici, ma<br />
Adriano la offendeva pesantemente, tanto che la ragazza<br />
si allontanava lasciandoli soli. Quando i due si erano accorti<br />
che non c’era più traccia di lei, avevano com<strong>in</strong>ciato<br />
a cercarla ognuno per conto proprio. Adriano aveva vagato<br />
f<strong>in</strong>o all’alba. L’aveva <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e trovata alle sei e mezza,<br />
ma era abbracciata a Tiziano.<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
La mente di Adriano si era affollata di pensieri che ben<br />
presto non erano più i suoi, di uno sfigato, ma di Jack, il<br />
duro. E da duro aveva reagito: non s’era mosso, era rimasto<br />
lì e si era acceso una sigaretta, li guardava. Alla f<strong>in</strong>e<br />
erano stati loro ad accorgersi della sua presenza e lo avevano<br />
raggiunto. Anna, f<strong>in</strong>almente, aveva “sciolto la riserva”<br />
sul loro amore: non sarebbero stati più <strong>in</strong>sieme,<br />
ognuno per la propria strada, la propria vita. Adriano<br />
aveva abbassato la testa, senza reagire, ma <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e l’aveva<br />
rialzata, guardando l’amico, e gli aveva detto che voleva<br />
restare, un’ultima volta, solo con Anna. Tiziano lo aveva<br />
accontentato ed era andato a casa.<br />
Rimasti soli, Anna e Adriano avevano camm<strong>in</strong>ato muti dirigendosi<br />
verso la stazione, f<strong>in</strong>ché erano arrivati a Campo<br />
Marzio, dove c’era quella panch<strong>in</strong>a sulla quale era nato<br />
il loro amore. Ed era lì che sarebbe morto.<br />
POLIZIOTTI A VERONA<br />
Se si proviene dalle sponde del lago di Garda e non si passa<br />
per l’autostrada, l’entrata a Verona è accompagnata da<br />
file di prostitute lungo i due lati della strada. Una via “storica”,<br />
decennale, che nel corso degli anni ha visto diversi<br />
“cambi di guardia” nel sesso mercenario. Dalle prostitute<br />
“nostrane” di un tempo (italiane di 20, 30 f<strong>in</strong>o a 50 anni)<br />
si è progressivamente passati alle baby-lucciole m<strong>in</strong>orenni<br />
per assestarsi <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e sulle straniere: prima <strong>in</strong> maggioranza<br />
nordafricane, poi albanesi e dei Paesi dell’Est.<br />
Anche Galyna Shafranek veniva dall’Est, esattamente<br />
dall’Ucra<strong>in</strong>a e, neanche a dirlo, era clandest<strong>in</strong>a. Arrivata<br />
<strong>in</strong> Italia grazie alle solite promesse ammalianti, era f<strong>in</strong>ita<br />
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a fare la cosiddetta “vita”, vendendo ogni giorno il suo<br />
corpo su quella strada impropriamente chiamata “dell’amore”.<br />
Era lì anche la notte del 21 febbraio 2005, l’ultima<br />
della sua vita. Quella notte, <strong>in</strong>fatti, tre colpi di pistola<br />
all’addome fermarono i suoi 29 anni.<br />
Non fu un regolamento di conti fra bande crim<strong>in</strong>ali per il<br />
controllo del territorio, ma una strage, perché sull’asfalto,<br />
alla f<strong>in</strong>e, si contarono quattro corpi e l’autore della<br />
mattanza era un serial killer, non un semplice omicida.<br />
Un massacro<br />
Sono le due di notte e due agenti di polizia sono <strong>in</strong> servizio<br />
di pattuglia lungo la statale “bresciana”. Vedono qualcosa<br />
accanto a una Panda ferma sul piazzale di una concessionaria<br />
di autocaravan e la affiancano immediatamente,<br />
illum<strong>in</strong>andola con il faro della volante. Riverso per terra,<br />
c’è il corpo di una donna. Non fanno <strong>in</strong> tempo a scendere<br />
dalla loro auto che vengono presi di mira da diversi<br />
colpi di pistola. Seppur feriti, i due poliziotti rispondono al<br />
fuoco, riuscendo ad abbattere il loro aggressore.<br />
Alla f<strong>in</strong>e, sul selciato restano trenta bossoli, sedici dei<br />
quali esplosi dall’aggressore: tre contro la donna e tredici<br />
contro i poliziotti. In f<strong>in</strong> di vita, i due agenti riescono a<br />
lanciare un disperato SOS con la radiomobile, ma, trasportati<br />
<strong>in</strong> ospedale, moriranno entrambi poco dopo. I loro<br />
nomi, Davide Turazza, di 36 anni, e Giuseppe Cimarrusti,<br />
di 26, andranno ad allungare la già troppo lunga lista degli<br />
agenti caduti <strong>in</strong> servizio. Fra l’altro, la famiglia Turrazza<br />
aveva già pianto Massimiliano, un altro figlio poliziotto,<br />
morto <strong>in</strong> un’altra sparatoria, sempre nel veronese, a<br />
Fumane. Come per quel figlio, anche questa volta i genitori<br />
di Davide autorizzeranno l’espianto degli organi. An-<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
che Galyna muore <strong>in</strong> ospedale, mentre l’assass<strong>in</strong>o viene<br />
trasportato direttamente nella camera mortuaria perché<br />
senza vita già all’arrivo dei soccorritori.<br />
Perché questo massacro e chi l’ha provocato<br />
Il responsabile della “strage di Verona”, come tutti i giornali<br />
la def<strong>in</strong>iranno, si chiamava Andrea Arrigoni, aveva<br />
36 anni ed era il titolare dell’agenzia di <strong>in</strong>vestigazioni private<br />
Mercuri con sede a Bergamo. Ma perché aveva ucciso<br />
la prostituta ucra<strong>in</strong>a E perché aveva <strong>in</strong>gaggiato un<br />
conflitto a fuoco con i due agenti Cosa c’è dietro azioni<br />
che paiono frutto della follia<br />
Per rispondere a questi <strong>in</strong>terrogativi, gli <strong>in</strong>vestigatori<br />
partono dalla vita dell’Arrigoni e scoprono che, pur possedendo<br />
regolare permesso di porto d’armi, era stato denunciato<br />
per aggressione alla sua ex-ragazza e al nuovo<br />
fidanzato di lei. Esclusa ogni ipotesi di rap<strong>in</strong>a f<strong>in</strong>ita male,<br />
si accerta che la prostituta era stata colpita all’<strong>in</strong>terno<br />
della vettura, come dimostrano le tracce di sangue che<br />
sporcavano la tappezzeria e i tre bossoli r<strong>in</strong>venuti sul pavimento<br />
della Panda, dove si trovavano anche gli abiti e<br />
gli stivali della donna.<br />
Il quarto uomo<br />
Dall’<strong>in</strong>chiesta filtra però un’<strong>in</strong>discrezione <strong>in</strong>quietante: i<br />
proiettili che hanno ucciso i due poliziotti, recuperati con<br />
l’autopsia, pur essendo dello stesso calibro, potrebbero<br />
essere di tipo diverso. Se ciò fosse confermato, si aprirebbero<br />
nuovi scenari nella ricostruzione del conflitto a<br />
fuoco: scenari che implicherebbero la presenza di un’altra<br />
pistola e un altro uomo.<br />
A questo punto, l’unico dato certo è quello di un violentissimo<br />
scontro a fuoco a una distanza di c<strong>in</strong>que, sei me-<br />
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tri al massimo. Insomma, se è vero – come afferma il procuratore<br />
della Repubblica Guido Papalia – che gli esiti<br />
delle autopsie eseguite sui corpi degli agenti e dell’Arrigoni<br />
confermano, <strong>in</strong> l<strong>in</strong>ea di massima, la prima ricostruzione<br />
della sparatoria, è altrettanto vero che bisogna accertare<br />
la presenza o meno di un’altra arma e, qu<strong>in</strong>di, di<br />
un altro omicida. Se così fosse, lo scenario della strage<br />
cambierebbe clamorosamente, come sostiene l’avvocato<br />
della famiglia Arrigoni.<br />
«Non è affatto confermato che la d<strong>in</strong>amica del conflitto a<br />
fuoco sia quella ricostruita f<strong>in</strong>ora. Oltre al particolare dei<br />
proiettili, resta soprattutto l’<strong>in</strong>cognita su chi ha ucciso la<br />
prostituta. Ritengo, sulla base di quanto ho appreso dai<br />
medici che hanno effettuato le perizie sui corpi delle vittime,<br />
che l’ipotesi della presenza di un quarto uomo non<br />
sia da escludere».<br />
Se i dubbi, <strong>in</strong>vece di scemare, aumentano, una cosa sembra<br />
<strong>in</strong>vece sicura: quando gli agenti si sono fermati davanti<br />
alla Panda 4x4 di Arrigoni, Galyna Shafranek era<br />
già gravemente ferita. La donna, con tutta probabilità,<br />
giaceva a terra tra rivoli di sangue e grida di dolore e sarebbe<br />
stata questa la circostanza che avrebbe sp<strong>in</strong>to i poliziotti<br />
a illum<strong>in</strong>are con il faro della volante lo spiazzo della<br />
concessionaria Bonometti Centro Caravan.<br />
Intanto da Bergamo emergono altri racconti sulla vita e la<br />
professione di Andrea Arrigoni. Testimonianze diverse e <strong>in</strong><br />
alcuni casi divergenti sulla sua personalità, ma tutte concordi<br />
nel sottol<strong>in</strong>eare le sue due grandi passioni: la politica<br />
e le <strong>in</strong>vestigazioni. Due colleghi, con i quali Arrigoni<br />
aveva spesso lavorato, raccontano che quasi certamente<br />
l’ex-paracadutista di Osio di Sotto quella notte fosse “<strong>in</strong><br />
servizio” a Verona. Due particolari soprattutto li rendono<br />
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ARMI IN PUGNO<br />
perplessi: la Panda (un’auto che a loro dire non aveva mai<br />
utilizzato per gli spostamenti di lavoro) e la mancanza del<br />
telefon<strong>in</strong>o (ritrovato poi a casa spento, a significare la volontà<br />
di non farsi r<strong>in</strong>tracciare). Elementi che fanno pensare<br />
a una missione delicata, molto delicata.<br />
La svolta<br />
La svolta arriva improvvisa, come un fulm<strong>in</strong>e a ciel sereno,<br />
quando si accerta che Andrea Arrigoni aveva già ucciso.<br />
Aveva sparato a un’altra prostituta: Giugni Fatmira,<br />
un’albanese di 26 anni scomparsa il 16 novembre precedente<br />
<strong>in</strong> prov<strong>in</strong>cia di Bergamo e il cui cadavere era stato<br />
r<strong>in</strong>venuto nel comune di Osio di Sopra il 19 dicembre.<br />
Particolare raccapricciante, il corpo era privo di mani e<br />
testa, r<strong>in</strong>venuti due giorni dopo nel fiume Grembo, cioè<br />
a poca distanza dalla stessa abitazione di Arrigoni, che viveva<br />
proprio a Osio di Sotto.<br />
Come era stato possibile collegare questo omicidio alla<br />
“strage di Verona” A tale conclusione erano giunti gli<br />
esperti della polizia scientifica che, analizzando un frammento<br />
di proiettile estratto dalla testa della prostituta albanese,<br />
avevano accertato che il colpo era stato esploso<br />
dalla Beretta 6,35 sequestrata dalla squadra mobile di<br />
Verona nell’abitazione dell’Arrigoni subito dopo i fatti del<br />
21 febbraio. La “strage di Verona” non è qu<strong>in</strong>di un s<strong>in</strong>golo<br />
episodio, ma il tragico epilogo di una scia di sangue<br />
tracciata da Arrigoni con altri delitti. Se <strong>in</strong>fatti si ha la<br />
certezza che l’omicida della prostituta albanese era Arrigoni,<br />
gli <strong>in</strong>quirenti avanzano fondati sospetti sulle responsabilità<br />
dell’<strong>in</strong>vestigatore privato bergamasco anche<br />
per la f<strong>in</strong>e di altre prostitute scomparse e mai più ritrovate.<br />
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207
ARMI IN PUGNO 22_7_10 2-09-2010 11:53 Pag<strong>in</strong>a 208<br />
INDICE DEI NOMI<br />
Abbate, Antonio, 85<br />
Abel, Wolfgang, 113, 114, 116, 117,<br />
156<br />
Adlassnig, Roswita, 147<br />
Affatigato, Marco, 75<br />
Agamben, Giorgio, 29<br />
Agnoletto, Donato, 123<br />
Aiello, Claudia, 95<br />
Alasia, Walter, 9, 10, 11<br />
Albiero, Tiziano, 141, 142<br />
Aldighieri, Alfredo, 142, 143<br />
Alemanno, Antonio, 85<br />
Alessandr<strong>in</strong>i, Emilio, 54, 55, 56, 62<br />
Alibrandi, Alessandro, 106<br />
Alibrandi, Antonio, 106, 108<br />
Alliata di Montereale, Giovanni Francesco,<br />
81<br />
Altobelli, Alessandro, 42<br />
Amato, Mario, 105, 106, 107, 108,<br />
109, 110, 111<br />
Amato, Sergio, 110<br />
Andreatta, Piero, 65<br />
Andreoli, Ottavio, 121<br />
Andreoli, Vittor<strong>in</strong>o, 138, 173<br />
Andreotti, Giulio, 63, 194<br />
Aniasi, Aldo, 74<br />
Arrigoni, Andrea, 188, 189, 190<br />
Ashby, Richard, 126, 129, 130<br />
Astoul, Michel, 160<br />
Azzi, Nico, 77<br />
Balestr<strong>in</strong>i, Giancarlo, 25, 27, 192<br />
Balzerani, Barbara, 10, 46, 192<br />
Banelli, C<strong>in</strong>zia, 12<br />
Barbatella, Giuliano, 148<br />
Barizza, Gianni, 121<br />
Battagl<strong>in</strong>i, Ernesto, 99, 192<br />
Battisti, Cesare, 22, 23, 24, 192, 198<br />
Bell<strong>in</strong>i, Paolo, 95<br />
Benvegnù, Paolo, 25<br />
Beretta, Alice, 115<br />
Bergamelli, Albert, 103<br />
Berger, Denis, 29<br />
Berlusconi, Silvio, 8, 194<br />
Berna, Maria Antonietta, 21, 28<br />
Bernareggi, Aldo, 73, 74<br />
Bert<strong>in</strong>, Zeno, 120<br />
Bertoli, Gianfranco, 73, 75, 76, 77,<br />
78, 79, 80<br />
Bertolozzi, Felicia, 74<br />
Betassa, Lorenzo, 40<br />
Biagi, Marco, 8, 10<br />
Biancamano, Loredana, 50<br />
Bianch<strong>in</strong>i, Guido, 25<br />
Bigonzetti, Franco, 107<br />
Bisaglia, Antonio (Toni), 162, 164,<br />
165, 167, 168<br />
Bisaglia, Mario, 167<br />
Bison, Armando, 112<br />
Boccaccio, Ivano, 69, 71<br />
Boeto, Gianni, 25<br />
Boffelli, Giorgio, 79, 80<br />
Bollati di Sa<strong>in</strong>t Pierre, Romilda, 162<br />
Bonazzi, Edgardo, 96<br />
Borghese, Junio Valerio, 83, 84, 98<br />
Bortolato, Davide, 51<br />
Bortoli, Anna, 180, 181<br />
Bortoli, Lorenzo, 21<br />
Bortolon, Gabriella, 74<br />
Boscolo, Walter, 171, 172<br />
Bozzi, V<strong>in</strong>cenzo, 172<br />
Brambilla, Michele, 166, 194<br />
Brega, Eugenio, 127<br />
Buffi, Nicola, 89<br />
208
ARMI IN PUGNO 22_7_10 2-09-2010 11:53 Pag<strong>in</strong>a 209<br />
Bulgari, Gianni, 102<br />
Burano, Damiano, 135<br />
Buzzi, Ermanno, 91, 105<br />
Caccia, Giuditta, 19<br />
Cacciari, Massimo, 91<br />
Calabresi, Luigi, 68, 73, 74<br />
Calogero, Pietro, 25, 26, 60, 62<br />
Calore, Sergio, 96, 108<br />
Calvi, Roberto, 165<br />
Campagna, Andrea, 23<br />
Campanile, Alceste, 92, 93, 95, 96<br />
Campanile, Vittorio, 93<br />
Carbogn<strong>in</strong>, Giorgio, 133, 134, 135,<br />
136, 138<br />
Carraro, Leonardo, 171<br />
Carraro, Stefano, 123<br />
Caselli, Giancarlo, 58, 197<br />
Cavallaro, Roberto, 75, 82, 83<br />
Cavallero, Pietro, 151<br />
Cavall<strong>in</strong>, Gianfranco, 3<br />
Cavall<strong>in</strong>a, Arrigo, 22<br />
Cavall<strong>in</strong>i, Gilberto, 111<br />
Cavazza, Paolo, 135, 136, 138<br />
Celli, Elena, 89<br />
Ceravolo, Giovanni, 90<br />
Ciavatta, Francesco, 107<br />
Ciliberti, Giuseppe, 76<br />
Cimarrusti, Giuseppe, 187<br />
Ciotti, Luigi, 49<br />
Cirillo, Ciro, 32<br />
Ciucci, Giovanni, 45, 46<br />
Clavo, Mar<strong>in</strong>o, 14<br />
Cl<strong>in</strong>ton, Bill, 127, 131<br />
Coiro, Michele, 99<br />
Colombo, Vittor<strong>in</strong>o, 55<br />
Concutelli, Pierluigi, 91, 101, 102,<br />
103, 104, 105, 111<br />
Corleo, Luigi, 105<br />
Cors<strong>in</strong>i, Roberto, 127, 196<br />
Cortelessa, Ippolito, 50<br />
Cossiga, Francesco, 55, 56, 57, 58,<br />
72, 164<br />
Costa, Claudio, 115<br />
Cuzzoli, Pietro, 50<br />
Dalla Chiesa, Carlo Alberto, 40, 47,<br />
56, 58, 197, 202<br />
Dalmaviva, Mario, 25, 27,<br />
Dal Santo, Angelo, 28<br />
D’Ambrosio, Gerardo, 62<br />
Danesi Alfredo, 102<br />
D’Antona, Massimo, 8, 10<br />
De Claris, Guido, 76<br />
Delle Chiaie, Stefano, 63, 102, 105<br />
Del Re, Alisa, 25<br />
Del Santo, Angelo, 21<br />
De Matteo, Giovanni, 108<br />
De Mita, Ciriaco, 10<br />
De Pieri, Franco, 34<br />
Derrida, Jacques, 29<br />
Despali, Pietro, 25<br />
Diana, Calogero, 9<br />
Di Cataldo, Francesco, 9<br />
Di Cecco, Giuseppe, 123<br />
Digilio, Carlo, 65, 66, 75, 78, 79<br />
Di Leonardo, Cesare, 46<br />
Di Rocco, Carmela, 25<br />
Di Rocco, Ennio, 45<br />
Donat Catt<strong>in</strong>, Carlo, 53, 55, 56, 57,<br />
58<br />
Donat Catt<strong>in</strong>, Marco, 53, 54, 55, 56,<br />
58, 205<br />
Donat Catt<strong>in</strong>, Maria Pia, 58<br />
Donat<strong>in</strong>i, Elena, 89<br />
Dongiovanni, Franco, 67<br />
Dozier, James Lee, 38, 39, 40, 41, 42,<br />
44, 45, 46, 47<br />
Dragone, Stefano, 153, 155<br />
Dura, Riccardo, 40<br />
D’Urso, Giovanni, 31, 32<br />
Duschosal, Claudie, 160<br />
Esposti, Giancarlo, 87, 88<br />
Evangelista, Franco, 109<br />
Evola, Julius, 100<br />
209
ARMI IN PUGNO 22_7_10 2-09-2010 11:53 Pag<strong>in</strong>a 210<br />
ARMI IN PUGNO<br />
Fabian, Adriano, 180, 182<br />
Fach<strong>in</strong>i, Massimiliano, 60, 63<br />
Fais, Aldo, 26, 27<br />
Falco, Leonardo, 90<br />
Fatmira, Giugni, 190<br />
Fenzi, Enrico, 9, 33, 198<br />
Ferrari Roberto, 25<br />
Ferrari Bravo, Luciano, 25, 27<br />
Ferraro, Antonio, 67<br />
Ferro, Gianfranco, 104<br />
Fianch<strong>in</strong>i, Aurelio, 90<br />
Fiasconaro, Luigi Rocco, 62<br />
Fioravanti, Cristiano, 106<br />
Fioravanti, Valerio, 107, 109, 110,<br />
111<br />
Franci, Luciano, 90<br />
Francia, Salvatore, 101<br />
Franco, Domenico, 156<br />
Frascella, Emanuela, 45<br />
Frascella, Mario, 42<br />
Freda, Franco, 60, 62, 63<br />
Fukada, Tsugufumi, 89<br />
Fumagalli, Carlo, 83<br />
Furlan, Andre<strong>in</strong>a, 52<br />
Furlan, Angelo, 48<br />
Furlan, Marco, 113, 114, 116, 117,<br />
118, 156<br />
Galesi, Mario, 11<br />
Galimberti, Ivo, 25<br />
Gallucci, Achille, 26<br />
Galvaligi, Enrico, 32<br />
Garosi, Raffaella, 89<br />
Gelli, Licio, 96, 98, 102, 103<br />
Gemmati, Antonella, 172<br />
Genova, Salvatore, 43, 44, 45<br />
Germano, Antonio, 104<br />
Ghirardi, Bruno, 9, 51<br />
Giralucci, Graziano, 13, 16, 17, 19<br />
Girard, Armando, 177<br />
Goldoni, Carlo, 30<br />
Gori, Sergio, 33<br />
Gradari, Piergiorgio, 64<br />
Granzotto, Antonio, 20<br />
Graziani, Alberto, 21, 28<br />
Graziani, Clemente, 100, 101<br />
Grillo, Manlio, 14<br />
Gucc<strong>in</strong>i, Francesco, 91<br />
Hanema, Wìlbelmus Jacobus, 89<br />
Ich<strong>in</strong>o, Piero, 8<br />
Isman, Fabio, 55<br />
Izzo, Angelo, 96<br />
Juliano, Pasquale, 60, 61<br />
Kotr<strong>in</strong>er, Herbert, 89<br />
La Barbera, Arnaldo, 153, 154<br />
La Bruna, Antonio, 63<br />
La Malfa, Domenico, 67<br />
Lat<strong>in</strong>o, Claudio, 9, 51<br />
Libera, Emilia, 45, 46<br />
Lioce, Nadia Desdemona, 8, 10, 11, 12<br />
Lissandron, Pierpaolo, 170, 171, 172<br />
Loi, Duilio, 77<br />
Loi, Vittorio, 77<br />
Lollo, Achille, 14<br />
Lombardi, Antonio, 27, 78<br />
Lorenzon, Guido, 59, 60<br />
Lovato, Giuseppe, 113<br />
Luddi, Margherita, 90<br />
Ludmann, Anna Maria, 40<br />
Ludwig, Otto, 112, 113, 114, 115,<br />
116, 117, 118, 156<br />
Madolell, Joaquim, 178<br />
Maggi, Carlo Maria, 65, 66, 75, 79,<br />
80<br />
Malentacchi, Piero, 90<br />
Maletti, Gian Adelio, 63, 79, 80, 84,<br />
85<br />
Mambro, Francesca, 107, 111<br />
Maniero, Felice, 119, 120, 121, 123,<br />
124<br />
210
ARMI IN PUGNO 22_7_10 2-09-2010 11:53 Pag<strong>in</strong>a 211<br />
Marches<strong>in</strong>, Giancarlo, 61<br />
Marchetto, Franca, 53<br />
Mariano, Luigi, 101<br />
Mar<strong>in</strong>o, Antonio, 77<br />
Marongiu, Giambattista, 25, 27<br />
Mart<strong>in</strong>ese, Luigi, 101<br />
Mart<strong>in</strong>otti, Luca, 115<br />
Masala, Sebastiano, 22<br />
Masar<strong>in</strong>, Federico, 73, 74<br />
Maso, Pietro, 30, 132, 135, 138, 139<br />
Massagrande, Elio, 100, 101<br />
Massaro, Raffaele, 166, 167<br />
Massimi, Marco Mario, 108, 109<br />
Mattei, Enrico, 175, 177<br />
Mazzola, Giuseppe, 13, 16, 17, 18, 19<br />
Mazzola, Graziano, 50<br />
Mazzola, Piero, 19<br />
Mazzi, Antonio, 53<br />
Medaglia, Antidio, 89<br />
Memeo, Giuseppe, 22<br />
Merl<strong>in</strong>o, Mario, 63<br />
Meroni, Federica, 50<br />
Miceli, Vito, 84, 85<br />
Miola, Noemi, 148, 149<br />
M<strong>in</strong>garelli, D<strong>in</strong>o, 68, 71<br />
M<strong>in</strong>ghelli, Gian Antonio, 103<br />
Montorsi, Roberto, 96<br />
Morelli, Maurizio, 77, 202<br />
Moretti, Mario, 9, 15, 28, 32, 33, 202<br />
Mori, Luca, 124<br />
Moro, Aldo, 9, 13, 25, 28, 31, 40, 46,<br />
97, 98, 165, 198, 202<br />
Moro, Eleonora, 26, 28<br />
Moro, Maria Fida, 98<br />
Motagner, Piercarlo, 65<br />
Mundo, Anton<strong>in</strong>o, 22<br />
Murano, Alberto, 61<br />
Musger, Gabrielle, 145, 151<br />
Mutti, Claudio, 109<br />
Neami, Francesco, 78, 79, 80<br />
Negri, Antonio (Toni), 25, 26, 27, 28,<br />
29, 192, 193<br />
Nicotri, Giuseppe, 25, 27<br />
Nigro, Arturo, 23<br />
Niutta, Ugo, 165<br />
Occorsio, Vittorio, 98, 99, 100, 101,<br />
102, 103, 104, 111<br />
Ognibene, Roberto, 16, 17, 18<br />
Opocher, Enrico, 59<br />
Orlando, Ruggero, 87<br />
Ortolani, Umberto, 102<br />
Pace, Nicola Maria, 161<br />
Pallad<strong>in</strong>o, Carm<strong>in</strong>e, 105<br />
Palumbo, Giovanni Battista, 68<br />
Pan, Ruggero, 61<br />
Panciarelli, Piero, 40<br />
Panc<strong>in</strong>o, Gianfranco, 25<br />
Pannella, Marco, 27, 28<br />
Panz<strong>in</strong>o, Giuseppe, 75<br />
Papalia, Guido, 189<br />
Pappalardo, Antonio, 104<br />
Patrese, Giancarlo, 60, 61<br />
Pavlenko, Yuri, 178<br />
Pavlovic, Biljana, 146<br />
Peci, Patrizio, 32, 54, 55, 56, 57,<br />
202, 203<br />
Peci, Roberto, 32<br />
Pelli, Fabrizio, 16, 17<br />
Pert<strong>in</strong>i, Sandro, 27, 47, 171<br />
Peruffo, Pietro, 139, 140, 141, 142,<br />
143<br />
Petrella, Stefano, 45<br />
Pezzato, Nicolò, 60<br />
Piaggio, Andrea Maria, 84<br />
Piccoli, Flam<strong>in</strong>io, 56<br />
Pigato, Gabriele, 113<br />
P<strong>in</strong>elli, P<strong>in</strong>o, 59, 68, 78, 205<br />
Piperno, Franco, 2, 14, 25, 27, 203<br />
Pisetta, Marco, 68<br />
Porta Casucci, Giancarlo, 81<br />
Poveromo, Donato, 67<br />
Pozzan, Marco, 60, 62, 63<br />
Premoli, Mar<strong>in</strong>a, 50<br />
211
ARMI IN PUGNO 22_7_10 2-09-2010 11:53 Pag<strong>in</strong>a 212<br />
ARMI IN PUGNO<br />
Profeta, Giovanni, 168, 172<br />
Profeta, Maurizio, 171, 172, 173<br />
Profeta, Michele, 172<br />
Pulejo, Claudia, 146, 147, 151<br />
Quagli, Alberto, 52<br />
Raney, William, 126<br />
Rauti, P<strong>in</strong>o, 62, 100<br />
Reagan, Ronald, 41, 45<br />
Recchioni, Stefano, 107<br />
R<strong>in</strong>aldi, Giorgio, 175, 176, 177, 178,<br />
179<br />
Rizzato, Eugenio, 81<br />
Rocca, Renzo, 176, 179<br />
Rognoni, Giancarlo, 65, 66<br />
Rognoni, Virg<strong>in</strong>io, 56, 204<br />
Romagnoli, Sandro, 79<br />
Ronconi, Susanna, 16, 17, 18, 50<br />
Rossanigo, Giorgio, 23<br />
Ross<strong>in</strong>, Valent<strong>in</strong>o, 8, 51<br />
Rossi, Walter, 106, 191<br />
Ruffilli, Roberto, 10<br />
Rumor, Mariano, 63, 73, 74, 75, 76,<br />
78<br />
Russo, Nunzio, 89<br />
Russomanno, Silvano, 55<br />
Ruzante, 30<br />
Sabbad<strong>in</strong>, L<strong>in</strong>o, 23<br />
Salvo, N<strong>in</strong>o, 105<br />
Sandalo, Roberto, 55, 57<br />
Sandrucci, Romeo, 32<br />
Santoro, Antonio, 23<br />
Santoro, Michele, 68<br />
Savasta, Antonio, 35, 39, 40, 45, 46<br />
Scalzone, Oreste, 25, 27, 203, 204<br />
Schweitzer, Joseph, 126, 129, 130<br />
Sciarelli, Tiziano, 180<br />
Scolari, Ennio, 94<br />
Scopelliti, Paolo, 76<br />
Seagraves, Chandler, 126<br />
Segio, Sergio, 48, 49, 50, 205<br />
Semerari, Aldo, 109<br />
Senzani, Giovanni, 10, 32, 46<br />
Semeria, Giorgio, 16, 17, 18<br />
Seraf<strong>in</strong>i, Mart<strong>in</strong>o, 16, 17, 18<br />
Seraf<strong>in</strong>i, Sandro, 25<br />
Shafranek, Galyna, 186, 189<br />
Siciliano, Mart<strong>in</strong>o, 64, 65, 66<br />
Signorelli, Paolo, 108, 109<br />
Simonetto, Giampiero, 8<br />
Sirotti, Silver, 89<br />
Sofri, Adriano, 68, 195, 205<br />
Sossi, Mario, 13, 14<br />
Spiazzi, Amos, 79, 80, 82, 84, 85<br />
Sp<strong>in</strong>elli, Guerr<strong>in</strong>o, 115<br />
Stagno, Tito, 87<br />
Steccanella, Alberto, 59, 60<br />
Stefano, Luciano, 215<br />
Stevan<strong>in</strong>, Gianfranco, 145, 146, 147,<br />
148, 149, 150, 151<br />
Stevan<strong>in</strong>, Giuseppe, 149<br />
Stiz, Giancarlo, 62<br />
Strizzolo, Luigi, 22<br />
Sturaro, Marzio, 25<br />
Succo, Nazario, 152,<br />
Succo, Roberto, 153, 154, 155, 156,<br />
157, 158, 159, 160, 161, 162<br />
Taliercio, Bianca, 30, 34, 37<br />
Taliercio, Elda, 30, 34, 37<br />
Taliercio, Gabriella, 35, 36<br />
Taliercio, Giuseppe (P<strong>in</strong>o), 31, 33, 34,<br />
35, 36, 38, 42, 46<br />
Tambur<strong>in</strong>o, Giovanni, 81, 82, 83, 84,<br />
85<br />
Tanassi, Mario, 63<br />
Taolotti, Giovanni Battista, 176<br />
Tartarotti, Cor<strong>in</strong>na, 116<br />
Taviani, Paolo Emilio, 75, 99<br />
Togliatti, Palmiro, 81<br />
Tommasoni, Franco, 60<br />
Tonello, Andrea, 8, 9<br />
Torregiani, Luigi, 23<br />
Toschi, Massimiliano, 51<br />
212
ARMI IN PUGNO 22_7_10 2-09-2010 11:53 Pag<strong>in</strong>a 213<br />
Tramonti, Massimo, 25<br />
Tr<strong>in</strong>gali, Stefano, 65, 66<br />
Turazza, Davide, 187<br />
Tuti, Mario, 90, 91, 92, 104<br />
Vaccari, Alessandra, 148<br />
Vallar<strong>in</strong>, Lucia, 140, 141<br />
Vallanzasca, Renato, 151<br />
Valpreda, Pietro, 63, 66, 192<br />
Vanzo, Marcello, 126<br />
Vecchi, Valent<strong>in</strong>o, 35<br />
Ventura, Giovanni, 59, 60, 61, 62, 63<br />
Vesce, Emilio, 25<br />
Vettorato, Bruna, 19<br />
Vigna, Pier Luigi, 104<br />
Vimercati, Daniele, 166<br />
V<strong>in</strong>cent, Jean-Marie, 29<br />
V<strong>in</strong>ciguerra, V<strong>in</strong>cenzo, 64, 69, 70, 71,<br />
73, 75, 76, 96, 206<br />
Violante, Luciano, 91<br />
Viscardi, Michele, 50<br />
Vitalone, Claudio, 103<br />
Viviani, Bruno, 127<br />
Vol<strong>in</strong>ia, Ruggero, 42, 43, 45<br />
Vu D<strong>in</strong>h, France, 159<br />
Zaccagn<strong>in</strong>i, Benigno, 28<br />
Zagato, Lauro, 25, 27<br />
Zanussi, Livio, 174, 175, 176, 177,<br />
179<br />
Zonno, Francesco, 159<br />
Zorzi, Delfo, 65, 66<br />
213
ARMI IN PUGNO 22_7_10 2-09-2010 11:53 Pag<strong>in</strong>a 214<br />
INDICE<br />
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3<br />
I rossi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7<br />
Operazione Tramonto: e il Veneto si rit<strong>in</strong>se di rosso brigatista . . . . 7<br />
“L’<strong>in</strong>cidente” di Padova: il primo omicidio delle Brigate Rosse . . 13<br />
Il feroce biennio dei PAC di Cesare Battisti . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19<br />
Pietro Calogero: un teorema per l’autonomia . . . . . . . . . . . . . . . . . 24<br />
Mestre cuore brigatista:<br />
il sequestro e l’uccisione dell’<strong>in</strong>gegner Taliercio . . . . . . . . . . . . . . 30<br />
J. L. Dozier: un amerikano a Verona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38<br />
La prima l<strong>in</strong>ea di Rovigo: evasione con morto . . . . . . . . . . . . . . . 47<br />
La vita spericolata di Marco Donat Catt<strong>in</strong> . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52<br />
I neri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59<br />
La pista veneta della strage di Piazza Fontana . . . . . . . . . . . . . . . 59<br />
Peteano, prov<strong>in</strong>cia di Ord<strong>in</strong>e Nuovo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67<br />
Gianfranco Bertoli, come ti plagio l’anarchico . . . . . . . . . . . . . . . . 73<br />
Il giudice padovano e la Rosa dei Venti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81<br />
Italicus, treno di morte, Verona saluta con onore . . . . . . . . . . . . . . 86<br />
Occorsio, una sentenza a morte scritta sui muri di Verona . . . . . . 98<br />
Amato, da Rovereto a Roma per morire di eversione nera . . . . . . 105<br />
Ludwig e la pulizia del mondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111<br />
La nera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119<br />
Felice Maniero e la mafia del Brenta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119<br />
I predatori del Cermis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125
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Pietro Maso, il pavone di Verona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131<br />
Pietro Peruffo: io sono un orco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139<br />
Gianfranco Stevan<strong>in</strong>, il contad<strong>in</strong>o serial killer . . . . . . . . . . . . . . . 145<br />
Roberto Succo. Anima persa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151<br />
La strana morte di don Bisaglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162<br />
Michele Profeta. Scala reale con la morte . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168<br />
La misteriosa scomparsa di Livio Zanussi . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174<br />
Adriano Fabian. T’amo, t’uccido . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 180<br />
Poliziotti a Verona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 186<br />
Bibliografia e fonti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 191<br />
Siti web di riferimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 207<br />
Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 208
ARMI IN PUGNO 22_7_10 2-09-2010 11:53 Pag<strong>in</strong>a 216<br />
ARMI IN PUGNO<br />
di PINO CASAMASSIMA<br />
Collana diretta da SIMONA MAMMANO e ANTONELLA BECCARIA<br />
Progetto grafico ANYONE!<br />
Impag<strong>in</strong>azione ROBERTA ROSSI<br />
©2010 <strong>Stampa</strong> Alternativa/Nuovi Equilibri<br />
Casella postale 97 – 01100 Viterbo<br />
fax 0761.352751<br />
e-mail: ord<strong>in</strong>i@stamp<strong>alternativa</strong>.it<br />
ISBN 978-88-6222-139-9<br />
F<strong>in</strong>ito di stampare nel mese di luglio 2010<br />
presso la tipografia IACOBELLI srl via Catania 8 – 00040 Pavona (Roma)